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VULCANI

Di fronte alla grande violenza che caratterizza certi tipi di eruzione vulcanica l’essere umano è impotente e rischia
di soccombere. Duplice volto dei vulcani: da un lato la loro estrema pericolosità, dall’altro il ruolo chiave che
hanno avuto, e che hanno, nell’evoluzione e nel funzionamento del nostro pianeta. I vulcani sono “vecchi quanto il
mondo” perché risalgono ai primordi della storia della Terra, quando la Terra era solo un oceano immenso
costellato qua e là da vulcani, i quali fenomeni eruttivi hanno contribuito alla formazione e trasformazione
dell’atmosfera terrestre: è grazie ai vulcani che l’atmosfera oggi presenta una certa composizione chimica. Alcuni
benefici dei vulcani sono il raffreddamento atmosferico (causato dalla permanenza in atmosfera delle goccioline di
aerosol che si formano dall’interazione tra gas di zolfo e acqua), la creazione di nuove terre (grazie allo
sversamento e successivo raffreddamento della lava negli oceani), la produzione di acqua per opera del vapore e
del magma, la fertilità del suolo (dovuta al mescolamento del materiale vulcanico col terreno), le sorgenti termali
(localizzate in luoghi con alte temperature sotterranea in cui si trovano vulcani attivi), il rifornimento di materie
prime prodotte dall’attività vulcanica (zolfo, rame, oro, diamanti)…
I vulcani non sono solo importanti sul piano geologico, ma anche sul piano culturale, letterario e geografico. Nel
mondo antico i vulcani erano considerati un punto di contatto con il mondo ultraterreno e con le divinità.
Nell'immaginario collettivo moderno i vulcani esercitano un notevole fascino derivato dal mistero e dalla magia
che li avvolge da millenni, da quel loro essere un elemento di collegamento con le viscere della Terra, ma anche dal
fatto che risalgono ad epoche lontanissime. Assistere in prima persona a un’eruzione vulcanica o intraprendere
un’escursione lungo le pendici di un vulcano è un'esperienza sublime che racchiude sia piacere sia paura.
I vulcani sono oggetto di interesse non solo di vulcanologi, scienziati o geologi, ma anche di pittori, scrittori e
poeti. Intorno al topos vulcano si intersecano storia, scienza, geografia e letteratura. Molti autori hanno usato il
vulcano e descritto la sua forza dirompente (es: Frankenstein di Shelley pubblicato nel 1818 ma ideato nel 1816,
l’anno dell’eruzione del Tambora su un’isola di un arcipelago indonesiano; questa eruzione provocò ingenti danni
ambientali e migliaia di morti, ma ebbe molte ripercussioni a livello globale: l'aerosol formatosi causò il
riscaldamento della stratosfera e della superficie terrestre provocando un’estate fredda e piovosa → che costrinse
Mary Shelley a rifugiarsi nella villa di Lord Byron a Ginevra dove nelle sue giornate al chiuso scrisse il romanzo).
I vulcani spesso descritti in letteratura coincidono con il luogo d’origine delle forze del male, del potere oscuro, ma
anche con i sentimenti di angoscia e orrore (es: in The Lord of the Rings di Tolkien il Monte Fato è il vulcano nel
quale gli hobbit Frodo e Sam devono gettare l’anello per salvare un mondo pacifico minacciato dalla brutalità →
Tolkien affermò di essersi ispirato allo Stromboli per la descrizione del Monte Fato. Nel romanzo emerge una
visione negativa dei vulcani descritti come portatori di distruzione e morte).
I vulcani, quindi, vengono sempre raffigurati come punto di contatto tra uomo e natura, soprattutto come anello di
congiunzione tra ambiente naturale e interiorità umana, in quanto entrambi sono accomunati dalla forza
dirompente che li caratterizza.

VULCANI E VIAGGIATORI
Lo studio dei vulcani è stato fondamentale per la scienza della terra nell’età moderna. Nel XVIII secolo con
l’evoluzione della geologia si è aperto un dibattito sull’origine delle rocce e delle montagna nel quale si
opponevano due visioni: i nettunisti che sostenevano l’origine marina dei rilievi e i plutonisti che attribuivano
l’origine al “fuoco interno” della Terra. I viaggiatori in età moderna (specie durante il Grand Tour: lungo viaggio
nell'Europa continentale intrapreso dai ricchi dell'aristocrazia europea a partire dal XVIII secolo) erano molto
attratti dai vulcani che spesso erano la meta del loro viaggio. Nel XVIII e nel XIX gli studiosi erano, inoltre, molto
interessati ai vulcani italiani che alternano momenti di parossismo (cioè caratterizzati da grandi eruzioni di lave ed
espulsione di ceneri e gas, accompagnati da movimenti sismici) ad altri di relativa calma, ma sempre
contrassegnati da emissioni di fumi e materiali gassosi. Il Vesuvio e l’Etna erano i principali casi di interesse
proprio perché erano attivi in quei secoli e con ripetute eruzioni, spesso accompagnate da terremoti e conseguenti
distruzioni.
Il 1822 è stato un anno molto significativo perché il viaggiatore e geografo tedesco Alexander von Humboldt
compie la sua ultima escursione scientifica sul Vesuvio lasciando un importante resoconto. Humboldt dedica molta
attenzione ai vulcani attivi durante i suoi viaggi nel mondo (per esempio sale sul Pico de Tenerife nelle Canarie,
studia molti vulcani messicani). Tornato in Europa, nel 1807, scrive un volume Ansichten der Natur con un
capitolo intitolato “Sulla struttura e il tipo di attività dei vulcani nelle diverse parti del mondo”. Nelle sue opere si
riescono a leggere le basi scientifiche della discussione del suo tempo e i problemi interpretativi del vulcanismo di
quei secoli. Nell’agosto del 1805 e poi ancora nel 1822 studia e misura il Vesuvio, ma non riuscirà mai a vedere di
persona l’Etna. Nel 1823 presenta quindi un rapporto delle misurazioni e delle teorie sul Vesuvio sempre con lo
stesso titolo del capitolo del volume. I viaggi e le indagini hanno consentito al geografo di fare il punto sullo stato
delle conoscenze sul vulcanismo a metà 800 e le ricerche condotte in varie parti del globo hanno consentito una
visione complessiva del vulcanesimo: i vulcani appaiono interdipendenti e raggruppati in modi diversi, sono
collegati a movimenti sismici che precedono, accompagnano o seguono le eruzioni. Secondo lui era necessario
viaggiare tra climi lontani e tra grandi regioni anche fuori dall’Europa per conoscere con chiarezza l’insieme dei
fenomeni vulcanici e la loro interdipendenza.

Nonostante la necessità di viaggiare all’estero per conoscere il fenomeno, rimaneva molto forte l’interesse per i
vulcani italiani. In qualunque anno o stagione i visitatori giungessero in Campania avevano la certezza di osservare
i vulcani in attività e questo accresceva il loro fascino. Anche la produzione e la circolazioni delle raffigurazioni dei
vulcani italiani nel mondo scientifico ed editoriale contribuiva a suscitare e mantenere vivo l’interesse: immagini
di eruzioni, devastazioni, stragi…
Due autori che con le loro opere hanno contribuito a promuovere la conoscenza dei luoghi vulcanici nel pubblico
colto dell’epoca sono stati lo scozzese William Douglas Hamilton e il francese Jean-Claude Richard de Saint-Non.
Hamilton, uomo di grande cultura e di vasti interessi, è stato ambasciatore a Napoli dal 1764 al 1800 e durante
questo periodo ha pubblicato un’opera riguardante i Campi Flegrei (golfo a ovest di Napoli noto per la sua attività
vulcanica) e anche altri fenomeni vulcanici del Regno di Napoli (che comprendeva tutto il meridione all’epoca), tra
cui il Vesuvio, l’Etna e lo Stromboli. L’opera è composta più che altro da immagini molto varie, alcune
paesaggistiche e altre più narrative nelle quali appaiono personaggi.
L’opera di Saint-Non, pubblicata a Parigi in 4 volumi tra il 1781 al 1786, richiama di continuo l’opera di Hamilton
ed è dedicata all’intero Regno di Napoli. L’attenzione è sui luoghi, sulle genti e paesaggi e infatti è un’opera
descrittiva capace di descrivere elementi peculiari e insoliti che attraggono la curiosità del lettore. Molte immagini
in quest’opera hanno come oggetto di interesse i vulcani, mentre in altre i vulcani sono solo lo sfondo di paesaggi
urbani, terrestri o marini con grande valore pittoresco.
Le immagini pubblicate da questi due autori ebbero grande riscontro nel pubblico abbiente del tempo che fu spinto
ad interessarsi sia ai luoghi pittoreschi sia ai fenomeni catastrofici.

I due grandi vulcani italiani, l’Etna e il Vesuvio, sono i protagonisti del vulcanismo italiano soprattutto per le
vicende di reminiscenze classiche che li hanno visti protagonisti: l’Etna era la sede del dio del fuoco Efesto, il
Vesuvio era riconosciuto molto per l’eruzione del 79 d.C. i cui effetti si sono valutati dopo il rinvenimento dei resti
sepolti di Ercolano nel 1711 e di Pompei nel 1748. L’interesse dei viaggiatori e degli scienziati del tempo era più
focalizzata sul Vesuvio proprio a causa dell’eruzione.
● VESUVIO → un elemento che caratterizza l’interesse dei viaggiatori per i vulcani è discutere di aspetti
scientifici, testimonianze storiche e artistiche delle eruzioni, effetti catastrofici che ne derivano. Un
aspetto interessante di cui scrivono alcuni viaggiatori è la scarsa attitudine nell’ascesa al vulcano delle
persone appartenenti alle classi più abbienti e delle donne, la cui posizione sociale non prevedeva l’ascesa
a un luogo così aspro e pericoloso. Fredric Lullin de Chateauvieux nel 1791 narra l’aiuto cavalleresco
prestato da lui ad una dama inglese che tentava di salire sul Vesuvio. L’autore Goethe sale per 3 volte sul
Vesuvio durante attività eruttive: è affascinato dal pericolo e descrive i paesaggi attraversati nelle sue
opere.
L’ascesa al Vesuvio era quindi un rito sociale con le sue regole e consuetudini: si partiva al mattino da
Napoli per Portici o Ercolano, qui si noleggiavano i muli e ci si affidava alle guide, si saliva fino all’eremo
di San Salvatore dove i religiosi assistevano agli ascensionisti con cibi e bevande, da qui si effettuava
l’ultima salita fino al cratere principale. Alcuni con le guide scendevano anche nel cratere quando non
erano in corso eruzioni.
L’autore J.G. Seume ascende il Vesuvio e descrive poi la sete che lo ha tormentato, la terra ammirata
dall’alto e il pericolo che non ha mai sentito. L’autore confronta il vulcano con l’Etna e dice che il Vesuvio
fa una misera figura in confronto al vulcano siciliano, ma ricordando l’azione deleteria che ha svolto il
Vesuvio nei secoli, ne presenta anche la forza terribile e distruttrice che travolge tutto.
● ETNA → l’Etna è stato frequentato da meno viaggiatori rispetto al Vesuvio e questo si spiega sia per la
minor frequenza dei viaggi in Sicilia rispetto che in Campania e il diverso impegno personale fisico e in
denaro richiesto per effettuare la salita a questo vulcano che è smisurato. Inoltre Napoli era la capitale del
Regno, metropoli e cosmopolita dalla quale si partiva facilmente per raggiungere il Vesuvio; invece,
Catania era una città di provincia, dotata di un ceto intellettuale colto e selettivo verso i viaggiatori. Da
Catania per salire sull’Etna ci voleva un impegnativo viaggio di più giorni ed era necessario pernottare in
alta quota e in situazioni pericolose. A livello materiale, il Vesuvio è alto meno di un miglio e la sua
circonferenza di base non supera le 30 miglia, l’Etna è alto più di 2 miglia e ha una circonferenza di 180
miglia, inoltre le sue lave giungono più lontano e il suo cratere è molto più largo.

Secondo i diversi modi con cui viaggiatori e scrittori del passato interpretavano i fenomeni e i paesaggi vulcanici
osservati, ogni vulcano può essere considerato:
- elemento paesaggistico di carattere grandioso, pittoresco e sublime che dà personalità ai luoghi perché è
capace di provocare forti emozioni all’osservatore. Di questa visione sono esponenti Hamilton e
Saint-Non son le loro opere illustrate e destinate a formare un immaginario collettivo del vulcanismo
italiano
- elemento distruttore, quasi la personificazione del male, dell’indifferenza della Natura nei confronti
dell’Uomo. Un esempio è la visione di Seume nella poesia inserita nel passo relativo alla salita sul Vesuvio
dopo la visita in Sicilia: il Vesuvio è distruttore, devastatore, trasforma le belle contradi nel deserto più arido
della natura. Una simile visione negativa della natura nasce poi nel Romanticismo, ad esempio nell’ode
Mont Blanc di Shelley (1816) quando si parla di potenza malvagia che alberga nelle viscere della Terra.
- oggetto di interesse scientifico, di ricerca che non implica valutazioni soggettive. Per esempio gli
scienziati Deodat de Dolomieu che sale sull’Etna nel 1781 e Lazzaro Spallanzani che nel 1788 percorre i
territori vulcanici del Sud Italia lasciandone accurate relazioni geologiche.
- elemento naturale che nel tempo interagisce con la vita umana, collettiva e individuale, nel bene
(producendo terreni fertili e flussi di visitatori) e nel male (con distruzioni e morti), e che, però, sui tempi
lunghi può anche produrre effetti positivi
Si tratta di visioni che non si escludono a vicenda, ma che anzi sono spesso praticate dagli stessi autori in tempi
diversi o secondo i vari stati d’animo degli autori. Anche le motivazioni che spingono i diversi viaggiatori a
interessarsi e ad ascendere i vulcani sono varie. Sicuramente la curiosità è uno dei motivi principali: è stata uno dei
fattori che ha spinto gli esseri umani a ad interessarsi ad un fenomeno terrestre e ad occuparsi della superficie
terrestre favorendo la nascita di quella che poi verrà chiamata geografia.

IL VESUVIO: LA DRAMMATICA ERUZIONE DEL 79 D.C. NEGLI STUDI DI MARIO BARATTA


La storica eruzione vesuviana ha ispirato molti artisti, non soltanto in campo letterario e pittorico, ma anche in
ambito musicale, per esempio nell’opera lirica intitolata L’ultimo giorno di Pompei composta da Pacini e
rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1825.
L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. è stata oggetto di numerose analisi a carattere scientifico condotte da
vulcanologi, archeologici e studiosi di geografia riguardo agli effetti negli insediamenti umani sepolti dalla lava. In
questo ambito uno studio di primo piano è stato quello svolto da Mario Baratta che ha dedicato molti dei suoi studi
ai fenomeni vesuviani e all’eruzione pliniana. Le ricerche di Baratta iniziano a partire dal 1892 con lo studio
dell’eruzione causata dall’Etna il 9 luglio di quell’anno, integrate con osservazioni nel 1894 riguardo a fenomeni
sismici avvenuti in Sicilia relazionati con l’eruzione precedente. Il metodo di Baratta nei suoi studi è induttivo,
basato su ripetute osservazioni effettuato allo scopo di individuare la dinamica comportamentale dei processi
generati da un qualunque fenomeno terrestre, in questo caso dell’eruzione vulcanica. Nell’applicare questo
metodo, Baratta usa anche la comparazione spaziale: l’eruzione dell’Etna del 1892 viene messa a confronto con
quelle dello Stromboli e del Vesuvio. Con questa comparazione concluse che l’eruzione dell’Etna avvenne
contemporaneamente ad un aumento di attività del dinamismo del Vesuvio.
Un primo studio di Baratta dell’area vesuviana appare nel 1895, seguito da un volume di 200 pagine due anni dopo
in cui lo studioso descrive le varie forme di attività del Vesuvio (Il Vesuvio e le sue eruzioni. Dall’anno 7 d.C. al 1896) e
dedica due capitoli anche ad illustrare i prodotti e i minerali vesuviani. Inoltre, Baratta avverte il lettore, nel
presentare il volume, che il saggio è destinato a quelle persone che per propria cultura si interessano dei fenomeni della
natura, ma potrebbe rivelarsi utile anche ai vulcanologi e ai geologi poiché contiene quelle notizie sull’attività vulcanica
che il tempo ha reso rare. Prima di iniziare a trattare le vicende, Baratta inquadra il contesto geografico di
riferimento attraverso una descrizione di una “grande efficacia pittorica” (descrive la valle tra la città di Napoli e il
vulcano, il Monte Somma…). Baratta cerca di ricostruire come poteva configurarsi il Vesuvio prima dell’eruzione
del 79 d.C. Per questo usa come fonte la descrizione fatta da Strabone che aveva descritto il vulcano come un monte
pieno di campagne fertili, ad esclusione della sommità che è piana e sterile, percorsa da caverne piene di
screpolature…
Baratta ricorda che già il 5 Febbraio dell’anno 63 d.C. c’era stato un grande terremoto disastroso per Ercolano,
Pompei e Pozzuoli. Plino il giovane nelle sue due famose lettere scritte a Tacito narra della morte di suo zio Plinio il
Vecchio e della ricostruzione degli edifici danneggiati da parte degli abitanti di Pompei. Il parossismo (= attività
vulcanica intensa) del Vesuvio inizia, però, il 24 Agosto di quell’anno. Baratta si basa su una lettera di Plinio,
datata 23 Settembre quindi un mese dopo l’accaduto, per analizzare l’attività vulcanica manifestata dal Vesuvio.
Plinio scrive che alle 17 del 24 Agosto era apparsa una nuvola molto grande proveniente dal Vesuvio e sembrava
che un vento sotterraneo la spingesse: tutti fuggivano dal pericolo sempre maggiore. Baratta si concentra sui passi
scritti da Plinio che riguardano terremoti anticipatori e concomitanti alla grande esplosione. Inoltre, Plinio abitava
a Miseno presso il mare e da lì non si sentivano scosse di terremoto, ma si scorgeva solo il fumo dalla cima
vesuviana. Quindi Baratta arriva a sostenere che le popolazioni insediate lungo l’orlo meridionale del Vesuvio non
potevano avere scampo scappando verso il mare né verso il monte dal quale proveniva il fumo, quindi avevano
uguale pericolo sia di qua che di là.
Riguardo a Pompei, Baratta si sofferma sul ruolo del fiume Sarno, il quale aveva un ruolo molto importante
nell’antichità per l’economia e la civiltà. Pompei doveva gran parte della sua floridezza economica al Sarno che
secondo Baratta, nel 79 d.C. scorreva più a nord dell’attuale corso e questo spiega la sua importante funzione.
Riguardo alle ultime ore di Plinio il Vecchio, il Baratta osserva che Plinio voleva accostarsi al monte che riversava
fuoco e portare soccorso alle popolazioni seguendo per mare la rotta che dal porto di Miseno arriva al lido di
Ercolano. Plinio il Vecchio muore perché non riesce a respirare dalle ceneri presenti nell’aria, Plinio suo nipote
dice di aver trovato il cadavere sepolto sotto uno spesso strato di cenere. Baratta cerca di dimostrare che Plinio
aveva provato a sbarcare sul lido di Ercolano, ma era un’impresa impossibile viste le condizioni vulcaniche di
natura esplosiva troppo avverse.
Baratta nei suoi studi sottolinea molto l'importanza della posizione geografica di Pompei che sorgeva a breve
distanza dal mare presso il corso del Sarno, la cui foce era un vero e proprio scalo marittimo. Quindi il porto di
Pompei era ubicato sulla foce del Sarno e per questo la città produceva ricchezza soprattutto grazie ai commerci
marittimi. Dal porto di Pompei, infatti, arrivavano manufatti e prodotti d’oltremare. Al momento dell’eruzione del
79 d.C. Pompei era una città con un’importante funzione mercantile: gli aristocratici avevano abbandonato le
dimore urbane per trasferirsi in campagna e la città era rimasta ai nuovi ricchi che si occupavano delle botteghe,
delle officine, dei laboratori.
Dopo Baratta, che muore nel 1935, altri studi avevano come oggetto l’eruzione vesuviana del 79. Per esempio nel
1995 alcuni geologi stratigrafi avevano l’obiettivo di ricostruire il paesaggio naturale presente all’epoca
dell’eruzione pliniana lungo la fascia costiera del Sarno. Quest’analisi della successione sedimentaria ha permesso
di affermare che Pompei era stata colpita anche da due catastrofiche alluvioni causate dal fiume Sarno. Si dimostra
quindi che Pompei era stata costruita sopra una colata lavica o un edificio vulcanico. Inoltre Pompei era circondata
da campi coltivati data la presenza di sedimento attribuibile ad un suolo analizzato durante gli scavi archeologici.
La consistenza demografica della città di Pompei al momento dell’eruzione è ancora oggi oggetto di dibattito, le
stime degli abitanti oscillano tra 6.000 e 20.000 e anche i decessi sono di difficile attribuzione. Sicuramente
l’eruzione e l’elevata percentuale di popolazione fuggita dalla città ha avuto ricadute gravi sull’economia: i
territori di Pompei e Ercolano saranno, infatti, oggetto di insediamenti umani solo a partire dal III secolo.

QUANDO IL GHIACCIO GLACIALE INCONTRA IL FUOCO DEL VULCANO: DALLA GEOGRAFIA ALLA LETTERATURA
Il rapporto uomo-vulcano è sempre stato complesso: da un lato i prodotti piroclastici (= frammenti espulsi
nell’atmosfera durante l’attività vulcanica, come polveri, ceneri, lapilli…) consentono lo sviluppo di suoli fertili,
dall’altro gli insediamenti sulle pendici dei vulcani attivi portano alla convivenza delle popolazioni con i fenomeni
dannosi e a volte catastrofici → possono essere l’emissione di lava o prodotti piroclastici o, nel caso di glacio
vulcani, fenomeni di alluvionamento dovuti alla rapida fusione della neve e del ghiaccio del vulcano.

Paesaggio vulcanico-glaciale
Il paesaggio vulcanico è molto variegato e di complesse forme legate al tipo di magma e allo stile eruttivo. Più il
magma è arricchito di silice più le eruzioni sono esplosive con lanci di polveri, ceneri, lapilli e bombe vulcaniche.
Un altro fattore da considerare è la quantità di materiale eruttato: ci può essere una singola colata lavica, i vulcani
a scudo, grandi plateau basaltici, coni di cenere…. Poi materiali vulcanici diversi offrono una diversa resistenza
all'erosione e all’azione delle acque. Il contesto climatico in cui si trova il vulcano cambia ovviamente l'efficacia
dei processi di alterazione e di erosione. Negli ambienti glacializzati la situazione è molto diversa perché l’azione
del ghiaccio e le coperture di ghiaccio sono responsabili dello sviluppo di glacio vulcani, chiamati tuyas, molto
caratteristici, cioè un aspetto tronco, cioè piatto, in cima (in Islanda).

La vita nelle zone di vulcani attivi porta le popolazioni a convivere con la possibilità che si verifichino eventi
dannosi che generano diversi scenari di rischio, anche catastrofici. Nonostante ciò, le spettacolari forme del
paesaggio vulcanico sono sempre state oggetto di attenzione per i turisti e fonte di ispirazione per pittori, scultori,
poeti, letterati che hanno dato vita a leggende e miti. La natura, portatrice di domande, curiosità, ma anche orrore
e paura, è oggetto privilegiato per poeti e autori, i quali riconoscono in lei la capacità di suscitare emozioni e
tumulto nell’animo umano. Davanti alla descrizione degli eventi, lo spettatore può dare concretezza alle sue
emozioni, cresce in lui la meraviglia e l’attenzione. Proprio per questo le potenti eruzioni a carattere esplosivo che
hanno provocato distruzioni sono diventate esempi iconici della potenza della natura: suscitano un forte impatto
emotivo e sono potenti da un punto di vista della forza visiva.
Già gli autori dell’Antica Grecia guardavano i vulcani con curiosità e intorno a questi paesaggi davano sfogo alla
loro fantasia facendo nascere miti per spiegare questi fenomeni. Per es Pindaro, poeta greco, si ispira all’eruzione
dell’Etna del 475 a.C. per narrare il mito di Tifone, un mostro gigante le cui mani terminano in 100 teste, che viene
schiacciato da Zeus sotto l’Etna e da quel momento diventa eruttivo. Anche Virgilio nell’Eneide tenta di dare una
spiegazione mitica al vulcanismo attraverso il mito di Encelado, un gigante che sempre viene schiacciato da Zeus
sotto la Sicilia, e il cui corpo infuocato fa ribollire il monte che vomita fuoco e fa fuoriuscire il fumo.
Anche il Vesuvio ispira molti poeti. Per esempio è stato oggetto di interesse di Goethe. Nell’opera Viaggio in Italia
(1816) Goethe dedica una lunga descrizione scientifica al Vesuvio, lasciando anche molto all’espressione dei
sentimenti. Ma riguardo al Vesuvio l’evento che più di tutti è rimasto impresso nella memoria e suscita terrore è la
distruzione di Pompei.
Il Vesuvio compare anche ne La Ginestra di Leopardi. Nella sesta strofa della poesia emerge lo struggente ricordo
della distruzione di Pompei, catastrofico evento sfruttato da Leopardi per la sua riflessione. La natura, che gode di
una posizione privilegiata nella riflessione leopardiana, viene qui rappresentata dal Vesuvio in tutta la sua
indifferenza e malvagità: dopo 1800 anni (79 d.C. distruzione di Pompei - Leopardi nasce nel 1748) il Vesuvio
continua a minacciare gli uomini. Leopardi usa dei termini per il Vesuvio che indicano morte: la vetta “fatal”, la
zolla è “morta” e “incenerita” e la lava è “funerea”. Mentre gli uomini credono di essere eterni e i popoli
periscono, la natura continua nella sua indifferenza. Leopardi offre una lucida rappresentazione della fragilità
umana, che nulla può contro la natura e i suoi fenomeni. L’unica risposta che può offrire alla sofferenza è
l'immagine della ginestra che cresce ai piedi del Vesuvio, capace di accettare il suo destino.
Nella poesia di Leopardi, inoltre, ci sono molti elementi geografici precisi che rimandano alla tipologia
dell’eruzione, come “campi cosparsi di ceneri infeconde e ricoperti di impietrata lava” fa riferimento proprio alle
eruzioni esplosive caratterizzate da abbondanti emissioni di prodotti piroclastici.. Alla fine della poesia i dettagli
aumentano e sembra che i prodotti vulcanici siano più grandi (“di ceneri e sassi”).

Anche Pascoli scrive di un evento vulcanico: nel 1902 il Monte Pelée in Martinica erutta distruggendo Saint Pierre e
facendo strage di abitanti. Pascoli scrive Il negro di Saint Pierre (contenuta nelle Odi e Inni del 1906) dove il
protagonista, Auguste Cuparis un prigioniero di colore, è uno dei 4 sopravvissuti alla strage. Nella poesia il
prigioniero descrive il sentimento di morte che lo coglie ogni giorno a causa del crimine commesso, morte che non
avverrà perché il Monte Pelée l'ha salvato. Lui che doveva morire in prigione si è salvato e la lava ha portato via la
condanna. Pascoli, attraverso la voce del vulcano, sottolinea l’inutilità del gesto commesso dal carcerato e chiude
la poesia con il cinismo del Monte che rivela la sua natura: lo invita a soffiare sopra la sua lava per dimostrare come
ora nessun gesto può servire per risanare la ferocia dell’assassinio. Pascoli vuole esprimere la sua concezione delle
conseguenze morali di un crimine: dalla morte che doveva avere il singolo allo sterminio dell’intera popolazione e
lui unico sopravvissuto. Gli elementi geografici nella poesia sono percepiti dal carcerato (“E’ tutti i giorni che
sentivo qualche scossa, qualche rombo … quando udii un fuoco, gli urli di tutti”).

Anche i glacio vulcani hanno influenzato la letteratura. Per esempio il Monte Katla, un vulcano subglaciale a sud
dell’Islanda. Si tratta di un vulcano esplosivo per il quale sono documentate 17 eruzioni.
Anche il vulcano Eyjafjoll in Islanda è attivo e si trova a sud dell’isola. Nel 2010, dopo un periodo di attività debole,
ha eruttato violentemente, dando luogo ad una cascata di ghiaccio e lava arricchita da ceneri. Il fenomeno durò 5
giorni, mandò in tilt il traffico aereo di tutta Europa e provocò un’estate molto fresca. Solo quando la nube si
dissolse e le ceneri precipitarono, le condizioni meteorologiche tornarono alla normalità.
I vulcani islandesi hanno ispirato Jules Verne che colloca l’ingresso dei protagonisti del romanzo Viaggio al centro
della Terra in un cono vulcanico islandese. Anche Leopardi, pur non essendo mai andato in Islanda, la descrive
nell’operetta morale Dialogo della Natura e di un islandese (1824). Si tratta di un dialogo in cui un indegeno,
scappato dal suo luogo nativo, chiede alla Natura spiegazioni circa la sua crudeltà. L’islandese elenca le sventure e
le disgrazie che ogni giorno gli uomini devono subire in ogni luogo della Terra a causa dell’indifferenza della
Natura. L'Islanda per il protagonista è una terra inospitale a causa del gelo e dei vulcani: quindi viaggia per il
mondo, per poi scoprire che nessun luogo sulla Terra è fatto per l’uomo perché ovunque ci sono pericoli. La
risposta della Natura è chiara e crudele: lei non è interessata alla felicità degli uomini o all’infelicità (“ io non me
n’avveggo”), nessuna delle cose che ha fatto è stata per giovare l’uomo e se dovesse estinguere tutta la specie
umana non sarebbe interessata.

Il caso più noto di un glacio vulcano i cui effetti sono stati evidenti al mondo intero è il St.Helens (USA). L’eruzione,
comparabile per intensità a quella del Vesuvio del 79 d.C, è iniziata il 27 Marzo 1980 quando si sono verificate
modeste esplosioni e flussi piroclastici nello stato di Washington. La differenza, rispetto al passato, è la grande
partecipazione di giornalisti e media e la grande quantità di materiale audio e video prodotto, che ha dato modo di
studiare questi fenomeni. Il 18 maggio 1980 la situazione precipita e si verifica una grande eruzione esplosiva.
L’eruzione fu preceduta da terremoti e fuoriuscite di lava. L’eruzione più potente di quel mattino ha provocato il
crollo del versante nord del Monte St. Helens. Ceneri vulcaniche caddero in 11 stati americani e in 2 province del
Canada. Inoltre fu molto grave la fusione istantanea di neve e ghiaccio sulla calotta del monte. Si crearono colate di
fango vulcanico bollente che scendevano dai fianchi del vulcano distruggendo tutto. L’evento provocò 57 vittime
tra cui molti studiosi, fotografi e giornalisti. Dopo l’eruzione, un evento che avuto un forte impatto sulla società
per i danni umani e ambientali, l’area di St. Helens è stata dichiarata Monumento Vulcanico Permanente e
rappresenta un esempio del drammatico connubio tra ghiaccio e magma.
LO SCIENZIATO SUL VULCANO
Nel Settecento lo spettacolo dell'eruzione occupa una posizione di primo piano, fino ad assumere un topos
letterario e un forte interesse per gli studiosi che affrontano l’ascesa ai vulcani (principalmente Etna e Vesuvio)
per scopi scientifici.
Nel 1788 raggiunge il cratere del Vesuvio Lazzaro Spallanzani, professore dell’Università di Pavia. Al Vesuvio lui
raccoglie molte rocce per le sue collezioni, tenute al Museo di Storia Naturale di Pavia, e ricava la materia per i suoi
6 volumi molto importanti per la vulcanologia. Oltre ad ascendere al Vesuvio, nello stesso viaggio Spallanzani
raggiunge l’Etna e le Eolie e, quindi Stromboli. Il viaggio rappresenta per il naturalista un laboratorio di indagine
in cui raccoglie e osserva dati. Nei suoi volumi, Spallanzani, oltre a descrivere le caratteristiche dei materiali
vulcanici e dei fenomeni, sottolinea la sua audacia perché è conscio che queste indagini rischiose non sono alla
portata di tutti i filosofi interessati ad eventi naturali. Spallanzani afferma, infatti, di non aver trovato
accompagnatori disposti a intraprendere con lui l’esplorazione del monte Vulcano nell’isola di Vulcano. Sottolinea
ancora il suo coraggio quando deve affrontare l’ “orrido precipizio” dell’Etna, rispetto a cui l’imponenza del
Vesuvio può definirsi “Vulcano da Gabinetto”. Lo scienziato, quindi è capace di tratteggiare immagini molto
intense proprio grazie al bilanciamento tra sguardo scientifico e componente letteraria.

3 anni dopo nel 1791 un altro scienziato attivo nell’Università di Pavia, Lorenzo Mascheroni, compie un’escursione
sul Vesuvio scrivendo un diario di viaggio del suo viaggio da Pavia a Napoli. Le sue osservazioni sono molto efficaci
perché non usa solo un linguaggio specialistico-scientifico, ma descrive i paesaggi vulcanici plasmati da una
natura potente e indomita, evoca anche i colori dell’occhio umano paragonandoli a quelli all’interno del cratere.
Qualche anno dopo il poeta-scienziato Mascheroni scrive anche un poemetto in endecasillabi in cui descrive i
celebri istituti scientifici di Pavia. Il vulcano è quindi per lui un argomento da trattare anche in poesia.

Un altro scienziato importante è il napoletano Ferdinando Galiani, esponente dell’illuminismo meridionale. Si


interessa di scienze archeologiche e fisico-geografiche e dal 1781 dirige i lavori cartografici per la nuova
descrizione del Regno Di Napoli. Galiani prende parte al dibattito sulla vulcanologia dal 1754, quando dopo
l’eruzione del Vesuvio di quell’anno, raccoglie e studia la composizione di tantissimi reperti geologici. Nel 1779
esce la sua opera Osservazioni sopra il Vesuvio che fornisce un nuovo impulso alla mineralogia attraverso l’idea di
classificare campioni di rocce di provenienza vesuviana. In questa opera, l’autore sottopone a revisione 54 scritti
sull’attività del vulcano (del 600 e 700).
Galiani scrive anche un breve pamphlet intitolato Spaventosissima descrizione dello spaventoso spavento che ci
spaventò tutti coll’eruzione del Vesuvio la sera delli otto d’agosto 177, ma (grazie di Dio) durò poco → già dal titolo si
vede che Galiani pone in ridicolo la moda di produrre così tante descrizioni e trattazioni per ogni emissione di lava
del vulcano, portate a esagerare la dimensione dell’eruzione. L’impostazione caricaturale e parodica dello scritto
descrive il Vesuvio come unica montagna del mondo che dice o fa qualcosa di nuovo, una “vera bocca infernale”...
Galiani qui deride le ipotesi religiose riguardo le cause delle eruzioni e anche le teorie filosofiche che attribuivano
alla terra le caratteristiche di un organismo vivente. Galiani, infine, presenta una personale interpretazione
dell’evento paragonando il vulcano con una donna di fascino dall’indole spumeggiante, difficile da contenere.
Secondo l’autore, l’eruzione del 1779 si limita a illuminare la notte napoletana al pari di un ougno di polvere fatta
esplodere su un tetto. Le meraviglie di quella sera sono state create poi dai poeti e artisti che hanno riportato su
tela l’evento ingigantendolo.

FRANKENSTEIN
Mary Shelley concepisce la sua opera di maggior successo, Frankenstein or the Modern Prometheus, nell’estate del
1816, definita “un’estate senza sole” perché caratterizzata dal cielo sempre nuvoloso a causa dalle ceneri
nell’atmosfera dopo l’eruzione del vulcano Tambora. L’opera viene poi pubblicata nel 1818 e in seconda edizione,
con un’altra introduzione, nel 1831.
Eruzione del vulcano Tambora → nell’aprile del 1815 a nord-est dell’isola di Sumbawa, isola di un arcipelago in
Indonesia, il Tambora dà inizio a una delle eruzioni più potenti della storia. Si riversano nell’atmosfera tantissime
ceneri e i gas emessi raggiungono un’altezza tale da sfasare i ritmi stagionali del clima mondiale, gettando nel
panico intere comunità e creando difficoltà ovunque, in particolare nelle aree montuose europee, tra cui in
Svizzera, si patiscono temperature molto basse e alti tassi di umidità. Nel mondo non si riesce subito a connettere i
cambiamenti climatici con l’eruzione del Tambora perché la nuvola di cenera circonda il pianeta sull’equatore e si
diffonde producendo in modo molto lento un danno climatico. Ma nessuno subito mette in relazione questo
cambiamento climatico con l’eruzione del vulcano dell'isola sconosciuta e lontana.
Il romanzo Frankenstein prende forma in quell'estate tempestosa, durante la quale gli Shelley si erano stabiliti
dall’Inghilterra a Ginevra sulle sponde del lago Lemano dove risiedeva George Byron con la sua amante, sorellastra
di Mary. A causa delle condizioni atmosferiche, delle tempeste e delle piogge continue, sono costretti a stare
sempre chiusi in casa. Byron propone che tutti si cimentino con la scrittura di una storia di fantasmi e così nasce il
romanzo. Anche nelle lettere di quell’estate fra Mary e sua sorella Fanny, rimasta a Londra, si descrivono le
condizioni meteorologiche. Mary racconta alla sorella della tempesta di neve che rovina la vista di Ginevra e del
lago , di uno dei temporali più spettacolari che abbia mai visto e del lago che si illumina per un istante prima
dell’oscurità: il contrasto tra luce e tenebre e il rumore dei tuoni genera piacere misto a terrore.
Nella prefazione della seconda edizione dell’opera, Mary racconta di aver pensato a una vicenda che facesse
raggelare il sangue, poi di aver avuto un incubo, incentrato sulla terrificante creazione di chi voleva imitare il
meccanismo creativo divino.
Percy Shelley, marito di Mary, era molto interessato al raffreddamento globale di quell’estate e riteneva che i
ghiacciai intorno al Monte Bianco si stessero ampliando. Nel suo poema “Mont Blanc” egli esplora la precarietà
della condizione umana in un pianeta in perenne cambiamento e immagina la possibilità di un universo
post-umano. Il poema “Mont Blanc” di Percy è inserito dalla sorella anche nella conclusione del suo journal di
viaggio, cioè le sue annotazioni scritte tra maggio e giugno 1816, e viene inserita nell'ultima strofa la domanda
della creatura “What was I?”.

Il protagonista di Frankenstein incontra la sua mostruosa creazione durante un’escursione tra i ghiacciai delle Alpi
→ i movimenti del mostro sono verso le montagne e il nord, tra le terre dove la sopravvivenza umana è minacciata.
Nel romanzo viene evocata, infatti, l’estinzione dell’umanità: Victor distrugge la compagna della creatura
temendo che i due possano procreare, lontani da tutti, tra i ghiacciai remoti e soppiantare l’intera umanità.

Frankenstein non è solo il racconto di una creazione mostruosa, ma tratta anche dell’ossessione scientifica che
promette all’uomo il potere divino. Come Mary si era ritenuta responsabile della morte della madre dopo il suo
parto, così anche la creatura è priva di una figura materna ed è il prodotto di un parto innaturale. Questa mancanza
fa della creatura un mostro e quando il suo desiderio di affetto viene ricambiato con odio, lei si scaraventa contro
l’umanità. Victor tenta di sostituirsi a Dio creando una specie immortale, rubando elementi dai cimiteri per
comporre una creatura costituita da parti umane e bestiali. Victor poi si trasforma lui in un mostro perché è
desideroso di vendetta e vuole distruggere la creatura rincorrendola per le distese artiche ghiacciate. Il romanzo
suggerisce che se Victor avesse amato la creatura e l’avesse educata avrebbe potuto dare origine alla specie che
aveva sognato. Una creatura non amata e abbandonata si trasforma per forza in un mostro. Il progetto di Victor,
che diventa il creatore di un essere umano superiore, sostiene la negazione patriarcale del valore e della sessualità
femminile.
Victor crea il mostro dopo essere rimasto affascinato e sconvolto da un temporale sul lago, in cui si riflette
l’esperienza di Mary. I fulmini quindi hanno un ruolo essenziale nel romanzo: lampi, tuoni e pioggia di scatenano
intorno a Victor mentre lavora, la pioggia si riversa sulla “dreary night of November” quando lui completa
l’esperimento, quando rivede la creatura sulle Alpi c’è un violento temporale… Victor inoltre conclude la sua
esistenza circondato dai ghiacci: punizione per coloro che oltrepassano i limiti della natura.

Il mito di Frankenstein è legato al ghiaccio → Robert Walton, esploratore che si sta dirigendo al Polo Nord, è colui
che trova Victor e che si fa raccontare la storia e inoltre la vicenda di colloca sulle montagne svizzere di cui Victor
contempla il ghiacciaio. La cornice artica è fondamentale: il viaggio di Walton verso una meta impossibile è
riconducibile alla ricerca prometeica di Victor in ambito scientifico.
Nel romanzo le descrizioni della natura si concentrano su paesaggi che hanno le caratteristiche del sublime:
l’artico, le alpi, l’arcipelago a nordest della scozia dove Victor lavora sulla compagna del mostro. Metaforicamente,
la narrazione è circondata dall’oceano ghiacciato e riflette il passaggio da acque gelate a temperate, rispecchiando
gli eventi della vita umana: nascita, vita e morte. Il lago Lemano, il Mare del Nord e l’oceano artico svolgono gli
incontri del mostro con il suo creatore. La natura, quindi è in connessione con il corpo della creatura: la creatura
trova rifugio e viene accolta dalla natura, quando fugge nei boschi e quando si arrampica sulle vette alpine e poi fra
i ghiacci artici. Il mondo non umano accoglie la creatura, mentre il mondo umano la respinge.

Il romanzo potrebbe essere considerato un Bildungsroman dello scienziato che si intreccia con il Bildungsroman
del mostro perché il mostro manifesta le stesse esigenze e le stesse paure degli esseri umani.

In Frankenstein sono importanti i concetti di elettricità e fuoco. Affascinata dai fulmini Mary Shelley assiste
quell’estate a uno spaventoso temporale sul lago Lemano e le lingue infuocate che illuminano le acque con i suoi
effetti terrificanti rispecchiano quanto lo scienziato Victor racconta nel romanzo: il potere dei fulmini visto
dall’autrice si ricollega alla scintilla vitale utilizzata per animare la creatura.

Il romanzo segna anche l’impossibilità di una dimora stabile → la creatura si sposta sempre alla ricerca di un luogo
in cui possa fermarsi senza subire molestie e persecuzioni. Anche Victor si sposta nella valle di Chamonix. Lì, una
mattina durante un temporale, si sveglia e decide di cercare rifugio seguendo un sentiero solitario fino alle pendici
del Monte Bianco. Qui Victor ambisce a un incontro ravvicinato con il sublime, si trova in un paesaggio dove ogni
singolo rumore può essere pericoloso perché potrebbe causare una valanga. Dopo Victor cammina attraverso il
ghiacciaio della montagna opposta in modo da vedere meglio il Monte Bianco. Prima gli si gonfia il cuore dal
piacere di quella vista, ma poi è pervaso dal terrore perché lì vede la creatura. Victor vede la creatura che si muove
con superiorità ed è in grado di evitare il tentativo di Victor di aggredirla. La creatura risponde all’odio di Victor
riferendosi alla sua solitudine e alla totale mancanza di attenzioni nei suoi confronti. Mentre per Victor il
ghiacciaio è uno sfondo sublime, per la creatura è la possibilità di relazionarsi con il mondo. La creatura può
svilupparsi in qualsiasi ambiente, ma deve raccontare la sua storia a Victor in uno spazio artificiale non naturale.
L’incontro tra Victor e la creatura nella valle di Chamonix connette l’azione della creatura con quella dei ghiacciai,
spesso distruttiva.

La questione geografica è centrale nel romanzo e uno dei temi chiave è la relazione tra conoscenza e potere. Ciò è
evidente nel modo in cui Walton e Victor cercano di imporre la loro volontà. Uno degli obiettivi di Walton è trovare
il Paesaggio di Nord-Ovest che unisce l’Atlantico al Pacifico → una scoperta che avrebbe avuto un impatto enorme
sull'espansione britannica e che era lo scopo di molte spedizioni. Walton parte da un’idea dell’Artico come “spazio
vuoto” per riterittorializzarla, per provare a dominare cartograficamente quel territorio.

Alla fine del romanzo ci si riferisce al fuoco: le fiamme accenderanno di luce l’oscurità polare e fonderanno
insieme i corpi del padre e del figlio, del colonizzatore e del colonizzato, del padrone e dello schiavo. La creazione
di Shelley si fonde quindi sull’accoppiamento ghiaccio-fuoco.

The Modern Prometheus → la figura di Prometeo del sottotitolo richiama il Titano, emblema di ribellione, che rubò il
fuoco agli dei per darlo agli uomini. Prometeo è anche colui che, in nome della conoscenza, plasma l’uomo con
creta e gli infonde la vita con il suo soffio.

La conclusione → il mostro alla fine si perde nell’oscurità e nelle tenebre dove il romanzo era cominciato, cioè nel
Circolo Polare Artico, a bordo della nave di Walton. Victor, infatti, è stato salvato da Walton e riconosce in lui la
medesima ambizione sfrenata che ha distrutto la sua esistenza e racconta la sua storia proprio per risparmiare a
Walton un destino simile. L’apparizione di Victor a Walton viene descritta in una delle sue lettere alla sorella:
appare come un uomo sofferente dallo sguardo folle. Ora è Victor inseguito dalla creatura, non più Victor che la
insegue. Walton incontra prima Victor che sta per morire, poi incontrerà la creatura che scopre che Victor è morto
e anticipa a Walton il suo suicidio. Mary Shelley mette in scena così l'incapacità della società di accettare il diverso.
Victor aveva descritto il mostro come un essere malvagio, però alla fine sembra più un figlio che si appresta a
compiere l’ultimo atto affettivo nei confronti del padre: sparisce nella desolazione artica (o forse si suicida).

Frankenstein ha una forma di narrazione particolare, a scatole cinesi, cioè intreccia 3 narrazioni una dentro l’altra
con protagonisti diversi: Walton, Victor e la creatura. Come la creatura è il prodotto di materiali diversi uniti
insieme, così il romanzo è formato con la tecnica dell’assemblage, cioè è un palinsesto di letture disparate di Mary
Shelley. Le 3 narrazioni hanno intrecciano anche luoghi diversi: l’Artico, Ginevra, l’università, il laboratorio, la
foresta e il cottage. Non si definisce, però, dove sta leggendo le lettere la sorella di Walton, Mrs Saville.
“lost in darkness and distance” è alla fine il mostro che si allontana e anche noi che percepiamo sia di essere Mrs
Saville che legge, sia di non esserlo affatto.

PASCOLI E IL VULCANO DELLA MARTINICA


Pascoli è un poeta della natura, nelle sue opere si trovano vocaboli di uno specifico repertorio zoologico e botanico
insieme a simboli e sensazioni di una dimensione quotidiana e umile.
Nella raccolta Odi e Inni del 1906 si distende una lirica maestosa che delinea il confronto tra uomo e natura. In
questa raccolta si isola un dittico, Nel carcere di Ginevra (1898), che prende spunto dalla morte di Elisabetta di
Wittelsbach uccisa dall’anarichiso Luigi Lucheni quell’anno a Ginevra. Nel componimento Pascoli tratta dell’uomo
incarcerato. Un altro componimento di Pascoli che tratta della dimensione carceraria è Il negro di Saint-Pierre
(pubblicato sul giornale d’italia nel 1902), composto dopo la notizia dell’eruzione del 1902 del Mont Pelee, la
Montagna della martinica (Antille francesi). L’eruzione aveva distrutto la capitale provocando 30 mila vittime e
lasciando solo un superstite: l’uomo di colore che, rinchiuso la sera prima in carcere per aver preso parte ad una
rissa, fu l’unico a non essere raggiunto dall’eruzione.
L’elemento che accomuna questi due componimenti è la poresenza di due carcerati al centro della storia, entrambi
sottratti alla società e sepolti vivi: da un lato Lucheni, reietto e solitario, dall’altra il nero Sylbaris, costretto a
misurarsi con l’invincibile atto della natura. Entrambi i fatti da cui Pascoli prende ispirazione per questi
componimenti sono reali e noti. Quello che Pascoli evidenzia in queste due opere è lo scontro tra vita e morte
dominato dal caso, in particolare nella vicenda del vulcano, perché se non fosse stato per l’esplosione, gli abitanti
avrebbero continuato vivere e colui che invece si è salvato sarebbe stato giustiziato con accusa di omicidio.
Nonostante la poesia ispirata dai fenomeni naturali abbia conosciuto fervore nel secondo Ottocento, nella poesia di
Pascoli i vulcani, protagonisti delle catastrofi della natura, fanno la loro comparsa piuttosto tardi, in alcuni testi di
Odi e Inni. I vulcani poi tornano nei Poemi del Risorgimento, la raccolta pubblicata postuma nel 1913. Ma la funzione
del vulcano è accessoria, per definire almeglio il quadro della natura, a parte ne Il negro di Saint-Pierre dove il
vulcano è centrale. Pascoli qui tratta la materialità concreta del vulcano nel contesto di un vocabolario del
positivismo e in una prospettiva illuministica. Nella sua cupa prigione, il nero Sylbaris, in preda agli incubu, è
attento a cogliere con angoscia i rumori che preludono all’esplosione, ma gli giungono scosse e boati che non sa
interpretare. Poi sente l’onda d’urto dell’eruzione: urla, lampi di fuoco, sussulti del terreno e la voce del vulcano,
monologo centrale in cui la Montagna, personificata, ribadisce il proprio dominio incontrastato su cose e uomini,
tutti ora travolti dalla sua furia. Il nero, che la montagna chiama “figliuolo”, si interroga sul paradosso di essere
ancora vivo, visto che, in quanto omicida, doveva essere giustiziato. Il lessico della Ginestra qui è più volte
richiamato: come Leopardi, anche Pascoli non scrive “vulcano”, ma “monte” o “montagna”. La poesia si chiude
con una condanna della fragile vanità dell’uomo, sollecitato dal vulcano ad opporsi alla potenza della natura: “O
negro, soffia sopra la mia lava!”

IL VULCANO NELLA LETTERATURA DELLE AZZORRE


Geofilosofia = impone la ricerca di una genealogia dei modelli del mondo che stabilisca che esso è in primo luogo
una serie di storie, di narrazioni, di chi lo abita o lo attraversa
Geocultura = si interroga sulle possibilità di rintracciare origine e formazione delle geografie simboliche di ogni
cultura
I luoghi diventano palinsesti di imposizioni di modelli culturali eterogenei o di forme storiche. Lo spazio diventa
uno scenario, una metáfora e uno sfondo in relazione con la cultura.
La letteratura e l’arte hanno la capacità di rappresentare in modo suggestivo le geografie personali, ponendo
ordine nel nostro modo caotico di vedere la realtà: per questo il geografo si rivolge ad esse per interpretare i nostri
rapporti con lo spazio. Le opere letterarie, infatti, non vanno lette solo come lo specchio dell’oggettività, ma anche
come archivio delle esperienze soggettive del territorio, capaci di trasmettere lo spirito e il senso del luogo. Per
questo motivo l’approccio classico di studiare il fatto geografico presente nel fatto letterario come una verifica
dell’autenticità del luogo non basta più. I luoghi, anche reali, nella riscrittura narrativa o poetica assumono, anche
per i lettori che non li hanno mai visti, un carattere e una personalità propria legata agli scritti dell’autore.

I vulcani dell’arcipelago portoghese delle Azzorre → luogo visitato da Raul Brandao* che descrive il resto del
vulcano nel suo diario di viaggio. Sin dalla fine del XIX secolo esiste nella letteratura portoghese una serie di
pratiche discorsive per mostrare la specificità identitaria delle Azzorre. Per es: nel suo romanzo novecentesco, il
cosmopolita portoghese Vitorino Nemésio pensava all’azzorriano come un “surplus” di portoghese, cioè un
portoghese all’ennesima potenza. Le Azzorre sono sempre state considerate qualcosa di estremamente diverso
rispetto al Portogallo, anche in funzione dell’autonomia dell’arcipelago che dalla tutela portoghese è passato sotto
gli USA. Le Azzorre presentano una geografia fatta di pietra lavica, terra e mare. Il vulcanismo ha segnato la
personalità di tutti gli abitanti dell’isola provocando incertezza e dubbio. L’isola ha conosciuto nel corso della
storia 34 eruzioni di tipo esplosivo ed effusivo. Molti azzorriani nel corso del tempo sono migrati verso gli USA,
Canada o Portogallo. Il vulcanismo viene associato alla religiosità diffusa degli isolani: il culto dello spirito santo
praticato da loro risalirebbe al carattere dell’isolano, spaventato dal castigo divino che lo spirito santo,
vendicativo, avrebbe esercitato sui fedeli.

*Raul Brandao (1867-1930) ha compiuto un lungo viaggio nelle Azzorre agli inizi del XX secolo da cui deriva un
diario di viaggio sul vulcanismo azzorriano. Il vulcano delle Azzorre è la presenza di un assenza, cioè presenta i
resti di ciò che è stato ma nasconde ciò che lo rende ancora vulcano. Nelle Azzorre ci sono 176 vulcani, oggi 9 di
questi sono attivi. Il paesaggio presenta laghi che occupano antichi crateri, sorgenti termali, sorgenti geotermali
sottomarine. Il paesaggio è molto diverso e produce, infatti, nei visitatori un effetto magnetico. La maestosa
montagna di Pico protegge le ricchezze geologiche.

I VULCANI DEGLI SCRITTORI RUSSI


In Russia ci sono molti vulcani, soprattutto nella penisola di Kamchatka (un territorio molto remoto). Qui c’è un
vulcano attivo enorme, molto più alto dell’Etna. Un altro vulcano in questo territorio eruttò catastroficamente nel
1956 creando un cratere di più di 1 km di diametro. Dopo questa eruzione, in russia iniziarono le osservazioni
regolari dell’attività vulcanica.
I vulcani italiani, in particolare il Vesuvio, sono molto più presenti nella letteratura russa di quanto quelli russi
nella letteratura italiana: uno dei più grandi poeti russi, Aleksandr Puskin, nomina il Vesuvio anche se non l’ha mai
visto e il pittore russo Brjullov dipinge una tela riguardo l’eruzione di Pompei. Molti viaggiatori/scrittori russi
scrivono del Vesuvio anche perché prendono parte al Grand Tour
Interessante è il vulcano “russo” in Italia: il vulcano sottomarino Vavilov nel mar Tirreno vicino a Napoli → è stato
scoperto nel 1959 da scienziati russi

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