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Cinera Antonii Gramscii

bello essere un poeta defunto funzionare come l’eco


l’eco tra le montagne sotto un astro sconosciuto
caprioleggiare di notte in un ruscello di favella gelida
calare nebbia fin dal mattino in cieche gole montane
levarsi a mezzodì verso vive sommità senza nome
e cogliere l’aria inutile dentro una valanga

discendendo nel frastuono


di frana anche la propria
nuda voce

Irina Ermakoa
da Lo specchio di bronzo
I

La tua tomba al cimitero del Testaccio


riporta “Cinera Antonii Gramscii”:
l’hanno scritto – peraltro sbagliando, corretto
sarebbe stato cineris – in latino,
il che forse dovrebbe farti onore
o forse invece sottolineare
che il tuo presente ti sentiva
– o ti voleva – già lontano
come un Lucio Anneo Seneca.
E se è questo il favore che ti offrivano
i tuoi coevi, cosa dire
della posterità, fino a tuttora
che non si trova di meglio che discutere
con l’acribia di filologi lo strano
caso di un quaderno del carcere scomparso,
mentre il tuo pensiero mormora riarso
tra la canfora delle biblioteche
ben protetto dai parassiti della carta
ma rosicchiato dalla distrazione?
E che non si riesce a non imbalsamarti
nel sarcofago della commemorazione?
Celebrare, disse Jean-Luc Godard,
è dare in ritardo l’importanza
a ciò a cui quand’era il momento
non si è dato il giusto riconoscimento:
e è proprio ciò che abbisognerebbe,
ri-conoscere quanto nelle tue parole
sotto il ghiaccio graffiato dal pennino
covava il seme dell’avvertimento.

II

È una tomba che bene si addice


alla sobrietà della tua persona:
d’altronde non risulta che il cimento
a erigerti monumenti tronitruanti
abbia ispirato molti artisti e giunte
municipali; e, d’altronde, tuona
già fin troppo il tuo esilio in patria
e sfolgora la tua solitudine
e nessun j’accuse o mea culpa
potranno diradare il temporale
e l’eco che dal tuo tempo ne risuona.
Pier Paolo Pasolini con il trench,
le mani in tasca e il volto serio,
lo sguardo intento sull’epigrafe
“Ales 1891 Roma 1937”,
si mise in posa di facciata al tumulo
immaginando alcuni versi del poema
forse, o rimuginandovi sopra
se qualcuno al momento della foto
era finito già nell’altocumulo
del contrasto tra forma e modificazione
che, come nelle nuvole, si inscena
nella genesi di un componimento.
O magari lo scatto fissò quel momento
in cui il poeta si accomiatava: “Me ne vado,
ti lascio nella sera che, benché triste,
così dolce scende per noi viventi,
con la luce cerea che al quartiere
in penombra si rapprende”1;
sulla città dei morti un cantiere
spandeva l’eco dei suoi sordi rumori.
Da quel tempo non è cambiato niente,
le tue spoglie, Nino, riposano,
le tue parole sfrigolano, molto fumo
e poco arrosto, sopra griglie sgrassate,
tra il dimenarsi delle code di paglia
di plotoncini di tardi adulatori.

III

Il camposanto che ti ospita è acattolico,


sono con te nella sua terra grassa
di ortiche e di legumi2 cristiani
allontanati a vario titolo dal seno
della Chiesa Apostolica Romana
o non cristiani affatto:
John Keats, il cui nome fu scritto
sull’acqua, e Percy Bysshe Shelley
(“un’avanguardia del socialismo”: Karl Marx)
che l’acqua strappò a una gioia pagana
e a un capriccio greco3; Jannis
Kounellis, un greco che ha schiuso
vele per l’arte, e narrato il carbone;

1
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
22
Idem.
33
Idem.
Dario Bellezza che Pasolini disse
il meglio poeta di una generazione
e che nei versi del reprobo maestro
andò a stanare la prefigurazione
della sua efferata morte; Labriola,
che tu hai ben studiato e meditato;
Gregory Corso, il tenero sporcaccione
ultimo beat, e Amelia Rosselli,
la libellula che scuoteva le ali
come una lingua dentro la sua bocca4.
Ma “acattolico” è, alla lettera, non universale:
e se la rosa primigenia non esiste
che nel nome, e il suo nome nudo è quello,
e solo quello, che noi possediamo,
e di una rosa che abbiamo toccato e odorato
ora non resta che un’assenza nel sacello
vuoto di un ricordo prima o dopo abbandonato5;
dove sei tu, ch’era prima di noi,
dove sono le nevi dell’anno?6. L’avello
e l’iscrizione col refuso, tu morto
confinato nell’umido giardino7,
un nome impresso su una pietra
che visita qualcuno per pietà,
altri per ardore, altri ancora per diporto:
questo nome negletto è l’eredità,
la rosa che in esso ormai solo risiede,
la rosa un giorno recisa che non profumerà.

IV

“Giovane già con la tua magra mano


delineavi l’ideale”, scriveva il poeta
tuo umile fratello, e poi “sento quale torto
e quale ragione tu avessi stilando
le supreme pagine nei giorni
del tuo assassinio”8. Di quelle pagine,
altri umili fratelli, misuriamo Eta,
η, la viscosità che ne frena i ritorni
così patetici e pur necessari presso noi
che col peso delle bandiere asfissiamo
il respiro che le tue parole si erano
44
Amelia Rosselli, da Serie ospedaliera.
55
“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”; Bernardo di Cluny, De contemptu mundi.
66
François Villon, Ballata delle dame di un tempo.
77
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
88
Idem.
conquistato con l’ostinazione
disperata del primo vagito del neonato.
Perché i vessilli tremano,
ancora, ma in autunni caldi di anidride
più che di passione proletaria:
l’umile, pigro sventolio delle bandiere,
le belle bandiere degli Anni Quaranta9,
è ormai una coreografia spanta nell’aria,
un paso doble tra ragioni e torti
resi al solvente di quell’indifferenza
che per te è abulia, vigliaccheria, non vita1010;
rabbrividiscono le bandiere ammainate
su vascelli imbozzati a corpi morti.

“La mano che cancella è la sola


che può scrivere il vero” diceva
Meister Eckhart; ma cosa poi vuol dire
cancellare, e cosa scrivere?
Scrivere non era forse incidere
sulla cera, e quindi acconsentire
che quanto scritto si potesse raschiar via?
E cancellare non era alzare grate
astratte davanti a uno scritto, ingabbiarlo,
ma non per ciò consegnarlo a un oblio?
(obliterare, non fare sparire).
E così, Nino, potrà sempre più il tarlo
del rogo: non ti fermò nemmeno quel P.M.
che si sentiva un po’ un domineddio
e voleva che il tuo cervello si arrestasse
per vent’anni almeno1111; ma il santino
del tuo bel volto giovane occhialuto
è finito sopra le t-shirt di chi bastasse
avesse letto non diciamo i Quaderni del,
ma perlomeno alcune Lettere dal
carcere. È come diceva Pasolini,
“noia patrizia ti è intorno (…)
tu, morto, e noi morti ugualmente,
con te, nell’umido giardino”1212, nel secolo
XXI come in quello precedente,
99
Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere.
1010
Antonio Gramsci, Gli indifferenti.
1111
“Dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare per vent’anni”, requisitoria di Michele Isgrò al ‘processone’
istruito a partire dal 1927 contro il gruppo dirigente del P.C.I..
1212
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
effigie cult(uale) e niente affatto religiosa;
è indifferente a te una plebe immemore,
a te che gli indifferenti odiavi, Nino.

VI

Forse dovrebbe prendere i Quaderni


quell’artista – per bizzarro caso, omonimo
del magistrato che voleva addormentare
la tua mente – il quale si arrogò di nominarsi
Il Cristo cancellatore1313: e porre materni
segni neri sulle tue parole, a preservare
il loro significato da un’accidia
sventagliata tra ossequio e disdegno,
spassionata da un serio rispetto
e pure da un disprezzo meditato;
e offrire loro giustizia, e la catarsi
dalle passioni diventate ideologia
che ha ridotto a slogan gli ideali.
E, perché no, esporre alla terapia
anche le Lettere per toglierle agli strali
di certa superflua commiserazione,
e riporre il libro al posto suo, negli scaffali
della grande scrittura e del pensiero
di un combattente recluso ma in azione:
sotto il depennamento la parola
non scompare bensì brulica più forte
- diceva quell’artista – non negata
ma risuscitata, ricompresa; onorata altresì
in frasi d’uomini uniti tra di loro
raccolti intorno al verbo “migliorare
se stessi” - Ma è così?1414 -.

VII

Come si usa dire? Un’immagine


vale più di mille parole: e quella foto
di Pasolini che contempla l’urna
per una volta non inficia il luogo
comune. Nel canto remoto presso
il muro che dà su Via Zabaglia

1313
L’artista è Emilio Isgrò, e Il Cristo cancellatore è una delle sue cancellature più famose, conservata al Centre
Pompidou di Parigi.
1414
Cfr. la lettera di Gramsci del 1937 al figlio Delio – n. 418, senza data, nella mia edizione delle Lettere, quella del
1965 curata da Sergio Caprioglio e Elsa Fubini per Einaudi.
il poeta è come incastrato
in un tempo indeciso: è taciturna
la sua osservazione non tanto in virtù
del fatto che è lì solo e atteggiato
per il clic; la sua è contemplazione
che in modo ineccepibile s’attaglia
al pieno senso del vocabolo;
sulla piccola arca taglia una porzione
immaginaria del cielo di bave1515
e come un augure vi rintraccia auspici.
Tra cielo e terra s’apre il templum
della struggente sua contraddizione,
“dell’essere con te e contro te;
con te nel cuore, in luce, contro
te nelle buie viscere”1616, dell’amare
il popolo per la sua allegria più che
per la sua lotta, dell’aver rimpianto
la scomparsa delle lucciole sapendo
che con esse si sarebbe diradata
dalle campagne anche un po’ di fame
e che lo spegnersi della bioluminescenza
non era probabilmente il più cattivo
tra gli effetti collaterali del progresso
(che egli chiama sviluppo, non progresso).
E poi l’altra incoerenza, il possesso,
“il più esaltante dei possessi borghesi”,
il possesso della storia che a sua volta
lo possiede e lo illumina: “Ma a che
serve la luce?”1717. Accanto a un magro cipresso,
a qualche erbetta stenta1818, la risposta
è ben nel vento che promette bufera
quando il poeta si abbandona nella sera,
s’incammina nel suo corpo snello
e lascia che s’attardi un po’ presso l’avello
la sua coscienza stordita, grata, fiera.

VIII

“Io penso che la storia ti piace

1515
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
1616
Idem.
1717
Idem.
1818
Idem.
come piaceva a me alla tua età”,
scrivevi augurandotelo a Delio,
“perché riguarda tutti gli uomini viventi,
tutti gli uomini del mondo
in quanto si uniscono tra loro
e lottano e migliorano se stessi:
non può non piacerti più
di ogni altra cosa. Ma è così?”19.
Mi domando, Nino, se anche tu
sentivi lo spossante ristoro
di possedere la storia posseduto
da essa, e illuminato: ossimoro
apparente, poiché può padroneggiare
la storia soltanto chi gli eventi
attraversa abbagliato dal baleno
che, nel presente, impreveduto
sfolgora dal passato; è un batter d’occhi,
e vederne il fantasma è già possessione,
e non chiuderli, gli occhi, è già liberazione;
è l’attimo del risveglio che consegna
ogni miraggio, ogni utopia, alla ragione.
Non poteva non piacerti, Nino, in quei dì,
stanco, ammalato (ma non sfibrato),
la storia ancora e nonostante tutto,
quando infine chiedevi al figlioletto
- con un filo di voce, sembra di sentirti – Ma è così?

IX

Ma è così? perché? Quale era


l’incertezza: se a Delio davvero
la storia piacesse più d’ogni altra scienza?
O se la storia, davvero, potesse essere guida
a ogni uomo verso una frontiera
sempre nuova, il fulminante
che riaccende ogni volta la speranza?
Non lo sapremo mai: quel Ma è così?
resta un insetto stecco ondeggiante
al refolo che s’alza con la pagina
che gira: e la tua fede nella storia
una superba farfalla aliante
nell’ánemos acceso dalle mille
e oltre altre pagine anche se chiuse.

19
Vedi nota 14.
X

Il poeta queste cose le sapeva,


lui, padrone della storia,
della stessa storia che lo possedeva:
ma salutandoti, con il cuore cosciente
di chi soltanto nella storia ha vita,
ti chiedeva “potrò mai più con pura
passione operare, se so che la nostra storia
è finita?”20. La domanda era innocente,
sine cera, o era il morso della serpe in seno,
dello scandalo di quel contraddirsi
così limpido e inafferrabile?
Quell’aggettivo, “nostra”, è forse il veleno?
Era finita la storia del marxismo,
la comune passione (impeto; e sofferenza)
finito nella trappola indecente
di un’efferata ideologia? (quando poi -ismo
è un suffisso di ardua accoglienza
nel pensiero di voi, eterodosso).
O a essere finita era la storia
di Pasolini e di Gramsci, l’uno espulso
per “deviazioni ideologiche” - o atti osceni -
dal partito, l’altro derelitto poiché
poco incline ad inchinarsi a dogmi?
Oppure, ancora, quella dell’impulso
a trovare l’anelata congiunzione
tra l’intellettuale e il popolo, per via
di sentimento, o per via di ragione,
di orale, magica esperienza21 o di riscatto
del sangue che irrora la nazione?
Ma che sia sgranando il rosario
di una poesia in forma di rosa22,
o che sia segando le sbarre
della prigione dei pregiudizi,
non ci sarà un addio alla storia
né la storia ci dirà addio
o perderà l’inconscia memoria
di custodire da sempre un sogno
a cui non manca che una coscienza,
il sogno di, non ancora sognata, una cosa23.
20
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
21
Pier Paolo Pasolini, Il canto popolare.
22
Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa.
23
“La riforma della coscienza consiste soltanto nel fatto che l’uomo lascia che il mondo divenga la sua coscienza
interna, che l’uomo si risvegli dal sonno su se stesso (…) Si vedrà allora che da tempo il mondo possiede il sogno di
XI

E qual è il saluto di altri ospiti,


dei tanti ospiti a cui dà accoglienza
il cippo sito in zona terza, prima fila
del Cimitero degli Inglesi?24
Un saluto laico, vorrebbe coerenza:
ma a ben vedere il profano si defila
dall’aioletta che cinge la lapide
e l’urna, bandito da una mitopoiesi
che fa di te una specie di centauro
a metà fra martire e pop star;
e qualcuno tra chi ti viene a trovare
non resiste al capriccio di affidare
il proprio ex voto, come gli innamorati
appendono lucchetti a Ponte Milvio.
Impallidisce lo “straccetto rosso,
come quello arrotolato al collo
dei partigiani”25 al confronto di sciarpe,
occhiali, pietre di fiume con su scritto
“Grazie Gramsci”, “Meno male
che ci sei stato tu”, “Odio gli indifferenti”;
ma lo sguardo del viandante è trafitto
più che da questi candidi cimeli
dalle tessere di PCI e CGIL
abbandonate come inconvenienti,
laminette di un antico rituale.
Un’anima pia raccoglie le reliquie
per custodirle in Fondazione.26
Altri piccoli omaggi, sopra il culmine
della stele, comuni sassolini,
non vengono rimossi; preghiere
forse, queste, e laiche e religiose,
domande silenziose di giustizia
una cosa, del quale gli manca solo di possedere la coscienza per possederla veramente”; Karl Marx, lettera a Arnold
Ruge, settembre 1843. Pasolini, colpito dalla frase, intitolò Il sogno di una cosa il suo primo romanzo, pubblicato nel
1962.
24
Insieme a “Cimitero dei Protestanti” e “Cimitero degli Artisti e dei Poeti” è un appellativo del Cimitero Acattolico di
Testaccio in Roma. “Zona terza, prima fila” sono le coordinate della tomba n. 1014, quella di Gramsci.
25
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
26
È quanto racconta una collaboratrice della Fondazione Gramsci, Erminia Gianfelice, nel documentario a cura di
David Riondino e Paolo Brogi Le pietre di Gramsci, realizzato da Giano Produzioni con il supporto della Regione
Lazio, del quale non sono riuscito a reperire la data di edizione, che maldestramente nemmeno la casa produttrice indica
sul proprio sito (poiché nel film emerge la questione del presunto quaderno del carcere scomparso – cfr. blocco di versi
I – che ha avuto un focus nel 2013 in virtù della pubblicazione del libro L’enigma del quaderno. La caccia ai
manoscritti dopo la morte di Gramsci (Roma, Donzelli) di Franco Lo Piparo – ospite del film – si potrebbe dedurre che
in quell’anno sia uscito il mediometraggio).
per il tuo assassinio sotto il fulmine
lento e opaco del fascismo27.

XII

“Grige pietre, corte e imponenti”28


chiama il poeta le colonne
sepolcrali che ti stanno attorno
con le loro iscrizioni adempienti
a celebrare morti con i quali,
a loro estraneo, morto disadorno29,
spartisci la quiete degli Elisî.
Pietre e sassi sono la tua dimora
ora, e il tuo paesaggio: ma i tuoi stessi natali,
e la tua infanzia e la tua giovinezza
hanno abitato pietre e sassi;
e c’è chi pensa che ciò t’abbia insegnato
una preziosa forma di pazienza,
quella che tu ne avevi kentus domus
e prus30, quella che nulla ha a che spartire
col confidare in una provvidenza
e men che meno con il sopportare
qualche tipo di noia come un male
non scansabile, se non necessario.
La tua era la pazienza ancestrale
propria dei sassi e delle pietre
lavorati da secoli e intemperie,
consumati: erosi eppur compiuti,
nuraghi diroccati i cui ruderi
non sono tracce del tempo trascorso
su di loro, bensì del loro attraversare
il tempo: rovine forse, certo non macerie.

XIII

Il poeta dice di un “autunnale


maggio” che “spande una mortale pace,
disamorata come i nostri destini,

27
Michele Pistillo, Gramsci in carcere. Le difficili verità d’un lento assassinio, Roma-Bari-Manduria, Piero Lacaita
Editore, 2001.
28
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
29
Idem.
30
Ovvero “cento case e più”; Antonio Gramsci, lettera dal carcere alla madre, 26 febbraio 1927.
tra le vecchie muraglie”31;
la vestale dei tuoi ricordini
confessa che presso la tomba
trova una pace che non trova altrove.
La pace, checché si pretenda
dall’esile parola, pare incomba
come un angelo astuto32 sul silenzio
che al camposanto ti è dovuto.
Ma se la tua cenere instaura tale tregua
è bene ricordare che anche i morti
non sono al sicuro dal nemico,
se egli vince, e che non basta morire
e che i defunti hanno un tempo ulteriore
in cui, benché inconsapevoli, soffrire33.
E quale sarebbe, Nino, il tuo nemico?
Quello che ha vinto ha più o meno un nome
e gesta enumerate, benché il computo
non torni ancora esatto; ve n’è un altro
che continua a vincere, e a umiliarti
e il suo nome è in verità un’anagrafe,
un ventaglio che s’agita tra l’adulazione
e la calunnia, ravvedimento scaltro
e schiaffi in faccia al senso del pudore:
così tu sei stato o un sommo italiano
o più o meno uno scribacchino stalinista34.
Tuo nemico è anche chi non può dir altro
che “Gramsci, bè, è uno che è esistito
e ha avuto qualcosa pur da dire”,
o chi, se un dito indica la luna
fosse pure solo il quarto di Paul Sartre35,
“È da Gramsci che dobbiamo ripartire”
sbraita, il che è come confessare
di non essere, da Gramsci, mai partito.

XIV

Dalla clinica dove sei stato detenuto


gli ultimi anni, due, della tua vita
a chi ha proposto di apporre una targa –

31
Pier Paolo Pasolini, Le ceneri di Gramsci.
32
Angelo astuto è il titolo di un’installazione di Ettore Spalletti datata 2003.
33
Ho qui messo insieme il Walter Benjamin della sesta delle Tesi di filosofia della storia e il Vincenzo Cardarelli della
lirica Non basta morire.
34
I due riferimenti sono quelli ai quali si ricorre di norma per contrassegnare la polarizzazione dei giudizi su Gramsci, il
primo dovuto a Palmiro Togliatti, il secondo a A. L. Buick.
35
Jean-Paul Sartre, L’essere e il nulla.
“Qui Antonio Gramsci” e via dicendo –
hanno risposto “C’è un busillis,
si rischierebbe di creare un precedente
e non potremmo appendere un’insegna
per ogni persona illustre transitata
tra queste mura in veste di paziente”.
Allora, irritati dai cavilli,
si sono mossi il sindaco e un ministro,
si sono raccolte firme, qualcheduno
ha lanciato la sua alternativa:
incastonare al marciapiedi esterno
al nosocomio una pietra d’inciampo.
Occhi su un muro o sul selciato,
casomai una lacrima furtiva,
grappoli di alibi pronti a essere colti
nel pigro inverno della storia;
l’uva gradita dai guardiani di memoria36.

XV

Il poeta delle ceneri morì


assassinato da qualcuno o da
qualcosa ancor di più
il 2 novembre del ’75 (L'è el dì di Mort...
alegher!37: Moravia all’orazione
funebre disse che poeti
non ce ne sono tanti,
tre quattro dentro un secolo
e Pasolini era uno di questi,
uno di quelli galleggianti
come naufraghi aggrappati a una tavola
per non annegare, e poi un giorno
esposti in musei come relitti
da compatire o altrimenti incensare.
Un’edizione di quel libro, Il poeta
delle ceneri appunto, ha in copertina
una foto che ritrae Pasolini
davanti alla sua Torre di Chia
sorridente, con un dito alzato
a scacciare qualcuno o a indicare
un futuro che in serena angoscia
36
Valentina Pisanty, I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe (Milano, Bompiani, 2020), è un libro
che analizza, per quanto riguarda lo specifico della Shoah, la scarsa efficacia, se non talvolta addirittura la disutilità,
delle attività commemorative e del potenziale monopolio sul loro controllo da parte di garanti più o meno
istituzionalizzati, i “guardiani della memoria” del titolo.
37
Delio Tessa.
per sé aveva già preventivato38.
Lo stesso tuo futuro, Nino, un tempo
in cui chi ha avuto in vita la sorte dell’esilio
anche morto, nemo profeta in patria,
il lauro in capo, soffice corona
di spine, resta alfine un esiliato.

XVI

Jannis Kounellis in quello stesso anno,


in maggio, da Lucio Amelio a Napoli,
espose un suo capolavoro,
Tragedia civile: un attaccapanni
con appesi un cappello e un cappotto
su una parete oro bizantino
illuminati da una lampada a petrolio
(mentre il poeta nel suo buen retiro
scriveva la sua summa, ossia Petrolio … ).
Nel fuoco di piombo di quegli anni
qualcuno pensò che gli indumenti
abbandonati fossero allegoria
di una coscienza civile messa in fuga;
per altri piuttosto era la dipartita
dell’eroe civilizzatore alla Prometeo.
Ma come non pensare al poeta, alla sua vita
troncata, al corpo sfracellato
di un novello Orfeo che non cantava,
non metteva al servizio, la poesia,
dei benpensanti, infervorato
dal buio e dal dolore tormentava
la loro coscienza immemore e sguaiata.
Proprio come te, Nino, su una via
crucis di formelle modellate
nella creta dell’ortodossia
col popolo delle scimmie39 ad insultarvi
chi per il cinema, il teatro, la poesia,
chi per il sogno di una futura umanità;
entrambi per la libertà e il coraggio.
E ora che non resta altro che voce,
tenace voce delle vostre parole
che pochi si danno pena di ascoltare,
si eviti almeno di accasciarsi

38
L’edizione è Milano, Garzanti, 2023.
39
Antonio Gramsci, “Il popolo delle scimmie”, in L’ordine nuovo, 12 giugno 1921.
nell’aria impura che non è di maggio40
sulle ossa di Pier Paolo Pasolini,
sulle ceneri di Antonio Gramsci

40
Cfr. l’incipit di Le ceneri di Gramsci.

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