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Descrizione:
"Un giorno il mio amico Carlos Frias, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frias insisté, dicendo: Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo. Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero El hacedor". Così Borges racconta la genesi di questo libro, uno zibaldone con 23 brani in prosa composti fra il '34 e il '59 e 31 poesie, per lo più recenti.
"Un giorno il mio amico Carlos Frias, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frias insisté, dicendo: Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo. Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero El hacedor". Così Borges racconta la genesi di questo libro, uno zibaldone con 23 brani in prosa composti fra il '34 e il '59 e 31 poesie, per lo più recenti.
"Un giorno il mio amico Carlos Frias, di Emecé, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Frias insisté, dicendo: Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si dà la pena di cercarlo. Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero El hacedor". Così Borges racconta la genesi di questo libro, uno zibaldone con 23 brani in prosa composti fra il '34 e il '59 e 31 poesie, per lo più recenti.
EDIZIONE CON TESTO A FRONTE a cura di Tommaso Scarano BIBLIOTECA ADELPHI 382 EDIZIONI INDICE (Per la ricerca dei titoli e Altri dati dellopera utilizzare la funzione trova dal menu Modifica es. trova altri dati oppure trova pag...n)
Nota su copertina del libro Un giorno il mio amico Carlos Fras, di Emec, mi chiese un nuovo libro per la serie della mia cosiddetta opera completa. Risposi che non avevo nulla da dargli, ma Fras insistette, dicendo: "Ogni scrittore ha un libro da qualche parte, se soltanto si d la pena di cercarlo". Una domenica oziosa, frugando nei cassetti di casa, scovai delle poesie sparse e dei brani di prosa ... Questi frammenti, scelti e ordinati e pubblicati nel 1960, divennero L'artefice. Cos, con somma sprezzatura, Borges racconta la genesi di quello che forse il libro pi ricco e personale della sua maturit, quello in cui la sua scrittura raggiunge una misura e una classicit destinate a rimanere insuperate: Borges l'Ulisse che, stanco di prodigi,/pianse d'amore quando scorse Itaca/umile e verde, poich l'arte questa Itaca/di verde eternit, non di prodigi. Compongono questa sorta di raccogliticcio e disordinato zibaldone 24 brani in prosa composti fra il 1934 e il 1959 (abbozzi e parabole piuttosto che poemi in prosa) e 29 poesie, per lo pi recenti, che documentano, a distanza di quasi un trentennio dalla pubblicazione del Quaderno San Martn e dopo la grande stagione narrativa degli anni Quaranta e Cinquanta, il secondo - e magistrale - esordio del Borges poeta. Qui il lettore trover alcuni degli scritti che meglio realizzano quel pensativo sentir che costitu il suo ideale poetico: pochi testi come L'artefice, Parabola del palazzo, Borges e io (sul versante della prosa) e Gli specchi, Scacchi, Poesia dei doni, Arte poetica, La luna (sul versante della poesia) esprimono altrettanto felicemente il sentimento borgesiano dell'esistenza, il suo continuo interrogarsi sul mistero dell' identit, della realt, del tempo e, naturalmente, sull'essenza della parola e della letteratura. Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l' immagine del suo volto .
INDICE A Leopoldo Lugones pag.11 A LEOPOLDO LUGONES EI hacedor pag.15 L'ARTEFICE Dreamtigers pag.20 DREAMTIGERS Dilogo sobre un dialogo pag.22 DIALOGO SU DI UN DIALOGO Las uas pag.25 LE UNGHIE Los espejos velados pag.27 GLI SPECCHI VELATI Argumentllm ornithologicum pag.31 ARGUMENTUM ORNITHOLOGICUM EI cautivo pag.33 IL PRIGIONIERO EI simulacro pag.37 IL SIMULACRO Delia Elena San Marco pag.41 DELIA ELENA SAN MARCO Dialogo de muertos pag.45 DIALOGO DI MORTI La trama pag.51 LA TRAMA Un problema pag.53 UN PROBLEMA Una rosa amarilla pag.57 UNA ROSA GIALLA El testigo pag.61 IL TESTIMONE Martin Fiero pag.65 MARTIN FIERO Mutaciones pag.69 MUTAZIONI Parabola de Cervantes y de Quijote pag.71 PARABOLA DI CERVANTES E DON CHISCIOTTE Paradiso, XXXI, 108 pag.73 PARADISO, XXXI, 108 Parbola del palacio pag.77 PARABOLA DEL PALAZZO Everything and nothing pag.81 EVERYTHING AND NOTHING Ragnark pag.85 RAGNARK Inferno, I, 32 pag.89 INFERNO, I, 32 Borges y yo pag.93 BORGES E IO Poema de los dones pag.97 POESIA DEI DONI El reloj de arena pag.101 L'OROLOGIO A SABBIA Ajedrez pag.105 SCACCHI Los espejos pag.109 GLI SPECCHI Elvira de Alvear pag.113 ELVIRA DE ALVEAR Susana Soca pag.115 SUSANA SOCA La luna pag.117 LA LUNA La lluvia pag.125 LA PIOGGIA A la efigie de un capitn de los ejrcito de Cromwell pag.127 ALL' EFFIGIE DI UN CAPITANO DEGLI ESERCITI DI CROMWELL A un viejo poeta pag.129 A UN VECCHIO POETA El otro tigre pag.131 L'ALTRA TIGRE Blind Pew pag.135 BLIND PEW Alusin a una sombra de mil ochocientos noventa y tantos pag.137 ALLUSIONE A UN'OMBRA DEL MILLEOTTOCENTONOVANTA E ROTTI Alusin a la muerte del coronel Francisco Borges (1833-1874) pag.139 ALLUSIONE ALLA MORTE DEL COLONNELLO FRANCISCO BORGES (1833-1874) In memoriam A.R. pag.141 IN MEMORIAM A.R. Los Borges pag.147 I BORGES A Luis de Camoens pag.149 A LUIS DE CAMOENS Mil novecientos veintitantos pag.151 MILLENOVECENTOVENTI E ROTTI Oda compuesta en 1960 pag.153 ODE COMPOSTA NEL 1960 Ariosto y los rabes pag.157 ARIOSTO E GLI ARABI Al iniciar el estudio de la gramtica anglosajona pag.165 INIZIANDO LO STUDIO DELLA GRAMMATICA ANGLOSASSONE Lucas, 23 pag.169 LUCA, 23 Adrogu pag.173 ADROGU Arte potica pag.177 ARTE POETICA Museo pag.181 MUSEO Del rigor en la ciencia pag.181 DEL RIGORE NELLA SCIENZA Cuarteta pag.183 QUARTINA Lmites pag.185 LIMITI EI poeta declara su nombrada pag.187 IL POETA DICHIARA LA SUA FAMA El enemigo generoso pag.189 IL NEMICO GENEROSO Le regret d' Hraclite pag.191 LE REGRET D' HRACLITE In memonam J.F.K.. pag.193 IN MEMONAM J.F.K.. Epilogo pag.195 EPILOGO pag.199 NOTA AL TESTO pag.205 ULISSE A ITACA di Tommaso Scarano pag.221 BIBLIOTECA ADELPHI
pag.11 A LEOPOLDO LUGONES Mi lascio alle spalle i rumori della piazza ed entro nella Biblioteca. Avverto, in modo quasi fisico, la gravitazione dei libri, l'ambito sereno di un ordine, il tempo magicamente disseccato e conservato. A sinistra e a destra, assorti nel loro lucido sogno, si stagliano i volti momentanei dei lettori, alla luce delle lampade studiose, come nell' ipallage di Milton. Ricordo di avere gi ricordato questa figura, in questo stesso luogo, e poi quell'altro epiteto che definisce anch'esso tramite il contorno, l' arido cammello del Lunario, e poi ancora quell'esametro dell'Eneide che impiega e supera il medesimo artificio: Ibant obscuri sola sub nocte per umbram. Queste riflessioni mi conducono alla porta del suo studio. Entro, scambiamo alcune convenzionali e cordiali parole e le do questo libro. Se non m' inganno, lei non mi disprezzava, Lugones, e le sarebbe piaciuto che un mio lavoro le piacesse. Ci non mai accaduto, ma adesso lei sfoglia le pagine e legge con approvazione qualche verso, forse perch vi riconosce la sua stessa voce, forse perch la pratica imperfetta le importa meno della sana teoria. A questo punto il mio sogno svanisce, come acqua nell'acqua. La vasta Biblioteca che mi circonda si trova in calle Mxico, non in calle Rodrguez Pea, e lei, Lugones, si suicidato agli inizi del '38. La mia vanit e la mia nostalgia hanno dato vita a una scena impossibile. Certo (mi dico), ma domani sar morto anch' io e i nostri tempi si confonderanno e la cronolo- gia si perder in un mondo di simboli e in qualche modo sar giusto affermare che io le ho portato questo libro e che lei lo ha accettato. J.L.B. Buenos Aires, 9 agosto 1960
pag.15 L' ARTEFICE Non aveva mai indugiato nei piaceri della memoria. le impressioni scivolavano su di lui, momentanee e vivide; il carminio di un vasaio, la volta celeste cari ca di stelle che erano anche di, la luna, dalla quale era caduto un leone, la politezza del marmo sotto i lenti polpastrelli sensibili, il sapore della carne di cinghiale, che gli piaceva addentare a morsi bianchi e secchi, una parola fenicia, l'ombra nera di una lancia sulla sabbia gialla, la vicinanza del mare o delle donne, il vino denso la cui asprezza mitigava il miele potevano riempirgli totalmente l'anima. Conosceva il terrore, ma anche la collera e il coraggio, e una volta fu il primo a scalare un muro nemico. Avido, curioso, imprevedibile, senz'altra legge che il piacere e l' indifferenza del momento, and per la diversa terra e contempl, su questa o quella sponda del mare, le citt degli uomini e i palazzi. Nei mercati affollati o ai piedi di una montagna dalla vetta incerta, sulla quale ben potevano abitare satiri, aveva ascoltato complicate storie. che aveva accettato come accettava la realt, senza indagare se fossero vere o false. A poco a poco il bell' universo lo abbandon; un'ostinata nebbia gli cancell le linee della mano, la notte si spopol di stelle, la terra era insicura sotto i suoi piedi. pag.17 Tutto si allontanava e confondeva. Quando si accorse che stava diventando cieco, grido; il pudore degli stoici non era stato ancora inventato ed Ettore poteva fuggire senza disonore. Non vedr pi (senti) n il cielo colmo di paura mitologica n questo volto che gli anni muteranno. Giorni e notti trascorsero su quella disperazione della sua carne, ma una mattina si sveglio), osserv (ormai senza stupore) le cose indistinte che gli stavano intorno e inspiegabilmente sent, come chi riconosce una musica o una voce, che tutto questo gli era gi successo e che lo aveva affrontato con timore, ma anche con gioia, speranza e curiosit. Allora discese nella sua memoria, che gli parve interminabile, e da quella vertigine riusc ad estrarre il ricordo perduto che brill come una moneta sotto la pioggia, forse perch non lo aveva mai osservato, tranne forse in un sogno. Il ricordo era questo. Un altro ragazzo l'aveva insultato e lui era andato da suo padre e gli aveva raccontato l'accaduto. Questi lo aveva lasciato parlare come se non ascoltasse o non capisse e aveva staccato dalla parete un pugnale di bronzo bello e colmo di potere, che il bambino aveva bramato furtivamente. Ora L'aveva tra le mani e la sorpresa di possederlo aveva annullato l' ingiuria patita, ma la voce del padre gli diceva:<< Che qualcuno sappia che sei un uomo , e nella voce c'era un ordine. La notte accecava le strade; stretto al pugnale, nel quale avvertiva una forza magica, scese per la ripida scarpata che circondava la casa e corse alla riva del mare, sognando d'essere Aiace o Perseo e popolando di ferite e di battaglie l'oscurit salmastra. Quel che cercava adesso era il sapore preciso di quel momento; il resto non gli importava: gli insulti della sfida, lo scontro impacciato, il ritorno con la lama in- sanguinata. Un altro ricordo, nel quale c'era ancora una notte e un' imminenza d'avventura, scatur da quello. Una donna, la prima che gli offrirono gli di, l' aveva atteso nell'ombra di un ipogeo, e lui l'aveva cercata per gallerie simili a reti di pietra e per declivi che affondavano pag.19 nell'ombra. Perch gli tornavano quei ricordi e perch gli tornavano senza amarezza, come mera prefigurazione del presente? Con grave stupore comprese. In questa notte dei suoi occhi mortali, nella quale adesso discendeva, ancora una volta l'attendevano l'amore e il rischio, Ares e Afrodite, perch gi presagiva (perch gi lo avvolgeva) un rumore di gloria e di esametri, un rumore di uomini che difendono un tempio che gli di non salveranno e di vascelli neri che vanno per i mari in cerca di un' isola amata, il rumore delle Odissee e delle Iliadi che era suo destino cantare e lasciare concavemente risonanti nella memoria umana. Sappiamo queste cose, ma non quelle che sent quando discese nell' ultima ombra.
pag.21 DREAMTIGERS Nell' infanzia ho esercitato con fervore l'adorazione della tigre: non la tigre maculata degli isolotti del Paran e della confusione amazzonica, ma la tigre striata, asiatica, reale, che solo gli uomini guerrieri possono affrontare, dall'alto di una torre sopra un elefante. Spesso mi attardavo senza fine davanti a una delle gabbie dello zoo, amavo le vaste enciclopedie e i libri di storia naturale, per lo splendore delle loro tigri. (Mi ricordo ancora di quelle illustrazioni: io che non riesco a ricordare senza errore la fronte o il sorriso di una donna). Pass l' infanzia, svanirono le tigri e la mia passione, ma esse stanno ancora nei miei sogni. In quello strato sommerso o caotico continuano a imporsi, e in questo modo: una volta addormentato, mi distrae un sogno qualsiasi e a un tratto so che un sogno. Allora penso: questo un sogno, un puro svago della mia volont, e poich ho un potere illimitato produrr una tigre. Oh, imperizia! I miei sogni non sono mai capaci di generare l'agognata fiera. La tigre appare, s, ma smunta o svigorita, o con impure variazioni dell'aspetto, o di misura inaccettabile, o fugace, o con qualcosa di cane o di uccello.
pag.23 DIALOGO SOPRA UN DIALOGO A Intenti a discutere dell' immortalit, avevamo lasciato che annottasse senza accendere la lampada. Non distinguevamo i nostri volti. Con una indifferenza e una dolcezza pi convincenti del fervore, la voce di Macedonio Fernndez ripeteva che l' anima immortale. Mi assicurava che la morte del corpo assolutamente insignificante e che morire dev'essere l'vento pi trascurabile che pu accadere a un uomo. Io giocavo col coltello di Macedonio; lo aprivo e lo chiudevo. Una fisarmonica vicina diffondeva all' infinito La Cumparsita, quella sciocchezza tristanzuola che piace a molti, perch gli hanno fatto credere che e antica... Proposi a Macedonio di suicidarci, per poter discutere senza essere disturbati. Z (scherzoso) Penso che alla fine non lo abbiate fatto . A (ormai in piena mistica) Francamente non ricordo se quella notte ci siamo suicidati . pag.25 LE UNGHIE Docili calze le accarezzano di giorno e scarpe di cuoio inchiodate le fortificano, ma le dita del mio piede non vogliono saperlo. A loro non importa altro che emettere unghie: lamine cornee, semitrasparenti ed elastiche, per difendersi - da chi? Stupide e diffidenti come nessuno, non smettono neanche un attimo di apprestare quel tenue armamento. Rifiutano universo ed estasi per elaborare senza fine vane punte, che brusche sforbiciate di Solingen scorciano e tornano a scorciare. Dopo novanta giorni crepuscolari di carcere prenatale diedero vita a quest' unica industria. Quando sar conservato nel cimitero della Recoleta, in una dimora color cenere adorna di fiori secchi e talismani, continueranno il loro ostinato lavorio, finch non le moderi la corruzione. Loro, e la barba sul mio viso.
pag.21 GLI SPECCHI VELATI L'Islam afferma che il giorno inappellabile del Giudizio ogni esecutore dell' immagine di una cosa vivente resusciter con le sue opere, e gli sar ordinato di animarle, e fallir, e sar con esse consegnato al fuoco del castigo. Ho conosciuto da bambino questo orrore della duplicazione o moltiplicazione spettrale della realt, ma davanti ai grandi specchi. La loro infallibile e continua attivit, la loro persecuzione dei miei atti, la loro pantomima cosmica erano allora qualcosa di soprannaturale fin dal calare della notte. Una delle mie ricorrenti preghiere a Dio e al mio angelo custode era di non sognare specchi. So che li sorvegliavo con inquietudine. Ho temuto a volte che cominciassero a divergere dalla realt altre volte di scorgervi Il mio viso sfigurato da strane avversit. Ho appreso che quel timore seguita, prodigiosamente, a essere nel mondo. La storia molto semplice, e sgradevole. Verso il 1927 conobbi una ragazza malinconica: prima per telefono ( perch Julia fu all' inizio una voce senza nome n volto), poi all'angolo di una strada, un tardo pomeriggio. Aveva occhi talmente grandi che intimorivano, capelli corvini e lisci, un corpo minuto. Era nipote e pronipote di federali, come io lo sono di unitari, e quell' antica discordia del nostro pag.29 sangue era per noi un vincolo, un pi profondo possesso della patria. Viveva con i genitori in un decrepito casone dai soffitti altissimi, nel risentimento e nella insipidezza della povert decorosa. Di pomeriggio - raramente la sera - uscivamo a passeggiare per il suo quartiere, Balvanera. Costeggiavamo il muro della ferrovia; percorrendo calle Sarmiento raggiungemmo una volta le spianate del Parque Centenario. Fra noi non ci fu amore n finzione d'amore; avvertivo in lei un' intensit del tutto estranea a quella erotica, e la temevo. comune riferire alle donne, per stabilire una certa intimit, aspetti veri o apocrifi della nostra infanzia; in qualche occasione dovetti raccontarle degli specchi e cos, nel 1928, descrissi un'allucinazione che sarebbe fiorita nel 1931. Ho appena saputo che impazzita e che nella sua camera gli specchi sono velati perch vi scorge il mio riflesso, che usurpa il suo, e trema e tace e dice che la perseguito magicamente. Funesta schiavit quella del mio volto, quella di uno dei miei volti antichi. Quest'odioso destino delle mie fattezze deve rendere odioso anche me, ma ormai non me ne importa.
pag.31 ARGUMENTUM ORNITHOLOGICUM Chiudo gli occhi e vedo uno stormo di uccelli. La visione dura un secondo o forse meno; non so quanti uccelli ho visto. Era definito o indefinito il loro numero? Il problema implica quello dell'esistenza di Dio. Se Dio esiste, quel numero e definito, perch Dio sa quanti uccelli ho visto. Se Dio non esiste, quel numero indefinito, perch nessuno ha potuto contarli. In questo caso, ho visto meno di dieci uccelli (diciamo) e pi di uno, ma non nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre o due uccelli. Ne ho visti un numero fra dieci e uno, un numero che non nove, n otto, n sette, n sei. n cinque, eccetera. Questo numero intero inconcepibile; ergo, Dio esiste.
pag.33 IL PRIGIONIERO Raccontano la storia a Junn o a Tapalqun. Un bambino scomparve dopo una scorreria; si disse che lo avevano rapito gli indios. I genitori lo cercarono invano; anni dopo, un soldato che veniva dall'entroterra rifer di un indio dagli occhi celesti che poteva essere proprio il loro figlio. Alla fine lo trovarono (la cronaca ha smarrito i dettagli e io non voglio inventare ci che non so) e credettero di riconoscerlo. l' uomo, segnato dal deserto e dalla vita barbara, non intendeva pi le parole della lingua materna, ma si lasci condurre, indifferente e docile, fino alla casa. L si ferm, forse perch anche gli altri si erano fermati. Guard la porta, come se non capisse cosa fosse. Di colpo abbass la testa, grid, attravers di corsa I'androne e i due ampi cortili ed entr nella cucina. Senza esitare, infil il braccio nella cappa fuliginosa del camino ed estrasse il piccolo coltello dal manico di corno che vi aveva nascosto da bambino. Gli occhi gli brillarono di gioia e i genitori piansero perch avevano ritrovato il figlio. Forse a questo seguirono altri ricordi, ma l'Indo non poteva vivere fra quattro mura e un giorno se ne and a cercare il suo deserto. Vorrei sapere cosa sent in quell' istante di vertigine in cui passato e presente pag.33 si confusero; vorrei sapere se il figlio perduto rinacque e mor in quellestasi o se riusc a riconoscere, fossanche come un bambino o come un cane, i genitori e la casa.
pag.37 IL SIMULACRO Un giorno di luglio del 1952, l' uomo in lutto comparve in quel paesino del Chaco. Era alto, magro, coi lineamenti da indio, e un volto inespressivo da idiota o da maschera; la gente lo trattava con deferenza, non per lui, ma per quello che rappresentava o gi era. Scelse una capanna nei pressi del fiume; con l'aiuto di alcune vicine sistem un tavolato su due cavalletti e vi mise sopra una scatola di cartone con dentro una bambola dai capelli biondi. Poi accesero quattro candele su alti candelieri e tutt' intorno disposero fiori. La gente non tard ad accorrere. Vecchie sconsolate, ragazzi attoniti contadini che si toglievano con rispetto il copricapo di sughero sfilavano davanti alla scatola ripetendo: le mie pi sincere condoglianze, generale . Questi, molto compunto, li riceveva all'estremit del tavolo, con le mani incrociate sul ventre, come una donna incinta. Allungava la destra per stringere la mano che gli porgevano e rispondeva con dignit e rassegnazione: Era destino. stato fatto quanto era umanamente possibile . Una cassetta di latta riceveva l'offerta di due pesos e a molti non bast venire una volta soltanto. Che genere di uomo (mi domando) ide e mise in atto quella funebre farsa? Un fanatico uno sventurato, un visionario o un cinico impostore? Credeva forse pag.33 di essere Pern nel suo dolente ruolo di macabro vedovo? La storia, per quanto incredibile, accadde davvero e forse non una ma numerose volte, con attori diversi e con varianti locali. Essa cifra perfetta di un'epoca irreale ed come il riflesso di un sogno o come quel dramma nel dramma cui si assiste nell'Amleto. L' uomo in lutto non era Pern e la bambola bionda non era sua moglie Eva Duarte, ma nemmeno Pern era Pern n Eva era Eva bens sconosciuti o anonimi (di cui ignoriamo il nome segreto e il vero volto) che inscenarono, per il credulo amore dei sobborghi, una volgare mitologia.
pag.41 DELIA ELENA SAN MARCO Ci separammo, Delia, a uno degli angoli di plaza Once. Dal marciapiede di fronte tornai a guardare; lei si era voltata e mi stava salutando con la mano. Un fiume di veicoli e di gente scorreva tra di noi; erano le cinque di un pomeriggio qualsiasi; come potevo sapere che quel fiume era il triste Acheronte, I' invalicabile? Non ci vedemmo pi e un anno dopo lei era morta. E ora cerco quel ricordo e lo osservo e penso che era falso e che dietro quel saluto banale c' era l' infinita separazione. Ieri sera non sono uscito dopo cena e ho riletto, per comprendere queste cose, l' ultimo insegnamento che Platone mette in bocca al suo maestro. Ho letto che l'anima pu fuggire quando la carne muore. E ora non so se la verit stia nell' infausta interpretazione successiva o nell' innocente saluto. Perch se le anime non muoiono, giusto che non vi sia enfasi nel loro separarsi. Salutarsi negare la separazione, come dire: <<Oggi giochiamo a separarci ma ci rivedremo domani . Gli uomini hanno inventano il saluto perch si sanno pag.43 in qualche modo immortali, anche se si ritengono contingenti ed effimeri. Delia, un giorno riannoderemo sulla riva di qualche fiume?- questo dialogo incerto e ci domanderemo se una volta, in una citt che si perdeva in una pianura, siamo stati Borges e Delia.
pag.45 DIALOGO DI MORTI L' uomo arriv dal sud dell'Inghilterra all' alba di un giorno d' inverno del 1877. Rossiccio, atletico e obeso, fu inevitabile che quasi tutti lo credessero inglese, e davvero somigliava straordinariamente all' archetipico John Bull. Portava il cilindro e un curioso mantello di lana aperto nel mezzo. Un gruppo di uomini, di donne e di bambini lo attendeva con ansia; molti avevano la gola segnata da una riga rossa, altri non avevano testa e procedevano timorosi e incerti, come chi cammina nell'ombra. Andarono accerchiando il forestiero e, dal fondo, qualcuno grid una parolaccia, ma un terrore antico li tratteneva e non ardirono di pi. Si fece avanti un militare dalla carnagione giallognola e dagli occhi come tizzoni; i capelli arruffati e la barba scura sembravano divorargli il volto. Dieci o dodici ferite mortali gli attraversavano il corpo come le striature sulla pelle delle tigri. Quando lo vide, il forestiero si turb, ma poi gli and incontro e gli tese la mano. Che tristezza vedere un guerriero cos degno abbattuto dalle armi della perfidia! disse in tono categorico. Ma che intima soddisfazione, anche, avere ordinato che i carnefici purgassero le loro malefatte sul patibolo, nella plaza de la Victoria! . pag.47 Se allude a Santos Prez e ai Renaf, sappia che li ho gi ringraziati disse con lenta gravit l' insanguinato. L'altro lo guard come temendo una burla o una minaccia, ma Quiroga continu: lei Rosas, non mi ha capito. E come poteva capirmi, se i nostri destini furono tanto diversi? A lei tocc in sorte di comandare in una citt che guarda all' Europa e che sar tra le pi famose del mondo; a me, di combattere nei deserti d America, in una terra povera, di gauchos poveri. Il mio impero fu di lance e di grida e di arenili e di vittorie quasi segrete in luoghi sperduti. Che titoli sono questi per il ricordo? Io vivo e continuer a vivere per lunghi anni nella memoria della gente perch sono morto in una diligenza, in un posto chiamato Barranca Yaco, assassinato da uomini con cavalli e spade. Devo a lei questo dono di una morte insolita, che in quel momento non fui in grado di apprezzare, ma che le generazioni successive non hanno voluto dimenticare. Lei certo non ignora alcune eccellenti litografie e linteressante opera redatta da un uomo di talento di San Juan, Rosas, che aveva recuperato la sua sicurezza lo guard sdegnosamente. Lei un romantico sentenzi. Ladulazione dei posteri non vale pi di quella dei contemporanei, non vale niente e che si ottiene con qualche medaglietta . Conosco il suo modo di pensare rispose Quiroga. Nel 1852 il destino, che generoso o che voleva metterla alla prova, le offr una morte da uomo, in battaglia. Lei si rivel indegno di quel dono, perch lo scontro e il sangue le fecero paura . Paura? ripet Rosas. Paura io, che ho domato puledri nel Sud e poi un intero paese? . Per la prima volta, Quiroga sorrise. So bene disse con lentezza - che lei ha compiuto pi di una prodezza a cavallo, stando alle imparziali testimonianze dei suoi capoccia e dei suoi contadini; pag.49 ma in quei gior ni, in Amer ica e sempre a cavallo si compivano altre prodezze che si chiamano Chacabuco e Junn e Palma Redonda e Caseros Rosas lo ascolt senza scomporsi e replic: Io non ho avuto bisogno di essere coraggioso. Una delle mie prodezze, come dice lei, fu di ottene re che uomini pi coraggiosi di me combattessero e mor issero per me. Santos Prez ad esempio, che la uccise. I l coraggio quest ione di resistenza; alcuni resistono di pi ed altr i meno ma pr ima o poi cedono t utt i . Sar, disse Quiroga ma Io ho vissuto e sono mor to e ancora oggi non so che cosa sia la paura. E adesso aspetto) che mi cancellino, che mi diano un altr o volt o e un altro destino, perch la stor ia si stanca dei violent i. Non so chi sar l' a ltro, cosa faranno di me ma so che non avr paura . A me basta essere quello che sono disse Rosas e non voglio essere un altro . Anche le pietre vogliono essere pietre per sempre disse Quiroga e per secoli lo sono, finch si r iducono in polvere. Quando sono entrato nella morte la pensavo come lei, ma qui ho imparato molte cose. Ci faccia caso, stiamo gi cambiando tut t i e due. Ma Rosas non gli prest attenzione e disse, come pensando ad alta voce: Sar che non mi sono ancona abit uato a esser morto, ma quest i luoghi e questa discussione mi sembrano un sogno, e non un sogno sognato da me ma da un altro, che ancora deve nascere . Non parlarono pi, perch in quel momento Qual cuno li chiam.
pag.51 LA TRAMA Perch il suo orrore sia perfetto, Cesare, incalzato ai piedi di una statua dagl' impazienti pugnali dei suoi amici, scopre fra i volti e le lame quello di Marco Giunio Bruto, il suo protetto, forse suo figlio, e non si difende pi ed esclama: Anche tu, figlio mio! . Shakespeare e Quevedo raccolgono il patetico grido. Al destino piacciono le ripetizioni, le varianti, le simmetrie; diciannove secoli dopo, nel sud della provincia di Buenos Aires, un gaucho aggredito da altri gauchos e, cadendo, riconosce un suo figlioccio e gli dice con tenero rimprovero e lenta sorpresa (queste parole vanno sentite, e non lette): Ma come, tu! . Lo uccidono e non sa di morire perch si ripeta una scena.
pag.53 UN PROBLEMA Immaginiamo che a Toledo si scopra un testo arabo e che i paleografi lo dichiarino autografo di quel Cide Hamete Benengeli da cui Cervantes trasse il Don Chisciotte. Nel testo leggiamo che l'eroe (che percorreva, come fama, le strade di Spagna armato di spada e di lancia e sfidava chiunque per qualsiasi motivo) scopre, al termine di uno dei suoi numerosi combattimenti, di avere ucciso un uomo. A questo punto il frammento si interrompe; il problema indovinare, o congetturare, come reagisce don Chisciotte. A quanto mi risulta, tre sono le possibili risposte. La prima di carattere negativo; non succede niente di particolare, perch nel mondo visionario di don Chisciotte la morte non meno comune della magia e avere ucciso un uomo non pu turbare chi si batte, o crede di battersi, contro draghi o incantatori. La seconda patetica. Don Chisciotte non mai riuscito a dimenticare di essere una proiezione di Alonso Quijano, lettore di storie fantastiche; vedere la morte, rendersi conto che un sogno l' ha spinto alla colpa di Caino lo ridesta, forse per sempre, dalla sua consentita follia. La terza forse la pi verosimile. Ucciso l' uomo don Chisciotte non pu ammettere che quell'atto orrende sia opera di un delirio; la realt dell'effetto pag.55 gli fa supporre una equivalente realt della causa e don Chisciotte non uscira mai pi dalla sua follia. Resta un'ulteriore congettura, estranea al mondo spagnolo come a quello occidentale e che richiede un ambito pi antico, pi complesso e travagliato. Don Chisciotte - che ormai non pi don Chisciotte ma un re dei cicli dell'Indostan - davanti al cadavere del nemico intuisce che uccidere e generare sono atti divini o magici che notoriamente trascendono la con- dizione umana. Sa che il morto illusorio come lo sono la spada insanguinata che gli pesa nella mano e lui stesso e tutta la sua vita passata e i vasti di e l' universo.
pag.57 UNA ROSA GIALLA N quella sera n la successiva mor l' illustre Giambattista Marino, che le bocche unanimi della Fama (per usare un' immagine che gli fu cara) proclamarono il nuovo Omero e il nuovo Dante, ma il fatto immobile e silenzioso che accadde allora fu realmente l' ultimo della sua vita. Carico di anni e di gloria, l' uomo moriva in un vasto letto spagnolo dalle colonne tornite. Non difficile immaginare a qualche passo di distanza un sereno balcone che guarda a ponente e, pi in basso, marmi e allori e un giardino che duplica le sue scalinate in un'acqua rettangolare. Una donna ha messo in un vaso una rosa gialla; l' uomo mormora i versi inevitabili che ormai, per dirla con sincerit, un po' annoiano anche lui: Porpora de giardin, pompa de prati gemma di primavera, occhio d'aprile... Fu allora che accadde la rivelazione. Marino vide la rosa, come pot vederla Adamo in Paradiso, e sent che essa stava nella sua eternit e non nelle sue parole e che possiamo menzionare o alludere ma non esprimere e che gli alti e superbi volumi che in un angolo della sala creavano una penombra d'oro non erano (come la sua vanit aveva sognato) uno specchio pag.59 del mondo, ma una cosa in pi, che si aggiunge al mondo. Marino ebbe questa illuminazione alla vigilia della morte, e forse lebbero anche Omero e Dante.
pag.61 IL TESTIMONE In una stalla, quasi all'ombra della nuova chiesa di pietra, un uomo dagli occhi grigi, e dalla barba grigia, sdraiato tra il fetore delle bestie, umilmente cerca la morte come chi cerca il sonno. Il giorno, fedele a vaste leggi segrete, sposta e confonde le ombre nel povero recinto; fuori, le terre arate e una gora piena di foglie morte e qualche orma di lupo nella fanghiglia nera ai margini del bosco. L'uomo dorme e sogna, dimentico. II rintocco dell' Avemaria lo sveglia. Nei regni d' Inghilterra il suono delle campane ormai costume della sera, ma l' uomo, da bambino, ha visto il volto di Woden, l'orrore divino, e il giubilo, il rozzo idolo di legno carico di monete romane e di pesanti vesti, il sacrificio di cavalli, cani e prigionieri. Prima dell'alba morir e moriranno insieme a lui, e non torneranno, le ultime immagini dirette dei riti pagani; il mondo sar un po pi povero quando questo sssone sar morto. Fatti che popolano lo spazio e che scompaiono allorch qualcuno muore possono meravigliarci, ma una cosa, o un numero infinito di cose, muore in ogni agonia, a meno che non esista una memoria dell' universo, come hanno ipotizzato i teosofi. Nel tempo c stato un giorno che spense gli ultimi occhi che videro Cristo; pag.63 la battaglia di Junn e l'amore di Elena morirono con la morte di un uomo. Cosa morir con me quando morir, quale forma patetica o fuggevole perder il mondo? La voce di Macedonio Fernndez, l' immagine di un cavallo sauro nei campi incolti di Serrano e Charcas, una barretta di zolfo nel cassetto d' uno scrittoio di mogano?
pag.65 MARTN FIERRO Da questa citt partirono eserciti che sembravano grandi e che poi lo furono, esaltati dalla gloria. Molti anni dopo qualcuno dei soldati ritorn e, con accento forestiero, rifer storie che gli erano accadute in luoghi chiamati Ituzaing o Ayacucho. Queste cose, ora, come se non fossero state. Abbiamo avute due tirannie. Durante la prima, alcuni uomini, dalla cassetta di un carro che veniva dal mercato del Plata, annunciavano la vendita di pesche bianche e gialle; un ragazzo sollev un lembo del telo che le copriva e vide teste di unitari con la barba insanguinata. La seconda signific per molti prigione e morte; per tutti un malessere, un sapore di obbrobrio in ogni atto quotidiano, un' incessante umiliazione. Queste cose, ora, come se non fos sero mai state. Un uomo che conosceva tutte le parole osserv con minuzioso amore le piante e gli uccelli di questa terra e li defin, forse per sempre, e scrisse con metafore di metalli la vasta cronaca dei tumultuosi tramonti e delle forme della luna. Queste cose, ora, come se non fos sero mai state. Anche da noi le generazioni hanno conosciuto quelle vicissitudini ordinarie e in qualche modo eterne che costituiscono la materia dellarte. Queste cose, pag.67 ora, come se non fossero mai state, ma in una camera d'albergo, intorno al 1860, un uomo sogn una rissa. Un gaucho solleva un negro con il coltello, lo scaraventa come un sacco d'ossa, lo vede agonizzare e morire, si china per pulire la lama, scioglie il suo cavallo e vi monta con calma, perch non si pensi che sta fuggendo. Ci che accaduto una volta torna ad accadere, allinfinito; i visibili eserciti sono svaniti e resta un povero scontro al coltello; il sogno di uno parte della memoria di tutti.
pag.69 MUTAZIONI In un corridoio vidi una freccia che indicava una direzione e pensai che quel simbolo inoffensivo era stato un tempo un oggetto di ferro, un proiettile inevitabile e mortale, che si era conficcato nella carne degli uomini e dei leoni e aveva oscurato il sole alle Termopili e dato a Harald Sigurdarson, per sempre, sei piedi di terra inglese. Giorni dopo, qualcuno mi mostr la fotografia di un cavaliere magiaro; un laccio avvolgeva pi volte il petto della sua cavalcatura. Capii che il laccio, che in passato era volato nell'aria e aveva soggiogato i tori della prateria, altro non era che un fregio insolente della bardatura domenicale. Nel cimitero dell' Ovest vidi una croce runica, scolpita nel marmo rosso; i bracci erano ricurvi e si allargavano e li cingeva un cerchio. Quella croce costrett a e limitata raffigurava l'altra dai bracci liberi, che a sua volta raffigura il patibolo sul quale un dio soffr la macchina vile oltraggiata da Luciano di Samosata. Croce, laccio e freccia, antichi utensili dell' uomo, oggi ridotti o elevati a simboli; non so perch mi meravigliano, quando non c' su questa terra una sola cosa che l' oblio non cancelli o che la memoria non trasformi e quando nessuno sa in quali immagini lo muter il futuro.
pag.71 PARABOLA DI CERVANTES E DON CHISCIOTTE Stanco della sua terra di Spagna, un vecchio soldato del re cerc sollievo nelle vaste geografie di Ariosto, in quella valle della luna dove si trova il tempo che i sogni sperperano e nell' idolo dorato di Maometto che Montalbn rub. Burlandosi pacatamente di se stesso, ide un uomo credulo che, turbato dalla lettura di cose meravigliose, si mette alla ricerca di prodezze e incantamenti in luoghi prosaici che si chiamano El Toboso o Montiel. Vinto dalla realt, dalla Spagna, don Chiscotte mori nel suo villaggio natale verso il 1614. Miguel de Cervantes gli sopravvisse di poco. Per entrambi, il sognatore ed il sognato, quell intera trama rappresent la contrapposizione di due mondi: il mondo irreale dei libri di cavalleria, il mondo quotidiano e ordinario del XVII secolo. Non sospettarono che gli anni avrebbero finito per smussare la discordia, non sospettarono che la Mancha e Montiel e la smilza figura del cavaliere sarebbero stati, in futuro, non meno poetici dei viaggi di Sinbad o delle vaste geografie di Ariosto. Perch al principio della letteratura c il mito, e anche alla fine. Clinica Devoto, gennaio 1955
pag.73 PARADISO , XXXI, 108 Diodoro Siculo riferisce la storia di un dio fatto a pezzi e disperso. Chi, camminando nel crepuscolo o precisando una data del suo passato, non ha sentito a volte che era andata persa una cosa infinita? Gli uomini hanno perso un volto, un volto irrecuperabile, e tutti vorrebbero essere quel pellegrino (sognato nell' empireo, sotto la Rosa) che vede a Roma il sudario della Veronica e sussurra con fede: Ges Cristo, Dio mio, Dio vero, cos era, era dunque questo il tuo volto? . C' in una strada un volto di pietra e un' iscrizione che dice: La vera Immagine del Santo Volto del Dio di Jan ; se sapessimo realmente come fu, avremmo la chiave delle parabole e sapremmo se il figlio del falegname fu anche il Figlio di Dio. Paolo lo vide come una luce che lo annient; Giovanni come il sole che risplende in tutto il suo fulgore; Teresa di Ges, pi volte, immerso in una luce quieta, e non pot mai precisare il colore dei suoi occhi. Abbiamo perso quei tratti come si pu perdere un numero magico, formato da cifre abituali; come si perde per sempre un' immagine nel caleidoscopio. Possiamo vederli e ignorarli. Il profilo di un giudeo nella metropolitana forse quello di Cristo; le mani pag.75 che ci danno qualche moneta a uno sportello ripetono forse quelle che dei soldati, un giorno, inchiodarono alla croce. Forse un tratto del volto crocifisso scruta in ogni specchio; forse il volto morto, si cancellato, perch Dio sia tutti noi. Chiss se questa notte lo vedremo nei labirinti del sogno, senza saperlo domattina.
pag.77 PARABOLA DEL PALAZZO Quel giorno, l' Imperatore Giallo mostr il suo palazzo al poeta. Si lasciarono alle spalle, in lunga successione, le prime terrazze occidentali che, simili a gradinate di un anfiteatro immenso, declinavano verso un paradiso o giardino i cui specchi di metallo e le cui intricate siepi di ginepro gi prefiguravano il labirinto. Allegramente vi si smarrirono, dapprima come se acconsentissero a un giuoco e poi non senza inquietudine, perch i suoi diritti viali soffrivano di una curvatura lievissima ma continua ed erano segretamente circolari. Verso mezzanotte, l'osservazione dei pianeti e l'opportuno sacrificio d' una tartaruga permisero loro di liberarsi da quella regione che sembrava stregata, ma non dalla sensazione di essersi smarriti, che li accompagn sino alla fine. Anticamere e cortili e biblioteche percorsero in seguito e una sala esagonale con una clessidra, e una mattina scorsero da una torre un uomo di pietra, che poi smarrirono per sempre. Molti fiumi risplendenti at traversarono in canoe di sandalo, o molte volte un solo fiume. Sfilava il seguito imperiale e la gente si prosternava, ma un giorno giunsero in un' isola e un uomo non lo fece, perch non aveva mai visto il Figlio del Cielo, e il carnefice dovette decapitarlo. Nere capigliature e nere pag.79 danze e complicate maschere d'oro videro con indifferenza i loro occhi; la realt si confondeva con il sogno, o piuttosto, la realt era una delle confi gurazioni del sogno. Sembrava impossibile che la terra fosse altro che giardini, acque, architetture e forme di splendore. Ogni cento passi una torre fendeva il cielo; per gli occhi il loro colore era identico, ma la prima era gialla e l' ultima scarlatta, tanto delicate erano le gradazioni e lunga la sequela. Fu ai piedi della penultima torre che il poeta (che restava come estraneo agli spettacoli che erano per tutti motivo di meraviglia) recit la breve composizione che oggi vincoliamo indissolubilmente al suo nome e che, come ripetono gli storici pi raffinati, gli diede insieme l' immortalit e la morte. Il testo andato perduto; c' chi ritiene che fosse formato da un verso; altri da una sola parola. Quel che certo, e incredibile, che nel poema era contenuto intero e minuzioso limmenso palazzo, con ciascuna delle sue famose porcellane e ciascun disegno di ciascuna porcellana e le penombre e le luci dei crepuscoli e ciascun istante sventurato o felice delle gloriose dinastie di mortali, di di e di draghi che vi avevano abitato dall' interminabile passato. Tutti tacquero, ma l' Imperatore esclam: Mi hai rubato il palazzo! e la spada di ferro del carnefice falci la vita del poeta. Altri riferiscono la storia in altro modo. Nel mondo non possono esserci due cose uguali; bast (dicono) che il poeta pronunciasse il poema perch il palazzo scomparisse, come abolito e fulminato dall' ultima sillaba. Simili leggende non sono, naturalmente, che finzioni letterarie. Il poeta era schiavo dell' Imperatore e mor come tale; la sua composizione cadde nell' oblio perch meritava l' oblio e i suoi discendenti cercano ancora, e non troveranno mai, la parola dell' universo.
pag.81 EVERYTHING AND NOTHING In lui non cera nessuno; dietro il suo volto (che anche nelle infelici pitture dell' epoca non assomiglia ad altri) e dietro le sue parole, che erano abbondanti, fantastiche e agitate, non c'era che un po' di freddo, un sogno che nessuno sogna. Allinizio credette che tutte le persone fossero come lui, ma lo stupore di un compagno col quale aveva cominciato a discutere di quella vacuit gli rivel il suo errore e gli fece capire, per sempre, che un individuo non deve differire dalla specie. Una volta pens che nei libri avrebbe trovato ri- medio al suo male e cos apprese quel poco latino e quel pochissimo greco di cui avrebbe parlato un contemporaneo; poi consider che nell'esercizio di un rito elementare dell' umanit si trovava forse quel che andava cercando, e si lasci iniziare, nel corso di un lungo pome- riggio di giugno, da Anne Hathaway. Poco pi che ventenne and a Londra. Istintivamente si era gi addestrato a simulare di essere qualcuno, perch non si scoprisse la sua condizione di nessuno; a Londra trov la professione alla quale era predestinato, quella dell'attore che su un palcoscenico gioca ad essere un altro, davanti a una folla di persone che giocano a prenderlo per quell'altro. Lattivit di istrione gli fece conoscere una felicit singolare, forse la prima che prov; ma, acclamato l' ultimo verso e tolto dalla scena l' ultimo morto, pag.83 lo assaliva di nuovo l'odiato sapore della realt. Smetteva di essere Ferrex o Tamerlano e tornava a essere nessuno. Incalzato, incominci a immaginare altri eroi e altre storie tragiche. Cos, mentre il corpo compiva il suo destino di corpo, in lupanari e taverne di Londra, l'anima che lo abitava era Cesare, che non si cura dellavvertimento dell'augure, e Giulietta, che odia l'allodola, e Macbeth, che conversa nella landa con le streghe che sono anche le parche. Nes- suno fu tanti uomini come quell' uomo, che simile all'egizio Proteo pot esaurire tutte le apparenze dell'essere. A volte lasci in qualche angolo dell opera una confessione, sicuro che non lavrebbero decifrata; Riccardo afferma che nell unicit della sua persona gioca il ruolo di molti, e Iago dice con curiose parole: Non sono ci che sono . L' identit fondamentale di esistere, sognare e rappresentare gli ispir passi famosi. Seguit vent' anni in questa allucinazione controllata, ma una mattina lo assalirono il fastidio e l'orrore di essere tanti re che muoiono di spada e tanti sventurati amanti che si incontrano, si allontanano e melodiosamente agonizzano. Quello stesso giorno decise di vendere il suo teatro. In meno di una settimana era di ritorno al suo villaggio natale, dove ritrov gli alberi e il fiume della fanciullezza e non li colleg a quegli altri che la sua musa aveva celebrato, illustri di allusione mitologica e di parole latine. Bisognava che fosse qualcuno; fu un impresario in pensione che ha fatto fortuna e al quale interessano i prestiti, i litigi e la piccola usura. Come tale, dett l'arido testamento che conosciamo, dal quale escluse deliberatamente ogni tratto patetico o letterario. Solevano visitare il suo ritiro amici di Londra, ed egli riassumeva per loro il ruolo di poeta. La storia aggiunge che, prima o dopo la sua morte, seppe di essere di fronte a Dio e gli disse: Io, che tanti uomini sono stato invano, voglio essere uno e io . La voce di Dio gli rispose da un turbine: Nemmeno io sono; ho sognato il mondo come tu hai sognato la tua opera, mio Shakespeare, e tra le forme del mio sogno ceri tu, che come me sei molti e nessuno .
pag.85 RAGNARK Nei sogni (scrive Coleridge) le immagini rappresentano le impressioni che riteniamo provochino; non sentiamo orrore perch ci opprime una sfinge, sogniamo una sfinge per spiegare l'orrore che sentiamo. Se cos, come potrebbe la semplice cronaca delle sue forme trasmettere lo stupore, l'esaltazione, le paure, la minaccia e la gioia che hanno intessuto il sogno di quella notte? Tenter comunque tale cronaca; forse il fatto che quel sogno consiste di una sola scena potr annullare o mitigare l intrinseca difficolt. Il luogo era la Facolt di Lettere e Filosofia; l' ora, il pomeriggio. Tutto (come sempre accade nei sogni) era un po diverso; una leggera amplificazione alterava le cose. Stavamo eleggendo autorit; io parlavo con Pedro Henrquez Urea, che nella realt della veglia morto da molti anni. Di colpo ci stord un clamore di manifestazione o di orchestrina di ambulanti. Grida di uomini e di bestie arrivavano dai bassifondi del porto. Una voce grid: Eccoli ! , e subito dopo: Gli Di! Gli Di! . Quattro o cinque individui uscirono dalla turba e occuparono la pedana dell' Aula Magna. Tutti applaudimmo, piangendo; erano gli Di che tornavano dopo un esilio di secoli. Ingigantiti dalla pedana, la testa indietro e il petto in fuori, ricevettero pag.87 con superbia il nostro omaggio. Uno teneva un ramo, che certo si confaceva alla semplice botanica dei sogni; un altro, con ampio gesto, allungava una mano che era un artiglio; una delle facce di Giano guardava con diffidenza il curvo becco di Thoth. Forse eccitato dai nostri applausi, uno, non so pi quale, proruppe in un chiocciare vittorioso, incredibilmente aspro, un misto di gargarismo e di fischio. Le cose da quel momento, cambiarono. Tutto cominci per il sospetto (forse esagerato) che gli Di non sapessero parlare. Secoli di vita randagia e ferina avevano atrofizzato quanto avevano di umano; la luna dell' Islam e la croce di Roma erano stati implacabili con quei profughi. Fronti molto basse, dentature gialle, baffi radi da mulatto o da cinese e musi bestiali manifestavano la degenerazione della stirpe olimpica. I loro abiti non si addicevano a una povert onesta e dignitosa ma al lusso abietto delle bische e dei lupanari del porto. A un occhiello sanguinava un garofano; sotto una giacca attillata si indovinava il rigonfiamento di un pugnale. Di colpo capimmo che giocavano la loro ultima carta, che erano astuti, ignoranti e crudeli come vecchi animali da preda e che, se ci fossimo lasciati prendere dalla paura o dalla piet, ci avrebbero distrutti. Estraemmo le pesanti rivoltelle (improvvisamente ci furono rivoltelle nel sogno) e allegramente uccidemmo gli Di.
pag.89 INFERNO , I, 32 Dal crepuscolo del giorno al crepuscolo della notte, un leopardo, negli ultimi anni del XII secolo, vedeva delle tavole di legno, delle sbarre verticali di ferro, uomini e donne sempre diversi, un muro e forse un canaletto di pietra con foglie secche. Non sapeva, non poteva sapere, che agognava amore e crudelt e il caldo piacere di sbranare e il vento che sa di selvaggina, ma qualcosa in lui soffocava e si ribellava e Dio gli parl in un sogno: Vivi e morirai in questa prigione, affinch un uomo, che so io ti guardi un certo numero di volte e non ti scordi e metta la tua immagine e il tuo simbolo in un poema che occupa un posto preciso nella trama dell' universo. Patisci prigionia, ma avrai dato una parola al poema . Dio, nel sogno, illumin l' ottusit dell' animale e questi comprese le ragioni e accett quel destino, ma quando si svegli in lui non c era che un' oscura rassegnazione, una coraggiosa ignoranza, perch la macchina del mondo troppo complessa per la semplicit di una fiera. Anni dopo, Dante moriva a Ravenna, ingiustificato e solo come ogni altro uomo. In un sogno, Dio gli rivel il segreto scopo della sua vita e della sua fatica; Dante, meravigliato, seppe finalmente chi era e cosa era e benedisse le sue amarezze. La tradizione narra pag.91 che al risveglio sent di avere ricevuto e perduto una cosa infinita, qualcosa che non avrebbe potuto recuperare, e nemmeno intravedere, perch la macchina del mondo troppo complessa per la semplicit degli uomini.
pag.93 BORGES E IO allaltro, a Borges, che accadono le cose. Io cammino per Buenos Aires e mi soffermo, forse ormai meccanicamente, a osservare l'arco d' un androne e il cancello di un cortile; di Borges ho notizie dalla posta e vedo il suo nome in una terna di professori o in un dizionario biografico. Mi piacciono gli orologi a sabbia, le carte geografiche, la tipografia del XVIII secolo, le etimologie, il sapore del caff e la prosa di Stevenson; laltro condivide queste preferenze, ma in un modo vanitoso che le trasforma in attributi d' attore. Sarebbe esagerato affermare che fra noi c ostilit; io vivo, io mi lascio vivere, perch Borges possa tramare la sua letteratura, e quella letteratura mi giustifica. Non mi costa nulla confessare che riuscito a ottenere alcune pagine valide, ma quelle pagine non possono salvarmi, forse perch ci che hanno di buono ormai non di nessuno, neppure dell' altro, ma della lingua o della tradizione. Del resto, io sono destinato a perdermi definitivamente, e solo qualche istante di me potr sopravvivere nell' altro. A poco a poco gli sto cedendo tutto, anche se conosco bene la sua perversa abitudine di falsare e ingigantire. Spinoza cap che tut te le cose vogliono perseverare nel loro essere; la pietra eternamente vuol essere pietra e la tigre una tigre. Io pag.95 rester in Borges, non in me (ammesso che io sia qualcuno), ma mi riconosco meno nei suoi libri che in molti altri o nel laborioso arpeggio di una chitarra. Qualche anno fa ho cercato di liberarmi di lui passando dalle mitologie dei sobborghi ai giochi col tempo e con linfinito, ma quei giochi ora sono di Borges e io dovr ideare altre cose. Cos la mia vita una fuga e io perdo tutto e tutto dell' oblio, o dell'altro. Non so chi di noi due scrive questa pagina.
pag.97 POESIA DEI DONI A Mara Esther Vzquez Nessuno a lacrime riduca o accuse questo attestato dell alta maestria di Dio, che con magnifica ironia mi ha destinato insieme libri e notte.
Questa citt di libri ha dato in regno ad occhi senza luce, atti soltanto A decifrare nelle biblioteche dei sogni quei paragrafi insensati
che l'alba accorda al desiderio. Invano il giorno prodigo dei suoi infiniti libri, ardui come gli ardui manoscritti che furono distrutti ad Alessandria.
Muore di fame e sete (narra il mito) un re tra fonti ed alberi; io affatico senza una meta i limiti di questa alta e profonda biblioteca cieca.
L Oriente e l Occidente, dinastie, secoli, atlanti ed enciclopedie, simboli, cosmi e cosmogonie offrono i muri, e tutto inutilmente. pag.99
Lento nella mia ombra, l ombra vuota vado esplorando col bastone incerto, io, che mi figuravo il Paradiso sotto la specie d' una biblioteca.
Qualcosa che di certo non si pu chiamare caso, ordisce questi eventi; gi un altro ricevette in altre sere stinte cos i moti libri e lombra.
Errando per le lenti gallerie io sento con un vago orrore sacro che sono l'altro, il morto, che avr dato gli stessi passi negli stessi giorni.
Chi scrive di noi due questa poesia di un io plurale e di una sola ombra? Che importa la parola che il mio nome se l'anatema uno e indiviso?
Groussac o Borges guardo questo amato mondo che si deforma e che si spegne in una vaga cenere e sbiadita che sassomiglia al sonno ed all'oblio.
pag.101 L'OROLOGIO A SABBIA E giusto misurare con la dura ombra che una colonna al sole getta o con l' acqua incessante di quel fiume che a Eraclito svel la nostra insania
il tempo, giacch al tempo e al destino assomigliano entrambi: la diurna imponderabile ombra e il corso d'acqua che seguita fatale il suo cammino.
giusto, per il tempo nei deserti trov un altra sostanza, delicata e grave, che pu dirsi immaginata per misurare il tempo della morte.
Nasce cos il simbolico strumento delle incisioni dei vocabolari, quelloggetto che i pallidi antiquari relegheranno al mondo cinerino
dell'alfiere spaiato, della spada inerme, del confuso telescopio, del sandalo che l'oppio ha rosicchiato, del caso, della polvere e del niente. pag.103
Chi non si soffermato innanzi al tetro e severo strumento che accompagna nella destra del dio lorrenda falce e le cui linee Drer ripet?
Dal suo vertice aperto il cono inverso lascia andare la cauta sabbia, oro che a grado a grado si distacca e colma il vetro concavo del suo universo.
Affascina la sabbia misteriosa che ininterrotta scorre e si consuma e, in punto di cadere, vorticosa rotea con una fretta tutta umana.
La sabbia d'ogni ciclo sempre quella e infinita la storia della sabbia; cos, sotto le gioie o le tue pene, s abissa il tempo eterno, invulnerabile.
Non ha una pausa mai la sua caduta. Son io che mi dissanguo, non il vetro. Il rito del travaso non ha fine e con la sabbia se ne va la vita.
Avverto nei minuti della sabbia il tempo cosmico, l intera storia che chiude nei suoi specchi la memoria o che il magico Lete ha ormai dissolto.
La colonna di fumo e quella ardente, Roma e Cartagine e la dura guerra, Simone mago e i sette pi di terra che il re sssone offerse al norvegese,
tutto travolge e perde il tenue filo dinstancabile sabbia numerosa. N avr salvezza io, fortuita cosa di tempo, che fuggevole materia.
pag.105 SCACCHI I NelI angolo severo i giocatori muovono i lenti pezzi. La scacchiera li avvince fino allalba al duro campo dove si stanno odiando due colori.
Su di esso irradiano rigori magici le forme: torre omerica, regina armata, estremo re, cavallo lieve, pedoni battaglieri, obliquo alfiere.
Quando si lasceranno i due rivali, quando il tempo ormai li avr finiti, il rito certo non sar concluso.
In Oriente si accese questa guerra che adesso ha il mondo intero per teatro. Come l'altro, infinito questo giuoco. pag.107 II Debole re, pedone scaltro, indomita regina, sghembo alfiere, torre eretta, sul bianco e nero del tracciato cercano e sferrano la loro lotta armata.
Non sanno che il fortuito giocatore che li muove ne domina la sorte, non sanno che un rigore adamantino ne soggioga l arbitrio e la fortuna.
Ma il giocatore anch esso prigioniero (Omar lo dice) d una sua scacchiera fatta di nere notti e di bianchi giorni.
Dio muove il giocatore, e questi il pezzo. Che dio dietro di Dio la trama inizia di tempo e sogno e polvere e agonie?
pag.109 GLI SPECCHI Io che provai l'orrore degli specchi non solo innanzi al vetro impenetrabile dove ha principio e fine, inabitabile, un irreale spazio dei riflessi
ma nell' acqua speculare che raddoppia quell'altro azzurro nel suo fondo cielo che solca a volte un' illusorio volo d' uccello inverso o che un tremore increspa
e innanzi alla silente superficie dell ebano sottile il cui nitore ripete come un sogno la bianchezza d'un vago marmo o d' una vaga rosa,
oggi, trascorsi gi tanti e perplessi anni sotto la varia luna errando, mi chiedo quale caso della sorte fece che mi impaurissero gli specchi.
Specchi di metallo, mascherato specchio di mogano che sfuma nella bruma del suo rosso crepuscolo quel volto che guarda il volto che lo sta guardando, pag.111
infiniti li vedo, elementari esecutori d' un antico patto, moltiplicare il mondo come l'atto generativo, vigili e fatali.
Il nostro vano mondo incerto estendono in una ragnatela da vertigine; a volte accade, a sera, che li appanni di un uomo non ancora morto lalito.
II cristallo ci spia. Se tra le quattro pareti della stanza c' uno specchio, non sono pi solo. C' il riflesso, l altro: che appresta all' alba un tacito teatro.
Tutto succede e nulla si ricorda in quei racchiusi spazi cristallini dove, come fantastici rabbini, leggiamo dalla destra alla sinistra.
Claudio, re di una sera, re sognato, non seppe d' esser sogno fino a quando non ne mim un attore il tradimento con arte silenziosa, sullassito.
Strano che esistano gli specchi, i sogni, che il consueto e logoro inventario d' ogni giorno comprenda l' illusorio orbe profondo ordito dai riflessi.
Dio (ho pensato) assegna certo un fine a questa architettura inafferrabile che edifica la luce col nitore del cristallo e la tenebra col sogno.
Dio ha creato le notti popolate di sogni e le parvenze dello specchio affinch l' uomo senta che riflesso e vanit. Per questo ci spaventano.
pag.113 ELVIRA DE ALVEAR Ebbe ogni cosa e lentamente tutte l abbandonarono. La conoscemmo armata di bellezza. La mattina e il chiaro mezzogiorno le mostrarono dall alta vetta i regni affascinanti della terra. La sera and oscurandoli. Gli astri ( la rete ubiqua ed infinita delle cause) le avevano concesso la fortuna, che simile al tappeto dellarabo cancella le distanze e confonde possesso e desiderio, e la virt del verso, che trasforma le pene in musica, rumore e simbolo, e l ardore, e nel sangue la battaglia d' Ituzaing e il peso degli allori, e il gusto di smarrirsi nell'errante fiume del tempo (fiume e labirinto) e nei colori lenti delle sere. Tutto l abbandon salvo una cosa. Sino alla fine della sua giornata, al di l del delirio e dell' eclisse, l accompagn, in modo quasi angelico, la generosa cortesia. La prima e pi remota immagine di Elvira fu il suo sorriso, stata anche l' estrema.
pag.115 SUSANNA SOCA Con lento amore contemplava i toni diffusi della sera. Le piaceva abbandonarsi alla curiosa vita dei versi o alla complessa melodia. I grigi, non il rosso elementare, tramarono il suo fragile destino fatto a discriminare, esercitato alle incertezza ed alle sfumature. Senza addentrarsi in questo nostro incerto labirinto, scrutava dal di fuori le forme e l' agitarsi tumultuoso, come quell'altra dama dello specchio. Di che dimorano oltre la preghiera l'abbandonarono a una tigre, il Fuoco.
pag.117 LA LUNA Narra la storia che in quel tempo antico nel quale sono occorse tante cose, reali, immaginarie e a volte incerte, un uomo concep lo smisurato
intento di cifrare l' universo in un libro e con impeto infinito eresse l' alto ed arduo manoscritto e lim e declam l' ultimo verso.
Stava per render grazie alla fortuna, quando levando gli occhi vide un disco luminoso e comprese, sbalordito, di essersi scordato della luna.
La storia che ho narrato non vera, ma illustra molto bene il maleficio che pesa su chi esercita il mestiere di rendere in parole questa vita.
Si perde sempre l' essenziale. legge d' ogni parola detta sopra il nume. Non le potr sfuggire il resoconto del mio lungo commercio con la luna. pag.119
Non so dove la vidi inizialmente, se in quel cielo anteriore di cui parla il greco, o nella sera che declina sul patio con il pozzo e con il fico.
Come si sa, questa incostante vita Pu essere tra l altro molto bella; cos vi furon sere in cui con lei ti contemplammo, o luna condivisa.
Ma pi che delle notti io ricordo Le lune dei poeti: la stregata dragon moon che d orrore alla ballata, e la luna di sangue di Quevedo.
Di un'altra luna di scarlatto e sangue ha parlato Giovanni nel suo libro di feroci prodigi e atroci giubili; pi chiare lune sono poi, d'argento.
Pitagora con sangue (si tramanda) scriveva sul cristallo di uno specchio e gli uomini leggevano il riflesso sopra quellaltro specchio che la luna.
Di ferro c una selva ove dimora l enorme lupo la cui strana sorte abbattere la luna e darle morte quando l' ultima aurora il mar arrossi.
(Il profetico Nord questo lo sa e sa che un certo giorno gli spaziosi mari del mondo infester la nave che si forma con le unghie dei defunti).
Quando, a Ginevra o a Zurigo, mi diede destino di poeta la fortuna, anch io mi imposi l obbligo segreto di dire con immagini la luna. pag.121
Con una sorta di studiosa pena esaurivo modeste variazioni, con il vivo timore che Lugones avesse usato gi l' ambra o la sabbia.
Di fumo, di lontano avorio o fredda neve furon le lune che brillarono in versi che a ragione non ottennero il difficile onore della stampa.
Pensavo che il poeta fosse l' uomo che, come il rosso Adamo in Paradiso, impone a ogni cosa il suo preciso e vero e ancora sconosciuto nome.
Ariosto m' insegn che la dubbiosa luna racchiude i sogni, l' imprendibile, il tempo che si perde, l' impossibile o il possibile, ch' la stessa cosa.
Della Diana triforme Apollodoro mi fece intravedere l'ombra magica; Hugo mi diede la sua falce d'oro, l Irlandese una nera luna tragica.
E mentre io esploravo la miniera immensa delle lune mitologiche, stava l sul cantone della strada, la luna celestiale d'ogni giorno.
So che fra tutte le parole, una ce n' per ricordarla o figurarla. Il segreto, per me, sta nell' usarla con umilt. la parola luna.
Non oso pi macchiare la sua pura apparizione con figure vane; la vedo quotidiana e indecifrabile al di l della mia letteratura. pag.123
So che la luna o la parola luna lettera che forma la complessa crittografia di questa singolare cosa che siamo, numerosa e una.
uno di quei simboli che all' uomo il fato o il caso dona perch un giorno di estasi gloriosa o di agonia alfine ne pronunci il vero nome.
pag.125 LA PIOGGIA Bruscamente la sera s' schiarita perch cade la pioggia minuziosa. Cade o cadde. La pioggia senza dubbio qualcosa che succede nel passato.
Chi la sente cadere riconquista quel tempo in cui la sorte fortunata gli svel un fiore che si chiama rosa e il curioso colore del carminio.
Questa pioggia che rende ciechi i vetri rallegrer in sobborghi ormai perduti i neri grappoli di un certo patio
che non esiste pi. La sera rorida mi porta la diletta, attesa voce di mio padre che torna e non morto.
pag.127 ALL' EFFIGIE DI UN CAPITANO DEGLI ESERCITI DI CROMWELL Non vinceran di Marte le muraglie questi, che salmi del Signore ispirano; da un'altra luce (e da altro tempo) guardano quegli occhi che guardarono battaglie. La mano stringe l elsa della spada. Per la verde regione va la guerra; oltre l oscurit sta l' Inghilterra, e il cavallo e la gloria e la tua sorte. Gli affanni, o capitano, sono inganni, vano l'arnese e vano l ostinarsi dell' uomo, che ha il suo termine in un giorno. Tutto concluso ormai da molti anni. Il ferro che ti uccide arrugginito; tu sei (come noi tutti) condannato.
pag.129 A UN VECCHIO POETA Vaghi per la campagna di Castiglia e quasi non la vedi. Assorto pensi a un intricato passo di Giovanni e appena hai fatto caso al sole giallo
che tramonta. La vaga luce ormai delira e sull'Oriente si dilata quella luna di scherno e di scarlatto che forse specchio e replica dell'Ira.
Alzi gli occhi e la guardi. Inizia e subito si spegne una memoria di qualcosa che un tempo stato tuo. Chini la testa
pallida e triste seguiti il cammino, e non ricordi il verso che scrivesti: Y su epitafio la sangrienta luna .
pag.131 L'ALTRA TIGRE And the craft that createth a semblance Morris, Sigurd the Volsung (1876)
Penso a una tigre. La penombra esalta la vasta Biblioteca laboriosa e sembra che allontani gli scaffali. Forte, innocente, insanguinata e nuova, andr per la sua selva e il suo mattino e lorma stamper sulla melmosa sponda di un fiume di cui ignora il nome (Non ha il suo mondo nomi n passato n avvenire, ma il solo istante certo). coprir le barbare distanze ed entro l intricato labirinto degli odori l'odore fiuter dell'alba e quello, grato, della preda; distinguo le sue strisce tra le strisce del bamb e indovino l'ossatura sotto la pelle splendida che freme. Invano ci separano i convessi oceani ed i deserti del pianeta; da questa casa di un remoto porto della mia America del Sud, ti seguo e sogno, o tigre che costeggi il Gange. Mi colma l'anima la sera e penso che l invocata tigre dei miei versi pag.133 una tigre di simboli e di ombre, una serie di tropi letterari e di ricordi d'enciclopedia, non la fatale tigre, la funesta gemma che sotto il sole o la diversa luna, compie in Sumatra o nel Bengala il suo rito d'amore, d'ozio e morte. Alla tigre dei simboli la vera ho contrapposto, quella dall ardente sangue, che decima trib di bufali e oggi, 3 agosto del '59, getta sul prato la sua ombra lenta, ma il solo averne pronunciato il nome e immaginato ci che le sta intorno la fa finzione d'arte e non creatura che sia viva e cammini sulla terra. Cercheremo una terza tigre. Come le altre questa sar solo una forma del mio sogno, un sistema di parole umane e non la tigre vertebrata che vecchia pi delle mitologie calca la terra. Lo so, ma qualcosa m' impone questa impresa indefinita, antica ed insensata, ed io mi ostino a cercare nel tempo della sera quell'altra tigre, che non nel verso.
pag.135 BLIND PEW Lungi dal mare e dalla bella guerra, cos l amore esalta ci che ha perso, il bucaniere cieco affaticava i terrosi sentieri d' Inghilterra.
Incalzato dai cani dei poderi, schernito dai ragazzi del villaggio, dormiva un sonno malaticcio e rotto entro la nera polvere dei fossi.
Sapeva che in remote spiagge d'oro era suo un recondito tesoro, e questo gli alleviava la sventura;
te pure attende, in altre spiagge d'oro il tuo incorruttibile tesoro: la vasta e vaga e necessaria morte.
pag.137 ALLUSIONE A UN' OMBRA DEL MILLEOTTOCENTONOVANTA E ROTTI Niente. Solo il coltello di Muraa. Solo al crepuscolo la storia tronca. Non so perch la sera mi accompagna questassassino che non ho mai visto. Palermo allora era pi in bassa. Il giallo muraglione del carcere si ergeva sul borgo e sui pantani. Per questaspra regione andava il sordido coltello. Il coltello. Il suo volto cancellato e di quel mercenario il cui mestiere austero era il coraggio resta solo un'ombra e il fulgore dell' acciaio. Il tempo, che annerisce il marmo, salvi questo tenace nome: Juan Muraa.
pag.139 ALLUSIONE ALLA MORTE DEL COLONNELLO FRANCISCO BORGES (1833-74) Lo lascio sul cavallo, in quella grigia ora crepuscolare in cui cerc la morte; che di tutte le sue ore questa perduri, amara e vittoriosa. Per la campagna avanza la bianchezza del cavallo e del poncho. Nei fucili la morte scruta e aspetta. Tristemente Francisco Borges va per la pianura. Ci che lo assedia adesso, la mitraglia, ci che vede, la pampa smisurata, quanto vide e ud tutta la vita. la realt di sempre, la battaglia. Alto lo lascio e quasi estraneo al verso, nel suo lontano, epico universo.
pag.141 IN MEMORIAM A. R. Il vago caso o le precise leggi Da cui governato questo sogno, l' universo, mi diedero compagno, per un radioso tratto Alfonso Reyes.
Fu padrone di unarte che n Sindbad n Ulisse seppero del tutto, l arte di andare da una terra ad altre terre e vivere in ciascuna integralmente.
Se a volte la memoria lo trafisse con le sue frecce, dal metallo ostile di quell'arma forgi la strofa afflitta e il numeroso e lento alessandrino.
Nella fatica l' umana speranza lo sostenne e fu luce alla sua vita trovare il verso degno di ricordo e arricchire la prosa castigliana.
Al di l del Mio Cid dal passo tardo e del branco che ambisce essere oscuro, segu fino ai sobborghi del lunfardo linafferrabile letteratura. pag.143
Sost nei cinque splendidi giardini del Marino, ma dentro lui qualcosa di eterno e di essenziale preferiva il duro studio e lobbligo divino.
Per meglio dire, prefer i giardini della meditazione, ove Porfirio eresse in contro le ombre ed il delirio l' Albero del Principio e delle Fini.
Reyes, la misteriosa Provvidenza che ministra del prodigo e del parco a noi diede il settore o l'arco, a te diede completa la circonferenza.
Tu cercavi la gioia o la tristezza che occultano le glorie e i frontespizi; volesti, come il Dio di Scoto Erigena, per esser ogni uomo essere nessuno.
Splendori vasti e delicati ottenne La tua scrittura, immacolata rosa, e alle guerre di Dio torn esultante il sangue militare dei tuoi avi.
Dove sar, mi chiedo, il messicano? Contempler, con quell'orrore che ebbe Edipo dellarcana Sfinge, il fisso Archetipo del Volto e della Mano?
O vagher, come voleva Swedenborg, per un orbe pi vivido e complesso di questo mondo, pallido riflesso di quel celeste libro incomprensibile?
Se la memoria crea (come gl' imperi della lacca e dell'ebano sostengono) il proprio Paradiso, un altro Messico nella gloria, e un'altra Cuernavaca. pag.145
Dio sa quali colori offre la sorte all' uomo, terminata la giornata. Io cammino per queste strade. ancora poco quello che intendo della morte.
Solo una cosa so. Che Alfonso Reyes (dovunque l'abbia trascinato il mare) si applicher con gioia e con fervore al nuovo enigma e alle nuove leggi.
Rendiamo onore allimpari, al diverso con palme e con clamore di vittoria. E non profani il pianto questi versi che il nostro amore d alla sua memoria.
pag.147 I BORGES Niente o ben poco ci che so dei Borges, i miei antenati portoghesi, vaga gente che in me prosegue, oscuramente i suoi modi, i rigori, le paure. Tenui come se mai fossero stati e alieni a ogni pratica dell'arte, indecifrabilmente fanno parte del tempo, della terra e dell'oblio. Meglio cos. Essi sono, assolto il compito, il Portogallo, quellillustre gente che vinse le muraglie dell'Oriente e and per mari e sabbie come mari. Sono quel re nel mistico deserto perso e chi giura di non esser morto.
pag.149 A LUIS DE CAMOENS Senza piet n ira il tempo intacca le valorose spade. Triste e povero tornasti alla nostalgica tua patria, o capitano, per morire in lei e insieme a lei. Nel magico deserto il fiore del Portogallo si era perso ed il rude spagnolo, prima vinto, era minaccia al suo costato aperto. Voglio sapere se di qua dallultima frontiera tu umilmente comprendesti che quanto era perduto, l'Occidente e l'Oriente, l'acciaio e la bandiera, continuerebbe (estraneo ad ogni umano cambio) nella tua Eneide lusitana.
pag.151 MILLENOVECENTOVENTI E ROTTI Non infinito il volgere degli astri e una delle forme che ritornano la tigre, ma noi, lungi dal caso e dall'avventura, ci pensavamo esuli in un tempo esausto, quel tempo in cui non pu accadere nulla. L' universo, il tragico universo, non era qui e forza era cercarlo nel passato; io tramavo un' umile mitologia di muri e di coltelli, mentre Riccardo pensava ai suoi mandriani. Non sapevamo che il futuro nascondeva in s la folgore, non presentimmo l'obbrobrio, l' incendio e la tremenda notte dell' Alleanza; niente ci disse che la storia argentina sarebbe scesa in strada, la storia, l' indignazione, l' amore, le folle come il mare, il nome di Crdoba, il sapore del reale e dell' incredibile, l'orrore e la gloria.
pag.153 ODE COMPOSTA NEL 1960 Il chiaro caso o le segrete leggi che reggono questo sogno, il mio destino, vogliono, o necessaria e dolce patria che non senza vergogna e gloria annoveri centocinquanta laboriosi anni, che io, la goccia, parli con te, il fiume, che io, l' istante, parli con te, il tempo, e che l' intimo dialogo ricorra, com' dovuto, ai rituali e all'ombra grati agli di e al pudore del verso. Patria, io tho sentita nei tramonti precipitosi dei sobborghi immensi, in quel fiore del cardo che nellatrio il vento spinge, nella pioggia quieta, nel ricorrere lento delle stelle, nella mano che accorda una chitarra, nella gravitazione della pampa che il nostro sangue avverte da lontano come il britanno il mare, nei pietosi simboli e nelle brocche di una cripta, nell'argento di un quadro, nell amore pieno dei gelsomini, nel contatto col silenzioso mogano soave, pag.155 nel gusto della carne e della frutta, nella bandiera quasi azzurra e bianca di una caserma, nei racconti stanchi di strada e di coltello, nelle sere uguali che si spengono e ci lasciano, nella vaga memoria compiaciuta di schiavi che riempivano i cortili e portavano il nome dei padroni, in quei povere libri per i ciechi che furono distrutti dall' incendio, e nelle epiche piogge di settembre che non si scordano, ma queste cose non sono che i tuoi modi ed i tuoi simboli. Tu sei pi del tuo vasto territorio e pi dei giorni del tuo vasto tempo, tu sei pi della somma inconcepibile delle generazioni. Non sappiamo come nel seno vivo degli eterni archetipi ti vede Dio, eppure noi viviamo e moriamo e aneliamo, per quel volto che abbiamo scorto appena, o Patria misteriosa e inseparabile.
pag.157 ARIOSTO E GLI ARABI A nessun uomo dato di comporre un libro. Perch un libro sia davvero, occorrono tramonti e aurore, secoli, armi, e il mare che unisce e che separa.
Questo pensava Ariosto, che in oziosi sentieri di fulgenti marmi e oscuri pini si dedic al piacere lento di tornare a sognare il gi sognato.
L'aria della sua Italia era ricolma dei sogni che memoria e oblio ordirono con tutte le figure della guerra che in duri secoli strem la terra.
Si perse una legione tra le valli dell' Aquitania e cadde in un agguato; nacque cos quel sogno di una spada e del corno che suona a Roncisvalle.
I suoi idoli sparse e le sue truppe Per le campagne d'Inghilterra il rude sassone in una guerra lenta e dura e di quei fatti rest un sogno: Art. pag.159
Da terre boreali dove un cieco sole scolora il mare, giunse il sogno di una dormiente vergine che attende, oltre un cerchio di fuoco, il suo signore.
Chiss se dalla Persia o dal Parnaso venne quel sogno del destriero alato che il mago in armi sprona per i cieli e che si perde nel deserto occaso.
Quasi montasse quel destriero alato, Ariosto vide i regni della terra solcata dai tripudi della guerra e del giovane amore avventuroso.
E come fra una tenue bruma d'oro vide quaggi un giardino che i confini espande in pi reconditi giardini per l'amore di Angelica e Medoro.
Pari a quegli ingannevoli splendori che all' indo lascia intravedere l'oppio, per il Furioso passano gli amori in un tumulto di caleidoscopio.
N l'amore ignor n l' ironia, sogn cos, nel suo garbato modo, quello strano castello in cui ogni cosa (come in questa vita) una menzogna.
Come ad ogni poeta, la fortuna o il fato gli accord una strana sorte: andava per le strade di Ferrara e al tempo stesso andava per la luna.
Scoria dei sogni, indefinito limo che dal Nilo dei sogni abbandonato, fu la materia che tess il groviglio di questo risplendente labirinto, pag.161
questo diamante immenso dove un uomo pu avere la fortuna di smarrirsi per mbiti di musica indolente, oltre il suo nome ed oltre la sua carne.
LEuropa intera si smarr. Per opera di quell' ingenua e maliziosa arte, Milton di Brandimarte pot piangere la morte e di Dalinda l' apprensione.
LEuropa si smarr, ma il vasto sogno offr altri doni alla famosa gente che abita i deserti dell'Oriente e le sue notti colme di leoni.
Di un re che allalba affida allimpietosa scimitarra colei che fu regina d'una notte ci narra il dilettoso libro che il nostro tempo ancora incanta.
Ali che son la brusca notte, atroci artigli da cui pende un elefante, magnetiche montagne che frantumano i vascelli nel loro amante abbraccio,
la terra che sorregge in groppa un toro da un pesce sostenuto, talismani, abracadabra e mistiche parole che nella roccia schiudono antri d'oro;
questo sogn la gente saracena che segue le bandiere di Agramante; questo, che vaghi volti con turbante sognarono, sedusse l'Occidente.
E oggi l'Orlando una regione amena le cui disabitate, aperte miglia di oziose e indolenti meraviglie sono un sogno che pi nessuno sogna. pag.163
Dalle arti islamiche ridotto a pura erudizione, a mero documento, sta l a sognarsi, solo. (Altro non la gloria che una forma dell'oblio.)
Per il vetro gi pallido l' incerta luce di un'altra sera sfiora il libro e ancora avvampa e ancora si consuma l'oro che ne insuperbisce la brossura.
Nella deserta sala il silenzioso libro viaggia nel tempo. E lascia indietro le ore notturne e le albe e la mia vita, questaltro sogno che sogniamo in fretta.
pag.165 INIZIANDO LO STUDIO DELLA GRAMMATICA ANGLOSASSONE Trascorse ormai cinquanta generazioni (di tali abissi ci fa dono il tempo) faccio ritorno alla lontana riva di un grande fiume che i draghi del vichingo non raggiunsero, alle parole laboriose e aspre che usai, con una bocca che ora polvere, nei giorni di Mercia e di Nortumbria, quando non ero ancora Haslam o Borges. Ho letto sabato che Giulio il Cesare fu il primo a muovere da Romeburg per debellare la Bretagna; non torneranno i grappoli alle viti che avr ascoltato il canto dell' usignolo dell' enigma e l'elegia dei dodici guerrieri che stanno intorno al tumulo del loro re. Simboli di altri simboli, variazioni dellinglese e del tedesco che verranno mi sembrano queste parole che un tempo sono state immagini e che un uomo us per celebrare il mare o una spada; domani torneranno a vivere, domani fyr non sar fire, ma quella specie pag.167 di dio mutevole e addomesticato che nessuno pu guardare senza provare uno stupore antico.
Lodato sia quell' infinito intrico degli effetti e delle cause che prima di mostrarmi lo specchio nel quale non vedr nessuno o vedr un altro mi concede questa contemplazione pura di un linguaggio dell'alba.
pag.169 LUCA , 23 Gentile o ebreo oppure solo un uomo il cui volto nel tempo si perduto; non ne riscatteremo dall'oblio le silenziose lettere del nome.
Seppe della clemenza ci che pu sapere un malfattore che Giudea inchioda ad una croce. inaccessibile ormai ci che fu prima. Nell ultima
fatica di morire crocifisso, apprese dal dileggio della gente che luomo che moriva accanto a lui era dio e gli disse ciecamente:
Ricordati di me quando sarai nel tuo regno , e la voce inconcepibile che sar giudice di tutti gli esseri dalla tremenda croce gli promise
il Paradiso. Niente pi si dissero finch arriv la fine, ma la storia non lascer che muoia la memoria della remota sera in cui morirono. pag.171
Amici, quella candida innocenza di questo amico di Ges, che fece che chiedesse e ottenesse il Paradiso dall' ignominia del castigo, era
la stessa che lo spinse tante volte al male e all'avventura insanguinata.
pag.173 ADROGU Nessuno nella notte indecifrabile tema ch' io possa perdermi tra i neri fiori di questo parco, dove intessono un sistema propizio ai mesti amori
o all'ozio delle sere il misterioso uccello che lo stesso canto affina, il chiosco ombroso e l'acqua circolare, la vaga statua e la rovina incerta.
Vuota nell'ombra vuota, la rimessa segna (lo so) i tremuli confini di un mondo di polvere e gelsomini, grato a Verlaine e grato a Julio Herrera.
Cedono gli eucalipti il loro odore medicinale all'ombra, quell' antico odore che oltre il tempo e la parola ambigua evoca il tempo delle ville.
Cerca il mio passo e trova la sperata soglia. Il suo scuro margine disegna la terrazza e nel patio fatto a scacchi il rubinetto gocciola monotono. pag.175
Dall' altro lato delle porte dormono coloro che per opera dei sogni nell'ombra visionaria son padroni del vasto ieri e delle cose morte.
Non c un oggetto in questo vecchio stabile chio non conosca: le scaglie di mica su quella pietra grigia che si duplica continuamente nel confuso specchio,
La testa di leone che il pesante anello addenta e i vetri colorati che svelano al bambino le bellezze di un mondo tutto rosso o tutto verde.
Essi perdurano al di l del caso e della morte, e ognuno ha la sua storia, ma tutto questo avviene in una specie di quarta dimensione, la memoria.
l e soltanto l che stanno adesso i patios e i giardini. Ed il passato li conserva in quellmbito vietato che insieme abbraccia il vespero e laurora.
Come ho potuto perdere quellordine preciso di modeste e amate cose, oggi interdette come quelle rose che dette al primo Adamo il Paradiso?
Uno stupore antico di elegia mi opprime quando penso a quella casa e non comprendo come il tempo passa, io che son tempo e sangue ed agonia.
pag.177 ARTE POETICA Guardare il fiume che di tempo e acqua e pensare che il tempo un altro fiume, saper che ci perdiamo come il fiume e che passano i volti come l'acqua.
Sentire che la veglia un altro sonno che sogna di esser veglia e che la morte che il nostro corpo teme quella morte dogni notte che noi chiamiamo sonno.
Avvertire in un giorno o un anno il simbolo dei giorni dogni uomo e dei suoi anni, dell' oltraggioso scorrere degli anni fare una musica, un sussurro, un simbolo,
vedere un oro triste nel tramonto e nella morte il sonno la poesia, che povera e immortale. La poesia torna come l' aurora e il tramonto.
Talora nelle grigie sere un volto ci guarda dal profondo d' uno specchio; l'arte dev'esser come quello specchio che ci rivela il nostro stesso volto. pag.179
Ulisse, fama, stanco di prodigi, pianse d'amore quando scorse Itaca umile e verde. L'arte questa Itaca di verde eternit, non di prodigi.
anche come il fiume interminabile che passa e resta, e replica uno stesso Eraclito incostante ch lo stesso e un altro, come il fiume interminabile.
MUSEO pag.181 DEL RIGORE NELLA SCIENZA ...In quell' Impero, l'Arte della Cartografia raggiunse tale Perfezione che la mappa d' una sola Provincia occupava unintera Citt, e la mappa dell'Impero unintera Provincia. Col tempo, queste Mappe Smisurate non soddisfecero pi e i Collegi dei Cartografi crearono una Mappa dell'Impero che aveva la grandezza stessa l'Impero e con esso coincideva esattamente. Meno Dedite allo Studio della Cartografia, le Generazioni Successive capirono che quella immensa Mappa era Inutile e non senza Empiet la abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degli Inverni. Nei deserti dell'Ovest restarono ancora lacere Rovine della Mappa, abitate da Ani- mali e Mendicanti; nellintero Paese non vi sono altre reliquie delle Discipline Geografiche. Surez Miranda, Viajes de varones prudentes, Libro Quarto, cap. XLV, Lrida, 1658.
pag.183 QUARTINA Altri morirono, ma questo accadde nel passato, che la stagione (nessuno lo ignora) pi propizia alla morte. mai possibile che io, suddito di Yaqub Almansr, muoia come dovettero morire le rose e Aristotele? Dal Divano di ALMOTASIM EL MAGREBI ( XII secolo).
pag.185 LIMITI C' un verso di Verlaine che non ricorder mai pi, c' una strada vicina ormai vietata ai miei passi, c' uno specchio che mi ha visto per l' ultima volta, c' una porta che ho chiuso sino alla fine del mondo. Tra i libri della mia biblioteca (li sto vedendo) ce n' qualcuno che non torner ad aprire. Questa estate compir cinquanta anni; la morte, incessante, mi consuma. Da Inscripciones (Montevideo) 1923, di Julio Platero Haedo.
pag.187 IL POETA DICHIARA LA SUA FAMA La volta del cielo misura la mia gloria, le biblioteche dell' Oriente si disputano i miei versi, gli emiri mi cercano per riempirmi d'oro la bocca, gli angeli conoscono a memoria il mio ultimo zejel. I miei strumenti di lavoro sono angoscia e umiliazione; magari fossi nato morto. Dal Divano di ABULCASIM EL HADRAM (XII secolo).
pag.189 IL NEMICO GENEROSO Magnus Barfod, nell'anno 1102 intraprese la conquista di tutti i regni dellIrlanda; si dice che il giorno precedente la sua morte abbia ricevuto questo saluto da Muirchertach, re di Dublino: Che nei tuoi eserciti militino l'oro e la tempesta, Magnus Barfod. Che domani, sui campi del mio regno, ti sia propizia la battaglia. Che le tue mani di re intessano terribili la tela della spada. Che siano alimento del cigno rosso coloro che si oppongono alla tua spada. Che i tuoi molti di ti sazino di gloria, che ti sazino di sangue. Che tu sia vittorioso all'alba, re che calchi la terra d'Irlanda. Che dei tuoi molti giorni nessuno splenda come il giorno di domani. Perch quel giorno sar l' ultimo. Te lo giuro, re Magnus. Perch prima che si offuschi la sua luce, ti vincer e ti annienter, Magnus Barfod. Da Anhang zur Heimskringla (1893) di H. GERING.
pag.191 LE REGRET D' HRACLITE Io, che tanti uomini son stato non sono stato mai luomo nel cui abbraccio illanguidiva Matilde Urbach. GASPAR CAMERARIUS, in Deliciae Poetarum Borussiae, VII, 16.
pag.193 IN MEMORIAM J. F. K. Questa pallottola antica. Nel 1897 la spar contro il presidente dell'Uruguay un ragazzo di Montevideo, Arredondo, che aveva trascorso molto tempo senza vedere nessuno, perch si sapesse che non aveva complici. Trent'anni prima, lo stesso proiettile uccise Lincoln, per opera criminale o magica di un attore che le parole di Shakespeare avevano trasformato in Marco Bruto, assassino di Cesare. Alla met del XVII secolo, la vendetta se ne serv per assassinare Gustavo Adolfo di Svezia, nel mezzo della pubblica ecatombe di una battaglia. Prima la pallottola era stata altre cose, giacch la trasmigrazione pitagorica non esclusiva degli uomini. Fu il cordone di seta che in Oriente ricevono i visir, fu la fucileria e le baionette che annientarono i difensori di Alamo, fu la mannaia triangolare che tagli il collo a una regina, fu i chiodi oscuri che trafissero la carne del Redentore e il legno della Croce, fu il veleno che il capo cartaginese conservava in un anello di ferro, fu il sereno calice che un pomeriggio bevve Socrate. All' alba del tempo fu la pietra che Caino scagli contro Abele e sar molte altre cose che oggi neppure immaginiamo e che finiranno insieme agli uomini e al loro prodigioso e fragile destino.
pag.195 EPILOGO Voglia Dio che la monotonia essenziale di questa miscellanea (che il tempo ha compilata, non io, e che raccoglie vecchi testi che non ho osato emendare, perch li scrissi con un altro concetto della letteratura) sia meno evidente della diversit geografica o storica dei temi. Di tutti i libri che ho dato alle stampe, nessuno, credo, personale quanto questo raccogliticcio e disordinato zibaldone, proprio perch abbonda di riflessi e di interpolazioni. Poche cose mi sono successe e molte ne ho lette. O meglio, poche cose mi sono successe pi degne di memoria del pensiero di Schopenhauer o della musica verbale dell' Inghilterra. Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con im- magini di province, di regni, di montagne, di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l' immagine del suo volto. J.L.B. Buenos Aires, 31 ottobre 1960
pag.199 NOTA AL TESTO L'artefice apparve nel dicembre del 1960 presso Emec come nono volume delle Obras Completas de Jorge Luis Borges. Borges ha ricordato in pi occasioni come la raccolta nacque dalla richiesta del direttore editoriale Carlos Fras di un libro nuovo per quella collezione. In realt, l' ultimo li bro nuovo di Borges era stato Altre inquisizioni, edito da Sur nel 1952. Nel 1953 la Emec aveva iniziato la pubblicazione dell' intera opera borgesiana, e nell'arco di quattro anni ave- vano visto la luce, in riedizioni in qualche caso rimaneggiate o ampliate, sette titoli che costituivano quanto Borges aveva prodotto fino ad allora (tranne ovviamente i primi tre libri di saggi, ripudiati). L'ultimo volume, uscito nel '57, aveva riproposto L'Aleph secondo l'edizione Losada del '52. Erano dunque tre anni che la collezione delle Obras Completas era di fatto ferma, ma soprattutto era, per cos dire, da sempre che Borges non si preoccupava di offrire al suo prestigioso editore un titolo realmente nuovo. Di qui forse il tono, amichevole ma perentorio, che si avverte nelle parole di Fras, riferite da Borges nelle sue Conversazioni con Richard Burgin: Il mio editore mi disse: Vogliamo che ci dia un libro nuovo, e questo libro deve avere un mercato . La produzione di Borges in quegli anni, a causa dei sempre pi seri problemi agli occhi, si era in effetti un po' ridotta, tuttavia egli non aveva smesso di scrivere e di collaborare, come aveva sempre fatto, a pi di una rivista. La replica di Fras pag.200 alla risposta negativa di Borges (Non esiste nessun libro) teneva certamente conto di questo dato: Ma certo che ce l' ha. Se guarda bene nei suoi scaffali e nei suoi cassetti trover brani sciolti, cose brevi, resti. Il libro pu benissimo venir fuori di l. And proprio cos: Trovai ritagli, vecchie riviste e mi resi conto che il libro stava l, pronto, ad aspettarmi. Parlandone nell' Abbozzo di autobiografia, Borges commenta: Questo libro, che ho messo insieme piuttosto che scritto, mi sembra stranamente il mio lavoro pi personale e, forse, a mio gusto, il migliore. La formula nuova: L'artefice la sua prima raccolta composta di prose e di poesie, recentissime alcune, antiche di un quindicennio altre, qualcuna forse persino dimenticata e ritrovata. (In seguito, un'analoga scelta informer altre compilazioni, da Elogio dell 'ombra alla Cifra ai Congiurati). I 23 brani che precedono le poesie, abbozzi e parabole pi che poemi in prosa, erano stati tutti gi editi in periodici tra il 1934 e il 1959. I pi vecchi provengono dalla Revista multicolor de los sbados, supplemento letterario del diffusissimo quotidiano Critica, che Borges diresse, affiancato da Ulises Petit de Murat, dall' agosto dal 1933 all'ottobre del '34. Nelle pagine di questa rivista Borges pubblic frmati col suo nome o con pseudonimi, o anonimi -, oltre al suo primo esperimento narrativo (Hombres de las orillas, poi intitolato Uomo all'angolo della casa rosa) e ai sei racconti che nel 1935 costituirono il nucleo centrale della Storia universale dell'infamia, saggi, recensioni, traduzioni e numerosi brani narrativi, generalmente brevi. Fra questi ultimi entrano a far parte del nuovo libro Dreamtigers, Gli specchi velati e Le unghie, apparsi nel settembre 1934 sotto il titolo di Confesiones e firmati Francisco Bustos, pseudonimo gi utilizzato per Hombres de las orillas e, in certo senso, progenitore del futuro Honorio Bustos Domecq autore dei Sei problemi per don Isidro Parodi (1942), scritti in collaborazione con Adolfo Bioy Casares. L'operazione non rappresenta un tardivo riscatto dall'oblio, ma al contrario documenta una particolare predilezione per questi testi, che gi nel '36 Borges aveva voluto ripubblicare, sotto la diversa rubrica Inscripciones, nella rivista Destiempo (diretta insieme a Bioy Casares) e, ancora una volta, aveva riproposto nella prima edizione di Altre inquisizioni. Nel corso di questo tragitto editoriale, pag.201 l'originario gruppo della Revista multicolor de los sbados si era arricchito di altri due scritti, Dialogo su di un dialogo (1936) e Argumentum Ornithologicum (1952). Fin troppo semplice riconoscere i motivi di tale predilezione nei temi trattati - la tigre, gli specchi, la morte, il problema dell'esistenza di Dio -, tutti centrali nellopera del nostro autore. Gli altri testi che costituiscono la prima parte dell'Artefice appartengono tutti al quinquiennio precedente il 1960, con una concentrazione particolare nel 1957. Da Sur, la prestigiosa rivista di Victoria Ocampo alla quale Borges collabor dal primo numero (1931) fino al 1980, provengono Mutazioni (maggio-giugno 1954), Paradiso , XXXI, 108 (novembre-dicembre 1954), Parabola di Cervantes e don Chisciotte (marzo-aprile 1955), Parabola del palazzo (novembre-dicembre 1956), Il testimone (luglio-agosto 1957), Martn Fierro (luglio-agosto 1957), Ragnark (marzo-aprile 1959). Da un'altra importante rivista, La Biblioteca , che Borges fond nel 1957 in qualit di direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires (riprendendo idealmente l'omonima pubblicazione che Paul Groussac, suo illustre predecessore in quella carica, aveva curato negli ultimi anni dell' Ottocento), provengono altre otto prose: Il prigoniero, Il simulacro, Borges e io, Delia Elena San Marco (apparse nel numero del gennaio 1957, ma lultima scritta nei tre anni prima, era gi uscita nella rivista della Societ Ebraica Argentina Davar ), Dialogo di morti, La trama, Un Problema (tutti dell'aprile 1957) e L'artefice (1958). Dei tre testi di cui resta da dire, Inferno , I, 32 era apparso nel maggio del 1955 nella rivista cubana Cicln, Una rosa gialla il 20 dicembre 1956 in El Hogar (il settimanale per il quale dal 1936 al '39 Borges scrisse le note critiche ora riunite nel volume Testi prigionieri) e, infine, Everything and Nothing in Versin nell'autunno del 1958. II corpus poetico che forma la parte centrale del volume (diremo a parte, come si conviene, della sezione conclusiva intitolata Museo) consta di 24 testi (in maggioranza quartine di endecasillabi rimati e sonetti di tipo italiano o elisabettiano) e copre un arco di tempo pi limitato. Ci si deve al fatto che la scarsa produzione poetica borgesiana successi va a Quaderno San Martn (1929) era andata raccogliendosi, sotto la rubrica Otros poemas, in una sorta di appendice pag.202 alle tre raccolte degli anni Venti (Fervore di Buenos Aires, Luna di fronte e, Quaderno San Martn), costituitasi nell' edizione Losada dei Poemas 1922-1943 e progressivamente amplia- tasi prima nei Poemas 1923-1953 di Emec e poi in una riedizione dell'agosto 1958. Comprensibilmente dunque, Borges non ritenne opportuno riutilizzare, per il nuovo volume, nessuno di questi componimenti. Proprio a partire dal 1958, peraltro, la sua produzione poetica stava vivendo una straordinaria ripresa, e nei cassetti che, su suggerimento di Fras, lo scrittore ispezion, come racconta, in un piovoso pomeriggio domenicale, giacevano tredici poesie edite in rivista ma non ancora raccolte in volume, sette inedite e quattro da considerare quasi inedite in quanto pubblicate in edizioni private a bassissima tiratura e fuori commercio. Da queste Plaquetas provengono Poesia dei doni, L'altra tigre (apparse in Poemas, F.A. Colombo, Buenos Aires, 1959, 25 esemplari), Allusione alla morte del colonnello Francisco Borges (1833-1874) e Adrogu (entrambe in Seis composiciones, F.A. Colombo, Buenos Aires, 1960,50 esemplari). Ancora inedite erano: Susana Soca, A un vecchio poeta, Blind Pew, I Borges, Millenovecentoventi e rotti, Iniziando lo studio della gmmmatica anglosassone e Luca, 23. In rivista erano invece uscite, in ordine cronologico: La Pioggia Boletin de la Academia Argentina de Letras, ottobre-dicembre 1958), Arte poetica Litoral , maggio 1960, ma composta nel 1958 e pubblicata privatamente in Lmites, sempre per i tipi di F.A. Colombo), L'orologio a sabbia ( La Nacin, 15 marzo 1959), i due sonetti riuniti sotto il titolo Scacchi (Atlntida, marzo 1959), Gli specchi (La Nacin, 20 agosto 1959), La luna (Sur, settembre-ottobre 1959), Allusione a un 'ombra del milleottocentonovanta e rotti (Revista de la Comision protectora de bibliotecas popula- res, gennaio 1960), In memoriam A.R. (La Nacin, 21 febbraio 1960), Elvira de Alvear (Atlntida, maggio 1960), Ode composta nel 1960, (La Nacin, 22 maggio 1960, col ti- tolo A la patria, en 1960), All'effigie di un capitano degli eserciti di Cromwell (La Nacin, 12 giugno 1960), Ariosto egli arabi ( Sur , luglio-agosto 1960) e A Luis de Camoens (La Nacin 4 dicembre 1960). La sezione che chiude il volume, Museo, ha alle spalle una lunga storia che inizia ai tempi in cui Borges e Bioy Casares diedero vita alla gi citata Destiempo , di cui uscirono tre fascicoli tra il 1936 e il '37. Ciascuno di questi ospitava pag.203 una sezione, intitolata appunto Museo , che raccoglieva brani di vari autori, alcuni dei quali erano scaltramente alterati se non addirittura inventati, o falsamente attribuiti. Dieci anni pi tardi, nel marzo del '46, Borges cominci a dirigere Los Anales de Buenos Aires, patrocinati da un istituto culturale che in qualche modo si ispirava al modello della parigina Socit, des Annales. Borges apr la rivista, un p grigia e accademica a giovani scrittori di talento quali Cortzar e Felisberto Hernndez ed egli stesso vi pubblic alcuni racconti e saggi, pi tardi raccolti nell'Aleph e in Altre inquisizioni. Fin dal primo numero a lui affidato e per tutto il 1946 la rivista ospit una sezione intitolata, ancora una volta, Museo e curata da tale B. Lynch Davis, variazione dello pseudonimo B. Surez Lynch col quale, proprio in quellanno, Borges e Bioy Casares avevano firmat Un modello per la morte. Il gioco, avviato dai due amici in Destiempo , riprendeva. pi che probabile che tra i numerosi testi pubblicati sotto nomi veri o inventati, non pochi fossero di Borges o di Bioy Casares, o di Borges e di Bioy Casares. Comunque, quand mise insieme il materiale per L'artefice, Brges ne riscatt sei (una prosa e cinque poesie), conservando tuttavia la falsa attribuzione originaria, e palesando cos il gioco menzognero che doveva averli tanto divertiti. (Un altro testo proveniente da quella rubrica, I due re e i due labirinti, era stato gi inserito, nel 1952, nella seconda edizine dellAleph). La struttura originale dellArtefice si conclude con le regret de Hraclite. Il brano In memoriam J.F.K. (dedicato a Kennedy) fu aggiunto nell'edizione del 1974 in volume unico, delle Obras Completas. La storia dell'Artefice deve per ancora corredarsi di un ' ultima notizia. Nel 1964, con la pubblicazione dellObra potica 1923-1964 la bibliografia borgesiana registra la nascita di una nuova silloge, intitolata L'altro, lo stesso, che ripropone i testi radunati fino ad allora sotto il titolo generico di Otros poemas , ne aggiunge di nuovi, scritti tra il 1960 e il '64 e, cosa che pi interessa in questa sede accoglie tutte le poesie dellArtefice, comprese quelle della sezione Museo . Conseguenza di tale operazione sar che ventinove poesie apparterranno contemporaneamente a due raccolte distinte - fino a quando, nel 1974, in occasione della pubblicazione delle Obras Completas, Laltro, lo stesso perde definitivamente i testi sottratti all'Artefice.
pag.205 ULISSE A ITACA DI TOMMASO SCARANO pag.207 Trent' anni separano L'artefice da Quaderno San Martn, la raccolta poetica che immediatamente la precede e con la quale si era concluso il decennio della militanza avanguardista di Borges. Al Quaderno aveva fatto seguito un rallentamento della produzione poetica cos vistoso (nove sole poesie scritte tra il 1930 e il 1957) da autorizzare pi di un critico a ritenere ormai esaurita la vena lirica dello scrittore, specie a fronte della copiosa attivit di narratore e di saggista che in quegli anni aveva dato opere del rilievo di Finzioni, L'Aleph, Altre inquisizioni. Quel silenzio era la nat urale conseguenza di una cr isi i cui pr imi segnali si erano manifestat i gi in piena fase ul traista e che presto si tradusse in una profonda revisione della poet ica che fino ad allora aveva or ientato la sua scr it tura. D' altra parte, come ormai ampiamente chiar ito, l' a desione di Borges alle posizioni dell ' ultraismo era stata ca ratter izzata da un at teggiamento per pi di un aspetto deviante, che era indiscut ibile segno di una r iser va di fondo e che lo aveva tenuto al r iparo da sperimentalismi eccessivi e dalle sue stesse pi radicali dichiarazioni di pr incipio. Se la decisa autocritica che pi tardi coinvolse l' intera esperienza di quel decennio (sotto le forme a volte fin troppo severe della ritrattazione e del ripudio) d la misura precisa di una frattura, il quasi abbandono del mezzo poetico la prova tangibile di una crisi ancora irrisolta: al di qua della presa d'atto dell' inadeguatezza della pag.208 concezione poetica ultraista e dello sgretolarsi dei suoi fondamenti, non sono ancora chiare strade e modalit alternative. Nell'Abbozzo di autobiografia Borges afferma che una delle principali conseguenze della cecit che lo colp sul finire degli anni Cinquanta fu quella di farlo ritornare alla poesia e di fargli abbandonare il verso libero a favore dei modelli strofici regolari. Che tra cecit e ripresa della scrittura poetica vi sia stata una relazione, innegabile (e trova conferma, per contrario, nel fatto che per un decennio, tra il 1956 e il '66, Borges non compose racconti); tuttavia quella pur significativa coincidenza non pu non apparire troppo esclusivamente esterna per dar conto fino in fondo del ritorno di Borges alla poesia, dopo una crisi cos profonda da farla pressoch tacere. Pi attendibile e pi corretto ritenere che la ripresa fu possibile perch la crisi era stata da tempo superata, anche se Borges aveva continuato a scrivere racconti e a non scrivere poesie. Quel trentennio povero di poesie fu infatti ricchissimo di riflessioni sulla poesia; e queste documentano come Borges avesse da tempo del tutto risolto la crisi postavanguardista e possedesse ormai una sua personale e diversa concezione del linguaggio poetico. I saggi di argomento retorico raccolti in Discussione, Storia dell'eternit e Altre inquisizioni, per- mettono di ricostruire con precisione il percorso evolutivo di quella approfondita e preoccupata ricerca che lo condusse a formulare un' idea di poesia lontana da ogni barocchi- smo e da ogni pretesa innovativa, e radicata invece in una tradizione classica di compostezza, di rigore, di efficacia e di essenzialit. Un' importanza tutta particolare riveste, in questa ricerca, la riflessione sulla metafora, che lo port a rovesciare completamente la concezione ultraista che l'aveva innalzata a elemento primario dell'espressione poetica e investita del compito di restituire un' immagine inedita della realt. Nelle Kenningar (Storia dell'eternit), esaminando le complesse metafore delle saghe nordiche, ne sottolinea la natura di puri esercizi verbali, menzogneri e languidi (gi qualche anno prima, in un saggio dell' Idioma degli argentini, ne aveva scoperto la fragilit e l'anima dubbiosa). Artificiosa e inefficace per Borges la metafora costruita con l' intento di svelare connessioni lontane e inattese, presuntamente nuove. In una conferenza del 1949 su Nathaniel Hawthorne (poi raccolta in Altre inquisizioni) dir: pag.209 un errore supporre che le metafore possano essere inventate. Quelle vere, che formulano intimi legami tra due immagini, sono sempre esistite; quelle che ancora possiamo inventare sono le false, che non vale la pena inventare. Concetto che rinnega l'obbligo (che gli ultraisti avevano ritenuto primario) di essere originali ad oltranza, e afferma che l' unica autentica modalit creativa consiste nel riutilizzare e nell' iscrivere quanto gi stato scritto, poich l' intera potenzialit dell' immaginazione letteraria ormai tutta esplorata e realizzata. Non solo dunque l' ultraismo, ma qualsiasi avanguardia e qualsiasi tentativo di rottura gli appare, ora, velleitario e improduttivo. Gli stessi ultraisti, come scriver nel 1937 in un saggio pubblicato su El Hogar (in Testi prigionieri), non erano stati che involontari e fatali discepoli di quel Lugones, emblema della vecchia generazione modernista, contro il quale avevano sferrato (Borges compreso) tutto il loro irriverente furore iconoclasta. Come al Pierre Menard del famoso racconto di Finzioni, all' artefice non resta che rinunciare a pretese inventive e praticare un 'arte del gi detto, una riscrittura di infinite riscritture che sola garanzia di reale originalit. Da questo approdo, che conquista di povert - come dir lui stesso - o di modesta e segreta complessit , Borges pu riprendere il suo cammino poetico. L'artefice il documento pi rilevante di tale conquista. Arte poetica, che gi il titolo inscrive entro una tradizione classicistica, esprime una concezione della poesia come infinito reimpiego di immagini e di simboli eterni. Il modo stesso in cui strutturata (sette quartine a schema abbracciato di parole-rima ritornanti anche all' interno delle singole strofe in un replicato andamento circolare) gi di per s significante (e quasi figura) del carattere essenzialmente ripetitivo della creazione poetica. La poesia / torna come laurora ed il tramonto, si legge nella quartina (non a caso) centrale del componimento. E cos le immagini di cui si servir il poeta sono quelle note, e sempre esistite , del tempo e della vita che scorrono come l' acqua di un fiume, del giorno o dell'anno come simboli delle stagioni dell' uomo, della morte come una delle forme del sogno, opposta e uguale a quell'altra forma del sogno che la veglia. La poesia come il fiume di Eraclito, che passa e resta , che sempre lo stesso e sempre un altro, perch fatta di immagini eterne, pag. 210 riprese e riutilizzate in infinite variazioni, ma sempre quelle, essenziali e povere . E il poeta non un Ulisse alla ricerca dell' ignoto, ma l' Ulisse che stanco di prodigi fa ritorno alla sua Itaca / umile e verde . Questo secondo Ulisse il Borges che, dopo la stagione dei falsi prodigi della scrittura ultraista e barocca, ha trovato nell' i deale classico lo spazio che racchiude la verde eternit della poesia. significativo che questo testo sia stato composto nel 1958, nell'anno cio che segna la grande ripresa dell'attivit poetica borgesiana. In quell'anno Borges scrive dieci poesie (otto della quali inserite nel volume Poemas 1923-1958, e due nell' Artefice), tutte in versi di metrica tradizionale: quattro sono sonetti (i primi di una ricca e importante produzione), le altre componimenti in quartine di endecasillabi rimati. L'artefice (fatti salvi i testi di Museo , che sono del 1946) contiene solo due poesie in versi liberi. L'adozione dei metri canonici e della rima (cos avversata, anni addietro, nella polemica contro Lugones) un'altra delle conseguenze di quel raggiunto ideale di compostezza formale, di equilibrio e di armonia. E non senza rilievo che L'artefice sia dedicato proprio a Lugones o, per essere precisi, al Lu- gones pi classico e latineggiante, come indica, nel brano incipitale, il significativo richiamo all' ipallage virgiliana dell' arido cammello . Di poco posteriore ad Arte poetica, Ariosto e gli arabi riprende e sviluppa (al di l dei destini intrecciati di popoli e libri) il tema della creazione letteraria come riformulazione di materiali preesistenti. La grandezza del Furioso sta nell' essere, come i poemi omerici, come le Le mille e una notte, un testo intessuto di altri testi, un sogno fatto di altri sogni: Scoria dei sogni, indefinito limo / che dal Nilo dei sogni abbandonato, / fu la materia che tess il groviglio / di questo risplendente labirinto. Il labirinto nel quale ci si pu smarrire per mbiti di musica indolente l' intrico delle fonti letterarie di cui il Furioso si sostanzia. E il suo autore assurge a simbolo del poeta che, consapevole che A nessun uomo dato di comporre / un libro - perch un libro richiede, per essere davvero tale, pi uomini e pi vite, e secoli di storia e di immaginazione -, si abbandona al piacere lento / di tornare a sognare il gi sognato e compone cos una delle pi alte e originali opere dell'Occidente. Operazione non diversa pone in atto lo stesso Borges in pag.211 La luna, Il suo lunario, che in questo esattamente opposto a quello inventivo di Lugones, un diffuso repertorio di lune altrui. Cos scorrono, riprese e come rigenerate nel nuovo contesto, le lune dei poeti : la dragon moon della ballata popolare inglese, la luna di scarlatto e sangue del sesto libro dell'Apocalisse, la luna di Pitagora, che riflette sul suo specchio il messaggio scritto su di un altro specchio, quella del sonetto quevediano in morte del duca di Osuna, e ancora le diverse lune di Apollodoro, di Ariosto, di Hugo, di Yeats, e quella che il gigantesco lupo Managarmr divorer, secondo una leggenda tramandata dall'Edda di Snorri, macchiando di sangue cielo e terra. Un lungo inventario di lune mitologiche che sono la luna intima e segreta di Borges, quella ancora pi vera e sua della luna celestiale di ogni giorno . Ma il significato di questo testo non si esaurisce in quel repertorio. Almeno altri due nuclei centrali v'anno sottolineati. Il primo costituisce, ancora una volta, una dichiarazione di poetica: dalla giovanile convinzione che il poeta fosse l' uomo / che, come il rosso Adamo in Paradiso, / impone ad ogni cosa il suo preciso / e vero e ancora sconosciuto nome , Borges giunge alla constatazione che per ricordare o figurare la luna non servono figure vane, ma basta la semplice parola luna; il secondo pone il problema della inaccessibilit della realt alla scrittura. L'apologo iniziale, che racconta della smisurata impresa di cifrare l' universo in un libro, significa il fallimento di ogni illusione o pretesa realistica della letteratura, perch su chi esercita il mestiere / di rendere in parole questa vita pesa l' ineludibile maleficio di perdere sempre l'essenziale: la luna rester quindi fatalmente al di l della letteratura, segreta e indecifrabile. Altri testi dell' Artefice rielaborano e ripropongono questo concetto. Nell' Altra tigre, la tigre vera, quella che a Sumatra o nel Bengala compie il suo rito d'amore, d'ozio e morte, resta. come la luna, al di l dei versi, nei quali solo tropo letterario, ricordo di enciclopedia, simbolo e ombra: basta infatti pronunciarne il nome perch diventi finzione d'ar te, forma di un sogno (gi nella prosa Dreamtigers, scritta molti anni prima, nel 1934, l'agognata tigre era parvenza passeggera, appartenente ormai soltanto alla realt fittizia del sogno; e sogno la letteratura, come s' visto in Ariosto e gli arabi). Ma l'obbligo etico almeno di tentare di cogliere il reale spinge Borges (deve spingere ogni artista) a continuare pag.212 l'ostinata ricerca dell'altra tigre, quella che non nel verso. Simbolo ricorrente nell'opera borgesiana, la tigre non solo espressione della vita elementare, della forza, della istint ualit (nonch della profonda nostalgia di Borges per questi valori), ma simbolo e cifra (basti pensare a La scrittura del dio dell' Aleph) della totalit dell' universo. E dunque con la tigre, resta al di l della scrittura, e inattingibile, l' intera realt. esattamente questa la rivelazione che, ormai prossimo alla morte, ha Giambattista Marino in Una rosa gialla, allorch percepisce la realt della rosa e sente che essa sta nella sua eternit e non nel pur raffinato sistema di parole attraverso cui l'aveva significata, e comprende, come gi forse avevano compreso Omero e Dante, che la letteratura non uno specchio del mondo ma una cosa in pi, aggiunta al mondo, e che possiamo menzionare o alludere ma non esprimere. Nel 1961 Borges testimonier un' identica rivelazione e concluder il Prologo della sua Antologia personale con queste parole: ora so che i miei di non mi concedono se non l'allusione o la menzione. La Parabola del palazzo pare contraddire Una rosa gialla: nella breve composizione del poeta sembra esserci davvero - con tutti i suoi oggetti, i suoi istanti, le sue dinastie di uomini, di di e di draghi - la realt totale dell' immenso palazzo, tant' che questo scompare, come assorbito in quelle parole, che, molto pi che specchio della realt, sono la realt. Ma il finale, ironico e smitizzante, riafferma che la parola dell' universo (variante dell' arduo manoscritto di quell'altra parabola con cui si apre La luna) irraggiungibile, pur se i discendenti del poeta continuano a cercarla; cosi come Borges si ostina a continuare a cercare l'altra tigre. l testi sin qui esaminati esprimono gli elementi centrali di quella riflessione sull'opera letteraria e sul mestiere di scrittore che affiorano, pi o meno frammentariamente, in tutta l'opera di Borges. Ma ancora altri testi dell' Artefice sono interni a questo mbito di discorso. Si pensi alla Parabola di Cervantes e don Chisciotte e alla sua conclusiva asserzione che al principio come alla fine della letteratura c' il mito; o a quella sorta di chiosa interpretativa a un ipotetico frammento autografo di Hamete Benengeli che Un problema; o ancora a Inferno, I, 32, che esemplifica attraverso un riferimento dantesco l' idea che la realt esiste per poter essere un libro; pag.213 o infine a Everything and Nothing, in cui Shakespeare incarna l'archetipo del destino di ogni creatore, che tutti ed nessuno, Proteo cangiante che pot esauri re tutte le apparenze dell'essere per scoprirsi, egli stesso, apparenza e nullit. Commenti pi diffusi (per quanto qui ci si pu concedere) richiedono altre poesie della raccolta. La celeberrima Poesia dei doni fra i testi che meglio testimoniano il composto rigore formale raggiunto da Borges in questi anni, nonch quel pacato e sereno tono meditativo che segner la sua poesia pi intimista. L'esperienza che sta dietro questo testo nota: nel 1955, caduto il peronismo, Borges ottiene l' incarico di dirigere la Biblioteca Nazionale, ma quell'evento coincide con un lento e inesorabile aggravarsi della malattia agli occhi che di l a qualche anno lo porter a una cecit quasi totale. questa coincidenza il tema centrale del componimento, e non la commiserazione di se stesso o la protesta contro un destino o un Dio ingenerosi. La prima quartina quasi un 'ammonizione al lettore a non stravolgere il senso autentico delle sue parole: Nessuno a lacrime riduca o accuse / questo attestato dell'alta maestria / di Dio, che con magnifica ironia / mi ha destinato insieme libri e notte. (Non meno magnifica, nel suo profondo pudore, lironia di Borges). La poesia non ha toni drammatici, ma i versi sono permeati da una delusa tristezza: Lento nella mia ombra, l'ombra vuota / vado esplorando col bastone incerto, / io che mi figuravo il Paradiso / sotto la specie di una biblioteca. Il modo di vivere (di raccontare) quella privazione non n il grido disperato dell'Omero della prosa L'artefice n la serena rassegnazione cristiana di Milton nel suo sonetto On his Blindness, certamente non estraneo alla Poesia dei doni (sotto quel titolo, Borges comporr nel 1972 un altro sonetto sulla cecit). Ma la Poesia dei doni non cita n Omero n Milton, bens il cieco Groussac che aveva preceduto Borges nella direzione della stessa Biblioteca Nazionale. E il tema della cecit e del dono inutile di una citt di libri cede a quello (di altissima ricorrenza in Borges) della ripetitivit dei destini e della confusione delle identit: sento ... / che sono l'altro, il morto, che avr dato / gli stessi passi negli stessi giorni. Al di l del nome che ci differenzia e che ci rende individui, l'anatema uno ed indiviso: Groussac o Borges o Milton o noi stessi, nella biblioteca- labirinto che questo nostro mondo incomprensibile pag.214 (si ricordi La biblioteca di Babele in Finzioni) siamo un po' tutti patetici lettori ciechi. Il senso angoscioso della replica, di un tempo che circolarmente ripete gli eventi (si pensi a La trama o a In memoriam J.F.K.) e fa del presente un riflesso fantasmatico del passato, trova nello specchio il suo simbolo pi inquietante. Anticipata dal brano in prosa Gli specchi velati, nel quale Borges racconta il suo orrore della duplicazione della realt (la follia di Julia non che un rispecchiamento di quell' inquietudine), Gli specchi coagula e fa da centro agli innumerevoli luoghi testuali in cui compare quell'oggetto insondabile, incessante, spettrale. Ci che dello specchio inquieta il sortilegio di creare uno spazio e una realt allo stesso tempo illusori e autentici, il suo statuto ibrido di verit e menzogna, di soglia che non separa ma confonde, e contagia di inconsistenza il mondo reale delle cose, rivelandolo ingannevole riflesso. Tra i simboli metafisici pi pregnanti dell'opera di Borges, lo specchio legato alla concezione idealistica della natura apparenziale, illusoria, onirica della realt, ispiratagli soprattutto, ma non solo, da Schopenhauer e Macedonio Fernndez e contaminata fin dall' inizio dalle teorie gnostiche, che sostenevano, oltre che l' illusoriet, la qualit degradata del mondo, prodotto di di incompetenti, emanazioni successive (riflessi) di un Dio immutabile e indifferente. La sesta quartina (infiniti li vedo, elementari / esecutori di un antico patto, / moltiplicare il mondo come l'atto / generativo, vigili e fatali) rinvia a un brano del Tintore mascherato Hakim di Merv (in Storia universale dell'infamia), che afferma: La terra che abitiamo un errore, un' incompetente parodia. Gli specchi e la paternit sono abominevoli, perch la moltiplicano e confermano (nonch al complesso racconto Tln, Uqbar, Orbis Tertius di Finzioni). proprio questo vano mondo incerto che, aggiungendo inconsistenza a inconsistenza, i temuti specchi di Borges estendono in una ragnatela da vertigine. Tale simbologia si coniuga, negli Specchi, con quelle, di stampo barocco, del mondo come teatro e della vita come sogno. Specchi, sogno, teatro sono cifre della nostra realt di ombre e di vani riflessi. Di un'altra illusione, quella di condurre il gioco di questo nostro sogno, metafora Gli scacchi, che la rivela comune agli uomini e agli di in un infinito rinvio di specchi verso un lontano e forse improbabile dio che sia giocatore e non pedina. pag.215 Non manca nell'Artefice un testo che tocca quello che forse il tema centrale, e certamente il pi complesso della riflessione di Borges sull'enigma dell'esistenza, il tempo. Ma L'orologio a sabbia non articola i problemi metafisici trattati in saggi quali Storia dell'eternit, Il tempo circolare, La dottrina dei cicli, Nuova confutazione del tempo; , molto pi semplicemente, una poesia sul sentimento della vita come inesorabile processo verso la morte. Gi nell' ultimo di quei saggi, Borges aveva scritto: Il nostro destino ... non spaventoso perch irreale; spaventoso perch irreversibile e di ferro. Il tempo la sostanza della quale sono fatto . Di questo destino irreversibile e di ferro simbolo la delicata / e grave (ossimoro allusivo, come la dura / ombra della meridiana, della qualit inconsistente del tempo e insieme della sua fatale concretezza) sabbia d'oro che misura, nei suoi cicli infiniti, il tempo limitato dell' uomo e quello della storia, che si fa memoria o oblio: Avverto nei minuti della sabbia / il tempo cosmico, l' intera storia / che chiude nei suoi specchi la memoria / o che il magico Lete ha ormai dissolto. Comunque, morte; la sesta quartina cita il tetro / e severo strumento che, nell' incisione di Drer, la Morte mostra al Cavaliere, e pone in primo piano i concetti dell' uomo come fortuita cosa di tempo e della vita come progressiva morte: Il rito del travaso non ha fine / e con la sabbia se ne va la vita. Diversa figurazione dello stesso sen- timento nella bellissima Limiti di Museo. I limiti sono quei gesti che l' uomo compie inconsapevolmente per l' ultima volta: chiudere una porta, percorrere una strada, leggere un verso; sono le piccole morti quotidiane di cui fatta la nostra vita, continua e inavvertita morte che ci consuma. (Una pi ampia riscrittura di questo breve e intenso componimento la poesia in quartine che, sotto lo stesso titolo, Borges scrive nel 1958 e inserisce in L'altro, lo stesso). C un brano, nell'Artefice, Le unghie, nel quale il pensiero della morte espresso con una crudezza inusitata per Borges: l' inutile e ostinata vitalit delle unghie e dei peli oltre il limite della morte il rovescio speculare delle piccole morti in vita di Limiti. Ma, di norma, il modo di dire o di alludere a quel momento definitivo soffuso di uno stupore triste e raccolto. Cos in Susana Soca, Elvira de Alvear, Delia Elena San Marco, Quartina e nel pi esteso ricordo di Alfonso Reyes di In memoriam A.R., che contiene un' idea dell'aldil come universo pi vivido e complesso della realt terrena, pag.216 come dimensione nella quale all' uomo sar, forse concesso di contemplare quegli archetipi dei quali il nostro mondo confuso e ingannevole riflesso. Il tema aprirebbe un impegnativo discorso intorno alle dubbiose e contraddittorie ipotesi di Borges sul mistero della morte e della divinit. Qui basti dire, per non travalicare lambito della raccolta, che Blind Pew, il sonetto che ricorda il bucaniere cieco dell'Isola del Tesoro, esprime una idea della morte come tesoro , come destino atteso e desiderato: te pure attende, in altre spiagge d'oro, / il tuo incorruttibile tesoro: / la vasta e vaga e necessaria morte . Questo sentimento della morte come dono destinato a ritornare pi volte in testi successivi; per citarne solo qualcuno: in Altra poesia dei doni (per il sonno e per la morte / questi due tesori segreti ), in Ecclesiaste , 1-9 ( un oscuro miracolo ci attende ), in 1964 II (Solo una cosa non gustata attendo / un regalo, un oro dentro l'ombra, / quella vergine, la morte). La prosa Il testimone coglie un altro senso della morte, il suo coinvolgere il mondo esterno all' individuo: una cosa o un numero infinito di cose, muore in ogni agonia ; e in All 'effigie di un capitano degli eserciti di Cromwell quellevento finale si coniuga col classico tema della vanit dei desideri e della gloria terreni ( Gli affanni, o capitano, sono inganni, / vano l'arnese e vano l'ostinarsi / delluomo che ha il suo termine in un giorno ). Quest' ultimo testo e Blind Pew sono rappresentativi di un cospicuo gruppo di poesie che inizia a costituirsi proprio negli anni immediatamente precedenti Lartefice e che ha per soggetto o eroi del coraggio e dellazione (dai grandi personaggi della storia ai gloriosi militari della sua famiglia o ai guappi di quartiere) oppure, pi spesso e la cosa non pu meravigliare in un autore la cui opera si nutre di cultura -, scrittori, filosofi, personaggi di opere letterarie. Ma non si pensi al tradizionale ritratto celebrativo: questi componimenti, che sembrano prediligere la forma breve del sonetto, sono riflessioni su destini, memoria ( e rispecchiamento) di frammenti di vite altrui o congettura di momenti segreti dal forte valore emblematico. Al primo tipo appartengono Allusione alla morte del colonnello Francisco Borges (1833-I874), che evoca la morte cercata del nonno paterno, e Allusione a un' ombra del milleottocentovanta e rotti, ricordo del cuchillero Juan Muraa, divenuto, nella personale mitologia di Borges, espressione del coraggio puro e gratuito pag. 217 e della sfida quotidiana alla morte. Le accomuna una nostalgia dal sapore elegiaco; i destini eroici sono quel destino mancato cui Borges alluder pi volte in testi posteriori, pi aperti all'autobiografismo e all' intimit (basti ricordare il distico finale di Sono, 1975: Sono nessuno, chi non fu una spada / in guerra. Sono eco, oblio, nulla ). Al secondo tipo vanno ricondotti A Luis de Camoens, l'autore del grande poema I Lusiadi, e A un vecchio poeta, dedicato a quel Francisco de Quevedo del quale Borges scrisse: meno un uomo che una vasta e complessa letteratura; al contrario dell'altro, il destino letterario per Borges quello di un io plurale di cui parte e con il quale si identifica. Un valore inaugurale ha anche Iniziando lo studio della grammatica anglosassone, primo documento di quella esperienza intima delle letterature germaniche antiche che sta alla base di numerose poesie ispirate all'epica e alla mitologia nordiche, anch'esse sempre segnate da un certo sentimento elegiaco. La nostalgia di Borges non investe per solo il tema del mancato destino eroico. L 'artefice contiene un gruppetto di testi che dicono il rimpianto per epoche, luoghi o persone che non sono pi, ma che la memoria ( questa moneta che non mai la stessa , come recita il verso di una poesia di Elogio dell'ombra) restituisce di tanto in tanto. E cos nella Pioggia affiorano i neri grappoli di un certo patio / che non esiste pi , e in Adrogu tutto il mondo di polvere e gelsomini della sua infanzia; e perfino l'Ode composta nel 1960 per celebrare la patria si trasforma in un lungo elenco di cose perdute. Ma nel distico Le regret d'Hraclite, che chiude, come un epitaffio, questo libro, che il sentimento della perdita e dell'assenza assume una dimensione totalizzante: Io che tanti uomini son stato non sono stato mai / l' uomo nel cui abbraccio illanguidiva Matilde Urbach - versi che solo una lettura superficiale pu ridurre al tema dell'amore mancato. Libro-della plenitudine poetica di Borges , come ha scritto Roberto Paoli, L'artefice costituisce il pi ragguardevole insieme che ci abbia dato la vena intima, congiunta a quella metafisica dello scrittore . E davvero, di questa sorta di zibaldone raccogliticcio e disordinato, magnifica metafora la parabola con cui si conclude l'Epilogo: Un uomo si propone di disegnare il mondo. Nel corso degli anni popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, pag.218 di baie, di vascelli, di isole, di pesci, di case, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l' immagi ne del suo volto . fine lettura FINITO DI STAMPARE NEL NOVEMBRE 1999 DALLA TECHNO MEDIA REFERENCE S.R.L. - MILANO Printed in Ital y BIBLIOTECA ADELPHI ULTIMI VOLUMI PUBBLICATI: 300. Silvio D'Arzo, All'insegna del Buon Corsiero (2 ediz.) 301. Tommaso Landolfi, Racconto d'autunno 302. Serena Vitale, Il bottone di Puskin (3 edi z.) 303. Palinuro, La tomba inquieta 304. Flann O'Brien, L'archivio di Dalkey 305. Oliver Sacks, Un antropologo su Marte 306. Madame de Staal-Delaunay, Memorie 307. E.M. Cioran, La caduta nel tempo (4 ediz.) 30S. Giorgio Manganelli, Centuria (2 ediz.) 309. Richard Cobb, Tour de France 310. Apollodoro, Biblioteca 311. Rudolf Borchardt, L'amante indegno (2 ediz.) 312. Georges Simenon, La morte di Belle (5a ediz.) 313. Joseph Roth, Museo delle cere 314. Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei, I 315. MIario Praz. La casa della vita (3 ediz.) 316. Evelvvn Waugh, Quando viaggiare era un piacere (3 edi z.) 317. La grande razzia [Tin B Cailnge) 318. T.E. Lawrence, Lo stampo 319. Adrien Baillet, Vita di Monsieur Descartes 320. .Alberto Arbasino, L'Anonimo lombardo 321. Bruce Chatwi n, Anatomia dell'irrequietezza (8a edi z.) 322. Georges Simenon, Turista da banane (4a ediz.) 323. Eliano, Storie varie 324. Arthur Schnitzler, La Piccola commedia 325. Roberto Calasso, Ka 326. Giorgio Manganelli, La notte 327. Vladimir Nabokov, Re, donna, fante 328. E.M. Cioran, Sommario di decomposizione (2a ediz.) 329. Andrej Platonov, Mosca felice 330, Elias Canetti, La raPidit dello sPirito (2a ediz.) 331. Iosif Brodskij, Poesie italiane 332. la Cena segreta. Trattati e rituali catari, a cura di F. Zambon (2a edi z.) 333. Ni na Berberova, Dove non si parla d'amore 334 Vladislav Venura, Il cavalier bandito e la sposa del cielo 335, Thomas Mann, Considerazioni di un impolitico (2a ediz.) 336, Oliv'er Sacks, L'isola dei senza colore (2a edi z.) 337. Leo Frobeni us, Fiabe del Kordofan 338. Georges Simenon, Ifantasmi del cappellaio (5a ediz.) 339. Jean Genet, Il funambolo 340. Bert Holldobler - Edward O. Wilson, Formiche 341. Robert McAImon, Vita da geni 342, James Hillman, Il codice dell'anima (9a ediz.) 343. Ernst Junger, Foglie e Pietre 344. Novalis, Enrico di Ofterdingen 345. W.H. Auden, Un altro tempo 346. Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei, II 347. Jorge Luis Borges, Storia dell'eternit 348. Jorge Luis Borges, Storia universale dell'infamia 349. Nonno di Panopoli, Le Dionisiache, I 350. Groucho Marx, Groucho e io 351. Tommaso Landolfi, Rien va 352. Cristina Campo, Sotto falso nome (2a ediz.) 353. Benjamin Constant, La mia vita (Il quaderno rosso) 354. Giorgio Manganelli, Dall'inferno 355. Gottfried Benn, Romanzo del fenotipo 356. Leonardo Sciascia, Cruciverba 357. Wislawa Szymborska, Vista con granello di sabbia (2 ediz.) 358. Sndor Mrai, Le braci (19a edi z.) 359. La nube della non conoscenza, a cura di Piero Boitani (2 ediz.) 360. Georges Simenon, Tre camere a Manhattan (9 edi z.) 361. Vladimir Nabokov, Pnin 362. Jorge Luis Borges, Testi prigionieri 363. Iosif Brodskij, Dolore e ragione 364. E.M. Cioran, Al culmine della disperazione 365. Milos Crnjanski, Migrazioni, Il 366. Jorge Luis Borges, L'Aleph (2 ediz.) 367. Sylvia Plath, Diari (2 ediz.) 368. W.H. Auden, La mano del tintore 369. C.S. Lewis, Quell'ornibile forza 370. V.S. Naipaul, Un'area di tenebra 371. Nonno di Panopoli, Le Dionisiache, II 372. William Faulkner, Le palme selvagge 373. Sndor Mrai, L'eredit di Eszter (8a edi z.) 374. Jorge Luis Borges, Il manoscritto di Brodie 375. Marcel Jouhandeau, Cronache maritali 376. Georges Simenon, Il viaggiatore del giorno dei Morti (4 edi z.) 377. Tommaso Landolfi, LA BIERE DU PECHEUR 378. Ivy Compton-Burnett, Un'eredit e la sua storia 379. Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei, 111 380. Pistis Sophia, a cura di Luigi Moraldi 381. Cristina Campo, Lettere a Mita Altri dati DELLO STESSO AUTORE: Il manoscritto di Brodie L'Aleph Storia dell 'eternit Storia universale dell'infamia Testi prigionieri TITOLO ORIGINALE: El hacedor Le opere di Jorge Luis Borges escono sotto la direzione di Antonio Melis, Fabio Rodrguez Amaya e Tommaso Scarano. @ 1996 MARIA KODAMA @ 1999 ADELPHI EDIZlONI S.P.A. MIILANO ISBN 88-459-1507-7 Le opere di Borges sono in corso di pubblicazione presso Adelphi: sono finora apparsi Storia universale dell'infamia (1997), Storia dell'eternit (1997), Testi prigionieri (1998), L'Aleph (1998) e il manoscritto di Brodie (1999). In copertina: Miniatura tratta da un codice dell'Aurora consurgens (tardo XIV sec.). Zentralbibliothek, Zurigo. FINITO DI STAMPARE NEL NOVEMBRE 1999 DALLA TECHNO MEDIA REFERENCE S.R.L. MILANO