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Béla Balázs, Il film. Evoluzione ed essenza di un’arte nuova, Torino, Einaudi, 1987 (prima
edizione, 1952), pagg. 231 e 207-208.
cinema di animazione. Ne Il film in realtà l’argomento viene affrontato, sui
versanti sia della produzione corrente che di quella più decentrata, d’essai
diremmo oggi, ma Balázs si rivela stranamente frettoloso; e liquida la prima
confinandola nell’ambito più generale del comico, pur riconoscendo il fatto
– del resto inequivocabile – che il sonoro “ha aperto nuove vie al disegno
animato e ha favorito la creazione di una eccezionale forma d’arte di
carattere musicale” e individuando in Walt Disney il maestro di questa
nuova arte; la seconda quasi come una specie di trastullo per artisti annoiati,
dediti alla crezione di “divertimenti formali” che rivelerebbero la propria
infondatezza artistica in soluzioni “estremamente precise e inconfutabili” - e
qui Balázs sta parlando del cinema astratto muto - alle quali tuttavia il
contributo della musica può regalare l’opportunità di giungere a risultati di
“eccezionale valore estetico” in ogni caso non molto più che decorativo 2
(noterei che qui Balázs, riferendosi a queste opportunità in termini di “arte
di carattere musicale”, sembra quasi regredire dal suo stesso pensiero sulla
ricchezza e versatilità del materiale sonoro in senso più ampio: e in effetti
quando cita Disney è molto probabile che egli stia pensando in particolare a
Fantasia, i cui risultati estetici furono sicuramente eccezionali, ma proprio
sul piano di quelle “soluzioni estremamente precise e inconfutabili” che nel
caso del cinema astratto sarebbero state indizio di scarso valore artistico: va
beh).
Invece il cinema di animazione, sia quello più “mainstream” che quello
di ricerca, stava esprimendo da tempo vivacissime indagini sul sonoro, e in
modo particolare sui rapporti e sull’integrazione tra suono e immagine,
anche se da prospettive differenti (e tuttavia non poi tanto lontane). Il
rapporto tra suono e immagini e la loro integrazione in funzione espressiva
aveva trovato nei cortometraggi di animazione, come le Silly Symphonies di
Disney, un banco di prova straordinario: qui la musica entra in perfetta
osmosi con suoni e rumori di ogni tipo e con le voci fino a costituire un tutto
organico che poi, a sua volta, gioca in ulteriore risonanza con le immagini,
dosate al ritmo del suono; l’intero corpus sonoro (le cui modalità di
costruzione verranno non a caso denominate mickey mousing: uno dei
“testi” di base di questo modus operandi è infatti Steamboat Willie -1928,
passato alla storia come primo disegno animato sonoro, con protagonista un
primordiale Mickey Mouse; e pare che il termine, poi entrato ufficialmente
nel gergo cinematografico e musicologico, sia stato suggerito da Sergej
Ejzenštejn, fan di Disney al punto da dedicargli un noto e bellissimo
saggio3) e le immagini sullo schermo sono in definitiva la conseguenza
2
Béla Balázs, idem, pagg. 204-206 e 194-195. Del resto Balázs fu tentato di spiegare il
fenomeno dell’avanguardia nel cinema con ragioni d’ordine sociologico più che estetico,
scorgendovi un “soggettivismo disperato, forma evidente di fuga ideologica dalla realtà”,
pag. 188.
3
In realtà si tratta di una serie di appunti redatti, secondo alcune ricostruzioni storiche, fra il
1940 e il 1941, e che avrebbero dovuto costituirsi in saggio per un libro poi rimasto
incompiuto. Il regista russo aveva visitato gli studi Disney nel 1930, nel corso di una
dell’orchestrazione di un’unica partitura sonoro-visiva. Una prassi di
bruitage sonoro che Disney tenderà in gran parte ad abbandonare quando
vorrà dare al cinema di animazione la dignità – soprattutto commerciale -
del cinema dal vero investendo nel lungometraggio, e allora la colonna
sonora finirà per rispondere alle stesse funzioni, appunto del cinema dal
vero, e a ricadere in quella mediocrità denunciata da Balazs (a parte il citato
caso di Fantasia, film com’è noto fatto di episodi studiati per “visualizzare”
celebri brani di musica classica, diversi dei quali non seguono una
narrazione vera e propria). La sperimentazione nel corto tuttavia proseguirà,
e sarà fra altri soprattutto Carl W. Stalling, che alla Disney si era fatto le
ossa, a esploderla in una creatività formidabile componendo oltre 600
soundtracks per le Merry Melodies e per le Looney Tunes alla Warner Bros:
qui metterà a frutto una solidissima conoscenza musicale (proveniente dal
suo lavoro come pianista di sala ai tempi del muto) e soprattutto una geniale
irriverenza mimetico-citazionistica che anticipa di sessant’anni le tecniche
di cut’n’paste e di remix che oggi ascoltiamo praticate ovunque, da
funamboli musicali quali John Zorn o Dj Spooky così come dai più innocui
creatori di jingles pubblicitari.4
Per quanto concerne invece il cinema di ricerca (la difficoltà di trovare
una definizione sensata non sembri artificiosa, poiché come abbiamo appena
visto spirito di ricerca e di sperimentazione ce n’era anche nella produzione
per il pubblico di massa; ad ogni modo il termine “ricerca” a me sembra
quello più ragionevole), bisogna fare un discorso un po’ più articolato, pur
nella sintesi di uno scritto come questo. Qui il punto di partenza non può che
essere il mondo delle avanguardie storiche di primo Novecento; le quali già
prese nel vortice della decostruzione percettiva, prospettica, spaziale,
figurativa del visibile inaugurata dall’Impressionismo e poi da esse stesse -
Cubismo, Futurismo, Astrattismo, Dada – accelerata, furono sospinte
proprio dalla nuova musa verso ulteriori sconfinamenti della visione e della
percezione. I Futuristi, che già cercavano di mostrare il dinamismo e la
velocità nella pittura, non potevano che scorgere nel cinematografo una
potenzialità al cubo per i loro obiettivi, anzi addirittura “il mezzo di
espressione più adatto alla plurisensibilità di un artista futurista”, e
sfortunata spedizione di lavoro a Hollywood. Cfr. Sergej M. Ejzenštejn, Walt Disney (a
cura di Sergio Pomati), Milano, SE, 2004. D’altra parte tutto il pensiero teorico del maestro
russo, a muovere dall’irripetibilità della sintesi artistica ottenuta nella tragedia Greca e solo
in parte ritrovata da Wagner nella sua idea di Gesamtkunstwerk, considera il rapporto fra le
immagini e la musica (e il suono), un elemento fondante per recuperare nel cinema quella
sintesi.
4
Ha scritto John Zorn per le note di copertina di un’antologia delle musiche di Stalling per
la WB: “Separando la musica dalle immagini per le quali doveva servire da supporto,
diventa chiaro che Stalling fu uno dei più rivoluzionari visionari della musica americana,
specialmente nella sua concezione del tempo”. Cfr. Giuseppe Valenzise, “Rivoluzionario
visionario. Carl W. Stalling, un Maestro per la Warner Bros”, in Giannalberto Bendazzi,
Manuele Cecconello, Guido Michelone, Coloriture. Voci, rumori, musiche nel cinema
d’animazione, Bologna, Edizioni Pendragon, 1995, pag. 164.
progetteranno fra l’altro “ricerche musicali cinematografate (dissonanze,
accordi, sinfonie di gesti, fatti, colori, linee, ecc.)” ed “equivalenze lineari
plastiche, cromatiche, ecc., di uomini, donne, avvenimenti, pensieri,
musiche, sentimenti, pesi, odori, rumori cinematografati”.5 Il pittore russo
Léopold Survage creò fra il 1912 e il 1916 una serie di quadri di matrice
cubista, Ritmi colorati, con l’intento di trarne un film astratto in cui forme e
colori concorressero all’accentuazione del dinamismo, non in chiave di
semplice illustrazione o interpretazione di brani musicali, ma come un’arte
autonoma anche se fondata sugli stessi dati psicologici della musica (nel
2005 l’artista statunitense Bruce Checefsky ha concretizzato in minima
parte il sogno di Survage animando in digitale una piccolissima sequenza di
dipinti che, ripetuta alcune volte, dà come risultato un film di circa tre
minuti). Per il suo poema sinfonico Prometeo (1910), Aleksandr Skrjabin
prevedette di utilizzare una speciale tastiera basata sulle associazioni fra
suoni e colori (inventata da Alexander Wallace Rimington nel 1895 – l’anno
del cinematografo dei Lumière … ; ma c’erano stati dei precedenti come un
organo a colori brevettato già nel 1877) per dare vita a “una sinfonia
cromatica” nella quale ad ogni tipo di suono corrispondesse un colore e ad
ogni modulazione armonica una modulazione cromatica. Nelle pagine di
Der Blau Reiter, il celeberrimo almanacco pubblicato a Monaco di Baviera
nel 1910 da Wassily Kandinsky e Franz Marc, oltre ad un commento su
quest’opera di Skrjabin c’era una “composizione scenica” dello stesso
Kandisky, Il suono giallo: qui il grande artista russo cercava di riscattare
l’arte dalla “specializzazione” - nello specifico l’arte teatrale, smembrata “in
tre gruppi di opere sceniche, separati l’uno dall’altro da alte mura: a)
dramma, b) opera, c) balletto” – spostando il baricentro della creazione, e lo
svolgimento del dramma, dal piano esteriore all’interiorità dello spettatore,
al complesso delle sue “vibrazioni dell’anima”; i cardini di tale spostamento
furono ravvisati nel “suono musicale e il suo movimento, il suono fisico-
psichico e il suo movimento espresso per mezzo di figure umane e di
oggetti, il tono cromatico e il suo movimento”. 6 Nei titoli delle sue opere (e
nelle lezioni che tenne presso la scuola del Bauhaus negli anni Venti), Paul
Klee attinse spesso al lessico musicale, e com’è noto era anche musicista;
egli non tentò mai tuttavia di stabilire dei rigidi parallelismi fra il mondo dei
suoni e quello delle immagini, di “tradurre” graficamente la musica, bensì
come ha spiegato molto bene Pierre Boulez, di trasferirne le ricchezze, di
studiarne e trasporne le strutture in un’altra forma espressiva.7
5
“La cinematografia futurista”: F.T. Marinetti, Bruno Corra, E. Settimelli, Arnaldo Ginna,
G. Balla, Remo Chiti; L’Italia Futurista, 11 settembre 1916, in I futuristi (a cura di
Francesco Grisi), Roma, Newton Compton, 1994, pagg. 79-86 (corsivi nel testo originale).
6
Cfr. Wassily Kandinsky, Franz Marc, Il Cavaliere Azzurro, Milano, SE, 1988; pagg. 97-
113 per il commento sul Prometeo di A. Skrjabin, pagg. 159-191 per le note di Kandisky
Sulla composizione scenica e il copione di Il suono giallo.
7
Cfr. Pierre Boulez, Il paese fertile. Paul Klee e la musica (a cura di Paule Thévenin),
Milano, Absondita, 2004, pag. 37.
Qualche esempio per dimostrare come nei primi anni del XX secolo le
arti cercassero di comunicare fra di loro, sulla scia della lezione wagneriana,
a un livello che oggi definiamo abitudinariamente “multimediale”, ma che
sarebbe molto più giusto chiamare “intermediale” (recuperando un termine
caro a Fluxus): poiché non di molteplicità, di sovrapposizione, e neppure di
pura e semplice integrazione si parla, ma di relazioni, correlazioni articolate,
e di situazioni di indecidibilità fra limiti spaziali e temporali. Qui si innesta
il cinema ed inizia un’avventura verso un territorio vergine che potremmo
collocare, un po’ a grandi linee ma per capirci, nel quadro di una questione
di visualizzazione del suono, o per dirla altrimenti di musica visiva. La
figura astratta, fatta viva sulla pellicola, appare come la candidata ideale per
il ruolo di ambasciatrice di questa nuova frontiera dell’arte: la pittura si
anima e, raccogliendo idealmente una serie di suggestioni che dall’intuito di
Leonardo Da Vinci su poesia e pittura che “hanno scambiati i sensi” agli
studi di Ernst Chladni sulla morfogenetica delle onde sonore arrivano alle
Voyelles di Rimbaud8, cerca di risolvere i problemi affrontati come abbiamo
accennato più sopra dalle avanguardie.
Il primo artista “imprestato” dalla pittura al disegno animato astratto sarà
Viking Eggeling, svedese ma attivo in Germania, che fra il 1917 ed il 1924
lavora a un progetto che darà come risultato ultimo (e purtroppo unico:
verrà proiettato insieme ad altri film sperimentali nel 1925, pochi giorni
dopo la scomparsa dell’autore) Diagonal Symphony, considerato come il
primo capolavoro della animazione astratta. Anche se a dire la verità più o
meno in quegli stessi anni altri due tedeschi, Hans Richter (che fu tra i
fondatori di Dada) e Walter Ruttmann, licenziano i loro Rhytmus - Richter -
i loro Opus - Ruttmann. Non sarà superfluo notare che il primo aveva preso
lezioni di contrappunto da Ferruccio Busoni, e che il secondo oltre che
architettura e belle arti aveva studiato violoncello: perché della musica
questi esperimenti di cinema, che è ancora muto, posseggono diverse
qualità. Il ritmo, prima di tutto, il che è talmente ovvio che sembra quasi
puerile sottolinearlo; ma anche qualcosa che potremmo definire armonia e
qualcos altro che potremmo definire contrappunto, perché le figure sono
orchestrate (il verbo “orchestrare” lo adoperò Richter per i suoi lavori) nello
spazio secondo concatenazioni, intersezioni, accordi; e potremmo azzardare
a trovarvi perfino un certo “cromatismo”, cromatismo in senso musicale,
ovvero alterazione dei rapporti di valore all’interno di una scala determinata.
8
Negli appunti che poi verranno denominati Trattato della pittura (1480-1516), Leonardo
affrontò con particolare acume le relazioni reciproche fra parola, immagine, suono, poesia.
Il fisico tedesco Ernst Chladni (1756-1827) sperimentò un metodo per dimostrare i vari
modi di vibrare di una superficie meccanica di forma regolare od irregolare: facendo
vibrare con un archetto di violino lastre di vetro ricoperte di sabbia finissima, questa si
allontana dalle zone di maggior vibrazione e si accumula progressivamente nei punti della
superficie in cui la vibrazione è nulla, dando vita a curiose figure tuttora denominate “figure
di Chladni. Nel suo celeberrimo sonetto sulle vocali Arthur Rimbaud costruì un intreccio di
sinestesie che vale ancora come lezione per chiunque voglia mettersi a scrivere versi.
Ricorderei en passant che Ruttmann negli anni successivi si dedicherà a
girare sinfonie di immagini mute, come Berlin – Die Sinfonie Der Grosstadt
(1927, una specie di documentario poetico sulla città e i suoi ritmi) così
come a comporre film sonori senza immagini, costituiti soltanto da un
montaggio di rumori (Weekend, 1928, qualcosa di non molto dissimile dalle
sintesi radiofoniche di F.T. Marinetti). All’inizio abbiamo riportato il parere
di Béla Balázs sulle possibilità creative offerte al cinema dal sonoro: le
aveva capite prima di lui Laszlo Moholy-Nagy, pittore e fotografo presso il
Bauhaus, indicando anch’egli come il cinema avrebbe dovuto usarle:
simultaneità acustiche in corrispondenza di simultaneità ottiche, primi piani
acustici, rallentati e accelerati, sovrapposizioni, contrazioni, manipolazioni
del montaggio sonoro. E agli inizi degli anni Trenta lo troviamo infatti a
lavorare sul “suono ottico”, ovvero la tecnica che consente di imprimere la
traccia audio di un film sulla pellicola (tra i fotogrammi e la perforazione),
insieme ad alcuni colleghi tra i quali Oskar Fischinger. Fischinger è un
nome importante, sia perché le sue opere, pur nell’ambito di una ricerca
centrata sullo specifico filmico, su ipotesi di “film assoluti”, sulla qualità
espressiva del disegno astratto, “rappresentano il primo serio e geniale
approccio alla visualizzazione della musica” 9; sia perché, quando sarà
costretto ad andarsene dalla Germania poiché “artista degenerato” in base ai
canoni culturali nazisti, si ritroverà negli USA ad essere un vero e proprio
medium fra l’esperienza europea del cinema astratto e quella
dell’animazione d’oltreoceano; collaborando fra l’altro con Disney per il
primo episodio di Fantasia, ispirato alla Toccata e Fuga in Re minore di
J.S. Bach (ma in una trascrizione per orchestra di Leopold Stokowski); una
scelta coraggiosa da parte di Disney, ma molto deludente per Fischinger, le
cui proposte per il film saranno edulcorate affinché le forme astratte possano
evocare oggetti reali (archetti, ponti e corde di violino) e semplificate in
termini di rapporto con la musica (alla fine il risultato non è nulla di più che
una gradevole, innocua coreografia).
La fecondità di queste sperimentazioni non mancherà di farsi notare negli
anni a venire: due nomi su tutti, Len Lye e Norman McLaren, paladini del
cinema concreto, ovvero realizzato senza cinepresa e agendo direttamente
sulla pellicola. Len Lye, neozelandese ma attivo soprattutto a Londra, sarà il
primo a ripercorrere (o forse a ri-immaginare) le intuizioni Futuriste sulla
cinepittura10 e a dettare le tavole delle legge per quest’arte di “controllare il
9
Un’arte del movimento. Le collezioni cinematografiche del Centre Pompidou dalle
avanguardie storiche all’underground americano (a cura di Philippe-Alain Michaud).
Cineteca, ottobre 2004, speciale, Bologna, Ente Mostra Internazionale del Cinema Libero,
2004, pag. 54
10
Tra il 1910 e il 1912 Ginna e Corra (ossia i fratelli ravennati Arnaldo e Bruno Ginanni
Corradini) realizzarono alcuni cortrometraggi astratti, utilizzando il colore direttamente
sulla pellicola non trattata (le opere andarono distrutte durante la seconda guerra mondiale).
Ginna e Corra, prima di questi esperimenti di “cinepittura”, avevano realizzato un loro
“pianoforte cromatico” dotato di una tastiera con 28 tasti corrispondenti ciascuno ad un
movimento in vista della sua composizione”, secondo le sue proprie parole:
A Colour Cry (1935) è ritenuto da Gianni Rondolino “il testo fondamentale
del cinema senza cinecamera”, mentre il suo ultimo film, Tal Farlow
(iniziato già negli anni Cinquanta, ma uscito postumo nel 1981), rappresenta
la sintesi ideale di un’arte nella quale “ciò che conta è un’intesa subitanea,
una stima reciproca e una resa generale in un lavoro dove nessuno dei due
linguaggi [immagini e musica, n.d.r.] deve prevalere sull’altro, pur
mantenendo, sempre, ciascuno di essi la propria autenticità espressiva”.11
Norman McLaren era invece scozzese e andò a finire in Canada, dove fu tra
le eminenze grige del National Film Board, un’istituzione che anche grazie a
lui diverrà nel tempo un centro di eccellenza nell’ambito del cinema
d’animazione sperimentale, o anche soltanto di qualità (a lui fu infatti
affidato all’interno del NFB un dipartimento specifico per l’animazione dal
suo connazionale, produttore e teorico dl cinema, John Grierson, col quale
del resto era già in rapporti di collaborazione - come, guardo caso, Len
Lye). McLaren ha usato nel corso della sua carriera diverse tecniche, ma
non c’è dubbio che alcuni dei suoi lavori più belli ed importanti siano legati
al disegno diretto su pellicola: fra l’altro già nel 1939 aveva composto una
colonna sonora incisavi direttamente secondo i dettami del suono ottico e
soprattutto secondo l’idea di poter davvero mostrare su uno schermo
cinematografico la corrispondenza diretta fra un segno e un suono. Del resto
è a proposito del suo Begone Dull Care (1949) che lo studioso André Martin
ha usato l’espressione “occhi che sentono e orecchie che vedono”, da noi
adottata come sottotitolo per questa rassegna. L’influenza del NFB sarà
molto forte: qualcuno parlerà di una vera e propria “scuola canadese”, forse
esagerando un po’ (bisogna piuttosto ricordare che dai suoi studi passeranno
molti grandi artisti di tutto il mondo, da Aleksandr Alexeieff col suo celebre
schermo di spilli a Lotte Reiniger con le amate silhouette, a Carolyn Leaf
con l’animazione di sabbia; cioè lasciando ciascuno una traccia del proprio
modo di lavorare); comunque sia quel modo di produrre film d’animazione
continuerà, e continua tutt’ora, a far proseliti. Nella nostra filmografia c’è il
caso di Stan Brakhage, un’icona del cinema underground statunitense, anche
lui operativo su diversi fronti, ma che con la tecnica della pittura diretta su
degli ultimi vent’anni, hanno dimostrato che, al di là dell’efficacia o meno di certe scoperte,
“è possibile riconoscere un humus e un giacimento di segni e simboli che hanno contribuito
ad alimentare l’imaginario di milioni di persone introducendole a quella concezione di
spettacolo che il cinema ha poi saputo raccogliere magistralmente” (Gian Piero Brunetta, Il
viaggio dell’icononauta dalla camera oscura di Leonardo alla luce dei Lumière, Venezia,
Marsilio, 1997).
18
Le parole fra virgolette di Brakhage sono riportate in Metafore della visione, cit., pagg.
23-24. Il titolo di questo volume, non a caso, è lo stesso di un libro di Brakhage, l’unico che
sia stato pubblicato in Italia (Feltrinelli, 1970).
cinema tanto attento alla cura del suono sia un appassionato collezionista di
lanterne magiche e giocattoli ottici, può significare qualcosa?
Bibliografia.
Filmografia
Rhytmus 21
1921, b/n, ca 3’20’’, muto
Opus III
1924, col., ca 3’54’’, muto
Opus IV
1925, col., ca 4’20’’, muto
Studie n. 7
1930, b/n, ca 2’30’’, sonoro
A Colour Box
1935, col., ca 2’55’’, sonoro
Free Radicals
1958-1979, b/n, ca 4’10’’, sonoro
Tal Farlow
Anni ’50-1981, b/n, ca. 2’20’’, sonoro (postumo)
Film n. 4 – Studio 40
1940, col., ca 4’20’’, muto
Blinkity Blank
1957, col., ca 5’15’’, sonoro
Yantra
1957, col., ca 6’30’’, sonoro
Permutations
1966, col., ca 7’30’’, sonoro
Punto e contrappunto
1960, col., ca 4’30’’, sonoro
69
1968, col., ca 4’30’’, sonoro
70
1970, col., ca 4’30’’, sonoro
Prelude # 1
1995, col., ca 2’53’’, muto
Prelude # 10
1995, col., ca 2’35’’, muto