Sei sulla pagina 1di 17

Un esempio di trasposizione didattica per la storia del Novecen-

to: gli Ebrei fino al XX secolo

Maila Pentucci

Introduzione

Nel percorso storico insegnato a scuola e nella sua trasposizione da manua-


le, il popolo ebraico viene menzionato a più riprese, ma sempre in maniera
occasionale e senza una reale prospettiva storica.
In realtà gli ebrei attraversano la storia generale mondiale con continui-
tà: proprio la dimensione a-territoriale di questo popolo, evidenziata dalla
diaspora, ma già presente fin dal periodo antico (quello grosso modo cor-
rispondente alle vicende bibliche), fa sì che essi nel corso dei secoli attra-
versino la storia di altri popoli incrociando momenti-chiave della storia
mondiale.
Una ricostruzione storica solida e coerente potrebbe contribuire a legge-
re alcune caratteristiche che connotano il popolo ebraico: gli intrecci tra
identità etnica, religiosa, geografica, culturale, per esempio, ne fanno un
interessante modello per analizzare il concetto di popolo e quello di na-
zione. Inoltre, si tratta di un popolo in movimento: le vicende degli ebrei
dall’epoca antica a quella contemporanea si prestano a leggere la storia degli
uomini come una storia di mobilità e di cammino.
Proporre un repertorio sulla storia generale degli ebrei dalle origini al ven-
tesimo secolo ha una doppia motivazione: da un lato viene incontro a una
esigenza didattica riconosciuta, legata al processo di trasposizione. Il do-
cente, infatti, nel momento in cui si trova a selezionare, didattizzare e li-
nearizzare i contenuti storici nella sua progettazione, deve avvicinarsi al
sapere sapiente, dominarlo e interpretarlo e, quindi, trasformarlo in sapere
da insegnare per i suoi studenti senza incorrere in eccessive banalizzazioni e
semplificazioni. Repertori ragionati già pronti possono facilitare tale opera-
zione complessa e non banale, consentendo nello stesso tempo di accedere

208
ad un sapere sapiente già sistematizzato, più agevole da maneggiare e da
trasporre ed evitando così di affidarsi esclusivamente ai manuali scolastici e,
quindi, alle scelte didattiche e traspositive operate da altri (Pentucci, 2018)
non a conoscenza del contesto della classe.
D’altro canto, la scelta del tema è legata anche ad una motivazione civile:
in tempi bui, come quelli odierni, in cui rigurgiti di antisemitismo si ripre-
sentano non solo in nicchie deviate della società, ma anche nell’opinione
pubblica generale, in alcuni ambienti politici, nella comunicazione, ci sem-
bra opportuno proporre un approfondimento documentato della storia del
popolo ebraico, nella convinzione che la conoscenza sia sempre un antidoto
al pregiudizio e alla discriminazione nei confronti dell’altro.
La storia degli ebrei è ovviamente molto lunga e particolarmente comples-
sa, proprio perché connessa con le vicende di molti altri popoli e situata in
terre differenti. Lo storico tedesco Michael Brenner così la approccia nel
suo fondamentale testo «Breve storia degli ebrei» (2009), edito in Italia per
Donzelli:

Raccontare la storia degli ebrei non è semplice, perché quasi ovunque nel
mondo non solo si sa qualcosa degli ebrei, ma spesso se ne ha un’opinione
ben definita. Per un gruppo che non ha mai rappresentato più dell’1%
della popolazione mondiale ciò può essere considerato un onore. Ma per
lo storico è difficile mantenere il giusto distacco se si parla degli ebrei come
del popolo di Dio o come del popolo deicida, quando si evoca l’intelletto
ebraico o si attacca l’ebraismo finanziario internazionale, quando Israele
è considerato il baluardo della civiltà all’interno della barbarie o condan-
nato invece quale regime brutale in mezzo a un mondo di pace e serenità.

Per tale motivo, più che di una ricostruzione esaustiva delle vicende e delle
peculiarità del popolo ebraico, demandate alla bibliografia, sembra oppor-
tuno trattare il tema secondo due prospettive, fortemente interrelate: da un
lato capire come, nella prassi didattica, questo nucleo storico venga nor-
malmente trattato e inserito nei percorsi di insegnamento-apprendimento
per cercare di offrire alcuni spunti che possano avviare verso una traspo-
sizione didattica più efficace, attraverso letture transcalari delle questioni

209
più importanti; dall’altro si tenterà non di raccontare, ma di compiere at-
traversamenti multipli della storia degli ebrei e proporre alcune chiavi di
lettura derivanti da linee storiografiche che di volta in volta hanno preso
in carico alcuni degli aspetti connotanti l’identità di questa civiltà, aspetti
rintracciabili longitudinalmente nel corso delle vicende storiche che l’han-
no interessata.

Le vicende del popolo ebraico a scuola

L’esplorazione epistemologica si connette alla prospettiva didattica: le lo-


giche che guidano l’analisi e la ripresa di alcuni temi approfonditi dalla
letteratura storica internazionale possono diventare anche fondanti nel mo-
mento in cui il docente si trovi a compiere scelte per inserire le vicende del
popolo ebraico nel curricolo generale di storia.
L’aspetto più evidente della storia generale degli ebrei è che essa si configura
come una storia di relazioni: il popolo ebraico, nella dimensione a-territo-
riale che ne ha caratterizzato quasi tutto lo svolgimento, nel corso dei secoli
si trova più volte ad attraversare e a intrecciarsi con la storia di altri popoli.
Ciò consente aperture su momenti chiave relativi alla storia mondiale, in
particolare per comprendere le logiche transnazionali proprie della storia
globale.
Gli ebrei, dunque, sono un popolo in movimento: per questo le loro vicen-
de, dall’epoca antica a quella contemporanea, si prestano a leggere tutta la
storia degli uomini come una storia caratterizzata dalla mobilità, sia essa
una scelta, un bisogno, una coercizione, costruendo legami con il presente
e proponendo la prospettiva dell’homo migrans (Damiano, 2005).
Tali approcci richiedono evidentemente una lettura didattica in chiave di
global history (Conrad, 2016): mobilità, transnazionalità, superamento dei
confini territoriali, identità non connesse esclusivamente alla terra d’origi-
ne hanno come spazio di riferimento il mondo e come processo cognitivo
predominante la transcalarità, ovvero la capacità di analizzare i fatti con
prospettive multiple, che connettono dimensioni locali e dimensioni glo-
bali, le confrontano e le alternano.

210
Se questo è il «dover essere», quale è invece lo stato delle cose nella pratica
didattica? Come vengono trattate le vicende del popolo ebraico all’interno
della storia generale insegnata?
L’analisi dei manuali scolastici, sul piano meramente contenutistico, può
darci indicazioni in tal senso: la storia degli ebrei viene narrata in maniera
episodica e sporadica, in alcuni momenti della trattazione generale emer-
gono fatti o situazioni che li riguardano, ma che difficilmente vengono
contestualizzati in una dimensione ampia, mondiale, né fanno parte di quei
sistemi di relazioni e intrecci di cui sopra si è detto.
Tali modalità traspositive, a cui spesso i docenti si affidano totalmente per
la loro progettazione storica, ingenerano stereotipi e banalizzazioni e sono
portatrici di fraintendimenti, di narrazioni parziali, frammentarie o pro-
spetticamente errate, oltre a tacere molti aspetti che potrebbero sostenere
una ricostruzione più completa ed epistemologicamente fondata.
Il primo cenno che in genere si trova riguarda il ‘quadro di civiltà’ sugli
ebrei: senza entrare nel merito riguardo all’interpretazione che la maggior
parte dei sussidiari dà a tale strumento di organizzazione del sapere storico
e ai modi in cui esso viene proposto, non sempre aderenti alla metodologia
originale elaborata da Ivo Mattozzi (2009), il quadro sugli ebrei viene inse-
rito tra i cosiddetti popoli del mare, in un raggruppamento che contiene in
genere fenici, cretesi e, appunto, ebrei.
Il nesso tra il mare e gli ebrei è quantomeno sfuggente: se per le altre civiltà
citate è possibile indicare il mare come connotante sul piano ambientale,
economico, della vita materiale, gli ebrei con il mare non hanno avuto
rapporti significativi, se non si risale alla questione delle origini, in base
alla quale i Filistei, una delle tribù che ha dato origine al composito po-
polo ebraico, stanziata nella terra di Canaan tra il 1200 e l’800 a.C., sono
identificati come Peleset o Pelasgi - popoli del mare, appunto - provenienti
presumibilmente dai dintorni di Micene o da isole vicine a Creta (Garbini,
1997). Ovviamente tale questione relativa alle origini è completamente as-
sente dalla narrazione della manualistica.
Altra definizione che viene assegnata agli ebrei è quella più ovvia di popolo
della Bibbia. In questo caso si fa cenno al libro sacro di ebrei e cristiani
come alla fonte in base alla quale è possibile ricostruire la storia antica del

211
popolo. Meno evidente (se non assente) è invece la distinzione tra origini
storiche e origini mitiche, quelle appunto contenute nel racconto biblico,
che viene in genere presentato alla stregua di un racconto storico, trascu-
rando la ricchezza di simboli, metafore e interpretazione che tale testo in-
vece contiene.
Passando ai manuali di scuola secondaria di I grado, vi sono talvolta alcune
righe sul coinvolgimento degli ebrei nei capitoli dedicati alle Crociate, ma
senza un’adeguata contestualizzazione. Quasi assente è, invece, la posizione
e la persecuzione degli ebrei nell’ambito della Reconquista cattolica ad opera
dei re di Spagna.
Di fatto gli ebrei sono assenti dal panorama della storia generale e ritornano
fuori nel 1933, quando si parla dell’ascesa del nazismo in Germania, nel
consueto, esclusivo ruolo di vittime della Shoah.
È una trattazione decisamente parziale, che non permette di comprendere
a fondo la dimensione dell’antisemitismo e del razzismo biologico proprio
del nazismo perché mancano le connessioni con lo sviluppo storico gene-
rale. Nello stesso tempo, la chiave di lettura è quella vittimaria e restano
esclusi dall’approfondimento storico una visione più generale della storia
degli ebrei a partire dal processo di emancipazione, la situazione interna-
zionale della persecuzione antiebraica e i suoi legami con la storia moderna
non solo d’Europa, i contributi che gli ebrei diedero alla Resistenza e all’op-
posizione ai totalitarismi (Pentucci, 2017).
Infine, la situazione attuale, che comprende la complessa questione isra-
elo-palestinese, è praticamente assente, confinata in alcuni casi in schede
conclusive del volume di classe terza.

Come nasce il popolo ebraico?

Lo stato delle cose fino a qui sinteticamente illustrato rispetto alla trasposi-
zione della storia degli ebrei nel processo di insegnamento-apprendimento
della storia generale a scuola prospetta la necessità di rivedere e ripensare
la curricolazione di tale nucleo storico. Per questo è opportuno fornire agli

212
insegnanti prospettive di approccio all’epistemologia e piste storiografiche
che possano sostenerli nella progettazione dei propri percorsi didattici.
La prima questione da affrontare è relativa alle origini del popolo ebraico
e al loro territorio di riferimento, quello che oggi è lo stato di Israele. Si
tratta di affondare lo sguardo nella storia profonda (Smail, 2017) per ca-
pire come, nel corso del Neolitico, nei territori compresi tra il nord della
Mesopotamia e la costa orientale del Mediterraneo, attraversate da rotte
commerciali provenienti dalla vicina mezzaluna fertile, si siano avvicendate
popolazioni e gruppi etnici differenti, fino al XV sec. a.C., epoca in cui gli
archeologi fanno risalire la strutturazione di una civiltà propria della terra
di Canaan, presumibilmente corrispondente all’unione delle dodici tribù
bibliche.

Le origini di Israele sono oggetto di una vivace controversia tra archeologi,


storici, studiosi delle religioni e… politici. Come per ogni popolo antico
esse sono, in ogni caso, difficili da individuare. Quel che sappiamo, lo dob-
biamo a una fonte letteraria unica, la Bibbia, più in particolare al Libro
della Genesi, composto molto probabilmente tra l’VIII e il VI secolo prima
della nostra era, all’epoca degli ultimi re di Giudea. Vale a dire molto
tempo dopo gli eventi riportati, quando i “figli di Israele”, al termine di
peripezie assai confuse, finiscono per stabilirsi in Palestina e si dotano di
istituzioni politiche centralizzate così come di… un mito sulle origini,
una “biografia” comune (Abtibol, 2015, p. 5).

La storiografia, infatti, nutre parecchie incertezze rispetto alle origini del


popolo ebraico, in particolare per quanto riguarda la storia dal secondo
millennio al XIII secolo avanti Cristo. Ciò su cui gli storici concordano è
l’inaffidabilità, sul piano storico, dei libri della Genesi e dell’Esodo, consi-
derati fino agli inizi del Novecento una narrazione che pure nelle ambiguità
dovute alla natura religiosa dei testi avesse riferimenti diretti alle origini
storiche. In realtà l’arrivo di Abramo da Ur in Cananea, l’età dei patriarchi,
le dodici tribù dei primordi, ma anche i cinque secoli in Egitto, i quaranta
anni nel deserto e il passaggio del Mar Rosso, la conquista militare della
terra di Canaan da parte di Giosuè, fino ai potenti regni di David e di

213
Salomone sottendono significati simbolici, di portata fortemente identita-
ria, ma assolutamente slegati da reali eventi storici ai quali abbiano potuto
essere ispirati.
Ciò su cui gli storici concordano, sulla base principalmente di ritrovamenti
archeologici in siti non tanto autoctoni, ma principalmente egiziani e ba-
bilonesi, è la convergenza, nel XIII secolo a.C., di un insieme di gruppi e
tribù nomadi e seminomadi, mossi da motivazioni differenti, verso la terra
di Canaan, dove per le favorevoli condizioni ambientali si insediano. Di tali
gruppi fanno parte i cosiddetti Leviti, la tribù di Mosè secondo la Bibbia, in
realtà profughi dall’Egitto durante il regno di Ramsete II. Dall’Egitto, che
nei secoli XVI-XV a.C., al tempo di Amenofi I, aveva esteso il suo dominio
fino alle coste del mar Mediterraneo orientale per cercare di stabilire ponti
commerciali con i Fenici attraverso il mar Egeo, giunsero vari fuoriusciti:
ex schiavi liberati, schiavi in fuga, elementi delle popolazioni conquistate
insofferenti al dominio dei faraoni. Dalla Mesopotamia invece, dopo la
conquista assira, arrivarono fuggitivi di varie etnie. Più tardi, tra il XII e
il IX secolo a.C., arrivarono i Filistei, popolazione di origine indoeuropea
proveniente dai dintorni di Creta, che aveva provato a stabilirsi in Egitto
dalle coste orientali ma ne era stata respinta da Ramsete III. Tutti questi
gruppi si insediarono su uno spazio presumibilmente già occupato da tribù
autoctone forse seminomadi, di sicuro non organizzate in sistemi statuali
legati ai concetti di territorio o di confine.
All’infuori dei tradizionalisti, nessuno oggi pensa che la presenza degli isra-
eliti a Canaan risulti da una conquista militare improvvisa attuata da un
gruppo omogeneo di tribù provenienti dall’est, portatrici di un’identità et-
nica e religiosa già costituita, di impianto israelita o ebraico, e decise a sop-
piantare gli abitanti del paese destinati a essere dominati da loro. Gli storici
concordano sul fatto che la presenza israelita sia stata il compimento di un
lungo processo di gestazione sociale, politica e religiosa, che ha comportato
la fusione di elementi «allogeni» cananei e di elementi «stranieri» prove-
nienti da altrove; questi hanno finito «per prendere coscienza della loro
identità comune, in quanto “nuovo popolo” […]. Un popolo composto
da elementi di origini disparate, che, come tutti riconoscono, impiegherà
molto tempo prima di forgiarsi un’identità “israelita” comune e di accettare

214
di farsi guidare dai suoi giudici e dai suoi profeti sulla via tracciata da Mosè
e da Giosuè» (Abtibol, 2015, pp. 6-7).

Il popolo in movimento

La difficoltà nel tracciare una storia delle origini della civiltà degli ebrei
che abbia la funzione di distinguere la tradizione mitica dalla ricostruzione
attraverso le fonti è connessa anche alla seconda chiave di lettura attraverso
cui si può affrontare lo studio: gli ebrei sono un popolo in continuo mo-
vimento, con un legame molto particolare con la terra. Infatti, l’idea della
terra promessa sostituisce a livello identitario la mancanza di una territoria-
lità fisica di riferimento, di un luogo di stanzialità.
Esilio, migrazione, deportazione, diaspora sono parole chiave necessarie per
leggere la storia degli ebrei in senso longitudinale.
Fin dalle origini, infatti, le peregrinazioni di questo popolo, che, come è
stato sottolineato, deriva già da una convergenza migratoria di gruppi et-
nici differenti verso lo stesso luogo, sono pressoché continue. La prima
deportazione risale al regno di Gioacchino ed è conseguenza dell’assedio di
Gerusalemme da parte dei babilonesi, nel 597. L’esilio al di fuori della terra
di Canaan continua anche dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme
nel 587. Durante tale periodo di cattività in terra di Babilonia molti ebrei
tentano la fuga verso l’Egitto, dove a partire dal 583 gruppi e famiglie si
stanziano in veste di profughi. Il ritorno dalla prigionia babilonese sarà
consentito solo dopo la conquista persiana: nel 538 Ciro approverà un de-
creto atto non solo a restituire agli ebrei la Palestina, che era parte della con-
quista in quanto annessa al regno di Babilonia, ma anche a liberalizzare i
culti proibiti dai babilonesi. Da ciò ebbe avvio la ricostruzione del secondo
tempio di Gerusalemme, tra il 520 e il 515 a.C. (Albertz, 2009).
Una parte della storiografia ebraica retrodata la diaspora proprio al periodo
della cosiddetta cattività babilonese. La data del 70 d.C., corrispondente
alla prima rivolta contro i Romani che avevano reso la Giudea provincia nel
6 d.C., dopo decenni di clientelato, non è che uno dei punti di accelerazio-
ne della dispersione degli ebrei verso le terre della Mesopotamia e in alcune

215
zone del Mediterraneo orientale. Molti più ebrei emigrarono a Babilonia
nel 135 d.C., dopo la seconda rivolta antiromana.
Secondo Cassio Dione, infatti, i Romani inflissero una sanguinosa sconfitta
agli ebrei, che avevano avviato la guerriglia per motivi religiosi e identitari
legati alla necessità di sfuggire alla romanizzazione forzata che l’imperatore
Adriano stava imponendo alla provincia. La Giudea venne letteralmente
ridotta a un deserto, Gerusalemme diventò colonia romana e fu occupata
da nuovi coloni che impedirono ai precedenti abitanti di rientrare in città,
pena la morte. La rivolta di Bar Kokheba segna l’inizio della grande diaspo-
ra, che si conclude solo intorno all’VIII secolo d.C., quando gli Ottomani
applicarono leggi restrittive nei confronti della mobilità che limitarono così
ulteriori migrazioni (Graizel, 1984).
La mobilità e il radicamento alla terra non materiale ma ideale e simbolico
sono elementi identitari e connotanti riscontrabili in tutta la storia degli
ebrei. Secondo lo storico Potok (2007), la diaspora del popolo ebraico non
attraversa solo popoli e terre, ma anche differenti concezioni del mondo,
del divino e della società, in un continuo confronto destinato a incidere
sulle identità degli uni e degli altri.
È un elemento che di fatto costruisce intrecci e relazioni: come è stato
precedentemente illustrato, diaspore ed esili diffondono la presenza ebraica
nel vicino oriente. Qui, nel lungo periodo, essi si trovano ad incrociare le
loro vicende con quelle di altri popoli e civiltà: tra il VI e il VII secolo d.C.
si realizza l’incontro (e lo scontro) con l’impero bizantino, all’interno del
quale inizia a strutturarsi quell’antigiudaismo cristiano che rappresenterà
uno dei filoni della persecuzione antiebraica.
A partire dal 638 d.C., con la conquista da parte dei musulmani che arri-
vano fino a Gerusalemme, si avviano i contatti con l’impero ottomano e
dunque con l’islam. Tale convivenza è interessante proprio sul piano dei
rapporti, soprattutto se comparati con quelli di altri popoli dominatori.
Agli ebrei sotto il dominio islamico fu inflitta meno violenza fisica rispet-
to a quella provata sotto il dominio cristiano occidentale; una ragione di
ciò può essere nel fatto che l’Islam, a differenza del Cristianesimo, non
necessitava di formarsi un’identità separata dall’Ebraismo: gli ebrei erano
una minaccia meno forte per i musulmani che non per i cristiani, durante

216
il Medioevo. Casi isolati di persecuzione in verità accaddero, ma questo
non cambia il fatto che gli ebrei siano stati trattati in maniera adeguata. Il
mito degli ebrei maltrattati nei domini musulmani è un classico esempio
di abuso pubblico della storia, costruito ad arte e utilizzato per supportare
posizioni politiche (Cohen & Udovitch, 1989). In realtà in alcuni territori
controllati dagli arabi, come la Spagna tra XI e XII secolo, si realizzò una
fusione tra ebrei e musulmani dettata da motivi economici, professionali,
commerciali, ma anche antropologici, tanto da dare vita ad una vera e pro-
pria cultura giudeo-arabica (Rustow, 2014).

Il popolo del libro e delle parole

Le vicende legate a diaspora, erranza ed esilio si connettono ad una ulterio-


re chiave di lettura attraverso la quale leggere la storia del popolo ebraico:
quella che lo riconosce come popolo del libro.
La distruzione del tempio e la negazione di una terra sulla quale vivere e
nella quale riconoscersi portarono ad elaborare una strategia di sopravvi-
venza identitaria legata alla tradizione culturale, alla scrittura: la produzio-
ne di uno scritto sacro, nei momenti più difficili, fu ricetta per continuare
a vivere. In luogo dello stato infatti esisteva il libro, che divenne una sorta
di patria portatile (Brenner, 2009): il libro sostituisce la terra. Per confer-
mare tale affermazione è opportuno capire come avvenne la scrittura della
Torah, ovvero dei primi cinque libri della Bibbia chiamati anche, secondo
la dizione greca, Pentateuco. La maggior parte degli storici sostiene che tale
redazione avvenne nel corso dell’esilio babilonese, anche se la tradizione
ne assegna l’autorialità a Mosè, retrodatandola al XIII secolo, periodo in
cui, sempre secondo la tradizione biblica, il profeta condusse i Leviti nella
terra di Canaan. Ciò che è interessante rilevare nella dizione tradizionale è
l’ordine che Dio impartì a Mosè, consistente non nella diffusione o nella
divulgazione, ma nella scrittura dei suoi insegnamenti. La Torah, infatti,
contiene la visione filosofico-religiosa dell’ebraismo alternata a precetti, leg-
gi e norme di comportamento da seguire, scritti in forma di narrazione, di
racconto.

217
Era importante dunque avere una parola scritta, che potesse fissare sulla
pagina la storia, le leggi, le credenze di un popolo per cui la terra poteva
essere solo una promessa o un’idea.
L’importanza della parola scritta fu evidente anche nella redazione del Tal-
mud, iniziata dopo il 70 d.C. per sanare le contraddizioni tra legge scritta
e tradizioni e interpretazioni orali osservate nelle differenti comunità po-
stdiasporiche. Il testo nasce come una esegesi ufficiale del Pentateuco, che
comprendeva anche la raccolta di appunti e note degli allievi del tempio
dispersi in vari territori dopo la diaspora.
A partire dal 200 d.C. i rabbini scrissero la Mishnah, ovvero la parte nor-
mativa del Talmud, che fissava in maniera definitiva la parte orale della
tradizione legislativa ebraica, fino ad allora imparata a memoria e ripetuta
attraverso il tempo e le generazioni.
La centralità del libro e della scrittura nella tradizione ebraica fa sì che la
linea etnica propria degli ebrei sia una linea non di sangue, ma di testo, e
rende gli ebrei il popolo delle parole (Oz & Oz-Salzberger, 2013).
La necessità di enumerare e scrivere le catene genealogiche conferma l’af-
fidamento alla parola scritta della propria memoria di discendenza, così
come delle proprie prassi quotidiane, dei comportamenti attesi. La cul-
tura ebraica è infatti una cultura basata sui testi, non sull’oralità, in cui
l’obbligo scolastico precoce e prolungato testimonia l’importanza data alle
competenze di lettura e scrittura e a chi le detiene in maniera magistrale,
ovvero il rabbino, investito di un potere ad un tempo intellettuale, politico
e religioso.
La stessa Alleanza, il patto stretto con Dio, è un patto di parole, affidato
al decalogo e alle leggi della Torah, un patto che in nuce contiene l’idea di
nazione.
Se il fondamento nazionale deriva da un patto fatto con una divinità, non
è possibile ignorare come la dimensione religiosa sia al pari di quella etnica
elemento unificatore e identitario connotante il popolo ebraico. L’unità,
infatti, in mancanza di un centro geografico e di una ascendenza etnica
omogenea e comune, viene garantita dalla sovrastruttura religiosa: il calen-
dario delle festività, i riti quotidiani, le prescrizioni, gli obblighi.

218
La compattezza religiosa del primo popolo monoteista del mondo, tuttavia,
si determina tardi, a partire dal primo millennio a.C., con grande diffi-
coltà: la commistione con la popolazione egizia, infatti, aveva portato ad
una contaminazione tra religioni e l’abbandono dei culti egizi è piuttosto
laborioso. Ne parla la Bibbia, sotto la metafora dei quaranta anni di pere-
grinazione nel deserto prima che il popolo ebraico riuscisse a raggiungere,
dall’Egitto, la terra promessa: in realtà non vi è traccia, sul piano delle fonti,
di tale presenza e l’interpretazione più accettata di tale narrazione è legata
al consolidamento dell’unità religiosa, non a caso unita fortemente all’idea
della ricerca di una terra. Tale consolidamento è dovuto soprattutto alla
scrittura, in quanto i testi sacri unificano e dettagliano principi filosofici
e prassi di vita quotidiana che diventeranno identitari per la popolazione
ebraica. Altro elemento unificatore, più tardivo, sarà la nascita del Cristia-
nesimo: il rifiuto o la confutazione della Torah presenti nelle predicazioni di
Gesù Cristo segnano la cesura tra le due religioni. Gli ebrei trovano identità
anche nell’antagonismo con i cristiani, nel riconoscersi altri, differenti, de-
positari della vera, originaria fede.

Identità negata o negativa

Le prospettive attraverso cui è possibile leggere la storia degli ebrei non si


esauriscono nelle letture sopra proposte: il popolo in cammino, il popolo
del libro, il popolo di Dio, ma danno conto anche di visioni meno consuete
o connotate al negativo che una parte della storiografia ha voluto proporre.
Interessante è analizzare la posizione di Shlomo Sand, il quale parla di in-
venzione del popolo ebraico (Sand, 2010) affermando che è impensabile
poter affermare l’esistenza di una identità etnica e biologica comune per un
popolo dalle origini composite e variegate.
L’interpretazione di Sand è tuttavia più politica che storica: essendo egli an-
tisionista e antisovranista, sostiene che l’idea di popolo, unitamente a quella
di nazione, è una costruzione ideologica ascrivibile al sionismo del XIX
secolo, su cui viene costruito il mito delle origini e che tende a legittimare
l’esistenza dello stato israeliano a partire dalla cosiddetta legge del ritorno,

219
focalizzata su due elementi: la lettura letterale della Bibbia e la Shoah, intesa
come momento collettivo di unificazione e di riconoscimento.
Per le sue posizioni antisioniste, la storiografia prodotta da Sand viene da
più lati strumentalizzata in senso antisraeliano ma anche antisemita ed è di-
ventata, purtroppo, una delle fonti di giustificazione per i vari revisionismi
e negazionismi propri del XXI secolo.
Il nodo della persecuzione e del pregiudizio resta purtroppo una delle chia-
vi di lettura più evidenti nella lunga storia del popolo ebraico, ovviamente
potenziata nel Novecento dalla tragedia della Shoah.
Tuttavia, anche per studiare la Shoah nella sua dimensione storica e non
esclusivamente emotiva, come spesso avviene per via di trattazioni frettolo-
se o determinate esclusivamente da urgenze proprie del calendario civile, è
necessario un inquadramento molto preciso e approfondito della tematica
del pregiudizio e delle varie forme nelle quali esso nel tempo si è manifesta-
to (Pentucci, 2019).
Secondo la storiografia, l’emancipazione del mondo ebraico e il suo in-
serimento a pieno titolo nella società moderna e contemporanea hanno
favorito nuovi paradossi. Il successo di alcuni nel mondo ha trasformato
gli ebrei in tanti Rothschild, mentre la militanza di numerosi altri all’in-
terno del movimento rivoluzionario marxista li ha resi invisi alla borghesia
retriva (Calimani, 2010). Inoltre, è bene comprendere come le forme di
persecuzione antiebraica si siano connotate a partire dalla percezione e dalle
giustificazioni dei persecutori in forme differenti di antigiudaismo, antise-
mitismo, antisionismo.
Il primo termine ha una matrice religiosa, non distinta tuttavia da quella
etnica, vista anche la già citata commistione tra queste due dimensioni nel
riconoscimento dell’identità ebraica: rappresenta l’odio e la persecuzione da
parte della chiesa di Roma nei confronti dell’ebraismo rabbinico di epoca
post-biblica dettata principalmente dal mancato riconoscimento, da parte
degli ebrei, di Gesù come Messia e in termini più semplicistici e quindi più
facilmente diffondibili in termini di propaganda, dell’identificazione degli
ebrei come il popolo deicida.
L’antisemitismo invece nasce alla fine dell’Ottocento ed ha una connotazio-
ne biologica e razziale (Caffiero, 2017, p. 431), quella cavalcata da Hitler

220
negli anni Trenta per avviare il suo progetto di sterminio. Tuttavia, le ra-
dici di questo tipo di visione sono profonde e risalgono alle persecuzioni
spagnole del XVI secolo che intrecciano le motivazioni religiose con quelle
propriamente etniche.
Rimandando alla letteratura sul tema una disamina più approfondita della
storia del pregiudizio (Stefani, 2004), resta da capire quali possano essere le
conseguenze di tale lettura dominante: il rischio, concretamente evidente
nella didattica, è quello di relegare gli ebrei e la loro storia al ruolo esclusivo
di vittime, senza mettere in evidenza i molteplici apporti dati alla storia
generale.
Per questo può essere interessante approcciare il recente filone storiografico
in base al quale il Novecento non è semplicemente il secolo della Shoah,
quindi della barbarie e della disumanizzazione, ma può essere definito il
secolo degli ebrei. Ne danno conto da un lato Yuri Sleztkine (2011), storico
di Berkeley, il quale afferma che la propensione al nomadismo e ad un’eco-
nomia legata non al possesso di beni ma ai flussi di denaro e di merci fan-
no del popolo ebraico un popolo estremamente moderno, paradigmatico
per la società novecentesca, caratterizzata dal nomadismo terziario, ovvero
dall’abitudine alla mobilità determinata dalla ricerca di occasioni professio-
nali migliori, innovative e globali.
Altrettanto interessante è la lettura di Martin Gilbert (2002), il quale riper-
corre, anche con una ricca documentazione fotografica, la contemporaneità
e le modalità attraverso cui gli ebrei hanno influito su di essa. Nonostante
la Shoah, gli ebrei hanno rivoluzionato il Novecento (Goldkorn, 2019).
Gli stili culturali e intellettuali oggi sono transnazionali. Ci si sposta da
Amsterdam a New York, da Parigi a Roma, con la stessa facilità con cui un
ebreo nel Medioevo si spostava da una comunità in Polonia a un’altra in
Francia (Waltzer, 2000): con la loro apparente non appartenenza ad alcun
luogo fisso, con l’alienazione che ne deriva, gli ebrei hanno tracciato il solco
del secolo. Sono stati i primi a capire che non occorre avere radici nella terra
e che un filosofo rende più di un ingegnere (Diner, 2007).
Il Novecento è stato un secolo “di sradicamento, di abbandoni ed esili”. Un
secolo della amara vittoria degli ebrei quindi, dato che l’esilio è una con-
dizione naturale alla fine del Millennio, anzi, “anche la Torah è un luogo

221
di esilio. Perché tutti noi siamo ospiti di questo pianeta” (Steiner, 2012, p.
24).

Conclusioni

Al termine di questa disamina delle possibili strade che a livello storiogra-


fico potrebbero consentire di affrontare lo studio della storia degli ebrei in
maniera meno episodica e più approfondita, rispetto ad esempio alle pro-
poste editoriali, quale proposta didattica potrebbe emergere?
Il repertorio sulla storia degli ebrei si presta ad essere cornice e contestualiz-
zazione per percorsi di storia locale, che partendo dalle numerose tracce che
la comunità ebraica ha lasciato e mantiene sul nostro territorio si prestano
ad avvicinare gli studenti alla scoperta e alla ricostruzione di momenti si-
gnificativi della storia.
La storia locale ha infatti due potenzialità: è una storia prossima, dal punto
di vista geografico, quindi avvicina l’esperienza storica al vissuto degli alun-
ni, anche dei più piccoli ed è, di conseguenza, una storia che ha lasciato
tracce facilmente reperibili e visibili, accessibili con brevi e sostenibili ricer-
che da parte dei docenti.
Archivi locali, luoghi di memoria, testimonianza possono dunque sostenere
percorsi didattici efficaci, all’interno dei quali si attivi il processo presen-
te-passato-presente, indispensabile per rendere significativo lo studio della
storia.

Bibliografia

Abtibol M. (2015), Storia degli ebrei. Dalle origini ai giorni nostri, Garzanti,
Milano.
Albertz R. (2009), Israele in esilio: storia e letteratura nel VI secolo a.C, Pai-
deia, Brescia.
Brenner M. (2009), Breve storia degli ebrei, Donzelli, Roma.

222
Caffiero M. (2017), Antigiudaismo, antiebraismo, antisemitismo. A proposito
di una discussione recente, RSCr, 14(2), 427-434.
Calimani R. (2010), Storia del pregiudizio contro gli ebrei. Antisemitismo,
antisionismo, antigiudaismo, Mondadori, Milano.
Cohen M.R., Udovitch A.L. (1989), Jews among Arabs. Contacts and Boun-
daries, The Darwin Press, Princeton.
Conrad S. (2016), What Is Global History? Princeton University Press, Prin-
ceton.
Damiano E. (2005), Homo migrans. Discipline e concetti per un curricolo di
educazione interculturale a prova di scuola, Franco Angeli, Milano.
Diner D. (2007), Raccontare il Novecento. Una storia politica, Garzanti, Mi-
lano.
Garbini G. (1997), I Filistei: gli antagonisti di Israele, Rusconi, Milano.
Gilbert M. (2002), Il secolo degli ebrei, Mondadori, Milano.
Goldcorn W. (2019), L’asino del Messia, Feltrinelli, Milano.
Grayzel S. (1984), A History of the Jews: From the Babylonian Exile to the
Present, New American Library, New York.
Mattozzi I. (2009), La didattica dei quadri di civiltà in M.T. Rabitti (a
cura di), Per il curricolo di storia. Idee e pratiche (pp. 79-92), Franco Angeli,
Milano.
Oz A., Oz-Salzberger F. (2013), Gli ebrei e le parole. Alle origini dell’identità
ebraica, Feltrinelli, Milano.
Pentucci M. (2017), Ebrei internati nelle Marche: percorsi di impegno politi-
co, antifascismo, Resistenza in E. Bressan, A. Cegna, M. Pentucci (a cura di),
Storie di donne e di uomini tra internamento e Resistenza nelle Marche (pp.
137-155), EUM, Macerata.
Pentucci M. (2018), Come da manuale. La trasposizione didattica nei contesti
d’insegnamento-apprendimento, Junior, Reggio Emilia.
Pentucci M. (2019), Oltre la Shoah: storia degli ebrei nel Novecento, in “Il
Bollettino di Clio”, NS 11-12, pp. 77-83.
Potok C. (2007), Storia degli Ebrei, Garzanti, Milano.
Rustow M. (2014), Jews in the Ottoman Empire and North Africa, Taylor
and Francis, London.
Sand S. (2010), L’invenzione del popolo ebraico, Rizzoli, Milano.

223
Slezkine Y., (2011), Il secolo ebraico, Einaudi, Torino.
Smail D.L. (2017), La storia profonda. Il cervello umano e le origini della
storia, Bollati Boringhieri, Milano.
Stainer G. (2012), Il libro dei libri. Un’introduzione alla Bibbia ebraica, Vita
& Pensiero, Milano.
Stefani P. (2004), L’antigiudaismo. Storia di un’idea, Laterza, Roma-Bari.
Vermebrand M., Ruth B.S. (1981), The People of Israel - the history of 4000
years - from the days of the Forefathers to the Peace Treaty, Tel Aviv University,
Tel Aviv.
Waltzer M. (2000), Jewish political tradition, University Press, Yale.

224

Potrebbero piacerti anche