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Anna Maria De Santi
Iole Simeoni

100
domande
sulle strategie
di comunicazione in sanità
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Prima edizione
Ottobre 2013
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ISBN 978-88-9741-946-4

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A Flavia e Roberta
Sommario
Presentazione....................................................................................... 11
Prefazione............................................................................................. 13

PARTE I.
45 domande sulle strategie di comunicazione
medico‑paziente........................................................................... 15
Introduzione......................................................................................... 17
1. Ci sono grandi differenze nell’ambito delle diverse culture
e nel modo di relazionarsi ai pazienti?..................................... 18
2. È cambiata la figura del paziente nel tempo?.......................... 20
3. Che cosa chiede oggi il paziente?.............................................. 21
4. Perché è importante dedicare più tempo al paziente?........... 22
5. Quali sono i benefici del dedicare più tempo
alla comunicazione con il paziente?.......................................... 23
6. Perché bisogna considerare anche gli aspetti della
comunicazione non verbale nella relazione con il paziente?.24
7. Che cosa significa prestare attenzione al linguaggio verbale?...25
8. Che cosa si intende esattamente per comunicazione
non verbale?................................................................................. 26
9. Quali sono i principali segnali del linguaggio non verbale?... 28
10. Che cosa si intende per contesto comunicativo ospedaliero?....30
11. Quali sono gli aspetti del setting comunicativo a cui prestare
attenzione nella comunicazione con il paziente?.................... 31
5
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

12. Perché è necessario saper comunicare in modo adeguato


con il paziente, soprattutto in caso di cattive notizie?........... 32
13. Quali dovrebbero essere le competenze comunicative e
relazionali del medico?............................................................... 33
14. Che cosa raccomandano le principali linee guida nell’ambito
della comunicazione? E in particolare nell’ambito della
comunicazione delle cattive notizie?........................................ 34
15. Quali sono le frasi più adatte da utilizzare nel corso
della comunicazione delle cattive notizie?............................... 36
16. Quali sono, in sintesi, i punti chiave da non dimenticare
nella comunicazione al paziente delle cattive notizie?........... 37
17. Che cos’è il counselling e come può essere utile nella
comunicazione medico-paziente?............................................. 38
18. Perché il counselling viene definito un processo integrato?.... 39
19. Come si sviluppa il processo del counselling?............................ 41
20. Quali sono le regole di comportamento da adottare nella
comunicazione con i pazienti?................................................... 42
21. Quali sono gli errori comunicativi che si commettono
più spesso quando ci si relaziona con un paziente?................ 44
22. Quali sono gli atteggiamenti del paziente che rendono
la comunicazione più difficile?.................................................. 46
23. Quali problemi provocano gli atteggiamenti eccessivamente
tecnici da parte del medico?...................................................... 48
24. Quali reazioni provocano gli atteggiamenti autoritari da parte
del medico?.................................................................................. 49
25. Che cosa sono i meccanismi di difesa?...................................... 50
26. Quale tipologia di messaggi possono ostacolare
la comunicazione efficace con il paziente?.............................. 51
27. Quali sono i benefici del silenzio in una relazione
terapeutica?................................................................................. 53
28. Ci sono regole per imparare ad ascoltare il paziente?............ 54
29. Che cosa si intende per “ascolto attivo”?................................. 55
30. Quali sono gli elementi essenziali dell’ascolto attivo?............ 56
6
31. In che modo l’ascolto interiore interviene nella
comunicazione?........................................................................... 57
32. In che modo un medico può effettuare una autovalutazione
delle proprie capacità comunicative?....................................... 58
33. Quali aree è utile esplorare nella comunicazione
con i pazienti?.............................................................................. 60
34. Quali sono le domande utili per esplorare tali aree?............... 61
35. Quali sono i malesseri che il medico affronta
quotidianamente?....................................................................... 62
36. Quali sono gli effetti causati dalla progressiva perdita
di fiducia nel medico da parte del paziente?............................ 63
37. Quali sono i segnali di esaurimento emotivo del medico
da non sottovalutare?................................................................. 64
38. Perché il medico ha difficoltà a confrontarsi con
la cronicità?.................................................................................. 65
39. Perché il medico ha difficoltà ad “andare oltre al sintomo”?....66
40. Perché il medico teme il coinvolgimento emotivo?................ 67
41. Quali situazioni lavorative risultano essere maggiormente
protettive per il benessere del medico?.................................... 68
42. Che cosa può aiutare a prevenire il malessere del medico?... 69
43. Che cosa significa per un medico “allenarsi
alla comunicazione”?.................................................................. 70
44. Come dovrebbe essere la formazione del medico?.................. 71
45. In che modo l’elaborazione delle esperienze vissute da parte
del medico aiuta la relazione medico-paziente?...................... 72

PARTE II.
10 domande sulle strategie di comunicazione
nelle organizzazioni sanitarie................................................... 73
Introduzione......................................................................................... 75
46. Che cosa si intende per “comunicazione pubblica”?............... 76
47. Che cosa si intende per “comunicazione istituzionale”?........ 77
48. Che cosa si intende per “comunicazione d’impresa”?............ 78
7
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

49. Perché nei servizi socio‑sanitari è importante approfondire


la comunicazione interna?......................................................... 79
50. Come si definisce un’organizzazione?...................................... 80
51. Che cosa si intende per “cultura organizzativa”?.................... 81
52. Quali sono le nuove capacità richieste oggi al medico
e agli altri operatori sanitari?.................................................... 82
53. In che cosa consiste l’analisi del ruolo professionale?............ 83
54. In quali aree risiedono i fabbisogni formativi del medico
e degli altri operatori sanitari?.................................................. 84
55. Qual è il rapporto tra ruolo professionale di un operatore
sanitario e obiettivi educativi relativi alla sua formazione?.....85

PARTE III.
10 domande sulle relazioni tra professionisti sanitari....... 87
Introduzione......................................................................................... 89
56. Come si può definire la relazione medico‑infermiere?........... 90
57. Al di là delle condizioni cliniche del paziente e delle
prestazioni tecniche da parte degli operatori, come si possono
migliorare i risultati per il paziente?........................................ 91
58. Come si possono migliorare i risultati dell’assistenza sanitaria
per l’infermiere e il medico?...................................................... 92
59. Come si possono migliorare i risultati per l’organizzazione?.93
60. Perché non si possono sviluppare modelli comunicativi di tipo
veramente paritario tra medici e infermieri?.......................... 94
61. Quali sono le barriere nella comunicazione
medico‑infermiere?..................................................................... 96
62. Quali sono i fattori in grado di influenzare la qualità
della comunicazione medico-infermiere?................................ 99
63. Esistono delle strategie per migliorare la comunicazione
medico‑infermiere?................................................................... 102
64. Quali sono gli elementi di una buona collaborazione
tra professionisti sanitari?....................................................... 104
8
65. Quali cambiamenti nell’assistenza sanitaria hanno
incentivato l’interesse per il miglioramento della
collaborazione tra professionisti sanitari?............................. 106

PARTE IV.
35 domande sulla comunicazione nei gruppi di lavoro,
la leadership e la gestione dei conflitti................................. 107
Introduzione....................................................................................... 109
66. Quali sono le caratteristiche di un “team”
o “gruppo di lavoro”?............................................................... 110
67. Che cosa si intende per “gruppo di lavoro
interprofessionale”?................................................................. 112
68. Quali sono i vantaggi del lavoro di gruppo in sanità?........... 113
69. Che cosa sono le norme in un gruppo e quali funzioni
hanno?........................................................................................ 114
70. In che modo le norme producono “conformità”
nel gruppo?................................................................................ 115
71. Che cosa si intende per “coesione” tra i membri
di un gruppo?............................................................................. 116
72. Che differenza c’è tra i concetti di influenza e di potere?.... 118
73. Come si può definire la leadership?........................................ 120
74. Che differenza c’è tra un manager e un leader?.................... 122
75. Quali sono le caratteristiche della leadership?...................... 124
76. Come si diventa un buon leader?............................................. 125
77. In che modo i ruoli all’interno di un gruppo contribuiscono
alle sue dinamiche?................................................................... 127
78. Che cosa si intende per “equilibrio di un gruppo”?.............. 129
79. Come si può favorire la collaborazione multi‑professionale?... 130
80. Quali sono le fasi della vita di un gruppo?.............................. 132
81. Come vengono generalmente prese le decisioni?.................. 134
82. Quali sono i vantaggi del processo decisionale di gruppo?... 136
83. Quali sono le tecniche decisionali di gruppo?........................ 137
9
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

84. Quali sono i vantaggi del processo decisionale basato


sul consenso?............................................................................. 138
85. Quali sono i principali ostacoli alle decisioni prese
mediante consenso?.................................................................. 140
86. Quali sono le fasi del processo decisionale basato
sul consenso?............................................................................. 141
87. Qual è il ruolo del facilitatore in un gruppo?......................... 142
88. Quali sono le tecniche maggiormente utilizzate
nella discussione di gruppo?.................................................... 143
89. Che cosa sono i conflitti nei gruppi di lavoro?....................... 145
90. Quali sono i sintomi della presenza di un conflitto?............. 147
91. Come si analizza un conflitto all’interno di un gruppo?....... 148
92. Quali sono le principali cause dei conflitti in un gruppo?.... 150
93. Quali sono i benefici dei conflitti nell’ambiente di lavoro?.....152
94. Quali sono le conseguenze dei conflitti nell’ambiente
di lavoro?.................................................................................... 154
95. Quali attitudini personali entrano in gioco nella gestione
di un conflitto?.......................................................................... 156
96. Quali tipi di intervento possono essere effettuati
per gestire un conflitto?........................................................... 158
97. Quali metodi possono essere utilizzati per risolvere
il conflitto?................................................................................. 159
98. In che cosa consiste la negoziazione?..................................... 161
99. Che cosa si deve fare se la controparte è
un “negoziatore duro”?............................................................ 164
100. Quali sono i suggerimenti per lavorare bene in gruppo?...... 166

Appendice.................................................................................... 167
Bibliografia......................................................................................... 169
Autori.................................................................................................. 179

10
Presentazione
Questo testo esplora e approfondisce, attraverso la semplice e
originale modalità della domanda e della risposta, il tema della
comunicazione in sanità, sotto i diversi aspetti, allo scopo di af-
frontare le criticità relazionali e organizzative del nostro vivere
quotidiano nel rapporto con la qualità della salute.
Dopo aver analizzato la comunicazione partendo dal focus
centrale, e maggiormente critico. della comunicazione tra medi-
co e paziente, approfondisce le strategie comunicative delle or-
ganizzazioni sanitarie nei delicati rapporti esterni e interni tra i
vari professionisti della salute.
Aiuta inoltre ad interrogarsi sulle barriere comunicative tra
medico e paziente e tra infermiere e paziente, riconoscendo che
una buona collaborazione tra sanitari può migliorare l’assisten-
za e l’erogazione dei servizi.
Rivolto sia agli operatori del servizio sanitario nazionale sia ai
suoi fruitori, è un testo ambizioso, perché si propone di arriva-
re alla risoluzione di alcuni quesiti critici del nostro sistema, così
come si è attualmente evoluto, attraverso la chiave della “comu-
nicazione”, intesa non solo come informazione ma soprattutto
come impegno e ascolto.
Comprende inoltre l’importanza e la necessità di intervenire
con modelli comunicativi efficaci anche nella trasmissione delle
11
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

cattive notizie, favorendo la collaborazione dei pazienti ai trat-


tamenti e la loro capacità di affrontare i cambiamenti richiesti
dall’evoluzione delle malattie e dalle nuove forme di assistenza.
In pratica, questa “piccola guida a quiz” che si muove tra l’ana-
lisi dei grandi progressi della medicina, la moltiplicazione delle
specialità mediche, l’aumento della domanda dei servizi, dell’a-
spettativa di vita e con essa delle nuove malattie, ci permette di
affrontare con meno paura gli aspetti comunicativi nelle proble-
matiche sanitarie, al fine di proseguire nel miglioramento del-
la qualità e dell’accesso ai servizi del nostro sistema sanitario
nazionale, patrimonio universalistico e sociale del nostro Paese.

Monica Bettoni
Direttore Istituto Superiore di Sanità

12
Prefazione
Questo testo, semplice nella lettura e nello stesso tempo bre-
ve e completo, strutturato sotto forma di domande e risposte,
prende in esame la comunicazione in ambito sanitario in tutte
le sue forme.
Le 45 domande della prima parte analizzano le strategie di
comunicazione tra medico e paziente in considerazione dei
cambiamenti intervenuti nell’ambito della medicina moderna,
della cronicità delle malattie, delle differenze culturali e delle
maggiori aspettative dei pazienti. Vengono inoltre approfondi-
ti gli aspetti legati alle competenze comunicative e relazionali
del medico e degli altri operatori sanitari (counselling, comuni-
cazione di cattive notizie, autovalutazione delle proprie com-
petenze).
Le successive 10 domande della seconda parte riguardano in-
vece le strategie di comunicazione nelle organizzazioni sa‑
nitarie e l’importanza della comunicazione interna, della cultu-
ra organizzativa, l’analisi del ruolo professionale e il fabbisogno
formativo degli operatori.
Seguono, nella terza parte, 10 domande sulle relazioni tra
professionisti sanitari in cui si approfondiscono gli aspetti del
rapporto tra medico e infermiere e la possibilità di superare le
barriere comunicative, i fattori e le strategie in grado di influen-
13
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

zare e migliorare la qualità della comunicazione, con suggeri-


menti di buona collaborazione tra professionisti sanitari.
La quarta parte, con 35 domande, analizza la comunicazio‑
ne nei gruppi di lavoro, la leadership e la gestione dei con-
flitti. Vengono presi in esame i vantaggi del lavorare in grup-
po, approfondendo i meccanismi attraverso i quali un gruppo si
conforma e diventa coeso.
Suggerimenti su come diventare buoni leader, dinamiche e
mantenimento di equilibrio in un gruppo, collaborazione mul-
tiprofessionale e gestione di conflitti sono qui descritti con sti-
le chiaro, sintetico ed esaustivo, offrendo soluzioni per lavorare
con competenza, flessibilità, apertura, collaborazione e parteci-
pazione.

14
PARTE I.
45 domande
sulle strategie di
comunicazione
medico‑paziente

15
I. Comunicazione medico-paziente

Introduzione
Il rapporto medico-paziente nasce dall’incontro tra due sen-
sibilità che considerano da una parte la pratica medica e la sua
capacità di risolvere i problemi di salute, e dall’altra l’attenzio-
ne ai vissuti, alle percezioni e ai significati che la malattia assu-
me per ogni individuo.
In questo tipo di relazione si stabiliscono complesse reti di
rapporti che devono essere analizzate attentamente al fine di
spiegare comportamenti e reazioni. Non vi sono, infatti, pazienti
con singoli bisogni, ma individui con storie personali e necessità,
che si relazionano con medici con obiettivi molteplici.

17
1 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Ci sono grandi differenze


nell’ambito delle diverse
culture e nel modo
di relazionarsi ai pazienti?
Le attitudini e le linee di condotta nel comunicare con i mala-
ti e i familiari da parte dei sanitari variano da Paese a Paese in
rapporto alla cultura, ai valori, alla religione, alle modalità as-
sistenziali, assicurative e al tipo di formazione e specializzazio-
ne ricevuta.
Certamente vi sono atteggiamenti diversi nelle varie cultu-
re e preferenze diverse nei singoli malati. Nell’ambito della co-
municazione interpersonale, ad esempio, l’atteggiamento verso
la comunicazione della diagnosi e della prognosi varia a secon-
da delle culture, benché ci sia una tendenza generale verso una
maggiore sincerità.
Occorre comunque sottolineare che ogni individuo entra in
contatto con i diversi aspetti della malattia in modo del tutto
personale e con un diverso grado di consapevolezza. La comuni-
cazione della diagnosi, ad esempio, rappresenta un processo che
parte dalla capacità del malato di scoprire, accettare, compren-
dere ed elaborare la malattia.
Attualmente sia nel nostro Paese sia negli Stati Uniti vi è un
notevole impegno nell’identificare le abilità e le strategie co-
municative e comportamentali necessarie per comunicare cor-
rettamente con il malato e la sua famiglia. Il modello america-
no, ad esempio, prevede una comunicazione diretta, sincera e
18
I. Comunicazione medico-paziente

immediata di tutto quello che riguarda le problematiche lega-


te alla malattia del paziente. In Italia, invece, il malato non sem-
pre viene informato correttamente sulla diagnosi, la prognosi e
la loro evoluzione con modalità comunicative che tengano con-
to nei tempi e nelle espressioni della sua cultura e del suo desi-
derio di sapere.

19
2 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

È cambiata la figura
del paziente nel tempo?
I modelli comunicativi della relazione medico-paziente sono
cambiati molto nel tempo, passando da paternalistici e irrispet-
tosi dell’autonomia del paziente a paritari e democratici, attenti
ai valori e alle convinzioni del paziente.
Parallelamente a questa metamorfosi, sono cambiate anche le
malattie. Un tempo il medico aveva a che fare con traumi e ma-
lattie infettive e, decidendo spesso nell’emergenza, non aveva
bisogno di particolari doti comunicative. Al giorno d’oggi deve,
invece, confrontarsi con malattie di lungo corso con le quali
si convive per anni, come il diabete, l’ipertensione e il cancro.
La convivenza prolungata con la malattia cronica ha costretto
il medico ad attrezzarsi aggiungendo alle competenze tecniche
quelle comunicative.

20
3 I. Comunicazione medico-paziente

Che cosa chiede


oggi il paziente?
Attualmente, i pazienti sono più esigenti e informati grazie
alle nozioni elargite da giornali, TV e internet: arrivano negli
ambulatori con un bagaglio di conoscenze, dati e numeri. Porta-
no con sé plichi di pagine da internet, ritagli di giornale, fanno
domande specifiche e pertinenti. Ma questo eccesso di informa-
zione spesso è faticoso da gestire in quanto può provocare aspet-
tative, illusioni e disorientamento.
Proprio per questo motivo la disponibilità a dialogare, comu-
nicare e ascoltare rappresenta, oggi, uno degli elementi centrali
di ogni processo di relazione terapeutica tra medico e paziente.
Apprendere modelli e tecniche comunicative non solo fa au-
mentare la possibilità di comunicare in modo efficace, ma crea
alleanze terapeutiche utili a modificare o consolidare compor-
tamenti volti alla preservazione e alla salvaguardia della salute.

21
4 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Perché è importante dedicare


più tempo al paziente?
Il problema principale nella relazione tra operatori sanitari e
pazienti è la limitazione di tempo disponibile per creare una re-
lazione efficace, dati gli attuali cambiamenti organizzativi e le
pressioni verso una maggiore produttività ed efficienza. Spesso,
anche lo spazio per curare la relazione è limitato.
Quando medico e paziente interagiscono, generalmente, in-
torno a loro sono presenti altre persone esterne alla relazione
(per esempio gli altri pazienti nelle stanze di degenza o in atte-
sa fuori dallo studio professionale) che distraggono la loro atten-
zione e limitano le dinamiche comunicative. Queste limitazio-
ni di spazio e di tempo nella comunicazione creano condizioni
stressanti sia per il medico che per il paziente.
Bisognerebbe invece permettere ai medici, e a ogni altro pro-
fessionista della salute, di dedicare più tempo a ciascun pazien-
te non solo per ridurre i problemi comunicativi, ma per lavora-
re con più soddisfazione. Con più tempo a disposizione, infatti,
potrebbe migliorare la qualità della relazione, attraverso una
comprensione delle informazioni più completa e puntuale e una
adesione più facile e naturale del paziente alle prescrizioni tera-
peutiche.

22
5 I. Comunicazione medico-paziente

Quali sono i benefici


del dedicare più tempo
alla comunicazione
con il paziente?
Il medico deve sempre valutare quanto attribuire alla dimen-
sione temporale in base al tipo di paziente, alle sue esigenze e ai
problemi di salute presenti.
Dedicare più tempo alla comunicazione consente al medico di:
• raccogliere informazioni in quantità e qualità sufficien-
ti per una corretta relazione terapeutica;
• ridurre le possibilità di errori;
• dare al paziente la sensazione di essere stato ascoltato e
considerato come persona, oltre che come soggetto por-
tatore di un disturbo o di un problema da risolvere;
• far sentire il paziente preso in carico con attenzione e
professionalità.

23
6 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Perché bisogna considerare


anche gli aspetti della
comunicazione non verbale
nella relazione con il paziente?
Il rapporto medico-paziente nasce dall’incontro tra due sen-
sibilità che tengono conto, da una parte, della pratica medica e
della sua capacità di risolvere i problemi di salute, e dall’altra
dell’attenzione ai vissuti, alle percezioni e ai significati che la
malattia assume per ogni individuo. In questo tipo di relazione
si stabiliscono complesse reti di rapporti che devono essere ana-
lizzate attentamente al fine di spiegare comportamenti e reazio-
ni. Non vi sono, infatti, pazienti con singoli bisogni, ma individui
con storie personali e necessità, che si relazionano con medi-
ci con obiettivi molteplici. La relazione è efficace quando ognu-
no comprende esattamente ciò che l’altro intende esprimere e,
perché questo avvenga, occorre che le due parti siano in sinto-
nia tra loro, in modo che il linguaggio utilizzato sia comune e che
le componenti verbali e non verbali del messaggio procedano in-
sieme. Ogni comunicazione interpersonale si svolge contempo-
raneamente su almeno due piani di significato:
• uno di contenuto, che riguarda le informazioni su fatti,
credenze, opinioni, sensazioni, esperienze, ecc.;
• l’altro di relazione, che concerne informazioni sull’i-
dentità sociale e personale dei partecipanti, sulle aspet-
tative reciproche e sul modo in cui ciascuno si valuta in
rapporto all’altro.
24
7 I. Comunicazione medico-paziente

Che cosa significa


prestare attenzione
al linguaggio verbale?
Il linguaggio verbale serve a denotare in modo essenziale le ca-
ratteristiche di un oggetto, di una percezione, di una situazione
o di una qualità astratta e consente a una parola di fornire indi-
cazioni o indizi circa alcune delle caratteristiche della persona
che la pronuncia (ad esempio la professione, l’orientamento ses-
suale, le idee politiche, ecc.). È costituito dai sentimenti o dai ri-
cordi che una parola evoca in chi la pronuncia o in chi l’ascolta.
Nel linguaggio verbale sono da considerare:
• il tono, che è il grado di maggiore o minore elevazione
della voce, ed è spesso legato a particolari stati d’animo
della persona;
• il timbro della voce, che è un carattere della persona
che consente di riconoscere un individuo che sta par-
lando;
• la pronuncia e l’accento, che offrono indicazioni circa
la provenienza o la cultura dell’individuo;
• l’intonazione, che è una modulazione della voce che of-
fre colorazione al discorso;
• l’accentazione, che consiste nel pronunciare con parti-
colare enfasi una o più parole in una frase modificando-
ne il significato per esprimere, ad esempio, accettazio-
ne, rifiuto, indifferenza, sorpresa, ecc.
25
8 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa si intende


esattamente per
comunicazione non verbale?
Nell’incontro-confronto tra medico e paziente si rivelano
aspetti del raccontarsi che vanno interpretati e non affidati
solo alle parole, ma all’aspetto esteriore, alla postura, ai gesti,
all’espressione del volto, ai movimenti del corpo, allo sguardo,
alle emozioni, ai sentimenti, agli stati d’animo, alle pause e ai
silenzi.
Per comunicazione non verbale si intendono i gesti e gli atteg-
giamenti che accompagnano le parole e danno enfasi alle affer-
mazioni.
Secondo rilevanti studi sulla comunicazione, il 69% della co-
municazione generale è costituito dalla comunicazione non ver-
bale.
Il comportamento non verbale è un «linguaggio di relazione
basato su sensazioni che sono all’origine delle valutazioni, opi-
nioni e giudizi che gli individui fanno sulle altre persone, viene
usato come mezzo primario per segnalare mutamenti di qualità
nello svolgimento di relazioni interpersonali».
Il corpo “parla” trasmettendo significati attraverso gesti ed
emozioni.
Il linguaggio non verbale è strettamente collegato a quello
verbale, e lo completa, in quanto non tutto può essere riportato
con il solo uso delle parole.
26
I. Comunicazione medico-paziente

Tuttavia, il corpo parla spesso una lingua che esprime pensie-


ri e intenzioni lontane da quelle che presenta la voce: è in grado,
in effetti, di rivelare le emozioni più profonde e più vere, e di co-
municare ciò che le parole non esprimono.
Le abilità nell’osservare la comunicazione non verbale sono
fondamentali perché in grado di fornire molti elementi per com-
prendere gli altri. Attraverso il movimento del corpo, del volto,
delle mani, tramite l’intonazione della voce, del suo ritmo e del-
le sue inflessioni, si riesce a comprendere in modo più approfon-
dito quello che non viene espresso verbalmente. Imparare il lin-
guaggio non verbale significa scoprire che cosa pensano davvero
gli individui.

27
9 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i principali segnali


del linguaggio non verbale?
Tra i principali aspetti da considerare nel linguaggio non ver-
bale vi è la postura, che alcuni sostengono dipenda dall’ambiente
in cui si è cresciuti e dalle situazioni vissute che hanno generato
specifiche contrazioni dei muscoli e determinato posizioni fisse.
Per quanto riguarda i gesti, possiamo fare una distinzione tra
gesti delle braccia e gesti delle mani, che costituiscono la parte
più rilevante della comunicazione non verbale tra gli esseri umani.
I gesti delle braccia possono creare inconsciamente una bar-
riera e indicare chiusura e rifiuto, oppure dimostrare apertura
e disponibilità.
I gesti delle mani, secondo Aristotele, sono strettamente col-
legati al cervello. Con le mani si realizza quello che si immagina
con la mente. Per questo mani e cervello sono considerati com-
plementari.
Anche le espressioni del volto dipendono direttamente dallo
stato d’animo. La fisiognomica, o scienza che studia il viso, i suoi
tratti, le sue proporzioni e le sue espressioni, considera molto il
rapporto tra l’aspetto visivo, esteriore di un individuo e il suo es-
sere interiore.
La voce viene modulata a seconda delle sensazioni che si pro-
vano o si vogliono trasmettere. Il suo volume si alza e si abbassa
sulla base delle emozioni che si stanno comunicando.
28
I. Comunicazione medico-paziente

Buona parte della comunicazione è rappresentata, inoltre, dal-


la comunicazione paraverbale, intesa come qualità della voce
(tono, risonanza e aspetti che si riferiscono alle caratteristiche
individuali del soggetto come età, sesso e provenienza), voca‑
lizzazioni, o caratterizzatori (sospiro, pianto, riso, sbadiglio),
qualificatori vocali (intensità, timbro ed espressione) e segre‑
gatori vocali (suoni o pause che accompagnano o intercalano le
parole).
Occorre, però, sottolineare che ogni gesto o movimento non ha
di per sé un significato preciso e inequivocabile, ma deve sempre
essere interpretato e inserito nel contesto dell’intero comporta-
mento di una persona.

29
10 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa si intende


per contesto comunicativo
ospedaliero?
Per “contesto comunicativo” si intende l’ambiente:
• fisico: il luogo in cui si comunica;
• temporale: il momento in cui si comunica;
• storico: i rapporti pregressi fra chi comunica e chi ri-
ceve;
• psicologico: il livello di empatia;
• relazionale: le modalità della comunicazione.
Nel caso di un contesto comunicativo ospedaliero si dovrebbe
porre maggiore attenzione alla relazione con il paziente che vive
una restrizione delle proprie libertà e subisce imposizioni che ri-
guardano quando e che cosa mangiare, quali indumenti indos-
sare, quando dormire, quali medicine assumere, quando uscire
dalla stanza, con chi condividerla, ecc.
Anche se l’incontro con il paziente è veicolato da prestazioni
tecniche e farmacologiche, la relazione può trasformarsi in op-
portunità per migliorare la capacità di gestione della malattia.

30
11 I. Comunicazione medico-paziente

Quali sono gli aspetti


del setting comunicativo
a cui prestare attenzione
nella comunicazione
con il paziente?
Gli aspetti da tenere in considerazione sono svariati e inter-
connessi.
Una prima categoria da considerare è quella dell’accoglienza,
in cui il setting della comunicazione può essere improntato a un
modello di apertura (esempio: mancanza di scrivania, sedie po-
sizionate di fronte, ecc.) o di separatezza (come i vetri che tutto-
ra caratterizzano molte postazioni di front-office).
Un’altra categoria centrale è quella relativa alla tutela del‑
la privacy in cui l’ambiente comunicativo che si offre all’inter-
locutore può essere dotato degli accorgimenti necessari a salva-
guardare la riservatezza di chi è coinvolto nel dialogo, evitando
al contempo anche gli elementi di disturbo come ad esempio il
telefono che squilla o altre persone che bussano alla porta.

31
12 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Perché è necessario saper


comunicare in modo adeguato
con il paziente, soprattutto
in caso di cattive notizie?
Benché spesso il percorso formativo di un medico riservi uno
spazio scarso o addirittura nulla agli aspetti relazionali di questa
figura professionale con il paziente, la loro importanza è sem-
pre più evidente anche in relazione ai rapporti di lungo corso tra
il malato e il professionista sanitario che si instaurano nell’arco
delle sempre più frequenti malattie croniche.
La comunicazione con il paziente fa parte dei doveri del pro-
fessionista sanitario e dei diritti del malato (v. anche domanda
1): anche la comunicazione di cattive notizie è necessaria per ra-
gioni giuridiche, deontologiche ed etiche relative al consenso in-
formato.
Al di là delle ragioni formali di una corretta comunicazione tra
medico e paziente, vi sono anche altri motivi: è stato dimostra-
to che in diversi casi una corretta comunicazione al paziente è
stata fondamentale per una sua attiva partecipazione alle cure,
ma anche per una maggior completezza nella raccolta anamne-
stica da parte del medico, con un conseguente avvio a terapie
più idonee.

32
13 I. Comunicazione medico-paziente

Quali dovrebbero essere


le competenze comunicative
e relazionali del medico?
Le competenze comunicative e relazionali del medico dovreb-
bero spaziare su tre campi diversi.
Innanzitutto il medico deve avere la conoscenza (sapere). La
sfera della conoscenza comprende le nozioni e l’applicazione
della comunicazione verbale e non verbale, la conoscenza della
psicologia tanto dei pazienti quanto dei curanti e le informazio-
ni riguardanti la relazione tra medico e paziente, oltre alla bioe-
tica e alla deontologia professionale. In secondo luogo il medico
deve possedere la competenza (saper fare). Questa sfera abbrac-
cia le abilità collegate alla corretta interpretazione della comu-
nicazione, dei sentimenti, delle reazioni emotive, dei meccani-
smi di adattamento e di difesa del paziente. Essa comporta un
corretto uso dell’“ascolto attivo”, che prevede una sapiente ge-
stione dell’ascolto e delle domande e risposte appropriate (per
una trattazione più esaustiva sull’ascolto attivo si rimanda alle
domande 29, 30 e 31 e al volume: De Santi AM, Teodori M. La di-
dattica in sanità. Comunicare, progettare e valutare la formazio-
ne. Torino: SEEd Medical Publishers 2012)
Infine il medico deve avere delle attitudini (saper essere),
deve, cioè, essere in grado di sviluppare con il proprio pazien-
te un rapporto empatico, che rappresenta la maniera più appro-
priata per entrare in relazione con il malato.
33
14 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa raccomandano


le principali linee
guida nell’ambito della
comunicazione?
E in particolare nell’ambito
della comunicazione
delle cattive notizie?
Anche partendo dal presupposto che il medico possegga le
necessarie competenze comunicative e relazionali, in partico-
lare per quanto riguarda la comunicazione delle cattive notizie,
egli deve sempre essere in grado di comunicare tenendo con-
to dei bisogni e delle capacità di ricezione da parte del pazien-
te e deve essere in grado di riconoscere e gestire i diversi tipi
di reazione.
Occorre prepararsi scegliendo per il colloquio un ambien-
te che garantisca riservatezza e tranquillità: la comunicazione
deve avvenire senza interruzioni e deve esserle dedicato un tem-
po sufficiente (almeno 10 minuti), oltre a una predisposizione
d’animo particolare: il medico, infatti, dovrebbe prepararsi psi-
cologicamente all’incontro prima di accogliere il malato.
Le finalità del colloquio devono essere chiarite sin dall’i‑
nizio e bisogna ricordarsi di domandare al paziente se desidera
che un’altra persona lo assista durante il colloquio.
Prima di iniziare a fornire informazioni, è importante sondare
il livello di conoscenza del paziente riguardo alla sua situazione,
in modo da poter completare le nozioni mancanti e poter proce-
dere a un’informazione graduale e più personalizzata, essen-
dosi anche accertati del suo effettivo desiderio di essere messo a
conoscenza della sua reale situazione clinica.
34
I. Comunicazione medico-paziente

Le informazioni fornite devono essere oneste e non dare spa-


zio a false speranze, ma l’atteggiamento del medico deve man‑
tenersi empatico, aperto alla manifestazione di emozioni, alla
formulazione di domande e pronto ad aiutare l’interlocutore a
ripristinare il controllo della situazione.
Nel riassumere il quadro clinico della situazione, il medico do-
vrebbe cercare di dare ampio spazio, se percorribili, alle possibi-
lità di trattamento, predisponendo una sorta di piano d’azione.
Un ulteriore riassunto finale dovrebbe bilanciare gli effetti
della cattiva notizia con gli elementi di speranza.
Il colloquio andrebbe concluso con un appuntamento per un
incontro successivo, che dovrebbe essere dedicato ai particolari
delle possibilità terapeutiche. Dovrebbe anche esprimere la pro-
pria disponibilità per eventuali chiarimenti e il suggerimento –
se necessario – di un supporto psicologico e specialistico.

35
15 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le frasi più adatte


da utilizzare nel corso
della comunicazione
delle cattive notizie?
Suggeriamo alcune frasi che possono essere utilizzate dal me-
dico nel corso della comunicazione delle cattive notizie per:
• capire che cosa il malato sa già:
‚‚ «Che idea si è fatto della sua situazione?»
‚‚ «Come ha scoperto la sua malattia?»
‚‚ «Come ha interpretato i suoi primi sintomi?»
‚‚ «Ha pensato che potesse essere qualcosa di serio?»
‚‚ «Che cosa le è stato detto dagli altri medici?»
• capire che cosa il malato vuole sapere:
‚‚ «Vuole che cerchi di spiegarle meglio la situazio-
ne?»
‚‚ «Lei è il tipo di persona che vorrebbe sapere, se ci
fosse qualcosa di serio in atto?»
• preparare il paziente alla cattiva notizia:
‚‚ «Temo che la situazione sia un po’ più seria»

36
16 I. Comunicazione medico-paziente

Quali sono, in sintesi,


i punti chiave da
non dimenticare nella
comunicazione al paziente
delle cattive notizie?
I punti salienti della comunicazione delle cattive notizie sono:
• la scelta del linguaggio: deve essere chiaro e commisu-
rato al livello culturale del paziente;
• l’empatia: comporta la capacità di mettersi nei panni
del paziente domandandosi che cosa potrebbe significa-
re per lui quella notizia consentendogli quindi di pre-
disporsi alla comunicazione attraverso il racconto della
sua storia in modo da capire quanto il paziente conosce
già della sua situazione clinica;
• l’informazione graduale: sarebbe opportuno evitare di
dare tutte le notizie in un’unica soluzione, riservando
l’approfondimento di alcune agli incontri successivi;
• l’ascolto attivo: comporta diverse abilità, tra cui la ca-
pacità di osservare, accogliere e rispondere adeguata-
mente alle emozioni del paziente, dando anche spazio
alle domande e ponendone nei momenti opportuni.

37
17 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cos’è il counselling


e come può essere utile
nella comunicazione
medico-paziente?
Il counselling è un processo integrato, costituito da più fasi, ap-
plicato a una relazione di aiuto, utile alla risoluzione di problemi
e all’assunzione di decisioni.
La relazione in questione è quella tra il cliente, cioè colui che
ha bisogno di aiuto, e il counsellor, cioè una persona esterna alla
sfera di relazioni del cliente che possegga le competenze per l’a-
scolto, il sostegno e la guida e che sia in grado di usare in manie-
ra appropriata e strategica informazioni e abilità per la gestione
ottimale della relazione.
Appare perciò chiaro che anche il medico dovrebbe possedere
nozioni di counselling, perché fa parte dei suoi compiti non solo la
comunicazione di informazioni, ma anche la gestione di una re-
lazione in cui siano presenti l’ascolto, la comprensione e il sug-
gerimento di soluzioni appropriate per il paziente e per i suoi fa-
miliari o caregiver.

38
18 I. Comunicazione medico-paziente

Perché il counselling viene


definito un processo integrato?
Il counselling viene definito un processo integrato perché favo-
risce la mobilitazione e l’integrazione delle risorse della persona
considerandola secondo una visione globale. Si avvale dell’inter-
vento di più figure professionali e si rivolge non solo all’indivi-
duo, ma anche alla famiglia, al partner e alle altre persone signi-
ficative per il paziente. È inoltre, un processo:
• intenso in quanto la relazione assume le caratteristiche
di una relazione profonda, condotta in un clima di com-
pleta accettazione e di totale rispetto per l’altro, quale
premessa per ottenere fiducia e collaborazione;
• focalizzato in quanto l’intervento deve essere orienta-
to sul “qui e ora” delle problematiche della persona, sui
problemi più urgenti, fissando obiettivi a breve termine
su cui lavorare;
• limitato nel tempo in quanto l’intervento deve essere
attuato in un breve periodo e favorire l’autonomia nella
gestione delle difficoltà quotidiane;
• specifico in quanto, sulla base del problema centra-
le e dei bisogni dell’individuo, vengono determinati gli
obiettivi del singolo intervento;
• attivo in quanto il counsellor deve prestare un ascolto at-
tivo, supportando la persona nel processo di elaborazio-
39
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

ne dei vissuti, nella definizione dei problemi e nell’adat-


tamento alle condizioni imposte dalla sua particolare
condizione di salute.

40
19 I. Comunicazione medico-paziente

Come si sviluppa il processo


del counselling?
Il processo del counselling si compone di tre fasi:
1. fase iniziale: il counsellor accoglie il cliente, costruisce
un’alleanza con lui, valuta ed esplora il suo problema e
infine sviluppa un piano di lavoro comune;
2. fase intermedia: il problema viene ridefinito e chiari-
to per stimolare il paziente alla sua identificazione; si la-
vora sul cambiamento che deve essere messo in atto ed
eventualmente si revisiona il piano di lavoro comune;
3. fase finale: il counsellor rafforza le risorse interne ed
esterne del cliente con lo scopo di renderlo indipenden-
te nell’identificazione e nella risoluzione dello stesso; si
valutano i processi avviati e risultati che sono stati otte-
nuti e che si spera di ottenere in futuro.

41
20 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le regole


di comportamento
da adottare nella
comunicazione con i pazienti?
Il gruppo CARE (Comunicazione, Accoglienza, Rispetto, Empa-
tia) dell’Istituto Superiore di Sanità ha messo a punto una serie
di Manuali di valutazione della comunicazione in diversi ambi-
ti sanitari. Tali Manuali (di cui si riporta una sintesi nel testo: De
Santi AM, Simeoni I. Il medico, il paziente e i familiari. Guida alla
comunicazione efficace. Torino: SEEd Medical Publishers, 2009)
presentano griglie di valutazione sotto forma di tabelle conte-
nenti raccomandazioni/linee guida per la buona comunicazione
dei medici e degli altri professionisti sanitari. In pratica si trat-
ta di check-list che rispondono all’esigenza di dare concretezza e
operatività a principi e a strategie generali largamente condivisi.
Queste tabelle, suddivise per momenti comunicativi fonda-
mentali in ambito sanitario, costituiscono per i sanitari un im-
portante strumento di valutazione e autovalutazione.
A titolo di esempio si riportano alcuni indicatori di qualità
presenti in una tabella sulle raccomandazioni generali di
buona educazione nella comunicazione con pazienti e fami‑
liari del Manuale di autovalutazione della comunicazione in on-
cologia dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il medico:
• non dà del tu facendosi dare del lei, tranne che con i
bambini e i ragazzi;
42
I. Comunicazione medico-paziente

• si ricorda il nome dei malati e li chiama come loro desi-


derano essere chiamati;
• evita di parlare con il paziente (esclusi i brevi scambi)
stando in piedi vicino al letto;
• evita l’uso del cellulare se non in caso di comunicazioni
urgenti e, in queste eventualità, si scusa;
• durante i colloqui guarda di tanto in tanto l’interlocuto-
re negli occhi, in modo non intrusivo;
• non usa parole difficili o poco comprensibili ai non
esperti della materia e, se le usa, le spiega;
• usa espressioni rispettose;
• si dichiara disponibile a fornire chiarimenti e incoraggia
le persone a chiederne;
• se deve richiamare il paziente o i familiari al rispetto
delle regole del servizio, lo fa cortesemente, criticando
il comportamento e non la persona e dando per sconta-
to in un primo momento che il comportamento sia stato
involontario o dovuto a ignoranza delle regole.

43
21 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono gli errori


comunicativi che
si commettono più spesso
quando ci si relaziona
con un paziente?
Gli errori di comunicazione che i medici commettono più spes-
so consistono nel:
• non dare tempo al paziente: accade quando il medi-
co lo interrompe spesso, si sente in dovere di riempire
immediatamente i momenti di silenzio, non accerta l’ef-
fettiva comprensione delle informazioni che ha fornito,
fornisce soluzioni immediate prima ancora di aver rea-
lizzato quali siano i reali problemi del paziente, respin-
ge subito qualunque suggerimento, tenta di anticipare il
pensiero del paziente e ribatte alle argomentazioni sen-
za aver lasciato il tempo al paziente di terminarle;
• peccare di superficialità: succede se il medico rassicu-
ra il paziente in maniera inefficace perché non ha inda-
gato sulle reali ragioni delle sue preoccupazioni, sminu-
isce la gravità della situazione focalizzando l’attenzione
su problemi marginali, ignora che ogni persona può in-
terpretare in modo diverso una malattia o una stessa
frase, sovrappone l’interesse per l’organo malato a quel-
lo della persona, non riesce a vedere modi alternativi di
intervenire, generalizza spesso;
• non applicare l’ascolto attivo: avviene quando il me-
dico usa troppo spesso domande chiuse, parla in gergo
44
I. Comunicazione medico-paziente

tecnico, reagisce in maniera non appropriata alle rea-


zioni emotive del paziente, dà le informazioni al pazien-
te nel modo o nei tempi errati, impone le proprie idee,
giudica in modo negativo la situazione personale del pa-
ziente, fa in modo che il paziente stabilisca una relazio-
ne di dipendenza da sé.

45
22 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono gli atteggiamenti


del paziente che rendono
la comunicazione più difficile?
Lo stato d’animo alterato da parte del paziente può ostacola-
re una corretta comunicazione medico-paziente in quanto pro-
voca “rumori interni”, dovuti a preoccupazioni e paure, che pos-
sono compromettere la relazione.
Per esempio l’ansia può arrivare talora a ridurre la sua lucidi-
tà, portandolo a falsare il significato del messaggio.
Anche il tono dell’umore depresso può condizionare la com-
prensione del messaggio in quanto può creare uno schema at-
traverso il quale si interpretano erroneamente i dati della realtà.
In questi stati d’animo, ma non soltanto, il significato attribui‑
to da parte del paziente a un termine di salute può rappresen-
tare un problema: una prescrizione che al medico può sembrare
banale o semplice potrebbe modificare programmi o progetti per
il paziente; parole come “piccolo intervento”, “ecografia”, “giorni
di ricovero” potrebbero suscitare o accrescere nel paziente paure
e ansie che al medico possono apparire ingiustificate.
Inoltre un paziente conflittuale, ansioso o agitato potrebbe
scatenare nel medico una reazione autoritaria che può danneg-
giare la relazione terapeutica.
Occorre sempre indagare su eventuali problemi relazionali, fa-
miliari e ambientali del paziente al fine di aiutarlo a fronteggia-
re situazioni difficili e comunicazioni complesse.
46
I. Comunicazione medico-paziente

Ogni “mal di testa” o il “mal di stomaco” di un paziente non è


solo diverso da ogni altro mal di testa o mal di stomaco, ma assu-
me contemporaneamente un significato all’interno di una espe-
rienza individuale e in un più ampio contesto condiviso.

47
23 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali problemi provocano


gli atteggiamenti
eccessivamente tecnici
da parte del medico?
Il mantenimento di un approccio alla diagnosi, con un’atten-
zione selettiva per i dati biomedici, rischia di andare a scapito
dei dati psicosociali del paziente. Il medico dovrebbe sempre at-
tribuire ai pazienti tutto il loro valore in quanto persone, per-
ché altrimenti viene esclusa dalla considerazione quella parte
dell’individuo, relativa agli aspetti psicologici e sociali della per-
sona, che è fondamentale per instaurare una proficua relazio-
ne di cura.
In effetti il medico si trova spesso a disagio perché deve fare
poco di ciò che gli è stato insegnato negli studi universitari, e
molto di ciò che non gli è stato insegnato, come, per esempio,
fare attenzione alle modalità comportamentali delle persone va-
lutandole come strategie per far fronte a problemi di salute, di
precarietà e disabilità.

48
24 I. Comunicazione medico-paziente

Quali reazioni provocano


gli atteggiamenti autoritari
da parte del medico?
Cercare di educare il paziente contrapponendosi a lui, dando
giudizi di valore, moralizzanti, con toni autoritari o paternalisti-
ci, fa sì che egli si senta svalutato e in posizione di minoranza.
Questo causa una sorta di infantilizzazione che riduce la sua ca-
pacità di fronteggiare efficacemente le difficoltà e di conservare
la propria autonomia.

49
25 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa sono


i meccanismi di difesa?
I meccanismi di difesa sono processi intrapsichici, frequente-
mente inconsapevoli, che la persona a cui, per esempio, è stata
comunicata la notizia di una malattia spesso attiva allo scopo di
proteggere l’immagine di sé e controllare il livello di ansia.
Si tratta di adattamenti messi in atto per mediare le reazioni a
conflitti emozionali e fattori stressanti.
Alcuni di essi sono particolarmente pericolosi nel paziente:
• negazione: è la cancellazione dalla coscienza dei conte-
nuti considerati intollerabili (es. viene negata l’esisten-
za o la gravità della malattia);
• regressione: è un ritorno a fasi precedenti dello svilup-
po psichico per sottrarsi a una condizione che si reputa
minacciosa (es. considerare il medico alla stregua di un
genitore da cui ottenere dipendenza e protezione);
• spostamento o proiezione: consiste nel far convergere
su altre persone le fonti di ansia (es. far diventare le pro-
blematiche scolastiche dei figli la fonte di preoccupazio-
ne principale che impedisce di avere il tempo per sotto-
porsi alle cure);
• scissione o formazione reattiva: consiste nell’eccede-
re nel comportamento opposto a quello che ci si atten-
derebbe per la sua condizione (es. le manifestazioni di
grande ottimismo in luogo di quelle di incertezza e pau-
ra che dovrebbero derivare dalla gravità della malattia).
50
26 I. Comunicazione medico-paziente

Quale tipologia
di messaggi possono
ostacolare la comunicazione
efficace con il paziente?
Tra le principali tipologie di messaggi che possono ostacolare
la comunicazione efficace troviamo:
• messaggi complessi: si tratta di messaggi di difficile
comprensione la cui decodifica non sempre avviene cor-
rettamente. Tali messaggi dovrebbero essere suddivisi
in diverse parti per essere spiegati in forma più chiara;
• messaggi trasmessi simultaneamente: sono messag-
gi che possono creare condizioni di sovraccarico e inter-
ferire tra loro nella comprensione. Troppi messaggi che
arrivano simultaneamente non sempre possono venire
decodificati e così il loro significato spesso può risultare
distorto. Si consiglia quindi di limitare i messaggi da tra-
smettere contemporaneamente;
• messaggi dovuti a meccanismi personali di distor‑
sione: disattenzione o mancanza di vocabolario comune
fanno attribuire significati diversi al messaggio;
• messaggi astratti con uso di parole che non hanno al-
cun riscontro diretto con la realtà, parole usate, quin-
di, secondo i propri schemi mentali che ignorano quel-
li degli altri;
• messaggi con uso della gergalità: ovvero l’uso di un
linguaggio convenzionale (gergale) introdotto da par-
51
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

ticolari gruppi sociali allo scopo di escludere gli “estra-


nei”;
• messaggi monotoni: che annoiano e compromettono
seriamente il livello di attenzione.

52
27 I. Comunicazione medico-paziente

Quali sono i benefici


del silenzio in una
relazione terapeutica?
Il mantenimento del silenzio in una relazione medico-pazien-
te è tanto importante quanto difficile da eseguire. Richiede in-
fatti molto allenamento, ma offre tra i suoi benefici una drastica
riduzione degli errori e dei fraintendimenti e un forte migliora-
mento della relazione.
Ascoltare richiede la pazienza di attendere che il malato ab-
bia terminato di comunicare il suo messaggio, evitando di in-
terromperlo, di completare le frasi e di guardare nervosamen-
te l’orologio.
È nel silenzio che si manifestano le attitudini alla disponibi-
lità personale e all’apertura incondizionata agli altri. In questo
modo il paziente si sentirà libero di esprimere anche idee oppo-
ste a quelle del medico senza il timore di essere redarguito, giu-
dicato o addirittura umiliato.

53
28 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Ci sono regole per imparare


ad ascoltare il paziente?
Si riportano alcune indicazioni in merito all’arte di ascoltare:
• eliminare le distrazioni;
• manifestare il proprio interesse e rispetto per quanto ri-
portato dall’altro;
• porre attenzione al contesto dell’altro ovvero al suo am-
biente sociale, familiare e culturale;
• ascoltare attivamente il messaggio verbale dall’inizio
alla fine;
• osservare e interpretare le emozioni dell’altro;
• non giudicare;
• non interrompere;
• non essere troppo ansiosi di arrivare alle conclusioni;
• essere in grado di cambiare il proprio punto di vista,
• ponendosi nella prospettiva dell’interlocutore.

54
29 I. Comunicazione medico-paziente

Che cosa si intende


per “ascolto attivo”?
Nel caso della relazione terapeutica, l’ascolto attivo da parte
del medico è quell’atteggiamento che lo rende in grado di man-
tenere vivo il suo interesse, la sua curiosità e il suo rispetto per
il paziente, rendendolo in grado di entrare con delicatezza nel-
la sua intimità.
Per incrementare la propria capacità di ascoltare attivamente
occorre elevare la qualità dell’ascolto, assumere il punto di vista
del paziente, cercare di conoscere e comprendere il contesto cul-
turale e relazionale in cui vive, diventando una sorta di “antro-
pologo della comunicazione”. Per fare ciò il medico deve fare un
grosso sforzo preliminare di preparazione psicologica, che con-
siste nel liberare la mente dai propri sentimenti, dai propri pro-
blemi e dai propri pregiudizi.
L’applicazione dell’ascolto attivo è in grado di far sentire il pa-
ziente ascoltato, stimato e valorizzato. Il circolo virtuoso che si
crea rende più facile per il medico rilevare anche elementi clini-
ci chiave che inizialmente non erano stati riportati dal paziente
perché ritenuti non importanti.

55
30 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono gli elementi


essenziali dell’ascolto attivo?
L’ascolto attivo prevede la comprensione non solo del messag-
gio verbale veicolato dal paziente, ma anche dei messaggi più na-
scosti e inconsci. La decodifica di tali messaggi è possibile se ci si
pone nella situazione di manifestare il massimo interesse per
quanto riportato dal paziente: il medico dovrebbe fare attenzio-
ne alla posizione del proprio corpo, che dovrebbe comunicare ac-
coglienza in assenza di barriere difensive; è importante mantene-
re la giusta distanza dal paziente e guardarlo negli occhi. I propri
pensieri dovrebbero essere messi da parte, il giudizio sospeso e
l’atteggiamento rilassato (si ascolta meglio se si è rilassati). Inol-
tre non dovrebbe essere interrotto e far trasparire impazienza.
Oltre a creare tali condizioni per far sentire il paziente ascol-
tato, è importante ascoltare attivamente il messaggio verbale
dall’inizio alla fine (anzi, soprattutto alla fine dal momento che
spesso le ultime parole sono le più importanti), ma anche osser-
vare i suoi comportamenti, i gesti, la mimica e le espressioni,
cioè tutti quegli elementi non verbali della comunicazione che
possono entrare in contraddizione con quanto comunicato dal
paziente con le parole.
Al termine dell’ascolto, per accertarsi di aver ben compreso il
messaggio, è utile riformularlo al paziente allo scopo di ottene-
re una conferma, una smentita o delle precisazioni.
56
31 I. Comunicazione medico-paziente

In che modo l’ascolto


interiore interviene nella
comunicazione?
All’ascolto dell’altro si aggiunge l’ascolto interiore, ovvero l’a-
scolto di se stessi. Osservare che cosa accade dentro di sé costitu-
isce una pratica che aiuta a sviluppare maggiore consapevolez-
za della realtà sia interna sia esterna e affrontare con maggiore
equilibrio la relazione con gli altri e con il mondo.
L’esperienza dell’ascolto interiore fa acquisire familiarità con
gli aspetti dalla propria mente e della propria persona, permet-
tendo di essere presenti e disponibili nel bisogno e aumentando
la capacità di sentire l’altro e di interagire con autenticità.
È il silenzio interiore che consente di centrare la comunicazio-
ne sull’altro e non su se stessi ed è una capacità che non si im-
provvisa: è una lenta esplorazione e una presa di contatto con il
proprio mondo interiore che rende possibile un modo personale
e profondo di vivere il rapporto con se stessi e con gli altri. È una
dimensione spirituale della persona che promuove l’unità e l’u-
tilizzo di tutte le risorse interiori.

57
32 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

In che modo un medico


può effettuare una
autovalutazione delle proprie
capacità comunicative?
Per autovalutare e poter migliorare le proprie capacità comu-
nicative, il medico dovrebbe porsi periodicamente queste do-
mande:
• cerco il momento e il luogo adatti per comunicare me-
glio?
• guardo in faccia il paziente o i familiari mentre comu-
nico?
• cerco di formulare e trasmettere il mio messaggio in
modo appropriato a cultura ed età del paziente?
• ascolto il paziente senza giudicarlo o criticarlo?
• mentre il paziente sta parlando penso ad altro o penso al
modo in cui risponderò a certe affermazioni?
• smetto di ascoltare se il paziente dice qualcosa su cui
non sono d’accordo, che non mi interessa o che presu-
mo di sapere già?
• do importanza ai dettagli che traspaiono dalla comuni-
cazione e agli elementi paraverbali e non verbali della
comunicazione?
• mi preparo prima se devo comunicare messaggi diffici-
li o complicati?
• se pongo delle richieste, ne spiego il motivo?
• cerco di utilizzare al meglio ciò che il paziente mi dice?
58
I. Comunicazione medico-paziente

• riesco a mantenere la concentrazione sui messaggi del


paziente anche in presenza di elementi di distrazione?
• individuo le parole o le frasi capaci di suscitare in me re-
azioni emotive?
• mi assicuro di avere capito bene ciò che il paziente mi ha
detto ricapitolandoglielo con altre parole?
• mi assicuro sempre che il paziente abbia ben compreso
chiedendogli di ripetere quanto detto?

59
33 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali aree è utile esplorare


nella comunicazione
con i pazienti?
Dal momento che ogni paziente risponde alla malattia espri-
mendo un suo vissuto soggettivo, per accedere alla sua storia,
comprenderne i bisogni, la sua percezione dei fatti e le aspettati-
ve occorre entrare in contatto con il suo mondo attraverso i suoi
sentimenti. Nel percorso di cura, infatti, i sentimenti che en-
trano in gioco e la capacità di elaborarli hanno un certo rilievo.
Anche le idee e le interpretazioni contribuiscono a creare il
complesso sistema di credenze con il quale il paziente si spiega la
sua patologia e mette in atto determinati comportamenti.
Le aspettative e i desideri rispecchiano quello che secondo il
paziente dovrebbe essere fatto, o meglio quello che si aspetta o
che desidera che accada, anche se non lo ritiene possibile.
Il contesto costituito dall’ambiente sociale, familiare e cultu-
rale del paziente risulta estremamente importante ai fini di una
corretta comprensione dell’individuo, in quanto influenza note-
volmente il vissuto di malattia.

60
34 I. Comunicazione medico-paziente

Quali sono le domande utili


per esplorare tali aree?
Si riportano di seguito alcune domande utili per un’adeguata
comprensione del vissuto di malattia del paziente:
• i sentimenti:
‚‚ che cosa prova?
‚‚ come si sente?
‚‚ che cosa la spaventa?
• le idee e le interpretazioni:
‚‚ come interpreta tutto questo?
‚‚ che conoscenza ha della malattia e delle terapie?
‚‚ che cosa ne pensa?
• le aspettative e i desideri:
‚‚ che cosa si aspetta che accada?
‚‚ che cosa desidera che accada?
‚‚ chi è in grado di aiutarla?
• il contesto:
‚‚ come è la sua vita ora?
‚‚ che cosa è cambiato da quanto è ammalata/o?
‚‚ come la sua malattia ha influito sulla famiglia, sul
lavoro e sui suoi progetti?

61
35 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i malesseri


che il medico affronta
quotidianamente?
Nel rapporto medico-paziente troppo spesso si pone l’accen-
to esclusivamente sul malessere provato dal paziente. Anche il
medico, tuttavia, può avere delle difficoltà nell’affrontare il suo
ruolo con il paziente.
Proprio da questi due elementi nascono la maggior parte delle
criticità che il medico può incontrare. In effetti il suo ruolo deve
spesso fare i conti, oltre che con i propri, con i limiti della me-
dicina e del contesto organizzativo, che impone dei tempi, de-
gli spazi e delle priorità, tra cui la sofferenza, i conflitti, le pau-
re, il senso di impotenza e la difficoltà nell’operare determinate
scelte che spesso vengono sottoposte a giudizi tecnici e di valore.
La relazione con il paziente e con i suoi familiari è l’altra
fonte principale di malessere per il medico. Non sempre, infat-
ti, riesce a instaurare una buona relazione di cura: spesso è co-
stretto a insistere ripetutamente con il paziente affinché effettui
esami diagnostici, gli porti i referti e cominci a curarsi. In queste
situazioni il medico potrebbe crollare perché non riesce più ad
ascoltare, perché pensa che il paziente non lo ascolti e perché ha
un desiderio crescente di fuggire dalla relazione.

62
36 I. Comunicazione medico-paziente

Quali sono gli effetti causati


dalla progressiva perdita
di fiducia nel medico
da parte del paziente?
Oggi i medici vivono una forte crisi di identità, sentendo venir
meno il proprio potere derivato dal carisma, in nome del quale,
nel bene e nel male, hanno nel passato costruito la forza del rap-
porto con il paziente. Si sta quindi assistendo a una diminuzione
della fiducia che il paziente (ormai sempre meno paziente) nu-
tre nei confronti del medico e il rapporto è talvolta guastato dal-
la diffidenza.
Ogni anno viene istruito in Italia un numero sempre crescente
di contenziosi giudiziali contro i medici. Le sentenze giudiziali a
carico dei medici aumentano, provocando un loro atteggiamen-
to difensivo che spesso comporta una riduzione degli interven-
ti terapeutici al minimo indispensabile per non correre rischi,
o una prescrizione di esami e trattamenti inutili (la cosiddetta
“medicina difensiva”).

63
37 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i segnali


di esaurimento emotivo
del medico da non
sottovalutare?
Troppo spesso i medici sottovalutano i segnali limite derivanti
dal malessere che provano in relazione al proprio lavoro. Si trat-
ta, in effetti, di un mestiere particolare, che comporta una ricer-
ca di gratificazioni e un alto investimento personale. Spesso si
rischia di sottovalutare livelli anche molto alti di stanchezza o
di insonnia, pensando che si tratti di problemi normali, ipotesi –
questa – troppo spesso confortata dal fatto che i colleghi si tro-
vano in situazioni analoghe. Alla manifestazione di tali segnali
concorrono frequentemente anche le richieste talvolta pressan-
ti e invadenti da parte dei pazienti, alle quali i medici hanno dif-
ficoltà a sottrarsi.

64
38 I. Comunicazione medico-paziente

Perché il medico ha difficoltà


a confrontarsi con la cronicità?
La cronicità obbliga il medico a ripensare ai suoi valori esi-
stenziali. È proprio nelle malattie disabilitanti e inguaribili che
il rapporto medico-paziente ha una rilevanza centrale, ed è pro-
prio rispetto a queste patologie che la tradizionale formazione
culturale e professionale del medico è carente. La cronicità met-
te il professionista a confronto con aspetti della vita che richie-
dono risposte personali: se è spaventato o sopraffatto dal dolore
del paziente, non lo può accompagnare o rassicurare.
La cronicità diventa quindi particolarmente pesante perché
mette di fronte alle proprie debolezze e ai propri limiti. Troppo
dolore non elaborato a sufficienza crea malessere e burn-out, a
cui può corrispondere una sorta di depersonalizzazione che pro-
voca risposte fredde, a volte ciniche, che sembrano non tenere
conto della sofferenza del paziente e delle persone vicine.

65
39 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Perché il medico ha difficoltà


ad “andare oltre al sintomo”?
Raramente il medico, durante un colloquio in ambulatorio,
raccoglie informazioni su problematiche psicosociali o familia-
ri del paziente, in quanto non sempre è in grado di gestirle. Ad
esempio per il medico di famiglia, che ricopre un ruolo fonda-
mentale nell’ambito dell’assistenza, è essenziale la conoscenza
delle famiglie e la continuità della relazione con il malato. Que-
sto privilegio diventa uno strumento sterile se il medico non svi-
luppa e amplifica le sue conoscenze sulla famiglia, andando oltre
il sintomo e la malattia, oltre alla corporeità, osservando la per-
sona come individuo inserita nel suo ambiente, all’interno del
suo contesto sociale.

66
40 I. Comunicazione medico-paziente

Perché il medico teme


il coinvolgimento emotivo?
Il coinvolgimento emotivo può giocare brutti scherzi soprat-
tutto quando le emozioni diventano talmente intense da far en-
trare il medico a capofitto dentro la situazione del paziente. Ne
può conseguire una situazione di burn-out (stress psicofisico con-
seguente a situazioni insoddisfacenti e ansiogene) che, per i me-
dici operanti nel Servizio Sanitario Nazionale, è spesso dovuto
allo squilibrio tra richieste degli utenti e risorse personali, tra
aspettative di ruolo e compiti effettivi, tra necessità di risponde-
re in modo integrato e in tempi utili a bisogni complessi e difet-
ti di comunicazione tra operatori e carenze organizzative strut-
turali aziendali.

67
41 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali situazioni
lavorative risultano essere
maggiormente protettive
per il benessere del medico?
Se il medico non ha cura di se stesso, rischia di non riuscire più
ad avere cura degli altri.
Fattori protettivi del malessere del medico consistono nel la-
vorare insieme a collaboratori (colleghi, infermieri, personale di
segreteria), nel lavorare meno di 40 ore settimanali, nell’avere
meno di mille assistiti (se si è medici di medicina generale), nel
lavorare in un contesto urbano e nello svolgere attività di tutor
o docente in ambiti della medicina generale.
Nel caso dei medici di famiglia, a differenza di quello di cui sof-
frono coloro che operano in area critica (rianimazione, emer-
genza territoriale, pronto soccorso), il malessere origina non
dalla natura stessa del lavoro, ma dall’approccio al lavoro che al-
cuni medici hanno assunto negli ultimi anni, auto-assegnando-
si un ruolo di impiegato burocrate sempre più lontano dal ruolo
centrale e fondamentale di medico di famiglia.

68
42 I. Comunicazione medico-paziente

Che cosa può aiutare a


prevenire il malessere
del medico?
Vi sono alcuni atteggiamenti che, se assunti dal medico, pos-
sono giocare una ruolo fondamentale nella prevenzione del ma-
lessere, in particolare:
• conoscere le proprie motivazioni personali per il lavo-
ro scelto ed essere convinti del suo valore per se stessi e
non solo per gli altri;
• conoscere e accettare i propri limiti nel lavoro e coltiva-
re aspettative realistiche;
• collaborare e confrontarsi in modo costruttivo con i col-
leghi, gli altri operatori e gli utenti;
• affrontare i problemi cercando le soluzioni realistiche
più utili, senza vittimismi e conflitti;
• gestire il tempo di lavoro organizzato per priorità;
• trovare un equilibrio tra spazi professionali e privati, tra
sacrifici e gratificazioni, in modo da considerare positi-
vo il proprio bilancio finale.

69
43 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa significa


per un medico “allenarsi
alla comunicazione”?
Un medico attento, allenato alla riflessione e formato alla co-
noscenza dell’altro è in grado di capire quando un individuo
manca di parole per definire i propri stati affettivi, oppure quan-
do li confonde (per esempio non distingue l’angoscia dalla de-
pressione, la paura dal fastidio, la collera dalla fame). Per far
fronte a questi bisogni occorre che il medico impari a comuni-
care in modo efficace, con gli strumenti della relazione di aiuto
e del counselling. Deve valorizzare gli obiettivi raggiunti con suc-
cesso, elaborando il dolore e gli insuccessi anche attraverso un
dialogo e un confronto di esperienze che possono condurre a un
sostegno pratico tra colleghi e a una collaborazione interdisci-
plinare, che, insieme alla formazione, rappresentano occasioni
preziose di riflessione su soluzioni percorribili e su aspetti a vol-
te sottovalutati, che si rivelano importanti per vivere in modo si-
gnificativo la propria professione.

70
44 I. Comunicazione medico-paziente

Come dovrebbe essere


la formazione del medico?
La formazione del medico dovrebbe:
• aver luogo durante l’intero programma di formazione
sia universitaria sia post-universitaria;
• essere rivolta a tutti gli aspetti della cura della persona,
sia sanitari che sociali;
• avvenire soprattutto nella pratica clinica e non solo du-
rante i corsi e le conferenze;
• avvalersi di una metodologia di apprendimento attiva e
sul campo;
• considerare la possibilità di una supervisione sia diret-
ta sia indiretta.

71
45 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

In che modo l’elaborazione


delle esperienze vissute
da parte del medico aiuta
la relazione medico-paziente?
L’elaborazione delle esperienze vissute da parte del medico
può portare diversi benefici nella relazione medico-paziente, in
particolare:
• apprendimento di competenze relazionali;
• visione più positiva del dolore e della cronicità;
• recupero della speranza anche in situazioni difficili.

72
PARTE II.
10 domande
sulle strategie
di comunicazione
nelle organizzazioni
sanitarie

73
II. Comunicazione nelle organizzazioni sanitarie

Introduzione
Per determinare l’efficienza delle organizzazioni sanitarie oc-
corre che le strategie comunicative considerino gli effetti della
comunicazione pubblica e istituzionale, definiscano gli elemen-
ti della cultura organizzativa che determina il tipo di leadership
e le dinamiche di gruppo e analizzino il ruolo professionale e il
fabbisogno degli operatori sanitari.

75
46 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa si intende per


“comunicazione pubblica”?
La comunicazione pubblica è una forma di comunicazione che
proviene dalla pubblica amministrazione e che si realizza solo
laddove ci sia un’autentica interazione a due vie tra cittadini e
stato. In pratica è la comunicazione che considera gli interessi
generali della comunità e che le istituzioni pubbliche rivolgono
ai cittadini per informarli circa le attività e iniziative condotte e
le opportunità loro offerte.

76
47 II. Comunicazione nelle organizzazioni sanitarie

Che cosa si intende per


“comunicazione istituzionale”?
La comunicazione istituzionale è la comunicazione che provie-
ne da un’istituzione o dai suoi rappresentanti ed è diretta alle
persone e ai gruppi dell’ambiente sociale in cui svolge la sua atti-
vità. Ha come obiettivo quello di stabilire relazioni di qualità tra
l’istituzione e il pubblico con cui si relaziona.

77
48 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa si intende per


“comunicazione d’impresa”?
La comunicazione d’impresa è la capacità di intrattenere rela-
zioni sia interne che esterne alla struttura dell’impresa conside-
rando i valori e le motivazioni di chi ne fa parte e gli atteggiamen-
ti e i comportamenti dei destinatari. Tale forma comunicativa
risente dello stile di management e del modo di rapportarsi con i
clienti/utenti e si distingue in esterna e interna:
• la comunicazione esterna è quella che presenta ai cit-
tadini-utenti e ai mass-media le informazioni riguar-
danti i servizi prodotti attraverso pubbliche relazioni,
sponsorizzazioni, promozioni e marketing per promuo-
vere in modo ottimale l’immagine. Questo tipo di comu-
nicazione considera gli atteggiamenti e i giudizi dell’o-
pinione pubblica per identificare, sulla base di questi, gli
obiettivi e le scelte operative dell’impresa;
• la comunicazione interna è la comunicazione che “fa
dialogare” i servizi socio-sanitari al fine di diffonde-
re e far condividere i valori e la cultura dell’azienda, al
fine di creare un contesto più collaborativo e migliora-
re i processi di lavoro instaurando un effetto positivo sul
clima interno e sul benessere organizzativo.

78
49 II. Comunicazione nelle organizzazioni sanitarie

Perché nei servizi


socio‑sanitari è importante
approfondire la
comunicazione interna?
L’importanza della comunicazione interna risiede nel ruolo
che riveste per:
• conoscere le condizioni in cui si opera;
• avere una visione complessiva delle attività da svolgere;
• giudicare il contenuto delle prestazioni erogate;
• capire i motivi dei propri errori e di quelli degli altri;
• partecipare ai processi di razionalizzazione dell’attivi-
tà svolta.

79
50 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Come si definisce
un’organizzazione?
Un’organizzazione è un insieme o un sistema di persone, grup-
pi, modalità, attività, risorse, relazioni che vogliono raggiungere
obiettivi comuni; trattandosi di un insieme strutturato di indi-
vidui e gruppi, può anche essere definito come una rete di rela-
zioni sociali.

80
51 II. Comunicazione nelle organizzazioni sanitarie

Che cosa si intende per


“cultura organizzativa”?
Le basi di un’organizzazione risiedono in alcuni aspetti fon-
damentali che costituiscono la cultura organizzativa (che deter-
mina anche il tipo di leadership e di dinamiche di gruppo) e che
sono:
• la visione: è l’immagine ideale del futuro di un’organiz-
zazione;
• la missione: è la ragione dell’esistenza di una organiz-
zazione, lo scopo globale dell’organizzazione;
• i valori: tutte le organizzazioni operano secondo dei va-
lori generali o priorità nel modo in cui vengono condot-
te le attività, che costituiscono il fondamento della cul-
tura dell’organizzazione stessa;
• la strategia: è l’approccio globale utilizzato per rag-
giungere gli obiettivi dell’organizzazione;
• la struttura: è costituita dalla distribuzione di respon-
sabilità, organigramma, definizione dei ruoli e coordi-
namento.

81
52 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le nuove capacità


richieste oggi al medico e
agli altri operatori sanitari?
Oggi, in relazione ad una più chiara presa di coscienza dei pro-
pri diritti da parte dei pazienti, ad una crescente diffusione di
malattie croniche e ad una maggiore necessità di competenza
e addestramento da parte dei medici e degli altri professioni-
sti sanitari, vengono richieste nuove capacità rispetto al passa-
to, quali:
• capacità di adattarsi al cambiamento, quindi flessibilità;
• capacità di comunicare e di lavorare in strutture inte-
grate;
• partecipazione attiva ai progetti e alle proposte dell’or-
ganizzazione;
• coinvolgimento attivo, con apporti di idee innovative.

82
53 II. Comunicazione nelle organizzazioni sanitarie

In che cosa consiste l’analisi


del ruolo professionale?
L’analisi del ruolo professionale consiste nell’analisi dei pro-
cessi operativi, vale a dire delle funzioni, delle attività e dei com-
piti di un individuo, finalizzata al raggiungimento di obiettivi
specifici che vengono formulati per rispondere alle attese socia-
li (mandato, domanda, bisogni, ecc.) nei confronti di quel deter-
minato soggetto.
L’analisi delle funzioni, attività e compiti permette, infatti, di
migliorare la cooperazione all’interno del gruppo, consentendo
al singolo di avere chiarezza sul lavoro proprio e degli altri, sulla
propria identità professionale, sulle proprie finalità contrattua-
li, contribuendo anche a disegnare il sistema informativo, impo-
stare la programmazione, la formazione e la valutazione.

83
54 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

In quali aree risiedono


i fabbisogni formativi
del medico e degli altri
operatori sanitari?
L’analisi del ruolo è strettamente collegata all’analisi dei bi-
sogni e alla definizione dei fabbisogni formativi degli operato-
ri, la cui rilevazione viene generalmente identificata in alcune
macro-aree:
• area dello sviluppo motivazionale o luogo dell’identità
e dei valori (area della competenza di base);
• area dello sviluppo di competenze tecniche relative
al tipo specifico di intervento e agli aspetti gestionali,
come l’informazione, l’aggiornamento e il sapere (area
delle competenze specifiche);
• area dello sviluppo delle metodologie di lavoro inter-
ne ed esterne al gruppo, incentrate sugli aspetti relazio-
nali e comunicativi (area delle competenze trasversali).

84
55 II. Comunicazione nelle organizzazioni sanitarie

Qual è il rapporto tra ruolo


professionale di un operatore
sanitario e obiettivi educativi
relativi alla sua formazione?
La formazione di un operatore sanitario prevede il raggiungi-
mento di alcuni obiettivi in merito alle sue capacità professio-
nali.
Esiste, infatti, un rapporto tra il ruolo professionale degli ope-
ratori e obiettivi educativi, ovvero:
• gli obiettivi generali riguardano le funzioni professio‑
nali;
• gli obiettivi educativi intermedi si riferiscono alle atti‑
vità professionali;
• gli obiettivi educativi specifici sono relativi ai compiti.
A titolo di esempio si può scomporre il ruolo professionale di un diret-
tore sanitario aziendale dalla cui “mission” si evince che “il governo cli-
nico” fa capo alla direzione sanitaria aziendale responsabile della qua-
lità, dell’efficienza tecnica e operativa della produzione di prestazioni e
della distribuzione di servizi.
Tra le sue funzioni troviamo quindi la direzione dei servizi sanita-
ri secondo modalità di indirizzo e controllo, con particolar riferimen-
to all’appropriatezza dei percorsi assistenziali, alla continuità dell’assi-
stenza, della sperimentazione, della ricerca e della formazione ecc.
Tra le sue attività sono presenti invece la direzione dell’area diparti-
mentale di prevenzione e riabilitazione, la direzione dei servizi sanitari
ai fini organizzativi e igienico sanitari ecc.
85
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Tra i suoi compiti ci sono la promozione della salute, la prevenzio-


ne della malattia e della disabilità, il miglioramento della qualità della
vita, attraverso azioni specifiche e misurabili.

86
PARTE III.
10 domande
sulle relazioni
tra professionisti
sanitari

87
III. Relazioni tra professionisti sanitari

Introduzione
Negli ultimi 15 anni l’assistenza sanitaria ha subìto forti cam-
biamenti, sia rispetto alla propria organizzazione, sia riguar-
do a fattori ambientali, comprendenti anche problemi di natu-
ra clinica. Tali mutamenti hanno reso ancor più indispensabile
affrontare le criticità relative alla collaborazione tra professio-
nisti sanitari.

89
56 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Come si può
definire la relazione
medico‑infermiere?
I medici e gli infermieri rappresentano i più grandi gruppi di
professionisti sanitari. Essi affrontano insieme quotidianamente
problemi complessi e di non facile soluzione.
Tuttavia la comunicazione tra le due professioni non sempre
avviene correttamente. Collaborazione e comunicazione rappre-
sentano elementi fondamentali per creare un’efficace relazione
medico-infermiere che si può definire come «una relazione dove
le due figure professionali lavorano insieme collaborando per
raggiungere una soluzione condivisa di un problema, gestendo
in maniera efficace lo scambio di informazioni, il processo deci-
sionale, l’attribuzione di responsabilità, le relazioni personali, i
conflitti, con fiducia e rispetto reciproci».
È stato dimostrato che un’efficace relazione collaborativa tra
medici e infermieri è in grado di assicurare migliori risultati in
termini di salute per gli assistiti, maggiore efficienza, migliore
soddisfazione professionale e riduzione dello stress lavorativo
per gli operatori.

90
57 III. Relazioni tra professionisti sanitari

Al di là delle condizioni
cliniche del paziente e
delle prestazioni tecniche
da parte degli operatori,
come si possono migliorare
i risultati per il paziente?
Al di là delle condizioni cliniche del paziente e delle prestazio-
ni tecniche da parte degli operatori sanitari, gli obiettivi da rag-
giungere per migliorare i risultati per il paziente sono:
• maggiore soddisfazione;
• migliori decisioni sulla propria salute;
• migliori esiti sanitari;
• riduzione della durata delle degenze ospedaliere;
• riduzione del rischio di errori clinici.

91
58 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Come si possono migliorare


i risultati dell’assistenza
sanitaria per l’infermiere
e il medico?
Affinché l’infermiere e il medico abbiano una maggiore soddi-
sfazione professionale, gli obiettivi da raggiungere sono:
• riduzione dello stress lavorativo;
• migliore comprensione del proprio e altrui ruolo;
• riduzione del turnover;
• migliore comunicazione con altri professionisti.

92
59 III. Relazioni tra professionisti sanitari

Come si possono migliorare


i risultati per l’organizzazione?
Dal punto di vista dell’organizzazione, gli obiettivi da raggiun-
gere per migliorare i risultati sono:
• riduzione dei costi;
• maggiore efficienza.

93
60 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Perché non si possono


sviluppare modelli
comunicativi di tipo
veramente paritario
tra medici e infermieri?
Fin dal passato si è sempre sostenuto che la relazione tra me-
dici e infermieri fosse di tipo gerarchico con supremazia del me-
dico. La formazione di entrambe le figure professionali veniva
ritenuta la causa principale del problema perché influenzava in
tal modo le future attitudini di medici e infermieri. Inoltre il fat-
to che la professione infermieristica fosse in gran parte svolta da
donne e che la medicina fosse per lo più un ambito maschile ha
rinforzato negli anni questa dinamica, unitamente all’atteggia-
mento dei pazienti, che hanno continuato a ritenere il medico il
massimo custode della loro salute.
Nel tempo, però, il ruolo dell’infermiere si è evoluto, specia-
lizzato e formalizzato con il supporto di una formazione di tipo
universitario, consentendo alle nuove figure professionali di di-
ventare più autonome nei rispettivi ambiti di competenza. Le
differenze di genere si sono ridotte con l’ingresso di molte don-
ne nella professione medica e di più uomini in quella infermie-
ristica. Inoltre si è verificato nell’opinione pubblica un certo de-
terioramento dell’immagine dei medici e un maggior interesse
verso l’esito e la sicurezza degli interventi sanitari.
Tutti questi fattori però non hanno prodotto fondamenta-
li cambiamenti nella relazione medico-infermiere. Molti medi-
ci continuano a percepire ogni tentativo degli infermieri di gua-
94
III. Relazioni tra professionisti sanitari

dagnare autonomia come una possibile invasione di campo, una


minaccia per il proprio status, un possibile rischio per la sicu-
rezza del paziente e la qualità dell’assistenza. Dal punto di vista
infermieristico invece, sebbene esista un maggiore desiderio di
migliorare il processo comunicativo, non viene considerata fon-
damentale una ridistribuzione del potere, così lo status eleva-
to e la posizione dominante dei medici rappresenta ancora una
norma diffusamente accettata. Tutto questo riduce la possibilità
di sviluppare modelli comunicativi di tipo veramente paritario.

95
61 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le barriere


nella comunicazione
medico-infermiere?
In ogni ambiente sanitario possono esistere barriere comuni-
cative tra medici e infermieri dovute a:
• difficoltà di comprensione dei ruoli: in assenza di
chiari confini di responsabilità e competenze, medici e
infermieri si trovano continuamente a negoziare i ri-
spettivi ruoli tentando di realizzare modelli comunica-
tivi che si adattino al contesto e alle contingenze dello
specifico ambito lavorativo;
• diverse percezioni e interpretazioni del processo de‑
cisionale e dell’autonomia professionale: medici e in-
fermieri hanno percezioni differenti su che cosa signi-
fichi collaborare e differenti pareri sul contributo del
proprio gruppo nel processo assistenziale. I medici sono
concentrati sulle attività diagnostiche e terapeutiche,
tendono a vedere l’attività clinica come un’impresa in-
dividuale in cui prendere decisioni e assumere respon-
sabilità diretta sugli esiti. Per loro cooperare significa
vedere messe in atto le proprie decisioni ed essere in-
formati sugli esiti in maniera tempestiva e corretta. Gli
infermieri, invece, considerano come loro competenza
fondamentale la comunicazione e la relazione di aiuto
al paziente, vedono l’assistenza come un’attività collet-
96
III. Relazioni tra professionisti sanitari

tiva in cui i compiti sono differenziati e le responsabilità


condivise. Per loro cooperare non significa solo sommi-
nistrare terapie o comunicare informazioni, ma esse-
re valorizzati per il proprio indipendente contributo al
processo di cura. Per questo motivo, per gli infermieri,
la percezione positiva del livello di collaborazione inter-
professionale è strettamente correlata al livello di sod-
disfazione professionale;
• differenze di potere reali e percepite: il principale fat-
tore che determina le modalità comunicative tra medici
e infermieri è il potere. In base a questa variabile si pos-
sono individuare 5 tipologie di relazione:
‚‚ collegiale: l’enfasi è sull’uguaglianza tra le due di-
scipline, che hanno poteri diversi ma equivalenti e
conoscenze condivise;
‚‚ collaborativa: vi sono buone relazioni basate sul ri-
spetto reciproco, interdipendenza ma non uguale
distribuzione di potere;
‚‚ studente/insegnante: la relazione è gradevole e
cortese, i medici sono desiderosi di discutere, spie-
gare e insegnare. La distribuzione di potere è ine-
guale, ma i risultati operativi buoni;
‚‚ neutra: manca l’interesse alla comunicazione. Lo
scambio di informazioni avviene ma gli infermie-
ri sentono non riconosciuto dai medici il loro con-
tributo. La distribuzione del potere è ineguale, i ri-
sultati sono neutri;
‚‚ negativa: frustrazione, rassegnazione e ostilità
sono i sentimenti che caratterizzano la relazione.
La distribuzione del potere è fortemente ineguale,
anzi frequentemente si verificano “giochi di pote-
re” e conflitti. I risultati sono negativi.
97
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Attualmente i confini tra che cosa sia strettamente di compe-


tenza medica o infermieristica diventano sempre più incerti. In
questa commistione di ruoli spesso i modelli comunicativi ste-
reotipati sembrano essere il solo modo di mantenere il potere.
Bisogna anche sottolineare che, sebbene il ruolo dell’infermie-
re sia in continua espansione, la differenza di status tra medico
e infermiere non è mutata con uguale intensità e velocità. I me-
dici sono autorizzati a esprimere direttamente il loro potere nel
sistema di assistenza, decidendo in gran parte come condurre le
attività cliniche e assistenziali; a ciò corrisponde uno status so-
ciale e retributivo di livello elevato. Gli infermieri, che sono una
componente fondamentale per il funzionamento di qualsiasi or-
ganizzazione assistenziale e il gruppo più numeroso in assolu-
to di professionisti sanitari, possono esprimere ben poca auto-
rità nelle decisioni che riguardano il modo di svolgere il lavoro
e il loro benessere; il loro contributo non viene pienamente ri-
conosciuto e le retribuzioni non corrispondono alla entità delle
responsabilità di cui si fanno carico. In questa situazione è com-
prensibile che non tutti gli infermieri vedano favorevolmente
la necessità di maggiore responsabilizzazione e autonomia e op-
pongano resistenza al cambiamento dei loro modelli comporta-
mentali e comunicativi.

98
62 III. Relazioni tra professionisti sanitari

Quali sono i fattori in grado


di influenzare la qualità
della comunicazione
medico-infermiere?
Nelle organizzazioni sanitarie i fattori che sono in grado di
influenzare la qualità della comunicazione medico-infermiere
possono essere ricondotti alle seguenti categorie:
• consapevolezza: molte delle cause di tensioni e difet-
ti di comunicazione tra gli operatori sanitari sono in-
dubbiamente dovute ai loro tipi di personalità o a fatto-
ri culturali esterni alle istituzioni sanitarie comunque
presenti in ogni ambiente lavorativo, quali ad esempio
manifestazioni di sessismo, razzismo, differenze socio-
economiche e/o dovute alla suddivisione del potere.
La consapevolezza del beneficio di una relazione colla-
borativa tra medici e infermieri, in termini di maggior
efficienza, migliori risultati per i pazienti e maggiore
soddisfazione professionale, consente di superare que-
sto tipo di problemi e di avviare politiche e program-
mi per migliorare il processo comunicativo tra le due
professioni;
• esperienza: ha un grande effetto nello sviluppare le ca-
pacità comunicative sia verbali che non verbali. Gli indi-
vidui più esperti, cioè più sicuri delle proprie capacità e
con piena comprensione e padronanza del proprio ruo-
lo, in entrambe le discipline, mostrano di saper instau-
99
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

rare migliori relazioni sia all’interno della propria pro-


fessione sia nei confronti dell’altra;
• interazione: la complessità del processo comunicati-
vo risulta maggiore laddove il compito infermieristico è
specialistico e i ruoli sono meno distinti. Infatti, sebbe-
ne da una parte la maggiore competenza favorisca ne-
gli infermieri la capacità di collaborare efficacemente
con il medico, dall’altra ciò genera una maggiore richie-
sta di autonomia e, di conseguenza, insofferenza ver-
so un ruolo di tipo ancillare. Tra i medici, invece, ten-
de a svilupparsi una certa resistenza verso la delega di
responsabilità per il timore della perdita di potere rea-
le o percepito. Dove l’ambiente è stressante e i ruoli non
chiaramente articolati e dove non viene consentito a
medici e infermieri di spiegare e negoziare le rispettive
visioni, la comunicazione diventa inefficace e aumenta
la possibilità di eventuali conflitti e abusi verbali. Medi-
ci e infermieri hanno anche una diversa percezione ri-
guardo ai problemi relazionali. Più studi hanno eviden-
ziato che i medici sono in grado di tollerare maggiori
livelli di stress e disaccordo, rispetto agli altri professio-
nisti sanitari, prima di percepire di essere in una situa-
zione conflittuale. Questa maggiore capacità di adatta-
mento ad ambienti problematici viene però interpretata
come insensibilità della cultura medica verso i benefici
di un clima collaborativo;
• professione: le scuole professionali di entrambe le di-
scipline dovrebbero fornire, oltre ad abilità tecnico-pro-
fessionali, anche capacità di relazioni umane, non solo
nei confronti dei pazienti ma anche degli altri professio-
nisti sanitari. Medici e infermieri ricevono un differen-
te tipo di formazione che è la base su cui sviluppano gli
100
III. Relazioni tra professionisti sanitari

obiettivi della pratica professionale e i futuri modelli co-


municativi. Ma è proprio questo diverso background che
spesso porta a conflitti sugli obiettivi e verso le priori-
tà dell’assistenza al paziente. Mentre considerare la ma-
lattia come una esperienza di vita, la collaborazione e la
ricerca di consigli sono incoraggiate nelle scienze infer-
mieristiche, i medici sono addestrati a essere decisioni-
sti e a risolvere problemi in maniera individuale, con-
siderando le malattie in base a ciò che possono vedere,
udire e quantificare. Poiché all’interno dell’organizza-
zione sanitaria si tenda a socializzare le competenze dei
vari operatori in un unico modello comunicativo, queste
differenze culturali possono portare a rifiutare o a sva-
lutare il punto di vista e il contributo dell’altro;
• ambiente: la chiave di un’efficace comunicazione me-
dico-infermiere risiede nel valore che viene attribui-
to dall’organizzazione al contributo di queste profes-
sioni nell’ottenere il risultato finale. L’organizzazione,
inoltre, rappresenta il contesto in cui la comunicazio-
ne interprofessionale si sviluppa o fallisce. Le organiz-
zazioni che funzionano in maniera gerarchica sono inte-
ressate a mantenere strette linee di comando-controllo,
e, di conseguenza, a non sviluppare modelli di comuni-
cazione interprofessionale. Le organizzazioni di tipo bu-
rocratico, altamente formalizzate, non sono in grado di
cambiare velocemente e possono essere ostacoli all’in-
novazione delle modalità comunicative.

101
63 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Esistono delle strategie


per migliorare
la comunicazione
medico‑infermiere?
In letteratura sono state proposte diverse strategie per miglio-
rare le relazioni medico-infermiere. I punti di convergenza tra
queste sono rappresentati dall’impegno e dall’interesse del ma-
nagement nel promuovere la pratica collaborativa, dal favorire
l’empowerment dell’infermiere attraverso la promozione di atti-
vità interdisciplinari, dal mettere in atto programmi di forma-
zione per sviluppare le competenze necessarie sia per i medici
che per gli infermieri, dal promuovere e sviluppare programmi
di ricerca sugli esiti clinici della collaborazione tra le due figu-
re professionali. Il comune denominatore di queste teorie è co-
stituito comunque dal fatto che entrambe le discipline debbano
imparare meglio a valorizzare e rispettare le conoscenze e le ca-
pacità di fare dell’altro. È necessario inoltre che ci si impegni a
scoraggiare comportamenti irrispettosi, discriminazioni e abusi
verbali da parte di qualsiasi operatore sanitario, attraverso codi-
ci di buona condotta condivisi e azioni di miglioramento che in-
tervengano sulle cause di tali comportamenti, piuttosto che san-
zionare solamente gli abusi.
Si riporta un elenco di strategie utili a migliorare la comunica-
zione medico-paziente:
• sviluppare strutture di comunicazione esplicite sulla ge-
stione del paziente per medici e infermieri del tipo:
102
III. Relazioni tra professionisti sanitari

‚‚ allargare il giro-visita, promuovere seminari inter-


disciplinari su aree di interesse comune, riunioni
informali per discutere casi contingenti;
‚‚ formalizzare il processo decisionale interdiscipli-
nare su strategie assistenziali e modalità organiz-
zative (ad esempio percorsi assistenziali);
• creare gruppi misti medici-infermieri per la soluzione
dei problemi legati all’assistenza in cui, lavorando insie-
me sviluppino fiducia e rispetto reciproci nel tempo; si
elencano di seguito alcuni esempi:
‚‚ avviare e promuovere programmi di pratica colla-
borativa;
‚‚ fornire supporto formativo e incoraggiamento alla
collaborazione;
‚‚ ricompensare la creazione di strutture collegiali;
‚‚ creare e nutrire il valore culturale della collabo-
razione;
• fare ricerca sugli outcome del paziente derivanti dalla
collaborazione medico-infermiere;
‚‚ fare ricerca sulla relazione tra comunicazione me-
dico-infermiere, soddisfazione professionale e tur-
nover:
‚‚ esaminare l’esistenza nell’ambiente lavorativo di
fattori strutturali che agiscano come barriere co-
municative tra medico-infermiere e per l’empower-
ment degli infermieri;
‚‚ concentrarsi meno sul controllo e più su coordina-
mento, integrazione e facilitazione del lavoro dei
professionisti;
‚‚ fornire a medici e infermieri accesso a risorse e
strumenti di supporto;
• implementare strategie per diffondere informazioni
sulle politiche gestionali.
103
64 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono gli elementi


di una buona collaborazione
tra professionisti sanitari?
Il benessere dei pazienti, obiettivo primario delle attività assi-
stenziali, è la ragione principale che sostiene l’interdipendenza
dei professionisti sanitari.
Nella pratica di tutti i giorni succede invece che, affrontando
problemi urgenti e complessi che sorgono in contesti multidi-
mensionali, essi si trovino intrappolati in barriere organizzati-
ve e limitati dai propri schemi mentali e linguaggi specialistici.
Così l’attenzione ai bisogni dei pazienti rimane una condizione
necessaria, ma non sufficiente perché gli operatori collaborino
in maniera efficace.
Per meglio definire il concetto di collaborazione tra professio-
nisti sanitari occorre considerare:
• relazioni interpersonali:
‚‚ condivisione della visione e degli obiettivi attra-
verso un processo di negoziazione tra la diversi-
tà di punti di vista, interessi e competenze dei vari
professionisti;
‚‚ forte legame tra i componenti del gruppo che si
basa sulla fiducia, sulla conoscenza reciproca, sia
come persone che come professionisti e sulla espli-
citazione dei diversi modelli concettuali, dei diver-
si ruoli e delle responsabilità;
104
III. Relazioni tra professionisti sanitari

• fattori organizzativi:
‚‚ governance, elemento fondamentale che compren-
de la leadership;
‚‚ formalizzazione, necessaria per strutturare l’as-
sistenza con approccio sistematico e chiarire gli
obiettivi da raggiungere attraverso lo sviluppo di
protocolli, procedure, accordi, ecc.;
• fattori esterni all’organizzazione:
‚‚ struttura del sistema di assistenza sanitaria e gra-
do di integrazione tra le differenti organizzazioni
(ad esempio ospedale, territorio, servizi, ecc.);
‚‚ sistemi formativi e organizzazioni professionali
che hanno un forte impatto nel definire le regole e
gli ambiti di competenza delle diverse professioni:
spesso questi rappresentano il maggiore ostaco-
lo alla collaborazione in quanto tendono a mante-
nere i professionisti intrappolati nei rigidi confini
della loro disciplina;
‚‚ valori e/o pressioni sociali, spesso agiscono come
spinta ad adottare nuove modalità di azione e
apertura a nuovi modi di pensare;
‚‚ politiche e regolamenti: il loro compito è quello
di facilitare l’integrazione e la collaborazione tra
professionisti, rimuovendo gli ostacoli e promuo-
vendo sistemi incentivanti.

105
65 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali cambiamenti nell’assistenza


sanitaria hanno incentivato
l’interesse per il miglioramento
della collaborazione tra
professionisti sanitari?
Fattori legati all’organizzazione assistenziale:
• aumento di responsabilità degli operatori;
• appiattimento della gerarchie;
• riduzione dei posti letto in ospedali per acuti;
• riduzione dei giorni di degenza ospedaliera;
• ambiente di lavoro più stressante;
• carenza di personale infermieristico/aumento dei cari-
chi di lavoro;
• aumento del ricorso a personale esterno (agenzie).
Fattori legati alla complessità ambientale:
• maggiore complessità e gravità delle patologie da trat-
tare;
• tumultuoso sviluppo tecnologico;
• imprevedibile e complessa natura delle tipologie di in-
tervento;
• necessità continua di riorganizzazione del lavoro;
• necessità di approccio multidisciplinare ai problemi sa-
nitari.

106
PARTE IV.
35 domande sulla
comunicazione nei
gruppi di lavoro,
la leadership e
la gestione dei conflitti

107
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Introduzione
Sebbene le strutture sanitarie possano avere ben poco control-
lo sui fattori legati alle caratteristiche della popolazione servita e
agli aspetti di politica sanitaria, molto invece può essere fatto per
ottenere un impatto significativo sul sistema assistenziale in ter-
mini di organizzazione, comportamenti e comunicazione efficace.
Con l’aumentare della complessità delle conoscenze tecnologiche
e sanitarie, le organizzazioni si trovano ormai da troppo tempo nel
mezzo di forze contrastanti: da una parte la pluricentenaria tradi-
zione medico-centrica, con esclusivo interesse sull’assistenza al pa-
ziente e organizzata mediante istituzioni professionali; dall’altra il
modello manageriale che tenta di rispondere alla crescente pres-
sione sociale verso maggiori responsabilità, contenimento dei co-
sti, standardizzazione dei protocolli e responsabilizzazione sui ri-
sultati, tutte priorità estranee alla tradizione ippocratica.
Tuttavia molte organizzazioni stanno tentando di trovare una
via di uscita da questo conflitto combinando le diverse capacità
e competenze degli individui in gruppi di lavoro multi- e interdi-
sciplinari in cui ogni membro contribuisce con la propria specifi-
ca competenza e attività in maniera coordinata, per raggiungere
obiettivi che vanno al di là della competenza dei singoli. Questo
tipo di relazioni richiedono però una maggiore attenzione alle
modalità della comunicazione interpersonale e di gruppo.
109
66 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le
caratteristiche di un “team”
o “gruppo di lavoro”?
Un gruppo di lavoro è composto da un insieme di individui che
hanno instaurato relazioni di integrazione, adattamento, impe-
gno e partecipazione. È caratterizzato da:
• obiettivi comuni;
• una chiara missione di gruppo;
• compiti interdipendenti;
• competenze interdipendenti;
• informazioni condivise;
• impegni e responsabilità condivisi;
• benefici e insuccessi condivisi.
Nel gruppo, quindi, l’impegno di ogni componente ha un effet-
to sinergico quando le diverse professionalità e i differenti ruo-
li interagiscono per il conseguimento di un obiettivo comune e
tende a produrre migliori risultati di quelli che si otterrebbero
con l’impegno dei singoli, soprattutto nei casi in cui non esista-
no approcci o procedure di soluzioni definite.
Per ottenere ciò, non solo sono necessarie la conoscenza e l’ac-
cettazione degli obiettivi da parte del gruppo, ma queste debbo-
no essere sempre coniugate con la coesione che il team-leader è
in grado di generare nel gruppo.
All’interno di un gruppo di lavoro, infatti, il vero bene di scam-
bio diviene la conoscenza, ovvero l’insieme di rapporti e di ca-
110
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

pitale immateriale che ciascuno ha accumulato nel corso della


propria esperienza. Infatti la comunicazione di gruppo con le di-
namiche emotive che le sono proprie e che si vengono a creare
rappresenta la modalità comunicativa più idonea a modificare i
comportamenti e gli atteggiamenti degli individui.
È ormai giudizio comune che i risultati ottenuti dai gruppi di
lavoro in sanità siano migliori di quella dei singoli laddove sia ri-
chiesta un’ampia gamma di compiti e di competenze, capacità di
gestire la complessità, adattabilità e capacità di gestione opera-
tiva. Ma anche per i singoli il lavoro di gruppo rappresenta un
vantaggio portando a maggiore autonomia, motivazione e sod-
disfazione professionale, raggiungendo obiettivi ben al di là del
proprio potenziale personale e vedendo riconosciuto il proprio
contributo.

111
67 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa si intende


per “gruppo di lavoro
interprofessionale”?
Per “gruppo di lavoro interprofessionale” si intende un grup-
po formato da membri che appartengono a diverse professioni
e posizioni organizzative, ognuno dei quali porta nel gruppo le
proprie competenze specialistiche (conoscenze, abilità e attitu-
dini) integrandole con quelle degli altri mediante un processo
di comunicazione, collaborazione, mediazione, condivisione del
processo decisionale con l’obiettivo di ottimizzare l’assistenza al
paziente o a gruppi di pazienti. Questi gruppi possono essere or-
ganizzati in varie maniere, ma in generale si parla di:
• gruppi multidisciplinari: differenti gruppi professiona-
li che lavorano in maniera interdipendente o parallela
per raggiungere un obiettivo comune;
• gruppi interdisciplinari: differenti gruppi professiona-
li che lavorano attivamente insieme in un progetto co-
mune;
• gruppi transdisciplinari: individui che lavorano in
gruppo trascendendo divisioni professionali o discipli-
nari in un progetto comune.
La costituzione e formazione dei gruppi può però richiedere
a volte tempi lunghi, ma è proprio questa sinergia a generare
una piena utilizzazione della forza-lavoro, che rende il lavoro di
gruppo vantaggioso per le organizzazioni.
112
68 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Quali sono i vantaggi


del lavoro di gruppo in sanità?
Oggi più che mai la medicina può essere considerata come un
tentativo di sviluppare un approccio multidimensionale deri-
vato dalle molteplici scienze mediche diretto al singolo pazien-
te, tenendo conto non solo delle patologie e delle emozioni, ma
anche delle condizioni ambientali, sociali, culturali e religiose.
Pertanto la collaborazione interprofessionale rappresenta ormai
una necessità per l’efficacia degli interventi assistenziali.
Alcuni studi che hanno esaminato i benefici dei gruppi mul-
ti-professionali hanno evidenziato che nel rispondere ai bisogni
del paziente questi sono meglio in grado di:
• trattare con la complessità dei bisogni assistenziali so-
prattutto nelle patologie croniche;
• essere più efficienti e coordinati nel rispondere a biso-
gni assistenziali multipli;
• fornire assistenza a livelli logistici multipli (ospedale,
domicilio, strutture di riabilitazione);
• ridurre ridondanze e duplicazioni;
• trovare soluzioni originali e creative a problemi com-
plessi;
• ridurre il rischio di errore.

113
69 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa sono le norme in un


gruppo e quali funzioni hanno?
L’appartenenza a un gruppo è in grado di cambiare i pensieri,
i sentimenti e i comportamenti dei membri attraverso varie for-
me di influenza sociale. Le norme rappresentano la maniera con-
divisa di vedere il mondo da parte del gruppo, assicurano stabi-
lità e prevedibilità di comportamento, determinano il modo in
cui risolvere problemi, prendere decisioni, e in generale svolge-
re il proprio lavoro. Le norme sono un prodotto collettivo e han-
no le seguenti funzioni:
• avanzamento del gruppo: servono al gruppo per rag-
giungere i propri obiettivi;
• mantenimento del gruppo: permettono al gruppo di
sopravvivere come entità;
• costruzione della realtà sociale: sostengono le opinio-
ni dei vari membri per costruire attraverso il consenso
una realtà condivisa;
• definizione dei rapporti con l’ambiente sociale: in-
trecciano relazioni rispetto all’ambiente sociale.

114
70 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

In che modo le norme


producono “conformità”
nel gruppo?
In genere le persone seguono le norme (si conformano) non
per pressione esterna ma perché agire in conformità delle nor-
me è personalmente appagante in quanto soddisfa il proprio bi-
sogno di sicurezza e padronanza della situazione (bisogno di es-
sere nel “giusto”) e perché fa sentire uniti agli altri, garantendo
rispetto e un’identità sociale positiva (bisogno di essere amati).
Nei gruppi caratterizzati da alta coesione la pressione interna
verso la conformità è molto alta.
Secondo Kelman esistono 3 tipi di conformità:
• accettazione: si è d’accordo per ottenere una reazione
favorevole da parte del gruppo;
• identificazione: si è d’accordo perché ci si vuole sentire
parte del gruppo. Tale tipo di conformità è spesso tem-
poranea e l’individuo torna ai suoi vecchi convincimen-
ti una volta abbandonato il gruppo;
• internalizzazione: l’individuo cambia il proprio punto
di vista e aderisce pienamente e nel profondo. Tale ade-
sione ha un effetto permanente poiché la norma diventa
parte del proprio sistema di valori.

115
71 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa si intende


per “coesione” tra
i membri di un gruppo?
Il concetto di “coesione” è il punto centrale poiché rappresen-
ta il livello di percezione del senso di appartenenza dei compo-
nenti di un gruppo che così può vivere e operare come un’unica
entità. Se un gruppo di lavoro è efficace, la coesione tra i mem-
bri di un gruppo non avviene solo perché le persone che lo com-
pongono hanno una relazione orientata a raggiungere uno sco-
po. Quanto più numerosi sono i vincoli che si condividono, tanto
maggiore è la coesione che si viene a creare all’interno del grup-
po; infatti M. Deutsch distingue:
• interdipendenza positiva: gli individui sono legati in
modo tale da creare una relazione tra il successo di uno
e quello degli altri (uno vince se tutti vincono);
• interdipendenza negativa: le persone sono legate da
una correlazione negativa tra il successo di uno e quello
degli altri (uno vince, gli altri perdono)
• assenza di interdipendenza: ogni persona persegue
il suo successo senza temere che altri possano ostaco-
larlo.
Nella coesione di un gruppo influiscono dunque il grado di co-
municazione interpersonale, la possibilità di sviluppare la pro-
pria identità sociale, l’attrazione sociale e individuale, la con-
divisione della rappresentazione della realtà di gruppo, delle
116
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

norme, e il processo di raggiungimento del consenso che condu-


ce all’uniformità.
Un’alta coesione nel gruppo può produrre, però, anche effet-
ti negativi. In gruppi molto coesi spesso l’identità personale vie-
ne ristretta e compressa, e coloro che tentano di migliorare o
indurre cambiamenti nel modo di lavorare vengono ignorati,
criticati o boicottati. Si possono verificano fenomeni di intolle-
ranza verso i “devianti”.
Spesso può accadere che il gruppo resti intrappolato in uno
stile di pensiero in cui il mantenimento della coesione e del be-
nessere sociale rappresenta la preoccupazione dominante. I con-
flitti e le discussioni vengono evitati e questo porta a pessimi ri-
sultati in termini decisionali perché le decisioni sono basate su
informazioni carenti e/o non vengono prese in considerazione
più alternative, né valutati i rischi. Questo fenomeno è chiamato
“pensiero di gruppo” o “groupthink”. Irving Janis descrive i sin-
tomi del pensiero di gruppo:
• sovrastima della forza del gruppo;
• conformismo;
• autocensura.

117
72 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che differenza c’è


tra i concetti di influenza
e di potere?
Una delle caratteristiche fondamentali delle dinamiche di
gruppo è la diversità dei livelli di influenza e di potere che ogni
componente esercita sugli altri.
Per “influenza” si intende la capacità di condizionare le attitu-
dini e i comportamenti degli altri.
Il concetto di “potere” riguarda invece la capacità di attuare la
propria volontà assicurandosi la condiscendenza degli altri; tale
concetto va distinto da quello di “autorità”, con cui invece si in-
tende il conferimento a una persona della possibilità di essere e
fare e del diritto di aspettarsi la condiscendenza degli altri. L’au-
torità è sorretta quindi dalla legittimazione.
Il concetto di potere all’interno di un gruppo è legato quindi
al concetto di autorità, alla figura, cioè, di chi lo esercita e alle
modalità attraverso cui lo esercita. Secondo il modello di French
e Raven, all’interno di qualsiasi organizzazione umana il potere
può essere esercitato in diversi modi:
• potere coercitivo: capacità di dispensare punizioni a
chi non rispetta le richieste o il compito;
• potere di ricompensa: capacità di offrire premi a chi
accetta le richieste o il compito;
• potere legittimo: diritto di un’autorità di richiedere ob-
bedienza;
118
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

• potere di riconoscimento (dell’esperto): capacità e abi-


lità percepite come superiori, maggiore possibilità di ac-
cesso e controllo sulle informazioni;
• potere di esempio (del referente): identificazione degli
altri con chi detiene il potere per attrazione o rispetto.
Detenere il potere non è, però, un esercizio unilaterale. Esiste
sempre una relazione tra il coinvolgimento dei subordinati e il
tipo di potere esercitato. Infatti l’esercizio di un potere di tipo
coercitivo produrrà prima o poi reazioni di resistenza e ribellio-
ne. Il potere esercitato da chi è in grado di assicurarsi la condi-
scendenza dei componenti del gruppo attraverso ricompense o
incentivi, o da un’autorità riconosciuta, garantirà adesione alle
proprie richieste. Ma sono le ultime due forme di esercizio del
potere identificate da French e Raven, in cui il potere si associa
alla capacità di influenzare il comportamento degli altri in as-
senza di coercizioni negative o positive, che garantiscono il mas-
simo impegno dei subordinati.

119
73 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Come si può definire


la leadership?
Le persone che interagiscono in un gruppo iniziano con il co-
struire insieme il significato dei rispettivi ruoli e delle modali-
tà di interazione reciproca (norme). Durante questo processo di
solito esistono, perché già formalizzate, oppure emergono sin-
gole persone o un gruppo ristretto che indicano al gruppo la via
da seguire per comprendere se stesso e gli impegni da affronta-
re. I membri del gruppo fanno propria questa visione e agisco-
no in maniera coerente. Compito di queste persone o gruppi ri-
stretti è quello di influenzare gli altri verso il raggiungimento di
obiettivi condivisi e dirigere il gruppo in modo da renderlo coe-
so e coerente.
La leadership si manifesta, infatti, come un processo in cui vie-
ne esercitata da alcune persone una forma di influenza caratte-
rizzata dalla capacità di determinare un consenso volontario. La
leadership è quindi un fenomeno collettivo perché si sviluppa in
comunità umane, è concreta, in quanto rappresentata da per-
sone, dipende dalle interazioni con l’ambiente circostante ed è
sensibile alle circostanze contingenti.
La leadership non solo coordina e dirige il lavoro ma, attraver-
so un tipo di influenza non coercitiva sui membri del gruppo, fa
in modo che essi raggiungano gli obiettivi prefissati mantenen-
do un livello di impegno alto e opportunamente direzionato e
120
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

tiene gli individui uniti in senso relazionale, sviluppando in essi


il sentimento di appartenenza. Essa ha quindi funzione di gui-
da, motivazione, costruzione e consente di governare i proces-
si di cambiamento.

121
74 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che differenza c’è tra un


manager e un leader?
Il termine “leader” è una parola di provenienza inglese deri-
vata dal verbo to lead, che significa guidare, indirizzare verso un
obiettivo, un’azione o un’opinione. Il leader è quindi colui che
crea una visione del futuro, che coinvolge le persone motivan-
dole e ispirandole verso il raggiungimento di un fine. Il termine
“manager” deriva invece dal verbo to manage, che in inglese ha il
significato di dirigere, gestire, amministrare, quindi il manager
è colui che dirige o amministra un’organizzazione e rappresen-
ta perciò un’autorità.
La leadership è un fenomeno relazionale, collettivo e pro-
positivo e condivide con la posizione di un’autorità la funzio-
ne fondamentale del raggiungimento degli obiettivi, ma, men-
tre l’autorità rappresenta la legittimazione del potere da parte
di tradizioni, leggi, regole o consuetudini, ciò che legittima la le-
adership è fondato nella scelta libera e consapevole dei subordi-
nati tra alternative reali di comportamento.
Esiste quindi una profonda e importante differenza tra lea-
dership e management, sebbene entrambe le funzioni siano fon-
damentali in un’organizzazione. In molti casi le due funzioni si
sovrappongono perché le funzioni di management spesso neces-
sitano di capacità di leadership (sapienza nella conduzione di ri-
sorse umane, interpretazione dei bisogni altrui, riconoscimento
122
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

delle attese del gruppo, ecc.), e i leader spesso svolgono attività


manageriali. Comunque leadership e management comprendo-
no attività e comportamenti diversi per quanto riguarda l’orien-
tamento verso gli obiettivi, la concezione del lavoro, la tipologia
delle relazioni con gli altri e la percezione di sé.

123
75 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le caratteristiche


della leadership?
Le caratteristiche principali della leadership consistono nel:
• creare e comunicare la visione;
• prevedere i cambiamenti;
• prendere decisioni;
• motivare e incoraggiare le persone;
• costruire rapporti basati sulla fiducia;
• trovare soluzioni ai problemi e ai conflitti;
• offrire credibilità e affidabilità;
• assumere un atteggiamento dinamico e positivo;
• orientare all’eccellenza.

124
76 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Come si diventa
un buon leader?
È possibile allenarsi a diventare un buon leader, e a questo sco-
po è opportuno concentrare la propria attenzione su:
• migliorare le proprie capacità di introspezione: co-
noscere i propri punti di forza tanto quanto i punti de-
boli impegnandosi per migliorarli;
• mantenere alto il livello di competenza tecnica lega‑
to al compito assegnato per sviluppare le proprie capa-
cità e per aiutare e far migliorare gli altri;
• assumersi le proprie responsabilità: soprattutto se le
cose vanno male, non cercare di scaricare le responsabi-
lità sugli altri e non sentirsi sconfitti. Analizzando la si-
tuazione, adottando azioni correttive, si possono trasfor-
mare gli insuccessi in opportunità di miglioramento;
• essere di esempio per gli altri, cioè essere presente, af-
fidabile, leale, onesto, competente, disponibile, diretto,
coraggioso e creativo;
• conoscere la propria organizzazione, ovvero i valori,
la cultura, le politiche, il clima organizzativo, i suoi lead­
er sia ufficiali che non, mantenendo buone relazioni con
chi può aiutare e con chi creerà problemi;
• stabilire la direzione e motivare continuamente i
collaboratori a seguirla;
125
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

• prendere decisioni valide e tempestive, cioè lavora-


re per sviluppare le capacità di risolvere i problemi, im-
pegnarsi per sviluppare decisioni condivise e pianificare
attentamente le azioni;
• sviluppare e utilizzare al massimo le capacità di tut‑
ti, assicurandosi che ognuno abbia accesso alle infor-
mazioni necessarie per svolgere il proprio compito al
meglio e che ognuno si senta responsabile del raggiun-
gimento dei risultati;
• sviluppare nei collaboratori lo spirito di gruppo cre-
ando un clima di rispetto e fiducia reciproca, di apertura
alle idee degli altri e di stimolo alla creatività;
• conoscere i collaboratori e occuparsi del loro benes‑
sere prendendo sinceramente a cuore i bisogni, le aspet-
tative, le emozioni, e soprattutto imparando a ricono-
scere i diversi modi in cui essi affrontano i problemi e
le difficoltà.

126
77 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

In che modo i ruoli all’interno


di un gruppo contribuiscono
alle sue dinamiche?
La particolarità dei gruppi di lavoro è quella di costituire una
rete di comportamenti integrati nella quale il comportamento
di ognuno direttamente influenza e viene influenzato dal com-
portamento degli altri e indirettamente contribuisce al raggiun-
gimento degli obiettivi del gruppo. Ma perché ciò si verifichi è
necessario stabilire delle basi di comportamento che si sviluppi-
no a seconda delle modalità di interazione dei membri del grup-
po: tali basi di comportamento e di interazione vengono defini-
te “ruoli”.
La definizione dei ruoli in un gruppo permette di facilitare il
raggiungimento degli obiettivi dividendo il lavoro tra i compo-
nenti e di mantenere il gruppo coeso portando ordine e prevedi-
bilità, in modo che tutti sappiano che cosa aspettarsi e da chi. In-
fatti, quando la struttura è chiara e ben bilanciata, permette lo
svolgimento dell’attività in modo efficace e produttivo e facilita
il pieno utilizzo delle risorse.
Nella vita del gruppo, individui che hanno ruoli specifici adot-
tano specifici comportamenti concorrendo così a determinare la
vita e le dinamiche del gruppo di appartenenza. Per “comporta-
mento” si intende non la responsabilità o il risultato di perfor-
mance di un operatore, ma ciò egli fa concretamente per svolge-
re il proprio ruolo. La competenza che permette a una persona
127
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

di esprimere i comportamenti richiesti dal proprio ruolo è arti-


colata e vi interagiscono vari fattori: esperienze, conoscenze, ca-
pacità, comunicazione, personalità.
Ogni componente del gruppo (team player), adottando un par-
ticolare stile comportamentale, concorre, nella sua posizione e
con lo svolgimento del proprio ruolo, a determinare la vita e le
dinamiche del gruppo di appartenenza. Secondo Belbin (1981),
ogni individuo in un gruppo tende ad assumere differenti “ruo-
li di gruppo” intesi come peculiari tendenze a comportarsi, con-
tribuire e mettersi in relazione con gli altri. A ogni ruolo corri-
sponde un comportamento tipico e delle influenze positive nel
gruppo. Ma ognuno di questi è accompagnato da alcuni difetti
che Belbin definisce “debolezze accettabili”, nel senso di aspet-
ti di cui essere consapevoli o aree di possibile miglioramento.
Sebbene nella vita del gruppo ogni componente possa adot-
tare diverse tendenze comportamentali, alcune di queste ten-
dono a dominare sulle altre, rendendo ciascun elemento più o
meno adatto a ricoprire determinati ruoli o a svolgere determi-
nati compiti.

128
78 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Che cosa si intende per


“equilibrio di un gruppo”?
Ogni individuo personalizza il proprio comportamento in fun-
zione di come percepisce il proprio ruolo. Tutto ciò può portare
a conflitti tra l’individuo e gli altri tanto più facilmente quanto
più è forte la discrepanza tra come l’individuo percepisce il pro-
prio ruolo e come invece lo percepiscono gli altri.
Un gruppo tende a essere sbilanciato se è composto da membri
che hanno lo stesso tipo di capacità e di comportamento: se tut-
ti hanno gli stessi punti di forza tenderanno a competere tra di
loro e se hanno tutti gli stessi difetti, allora l’intero gruppo sarà
gravato da quel difetto. L’efficacia di un gruppo dipende, quin-
di, dall’equilibrio che deriva dalla presenza di individui con ca-
ratteristiche attitudinali e comportamentali in grado di bilan-
ciarsi tra loro.
In effetti ogni gruppo necessita di persone che sappiano fare,
di persone che sappiano pensare e pianificare, di persone che
abbiano capacità di leadership e che sappiano sviluppare rela-
zioni positive interne ed esterne al gruppo. Una volta compre-
so appieno il significato del proprio ruolo nel gruppo, gli indi-
vidui possono imparare a modificare e/o sviluppare il proprio
stile per raggiungere migliori risultati sia sul piano professiona-
le che personale.

129
79 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Come si può favorire


la collaborazione
multi‑professionale?
Negli ultimi anni le necessità di assistenza al paziente troppo
spesso entrano in conflitto con le crescenti necessità di rispar-
mio economico, con la standardizzazione dei protocolli e con la
responsabilizzazione sui risultati.
Allo scopo di risolvere tale conflitto, può essere utile creare dei
gruppi di lavoro multi- e inter- disciplinari, che siano in grado,
per la molteplicità delle competenze in gioco, di ottenere risul-
tati migliori rispetto a quelli che potrebbero essere ottenuti dai
singoli individui. In essi occorre prestare particolare attenzione
alla comunicazione interpersonale e di gruppo, perché mettere
insieme semplicemente diversi professionisti in un gruppo non
garantisce né la cooperazione né la collaborazione. In un grup-
po, infatti, le diverse correnti di informazioni, opinioni, ipotesi
debbono venire elaborate in maniera strategica per raggiungere
l’obiettivo finale di trovare una spiegazione accettabile, ragione-
vole e condivisa del fenomeno osservato, così che possano essere
intraprese azioni appropriate.
Dalla ricerca possiamo trarre inoltre alcuni metodi scientifica-
mente validi per favorire la collaborazione multi-professionale:
• sviluppare uno scopo condiviso: raggiungere uno sco-
po condiviso aiuta le persone a governare le proprie in-
terazioni e a costruire la propria identità. In situazio-
130
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

ni di indecisione o di conflitto rispondere alla domanda


«che cosa stiamo cercando di ottenere?» rappresenta
un’opportunità per comprendere i sentimenti e le vo-
lontà comuni e per andare oltre alle posizioni iniziali;
• creare un ambiente aperto e sicuro: creare un clima
in cui il parere di tutti venga preso in considerazione
e in cui la critica sia di tipo costruttivo, basata su dati
e osservazioni, stimola la creatività e l’impegno. È sta-
to dimostrato, inoltre (Hutchinson) che la ridondanza di
informazioni provenienti dalle diverse professionalità
coinvolte, lungi dall’essere un fattore di confusione, ag-
giunge valore alle decisioni, creando un robusto mecca-
nismo di ricerca e correzione degli errori;
• includere tutti coloro che condividono lo scopo e in‑
coraggiare i diversi punti di vista: tutti coloro che
hanno competenza, ruolo e posizione rilevanti per il
raggiungimento dello scopo del gruppo, al di là di quel-
le che possono essere le divisioni e i confini culturali o
organizzativi, sono più disposti a collaborare se inseriti
in un processo di cambiamento che rispetta le loro diffe-
renze di stile e di azione;
• apprendere come negoziare l’accordo: quella che vie-
ne ricercata non è la soluzione ottimale, ma la soluzione
più efficace. L’efficacia delle decisioni dipende sia dalla
capacità di integrare le diverse competenze sia di sinte-
tizzare i diversi punti di vista;
• usare correttezza nei rapporti tra le persone ed
equità nell’applicazione delle regole: una volta che le
regole di partecipazione nel gruppo sono state definite,
queste debbono essere rispettate.

131
80 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le fasi


della vita di un gruppo?
Le competenze atte a favorire la collaborazione multi-profes-
sionale vengono apprese gradualmente attraverso una serie di
cambiamenti che trasformano un gruppo di individui in una uni-
tà operativa efficace e coesiva mediante lo sviluppo di capaci-
tà operative e relazionali. Infatti, la formazione di un gruppo ri-
chiede tempi lunghi, ma la sinergia che si genera porta a una
piena applicazione delle competenze di tutti e rende il lavoro di
gruppo vantaggioso per le organizzazioni.
Dalla metà del secolo scorso si sono sviluppate numerose te-
orie sullo sviluppo dei gruppi; la più nota è quella di Bruce
Tuckman e Mary Ann Jensen. Secondo il loro modello, durante il
suo ciclo vitale, il gruppo attraversa 5 fasi:
1. fase costituente, nella quale i membri del gruppo co-
minciano a interagire con timidezza, diffidenza e incer-
tezza. Le persone più estroverse rapidamente assumono
un certo grado di leadership. La maggiore preoccupazio-
ne è evitare la competizione e i conflitti;
2. fase conflittuale, caratterizzata da competizione e con-
flittualità sia sul piano relazionale sia organizzativo. Au-
menta il desiderio di impegno e chiarificazione sulle re-
gole e sugli obiettivi;

132
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

3. fase normativa, in cui gli obiettivi vengono accettati, il


gruppo definisce la sua struttura interna vengono stabi-
lite norme, ruoli e responsabilità. Tutto questo tende a
sviluppare la coesione e il senso di appartenenza;
4. fase realizzativa, nella quale le relazioni interpersona-
li si espandono verso l’interdipendenza; da questo pun-
to in poi il gruppo diventa produttivo e contemporane-
amente si sviluppano le capacità di sperimentare e si
pone l’enfasi sul raggiungimento del successo;
5. fase di sospensione, che rappresenta lo stadio finale
della vita di un gruppo, sia se questo non sia riuscito a
evolvere pienamente attraverso le fasi precedenti, sia se
il gruppo, raggiunti gli obiettivi, abbia terminato il pro-
prio mandato.

133
81 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Come vengono generalmente


prese le decisioni?
Dal momento che ogni professionista sanitario prende impor-
tanti decisioni tutti i giorni, una migliore comprensione del pro-
cesso e delle tecniche decisionali aiuta a migliorare le proprie
capacità di scelta e di azione.
In una ipotetica situazione ideale dove chi decide ha tutte le
informazioni necessarie e tempo illimitato il processo decisiona-
le segue le seguenti fasi:
1. definizione del problema;
2. chiarificazione e definizione dell’ordine di priorità de-
gli obiettivi;
3. generazione di tutte le possibili opzioni per il raggiungi-
mento degli obiettivi;
4. valutazione di ogni opzione: comparazione delle conse-
guenze di ogni opzione sul raggiungimento degli obiet-
tivi;
5. scelta dell’opzione le cui conseguenze si avvicinino di
più agli obiettivi con il minor livello di rischio, tenendo
anche in considerazione i propri valori e il proprio sti-
le di vita.
In pratica, però, il processo decisionale non è lineare come,
per semplificazione, viene descritto: è invece sistematicamen-
te distorto da limitazioni di conoscenze, tempo e risorse. Inoltre
134
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

le decisioni vengono prese in un contesto di altre decisioni che


ne influenzano l’esito, il quale a sua volta determinerà altre de-
cisioni e così via.
Quando si prendono decisioni in gruppo si aggiungono altri
fattori di complessità in quanto, nella valutazione della realtà,
gli esseri umani producono una serie di distorsioni sistematiche,
dovute alle loro opinioni, esperienze e attitudini, che generano
diversi punti di vista che necessitano di essere sintetizzati e in-
tegrati per raggiungere una decisione condivisa.

135
82 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i vantaggi


del processo decisionale
di gruppo?
L’approccio di gruppo al processo decisionale è in grado di mi-
gliorare la qualità delle decisioni soprattutto quando sono ri-
chieste soluzioni innovative e, attraverso la costruzione del
consenso, di garantire il supporto di tutti alle azioni da intra-
prendere. Esistono infatti molti modi di prendere decisioni: sen-
za dubbio il modo più efficiente è quello di lasciare ai capi questo
compito. Ma l’efficienza non è l’unico né il più importante crite-
rio per valutare la qualità di una decisione. Quando il processo
decisionale coinvolge tutte le persone sulle quali ricadranno gli
effetti della decisione stessa, queste saranno più motivate a par-
tecipare all’implementazione delle soluzioni. Di seguito si elen-
cano i principali vantaggi del processo decisionale di gruppo:
• attitudinali:
‚‚ aumenta la soddisfazione:
‚‚ aumenta il coinvolgimento;
‚‚ aumenta l’impegno;
• cognitivi:
‚‚ migliora il flusso della comunicazione;
‚‚ facilita l’utilizzazione delle informazioni;
‚‚ aumenta la comprensione del processo decisionale;
• comportamentali:
‚‚ aumenta l’efficacia delle decisioni;
‚‚ migliora la produttività.
136
83 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Quali sono le tecniche


decisionali di gruppo?
All’interno di un gruppo le decisioni possono essere assunte in
tre modi alternativi:
• decisione unilaterale da parte delle autorità (i capi):
avviene quando non tutti i membri del gruppo hanno ac-
cesso alle informazioni necessarie per decidere o quan-
do esistono limitazioni di tempo o di pianificazione;
• votazione con procedura di tipo parlamentare, in cui
viene adottata la proposta della maggioranza. Imporre
il volere della maggioranza può dar luogo a situazioni
vincitore/perdente e non sempre la minoranza è dispo-
nibile a supportare la parte vincente. Il rischio è quindi
quello di generare insoddisfazione, disimpegno e addi-
rittura ostruzionismo;
• consenso, che non significa unanimità, ma un modo di
arrivare al raggiungimento di un impegno unanime a
supportare la decisione presa, dopo un processo di di-
scussione e negoziazione in cui vengono presi in conside-
razione gli interessi e i valori di ognuno. Raggiungere il
consenso richiede però tempo e disponibilità sia da parte
del team- leader a condividere il controllo del processo
decisionale, sia da parte dei membri del gruppo a esporre
i propri punti di vista onestamente e apertamente.
137
84 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i vantaggi


del processo decisionale
basato sul consenso?
Il metodo decisionale basato sul consenso richiede molto tem-
po, risorse e buone capacità relazionali dei membri del gruppo,
però crea un maggiore impegno nel sostenere e implementare
le decisioni e, spesso, genera soluzioni più creative ed efficaci.
Perché questo esercizio decisionale si trasformi in un’esperien-
za positiva, è necessario però che i membri del gruppo abbiano:
• valori comuni;
• capacità relazionali di gruppo;
• capacità di soluzione dei conflitti;
• impegno e responsabilità verso gli obiettivi del gruppo;
• fiducia reciproca;
• tempo sufficiente per consentire a ognuno di partecipa-
re.
Il consenso è un metodo decisionale in cui un intero gruppo di
persone arriva a un accordo. I contributi, le idee e i punti di vista
di tutti vengono raccolti e sintetizzati per arrivare a una decisio-
ne accettabile per ognuno. In questo modo non solo si lavora per
ottenere soluzioni migliori, ma anche per sviluppare e far cre-
scere le capacità e la fiducia reciproca dei componenti del grup-
po. Ciò non significa che la decisione presa sia la migliore possi-
bile, ma che, nell’arrivare a questa decisione, nessuno ha perso
la possibilità di essere ascoltato e di dare un contributo. Spes-
138
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

so accade realmente che le decisioni basate sul consenso siano


la migliori perché, quando ben utilizzata, l’intelligenza colletti-
va sviluppa potenzialità superiori alle capacità dei singoli. Sono
proprio i diversi punti di vista che permettono di esplorare gli
aspetti positivi e i punti deboli di ogni proposta o idea. In questa
situazione obiezioni, critiche, controversie e conflitti rappresen-
tano il vero motore creativo del processo decisionale.

139
85 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i principali


ostacoli alle decisioni prese
mediante consenso?
Il raggiungimento del consenso richiede un ambiente aperto
in cui i contributi di tutti siano presi in considerazione e la par-
tecipazione sia incoraggiata. Spesso, però, quando questo pro-
cesso si svolge in maniera informale, i risultati tendono a essere
poco specifici ed efficaci perché il raggiungimento del consen-
so, come ogni processo, richiede strutturazione e disciplina. Pur-
troppo in un gruppo non sempre esiste la possibilità per tutti di
esprimere apertamente le proprie opinioni e la volontà di rag-
giungere soluzioni integrative. Il più delle volte alcuni membri
del gruppo non si sentono sufficientemente capaci di partecipa-
re al processo decisionale, oppure le persone più estroverse e ca-
paci del gruppo tendono ad arrivare a una soluzione prima che
gli altri siano in grado di dare il loro contributo; inoltre com-
menti reattivi alle proposte, anche quelli spiritosi, possono ge-
nerare imbarazzo e bloccare le proposte degli altri. È necessario
quindi che in ogni gruppo venga definita con chiarezza la strut-
turazione del processo decisionale, all’interno del quale dare
spazi e opportunità di partecipazione anche a chi potrebbe non
sentirsi sufficientemente capace o coinvolto.

140
86 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Quali sono le fasi


del processo decisionale
basato sul consenso?
Le fasi del processo decisionale basato sul consenso sono:
1. stabilire le regole di base sulle procedure decisionali, su-
gli argomenti da trattare, sui comportamenti da adotta-
re, sui criteri con cui valutare i dati e le proposte;
2. esaminare il problema, raccogliere informazioni sul modo
in cui si manifesta e sulle sue cause immediate e latenti;
3. esprimere delle proposte di soluzione: ogni proposta
verrà modificata o ritirata in base all’evoluzione della
discussione. In questa fase è necessario che:
‚‚ ognuno sia in grado di esprimere la propria volon-
tà con le proprie parole;
‚‚ ognuno abbia il diritto di parlare e di essere ascoltato;
‚‚ manovre coercitive e giochi di potere siano sosti-
tuiti dal pieno uso della creatività degli individui;
‚‚ il compromesso sia sostituito dalla sintesi.
4. chiedere se ci sono delle obiezioni quando ogni proposta
sarà discussa a fondo e risulterà chiara a tutti;
5. richiedere il consenso, se non ci sono obiezioni, dopo un
breve periodo di riflessione;
6. riproporre la decisone al gruppo una volta che il consen-
so è stato raggiunto, in modo da assicurarsi che sia dav-
vero chiara per tutti.
141
87 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Qual è il ruolo del


facilitatore in un gruppo?
Nei gruppi di lavoro, soprattutto nell’ambito della formazio-
ne, il “facilitatore” è un componente del gruppo che, agendo
in maniera neutrale, indirizza la discussione, ponendo doman-
de e riassumendo concetti, assicurando la partecipazione di tut-
ti e il rispetto delle regole. Il facilitatore deve essere quindi un
buon conoscitore delle dinamiche di gruppo, deve essere dili-
gente nell’assicurarsi l’attenzione di tutti e il buon uso del tempo
a disposizione, limitando chi tende a monopolizzare la discussio-
ne o a uscire fuori tema e offrendo opportunità di espressione a
chi tende a rimanere in silenzio. Per fare ciò è necessario che si
astenga dal fornire il suo parere. Spesso può risultare utile che
il facilitatore chieda il contributo di altre persone, per prende-
re nota dei punti salienti della discussione, o per assicurarsi del
rispetto dei limiti di tempo imposti a ognuno per intervenire.
Il ruolo di facilitatore può essere assegnato a turno ai compo-
nenti del gruppo nelle varie riunioni per migliorare lo sviluppo
delle abilità relazionali di ognuno.

142
88 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Quali sono le tecniche


maggiormente utilizzate
nella discussione di gruppo?
Un buon facilitatore deve conoscere e saper applicare almeno
le principali tecniche di discussione e analisi dei problemi. Di se-
guito ne sono indicate due che possono risultare particolarmen-
te utili per la risoluzione di problemi in ambito sanitario:
• brainstorming: è una tecnica da utilizzare quando sia-
no necessarie soluzioni innovative e creative. È necessa-
rio che nel gruppo esista un ambiente aperto e favorevo-
le all’espressione delle opinioni, che non siano presenti
squilibri di potere o forte pressione in termini di tempo
o da parte dell’ambiente esterno. Nella sua prima fase il
giudizio è sospeso e ognuno è incoraggiato a generare
idee anche se non convenzionali, complete o appropria-
te (brainstorming). Nella seconda fase ogni idea viene
chiarita e vengono eliminate le ridondanze; in seguito
vengono valutate le diverse idee proposte e le diverse
conseguenze delle possibili azioni da intraprendere;
• tecnica del gruppo nominale: è una tecnica molto usa-
ta in gruppi di recente formazione o in gruppi con mar-
cate differenze di status o di capacità comunicativa tra
i membri. Tale tecnica prevede la presentazione di idee
sia verbalmente che per iscritto in forma anonima e una
votazione segreta, permettendo così ai partecipanti di
143
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

esprimere il proprio giudizio oppure di cambiare le pro-


prie posizioni senza il timore di esporsi. Si sviluppa at-
traverso 5 fasi:
1. il team leader o il facilitatore presentano l’argo-
mento di discussione e spiegano il processo;
2. la generazione di idee viene fatta in silenzio;
3. ogni partecipante a turno esprime un’idea o ver-
balmente o per iscritto in forma anonima e si pro-
segue finché tutte le idee non sono state espresse;
4. le idee vengono elencate riducendo le ridondanze
e combinando idee simili;
5. ogni partecipante vota in segreto assegnando un
punteggio di priorità alle idee espresse.

144
89 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Che cosa sono i conflitti


nei gruppi di lavoro?
Divergenze di opinioni o problemi a livello personale tra col-
laboratori non necessariamente generano conflitti. Quando i
comportamenti, le decisioni e la capacità di svolgere il com-
pito assegnato non sono influenzati negativamente, e quindi
non c’è alcun impatto sull’efficacia organizzativa, non è neces-
sario alcun intervento. Se invece le divergenze di opinioni in-
fluenzano il comportamento, le decisioni, la capacità di svol-
gere il compito assegnato, esiste evidentemente un problema
che va risolto.
Quando invece esiste la convinzione che gli interessi o gli
obiettivi delle parti coinvolte non possano essere raggiunti si-
multaneamente, esiste un conflitto.
Nelle moderne organizzazioni sanitarie vengono quotidiana-
mente in contatto diversi interessi, capacità e culture che, in
assenza di capacità di gestione e integrazione, si possono tra-
sformare in occasioni di conflitto. I conflitti sono forze centri-
fughe-disgregative nella realtà della vita di un gruppo che si ge-
nerano quando tra i membri esistono posizioni contrastanti che
rappresentano interessi mutuamente esclusivi. Se non gestiti
correttamente, questi possono portare a gravi danni nelle rela-
zioni interpersonali e alla capacità del gruppo di portare a ter-
mine i compiti necessari per raggiungere gli obiettivi.
145
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

D’altra parte un certo grado di conflitto nella vita di un gruppo


di lavoro è un elemento naturale della comunicazione efficace e
catalizzatore per una migliore comprensione e cooperazione tra
le parti interessate. La gestione e soluzione del conflitto è un ele-
mento chiave per il successo di un gruppo di lavoro soprattut-
to quando il conflitto viene visto come opportunità di migliora-
mento e di sviluppo. In periodi di cambiamento come quelli che
stiamo vivendo nelle organizzazioni sanitarie, identificare, pre-
venire e risolvere i conflitti ha un valore strategico. Nell’ambien-
te lavorativo infatti il pericolo maggiore si verifica quando i con-
flitti vengono evitati, negati, soppressi o lasciati evolvere fuori
dal controllo.

146
90 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Quali sono i sintomi


della presenza di un conflitto?
Di seguito si riportano alcuni indicatori della presenza di un
conflitto nel gruppo:
• le persone tendono a evitarsi e diventano sempre meno
cooperative;
• voci e pettegolezzi diventano più frequenti;
• i membri del gruppo diventano impazienti e non si
ascoltano tra loro;
• si formano delle fazioni;
• non viene rispettato il programma dei meeting;
• si scherza sempre meno;
• aumentano la tensione e l’ostilità palese;
• aumenta l’assenteismo;
• individui o gruppi di persone cominciano a minare o sa-
botare il processo decisionale o le persone coinvolte in
questo processo;
• frequentemente vengono intentate rivendicazioni e de-
nunce verso persone o verso l’organizzazione.

147
91 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Come si analizza un conflitto


all’interno di un gruppo?
La “diagnosi” della presenza di un conflitto nel proprio grup-
po di lavoro è il primo passo per lo sviluppo di una strategia di
soluzione. In questo caso il fattore tempo è cruciale perché la si-
tuazione tenderà a evolvere fuori dal controllo.
Una volta realizzato che esiste il conflitto, occorrerà definirlo:
questa è la parte più difficile e più importante del processo per-
ché genera i presupposti della soluzione. Il passo successivo sarà
quello di raccogliere dati e informazioni sulle possibili cause. In
questa fase è utile seguire un approccio a 5 dimensioni:
1. chi è coinvolto nel conflitto? Occorrerebbe valutare
anche le relazioni tra le parti in conflitto e individuare
le persone che, pur non essendo coinvolte possono in-
fluenzarne lo sviluppo;
2. che tipo di conflitto è? È importante raccogliere sia
dati obiettivi sia sensazioni ed emozioni. Poiché il con-
flitto è un avvenimento della vita che ha a che fare con le
emozioni, ignorare i sentimenti coinvolti porta ad avere
una visione parziale della realtà;
3. quando si è verificato? Si tratta forse dell’aspetto più
difficile da determinare. Non è solo necessario indivi-
duare la genesi dei fatti, ma anche stabilire se si tratta
di un fenomeno in evoluzione o con andamento ciclico;
148
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

4. dove è successo? Si dovrebbe risalire non solo allo spa-


zio fisico in cui è avvenuto, ma soprattutto al livello del-
la struttura organizzativa in cui si è verificato il conflit-
to (tra pari, tra differenti livelli gerarchici, tra diverse
professionalità, ecc.);
5. perché è successo? Infine è fondamentale identificare e
comprendere i diversi interessi che sottendono le posi-
zioni delle parti.

149
92 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le principali cause


dei conflitti in un gruppo?
Le principali cause dei conflitti in un gruppo sono ascrivibili
principalmente alle categorie dei conflitti di contenuti e dei con-
flitti organizzativi:
• conflitti di contenuti:
‚‚ controversia: le idee, le informazioni, le conclu-
sioni, le teorie di una persona o di un gruppo sono
incompatibili con quelle di un altro anche se en-
trambi tentano di raggiungere lo stesso obiettivo;
‚‚ conflitto di relazione: esistono problemi di comu-
nicazione interpersonale, i comportamenti negati-
vi non sono scoraggiati, le emozioni non sono posi-
tivamente gestite, si ragiona su stereotipi;
‚‚ conflitto di identità: una persona o un gruppo ha
la sensazione che sia minacciato il proprio senso
del sé o negati legittimazione e rispetto;
‚‚ conflitto di interesse: un individuo o un gruppo
pensa di beneficiare dei risultati di una decisione
ma partecipa al processo decisionale come se fos-
se neutrale;
‚‚ conflitto di valori: le parti in causa hanno diffe-
renti e contrastanti concetti di ciò che è male o
bene, giusto o sbagliato;
150
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

• conflitti organizzativi (di più facile soluzione):


‚‚ conflitto di ruolo: le relazioni organizzative non
sono strutturate adeguatamente e le responsabili-
tà individuali non sono chiare;
‚‚ conflitto strutturale: inappropriata distribuzione
di risorse o di potere o autorità, o esistenza di fat-
tori logistici, fisici o ambientali che rendono diffi-
cile la collaborazione;
‚‚ conflitto di controllo: il team-leader non è in gra-
do di assumere le responsabilità di guida o il grup-
po non riconosce al proprio leader autorità o au-
torevolezza;
‚‚ conflitto di dati: su uno stesso fenomeno esisto-
no differenti interpretazioni e/o differenti proce-
dure di assunzione di dati, differenti visioni su ciò
che è rilevante, oppure i dati disponibili non sono
di buona qualità o sono incompleti.
Spesso, però, le posizioni delle parti sono diametralmente op-
poste, mentre esistono interessi condivisi. Focalizzare la propria
attenzione sugli interessi in causa consente di arrivare al cuore
del problema.

151
93 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i benefici


dei conflitti nell’ambiente
di lavoro?
I conflitti possono generare anche dei benefici. Di segui-
to si elencano i principali benefici dei conflitti che avvengono
nell’ambiente di lavoro:
• problem-solving: il conflitto può aiutare a produrre mi-
gliori soluzioni perché nel processo decisionale il grup-
po si trova ad analizzare le possibili alternative sceglien-
do la migliore per soddisfare i propri bisogni;
• produttività: si riducono le perite di tempo dovute a
scelte di soluzioni non appropriate, si incoraggia lo spi-
rito di collaborazione e la creatività;
• cambiamento: i conflitti aiutano a evidenziare poten-
ziali problemi nelle procedure, nell’assegnazione di
compiti e responsabilità e sono quindi un’opportunità
di cambiamento organizzativo per migliorare l’efficien-
za del gruppo;
• consapevolezza: identificando e comprendendo il pro-
prio stile comportamentale nei conflitti le persone im-
parano a conoscerne gli aspetti positivi e negativi e le
conseguenze sugli altri. Tutto ciò aiuta a migliorare la
capacità di anticipare e risolvere eventuali conflitti suc-
cessivi;
152
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

• morale: gestire correttamente i conflitti fa sì che nel


gruppo si scarichino tensione e stress e si incanalino po-
sitivamente le emozioni. Affrontando insieme un con-
flitto i membri del gruppo hanno la possibilità di cono-
scersi meglio e sentirsi più vicini tra loro.

153
94 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono le conseguenze


dei conflitti nell’ambiente
di lavoro?
Quantificare e prevedere gli effetti di un conflitto non risol-
to non sempre è possibile data la grande quantità di sovrappo-
sizione di elementi intangibili e imprevedibili, ma in generale le
conseguenze di un conflitto nell’ambiente di lavoro possono di-
stinguersi in:
• conseguenze di primo livello (quantificabili):
‚‚ perdita di introiti a causa del non rispetto di sca-
denze;
‚‚ rimpiazzo del personale per abbandono del grup-
po o allontanamento per motivi di incompatibilità
o disciplinari (liquidazioni, spese di reclutamento
come concorsi e selezione, addestramento di nuo-
vo personale ecc..);
‚‚ aumento delle spese per problemi di cattiva qua-
lità;
• conseguenze di secondo livello (difficilmente quantifi-
cabili):
‚‚ perdita di opportunità;
‚‚ tempo richiesto per la formazione di nuovo per-
sonale;
‚‚ maggiore necessità di attività di direzione e super-
visione;
154
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

• conseguenze di terzo livello (non quantificabili):


‚‚ malcontento e comportamenti aggressivi-passivi
tra i membri del gruppo;
‚‚ perdita di credibilità e quindi di capacità gestio-
nale;
‚‚ cattiva comunicazione con gli altri gruppi all’in-
terno dell’organizzazione;
‚‚ danno all’immagine sia all’interno sia all’esterno
dell’organizzazione (utenti, committenti, ecc.).

155
95 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali attitudini personali


entrano in gioco nella gestione
di un conflitto?
Gli individui e i gruppi trovano occasione di conflitto in un am-
pio numero di situazioni, spesso usando una altrettanto ampia
gamma di strategie di soluzione. Decidere quale delle strategie
sia la più appropriata è un compito complesso.
Nell’affrontare il conflitto, ciò che influenza principalmente la
scelta della strategia è il modo in cui ci si pone sia nei confron-
ti del problema sia nei confronti della controparte, ovvero quan-
to è importante soddisfare i nostri bisogni e quanto è importante
mantenere buone relazioni con gli altri. In questo modo si posso-
no delineare diversi stili di gestione dei conflitti, nessuno dei qua-
li è di per sé giusto o sbagliato in quanto l’appropriatezza di sti-
le dipende dalla situazione problematica da gestire. Inoltre ogni
alternativa offre una diversa combinazione di costi in termini di
salvaguardia dei propri interessi e di mantenimento di relazio-
ni personali positive nell’ambiente di lavoro. Il primo passo nella
gestione di un conflitto è quindi quello di comprendere le attitu-
dini personali che influenzano l’adozione, queste comprendono:
• assertività: il livello in cui un individuo rende visibili
e condivisibili i propri obiettivi alle altre parti coinvol-
te nel conflitto;
• collaborazione: il grado in cui un individuo riconosce e
legittima gli obiettivi della controparte;
156
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

• apertura: la quantità di informazioni che un individuo


può e vuole condividere con la controparte;
• flessibilità: quanto un individuo è in grado di modifica-
re la propria posizione nello svolgimento del conflitto;
• partecipazione: riflette quanto un individuo si sente
coinvolto in un conflitto e quindi quanto è interessato
all’esito dello stesso.
Per mettere in atto un’efficace strategia di soluzione di un
conflitto è necessario analizzare e comprendere il proprio sti-
le preferito e imparare la maniera per modificarlo in base alle
necessità imposte dalla situazione. Infatti nell’affrontare i pro-
blemi si dimentica che il loro fondamento non si trova nelle po-
sizioni di partenza, ma nei bisogni, nelle convinzioni e nei ti-
mori delle parti coinvolte. Le soluzioni devono rappresentare la
risposta a questi bisogni e in genere esistono diverse soluzioni
per uno stesso problema. Alcune volte bisogna accettare il fatto
di non poter intervenire positivamente su una determinata que-
stione. Ma è impossibile non prendere decisioni, anche il non
agire comporta una decisione. Allora è necessario saper gesti-
re costruttivamente con intelligenza, creatività e fantasia il di-
sagio, la stanchezza, la frustrazione personale e collettiva. Fidu-
cia e pazienza saranno i vissuti in grado di sconfiggere il clima di
risentimento, di reciproche accuse, di paura, che paralizzano le
attività del gruppo.

157
96 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali tipi di intervento


possono essere effettuati
per gestire un conflitto?
La gestione di un conflitto si svolge su due livelli: il livello deci-
sionale e il livello emozionale-psicologico. Mentre è intuitiva la
necessità di comprendere e padroneggiare il processo decisiona-
le, è l’aspetto emotivo a essere il più difficile da gestire perché il
modo in cui si affronta un conflitto dipende molto dal valore che
gli si attribuisce, dall’idea che si ha della controparte, da quan-
to si è disposti a rischiare in termini di credibilità e di manteni-
mento di buone relazioni con gli altri. Infatti le buone soluzio-
ni tengono conto sia degli aspetti concreti dei problemi, sia delle
relazioni tra i soggetti. Nel lavoro di gruppo entrambi gli obiet-
tivi (di contenuto e di relazione) si influenzano reciprocamente.
Nel gestire un conflitto le possibilità di intervento sono quin-
di due:
• il controllo del conflitto, agendo sui comportamenti e sul
controllo dell’emotività ma non sulle attitudini (vedi so-
pra) delle parti coinvolte. Si calmano le acque, ma se non
si agisce sulle cause il conflitto è destinato a riesplodere;
• la soluzione del conflitto: agendo sulle attitudini dei
contendenti nei confronti del conflitto (ad esempio
maggiore apertura e flessibilità, capacità di mettersi nei
panni dell’altro, ecc..) in modo che alla fine entrambe le
parti siano soddisfatte del risultato ottenuto. Ciò garan-
tisce un risultato duraturo nel tempo.
158
97 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

Quali metodi possono


essere utilizzati
per risolvere il conflitto?
Esistono diversi metodi di soluzione del conflitto:
• collaborazione: le parti lavorano insieme per risolvere i
problemi e raggiungere obiettivi interdipendenti;
• negoziazione: processo di discussione e di concessioni
reciproche tra due o più parti che cercano una soluzione
a problemi comuni, che può essere:
‚‚ vantaggiosa per entrambe (chiamata negoziazione
collaborativa o vincitore/vincitore);
‚‚ vantaggiosa per il negoziatore più forte (negozia-
zione antagonista o vincitore/perdente);
• mediazione: intervento di una terza parte neutrale che
aiuta i contendenti a migliorare le proprie capacità di
comunicazione e di analisi e che guida il processo di so-
luzione del conflitto verso la ricerca di opzioni che ri-
spondano agli interessi e ai bisogni delle parti;
• arbitrato: intervento di una terza parte che, ascoltate
le ragioni delle parti in causa, assume una decisione al
loro posto.
Le migliori forme di soluzione dei conflitti sono quelle di na-
tura assertiva come la mediazione, l’arbitrato, la collaborazione,
il problem solving di gruppo o negoziazione collaborativa. Infatti,
sebbene sia innegabile l’importanza di possedere abilità compe-
159
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

titive in molte situazioni della vita, nell’ambiente di lavoro que-


sto approccio ha molte conseguenze negative non solo per le re-
lazioni personali destinate a prolungarsi nel tempo, ma anche
per la carriera. Nell’ambiente lavorativo la cultura del successo
e della vittoria della propria posizione sulle altre rischia di dan-
neggiare in modo permanente le relazioni umane e di creare si-
tuazioni di profondo disagio, emarginazione, o comportamen-
ti violenti.

160
98 IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

In che cosa consiste


la negoziazione?
Le cause più frequenti di fallimento dei tentativi di soluzio-
ne dei conflitti sono il non riuscire a riconoscere e/o ricerca-
re il potenziale integrativo nella soluzione stessa e l’incapacità
di affrontare il conflitto con l’intento di creare valore aggiunto.
Nell’affrontare i problemi si dimentica spesso che il loro fonda-
mento non si trova nelle posizioni di partenza, ma nei bisogni,
nelle convinzioni e nei timori delle parti coinvolte. Le soluzioni
devono rappresentare la risposta a questi bisogni.
Partendo dal presupposto che anche sotto le posizioni più dure
esistono interessi comuni e condivisi, Fisher e Ury ritengono che
la chiave del successo nel processo di soluzione di un conflitto
consista nel saper trovare aspetti di reciproco vantaggio (vin-
citore/vincitore), adottando soluzioni più dure (vincitore/per-
dente) solo quando ogni altro tentativo fallisce. Questo tipo di
negoziazione viene definita “negoziazione sui principi” o “ne-
goziazione flessibile” e si basa su 4 elementi:
1. separare le persone dai problemi:
‚‚ aderenza ai fatti, ai termini concreti dei problemi,
attaccando le idee e le proposte della controparte;
‚‚ rispetto e disponibilità verso le persone (“duri”
con i problemi, “morbidi” con le persone);
161
100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

2. focalizzare sugli interessi e non sulle posizioni:


‚‚ le “posizioni” sono frutto di decisioni;
‚‚ gli “interessi” determinano queste decisioni, quin-
di sono gli interessi che vanno difesi e non le po-
sizioni;
‚‚ mantenere una costante concentrazione sugli in-
teressi rimanendo disponibili a considerare le va-
rie proposte di soluzione orientandosi su quelle
che prevedano un guadagno reciproco;
3. generare una serie di opzioni:
‚‚ mantenere un clima che consenta lo sviluppo del-
la creatività;
‚‚ dedicare il tempo necessario perché vengano svi-
luppate soluzioni di buona qualità;
‚‚ mai tentare di dare una singola risposta a proble-
mi complessi;
4. adottare criteri di valutazione obiettivi e ragionevoli:
‚‚ generare il consenso salvaguardando le relazioni
personali;
‚‚ richiedere fatti e dati a supporto delle posizioni
della controparte;
‚‚ utilizzare questi elementi come supporto delle
proprie posizioni.
Non esiste, in ogni caso, alcun metodo di negoziazione che
possa completamente contrastare le differenze di potere tra le
parti. Spesso i negoziatori stabiliscono in anticipo un livello mi-
nimo di accettabilità dei risultati della negoziazione che però,
proprio perché deciso in anticipo, può essere arbitrario, non re-
alistico, troppo rigido e impegnativo, inibendo così la capacità di
generare opzioni alternative.
Comunque è evidente che la ragione per iniziare un processo
di negoziazione è di produrre un risultato migliore di quello che
162
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

si sarebbe ottenuto non negoziando e il potere in questo proces-


so risiede nella capacità di sottrarsi a esso se il risultato non è
soddisfacente.
Il primo passo, quindi, per la parte più debole è quello di con-
centrarsi sullo stabilire quella che Ury definisce la propria “mi-
glior alternativa a una soluzione negoziata” o BATNA (Best Alter-
native To a Negoziated Agreement) perché la parte con la miglior
BATNA è la parte più forte.
Quindi la parte più debole deve sforzarsi di migliorare le pro-
prie alternative alla negoziazione, cercare di individuare e possi-
bilmente di influenzare il BATNA della controparte.

163
99 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Che cosa si deve fare


se la controparte è
un “negoziatore duro”?
Conviene sempre insistere sull’approccio flessibile: infatti
spesso questo risulta “contagioso”. Non bisogna, invece, cade-
re nel tranello di farsi coinvolgere in una negoziazione sulle po-
sizioni piuttosto che sui principi; bisogna inoltre trattenersi dal
contrattaccare, e deviare invece l’attacco di nuovo verso il pro-
blema, facendo domande o usando strategicamente il silenzio
per far venire allo scoperto la controparte. In casi estremi è ne-
cessaria la mediazione di una terza parte neutrale.
Secondo Ury possono essere adottati 5 precisi comportamen‑
ti per superare gli ostacoli che impediscono una negoziazione
sui principi:
1. non reagire alle provocazioni, calmarsi e pianificare at-
tentamente la risposta;
2. aggirare gli ostacoli, utilizzare l’ascolto attivo per allon-
tanare i sentimenti negativi ed esprimere apertamente
e serenamente i propri sentimenti;
3. accordarsi se possibile, ma nello stesso tempo difendere
i propri principi, cercare di individuare gli interessi che
determinano le posizioni della controparte;
4. rendere più facile per la controparte l’accordo formu-
lando le proposte in modo che risultino più attraenti e
vantaggiose possibile;
164
IV. Gruppi di lavoro, leadership e gestione dei conflitti

5. rendere più difficile per la controparte abbandonare la


negoziazione dimostrando che l’accordo è più vantag-
gioso.

165
100 100 domande
sulle strategie di comunicazione in sanità

Quali sono i suggerimenti


per lavorare bene in gruppo?
Alcuni piccole atteggiamenti da parte di ciascun membro pos-
sono rendere il lavoro di gruppo molto più efficiente, oltre che
più piacevole da attuare:
• conoscenza di se stessi;
• tanta esperienza;
• buona guida;
• molta pazienza;
• alta motivazione;
• rispetto delle qualità degli altri e delle loro aspirazioni;
• capacità di resistere alle frustrazioni;
• disponibilità a rimettersi continuamente in questione.

166
Appendice

167
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Appendice

Autori
Anna Maria De Santi
Sociologa, ricercatrice e formatrice presso l’Istituto Superio-
re di Sanità, attualmente residente negli Stati Uniti, si occupa da
anni di comunicazione sanitaria e di strategie formative nell’am-
bito dell’educazione degli adulti.
Per SEEd ha già pubblicato “Il medico, il paziente e i familiari”;
“Comunicazione in Medicina”e “La didattica in sanità”.

Iole Simeoni
Medico pneumologo presso l’Azienda Ospedaliera San Filippo
Neri di Roma, si occupa di formazione degli operatori sanitari in
materia di comunicazione nei gruppi di lavoro.
Per SEEd ha già pubblicato “Il medico, il paziente e i familiari”
e “Comunicazione in Medicina”.

Le Autrici desiderano ringraziare Enrico Alleva, Paola De Castro,


Giovanni De Virgilio, Ranieri Guerra, Walter Masci, Alessandro Mace-
donio, Silvia Mendico, Valter Santilli, Gianfranco Tarsitani e Piergior-
gio Zuccaro

179

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