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INDICE
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7 I GRUPPI DI SELF-HELP ........................................................................................................................ 38
12 LA CONSULENZA ............................................................................................................................... 66
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1 ORIGINI E SVILUPPO DELLA PSICOLOGIA DI COMUNITA’
Alla fine del XIX Secolo, gli effetti della rivoluzione industriale determinano la
progressiva affermazione di nuovi diritti sociali da parte delle masse svantaggiate; in
questa cornice trovano spazio altre istanze sociali quali la denuncia degli abusi negli
ospedali psichiatrici, la costituzione dei tribunali per i minorenni, la fondazione di
organizzazioni divenute storiche, come la YMCA (Young Man Christian Association)
o gli Scouts. La crisi economica culminata nella depressione del 1929 smorza
iniziative simili, almeno fino al secondo dopoguerra, quando le necessità del
reinserimento sociale dei reduci di guerra sollecitano nuove attenzioni.
Il concetto di empowerment
La diffusione in questi paesi inizia a cavallo degli anni 70 e 80 ed è più rapida dove la
psicologia è già una disciplina affermata e insegnata nelle università ed esiste una
tradizione nei servizi di comunità (Canada, Australia, Nuova Zelanda), ma trova una
pronta accoglienza anche nei paesi del Terzo Mondo, bisognosi di strategie per la
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gestione di grandi problemi sociali, di salute e di igiene e per questo orientati ad una
visione della disciplina particolarmente impegnata.
- Nuova Zelanda e Australia: progetti comuni per gli aborigeni dei due paesi;
- Israele: ricerche sugli stress da guerra sui bambini e progetti-intervento sui
problemi etnici e sui rapporti tra ebrei e arabi;
- Sud Africa: effetti della violenza razziale sui bambini, effetti dell’apartheid sui
diversi gruppi sociali;
- Paesi latino-americani: contesti multietnici e con grandi differenze di classi. In
questi paesi, molto disomogenei politicamente ed economicamente, la
disciplina non è sempre formalizzata, anche dal punto di vista accademico. Ad
esempio, a Cuba non si parla di PdC, ma esiste un modello di “Medicina della
comunità” che integra sevizi preventivi, curativi e riabilitativi che tengono conto
degli aspetti biologici, sociali e psicologici dei diversi problemi;
- Venezuela: problemi di migrazione dalle zone rurali;
- Messico: centri di servizio comunitari lavorano con gli abitanti della zona
identificando aree-problema, risorse locali e formando leader di quartiere;
- Colombia e Brasile: la PdC si diffonde per l’insoddisfazione degli psicologi
clinici nell’uso di terapie individuali a fronte dei notevoli problemi sociali.
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La diffusione della PdC in Italia
A partire dagli anni 70, come negli USA, anche in Italia la PdC prende piede
soprattutto sulla base di interessi concreti mirati al miglioramento della qualità di
vita e della competenza della comunità.
Nel 1980 la Società italiana di psicologia costituisce la Divisione di PdC, che nel
1994 diviene la Società italiana di PdC.
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Le due teorie non sono mutuamente esclusive, data la reciprocità tra variabili
individuali e ambientali (es. lo stress aumenta la probabilità del disagio psichico, ma
la presenza del disagio eleva a sua volta la probabilità di un evento stressante). In
ogni caso, la PdC studia l’interazione tra individuo e strutture sociali e fissa come
unità di analisi “la persona nel contesto”; questo orienta la concezione del disagio
individuale verso una visione universalista.
Prevenzione Nella Ogni iniziativa che promuove la qualità della vita, il benessere
primaria società sociale, l’istruzione e il lavoro.
Nella Consulenza per il miglioramento e la programmazione di un
comunità sistema o la formazione di persone-chiave e operatori non
professionali.
Nei piccoli Interventi che accrescono le competenze e consentono di
gruppi affrontare le crisi prevedibili.
Prevenzione Interventi precoci sui primi sintomi di disturbo e disagio. Serve saper
secondaria riconoscere i problemi e conoscere gli strumenti per affrontarli, superando
resistenze e pregiudizi che talvolta frenano la richiesta di aiuto.
Prevenzione Counselling terapeutico e formazione individuali per lo sviluppo di
terziaria comportamenti utili al reinserimento e al superamento dell’emarginazione.
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Ostacoli e difficoltà nella strategia preventiva
Predominio della concezione eccezionalista. Considerare il problema come il
risultato di un evento insolito o un difetto individuale invece che qualcosa di
prevedibile favorisce interventi orientati all’individuo piuttosto che al sistema
(sociale, organizzativo), alla cura e alla riabilitazione piuttosto che alla
prevenzione del disagio e alla promozione del benessere;
Attribuzione di scarsa scientificità alla prevenzione primaria. Perché i programmi
di prevenzione primaria implicano importanti mutamenti nella distribuzione delle
risorse materiali primarie. Ad esempio, in Europa le politiche del lavoro hanno
creato 34 milioni di disoccupati o sottoccupati fra i quali sono aumentati i casi di
disagio mentale; in questo caso la prevenzione primaria significherebbe
scardinare le stratificazioni sociali, rendendo meno empowered i gruppi che lo
sono troppo e trasferendo risorse economiche a chi vi ha meno accesso;
L’orientamento preventivo è meno ovvio e consolidato di quello riparativo. Non
sempre è facilmente sostenibile, anche per la crescente presenza di situazioni di
disagio. La carenza di risorse che accompagna la crisi dello stato sociale fa sì che
vengano prese in carico le situazioni più gravi e disagiate (prevenzione
secondaria e, spesso, anche terziaria);
Presunta settorialità. La prevenzione del disagio viene considerata generalmente
come una competenza tecnica e specialistica;
Eziologia complessa del disagio. Mentre in medicina la prevenzione di successo
implica la conoscenza di cause univoche e ben identificabili, nelle scienze sociali i
fattori alla base del disagio sono spesso molteplici e poco conosciuti;
A questo si aggiunge una ancora scarsa competenza degli operatori nella
pianificazione del cambiamento e nell’individuazione dei relativi indicatori. In ogni
caso, dal 1977 l’OMS richiama l’attenzione sulla necessità di operare interventi di
prevenzione primaria su livelli di sofferenza psicosociale sempre in crescita.
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Setting sovradimensionato Setting sottodimensionato
Le persone sono troppe rispetto ai Le persone sono poche rispetto ai
ruoli e alle funzioni distribuibili. ruoli e alle funzioni distribuibili.
Le persone entrano in competizione Le persone tendono e sono motivate
per le funzioni più prestigiose e sono a svolgere un’ampia gamma di
demotivate rispetto ai livelli più bassi. compiti, ma sono soggette a fatica e
stress psicologico.
Il merito di intendere l’ambiente come agente che struttura e dà
significato ai comportamenti delle persone è anche il limite di questo
approccio, poiché colloca l’individuo in una posizione passiva.
Teoria dello Bronfenbrenner sottolinea l’inscindibilità dell’individuo e dell’ambiente
sviluppo nel nel quale esso cresce e si sviluppa, condividendo la visione
contesto fenomenologica di stampo lewiniano, e critica il concetto di ambiente
(Bronfenbrenner) proposto da Braker limitato al contesto immediato nel quale si svolge il
comportamento osservato.
Il modello di ambiente proposto è a più livelli e anche più esteso e
articolato di quello suggerito da Lewin. 3 gli assunti di base:
- Reciprocità. Individuo e ambiente si influenzano a vicenda;
- Distanza. Anche i contesti non sperimentati direttamente possono
influenzare l’ndividuo;
- Dinamicità. L’individuo è un soggetto attivo che reagisce alle
pressioni ambientali e ristruttura il proprio spazio di vita.
Pertanto, Bronfenbrenner propone una struttura multilivello del tipo:
- Microlivello. Sistemi di cui si ha esperienza diretta (analoghi al
setting comportamentale di Barker): spazi fisici, persone e
interazioni riconducibili alla famiglia, al gruppo dei pari, all’ambiente
di lavoro;
- Mesolivello. Insieme di due o più sistemi di microlivello e delle
interazioni tra essi (es. i rapporti tra scuola e famiglia);
- Esolivello. Sistemi che non interagiscono direttamente con
l’individuo, ma con le persone che interagiscono direttamente con
lui (es. il lavoro del partner, la rete amicale dei genitori);
- Macrolivello. E’ il contesto sociale allargato, le strutture che
possono influenzare i livelli sottostanti, soprattutto attraverso
processi di socializzazione (es. disoccupazione, orientamenti
valoriali nella comunità, ruoli assegnati ai generi).
Al tutto si deve aggiungere la variabile temporale che si lega allo
sviluppo. L’individuo si muove attraverso questi sistemi cambiando ruolo
e ristrutturando la sua posizione (transizione ecologica).
Bronfenbrenner sottolinea l’interconnessione tra i livelli e la circolarità tra
variabili individuali e ambientali.
Psicologia La PdC condivide con la psicologia umanistica (Rogers, Maslow) l’enfasi
umanistica e sulle potenzialità e le risorse da valorizzare anziché sulle disfunzioni
approccio e i disturbi da curare; ne derivano strategie promotrici delle capacità di
cognitivo- coping degli individui, cioè di affrontare attivamente le situazioni.
comportamentale L’approccio cognitivo-comportamentale fornisce invece la tendenza a
compiere interventi concreti, programmati e poi anche valutati per
trasmettere abilità e competenze; l’orientamento cognitivo riguarda i
fenomeni di apprendimento sociale (Bandura), l’influenza dei mass-
media e delle campagne sociali di informazione. Questo approccio viene
quindi utilizzato per programmare interventi su larga scala, come piani
di educazione sanitaria e di formazione.
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L’integrazione di Murrel
Anziché gerarchie di bisogni universali, Murrel ritiene che per ogni individuo esistano
delle aree-problema e punti di forza emergenti dal suo ambiente che possono
favorirlo o ostacolarlo nei suoi scopi. Elaborando delle soluzioni, l’individuo stabilisce
un ordine di priorità per le diverse aree e il suo benessere psicologico dipenderà
dall’accordo psicosociale, cioè dal grado di corrispondenza tra il programma che
ha elaborato e le richieste del sistema.
Bisogna però considerare che l’individuo appartiene a più sistemi le cui risposte
possono anche contrastare tra loro, creando situazioni paradossali che ne
diminuiscono il benessere. In particolare, Murrel considera i diversi livelli sociali di
appartenenza (individuo, piccolo gruppo, sistema, rete di sistemi) e suggerisce
l’importanza di un’analisi volta a cogliere gli aspetti di congruenza e di conflitto nelle
transazioni tra di essi. Ciò consente di pianificare e realizzare gli interventi idonei a
migliorare l’accordo psicosociale, cogliendo eventualmente il livello su cui agire in
maniera più efficace, rammentando comunque l’interdipendenza tra i diversi livelli.
Secondo Murrel, i livelli di intervento sono 6:
Ricollocamento individuale. Nessuno può inserirsi armonicamente in tutti i
sistemi sociali e viceversa. Quando l’interazione è incompatibile e non offre
possibilità di miglioramento da entrambe le parti, è consigliabile ricollocare
l’individuo in un altro sistema (es. affidamento di un bambino). Se il
ricollocamento è temporaneo, al ritorno nel sistema originario si possono
avere gravi problemi (es. reinserimento sociale dopo un periodo in comunità
terapeutica).
Interventi sull’individuo. L’obiettivo è cambiare o sviluppare risorse e
strategie dell’individuo per migliorarne l’inserimento nel sistema (es.
formazione, modificazione comportamentale, psicoterapia, intervento sulla
crisi in atto). Per l’efficacia è necessario che l’intervento sia richiesto dalla
persona e che questa sia intenzionata a restare nel sistema.
Interventi sulla popolazione. Incrementare le risorse di una popolazione a
rischio, ad esempio con interventi di formazione di gruppo. La difficoltà può
essere quella di convincere la popolazione target alla partecipazione.
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Interventi sul sistema sociale. Operare cambiamenti strutturali e funzionali
sui sistemi, facilitando la gestione dei problemi degli individui. L’esempio tipico
è la consulenza per innovare le regole, i vincoli, la distribuzione dei
compiti o gli obiettivi del sistema.
Interventi intersistemici. L’azione si dirige verso più sistemi, con l’obiettivo di
renderne il coordinamento e la connessione più funzionali. Si tratta di un
intervento complesso perché chi interviene non ha in genere sufficiente forza
e carisma in tutti i sistemi, ma assolutamente in linea con l’approccio ecologico
della PdC. Ad esempio la disoccupazione giovanile non può essere
affrontata intervenendo semplicemente sul sistema produttivo, ma implica
interventi anche sulle istituzioni formative, sui servizi sociali, sugli enti locali.
Questo evidenzia come lo psicologo di comunità non possa agire isolatamente
e l’importanza del suo ruolo di coordinatore fra risorse e competenze diverse.
Interventi sull’intera rete sociale. I programmi sono rivolti alla comunità nel
suo insieme, ad esempio attraverso l’uso dei mass-media. In Europa si tratta
di un campo di azione frequentato dai politici, ai quali è importante indirizzare
la consulenza di studiosi delle scienze umane, così come avviene negli USA.
I primi due livelli di intervento focalizzano l’attenzione sull’individuo; questo può
essere un rischio dal punto di vista della PdC, che nella prospettiva di Murrel
privilegia gli interventi rivolti anche ai livelli più complessi della comunità. L’intera
sintesi di Murrel si pone come riferimento teorico fondamentale della PdC.
Il costrutto dell’empowerment
Alla fine degli anni 60, questo concetto è entrato nel linguaggio politico con i
movimenti per i diritti civili e quelli femminili. Oggi ha ancora vasta applicazione; ad
esempio rappresenta l’obiettivo tipico dei programmi di sviluppo di comunità
attuati nei paesi arretrati e in sostegno dei diritti dei gruppi svantaggiati, mentre in
ambiente medico individua i processi riabilitativi brevi ed efficaci. Negli ultimi dieci
anni, il concetto di empowerment si è affermato anche in ambito manageriale e
organizzativo, da quando le esigenze di flessibilità imposte dai mercati hanno
promosso la valorizzazione delle risorse umane in direzione della competenza e
dell’autonomia.
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Azione collettiva Processi partecipativi che mobilitano risorse per il
raggiungimento di obiettivi condivisi e desiderabili;
Mobilitazione di risorse Interne o esterne alla comunità.
In tal modo, l’empowerment indica diverse cose: una cultura e i valori che la
caratterizzano, un costrutto psicologico che riguarda il soggetto e il suo
rapporto con l’ambiente, un processo operativo attraverso cui un individuo o
un sistema accrescono il proprio livello di potere rispetto a uno specifico
oggetto, un approccio metodologico applicativo.
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L’empowerment collega sempre il benessere dell’individuo al contesto sociale e
politico di appartenenza e sostiene l’idea che le comunità possano migliorare la vita
dei propri abitanti offrendo loro occasioni di essere attivi e di partecipare ai processi
decisionali.
Il problema della misurazione. L’empowerment non può essere la stessa cosa per
adolescenti, lavoratori, nuovi immigrati o cittadini stabilmente radicati e questo rende
difficile la sua misurazione, nel senso che un costrutto che risente dinamicamente del
contesto non offre criteri di misurazione universali al pari, ad esempio, di un tratto
di personalità. Inoltre, l’empowerment contempla sia processi, sia risultati.
Miti sul cambiamento della posizione nelle gerarchie sociali. Gli europei sono
meno propensi a credere nel mito dell’uomo che “si fa da sé”, artefice del
proprio successo, ricorrente nella cultura americana dove vincono “i migliori”;
hanno invece la consapevolezza che la libertà e l’empowerment individuale
sono frutto di conquiste collettive. In America chi si arricchisce diventa un
esempio da imitare e ammirare; in Europa i nuovi ricchi non godono di molta
considerazione sociale. Questa differenza culturale si sta tuttavia attenuando,
soprattutto in seguito a una globalizzazione culturale di sapore statunitense;
anche per questo amore, amicizia, famiglia, denaro, lavoro e divertimento
vengono sempre più spesso messi ai primi posti, mentre la politica viene
percepita come lontana. Oggi, molti giovani ricevono scarse informazioni sulla
politica (a casa non se ne parla, a scuola spesso non studiano educazione
civica) e se ne formano un’idea solo attraverso la televisione, senza
conoscere l’evoluzione storica dei partiti e delle idee. In tal modo, molti di
loro danno per scontato il benessere e i diritti civili, sociali e umani di cui
godono e perseguono unicamente il proprio sviluppo individuale, senza
interesse per il bene comune. La PdC cerca anche di occuparsi di questo,
promuovendo nei giovani la consapevolezza del legame storico tra i diritti e lo
stato di libertà attuali e le lotte sociali che li hanno resi possibili.
Oggi, non solo in Europa, la politica economica dei governi è guidata dai mercati e
da grandi gruppi finanziari che dispongono di un potere eccessivo. Il dominio del
capitalismo negli ultimi decenni ha incrementato i capitali economici e nel
contempo ha diminuito il capitale sociale, incrementando la ricchezza di molte
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nazioni, ma anche accrescendo le diseguaglianze economiche tra paesi e all’interno
delle singole nazioni. Sarebbe compito della classe politica porvi rimedio, ma il
riassetto mondiale successivo al crollo del comunismo ne ha determinato quasi
ovunque la perdita di influenza, prestigio e autorevolezza. Questa decadenza della
politica è pericolosa per la società democratica, perché favorisce un’operazione di
esproprio a favore di circoli di potere ristretti; la democrazia richiede invece
consapevolezza e impegno da parte di tutti. Se i futuri adulti continueranno a
sottovalutare il legame con la dimensione sociopolitica del contesto in cui vivono,
perderanno la dimensione sociale dell’empowerment.
Una buona qualità del tessuto sociale, insieme al livello di reddito, incide anche
positivamente sulla salute. Chi ha più contatti umani e partecipa attivamente alla vita
della comunità in cui è inserito sta meglio di chi conduce un’esistenza isolata. Anche
in Italia alcune forme di partecipazione sociale sono in diminuzione, tanto da parlare
di “anoressia relazionale emergente”. Giovani e single sembrano avere una buona
vita di relazione, mentre i meno giovani, chi ha costruito una famiglia, le casalinghe e
i pensionati tendono a restare in casa. In particolare, gli anziani aumentano il
consumo di televisione, escono poco e percepiscono quartieri e città come luoghi
pericolosi; la televisione, tramite principale di collegamento con il mondo, induce
ulteriori sentimenti di paura e rende la realtà sempre più estranea, distante e
indecifrabile.
Poiché la PdC si occupa dei problemi umani e sociali nell’interfaccia tra la sfera
individuale e quella sociale, una teoria della tecnica deve individuare strumenti di
ricerca e intervento che colleghino questi due ambiti.
Ad esempio, un problema come la separazione coniugale può essere visto
nell’ottica della PdC esplorando proprio l’interfaccia tra individuale e sociale. Ogni
coppia vede il proprio amore come fatto privato ed è in genere poco consapevole
che anche il modo di concepire il proprio incontro e la propria separazione è mediato
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da fattori sociali (sistemi di leggi, credenze religiose, fattori culturali ed economici)
che condizionano le funzioni socialmente attribuite alla famiglia, la socializzazione
della prole, l’approvazione sociale dei bisogni di sessualità e mutuo sostegno, le
possibilità occupazionali per i due sessi, i vincoli legislativi sulla separazione e il
divorzio. Inoltre, la diversa considerazione che una determinata società ha della
separazione (fine catastrofica piuttosto che nuova opportunità) condiziona il tipo di
sostegno ottenibile e i sentimenti che si provano durante e dopo la separazione. Tutte
cose che concorrono a determinare la qualità di vita delle persone coinvolte.
Garfinkel. Altro filone del pensiero costruttivista utile nella costruzione di una
teoria della tecnica in PdC è quello dell’etnometodologia elaborato da Garfinkel,
che sottolinea l’importanza dell’interpretazione che la persona dà dei suoi
contesti; secondo questo approccio, le pratiche verbali pubblicamente
osservabili sono utili per capire come la conversazione contribuisca a
trasformare l’ordine delle cose e a produrre significati.
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Una teoria della tecnica in PdC dovrebbe unire:
Collocamento Interfaccia tra sfera individuale e collettiva. L’individuo subisce e deve far
dei problemi fronte a un problema che nasce da situazioni sociali, le quali spesso
offrono anche gli strumenti per la soluzione.
Concetto di Soggetto attivo, storicamente, culturalmente e socialmente situato in un
individuo contesto ambientale che pone vincoli e offre opportunità e risorse in
modo ineguale ai singoli individui. Le persone costruiscono significati
nella loro interazione con gli altri.
Concetto di Contesto gerarchico creato storicamente. Disuguaglianze di potere e
ambiente accesso alle risorse non sono naturali, ma storiche e modificabili.
Relazione tra Interazione: il contesto sociale può facilitare o limitare l’individuo, il quale
individuo e influenza a sua volta i setting sociali in base alla posizione che vi occupa
ambiente e alle interpretazioni disponibili sull’origine e sulla legittimazione delle
stratificazioni sociali esistenti.
Complessità del Le transazioni tra individui e contesto sociale avvengono a livelli
sistema sociale multipli: individui, piccoli gruppi, organizzazioni, comunità locali,
macrocomunità e comunità virtuali.
Livelli di Dimensione soggettiva e sociale.
intervento
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Legame tra Esiste un legame storico tra processi di valorizzazione delle libertà dei
empowerment e singoli e lotte per i diritti umani, civili e sociali.
lotte sociali
Ruolo delle Le narrative connettono la sfera individuale e quella collettiva, perché
narrative forniscono interpretazioni tradizionali e innovative che influenzano
l’identità, l’autostima, lo status dei singoli e il loro empowerment.
Integrazione dei Modello paradigmatico per la ricerca delle invarianze nelle relazioni
modelli individuo-contesto e il modello narrativo per comprendere e facilitare il
positivista e cambiamento personale, organizzativo e sociale.
costruzionista
Uso delle La PdC prende in considerazione sia i meliors (esperienze positive e
risorse e delle punti di forza), sia gli stressors (problemi, disagi, esperienze negative).
criticità
Ruolo Azione intesa come processo che integra attività mentale e pratica, sfera
costruttivo individuale e sociale, fornendo all’individuo la possibilità di adattarsi al
dell’azione contesto e anche di modificarlo.
Reti sociali
Sebbene inizialmente venisse operata la distinzione tra reti personali e sociali, oggi
si tende a parlare semplicemente di reti sociali, semmai precisando se in relazione al
singolo piuttosto che al sistema nel complesso. Sono 4 le dimensioni che
caratterizzano ogni rete sociale:
Struttura Riguarda variabili morfologiche quali ampiezza, densità,
frequenza di interazione e posizione di un individuo nella rete;
Interazione Tipi di relazione tra gli attori della rete: reciprocità, simmetria,
direzionailtà, molteplicità;
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Qualità Qualità affettiva dei legami: amicizia, intimità, vicinanza affettiva;
Funzione Una rete può fornire informazioni e feedback, sostegno emotivo,
aiuto materiale, consigli per affrontare e risolvere i problemi, ecc.
L’importanza delle caratteristiche di una rete varia in base alla funzione della stessa;
quando viene a mancare un genitore, un bambino piccolo riceverà il sostegno
migliore da una rete che offre un’elevata intimità, mentre in una transizione lavorativa
una rete estesa e a bassa densità si dimostrerà più utile. In generale, i legami forti
concentrano l’interazione nei gruppi di appartenenza, mentre quelli deboli facilitano
l’integrazione tra gruppi diversi.
Sostegno sociale
L’effetto primario della continuità del sostegno sociale si esplica nello sviluppo
personale, nel benessere e nel mantenimento della salute psicofisica; al contrario,
un sostegno insufficiente può provocare effetti patogenetici e una maggiore
vulnerabilità, in quanto influenza, tramite effetti indotti emozionalmente, il
funzionamento dei sistemi neuroendocrino e immunitario. L’azione di promozione
della salute avviene sia in presenza, sia in assenza di eventi stressanti.
Diversi studi evidenziano anche il valore del sostegno sociale come moderatore
dello stress e delle sue conseguenze. La mancanza di relazioni confidenziali correla
significativamente con gli stati depressivi, mentre la presenza di relazioni
confidenziali correla negativamente con i disturbi psichiatrici. Inoltre, la presenza di
sostegno sociale influenza positivamente autostima e identità con effetti positivi su
transizioni critiche della vita (licenziamento, gravidanza, lutto, ecc.). Il sostegno
sociale può esercitare il suo ruolo protettivo sulla salute in diversi momenti:
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Il sostegno sociale può:
Attenuare o
Ridurre
ridefinire la Alleviare Favorire
quantità e Comparsa
Evento percezione Reazione l’impatto risposte
qualità degli effetti
stressante degli stimoli allo stress emotivo e attive e
stimoli patologici
come fisiologico adattive
stressanti
stressanti
↓ ↓ ↓ ↓
Valutazione Attivazione
Stimoli → → → Stress
cognitiva emozionale
Le modalità di intervento
Vale la pena di coordinare le risorse provenienti dai sistemi formali e informali; l’uso
di risorse spontanee, tra l’altro, diminuisce i costi sociali. La collaborazione
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intersistemica richiede di affrontare le difficoltà connesse alle differenze valoriali e
culturali cui fanno riferimento i due sistemi; infatti, se da parte dei nuclei informali
esistono a volte resistenze a questo scambio, da parte dei sistemi formali si
riscontra spesso il timore di una perdita di potere nella condivisione di
responsabilità e conoscenze.
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Misure del sostegno sociale
M. specifiche Rilevano singole funzioni del sostegno o il sostegno
proveniente dalle diverse fonti (partner, familiari, amici, parenti,
colleghi, vicini);
M. globali Sono indici complessivi ottenuti sommando i punteggi di
misure specifiche;
Inoltre, le misure possono essere distinte in base a criteri di:
Oggettività Scegliendo criteri obiettivi, come ad esempio quante volte si è
usufruito di un certo comportamento supportivo;
Soggettività Scegliendo criteri soggettivi, come ad esempio la valutazione
dell’adeguatezza o della soddisfazione rispetto al sostegno
ricevuto.
4 LO SVILUPPO DI COMUNITA’
Il senso di comunità
In paesi come l’Italia, la crisi dello stato assistenziale degli ultimi decenni ha
permesso di valorizzare la comunità locale come potenziale risorsa. Le indagini più
recenti sostengono che il tessuto sociale rischia di frantumarsi se non ha alla base
comunità locali attive e partecipative, in grado di sviluppare senso di appartenenza e
di potere; emerge quindi l’idea di comunità come valore da perseguire per il
superamento dell’individualismo e la promozione dell’empowerment personale e
sociale, che è proprio la modalità teorica e operativa proposta dalla PdC.
Martini e Sequi stabiliscono alcuni fattori che considerano cruciali nello sviluppo di
comunità:
Coinvolgimento. Persone o gruppi vengono toccati emotivamente da un
evento e assumono la propensione a fare qualcosa;
Creazione di connessioni. Sviluppo di rapporti tra gli attori sociali della
comunità che sviluppano un vissuto di condivisione e di appartenenza;
Partecipazione. Esercizio del potere, inteso come potere decisionale e di
verifica dei risultati;
Senso di responsabilità sociale. Consapevolezza che la qualità di vita della
propria comunità chiama in causa ogni suo membro.
Partecipazione e senso di responsabilità sono strettamente legati al senso di
empowerment, poiché anche un elevato senso di responsabilità non dura a lungo
quando si pensa di non poter fare nulla per cambiare la situazione. Il rapporto tra
senso di responsabilità e potere è ben illustrato dal seguente schema:
Senso di responsabilità
Alto Basso
Senso Alto Impegno Frustrazione
di
potere Basso Disimpegno Delega
Profilo territoriale Estensione e caratteristiche fisiche del territorio, clima, risorse naturali,
degrado ambientale, infrastrutture presenti. Le descrizioni oggettive
dell’ambiente vengono integrate con altre più soggettive, ad esempio:
Passeggiata: persone estranee fanno una passeggiata di circa 2 ore
registrando aspetti dell’ambiente che le colpiscono, facendo un elenco
degli aspetti positivi e negativi che riscontrano e descrivendo la prima
impressione dei luoghi.
Foto di quartiere: membri di gruppi diversi fotografano i luoghi che
ritengono rappresentativi, commentando gli aspetti negativi e positivi
che le foto ritraggono.
Profilo Numero abitanti per categorie (fasce di età, sesso, scolarizzazione),
demografico incremento/decremento della popolazione, flussi migratori.
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Profilo delle Presenza e sviluppo di attività primarie, secondarie e terziarie; nocività
attività produttive ambientale. Eventuali effetti della globalizzazione e dell’esposizione alla
concorrenza esterna, che si configura come punto di debolezza in
quanto minaccia per i posti di lavoro.
Profilo dei servizi Servizi sociosanitari, educativi, ricreativi e culturali, pubblici e privati.
Profilo Organizzazione politico-amministrativa, istituzioni presenti, riferimenti
istituzionale ideologici. Per comprendere le interazioni della comunità con altre realtà
sovraordinate (comune, provincia, stato, ecc.).
Profilo Storia della comunità, valori, atteggiamenti, grado di coesione. Analisi di
antropologico documenti e interviste sulla storia, le feste e gli eventi del luogo.
Profilo psicologico Senso di appartenenza, identificazione collettiva, grado di apertura dei
sottogruppi, livello di partecipazione, dinamiche affettive. Vengono usate
alcune tecniche proiettive di gruppo per comprendere le risposte
emotive attivate dall’ambiente:
Disegna il tuo quartiere: i membri disegnano e poi esprimono l’emozione
che il disegno suscita, mentre il conduttore annota i vissuti emersi.
Vengono anche fatte associazioni libere guardando i disegni.
Sceneggia un film sul tuo quartiere. Tecnica con focus groups, nei quali
si decidono genere, titolo, trama e personaggi del film in un tempo dato.
Profilo del futuro Introdotto in un secondo momento per valutare come la comunità vive il
rapporto tra presente e futuro, che cosa teme e che cosa auspica.
Esplorato tramite interviste e discussioni in focus groups.
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4. Analisi dei profili. Il gruppo di ricerca interdisciplinare esegue un’analisi
obiettiva dei punti di forza e debolezza rilevati (es. aumento dell’occupazione,
diminuzione del numero dei reati, aumento dell’inquinamento) ed effettua un
confronto con le percezioni sociali emerse nell’analisi preliminare;
5. Esposizione dei risultati. I risultati vengono illustrati e i partecipanti individuano
i problemi prioritari e i punti di forza più salienti;
6. Ipotesi di lavoro. Si formulano proposte concrete di mutamento individuando
chi ha il potere di implementare il cambiamento auspicato;
7. Follow-up. Riunione di follow-up dopo 6 mesi con il gruppo interdisciplinare. Il
numero e il tipo di progetti formulati e attivati saranno ulteriori indicatori dello
sviluppo dell’empowerment nella comunità.
La consulenza di comunità
Si tratta di un elemento sempre più ricorrente nel tessuto sociale, non trascurabile
negli interventi di sviluppo di comunità, costituito da gruppi di aggregazione
spontanea, senza fini di lucro, autogestiti e autofinanziati con fondi di provenienza
prevalentemente privata che spesso collaborano con i sistemi pubblici. Per la PdC,
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questi gruppi costituiscono una risorsa importante, autonoma ma sempre da
collegare ai servizi istituzionali.
31
Esplorazione dell’organizzazione lungo il continuum oggettivo-
soggettivo. Un consulente finanziario tenderà ad esaminare i dati economico-
patrimoniali legati ad un elevato grado di oggettività; uno psicologo, invece,
potrebbe indagare i vissuti soggettivi perdendo la connessione con il contesto
strutturale. Sebbene ogni professionista approfondisca il proprio ambito di
competenza, è importante che abbia consapevolezza e capacità di lettura
della pluralità di livelli che vanno dal razionale-obiettivo all’irrazionale-
soggettivo.
Aspetti politici del cambiamento. Lo schema deve infine individuare livelli e
sottoinsiemi dell’organizzazione nei quali è preferibile iniziare il processo di
cambiamento, le forze a favore e quelle resistenti, le alleanze possibili e le
conseguenze dei mutamenti.
Analisi dello sviluppo storico della struttura (obiettivi strategici originari e loro
evoluzione, forme societarie, strutture giuridiche e fisiche). Analisi dei bilanci e dello
stato patrimoniale, distribuzione del potere e della ricchezza all’interno
dell’organizzazione (partecipazioni azionarie, contratti, stratificazione sociale interna).
Esame delle opportunità e dei vincoli dati dal territorio, delle zone di confine e delle
modalità di interfacciamento. Livello di successo conseguito nel complesso.
2) Dimensione funzionale
32
1) Sistema di controllo di gestione. Pianifica l’attività in funzione dei vincoli e
delle risorse ambientali e degli obiettivi interni, controllandone l’efficacia e
l’efficienza. 3 sottosistemi:
o Pianificazione. Elaborazione delle finalità e delle strategie aziendali,
definizione dei programmi, valutazione dei risultati rispetto ai piani;
o Organizzazione. Definizione e messa a punto della struttura aziendale per
l’attuazione dei piani. Attribuzione di compiti e responsabilità, definizione di
norme e procedure che regolano il funzionamento aziendale;
o Controllo. Verifica l’efficienza del Sistema operativo valutando diversi
aspetti dei risultati.
2) Sistema operativo. Insieme dei processi di produzione e/o erogazione di
servizi.
Sottosistemi direttamente connessi alla produzione:
o Acquisizione delle risorse. Materie prime, attrezzature, tecnologie, ecc;
o Trasformazione delle risorse. Per realizzare prodotti finiti e/o servizi;
o Collocazione risorse. Funzioni di marketing per la collocazione esterna dei
prodotti e/o servizi;
Sottosistemi di supporto:
o Acquisizione e amministrazione del personale. Reperimento, selezione e
formazione. Contrattazione del trattamento retributivo e delle opportunità.
Gestione e motivazione delle risorse umane;
o Acquisizione e amministrazione dei mezzi finanziari;
o Acquisizione e amministrazione della conoscenza.
3) Sistema informativo. Gestisce informazioni inerenti gli output delle attività e
l’impiego di risorse. I suoi sottosistemi sono concatenati, nel senso che ognuno di
essi indirizza il successivo:
o Acquisizione dei dati nel corso di esecuzione delle fasi lavorative;
o Immissione e archiviazione dei dati nel sistema di elaborazione;
o Elaborazione e trasmissione dei dati al Controllo di gestione a fini
valutativi.
3) Dimensione psicodinamica
33
Questa ambivalenza richiama la relazione originaria con la madre, una dinamica
dell’inconscio che tende a riattivarsi in alcune specifiche situazioni. Una visione
relativamente diversa è quella di stampo psicoanalitico che richiama la
contrapposizione tra pulsione di vita e di morte, basata sul legame positivo che
ciascuno instaura con le componenti ambientali percepite come buone e sul rifiuto di
quelle percepite come cattive.
4) Dimensione psicoambientale
Entrambi i modelli:
- Concepiscono la verità come “costruzione ricca e sofisticata di informazioni
che raggiungono il consenso in un luogo e in un tempo particolari”;
- Hanno come obiettivo la promozione del benessere e il conferimento di
potere e riconoscimento ai membri delle organizzazioni che ne hanno di
meno;
- Utilizzano una pluralità di visioni del mondo e attraverso la discussione di
gruppo lavorano in favore del cambiamento.
Conclusioni sull’AOM
Tuttavia, per la sua natura fortemente partecipativa, l’AOM non si presta ad essere
impiegata in contesti molto gerarchici.
Il setting ambientale del gruppo è un luogo privilegiato degli interventi in PdC, che
nelle organizzazioni e nelle comunità agisce all’interno di gruppi e promuove la
creazione di nuove aggregazioni di persone. Quelli di cui si occupa la PdC sono
gruppi di lavoro, cioè gruppi centrati su un obiettivo da raggiungere, a partire da
situazioni caratterizzate da un minimo senso di gruppo, come un insieme di persone
che condividono brevi riunioni, fino ad équipes che eseguono importanti attività. Già
negli anni 40, lavorando con gruppi di apprendimento (t-groups), Lewin scoprì
l’importanza del feedback nel gruppo: fornire ai membri informazioni circa i loro
atteggiamenti e modalità di interazione permetteva un apprendimento più incisivo in
quanto emotivo, oltre che cognitivo.
36
Esperienze di gruppo possono rivelarsi dei miracolosi toccasana, ma essere anche
vissute come perdite di tempo o addirittura dare adito a vere e proprie violenze
psicologiche e indurre autentiche avversioni. Gli interventi della PdC sono volti a
migliorare questo setting rafforzando l’empowerment dei partecipanti, aiutando il
gruppo a darsi obiettivi realistici e trasmettendo la capacità di lavorare in gruppo.
Infatti, normalmente si dà per scontato che chiunque sappia condurre una riunione o
partecipare efficacemente a un gruppo di lavoro; in realtà, la capacità di lavorare in
gruppo non è spontanea, ma viene soprattutto acquisita. E’ proprio quando non si
tiene conto che il gruppo crea un setting ambientale specifico che si creano le
situazioni di malessere anziché di benessere per i partecipanti.
Anche sesistono molti studi sui “piccoli gruppi” prodotti dalla psicologia sociale, si
riscontra una forte carenza di studi sui gruppi di lavoro e sul lavoro di gruppo. Un
autore italiano in linea con l’orientamento della PdC è Spaltro, il quale sostiene che il
passaggio dalla cultura di coppia a quella di gruppo richiede lo sviluppo di una
mentalità nuova, di capacità specifiche per “fare lavoro di gruppo” e, a livello di
sviluppo psichico individuale, una transizione sociale, in quanto:
- La cultura di coppia, oltre che basarsi sul rapporto edipico, si caratterizza per
i valori centrali della dipendenza e della fedeltà;
- La cultura di gruppo implica come valori centrali il pluralismo, la
leadership, la coesione e il cambiamento.
Al di là dell’approccio speculativo di Spaltro, altri autori tentano di dare risposte su
come formare al lavoro di gruppo. Mucchielli, che si occupa della formazione al
lavoro di équipe, sottolinea l’importanza dell’addestramento finalizzato allo sviluppo
della capacità di comunicare, esprimersi e ascoltare, cooperare, organizzare il
lavoro, conoscere le dinamiche dei gruppi e saperle gestire. Egli ritiene che già la
scuola elementare dovrebbe addestrare i bambini al lavoro di gruppo.
7 I GRUPPI DI SELF-HELP
38
proprie risorse sanitarie non professionali e orientate sui pari i cui partecipanti sono
al tempo stesso fruitori e prestatori di cure. Alla base dei gruppi di self-help vi è la
percezione che i servizi istituzionali non soddisfino pienamente alcuni bisogni dei
cittadini. Rispetto ai sistemi di cura formali, questi gruppi sono strutture meno
burocratiche, più economiche e accessibili e in genere ben organizzate. Sono molto
diffusi negli USA e lo sono sempre più anche in Europa.
I gruppi di self-help non vanno confusi con quelli di interesse o di servizi che pure si
basano sul volontariato. Levy individua 5 condizioni per il gruppo di self-help:
Scopo Fornire aiuto e supporto ai membri nel trattare i loro
problemi e nel migliorarne le capacità psicologiche e
l’efficienza comportamentale;
Origine La sua esistenza risiede nel gruppo stesso e non dipende
da autorità o istituzioni esterne;
Fonte di aiuto Risiede nei membri stessi che, nella relazione tra pari, sono
direttamente coinvolti nella richiesta e nell’offerta di cure e
sostegno reciproco;
Composizione I membri condividono un nucleo comune di esperienze,
problemi e condizioni di disagio;
Controllo Struttura e attività del gruppo sono sotto il controllo dei
membri stessi, che solo occasionalmente richiedono
l’intervento o la consulenza di soggetti esterni.
Pertanto, laddove si abbia la presenza contemporanea di persone che vivono
direttamente una certa condizione e membri che partecipano per offrire sostegno e
aiuto oppure si abbia la coesistenza di ruoli tecnici e figure professionali, si è in
presenza di un gruppo di servizio e solidarietà, non di auto-aiuto.
Un cenno particolare riguarda i gruppi di self-help via Internet. In rete esistono molti
e-group o gruppi virtuali che interagiscono tramite forum, chat ed e-mail. L’analisi del
contenuto dei messaggi indica che la comunicazione è quella caratteristica dei gruppi
faccia a faccia e privilegia il sostegno emotivo e la confessione.
1 In realtà, pur condividendo la metodologia dei gruppi di self-help, diversi autori considerano questa
Fattori dominanti
Controllo del Identificazione e modellamento. La presenza di individui percepiti come
comportamento simili, ma in fasi diverse di risoluzione del problema permette:
- Di identificarsi con chi è riuscito o sta riuscendo a controllare il
proprio comportamento;
- L’apprendimento per modellamento che accresce la fiducia di
poter mutare il proprio comportamento;
- La concentrazione sul presente, sviluppando la capacità di
stabilire piccoli obiettivi realistici e graduali, comunque più
facilmente raggiungibili con l’aiuto degli altri.
Portatori di Sostegno emotivo, scambio informativo, identificazione, stimolo della
handicap e carica ideologica, valore terapeutico del ruolo di helper (particolarmente
malattie croniche benefico per chi dipende spesso dagli altri).
Parenti di Sostegno affettivo, strumentale e informativo. Fondamentali gli scambi
persone con di informazioni su dove reperire le risorse e l’aiuto materiale per
problemi gravi l’accudimento del familiare, in modo da evitare fenomeni di depressione
e burn-out. Il sostegno sociale dato e ricevuto ha un effetto tampone
sugli effetti dello stress prolungato.
Persone che Identificazione e aiuto reciproco. Permettono alle persone di rafforzarsi,
attraversano un diventare più competenti nell’affrontare la propria situazione e ridefinire
periodo di crisi la crisi come momento di crescita.
41
La valutazione dei risultati e la stima dell’efficacia
42
- In portatori di handicap e malattie croniche gravi, in particolare di tipo
oncologico, il supporto di gruppo è in grado di prolungare la vita fino a 3 volte;
- In persone affette da ipertensione gravi, il gruppo di auto-aiuto abbassa gli
indici di mortalità e migliora le capacità regolative personali;
- Anche nei gruppi di parenti di persone con problemi gravi, i risultati di alcune
ricerche mostrano che i partecipanti ricevono benefici significativi;
- E’ ben documentata anche l’efficacia di gruppi per il fronteggiamento della
crisi. Ad esempio, nel caso di donne rimaste vedove e affette da ansia e
depressione, nei gruppi sono stati riscontrati rapporti costi-benefici migliori
rispetto agli interventi di psicoterapia (equivalenti per efficacia).
Non esistono ricerche dettagliate sulla situazione europea. In ogni caso, Gran
Bretagna e Germania sembrano avvicinarsi al modello statunitense: i gruppi sono
concepiti come insiemi di persone che condividono lo stesso problema, condotti non
da un esperto ma da un pari e il professionista ha un ruolo marginale di consulenza,
laddove questa viene richiesta. In altri paesi, i gruppi sembrano invece accettare la
presenza di un professionista con il ruolo di facilitatore. In ogni caso, la realtà è
piuttosto disomogenea: ogni singolo progetto sembra avere una propria concezione
di gruppo di auto-aiuto.
Anche le spese per i gruppi di auto-aiuto sono coperte in modo diverso nei vari paesi
europei, attraverso contribuzioni pubbliche e/o private.
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Tendenze di sviluppo nei gruppi di self-help
In generale, per la specificità dei meccanismi d’azione presenti nei gruppi di self-
help, la partecipazione ad essi non contrasta con altri tipi di intervento, come ad
esempio la psicoterapia. Spesso, anzi, esiste una complementarietà.
44
Sinora, in Italia l’attività delle clearing houses appare piuttosto limitata e
frammentata. Attualmente, l’unica esperienza rilevante sembra essere quella
dell’Istituto Andrea Devoto che nel 1997 ha promosso il coordinamento regionale dei
gruppi di auto-aiuto in Toscana.
Esempi
Intesa in questi termini, la crisi è un concetto di grande interesse per la PdC, che
dispone di descrizioni teoriche (persona nel contesto e rapporto individuo-
ambiente), interventi preventivi (prevenzione del disagio, identificazione dei gruppi
a rischio) e metodologie di intervento (sostegno sociale, empowerment individuale,
di gruppo e di comunità) adeguati.
45
Lindemann, psichiatra di Boston, è fra i primi ad avere analizzato la condizione di
crisi, seguendo un centinaio di persone che soffrivano di stati d’ansia e depressione
in seguito alla perdita di parenti e amici nell’incendio di un locale pubblico. Nel suo
lavoro mise a punto 3 elementi per l’elaborazione del lutto:
- Catarsi emozionale: rievocazione dei ricordi dell’evento traumatico per esprimere e
accettare l’emozione dolorosa provocata dalla perdita;
- Valutazione cognitiva: riesame attivo delle esperienze, positive e negative, vissute
con il defunto allo scopo di apprezzare la ricchezza del rapporto senza però
idealizzarlo;
- Sviluppo di nuove forme di comportamento: graduale sperimentazione di relazioni in
grado di sostituire alcune delle funzioni che il defunto adempiva.
Tipologie di crisi
L’impatto di un evento traumatico dipende dalla sua intensità, ma anche dalla durata,
sequenzialità e dal grado di interferenza con altre situazioni personali. Alcuni studi
hanno mostrato che tra le situazioni più stressanti vi sono la morte del coniuge, la
separazione e il divorzio, spesso connesse anche a una maggiore probabilità di
ammalarsi; soprattutto negli uomini, la condizione matrimoniale può avere una
funzione di protezione del disagio e la sua perdita rende più vulnerabili. Più in
generale, anche per le donne, il complesso insieme di perdite (economiche, affettive,
Il concetto di crisi è in stretta relazione con quello di stress, di più diretta origine
fisiologica e definito come “reazione non specifica dall’individuo quando deve
affrontare un’esigenza o adattarsi a una novità”.
Stress Crisi
Lo stress non è che una reazione psicologica La crisi è una condizione di
adattiva e normale, ma può anche diventare disorganizzazione psicologica conseguente
patogenetico se prodotto intensamente e a stress particolarmente acuti o anche a una
per lunghi periodi di tempo senza risposte serie di stress meno intensi, ma frequenti e
sufficientemente efficaci. ripetuti.
47
1. Reazione di allarme. Un evento stressante produce uno shock iniziale e la
mobilitazione di meccanismi fisici di difesa la cui base organica interessa i sistemi
nervoso ed endocrino. Il fine è il mantenimento dell’omeostasi dell’organismo;
2. Resistenza. Tentativo di ristabilire un nuovo equilibrio attraverso un adattamento
alla situazione modificata dall’evento stressante. Se questo sforzo non dà risultati
o se intervengono in tempi ravvicinati ulteriori agenti stressanti, si può instaurare
la successiva fase di esaurimento;
3. Esaurimento. L’individuo viene sopraffatto dagli stressi ripetuti e/o cronici e non
riesce a reagire ai meccanismi di allarme che, per definizione, non possono
essere stabilmente attivi. In questa fase aumentano anche i rischi di contrarre
malattie.
Queste fasi sono molto simili a quelle di Caplan per lo sviluppo della crisi.
Lo stesso evento critico può avere significati diversi per persone differenti; processi
cognitivi e caratteristiche di personalità fungono infatti da mediatori fra la
situazione e la risposta soggettiva; ad essi si aggiungono le possibilità di sostegno
strumentale, affettivo o informativo disponibili. Mentre diversi autori hanno fornito
letture che tendevano a privilegiare la dimensione individuale o quella ambientale,
Barbara Dohrenwend propone un modello multidimensionale integrato per
descrivere ciò che segue l’immediata reazione transitoria:
In accordo con i principi della PdC sostiene inoltre l’importanza della prevenzione
sulle possibili crisi, individuando gruppi a rischio e rafforzando i mediatori psicologici
e situazionali.
3 Sul coping va precisato che, mentre la letteratura tradizionale lo considera una caratteristica
individuale, gli orientamenti più recenti lo considerano un costrutto originato da processi sociali; non
sarebbe quindi semplicemente una competenza individuale, ma una proprietà multidimensionale
dell’unità sociale influenzata dalle risorse interne dell’individuo e da quelle fornite dalle sue relazioni.
48
Modalità di intervento sulla crisi: Intervento sulla crisi in atto
Alcuni autori distinguono l’intervento sulla crisi in due fasi. L’intervento di primo
ordine, che costituisce una sorta di pronto soccorso nelle prime ore successive alla
manifestazione della crisi, è quello che viene offerto da persone inserite nel tessuto
sociale del soggetto: familiari, religiosi, insegnanti, forze dell’ordine. E’ un primo aiuto
non specialistico che fornisce sostegno, limita la pericolosità delle circostanze e
l’insorgenza di confusione. L’intervento di secondo ordine, la vera e propria “terapia
della crisi”, deve essere affidato a specialisti e prevedere una programmazione di
incontri per qualche settimana; oltre al sostegno è finalizzato a favorire una soluzione
costruttiva della crisi e all’acquisizione di nuove e più ampie capacità e risorse per
fronteggiare eventi a rischio.
La psicologia di emergenza
Si rivolge non solo al singolo, ma anche alla collettività. In Italia ha una storia
recente. Agisce anche in senso preventivo, attraverso interventi di formazione volti
a rendere consapevoli le comunità dei rischi esistenti nel territorio, a ridurli e a
sviluppare nel sistema sociale le competenze per una reazione adeguata in
49
situazioni di emergenza. Eventi quali calamità naturali, eventi eccezionali o conflitti
bellici hanno stimolato lo studio e la sperimentazione di interventi sulla crisi (non solo
psichiatrica) volti a prevenire, specie nei bambini, le manifestazioni post-traumatiche
caratteristiche delle situazioni che minacciano l’integrità fisica della popolazione.
Attività di intervento su crisi in atto sono anche svolte dai Servizi di Pronto Intervento
Sociale (SPIS), attivabili telefonicamente in qualunque momento per segnalare
situazioni di abbandono, maltrattamento, isolamento, grave emarginazione.
L’intervento può essere diretto e in tempo reale oppure tradursi in un contatto con
familiari, amici, vicini, volontariato e servizi sociali che potranno farsi carico delle
situazioni superata la fase di emergenza.
52
Infine, anche le tecniche di gestione della crisi in atto, pur incoraggiando
interpretazioni pluralistiche del problema e attivando una forte collaborazione tra i
membri delle reti sociali, spesso non esaminano le origini storiche della crisi.
In generale, gli approcci allo studio dei fenomeni sociali della comunità sono così
schematizzabili:
Secondo la PdC, le persone devono essere esaminate nei loro contesti naturali,
dove avvengono i processi di significazione. Questo rende la ricerca più complessa,
ma rende le descrizioni dei problemi meno ingenue e meno legate al punto di vista
del ricercatore. Le variabili alle quali rivolgere l’attenzione riflettono quindi una
prospettiva più olistica e richiedono alcune considerazioni metodologiche in
relazione al modo in cui possono essere misurate.
Tra gli elementi che negli ultimi 20 anni hanno incrementato l’interesse per l’indagine
qualitativa si possono riconoscere fattori teorici (sviluppo di paradigmi
intrinsecamente qualitativi: costruttivismo, interazionismo simbolico, analisi del
discorso, ecc.) e tecnologici (tecnologie audiovisive, informatiche, telematiche);
53
entrambi hanno facilitato e reso più accurata e attendibile l’indagine qualitativa. Gli
strumenti più tradizionali (interviste, tecniche di osservazione) sono stati affiancati da
metodologie di analisi del contenuto, degli artefatti culturali, delle narrative. Poiché
l’uso di un solo strumento appare spesso insufficiente, ci si imbatte facilmente in
disegni di ricerca multimetodo.
Sviluppo Percezione del Esiste un bisogno che genera una motivazione rispetto alla
del problema soluzione di un problema nei membri dell’organizzazione. La
gruppo percezione del problema viene discussa/condivisa dalle
persone che intendono affrontarlo.
Costituzione del Si individua il gruppo di lavoro che condurrà la ricerca-
gruppo di lavoro intervento; esso deve avere capacità di influenza
nell’organizzazione.
Definizione delle Scopi realistici, flessibili, non a lungo termine e articolati in
mete passi successivi.
Training del Miglioramento delle capacità di coesione, interdipendenza e
gruppo cooperazione creativa.
Ricerca Formulazione Definizione delle ipotesi della ricerca in relazione alle
delle ipotesi esigenze dell’organizzazione.
Modalità di Individuazione di strumenti il più possibile validi e attendibili e
raccolta delle comunque adeguati; scelta accurata delle persone e delle
informazioni categorie dalla quali acquisire le informazioni.
Raccolta dei dati Raccolta dei dati secondo le modalità stabilite.
Analisi dei dati Il gruppo elabora i dati, evitando i meccanismi protettivi e
difensivi che il coinvolgimento con il problema favorisce.
Presentazione Presentazione del rapporto di ricerca agli altri membri per la
dei dati discussione comune.
Ipotesi di Formulate a partire dalla conoscenze acquisite attraverso la
intervento ricerca.
Intervento Pianificazione Definizione di obiettivi operativi, realistici, osservabili.
Organizzazione Il gruppo stabilisce le risorse da impiegare, attribuisce con
chiarezza mansioni e responsabilità e prevede tempi e
scadenze.
Attuazione Il progetto viene realizzato dal gruppo, le cui funzioni sono
ora di implementazione e controllo.
55
Il modello attribuisce molta importanza alla valutazione; al termine di ognuna delle 3
fasi, il gruppo è chiamato ad operare una valutazione che funziona da feedback
sull’andamento delle attività:
Sviluppo del gruppo Stabilisce se sviluppare ulteriormente il gruppo;
Ricerca Stabilisce se proseguire nella fase con ulteriori attività;
Intervento Stabilisce la necessità di ulteriori interventi o ricerche.
L’efficacia della ricerca-intervento risiede anche nella ciclicità del processo e nella
correzione in corso d’opera. Il processo si chiude con una valutazione complessiva
dell’efficacia dell’intervento che verifica gli indicatori di qualità previsti.
Esempio
56
10 LA VALUTAZIONE DEI PROGRAMMI DI INTERVENTO
Come già visto nel modello di Cunningham, la valutazione può essere considerata
una fase all’interno della ricerca-intervento, in quanto mirata a verificare l’efficacia,
l’efficienza e l’utilità dei programmi di intervento attuati o anche da attuare. Si tratta di
una fase estremamente importante, da non affidare al semplice buon senso, ma a
metodologie specifiche per evitare costi economici e sociali elevati. Nel seguito si fa
riferimento a programmi sociali e sanitari di tipo pubblico, ma quanto detto può
essere generalizzato alle organizzazioni produttive.
4 L’enfasi sul programma sociale non esclude la più vasta applicazione di tali metodologie in altri
contesti, come ad esempio le organizzazioni di lavoro.
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Orientamenti epistemologici nell’approccio alla valutazione
Gli approcci alla valutazione cambiano in funzione dei possibili orientamenti, che
danno enfasi ad aspetti diversi e implicano il ricorso a metodi differenti:
Enfasi Metodo
Sperimentale - Obiettività Quantitativo
(Ricerca-valutazione - Generalizzabilità dei risultati
in senso stretto per - Rapporti di causalità
alcuni autori) - Controllo dei fattori estranei
Orientamento agli - Definizione degli scopi/obiettivi del programma Quantitativo
scopi - Procedure per misurare il raggiungimento di tali Qualitativo
scopi/obiettivi
Orientamento alla - Sviluppo di un sistema di informazioni per supportare le Quantitativo
presa di decisione decisioni dei responsabili durante l’applicazione dei Qualitativo
programmi
Orientamento - Coinvolgimento degli utenti nella valutazione Quantitativo
all’utente - Massimizzazione dell’uso delle informazioni Qualitativo
Orientamento - Descrizione multipla del programma attraverso le Qualitativo
reattivo prospettive dei diversi attori
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Si tratta di tre fasi concatenabili che corrispondono alla successione dei sistemi
gestionale, operativo e informativo individuati dallo studio delle organizzazioni e
anche alle fasi di una ricerca-intervento5.
Infine si hanno:
La valutazione si svolge nel corso della realizzazione del programma, con il fine di
raccogliere informazioni e indici di affidabilità. Il feedback che ne deriva consente di
effettuale le correzioni opportune. Questo monitoraggio del programma mira a
valutarne precocemente e progressivamente l’affidabilità e la conformità rispetto
alle linee-guida progettuali in relazione ad aspetti diversi: raggiungimento delle
popolazione alla quale ci si intende rivolgere, modalità di erogazione dei servizi,
coerenza con i vincoli normativi, ecc.
60
Stima dell’efficacia e dell’efficienza di un programma
Rappresenta la valutazione in senso stretto, intesa come stima della bontà dei
risultati di un intervento effettuato, che a parità di efficacia può rivalersi più o meno
efficiente in base alle risorse richieste.
Esempio
Scheda 2: Una guida operativa per valutare l’efficacia di un programma (pagg. 275-
277 testo Francescato).
11 IL LAVORO DI RETE
61
sull’individuo ed uno centrato sull’interazione fra organizzazioni e, in particolare,
sull’interazione tra organizzazioni diverse presenti sul territorio. Lo sviluppo e la
diffusione del lavoro di rete è stato reso possibile da 3 ordini di eventi:
A partire dagli anni 70, le risposte uniche, aspecifiche e spesso disumanizzate che
caratterizzavano gli interventi sociali precedenti sono state messe sotto accusa.
Essi erano rigidi, predefiniti ed inseriti in un circuito a carattere assistenziale in ogni
settore: assistenza ai minori, malattia mentale, marginalità, devianza, ecc.
Il lavoro di rete
Motivi di conflitto. Soprattutto per “chi fa che cosa” o precedenze nel rispondere ai
bisogni dell’utenza. Alcune aree di lavoro possono essere ritenute di maggior
prestigio o in grado di dare più visibilità e riconoscimento. Dinamiche di potere.
Rapporti tra i nodi della rete. Il lavoro di rete è tendenzialmente di tipo paritario,
tuttavia una rete molto ampia richiede maggiori azioni di coordinamento dei rapporti.
In generale non esistono rapporti e legami la cui adeguatezza può essere stabilita a
priori. Esistono reti che funzionano meglio attraverso:
Legami deboli Tipicamente quando il fallimento di un nodo non impatta sulla
sopravvivenza dell’intera rete. Es. progetti inerenti la
prevenzione del disagio negli adolescenti;
Legami intensi e frequenti Es. progetti di inserimento sociale e/o lavorativo di ragazzi
devianti. In casi simili, molte organizzazioni (forze dell’ordine,
giustizia minorile, carcere, famiglie, servizi sociali, imprese
locali, centri di formazione) necessitano di flussi comunicativi
frequenti e di condivisione di intenti e modalità operative.
Inoltre, anche nella stessa rete, possono essere necessari rapporti diversi
(continuativi, saltuari, ecc.) tra i diversi nodi in relazione alle funzioni che questi
devono svolgere in vista degli obiettivi comuni. L’efficacia della rete è anche legata
alla capacità di creare legami funzionali agli obiettivi e di modificarli se necessario.
Lavoro per progetti. Una modalità per superare le difficoltà di integrazione dei nodi
della rete è i lavoro per progetti, che consente un’attribuzione non rigida e definitiva
dei ruoli e degli spazi a ciascuno di essi, legata di volta in volta al contributo che ogni
servizio dovrà erogare in uno specifico progetto.
La cornice teorica e applicativa della PdC concepisce individui e gruppi come inseriti
in un contesto che determina dinamiche, potenzialità e vincoli. Il concetto di rete si
coniuga opportunamente con questa interazione tra i livelli individuale e sociale.
Esempio
Intervento di empowering di rete in una città dell’Italia centrale (Pagg. 292-293 testo
Francescato).
65
12 LA CONSULENZA
I modelli di consulenza
La consulenza di processo
Facilita i percorsi di riflessione e ricerca da parte del cliente per aiutarlo a trovare
una soluzione autonoma. Il consulente propone attività per aiutare il cliente a
percepire, comprendere e agire sugli eventi che si verificano nel suo ambiente. In
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sostanza, il cliente, non il consulente, “possiede” il problema per l’intera durata della
consulenza; il consulente può suggerire idee e alternative alle quali il cliente non ha
pensato e lo incoraggia energicamente ad assumersi la responsabilità finale della
decisione operativa da intraprendere.
Con una metafora teatrale, Schein dice che il consulente deve rifiutare di salire sul
palco, ma agire come suggeritore al cliente, evitando l’impulso di fornire consigli e
soluzioni. L’ascolto attivo è importante: dare suggerimenti prima di ascoltare è un
errore di comunicazione che nella relazione di aiuto sottolinea l’asimmetria dello
scambio e facilita un rapporto di dipendenza che non favorisce processi di crescita e
apprendimento del consultante. Il percorso è più lungo, ma anche più efficace.
Esempi
70