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NUOVA SERIE
R IVISTA D EGLI STU DI O R IE NTA L I
NUOVA SERIE
Direttore responsabile
Raffaele Torella
Direttore scientifico
Mario Prayer
Editor-in-Chief
Franco D’Agostino
Comitato scientifico
Alessandro Catastini, Giorgio Milanetti, Maria Teresa Orsi,
Angelo Michele Piemontese, Arcangela Santoro,
Biancamaria Scarcia Amoretti, Chiara Silvi Antonini
Segretaria di redazione
Francesca Gorello
RIVISTA
DEGLI
STUDI ORIENTALI
NUOVA SERIE
VOLUME LXXXIII
Fasc. 1-4
(2010)
PISA · ROMA
FABRIZIO SERRA EDITORE
2011
R IVIS TA DEGL I ST UDI O RI E NTALI
NUOVA SERIE
Trimestrale
© Copyright 2011 by
Sapienza, Università di Roma
and
Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma
SOMMARIO
Prefacio 13
Cristina Di Bennardis, Relaciones centro-periferia. Una introducción 15
nostalgia. identità.
cinque studi relativi all ’ islam
articoli
Sergio Alivernini, Benjamin R. Foster, Tablets from the Third Ur
Dynasty 335
Mauro Crocenzi Tibetani o Cinesi? Le élites culturali del nuovo millennio 365
Phillis Granoff, Justice and Anxiety: False Accusations in Indian Litera-
ture 377
Angelo Michele Piemontese, The Emergence of Persian Grammar and
Lexicography in Rome 399
Tommaso Tesei, Survival and Christianization of the Gilgamesh quest for
immortality in the tale of Alexander and the fountain of life 417
[3] sommario 9
note
Lorenzo Verderame, Il pianeta Giove nella tradizione mesopotamica 443
recensioni
Animali tra mito e simbolo, ed. Anna Maria Gloria Capomacchia (M. Erica
Couto-Ferreira) 455
Epistles of the Brethern of Purity. On logic. An Arabic Critical Edition and
English Translation of Epistles 10-14, ed. and tr. Carmela Baffioni,
foreword Nader El-Bizri (Biancamaria Scarcia Amoretti) 460
Hammam. Le terme nell’Islam, a cura di Rosita D’Amora e Samuela Pa-
gani (Biancamaria Scarcia Amoretti) 463
Mâlik ibn Anas, Al-Muwatta’. Manuale di Legge islamica, a cura di
Roberto Tottoli; indici a cura di Luca Patrizi (Biancamaria Scarcia
Amoretti) 465
A. Y. Ahmad, J. N. Postgate, Archives from the domestic wing of the North-
West palace at Kalhu/Nimrud (Lorenzo Verderame) 466
Thomas K. Kämmerer, Studien zu Ritual und Sozialgeschichte im Alten
Orient / Studies on Ritual and Society in the Ancient Near East. Tartuer
Symposien 1998-2004 (Lorenzo Verderame) 470
M. Sigrist, Tablets from the Princeton Theological Seminary: Ur iii Period.
Part 2 (Lorenzo Verderame) 474
AL LA RICERCA DI D A R AL- IS LA M.
UNA R I C OGNIZIONE NEI TE S T I DI G IU RIS T I
E TRADIZIONISTI, LE S S IC O G RA F I,
GEOGRAFI E VIAGG IATO RI*
Giovanna Calasso
Dar al-islam is a well known conventional expression which, together with its specular
opposite dar al-harb, forms a binomial which is considered to have originated in Mus-
lim juridical thinking of “the classical period”. In the present article this is the object
of a study which attempts to reconsider when it was possibly first developed, empha-
size differences among Muslim scholars, besides evaluating its reception in other kinds
of writings outside the juridical field, particularly in the works of Muslim geographers,
or in travel literature, as well as in Arab medieval dictionaries. This preliminary inves-
tigation leads us to a less schematic and static picture than that of current definitions,
a picture in which the juridical notion of dar al-islam is necessarily combined with that
of belonging, with the representation of Muslim collective identity. The theme of the
material and mental boundaries of dar al-islam is thus focused in its different expres-
sions, at times explicit and at times hidden between the lines, in different types of texts
which give us back a variety of thoughts present in the cultural context in which the
idea of dar al-islam was formed and continued to exist.
1. Definizioni correnti
* Tengo a ringraziare tutti i colleghi – Agostino Cilardo, Angelo Arioli, Roberta Denaro, Paola Or-
satti, Francesco Zappa e in particolare Giuliano Lancioni – con cui ho avuto degli scambi di idee su que-
sta ricerca e da cui ho ricevuto utili suggerimenti e indicazioni.
272 giovanna calasso [2]
come una religione statica, “its meaning contained wholly in its foundation
experience.”.1
Se cerchiamo, nel passato, un concetto che rappresenti, orizzontalmente,
l’insieme del mondo dell’islam, delle genti e degli spazi riconosciuti come ad
esso appartenenti e sottoposti alle sue norme, inevitabilmente ci troviamo di
fronte a una formula convenzionale, elaborata all’interno di quello stesso
mondo culturale: dar al-islam. Le parole di Calder possono allora essere te-
nute presenti qualora si intraprenda una ricerca sulla dimensione verticale di
questa nozione, cioè sui tempi della sua elaborazione, ma anche sui “luoghi”
in cui essa è presente, ovvero sulla sua ricezione nei diversi generi della pro-
duzione scritta arabo-islamica – dai lessici, alle raccolte di hadith, alle opere di
geografi e storici, alle relazioni di viaggio – da porre a confronto con l’im-
magine che ha continuato nel tempo ad esserne proposta negli studi.
Cosa in effetti può apparire più scontato della nozione di dar al-islam? Dal
modo in cui generalmente se ne parla, sembra trattarsi di cosa a tutti ben no-
ta e che non necessita di precisazioni. Insomma, pur non essendo espressio-
ne coranica, una nozione elaborata una volta per tutte “in epoca classica”, di
significato univoco e permanente e che non suscita interrogativi. E che in ef-
fetti è rimasta fino a oggi assai poco studiata. Non che non se ne parli, in par-
ticolare negli studi che analizzano il tema del jihad, o la concezione dello sta-
to e più in generale il pensiero politico dell’islam medievale. E non mancano
lavori, come quelli di M. Khadduri, che hanno dato un apporto rilevante alla
conoscenza di questa nozione – e a quella ad essa complementare di dar al-
harb – in rapporto alle siyar, termine reso da Khadduri come “the Islamic law
of nations”. Ma anche questi studi, quasi seguendo le orme dei giuristi mu-
sulmani medievali, non pongono mai in primo piano questi due concetti,2 ma
riservano loro un ruolo “ancillare”, riconducendoli sempre all’ambito delle
grandi rubriche del pensiero giuridico-politico oggetto di analisi.3
Partiamo da alcuni esempi di tipo manualistico. D. Waines: “Il mondo era di-
viso, secondo i giuristi, tra dar al-islam, i territori sotto governo musulmano
e il resto del mondo, vale a dire i territori della guerra (dar al-harb);4 David
Cook: “dar al-islam (la casa dell’islam), ossia il territorio in cui islam e shari‘a
dominano incontrastati; dar al-harb, ossia il territorio in cui è possibile (ma
1 N. Calder, “History and nostalgia: reflections on John Wansbrough’s The sectarian milieu”, Method
&Theory in the Study of Religion, 9. 1, 1997, pp. 47-73.
2 Qualcosa di analogo è avvenuto con la nozione di hijra, a cui, come è stato osservato da M. Fier-
ro, i giuristi medievali hanno dedicato scarsa attenzione, trattandone generalmente all’interno della
sezione dedicata al jihad («La emigration en el islam: conceptos antiguos, nuevos problemas», Awraq,
xii, 1991, p. 18).
3 M. Khadduri, War and Peace in the Law of Islam, Baltimore 1955 e The Islamic Law of Nations.
Shaybani’s Siyar translated with an introduction, notes and appendices by M. Khadduri, Baltimore 1966.
Sul pensiero politico nell’Islam, rinviamo a P. Crone, Medieval Islamic Political Thought, Edinburgh 2004,
e alla relativa bibliografia. 4 Introduzione all’islam, Firenze 1998 (ed. or. 1995), p. 97.
[3] alla ricerca di dar al-islam 273
quement, ce qui se trouve en dehors du dar al-islam est dar al-harb». Ma nes-
sun autore del periodo classico è citato in bibliografia. Più ricca di elementi,
ma sempre piuttosto imprecisa, la voce dar al-harb, anch’essa di A. Abel: “Cet-
te formule conventionnelle est issue des développements logiques de la no-
tion du jihad, lorsque il cessa d’être la lutte pour la survivance d’une petite
communauté, pour devenir le fondement du “droit des gens” dans l’état mu-
sulman. (…) Le Kur’an ne divise pas encore le monde en territoires où rè-
gnent la paix et la foi de l’islam (dar al-islam) et en territoires sur quoi pèse en
permanence la menace de la guerre missionnaire … Le hadith il est vrai, fait
remonter à l’époque médinoise la conception de dar al-harb. De toute ma-
nière, l’usage classique de considérer comme tels les territoires voisins de la
terre de l’islam et d’en inviter les princes à embrasser cette religion … est
censé remonter au Prophète… Classiquement le dar al-harb englobe les pays
où la loi musulmane n’exerce pas son effet, dans les domaines du culte et de
la protection des fidèles et des dhimmis.»11
Qualche spunto critico circa il significato di dar al-harb, rispetto alla visione
prevalente negli studi occidentali, nella voce di Hamid Algar dell’Encyclopae-
dia iranica,12 dove non è contemplata una voce dar al-islam: “The realm of
war”, lands not under Islamic rule, a juridical term for certain non Muslim
territory, though often construed, especially by Western writers, as a geopo-
litical concept implying the necessity for perpetual, even if generally latent,
warfare between the Muslim state and its non-Muslim neighbours (see, e. g.,
Lambton, State and government, p. 201)”.
11 E. I.2, tome ii, Leyde-Paris 1965, pp. 129-130, pp. 130-31. 12 Vol. vi, 1993, p. 668.
[5] alla ricerca di dar al-islam 275
13 Questa felice definizione è di G. Scarcia, “Islam e harb, ‘Arab e ‘Ajam: nota a due celeberrime
dicotomie islamiche”, in Azhàr. Studi arabo-islamici in memoria di Umberto Rizzitano, Palermo 1995, p. 208
in cui l’autore propone un’interpretazione del termine harb semanticamente più congrua al suo valore
oppositivo rispetto al termine islam.
14 Una utile raccolta – anche se non accompagnata da uno studio analitico – delle varie opinioni dei
giuristi musulmani, con esemplificazioni che arrivano fino all’età moderna, si trova tuttavia in Zafarul-
Islam Khan, “Dar al-harb and dar al-islam”, Muslim & Arab Perspectives, 2. 11-12 (1995), pp. 51-65.
276 giovanna calasso [6]
15 The Islamic Law of nations. Shaybani’s Siyar, translated with an introduction, notes and appendices
by M. Khadduri, Baltimore 1966, p. 20: “The Islamic state was compelled in practice to accommodate
itself to the realities of surrounding conditions and to accept certain limitations, notwithstanding that
in theory it recognised no state besides itself. Unable to incorporate the whole of mankind, the Islamic
state tacitly accepted the principle of coexistence with others…hence the law was bound to become ter-
ritorial as well as personal in character. It was in this period that leading jurists began to devote attention
to the law governing the relations of the Islamic state with contemporary political communities…”.
16 “… wa-l- madina fa-inna-ha dar al-hijra wa ‘l-sunna” (Bukhari, £ahih, 46. manaqib al-ansar, p. 47).
17 G. Calasso, “I nomi delle prime città di fondazione islamica nel Buldan di Yaqut: etimologie e
racconti di origine”, in Studi in onore di Francesco Gabrieli nel suo ottantesimo compleanno, a cura di R. Traini,
Roma 1984, p. 153.
18 ¥abari, Ta’rikh al-rusul wa ’l-muluk, ed. de Goeje, vol. v, p. 2360; Baladhuri, K. Futuh al-buldan, ed.
de Goeje, p. 275. L’assenza di un’indicazione del genere anche per Basra potrebbe essere connessa con il
carattere meno “progettato” di questo insediamento (v. Caetani, Annali dell’Islam, vol. iii, p. 775 sgg.).
[7] alla ricerca di dar al-islam 277
E qui ci troviamo di fronte soltanto a uno dei possibili significati di hijra, pa-
rola che, con riferimento al periodo delle origini, ne ha avuti almeno tre: emi-
grazione dalla Mecca a Medina, del Profeta e dei suoi seguaci, atto fondante del-
la prima comunità islamica; emigrazione verso Medina a partire da altri luoghi
d’Arabia, soprattutto dal deserto (dunque abbandono della vita nomade e
quanto dei suoi costumi si oppone all’islam); emigrazione da Medina verso una
pluralità di luoghi, verso nuove dar al-hijra situate al di fuori della penisola ara-
bica, mentre le grandi conquiste militari sono in corso. E su quale sia stata la
sequenza temporale – data per scontata fino ad anni relativamente recenti –
fra il concetto “ristretto” di hijra, e quello “open ended”, la discussione è an-
cora aperta.19
Dar al-hijra e dar al-islam compaiono insieme in un passo del Kitab al-kharaj
di Abu Yusuf,20 là dove l’autore riferisce i fatti relativi alla conquista di al-¢ira,
e in particolare all’accordo cui si giunge circa l’ammontare del suo tributo.
Abu Yusuf, celebre discepolo di Abu ¢anifa, muore nel 182/798; del Kitab al-
Kharaj, un trattato di materia fiscale, non è nota la data di composizione, ma
sappiamo che è stato redatto su richiesta di Harun al-Rashid, verosimilmen-
te negli anni 90 dell’viii secolo. I fatti relativi alla tassazione di al-¢ira si rife-
riscono all’ultimo anno del califfato di Abu Bakr (12/634). Al-¢ira, la più im-
portante città del Crescente fertile durante i tre secoli che hanno preceduto
l’avvento dell’Islam, nell’anno 11/633 si arrese a un esercito musulmano ca-
peggiato da Khalid b. al-Walid e la popolazione, che respinse l’invito a con-
vertirsi, si impegnò a pagare un tributo. È appunto all’interno di quello che
Abu Yusuf dichiara essere il testo del documento redatto da Khalid per la gen-
te di al-¢ira (hadha kitab min Khalid li-ahl al-¢ira), che troviamo l’espressione
dar al-islam.21 Abu Yusuf riporta la decisione presa da Khalid di esentare dal
pagamento della jizya “i vecchi che non siano in grado di lavorare o che sia-
no colpiti da infermità o che, avendo perduto tutti i loro beni vivano dell’ele-
mosina dei correligionari: ebbene costoro sono esentati dal pagamento della
capitazione e sono, insieme ai loro familiari, a carico del tesoro pubblico mu-
sulmano finché risiedono in terra di emigrazione e terra di Islam (ma aqama bi-dar
al-hijra wa dar al-islam). Se invece se ne vanno in un luogo che non è terra di
emigrazione e terra di islam, il mantenimento dei loro familiari non è più a
carico dei musulmani (fa-in kharaju ila ghayr dar al-hijra wa-dar al-islam fa-lay-
sa ‘ala l-muslimin al-nafaqa ‘ala ‘iyali-him)”.
19 Sul dibattito scientifico in merito a questo tema e per una tesi che contrasta con l’opinione più
diffusa, si veda P. Crone, “The first century’s concept of hijra”, Arabica, xli, 1994, pp. 352-387.
20 Il passo è segnalato in Zafarul-Islam Khan, “Dar al-harb and dar al-islam”, Muslim&Arab
Perspectives, 2, 11-12 (1995), pp. 51-65 (p. 51). Ma l’autore lo cita, de plano, come la più antica attestazione del
termine, in quanto usato da Khalid b. al-Walid in una missiva inviata al califfo Abu Bakr. Caetani espri-
meva molte perplessità circa l’autenticità di questo documento (cfr. Annali dell’Islam, vol. ii, Milano 1907,
p. 232).
21 Abu Yusuf, Kitab al-Kharaj, al-Qahira 1999, p. 157 (Le livre de l’impôt foncier, traduit et annoté par E.
Fagnan, Paris, Geuthner, 1921, p. 223).
278 giovanna calasso [8]
¥abari invece, riferendo della presa di al-Hira, non farà cenno a quanto di-
ce Abu Yusuf, e dirà soltanto che Khalid offrì agli abitanti di al-¢ira tre possi-
bilità: convertirsi all’islam (an tadkhulu f i dini-na) e avere gli stessi diritti e do-
veri dei musulmani, sia che emigrino sia che restino là dove abitano (in
nahadtum wa-hajartum wa-in aqamtum fi diyari-kum);22 non convertirsi e paga-
re la jizya; combattere.
Sempre in ¥abari, sono, con lievi varianti, le tre possibili scelte offerte ai
Curdi, su ordine di ‘Umar prima di ingaggiare battaglia: accettare l’islam e re-
stare nelle loro terre (fa-in aslamu fa-ikhtaru dara-hum), con l’obbligo in que-
sto caso di pagare la zakat senza avere parte al fay’; accettare l’islam e unirsi
ai conquistatori (in ikhtaru an yakunu ma‘a-kum), e in questo caso ricevere una
parte uguale di bottino e avere gli stessi obblighi militari; rifiutare l’islam e pa-
gare il tributo (kharaj).23 Dunque, nella versione di ¥abari, Khalid chiede agli
abitanti di al-¢ira di diventare musulmani e di emigrare – senza indicare ver-
so dove essi dovrebbero emigrare – garantendo loro, a quelle condizioni, gli
stessi diritti e doveri dei musulmani; e analoga sarà la proposta fatta ai Curdi.
In entrambi i casi non si fa menzione di dar al-islam. Invece nel passo di Abu
Yusuf relativo ad al-Hira, probabilmente una delle più antiche attestazioni
dell’espressione dar al-islam,24 e che si riferisce all’anno 12 dell’Egira, essa ap-
pare avere un significato che sostanzialmente si sovrappone a quello di dar al-
hijra. E che cos’era una dar al-hijra? Era essenzialmente “an armed camp or
mobilization centre to which one went to fight the infidels whoever and whe-
rever they might be”.25 L’“emigrazione” di cui si tratta qui è quella “open en-
ded”, come la definisce Crone,26 da Medina cioè, verso nuovi avamposti mi-
litari situati al di fuori della penisola araba. Ma in questo contesto dar al-hijra
sembra designare qualcosa di più ampio, una zona di emigrazione più che un
singolo centro, mentre dar al-islam sembra avere ancora un’accezione circo-
scritta, molto distante da quella di “territori dell’islam” globalmente con-
trapposti ai “territori della guerra”.27
22 Crone (Hijra, p. 357) cita il passo omettendo che agli abitanti di al-¢ira vengono garantiti gli stessi
diritti e doveri dei musulmani anche se restano là dove sono: “in 12/633 Khalid offered the people of ¢ira,
the same rights and duties as the Muslims if they would convert, get up and emigrate (in aslamtum wa
nahadtum wa hajartum)” (il riferimento è a ¥abari, ser. i, t. iv, p. 2041).
23 Citato da W. Madelung, (“Has the hijra come to an end?”, Revue des Etudes Islamiques, 54, 1986, p.
233) che traduce: “If they choose to join the conquerors (in their dar al-hijra) they should receive the
same… (¥abari, s. 1. v, Lugduni Batavorum 1893, p. 2713-14). Non è chiaro quale sarebbe stata al tempo –
anno 12 dell’egira, ovvero 634 – la dar al-hijra dei musulmani, che peraltro non è nominata nel testo.
24 Un illustre giurista di epoca omayyade come Sa‘id b. al-Musayyib (m. 94/700) non risulta aver fatto
uso del termine dar al-islam (cfr. Zafarul-Islam Khan, Dar al-harb, cit., p. 51). Nessuna sua opera ci è per-
venuta, ma i detti e le fatawa del giurista, citati in varie opere antiche di fiqh, sono stati raccolti in cinque
volumi. Nel capitolo sulle regole del jihad non vi sono riferimenti a dar al-islam (ibid., p. 60).
25 Crone, op. cit., p. 367. Una dar al-hijra non necessariamente deve essere fondata ex-novo, come è
mostrato dal caso di Tawwaj, nel Fars, che, secondo quanto riportato da Dinawari, diventa una dar al-hi-
jra per opera di ‘Uthman b. Abi l-‘As, che vi costruisce una moschea del venerdì (Dinawari, Akhbar al-ti-
wal, ed. Guirgass, Leiden 1888, p. 131 (citato in Madelung, cit., p. 232).
26 Crone, op. cit., p. 367.
27 Un quadro molto diverso è quello proposto da B. Wheeler che afferma: “According to Muslim
scholarship the dar al-hijra is the realm of cities and law. It is the territory established and maintained by
[9] alla ricerca di dar al-islam 279
3. Il hadith : Bukhari
Una ricognizione nel £ahih di Bukhari alla ricerca delle locuzioni dar al-harb e
dar al-islam, ne documenta l’assenza, malgrado le “Concordanze” di Wen-
sinck segnalino alcune occorrenze.
the example of the prophet, conceived in terms of the dispersal and collection of his sunna and physical
remains” (“From dar al-hijra to dar al-islam. The Islamic Utopia”, in: Y. Hiroyuki (ed.), The concept of
territory in Islamic law and thought, London-New York-Bahrain, 2001, pp. 3-36). Quella che l’A. definisce
“the far-flung area encompassed by the dar al-hijra” si sarebbe venuta costituendo grazie al disseminarsi
dei resti fisici del Profeta (capelli, impronte, ecc.) e della sua sunna nei vari amsar. L’autore dichiara di es-
sersi formato questa idea – “in the absence of a precise definition of the two important and malleable
concepts of dar al-hijra and dar al-islam” – soprattutto dalle “fada’il al-amsar introductions to the many
ta’rikh al-buldan texts”. Questo quadro, frutto della lettura che l’A. dà di testi prodotti a partire dal tardo
iv/x secolo, mette a fuoco un processo di reinterpretazione del passato, ma non corrisponde al senso
della nozione di dar al-hijra documentato dalle fonti per il periodo delle origini.
28 Calasso, “I nomi delle prime città”, cit., p. 153 e p. 157.
280 giovanna calasso [10]
Nel Kitab al-jihad, dar al-islam ricorre una prima volta nel bab 173, che reca
l’intestazione seguente: bab al-harbi idha dakhala dar al-islam bi-ghayr aman (sul
harbi che entra in dar al-islam senza salvacondotto). Qui viene riportato un
hadith risalente a ‘Iyas b. Salama Ibn ‘Aka’, sull’autorità di suo padre che ha ri-
ferito: “Una spia dei politeisti, nel corso di una spedizione, venne dal Profeta.
Si sedette a conversare con i Compagni, poi se ne andò. Allora il Profeta dis-
se: “Inseguitelo e uccidetelo!”. Io uccisi la spia e il Profeta mi fece dono delle
sue spoglie come bottino di guerra (ata’l-nabi ‘ayn al-mushrikin wa-huwa fi
safar fa-jalasa ‘inda ashabi-hi yuhaddithu thumma infatala fa-qala ‘l-nabi utlubu-
hu wa-uqtulu-hu fa-qataltu-hu fa-nafalu-hu salbu-hu).29
Come si vede, nel hadith l’espressione dar al-islam non compare. Sulla base
dell’aneddoto riferito, si fa risalire però al Profeta un’indicazione precisa: un
harbi che entra senza salvacondotto nel territorio abitato dai musulmani può
essere legittimamente ucciso, qualora la sua presenza possa costituire un
pericolo. Ma tutto questo nel hadith resta sottinteso: soltanto quel “fa-huwa fi
safar” evoca un dislocamento nello spazio del mushrik, che si spinge fino al
cuore della comunità musulmana, arrivando in presenza del Profeta, ed espo-
nendosi così al rischio di essere ucciso.
Quanto a dar al-harb, l’espressione ricorre, sempre nel Kitab al-jihad,
nell’intestazione del bab 180,30 che recita: idha aslama qawm f i dar al-harb wa
la-hum mal wa-arduna fa-hiya la-hum (“quando un gruppo di gente si converte
all’islam nella dar al-harb e possiede ricchezze e terre, queste rimangono
sue”). Segue un hadith risalente a Usama b. Zayd e che si riferisce a ‘Umar b.
al-Khattab, in cui si parla di una tribù minore e delle sue terre, di come essi vi
abbiano combattuto al tempo della jahiliyya e di come, al tempo dell’islam, si
siano convertiti restando nelle loro terre (inna-ha la-biladu-hum qatalu ‘alay-ha
fi’l-jahiliyya wa-aslamu ‘alay-ha fi l-islam). E di come ‘Umar si sia dichiarato fa-
vorevole al loro permanere in quel luogo. All’interno del hadith l’espressione
dar al-harb non compare.
In entrambi i casi si tratta dunque di espressioni scelte da Bukhari nell’inti-
tolare le rubriche in cui si inseriscono rispettivamente i due hadith.
Nel bab 19 del Kitab al-talaq,31 che riguarda il matrimonio della donna mu-
shrika che si converte e emigra, ricorre invece l’espressione ahl al-harb. Qui il
hadith, riportato sull’autorità di Ibn ‘Abbas, riferisce che il profeta distingueva
due categorie di mushrikun: quelli che erano in guerra con i musulmani (ahl
al-harb) e quelli che avevano fatto un trattato con loro (ahl al-‘ahd). Il caso in
questione è quello di una donna che appartiene ai mushrikun della prima
categoria: se essa emigra, non la si può chiedere in matrimonio se prima non
ha avuto le mestruazioni ed è poi tornata in stato di purità. Soltanto allora è
lecito sposarla.
29 Al-Bukhari, Sahih, ed. Krehl, Leyde 1868, ii, Kitab al-jihad, p. 260.
30 Bukhari, t. ii, p. 262. 31 Bukhari, t. iii, K. al-talaq, p. 468.
[11] alla ricerca di dar al-islam 281
Infine, dar al-islam e dar al-harb compaiono insieme nell’intestazione del bab
2 del Kitab al-wakala: bab idha wakkala ‘l-muslim harbiyyan f i dar al-harb aw fi
dar al-islam jaza (è permesso al musulmano dare una procura a un harbi, sia
nella dar al-harb che nella dar al-islam). Segue un hadith risalente a ‘Abd al-Rah-
man b. Awf, il quale racconta di avere con una lettera affidato i suoi, che
stavano alla Mecca, a Umayya b. Khalaf, perché ne avesse cura mentre lui si
trovava a Medina.32 Il caso è emblematico perché ‘Abd al-Rahman b. Awf era
una figura eminente fra i musulmani della prima ora, mentre l’affidatario,
Umayya b. Khalaf, era un ricchissimo mercante della Mecca, acerrimo nemi-
co dei musulmani e figura in qualche modo esemplare di mushriq. Anche qui
dar al-islam e dar al-harb non sono nominate nel hadith, ma vi sono rispettiva-
mente rappresentate da Medina e Mecca.
Il numero di per sé assolutamente esiguo di occorrenze delle locuzioni
dar al-harb e dar al-islam nella raccolta di Bukhari è dunque dovuto soltan-
to alla penna dell’autorevole compilatore – vissuto, come è noto, in pieno
iii/ix secolo – che, nel rubricare episodi e parole, risalenti al tempo del Pro-
feta, usa il linguaggio del proprio tempo. Quanto alle due categorie di mu-
shrikun denominate nel hadith come ahl al-harb e ahl al-‘ahd, si riferiscono a
collettività di individui, senza alcuna identificazione con ambiti giuridici o
territoriali.
senza più (traccia di) politeismo, ovvero quando le leggi dell’islam vi fossero
divenute predominanti”.
La fattispecie considerata è quella di prigionieri musulmani portati in
territorio nemico, che, essendo stati riscattati, tornano in terra d’islam (ila dar
al-islam) e fra di loro c’è chi (mentre si trovava in dar al-harb) ha commesso
adulterio, chi ha bevuto vino, chi ha ucciso o ha commesso altri crimini. Il
parere espresso da Shafi‘i è il seguente: “Per tutti questi crimini costui deve
essere giudicato come viene giudicato chi li commette nella dar al-islam”.
Shafi‘i ha detto inoltre: “Se un musulmano entra nell’ard al-harb con un sal-
vacondotto (musta’minan) e contrae un debito con un harbi, se poi il harbi (suo
creditore) viene con un salvacondotto (a reclamare i suoi diritti), io giudiche-
rei riguardo al debito (che è stato contratto nella dar al-harb) nello stesso mo-
do in cui giudicherei di un debito fra un musulmano e un dhimmi nella dar al-
islam, perché la norma è valida per il musulmano ovunque si trovi (li-anna
al-hukm jarin ‘ala ‘l muslimin haythu kanu), e non decade il suo diritto perché
si trova in un luogo piuttosto che in un altro, così come non cessa il suo do-
vere di compiere la salat perché si trova nel territorio dei politeisti (la yuzilu
‘l-haqq ‘anhu an yakuna bi-mawdi‘ min al-mawadi‘ kama la tazulu ‘anhu ‘l-salat in
yakunu bi-dar al-shirk”).
Abu ¢anifa e i suoi seguaci (Abu ¢anifa wa ashabuhu) la pensano invece in
modo diverso. La fattispecie considerata è in questo caso quella di musulma-
ni che siano entrati con un salvacondotto in dar al-harb per commerciare, e
abbiano commesso dei crimini ai danni sia di harbi non musulmani, sia di har-
bi che si sono convertiti all’islam, o si siano appropriati illecitamente di ric-
chezze o di altri beni e li abbiano in parte consumati; e che, analogamente,
anche gente della dar al-harb, non musulmani o musulmani, abbiano com-
messo crimini ai danni dei mercanti musulmani. Se, in seguito, tutti gli harbi
diventano musulmani e si trasferiscono nella dar al-islam, e viene intentato un
processo da una delle parti, “noi consideriamo nulli (nubtilu) ferimenti, ucci-
sioni, appropriazioni illecite che siano state consumate, e tutti i danni di que-
sto tipo che siano stati arrecati da una delle parti all’altra, intenzionalmente
o in modo involontario; quanto ai debiti, mi faccio dare da uno e restituisco
all’altro, e quanto all’appropriazione illecita che ancora sussiste, esprimo il
parere (ufti) che chi si è appropriato restituisca al proprietario, ma non lo ob-
bligo; [……] e rifiuto di applicare le pene hadd, poiché essi hanno commesso
il reato nella dar al harb dove le norme dell’islam non sono valide (li-anna dha-
lika kana fi dar al-harb haythu la yajri ahkam al-muslimin ‘alayhi)”.
Il parere espresso da Shafi‘i, che ¥abari riprende dal Kitab al-Umm, è in tut-
ta la sua limpidezza il principio della personalità del diritto: la legge dell’islam
è valida per il musulmano a prescindere dal luogo in cui si trova.34 Il che si-
34 In questo Shafi‘i concorda a quanto sembra con il pensiero di Malik. Si veda Santillana: “la legge
islamica è applicabile ai credenti tanto se si trovino fuori dal territorio musulmano (dar al-harb) quanto
[13] alla ricerca di dar al-islam 283
gnifica che l’espressione dar al-islam, che pure ricorre con frequenza nel Kitab
al-Umm, non designa per Shafi‘i un ambito giurisdizionale, uno spazio dota-
to di confini determinati, soltanto all’interno dei quali hanno vigore le leggi
dell’Islam; designa bensì l’ambito territoriale sotto dominio musulmano, a
cui la legge dell’islam non è tuttavia vincolata, avendo il suo ambito di appli-
cazione contorni sempre mobili e sfuggenti, in quanto legato alle persone e
ai loro movimenti: materiali, come quello ad esempio di mercanti o di pri-
gionieri musulmani che entrano nella dar al-harb e temporaneamente vi ri-
siedono, o immateriali, come la conversione di individui harbi all’islam. La
legge dell’islam, in potenza universale, travalica i confini dell’ambito politico-
territoriale per proiettarsi nella dar al-harb, o dar al-shirk, o ard al-‘aduww, qua-
lora vi si trovino dei musulmani.
Quanto a Abu ¢anifa e i suoi seguaci, abbiamo visto come le cose siano vi-
ste da loro in modo diverso. Come è noto, Abu ¢anifa non ha lasciato opere
di fiqh scritte di sua mano, ma due dei suoi discepoli, Abu Yusuf (m. 182/798)
e Shaybani (m. 189/804), hanno riportato i suoi insegnamenti nelle loro ope-
re. Quanto ai termini dar al-islam e dar al-harb, come ha osservato Khadduri
in margine alla traduzione del Kitab al-asl di Shaybani – sostanzialmente una
compilazione delle dottrine di Abu ¢anifa – non sono usati dall’autore in mo-
do coerente, sistematico: dar al-harb e ahl al-harb risultano intercambiabili, co-
sì come ahl al-islam o semplicemente al-dar, possono essere usati in luogo di
dar al-islam.35 Ma, malgrado nell’uso di Shaybani sia ancora presente una
oscillazione terminologica fra il luogo e le persone che lo abitano, resta il fat-
to che i due concetti sono improntati, nel suo pensiero, a una concezione ter-
ritoriale del diritto.
Si tratta di cose sostanzialmente note, ma a uno sguardo ravvicinato con-
sentono qualche considerazione, a cominciare dalla cronologia. Resta con-
getturale chi abbia coniato le due locuzioni ponendole alla base di un modo
di pensare il mondo che nel tempo rimarrà stabile nelle parole, anche se esse
saranno usate con connotazioni diverse, ma tutto sembra ricondurle ad Abu
¢anifa (m. 150/767), il giurista iracheno di origine non araba,36 morto al tem-
po di al-Mansur; anche se il suo allievo Abu Yusuf, riferendo nel Kitab al-Kha-
raj l’episodio relativo alla conquista di al-¢ira che abbiamo sopra riportato,
in paese d’islam, perché, dice Malik, non è il luogo ove si trova il credente, ma la professione di fede
musulmana quella che decide dell’applicabilità della legge” (D. Santillana, Istituzioni di diritto musulmano
malichita con riguardo anche al sistema sciafiita, Roma, 1938, i, p. 97). Quindi si applicano le pene hadd ai
soldati e ai viaggiatori che di passaggio in territorio non musulmano commettono atti che costituisco-
no reato secondo la legge dell’islam; così, più in generale, il reato commesso in terra straniera da un mu-
sulmano ai danni di un altro musulmano viene punito, quando essi tornano in patria, secondo le regole
della shari‘a (cfr. Sahnun, Mudawwana, Cairo, al-Matba‘a al-sa‘ada, 1905, juz’ xvi, p. 11, 91).
35 Khadduri, The Islamic Law of nations. Shaybani’s Siyar, p. 130, n. 1.
36 Per una documentata revisione dell’idea dominante circa il ruolo dei giuristi di origine non araba
nella formazione del diritto islamico, si veda H. Motzki, “The role of non-arab converts in the deve-
lopment of early Islamic law”, in W. B. Hallaq (ed.), The formation of Islamic law, ed. by Wael B. Hallaq,
Ashgate Publ., Aldershot, 2004, pp. 153-177.
284 giovanna calasso [14]
stabilire in modo netto i confini tra il mondo dell’islam e tutto ciò che ne sta
al di fuori, anche attraverso la negazione della possibile esistenza di una ter-
za categoria di territori, dotati di uno statuto per così dire intermedio e di na-
tura temporanea, quello di dar al-‘ahd o dar al-sulh, che invece Shafi’i, insieme
ad altri giuristi, contemplano.39 In un tempo in cui le conquiste territoriali
realizzate sotto gli Omayyadi sono da circa un secolo parte integrante di quel
mondo che convenzionalmente i giuristi designano come dar al-islam, il
pensiero di Shafi‘i sembra manifestare una concezione identitaria più dina-
mica e forse anche più aggressiva.
Solo col tempo le due coppie di termini, dar al-islam e dar al-harb, si avvia-
no a diventare formule convenzionali fisse, lasciando dietro di sé una scia di
espressioni equivalenti, ma più fluide, in cui, come ancora in Shaybani, luo-
ghi e gente – dar e ahl – possono occupare l’uno il posto dell’altro, dove harb
può essere sostituito da shirk o kufr, e dove dar al-harb può essere anche più
semplicemente e concretamente, come nel Muwatta’ di Malik, ard al-‘aduww,
la “terra del nemico”.40
Scorrendo le pagine del capitolo dedicato alle siyar nel Mabsut di Sarakhsi,
in pieno v/xi secolo, si nota come dar al-islam e dar al-harb ricorrano con mar-
tellante frequenza: ogni specifica questione è considerata in relazione allo
svolgersi dei fatti in terra d’islam o nell’altra dar, in un instancabile dislocarsi
del punto di vista, fra interno e esterno, che ha il potere di capovolgere ogni
situazione, in un passaggio continuo di categoria che scatta non appena si var-
cano i confini dell’uno o dell’altro territorio. La posizione di un individuo, con
tutto quanto gli appartiene, e, nel caso di un individuo di genere femminile,
anche il feto che porta nel ventre, sono considerati in un’ottica differente, so-
no passibili di trattamenti differenti a seconda che si trovino da una parte o
dall’altra,41 anche nel caso si tratti di un musulmano o di una musulmana. La
dimensione temporale dell’accadimento – cioè la considerazione del quando
qualcosa è avvenuto – è incollata, ai fini della sua valutazione giuridica, allo
spazio in cui esso ha “avuto luogo”.
Ma è vero che già tre secoli prima, nel Kitab al-asl di Shaybani – che
raccoglie le opinioni di Abu ¢anifa trasmessegli da Abu Yusuf42 – massima
attenzione è dedicata alla complessa casistica relativa al passaggio di un
individuo da una dar all’altra: anche qui il prima e il dopo, sempre stretta-
mente correlati al luogo dell’azione, sono sottoposti, attraverso la finzione di
una serie di domande poste al giurista, a una disamina puntigliosa, certa-
mente legata a esperienze concrete, ma anche dettata da un gusto e da un’affi-
nata capacità di ipotizzare e dunque di immaginare. Soffermiamoci, esem-
Come già osservava Miquel,47 il termine hadd, confine (dalla radice h-d-d
che esprime l’idea di qualcosa di tagliente, affilato), non è usato dai geografi
arabi per designare la “frontiera” strictu sensu, ma un limite, nel senso più
generale del termine: il limite di un territorio più o meno vasto o il limite del
mondo dell’islam. Ma notiamo anche che quando è usato in quest’ultimo
senso, nell’opera di Ibn ¢awqal il termine hadd non si lega all’espressione dar
al-islam, e solo raramente a quelle usate generalmente in suo luogo, bilad
al-islam o balad al-islam, bensì si pone in stato costrutto semplicemente con il
termine islam, usato come equivalente sintetico di bilad al-islam.
Se dunque all’inizio dell’opera Ibn ¢awqal dichiara “wa-qad fassaltu bilad al-
islam iqliman iqliman” (“ho trattato i paesi dell’islam regione per regione”),48
e più avanti, riferendosi all’ingrandirsi dell’impero califfale – così come in va-
ri altri passi – usa l’espressione mamlakat al-islam,49 quando parla del bahr fa-
ris, che per Ibn ¢awqal è qui denominazione dell’Oceano Indiano, lo situa fi
hudud al-islam, “ai confini dell’islam”: “dopo aver superato l’Oman, uscendo
dai confini dell’islam” (fa-idha juzta ‘uman ila an takhruja ‘an hudud al-islam).50
È vero che all’inizio del capitolo sul bahr faris, individuando le coste del Sind
come il limite estremo dei territori dell’islam, usa l’espressione hadd balad al-
islam.51 Ma in modo prevalente il termine hadd si lega direttamente al termi-
ne islam: “Tale è questo mare, ai confini dei (paesi) dell’islam ( f i hudud al-
islam)”;52 e ancora: “Alla fine questo territorio prosegue e sorpassa i confini
dei paesi dell’islam (ila an tatajawaza hudud al-islam), giungendo a certe con-
trade dell’India”;53 “Di fronte a questa città (Assuan) si trova la moschea di
Rudayni … Sotto la moschea c’è una chiesa che appartiene ai Nubiani: que-
sto edificio segna il confine ultimo dei paesi dell’islam e il punto da cui ha ini-
zio il paese dei Nubiani (wa-tahta l-masjid bi‘a li-ahli l-nuba wa huwa akhir hadd
al-islam wa awwal hadd nuba).54 Passo interessante per la percezione della du-
plice natura del confine, visto qui da una parte e dall’altra: quello che è il “con-
fine ultimo”(akhir hadd) dell’islam è insieme il “confine primo” (awwal hadd)
del territorio dei Nuba. E, terminata la descrizione del Sind: “Ho raggiunto
il limite dei territori dell’islam dalla parte dell’oriente”: wa-qad intahaytu min
hadd al-mashriq ila akhir hudud al-islam.55
Ma quest’uso della parola islam nel senso di “paesi dell’islam” non neces-
sariamente è legato al termine hadd. Si veda, ad esempio, in un altro passo in
cui si parla delle terre abitate da tribù nubiane: “Il territorio tra la valle di Ba-
raka e la montagna di Malahib, ritornando verso i paesi dell’islam (raji‘an ila
‘l-islam) …”.56 Identica espressione è usata con riferimento a una zona del
Maghreb: “da Wulil a Sijilmasa, ritornando verso i paesi dell’islam (raji‘an ila
‘l-islam), ci vuole un po’ più di un mese”.57 E non mancano occorrenze
58 Ibid., p. 174. Frequenti le occorrenze dell’espressione fi l-islam in Muqaddasi, Kitab ahsan al-taqasim
fi ma’rifat al-aqalim, ed. de Goeje, Brill 1906: si veda ad es. p. 10, 24, 36, 37, 46, 170. “E dove mai si può tro-
vare (una città) simile a Damasco nel mondo dell’islam (fi’l-islam)?” domanda retoricamente Muqaddasi
a chi elogia la città di Tahart e sostiene che è superiore a Damasco (Description de l’Occident musulman,
texte arabe et traduction française par Ch. Pellat, Alger 1950, p. 23). E, nello stesso modo in cui Ibn ¢aw-
qal parla di hudud al-islam, Muqaddasi parla di aqasi l- islam (ibid., p. 54). Una variante dello stesso uso del
termine islam: “in cinque località (del mondo) dell’islam” fi khamsa mawadi‘ min al-islam (K. ahsan al-ta-
qasim, cit., p. 183). Sull’uso dell’espressione mamlakat al-islam nella letteratura geografica e specificamente
in Muqaddasi, si vedano le osservazioni di A. Miquel (“mamlaka”, E.I.2, vii, pp. 298-99).
59 Ibid., p. 109. 60 Ibid., p. 56.
61 Ibid., p. 135. 62 Ibid., p. 162.
[19] alla ricerca di dar al-islam 289
63 Nel resoconto di viaggio di Naser-e Khosrow (Safar-name) – scritto nella metà dell’xi secolo – in
un passo in cui l’autore vuole dare un quadro sintetico dei territori controllati dai califfi fatimidi, il
termine che sceglie è mosalmani: “Va miyan-e velayat-e Mesr va Andalus hazar farsang-ast va hamè mosalma-
ni-st” (Tra la provincia dell’Egitto e la Spagna ci sono mille parasanghe ed è tutto territorio dell’islam),
in cui il termine mosalmani, possibile corrispondente di islam, sta per bilad al-islam (In Dehkhoda, Lughat-
name, vol. 35, p. 429, è citato come riferimento, per questa accezione di mosalmani, il ¢udud al-‘alam)
64 Masalik, cit., p. 17.
65 Description de l’Occident musulman au 4e/10e siècle. Extrait du Kitab ahsan al-taqasim, texte arabe et
trad. franç. par C. Pellat, Alger 1950, p. 3.
290 giovanna calasso [20]
so che un’indagine più ad ampio raggio lo confermi – del vocabolario dei geo-
grafi musulmani del X secolo, che per descrivere gli spazi di quello che era sta-
to l’impero califfale unitario,66 e soprattutto per descriverne i confini, usano
in suo luogo la parola islam conferendole un significato spaziale.67 Mentre i
giuristi, almeno quelli hanafiti, da Shaybani a Sarakhsi (viii-xi secolo), non
sottintendono mai il luogo, e l’espressione fi’l-islam non fa parte, general-
mente, del loro vocabolario, che richiede, ogni volta, l’esplicitazione del
“dove”: dar. Per loro, si direbbe, la parola islam non può essere piegata a un
senso che non sia quello della shari‘a.
66 Sull’atteggiamento “nostalgico” dei geografi arabi del iv/x secolo che si ostinano a rappresenta-
re come un’unità i territori che erano stati dell’impero califfale, ma che ora costituiscono una realtà
politica del tutto frammentata, si veda A. Miquel, La géographie humaine du monde musulman jusqu’au xi e
siècle, vol. i, Paris-La Haye, 1967, p. 272.
67 W. Cantwell Smith, in un articolo in cui esaminava l’evolvere del significato del termine islam pres-
so gli autori musulmani, attraverso lo spoglio dei titoli delle opere scritte in arabo dalle origini al 1300
dell’Egira, osservava, a proposito del titolo di un libro di Ibn Taymiyya “al-hisba fi l-islam”: “this is the
first time, and apparently the only time until the present century, that the phrase fi l-islam is used.” E ag-
giungeva: “The use of f i makes quite clear that islam is an entity, something with parts, something that
things can be inside or outside of … This is the modern sense to a lot of people” (“The historical deve-
lopment in Islam of the concept of Islam as an historical development”, in: B. Lewis-P. Holt (eds.),
Historians of the Middle East, London 1962, p. 494). Lo spoglio dei Masalik di Ibn ¢awqal permette di ri-
portare indietro di tre secoli quanto afferma Cantwell Smith.
68 Su questo tema, qui trattato molto sinteticamente, rinvio ad alcuni miei precedenti lavori, in
particolare, “Esperienze e scritture di viaggio nell’islam medievale: il mondo degli altri e il mondo
dell’islam”, in Lo spazio letterario del medioevo. 3. Le culture circostanti, vol. ii, La cultura arabo-islamica, a
cura di B. Scarcia Amoretti, Roma, Salerno Editrice, 2003, pp. 379-408 e “Les multiples départs des
voyageurs musulmans du moyen âge et les contours mouvants du dar al-islam», in Tropes du voyage. i .
Départs, Actes du Colloque international qui s’est tenu à l’Università Ca’ Foscari de Venise (13-15
Décembre 2007), édités par A. Ghersetti, Annali di Ca’ Foscari, xlviii, 3, 2009, pp. 79-96.
[21] alla ricerca di dar al-islam 291
sarebbe interessante effettuare uno spoglio dei loro scritti in questo senso.
Nella seconda metà del x secolo, un geografo come Ibn ¢awqal, che come è
noto era un geografo viaggiatore, abbiamo visto come non ne faccia uso, e
preferisca piuttosto il termine “paesi” (bilad) dell’Islam, ma usi, significativa-
mente, il termine islam con una chiara connotazione spaziale, soprattutto lad-
dove si parla di confini. Come a dire che se la specifica locuzione dar al-islam
circola soprattutto nei testi giuridici, chi si è proposto, come i geografi
musulmani del x secolo, di descrivere proprio l’ambito territoriale a cui quel-
la locuzione si riferisce, al momento in cui deve disegnarne i confini e perfi-
no precisare le distanze che li separano in senso longitudinale, non trova pa-
rola migliore, a sintetizzare nel modo più conciso l’identità di quell’ambito
territoriale, della parola islam.
Il viaggiatore Ibn Fadlan, che nella prima metà dello stesso secolo in cui è
vissuto Ibn ¢awqal, ha compiuto un lungo viaggio che lo ha portato a inol-
trarsi al di là dei confini dell’impero califfale e dei territori controllati da si-
gnori a lui fedeli, gli emiri Samanidi, a percorrere vasti spazi abitati da po-
polazioni non musulmane, per poi ritrovarsi, a nord del Caspio, alla corte di
un principe musulmano locale, il “re” dei Bulghar, non sente il bisogno di no-
minare dar al-islam e dar al-harb. Ma ce ne parla in altro modo, misurando le
parasanghe percorse e le giornate di viaggio impiegate per arrivare al regno
di Bulghar soltanto a partire da una località situata a nord di Bukhara, Gur-
ganj, e tralasciando di contare tutto il tragitto precedente, da Baghdad a Gur-
ganj: con ciò dicendo la sua soggettiva percezione del confine fra il mondo a
cui sente di appartenere e il mondo degli altri.69 È la percezione che un uo-
mo di cultura medio-alta, che fa parte dell’entourage califfale di Baghdad, ha
di quello che, da tempo, i giuristi nei loro scritti hanno convenuto di deno-
minare dar al-islam, facendolo coincidere gli uni con l’ambito giurisdiziona-
le della legge islamica, gli altri con l’ambito territoriale sotto dominio politi-
co islamico, i cui confini possono però essere continuamente scavalcati da
una legge, quella dell’islam, che segue gli individui che li attraversano, con-
ferendo loro protezione, ma anche, in caso di reati commessi, rendendoli
perseguibili.70
¥abari, che muore appena un paio d’anni dopo che Ibn Fadlan ha intra-
preso il suo viaggio, ha sintetizzato queste posizioni antitetiche dei giuristi,
69 Cfr. G. Calasso, «Partire: l’incipit delle relazioni di viaggio di Ibu Fadlan, Naser-e Khosrow, Ibu
Jubayr, Ibn Battuta», in In memoria di Francesco Gabrieli, Suppl. n. 2 alla Rivista degli Studi Orientali, vol.
lxxi, Roma 1997, pp. 85-86.
70 Così, con riferimento al caso del convertito che continua a risiedere in dar al-harb (man aslama
wa-lam yuhajir), si è posto il problema di come debba essere trattato in caso di guerra, se i musulmani
invadono quel territorio: il suo essere musulmano conferisce protezione a lui e ai suoi beni, oppure,
poiché risiede in territorio nemico, deve essere trattato come tutti gli altri harbi? Per la maggioranza dei
malikiti, afferma M. Fierro, il suo statuto si definisce in funzione del territorio in cui risiede, dunque né
la sua persona, né la famiglia, né le sue proprietà sono inviolabili; secondo al-Shafi’i invece il fatto di es-
sere musulmano lo rende inviolabile (M. Fierro, “La emigracion en el Islam”, cit., p. 18-19).
292 giovanna calasso [22]
che pure condividono l’uso dell’espressione dar al-islam, nel Kitab ikhtilaf al-
fuqaha’. Uno studio analitico del suo Ta’rikh potrebbe dirci quanto e se lo sto-
rico si distanzi dal giurista, quanto e se i concetti elaborati dai giuristi circoli-
no, e in che modo, in mezzo all’enorme mole di notizie e di versioni dei fatti
raccolti da ¥abari per costruire la sua opera.
E un altro problema affiora distintamente, anche se mai esplicitamente
espresso, nel resoconto di viaggio di Ibn Fadlan: qual è lo “statuto” di quella
lontana regione del nord, quella dei Bulghar, circondata da terre abitate da
popolazioni infedeli, ma governata da un principe musulmano e in cui buona
parte dei sudditi sono musulmani, senza tuttavia che le norme islamiche vi
siano applicate, semplicemente perché non le si conoscono? Un secolo più
tardi il giurista hanafita al-Sarakhsi, esprimerà molto nettamente la sua
opinione su questo, ribattendo a coloro che sostengono che la conquista
trasforma un territorio in dar al-islam (li-anna bi’l-fath qad sarat tilka l-buq‘a dar
al-islam): “ma noi diciamo: un territorio non può diventare dar al-islam per via
della semplice conquista, prima che in esso siano vigenti le leggi dell’islam
(wa-lakinna naqulu … bi-mujarrad al-fath qabla ijra’ ahkam al-islam [tilka ‘l-buq‘a]
la tasiru dar al-islam).71
Risalendo più indietro nel tempo, alla metà del ix secolo, un testo come le
Notizie di Cina e d’India, semplici annotazioni di viaggio legate alla “pratica
della mercatura” nelle regioni dell’Oceano Indiano – là dove Ibn ¢awqal
situerà i confini del mondo dell’islam, hudud al-islam, – non lascia trasparire
ancora una chiara consapevolezza di questa appartenenza, se non quando
l’autore osserva che tra quelle genti non ha mai incontrato qualcuno che par-
lasse l’arabo e che praticasse l’islam, o nella sempre latente comparazione fra
i costumi degli altri e quelli dei musulmani. Ma dove si ponga veramente il
confine fra i due mondi, quello degli altri e quello dell’islam, non si lascia di-
stintamente percepire in queste note di viaggio nemmeno dal modo di guar-
dare i costumi degli altri, che, per quanto abnormi agli occhi di un musul-
mano, non suscitano scandalo, né stupore. Se è vero che, con le parole di
Norbert Elias, “non esiste un’identità-Io senza un’identità-Noi”,72 la modali-
tà impersonale – che caratterizza questo testo – di registrare notizie che pu-
re sono in gran parte il frutto dell’esperienza personale di colui che scrive, e
insieme l’assenza di giudizi sui costumi degli altri, potrebbero essere l’espres-
sione di un rapporto individuo-società contrassegnato dall’assenza di un pa-
rametro di riferimento normativo-identitario consolidato. Oltre che da porsi
in relazione all’ambiente e al tipo di cultura di colui che ha registrato per scrit-
to quelle notizie.73
Una celebre rihla scritta al tempo delle crociate, quella di Ibn Jubayr, ci
mostra invece, in un momento reputato di scontro frontale, il tardo xii seco-
lo, che un’altra coppia oppositiva, tutta interna, questa, al mondo dell’islam,
attira su di sé l’attenzione del viaggiatore ancor più di quella di dar al-islam/
dar al-harb: quella di oriente e occidente, mashriq e maghrib. Naturalmente nel
diario di Ibn Jubayr, che nell’ultima parte del suo viaggio si trova ad attraver-
sare, in Siria, i territori musulmani che da quasi un secolo sono caduti sotto il
controllo dei Franchi, il tema dei confini fra dar al-islam e dar al-harb non man-
ca. Eppure anche lui, al momento in cui si sta allontanando da Damasco per
recarsi ad Acri – città ora in mano ai Franchi, da cui si imbarcherà per il viag-
gio di ritorno – definisce la ex-capitale califfale khatimat bilad al-islam, così co-
me definisce il monte Libano, che segna il confine tra i territori musulmani e
quelli dei Franchi, hadd bayna bilad al-muslimin wa ‘l-ifranj, conformandosi al
linguaggio dei geografi.
Mentre nella metà del ’300 – viii secolo dell’Egira – le esperienze di un viag-
giatore come Ibn Battuta, che nel corso dei suoi innumerevoli viaggi più e più
volte entrerà in contatto con mondi islamizzati ma periferici, luoghi per ec-
cellenza in cui l’islam convive con costumi locali, verranno indirettamente a
riproporre domande analoghe a quelle, inespresse ma piene di intensità, che
si percepiscono fra le righe del racconto di Ibn Fadlan a proposito del paese
di Bulghar: un regno come quello del Mali, governato da un sovrano musul-
mano, i cui sudditi musulmani pregano, imparano il Corano a memoria e
vanno assiduamente in moschea, ma in cui le donne vanno a seno nudo o an-
che completamente nude, i sudditi si prosternano davanti al sovrano “nella
postura dell’uomo in preghiera”, gettandosi polvere sul capo, e in cui circo-
lano racconti di visite di antropofagi a corte, può definirsi dar al-islam?
della gente al suo interno). O ancora: Wa kullu mawdi‘ halla bihi qawm fa-hu-
wa daruhum (ogni luogo in cui si è stabilito un gruppo di persone è la loro dar).
Vengono quindi segnalate alcune locuzioni composte: fa ‘l-janna tusamma dar
al-salam wa ‘llahu ‘azza wa jalla huwa ‘l-salam: il paradiso si chiama la dimora
della pace, e Dio è la pace. Wa ‘l dunya daru’l fana’ wa’l akhira dar al-qarar wa
dar al-salam (questo mondo è la dimora della caducità, mentre l’aldilà è la di-
mora dell’eternità e della pace).
Di dar al-islam nessuna traccia, qui, e nemmeno sotto il lemma islam. Ana-
loga assenza nel Taj al-‘arus.
Nel Lisan al-‘arab incontriamo invece l’espressione dar al-harb sotto s. v.
harb: “wa dar al-harb bilad al-mushrikin alladhina la sulh baynahum wa bayna ‘l
muslimin” (dar al-harb: il paese dei politeisti che non hanno un accordo con i
musulmani). Ripreso con una lieve variante nel Taj: «bilad al-mushrikin alla-
dhina la sulh baynana ma‘shar al-muslimin wa baynahum». A cui è aggiunta la
postilla: wa huwa tafsir islami, che potrebbe stare ad indicare che si tratta di
un’accezione specificamente islamica, non documentata all’epoca della jahi-
liyya o di una locuzione entrata comunque in uso in epoca islamica
Nel Lisan al-‘arab sono tuttavia presenti due occorrenze di dar al-islam – se-
gnalate nella banca dati al-waraq (www.al-waraq.net) – rispettivamente sotto i
lemmi al-‘ahd e al-‘uqr, ripreso quest’ultimo alla lettera dal Taj. Dunque, la lo-
cuzione dar al-islam non è registrata né spiegata in relazione al termine dar o
al termine islam,74 ma compare, incidentalmente, nelle spiegazioni fornite ri-
guardo ad altri due lemmi, all’interno di citazioni, una delle quali dalla Niha-
ya fi gharib al-hadith di Ibn al-Athir. Difficile trarre delle conclusioni da questi
soli dati. L’irregolarità della registrazione delle locuzioni nei lessici arabi me-
dievali non consente, in mancanza di una ricerca più approfondita, di formu-
lare altro che delle domande. La locuzione dar al-islam non è registrata sem-
plicemente perché la combinazione dei termini dar e islam non richiede
particolari spiegazioni, mentre la combinazione dar al-harb le richiede perché
di significato meno trasparente? Se invece la locuzione dar al-islam non fosse
registrata perché considerata “termine tecnico” giuridico, lo stesso dovrebbe
valere per la locuzione dar al-harb. Ma si tratta effettivamente di locuzioni cor-
rispondenti a categorie giuridiche “canoniche”, o si tratta di una canonizza-
zione dovuta soprattutto agli studi occidentali?.
Una nozione apparentemente intuitiva, dunque, quella di dar al-islam, con-
cetto in cui si coniugano una dimensione politico-territoriale e una dimen-
sione giuridico-religiosa, ma a cui è affidata, forse prima di ogni altra cosa,
74 In conformità con i lessici arabi, medievali e non, il Dictionnaire arabe-français di Kazimirsky non
cita, sotto il lemma “dar”, l’espressione dar al-islam. Registra invece dar al-salam, di cui indica come si-
gnificato “demeure de la sécurité; paradis; épithète de Bagdad”; ma anche “pays musulmans” (in quan-
to paesi “sicuri”, in opposizione a dar al-harb). Anche il Lane, che si basa largamente sul Taj al-‘arus, non
registra dar al-islam mentre indica: dar al-darb, dar al-fana’, dar al-salam (the abode of peace, or of free-
dom from evil).
[25] alla ricerca di dar al-islam 295
75 Si veda in proposito M. K. Masud, “The obligation to migrate”, in: Eickelman-Piscatori (eds.), Mu-
slim travellers, London 1990, pp. 29-49.