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Letteratura Italiana Contemporanea 04/05/2023

fine documentario su Prisco

Questa seconda parte riguardava una sorta di svolta nella narrativa di Prisco. A partire da “Una
spirale di nebbia” ha una piega volta all'indagine dell'interiorità; si relaziona in maniera evidente
con un contesto che cambia (gli anni Sessanta che poi vanno a cambiare anche il profilo della città).
Io ho notato tre cose in questa parte del documentario sulle quali vale la pena riflettere:
innanzitutto la provincia, perché abbiamo detto che Prisco è uno scrittore che racconta la
provincia, la rappresenta, sia paesaggisticamente sia per quanto riguarda l'humus umano, cioè la
borghesia provinciale.
Nel corso del tempo, quindi dalla fine degli anni Quaranta fino agli anni 2000, c'è questo discrimine
netto, che si intravede analizzando tutta la sua produzione tra “La provincia addormentata” e
“Pellicano di pietra”. “Provincia addormentata” è ’49 e “Pellicano di pietra” è del 1996.
Lui stesso dice una cosa importante riguardo la provincia. Ricordate, la volta scorsa parlavamo di
quanto è importante il paesaggio in Prisco, cioè lui dice: “Io sono uno scrittore di paesaggio, nel
senso che per me il paesaggio importante perché non è uno sfondo, ma è un complemento del
personaggio”.
Il paesaggio, il paese, anticipa gli umori e i sentimenti, tutto quello che è il mondo del personaggio,
o addirittura lo amplifica. Quindi c'è una relazione molto forte.
Ora, scegliere la provincia è importante perché lui dice: “Io, rispetto alla città, nella provincia leggo
la possibilità di recuperare l'identità del personaggio uomo”. È il personaggio tipico che è un po’
personaggio proverbiale; un personaggio che ha una sua interiorità conflittuale non definita. Tipico
nel senso che ha un'identità molto forte: non solo perché ha dentro di sé i valori di una
determinata classe borghese, ma anche perché è un personaggio che riesce nella sua complessità a
uscir fuori dalla storia e a reggere nel tempo
Lui dice: “Per questo tipo di personaggio che io creo traggo ispirazione dalla realtà e traggo
ispirazione dalla realtà della provincia. Nella città dove tutto è diventato più nevrotico, più
frenetico, io non riesco a ritrovare questo; ritrovo piuttosto atmosfere kafkiane, quindi se io dovessi
rappresentare la città contemporanea non potrei puntare sul valore del personaggio”.
Sostiene e porta avanti la battaglia del personaggio; un romanzo che indaghi le dinamiche familiari,
e quindi in questo senso ci sono pochi personaggi, ma sono importanti e plurisfaccettati. Poi ci dice
un'altra cosa riguardo la città: fa un'osservazione riguardo le quattro giornate di Napoli. Avete visto
questo film di Nanni Loy? È un film molto importante perché racconta l'esperienza storica delle
quattro giornate di Napoli. Siamo nel Sessanta, quindi è un film storico, come lo è la “Dama di
piazza” del ’61, infatti nel documentario sono associati. A questo film importantissimo partecipò
come sceneggiatore anche un giovane Enzo striano. Qual è la cosa che ci interessa? È questa
osservazione che lui dice in questo momento: “Questo tipo di film è importante perché Napoli sta
cambiando”. Siamo nel Sessanta, quindi siamo in piena modernizzazione, in piena
industrializzazione. Sono state fondate varie fabbriche per via del piano di industrializzazione
nazionale che ha favorito le industrie del Nord per creare nuovi stabilimenti al Sud. Quindi, anche
in Campania e a Napoli c'è l’Italsider che riprende un ciclo produttivo molto forte, una questione
molto importante.
Gli intellettuali sono impegnati anche nella promozione della nuova immagine industriale moderna
della città, tant’è che fanno le visite di fabbrica, le scrivono sui giornali; pensate che lo stesso Prisco
è autore di un libretto sull’Italsider. È un libro fotografico: racconta dell’Italsider di Bagnoli dal 1911
al 1961, ovviamente con un approccio molto incoraggiante, perché la realtà industriale viene vista
in quegli anni come un'occasione di sviluppo, di progresso per la città, e quindi c’è questo
entusiasmo anche rispetto a un mondo di macchine. Conoscendo il destino dell’Italsider di Bagnoli,
conoscendo la realtà sociale, l’inquinamento, la bonifica ancora lì sotto gli occhi di tutti, facciamo
un po’ fatica a immaginare questo tipo di entusiasmo e slancio che caratterizzava invece gli anni
Sessanta. Questo per ritornare alle nostre Quattro Giornate, che è un testo importante secondo
Prisco, perché racconta qualcosa: una Napoli diversa in un momento in cui Napoli sta cambiando e
si sta affermando come realtà industriale e moderna. Quindi c’è la modernità associata
all'industrializzazione, con la presenza delle fabbriche in città, mentre invece fino ad allora, dice
Prisco, l'immagine della città era legata a mandolino, spaghetti, tarantelle, canzonette, sole e mare
in un'immagine stereotipica. E quindi anche in Prisco troviamo, come tutti gli autori che abbiamo
esaminato, questa volontà di staccarsi dallo stereotipo di una certa Napoli, una certa
rappresentazione della città. Per lui la chiave, la possibilità di staccarsi da questa immagine, sta
proprio in questi anni Sessanta attraverso questo momento industriale, e lo testimonia pure
questo libretto che vi ho fatto vedere che è di quegli anni là. È importante perché poi rivedrete una
Bagnoli un po’ ridiscussa in Ermanno Rea, dove lì invece c'è il processo della dismissione. Siamo
negli anni ’90, quindi c’è un ragionamento che prosegue, e c’è anche un’azione di Napoli meno
entusiasta, perché, per esempio, per Ermanno Rea, questa modernità napoletana, questo nuovo
volto di Napoli, questo progresso, è un mito che non viene mai raggiunto già a partire
dall'immediato dopoguerra con le dinamiche della guerra fredda e del blocco. Però la posizione di
Ermanno Rea è proprio antitetica rispetto per esempio a quella di Prisco, che invece negli anni
Sessanta intravede questa possibilità di progresso. Ermanno Rea semplificando dirà: “Il progresso a
Napoli è stato bloccato dall'atlantismo, dalla guerra fredda e da una situazione molto precisa
economica e politica”.

Un’altra cosa interessante è il richiamo ai romanzi negli anni 90, quindi “Il pellicano di pietra”, “Gli
altri”, “Le raccolte dei racconti”... perché comunque testimoniano la presenza di questa
generazione: già è un’altra fase della storia letteraria in cui si affacciano in quegli anni nuove
generazioni di scrittori più giovani, e quindi il panorama degli anni Novanta è altrettanto stimolante
ed eccentrico come quello degli anni 50 e 60 che stiamo vedendo, perché negli anni 90 noi
abbiamo i romanzi di Prisco, abbiamo il romanzo “Ninfa plebea” di Domenico Rea. Ermanno Rea fa
il suo esordio con questi romanzi, ma appartiene più o meno alla stessa generazione di questi
scrittori; arriva tardi, ma è del ’27. Scrive “Mistero napoletano” nel ’94, “La dismissione” ecc... tutti
questi romanzi sono legati a un certo tipo di contesto. Però sono anche gli anni in cui, per esempio,
hanno esordito un giovane Peppe Lanzetta, la Ferrante, Starnone... tutta una nuova generazione di
scrittori che guarda alla città in un modo nuovo. Quindi la coda degli anni Ottanta e tutti gli anni
Novanta sono un periodo in cui si accavallano queste due generazioni e anche due modi di
relazionarsi alla città.

Un’altra cosa molto bella del documentario è che quello che vedete, quello che viene
rappresentato, è la casa dello scrittore, dove tutto è rimasto uguale. La bravura delle figlie è stata
quella di aver, fin dalla morte del padre, deciso di conservare tutto quello che è lo studio e la
biblioteca del padre, come lui l’aveva lasciato. Questa casa è abbastanza grande: c’è una prima
parte all’ingresso in cui c’è lo studio di Michele Prisco, e poi nel resto della casa vive la figlia, che ha
sacrificato parte di questa abitazione per lasciare tutto quello che era l’allestimento del papà, il
mobilio e le vecchie librerie. Questa è una testimonianza preziosissima; intanto perché la
biblioteca, che è ricchissima, è ordinata secondo il modello di Michele Prisco, quindi ha un ordine
preciso che corrisponde a una sua idea critica di letteratura, non è semplicemente una
collocazione per area geografica, ma c’è un ordine. Poi quei libroni che avete visto sono stati
redatti proprio da Prisco, che è uno di quei pochissimi autori ad essere archivista di se stesso in
vita. Man mano che pubblicava era lui stesso a sistemare i manoscritti, e quindi conserva tutte le
bozze, le scritture, gli appunti, i quadernetti, le agende. Inoltre, era lui stesso autore della rassegna
stampa, per cui, per ogni opera, è possibile ricostruire tutto quello che è stato scritto dagli altri
autori, dai giornalisti, dai critici letterari perché Prisco stesso lo sistemava. Per esempio, per “Una
spirale di nebbia” ci sono due interi faldoni che lui, tra l’altro, faceva allestire dai tipografi. È un
lavoro prezioso perché sono rarissimi i casi in cui, oggi, gli scrittori scrivono a mano e quindi
abbiamo delle prove. Per quanto riguarda la rassegna stampa è rarissimo anche che uno scrittore
conservi tutto quello che è uscito in Italia o all’estero. Invece Prisco si faceva inviare anche le
recensioni estere attraverso le case editrici o i critici letterari.
Con lui abbiamo veramente la possibilità di trovare, in questo archivio-casa-museo, tutto quello
che lui ha scritto.
Vi volevo sottolineare questo come fatto eccezionale che non riguarda gli altri scrittori.

Tornando a “Una spirale di nebbia”, ci eravamo lasciati sulle chiavi di lettura. Abbiamo anche
scoperto che è l’unico romanzo di Michele Prisco ispirato a un fatto realmente accaduto, un fatto di
cronaca. Abbiamo una trama imperniata intorno alla morte di Valeria Sangermano.
Abbiamo tre chiavi di lettura che ci aiutano a entrare meglio nel romanzo:

- La prima è la chiave etica che riguarda il rapporto coniugale. Tutta la critica, ma lo stesso
Prisco, non nega che il fulcro di questo romanzo, al di là del giallo, della suspense, della
ricerca della verità, è la crisi coniugale che c’è tra Valeria e Patrizio Sangermano. Quindi c’è
questa dimensione psicologica di questi rapporti conflittuali tra i due che emergono; un
rapporto molto usurato.

- Dall'altro lato c'è l'aspetto psicoanalitico: in Prisco c'è spesso questo aspetto morboso,
legato anche, ad esempio, a delle dimensioni incestuose, freudiane. Vi ricordavo l'altra
volta che ne “Gli Ermellini Neri” c'è questo incesto tra figlio, madre, reti omosessuali
complesse ecc... Tant'è che una volta un intervistatore gli disse: “Prisco tu hai una vita così
serena, una famiglia così precisa, però questi romanzi che scrivi sono il turbamento totale”
e lui rispose: “Evidentemente ho questo tratto morboso che trasferisco nel romanzo.”
Quindi, volendo leggere in chiave psicoanalitica questo rapporto di coppia, sicuramente c'è
questa ambivalenza tra amore materno e amore coniugale. Un rapporto di sostituzione tra
la moglie e la madre che poi genera più conflitti, perché ovviamente sono due donne
diverse e chiaramente questa lettura psicoanalitica riguarda Patrizio Sangermano.

- C’è un’altra dinamica che si associa al rapporto di coppia, cioè il Nord-Sud, perché Valeria
Sangermano è una donna del Nord che poi arriva al Sud e vive al Sud perché sposa Fabrizio
Sangermano. Quindi probabilmente qualcuno ha letto questo scontro tra il Nord e il Sud
all'interno della coppia; è quasi una vittoria del Sud sul Nord nel momento in cui Valeria
viene uccisa, o muore, questo non si sa. Questa è forse una lettura psicoanalitica
forzatissima, però queste sono un po’ le chiavi di lettura che emergevano in quel momento,
in quei periodi.

Il Premio Strega del 1966 si lega ovviamente ai temi del romanzo. Il Premio Strega è forse il più
famoso d'Italia del tempo; anche di recente, anche se tante dinamiche sono cambiate, quello che
ha resistito tra i vari premi letterari assegnati è stato proprio il Premio Strega, che è importante
non tanto per il valore economico del premio, cioè l'assegno che il vincitore riceve alla fine, ma
proprio perché assicura un numero di vendite importante. infatti “Una spirale di nebbia” è forse il
libro più conosciuto di Michele Prisco. Lo stesso Premio Strega assicura anche una circolazione
all'estero, e ciò accade anche per questo romanzo. Ovviamente questo ci porta ad interrogarci
anche sulle ragioni per le quali un romanzo che oggi nessuno legge più (pochissimi leggono Prisco)
riesca a vincere. Perché, come accade spesso nei libri che vincono lo Strega, che vincono dei premi
letterari al di là delle manipolazioni, dei salotti, delle case editrici... c'è la capacità di intercettare un
certo gusto, alcune mode o alcuni interessi che dominano il dibattito culturale, non letterario, di un
determinato momento.
Quando si presenta “Una spirale di nebbia” allo Strega, a concorrere con Prisco c’è Calvino con “Le
Cosmicomiche”, Bonsanti e anche altri autori importanti, come la Cialente. Alla prima tornata di
votazioni, perché lo Strega ha vari momenti in cui man mano questi libri che vengono suggeriti
dagli amici della domenica (cioè i giurati: letterati, giornalisti e scrittori che propongono dei libri; ce
ne sono un quantitativo piuttosto numeroso) vengono scremati, finché arrivano i cinque finalisti e
tra questi cinque si arriva poi, d'estate, alla proclamazione del vincitore. Durante questa
scrematura il personaggio più forte di quello Strega del ‘66 è chiaramente Calvino, che nelle
votazioni è sempre in testa rispetto a Prisco. Quindi, quello che emerge è che ci sono dei margini,
dei voti irrisori tra i vari scrittori. Viene scritto che contro Calvino non ci sia nulla da fare: è una
personalità già affermata, è l’Einaudi fatta persona, per cui viene definito addirittura “una nuvola
gonfia e minacciosa sospesa all'orizzonte”,
perché in qualche modo andrà a coprire le
meravigliose opere che sono in circolazione.
Quindi, la prima votazione, come si evince da questo testo di “Paese Sera”, vede in testa Calvino
con 70 voti voti e Prisco con 65.

Tutto questo l’ho recuperato da quei faldoni che vi dicevo.


Intanto, quando viene estratta la cinquina, molto è il dibattito giornalistico, e quindi si comincia a
discutere sulle pagine letterarie dei quotidiani e delle riviste di questi romanzi: emerge che Prisco
era stato una sorta di furbacchione, perché aveva intercettato un argomento molto interessante
che è quello della crisi matrimoniale, o meglio il matrimonio in crisi. Matrimonio che a livello
culturale, sociale e politico in quel momento aveva un'attenzione particolare, perché era stato
portato avanti il progetto di legge Fortuna sul divorzio, che consentiva una separazione legale,
quindi privilegiando anche la prospettiva femminile, ed equiparando i due coniugi. Potete
immaginare nell’Italia degli anni Sessanta, che non era affatto progressista sotto il profilo culturale,
come questo avesse creato un dibattito incredibile anche dalla parte delle sinistre, perché
comunque nella sinistra italiana perdurava lo stesso moralismo e la stessa paura di matrice
cattolica che ritroviamo tranquillamente in tutta l’ala centrodestra, soltanto che, ovviamente,
nell'ambito della sinistra spiazza di più perché c'era la cultura del progresso che avrebbe spinto ad
osare.
E invece è un’Italia che è ancora molto bigotta, in cui il peso culturale della Chiesa è fortissimo, per
cui l'idea del divorzio è quanto di peggio si possa immaginare in quegli anni. E quindi nel momento
in cui Prisco analizza una storia in cui c'è una crisi coniugale tra i due che finisce con un omicidio, e
c’è questa storia in cui emergono prospettive diverse dall’una e dall’altra parte, tutte più o meno
legittime ed attaccabili, è chiaro che monta il dibattito. Tra l’altro, nelle interviste che vengono fatte
agli scrittori e a Prisco in particolare, si chiede proprio la posizione dello scrittore rispetto al
divorzio. Quindi, il piano extra letterario va ad invadere il giudizio sul romanzo stesso. Il piano
artistico, stilistico, è quasi secondario rispetto all'aspetto culturale; come se questa storia dovesse
far riflettere sulla legittimità o meno del divorzio in Italia.
Tra l’altro, questa indagine sul matrimonio si va a legare anche a una serie di romanzi che escono in
quello stesso periodo: tutti che mirano ad analizzare il rapporto matrimoniale in crisi. C’è un libro
di Bevilacqua, Dusi, Grieco... e quindi i critici un po’ più provocatori cercano di minare l'importanza
e il valore di questo romanzo, dicendo che Prisco aveva seguito la moda del tempo, cioè aveva
fatto un'operazione furbetta parlando di crisi matrimoniale, perché era un argomento alla moda.
Questo ovviamente non giova tanto a Prisco, perché dire a
uno scrittore che concorre a un premio letterario importante
che in realtà il suo è un romanzo che cavalca una moda
letteraria, è certo che non ne accresce il prestigio. Ma come
vedete Prisco vince. Alla fine succede che, nonostante i
pronostici dessero come vincitore Calvino, Prisco vince il
Premio Strega e succede un patatrac perché: Calvino è stato
silurato; vince uno scrittore Rizzoli, che è una casa editrice di
largo consumo; vince uno scrittore non impegnato
politicamente. Si comincia a fare una critica su un Prisco di
destra, che poi in realtà era stato portato da Primo Levi, perché vi ho detto che la giuria era
composta da scrittori intellettuali (per esempio Cerami aveva portato “Le cosmicomiche”)
Poi vince uno scrittore napoletano, uno scrittore marginale che non si era potuto sporcare con una
certa industria culturale; era lo scrittore delle ragioni narrative che aveva chiuso perché non aveva
avuto il finanziamento e voleva restare a Napoli, voleva essere indipendente.
Il precedente Premio Strega napoletano era stato La Capria, con “Ferito a morte” nel ’61.
E quindi, davanti a questa indignazione della cultura di sinistra per la vittoria di “Una spirale di
nebbia” si crea il fortino degli amici, per cui, una delle lettere più belle che arrivano allo scrittore è
proprio quella di La Capria, che scrive: “Caro Michele, grazie del biglietto, sono lieto della tua
vittoria, lo puoi ben immaginare. E che te ne importa della malignità (inevitabile) di qualche
giornale? Ricordi come si scatenarono Vigorelli and Company subito dopo la mia vittoria? Perciò,
consolati, e non guastare con queste inezie la tua gioia” . Vigorelli era un critico che si era scagliato
contro La Capria, e anche contro Prisco; era uno di quelli che diceva che Prisco aveva cavalcato la
moda della crisi coniugale. La Capria gli dice di non lasciarsi influenzare da quelle malignità, quindi
Prisco un po’ se l’era presa. “Voglio ripeterti, proprio ora, che non dimenticherò mail il tuo
generoso entusiasmo per il mio libro, le lettere di Pomilio, di Compagnone, di Rea. Io sono per
natura discreto nel manifestare entusiasmi, ma ho buona memoria, e perciò la sera dello Strega ho
tifato per te, col cuore. Tuo Duddù”

Chi parlerà bene di Prisco? Tantissimi, più o meno in egual misura di chi ne parla male. Però ci sono
due giudizi importanti che dovete ricordare: quello di Carlo Bo e quello di Giacinto Spagnoletti.
Carlo Bo è quello che aveva chiamato Prisco “il signore del romanzo”, e quindi farà una bellissima
recensione a “Una spirale di nebbia”, intitolata La spirale del romanzo, in cui mette in luce tutta
una serie di aspetti del romanzo, tra i quali anche il fatto di utilizzare uno sperimentalismo
espressivo che si rifà alle tecniche narrative primonovecentesche, quindi dando valore allo stile di
Prisco, capace di fare un romanzo ben costruito, ma anche sperimentale; non un romanzetto sulla
crisi coniugale. Quindi, accentua molto questo aspetto e anche la carriera di Prisco; il fatto che,
come Calvino, fosse un narratore di lungo corso, anche se con realtà editoriali diversi.
Quello di Spagnoletti è ancora più interessante, perché lui dice: “Prisco, nonostante sia un
narratore di una certa realtà meridionale, è un narratore che si stacca da qualsiasi ipoteca
neorealista.”
Quindi, sì, è un racconto del Sud, ma non è il racconto della questione meridionale, della realtà
subalterna degli operai; è un’indagine più ampia, assoluta, che riguarda appunto l’interiorità.
Prisco, nella sua struttura di intellettuale, non è uno scrittore che si incasella nel neorealismo degli
anni Sessanta, ma è un narratore eccezionale. Questa eccezionalità è un valore per Spagnoletti; è
l’aspetto che rende Prisco originale, un autore che non seguendo le mode riesce a dire il proprio
punto di vista soggettivo sulla realtà. Questo è un altro giudizio molto importante, che tira fuori
Prisco dalla schiera dei napoletani: non è il classico scrittore napoletano. Dice Spagnoletti: “Lui non
racconta la Napoli come siamo abituati a vederla.”
A parte che non racconta Napoli, ma neanche la provincia corrisponde a uno stereotipo;
evidentemente è una questione intimista.
Quindi, il fatto che Prisco sia fuori da un certo tipo di mode, da un certo tipo di tendenze, secondo
Spagnoletti, è l’aspetto principale per raccontare il suo tipo di scrittura.
Sono quello di Bo e quello di Spagnoletti i giudizi più coerenti e più giusti per storicizzare la figura
di Prisco.

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