Sei sulla pagina 1di 16

es

tr a
tto
SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ

SCIENZE DELL’ANTICHITÀ
25 – 2019

Fascicolo 3

EDIZIONI QUASAR
es
tr a
tto
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELL’ANTICHITÀ

Direttore
Giorgio Piras

Comitato di Direzione
Anna Maria Belardinelli, Savino di Lernia, Marco Galli, Giuseppe Lentini, Laura Maria
Michetti, Giorgio Piras, Marco Ramazzotti, Francesca Romana Stasolla, Alessandra Ten,
Pietro Vannicelli

Comitato scientifico
Graeme Barker (Cambridge), Martin Bentz (Bonn), Corinne Bonnet (Toulouse), Alain
Bresson (Chicago), M. Luisa Catoni (Lucca), Alessandro Garcea (Paris-Sorbonne),
Andrea Giardina (Pisa), Michael Heinzelmann (Köln), Mario Liverani (Roma), Paolo
Matthiae (Roma), Athanasios Rizakis (Atene), Avinoam Shalem (Columbia University),
Tesse Stek (Leiden), Guido Vannini (Firenze)

Redazione
Laura Maria Michetti
con la collaborazione di Alessandro Conti

SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA


es
tr a
tto
SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA
14-15 MARZO 2019

OPUS IMPERFECTUM
Monumenti e testi incompiuti del mondo greco e romano

a cura di Massimiliano Papini

Comitato scientifico
Andrea Cucchiarelli, Elena Ghisellini, Giuseppe Lentini,
Massimiliano Papini, Giorgio Piras
es
tr a
tto
INDICE

M. Papini, L’incompiuto nel mondo antico tra archeologia e letteratura: un’introduzione . . . IX


M. Papini, Non lavorato, non rifinito, non scanalato, non levigato: edifici incompiuti del
mondo greco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
G. Marginesu, Il compiuto e l’incompiuto nelle iscrizioni edilizie greche d’età classica:
questioni di metodo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
M. Grawehr, Opere incompiute e decorazioni lisce nell’architettura tolemaica . . . . . . . . . . . . 27
S. Borghini – A. D’Alessio, Il “non-finito” nell’architettura antica: la forma del cantiere
che trasmuta in estetica?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
Y.A. Marano, Imperfectum adhuc: edifici incompiuti e attività edilizia in Asia minore tra
Traiano e i Severi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
M. Milella, Il non-finito nella decorazione architettonica romana a Roma . . . . . . . . . . . . . . . 69
D. Esposito, Esempi di “non-finito” nella decorazione parietale delle città vesuviane . . . . . . 85
A. Anguissola, L’immagine della completezza nella scultura greca e romana: due note al
gruppo di Ermes e Dioniso da Olimpia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101
E. Ghisellini, Il non-finito nella scultura ellenistica tra motivazioni tecniche ed esiti
formali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117
M. Cadario, Osservazioni sul “non-finito” e/o “non-visibile” nell’arredo scultoreo nel
mondo romano. L’influenza di collocazione e tipologia sulla prassi degli scultori . . . . . . . . . . 131
C. Mascolo, Non “guardarsi in faccia”: volti “non finiti” sui sarcofagi di età imperiale . . . . . 149
L. Faedo, L’incompiuto, l’incompleto e i liniamenta reliqua: sguardi sull’arte antica tra XV
e XVIII secolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165
F. Camia, Incompiuto, imperfetto e provvisorio nell’epigrafia greca: considerazioni sulla
realizzazione delle iscrizioni nel mondo greco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179
S. Orlandi, Perficere, consummare, ampliare… diversi aspetti del non-finito nell’epigrafia
latina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191
L. Del Corso, Libri incompiuti e testi senza confini: contraddizioni e paradossi della pro-
duzione testuale antica alla luce delle testimonianze papiracee . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 203
G. Lentini, Appunti per una storia dell’“imperfezione” di Omero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217
L. Sbardella, Non finito o non finibile? Riflessioni sul concetto dell’“opera letteraria” e dei
suoi confini nella cultura greca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 227
es
tr a
VIII Sc. Ant.

tto
L. Lulli, L’immagine del non-finito: riflessioni sull’incompiutezza da Platone al trattato
Sul sublime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 237
G. Agosti, Non-finito o estetica dell’incompiuto? Casi dalla letteratura greca della tarda
antichità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249
A. Cucchiarelli, Monumenti più forti del fuoco. Incompiuto, immortalità e potere nella
poesia augustea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261
F. Ursini, Il “finale” dei Fasti: un caso di semantizzazione dell’incompiuto. . . . . . . . . . . . . . . 277
A. Barchiesi, Testo e frammento nell’Achilleide di Stazio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 287
es
tr a
tto
GIUSEPPE LENTINI

APPUNTI PER UNA STORIA DELL’“IMPERFEZIONE” DI OMERO

Le riflessioni contenute nell’opera di Plinio il Vecchio sull’ “incompiuto” costituiscono un


ottimo punto di partenza per indagare i caratteri di questa nozione nell’antichità, come ha ben
mostrato nel suo recente lavoro M. Papini1. Qui attiro unicamente l’attenzione sul fatto, di per
sé non sorprendente, che per Plinio (o per le sue fonti: non è importante per noi qui soffermarci
sull’origine delle sue affermazioni) l’opera d’arte incompiuta poneva non tanto un problema sto-
rico-biografico, quanto, soprattutto, un problema estetico. Plinio lo dimostra adottando tanto il
punto di vista dell’autore, quanto quello del fruitore dell’opera d’arte. La riflessione più articolata
a riguardo si trova nel passo in cui Plinio (Nat. 35. 40. 145) cita alcuni dipinti incompiuti (l’Iris di
Aristide, i Tindaridi di Nicomaco, la Medea di Timomaco, la Venere di Apelle) che pure risultano
essere più ammirati delle opere finite. Infatti, spiega Plinio, “in esse … si possono osservare le linee
del progetto della parte mancante, e cogliere quindi il pensiero stesso dell’artista, e il rimpianto
della mano dell’artista venuta a mancare in piena attività, seduce ed alimenta l’ammirazione del
pubblico”: l’incompiuto è qui percepito come potenzialità non realizzata e al tempo stesso un se-
gno della morte dell’artista, tale da generarne il rimpianto. Riflessioni di questo tipo da parte dello
spettatore influiscono sulla ricezione estetica dell’opera stessa: Plinio intuisce che nell’ammirazio-
ne dell’incompiuto agisce una forma di idealizzazione2. La messa a nudo del processo di creazione,
dell’opera d’arte nel suo farsi, acquisisce di per sé una valenza estetica.
La prospettiva dalla parte dell’autore appare invece in primo piano nell’epistola dedicatoria
della Naturalis historia. Qui infatti Plinio, allo scopo di difendere il suo lavoro da potenziali de-
trattori, caratterizza la sua opera enciclopedica come qualcosa di espandibile e di provvisorio, e nel
far ciò si equipara agli artisti del passato, i quali avevano l’abitudine di adottare il tempo imper-
fetto nella firma apposta alle proprie opere (Apelles faciebat aut Polyclitus): questo accorgimento,
fa intendere Plinio, faceva apparire il lavoro come un perenne work in progress, e forniva inoltre
all’artista la possibilità “di tornare indietro e quasi di farsi perdonare (regressus ad veniam), cor-
reggendo le imperfezioni dell’opera, purché non ne fosse impedito dalla morte” (26). Tralasciando
osservazioni su altri aspetti interessanti, qui mi limito a evidenziare come nel passo pliniano il
pretesto dell’incompiutezza materiale (un aspetto puramente storico-biografico) serva in realtà a
mascherare un’incompiutezza estetica (le imperfezioni estetiche delle opere per i quali gli artisti
potevano essere criticati).
È notevole che dopo essersi implicitamente (e poco modestamente) paragonato ad Apelle e
Policleto, Plinio passa a suggerire un collegamento tra sé stesso e Omero: proprio subito dopo il
passo appena ricordato della epistola dedicatoria, Plinio definisce i potenziali detrattori della sua

1
PAPINI 2017, e l’introduzione a questo volume; vd. anche BAUM et al. 2016.
2
Un fenomeno simile di idealizzazione si trova anche nella ricezione estetica delle rovine (ma orientata verso il
passato, piuttosto che verso il futuro): sull’estetica delle rovine in relazione alle “imperfezioni” di un’opera cfr. ECO
2017, pp. 294-296.
es
tr a
218 G. Lentini Sc. Ant.

tto
opera come Homeromastigas, “sferze di Omero”. L’appellativo Ὁμηρομάστιξ era stato attribuito
a un certo Zoilo di Anfipoli (IV sec. a.C.), autore di una stroncatura dei poemi omerici divenuta
proverbiale per la sua durezza3. Diventò facile nell’antichità identificare in Zoilo il modello per
eccellenza del critico ingeneroso, perché le voci pronte a contestare il prestigio posseduto dalla
poesia omerica risultavano senz’altro isolate. Eppure Zoilo non era certo l’unico, né uno dei pochi,
a osservare che nell’Iliade e nell’Odissea vi fossero dei difetti; che insomma le due opere, se non
materialmente “incompiute”, fossero esteticamente “imperfette”. Le incongruenze e le contrad-
dizioni presenti nell’Iliade e nell’Odissea, più o meno gravi, più o meno apparenti, costituivano
speciale motivo di discussione nell’antichità4.
Partendo da questi spunti pliniani mi ripropongo di tracciare qui una breve (e incompleta)
storia dei poemi omerici in quanto opere “imperfette”5. Questa storia ha un aspetto importante
nella prospettiva di storia dell’estetica e di storia della cultura in senso ampio: come ha osservato
J. Porter, è senz’altro notevole il fatto che l’Iliade e l’Odissea siano una lettura imprescindibile nel-
la cultura occidentale fin dai suoi inizi e godano di un prestigio difficilmente eguagliabile in essa,
nonostante il mistero che circonda la figura di Omero e a dispetto di evidenti difetti e imperfezioni
apparenti in quelle opere6. Cercherò qui di mostrare come l’imperfezione di Omero abbia svolto
un ruolo fondamentale anche nella fondazione della “scienza” filologica (fatta tradizionalmente
coincidere con l’opera di F.A. Wolf), e abbia occupato e tuttora occupi un posto nella discussione
sulla poesia omerica, tanto in ambito specialistico che non.
Abbiamo già accennato alle discussioni antiche sui difetti di Omero. Ma non possiamo
prescindere da quanto sull’argomento ci dicono due tra le opere più significative dell’estetica
letteraria antica, l’Ars Poetica di Orazio e il Περὶ ὕψους dello Pseudo-Longino. Entrambi questi
testi, in due passi che possono essere letti in parallelo, intervengono in quella che deve essere
stata una questione dibattuta relativa alla perfezione/imperfezione di Omero. Il passo dell’Ars
Poetica che ci riguarda si trova all’interno della trattazione di virtus ed error relativamente alla
composizione poetica, trattazione che è annunciata ai vv. 307-308 (docebo... quo virtus, quo
ferat error) ed è poi effettivamente svolta nell’ultima parte dell’epistola (vv. 347-476), in cui al
poeta perfectus viene contrapposto il poeta vesanus7. Come ha mostrato E. Norden, e ha poi
ulteriormente precisato C.O. Brink, questa discussione si innesta nella tradizione della con-
trapposizione, nell’ambito dell’oratoria, tra τέλειος e ἀτελής ῥήτωρ, retore “perfetto” e retore
“imperfetto”8. Orazio osserva che anche nei poeti più grandi si trovano errori e imperfezioni
(v. 347: delicta), veniali naturalmente, dovuti a temporanea “inattenzione” (v. 352: incuria). Ma
Orazio si indigna ogni volta che “il buon Omero sonnecchia” (v. 359: dormitat bonus Omerus),
anche se sa che “in un’opera lunga il sonno può cogliere anche il migliore dei poeti”. Nel cap. 33
del Περὶ ὕψους (cfr. anche cap. 36), l’anonimo autore si interroga se sia da preferire la grandezza
che commette qualche errore (μέγεθος ἐν ἐνίοις διημαρτημένον) o una composizione corretta ma
mediocre, sana in ogni sua parte e senza cadute (τὸ σύμμετρον μὲν ἐν τοῖς κατορθώμασιν ὑγιὲς δὲ

3
Sulle testimonianze relative a Zoilo cfr. WILLIAMS 2013.
4
Omero αὐτὸς αὑτῷ μαχόμενος: cfr. Dio Prus. 53. 4; per questo tema negli scolii antichi vedi i riferimenti in ERBSE
1969-1988, VII, p. 132, alla sezione H. secum ipse vid. pugnare.
5
È forse opportuno precisare qui all’inizio che la nostra ricerca non indaga direttamente le cause di questa supposta
imperfezione, ma si occupa dei modi in cui essa è stata percepita e “recepita” nella storia della fortuna critica di Omero:
come si vedrà, a questa “ricezione” si legano di volta in volta teorie spesso molto diverse intorno alla composizione dei
poemi omerici.
6
PORTER 2002, p. 57. La stessa questione la si può vedere riassunta anche in queste parole di MURRAY 1924, p. 242:
“Now why is it that the Iliad is a good poem when it has so many of the characteristics of a bad one?”.
7
Cfr. BRINK 1971, p. 359.
8
NORDEN 1905, pp. 504-505; BRINK 1971, pp. 359-360, 367-368.
es
tr a
25.3, 2019 Appunti per una storia dell’“imperfezione” di Omero 219

tto
πάντη καὶ ἀδιάπτωτον). La preferenza è accordata dall’autore del trattato alle nature superiori,
per le quali, proprio a causa della loro grandezza, è inevitabile cadere in ἁμαρτήματα. Si tratta di
sviste imputabili a incuria e inevitabilmente prodotte dalla grandezza del genio (παροράματα δι’
ἀμέλειαν εἰκῆ που καὶ ὡς ἔτυχεν ὑπὸ μεγαλοφυΐας ἀνεπιστάτως παρενηνεγμένα): il grandioso Ome-
ro, con i suoi difetti, con i suoi errori, è dunque senz’altro preferibile a un Apollonio Rodio, che
non cade mai (ἄπτωτος)9. I due passi sono accomunati da una medesima attenzione ai difetti dei
poeti, e in particolare di Omero, anche se una differenza sostanziale li distingue: al contrario che
per Orazio, per il quale gli errori dei grandi poeti sono tollerati (perdonabili ma certo da evita-
re), per Pseudo-Longino almeno certi “errori” sono naturale portato, verrebbe da dire quasi un
segno distintivo, della grandezza dell’artista10.
Il discorso sull’imperfezione dei poemi omerici, nei passi appena discussi di portata esclusi-
vamente estetica, acquista significativamente una forza euristica, a partire, guarda caso, dall’opera
che convenzionalmente segna l’atto di nascita della filologia classica moderna, i Prolegomena ad
Homerum di F.A. Wolf (pubblicati per la prima volta nel 1795). La celebre tesi fondamentale por-
tata avanti da Wolf (i poemi omerici sarebbero il risultato di un accorpamento di canti preesistenti,
risalenti a un periodo in cui i Greci non conoscevano la scrittura e trasmessi oralmente) non era del
tutto originale11. Ciò che tuttavia rende i Prolegomena profondamente innovativi da un punto di
vista eminentemente filologico, come da tempo è stato osservato, è l’aver specificamente legato le
riflessioni sulla genesi dei poemi al problema del loro assetto testuale; di aver in altre parole fatto
un primo tentativo di tracciare una storia del testo (del testo omerico nella fattispecie) nell’anti-
chità. Proprio in quanto fissazione scritta di canti preesistenti trasmessi oralmente dai rapsodi, il
testo dei poemi, osservava Wolf, è andato incontro a operazioni redazionali che includevano tra-
sformazioni e adattamenti a volte evidentemente imperfetti. Nel capitolo XXX dei Prolegomena,
Wolf afferma di aver trovato degli esempi chiari di hiantes commissurae, connessioni imperfette tra
le varie parti dei poemi omerici, tali da dare la chiara impressione di non appartenere alla composi-
zione originale di quelli ma di essere state introdotte da interventi successivi (non cum primo opere
fusas sed posterioribus curis illatas)12. Si tratta per Wolf di imperfezioni evidenti e incontrovertibili,
e tuttavia finora sfuggite all’osservazione: come mai? Wolf fornisce due diversamente interessanti
motivazioni. La prima riguarda la possibilità che i lettori precedenti si siano fatti ingannare dalla
successione continua, cioè dal fluire continuo della trama dei canti (perpetua series carminum),
nonché dal prestigio di cui i poemi omerici hanno da sempre goduto e dalla loro stessa bellezza
(sua specie)13. L’altra spiegazione riguarda un aspetto ancora più generale, ovvero la preferenza in
noi connaturata “a congiungere ciò che è separato piuttosto che a separare ciò che è congiunto”14.
L’individuazione delle hiantes commissurae è stata resa possibile solo per mezzo di quella lettura
lenta e attenta (saepissime repetita lectio), che costituirà sempre la cifra più caratteristica del filo-
logo15. Tuttavia, per ammissione dello stesso Wolf, questo metodo di lavoro appare andare contro
una tendenza tipica della natura umana, quella di voler cogliere un’unità anche dove questa non

9
Cfr. PORTER 2016, p. 209 in generale sulla diffusa questione se sia meglio “polished finish” oppure “messy
grandeur”.
10
Su questa fondamentale differenza tra le vedute tra Orazio e quelle di Pseudo-Longino cfr. BRINK 1971, p. 363.
11
Molto si è scritto sugli studiosi che hanno anticipato questa o quell’idea espressa da Wolf (F. Hédelin d’Aubignac;
G. Vico; R. Wood); mi limito a rimandare a UGOLINI 2016, pp. 80-83.
12
WOLF 1884, p. 99.
13
“Qua in re si per tot saecula nemo offendit eruditissimorum lectorum, quum neminem mediocri sollertia in ea
offendere non posse putem, haec fortasse una causa fuit, quod perpetua series Carminum, tum praeconiis multorum
scriptorum tum sua specie fallens, eius rei cogitationem longe amovebat...” (WOLF 1884, p. 99).
14
“... quia omnes prope natura sic comparati sumus, ut dissoluta coniungere libentius quam iuncta dissolvere
studeamus” (WOLF 1884, p. 99).
15
Si pensi alle famose parole di F. Nietzsche sulla lettura lenta del filologo nella prefazione di Aurora.
es
tr a
220 G. Lentini Sc. Ant.

tto
c’è (“congiungere ciò che è separato piuttosto che separare ciò che è congiunto”). Wolf sembra
qui fare riferimento a un principio cognitivo che si può effettivamente dire insito nel modo in cui
l’uomo “vede” la realtà (un problema “estetico” in senso etimologico, di percezione della realtà).
Esso si può vedere come corrispondente a quello che nella psicologia della Gestalt viene chiamato
il principio di chiusura, secondo il quale le linee e le forme familiari, anche se non sono chiuse e
complete, vengono comunque considerate tali: è in base a questo principio che in una figura come
questa
┌ ┐
└ ┘

percepiamo, nonostante tutto, la figura di un quadrato (si tratta, lo dico qui en passant, di un ele-
mento che non dovrebbe essere sottovalutato nel momento in cui ci confrontiamo con la nozione
stessa di “incompiuto”…).
Sta di fatto che con la sua caccia alle hiantes commissurae Wolf inaugurava la corrente “ana-
litica” di studi omerici aprendo la strada alla ricerca delle incongruenze narrativo-compositive
dei poemi (quei passi che L.E. Rossi chiamava con efficace espressione “scandali analitici”), una
tendenza che dominerà per molti decenni a venire il lavoro filologico sui poemi16. I poemi omerici
nella loro forma ultima sono opera di diaskeuastai, redattori, che hanno collegato, spesso alla bell’e
meglio, canti orali preesistenti. Le varianti testimoniate dalle citazioni degli autori antichi nonché
attestate dagli scolii del Venetus A dell’Iliade (pubblicati qualche anno prima dal Villoison ma dal
Wolf per la prima volta messi adeguatamente a frutto) mettono in evidenza il carattere instabile,
“provvisorio”, se si vuole “incompiuto”, del testo omerico. Ricostruire dunque un dettato poetico
“originario” per i poemi omerici è, per Wolf, al di fuori della portata del filologo; il massimo a cui
egli può aspirare è quello di ricostruire il testo omerico dei filologi alessandrini. I quali del resto
hanno dovuto attuare un’opera di “restauro” sul testo dei poemi: la provvisorietà del testo omeri-
co è equiparata, in un punto dei Prolegomena, a quella del testo di un’opera notoriamente lasciata
incompiuta dall’autore, cioè l’Eneide di Virgilio17.
Nonostante, o forse proprio in virtù, del loro carattere profondamente innovativo, i Pro-
legomena sono un’opera aporetica, tale da lasciare in eredità agli studiosi a venire una serie non
indifferente di questioni aperte. Essi stessi sono del resto un’opera incompiuta: della seconda parte
(di carattere tecnico-metodologico) solo qualche abbozzo fu composto; essi, inoltre, come sugge-
risce il titolo stesso, avrebbero dovuto essere il preludio a un’edizione di Omero che non fu mai
realizzata18.
Da un punto di vista estetico, le posizioni espresse da Wolf ponevano un problema di ar-
dua soluzione: in che modo la “provvisorietà” raccogliticcia dei poemi che emergeva dallo studio
“scientifico” dell’Iliade e dell’Odissea poteva coniugarsi con la loro grandezza poetica (aspetto
del quale del resto Wolf in nessun modo dubitava, come diverse affermazioni contenute nei Pro-
legomena lasciano chiaramente intendere)? La teoria “analitica” di Wolf, fondata su una lettura
che, per ammissione dello stesso Wolf, possedeva qualcosa di “innaturale” e contro-intuitivo, ap-
pariva inaccettabile a molti dei difensori della grandezza poetica dei poemi omerici. In una poesia
intitolata Ilias F. Schiller rifiutava categoricamente l’ipotesi wolfiana: “Lacerate pure la corona di
Omero, e contate i padri dell’opera eterna e perfetta (vollendeten, compiuta)! Eppure una sola è

16
ROSSI 1979, pp. 97-99.
17
WOLF 1884, p. 180: “videri mihi solet Aristarchus non aliter tractavisse Homerum, ac Cato ille Lucilium, cuius
male factos versus emendabat, atque Varius et Tucca Virgilii imperfectum poema tractaturi fuissent, nisi morientis amici
et Augusti voluntas intercessisset”.
18
Cfr. UGOLINI 2016, p. 79, per ulteriori dettagli.
es
tr a
25.3, 2019 Appunti per una storia dell’“imperfezione” di Omero 221

tto
la madre, e i tratti della madre sono i tuoi tratti immortali, o natura”19. E Goethe, che un tempo
aveva accolto con favore le idee di Wolf, comunica nei versi della poesia Homer wieder Homer –
e pluribus unus Homerus di aver cambiato idea: “Perspicaci quali siete, ci toglieste ogni timore
reverenziale (Verehrung, venerazione), e noi proclamammo senza remora alcuna, che l’Iliade è
solo un’abborracciatura (Flickwerk). Per la nostra apostasia nessuno si urti, perché è la gioventù a
entusiasmarci, sì da farcelo concepire come un intero (als Ganzes), gioiosamente sentito come un
tutto (als Ganzes)”20. Wolf, secondo Goethe, aveva fatto dell’Iliade un Flickwerk, un’abborraccia-
tura, emblema di lavoro imperfetto e provvisorio21.
Citando questi versi goethiani, il giovane Nietzsche, nella sua lezione inaugurale all’Univer-
sità di Basilea intitolata Omero e la filologia classica, metteva a nudo l’aporia insita nell’approccio
wolfiano dei Prolegomena22. Nietzsche individuava con chiarezza l’aspetto problematico conna-
turato al modo in cui la scienza filologica, con la sua pretesa di ricostruire l’antichità reale, deve
rapportarsi all’antichità ideale del mondo greco, a ciò che è eternamente esemplare23. Con Goethe,
e contro Wolf, Nietzsche riteneva necessario, per ragioni estetiche, salvaguardare la concezione
unitaria dei poemi omerici e finiva per suggerire che nella forma in cui li conosciamo essi sarebbe-
ro comunque opera di un unico poeta, anche se non Omero24. Per Nietzsche, le imperfezioni dei
poemi (“tutte quelle debolezze e quei danni considerati così rilevanti, ma nel complesso valutati in
modo così soggettivo – che si è soliti considerare i residui pietrificati del periodo della tradizione”)
sono l’inevitabile prodotto dell’opera, eccezionalmente ardua e nuova, di quel poeta (“i mali quasi
necessari in cui doveva incorrere il geniale poeta nel corso di una composizione dalle intenzioni
così grandiose quasi senza precedenti e incalcolabilmente difficile”)25.
Qui non avrebbe alcun senso ripercorrere l’annosa e ben nota contrapposizione, visibile an-
che nelle posizioni divergenti di Nietzsche e Wolf, tra analisti e unitari. Partendo dalle osservazioni
di Nietzsche, mi preme piuttosto osservare che il discrimine tra le due posizioni possa in ultima
analisi consistere nel diverso livello di tolleranza rispetto alle imperfezioni di Omero. In un saggio
del 1962, G. Steiner, non specificamente un filologo classico, ma saggista e intellettuale di vasti

19
“Immer zerreißet den Kranz des Homer und zählet die Väter / Des vollendeten ewigen Werks! // Hat es doch
eine Mutter nur und die Züge der Mutter, / Deine unsterblichen Züge, Natur” (in F. SCHILLER, Werke, Nationalausgabe,
I, Weimar 1943, p. 259).
20
“Scharfsinnig habt ihr, wie ihr seid, / Von aller Verehrung uns befreit, / Und wir bekannten überfrei, / Daß Ilias
nur ein Flickwerk sei. // Mög’ unser Abfall niemand kränken! // Denn Jugend weiß uns zu entzünden, / Daß wir ihn
lieber als Ganzes denken, / Als Ganzes freudig ihn empfinden” (J.W. GOETHE, Poetische Werke, I, Berlin 1960, p. 592).
Per un inquadramento generale della posizione di Goethe (e Schiller) in relazione alle posizioni wolfiane cfr. LEGHISSA
2007, pp. 49-76.
21
Come ha mostrato CALDER 1969, è l’immagine goethiana del Flickwerk a essere ripresa da Wilamowitz per de-
scrivere la concezione che K. Lachmann aveva dei poemi omerici (“ein übles Flickwerk”) e che Wilamowitz stesso si
proponeva di contrastare, seppure da posizioni “analitiche” (l’espressione è stata invece spesso erroneamente creduta
essere un giudizio dello stesso Wilamowitz sull’Iliade).
22
NIETZSCHE 1869. Su queste pagine di Nietzsche, importanti anche per capire gli sviluppi della sua visione della
filologia e della “scienza” in generale, cfr. PORTER 2004; LEGHISSA 2007, pp. 209-249.
23
NIETZSCHE 1869, pp. 251-253 (pp. 222-224 della trad. italiana; sulla Grecità come ciò che è eternamente esemplare
cfr. pp. 249-250 [p. 220 della trad. italiana]).
24
Non è qui possibile approfondire l’argomentazione della conferenza di Nietzsche e gli spunti “antiscientifici”
che sono già abbozzati in questo discorso, col quale egli peraltro assumeva la cattedra di filologia classica a Basilea.
Riflessioni più articolate (e più pessimistiche) sul tema della conoscenza filologica vengono da Nietzsche sviluppate più
tardi nei frammenti per lo studio Wir Philologen, destinato a far parte delle Considerazioni inattuali, ma rimasto incom-
piuto; tra questi frammenti si leggono pensieri del tipo: “un uomo di scienza colpisce a morte la propria vita: che cosa
ha a che fare col senso della vita la dottrina delle particelle greche?” (cfr. LANZA 2013, p. 50). Nella conferenza di Basilea
Nietzsche si sforzava ancora di trovare un equilibrio, che appare tuttavia precario, tra la filologia scientifica di Wolf e il
classicismo di Goethe.
25
NIETZSCHE 1869, p. 266 (p. 242 della trad. italiana).
es
tr a
222 G. Lentini Sc. Ant.

tto
interessi, salutando con favore il riaffermarsi della tendenza unitaria tra gli Omeristi, affermava:
“noi non ci aspettiamo più da un genio prestazioni costanti. Sappiamo che anche i grandi pittori
possono produrre cattivi dipinti… questo cambio di prospettiva è di fondamentale importanza
per l’Iliade e l’Odissea. Cent’anni fa un passo che era giudicato da un editore come inferiore veni-
va fiduciosamente espunto in quanto interpolazione o corruzione testuale. Oggi noi invochiamo
semplicemente il fatto che i poeti non sono sempre al meglio. Omero può sonnecchiare”26; passo
nel quale la ripresa dell’immagine oraziana coincide con la rinnovata affermazione dell’unitarietà,
tradizionale, di Omero.
L’epocale cambio di prospettiva negli studi omerici introdotto dal lavoro di M. Parry e di A.
Lord ha permesso di vedere in una nuova luce vecchi problemi della critica omerica27. Per il nostro
discorso, ci importa sottolineare che l’applicazione all’Iliade e all’Odissea di un’estetica dell’ora-
lità, con l’insistenza sul carattere “provvisorio” del testo dovuto all’esecuzione estemporanea del
poeta orale, ha suggerito analogie con altre forme d’arte per le quali si addice il ricorso a un’este-
tica dell’imperfezione28. Penso in particolare all’analogia, suggerita da diversi studiosi, tra i poemi
omerici in quanto poesia orale e la musica jazz, la quale si basa, com’è noto, sull’improvvisazio-
ne, anche se a partire, di regola, da materiale (scritto) preesistente29. L’orientamento oralistico ha,
inoltre, suggerito nuove letture degli ormai ben noti errori e delle imperfezioni dei poemi omerici.
Studiosi come, tra gli altri, R. Janko, W. Burkert, F. Ferrari, hanno individuato nella pratica della
“(re)composition in performance”, ovvero la composizione da parte del poeta orale del suo canto
nel momento stesso della sua esecuzione, l’origine di alcuni “errori” contenuti nel testo dei poemi:
il poeta orale non avrebbe modo di intervenire per ritrattare e riformulare quello che ha appena
detto e che è stato fissato per iscritto. Così, quelli che erano “scandali analitici”, come per es. i
famigerati duali dell’ambasceria ad Achille che sembrano riferirsi a più di due persone (Il. 9. 183,
185, 192 ecc.), divengono “irreversible mistakes” (R. Janko), ovvero “incidenti” orali (F. Ferrari)30.
Non tutti gli oralisti, sia chiaro, concordano nel considerare casi come quello appena ricordato
veri errori irreversibili: per G. Nagy, per es., i duali del libro nono dell’Iliade non sono affatto
un “irreversible mistake”, ma al contrario un “masterstroke” da parte del poeta, il quale nella sua
versione introduce un’allusione a precedenti realizzazioni dello stesso episodio producendo effetti
nuovi (nel caso in questione, per dirla in breve, i duali caricherebbero di un valore particolare il
ruolo di Odisseo nel corso dell’ambasceria)31. Nagy rifiuta l’idea di un Omero che sonnecchia
(“a Homer nodding off”32). La poesia omerica rappresenta, a suo parere, un sistema in continua
evoluzione, nel quale eventuali errori di una performance possono essere corretti in una successi-
va performance33. Nel caso in cui delle innovazioni vengano introdotte in una tradizione poetica

26
“We no longer expect from genius a constant performance. We know that great painters on occasion produce bad
pictures… This change in perspective is vital with reference to Iliad and Odyssey. A hundred years ago, a passage which
struck an editor as inferior was confidently bracketed as an interpolation or textual corruption. Today we simply invoke
the fact tha poets are not always at their best. Homer can nod” (STEINER 1962, p. 3).
27
Per una sintetica presentazione dell’imporsi della teoria di Parry e Lord negli studi omerici rimando a BIERL 2015,
pp. 178-182.
28
Sulla “aesthetics of imperfection”, con speciale riferimento al jazz, cfr. HAMILTON 1990 e 2000; cfr. anche KRAUT
2005.
29
Cfr. SILK 2004, pp. 22-23; JANKO 1998, p. 4; BIRD 2010, p. 102 (con ulteriori riferimenti).
30
Cfr. JANKO 1998, p. 8, specificamente sul problema dei duali nell’Ambasceria ad Achille; FERRARI 2018, pp. X-XIII,
con ulteriori rimandi bibliografici; vd. inoltre BURKERT 1995.
31
NAGY 2003, pp. 50-55 (il capitolo nel quale è contenuta la discussione nasce come una risposta a JANKO 1990, e si
intitola significativamente Irreversible Mistakes and Homeric Clairvoyance).
32
NAGY 2003, p. 70.
33
La poesia omerica sembrerebbe così godere di una sorta di regressus ad veniam (cfr. il passo dall’epistola
prefatoria di Plinio il Vecchio sopra citato, anche se nel caso di “Omero” non riguarderebbe un singolo autore, ma una
tradizione poetica collettiva).
es
tr a
25.3, 2019 Appunti per una storia dell’“imperfezione” di Omero 223

tto
viva, sostiene Nagy, ci aspetteremmo che questi cambiamenti vengano reinterpretati in linea con
le regole del sistema, piuttosto che “tollerati” contro le regole del sistema34. Dunque, non è certo
l’idea che errori possano essere stati commessi dai rapsodi durante le loro performances a essere
messa in discussione da Nagy, quanto piuttosto l’idea che questi errori possano essere considerati
irreversibili se guardiamo alla poesia omerica non come singola manifestazione di un “testo”, bensì
come un sistema in continua evoluzione e autoperfezionantesi35. Così concepiti, i poemi omerici
si presentano come opera imperfecta del tutto sui generis, poiché l’Iliade e l’Odissea non coinci-
dono con un testo: per G. Nagy la tradizione omerica è da concepire come multitestuale (“Homer
multitext”), così che tutte le varianti attestate per i poemi da papiri, manoscritti, autori antichi,
scolii, costituiscono singole realizzazioni ugualmente accettabili di un unico sistema. Anziché un
testo ricostruito dal discernimento del critico testuale, abbiamo un insieme di testi alternativi tutti
idealmente possibili e autentici36. I poemi omerici divengono così una sorta di “opera aperta”, nella
quale il lettore stesso ha voce in capitolo, molto più di quanto non avvenga di solito, nelle scelte
relative allo stesso assetto testuale dei poemi37.
Nel momento in cui scrivo, lo “Homer multitext” è ancora un “incompiuto”. Negli ultimi
decenni non sono certo mancate nuove edizioni di Omero, condotte con metodi più tradizionali,
come quelle di M. West e H. van Thiel. Eppure, perfino queste ultime divergono profondamente
tra di loro, non tanto e non solo riguardo a singoli passi e a singole scelte testuali (cosa che non
sarebbe certo sorprendente), quanto nell’obiettivo stesso del lavoro editoriale che esse riflettono.
Mentre M. West aspira a ricostruire il testo di un poeta, meglio due poeti, uno per l’Iliade uno per
l’Odissea, che sono vissuti nel VII sec. a.C. e hanno usato la scrittura per fissare le loro composi-
zioni durante un lungo periodo di tempo, l’obiettivo, più modesto, di H. van Thiel è di ricostruire
il testo della vulgata alessandrina dei poemi, nella convinzione che la vulgata medievale testimonia-
ta dai nostri manoscritti discenda direttamente da quella38. È proprio per via di queste divergenze
irrisolte (e difficilmente risolvibili) che all’inizio dicevo che Omero rappresenta di per sé il caso
forse più eclatante di “incompiuto” in filologia classica39.
Al di fuori del campo specialistico, nella riflessione estetica generale, Omero può essere
visto come un oggetto misterioso, in grado di mettere insieme qualità difficili da conciliare,
reale grandezza insieme ad evidente imperfezione. Concludo citando un esempio tratto da
un saggio del 1975 di U. Eco, in cui la menzione di Omero è, come si vedrà, solo tangenzia-
le, ma proprio per questo fa immediatamente intuire il valore paradigmatico attribuito alla
grandezza imperfetta di Omero. Nel suo saggio su Casablanca, il leggendario film di Michael

34
“Any mistakes in one performance can be corrected on the occasion of the next performance. Wherever changes
happen in the course of an evolving oral poetic tradition, we may expect those changes to be systematically reinterpreted
instead of being unsystematically misinterpreted” (NAGY 2003, p. 70).
35
Cfr. NAGY 2003, pp. 70-71: “In the end I doubt that Homeric poetry, as performed by rhapsodes through the
ages in the historical course of its ongoing reception in the Archaic and Classical periods and maybe even beyond, could
ever have left its adoring audiences with any lasting impressions of irreversible mistakes committed by their prototypical
poet, their very own divine Homer”.
36
Sul progetto dell’“Homer multitext” si veda il sito web http://www.homermultitext.org, e cfr. DUÉ - EBBOT 2004.
37
Sull’estetica delle “opere aperte” (le quali “vengono portate a termine dall’interprete nello stesso momento in
cui le fruisce esteticamente”) cfr. ECO 1967, specialmente pp. 31-63 (p. 33 per la citazione). Sul ruolo del lettore in
un’edizione multitestuale cfr. BIRD 2010, pp. 58-59.
38
Per una efficace sintesi dei presupposti di queste edizioni omeriche (incluso lo “Homer multitext”) cfr. FERRARI
2018, pp. 1106-1109.
39
Vale la pena di citare a questo proposito le parole di J. Porter: “If there is any value at all to ‘Homer’, it lies in the
very indeterminateness of his definition, in his insolubility, which has provoked intense reflection and so too has served
as an instrument of endless debate, contest, and redefinition. One suspects, in other words, that with Homer the ancients
and moderns have made a rather telling choice of object for contention, one that ceaselessly authorizes the imaginative
work of culture” (PORTER 2002, p. 58; corsivo mio).
es
tr a
224 G. Lentini Sc. Ant.

tto
Curtiz con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, Eco sostiene che “Casablanca è, estetica-
mente parlando (ovvero dal punto di vista della critica esigente) un modestissimo film”40. La
tesi, quasi paradossale, di Eco è che a rendere il film a suo modo un capolavoro è il fatto che
esso condensa in sé una serie impressionante di archetipi (o, se si preferisce una terminologia
meno positiva, di stereotipi e luoghi comuni, di cliché). Val la pena citare la parte conclusiva
di questo saggio, in cui Eco esprime un concetto che doveva essergli molto caro, a giudicare
dal numero di occasioni in cui lo ripropone verbatim altrove (particolarmente significativa,
per il nostro discorso, è la ripresa fatta in un saggio intitolato Su alcune forme di imperfezione
nell’arte)41. In Casablanca

“si dispiegano per forza quasi tellurica le Potenze della Narratività allo stato brado, senza che l’Arte
intervenga a disciplinarle. E allora possiamo accettare che i personaggi cambino di umore, di moralità,
di psicologia da un momento all’altro, che i cospiratori tossiscano per interrompere il discorso quando
si avvicina una spia, che le donnine allegre piangano udendo la Marsigliese. Quando tutti gli archetipi
irrompono senza decenza, si raggiungono profondità omeriche. Due cliché fanno ridere. Cento cliché
commuovono. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando tra loro e celebrano una
festa di ritrovamento. Come il colmo del dolore incontra la voluttà e il colmo della perversione rasenta
l’energia mistica, il colmo della banalità lascia intravvedere un aspetto di Sublime. Qualcosa ha parlato
al posto del regista. Il fenomeno è degno se non altro di venerazione” [corsivo mio].

La menzione, senza ulteriore specificazione, di “profondità omeriche” indica che la poesia di


Omero rappresenta l’esempio sommo di questo fenomeno “degno di venerazione”. Di sicuro, nei
lunghi secoli della loro ricezione, i pur “imperfetti” poemi omerici questa venerazione (la Vereh-
rung di cui parlava anche Goethe) raramente hanno mancato di ottenerla.

Giuseppe Lentini
Dipartimento di Scienze dell’Antichità
Sapienza Università di Roma
giuseppe.lentini@uniroma1.it

Riferimenti bibliografici

BAUM et al. 2016: K. BAUM - A. BAYER - S. WAGSTAFF, Introduction: An Unfinished History of


Art, in K. BAUM - A. BAYER - S. WAGSTAFF (eds.), Unfinished: Thoughts Left Visible, Catalogo della
Mostra (New York 2016), New York 2016, pp. 13-15.
BIERL 2015: A. BIERL, New Trends in Homeric Scholarship, in S. DOUGLAS OLSON (ed.), Homer’s
Iliad. The Basel Commentary. Prolegomena, Berlin-Boston 2015, pp. 177-203.
BIRD 2010: G.D. BIRD, Multitextuality in the Homeric Iliad. The Witness of the Ptolemaic
Papyri (Hellenic Studies, 43), Washington, DC 2010.
BRINK 1971: C.O. BRINK, Horace on Poetry. The ‘Ars Poetica’, Oxford 1971.
BURKERT 1995: W. BURKERT, «Irrevocabile Verbum». Spuren mündlichen Erzählens in der
Odyssee, in U. BRUNOLD-BIGLER - H. BAUSINGER (eds.), Hören – Sagen – Lesen – Lernen. Bausteine
zu einer Geschichte der kommunikativen Kultur. Festschrift für Rudolf Schenda zum 65. Geburts-
tag, Bern 1995, pp. 147-158 (riedito in BURKERT 2001 pp. 117-126).

40
ECO 2016, p. 150.
41
ECO 2016, pp. 154-155 (ripreso in ECO 2017, pp. 315-316).
es
tr a
25.3, 2019 Appunti per una storia dell’“imperfezione” di Omero 225

tto
BURKERT 2001: W. BURKERT, Kleine Schriften. I. Homerica (Hypomnemata, Supplement-Rei-
he, 2.1), Göttingen 2001.
CALDER 1969: W.L. CALDER III, Ein übles Flickwerk, in ClPhil 64, 1969, pp. 35-36.
DUÉ - EBBOTT 2004: C. DUÉ - M. EBBOTT, As Many Homers As You Please: An On-line Multi-
text of Homer, in Classics@ 2, 2004 (http://chs.harvard.edu/CHS/article/display/1314).
ECO 1967: U. ECO, Opera aperta. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee,
Milano 19672 (19621).
ECO 2016: U. ECO, Dalla periferia dell’impero. Cronache da un nuovo medioevo, Milano 2016
(ed. riveduta; 19771).
ECO 2017: U. ECO, Sulle spalle dei giganti, Milano 2017.
ERBSE 1969-1988: H. ERBSE, Scholia Graeca in Homeri Iliadem, I-VII, Berolini 1969-1988.
FERRARI 2018: F. FERRARI, Omero. Iliade, Milano 2018.
HAMILTON 1990: A. HAMILTON, The Aesthetics of Imperfection, in Philosophy 65, 1990, pp.
323-340.
HAMILTON 2000: A. HAMILTON, The Art of Improvisation and the Aesthetics of Imperfection, in
British Journal of Aesthetics 40, 2000, pp. 168-185.
JANKO 1998: R. JANKO, The Homeric Poems as Oral Dictated Texts, in ClQ 48, 1998, pp. 1-13.
KRAUT 2005: R. KRAUT, Why Does Jazz Matter to Aesthetic Theory, in The Journal of Aesthetics
and Art Criticism 63, 2005, pp. 3-15.
LANZA 2013: D. LANZA, Interrogare il passato. Lo studio dell’antico tra Otto e Novecento,
Roma 2013.
LEGHISSA 2007: G. LEGHISSA, Incorporare l’antico. Filologia classica e invenzione della moder-
nità, Milano 2007.
MURRAY 1924: G. MURRAY, The Rise of the Greek Epic, Oxford 19243 (19071).
NAGY 2003: G. NAGY, Homeric Responses, Austin 2003.
NIETZSCHE 1869: F.W. NIETZSCHE, Homer und die Klassische Philologie, Basel 1869 (= G.
COLLI - M. MONTINARI [Hg. von], F.W. Nietzsche. Kritische Gesamtausgabe, Werke. Zweiter Abtei-
lung, Erster Band, Berlin-New York 1982, pp. 247-269; traduzione italiana in G. CAMPIONI - F.
GERRATANA [eds.], F. Nietzsche, Appunti filosofici 1867-1869. Omero e la filologia classica, Milano
1993, pp. 217-246).
NORDEN 1905: E. NORDEN, Die Composition und Litteraturgattung der Horazischen Epistula
ad Pisones, in Hermes 40, 1905, pp. 481-528.
PAPINI 2017: M. PAPINI, Firmare un’opera come se fosse l’ultima: l’imperfetto e l’incompiuto in
Plinio il Vecchio, in BCom 118, 2017, pp. 39-54.
PORTER 2002: J.I. PORTER, Homer: the Very Idea, in Arion s. 3, 10, 2002, pp. 57-86.
PORTER 2004: J.I. PORTER, Nietzsche, Homer, and the Classical Tradition, in P. BISHOP (ed.),
Nietzsche and Antiquity. His Reaction and Response to the Classical Tradition, Rochester 2004,
pp. 7-26.
PORTER 2016: J.I. PORTER, The Sublime in Antiquity, Cambridge 2016.
ROSSI 1979: L.E. ROSSI, I poemi omerici come testimonianza di poesia orale, in. R. BIANCHI
BANDINELLI (ed.), Storia e Civiltà dei Greci, I. Origini e sviluppo della città. Il medioevo greco,
Milano 1979, pp. 73-147.
SILK 2004: M. SILK, Homer. The Iliad, Cambridge 20042 (19871).
STEINER 1962: G. STEINER, Introduction: Homer and the Scholars, in G. STEINER - R. FAGLES
(eds.), Homer. A Collection of Critical Essays, Englewood Cliffs 1962, pp. 1-14.
UGOLINI 2016: G. UGOLINI, Friedrich August Wolf e la nascita dell’Altertumswissenschaft, in
D. LANZA - G. UGOLINI (eds.), Storia della filologia classica, Roma 2016, pp. 71-107.
es
tr a
226 G. Lentini Sc. Ant.

tto
WILLIAMS 2013: M.F. WILLIAMS, Zoilos of Amphipolis (71), in I. WORTHINGTON (ed.), Brill’s New
Jacoby (Brill Online Reference).
WOLF 1884: F.A. WOLF, Prolegomena ad Homerum. Editio tertia quam curavit R. Peppmüller,
Halis Saxonum 18843 (17951).

ABSTRACT

This paper sketches out a history of ancient and modern discussions on the aesthetic “imperfection” of the
Iliad and the Odyssey. The views of, among others, Horace, Pseudo-Longinus, F.A. Wolf, F.W. Nietzsche
will be examined, as well as more recent evaluations of the Homeric poems. A passing comment by U. Eco
will also inspire some reflections.
es
tr a
tto
Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l.
via Ajaccio 41/43 – 00198 Roma
tel. 0685358444, fax 0685833591
www.edizioniquasar.it

per informazioni e ordini


qn@edizioniquasar.it

ISSN 1123-5713

ISBN 978-88-5491-026-3

Finito di stampare nel mese di marzo 2020


presso Global Print – Gorgonzola (MI)

Potrebbero piacerti anche