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DOMANDE E RISPOSTE
Il comma 3 specifica che “Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista
dall'articolo 13:
a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropo-
logico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolar-
mente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente
importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte,
della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'i-
dentità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì un valore
testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all'articolo
13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale ;
d-bis) le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico
o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Na-
zione;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indi-
cate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rile-
vanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso
un eccezionale interesse”.
A differenza delle prime due, in questo caso la qualifica di beni in quanto tali non arriva in maniera
diretta, ma la suddetta può derivare solo e soltanto da un provvedimento amministrativo che è la
dichiarazione dell'interesse culturale.
Si tratta per lo più di beni appartenenti a soggetti privati; infatti, se si scorre il comma tre, vedremo
che la dichiarazione di interesse culturale è necessaria per le cose immobili e mobili che presentano
interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico particolarmente importante, appar-
tenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma uno. Evidentemente fa riferimento a beni cul-
turali appartenenti ai privati, dato che abbiamo detto che i soggetti di cui al comma uno sono sog-
getti pubblici.
Diversamente si deve ragionare per i beni di cui all'art. 10, comma 3, D-bis, cioè “…le cose, a chiun-
que appartenenti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico
eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Na zione”.
Ne deriva che i beni culturali di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre 70 anni, non
sono beni culturali sottoposti alle regole particolari del codice dei beni culturali, ma sono soggetti al
regime generale comune della proprietà (regime del Codice civile). Ciò non significa che questi beni
culturali, non soggetti alle norme speciali e derogatorie, siano “denigrati” in modo assoluto: il Codice
si premura di prevedere regole che garantiscano la regolarità e la correttezza degli scamb i commer-
ciali. Sono comunque soggetti alla disciplina in materia di diritto d'autore, che prevede la tutela degli
interessi morali ed economici dell’autore e dei suoi successori.
Il comma 4 aggiunge che sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a: le
cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; le cose di interesse numi-
smatico che abbiano carattere di rarità e pregio; i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli,
i libri, le stampe, le incisioni che abbiano carattere di rarità e di pregio; le fotografie, le pellicole
cinematografiche e i supporti audiovisivi che abbiano carattere di rarità e di pregio; le carte geogra-
fiche e gli spartiti musicali che abbiano carattere di rarità e di pregio; le ville, i parchi e i giardini che
abbiano interesse storico o artistico; le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse
artistico e storico; i siti minerari di interesse storico; le navi e i galleggianti aventi interesse storico,
artistico o etnoantropologico; le architetture rurali aventi interesse storico ed etnoantropologico.
Per quanto riguarda il termine giuridico “vincolo indiretto” si fa riferimento alle prescrizioni di tutela
indiretta disciplinate dagli articoli 45, 46 e 47 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Prescrizioni di tutela indiretta è un’espressione utilizzata dalla dottrina e dalla giurisprudenza con
cui si fa riferimento al provvedimento di protezione dei beni culturali immobili.
Art. 45: “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare
che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o
la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Le prescrizioni di cui al comma 1,
adottate e notificate ai sensi degli articoli 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici
territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi e negli strumenti
urbanistici”.
Precettive = immediatamente efficaci.
I beni tutelabili con vincolo indiretto sono:
- bene immobile rientrante nelle categorie di cui all’Art. 10 appartenente allo Stato o ad un ente
pubblico o a una persona giuridica senza scopo di lucro e per il quale non sia intervenuta, con esito
negativo, la verifica di interesse culturale di cui all’Art. 12;
- un bene immobile appartenente ad un privato dopo che sia stato emesso un provvedimento di
vincolo diretto ossia la dichiarazione di interesse culturale di cui all’Art. 13. Quindi stiamo parlando,
per la tutela indiretta o vincolo indiretto, di beni immobili culturali e quindi già sottoposti al vincolo
(o ex lege art. 10, c. 1 o con dichiarazione di interesse culturale art. 10, c. 3).
Le prescrizioni non si riferiscono al bene culturale immobile perché già vincolato in quanto bene
culturale, ma vengono poste delle limitazioni al diritto di proprietà su beni che si trovano n ell’area
circostante al bene culturale in funzione di tutelare in modo indiretto il bene culturale immobile. La
comunicazione di avvio del procedimento deve essere fatta dall'amministrazione e in questo caso
dal Soprintendente, il quale individua l’immobile in relazione al quale si intendono adottare le pre-
scrizioni di tutela indiretta e nella quale vengono poi indicati i contenuti essenziali di queste prescri-
zioni. Il proprietario privato che abita vicino a un bene culturale riceve la comunicazione di avvio del
procedimento, con la quale si prescrive che l’immobile di proprietà del privato, in quanto situato in
un’area circostante all’immobile culturale deve subire limitazioni per tutelare al meglio il bene cul-
turale.
Il provvedimento, siccome limitativo, lo devo comunicare al destinatario e viene trascritto nei Regi-
stri Immobiliari; per cui se decido di vendere un immobile, il futuro proprietario deve sapere che
l'immobile è sottoposto ad un vincolo indiretto. Come nel provvedimento di vincolo diretto, anche
il provvedimento di vincolo indiretto è impugnabile davanti al giudice, e quindi è possibile rivolgersi
al giudice o al Ministero con ricorso amministrativo.
Il soggetto competente a adottare il provvedimento di vincolo indiretto è la Commissione regionale
per il patrimonio culturale.
Finora abbiamo specificato che i beni culturali di cui al comma 1 sono automaticamente considerati
beni culturali e quindi sottoposti alle regole di tutela e di conservazione d el codice semplicemente
per il fatto di appartenere ad un ente pubblico. Tuttavia, lo stesso codice prevede che gli enti pub-
blici proprietari di questi beni possano, rispetto ai beni considerati culturali ai sensi dell’Art. 10
comma 1, avviare un procedimento amministrativo di verifica della sussistenza o meno dell’inte-
resse culturale di quel bene. Perché viene concessa agli enti pubblici la possibilità di promuovere un
procedimento volto a verificare se in concreto sussistano ancora le condizioni per consi derare i beni
di cui l’Art. 10, c. 1 come beni che presentano un interesse culturale? Il codice sceglie, indipenden-
temente dalla sussistenza in concreto dell’interesse culturale dei beni medesimi, di sottoporli alla
conservazione e alla tutela massime previste dal codice. Per questo si parla di tutela provvisoria “ex
legge” fino allo svolgimento del procedimento di verifica.
Ciò non toglie che gli enti pubblici proprietari possano interferire affermando che, a parer loro, l’og-
getto in questione non abbia più un interesse culturale, per cui non v'è più una ragione che li sotto-
ponga alle norme del codice. La finalità è quella di sottrarre questi beni (considerati non più di inte-
resse culturale) dalla specifica e più pervasiva disciplina contenuta all'interno d el codice, e di conse-
guenza poter esercitare pienamente tutte le facoltà proprietarie previste dal Codice civile (come se
fossero beni privati).
Il terzo comma prevede una disciplina particolare per gli immobili dello stato: “Per i beni immobili
dello Stato, la richiesta di cui al comma 2 è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede
descrittive. I criteri per la predisposizione degli elenchi, le modalità di redazione delle schede de-
scrittive e di trasmissione di elenchi e schede sono stabiliti con decreto del Ministero adottato di
concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa,
anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Il Ministero
fissa, con propri decreti, i criteri e le modalità per la predisposizione e la presentazione delle richie-
ste di verifica, e della relativa documentazione conoscitiva, da parte degli altri soggetti di cui al
comma 1”. Per gli immobili appartenenti allo Stato la richiesta di verifica deve essere correlata da
elenchi dei beni, da schede descrittive.
Arriviamo all'esito.
A) Se la verifica ha esito negativo, quindi il Ministero accerta che quel bene non presenta più con-
cretamente un interesse culturale, il bene viene escluso dall'applicazione delle disposizioni del pre-
sente titolo. Nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio statale, delle
regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente relativi dati dei beni viene tra-
smessa ai competenti uffici affinché dispongano la sdemanializzazione. Una volta che si compie la
sdemanializzazione i beni sono liberamente alienabili.
B) Se la verifica ha esito positivo, l'accertamento dell'interesse culturale costituisce dichiarazione di
interesse culturale ai sensi dell'articolo 13, il relativo provvedimento amministrativo viene trascritto
e i beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del codice dei beni culturali.
Art. 14: “Il soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale, anche
su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato, dandone comunica-
zione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto.
La comunicazione contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle
prime indagini, l'indicazione degli effetti previsti dal comma 4, nonché l'indicazione del termine,
comunque non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni. […]
La comunicazione comporta l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II
(Vigilanza e ispezione), dalla sezione I del Capo III (Misure di protezione) e dalla sezione I del Capo
IV (Alienazione e altri modi di trasmissione) del presente Titolo (Tutela)”.
Innanzitutto, il procedimento viene avviato da soprintendente territoriale (per ogni regione v’è al-
meno una soprintendenza). Può decidere di avviare il procedimento anche su richiesta di altri enti
territoriali. Una volta varato il procedimento si deve dare comunicazione al prop rietario posses-
sore/detentore, affinché possa partecipare al procedimento. Tuttavia, la comunicazione di avvio del
procedimento comporta l'applicazione in via cautelare delle disposizioni previste dal codice (la sem-
plice comunicazione di avvio del procedimento fa sì che il codice, onde evitare pregiudizi, attui un
blocco dei beni sottoponendoli in via cautelare, bloccando di conseguenza la libera disponibilità dei
beni).
Art. 15: “La dichiarazione prevista dall'articolo 13 è notificata al proprietario, possessore o detentore
a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto, tramite messo comunale o a mezzo posta
raccomandata con avviso di ricevimento. Ove si tratti di cose soggette a pubblicità immobiliare o
mobiliare, il provvedimento di dichiarazione è trascritto, su richiesta del soprintendente, nei relativi
registri ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qual-
siasi titolo. Dei beni dichiarati il Ministero forma e conserva un apposito elenco, anche su suppo rto
informatico”.
Il provvedimento di dichiarazione di interesse culturale, laddove il bene venga dichiarato d’interesse
culturale, viene notificato al proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa. Viene
di seguito trascritto nei registri ed ha efficacia nei confronti di successivo proprietario. Il provvedi-
mento ha pertanto carattere limitativo. Il bene, quindi, diviene vincolato e di conseguenza sottopo-
sto alla tutela prevista dal codice per i beni culturali di proprietà privata.
Art. 16: “Avverso il provvedimento conclusivo della verifica di cui all'articolo 12 o la dichiarazione di
cui all'articolo 13 è ammesso ricorso al Ministero, per motivi di legittimità e di merito, entro trenta
giorni dalla notifica della dichiarazione.
La proposizione del ricorso comporta la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato.
Rimane ferma l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II (Vigilanza e ispe-
zione), dalla sezione I del Capo III (Misure di protezione) e dalla sezione I del Capo IV (Alienazione e
altri modi di trasmissione) del presente Titolo (Tutela).
Il Ministero, sentito il competente organo consultivo, decide sul ricorso entro il termine di novanta
giorni dalla presentazione dello stesso.
Il Ministero, qualora accolga il ricorso, annulla o riforma l'atto impugnato.
Si applicano le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199”.
Contro la dichiarazione dell'articolo 13, il privato proprietario può rivolgersi al Ministero (per motivi
di legittimità e di merito) per lamentare il fatto che il provvedimento è illegittimo. Il Ministero
annulla o riforma l'atto impugnato.
Art. 45: “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare
che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o
la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Le prescrizioni di cui al comma 1,
adottate e notificate ai sensi degli articoli 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici
territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi e negli strumenti
urbanistici”.
Precettive = immediatamente efficaci.
I beni tutelabili con vincolo indiretto sono:
- bene immobile rientrante nelle categorie di cui all’Art. 10 appartenente allo Stato o ad un ente
pubblico o a una persona giuridica senza scopo di lucro e per il quale non sia intervenuta, con esito
negativo, la verifica di interesse culturale di cui all’Art. 12;
- bene immobile appartenente ad un privato dopo che sia stato emesso un provvedimento di vincolo
diretto ossia la dichiarazione di interesse culturale di cui all’Art. 13. Quindi stiamo parlando, per la
tutela indiretta o vincolo indiretto, di beni immobili culturali e quindi già sottoposti al vincolo (o ex
lege art. 10, c. 1 o con dichiarazione di interesse culturale art. 10, c. 3).
VIGILANZA E ISPEZIONE
Secondo la disciplina dell’art. 18 la vigilanza compete al Ministero sui beni culturali, sulle cose di cui
all’art. 12 comma 1 nonché sulle aree interessate da prescrizioni di tutela indiretta.
Il Ministero provvede alla vigilanza anche mediante forme di coordinamento con le regioni mede-
sime sulle cose di cui all’art. 12 comma 1 che appartengono alle regioni e agli altri enti pubblici
territoriali.
L’ispezione (art. 19) spetta ai soprintendenti che possono procedere in ogni tempo con preavviso
non inferiore a cinque giorni salvo estrema urgenza al fine di accertare l’esistenza e lo stato di con-
servazione o di custodia dei beni culturali. I soprintendenti possono accertare l’ottemperanza alle
prescrizioni di tutela indiretta date ai sensi dell’art. 45.
MISURE DI PROTEZIONE - AUTORIZZAZIONE
L’art. 20 stabilisce che i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti
ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla
loro conservazione.
Gli archivi pubblici e gli archivi privati dichiarati di interesse culturale non possono essere
smembrati.
Pertanto, esistono interventi subordinati ad autorizzazione del Ministero come stabilito dall’art. 21:
a) rimozione e demolizione dei beni culturali mobili e immobili; b) spostamento dei beni culturali
mobili anche temporaneo; c) smembramento delle collezioni, serie e raccolte; d) lo scarto degli
archivi pubblici, degli archivi privati, del materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche e delle
biblioteche private per i quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell’art. 13; e) il trasferimento
ad altre persone giuridiche di complessi organici di documentazione degli archivi pubblici e privati
per i quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell’art. 13.
Lo spostamento di beni culturali è preventivamente denunciato al soprintendente che entro 30
giorni dal ricevimento della denuncia può prescrivere le misure necessarie affinché i beni non
subiscano danno nel trasporto. Per lo spostamento degli archivi correnti dello Stato e degli enti
pubblici non è necessaria l’autorizzazione ma bisogna comunicarlo al Ministero.
L’autorizzazione del soprintendente è necessaria per tutti i lavori di qualunque genere su beni
culturali esclusi dai casi precedentemente esposti.
L’autorizzazione è resa su progetto o su descrizione tecnica dell’intervento, presentati al richiedente
e può contenere prescrizioni. Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio
dell’autorizzazione, il soprintendente può dettare ulteriori prescrizioni in relazione al mutare delle
tecniche di conservazione.
Per interventi di edilizia pubblica e privata l’autorizzazione è rilasciata entro 120 giorni dalla
ricezione della richiesta da parte della soprintendenza. La soprintendenza può richiedere
chiarimenti o elementi integrativi di giudizio e può procedere ad accertamenti di natura tecnica
dandone preventiva comunicazione al richiedente.
Per gli interventi su beni pubblici l’autorizzazione necessaria ai sensi dell’art.21 può essere espressa
nell’ambito di accordi tra il Ministero e il soggetto pubblico interessato.
Nel caso di assoluta urgenza possono essere effettuati gli interventi provvisori indispensabili per
evitare danni al bene tutelato purché ne sia data immediata comunicazione alla soprintendenza con
il contestuale invio dei progetti degli interventi definitivi per la necessaria autorizzazione.
Il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi condotti in difformità
dell’autorizzazione. La sospensione degli interventi deve essere ordinata anche quando non siano
ancora intervenute la verifica di cui all’art. 12 o la dichiarazione di cui all’art. 13 per i beni culturali
citati nell’art.10.
L’acquisto in via di prelazione dei beni culturali da parte del Ministero, della regione degli altri enti
pubblici territoriali è disciplinato dagli articoli 60, 61 e 62 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Il Ministero, la regione o gli altri enti pubblici territoriali hanno la facoltà di acquistare in via di
prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di
alienazione.
Qualora il bene sia dato in permuta, il valore economico è dato d’ufficio dal soggetto che procede
alla prelazione. Se l’alienante non accetta il valore d’ufficio, il valore economico della cosa è stabilito
da un terzo designato da entrambe le parti. Se le parti non si accordano per la nomina, questa viene
effettuata dal presidente del tribunale competente per il luogo e le spese relative sono anticipate
dall’alienante.
L’art. 61 pone le condizioni della prelazione. La prelazione è esercitata nel termine di 60 giorni dalla
ricezione della denuncia o, nel caso di denuncia omessa o presentata tardivamente, il termine si
estende a 180 giorni dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva. Entro questi
limiti il provvedimento è adottato e notificato all’acquirente e all’alienante e la proprietà passa allo
Stato dalla data dell’ultima notifica.
Fino a quando non viene esercitato il diritto di prelazione, non può essere stipulato il contratto di
compravendita. Nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, l'ac-
quirente ha facoltà di recedere dal contratto.
Il procedimento di prelazione è disciplinato dall’art. 62. Il soprintendente ricevuta la denuncia di un
atto soggetto a prelazione, ne dà immediata comunicazione alla regione e agli altri enti pubblici
territoriali. La regione ne dà notizia tramite bollettino ufficiale. Nel termine di 20 giorni dalla
denuncia, la regione e gli altri enti pubblici territoriali formulano al Ministero una proposta di
prelazione. Nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente o risulti
incompleta, il termine è di 90 giorni.
Il Ministero può rinunciare all’esercizio di prelazione trasferendone facoltà all’ente interessato entro
20 giorni dalla ricezione della denuncia e nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata
tardivamente o risulti incompleta, il termine è di 120 giorni. L’ente entro 60 giorni dalla denuncia
adotta il provvedimento di prelazione e lo notifica all’alienante e all’acquirente. Nei casi in cui la
denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente o risulti incompleta, il termine è di 180 giorni.
L’art. 63 regola l’obbligo di denuncia dell’attività commerciale di cose antiche o usate, l’obbligo di
tenuta del registro da parte di chi esercita il commercio delle cose antiche o usate e il soprintendente
verifica l’adempimento dell’obbligo, l’obbligo di denuncia della vendita e l’obbligo di denuncia
dell’acquisto di documenti.
Chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di interme-
diazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d'antichità
o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli ogget ti me-
desimi, ha l'obbligo di consegnare all'acquirente una dichiarazione recante tutte le informazioni di-
sponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza.
Art. 64-bis: “Il controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare l'integrità del pa-
trimonio culturale in tutte le sue componenti, quali individuate in base al presente codice ed alle
norme previgenti”.
Vigono delle regole particolari che riguardano l’uscita definitiva o temporanea dei beni culturali mo-
bili. I principi generali sono indicati all’art. 64-bis del Codice. Lo scopo (la ratio) che muove tutta la
disciplina è la tutela dell'integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti.
Per “uscita definitiva” s’intende l’uscita senza più ritorno dei beni culturali dal territorio nazionale.
All’Art. 65 (comma 1 e 2) vengono resi noti i beni culturali che non possono uscire dal nostro terri-
torio: “È vietata l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati
nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3.” Per manifestazioni, mostre o esposizione d’arte di alto i nteresse
culturale può essere autorizzata l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle cose e dei
beni culturali elencati.
Comma 4: non è soggetta ad autorizzazione l’uscita delle cose di cui all’art.11 comma 1 lettera d):
le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecu-
zione non risalga ad oltre settanta anni e delle cose che presentino interesse culturale, siano opera
di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore
ad euro 13.500, fatta eccezione per i reperti archeologici.”
In questi casi l’interessato deve comprovare al competente ufficio di esportazione che la cosa che
intende trasferire all'estero rientri nelle ipotesi per i quali non è prevista l'autorizzazione. Il compe-
tente ufficio, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle che presentano un interesse
storico, artistico, archeologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale
della nazione, avvia il procedimento di dichiarazione di interesse culturale che si conclude entro 60
giorni.
Quindi l'amministrazione dei beni culturali assicura in questo modo anche una funzione di vigilanza
su ciò che esce dal territorio nazionale, e soprattutto un controllo sulla natura del bene culturale
che esce.
L’uscita temporanea è possibile soltanto dopo aver ottenuto una specifica autorizzazione, l’ atte-
stato di circolazione temporanea (art. 71). “Chi intende far uscire in via temporanea dal territorio
della Repubblica, ai sensi degli articoli 66 e 67, le cose e i beni ivi indicati, deve farne denuncia e
presentarli al competente ufficio di esportazione, indicando, contestualmente e per ciascuno di essi,
il valore venale e il responsabile della sua custodia all'estero, al fine di ottenere l'attestato di circo-
lazione temporanea”.
La Soprintendenza avvia il procedimento, accerta la congruità del valore indicato, e rilascia o nega,
motivatamente, l'attestato di circolazione temporanea dettando le prescrizioni necessarie e dan-
done comunicazione all'interessato entro quaranta giorni dalla presentazione della cosa o di quel
bene.
“L'attestato indica anche il termine per il rientro delle cose o dei beni, che è prorogabile su richiesta
dell'interessato, ma non può essere comunque superiore a diciotto mesi dalla loro uscita dal terri-
torio nazionale (eccezion fatta per i casi previsti dall’art. 67, c.1)”.
“Qualora per l'uscita temporanea siano presentate cose che rivestano l'interesse indicato dall'arti-
colo 10, contestualmente alla pronuncia positiva o negativa sono comunicati all'interessato, ai fini
dell'avvio del procedimento di dichiarazione, gli elementi indicati all'articolo 14, comma 2, e l'og-
getto è sottoposto alle misure di cui all'articolo 14, comma 4”.
Se l'ufficio di esportazione si rende conto che quei beni rivestono interesse culturale, non è escluso
che l'ufficio di esportazione promuova il relativo procedimento di dichiarazione dell'interesse cultu-
rale.
“Il rilascio dell'attestato è sempre subordinato all'assicurazione dei beni da parte dell'interessato”.
Art. 72: “La spedizione in Italia da uno Stato membro dell'Unione europea o l'importazione da un
Paese terzo delle cose o dei beni indicati nell'articolo 65, comma 3, sono certificati, a domanda,
dall'ufficio di esportazione”.
Essenzialmente sono quei beni culturali soggetti a divieto relativo di uscita definitiva. “I certificati di
avvenuta spedizione e di avvenuta importazione sono rilasciati sulla base di documentazione idonea
a identificare la cosa o il bene e a comprovarne la provenienza dal territorio dello Stato membro o
del Paese terzo dai quali la cosa o il bene medesimi sono stati, rispettivamente, spedi ti o importati.
Tali certificati hanno validità quinquennale e possono essere prorogati su richiesta dell’interessato”.
Il bene deve essere tracciato dal nostro Ministero, in particolare dalla Soprintendenza.
ESPORTAZIONE DAL TERRITORIO DELL’UNIONE EUROPEA (ESPORTAZIONE DI UN BENE FUORI DAL TERRITORIO DELL’U.E.)
Per «regolamento CE» si intende il regolamento (CE) n. 116/2009 del 18 dicembre 2008 del Consiglio
relativo all'esportazione di beni culturali;
Per «direttiva UE» la direttiva n. 2014/60/UE del 15 maggio 2014 del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato
membro e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012;
Per "Stato richiedente", lo Stato membro dell'Unione europea che promuove l'azione di restitu-
zione.
L’art. 73 disciplina l’esportazione e si richiama alle norme comunitarie dell’UE (regolamento CE 2009
relativo all’esportazione di beni culturali dal territorio dell’unione a paesi terzi + direttiva UE 2014
relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dai territori di uno stato membro).
Il principio è lo stesso della convenzione UNESCO del 1970 sulle illecite esportazioni internazionali =
è necessaria la LICENZA DI ESPORTAZIONE.
L’art. 74 stabilisce che l’esportazione al di fuori dell’UE è disciplinata dal regolamento CE del 2009
(norme puntuali, vincolanti e direttamente applicabili sul territorio di qualsiasi stato membro); oc-
corre quindi la licenza di esportazione rilasciata dall’ufficio di esportazione del Ministero insieme
all’attestato di libera circolazione (documento richiesto dalla nostra disciplina interna per la circola-
zione) = due atti che il soggetto deve chiedere e ottenere.
La licenza di esportazione può anche essere temporanea.
L'esportazione al di fuori del territorio dell’Unione europea degli oggetti indicati nell'allegato A è
disciplinata dal regolamento CE e dal presente articolo.
Oggetti indicati all’allegato A:
1. Reperti archeologici aventi più di cento anni provenienti da:
a) scavi e scoperte terrestri o sottomarine;
b) siti archeologici;
c) collezioni archeologiche.
2. Elementi, costituenti parte integrante di monumenti artistici, storici o religiosi e provenienti dallo smem-
bramento dei monumenti stessi, aventi più di cento anni.
3. Quadri e pitture diversi da quelli appartenenti alle categorie 4 e 5 fatti interamente a mano su qualsiasi
supporto e con qualsiasi materiale.
4. Acquerelli, guazzi e pastelli eseguiti interamente a mano su qualsiasi supporto.
5. Mosaici diversi da quelli delle categorie 1 e 2 realizzati interamente a mano con qualsiasi materiale e
disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto.
6. Incisioni, stampe, serigrafie e litografie originali e relative matrici, nonché' manifesti originali.
7. Opere originali dell’arte statuaria o dell’arte scultorea e copie ottenute con il medesimo procedimento
dell’originale, diverse da quelle della categoria 1.
8. Fotografie, film e relativi negativi.
9. Incunaboli e manoscritti, compresi le carte geografiche e gli spartiti musicali, isolati o in collezione.
10. Libri aventi più di cento anni, isolati o in collezione.
11. Carte geografiche stampate aventi più di duecento anni.
12. Archivi e supporti, comprendenti elementi di qualsiasi natura aventi più di cinquanta anni.
13. a) Collezioni ed esemplari provenienti da collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia.
b) Collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico.
14. Mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni.
15. Altri oggetti di antiquariato non contemplati dalle categorie da 1 a 14, aventi più di settanta anni.
Gli uffici di esportazione del Ministero sono autorità competenti per il rilascio delle licenze di espor-
tazione. Il Ministero redige l'elenco di detti uffici e lo comunica alla Commission europea; segnala,
altresì, ogni eventuale modifica dello stesso entro due mesi dalla rela tiva effettuazione.
La licenza di esportazione prevista dall'articolo 2 del regolamento CE è rilasciata dall'ufficio di espor-
tazione contestualmente all'attestato di libera circolazione, ed è valida per un anno. La detta licenza
può essere rilasciata, dallo stesso ufficio che ha emesso l'attestato, anche non contestualmente
all'attestato medesimo, ma non oltre quarantotto mesi dal rilascio di quest'ultimo.
Per gli oggetti indicati nell’allegato A, l'ufficio di esportazione può rilasciare, a richiesta anche licenza
di esportazione temporanea.
Lo Stato in questi casi non si presenta come proprietario del bene data la possibilità che il suddetto
sia di appartenenza privata (per esempio), e quindi lo Stato agisce per la restituzione non in quanto
proprietario bensì in quanto titolare di poteri pubblici di tutela e protezione dei beni culturali.
Infatti, all’art. 83 vien resa nota la destinazione del bene restituito: “Qualora il bene culturale resti-
tuito non appartenga allo Stato, il Ministero provvede alla sua custodia fino alla consegna all'avente
diritto.
Quando non sia conosciuto chi abbia diritto alla consegna del bene, il Ministero dà notizia del prov-
vedimento di restituzione mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ita-
liana e con altra forma di pubblicità.
Qualora l'avente diritto non ne richieda la consegna entro cinque anni, il bene è acquisito al demanio
dello Stato e può essere assegnato ad un museo, biblioteca o archivio dello Stato, di una regione o
di altro ente pubblico territoriale, al fine di assicurarne la migliore tutela e la pubblica fruizione nel
contesto culturale più opportuno”.
Il tribunale nel disporre la restituzione del bene può liquidare un indennizzo; per ottenerlo il sog-
getto interessato deve dimostrare di aver usato la diligenza necessaria all’atto di acquisizione
(buona fede). Si tiene conto di tutte le circostanze: documenti di provenienza del bene, presenta-
zione delle autorizzazioni, della qualità delle parti, del prezzo pa gato…
Il Ministero deve informare la Commissione Europea delle misure adottate per rispettare il regola-
mento 2009 e informare il Parlamento dell’attuazione della direttiva 2014.
Presso il Ministero inoltre è istituita una banca dati dei beni illecitament e sottratti.
A. Resta ferma la disciplina dettata dalla Convenzione dell'UNIDROIT sul ritorno internazionale
dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma il 24 giugno 1995, e dalle
relative norme di ratifica ed esecuzione, con riferimento ai beni indicati nell'annesso alla
Convenzione medesima.
B. Resta ferma la disciplina dettata dalla Convenzione UNESCO sulla illecita importazione,
esportazione e trasferimento dei beni culturali, adottata a Parigi il 14 novembre 1970, e dalle
relative norme di ratifica ed esecuzione, con riferimento ai beni indicati nella Convenzione
medesima.
È vietata l'uscita dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all'articolo
10, comma 3, e che “il Ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente
individuato e, per periodi temporali definiti, abbia escluso dall'uscita, perché dannosa per il patri-
monio culturale in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all'appartenenza dei
beni medesimi.
Quindi è vietata l’uscita dei beni mobili indicati nell’art. 10 ai Commi 1, 2 e 3, e quindi i beni culturali
mobili ad appartenenza pubblica e i beni culturali mobili di appartenenza privata qualora rientrino
nell'elenco di cui al terzo comma. Questi sono quei beni che devono necessariamente restare nel
nostro territorio.
È possibile che alcuni beni culturali mobili possano uscire con un’autorizzazione in modo definitivo
e permanente.
Quali sono questi beni culturali?
Al comma 3: “Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 2, è soggetta ad autorizzazione l'uscita definitiva
dal territorio della Repubblica:
a) delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore
non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, fatta eccezione per le
cose di cui all'allegato A, lettera B, numero 1, sia superiore ad euro 13.500; non rientrano in tale
categoria i beni dichiarati di interesse culturale (art. 10, c.3);
b) degli archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale;
non rientrano in tale categoria gli archivi e i documenti dichiarati di interesse storico particolar-
mente importante (art. 10, c. 3);
c) delle cose rientranti nelle categorie di cui all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque
appartengano:
- le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o
di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, co-
munque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni;
- i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni;
- i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta
anni.
Per manifestazioni, mostre o esposizione d’arte di alto interesse culturale può essere autorizzata
l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle cose e dei beni culturali elencati al comma
3.
casi l’interessato deve comprovare al competente ufficio di esportazione che la cosa che intende
trasferire all'estero rientri nelle ipotesi per i quali non è prevista l'autorizzazione. Il competente uf-
ficio, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle che presentano un interesse storico,
artistico, archeologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della na-
zione, avvia il procedimento di dichiarazione di interesse culturale che si conclude entro 60 giorni.
Quindi l'amministrazione dei beni culturali assicura in questo modo anche una funzione di vigilanza
su ciò che esce dal territorio nazionale, e soprattutto un controllo sulla natura del bene culturale
che esce.
L’autorizzazione di cui stiamo parlando si chiama attestato di libera circolazione: è specificata
all’art. 68 ed è un provvedimento amministrativo ampliativo.
“Chi intende far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica beni culturali soggetti a divieto
relativo di uscita definitiva dal territorio nazionale deve farne denuncia e presentarle al competente
ufficio di esportazione (oggi la Soprintendenza), indicando, contestualmente e per ciascuna di esse,
il valore venale, al fine di ottenere l'attestato di libera circolazione”.
A questo punto, l'ufficio di esportazione, accertata la congruità del valore indicato, rilascia o nega
con motivato giudizio l’attestato di libera circolazione, dandone comunicazione all'interessato entro
quaranta giorni dalla presentazione della cosa.
Contro il diniego di rilascio dell'attestato è ammesso ricorso amministrativo. La negazione
dell’autorizzazione comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale
d’ufficio.
L'ufficio di esportazione può proporre al Ministero l'acquisto coattivo della cosa per la quale è ri-
chiesto l'attestato di libera circolazione (art. 70). L'ufficio di esportazione, entro un determinato
termine, può fare al Ministero una proposta di acquisto coattivo di quel bene: coattivo n el senso
che, ai fini degli effetti di trasferimento del bene, non è necessario il consenso del titolare, del ven-
ditore. Quindi se il soggetto non volesse vendere quel bene al Ministero sarebbe costretto a farlo
laddove si presenti l'ipotesi in cui il Ministero decida di acquistare coattivamente quel bene.
Concessione di ricerca
Nel caso in cui sia il proprietario stesso ad effettuare le ricerche archeologiche, il Ministero può dare
la concessione allo scavo per la ricerca.
Art. 89: “Il Ministero può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l'esecuzione delle ricerche
e delle opere indicate nell'articolo 88 ed emettere a favore del concessionario il decreto di occupa-
zione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori”.
Il concessionario non è necessariamente il proprietario dell'immobile dove devono eseguirsi le ri-
cerche, e al comma 5 troviamo specificato che: “La concessione prevista al comma 1 può essere
rilasciata anche al proprietario degli immobili ove devono eseguirsi i lavori”.
Questa concessione, che è un atto amministrativo, è riservata solo al concessionario per perseguire
quell’attività che altrimenti sarebbe riservata allo Stato.
Dagli artt. 88 e 89 che abbiamo visto consegue che tutti i soggetti che intendano svolgere ricerche
archeologiche, ivi inclusi i proprietari delle aree dipartimenti universitari di archeologia, devono
prima ottenere una concessione da parte del Ministero.
Il Codice assoggetta a tale regime tutte le ricerche archeologiche, sia gli scavi sia le ricerche di su-
perficie con l'utilizzo di apparecchiature di ricerca dei metalli.
Tra l'altro il fatto che le ricerche archeologiche sono sottoposte a concessione non è soltanto una
regola limitata al nostro ordinamento Nazionale, ma è prevista anche nell’ordinamento Internazio-
nale. La convenzione Europea per la protezione del patrimonio archeologico, sottoscritta a La Val-
letta il 16 gennaio 1992, vieta gli scavi clandestini o privi di carattere scientifico.
Questo trattato internazionale afferma l'importanza di istituire, laddove non esistano ancora, pro-
cedure di controllo amministrativo e scientifico.
Art. 3 della Convenzione:
“Allo scopo di salvaguardare il patrimonio archeologico e di garantire la scientificità delle operazioni
di ricerca archeologica, ogni Parte si impegna:
I) ad introdurre delle procedure d’autorizzazione e di controllo degli scavi e delle altre attività ar-
cheologiche, al fine di:
a) impedire scavi o allontanamento illegali di elementi del patrimonio archeologico;
b) garantire che gli scavi e le ricerche archeologiche si svolgano in modo scientifico e che:
– vengano applicati nella misura del possibile metodo di ricerca non distruttivi;
– gli elementi del patrimonio archeologico non vengano portati alla luce né lasciati esposti durante
o dopo gli scavi senza che siano state adottate delle disposizioni per la loro preservazione, conser-
vazione e gestione;
II) a fare in modo che gli scavi e le altre tecniche potenzialmente distruttive vengano praticate esclu-
sivamente da persone qualificate e munite di un’autorizzazione special e;
III) a sottomettere ad un’autorizzazione preliminare, nei casi previsti dalla legislazione interna dello
Stato, l’utilizzazione di rivelatori di metalli e di altri strumenti di rilevazione o di altri procedimenti
per la ricerca archeologica”.
In sintesi, nessuno (pubblico o privato) può svolgere ricerche archeologiche se non a seguito di un
provvedimento di concessione e se non ha una particolare competenza professionale ad eseguire
questo tipo di attività. Il codice dei beni culturali non prevede requisiti soggettivi per il rilascio delle
concessioni di scavo, non prevede direttamente chi siano le persone dotate delle competenze per
effettuare questo tipo di attività. La fonte di rango secondario (non una legge) che è stato varato
dal Ministero dei Beni Culturali che ha previsto quali siano i requisiti soggettivi in presenza dei quali
è possibile che un soggetto possa legittimamente procedere alla ricerca archeologica. Sono requisiti
che attengono al direttore dello scavo, che deve avere una preparazione specifica e congruente con
la ricerca da avviarsi maturata per formazione universitaria, post-universitaria o maturata nel set-
tore.
Il provvedimento di concessione
Il provvedimento si conclude o con rilascio del provvedimento di concessione o diniego di conces-
sione.
Il provvedimento di concessione:
1. è rilasciato dal Direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio, previa istruttoria della So-
praintendenza;
2. ha durata di regola di 3 anni;
3. fissa delle prescrizioni che devono essere seguite nello svolgimento degli scavi, in caso di inosser-
vanza delle prescrizioni la concessione è revocata (rivolte a ridurre il rischio di danneggiamenti,
ecco…);
4. la concessione può essere revocata anche quando il Ministero intenda sostituirsi nell’esecuzione
o prosecuzione delle opere. In tal caso sono rimborsate al concessionario le spese occorse per le
opere già eseguite ed il relativo importo è fissato dal Ministero in caso di
disaccordo da un perito nominato dal presidente del Tribunale).
Art. 90: “Chi scopre fortuitamente cose immobili o mobili indicate nell'articolo 10 ne fa denuncia
entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza e
provvede alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono
state rinvenute. Della scoperta fortuita sono informati, a cura del soprintendente, anche i carabinieri
preposti alla tutela del patrimonio culturale.
Ove si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo scopritore ha
facoltà di rimuoverle per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino alla visita dell'auto-
rità competente e, ove occorra, di chiedere l'ausilio della forza pubblica.
Agli obblighi di conservazione e custodia previsti nei commi 1 e 2 è soggetto ogni detentore di cose
scoperte fortuitamente. Le spese sostenute per la custodia e rimozione sono rimborsate dal Mini-
stero”.
Sempre riguardo ai beni archeologici, troviamo l’Art. 90 all’interno del quale si apre una parentesi
nell'ambito delle scoperte fortuite. Si parla di quei beni archeologici che vengono ritrovati non a
seguito di attività di ricerca autorizzata dal Ministero, ma vengono trovati casualmente. Il Codice si
preoccupa di prevedere anche questo tipo di situazioni. Ecco cosa prevede. Prevede degli obblighi
in capo al soggetto che scopre fortuitamente questa tipologia di beni culturali.
L’Art. sopra citato si occupa di questa fattispecie. Ebbene, questo è ciò che specifica: chi scopre
fortuitamente un bene di interesse archeologico deve subito denunciare, entro l’arco di un giorno,
una di queste autorità (soprintendente, sindaco o l'autorità di pubblica sicurezza); non solo ha l’ob-
bligo di denuncia, ma anche un obbligo di conservazione temporanea dei beni ritrovati. Si prevede
che nel caso in cui si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo
scopritore ha facoltà di rimuoverle per garantire al meglio la conservazione di essi.
A chi appartengono le cose rinvenute?
Nel Codice civile del 1942 viene specificato che: “Tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta
o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario. […] Per il ritrovamento degli oggetti
d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico si osservano le disposi-
zioni delle leggi speciali”.
Il Codice civile rimanda alle speciali in materia di beni culturali per stabilire la sorte di questi beni.
La legge speciale è il Codice dei beni culturali, il quale, ad oggi, prevede in osservanza della regola
vigente dal 1909 l’Art. 91: “Le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritro-
vate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o
mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del
Codice civile”.
Quindi le cose da chiunque e in qualunque modo trovate nel sottosuolo e sui fondali marini sono di
proprietà dello Stato.
Parlando del riconoscimento elargito allo scopritore del bene, l’Art. 92 del Codice specifica che: “Il
Ministero corrisponde un premio non superiore al quarto del valore delle cose ritrovate:
a) al proprietario dell'immobile dove è avvenuto il ritrovamento;
b) al concessionario dell'attività di ricerca, di cui all'articolo 89, qualora l'attività medesima non
rientri tra i suoi scopi istituzionali o statutari;
c) allo scopritore fortuito che ha ottemperato agli obblighi previsti dall'articolo 90”.
Questi sono i soggetti che hanno diritto a un premio.
Sempre nel medesimo art. si trovano anche le singole quote che possono essere richieste:
“Il proprietario dell'immobile che abbia ottenuto la concessione prevista dall'articolo 89 ovvero sia
scopritore della cosa, ha diritto ad un premio non superiore alla metà del valore delle cose ritrovate.
Nessun premio spetta allo scopritore che si sia introdotto e abbia ricercato nel fondo altrui senza il
consenso del proprietario o del possessore.
Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di parte delle cose ritrovate. In luogo
del premio, l'interessato può ottenere, a richiesta, un credito di imposta di pari ammontare, se-
condo le modalità e con i limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro dell'economia e delle
finanze di concerto con il Ministro, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.
400.”
Riassumendo
Di regola, i beni archeologici sono di appartenenza statale.
Tale regola trova eccezione (e quindi i beni archeologici sono di proprietà privata):
1. i beni ritrovati prima del 1909;
2. i beni rilasciati dallo Stato come premio di rinvenimento in natura;
3. i beni rinvenuti da scavi in aree di proprietà privata e rilasciati dalla P.A. al proprietario
dell’area in luogo dell'indennità di occupazione in denaro;
4. i beni acquisiti a seguito di alienazione da parte della P.A.;
5. i beni acquistati all’estero e importati in Italia.
Nella prassi avviene diversamente. Il nostro Stato ha una carenza cronica di fondi pubblici, e di con-
seguenza rimane restio a elargire somme di denaro (per limitare la spesa pubblica). Una circolare
del Ministero dei Beni Culturali prevede: “Per limitare il più possibile le spese relative ai premi di
rinvenimento, si precisa che non saranno comunque autorizzate richieste inerenti allo svolgimento
di scavi e ricerche su terreni di proprietà di privati, a meno che non vi sia un ’esplicita dichiarazione
di rinuncia al premio da parte del proprietario ovvero una dichiarazione del concessionario di far-
sene carico, pagando direttamente all'avente diritto la somma da calcolarsi sulla base dei conteggi
effettuati dalla Soprintendenza competente e obbligandosi verso questa Amministrazione a tenerla
indenne da ogni conseguenza patrimoniale dannosa”.
Il Ministero è restio al riconoscimento del valore della somma di denaro corrispondente al valore
del bene ritrovato. Per cui, gli scavi vengono subordinati a una dichiarazione espressa di rinuncia al
premio da parte del proprietario del bene o una dichiarazione del concessionario (diverso dal pro-
prietario) di farsene eventualmente carico (ovvero lui che paga il proprietario).
Stessa cosa nel caso in cui i proprietari non siano privati, ma pubblici. In ogni caso, sia nel caso in cui
i proprietari siano privati, sia nel caso in cui siano pubblici, il Ministero è restio a riconoscere un
premio proprio per via dell'obiettivo di limitare e ridurre la spesa pubblica.
ESPROPRIAZIONE
L’espropriazione dei beni culturali è stabilita dagli articoli 95, 96, 97, 98, 99 e 100 del Codice.
I beni culturali mobili e immobili possono essere espropriati dal Mini stero per causa di pubblica
utilità, quando l’espropriazione risponda a un importante interesse a migliorare le condizioni di
tutela ai fini della fruizione pubblica dei medesimi beni.
Il Ministero può autorizzare le regioni e gli altri enti pubblici territoriali e ogni altro ente ed istituto
pubblico a effettuare l’espropriazione. In questo caso si dichiara la pubblica utilità ai fini
dell’esproprio. Il Ministero può anche disporre l’espropriazione a favore di persone giuridiche private
senza fine di lucro, curando direttamente il relativo procedimento.
Aree e edifici possono essere espropriati per fini strumentali, quando sia necessario isolare o
restaurare beni culturali immobili, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il
decoro o il godimento da parte del pubblico e facilitarne l’accesso.
L’espropriazione di immobili per interventi di interesse archeologico o per ricerche viene effettuata
dal Ministero.
La pubblica utilità è dichiarata con decreto ministeriale o anche con provvedimento della regione
comunicato al Ministero. L’approvazione del progetto equivale a dichiarazione di pubblica utilità per
l’espropriazione per fini strumentali o per interesse archeologico.
L’indennità nel caso di espropriazione dei beni culturali consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe
in una libera contrattazione di compravendita all’interno dello Stato. Il pagamento dell’indennità è
effettuato secondo modalità stabilite dalle disposizioni di espropriazione per pubblica utilità.
Per le espropriazioni di interesse archeologico e per le espropriazioni per fini strumentali si applicano
le disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità.
ISTITUTI E LUOGHI DI CULTURA: NOZIONE E MODALITA’ DI FRUIZIONE E ACCESSO – LUOGHI DI
CULTURA – FRUIZIONE DI BENI CULTURALI DI APPARTENENZA PUBBLICA O DI PROPRIETA’ PRIVATA
Come stabilito dall’art. 101 del Codice, sono istituti e luoghi di cultura i musei, le biblioteche e gli
archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
Per “museo” si intende una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed
espone beni culturali per finalità di educazione e di studio.
Per “biblioteca” si intende una struttura permanente che raccoglie, cataloga, conserva un insieme
organizzato di libri, materiali e informazioni editi o pubblicati su qualunque supporto e ne assicura
la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio.
Per “archivio” si intende una struttura permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti
originali di interesse storico e ne assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca.
Per “area archeologica” si intende un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di
manufatti o strutture preistorici o di età antica.
Per “parco archeologico” si intende un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze
archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come
museo all’aperto.
Per “complesso monumentale” si intende un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati
anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito una autonoma rilevanza storica, artistica
ed etnoantropologica.
Gli istituti e i luoghi di cultura elencati che appartengono a soggetti pubblici sono destinati alla
pubblica fruizione ed espletano un servizio pubblico. Gli istituti e i luoghi di cultura che
appartengono a soggetti privati e sono aperti al pubblico espletano un servizio privato di utilità
sociale.
La fruizione degli istituti e dei luoghi di cultura di appartenenza pubblica è disciplinata dall’art. 102
del Codice. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente e istituto pubblico
assicurano la fruizione dei beni presenti negli istituti e luoghi di cultura nel rispetto dei principi
fondamentali fissati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La legislazione regionale disciplina la fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura
non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della
normativa vigente.
La fruizione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e i luoghi di cultura è assicurata secondo
le disposizioni di fruizione e valorizzazione del Codice. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali definiscono accordi nell’ambito e con le procedure di valorizzazione dei beni culturali di
appartenenza pubblica indicate all’art.112. In assenza di accordo ciascun soggetto pubblico è tenuto
a garantirne la fruizione dei beni di cui ha la disponibilità. Il Ministero può trasferire alle regioni e
agli altri enti pubblici territoriali la disponibilità di istituti e luoghi di cultura al fine di assicurare
un’adeguata fruizione e valorizzazione dei beni.
L’accesso agli istituti e ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il Ministero,
le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono stipulare intese per coordinare l’accesso ad essi
e, nei casi di accesso a pagamento, determinano: i casi di libero accesso e di ingresso gratuito; le
categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del prezzo; le modalità di emissione,
distribuzione e vendita del biglietto d’ingresso e di riscossione del corrispettivo.
L’accesso agli archivi e biblioteche pubbliche è gratuito.
Per quanto riguarda la fruizione di beni culturali di proprietà privata si esprime l’art. 104 del Codice.
Possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali:
1) i beni culturali immobili indicati all’art.10, comma 3, lettere a e d (le cose immobili e mobili
che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolar-
mente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; le cose im-
mobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente impor-
tante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte,
della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze
dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì
un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provve di-
mento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di
monumento nazionale );
2) le collezioni dichiarate ai sensi dell’art.13;
3) l’interesse eccezionale degli immobili indicati al comma 1 è dichiarato con atto del Ministero,
sentito il proprietario;
4) fatte salve le disposizioni dell’art.38 = i beni culturali restaurati o sottoposti a interventi con-
servativi sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate da appositi accordi o con-
venzioni da stipularsi fra il Ministero e i singoli proprietari.
I diritti di uso e godimento pubblico vengono vigilati dal Ministero e dalle regioni affinché vengano
rispettati (art. 105).
USO E FRUIZIONE DEI BENI DI PROPRIETA’ PUBBLICA E PRIVATA (DISCIPLINA GIURIDICA E MODALITÀ
DI INDIVIDUAZIONE)
I diritti di uso e godimento pubblico vengono vigilati dal Ministero e dalle regioni affinché vengano
rispettati (art. 105).
L’art. 106 specifica l’uso individuale dei beni culturali. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali possono concedere a singoli richiedenti l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna
per finalità compatibili con la loro destinazione culturale. Per i beni in consegna al Ministero, il
soprintendente determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento; per gli altri beni la
concessione in uso è subordinata all’autorizzazione del Ministero, rilasciata solo se esistono le
condizioni di compatibilità, conservazione e fruizione pubblica del bene.
Come stabilito dall’art. 107, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono
consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in
consegna. È di regola vietata la riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi per
contatto dagli originali di sculture e di opere a rilievo (è consentita soltanto in via eccezionale da
modalità stabilite da decreto ministeriale). Sono consentiti previa autorizzazione del soprintendente
i calchi da copie degli originali già esistenti.
L’autorità che ha in consegna i beni determina i canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle
riproduzioni di beni culturali. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste da privati per uso
personale o per motivi di studio. La cauzione viene determinata dall’autorità che ha in consegna i
beni nei casi in cui dall’attività in concessione possa derivare un pregiudizio e viene restituita quando
sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state
rimborsate. Gli importi dei canoni sono stabiliti dall’amministrazione concedente.
La fruizione degli istituti e dei luoghi di cultura di appartenenza pubblica è disciplinata dall’art. 102
del Codice. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente e istituto pubblico
assicurano la fruizione dei beni presenti negli istituti e luoghi di cultura nel rispetto dei principi
fondamentali fissati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La legislazione regionale disciplina la fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura
non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della
normativa vigente.
La fruizione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e i luoghi di cultura è assicurata secondo
le disposizioni di fruizione e valorizzazione del Codice. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali definiscono accordi nell’ambito e con le procedure di valorizzazione dei beni culturali di
appartenenza pubblica indicate all’art.112. In assenza di accordo ciascun soggetto pubblico è tenuto
a garantirne la fruizione dei beni di cui ha la disponibilità. Il Ministero p uò trasferire alle regioni e
agli altri enti pubblici territoriali la disponibilità di istituti e luoghi di cultura al fine di assicurare
un’adeguata fruizione e valorizzazione dei beni.
L’accesso agli istituti e ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il Ministero,
le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono stipulare intese per coordinare l’accesso ad essi
e, nei casi di accesso a pagamento, determinano: i casi di libero accesso e di ingresso gratuito; le
categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del prezzo; le modalità di emissione,
distribuzione e vendita del biglietto d’ingresso e di riscossione del corrispettivo.
L’accesso agli archivi e biblioteche pubbliche è gratuito.
Per quanto riguarda la fruizione di beni culturali di proprietà privata si esprime l’art. 104 del Codice.
Possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali:
1) i beni culturali immobili indicati all’art.10, comma 3, lettere a e d (le cose immobili e mobili
che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolar-
mente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; le cose im-
mobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente impor-
tante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte,
della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze
dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì
un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedi-
mento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di
monumento nazionale );
2) le collezioni dichiarate ai sensi dell’art.13;
3) l’interesse eccezionale degli immobili indicati al comma 1 è dichiarato con atto del Ministero,
sentito il proprietario;
4) fatte salve le disposizioni dell’art.38 = i beni culturali restaurati o sottoposti a interventi con-
servativi sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate da appositi accordi o con-
venzioni da stipularsi fra il Ministero e i singoli proprietari.
L’art. 111 riguarda le attività di valorizzazione che consistono nella costituzione ed organizzazione
stabile delle competenze tecniche o delle risorse finanziarie e strumentali finalizzate all’esercizio
delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicare all’art. 6.
A tali attività possono partecipare o concorrere soggetti privati. La valorizzazione è ad iniziativa pub-
blica o privata.
Per quanto riguarda la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica lo Stato e gli enti
pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e luoghi di cultura nel
rispetto dei principi fondamentali fissati dal Codice.
Le regioni disciplinano funzioni e attività di valorizzazione dei beni presenti NON appartenenti allo
Stato o dei quali abbia trasferito la disponibilità (gestione)
La valorizzazione dei beni culturali al di fuori degli istituti e dei luoghi di cultura è assicurata dal
soggetto che ne abbia titolarità compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali a cui
sono destinati
L’art. 112 stabilisce che tutti i soggetti pubblici debbano cooperare e stabilire accordi che abbiano
ad oggetto la valorizzazione attraverso programmi, piani, modalità di gestione…
Le regioni e i vari enti pubblici possono costituire appositi soggetti giuridici (società, organizzazioni,
enti) per elaborare e sviluppare piani di valorizzazione. A questa organizzazione possono partecipare
anche privati proprietari di beni culturali suscettibili di essere oggetto di valorizzazione nonché per-
sone giuridiche private senza fine di lucro anche quando non dispongano di beni privati.
In ogni caso qualsiasi ente pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni che gestisce.
Possono essere stipulati accordi tra lo Stato, le regioni e gli enti pubblici territoriali e i privati per
regolare servizi strumentali comuni destinati alla valorizzazione e alla fruizione dei beni culturali o
accordi per la promozione, diffusione e conoscenza dei beni culturali.
Per quanto riguarda la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza privata (art. 113), le attività
e le strutture di valorizzazione ad iniziativa privata possono beneficiare del sostegno pubblico da
parte dello Stato tenendo conto delle misure di valorizzazione e dei beni culturali a cui si riferiscono.
Le modalità di valorizzazione sono stabilite tramite accordo con il proprietario, ma gli enti pubblici
territoriali possono concorrere con il Ministero alla valorizzazione dei beni di proprietà provata par-
tecipando a questi accordi.
L’art. 114 stabilisce che sia in caso di beni pubblici che in caso di beni privati, vanno garantiti deter-
minati livelli di qualità nell’attività di valorizzazione. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali, anche con il concorso dell’università, fissano dei livelli minimi e uniformi di qualità
dell’attività di valorizzazione sui beni. I soggetti che hanno in gestione le attività di valorizzazione
dovranno adeguare la propria condotta a questi livelli.
L’art. 115 stabilisce le forme per la gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali.
Le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta
o indiretta.
La gestione diretta è svolta dalle amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia scientifica,
organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Le amministrazioni
possono attuare la gestione diretta anche in forma consortile pubblica.
La gestione indiretta è affidata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione da parte
delle amministrazioni pubbliche attraverso procedure di evidenza pubblica, sulla base della
valutazione comparativa di progetti. I privati non possono essere individuati come concess ionari
delle attività di valorizzazione. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali ricorrono alle
forme di gestione indiretta al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali.
La scelta tra le due forme di gestione è attuata mediante valutazione comparativa in termini di
sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia sulla base di obiettivi predefiniti.
Le amministrazioni pubbliche e i soggetti giuridici a cui è stata affidata l’elaborazione e lo sviluppo di
piani di sviluppo culturale, regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione
mediante contratto di servizio nel quale è presente il progetto di gestione delle attività di
valorizzazione e i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi e le figure professionali. Nel contratto
sono indicati i servizi essenziali per la pubblica fruizione del bene.
In caso di inadempimento da parte del concessionario degli obblighi derivanti dalla concessione e
dal contratto di servizio, l’amministrazione determina la fine del rapporto concessorio e degli effetti
del conferimento in uso dei beni, senza indennizzo. L’amministrazione vigila sul rapporto
concessorio.
La concessione in uso degli spazi necessari all’esercizio di valorizzazione può essere collegata alla
concessione delle attività di valorizzazione. In qualsiasi caso di cessazione della concessione delle
attività la concessione in uso perde efficacia.
Il Ministero provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili secondo
la legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica
L’art. 116 riguarda la tutela dei beni culturali conferiti o concessi in uso; da parte della pubblica
amministrazione ci saranno obblighi di vigilanza, gestione e tutela.
L’art. 117 riguarda i servizi per il pubblico (si ricollega alla disciplina prevista dall’art. 101 che ri-
guarda gli Istituti e i luoghi di cultura > luoghi destinati alla godibilità pubblica) .
Negli Istituti e nei luoghi di cultura possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospita-
lità del pubblico (in forma diretta e consortile o in forma indiretta mediante concessione a soggetti
privati). Tra i servizi rientrano:
- Servizio editoriale e di vendita (negozi di gadget);
- Servizio riguardante beni librario e archivistici per la fornitura di riprod uzioni;
- Servizi di accoglienza, assistenza e intrattenimento per l’infanzia;
- Servizi di informazione, guida, assistenza didattica, centri di incontro…;
- Servizi di caffetteria, ristorazione e guardaroba;
- Servizi di pulizia, vigilanza e biglietteria;
- Servizi igienici.
L’art. 118 stabilisce che il Ministero e gli enti pubblici territoriali possano realizzare programmi e
progetti per la promozione e il sostegno, anche congiunto, di ricerche, studi e tutte le attività cono-
scitive aventi oggetto il patrimonio culturale.
Ai fini di garantire la raccolta sistematica dei risultati degli studi, possono essere stipulati accordi tra
il Ministero e le regioni per istituire centri di studio, catalogazione e documentazione prevedendo
anche il concorso delle università.
L’art. 119 dice che per garantire la conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole, il Ministero
può concludere accordi aventi ad oggetto la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale e
favorire la fruizione dei soggetti in età scolare e stabilire convenzioni con università e istituti di for-
mazione aventi ad oggetto l’attuazione di progetti informativi e di aggiornamento dei connessi per-
corsi didattici.
L’art. 120 si occupa delle sponsorizzazioni dei beni culturali. È sponsorizzazione dei beni culturali
ogni contributo erogato per la progettazione o l’attuazione di iniziative per valorizzare il patrimonio
culturale con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’at-
tività del soggetto erogante. La promozione deve attuarsi in forme compatibili con il carattere arti-
stico e storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare. Tali forme sono stabilite nel con-
tratto di sponsorizzazione.
L’art. 121 si occupa di accordi con le fondazioni bancarie. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pub-
blici territoriali possono stipulare protocolli d’intesa con le fondazioni bancarie conferenti che per-
seguano scopi di utilità sociale nel settore dell’arte e delle attività dei beni culturali.
Questi accordi coordinano interventi di valorizzazione del patrimonio culturale e garantiscono il giu-
sto impiego delle risorse finanziare messe a disposizione dalla fondazione.
SANZIONI
Le sanzioni sono di due tipologie: amministrative e penali.
Fra le sanzioni amministrative si cita l’art. 160 “ordine di reintegrazione”, il quale stabilisce che, se
per effetto della violazione degli obblighi di protezione e conservazione c’è un danno, il Ministero
ordina al responsabile l’esecuzione a sue spese delle opere di reintegrazione e ripristino (vanno
eliminate tutte le opere di modifiche per riportare il bene allo status originale).
In caso di inottemperanza, il Ministero procede all’esecuzione d’ufficio, sempre a spese del sog-
getto.
Quando la reintegrazione non sia possibile, il soggetto è tenuto a corrispondere allo Stato una
somma pari al valore della cosa perduta.
Tali disposizioni valgono anche per danni causati alle cose ritrovate di cui all’art.91. ( art. 161)
Inoltre, se il bene scompare o non è più rintracciabile sul territorio nazionale, il trasgressore o i
trasgressori dovranno corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa. Anche qui, se
ci sono controversie riguardo al valore, interviene una commissione di tre persone nominate dal
Ministero, dal soggetto e dal presidente del tribunale. (art. 163)
L’art. 164 stabilisce che le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici compiuti da privati contro i
divieti stabiliti dal codice o senza l’osservanza delle condizioni sono NULLI.
Il Ministero potrà esercitare la prelazione (sostituirsi all’eventuale venditore).
Chiunque trasferisce all’estero le cose o i beni indicati all’art.10 è punito con la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma compresa fra i 77,5 euro ai 465 euro. (art. 165)
Chi effettua l’esportazione di un bene culturale al di fuori dell’UE non rispettando le normative
disposte dal regolamento CEE n.752/93 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di
una somma compresa fra i 103,5 e i 620 euro. (art. 166)
Fra le sanzioni penali si cita l’art. 169 che stabilisce le sanzioni per le opere illecite.
È punito con l’arresto da 6 mesi a 1 anno e con l’ammenda che va da 775 a 38.700 euro
- chi effettua opere non autorizzate su beni culturali;
- chi procede al distacco di affreschi/stemmi/graffiti/iscrizioni;
- chi esegue lavori provvisori indispensabili per la conservazione senza darne immediata notizia alla
sovraintendenza;
- chi destina i beni culturali ad un uso incompatibile con il loro carattere;
- chi colloca o rimuove illecitamente il bene dal luogo a cui il sovraintendente l’ha destinato;
- chi non osserva le prescrizioni date dal Ministero.
L’art. 170 stabilisce che è punito con l’arresto da 6 mesi a un anno e con l’ammenda da 775 euro a
38.700 euro chi destina i beni culturali ad un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico
con pregiudizio per la loro conservazione.
L’art. 171 punisce con l’arresto da 6 mesi a un anno e con l’ammenda da 775 euro a 38.700 euro chi
colloca o rimuove illecitamente i beni culturali. Alla stessa pena risponde il detentore che omette di
dare notizia alla competente soprintendenza dello spostamento dei beni culturali.
L’art. 172 dice che è punito con l’arresto da 6 mesi a un anno e con l’ammenda da 775 euro a 38.700
euro chiunque non osserva le prescrizioni di tutela indiretta stabilite dall’art.45 del Codice.
L’art 173 stabilisce le violazioni in materia di alienazione. È punito con la reclusione fino a 1 anno e
con l’ammenda che va da 1550 a 77.500 euro:
- chiunque aliena beni culturali senza autorizzazione;
- chiunque non presenta la denuncia degli atti di trasferimento;
- l’alienante di un bene culturale soggetto a prelazione.
Per l’uscita e le esportazioni illecite si esprime l’art.174. È punito con la reclusione da 1 a 4 anni e
con l’ammenda che va da 260 a 5200 euro:
- chiunque trasferisce all’estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico,
bibliografico, documentale o archivistico senza attestato di libera circolazione o licenza di e sporta-
zione;
- chiunque non fa rientrare un bene culturale per il quale sia stata autorizzata l’uscita o l’esporta-
zione temporanea alla scadenza del termine. Il giudice può disporre anche la confisca del bene da
parte dello Stato.
È punito con la reclusione fino a 1 anno e con l’ammenda che va da 310 a 3.099 euro (art.175):
- chiunque esegue ricerche archeologiche senza concessione;
- chi non denuncia le cose ritrovate casualmente nel sottosuolo o non provvede alla loro conserva-
zione temporanea.
L’impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato è sanzionato dall’art.176 con la
reclusione fino a 3 anni e con l’ammenda che va da 31 a 516,5 euro:
La pena applicabile è ridotta se il colpevole fornisce una collaborazione decisiva o rilevante per il
recupero del bene sottratto.
Per la contraffazione delle opere d’arte (art.178) è punito con la reclusione da 3 mesi a 4 anni e con
l’ammenda che va da 103 a 3.099 euro (la sanzione aumenta se i fatti sono commessi da attività
commerciali):
- chi contraffà, altera o riproduce un’opera al fine di trarne profitto;
- chi pone in commercio, detiene per farne commercio o introduce nel territorio dello Stato un’opera
contraffatta;
- chi, conoscendone la falsità, autentica opere di interesse storico o artistico;
- chi, conoscendone la falsità, accredita come autentiche opere di interesse storico o artistico.
La sanzione aumenta se i fatti sono commessi da attività commerciali.
È sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti dei beni culturali.
L’art. 179 stabilisce che tutte le sanzioni per i reati di contraffazione di opere d’arte NON si attuano
per chi detiene, riproduce, diffonde o pone in vendita copie di oggetti d’arte, scultura, grafi ca (…)
dichiarandone esplicitamente la NON autenticità mediante annotazione scritta sull’opera o sull’og-
getto/dichiarazione rilasciata durante l’atto di vendita
In base alle disposizioni fornite dall’articolo 650 del Codice penale, è punito con l’arresto fino a 3
mesi e con l’ammenda che va fino a 206 euro chiunque non si adoperi per un obbligo del Ministero
volto alla tutela dei beni culturali.
BENI IMMATERIALI
Anche i beni culturali immateriali, in quanto espressioni di identità culturale collettiva, rientrano
nelle disposizioni del Codice. L’articolo 7 bis recepisce infatti 2 importanti Convenzioni UNESCO,
firmate a Parigi nel 2003 e 2005, riguardanti la salvaguardia, protezione e promozione del patrimonio
culturale immateriale e delle diversità delle espressioni culturali.
Per patrimonio culturale immateriale si intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le
conoscenze, il know-how (come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi associati agli
stessi) che le comunità, i gruppi e gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio
culturali. Esempi concreti possono essere il linguaggio, il folklore, l’artigianato, il cibo, la musica, lo
spettacolo…
Le Convenzioni UNESCO hanno istituito un apposito Comitato, incaricato di accertare il valore
culturale di un bene immateriale (su richiesta dei singoli stati), inserendolo poi in un elenco.
Il codice pone però due ulteriori condizioni cumulative affinché questi beni immateriali o espressioni
di identità culturale collettiva siano assoggettate alle disposizioni di tutela e valorizzazione:
1) devono essere rappresentati da testimonianze materiali;
2) devono presentare un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico,
bibliografico ai sensi dell’art. 10.
CONVENZIONE UNESCO DI PARIGI 2003 e 2005
Riguardano i beni culturali IMMATERIALI (tradizioni culturali, folklore, cibi, musica...) che hanno un
alto valore culturale.
La loro tutela è molto complicata in linea di principio poiché non possono essere utilizzati gli ordinari
strumenti. Questi beni costituiscono espressione di identità culturale collettiva.
In base a queste leggi anche i beni culturali immateriali devono essere tutelati.
Al codice dei beni culturali del 2004, nel 2008 è stato aggiunto l’art. 7 bis in cui si riconosce che
anche i beni culturali immateriali sono tutelai in quanto espressione dell’identità collettiva.
Le condizioni però sono due e sono cumulative (devono ricorrere entrambe):
● che siano rappresentati da testimonianze materiali (es. una canzone non può essere tutelata in
quanto pura canzone, ma solo se ci sia un disco, una casetta, un cd... = si riduce la tutela di un bene
immateriale a quella più superficiale di un bene materiale);
● che rappresentino un interesse storico, artistico, culturale, antropologico… ai sensi dell’art.10 del
codice dei beni culturali.
Le convenzioni prevedono che i beni immateriali, per essere tutelati, debbano essere scritti in spe-
cifici elenchi redatti dagli Stati membri.
Vi è un’apposita procedura di valutazione del bene con un apposito comitato, il comitato Unesco. Il
bene viene inserito in elenco attraverso un’istruttoria.
DISCIPLINA DEI BENI CULTURALI STABILITA DALL’U.E. - LA NORMATIVA EUROPEA IN AMBITO BENI
CULTURALI
La Comunità economica europea è nata con il Trattato di Roma da sette stati, tra i quali anche l’Italia.
Man mano questa Comunità si è estesa diventando, da sola CEE (in cui si riconosceva il principio
fondamentale della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali basato sul PARCONDICIO
e la LIBERA CONCORRENZA) ad una vera e propria Unione europea in cui l’intenzione era quella di
RAFFORZARE I LEGAMI TRA I PAESI MEMBRI, anche sotto l’aspetto politico.
IL TRATTATO CEE è diventato il TRATTATO DELL’UNIONE EUROPEA, stipulato a Maastricht nel 1992.
Originariamente i beni culturali non erano previsti, successivamente la cultura è stata inserita nel
trattato originario ovvero il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea consolidato con quello
originario → TFUE, firmato il 13 dicembre 2007.
Il Trattato prevede che è necessario:
- contribuire allo sviluppo delle culture degli stati membri;
- incoraggiare la cooperazione tra stati per sviluppare le culture;
- stabilire il principio generale per cui una della finalità dell’UE sia quello di migliorare la conoscenza
della storia dei popoli;
- conservare e salvaguardare il patrimonio culturale dei singoli stati favorendo scambi culturali non
commerciali e la creazione artistica e letteraria compreso il settore audiovisivo.
Uno degli obiettivi stabilito dall’articolo 167 del TFUE è quello di conservazione e salvaguardia del
patrimonio culturale di importanza europea.
Un principio fondamentale stabilito dagli articoli 34 e 35 del TFUE è quello di evitare restrizioni per
l’importazione e l’esportazione di beni e servizi.
L’articolo 36 stabilisce un’eccezione molto importante e cioè che ci possano essere restrizioni, limi-
tazioni ed esclusione di esportazione e importazione ai fini della protezione del patrimonio artistico-
culturale. Queste limitazioni, come nella Convenzione Unidroit, vanno motivate e non devono co-
stituire un mezzo di discriminazione arbitraria ingiustificata o una limitazione dissimulata al com-
mercio tra gli stati membri.
Da questa norma traiamo che:
● spetta ad ogni Stato individuare, definire e disciplinare il proprio patrimonio culturale
● il patrimonio culturale di ogni stato membro viene riconosciuto e tutelato dall’Unione Europea
● le norme nazionali di ogni stato membro definiscono quelle di tutela e protezione che possono
comportare limiti, divieti e restrizioni a importazioni ed esportazioni nell’ambito dell’Unione Euro-
pea (con unico limite previsto dall’art. 36).
Esiste un altro trattato sottoscritto da organismi esterni alla commissione dell’unione europea e
cioè il Consiglio d’Europa (organismo internazionale autonomo rispetto all’UE che ha sede a Stra-
sburgo e di cui fanno parte 47 stati di cui 23 dell’UE. Ha lo scopo specifico di salvaguardare e pro-
muovere il patrimonio comune, gli ideali e lo sviluppo economico-sociale dei paesi europei).
Questo consiglio ha stipulato la CONVENZIONE CULTURALE EUROPEA del 1954 che stabilisce principi
generalissimi rispetto alle altre.
L’articolo 36 del TFUE ha avuto delle applicazioni concrete in Europa = sono stati emanati un rego-
lamento e una direttiva che disciplinano la materia in ambito europeo.
Le istituzioni dell’Unione europea sono disciplinate dal Trattato, che stabilisce norme direttamente
applicabili da tutti gli stati membri (in Italia art. 10 della Costituzione). Le istituzioni comunitarie
(Parlamento europeo e Commissione europea) possono emanare anche provvedimenti legislativi e
amministrativi.
Gli atti normativi europei sono di due tipi:
I regolamenti contengono norme che sono immediatamente applicabili e vincolanti per tutti gli stati
membri.
Le direttive sono sempre norme vere e proprie ma DI PRINCIPIO; infatti, per essere applicate nei vari
stati hanno bisogno di leggi di attuazione nazionali che le recepiscano (gli stati devono scrivere delle
norme nazionali così che quelle europee possano essere applicabili) + esistono anche le direttive
self-executive con le quali le istituzioni emanano specifici procedimenti puntuali e dettagliati che
non hanno bisogno di norme di recepimento e vengono equiparate ai regolamenti .
L’art. 2 dice che la protezione dei beni culturali comporta per tutti gli stati aderenti la necessità della
loro salvaguardia e il loro rispetto.
Gli art. 3 e successivi stabiliscono gli obiettivi e gli impegni delle parti contraenti che hanno aderito
al trattato (principi):
Secondo l’art. 3 i soggetti devono prendere le misure volte a conservare e tutelare i beni culturali
già in tempo di pace prendendo tutte le misure considerate appropriate (prevenzione).
In base all’art. 4 i soggetti devono trattare i beni culturali degli altri stati come fossero i propri, aste-
nendosi dal deteriorarli, danneggiarli o sottrarli.
Nel caso di conflitto armato inoltre devono limitare l’uso della violenza evitando che questa venga
rivolta ai Beni culturali.
È vietato senza eccezione di sorta qualsiasi atto di vandalismo o rappresaglia verso i beni, oltre al
furto, ai saccheggi e alla depravazione.
I soggetti sono tenuti ad assicurare le necessarie misure di conservazione necessarie in collabora-
zione con le autorità specializzate.
Inoltre, si prevede l’instaurazione di uno spirito di rispetto delle culture e dei beni culturali degli altri
popoli + la predisposizione di rifugi appositi per conservare i beni culturali nel caso di conflitto + vi
è una lista di beni che devono godere di una protezione speciale (scritti in un registro ufficiale).
Questo diritto convenzionale però:
● sarebbe applicabile solo agli Stati che avevano aderito (126);
● non aveva effetto retroattivo;
● stabiliva norme generalissime;
● non prevedeva sanzioni;
● non prevedeva un organo internazionale di controllo.
L’art. 4 e seguenti parlano degli impegni degli stati: ogni stato riconosce che l’obbligo di tutela, con-
servazione e trasmissione alle future generazioni costituiscono un obbligo primario. Inoltre, si im-
pegnano a collaborare con gli altri Stati sul piano finanziario, artistico, scientifico e tecnico.
L’art. 5 prevede degli obblighi particolari: gli stati devono istituire sul proprio territorio uno o più
servizi di tutela e conservazione per i beni culturali avente valore universale, inoltre devono adottare
tutte le misure giuridiche/tecniche/amministrative/finanziare per garantirne la tutela e conserva-
zione.
L’art. 6 stabilisce il principio per cui tutti gli stati debbano collaborare e astenersi da qualsiasi inizia-
tiva che possa direttamente o indirettamente arrecare danno a un bene culturale internazionale che
si trovi in un altro stato aderente alla convenzione.
L’art. 7 prevede un sistema vero e proprio di cooperazione concreta = per l’applicazione del trattato
si stabilisce la creazione di un comitato intergovernativo denominato COMITATO PER IL
PATRIMONIO MONDIALE (ha lo scopo di applicare i principi e le disposizioni della convenzione) →
compila, aggiorna e pubblica un elenco dei beni del patrimonio culturale che hanno valore
universale eccezionale (d’ufficio o ad istanza di parte per conto di altri stati in base a un’i struttoria)
+ compila un secondo elenco dei beni del patrimonio mondiale IN PERICOLO per la cui salvaguardia
e tutela siano necessari lavori considerevoli (lo Stato in cui si trova questo bene può richiedere
l’assistenza internazionale; il comitato dovrà verificare che ci siano le condizioni e stipulare un
accordo con il governo dello stato che ha fatto domanda. Lo stato potrà anche richiedere di usare il
FONDO DEL PATRIMONIO MONDIALE alimentato da contributi volontari e obbligatori degli stati che
hanno aderito alla convenzione. L’assistenza può essere di tipo finanziario, ma può anche
comprendere il Comitato o singoli stati esteri per studi su problemi scientifici/tecnici, la nomina di
esperti tecnici e manodopera qualificata, programmi di formazione di specialisti a tutti i livelli nel
campo del restauro e della valorizzazione, la fornitura di attrezzature non possedute, la concessione
di prestiti senza interessi o a interessi ridotti che possano essere rimborsati a lungo termine, la
concessione di sovvenzioni non rimborsabili ulteriori rispetto all’utilizzo del fondo e prestiti...).
È stata ratificata ed è entrata in vigore in Italia solo nel 2010, inserita nel Codice dei beni culturali
all’art. 94.
La Convenzione è stata adottata a Parigi, si rifà alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del
mare del 1982 ed è strutturata in due parti:
1) un testo principale composto da 35 articoli in cui vengono stabiliti principi generali;
2) allegato composto da 36 regole specifiche (manuale per l’effettiva conservazione e valorizzazione
dei beni del patrimonio culturale subacqueo).
L’art. 1 dà una definizione di patrimonio culturale subacqueo: tutte le tracce di esistenza umana che
abbiano carattere culturale, storico o archeologico che siano state sommerse per almeno 100 anni.
L’art. 2 stabilisce gli obiettivi generali della convenzione: assicurare e rafforzare la protezione del
patrimonio culturale subacqueo.
La tutela si basa su 4 regole fondamentali:
1) obbligo per gli Stati di proteggere il patrimonio subacqueo;
2) preservare in sito il patrimonio culturale sommerso → preferenza dettata dalla volontà di rispet-
tare il contesto storico/scientifico in cui si trova il bene;
3) divieto di sfruttare commercialmente il patrimonio culturale subacqueo → posto al fine di fer-
mare il traffico illecito;
4) cooperazione degli stati membri per la tutela → richiamata in diverse sezioni (accordi tra Stati).
La convenzione propone inoltre un apposito ente chiamato “conferenza degli stati parte” che si deve
riunire con cadenza biennale e stabilirà le proprie funzioni, responsabilità e orientamento interno =
dovrà vigilare sul rispetto della convenzione, favorire la cooperazione, elaborare strategie e progetti
per la tutela (…).
L’allegato stabilisce regole pratiche che gli Stati dovrebbero adottare= applicazione dei principi di
conservazione.
CONVENZIONE UNIDROIT
Stipulata a Roma nel 1975 e promossa dall’istituto Unidroit e cioè l’istituto internazionale per l’uni-
ficazione del diritto privato la cui finalità è la tutela degli acquirenti in buona fede dei beni culturali
rubati o illecitamente importati → disciplina il ritorno.
Nel preambolo si stabilisce che il traffico illecito di beni culturali è diventato un problema interna-
zionale molto grave e una finalità primaria della convenzione è quella della lotta contro di esso.
La convenzione stabilisce regole comuni per la restituzione e il ritorno.
Rispetto alla disciplina Unesco del 1970 di Parigi, questa stabilisce norme più specifiche che riguar-
dano i procedimenti di restituzione dei beni trafugati. In questo caso gli stati aderenti sono solo 36
(tra cu l’Italia).
Lo stato può richiedere la restituzione quando questa corrisponda a un interesse in materia di con-
servazione fisica e tutela del bene e del suo contesto, o l’integrità di un b ene complesso, o l’infor-
mazione della culturale scientifica/storica, quando lo stato dimostri che il bene ha un’importanza
culturale significativa.
Questa Convenzione costituisce una deroga all’articolo 1153 del Codice civile riguardo al possesso
in buona fede vale titolo, che vale per tutti i beni mobili NON REGISTRATI (es. NO barche e auto) →
se un bene viene alienato a un altro proprietario, questo ne acquisisce la proprietà attraverso il
possesso purché sia in buona fede al momento della consegna; in caso contrario il legittimo proprie-
tario potrà chiedere la restituzione non solo a chi lo ha rubato, ma anche al nuovo proprietario.
Questa regola non è contestabile nel caso di un bene culturale.
L’acquirente in buona fede di beni culturali rubati o esportati illecitamente, in base alla convenzione
di Unidroit e quella di Parigi del 1970 DEVE RESTITUIRLO senza opporsi. Anche questa convenzione
da diritto all’indennizzo (se in buona fede) che deve essere equo.
Questa regola vale sia nel caso di illecita importazione che esportazione.
CONVENZIONE GATT
La convenzione GATT è l’accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio.
Fu stipulata a Ginevra il 30 ottobre 1947 e ratificata in Italia con la legge 1172. Contiene una serie di
regole che si basano sulla non discriminazione e disciplinano il libero commercio internazionale ad
eccezione di una serie di beni, tra i quali anche beni culturali.
Queste norme limitano o escludono lo scambio di beni culturali purché non costituiscano un mezzo
di discriminazione arbitraria o ingiustificata.
La regione NON INTEGRAVA i soli principi, ma aveva il compito di dare attuazione alle leggi dello
Stato già complete, che per la loro attuazione necessitavano di una normativa.
Ora, con la legge costituzionale n° 3 del 2001, normativa prevede che:
● lo stato ha competenza legislativa esclusiva SOLO IN DETERMINATE MATERIE indicate dal comma
1 dell’art. 117 (rapporti internazionali, immigrazione, politica estera, moneta, difesa e forze ar-
mate…) = può legiferare solo ed esclusivamente lo Stato.
● in altre materie è prevista la competenza CONCORRENTE o RIPARTITA tra stato e regione (molto
ampliate rispetto al vecchio art. 117) = nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni
la potestà legislativa salvo per la determinazione dei principi fondamentali che è prerogativa dello
Stato.
● le regioni hanno competenza esclusiva residuale = nelle materie non comprese né tra la legisla-
zione esclusiva dello stato né tra quella concorrente.
● Inoltre, l’art. 117 disciplina i regolamenti = segue i principi applicabili alle fonti normative primarie.
- nei casi di competenza legislativa dello Stato, quest’ultimo può comunque delegare le regioni .
- negli altri casi (competenza concorrente o ripartita), questa spetta alle regioni .
Articolo 9 della Costituzione (principi fondamentali) dice che la Repubblica promuove la cultura.
Comma 2: la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della nazione → QUINDI
una delle finalità primarie dello Stato è promuovere la cultura e tutelare il patrimonio storico -arti-
stico (patrimonio culturale).
A questo si conforma l’art. 117 → QUINDI:
• rientra nella COMPETENZA ESCLUSIVA DELLO STATO la tutela dei beni culturali (si parla di
“bene culturale” perché nel 2001 era già ben chiaro che cosa fossero i beni culturali e il patrimonio
culturale);
• mentre la valorizzazione dei beni culturali e ambientali rientra nella COMPETENZA CONCOR-
RENTE/RIPARTITA STATO – REGIONE.
Tutela = conservazione del patrimonio artistico-culturale per tramandarlo alle generazioni future
(conservare, proteggere e tramandare) → STATO.
Valorizzazione = concetto nato a cavallo tra gli anni 90 e 2000. Si è visto che non basta tutelare,
conservare e proteggere il patrimonio culturale, ma invece è necessario VALORIZZARLO rendendolo
noto e conoscibile ai soggetti (diffondere la conoscenza e la fruibilità) → STATO & REGIONE.
Es. Associazioni di volontariato che gestiscono i musei, onlus che tutelano i beni culturali, WWF...
Il principio di sussidiarietà è integrato da altri due principi:
A. Il principio di adeguatezza prevede che l’organo che riceve la competenza deve avere
un’adeguata capacità recettiva = il comune deve avere un’organizzazione interna che gli con-
senta di svolgere quella funzione in modo adeguato a soddisfare pienamente l’interesse pub-
blico (dotazione di personale, risorse economiche, uffici predisposti…).
B. Da questo deriva il principio di differenziazione che impone al legislatore di allocare le fun-
zioni amministrative tenendo presenti le diverse caratteristiche degli enti (Es. Una medesima
funzione amministrativa può essere attribuita al comune di Milano ma non al comune di
Cesano Boscone, in quel caso spetterà alla provincia).
Noi abbiamo anche le cosiddette regioni ad autonomia rafforzata o “a Statuto speciale” (Valle d’Ao-
sta, Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige) → i loro statuti sono stati recepiti
direttamente con leggi costituzionali e per questo hanno una potestà legislativa che conferisce mag-
giore autonomia rispetto alle regioni a statuto ordinario.
Esse non sono disciplinate dall’articolo 117 della Costituzione a cui abbiamo fatto precedentemente
riferimento.
La competenza che hanno in riferimento ai Beni Culturali è diversa (ai tempi, comunque, la nozione
di Bene Culturale non era ancora conosciuta):
● In Sicilia si prevedeva una legislazione PIENA in materia di conservazione dell’antichità e delle
opere artistiche.
● In Trentino-Alto Adige (con le provincie autonome di Trento e Bolzano) si prevedeva una legisla-
zione PIENA in materia di conservazione del patrimonio artistico, storico e popolare.
Odiernamente, il rapporto è stato definito dalla Corte costituzionale che ha detto che anche nel caso
delle regioni a statuto speciale (in particolare Sicilia e Trentino) le disposizioni in materia di tutela
dei beni culturali contenuta nel codice dei beni culturali è PIENAMENTE APPLICABILE e VINCOLANTE
perché secondo l’art. 9 della costituzione, il codice dei beni culturali rientra nelle norme fondamen-
tali di grande riforma economica-sociale la cui osservanza costituisce un limite.
In materia di valorizzazione invece, valgono gli stessi principi delle regioni a statuto ordinario, infatti,
questa competenza rientra nella CONCORRENZA RIPARTITA STATO-REGIONE e spetta alla singola
regione dare attuazione ai principi generali stabiliti dallo stato che sono contenuti nel codice dei
beni culturali.
L’art. 116 prevede per le regioni a statuto ordinario la possibilità di chiedere forme e condizioni
particolari di autonomia (molte regioni del nord l’hanno richiesto in ambito di specifiche materie) .
Il comma 2 definisce le materie in questione: valorizzazione dei beni culturali, organizzazione della
giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dei beni culturali e ambientali.