Sei sulla pagina 1di 53

LEGISLAZIONE DEI BENI CULTURALI

DOMANDE E RISPOSTE

BENI PUBBLICI E BENI PRIVATI


I beni culturali di proprietà pubblica hanno una particolare condizione giuridica , stabilita dall’ Art.
822 del Codice civile: il regime demaniale. Esistono infatti 2 categorie di demanio: il demanio
necessario (demanio marittimo, idrico, militare), costituito da beni che appartengono
esclusivamente allo Stato, che NON riguarda i beni culturali, ed il demanio accidentale, nel quale
rientrano (insieme ad altri beni), gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico ed
artistico, le raccolte dei musei, pinacoteche, archivi e biblioteche (Demanio culturale). I beni del
demanio accidentale, a differenza di quelli del demanio necessario, non appartengono
obbligatoriamente allo stato; in ogni caso, se appartengono alle Province/Comuni, sono ugualmente
assoggettati al regime del demanio pubblico.
Vi è poi un’altra categoria di beni di proprietà pubblica, non rientranti nel regime demaniale, ossia i
beni del patrimonio dello Stato, disciplinati dall’Art. 826 del Codice civile. Il patrimonio dello Stato si
divide in patrimonio disponibile (beni che hanno la stessa disciplina della proprietà privata), che NON
riguarda i beni culturali, e patrimonio indisponibile, in cui rientrano le cose di interesse storico,
archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate
nel sottosuolo. Questi ultimi, appartenenti quindi al patrimonio indisponibile, non possono essere
sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi .
Dunque, per i beni culturali di proprietà pubblica vi è una distinzione tra beni del demanio culturale
e beni del patrimonio indisponibile.
Il codice ha confermato la disciplina del Codice civile all’Art. 53: ‘I beni culturali appartenenti allo
Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali che rientrino nelle tipologie indicate all'articolo
822 del Codice civile costituiscono il demanio culturale.’ Inoltre ‘I beni del demanio culturale non
possono essere alienati, né formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti e con le
modalità previsti dal presente codice.’ Se quindi nel c.c. (art. 823) viene stabilita l’inalienabilità
assoluta dei beni demaniali, nel codice dei beni culturali possono essere alienati, secondo limiti e
condizioni presenti nello stesso codice (art. 54 e successivi). Stessa cosa anche per i beni del
patrimonio indisponibile di proprietà pubblica, che sono alienabili secondo precisi limiti stabiliti dal
codice stesso.
I beni privati invece devono presentare un interesse particolarmente importante/eccezionale, e sono
considerabili beni culturali, e quindi assoggettabili alle disposizioni di tutela, solo quando interviene
la dichiarazione di interesse culturale (Art. 13). Sono presentati al comma 3: ‘le cose immobili e mobili
che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente
importante, appartenenti a privati; gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che
rivestono interesse storico particolarmente importante; le raccolte librarie, appartenenti a privati, di
eccezionale interesse culturale.’
Segue poi una serie di beni privati considerabili beni culturali una volta intervenuta la dichiarazione
dell’interesse culturale, che ne attesti l’interesse eccezionale/particolarmente importante: ‘le cose
immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante
a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza,
della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della
storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; le cose, a chiunque appartenenti, che
presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per
l’integrità e la completezza del patrimonio culturale; le collezioni o serie di oggetti, a chiunque
appartenenti che per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza
artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un
eccezionale interesse.’
Per quanto riguarda i beni di proprietà privata, importante è sottolineare l’art. 832 del c.c., secondo
cui il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. Bisogna però
sottolineare come il diritto di proprietà sia sottoposto ad evidenti limitazioni per quanto riguarda ‘le
cose di proprietà privata, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico
o etnografico’ (Art. 839 del Codice civile.): queste cose sono infatti sottoposte ‘alle disposizioni delle
leggi speciali’, ossia il codice dei beni culturali.
Il comma 5 è molto importante in quanto riguarda le opere contemporanee: non sono soggette alle
disposizioni di tutela se opera di autore vivente o se la loro esecuzione non risalga ad oltre 70 anni;
il termine si riduce per ‘le cose che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o
etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della
Nazione’ (comma 3 d-bis), opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre 50 anni.

I BENI ELENCATI ALL’ART. 10 – DEFINIZIONE DI BENE CULTURALE


L’art. 2 comma 2 del Codice introduce la definizione di beni culturali specificando che sono beni
culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presen tano interesse artistico,
storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla
legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
L’art. 10 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42)
contiene la definizione specifica di bene culturale.
Il comma 1 fornisce una definizione generale di cosa sono i beni culturali: “Sono beni culturali le
cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché
ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi
gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico
o etnoantropologico”.
Quindi, beni culturali sono innanzitutto cose immobili e mobili che hanno particolare interesse arti-
stico, storico, archeologico o etnoantropologico. Questi ultimi sono qualificati direttamente dalla
legge come beni culturali se sono di proprietà dello Stato, di altri enti pubblici o di enti privati cosid-
detti di interesse pubblico (persone giuridiche private senza scopo di lucro, per esempio fondazioni
culturali).
Questa prima categoria di beni culturali è qualificata come beni culturali a titolo originario, perché
sono automaticamente qualificati tali dalla legge.
Il comma 2 annuncia che “Sono inoltre beni culturali:
a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli
altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico ;
b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché
di ogni altro ente ed istituto pubblico;
c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali
nonché di ogni altro ente e istituto pubblico, ad eccezione delle raccolte che assolvono alle funzioni
delle biblioteche indicate all'articolo 47, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 24
luglio 1977, n. 616”.
Similmente ai primi, sono di proprietà di soggetti pubblici. A differenza dei primi, però, si tratta di
complessi di beni culturali, della stessa specie o di specie diverse, che hanno una destinazione uni-
taria e valenza culturale (universalità di beni mobili). Anche in questo caso, come i beni di cui al
primo comma dell'art. 10, sono qualificati direttamente dalla legge come beni culturali se sono di
proprietà dello Stato o di altri enti pubblici.

Il comma 3 specifica che “Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista
dall'articolo 13:
a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropo-
logico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolar-
mente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente
importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte,
della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'i-
dentità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì un valore
testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all'articolo
13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale ;
d-bis) le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico
o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Na-
zione;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indi-
cate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rile-
vanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso
un eccezionale interesse”.
A differenza delle prime due, in questo caso la qualifica di beni in quanto tali non arriva in maniera
diretta, ma la suddetta può derivare solo e soltanto da un provvedimento amministrativo che è la
dichiarazione dell'interesse culturale.
Si tratta per lo più di beni appartenenti a soggetti privati; infatti, se si scorre il comma tre, vedremo
che la dichiarazione di interesse culturale è necessaria per le cose immobili e mobili che presentano
interesse storico, artistico, archeologico ed etnoantropologico particolarmente importante, appar-
tenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma uno. Evidentemente fa riferimento a beni cul-
turali appartenenti ai privati, dato che abbiamo detto che i soggetti di cui al comma uno sono sog-
getti pubblici.
Diversamente si deve ragionare per i beni di cui all'art. 10, comma 3, D-bis, cioè “…le cose, a chiun-
que appartenenti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico ed etnoantropologico
eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Na zione”.
Ne deriva che i beni culturali di autori viventi o la cui esecuzione non risalga a oltre 70 anni, non
sono beni culturali sottoposti alle regole particolari del codice dei beni culturali, ma sono soggetti al
regime generale comune della proprietà (regime del Codice civile). Ciò non significa che questi beni
culturali, non soggetti alle norme speciali e derogatorie, siano “denigrati” in modo assoluto: il Codice
si premura di prevedere regole che garantiscano la regolarità e la correttezza degli scamb i commer-
ciali. Sono comunque soggetti alla disciplina in materia di diritto d'autore, che prevede la tutela degli
interessi morali ed economici dell’autore e dei suoi successori.

Il comma 4 aggiunge che sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a: le
cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; le cose di interesse numi-
smatico che abbiano carattere di rarità e pregio; i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli,
i libri, le stampe, le incisioni che abbiano carattere di rarità e di pregio; le fotografie, le pellicole
cinematografiche e i supporti audiovisivi che abbiano carattere di rarità e di pregio; le carte geogra-
fiche e gli spartiti musicali che abbiano carattere di rarità e di pregio; le ville, i parchi e i giardini che
abbiano interesse storico o artistico; le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi urbani di interesse
artistico e storico; i siti minerari di interesse storico; le navi e i galleggianti aventi interesse storico,
artistico o etnoantropologico; le architetture rurali aventi interesse storico ed etnoantropologico.

VINCOLO DIRETTO E VINCOLO INDIRETTO


Con il termine giuridico “vincolo diretto” si fa riferimento alla dichiarazione dell’interesse culturale
la cui disciplina è contenuta negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La dichiarazione dell’interesse culturale accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto,
dell’interesse richiesto dall’articolo 10 comma 3. La dichiarazione non è richiesta per i beni di cui
all’articolo 10 comma 2.
È in primo luogo un provvedimento amministrativo, atto tramite il quale l'amministrazione compe-
tente (nel caso di specie il Ministero) effettua un’attività di accertamento basata sull'esercizio della
“discrezionalità tecnica”. Per discrezionalità tecnica s’intende la possibilità di una valutazione che
spetta all'amministrazione allorché sia chiamata a qualificare, a valutare i fatti che richiedono delle
competenze scientifiche o tecniche.
Il provvedimento ha carattere limitativo perché con la dichiarazione dell'interesse culturale del bene
di proprietà, derivano tutta una serie di obblighi di conservazione, di tutela, di garanzia di fruizione
che il proprietario, possessore o detentore del bene è obbligato ad osservare. È un provvedimento
che viene adottato a seconda dei casi al Ministero dei beni o alla Commissione regionale per il pa-
trimonio culturale, su impulso della Soprintendenza competente per territorio. Quindi si guarda la
locazione del bene e, a seconda del luogo, si individua l’organo amministrativo più competente a
adottare il provvedimento.
Innanzitutto, il procedimento viene avviato da soprintendente territoriale. Può decidere di avviare
il procedimento anche su richiesta di altri enti territoriali. Una volta varato il procedimento si deve
dare comunicazione al proprietario possessore/detentore, affinché possa partecipare al procedi-
mento. Tuttavia, la comunicazione di avvio del procedimento comporta l'applicazione in via caute-
lare delle disposizioni previste dal Codice (la semplice comunicazione di avvio del procedimento fa
sì che il codice, onde evitare pregiudizi, attui un blocco dei beni sottoponendoli in via cautelare,
bloccando di conseguenza la
libera disponibilità dei beni).
Il provvedimento di dichiarazione di interesse culturale, laddove il bene venga dichiarato d’interesse
culturale, viene notificato al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa. Viene
di seguito trascritto nei registri e ha efficacia nei confronti del successivo proprietario. Il bene,
quindi, è vincolato e di conseguenza sottoposto alla tutela (prevista dal Codice) per i beni culturali
di proprietà privata.
Contro la dichiarazione dell'articolo 13, il privato proprietario può rivolgersi al Ministero (per motivi
di legittimità e di merito) per lamentare il fatto che il provvedimento è illegittimo. Il Ministero an-
nulla o riforma l'atto impugnato.

Per quanto riguarda il termine giuridico “vincolo indiretto” si fa riferimento alle prescrizioni di tutela
indiretta disciplinate dagli articoli 45, 46 e 47 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Prescrizioni di tutela indiretta è un’espressione utilizzata dalla dottrina e dalla giurisprudenza con
cui si fa riferimento al provvedimento di protezione dei beni culturali immobili.
Art. 45: “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare
che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o
la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Le prescrizioni di cui al comma 1,
adottate e notificate ai sensi degli articoli 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici
territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi e negli strumenti
urbanistici”.
Precettive = immediatamente efficaci.
I beni tutelabili con vincolo indiretto sono:
- bene immobile rientrante nelle categorie di cui all’Art. 10 appartenente allo Stato o ad un ente
pubblico o a una persona giuridica senza scopo di lucro e per il quale non sia intervenuta, con esito
negativo, la verifica di interesse culturale di cui all’Art. 12;
- un bene immobile appartenente ad un privato dopo che sia stato emesso un provvedimento di
vincolo diretto ossia la dichiarazione di interesse culturale di cui all’Art. 13. Quindi stiamo parlando,
per la tutela indiretta o vincolo indiretto, di beni immobili culturali e quindi già sottoposti al vincolo
(o ex lege art. 10, c. 1 o con dichiarazione di interesse culturale art. 10, c. 3).

Le prescrizioni non si riferiscono al bene culturale immobile perché già vincolato in quanto bene
culturale, ma vengono poste delle limitazioni al diritto di proprietà su beni che si trovano n ell’area
circostante al bene culturale in funzione di tutelare in modo indiretto il bene culturale immobile. La
comunicazione di avvio del procedimento deve essere fatta dall'amministrazione e in questo caso
dal Soprintendente, il quale individua l’immobile in relazione al quale si intendono adottare le pre-
scrizioni di tutela indiretta e nella quale vengono poi indicati i contenuti essenziali di queste prescri-
zioni. Il proprietario privato che abita vicino a un bene culturale riceve la comunicazione di avvio del
procedimento, con la quale si prescrive che l’immobile di proprietà del privato, in quanto situato in
un’area circostante all’immobile culturale deve subire limitazioni per tutelare al meglio il bene cul-
turale.
Il provvedimento, siccome limitativo, lo devo comunicare al destinatario e viene trascritto nei Regi-
stri Immobiliari; per cui se decido di vendere un immobile, il futuro proprietario deve sapere che
l'immobile è sottoposto ad un vincolo indiretto. Come nel provvedimento di vincolo diretto, anche
il provvedimento di vincolo indiretto è impugnabile davanti al giudice, e quindi è possibile rivolgersi
al giudice o al Ministero con ricorso amministrativo.
Il soggetto competente a adottare il provvedimento di vincolo indiretto è la Commissione regionale
per il patrimonio culturale.

Che differenza c’è tra vincolo diretto e vincolo indiretto?


Vincolo diretto: consiste nella dichiarazione di interesse culturale del bene che ne forma oggetto.
Vincolo indiretto: concerne il caso in cui si voglia proteggere l'ambiente circostante di un bene già
sottoposto a tutela. Il vincolo riguarda indirettamente il bene culturale, ma riguarda direttamente
l'ambiente circostante al bene culturale. Il vincolo indiretto non tocca il regime dell’immobile vinco-
lato, ma soltanto l'ambiente circostante all'immobile vincolato; il vincolo diretto limita le facoltà
proprietarie di godimento e di disposizione.
Vincolo diretto: le limitazioni al diritto di proprietà sono fissate direttamente dalla legge (artt. 20 e
21). Vincolo indiretto: le limitazioni al diritto di proprietà sono fissate, di volta in volta, dal provve-
dimento con cui viene impresso il vincolo. Tali limitazioni possono consistere anche nell’inedificabi-
lità assoluta.

PROCEDIMENTO DI VERIFICA DELL’INTERESSE CULTURALE


L’ Art. 12 stabilisce che “Le cose mobili e immobili indicate all'articolo 10, comma 1, che siano opera
di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sono sottoposte alle
disposizioni di Tutela fino a quando non sia stata effettuata la verifica di cui al comma 2. I competenti
organi del Ministero, d'ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono e
corredata dai relativi dati conoscitivi, verificano la sussistenza dell'interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico nelle cose di cui al comma 1, sulla base di indirizzi di carattere
generale stabiliti dal Ministero medesimo al fine di assicurare uniformità di valutazione”.

Finora abbiamo specificato che i beni culturali di cui al comma 1 sono automaticamente considerati
beni culturali e quindi sottoposti alle regole di tutela e di conservazione d el codice semplicemente
per il fatto di appartenere ad un ente pubblico. Tuttavia, lo stesso codice prevede che gli enti pub-
blici proprietari di questi beni possano, rispetto ai beni considerati culturali ai sensi dell’Art. 10
comma 1, avviare un procedimento amministrativo di verifica della sussistenza o meno dell’inte-
resse culturale di quel bene. Perché viene concessa agli enti pubblici la possibilità di promuovere un
procedimento volto a verificare se in concreto sussistano ancora le condizioni per consi derare i beni
di cui l’Art. 10, c. 1 come beni che presentano un interesse culturale? Il codice sceglie, indipenden-
temente dalla sussistenza in concreto dell’interesse culturale dei beni medesimi, di sottoporli alla
conservazione e alla tutela massime previste dal codice. Per questo si parla di tutela provvisoria “ex
legge” fino allo svolgimento del procedimento di verifica.
Ciò non toglie che gli enti pubblici proprietari possano interferire affermando che, a parer loro, l’og-
getto in questione non abbia più un interesse culturale, per cui non v'è più una ragione che li sotto-
ponga alle norme del codice. La finalità è quella di sottrarre questi beni (considerati non più di inte-
resse culturale) dalla specifica e più pervasiva disciplina contenuta all'interno d el codice, e di conse-
guenza poter esercitare pienamente tutte le facoltà proprietarie previste dal Codice civile (come se
fossero beni privati).
Il terzo comma prevede una disciplina particolare per gli immobili dello stato: “Per i beni immobili
dello Stato, la richiesta di cui al comma 2 è corredata da elenchi dei beni e dalle relative schede
descrittive. I criteri per la predisposizione degli elenchi, le modalità di redazione delle schede de-
scrittive e di trasmissione di elenchi e schede sono stabiliti con decreto del Ministero adottato di
concerto con l'Agenzia del demanio e, per i beni immobili in uso all'amministrazione della difesa,
anche con il concerto della competente direzione generale dei lavori e del demanio. Il Ministero
fissa, con propri decreti, i criteri e le modalità per la predisposizione e la presentazione delle richie-
ste di verifica, e della relativa documentazione conoscitiva, da parte degli altri soggetti di cui al
comma 1”. Per gli immobili appartenenti allo Stato la richiesta di verifica deve essere correlata da
elenchi dei beni, da schede descrittive.
Arriviamo all'esito.
A) Se la verifica ha esito negativo, quindi il Ministero accerta che quel bene non presenta più con-
cretamente un interesse culturale, il bene viene escluso dall'applicazione delle disposizioni del pre-
sente titolo. Nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio statale, delle
regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente relativi dati dei beni viene tra-
smessa ai competenti uffici affinché dispongano la sdemanializzazione. Una volta che si compie la
sdemanializzazione i beni sono liberamente alienabili.
B) Se la verifica ha esito positivo, l'accertamento dell'interesse culturale costituisce dichiarazione di
interesse culturale ai sensi dell'articolo 13, il relativo provvedimento amministrativo viene trascritto
e i beni restano definitivamente sottoposti alle disposizioni del codice dei beni culturali.

PROCEDIMENTO DI DICHIARAZIONE DELL’INTERESSE CULTURALE


Le disposizioni sulla disciplina del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale sono con-
tenute negli Artt. 14, 15 e 16 del Codice.

Art. 14: “Il soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale, anche
su motivata richiesta della regione e di ogni altro ente territoriale interessato, dandone comunica-
zione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto.
La comunicazione contiene gli elementi di identificazione e di valutazione della cosa risultanti dalle
prime indagini, l'indicazione degli effetti previsti dal comma 4, nonché l'indicazione del termine,
comunque non inferiore a trenta giorni, per la presentazione di eventuali osservazioni. […]
La comunicazione comporta l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II
(Vigilanza e ispezione), dalla sezione I del Capo III (Misure di protezione) e dalla sezione I del Capo
IV (Alienazione e altri modi di trasmissione) del presente Titolo (Tutela)”.
Innanzitutto, il procedimento viene avviato da soprintendente territoriale (per ogni regione v’è al-
meno una soprintendenza). Può decidere di avviare il procedimento anche su richiesta di altri enti
territoriali. Una volta varato il procedimento si deve dare comunicazione al prop rietario posses-
sore/detentore, affinché possa partecipare al procedimento. Tuttavia, la comunicazione di avvio del
procedimento comporta l'applicazione in via cautelare delle disposizioni previste dal codice (la sem-
plice comunicazione di avvio del procedimento fa sì che il codice, onde evitare pregiudizi, attui un
blocco dei beni sottoponendoli in via cautelare, bloccando di conseguenza la libera disponibilità dei
beni).
Art. 15: “La dichiarazione prevista dall'articolo 13 è notificata al proprietario, possessore o detentore
a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto, tramite messo comunale o a mezzo posta
raccomandata con avviso di ricevimento. Ove si tratti di cose soggette a pubblicità immobiliare o
mobiliare, il provvedimento di dichiarazione è trascritto, su richiesta del soprintendente, nei relativi
registri ed ha efficacia nei confronti di ogni successivo proprietario, possessore o detentore a qual-
siasi titolo. Dei beni dichiarati il Ministero forma e conserva un apposito elenco, anche su suppo rto
informatico”.
Il provvedimento di dichiarazione di interesse culturale, laddove il bene venga dichiarato d’interesse
culturale, viene notificato al proprietario possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa. Viene
di seguito trascritto nei registri ed ha efficacia nei confronti di successivo proprietario. Il provvedi-
mento ha pertanto carattere limitativo. Il bene, quindi, diviene vincolato e di conseguenza sottopo-
sto alla tutela prevista dal codice per i beni culturali di proprietà privata.

Art. 16: “Avverso il provvedimento conclusivo della verifica di cui all'articolo 12 o la dichiarazione di
cui all'articolo 13 è ammesso ricorso al Ministero, per motivi di legittimità e di merito, entro trenta
giorni dalla notifica della dichiarazione.
La proposizione del ricorso comporta la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato.
Rimane ferma l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II (Vigilanza e ispe-
zione), dalla sezione I del Capo III (Misure di protezione) e dalla sezione I del Capo IV (Alienazione e
altri modi di trasmissione) del presente Titolo (Tutela).
Il Ministero, sentito il competente organo consultivo, decide sul ricorso entro il termine di novanta
giorni dalla presentazione dello stesso.
Il Ministero, qualora accolga il ricorso, annulla o riforma l'atto impugnato.
Si applicano le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199”.
Contro la dichiarazione dell'articolo 13, il privato proprietario può rivolgersi al Ministero (per motivi
di legittimità e di merito) per lamentare il fatto che il provvedimento è illegittimo. Il Ministero
annulla o riforma l'atto impugnato.

TUTELA INDIRETTA (VINCOLO INDIRETTO, PRESCRIZIONI DI TUTELA INDIRETTA, PROVVEDIMENTO DI


PROTEZIONE DEI BENI CULTURALI IMMOBILI)
La tutela indiretta (o vincolo indiretto) è un’espressione utilizzata dalla dottrina e dalla giurispru-
denza con cui si fa riferimento al provvedimento di protezione dei beni culturali immobili.

Art. 45: “Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare
che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o
la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Le prescrizioni di cui al comma 1,
adottate e notificate ai sensi degli articoli 46 e 47, sono immediatamente precettive. Gli enti pubblici
territoriali interessati recepiscono le prescrizioni medesime nei regolamenti edilizi e negli strumenti
urbanistici”.
Precettive = immediatamente efficaci.
I beni tutelabili con vincolo indiretto sono:
- bene immobile rientrante nelle categorie di cui all’Art. 10 appartenente allo Stato o ad un ente
pubblico o a una persona giuridica senza scopo di lucro e per il quale non sia intervenuta, con esito
negativo, la verifica di interesse culturale di cui all’Art. 12;
- bene immobile appartenente ad un privato dopo che sia stato emesso un provvedimento di vincolo
diretto ossia la dichiarazione di interesse culturale di cui all’Art. 13. Quindi stiamo parlando, per la
tutela indiretta o vincolo indiretto, di beni immobili culturali e quindi già sottoposti al vincolo (o ex
lege art. 10, c. 1 o con dichiarazione di interesse culturale art. 10, c. 3).

Come funziona il procedimento?


Art. 46: “Il soprintendente avvia il procedimento per la tutela indiretta, anche su motivata richiesta
della regione o di altri enti pubblici territoriali interessati, dandone comunicazione al proprietario,
possessore o detentore a qualsiasi titolo dell'immobile cui le prescrizioni si riferiscono. Se per il nu-
mero dei destinatari la comunicazione personale non è possibile o risulta particolarmente gravosa,
il soprintendente comunica l’avvio del procedimento mediante idonee forme di pubblicità.
La comunicazione di avvio del procedimento individua l'immobile in relazione al quale si intendono
adottare le prescrizioni di tutela indiretta e indica i contenuti essenziali di tali prescrizioni.
Nel caso di complessi immobiliari, la comunicazione è inviata anche al comune e alla città metropo-
litana”.
Le prescrizioni non si riferiscono al bene culturale immobile perché già vincolato in quanto bene
culturale, ma vengono poste delle limitazioni al diritto di proprietà su beni che si trovano nell’area
circostante al bene culturale in funzione di tutelare in modo indiretto il bene culturale immobile. La
comunicazione di avvio del procedimento deve essere fatta dall'amministrazione e in questo caso
dal Soprintendente, il quale individua l’immobile in relazione al quale si intendono adottare le pre-
scrizioni di tutela indiretta e nella quale vengono poi indicati i contenuti essenziali di queste prescri-
zioni.
Cosa comporta la comunicazione?
Sempre nel medesimo articolo, analizziamo i commi 4 e 5:
“La comunicazione comporta, in via cautelare, la temporanea immodificabilità dell'immobile limita-
tamente agli aspetti cui si riferiscono le prescrizioni contenute nella comunicazione stessa.
Gli effetti indicati al comma 4 cessano alla scadenza del termine del relativo procedimento, stabilito
dal Ministero ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo”.
Il proprietario privato che abita vicino a un bene culturale riceve la comunicazione di avvio del pro-
cedimento, con la quale si prescrive che l’immobile di proprietà del privato, in quanto situato in
un’area circostante all’immobile culturale deve subire limitazioni per tutelare al meglio il bene cul-
turale.

Il procedimento si conclude con il provvedimento di vincolo indiretto.


Art. 47: “Il provvedimento contenente le prescrizioni di tutela indiretta è notificato al proprietario,
possessore o detentore a qualsiasi titolo degli immobili interessati, tramite messo comunale o a
mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento.
Il provvedimento è trascritto nei registri immobiliari e ha efficacia nei confronti di ogni successivo
proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo degli immobili cui le prescrizioni stesse si rife-
riscono.
Avverso il provvedimento contenente le prescrizioni di tutela indiretta è ammesso ricorso ammini-
strativo ai sensi dell'articolo 16. La proposizione del ricorso, tuttavia, non comporta la sospensione
degli effetti del provvedimento impugnato”.
Il provvedimento, siccome limitativo, lo devo comunicare al destinatario e viene trascritto nei Regi-
stri Immobiliari; per cui se decido di vendere un immobile, il futuro proprietario deve sapere che
l'immobile è sottoposto ad un vincolo indiretto.
Come nel provvedimento di vincolo diretto, anche il provvedimento di vincolo indiretto è impugna-
bile davanti al giudice, e quindi è possibile rivolgersi al giudice o al Ministero con ricorso ammini-
strativo.
Il soggetto competente a adottare il provvedimento di vincolo indiretto è la Commissione regionale
per il patrimonio culturale.

VIGILANZA E ISPEZIONE

Secondo la disciplina dell’art. 18 la vigilanza compete al Ministero sui beni culturali, sulle cose di cui
all’art. 12 comma 1 nonché sulle aree interessate da prescrizioni di tutela indiretta.
Il Ministero provvede alla vigilanza anche mediante forme di coordinamento con le regioni mede-
sime sulle cose di cui all’art. 12 comma 1 che appartengono alle regioni e agli altri enti pubblici
territoriali.

L’ispezione (art. 19) spetta ai soprintendenti che possono procedere in ogni tempo con preavviso
non inferiore a cinque giorni salvo estrema urgenza al fine di accertare l’esistenza e lo stato di con-
servazione o di custodia dei beni culturali. I soprintendenti possono accertare l’ottemperanza alle
prescrizioni di tutela indiretta date ai sensi dell’art. 45.
MISURE DI PROTEZIONE - AUTORIZZAZIONE
L’art. 20 stabilisce che i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti
ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla
loro conservazione.
Gli archivi pubblici e gli archivi privati dichiarati di interesse culturale non possono essere
smembrati.
Pertanto, esistono interventi subordinati ad autorizzazione del Ministero come stabilito dall’art. 21:
a) rimozione e demolizione dei beni culturali mobili e immobili; b) spostamento dei beni culturali
mobili anche temporaneo; c) smembramento delle collezioni, serie e raccolte; d) lo scarto degli
archivi pubblici, degli archivi privati, del materiale bibliografico delle biblioteche pubbliche e delle
biblioteche private per i quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell’art. 13; e) il trasferimento
ad altre persone giuridiche di complessi organici di documentazione degli archivi pubblici e privati
per i quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell’art. 13.
Lo spostamento di beni culturali è preventivamente denunciato al soprintendente che entro 30
giorni dal ricevimento della denuncia può prescrivere le misure necessarie affinché i beni non
subiscano danno nel trasporto. Per lo spostamento degli archivi correnti dello Stato e degli enti
pubblici non è necessaria l’autorizzazione ma bisogna comunicarlo al Ministero.
L’autorizzazione del soprintendente è necessaria per tutti i lavori di qualunque genere su beni
culturali esclusi dai casi precedentemente esposti.
L’autorizzazione è resa su progetto o su descrizione tecnica dell’intervento, presentati al richiedente
e può contenere prescrizioni. Se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio
dell’autorizzazione, il soprintendente può dettare ulteriori prescrizioni in relazione al mutare delle
tecniche di conservazione.
Per interventi di edilizia pubblica e privata l’autorizzazione è rilasciata entro 120 giorni dalla
ricezione della richiesta da parte della soprintendenza. La soprintendenza può richiedere
chiarimenti o elementi integrativi di giudizio e può procedere ad accertamenti di natura tecnica
dandone preventiva comunicazione al richiedente.
Per gli interventi su beni pubblici l’autorizzazione necessaria ai sensi dell’art.21 può essere espressa
nell’ambito di accordi tra il Ministero e il soggetto pubblico interessato.
Nel caso di assoluta urgenza possono essere effettuati gli interventi provvisori indispensabili per
evitare danni al bene tutelato purché ne sia data immediata comunicazione alla soprintendenza con
il contestuale invio dei progetti degli interventi definitivi per la necessaria autorizzazione.
Il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi condotti in difformità
dell’autorizzazione. La sospensione degli interventi deve essere ordinata anche quando non siano
ancora intervenute la verifica di cui all’art. 12 o la dichiarazione di cui all’art. 13 per i beni culturali
citati nell’art.10.

CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI


Le misure di conservazione dei beni culturali sono disciplinate e specificate nei testi che vanno
dall’articolo 29 all’articolo 44 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
(Art. 29 – Conservazione)
La conservazione del patrimonio culturale è assicurata mediante una coerente, coordinata e
programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro.
[Con prevenzione si intende il complesso delle attività idonee a limitare le situaz ioni di rischio
connesse al bene culturale nel suo contesto. Con manutenzione si intende il complesso delle attività
e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento
dell’integrità, dell’efficacia funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti. Con restauro si
intende l’intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità
materiale e al recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori
culturali.]
Il Ministero definisce, anche con il concorso delle regioni, delle università e degli istituti di ricerca,
linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni
culturali. Gli interventi di restauro e manutenzione su beni culturali mobili e superfici decorate di
beni architettonici sono eseguiti in via esclusiva da coloro che sono restauratori di beni culturali ai
sensi della normativa in materia. L’insegnamento del restauro è impartito dalle scuole di alta
formazione e di studio e dai centri e dagli altri soggetti pubblici e privati accreditati presso lo Stato.
La formazione delle figure professionali che svolgono attività complementari al restauro o altre
attività di conservazione è assicurata da soggetti pubblici e privati ai sensi della normativa regionale.
(Art. 30 - Obblighi conservativi)
Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno
l’obbligo di garantire la sicurezza e la conservazione dei beni culturali di loro appartenenza. Lo Stato,
le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico e le persone
giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente rico nosciuti, fissano
i beni culturali di loro appartenenza (ad eccezione degli archivi correnti) nel luogo di loro
destinazione nel modo indicato dal soprintendente.
I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione.
Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno
l’obbligo di conservare i propri archivi nella loro organicità e di ordinarli e di inventariare i propri
archivi storici, costituiti dai documenti relativi agli affari esauriti da oltre quaranta anni e istituiti in
sezioni separate.
(Art. 31 – Interventi conservativi volontari)
Il restauro e gli altri interventi conservativi su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore
o detentore sono autorizzati ai sensi dell’art.21.
In sede di autorizzazione, il soprintendente si pronuncia sull’ammissibilità dell’intervento ai
contributi statali e se necessario certifica il carattere dell’intervento stesso.
(Art. 32 – Interventi conservativi imposti)
Il Ministero può imporre al proprietario, possessore o detentore gli interventi necessari per
assicurare la conservazione dei beni culturali ovvero provvedervi direttamente.
Tale imposizione si applica anche per la disciplina degli archivi art.30, comma 4.
(Art. 33 – Procedura di esecuzione degli interventi conservativi imposti)
Ai fini degli interventi conservativi imposti dal Ministero, il soprintendente redige una relazione
tecnica e dichiara la necessità degli interventi da eseguire.
La relazione tecnica è inviata insieme alla comunicazione di avvio del procedimento al proprietario,
possessore o detentore del bene che può far pervenire le sue osservazioni entro trenta giorni dal
ricevimento degli atti.
Qualora il soprintendente non ritenesse necessaria l’esecuzione diretta degli interventi, assegna al
proprietario, possessore o detentore un termine è per la presentazione del progetto esecutivo delle
opere da effettuarsi. Il progetto presentato è approvato dal soprintendente con le eventuali
prescrizioni e con la fissazione del termine per l’inizio dei lavori. Se il proprietario, possessore o
detentore non presenta il progetto, o non lo modifica secondo le indicazioni del soprintendente,
ovvero se il progetto è respinto si procede con l’esecuzione diretta.
In caso di urgenza il soprintendente può adottare immediatamente le misure conservative
necessarie.
(Art. 34 – Oneri per gli interventi conservativi imposti)
Gli oneri per gli interventi su beni culturali sono a carico del proprietario, possessore o detentore. Se
gli interventi sono eseguiti su beni in uso o godimento pubblico, il Ministero può concorrere in tutto
o in parte alla relativa spesa determinando l’ammontare dell’onere che intende sostenere e ne dà
comunicazione all’interessato.
Se le spese degli interventi sono sostenute dal proprietario, possessore o detentore, il Ministero può
provvedere al loro rimborso mentre per le spese degli interventi sostenute direttamente il Ministero
determina la somma da porre a carico del proprietario, possessore o detentore.
(Art. 35 – Intervento finanziario del Ministero)
Il Ministero ha facoltà di concorrere alla spesa sostenuta dal proprietario, possessore o detentore
del bene culturale per l’esecuzione degli interventi per un ammontare non superiore alla metà della
stessa. Se gli interventi sono di particolare rilevanza o riguardano beni in uso o godimento pubblico,
il Ministero può concorrere alla spesa fino al suo intero ammontare. Questa disposizione si applica
anche sugli archivi storici art.30 comma 4.
Per la determinazione della percentuale del contributo si tiene conto di altri contributi pubblici e di
eventuali contributi privati.
(Art. 39 – Interventi conservativi sui beni dello Stato)
Il Ministero provvede alle esigenze di conservazione dei beni culturali di appartenenza statale, anche
se in uso ad amministrazioni diverse o ad altri soggetti.
La progettazione e l’esecuzione degli interventi sono assunte dall’amministrazione o dal soggetto
medesimi, ferma restando la competenza del Ministero al rilascio dell’autorizzazione e alla vigilanza.
Il Ministero trasmette il progetto e comunica l’inizio dei lavori al comune e alla città metropolitana.
(Art. 40 – Interventi conservativi su beni delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali)
Per i beni culturali appartenenti alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali le misure previste
dall’art. 32 sono disposte in base agli accordi con l’ente interessato.
Gli interventi conservativi sui beni culturali che coinvolgono Stato, regioni, altri enti pubblici
territoriali, altri soggetti pubblici e privati sono ordinariamente oggetto di preventivi accordi
programmatici.
(Art. 43 – Custodia coattiva)
Il Ministero ha facoltà di far trasportare e custodire temporaneamente in pubbli ci istituti i beni
culturali mobili al fine di garantirne la sicurezza o assicurarne la conservazione.
Ha altresì facoltà di disporre il deposito coattivo negli archivi di Stato competenti delle sezioni
separate d’archivio su proposta del soprintendente archivistico.
(Art. 44 – Comodato e deposito di beni culturali)
I direttori degli archivi e degli istituti che abbiano in amministrazione o in deposito raccolte o
collezioni possono ricevere in comodato da privati proprietari beni culturali mobili al fine di
consentirne la fruizione da parte della collettività.
Il comodato non può avere durata inferiore a cinque anni e si intende prorogato tacitamente per un
periodo pari a quello convenuto qualora una delle due parti non abbia comunicato disdetta almeno
due mesi prima della scadenza del termine.
I direttori sono protetti da idonea copertura assicurativa a carico del Ministero.
I direttori possono ricevere in deposito beni culturali appartenenti a enti pubblici. Le spese di
conservazione e custodia sono a carico degli enti depositanti salvo che le parti abbiano concordato
che siano in parte o in tutto a carico del Ministero.

ARCHIVI, CUSTODIA COATTIVA, COMODATO E DEPOSITO


Gli archivi pubblici e gli archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione dell’interesse
culturale di cui all’art. 13 non possono essere smembrati. (art. 20, comma 2).
Stato, regioni, altri enti pubblici territoriali nonché ogni altro ente ed istituto pubblico hanno
l’obbligo di conservare i propri archivi nella loro organicità e di ordinarli e di inventariare i propri
archivi storici, costituiti dai documenti relativi agli affari esauriti da oltre quaranta anni e istituiti in
sezioni separate. (art. 30, comma 4)
Agli artt. 41 e 42 vengono specificate le disposizioni di conservazione in materia di archivi.
L’art. 41 stabilisce gli obblighi di versamento agli Archivi di Stato dei documenti conservati dalle
amministrazioni statali. Gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato versano all’archivio centrale
dello Stato e agli archivi di Stato i documenti relativi agli affari esauriti da oltre 40 anni, unitamente
agli strumenti che ne garantiscono la consultazione. Le liste di leva ed estrazione sono versate
settant’anni dopo l’anno di nascita della classe a cui si riferiscono. Gli archivi notarili versano gli atti
notarili ricevuti dai notai che cessarono l’esercizio professionale anteriormente agli ultimi 100 anni.
Il soprintendente dell’archivio centrale dello Stato e i direttori degli archivi di Stato possono accettare
versamenti di documenti più recenti, quando vi sia pericolo di dispersione o di danneggiamento,
ovvero siano stati definiti appositi accordi con i responsabili delle amministrazioni versanti. Nessun
versamento può essere ricevuto se non sono state fatte le operazioni di scarto. Le spese per il
versamento sono a carico delle amministrazioni versanti.
Gli archivi degli uffici statali soppressi e degli enti pubblici estinti sono versati all’archivio centrale
dello Stato e agli archivi di Stato oppure, se necessario, vengono trasferiti in tutto o in parte ad altri
enti.
Presso gli organi giudiziari e amministrativi dello Stato sono istituite commissioni di sorveglianza,
delle quali fanno parte il soprintendente dell’archivio centrale dello Stato e i direttori degli archivi di
Stato quali rappresentanti del Ministero della cultura e del Ministero dell’Interno. Il loro compito è
quello di vigilare sulla corretta tenuta degli archivi correnti e di deposito, di collaborare alla
definizione dei criteri di organizzazione, gestione e conservazione; di proporre gli scarti, di curare i
versamenti, di identificare gli atti di natura riservata.
L’art. 42 specifica che i documenti della Presidenza della Repubblica, della Camera dei deputati e del
Senato e della Corte costituzionale, sono conservati presso i relativi archivi storici e possono essere
consultati secondo i decreti emanati dagli stessi organi.
La custodia coattiva è disciplinata dall’art. 43 del Codice. Il Ministero ha facoltà di far trasportare e
custodire temporaneamente in pubblici istituti i beni culturali mobili al fine di garantirne la sicurezza
o assicurarne la conservazione. Ha altresì facoltà di disporre il deposito coattivo negli archivi di Stato
competenti delle sezioni separate d’archivio su proposta del soprintendente archivistico.
Per quanto riguarda il comodato e il deposito, si esprime l’art. 44.
I direttori degli archivi e degli istituti che abbiano in amministrazione o in deposito raccolte o
collezioni possono ricevere in comodato da privati proprietari beni culturali mobili al fine di
consentirne la fruizione da parte della collettività.
Il comodato non può avere durata inferiore a cinque anni e si intende prorogato tacitamente per un
periodo pari a quello convenuto qualora una delle due parti non abbia comunicato disdetta almeno
due mesi prima della scadenza del termine. I direttori sono protetti da idonea copertura assicurativa
a carico del Ministero.
I direttori possono ricevere in deposito beni culturali appartenenti a enti pubblici. Le spese di
conservazione e custodia sono a carico degli enti depositanti salvo che le parti abbiano concordato
che siano in parte o in tutto a carico del Ministero.

CIRCOLAZIONE IN AMBITO NAZIONALE


Il Codice dei beni culturali e del paesaggio norma la circolazione dei beni culturali in ambito nazionale
e in particolar modo la loro alienazione, cessione, trasmissione, prelazione e commercio.
Ai fini della legislazione l’art. 53 e l’art. 54 specificano quali sono i beni del demanio culturale e i
beni inalienabili. I beni del demanio culturale sono i beni appartenenti allo Stato, alle regioni, agli
altri enti pubblici territoriali che rientrano nelle tipologie indicate all’art.822 del Codice civile. I beni
del demanio culturale non possono essere alienati, non possono formare oggetto di diritti a favore
di terzi, se non nei limiti e nelle modalità stabilite dal Codice dei beni culturali.
Sono altresì inalienabili:
1. gli immobili e le aree di interesse archeologico;
2. gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa dell’epoca vigente;
3. le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche;
4. gli archivi;
5. gli immobili dichiarati di interesse particolarmente importante ai sensi dell’art.10, comma 3,
lettera d);
6. le cose mobili che siano di autore vivente o la cui esecuzione non sia superiore ai 70 anni se
incluse in raccolte appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali;
7. le cose immobili e mobili opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre
70 anni fino alla fine del procedimento verifica di interesse culturali di cui all’art.12
(appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, ad ogni altro ente o
istituto pubblico, a persone giuridiche private senza scopo di lucro, ivi comp resi gli enti
ecclesiastici);
8. i singoli documenti appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali;
I beni elencati sono preventivamente inalienabili fino a quando non sia intervenuta la verifica
dell’interesse culturale ai sensi dell’art.12. Se l’esito della verifica è negativo i beni sono
sdemanializzati e possono essere liberamente alienati. In caso di esito opposto valgono i principi
sopra esposti.
Questi beni possono essere oggetto di trasferimento tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali. Mentre per i beni o per le cose non in consegna al Ministero bisogna dare
comunicazione preventiva del trasferimento al Ministero stesso.
L’art. 55 si occupa dell’alienabilità di immobili appartenenti al demanio culturale. I beni immobili
non elencati all’art.54 non possono essere alienati senza l’autorizzazione del Ministero.
La richiesta di autorizzazione ad alienare è corredata dall’indicazione della destinazione d’uso in
atto, dal programma delle misure necessarie ad assicurare la conservazione del bene;
dall’indicazione degli obiettivi di valorizzazione che si intendono perseguire; dall’indicazione
della destinazione d’uso; dalle modalità di fruizione pubblica del bene.
L’autorizzazione viene rilasciata su parere del soprintendente, sentita la regione e gli enti pubblici
territoriali interessati.
Il provvedimento di autorizzazione detta le prescrizioni volte a stabilire le misure di
conservazione del bene, stabilisce le condizioni di fruizione pubblica, si pronuncia sulle modalità
e i tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione presenti nella richiesta.
L’autorizzazione non può essere rilasciata se la destinazione d’uso proposta sia suscettibile ad arre-
care pregiudizio alla conservazione, alla fruizione pubblica o non sia compatibile con il suo carattere
storico e artistico. In tal caso verrà emanato un provvedimento di diniego con indicazioni di desti-
nazioni d’uso ritenute compatibili.
Il Ministero ha facoltà di concordare con il soggetto interessato il contenuto del provvedimento
richiesto sulla base di una valutazione comparativa delle diverse proposte avanzate con la richiesta
di autorizzazione.
L’autorizzazione ad alienare comporta la sdemanializzazione del bene cui essa si riferisce.
L’esecuzione di lavori sui beni alienati è sottoposta a preventiva autorizzazione.
Nell’atto di alienazione sono contenute le prescrizioni e condizioni e sono oggetto di clausola
risolutiva. Su richiesta del soprintendente sono anche trascritte nei registri immobiliari.
L’art. 56 stabilisce che i beni privati possono circolare previa denuncia, che deve essere eseguita
dall’alienante, dall’acquirente o dall’erede entro 30 giorni dalla stipula del contratto di vendita alle
sovraintendenze competenti.
La denuncia deve contenere una serie di elementi che consentono alla pubblica amministrazione di
sapere a chi verrà venduto, a quale prezzo, a quali condizioni, dove verrà trasferito ecc. (dati
identificativi delle parti e dei loro rappresentanti legali, dati identificativi dei beni, indicazione del
luogo dove si trovano, la natura dell’atto, il domicilio in Italia delle parti…).
L’unico caso in cui non è richiesta autorizzazione è quando l’alienazione è effettuate in favore dello
Stato (art. 57). Non viene richiesta alcuna autorizzazione in quanto è lo Stato stesso che rilascia
l’autorizzazione.
Un caso particolare è sancito dall’art. 58 definito come autorizzazione alla permuta. In base a questo
art., “Il Ministero può autorizzare la permuta dei beni indicati agli articoli 55 e 56 nonché di singoli
beni appartenenti alle pubbliche raccolte con altri appartenenti ad enti, istituti e privati, anche stra-
nieri, qualora dalla permuta stessa derivi un incremento del patrimonio culturale nazionale ovvero
l'arricchimento delle pubbliche raccolte”. La permuta è uno scambio tra beni, per cui in questo caso
abbiamo lo scambio tra un bene culturale con un altro bene appartenente a un soggetto pubblico o
privato, e questo scambio è possibile soltanto se derivi un incremento nella permuta del patrimonio
nazionale oppure l’arricchimento delle pubbliche raccolte.
L’art. 59 stabilisce che la denuncia di trasferimento deve essere trasmessa al Ministero ed è effet-
tuata entro 30 giorni dall’alienante o dal cedente, dall’acquirente, dall’erede o dal legatario. La de-
nuncia è presentata al competente soprintendente e contiene i dati identificativi delle parti, i dati
identificativi dei beni, l’indicazione del luogo dove si trovano i beni, l’indicazione della natura e delle
condizioni dell’atto di trasferimento, l’indicazione del domicilio delle parti.

L’acquisto in via di prelazione dei beni culturali da parte del Ministero, della regione degli altri enti
pubblici territoriali è disciplinato dagli articoli 60, 61 e 62 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Il Ministero, la regione o gli altri enti pubblici territoriali hanno la facoltà di acquistare in via di
prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di
alienazione.
Qualora il bene sia dato in permuta, il valore economico è dato d’ufficio dal soggetto che procede
alla prelazione. Se l’alienante non accetta il valore d’ufficio, il valore economico della cosa è stabilito
da un terzo designato da entrambe le parti. Se le parti non si accordano per la nomina, questa viene
effettuata dal presidente del tribunale competente per il luogo e le spese relative sono anticipate
dall’alienante.
L’art. 61 pone le condizioni della prelazione. La prelazione è esercitata nel termine di 60 giorni dalla
ricezione della denuncia o, nel caso di denuncia omessa o presentata tardivamente, il termine si
estende a 180 giorni dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva. Entro questi
limiti il provvedimento è adottato e notificato all’acquirente e all’alienante e la proprietà passa allo
Stato dalla data dell’ultima notifica.
Fino a quando non viene esercitato il diritto di prelazione, non può essere stipulato il contratto di
compravendita. Nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, l'ac-
quirente ha facoltà di recedere dal contratto.
Il procedimento di prelazione è disciplinato dall’art. 62. Il soprintendente ricevuta la denuncia di un
atto soggetto a prelazione, ne dà immediata comunicazione alla regione e agli altri enti pubblici
territoriali. La regione ne dà notizia tramite bollettino ufficiale. Nel termine di 20 giorni dalla
denuncia, la regione e gli altri enti pubblici territoriali formulano al Ministero una proposta di
prelazione. Nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente o risulti
incompleta, il termine è di 90 giorni.
Il Ministero può rinunciare all’esercizio di prelazione trasferendone facoltà all’ente interessato entro
20 giorni dalla ricezione della denuncia e nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata
tardivamente o risulti incompleta, il termine è di 120 giorni. L’ente entro 60 giorni dalla denuncia
adotta il provvedimento di prelazione e lo notifica all’alienante e all’acquirente. Nei casi in cui la
denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente o risulti incompleta, il termine è di 180 giorni.
L’art. 63 regola l’obbligo di denuncia dell’attività commerciale di cose antiche o usate, l’obbligo di
tenuta del registro da parte di chi esercita il commercio delle cose antiche o usate e il soprintendente
verifica l’adempimento dell’obbligo, l’obbligo di denuncia della vendita e l’obbligo di denuncia
dell’acquisto di documenti.
Chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di interme-
diazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d'antichità
o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli ogget ti me-
desimi, ha l'obbligo di consegnare all'acquirente una dichiarazione recante tutte le informazioni di-
sponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza.

PRELAZIONE (ACQUISTO IN VIA DI PRELAZIONE)


L’acquisto in via di prelazione dei beni culturali da parte del Ministero, della regione degli altri enti
pubblici territoriali è disciplinato dagli articoli 60, 61 e 62 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Il Ministero, la regione o gli altri enti pubblici territoriali hanno l a facoltà di acquistare in via di
prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di
alienazione.
Qualora il bene sia dato in permuta, il valore economico è dato d’ufficio dal soggetto che procede
alla prelazione. Se l’alienante non accetta il valore d’ufficio, il valore economico della cosa è stabilito
da un terzo designato da entrambe le parti. Se le parti non si accordano per la nomina, questa viene
effettuata dal presidente del tribunale competente per il luogo e le spese relative sono anticipate
dall’alienante.
L’art. 61 pone le condizioni della prelazione. La prelazione è esercitata nel termine di 60 giorni dalla
ricezione della denuncia o, nel caso di denuncia omessa o presentata tardivamente, il termine s i
estende a 180 giorni dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva. Entro questi
limiti il provvedimento è adottato e notificato all’acquirente e all’alienante e la proprietà passa allo
Stato dalla data dell’ultima notifica.
Fino a quando non viene esercitato il diritto di prelazione, non può essere stipulato il contratto di
compravendita. Nel caso in cui il Ministero eserciti la prelazione su parte delle cose alienate, l'ac-
quirente ha facoltà di recedere dal contratto.
Il procedimento di prelazione è disciplinato dall’art. 62. Il soprintendente ricevuta la denuncia di un
atto soggetto a prelazione, ne dà immediata comunicazione alla regione e agli altri enti pubblici
territoriali. La regione ne dà notizia tramite bollettino ufficiale. Nel termine di 20 giorni dalla
denuncia, la regione e gli altri enti pubblici territoriali formulano al Ministero una proposta di
prelazione. Nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente o risulti
incompleta, il termine è di 90 giorni.
Il Ministero può rinunciare all’esercizio di prelazione trasferendone facoltà all’ente interessato entro
20 giorni dalla ricezione della denuncia e nei casi in cui la denuncia sia stata omessa o presentata
tardivamente o risulti incompleta, il termine è di 120 giorni. L’ente entro 60 giorni dalla denuncia
adotta il provvedimento di prelazione e lo notifica all’alienante e all’acquirente. Nei casi in cui la
denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente o risulti incompleta, il termine è di 180 gi orni.

CIRCOLAZIONE IN AMBITO INTERNAZIONALE


USCITA DEFINITIVA E TEMPORANEA

Art. 64-bis: “Il controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare l'integrità del pa-
trimonio culturale in tutte le sue componenti, quali individuate in base al presente codice ed alle
norme previgenti”.
Vigono delle regole particolari che riguardano l’uscita definitiva o temporanea dei beni culturali mo-
bili. I principi generali sono indicati all’art. 64-bis del Codice. Lo scopo (la ratio) che muove tutta la
disciplina è la tutela dell'integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti.
Per “uscita definitiva” s’intende l’uscita senza più ritorno dei beni culturali dal territorio nazionale.
All’Art. 65 (comma 1 e 2) vengono resi noti i beni culturali che non possono uscire dal nostro terri-
torio: “È vietata l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati
nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3.” Per manifestazioni, mostre o esposizione d’arte di alto i nteresse
culturale può essere autorizzata l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle cose e dei
beni culturali elencati.

È vietata altresì l'uscita:


a) delle cose mobili appartenenti ai soggetti indicati all'articolo 10, comma 1, che siano opera di
autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, fino a quando non sia stata
effettuata la verifica prevista dall'articolo 12. Per manifestazioni, mostre o esposizione d’arte di alto
interesse culturale può essere autorizzata l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle
cose e dei beni culturali elencati.
b) dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all'articolo 10, comma 3,
e che “il Ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente individuato e,
per periodi temporali definiti, abbia escluso dall'uscita, perché dannosa per il patrimonio culturale
in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all'appartenenza dei beni medesimi”.
Quindi è vietata l’uscita dei beni mobili indicati nell’art. 10 ai Commi 1, 2 e 3, e quindi i beni culturali
mobili ad appartenenza pubblica e i beni culturali mobili di appartenenza privata qualora rientrino
nell'elenco di cui al terzo comma. Questi sono quei beni che devono necessariamente restare nel
nostro territorio.
Si aggiungono inoltre altre categorie di beni mobili che non possono uscire in modo definitivo: si
tratta delle cose mobili appartenenti ai soggetti pubblici che siano opera di autore non più vive nte
e che la cui esecuzione risalga ad oltre 70 anni fino a quando non sia stata effettuata la verifica
dell'interesse culturale.
È possibile che alcuni beni culturali mobili possano uscire con un’autorizzazione in modo definitivo
e permanente.
Quali sono questi beni culturali?
Al comma 3: “Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 2, è soggetta ad autorizzazione l'uscita definitiva
dal territorio della Repubblica:
a) delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di a utore
non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, fatta eccezione per le
cose di cui all'allegato A, lettera B, numero 1, sia superiore ad euro 13.500; non rientrano in tale
categoria i beni dichiarati di interesse culturale (art. 10, c.3);
b) degli archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale;
non rientrano in tale categoria gli archivi e i documenti dichiarati di interesse storico particolar-
mente importante (art. 10, c. 3);
c) delle cose rientranti nelle categorie di cui all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque
appartengano:
- le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o
di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, co-
munque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni;
- i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni;
- i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta
anni.
Per manifestazioni, mostre o esposizione d’arte di alto interesse culturale può essere autorizzata
l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle cose e dei beni culturali elencati al comma
3.

Comma 4: non è soggetta ad autorizzazione l’uscita delle cose di cui all’art.11 comma 1 lettera d):
le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore vivente o la cui esecu-
zione non risalga ad oltre settanta anni e delle cose che presentino interesse culturale, siano opera
di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore
ad euro 13.500, fatta eccezione per i reperti archeologici.”

È possibile l’uscita temporanea dietro autorizzazione e garantendone l’integrità e sicurezza di beni


e cose culturali che:
1. costituiscono mobilio di cittadini italiani che ricoprono cariche diplomatiche che comportano
il trasferimento all’estero;
2. uscita di beni in accordo con organizzazioni e accordi culturali con istituzioni di studio, ricerca
e valorizzazione estere di durata non superiore a 4 anni;
3. devono essere sottoposti ad analisi per la conservazione all’estero tramite accordi con isti-
tuzioni culturali straniere (max 4 anni);
Per i mezzi di trasporto con più di 75 anni non elencati all’art. 13 è permessa l’uscita per mani-
festazioni o raduni internazionali senza autorizzazione.

In questi casi l’interessato deve comprovare al competente ufficio di esportazione che la cosa che
intende trasferire all'estero rientri nelle ipotesi per i quali non è prevista l'autorizzazione. Il compe-
tente ufficio, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle che presentano un interesse
storico, artistico, archeologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale
della nazione, avvia il procedimento di dichiarazione di interesse culturale che si conclude entro 60
giorni.
Quindi l'amministrazione dei beni culturali assicura in questo modo anche una funzione di vigilanza
su ciò che esce dal territorio nazionale, e soprattutto un controllo sulla natura del bene culturale
che esce.

L’autorizzazione di cui stiamo parlando si chiama attestato di libera circolazione: è specificata


all’art. 68 ed è un provvedimento amministrativo ampliativo.
“Chi intende far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica beni culturali soggetti a divieto
relativo di uscita definitiva dal territorio nazionale deve farne denuncia e presentarle al competente
ufficio di esportazione (oggi la Soprintendenza), indicando, contestualmente e per ciascuna di esse,
il valore venale, al fine di ottenere l'attestato di libera circolazione”.
A questo punto, l'ufficio di esportazione, accertata la congruità del valore indicato, rilascia o nega
con motivato giudizio l’attestato di libera circolazione, dandone comunicazione all'interessato entro
quaranta giorni dalla presentazione della cosa.
L’attestato di libera circolazione ha validità quinquennale.
Ai commi 4 e 6: “Nella valutazione circa il rilascio o il rifiuto dell'attestato di libera circolazione gli
uffici di esportazione accertano se le cose presentate, in relazione alla loro natura o al contesto
storicoculturale di cui fanno parte, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantro-
pologico, bibliografico, documentale o archivistico, a termini dell'art. 10.
Il rifiuto dell’attestato di libera circolazione comporta l'avvio del procedimento di dichiarazione
dell’interesse culturale. A tal fine, contestualmente al diniego, sono comunicati all'interessato i con-
tenuti propri della comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale
(art. 14)”.
Contro il diniego di rilascio dell'attestato è ammesso ricorso amministrativo. La negazione
dell’autorizzazione comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale
d’ufficio.
L'ufficio di esportazione può proporre al Ministero l'acquisto coattivo della cosa per la quale è ri-
chiesto l'attestato di libera circolazione (art. 70). L'ufficio di esportazione, entro un determinato
termine, può fare al Ministero una proposta di acquisto coattivo di quel bene: coattivo nel senso
che, ai fini degli effetti di trasferimento del bene, non è necessario il consenso del titolare, del ven-
ditore. Quindi se il soggetto non volesse vendere quel bene al Ministero sarebbe costretto a farlo
laddove si presenti l'ipotesi in cui il Ministero decida di acquistare coatt ivamente quel bene.
Quali sono le condizioni?
1. la proposta di acquisto deve avvenire entro 40 giorni dalla presentazione della denuncia per l'at-
testato di libera circolazione;
2. l'ufficio di esportazione deve darne contestuale comunicazione alla regione e all'interessato, al
quale dichiara altresì che l'oggetto gravato della proposta di acquisto resti in custodia presso l’ufficio
medesimo fino alla conclusione del procedimento; in questi casi il termine per il rilascio dell'atte-
stato è prorogato di 60 giorni, perché nell'ambito del procedimento è emersa un ulteriore circo-
stanza per la quale si richiede un tempo più ampio per la conclusione del procedimento visto che il
Ministero deve valutare se acquistare o meno il bene oggetto di custodia.
Il Ministero può acquistare coattivamente la cosa per il valore indicato nella denuncia, quindi non
per un valore inferiore a quello indicato.
Se decide di acquistare, il provvedimento, ovviamente, deve essere notificato all'interessato entro
un termine perentorio (c'è un tempo massimo entro il quale il Ministero ha facoltà di acquistare) di
90 giorni dalla denuncia. Fino a quando non sia intervenuto il provvedimento di acquisto l'interes-
sato, ovvero il titolare di quel bene, può rinunciare all'uscita dell'oggetto e provvedere al ritiro del
medesimo: può quindi decidere di non portare fuori dai confini nazionali quel bene e ritirarlo all'uf-
ficio esportazione.
Se il Ministero non intende procedere all'acquisto ne dà comunicazione alla Regione nella quale si
trova l'ufficio di esportazione proponente, e la Regione eventualmente ha la possibilità di acquistare
la cosa entro 90 giorni dalla denuncia e anche in questo caso il provvedimento deve essere notificato
al soggetto interessato.
Qualora il Ministero decida di non acquistare coattivamente il bene, non implica necessariamente a
un giudizio di scarsa rilevanza del bene per le pubbliche raccolte. Il fatto che il Ministero decida di
non acquistare non pregiudica la possibilità di negare comunque il rilascio dell’attestato d i libera
circolazione e di promuovere il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale del bene.

L’uscita temporanea è possibile soltanto dopo aver ottenuto una specifica autorizzazione, l’ atte-
stato di circolazione temporanea (art. 71). “Chi intende far uscire in via temporanea dal territorio
della Repubblica, ai sensi degli articoli 66 e 67, le cose e i beni ivi indicati, deve farne denuncia e
presentarli al competente ufficio di esportazione, indicando, contestualmente e per ciascuno di essi,
il valore venale e il responsabile della sua custodia all'estero, al fine di ottenere l'attestato di circo-
lazione temporanea”.
La Soprintendenza avvia il procedimento, accerta la congruità del valore indicato, e rilascia o nega,
motivatamente, l'attestato di circolazione temporanea dettando le prescrizioni necessarie e dan-
done comunicazione all'interessato entro quaranta giorni dalla presentazione della cosa o di quel
bene.
“L'attestato indica anche il termine per il rientro delle cose o dei beni, che è prorogabile su richiesta
dell'interessato, ma non può essere comunque superiore a diciotto mesi dalla loro uscita dal terri-
torio nazionale (eccezion fatta per i casi previsti dall’art. 67, c.1)”.
“Qualora per l'uscita temporanea siano presentate cose che rivestano l'interesse indicato dall'arti-
colo 10, contestualmente alla pronuncia positiva o negativa sono comunicati all'interessato, ai fini
dell'avvio del procedimento di dichiarazione, gli elementi indicati all'articolo 14, comma 2, e l'og-
getto è sottoposto alle misure di cui all'articolo 14, comma 4”.
Se l'ufficio di esportazione si rende conto che quei beni rivestono interesse culturale, non è escluso
che l'ufficio di esportazione promuova il relativo procedimento di dichiarazione dell'interesse cultu-
rale.
“Il rilascio dell'attestato è sempre subordinato all'assicurazione dei beni da parte dell'interessato”.

INGRESSO NEL TERRITORIO NAZIONALE

Art. 72: “La spedizione in Italia da uno Stato membro dell'Unione europea o l'importazione da un
Paese terzo delle cose o dei beni indicati nell'articolo 65, comma 3, sono certificati, a domanda,
dall'ufficio di esportazione”.
Essenzialmente sono quei beni culturali soggetti a divieto relativo di uscita definitiva. “I certificati di
avvenuta spedizione e di avvenuta importazione sono rilasciati sulla base di documentazione idonea
a identificare la cosa o il bene e a comprovarne la provenienza dal territorio dello Stato membro o
del Paese terzo dai quali la cosa o il bene medesimi sono stati, rispettivamente, spedi ti o importati.
Tali certificati hanno validità quinquennale e possono essere prorogati su richiesta dell’interessato”.
Il bene deve essere tracciato dal nostro Ministero, in particolare dalla Soprintendenza.

ESPORTAZIONE DAL TERRITORIO DELL’UNIONE EUROPEA (ESPORTAZIONE DI UN BENE FUORI DAL TERRITORIO DELL’U.E.)

Per «regolamento CE» si intende il regolamento (CE) n. 116/2009 del 18 dicembre 2008 del Consiglio
relativo all'esportazione di beni culturali;
Per «direttiva UE» la direttiva n. 2014/60/UE del 15 maggio 2014 del Parlamento europeo e del
Consiglio relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato
membro e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012;
Per "Stato richiedente", lo Stato membro dell'Unione europea che promuove l'azione di restitu-
zione.
L’art. 73 disciplina l’esportazione e si richiama alle norme comunitarie dell’UE (regolamento CE 2009
relativo all’esportazione di beni culturali dal territorio dell’unione a paesi terzi + direttiva UE 2014
relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dai territori di uno stato membro).
Il principio è lo stesso della convenzione UNESCO del 1970 sulle illecite esportazioni internazionali =
è necessaria la LICENZA DI ESPORTAZIONE.

L’art. 74 stabilisce che l’esportazione al di fuori dell’UE è disciplinata dal regolamento CE del 2009
(norme puntuali, vincolanti e direttamente applicabili sul territorio di qualsiasi stato membro); oc-
corre quindi la licenza di esportazione rilasciata dall’ufficio di esportazione del Ministero insieme
all’attestato di libera circolazione (documento richiesto dalla nostra disciplina interna per la circola-
zione) = due atti che il soggetto deve chiedere e ottenere.
La licenza di esportazione può anche essere temporanea.
L'esportazione al di fuori del territorio dell’Unione europea degli oggetti indicati nell'allegato A è
disciplinata dal regolamento CE e dal presente articolo.
Oggetti indicati all’allegato A:
1. Reperti archeologici aventi più di cento anni provenienti da:
a) scavi e scoperte terrestri o sottomarine;
b) siti archeologici;
c) collezioni archeologiche.
2. Elementi, costituenti parte integrante di monumenti artistici, storici o religiosi e provenienti dallo smem-
bramento dei monumenti stessi, aventi più di cento anni.
3. Quadri e pitture diversi da quelli appartenenti alle categorie 4 e 5 fatti interamente a mano su qualsiasi
supporto e con qualsiasi materiale.
4. Acquerelli, guazzi e pastelli eseguiti interamente a mano su qualsiasi supporto.
5. Mosaici diversi da quelli delle categorie 1 e 2 realizzati interamente a mano con qualsiasi materiale e
disegni fatti interamente a mano su qualsiasi supporto.
6. Incisioni, stampe, serigrafie e litografie originali e relative matrici, nonché' manifesti originali.
7. Opere originali dell’arte statuaria o dell’arte scultorea e copie ottenute con il medesimo procedimento
dell’originale, diverse da quelle della categoria 1.
8. Fotografie, film e relativi negativi.
9. Incunaboli e manoscritti, compresi le carte geografiche e gli spartiti musicali, isolati o in collezione.
10. Libri aventi più di cento anni, isolati o in collezione.
11. Carte geografiche stampate aventi più di duecento anni.
12. Archivi e supporti, comprendenti elementi di qualsiasi natura aventi più di cinquanta anni.
13. a) Collezioni ed esemplari provenienti da collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia.
b) Collezioni aventi interesse storico, paleontologico, etnografico o numismatico.
14. Mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni.
15. Altri oggetti di antiquariato non contemplati dalle categorie da 1 a 14, aventi più di settanta anni.

Gli uffici di esportazione del Ministero sono autorità competenti per il rilascio delle licenze di espor-
tazione. Il Ministero redige l'elenco di detti uffici e lo comunica alla Commission europea; segnala,
altresì, ogni eventuale modifica dello stesso entro due mesi dalla rela tiva effettuazione.
La licenza di esportazione prevista dall'articolo 2 del regolamento CE è rilasciata dall'ufficio di espor-
tazione contestualmente all'attestato di libera circolazione, ed è valida per un anno. La detta licenza
può essere rilasciata, dallo stesso ufficio che ha emesso l'attestato, anche non contestualmente
all'attestato medesimo, ma non oltre quarantotto mesi dal rilascio di quest'ultimo.
Per gli oggetti indicati nell’allegato A, l'ufficio di esportazione può rilasciare, a richiesta anche licenza
di esportazione temporanea.

DISCIPLINA IN MATERIA DI RESTITUZIONE, NELL’AMBITO DELL’UNIONE EUROPEA, DI BENI CULTURALI


ILLECITAMENTE USCITI DAL TERRITORIO DI UNO STATO MEMBRO

L’art. 75 disciplina la restituzione + DIRETTIVA 2014/60/UE.


Ai fini della direttiva UE, si intende per bene culturale un bene che è stato classificato o definito da
uno Stato membro, prima o dopo essere illecitamente uscito dal territorio di tale Stato membro, tra
i beni del patrimonio culturale dello Stato medesimo, ai sensi dell'articolo 36 del Trattato sul funzio-
namento dell'Unione europea.
È illecita l'uscita dei beni avvenuta dal territorio di uno Stato membro in violazione del mancato
rientro dei beni medesimi alla scadenza del termine fissato nel provvedimento di autorizzazione alla
spedizione temporanea. Si considerano illecitamente usciti anche i beni dei quali sia stata autoriz-
zata la spedizione temporanea qualora siano violate le prescrizioni stabilite con il provvedimento di
autorizzazione.
Quindi in tutti questi casi l'Italia ha il diritto di esercitare un’azione di restituzione per ottenere il
bene illecitamente uscito dal territorio nazionale.

RESTITUZIONE DEI BENI ILLECITAMENTE USCITI DAL TERRITORIO

L’azione di restituzione è disciplinata dagli articoli 77, 78 e 82 + DIRETTIVA 2014/60/UE.


“Per i beni culturali usciti illecitamente dal loro territorio, gli Stati membri dell’Unione europea pos-
sano esercitare l’azione di restituzione davanti all’autorità giudiziaria ordinaria. L’azione è proposta
davanti al tribunale del luogo in cui il bene si trova”.
“L'azione è promossa nel termine perentorio di un anno a decorrere il giorno in cui lo Stato richie-
dente ha avuto conoscenza che il bene uscito illecitamente si trova in un determinato luogo e ne ha
identificato il possessore o detentore a qualsiasi titolo”.
“L’azione di restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio italiano è esercitata dal
Ministero, d'intesa con il Ministero degli affari esteri, davanti al giudice dello Stato membro
dell’Unione europea in cui si trova il bene culturale”.
Quindi, se l’Italia si accorge che un bene è uscito illecitamente dal territorio può esercitare d'Intesa
con il Ministero degli Esteri un’azione giudiziale di restituzione davanti al giudice del luogo in cui si
trova il bene, e quindi verosimilmente in presenza d’un giudice diverso da quello nazionale.

Lo Stato in questi casi non si presenta come proprietario del bene data la possibilità che il suddetto
sia di appartenenza privata (per esempio), e quindi lo Stato agisce per la restituzione non in quanto
proprietario bensì in quanto titolare di poteri pubblici di tutela e protezione dei beni culturali.
Infatti, all’art. 83 vien resa nota la destinazione del bene restituito: “Qualora il bene culturale resti-
tuito non appartenga allo Stato, il Ministero provvede alla sua custodia fino alla consegna all'avente
diritto.
Quando non sia conosciuto chi abbia diritto alla consegna del bene, il Ministero dà notizia del prov-
vedimento di restituzione mediante avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica ita-
liana e con altra forma di pubblicità.
Qualora l'avente diritto non ne richieda la consegna entro cinque anni, il bene è acquisito al demanio
dello Stato e può essere assegnato ad un museo, biblioteca o archivio dello Stato, di una regione o
di altro ente pubblico territoriale, al fine di assicurarne la migliore tutela e la pubblica fruizione nel
contesto culturale più opportuno”.
Il tribunale nel disporre la restituzione del bene può liquidare un indennizzo; per ottenerlo il sog-
getto interessato deve dimostrare di aver usato la diligenza necessaria all’atto di acquisizione
(buona fede). Si tiene conto di tutte le circostanze: documenti di provenienza del bene, presenta-
zione delle autorizzazioni, della qualità delle parti, del prezzo pa gato…
Il Ministero deve informare la Commissione Europea delle misure adottate per rispettare il regola-
mento 2009 e informare il Parlamento dell’attuazione della direttiva 2014.
Presso il Ministero inoltre è istituita una banca dati dei beni illecitament e sottratti.
A. Resta ferma la disciplina dettata dalla Convenzione dell'UNIDROIT sul ritorno internazionale
dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, adottata a Roma il 24 giugno 1995, e dalle
relative norme di ratifica ed esecuzione, con riferimento ai beni indicati nell'annesso alla
Convenzione medesima.
B. Resta ferma la disciplina dettata dalla Convenzione UNESCO sulla illecita importazione,
esportazione e trasferimento dei beni culturali, adottata a Parigi il 14 novembre 1970, e dalle
relative norme di ratifica ed esecuzione, con riferimento ai beni indicati nella Convenzione
medesima.

USCITA DAL TERRITORIO NAZIONALE DEI BENI PRIVATI


Per “uscita definitiva” s’intende l’uscita senza più ritorno dei beni culturali dal territorio nazionale.
All’Art. 65 (comma 1 e 2) vengono resi noti i beni culturali che non possono uscire dal nostro terri-
torio: “È vietata l'uscita definitiva dal territorio della Repubblica dei beni culturali mobili indicati
nell'articolo 10, commi 1, 2 e 3.” Per manifestazioni, mostre o esposizione d’arte di alto interesse
culturale può essere autorizzata l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle cose e dei
beni culturali elencati.

È vietata l'uscita dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie indicate all'articolo
10, comma 3, e che “il Ministero, sentito il competente organo consultivo, abbia preventivamente
individuato e, per periodi temporali definiti, abbia escluso dall'uscita, perché dannosa per il patri-
monio culturale in relazione alle caratteristiche oggettive, alla provenienza o all'appartenenza dei
beni medesimi.
Quindi è vietata l’uscita dei beni mobili indicati nell’art. 10 ai Commi 1, 2 e 3, e quindi i beni culturali
mobili ad appartenenza pubblica e i beni culturali mobili di appartenenza privata qualora rientrino
nell'elenco di cui al terzo comma. Questi sono quei beni che devono necessariamente restare nel
nostro territorio.
È possibile che alcuni beni culturali mobili possano uscire con un’autorizzazione in modo definitivo
e permanente.
Quali sono questi beni culturali?
Al comma 3: “Fuori dei casi previsti dai commi 1 e 2, è soggetta ad autorizzazione l'uscita definitiva
dal territorio della Repubblica:
a) delle cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore
non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, fatta eccezione per le
cose di cui all'allegato A, lettera B, numero 1, sia superiore ad euro 13.500; non rientrano in tale
categoria i beni dichiarati di interesse culturale (art. 10, c.3);
b) degli archivi e dei singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale;
non rientrano in tale categoria gli archivi e i documenti dichiarati di interesse storico particolar-
mente importante (art. 10, c. 3);
c) delle cose rientranti nelle categorie di cui all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) ed h), a chiunque
appartengano:
- le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o
di sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali, co-
munque realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque anni;
- i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni;
- i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta
anni.
Per manifestazioni, mostre o esposizione d’arte di alto interesse culturale può essere autorizzata
l’uscita temporanea dal territorio della Repubblica delle cose e dei beni culturali elencati al comma
3.
casi l’interessato deve comprovare al competente ufficio di esportazione che la cosa che intende
trasferire all'estero rientri nelle ipotesi per i quali non è prevista l'autorizzazione. Il competente uf-
ficio, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle che presentano un interesse storico,
artistico, archeologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della na-
zione, avvia il procedimento di dichiarazione di interesse culturale che si conclude entro 60 giorni.
Quindi l'amministrazione dei beni culturali assicura in questo modo anche una funzione di vigilanza
su ciò che esce dal territorio nazionale, e soprattutto un controllo sulla natura del bene culturale
che esce.
L’autorizzazione di cui stiamo parlando si chiama attestato di libera circolazione: è specificata
all’art. 68 ed è un provvedimento amministrativo ampliativo.
“Chi intende far uscire in via definitiva dal territorio della Repubblica beni culturali soggetti a divieto
relativo di uscita definitiva dal territorio nazionale deve farne denuncia e presentarle al competente
ufficio di esportazione (oggi la Soprintendenza), indicando, contestualmente e per ciascuna di esse,
il valore venale, al fine di ottenere l'attestato di libera circolazione”.
A questo punto, l'ufficio di esportazione, accertata la congruità del valore indicato, rilascia o nega
con motivato giudizio l’attestato di libera circolazione, dandone comunicazione all'interessato entro
quaranta giorni dalla presentazione della cosa.
Contro il diniego di rilascio dell'attestato è ammesso ricorso amministrativo. La negazione
dell’autorizzazione comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale
d’ufficio.
L'ufficio di esportazione può proporre al Ministero l'acquisto coattivo della cosa per la quale è ri-
chiesto l'attestato di libera circolazione (art. 70). L'ufficio di esportazione, entro un determinato
termine, può fare al Ministero una proposta di acquisto coattivo di quel bene: coattivo n el senso
che, ai fini degli effetti di trasferimento del bene, non è necessario il consenso del titolare, del ven-
ditore. Quindi se il soggetto non volesse vendere quel bene al Ministero sarebbe costretto a farlo
laddove si presenti l'ipotesi in cui il Ministero decida di acquistare coattivamente quel bene.

RICERCHE ARCHEOLOGICHE, CONCESSIONI DI RICERCA E SCOPERTE FORTUITE – RICERCA E


RITROVAMENTO DEI BENI SUL TERRITORIO NAZIONALE – CONCESSIONI E RITROVAMENTI FORTUITI
Il nostro codice è particolarmente limitativo e restrittivo in ordine alla tutela dei Beni Archeologici:
esamineremo gli articoli che vanno dall’88 al 93 del Codice, che specificamente riguardano i ritrova-
menti e le scoperte, in particolare le ricerche e anche i rinvenimenti fortuiti nel territorio nazionale.
Art. 88: “Le ricerche archeologiche e, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose indicate
all'articolo 10 in qualunque parte del territorio nazionale sono riservate al Ministero. Il Ministero
può ordinare l'occupazione temporanea degli immobili ove devono eseguirsi le ricerche o le opere
di cui al comma 1.
Il proprietario dell'immobile ha diritto a un'indennità per l'occupazione, determinata secondo le
modalità stabilite dalle disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità.
L'indennità può essere corrisposta in denaro o, a richiesta del proprietario, mediante rilascio delle
cose ritrovate o di parte di esse, quando non interessino le raccolte dello Stato”.

Concessione di ricerca
Nel caso in cui sia il proprietario stesso ad effettuare le ricerche archeologiche, il Ministero può dare
la concessione allo scavo per la ricerca.
Art. 89: “Il Ministero può dare in concessione a soggetti pubblici o privati l'esecuzione delle ricerche
e delle opere indicate nell'articolo 88 ed emettere a favore del concessionario il decreto di occupa-
zione degli immobili ove devono eseguirsi i lavori”.
Il concessionario non è necessariamente il proprietario dell'immobile dove devono eseguirsi le ri-
cerche, e al comma 5 troviamo specificato che: “La concessione prevista al comma 1 può essere
rilasciata anche al proprietario degli immobili ove devono eseguirsi i lavori”.
Questa concessione, che è un atto amministrativo, è riservata solo al concessionario per perseguire
quell’attività che altrimenti sarebbe riservata allo Stato.
Dagli artt. 88 e 89 che abbiamo visto consegue che tutti i soggetti che intendano svolgere ricerche
archeologiche, ivi inclusi i proprietari delle aree dipartimenti universitari di archeologia, devono
prima ottenere una concessione da parte del Ministero.
Il Codice assoggetta a tale regime tutte le ricerche archeologiche, sia gli scavi sia le ricerche di su-
perficie con l'utilizzo di apparecchiature di ricerca dei metalli.
Tra l'altro il fatto che le ricerche archeologiche sono sottoposte a concessione non è soltanto una
regola limitata al nostro ordinamento Nazionale, ma è prevista anche nell’ordinamento Internazio-
nale. La convenzione Europea per la protezione del patrimonio archeologico, sottoscritta a La Val-
letta il 16 gennaio 1992, vieta gli scavi clandestini o privi di carattere scientifico.
Questo trattato internazionale afferma l'importanza di istituire, laddove non esistano ancora, pro-
cedure di controllo amministrativo e scientifico.
Art. 3 della Convenzione:
“Allo scopo di salvaguardare il patrimonio archeologico e di garantire la scientificità delle operazioni
di ricerca archeologica, ogni Parte si impegna:
I) ad introdurre delle procedure d’autorizzazione e di controllo degli scavi e delle altre attività ar-
cheologiche, al fine di:
a) impedire scavi o allontanamento illegali di elementi del patrimonio archeologico;
b) garantire che gli scavi e le ricerche archeologiche si svolgano in modo scientifico e che:
– vengano applicati nella misura del possibile metodo di ricerca non distruttivi;
– gli elementi del patrimonio archeologico non vengano portati alla luce né lasciati esposti durante
o dopo gli scavi senza che siano state adottate delle disposizioni per la loro preservazione, conser-
vazione e gestione;
II) a fare in modo che gli scavi e le altre tecniche potenzialmente distruttive vengano praticate esclu-
sivamente da persone qualificate e munite di un’autorizzazione special e;
III) a sottomettere ad un’autorizzazione preliminare, nei casi previsti dalla legislazione interna dello
Stato, l’utilizzazione di rivelatori di metalli e di altri strumenti di rilevazione o di altri procedimenti
per la ricerca archeologica”.
In sintesi, nessuno (pubblico o privato) può svolgere ricerche archeologiche se non a seguito di un
provvedimento di concessione e se non ha una particolare competenza professionale ad eseguire
questo tipo di attività. Il codice dei beni culturali non prevede requisiti soggettivi per il rilascio delle
concessioni di scavo, non prevede direttamente chi siano le persone dotate delle competenze per
effettuare questo tipo di attività. La fonte di rango secondario (non una legge) che è stato varato
dal Ministero dei Beni Culturali che ha previsto quali siano i requisiti soggettivi in presenza dei quali
è possibile che un soggetto possa legittimamente procedere alla ricerca archeologica. Sono requisiti
che attengono al direttore dello scavo, che deve avere una preparazione specifica e congruente con
la ricerca da avviarsi maturata per formazione universitaria, post-universitaria o maturata nel set-
tore.

Il provvedimento di concessione
Il provvedimento si conclude o con rilascio del provvedimento di concessione o diniego di conces-
sione.
Il provvedimento di concessione:
1. è rilasciato dal Direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio, previa istruttoria della So-
praintendenza;
2. ha durata di regola di 3 anni;
3. fissa delle prescrizioni che devono essere seguite nello svolgimento degli scavi, in caso di inosser-
vanza delle prescrizioni la concessione è revocata (rivolte a ridurre il rischio di danneggiamenti,
ecco…);
4. la concessione può essere revocata anche quando il Ministero intenda sostituirsi nell’esecuzione
o prosecuzione delle opere. In tal caso sono rimborsate al concessionario le spese occorse per le
opere già eseguite ed il relativo importo è fissato dal Ministero in caso di
disaccordo da un perito nominato dal presidente del Tribunale).

Art. 90: “Chi scopre fortuitamente cose immobili o mobili indicate nell'articolo 10 ne fa denuncia
entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza e
provvede alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono
state rinvenute. Della scoperta fortuita sono informati, a cura del soprintendente, anche i carabinieri
preposti alla tutela del patrimonio culturale.
Ove si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo scopritore ha
facoltà di rimuoverle per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino alla visita dell'auto-
rità competente e, ove occorra, di chiedere l'ausilio della forza pubblica.
Agli obblighi di conservazione e custodia previsti nei commi 1 e 2 è soggetto ogni detentore di cose
scoperte fortuitamente. Le spese sostenute per la custodia e rimozione sono rimborsate dal Mini-
stero”.
Sempre riguardo ai beni archeologici, troviamo l’Art. 90 all’interno del quale si apre una parentesi
nell'ambito delle scoperte fortuite. Si parla di quei beni archeologici che vengono ritrovati non a
seguito di attività di ricerca autorizzata dal Ministero, ma vengono trovati casualmente. Il Codice si
preoccupa di prevedere anche questo tipo di situazioni. Ecco cosa prevede. Prevede degli obblighi
in capo al soggetto che scopre fortuitamente questa tipologia di beni culturali.
L’Art. sopra citato si occupa di questa fattispecie. Ebbene, questo è ciò che specifica: chi scopre
fortuitamente un bene di interesse archeologico deve subito denunciare, entro l’arco di un giorno,
una di queste autorità (soprintendente, sindaco o l'autorità di pubblica sicurezza); non solo ha l’ob-
bligo di denuncia, ma anche un obbligo di conservazione temporanea dei beni ritrovati. Si prevede
che nel caso in cui si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo
scopritore ha facoltà di rimuoverle per garantire al meglio la conservazione di essi.
A chi appartengono le cose rinvenute?
Nel Codice civile del 1942 viene specificato che: “Tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta
o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario. […] Per il ritrovamento degli oggetti
d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico si osservano le disposi-
zioni delle leggi speciali”.
Il Codice civile rimanda alle speciali in materia di beni culturali per stabilire la sorte di questi beni.
La legge speciale è il Codice dei beni culturali, il quale, ad oggi, prevede in osservanza della regola
vigente dal 1909 l’Art. 91: “Le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritro-
vate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o
mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del
Codice civile”.
Quindi le cose da chiunque e in qualunque modo trovate nel sottosuolo e sui fondali marini sono di
proprietà dello Stato.
Parlando del riconoscimento elargito allo scopritore del bene, l’Art. 92 del Codice specifica che: “Il
Ministero corrisponde un premio non superiore al quarto del valore delle cose ritrovate:
a) al proprietario dell'immobile dove è avvenuto il ritrovamento;
b) al concessionario dell'attività di ricerca, di cui all'articolo 89, qualora l'attività medesima non
rientri tra i suoi scopi istituzionali o statutari;
c) allo scopritore fortuito che ha ottemperato agli obblighi previsti dall'articolo 90”.
Questi sono i soggetti che hanno diritto a un premio.
Sempre nel medesimo art. si trovano anche le singole quote che possono essere richieste:
“Il proprietario dell'immobile che abbia ottenuto la concessione prevista dall'articolo 89 ovvero sia
scopritore della cosa, ha diritto ad un premio non superiore alla metà del valore delle cose ritrovate.
Nessun premio spetta allo scopritore che si sia introdotto e abbia ricercato nel fondo altrui senza il
consenso del proprietario o del possessore.
Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di parte delle cose ritrovate. In luogo
del premio, l'interessato può ottenere, a richiesta, un credito di imposta di pari ammontare, se-
condo le modalità e con i limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro dell'economia e delle
finanze di concerto con il Ministro, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.
400.”

Come e chi quantifica il premio?


Art. 93: “Il Ministero provvede alla determinazione del premio spettante agli aventi titolo ai sensi
dell'articolo 92, previa stima delle cose ritrovate”.
Gli aventi titolo sono il proprietario, il concessionario o lo scopritore fortuito.
[In corso di stima, a ciascuno degli aventi titolo è corrisposto un acconto del premio in misura non
superiore ad un quinto del valore, determinato in via provvisoria, delle cose ritrovate. L'accettazione
dell'acconto non comporta acquiescenza alla stima definitiva.
Se gli aventi titolo non accettano la stima definitiva del Ministero, il valore delle cose r itrovate è
determinato da un terzo, designato concordemente dalle parti. Se esse non si accordano per la no-
mina del terzo ovvero per la sua sostituzione, qualora il terzo nominato non voglia o non possa
accettare l'incarico, la nomina è effettuata, su richiesta di una delle parti, dal presidente del tribu-
nale del luogo in cui le cose sono state ritrovate. Le spese della perizia sono anticipate dagli aventi
titolo al premio. La determinazione del terzo è impugnabile in caso di errore o di manifesta ini-
quità”.]
Nella prassi avviene in diversa maniera. Dato che, sarcasticamente, il nostro Stato ha una carenza
cronica di fondi pubblici, e di conseguenza rimane restio a elargire somme di denaro (per limitare la
spesa pubblica). Una circolare del Ministero dei Beni Culturali prevede: “Per limitare il più possibile
le spese relative ai premi di rinvenimento, si precisa che non saranno comunque autorizzate richie-
ste inerenti allo svolgimento di scavi e ricerche su terreni di proprietà di privati, a meno che non vi
sia un’esplicita dichiarazione di rinuncia al premio da parte del proprietario ovvero una dichiarazione
del concessionario di farsene carico, pagando direttamente all'avente diritto la somma da calcolarsi
sulla base dei conteggi effettuati dalla Soprintendenza competente e obbligandosi verso questa Am-
ministrazione a tenerla indenne da ogni conseguenza patrimoniale dannosa”.
Il Ministero è restio al riconoscimento del valore della somma di denaro corrispondente al valore
del bene ritrovato. Per cui, gli scavi vengono subordinati a una dichiarazione espressa di rinuncia al
premio da parte del proprietario del bene o una dichiarazione del concessionario (diverso dal pro-
prietario) di farsene eventualmente carico (ovvero lui che paga il proprietario).
Stessa cosa nel caso in cui i proprietari non siano privati, ma pubblici. In ogni caso, sia nel caso in cui
i proprietari siano privati, sia nel caso in cui siano pubblici, il Ministero è restio a riconoscere un
premio proprio per via dell'obiettivo di limitare e ridurre la spesa pubblica.

Riassumendo
Di regola, i beni archeologici sono di appartenenza statale.
Tale regola trova eccezione (e quindi i beni archeologici sono di proprietà privata):
1. i beni ritrovati prima del 1909;
2. i beni rilasciati dallo Stato come premio di rinvenimento in natura;
3. i beni rinvenuti da scavi in aree di proprietà privata e rilasciati dalla P.A. al proprietario
dell’area in luogo dell'indennità di occupazione in denaro;
4. i beni acquisiti a seguito di alienazione da parte della P.A.;
5. i beni acquistati all’estero e importati in Italia.

IL RITROVAMENTO E LE SCOPERTE DEI BENI


Art. 90: “Chi scopre fortuitamente cose immobili o mobili indicate nell'articolo 10 ne fa denuncia
entro ventiquattro ore al soprintendente o al sindaco ovvero all'autorità di pubblica sicurezza e
provvede alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono
state rinvenute. Della scoperta fortuita sono informati, a cura del soprintendente, anch e i carabinieri
preposti alla tutela del patrimonio culturale.
Ove si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo scopritore ha
facoltà di rimuoverle per meglio garantirne la sicurezza e la conservazione sino alla visita dell'auto-
rità competente e, ove occorra, di chiedere l'ausilio della forza pubblica.
Agli obblighi di conservazione e custodia previsti nei commi 1 e 2 è soggetto ogni detentore di cose
scoperte fortuitamente. Le spese sostenute per la custodia e rimozione sono rimborsate dal Mini-
stero”.
Sempre riguardo ai beni archeologici, troviamo l’Art. 90 all’interno del quale si apre una parentesi
nell'ambito delle scoperte fortuite. Si parla di quei beni archeologici che vengono ritrovati non a
seguito di attività di ricerca autorizzata dal Ministero, ma vengono trovati casualmente. Il Codice si
preoccupa di prevedere anche questo tipo di situazioni. Ecco cosa prevede. Prevede degli obblighi
in capo al soggetto che scopre fortuitamente questa tipologia di beni culturali.
L’Art. sopra citato si occupa di questa fattispecie. Ebbene, questo è ciò che specifica: chi scopre
fortuitamente un bene di interesse archeologico deve subito denunciare, entro l’arco di un giorno,
una di queste autorità (soprintendente, sindaco o l'autorità di pubblica sicurezza); non solo ha l’ob-
bligo di denuncia, ma anche un obbligo di conservazione temporanea dei beni ritrovati. Si prevede
che nel caso in cui si tratti di cose mobili delle quali non si possa altrimenti assicurare la custodia, lo
scopritore ha facoltà di rimuoverle per garantire al meglio la conservazione di essi.

A chi appartengono le cose rinvenute?


Nel Codice civile del 1942, viene specificato che:
“Tesoro è qualunque cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di
essere proprietario. […] Per il ritrovamento degli oggetti d'interesse storico, archeologico, paletno-
logico, paleontologico e artistico si osservano le disposizioni delle leggi speciali”.
Il Codice civile rimanda alle speciali in materia di beni culturali per stabilire la sorte di questi beni.
La legge speciale è il Codice dei beni culturali, il quale, ad oggi, prevede in osservanza della regola
vigente dal 1909 l’Art. 91: “Le cose indicate nell'articolo 10, da chiunque e in qualunque modo ritro-
vate nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano immobili o
mobili, fanno parte del demanio o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli art icoli 822 e 826 del
Codice civile”.
Quindi le cose da chiunque e in qualunque modo trovate nel sottosuolo e sui fondali marini sono di
proprietà dello Stato.
Parlando del riconoscimento elargito allo scopritore del bene, l’Art. 92 del Codice specifica che: “Il
Ministero corrisponde un premio non superiore al quarto del valore delle cose ritrovate:
a) al proprietario dell'immobile dove è avvenuto il ritrovamento;
b) al concessionario dell'attività di ricerca, di cui all'articolo 89, qualora l'attività medesi ma non
rientri tra i suoi scopi istituzionali o statutari;
c) allo scopritore fortuito che ha ottemperato agli obblighi previsti dall'articolo 90”.
Questi sono i soggetti che hanno diritto a un premio.
Sempre nel medesimo art. si trovano anche le singole quote che possono essere richieste:
“Il proprietario dell'immobile che abbia ottenuto la concessione prevista dall'articolo 89 ovvero sia
scopritore della cosa, ha diritto ad un premio non superiore alla metà del valore delle cose ritrovate.
Nessun premio spetta allo scopritore che si sia introdotto e abbia ricercato nel fondo altrui senza il
consenso del proprietario o del possessore.
Il premio può essere corrisposto in denaro o mediante rilascio di parte delle cose ritrovate. In luogo
del premio, l'interessato può ottenere, a richiesta, un credito di imposta di pari ammontare, se-
condo le modalità e con i limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro dell'economia e delle
finanze di concerto con il Ministro, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n.
400”.

Come e chi quantifica il premio?


Art. 93: “Il Ministero provvede alla determinazione del premio spettante agli aventi titolo ai sensi
dell'articolo 92, previa stima delle cose ritrovate”.
Gli aventi titolo sono il proprietario, il concessionario o lo scopritore fortuito.
In corso di stima, a ciascuno degli aventi titolo è corrisposto un acconto del premio in misura non
superiore ad un quinto del valore, determinato in via provvisoria, delle cose ritrovate. L'accettazione
dell'acconto non comporta acquiescenza alla stima definitiva.
Se gli aventi titolo non accettano la stima definitiva del Ministero, il valore delle cose ritrovate è
determinato da un terzo, designato concordemente dalle parti. Se esse non si accorda no per la no-
mina del terzo ovvero per la sua sostituzione, qualora il terzo nominato non voglia o non possa
accettare l'incarico, la nomina è effettuata, su richiesta di una delle parti, dal presidente del tribu-
nale del luogo in cui le cose sono state ritrovate. Le spese della perizia sono anticipate dagli aventi
titolo al premio. La determinazione del terzo è impugnabile in caso di errore o di manifesta iniquità”.

Nella prassi avviene diversamente. Il nostro Stato ha una carenza cronica di fondi pubblici, e di con-
seguenza rimane restio a elargire somme di denaro (per limitare la spesa pubblica). Una circolare
del Ministero dei Beni Culturali prevede: “Per limitare il più possibile le spese relative ai premi di
rinvenimento, si precisa che non saranno comunque autorizzate richieste inerenti allo svolgimento
di scavi e ricerche su terreni di proprietà di privati, a meno che non vi sia un ’esplicita dichiarazione
di rinuncia al premio da parte del proprietario ovvero una dichiarazione del concessionario di far-
sene carico, pagando direttamente all'avente diritto la somma da calcolarsi sulla base dei conteggi
effettuati dalla Soprintendenza competente e obbligandosi verso questa Amministrazione a tenerla
indenne da ogni conseguenza patrimoniale dannosa”.
Il Ministero è restio al riconoscimento del valore della somma di denaro corrispondente al valore
del bene ritrovato. Per cui, gli scavi vengono subordinati a una dichiarazione espressa di rinuncia al
premio da parte del proprietario del bene o una dichiarazione del concessionario (diverso dal pro-
prietario) di farsene eventualmente carico (ovvero lui che paga il proprietario).
Stessa cosa nel caso in cui i proprietari non siano privati, ma pubblici. In ogni caso, sia nel caso in cui
i proprietari siano privati, sia nel caso in cui siano pubblici, il Ministero è restio a riconoscere un
premio proprio per via dell'obiettivo di limitare e ridurre la spesa pubblica.

ESPROPRIAZIONE
L’espropriazione dei beni culturali è stabilita dagli articoli 95, 96, 97, 98, 99 e 100 del Codice.
I beni culturali mobili e immobili possono essere espropriati dal Mini stero per causa di pubblica
utilità, quando l’espropriazione risponda a un importante interesse a migliorare le condizioni di
tutela ai fini della fruizione pubblica dei medesimi beni.
Il Ministero può autorizzare le regioni e gli altri enti pubblici territoriali e ogni altro ente ed istituto
pubblico a effettuare l’espropriazione. In questo caso si dichiara la pubblica utilità ai fini
dell’esproprio. Il Ministero può anche disporre l’espropriazione a favore di persone giuridiche private
senza fine di lucro, curando direttamente il relativo procedimento.
Aree e edifici possono essere espropriati per fini strumentali, quando sia necessario isolare o
restaurare beni culturali immobili, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il
decoro o il godimento da parte del pubblico e facilitarne l’accesso.
L’espropriazione di immobili per interventi di interesse archeologico o per ricerche viene effettuata
dal Ministero.
La pubblica utilità è dichiarata con decreto ministeriale o anche con provvedimento della regione
comunicato al Ministero. L’approvazione del progetto equivale a dichiarazione di pubblica utilità per
l’espropriazione per fini strumentali o per interesse archeologico.
L’indennità nel caso di espropriazione dei beni culturali consiste nel giusto prezzo che il bene avrebbe
in una libera contrattazione di compravendita all’interno dello Stato. Il pagamento dell’indennità è
effettuato secondo modalità stabilite dalle disposizioni di espropriazione per pubblica utilità.
Per le espropriazioni di interesse archeologico e per le espropriazioni per fini strumentali si applicano
le disposizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità.
ISTITUTI E LUOGHI DI CULTURA: NOZIONE E MODALITA’ DI FRUIZIONE E ACCESSO – LUOGHI DI
CULTURA – FRUIZIONE DI BENI CULTURALI DI APPARTENENZA PUBBLICA O DI PROPRIETA’ PRIVATA
Come stabilito dall’art. 101 del Codice, sono istituti e luoghi di cultura i musei, le biblioteche e gli
archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
Per “museo” si intende una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed
espone beni culturali per finalità di educazione e di studio.
Per “biblioteca” si intende una struttura permanente che raccoglie, cataloga, conserva un insieme
organizzato di libri, materiali e informazioni editi o pubblicati su qualunque supporto e ne assicura
la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo studio.
Per “archivio” si intende una struttura permanente che raccoglie, inventaria e conserva documenti
originali di interesse storico e ne assicura la consultazione per finalità di studio e di ricerca.
Per “area archeologica” si intende un sito caratterizzato dalla presenza di resti di natura fossile o di
manufatti o strutture preistorici o di età antica.
Per “parco archeologico” si intende un ambito territoriale caratterizzato da importanti evidenze
archeologiche e dalla compresenza di valori storici, paesaggistici o ambientali, attrezzato come
museo all’aperto.
Per “complesso monumentale” si intende un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati
anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito una autonoma rilevanza storica, artistica
ed etnoantropologica.
Gli istituti e i luoghi di cultura elencati che appartengono a soggetti pubblici sono destinati alla
pubblica fruizione ed espletano un servizio pubblico. Gli istituti e i luoghi di cultura che
appartengono a soggetti privati e sono aperti al pubblico espletano un servizio privato di utilità
sociale.
La fruizione degli istituti e dei luoghi di cultura di appartenenza pubblica è disciplinata dall’art. 102
del Codice. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente e istituto pubblico
assicurano la fruizione dei beni presenti negli istituti e luoghi di cultura nel rispetto dei principi
fondamentali fissati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La legislazione regionale disciplina la fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura
non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della
normativa vigente.
La fruizione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e i luoghi di cultura è assicurata secondo
le disposizioni di fruizione e valorizzazione del Codice. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali definiscono accordi nell’ambito e con le procedure di valorizzazione dei beni culturali di
appartenenza pubblica indicate all’art.112. In assenza di accordo ciascun soggetto pubblico è tenuto
a garantirne la fruizione dei beni di cui ha la disponibilità. Il Ministero può trasferire alle regioni e
agli altri enti pubblici territoriali la disponibilità di istituti e luoghi di cultura al fine di assicurare
un’adeguata fruizione e valorizzazione dei beni.
L’accesso agli istituti e ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il Ministero,
le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono stipulare intese per coordinare l’accesso ad essi
e, nei casi di accesso a pagamento, determinano: i casi di libero accesso e di ingresso gratuito; le
categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del prezzo; le modalità di emissione,
distribuzione e vendita del biglietto d’ingresso e di riscossione del corrispettivo.
L’accesso agli archivi e biblioteche pubbliche è gratuito.
Per quanto riguarda la fruizione di beni culturali di proprietà privata si esprime l’art. 104 del Codice.
Possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali:
1) i beni culturali immobili indicati all’art.10, comma 3, lettere a e d (le cose immobili e mobili
che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolar-
mente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; le cose im-
mobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente impor-
tante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte,
della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze
dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì
un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provve di-
mento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di
monumento nazionale );
2) le collezioni dichiarate ai sensi dell’art.13;
3) l’interesse eccezionale degli immobili indicati al comma 1 è dichiarato con atto del Ministero,
sentito il proprietario;
4) fatte salve le disposizioni dell’art.38 = i beni culturali restaurati o sottoposti a interventi con-
servativi sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate da appositi accordi o con-
venzioni da stipularsi fra il Ministero e i singoli proprietari.

I diritti di uso e godimento pubblico vengono vigilati dal Ministero e dalle regioni affinché vengano
rispettati (art. 105).

USO DEI BENI CULTURALI


L’art. 106 specifica l’uso individuale dei beni culturali. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali possono concedere a singoli richiedenti l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna
per finalità compatibili con la loro destinazione culturale. Per i beni in consegna al Minist ero, il
soprintendente determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento; per gli altri beni la
concessione in uso è subordinata all’autorizzazione del Ministero, rilasciata solo se esistono le
condizioni di compatibilità, conservazione e fruizione pubblica del bene.
Come stabilito dall’art. 107, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono
consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in
consegna. È di regola vietata la riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi per
contatto dagli originali di sculture e di opere a rilievo (è consentita soltanto in via eccezionale da
modalità stabilite da decreto ministeriale). Sono consentiti previa autorizzazione del soprintendente
i calchi da copie degli originali già esistenti.
L’autorità che ha in consegna i beni determina i canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle
riproduzioni di beni culturali. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste da privati per uso
personale o per motivi di studio. La cauzione viene determinata dall’autorità che ha in consegna i
beni nei casi in cui dall’attività in concessione possa derivare un pregiudizio e viene restituita quando
sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state
rimborsate. Gli importi dei canoni sono stabiliti dall’amministrazione concedente.
La concessione per la riproduzione di beni culturali per fini di raccolta e catalogo di immagini
fotografiche e di riprese prevede il deposito del doppio originale di ogni ripresa o fotografia e la
restituzione del fotocolor originale con relativo codice.
I proventi derivanti da vendita dei biglietti, dai canoni di concessione e dai corrispettivi per la
riproduzione dei beni culturali sono versati ai soggetti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i singoli beni
appartengono o sono in consegna.
Se in consegna allo Stato, i proventi sono versati alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato. Se
in consegna allo Stato, proventi derivanti dalla vendita di biglietti sono destinati alla realizzazione di
interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi e all’espropriazione e all’acquisto di beni
culturali (anche mediante prelazione).
Se in consegna ad altri soggetti pubblici, i proventi sono destinati all’incremento e alla valorizzazione
del patrimonio culturale.

USO E FRUIZIONE DEI BENI DI PROPRIETA’ PUBBLICA E PRIVATA (DISCIPLINA GIURIDICA E MODALITÀ
DI INDIVIDUAZIONE)
I diritti di uso e godimento pubblico vengono vigilati dal Ministero e dalle regioni affinché vengano
rispettati (art. 105).

L’art. 106 specifica l’uso individuale dei beni culturali. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali possono concedere a singoli richiedenti l’uso dei beni culturali che abbiano in consegna
per finalità compatibili con la loro destinazione culturale. Per i beni in consegna al Ministero, il
soprintendente determina il canone dovuto e adotta il relativo provvedimento; per gli altri beni la
concessione in uso è subordinata all’autorizzazione del Ministero, rilasciata solo se esistono le
condizioni di compatibilità, conservazione e fruizione pubblica del bene.
Come stabilito dall’art. 107, il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono
consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in
consegna. È di regola vietata la riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi per
contatto dagli originali di sculture e di opere a rilievo (è consentita soltanto in via eccezionale da
modalità stabilite da decreto ministeriale). Sono consentiti previa autorizzazione del soprintendente
i calchi da copie degli originali già esistenti.
L’autorità che ha in consegna i beni determina i canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle
riproduzioni di beni culturali. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste da privati per uso
personale o per motivi di studio. La cauzione viene determinata dall’autorità che ha in consegna i
beni nei casi in cui dall’attività in concessione possa derivare un pregiudizio e viene restituita quando
sia stato accertato che i beni in concessione non hanno subito danni e le spese sostenute sono state
rimborsate. Gli importi dei canoni sono stabiliti dall’amministrazione concedente.
La fruizione degli istituti e dei luoghi di cultura di appartenenza pubblica è disciplinata dall’art. 102
del Codice. Lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali ed ogni altro ente e istituto pubblico
assicurano la fruizione dei beni presenti negli istituti e luoghi di cultura nel rispetto dei principi
fondamentali fissati dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La legislazione regionale disciplina la fruizione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura
non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della
normativa vigente.
La fruizione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e i luoghi di cultura è assicurata secondo
le disposizioni di fruizione e valorizzazione del Codice. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali definiscono accordi nell’ambito e con le procedure di valorizzazione dei beni culturali di
appartenenza pubblica indicate all’art.112. In assenza di accordo ciascun soggetto pubblico è tenuto
a garantirne la fruizione dei beni di cui ha la disponibilità. Il Ministero p uò trasferire alle regioni e
agli altri enti pubblici territoriali la disponibilità di istituti e luoghi di cultura al fine di assicurare
un’adeguata fruizione e valorizzazione dei beni.
L’accesso agli istituti e ai luoghi pubblici della cultura può essere gratuito o a pagamento. Il Ministero,
le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono stipulare intese per coordinare l’accesso ad essi
e, nei casi di accesso a pagamento, determinano: i casi di libero accesso e di ingresso gratuito; le
categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del prezzo; le modalità di emissione,
distribuzione e vendita del biglietto d’ingresso e di riscossione del corrispettivo.
L’accesso agli archivi e biblioteche pubbliche è gratuito.
Per quanto riguarda la fruizione di beni culturali di proprietà privata si esprime l’art. 104 del Codice.
Possono essere assoggettati a visita da parte del pubblico per scopi culturali:
1) i beni culturali immobili indicati all’art.10, comma 3, lettere a e d (le cose immobili e mobili
che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolar-
mente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; le cose im-
mobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente impor-
tante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte,
della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze
dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì
un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedi-
mento di cui all'articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di
monumento nazionale );
2) le collezioni dichiarate ai sensi dell’art.13;
3) l’interesse eccezionale degli immobili indicati al comma 1 è dichiarato con atto del Ministero,
sentito il proprietario;
4) fatte salve le disposizioni dell’art.38 = i beni culturali restaurati o sottoposti a interventi con-
servativi sono resi accessibili al pubblico secondo modalità fissate da appositi accordi o con-
venzioni da stipularsi fra il Ministero e i singoli proprietari.

VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI – PRINCIPI DI VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI


Come specificato dall’art. 6 del Codice, per valorizzazione s’intende la promozione dei beni nei con-
fronti della collettività, sensibilizzare la cittadinanza sull'importanza della tutela e della conserva-
zione di un bene culturale.
L’obiettivo è la promozione della cultura e del suo sviluppo, e per questo è necessario provvedere
affinché il bene sia il più possibile e alle migliori condizioni fruibile ed utilizzabile da parte del pub-
blico.
La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti, privati singoli o associati, alla va-
lorizzazione del patrimonio culturale (principio di sussidiarietà orizzontale, cioè la Repubblica favo-
risce l'intervento di privati per finalità di carattere sociale).

L’art. 111 riguarda le attività di valorizzazione che consistono nella costituzione ed organizzazione
stabile delle competenze tecniche o delle risorse finanziarie e strumentali finalizzate all’esercizio
delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicare all’art. 6.
A tali attività possono partecipare o concorrere soggetti privati. La valorizzazione è ad iniziativa pub-
blica o privata.

La valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libertà di partecipazione, pluralità


di soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione.
La valorizzazione ad iniziativa privata è un’attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità di
solidarietà sociale.

Per quanto riguarda la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica lo Stato e gli enti
pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e luoghi di cultura nel
rispetto dei principi fondamentali fissati dal Codice.
Le regioni disciplinano funzioni e attività di valorizzazione dei beni presenti NON appartenenti allo
Stato o dei quali abbia trasferito la disponibilità (gestione)
La valorizzazione dei beni culturali al di fuori degli istituti e dei luoghi di cultura è assicurata dal
soggetto che ne abbia titolarità compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali a cui
sono destinati

L’art. 112 stabilisce che tutti i soggetti pubblici debbano cooperare e stabilire accordi che abbiano
ad oggetto la valorizzazione attraverso programmi, piani, modalità di gestione…
Le regioni e i vari enti pubblici possono costituire appositi soggetti giuridici (società, organizzazioni,
enti) per elaborare e sviluppare piani di valorizzazione. A questa organizzazione possono partecipare
anche privati proprietari di beni culturali suscettibili di essere oggetto di valorizzazione nonché per-
sone giuridiche private senza fine di lucro anche quando non dispongano di beni privati.
In ogni caso qualsiasi ente pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni che gestisce.
Possono essere stipulati accordi tra lo Stato, le regioni e gli enti pubblici territoriali e i privati per
regolare servizi strumentali comuni destinati alla valorizzazione e alla fruizione dei beni culturali o
accordi per la promozione, diffusione e conoscenza dei beni culturali.

Per quanto riguarda la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza privata (art. 113), le attività
e le strutture di valorizzazione ad iniziativa privata possono beneficiare del sostegno pubblico da
parte dello Stato tenendo conto delle misure di valorizzazione e dei beni culturali a cui si riferiscono.
Le modalità di valorizzazione sono stabilite tramite accordo con il proprietario, ma gli enti pubblici
territoriali possono concorrere con il Ministero alla valorizzazione dei beni di proprietà provata par-
tecipando a questi accordi.
L’art. 114 stabilisce che sia in caso di beni pubblici che in caso di beni privati, vanno garantiti deter-
minati livelli di qualità nell’attività di valorizzazione. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici
territoriali, anche con il concorso dell’università, fissano dei livelli minimi e uniformi di qualità
dell’attività di valorizzazione sui beni. I soggetti che hanno in gestione le attività di valorizzazione
dovranno adeguare la propria condotta a questi livelli.

L’art. 115 stabilisce le forme per la gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali.
Le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta
o indiretta.
La gestione diretta è svolta dalle amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia scientifica,
organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Le amministrazioni
possono attuare la gestione diretta anche in forma consortile pubblica.
La gestione indiretta è affidata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione da parte
delle amministrazioni pubbliche attraverso procedure di evidenza pubblica, sulla base della
valutazione comparativa di progetti. I privati non possono essere individuati come concess ionari
delle attività di valorizzazione. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali ricorrono alle
forme di gestione indiretta al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali.
La scelta tra le due forme di gestione è attuata mediante valutazione comparativa in termini di
sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia sulla base di obiettivi predefiniti.
Le amministrazioni pubbliche e i soggetti giuridici a cui è stata affidata l’elaborazione e lo sviluppo di
piani di sviluppo culturale, regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione
mediante contratto di servizio nel quale è presente il progetto di gestione delle attività di
valorizzazione e i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi e le figure professionali. Nel contratto
sono indicati i servizi essenziali per la pubblica fruizione del bene.
In caso di inadempimento da parte del concessionario degli obblighi derivanti dalla concessione e
dal contratto di servizio, l’amministrazione determina la fine del rapporto concessorio e degli effetti
del conferimento in uso dei beni, senza indennizzo. L’amministrazione vigila sul rapporto
concessorio.
La concessione in uso degli spazi necessari all’esercizio di valorizzazione può essere collegata alla
concessione delle attività di valorizzazione. In qualsiasi caso di cessazione della concessione delle
attività la concessione in uso perde efficacia.
Il Ministero provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili secondo
la legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica

L’art. 116 riguarda la tutela dei beni culturali conferiti o concessi in uso; da parte della pubblica
amministrazione ci saranno obblighi di vigilanza, gestione e tutela.

L’art. 117 riguarda i servizi per il pubblico (si ricollega alla disciplina prevista dall’art. 101 che ri-
guarda gli Istituti e i luoghi di cultura > luoghi destinati alla godibilità pubblica) .
Negli Istituti e nei luoghi di cultura possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospita-
lità del pubblico (in forma diretta e consortile o in forma indiretta mediante concessione a soggetti
privati). Tra i servizi rientrano:
- Servizio editoriale e di vendita (negozi di gadget);
- Servizio riguardante beni librario e archivistici per la fornitura di riprod uzioni;
- Servizi di accoglienza, assistenza e intrattenimento per l’infanzia;
- Servizi di informazione, guida, assistenza didattica, centri di incontro…;
- Servizi di caffetteria, ristorazione e guardaroba;
- Servizi di pulizia, vigilanza e biglietteria;
- Servizi igienici.
L’art. 118 stabilisce che il Ministero e gli enti pubblici territoriali possano realizzare programmi e
progetti per la promozione e il sostegno, anche congiunto, di ricerche, studi e tutte le attività cono-
scitive aventi oggetto il patrimonio culturale.
Ai fini di garantire la raccolta sistematica dei risultati degli studi, possono essere stipulati accordi tra
il Ministero e le regioni per istituire centri di studio, catalogazione e documentazione prevedendo
anche il concorso delle università.

L’art. 119 dice che per garantire la conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole, il Ministero
può concludere accordi aventi ad oggetto la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale e
favorire la fruizione dei soggetti in età scolare e stabilire convenzioni con università e istituti di for-
mazione aventi ad oggetto l’attuazione di progetti informativi e di aggiornamento dei connessi per-
corsi didattici.

L’art. 120 si occupa delle sponsorizzazioni dei beni culturali. È sponsorizzazione dei beni culturali
ogni contributo erogato per la progettazione o l’attuazione di iniziative per valorizzare il patrimonio
culturale con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’at-
tività del soggetto erogante. La promozione deve attuarsi in forme compatibili con il carattere arti-
stico e storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare. Tali forme sono stabilite nel con-
tratto di sponsorizzazione.

L’art. 121 si occupa di accordi con le fondazioni bancarie. Il Ministero, le regioni e gli altri enti pub-
blici territoriali possono stipulare protocolli d’intesa con le fondazioni bancarie conferenti che per-
seguano scopi di utilità sociale nel settore dell’arte e delle attività dei beni culturali.
Questi accordi coordinano interventi di valorizzazione del patrimonio culturale e garantiscono il giu-
sto impiego delle risorse finanziare messe a disposizione dalla fondazione.

GESTIONE DEI BENI CULTURALI – FORME DI GESTIONE


L’art. 115 stabilisce le forme per la gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali.
Le attività di valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica sono gestite in forma diretta
o indiretta.
La gestione diretta è svolta dalle amministrazioni pubbliche, dotate di autonomia scientifica,
organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Le amministrazioni
possono attuare la gestione diretta anche in forma consortile pubblica.
La gestione indiretta è affidata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione da parte
delle amministrazioni pubbliche attraverso procedure di evidenza pubblica, sulla base della
valutazione comparativa di progetti. I privati non possono essere individuati come concess ionari
delle attività di valorizzazione. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali ricorrono alle
forme di gestione indiretta al fine di assicurare un miglior livello di valorizzazione dei beni culturali.
La scelta tra le due forme di gestione è attuata mediante valutazione comparativa in termini di
sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia sulla base di obiettivi predefiniti.
Le amministrazioni pubbliche e i soggetti giuridici a cui è stata affidata l’elaborazione e lo sviluppo di
piani di sviluppo culturale, regolano i rapporti con i concessionari delle attività di valorizzazione
mediante contratto di servizio nel quale è presente il progetto di gestione delle attività di
valorizzazione e i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi e le figure professionali. Nel contratto
sono indicati i servizi essenziali per la pubblica fruizione del bene.
In caso di inadempimento da parte del concessionario degli obblighi derivanti dalla concessione e
dal contratto di servizio, l’amministrazione determina la fine del rapporto concessorio e degli effetti
del conferimento in uso dei beni, senza indennizzo. L’amministrazione vigila sul rapporto
concessorio.
La concessione in uso degli spazi necessari all’esercizio di valorizzazione può essere collegata alla
concessione delle attività di valorizzazione. In qualsiasi caso di cessazione della concessione delle
attività la concessione in uso perde efficacia.
Il Ministero provvede nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili secondo
la legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica

CONSULTABILITA’ DEGLI ARCHIVI PUBBLICI E PRIVATI


La consultabilità degli archivi è stabilita dagli articoli 122, 123, 124, 125, 126 e 127 del Codice dei
beni culturali e del paesaggio.
La consultabilità è libera per i documenti degli archivi di Stato e degli archivi storici delle regioni,
degli enti pubblici e di ogni altro ente ed istituto pubblico.
Non sono liberamente consultabili:
a) i documenti degli archivi dichiarati di carattere riservato ai sensi dell’art. 125 relativi a politica
estera o interna dello Stato. Questi documenti sono consultabili 50 anni dopo la loro data;
b) i documenti degli archivi contenenti dati sensibili e dati relativi a provvedimenti di natura
penale espressamente indicati dalla normativa in materia di trattamento dei dati personali.
Questi documenti diventano consultabili 40 anni dopo la loro data o 70 anni se i dati sono
idonei a rivelare stati di salute, vita sessuale, rapporti riservati familiari;
c) i documenti più recenti versati per pericolo di dispersione o di danneggiamento presso
l’Archivio centrale dello Stato.
I documenti citati al comma 1 possono essere anteriormente resi accessibili ai sensi della disciplina
sull’accesso ai documenti amministrativi. L’amministrazione che deteneva il documento prima del
versamento o del deposito provvede all’istanza di accesso.
Alle disposizioni del comma 1 sono assoggettati anche gli archivi e documenti di proprietà privata
depositati negli archivi di Stato e negli archivi storici degli enti pubblici o agli archivi medesimi donati
o venduti o lasciati in eredità. I depositanti o coloro che donano e vendono posso scegliere di non
rendere consultabili in tutto o in parte i documenti dell’ultimo 70ennio. (art. 122)
Ai sensi dell’art. 123, la consultabilità per scopi storici dei documenti riservati conservati negli Archivi
di Stato può essere autorizzata dal Ministro dell’interno previo parere del direttore dell’Archivio di
Stato competente e della commissione istituita presso il Ministero dell’interno. Tali documenti
possono essere consultati anche prima della scadenza indicata all’art. 122. L’autorizzazione è
rilasciata a ogni richiedente. Questi documenti conservano il loro carattere riservato e non possono
essere ulteriormente utilizzati da altri soggetti senza la relativa autorizzazione. Anche la
consultazione per scopi storici di documenti di carattere riservato conservati negli archivi storici delle
regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico e il parere è
reso dal soprintendente archivistico.
In materia di accesso agli atti della pubblica amministrazione, lo Stato, le regioni e gli altri enti
pubblici territoriali disciplinano la consultazione a scopi storici dei propri archivi correnti e di
deposito. La consultazione degli archivi correnti e di deposito degli altri enti ed istituti pubblici è
regolata dagli enti ed istituti medesimi sulla base di indirizzi stabiliti dal Ministero. (art. 124)
Il Ministero dell’interno insieme al Ministero della cultura si occupa dell’accertamento dell’esistenza
e della natura degli atti non liberamente consultabili. (art. 125)
L’art. 126 stabilisce che, qualora il titolare di dati personali abbia esercitato i diritti a lui riconosciuti
dalla normativa che ne disciplina il trattamento, i documenti degli archivi storici sono conservati e
consultabili unitamente alla documentazione relativa all’esercizio degli stessi diritti.
Su richiesta del titolare medesimo può essere disposto il blocco dei dati personali che non siano di
rilevante interesse pubblico, qualora il loro trattamento comporti un concreto perico lo di lesione
della dignità, della riservatezza o dell’identità personale dell’interessato.
La consultazione per scopi storici dei documenti contenenti dati personali è assoggettata anche alle
disposizioni del codice di deontologia e di buona condotta previsto dalla normativa in materia di
trattamento dei dati personali.
Per quanto riguarda la consultabilità degli archivi privati si esprime l’art. 127. I privati proprietari,
possessori o detentori di archivi o di singoli documenti dichiarati ai sensi dell’a rt.13 hanno l’obbligo
di permettere agli studiosi che ne facciano previa richiesta al soprintendente, la consultazione dei
documenti secondo modalità concordate dai proprietari e il soprintendente. Le spese sono a carico
dello studioso.
Sono esclusi dalla consultazione i singoli documenti dichiarati di carattere riservato ai sensi dell’art.
125. Possono essere esclusi dalla consultazione anche i documenti per i quali sia stata posta la
condizione di non consultabilità ai sensi dell’art. 122. Agli archivi privati utilizzati per scopi storici,
anche se non dichiarati di interesse culturale, si applicano le disposizioni degli artt. 123 e 126.

SANZIONI
Le sanzioni sono di due tipologie: amministrative e penali.
Fra le sanzioni amministrative si cita l’art. 160 “ordine di reintegrazione”, il quale stabilisce che, se
per effetto della violazione degli obblighi di protezione e conservazione c’è un danno, il Ministero
ordina al responsabile l’esecuzione a sue spese delle opere di reintegrazione e ripristino (vanno
eliminate tutte le opere di modifiche per riportare il bene allo status originale).
In caso di inottemperanza, il Ministero procede all’esecuzione d’ufficio, sempre a spese del sog-
getto.
Quando la reintegrazione non sia possibile, il soggetto è tenuto a corrispondere allo Stato una
somma pari al valore della cosa perduta.
Tali disposizioni valgono anche per danni causati alle cose ritrovate di cui all’art.91. ( art. 161)

Inoltre, se il bene scompare o non è più rintracciabile sul territorio nazionale, il trasgressore o i
trasgressori dovranno corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa. Anche qui, se
ci sono controversie riguardo al valore, interviene una commissione di tre persone nominate dal
Ministero, dal soggetto e dal presidente del tribunale. (art. 163)
L’art. 164 stabilisce che le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici compiuti da privati contro i
divieti stabiliti dal codice o senza l’osservanza delle condizioni sono NULLI.
Il Ministero potrà esercitare la prelazione (sostituirsi all’eventuale venditore).
Chiunque trasferisce all’estero le cose o i beni indicati all’art.10 è punito con la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma compresa fra i 77,5 euro ai 465 euro. (art. 165)
Chi effettua l’esportazione di un bene culturale al di fuori dell’UE non rispettando le normative
disposte dal regolamento CEE n.752/93 è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di
una somma compresa fra i 103,5 e i 620 euro. (art. 166)
Fra le sanzioni penali si cita l’art. 169 che stabilisce le sanzioni per le opere illecite.
È punito con l’arresto da 6 mesi a 1 anno e con l’ammenda che va da 775 a 38.700 euro
- chi effettua opere non autorizzate su beni culturali;
- chi procede al distacco di affreschi/stemmi/graffiti/iscrizioni;
- chi esegue lavori provvisori indispensabili per la conservazione senza darne immediata notizia alla
sovraintendenza;
- chi destina i beni culturali ad un uso incompatibile con il loro carattere;
- chi colloca o rimuove illecitamente il bene dal luogo a cui il sovraintendente l’ha destinato;
- chi non osserva le prescrizioni date dal Ministero.

L’art. 170 stabilisce che è punito con l’arresto da 6 mesi a un anno e con l’ammenda da 775 euro a
38.700 euro chi destina i beni culturali ad un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico
con pregiudizio per la loro conservazione.
L’art. 171 punisce con l’arresto da 6 mesi a un anno e con l’ammenda da 775 euro a 38.700 euro chi
colloca o rimuove illecitamente i beni culturali. Alla stessa pena risponde il detentore che omette di
dare notizia alla competente soprintendenza dello spostamento dei beni culturali.
L’art. 172 dice che è punito con l’arresto da 6 mesi a un anno e con l’ammenda da 775 euro a 38.700
euro chiunque non osserva le prescrizioni di tutela indiretta stabilite dall’art.45 del Codice.
L’art 173 stabilisce le violazioni in materia di alienazione. È punito con la reclusione fino a 1 anno e
con l’ammenda che va da 1550 a 77.500 euro:
- chiunque aliena beni culturali senza autorizzazione;
- chiunque non presenta la denuncia degli atti di trasferimento;
- l’alienante di un bene culturale soggetto a prelazione.

Per l’uscita e le esportazioni illecite si esprime l’art.174. È punito con la reclusione da 1 a 4 anni e
con l’ammenda che va da 260 a 5200 euro:
- chiunque trasferisce all’estero cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico,
bibliografico, documentale o archivistico senza attestato di libera circolazione o licenza di e sporta-
zione;
- chiunque non fa rientrare un bene culturale per il quale sia stata autorizzata l’uscita o l’esporta-
zione temporanea alla scadenza del termine. Il giudice può disporre anche la confisca del bene da
parte dello Stato.

È punito con la reclusione fino a 1 anno e con l’ammenda che va da 310 a 3.099 euro (art.175):
- chiunque esegue ricerche archeologiche senza concessione;
- chi non denuncia le cose ritrovate casualmente nel sottosuolo o non provvede alla loro conserva-
zione temporanea.

L’impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato è sanzionato dall’art.176 con la
reclusione fino a 3 anni e con l’ammenda che va da 31 a 516,5 euro:
La pena applicabile è ridotta se il colpevole fornisce una collaborazione decisiva o rilevante per il
recupero del bene sottratto.

Per la contraffazione delle opere d’arte (art.178) è punito con la reclusione da 3 mesi a 4 anni e con
l’ammenda che va da 103 a 3.099 euro (la sanzione aumenta se i fatti sono commessi da attività
commerciali):
- chi contraffà, altera o riproduce un’opera al fine di trarne profitto;
- chi pone in commercio, detiene per farne commercio o introduce nel territorio dello Stato un’opera
contraffatta;
- chi, conoscendone la falsità, autentica opere di interesse storico o artistico;
- chi, conoscendone la falsità, accredita come autentiche opere di interesse storico o artistico.
La sanzione aumenta se i fatti sono commessi da attività commerciali.
È sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti dei beni culturali.

L’art. 179 stabilisce che tutte le sanzioni per i reati di contraffazione di opere d’arte NON si attuano
per chi detiene, riproduce, diffonde o pone in vendita copie di oggetti d’arte, scultura, grafi ca (…)
dichiarandone esplicitamente la NON autenticità mediante annotazione scritta sull’opera o sull’og-
getto/dichiarazione rilasciata durante l’atto di vendita

In base alle disposizioni fornite dall’articolo 650 del Codice penale, è punito con l’arresto fino a 3
mesi e con l’ammenda che va fino a 206 euro chiunque non si adoperi per un obbligo del Ministero
volto alla tutela dei beni culturali.

BENI IMMATERIALI
Anche i beni culturali immateriali, in quanto espressioni di identità culturale collettiva, rientrano
nelle disposizioni del Codice. L’articolo 7 bis recepisce infatti 2 importanti Convenzioni UNESCO,
firmate a Parigi nel 2003 e 2005, riguardanti la salvaguardia, protezione e promozione del patrimonio
culturale immateriale e delle diversità delle espressioni culturali.
Per patrimonio culturale immateriale si intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le
conoscenze, il know-how (come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi associati agli
stessi) che le comunità, i gruppi e gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio
culturali. Esempi concreti possono essere il linguaggio, il folklore, l’artigianato, il cibo, la musica, lo
spettacolo…
Le Convenzioni UNESCO hanno istituito un apposito Comitato, incaricato di accertare il valore
culturale di un bene immateriale (su richiesta dei singoli stati), inserendolo poi in un elenco.
Il codice pone però due ulteriori condizioni cumulative affinché questi beni immateriali o espressioni
di identità culturale collettiva siano assoggettate alle disposizioni di tutela e valorizzazione:
1) devono essere rappresentati da testimonianze materiali;
2) devono presentare un interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico,
bibliografico ai sensi dell’art. 10.
CONVENZIONE UNESCO DI PARIGI 2003 e 2005
Riguardano i beni culturali IMMATERIALI (tradizioni culturali, folklore, cibi, musica...) che hanno un
alto valore culturale.
La loro tutela è molto complicata in linea di principio poiché non possono essere utilizzati gli ordinari
strumenti. Questi beni costituiscono espressione di identità culturale collettiva.
In base a queste leggi anche i beni culturali immateriali devono essere tutelati.
Al codice dei beni culturali del 2004, nel 2008 è stato aggiunto l’art. 7 bis in cui si riconosce che
anche i beni culturali immateriali sono tutelai in quanto espressione dell’identità collettiva.
Le condizioni però sono due e sono cumulative (devono ricorrere entrambe):
● che siano rappresentati da testimonianze materiali (es. una canzone non può essere tutelata in
quanto pura canzone, ma solo se ci sia un disco, una casetta, un cd... = si riduce la tutela di un bene
immateriale a quella più superficiale di un bene materiale);
● che rappresentino un interesse storico, artistico, culturale, antropologico… ai sensi dell’art.10 del
codice dei beni culturali.

Le convenzioni prevedono che i beni immateriali, per essere tutelati, debbano essere scritti in spe-
cifici elenchi redatti dagli Stati membri.
Vi è un’apposita procedura di valutazione del bene con un apposito comitato, il comitato Unesco. Il
bene viene inserito in elenco attraverso un’istruttoria.

DISCIPLINA DEI BENI CULTURALI STABILITA DALL’U.E. - LA NORMATIVA EUROPEA IN AMBITO BENI
CULTURALI
La Comunità economica europea è nata con il Trattato di Roma da sette stati, tra i quali anche l’Italia.
Man mano questa Comunità si è estesa diventando, da sola CEE (in cui si riconosceva il principio
fondamentale della libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali basato sul PARCONDICIO
e la LIBERA CONCORRENZA) ad una vera e propria Unione europea in cui l’intenzione era quella di
RAFFORZARE I LEGAMI TRA I PAESI MEMBRI, anche sotto l’aspetto politico.

IL TRATTATO CEE è diventato il TRATTATO DELL’UNIONE EUROPEA, stipulato a Maastricht nel 1992.
Originariamente i beni culturali non erano previsti, successivamente la cultura è stata inserita nel
trattato originario ovvero il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea consolidato con quello
originario → TFUE, firmato il 13 dicembre 2007.
Il Trattato prevede che è necessario:
- contribuire allo sviluppo delle culture degli stati membri;
- incoraggiare la cooperazione tra stati per sviluppare le culture;
- stabilire il principio generale per cui una della finalità dell’UE sia quello di migliorare la conoscenza
della storia dei popoli;
- conservare e salvaguardare il patrimonio culturale dei singoli stati favorendo scambi culturali non
commerciali e la creazione artistica e letteraria compreso il settore audiovisivo.

Uno degli obiettivi stabilito dall’articolo 167 del TFUE è quello di conservazione e salvaguardia del
patrimonio culturale di importanza europea.
Un principio fondamentale stabilito dagli articoli 34 e 35 del TFUE è quello di evitare restrizioni per
l’importazione e l’esportazione di beni e servizi.
L’articolo 36 stabilisce un’eccezione molto importante e cioè che ci possano essere restrizioni, limi-
tazioni ed esclusione di esportazione e importazione ai fini della protezione del patrimonio artistico-
culturale. Queste limitazioni, come nella Convenzione Unidroit, vanno motivate e non devono co-
stituire un mezzo di discriminazione arbitraria ingiustificata o una limitazione dissimulata al com-
mercio tra gli stati membri.
Da questa norma traiamo che:
● spetta ad ogni Stato individuare, definire e disciplinare il proprio patrimonio culturale
● il patrimonio culturale di ogni stato membro viene riconosciuto e tutelato dall’Unione Europea
● le norme nazionali di ogni stato membro definiscono quelle di tutela e protezione che possono
comportare limiti, divieti e restrizioni a importazioni ed esportazioni nell’ambito dell’Unione Euro-
pea (con unico limite previsto dall’art. 36).

Esiste un altro trattato sottoscritto da organismi esterni alla commissione dell’unione europea e
cioè il Consiglio d’Europa (organismo internazionale autonomo rispetto all’UE che ha sede a Stra-
sburgo e di cui fanno parte 47 stati di cui 23 dell’UE. Ha lo scopo specifico di salvaguardare e pro-
muovere il patrimonio comune, gli ideali e lo sviluppo economico-sociale dei paesi europei).
Questo consiglio ha stipulato la CONVENZIONE CULTURALE EUROPEA del 1954 che stabilisce principi
generalissimi rispetto alle altre.
L’articolo 36 del TFUE ha avuto delle applicazioni concrete in Europa = sono stati emanati un rego-
lamento e una direttiva che disciplinano la materia in ambito europeo.
Le istituzioni dell’Unione europea sono disciplinate dal Trattato, che stabilisce norme direttamente
applicabili da tutti gli stati membri (in Italia art. 10 della Costituzione). Le istituzioni comunitarie
(Parlamento europeo e Commissione europea) possono emanare anche provvedimenti legislativi e
amministrativi.
Gli atti normativi europei sono di due tipi:
I regolamenti contengono norme che sono immediatamente applicabili e vincolanti per tutti gli stati
membri.
Le direttive sono sempre norme vere e proprie ma DI PRINCIPIO; infatti, per essere applicate nei vari
stati hanno bisogno di leggi di attuazione nazionali che le recepiscano (gli stati devono scrivere delle
norme nazionali così che quelle europee possano essere applicabili) + esistono anche le direttive
self-executive con le quali le istituzioni emanano specifici procedimenti puntuali e dettagliati che
non hanno bisogno di norme di recepimento e vengono equiparate ai regolamenti .

● Il REGOLAMENTO N° 116/2009 ha come oggetto specifico l’esportazione di un bene appartenente


ad uno stato membro e localizzato nell’ambito dell’UE al di fuori dell’Unione Europa.
Questo regolamento sostituisce il n° 3911 del 1992 che disciplinava originariamente la materia.
Nel preambolo viene detto che il regolamento prevede che la finalità sia quella di proteggere i beni
culturali, a tal fine garantire che l’esportazione dall’UE verso altri stati esterni debba essere sotto-
posta a controlli uniformi alle frontiere.
L’allegato 1 è una lista di beni culturali che hanno come oggetto una particolare protezione (tutela
stringente).
L’art. 2 stabilisce che per l’esportazione è necessaria una licenza richiesta dallo Stato all’autorità
competente (lo stato membro in cui si trova il bene). La licenza può essere negata quando il bene
culturale è contemplato da legislazione che tutela il patrimonio nazionale avente valore storico/ar-
tistico/archeologico che non consente l’esportazione = si fa riferimento alla norma nazionale anche
a livello europeo.
L’art. 3 prevede che gli stati membri comunichino alla commissione l’elenco delle autorità compe-
tenti sul territorio nazionale e la commissione dovrà mettere a disposizione questo elenco per gli
altri Stati di modo che sappiano qual è la struttura che si occupa dell’esportazione e di rilascia re la
licenza. Ovviamente la licenza va richiesta PRIMA dell’esportazione.
Si prevede anche una cooperazione tra le diverse autorità doganali e le diverse strutture che si oc-
cupano dell’esportazione al di fuori dell’UE.
L’art. 9 prevede delle sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive in caso di violazione delle norme.

● La DIRETTIVA N°7/1993 è stata aggiornata e ampliata con la DIRETTIVA 2014/60/UE e riguarda la


restituzione dei beni esportati illegittimamente da uno stato membro ad un altro.
La legge originaria di recepimento è la n° 88 del 1998, il cui testo è confluito nel Testo Unico dei Beni
Culturali e successivamente nel Codice dei Beni Culturali del 2004.
Nel preambolo si chiarisce che la direttiva ha finalità di dare attuazione all’art. 36 del trattato e di
garantire che gli stati membri mantengano il proprio patrimonio nazionale attraverso la protezione
alle frontiere e all’interno del singolo stato.
Lo stato da cui è stato illecitamente esportato un bene culturale ha diritto alla restituzione quando
questo sia classificabile come bene del patrimonio culturale ai sensi dell’art. 36 del trattato. L’espor-
tazione è illecita quando il bene è stato esportato in violazione alle norme nazionali che disciplinano
la materia.
Tutti gli stati devono cooperare con provvedimenti amministrativi per individu are dove è stato por-
tato il bene, recuperarlo, individuare il soggetto trasgressore e agire per il trasferimento e la resti-
tuzione.
L’art.1 definisce quello che si intende per bene culturale = quello che è qualificato tra i beni del
patrimonio culturale avente valore storico, artistico, archeologico in base alla disciplina nazionale e
che appartenga a una delle categorie dell’allegato 1 (non è comunque un elenco tassativo/esau-
stivo).
L’art.2 stabilisce che i beni debbano essere restituiti seguendo le modalità della direttiva. Ogni stato
deve designare una o più autorità centrali che hanno il compito di cooperare e alle quali si deve
rivolgere lo stato dal quale è stato esportato illecitamente un bene. Gli stati membri devono fornire
un elenco di queste autorità alla commissione europea, che pubblicherà i vari elenchi per renderli
disponibili a tutti.
L’art. 4 stabilisce i compiti delle diverse autorità centrali: devono cooperare con gli altri e consultarsi
per riuscire a individuare, recuperare e restituire il bene. Lo stato in cui è stato ritrovato il bene ha
l’obbligo di notificare il ritrovamento. L’autorità centrale in cui il bene è stato ritrovato deve anche
svolgere il ruolo di intermediario tra lo Stato di appartenenza e il soggetto detentore, proponendo
procedure di arbitrario.
L’art. 5 prevede che lo stato che richiede la restituzione debba proporre contro il possessore o il
detentore l’azione di restituzione davanti al giudice (VIA GIURISDIZIONALE poiché il giudice è l’au-
torità imparziale e neutrale che ha come scopo esclusivo quello di applicare la legge). È necessario
un atto introduttivo corredato di determinati documenti: un atto che descriva il bene, una dichiara-
zione che attesti si tratti di un bene culturale ai sensi della disciplina nazionale dello stato dal quale
è stato esportato illecitamente, una dichiarazione secondo la quale il bene sia uscito illecitamente
dallo stato richiedente…
L’art. 7 prevede che gli stati membri debbano disciplinare un’azione di restituzione; tale az ione si
prescrive nel termine di un anno a decorrere dalla data in cui lo stato membro richiedente è venuto
a conoscenza del luogo di ritrovamento o dell’identità del suo detentore/possessore.
L’azione di restituzione si prescrive entro il termine di:
- 30 anni a decorrere dalla data in cui il bene culturale è uscito illecitamente;
- 75 anni nel caso in cui il bene faccia parte di collezioni pubbliche o si tratti di un bene ecclesiastico
Inoltre, gli stati membri possono decidere di non fissare un termine di prescrizione e richiedere la
restituzione anche dopo un tot. di anni o in caso di accordo bilaterale tra stati è possibile ci siano
termini di prescrizione diversi da quelli detti in precedenza.
L’art. 9 stabilisce che in ogni caso il giudice competente dovrà accordare un indennizzo equo al pos-
sessore del bene quando questo abbia usato la diligenza richiesta durante l’atto di acquisizione del
bene (buona fede disciplinata dalla legislazione dello stato membro). Lo stato richiedente è tenuto
a pagare l’indennizzo al momento della restituzione e dovrà farsi carico di tutte le spese relative al
processo salvo la possibilità di rivalersi esigendo un rimborso da parte delle persone responsabili
dell’uscita illecita.
La proprietà del bene dopo la restituzione è disciplinata dallo stato membro richiedente = nel caso
di bene privato, il detentore diviene dello Stato e potrà restituirlo all’ex proprietario solo se egli
rimborserà tutte le spese.
L’art. 16 prevede che tutti gli stati membri ogni 3 anni debbano inviare alla commissione europea
una relazione circa l’attività svolta presente nella direttiva.
La direttiva entra in vigore dal 1° gennaio del 1993 ma lascia agli Stati membri la possibilità di appli-
carla anche anteriormente.
Nell’aggiornamento del 2014 è stato eliminato l’allegato presente nella direttiva 93/7, pertanto per
la qualifica di bene culturale relativa alla restituzione del bene stesso si farà riferimento alla sola
legislazione dello Stato richiedente e non più anche all’allegato della direttiva come elemento di
identificazione. Altre modifiche: l’estensione da due a sei mesi del termine entro il quale lo Stato
membro può chiedere davanti al giudice competente di un altro Stato membro la restituzione del
bene uscito illegittimamente; l’estensione da uno a tre anni del termine entro il quale uno Stato
membro può chiedere davanti al giudice competente di un altro Stato membri la restituzione del
bene uscito illegittimamente e ritrovato nel territorio di detto Stato; l’introduzione del ricorso al
sistema di informazione del mercato interno (MIT) al fine di facilitare la cooperazione fra gli Stati
membri; laddove viene ordinata la restituzione del bene, la direttiva stabilisce per il possessore
l’obbligo di dimostrare che al momento dell’acquisizione del bene ha esercitato la diligenza richiesta
per assicurarsi della provenienza lecita ai fini dell’indennizzo dello Stato richiedente.

CONVENZIONE DELL’AJA (maggio 1954)

“Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato”.


È la prima convenzione dopo la guerra che ha riguardato i beni culturali. Stabilisce dei principi fon-
damentali in materia di tutela e conservazione dei beni culturali in tempo di guerra. Durante le
guerre erano stati infatti distrutti o depredati molti beni di interesse storico-artistico o archeologico.
Una delle prassi antiche era quella di depredare i Beni Culturali di valore dalle nazioni occupate.
Questa convenzione disciplinava la materia e in tempo di guerra aveva il compito di evitare la di-
struzione e la sottrazione dei beni culturali > tutela.
Per la prima volta nel 1954 si inizia a parlare di Bene Culturale attraverso una convenzione, e non
più di “cose di interesse storico-artistico” o di “beni paesaggistici”. Molti paesi, tra cui l’Italia, hanno
scelto di adottare questa Convenzione.
Il principio fondamentale è che i beni culturali che appartengono ad un popolo e sono collocati in
un determinato territorio costituiscono il patrimonio culturale di quel popolo e come tale devono
essere rispettati da tutti.
Nel preambolo viene detto che il patrimonio ha rilevanza MONDIALE ed è necessaria una protezione
internazionale.
L’art. 1 della convenzione reca una definizione di Bene culturale; sono considerati beni culturali in-
dipendentemente dalla loro origine e proprietario quelli inquadrabili in tre categorie specifiche:
● mobili e immobili che rappresentano una grande importanza per il patrimonio culturale popoli
(monumenti, opere d’arte, manoscritti, chiese e edifici laici, collezioni scientifiche, archivi, libri,
opere di scavo...).
● edifici la cui destinazione principale è quella di conservare o esporre i beni culturali espressi in
precedenza.
● Centri o complessi che contengono un numero considerevole di beni culturali (centri monumen-
tali; es. Centro di Roma).

L’art. 2 dice che la protezione dei beni culturali comporta per tutti gli stati aderenti la necessità della
loro salvaguardia e il loro rispetto.
Gli art. 3 e successivi stabiliscono gli obiettivi e gli impegni delle parti contraenti che hanno aderito
al trattato (principi):
Secondo l’art. 3 i soggetti devono prendere le misure volte a conservare e tutelare i beni culturali
già in tempo di pace prendendo tutte le misure considerate appropriate (prevenzione).
In base all’art. 4 i soggetti devono trattare i beni culturali degli altri stati come fossero i propri, aste-
nendosi dal deteriorarli, danneggiarli o sottrarli.
Nel caso di conflitto armato inoltre devono limitare l’uso della violenza evitando che questa venga
rivolta ai Beni culturali.
È vietato senza eccezione di sorta qualsiasi atto di vandalismo o rappresaglia verso i beni, oltre al
furto, ai saccheggi e alla depravazione.
I soggetti sono tenuti ad assicurare le necessarie misure di conservazione necessarie in collabora-
zione con le autorità specializzate.
Inoltre, si prevede l’instaurazione di uno spirito di rispetto delle culture e dei beni culturali degli altri
popoli + la predisposizione di rifugi appositi per conservare i beni culturali nel caso di conflitto + vi
è una lista di beni che devono godere di una protezione speciale (scritti in un registro ufficiale).
Questo diritto convenzionale però:
● sarebbe applicabile solo agli Stati che avevano aderito (126);
● non aveva effetto retroattivo;
● stabiliva norme generalissime;
● non prevedeva sanzioni;
● non prevedeva un organo internazionale di controllo.

In sostanza era tutto lasciato alla libera determinazione.


L’efficacia della convenzione è molto limitata poiché si applica principalmente ai conflitti armati tra
due stati e non nei casi di guerra civile.
Anche nel caso in cui non si trattasse di una vera e propria guerra (es. polizia internazionale e inge-
renza internazionale; attività di Peacekeeping) la convenzione non era applicabile.
Ha comunque portato a degli effetti importanti (es. nonostante la convenzione non avesse effetto
retroattivo, l’Italia ha riconsegnato l’obelisco di Axum all’Africa poiché riconosceva di aver agito
violando i principi fondamentali della convenzione, trafugandolo anni prima durante la guerra) .

CONVENZIONE UNESCO 14 NOVEMBRE 1970 – CONVENZIONE DI PARIGI DEL 1970


Riguarda l’esportazione, l’importazione e il trasferimento dei beni culturali. Ha ad oggetto le misure
per impedire che vengano svolte azioni illecite.
Secondo l’art. 1 sono considerati beni culturali quelli che a titolo religioso o profano siano conside-
rati da ciascuno stato come “importanti” e che siano indicati nell’art. 1 della convenzione (monu-
menti-siti-complessi).
Nell’art. 2 gli stati aderenti riconoscono che l’esportazione, l’importazione e il trasferimento illecito
dei beni culturali costituiscono le cause principali dell’impoverimento culturale dei paesi d’origine e
che sia necessaria una stretta collaborazione per impedirlo.
Ai sensi dell’art. 3 sono illecite l’esportazione, l’importazione e il trasferimento se gli atti sono in
contrasto con le disposizioni valevoli nello stato in cui si trova originariamente il bene.
L’art. 4 prevede che venga istituito un organo che si occupi dell’esportazione, dell’importazione e
del trasferimento.
L’art. 5 prevede che ogni stato tenga aggiornato un inventario nazionale di protezione (lista di beni
culturali importanti pubblici e privati la cui è esportazione costituirebbe un impoverimento cultu-
rale).
L’art. 6 prevede che il trasferimento all’estero debba essere sottoposto al controllo pubblico ed es-
sere consentito solo previo il controllo dello stato e l’emissione del certificato di esportazione.
L’art. 7 dice che gli stati devono prevedere appositi sistemi per prevenire l’importazione illecita di
beni culturali esteri, adottando tutte le misure necessarie per evitare e proibire l’acquisizione di beni
culturali provenienti da altri stati e mettendo in atto misure specifiche per la restituzione .
L’art. 10 prevede che gli stati aderenti si impegnino a obbligare gli antiquari a tenere un registro che
menzioni la provenienza di ciascun bene culturale che hanno in possesso, il nome, l’origine, il prezzo
ecc. + devono informare il compratore dell’impossibilità di esportare il bene culturale .
L’art. 11 stabilisce che in caso di occupazione, il soggetto che occupa non potrà mai sottrarre, dete-
riorare e impedire la conservazione in loco di un bene culturale.
L’art 12 prevede che gli stati membri debbano fare tutto il possibile per sensibilizzare i cittadini in
materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali.
L’art. 13 stabilisce che gli stati si impegnano a impedire con tutti i mezzi i trasferimenti di beni cul-
turali diretti a favorire l’importazione e l’esportazione indiretta + si impegnano a stabilire il diritto
di rivendica da parte del lecito proprietario + riconoscere il diritto imprescindibile di poter dichiarare
l’assoluta inalienabilità di determinati beni culturali.
Un principio importante per convenzione del 70 è quello dell’INDENNIZZO = il soggetto che ha ac-
quisito in buona fede il bene illecitamente importato/esportato avrà diritto a un indennizzo.
L’indennizzo è una forma di ristoro ridotta che si ha nel caso in cui il soggetto che ha acquisito il
bene in buona fede sia obbligato dalla legge a restituirlo. Il ristoro non sarà mai equivalente a un
vero e proprio risarcimento dei danni (solo una parte del valore del bene).

CONVENZIONE DI PARIGI DEL 1972


Promossa dall’Unesco e stipulata a Parigi il 23 novembre 1972. Ha in oggetto la protezione del pa-
trimonio cultuale e naturale mondiale.
Ad essa hanno aderito 196 stati ed è tra le più importanti per l’oggetto.
Il principio è che il patrimonio culturale appartiene a tutti i popoli del mondo e per la sua tutela è
necessario favorire la cooperazione dei diversi stati.
Taluni beni culturali, per la loro importanza, vanno protetti non solo dai singoli stati in cui si tro-
vano ma anche a livello internazionale come “patrimonio mondiale di tutta l’umanità” mediante
assistenza collettiva.
L’art. 1 definisce cosa si intende per patrimonio culturale e distingue i diversi beni che fanno parte
del patrimonio culturale universale (riguarda solo i beni IMMOBILI):
● monumenti (opere di architettura, scultura e pittura monumentale, iscrizioni... che abbiano va-
lore riconosciuto universalmente);
● complessi (gruppi di costruzioni isolate o riunite che per la loro integrazione nel paesaggio
hanno valore internazionale eccezionale);
● siti (opere dell’uomo o zone archeologiche di valor universale eccezionale).

L’art. 4 e seguenti parlano degli impegni degli stati: ogni stato riconosce che l’obbligo di tutela, con-
servazione e trasmissione alle future generazioni costituiscono un obbligo primario. Inoltre, si im-
pegnano a collaborare con gli altri Stati sul piano finanziario, artistico, scientifico e tecnico.
L’art. 5 prevede degli obblighi particolari: gli stati devono istituire sul proprio territorio uno o più
servizi di tutela e conservazione per i beni culturali avente valore universale, inoltre devono adottare
tutte le misure giuridiche/tecniche/amministrative/finanziare per garantirne la tutela e conserva-
zione.
L’art. 6 stabilisce il principio per cui tutti gli stati debbano collaborare e astenersi da qualsiasi inizia-
tiva che possa direttamente o indirettamente arrecare danno a un bene culturale internazionale che
si trovi in un altro stato aderente alla convenzione.
L’art. 7 prevede un sistema vero e proprio di cooperazione concreta = per l’applicazione del trattato
si stabilisce la creazione di un comitato intergovernativo denominato COMITATO PER IL
PATRIMONIO MONDIALE (ha lo scopo di applicare i principi e le disposizioni della convenzione) →
compila, aggiorna e pubblica un elenco dei beni del patrimonio culturale che hanno valore
universale eccezionale (d’ufficio o ad istanza di parte per conto di altri stati in base a un’i struttoria)
+ compila un secondo elenco dei beni del patrimonio mondiale IN PERICOLO per la cui salvaguardia
e tutela siano necessari lavori considerevoli (lo Stato in cui si trova questo bene può richiedere
l’assistenza internazionale; il comitato dovrà verificare che ci siano le condizioni e stipulare un
accordo con il governo dello stato che ha fatto domanda. Lo stato potrà anche richiedere di usare il
FONDO DEL PATRIMONIO MONDIALE alimentato da contributi volontari e obbligatori degli stati che
hanno aderito alla convenzione. L’assistenza può essere di tipo finanziario, ma può anche
comprendere il Comitato o singoli stati esteri per studi su problemi scientifici/tecnici, la nomina di
esperti tecnici e manodopera qualificata, programmi di formazione di specialisti a tutti i livelli nel
campo del restauro e della valorizzazione, la fornitura di attrezzature non possedute, la concessione
di prestiti senza interessi o a interessi ridotti che possano essere rimborsati a lungo termine, la
concessione di sovvenzioni non rimborsabili ulteriori rispetto all’utilizzo del fondo e prestiti...).

CONVENZIONE UNESCO 2001 SULLA PROTEZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE SUBACQUEO

È stata ratificata ed è entrata in vigore in Italia solo nel 2010, inserita nel Codice dei beni culturali
all’art. 94.
La Convenzione è stata adottata a Parigi, si rifà alla convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del
mare del 1982 ed è strutturata in due parti:
1) un testo principale composto da 35 articoli in cui vengono stabiliti principi generali;
2) allegato composto da 36 regole specifiche (manuale per l’effettiva conservazione e valorizzazione
dei beni del patrimonio culturale subacqueo).

L’art. 1 dà una definizione di patrimonio culturale subacqueo: tutte le tracce di esistenza umana che
abbiano carattere culturale, storico o archeologico che siano state sommerse per almeno 100 anni.
L’art. 2 stabilisce gli obiettivi generali della convenzione: assicurare e rafforzare la protezione del
patrimonio culturale subacqueo.
La tutela si basa su 4 regole fondamentali:
1) obbligo per gli Stati di proteggere il patrimonio subacqueo;
2) preservare in sito il patrimonio culturale sommerso → preferenza dettata dalla volontà di rispet-
tare il contesto storico/scientifico in cui si trova il bene;
3) divieto di sfruttare commercialmente il patrimonio culturale subacqueo → posto al fine di fer-
mare il traffico illecito;
4) cooperazione degli stati membri per la tutela → richiamata in diverse sezioni (accordi tra Stati).

Secondo l’art. 6 la cooperazione viene disciplinata in base a delle aree.


• acque interne: entro le 12 miglia, nell’ambito della Nazione → diritto esclusivo di regolamen-
tare le attività per la tutela del patrimonio culturale sommerso.
• zone economiche esclusive: ai sensi dell’art. 7 è la fascia di mare che può estendersi fino a
200 miglia dalla costa → a tutti i soggetti della convenzione è richiesta la cooperazione facendo in
modo che i cittadini e le proprie navi si impegnino a comunicare ogni scoperta agli Stati e, a loro
volta, al Direttore Generale Unesco (che nominerà lo stato coordinativo).
• piattaforma continentale: ai sensi dell’art. 7 è il naturale prolungamento della terra emersa
ad una profondità costante di circa 200 metri → stessa disciplina della zona economica esclusiva.
• area: area di mare aperto al di fuori dei limiti della giurisdizione nazionale → tutti gli stati
hanno la responsabilità di proteggere il patrimonio culturale subacqueo.

La convenzione propone inoltre un apposito ente chiamato “conferenza degli stati parte” che si deve
riunire con cadenza biennale e stabilirà le proprie funzioni, responsabilità e orientamento interno =
dovrà vigilare sul rispetto della convenzione, favorire la cooperazione, elaborare strategie e progetti
per la tutela (…).
L’allegato stabilisce regole pratiche che gli Stati dovrebbero adottare= applicazione dei principi di
conservazione.

CONVENZIONE UNIDROIT
Stipulata a Roma nel 1975 e promossa dall’istituto Unidroit e cioè l’istituto internazionale per l’uni-
ficazione del diritto privato la cui finalità è la tutela degli acquirenti in buona fede dei beni culturali
rubati o illecitamente importati → disciplina il ritorno.
Nel preambolo si stabilisce che il traffico illecito di beni culturali è diventato un problema interna-
zionale molto grave e una finalità primaria della convenzione è quella della lotta contro di esso.
La convenzione stabilisce regole comuni per la restituzione e il ritorno.
Rispetto alla disciplina Unesco del 1970 di Parigi, questa stabilisce norme più specifiche che riguar-
dano i procedimenti di restituzione dei beni trafugati. In questo caso gli stati aderenti sono solo 36
(tra cu l’Italia).
Lo stato può richiedere la restituzione quando questa corrisponda a un interesse in materia di con-
servazione fisica e tutela del bene e del suo contesto, o l’integrità di un b ene complesso, o l’infor-
mazione della culturale scientifica/storica, quando lo stato dimostri che il bene ha un’importanza
culturale significativa.
Questa Convenzione costituisce una deroga all’articolo 1153 del Codice civile riguardo al possesso
in buona fede vale titolo, che vale per tutti i beni mobili NON REGISTRATI (es. NO barche e auto) →
se un bene viene alienato a un altro proprietario, questo ne acquisisce la proprietà attraverso il
possesso purché sia in buona fede al momento della consegna; in caso contrario il legittimo proprie-
tario potrà chiedere la restituzione non solo a chi lo ha rubato, ma anche al nuovo proprietario.
Questa regola non è contestabile nel caso di un bene culturale.
L’acquirente in buona fede di beni culturali rubati o esportati illecitamente, in base alla convenzione
di Unidroit e quella di Parigi del 1970 DEVE RESTITUIRLO senza opporsi. Anche questa convenzione
da diritto all’indennizzo (se in buona fede) che deve essere equo.
Questa regola vale sia nel caso di illecita importazione che esportazione.

CONVENZIONE GATT
La convenzione GATT è l’accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio.
Fu stipulata a Ginevra il 30 ottobre 1947 e ratificata in Italia con la legge 1172. Contiene una serie di
regole che si basano sulla non discriminazione e disciplinano il libero commercio internazionale ad
eccezione di una serie di beni, tra i quali anche beni culturali.
Queste norme limitano o escludono lo scambio di beni culturali purché non costituiscano un mezzo
di discriminazione arbitraria o ingiustificata.

COMPETENZA TRA STATO, REGIONI ED ENTI LOCALI


Disciplinato dall’art. 117 della Costituzione.
La legge costituzionale n° 3 del 2001 ha modificato radicalmente la materia in questione.
Dal 1948 al 2001 la legge prevedeva che:
● lo Stato aveva una competenza legislativa GENERALE (poteva legiferare su OGNI MATERIA);
● c’erano determinate materie disciplinate dall’art. 117 in cui esisteva una competenza legislativa
CONCORRENTE (o ripartita) tra STATO e REGIONE (lo Stato stabiliva le “norme quadro” e cioè i prin-
cipi fondamentali, mentre le singole regioni avevano il compito di stabilire la normativa nel detta-
glio);
● lo Stato poteva delegare le regioni di dare attuazione alle proprie leggi con altre leggi regionali →
aveva un ulteriore competenza legislativa definita “ATTUATIVA”.

La regione NON INTEGRAVA i soli principi, ma aveva il compito di dare attuazione alle leggi dello
Stato già complete, che per la loro attuazione necessitavano di una normativa.
Ora, con la legge costituzionale n° 3 del 2001, normativa prevede che:
● lo stato ha competenza legislativa esclusiva SOLO IN DETERMINATE MATERIE indicate dal comma
1 dell’art. 117 (rapporti internazionali, immigrazione, politica estera, moneta, difesa e forze ar-
mate…) = può legiferare solo ed esclusivamente lo Stato.
● in altre materie è prevista la competenza CONCORRENTE o RIPARTITA tra stato e regione (molto
ampliate rispetto al vecchio art. 117) = nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni
la potestà legislativa salvo per la determinazione dei principi fondamentali che è prerogativa dello
Stato.
● le regioni hanno competenza esclusiva residuale = nelle materie non comprese né tra la legisla-
zione esclusiva dello stato né tra quella concorrente.
● Inoltre, l’art. 117 disciplina i regolamenti = segue i principi applicabili alle fonti normative primarie.
- nei casi di competenza legislativa dello Stato, quest’ultimo può comunque delegare le regioni .
- negli altri casi (competenza concorrente o ripartita), questa spetta alle regioni .

Articolo 9 della Costituzione (principi fondamentali) dice che la Repubblica promuove la cultura.
Comma 2: la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della nazione → QUINDI
una delle finalità primarie dello Stato è promuovere la cultura e tutelare il patrimonio storico -arti-
stico (patrimonio culturale).
A questo si conforma l’art. 117 → QUINDI:
• rientra nella COMPETENZA ESCLUSIVA DELLO STATO la tutela dei beni culturali (si parla di
“bene culturale” perché nel 2001 era già ben chiaro che cosa fossero i beni culturali e il patrimonio
culturale);
• mentre la valorizzazione dei beni culturali e ambientali rientra nella COMPETENZA CONCOR-
RENTE/RIPARTITA STATO – REGIONE.

Tutela = conservazione del patrimonio artistico-culturale per tramandarlo alle generazioni future
(conservare, proteggere e tramandare) → STATO.
Valorizzazione = concetto nato a cavallo tra gli anni 90 e 2000. Si è visto che non basta tutelare,
conservare e proteggere il patrimonio culturale, ma invece è necessario VALORIZZARLO rendendolo
noto e conoscibile ai soggetti (diffondere la conoscenza e la fruibilità) → STATO & REGIONE.

Art. 118, RIPARTO DELLE COMPETENZE AMMINISTRATIVE:


L’attività amministrativa è l’attività di ATTUAZIONE delle leggi (quelle finalizzate alla cura degli inte-
ressi pubblici che conferiscono alle amministrazioni determinati poteri volti al raggiungimento di
quegli specifici interessi).
Prima della riforma del 2001 c’era il principio del PARALLELISMO tra competenze legislative e am-
ministrative → quando lo stato aveva competenze legislative, aveva anche le relative competenze
amministrative (e allo stesso modo la regione, seppur in modo molto limitato per le materie disci-
plinate dall’art. 117 o sotto delega dello stato).
Il nuovo art. 118 stabilisce che le competenze amministrative spettano in linea generale al COMUNE
(secondo il principio di SUSSIDIARIETÀ previsto nel Trattato dell’Unione europea, che specifica che
la dislocazione delle funzioni amministrative tra i vari livelli di governo deve essere collocata alla
struttura più prossima al cittadino e, laddove possibile, sempre a livello locale).
⇒ Comma 1 = Questo principio prevede che gli altri enti amministrativi (province, città metropoli-
tane, regioni, Stato…) possano intervenire solo quando il livello comunale non sia adeguato e non
possa soddisfare pienamente l’interesse pubblico.
⇒ L’ultimo comma dell’art.118 disciplina una sussidiarietà orizzontale = per lo svolgimento di atti-
vità di interesse generale, lo stato, le regioni, le province e i comuni possono ricorrere e favorire
l’autonoma iniziativa dei cittadini come singoli o associati (cioè farsi assistere non solo da enti pub-
blici ma anche da privati cittadini → mecenati, devolvendo loro alcune attività di interesse generale
favorendo una cooperazione diretta e mediata nella gestione di materie che rientrano tra quelle che
spettano ai diversi enti statali).

Es. Associazioni di volontariato che gestiscono i musei, onlus che tutelano i beni culturali, WWF...
Il principio di sussidiarietà è integrato da altri due principi:
A. Il principio di adeguatezza prevede che l’organo che riceve la competenza deve avere
un’adeguata capacità recettiva = il comune deve avere un’organizzazione interna che gli con-
senta di svolgere quella funzione in modo adeguato a soddisfare pienamente l’interesse pub-
blico (dotazione di personale, risorse economiche, uffici predisposti…).
B. Da questo deriva il principio di differenziazione che impone al legislatore di allocare le fun-
zioni amministrative tenendo presenti le diverse caratteristiche degli enti (Es. Una medesima
funzione amministrativa può essere attribuita al comune di Milano ma non al comune di
Cesano Boscone, in quel caso spetterà alla provincia).

Noi abbiamo anche le cosiddette regioni ad autonomia rafforzata o “a Statuto speciale” (Valle d’Ao-
sta, Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige) → i loro statuti sono stati recepiti
direttamente con leggi costituzionali e per questo hanno una potestà legislativa che conferisce mag-
giore autonomia rispetto alle regioni a statuto ordinario.
Esse non sono disciplinate dall’articolo 117 della Costituzione a cui abbiamo fatto precedentemente
riferimento.
La competenza che hanno in riferimento ai Beni Culturali è diversa (ai tempi, comunque, la nozione
di Bene Culturale non era ancora conosciuta):
● In Sicilia si prevedeva una legislazione PIENA in materia di conservazione dell’antichità e delle
opere artistiche.
● In Trentino-Alto Adige (con le provincie autonome di Trento e Bolzano) si prevedeva una legisla-
zione PIENA in materia di conservazione del patrimonio artistico, storico e popolare.

In entrambi i casi le regioni disciplinavano integralmente la materia rispettando i principi discendenti


della costituzione, quelli generalissimi del nostro ordinamento giuridico e le norme fondamentali di
riforma economico-sociale. Al di fuori di esse, avevano piena possibilità di disciplinare integralmente
la materia.
● La competenza è più limitata nel caso di Valle d’Aosta, Sardegna e Friuli-Venezia Giulia. Viene
infatti assimilata alla competenza CONCORRENTE/RIPARTITA STATO-REGIONE delle regioni a sta-
tuto ordinario. Questa competenza viene detta INTEGRATIVA ED ATTUATIVA, con la quale si dà at-
tuazione a norme già pienamente definite dallo stato e si integrano i precetti giuridici determinati
dallo stato in modo da renderli attuabili.
Non si parlava di valorizzazione (solo di conservazione e tutela) → è un concetto nuovo, che è stato
disciplinato e normato negli anni ‘90.

Odiernamente, il rapporto è stato definito dalla Corte costituzionale che ha detto che anche nel caso
delle regioni a statuto speciale (in particolare Sicilia e Trentino) le disposizioni in materia di tutela
dei beni culturali contenuta nel codice dei beni culturali è PIENAMENTE APPLICABILE e VINCOLANTE
perché secondo l’art. 9 della costituzione, il codice dei beni culturali rientra nelle norme fondamen-
tali di grande riforma economica-sociale la cui osservanza costituisce un limite.
In materia di valorizzazione invece, valgono gli stessi principi delle regioni a statuto ordinario, infatti,
questa competenza rientra nella CONCORRENZA RIPARTITA STATO-REGIONE e spetta alla singola
regione dare attuazione ai principi generali stabiliti dallo stato che sono contenuti nel codice dei
beni culturali.
L’art. 116 prevede per le regioni a statuto ordinario la possibilità di chiedere forme e condizioni
particolari di autonomia (molte regioni del nord l’hanno richiesto in ambito di specifiche materie) .
Il comma 2 definisce le materie in questione: valorizzazione dei beni culturali, organizzazione della
giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dei beni culturali e ambientali.

Potrebbero piacerti anche