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OROLOGERIA

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Davide Munaretto

OROLOGERIA

Manuale di riparazione e restauro


dalla teoria alla pratica

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO

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Copyright © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2020
via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy)
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ISBN EBOOKS 978-88-203-9866-8

Coordinamento editoriale: Bold - Milano


Progetto grafico e impaginazione: Emanuele Lacchini
Copertina: Carlo Gaffoglio

Realizzazione digitale: Promedia, Torino

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A mio nonno Giuseppe

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Indice

Introduzione

Capitolo I
La forza motrice
1. La molla di carica
2. La legge di Hooke
3. Calcolo del numero di spire
4. Calcolo dello spessore della molla
5. Calcolo del peso motore
6. Variazione del rilascio di energia della molla di carica
7. Regolarizzazione della forza motrice: il conoide
8. Determinazione della forma del conoide
9. Determinazione pratica della lunghezza della catena
10. Come riparare la catena spezzata
11. Ricostruzione dei ganci di ancoraggio

Capitolo II
La distribuzione della forza motrice
1. Cenni storici
2. L’avvento delle prime macchine per il taglio dei denti
3. Le ruote dentate
4. Trasmissione del moto rotatorio fra due ruote
5. Il diametro primitivo e il passo di una ruota dentata
6. Calcolo dei rapporti di trasmissione caratteristici di pendoli e orologi
7. Calcolo del numero dei denti del bariletto e del pignone dei minuti
8. Rapporto fra le velocità angolari in un treno di ruote dentate
9. Ingranaggio bariletto - pignone dei minuti negli orologi con carica 8 giorni
10. Ingranaggio della ruota motrice (bariletto) con il pignone dei minuti in un orologio con
forza motrice a peso
11. Calcolo del rotismo contatore delle ore e dei minuti
12. Le ruote della minuteria
13. Il treno di rinvio

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14. Rotismo di messa all’ora
15. Rotismo di carica
16. Il treno della suoneria

Capitolo III
Parametri di funzionamento delle ruote dentate
1. La trasmissione dell’energia
2. Contatto fuori dalla linea dei centri
3. Trasmissione della velocità angolare
4. Le normative di fabbricazione di ruote e pignoni
5. La riduzione dei giochi di ingranamento
6. I difetti di ingranamento o di posizione relativa dei centri
7. Il dimensionamento di una ruota dentata
8. Taglio di una ruota dentata e di un pignone
9. Tecnica di accoppiamento ruota - pignone
10. I danni alle ruote dentate: cause e rimedi
11. La forgiatura e l’arronditura delle ruote

Capitolo IV
L’organo regolatore di un orologio
1. Il numero di alternanze del bilanciere
2. Formula generale per le alternanze/ora
3. Conformazione del bilanciere di un orologio
4. Momento d’inerzia di una superficie piana
5. Momento d’inerzia di un cerchio
6. Momento d’inerzia di massa della corona del volano
7. L’equilibratura del volano
8. L’equilibratura statica
9. L’equilibratura dinamica
10. Movimento oscillatorio del bilanciere
11. Velocità angolare e periodo
12. Costanza di amplitudine e isocronismo
13. La numerazione della spirale - CGS

Capitolo V
Le perturbazioni del periodo del bilanciere - spirale
1. I fattori che ne modificano il periodo
2. Gli attriti
3. Lo scappamento
4. Le vibrazioni
5. Il ribattimento
6. Durata della semi alternanza ascendente
7. Durata della semi alternanza discendente

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8. Perturbazioni relative alla durata dell’alternanza
9. Velocità angolare del bilanciere nel momento dell’impulso
10. La capacità di regolazione del bilanciere
11. Difetti di equilibratura del bilanciere
12. Posizione del baricentro di un bilanciere non equilibrato
13. Semplificazione della formula di Philips
14. Difetto di equilibratura dell’ancora
15. Difetti di equilibratura della spirale
16. Il centro di gravità di una spirale di Archimede
17. Le curve terminali delle spirali
18. Le considerazioni di Philips
19. La pressione laterale sui perni del bilanciere e l’isocronismo
20. Il gioco della spirale fra le spinette di limitazione della racchetta
21. Cambiamenti dell’elasticità della spirale
22. L’influenza della temperatura
23. La compensazione termica di un bilanciere bimetallico
24. Il restauro delle spirali

Capitolo VI
Le resistenze passive o attriti
1. Attrito del perno in posizione orizzontale
2. Attrito del perno in posizione verticale
3. La spinta radiale
4. Attrito di un perno verticale con appoggio

Capitolo VII
Dimensionamento e tornitura di perni e assi
1. Riporto e tornitura dei perni
2. Le punte a forare
3. La foratura al tornio
4. Parametri di lavoro per la foratura
5. L’affilatura delle punte elicoidali
6. La foratura con la fresatrice
7. La foratura con il trapano a colonna
8. L’operazione di riporto del perno
9. La finitura superficiale dei perni
10. L’asse bilanciere
11. Dimensioni salienti di un asse bilanciere
12. Possibili interventi in caso di rottura dei perni
13. Tornitura dell’asse bilanciere
14. Riporto dei soli perni su un asse bilanciere
15. Analisi degli errori di lavorazione
16. Usura per sfregamento in un accoppiamento forzato

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Capitolo VIII
Cenni di tribologia e lubrificazione dei perni
1. I moderni lubrificanti e la loro azione

Capitolo IX
Lo scappamento
1. Classificazione degli scappamenti
2. Lo scappamento foliot
3. Il periodo del foliot
4. La verga - dalla teoria alla pratica
5. La ruota scappamento per i verga
6. Lo scappamento a cilindro
7. Funzionamento dello scappamento a cilindro
8. Trasmissione dell’energia dalla ruota scappamento al bilanciere
9. L’amplitudine del bilanciere
10. Ricostruzione del cilindro
11. Lo scappamento ad ancora
12. La ruota scappamento
13. L’ancora e la forchetta
14. Il plateau e la caviglia
15. Funzionamento dello scappamento ad ancora
16. Protezione dello scappamento da fenomeni accidentali
17. L’angolo di levata e cammino perduto
18. L’amplitudine del bilanciere con lo scappamento ad ancora
19. La messa in scappamento

Capitolo X
Cenni di pendoleria
1. Periodo del pendolo matematico o pendolo semplice
2. La lunghezza ridotta del pendolo fisico
3. Il centro di oscillazione del pendolo
4. La posizione del centro di oscillazione

Capitolo XI
Classificazione dei pendoli
1. Pendolo formato da un’asta sottile e di sezione omogenea costante
2. Pendolo composto da una sfera omogenea collegata ad un filo di massa trascurabile
3. Pendolo composto da una sfera omogenea collegata ad un’asta sottile e omogenea di
sezione costante
4. Pendolo composto da una lente cilindrica omogenea collegata ad un’asta omogenea di
sezione costante
5. Pendolo parzialmente equilibrato composto da due sfere omogenee collegate ad un’asta
di massa trascurabile

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6. Periodo del pendolo parzialmente equilibrato
7. L’anacronismo del pendolo libero
8. L’azione del pendolo sull’asse di rotazione

Capitolo XII
Cenni sulle tipologie di pendoli
1. Pendolo oscillante misterioso
2. Il pendolo cicloidale e isocrono
3. Il pendolo a torsione
4. La pendola 400 giorni
5. La pendola ATMOS

Capitolo XIII
Variazioni del periodo del pendolo
1. Variazione del periodo con un peso ausiliare
2. La sospensione del pendolo
3. La sospensione a filo
4. La sospensione a molla
5. La reazione elastica della molla di sospensione
6. L’influenza della temperatura
7. L’influenza dell’aria sul movimento del pendolo

Capitolo XIV
I materiali da costruzione
1. L’ottone
2. L’acciaio
3. Trattamenti termici
4. Scelta dei materiali per la realizzazione di un orologio

Capitolo XV
La revisione di un orologio
1. L’illuminazione
2. L’attrezzatura di base
3. Le macchine per il laboratorio
4. La revisione in pratica
5. Analisi preliminare
6. Smontaggio
7. Pulizia e lavaggio
8. Assemblaggio e controlli
9. Lubrificazione e controlli
10. I lubrificanti
11. Montaggio del bilanciere e messa in battuta

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12. Anomalie e problemi
13. La regolazione e il COSC
14. Principi base della regolazione: la posa della spirale
15. Regolazione dell’isocronismo

Capitolo XVI
Impermeabilità e orologi
1. La prova di impermeabilità
2. La prova di condensa

Capitolo XVII
I quadranti in ceramica e il loro restauro
1. Restauro a freddo
2. Eliminazione di capelli e felature
3. Restauro con smalti a caldo
4. Restauro a fuoco

Capitolo XVIII
Automi e carillon
1. Automi, cenni storici
2. Carillon, cenni storici

Capitolo XIX
Orologi elettromeccanici e al quarzo
1. Orologi elettromeccanici
2. Orologi elettronici a diapason
3. Orologi elettronici al quarzo
4. Principio di funzionamento dei movimenti al quarzo
5. La revisione dei movimenti al quarzo

Informazioni sul Libro


Circa l’autore

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Introduzione

...il libro che vorrei...


Quando si opera su orologi antichi, ma talvolta anche su quelli moderni,
ci si deve sempre aspettare di trovare delle anomalie di gravità variabile che
spesso richiedono interventi ricostruttivi.
In passato questo tipo di lavoro rientrava nei compiti degli orologiai e
quasi tutti i laboratori erano provvisti delle attrezzature minime per poter
intervenire, come il tornio, primo tra tutti gli strumenti.
Con il passare degli anni l’attenzione verso l’orologeria è migrata dalla
pendoleria e dagli orologi da tasca a quelli da polso e con l’aumento della
disponibilità di ricambi offerta dal mercato si è persa la capacità di riparare
un orologio, limitando quest’arte alla semplice sostituzione di tutto ciò che
potesse servire per rimetterlo in funzione.
Di conseguenza ci si è allontanati dall’antica tradizione della riparazione
e dall’apprendimento delle competenze e delle abilità di un tempo, anche in
mancanza di libri e pubblicazioni dai quali attingere.
Durante gli anni trascorsi fra la progettazione meccanica e le attività di
officina e laboratorio, mi sono spesso scontrato con la necessità di cercare
sui manuali le informazioni di cui avevo bisogno e quando mi sono
affacciato al mondo dell’orologeria ho dovuto prendere atto, con sommo
stupore, del fatto che i libri disponibili in lingua italiana erano pochissimi e
tutti estremamente datati e che quelli in lingua straniera erano spesso molto
specifici e gli argomenti venivano trattati in modo frammentario e poco
approfondito.
Per questa ragione ho deciso di intraprendere l’ambizioso percorso della
stesura di un testo che fosse quanto più vicino possibile a ciò che avrei
desiderato, “...il libro che vorrei...”, appunto, in cui poter trovare tutte le
risposte che mi sarebbero servite per affrontare con serenità e professionalità
il mestiere dell’orologiaio riparatore.

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Questo testo, per quanto sia particolarmente tecnico, si rivolge a tutti
coloro che per ragioni diverse si vogliono avvicinare al mondo
dell’orologeria.
Un viaggio attraverso la meccanica, la matematica e la costruzione di
componenti antichi e moderni, una finestra sulle tecniche del passato che si
fondono con nozioni moderne derivanti da anni di esperienza e pratica di
laboratorio, abbandonando talvolta i dogmi imposti dalla tradizione e
cercando di sfruttare tutte le potenzialità che le tecnologie moderne ci
mettono a disposizione, sia a livello dilettantistico che professionale.
Il tutto con un pensiero rivolto al mio caro nonno Giuseppe, che fin da
quando ero bambino ha saputo trasmettermi tutto l’entusiasmo per le
materie tecniche e a mia madre, che con tanti sacrifici mi ha permesso di
studiare meccanica.

DAVIDE MUNARETTO

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Capitolo I
La forza motrice

La forza motrice necessaria a far muovere un sistema di ruote di un orologio


dipende dall’amplitudine dell’organo oscillante.
L’impulso di mantenimento sarà tanto più grande quanto più grande sarà
l’ampiezza da mantenere.
Il lavoro di un peso (o di una molla di carica come vedremo
successivamente) viene trasmesso allo scappamento attraverso il treno di
ruote, una parte del lavoro è spesa per vincere le resistenze e,
principalmente, l’attrito dei perni nei loro cuscinetti, dei denti delle ruote
durante l’ingranamento nello scappamento e l’inerzia dei mobili.
Quest’ultima non è da trascurare in quanto i mobili di un orologio
devono essere messi in moto più volte al secondo.

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Consideriamo tre grandezze che intervengono in questa trasmissione
dell’energia:
• le forze di ingranamento fra ruota e pignone;
• i momenti di queste forze rispetto all’asse del mobile;
• il lavoro svolto in un determinato tempo.

Passando da una ruota all’altra le forze si modificano.


Supponiamo ora che la forza motrice sia data da un peso P collegato ad
un tamburo tramite una fune e che il tamburo abbia un raggio ρ.

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Sull’asse O1 del tamburo è fissata una ruota dentata di raggio r1 che ingrana
con il primo pignone di raggio r2 posto sull’asse O2 che porta la ruota
dentata di raggio r3 che ingrana con il pignone di raggio r4 montato
sull’asse O3.
I denti della ruota motrice esercitano sulle ali del primo pignone una
forza F1 di valore

Pρ è il momento della forza P rispetto all’asse O1.


La forza F2 prodotta dai denti della prima ruota sulle ali del secondo
pignone vale

nel funzionamento degli orologi

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r2 < r3

e di conseguenza

F2 < F1

In pratica questo ci indica che la forza esercitata diminuisce da un


ingranaggio all’altro; ma come si comportano i relativi momenti?
Il momento della forza P rispetto all’asse O1 è

M0 = Pρ

il momento della forza F2 rispetto all’asse O2 vale

dato che

r2 < r1 e M1 < M0

il momento della forza F2 rispetto all’asse O3 sarà

dato che

r4 < r3 e M2 < M1

Ragion per cui da un asse all’altro il momento delle forze che fanno
muovere i mobili diminuisce.

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In questa analisi non abbiamo tenuto conto delle resistenze anche se la
diminuzione delle forze o dei momenti è dovuta a quelle.
Nelle formule non è contemplata nessuna espressione legata alle perdite
ma abbiamo comunque una diminuzione delle forze o dei momenti.
Questa dipende dall’aumento della velocità o del percorso.
Se dovessimo fare intervenire anche le resistenze (attriti e inerzie)
avremmo una ulteriore diminuzione delle forze e dei momenti, che non
sarebbero però compensate da un ulteriore aumento del numero di giri.
Consideriamo costante il lavoro trasmesso alla ruota scappamento
durante la durata T di una oscillazione.
Il peso P, che è tenuto da una fune avvolta sul tamburo di raggio ρ, gira
durante questo periodo di un piccolo angolo α che esprimiamo in radianti,
per tanto il lavoro fornito dal peso nel periodo T vale

W0 = P ρα

dove ρα è il percorso fatto dal punto di applicazione della forza esercitata da


P.
Nel momento in cui la ruota motrice ruota dell’angolo α obbliga il primo
pignone a ruotare di un angolo β.

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Lo spostamento angolare dei punti di contatto dei denti della ruota sull’asse
O1 e O2 è dato da

r1α = r2 β

dal momento che

r1>r2 β>α

Il lavoro della forza F1 dovuto alla rotazione dell’asse O2 vale

Anche in questo caso non vengono considerate le resistenze, il lavoro si


trasmette interamente dall’asse motore della prima ruota attraverso tutte le
altre fino alla ruota scappamento.
Nel calcolo reale non sarebbe possibile ignorare le resistenze, che però
sono sempre difficili da quantificare in quanto molto variabili nel tempo e
dipendenti anche dalla qualità costruttiva del movimento.

1. La molla di carica
Con l’avvento dei primi orologi da tasca e a seguire quelli da polso si
dovette trovare una soluzione che potesse sostituire la forza motrice
costituita dal peso fisico collegato alla fune con un sistema che potesse
adeguarsi a tutte le variazioni di posizione che poteva assumere l’orologio;
si scelse quindi di utilizzare una lamina elastica che opportunamente avvolta
in un cilindro potesse, una volta armata, restituire l’energia accumulata al
treno di ruote.

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Nacquero quindi la molla di carica e il bariletto.
Come è facile immaginare, la caratteristica principale di una molla è la
sua elasticità che possiamo definire come: la capacità di certi corpi di
riprendere la loro forma e posizione originaria dopo una deformazione.
Questo vale però solo in linea teorica in quanto ci sono dei limiti fisici
alla deformazione dettati dalla natura del materiale:
• deformazione elastica, quando la forza cessa di agire prima che venga
raggiunto il limite di snervamento del materiale;
• deformazione permanente, quando la forza supera il valore del limite di
snervamento del materiale.

2. La legge di Hooke
La forza applicata alla molla elastica è direttamente proporzionale alla
variazione di lunghezza che subisce la molla stessa.
Questa legge non è poi cosi rigorosa e vi possono essere delle eccezioni
come dimostrato da De Jaquerod (1946-1947) in quanto in certi casi può
subire delle variazioni, per esempio a causa di un trattamento termico.
La legge di Hooke è comunque utile per il calcolo della resistenza dei
materiali e noi la utilizzeremo per determinare il momento elastico della
molla di carica. Applichiamo la legge di Hooke al calcolo dell’allungamento
ΔL di una barra di lunghezza L e di sezione S alla quale è collegato un peso
P.
L’allungamento ΔL è tanto più grande della forza di trazione P e della
lunghezza L quanto più piccola diventa la sezione S; inoltre è in funzione
anche del tipo di materiale con la quale la barra è realizzata

Nella formula il coefficiente E è detto modulo di elasticità o modulo di


Young.

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Dal momento che il rapporto L/ΔL è un numero puro, E ha le dimensioni di
una forza su una superficie, quindi il modulo di Young esprime una
pressione.

3. Calcolo del numero di spire


Quando si progetta un orologio si stabilisce come prima cosa la dimensione
dell’orologio e la durata della marcia che dovrà avere.
La molla di carica quindi dovrà assolvere al mantenimento della marcia
per il periodo stabilito detto riserva di carica.
Con un numero di spire elevato è abbastanza semplice ottenere durate
significative e quindi diventa importante riuscire ad avere una molla che sia
più lunga possibile.
Il primo problema che andremo a risolvere è quello di mettere in
relazione il diametro interno del bariletto con il numero di spire della molla
e le sue dimensioni.
Come prima cosa dobbiamo determinare quanto spazio serve destinare
alla molla.
Si stabilisce che deve essere 1/3 del diametro interno del bariletto.
Troviamo ora una equazione che tenga conto del numero di spire N e
della lunghezza L, in funzione del raggio R del bariletto, il raggio r dell’asse
del bariletto e lo spessore e della molla.

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La molla armata occupa una corona circolare di raggio esterno ρ1 e interno
r.
Consideriamo che la lama sia perfettamente serrata, perfettamente
circolare e che non ci siano spazi vuoti fra le lame.
Chiamiamo N” il numero di giri della molla arrotolata trascurando la
porzione AB della molla; possiamo dire che lo spazio occupato dalla molla
vale

da cui

Quando la molla è disarmata nel bariletto le spire si toccano dalla parte


opposta e la più esterna è appoggiata alla parete del bariletto.
Per l’analisi consideriamo il tratto CD trascurabile, una corona circolare
di raggio esterno R e di raggio interno ρ2
Avremo che

ρ2 = r − N” e

dove N’ indica il numero di spire della molla disarmata nel bariletto.

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La superficie occupata dalla molla sarà

ovvero

il numero di spire N vale

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4. Calcolo dello spessore della molla

Calcoliamo lo spessore della molla in funzione del suo massimo sviluppo e


in funzione del raggio e del diametro dell’asse del bariletto.
Questo rapporto è molto importante in quanto determina la tensione delle
fibre della molla avvolta sull’asse del bariletto. Poniamo

r = αe

il coefficiente α in pratica ha un valore pari a 16 o in casi particolari 15 e 14,


per cui avremo

Nei casi pratici dove sia necessario determinare in modo veloce lo spessore
si utilizza la formula ridotta

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dove K assume un valore compreso fra 20 e 28; per quasi tutti gli orologi il
valore è 26.

5. Calcolo del peso motore

Talvolta capita di incontrare movimenti con trazione a tamburo con il peso


motore mancante.
In genere questi movimenti sono dotati di pendolo.
Per riuscire a stabilire, anche se in modo approssimato, il peso più idoneo
al funzionamento del movimento si parte con l’analisi cinematica del
pendolo libero, cercando di rilevare nel modo più preciso possibile
l’ampiezza di oscillazione.
Come sappiamo, in assenza di perturbazioni esterne, il pendolo
manterrebbe il suo stato di moto, ma nel caso reale, trovandoci in presenza
di attriti dovuti all’aria e tutti quelli presenti nel treno di ruote del
movimento, il pendolo subirà una perdita di energia che porterà a una
riduzione dell’ampiezza di oscillazione, detto anche smorzamento.
Calcoliamo quindi l’energia persa fra una oscillazione e l’altra, dove tale
energia dovrà essere poi compensata dalla forza motrice per farla giungere
alla ruota scappamento sotto forma di impulso.
Prendiamo quindi in esame un pendolo di lunghezza L = OA e di peso P,

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ammettendo per semplicità che tutto il peso, compreso quello dell’asta, sia
concentrato nella lente del pendolo A.

L’energia potenziale della lente nel punto OB sarà quindi

P DA = P h1 = PL (1 − cos φ1)

Durante una oscillazione la lente passerà da OB ad OC e in questo punto


l’energia potenziale diventa

P EA = P h2 = PL (1 − cos φ2)

L’energia potenziale persa sarà

P (h1 − h2) = PL (cos φ2 − cos φ1)

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Questa sarà l’energia da restituire a ogni oscillazione perché l’amplitudine
φ1 sia mantenuta.
Non considerando le resistenze, il lavoro si trasmette integralmente
attraverso le ruote alla ruota scappamento.
Avremo quindi che durante una oscillazione il peso P compie un lavoro
pari a

W0 = Pρα

tale per cui

Consideriamo ora il raggio ρ del tamburo sul quale si avvolge la corda che
supporta il peso motore P.
Sappiamo inoltre che il tamburo e la ruota motrice compiono un giro in n
ore o 3600 n secondi; in un secondo quindi il tamburo compie una rotazione
di

dopo T secondi l’angolo α sarà

La formula del peso motore diventa quindi

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per una oscillazione al secondo avremo T = 2 da cui

Questa formula è, come detto, puramente teorica in quanto non tiene conto
del lavoro di attrito dei perni e dei denti delle ruote, delle inerzie dei mobili
e delle imperfezioni degli ingranamenti e dello scappamento.
La formula contiene del resto un fattore che non può essere determinato
empiricamente per questo particolare caso.
In effetti il valore di (cos φ2− cos φ1) dipende dalla costruzione del
pendolo ed è funzione della resistenza dell’aria e della sospensione.
Non è quindi possibile riuscire a determinare in modo esatto il peso
necessario a mantenere l’oscillazione di amplitudine φ1 di un pendolo di cui
solo il peso e la lunghezza siano connesse fra loro.
In questi casi sarà l’esperienza dell’orologiaio a permettere di valutare
approssimativamente la perdita di energia e ad apportare dei piccoli
aggiustamenti.
Il peso motore influisce molto anche sull’usura dei componenti soggetti a
strisciamento e per questa ragione è molto importante non
sovradimensionarlo.
Lo stato generale dei perni, la scelta della sospensione e la riduzione
degli attriti concorrono a un miglioramento della marcia e al mantenimento
della corretta ampiezza di oscillazione.

6. Variazione del rilascio di energia della molla di


carica
Il momento elastico di una molla varia in base al moto o alla condizione di
stallo dovuto allo scappamento.
Questa differenza negli orologi è compensata ed attenuata dall’utilizzo

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del maggior numero di spire possibili in modo che si senta solo in minima
parte.

Il momento elastico di una molla armata di un angolo α radianti vale

dove M è una funzione lineare di α ovvero M = f(α) ed è rappresentata dalla


retta OL da cui

M = Kα

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Armando la molla per un numero di spire corrispondenti agli angoli α1 e α2
la differenza dei momenti estremi è rappresentata dalle figure

CD – AB = ED = (α1 − α2)tg φ1

per ridurre il valore di questa differenza si dovrebbe ridurre il valore di φ1


ovvero di K.
Se ad esempio aumentiamo la lunghezza L, possiamo calcolare il valore
di Nmax, quindi aumentare L senza modificare di troppo il numero delle
spire.
Per rappresentare M avremo M = f(α) ovvero una retta OH e una
differenza dei momenti α1 − α2 dove GF è più piccola di ED.
Modificando il valore di K è possibile avere una modifica anche a M.
In tal modo L rende il momento più variabile tale che in minor tempo
possa diminuire di valore assoluto a meno di scegliere, nei limiti del
possibile, gli angoli α1 e α2 tali per cui

dove avremo

CD = PN

7. Regolarizzazione della forza motrice: il conoide


Per poter regolarizzare il momento della forza motrice di una molla si
introduce un momento resistente, una sorta di freno, che svolge la funzione
di aumentare il momento espresso dalla molla così che la differenza fra i
due momenti resti costante.
Questo aspetto, sentito e studiato fin dagli albori dei primi orologi a
pendolo, venne in parte risolto con l’utilizzo di un dispositivo che prese il

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nome di conoide.

Il conoide è un dispositivo con profilo iperbolico e con un solco elicoidale


che si sviluppa su tutta la sua superficie.

La molla di carica è inserita nel bariletto A che non ha nessuna dentatura;


una catena (o una fune) B agganciata al tamburo del bariletto si avvolge e si
svolge nel medesimo tempo posizionandosi nella cava del conoide C;
sull’albero del conoide è fissata una ruota dentata D che trasmette l’energia
della molla all’organo regolatore attraverso le ruote e lo scappamento.
L’albero E del bariletto è fisso, mentre l’albero del conoide termina con
un profilo quadro sul quale calzerà la chiave di carica.

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Nel momento in cui si carica l’orologio facendo ruotare l’albero del
conoide la catena si arrotola sul conoide svolgendosi dal bariletto.
Quando la molla è avvolta completamente, la catena si troverà sul raggio
minore del conoide, in questo punto la forza della molla è
considerevolmente elevata, mentre il raggio su cui agisce è piccolo.
Quando la catena viene rilasciata si riavvolgerà sul bariletto srotolandosi
dal conoide.
La forza che tende la catena diminuisce, ma il raggio del conoide sulla
quale agisce aumenta.
Se la forma del conoide è corretta, il momento della forza della molla
rapportato all’asse del conoide resta costante.

8. Determinazione della forma del conoide


Proviamo a determinare la forma di un conoide con profilo AB tale per cui il
momento della molla possa risultare costante.

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Prendiamo un punto P caratterizzato dalle coordinate x e y.
Consideriamo ora una porzione infinitesima della superficie del conoide
dS, porzione che possiamo assimilare ad una sezione infinitesima di un
cilindro di altezza dy, e con base di raggio x e perpendicolare all’asse di
rivoluzione OY

dS = 2πxdy

La superficie totale del conoide vale

S = ∫ds = 2π∫xdy

Consideriamo ora una catena di larghezza e, se le spire della catena si


toccano la lunghezza l della catena avvolta sul conoide è data da

La forza f che agisce sulla catena è proporzionale all’angolo di carica della


catena e quindi possiamo dire

f0 = Kl0

dove l0 è la lunghezza della catena per il raggio maggiore del conoide e K


una costante.
Se lo rapportiamo all’asse del conoide, il momento della forza f0 vale

M0 =Kl0r0

Quando la catena si è avvolta della lunghezza l sul conoide la lunghezza


della catena diventa l0 + l, la forza aumenta di K l in quanto l è anche la
lunghezza della catena srotolata dal bariletto, lunghezza proporzionale
all’angolo di rotazione del bariletto stesso.
Il momento della forza f vale

33
M = K (l0 + l)r

e volendo avere M = M 0

(l0 + l)r = l0 r0

da cui

r=x (l0 + l)x = l0 r0

oppure

da cui differenziando

determinando la costante di integrazione e considerando che y=0 e X= r0


otteniamo

34
e finalmente

ovvero l’equazione di una iperbole cubica.


Per determinati valori di r0 ed e il valore della y in funzione di x varierà
di l0.
Facendo crescere di valore l0 il valore di y aumenta e la curva diverrà
maggiormente accentuata.

Nella figura la curva 1 corrisponde a un valore l0 più piccolo di quello


utilizzato per calcolare la curva 2.
Il fattore K interviene nell’espressione di f ed è caratteristico per una data
molla; cambiando la molla si modifica K, mentre f rappresenta il momento

35
costante del conoide.
Quindi se non si modifica l0 il profilo del conoide non avrà più bisogno
di alcun cambiamento.
In pratica, anziché modificare il profilo del conoide, si fa il contrario,
adattando il momento della molla al conoide a disposizione, a condizione
che il profilo sia una iperbole cubica che soddisfi la formula

Se dovessimo modificare l0 ovvero la tensione della molla con l = 0 nel


momento della carica quando la catena comincia ad avvolgersi sul conoide,
lo faremmo fino a che il momento per x= 0 e per x = r1 non sono uguali.

9. Determinazione pratica della lunghezza della catena


Capita spesso di dover restaurare orologi con catena e conoide che sono
privi totalmente o parzialmente della catena di carica e quando accade, oltre
a reperirne una di dimensioni appropriate, ci si trova a dover stabilire la
giusta lunghezza che questa dovrà avere perché l’orologio possa caricarsi e
mantenere una durata della carica stessa corretta.
Dal momento che sembra non vi siano informazioni precise in merito a
specifici riferimenti, dopo aver condotto una ricerca su materiale integro di
natura similare, si è potuto stabilire con una certa sicurezza un metodo che
consente di determinare la lunghezza esatta della catena.
Prendiamo come esempio un conoide con la sua catena originale e quindi
perfettamente integra: se l’arrotoliamo tutta fino alla fine noteremo come il
gancio termini esattamente in concomitanza della camma di arresto del
conoide.
Per determinare la lunghezza della catena si deve considerare che questa
possa avvolgersi completamente sul conoide fino al raggiungimento della
camma di blocco dove avremo ancora una porzione libera che termina con il
gancio di ancoraggio al bariletto.

36
Avvolgiamo il terminale libero attorno alla camma fino a fare in modo che il
gancio tocchi la camma stessa.
Tracciando una linea passante per il piano della camma la catena dovrà
terminare esattamente all’altezza della linea stessa.

37
Se la catena risulta più lunga o più corta significa che è stata sostituita o
riparata in seguito a rottura.
Grazie a questi semplici riferimenti è quindi possibile determinare con
precisione la lunghezza esatta della nostra catena.

10. Come riparare la catena spezzata


Fra le problematiche che si possono trovare negli orologi con conoide e
catena, la rottura di una maglia o del gancio di ancoraggio sono le più
ricorrenti.
In questi casi è possibile procedere con la sostituzione integrale
dell’intera catena o provvedere al recupero e alla riparazione di quella
originale, giuntando le parti interrotte e rifacendo nell’eventualità anche i
gancetti di ancoraggio.

38
Come prima cosa si tolgono le parti eccedenti o simmetriche e si preparano
le maglie in modo che possano essere accoppiate correttamente; eseguita
questa importante operazione si procede alla realizzazione con il tornio del
nuovo perno di giunzione.

Per facilitare il distacco del perno dalla sua matrice si deve sempre avere
l’accortezza di andare a realizzare una piccola cava, atta a ridurre la sezione
resistente del perno stesso in modo che si possa poi rompere con facilità.

39
Inserito il perno fra le maglie, lo si distacca dalla matrice ed è pronto per
essere portato a misura.
Durante questa operazione si dovrà prestare molta attenzione alla
lavorazione del perno che dovrà necessariamente essere portato a misura
con il solo ausilio della lima o di una pietra Arkansas senza quindi eseguire
nessun tipo di ribaditura che bloccherebbe di contro in modo grave lo snodo
della catena nel punto di giunzione.

40
Vediamo ora quali sono i passaggi per realizzare i ganci di ancoraggio della
catena al bariletto e al conoide. Si tenga presente sempre che i due ganci
hanno una conformazione differente e che il gancio con lo sperone dovrà
essere sempre posizionato sul bariletto.

11. Ricostruzione dei ganci di ancoraggio


Con la stessa procedura, quando necessario, si possono ricostruire i ganci di
ancoraggio utilizzando una adeguata matrice di acciaio.
La prima fase consiste nel lavorare la matrice in modo da ottenere la
forma desiderata.

41
Dopo aver realizzato il foro si stacca il manufatto e lo si rifinisce,
portandolo a misura esatta e fissandolo alla catena come specificato per la
maglia.

42
Capitolo II
La distribuzione della forza motrice

La forza motrice come abbiamo visto viene trasmessa allo scappamento


attraverso una serie di ruote dentate opportunamente correlate fra loro e
legate da parametri ben precisi, primo fra tutti il rapporto di trasmissione.
Prima di addentraci nell’analisi teorica e costruttiva di una ruota dentata e
delle sue funzioni, facciamo un breve salto nel passato e torniamo agli albori
dell’orologeria per comprendere come questi organi si siano evoluti nel
tempo e con quali sistemi venissero prodotti.

43
1. Cenni storici
Le ruote dentate sono sempre stati gli organi principali di un orologio ed è
proprio grazie a queste che nei secoli scorsi si è potuto dare vita al primo
orologio meccanico.
Dai primi del ’600 fino ai primi del ’700 le ruote dentate venivano
realizzate interamente a mano da abili artigiani.
Si partiva da una lastra che veniva battuta sull’incudine con diverse
ricotture e battiture fino ad ottenere una superficie abbastanza uniforme e
compatta, di spessore omogeneo e ben incrudita.
Per la divisione del disco in quell’epoca sembra vi fossero delle
“piattaforme” divise in parti uguali e forate nella parte centrale.

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Al centro della piattaforma veniva fissato il disco di ottone da dividere che
veniva poi opportunamente punzonato in corrispondenza delle divisioni
necessarie ad ottenere il corretto numero di denti.
Le punzonature venivano probabilmente eseguite su due livelli diversi e
stavano ad indicare una la sommità del dente e l’altra il vuoto fra un dente e
l’altro.
Da questo si comprende come per creare una ruota ad esempio di 60
denti fosse necessario disporre di una piattaforma con almeno 120 divisioni
e per gli orologiai del tempo non doveva essere cosa troppo agevole, senza
considerare poi che questo sistema poteva essere di semplice utilizzo per
ruote di una certa dimensione come quelle per i pendoli, ma si
complicavano notevolmente quando si scendeva proporzionalmente.
Terminata la fase di bulinatura si passava poi a quella di intaglio,
anch’essa eseguita completamente a mano per mezzo di lime e seghetti
normali, mentre le parti arrotondate del dente venivano eseguite con lime
specifiche.

45
Queste piattaforme nel tempo subirono diversi aggiornamenti passando da
quelle con la divisione a raggi a quelle con forature perimetrali disposte su
cerchi concentrici. Oltre a consentire un maggior numero di divisioni e
quindi maggior flessibilità di utilizzo, erano anche più veloci; l’unica
differenza era che queste ultime richiedevano l’uso di un compasso, ma la
procedura era comunque semplice, precisa e veloce.
Quello che si otteneva era quindi una ruota i cui denti potevano
presentare al centro un piccolo punto che spesso veniva lasciato.

46
La fase successiva riguardava l’alleggerimento della ruota con la creazione
delle razze e talvolta, sulle ruote le cui dimensioni lo consentivano,
l’orologiaio incideva con un bulino due “virgole” alla base del dente che
sembra avessero il solo scopo di far apparire i denti di forma più aggraziata
senza per altro indebolirne la struttura e quindi la resistenza meccanica.

2. L’avvento delle prime macchine per il taglio dei


denti
Il passaggio dalla piattaforma alla macchina per fresare i denti non è stato
sicuramente improvviso ma graduale, infatti non si hanno riferimenti certi in
merito alla data della sua creazione.
Un possibile anello evolutivo potrebbe essere passato proprio dalla
modifica della prima piattaforma, alla quale vennero aggiunti dei supporti e
delle guide che facilitassero l’intaglio dei denti; queste sono però
supposizioni poiché non si hanno prove certe dell’esistenza di queste
macchine.
Si ipotizza quindi che questa fu la strada che portò, verso la fine del ’600,

47
alla realizzazione delle prime macchine per intagliare i denti che
conglobassero sia la funzione del divisore, sia quella del taglio dei denti.
Una prima versione si ritiene fosse dotata di una slitta nella quale poteva
scorrere la lama per il taglio del vuoto fra un dente e l’altro.
Questa soluzione oltre a velocizzare notevolmente il lavoro, lo rendeva
nettamente più preciso.
Nel 1709 comparve quella che si può a tutti gli effetti definire la
progenitrice delle macchine moderne e che fu illustrata da Bion.
Rispetto a quella ipotizzata con la guida per la lama longitudinale di
taglio, consisteva proprio nell’applicazione di un dispositivo che consentisse
l’adozione di una lima rotante che, avendo una posizione fissa, permetteva
di eseguire un taglio con profondità molto precisa e meno dipendente
dall’abilità dell’operatore.

Una volta tagliato il disco di diametro opportuno, come prima operazione lo


si montava sull’asse della macchina e per mezzo di un utensile posto alla

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periferia del disco lo si rendeva perfettamente circolare e concentrico.
Questo sistema oltre a garantire la concentricità del disco permetteva
anche di segnare la circonferenza di base del dente in modo da avere un
riferimento durante la fase di taglio, cerchio che in genere è facile trovare su
tutte le ruote tagliate almeno sino alla metà del XVIII secolo.
Ottenuta la concentricità si poteva procedere al taglio dei denti e a tale
scopo veniva scelta sulla piattaforma la serie di divisioni pari al numero di
denti che doveva avere la ruota e non più il doppio come avveniva in
precedenza.
Si faceva quindi appoggiare il braccio detto “alidada”, costituito da una
robusta molla lineare fissata ad un lato della struttura e terminante con un
perno conico sporgente sotto di essa, su uno dei profondi punti della
divisione.
La piattaforma ed il disco ad essa solidale risultavano così rigidamente
immobilizzati.
Facendo poi ruotare la lima circolare montata su un asse che aveva la
possibilità di muoversi perpendicolarmente alla piattaforma, la si accostava
al bordo del disco che cominciava così ad essere intagliato.
Completato il primo taglio si sollevava la lima circolare, poi l’alidada e si
ruotava la piattaforma di una o più posizioni (se si adottava una divisione
costituita da un multiplo intero del numero di denti da ottenere) e si
procedeva fin tanto che tutti i denti non fossero stati intagliati.
La lima era originariamente messa in rotazione da un archetto a mano
con moto alternato per tagli di ruote di piccole dimensioni, mentre per
quelle dove gli sforzi di taglio erano maggiori si adottava un sistema a
manovella.
Il moto di taglio era quindi abbastanza lento ed è solo in seguito, con il
perfezionamento degli utensili di taglio che da lime cominceranno ad avere
dei taglienti più grossi e definiti e quindi cominciare a somigliare a vere e
proprie frese, che si opterà per maggiori velocità di taglio utilizzando
sistemi di moltiplicazione con pulegge.
Il bloccaggio del disco subì diverse modifiche insieme all’evolversi delle
macchine, nelle prime piattaforme questo veniva semplicemente serrato con
un dado bloccato a sua volta con la gommalacca in modo da prevenirne
eventuali allentamenti involontari.
Nei tipi più evoluti il disco forato veniva invece infilato su di un perno
conico molleggiato, sporgente dal supporto e innestato sulla piattaforma, la

49
conicità ne garantiva la centratura mentre il bloccaggio era possibile grazie
ad un altro pezzo terminante a cono.
Questa sorta di cappuccio era tenuto in posizione da un grosso becco che
poteva muoversi su una robusta asta verticale che si innalza dalla struttura
della macchina.
Il becco grazie ad una vite di serraggio forzava il cappuccio verso il
supporto.
Ad evitare comunque che il disco potesse slittare durante le operazioni di
taglio il supporto veniva dotato di una piccola dentatura che svolgeva la
funzione di anti slittamento, questo perché eventuali cambi di posizione e
quindi lo spostamento del disco ne avrebbe compromesso l’esatta divisione
e quindi la precisione dei denti della ruota.
Queste macchine se pur semplici erano al contempo anche molto
flessibili e consentivano di tagliare ruote di diverse dimensioni e tipo con
dentature di varia tipologia.
Grazie alla possibilità di decentramento della fresa era anche possibile
ricavare ruote con dentature “speciali” come ad esempio le ruote
scappamento.
Uno dei limiti che però non tardò a presentarsi era dato dal taglio delle
ruote scappamento dei primi orologi a verga che cominciarono a divenire di
moda alla fine del ’700 quando si iniziarono a cercare orologi che fossero
sottili.
Ecco quindi che in quell’epoca nacque la variante dedicata
esclusivamente al taglio di questa tipologia di ruote e anch’essa di piccole
dimensioni rispetto a quella tradizionale.

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Altro problema relativo alla costruzione di questa particolare ruota era
rappresentato dalla dimensione della fresa che, oltre ad avere una forma
convessa, doveva essere oltremodo di piccole dimensioni; infatti molte di
queste ruote hanno un diametro che non supera i tre millimetri perciò la
fresa doveva essere dimensionata di conseguenza e non superare i sei
millimetri di diametro.
Questa versione di macchine dedicata cessò di essere prodotta a cavallo
degli anni ’30-’40 del XIX secolo, quando cessò del tutto la produzione
degli orologi a verga. Come abbiamo visto, le frese impiegate da queste
macchine furono per lungo tempo delle semplici frese diritte ed inoltre non è
neanche noto quando esattamente divennero disponibili sul mercato quelle
che intagliavano il dente nella sua forma definitiva.
La forma ad ogiva della sommità del dente cominciò a definirsi grazie
agli studi condotti da Camus nel 1735 sulla dentatura epicicloidale, che però
troverà una applicazione generale solo molti decenni dopo con l’avvento
delle prime frese rotanti.
Nei primi dell’Ottocento fecero la loro comparsa le prime macchine atte
a rifinire, grazie all’ausilio di speciali frese circolari, la sommità del dente,
realizzato fino a quel momento a mano per mezzo di lime.
Queste particolari macchine vennero chiamate “macchine per arrondire”
ovvero arrotondare, smussare e questo fu appunto possibile grazie
all’avvento di speciali frese di forma che grazie al loro profilo rendevano
possibile la formatura del dente in un solo passaggio.

51
Queste macchine inoltre svolgevano anche l’importante compito di
eliminare eventuali ovalizzazioni della ruota stessa o il recupero di denti
ormai consunti grazie ad apposite procedure.
Per l’operazione di arronditura si posizionava la ruota fra due
contropunte verticali nelle quali si infilavano i perni dell’asse della ruota
garantendo così una perfetta concentricità della periferia rispetto al suo asse.
La ruota veniva fatta appoggiare in piano su un supporto di diametro tale
da lasciarla sporgere di poco più della lunghezza dei denti.
Il supporto quindi svolgeva il duplice compito di sorreggere
convenientemente l’esile ruota indebolita dal taglio delle razze ed evitare
che questa potesse flettere durante le operazioni di fresatura.
Anche nel caso delle frese per arrondire durante il corso degli anni
furono effettuate delle migliorie fino a giungere a quella che è quasi arrivata
ai giorni nostri – la sua produzione è infatti cessata negli anni cinquanta – e
che affermò definitivamente la totale intercambiabilità e disponibilità sul
mercato delle parti di ricambio dell’orologio.
Questa fresa prese il nome da colui che per primo la brevettò in Svizzera,
ovvero Carpano, allievo del Lavraive (o del padre, non sappiamo) che però
non si realizzò mai nella professione di orologiaio poiché le sue frese ebbero
un tale successo da costringerlo a dedicarsi solo alla loro costruzione.

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Il suo utilizzo era molto semplice, era costituita da una fresa circolare diritta
alla cui periferia era stato dato il profilo dell’incavo delle sue semi ogive
fiancheggianti l’incavo stesso del dente.
La fresa era completa per soli due terzi della sua circonferenza e doveva
essere usata in associazione ad una ingegnosa guida che la trasformava in
una fresa elicoidale a passo variabile.
Una volta unita alla guida la parte mancante della circonferenza della
fresa, veniva infatti completata da una lama d’acciaio elastico che potendo
essere regolata da una vite, poteva essere sollevata in modo parziale dando
così origine appunto ad un profilo elicoidale.
Questo faceva sì che quando la fresa era posta fra i due denti la lama
elastica ad un certo momento veniva a trovarsi nell’incavo successivo e
pertanto, ad ogni rotazione, la fresa passava automaticamente da un dente

53
all’altro.
Questo sistema inoltre consentiva di poter regolare il passo della fresa
rendendola così impiegabile su ruote di diametro e numero di denti
differenti.
Grazie al processo di arronditura era inoltre possibile recuperare ruote
consunte senza necessariamente sostituirle.
Un altro sistema consisteva nel picchiare con un martello i denti della
ruota assottigliandoli ma anche allargandoli e allo stesso tempo incrudendo
l’ottone. Una volta quindi deformato il dente si sceglieva la fresa corretta
per il profilo e si procedeva all’asportazione del materiale in eccedenza
riportando così il profilo del dente al suo stato originale ed eliminando la
parte usurata e, come abbiamo visto, ripristinando in contemporanea anche
la concentricità al suo asse.
In seguito alla cessazione della produzione delle frese Carpano, sul
mercato si sentì subito la necessità di trovare delle alternative che potessero
consentire agli orologiai che ne fossero privi di proseguire la ricostruzione
di ruote dentate principalmente per le operazioni di restauro.
Nacquero così anche sulla base delle nuove tecnologie e delle nuove
tipologie di frese chiamate a modulo, due serie di frese di concezione
moderna con profili ottimizzati atti a coprire quasi tutti i moduli delle
vecchie ruote sia con denti diritti e radice piana che con profilo epicicloidale
tipico anche dell’orologeria moderna. Queste frese sono state prodotte dalla
Tecnoli e commercializzate dalla Bergeon fino al 2013 per poi cessarne
produzione.

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Quello che abbiamo visto fino a questo momento ha riguardato le sole ruote
dentate in genere realizzate in ottone, ma rimane ancora da vedere come
venissero realizzate nei secoli precedenti al XVIII le piccole ruote d’acciaio
con pochi denti che vennero poi chiamati pignoni.
Non si sa con certezza quali fossero le logiche di produzione di questi
ultimi, poiché non ci sono giunte dettagliate notizie precedenti al 1763. In
quell’anno infatti un famoso orologiaio dell’epoca, Ferdinand Berthoud
(1727-1807), diede alla stampa il suo Essai sur l’horlogerie precisando
come queste importantissime parti dell’orologio possano essere eseguite
completamente a mano.
La sua ampia descrizione non aveva però finalità storiche, ma serviva
solo a convincere gli artigiani che ancora non disponevano di macchine per
intagliare i pignoni, inventate da pochi decenni, a rinunciare all’impiego
degli sbozzi di pignoni trafilati: egli riteneva infatti che il tipo di acciaio
usato per ricavare tali sbozzi non fosse altrettanto confacente con quanto di
solito impiegato nella costruzione manuale dei pignoni e almeno negli anni
in cui scriveva non aveva torto.
La tecnica illustrata escludeva quindi l’uso di macchine specifiche, ma
richiedeva l’uso del tornio; dopo aver montato tra le sue punte l’asse dal
quale ricavare il pignone già opportunamente tornito a dimensione corretta,
lo si rendeva solidale ad un disco divisore che di massima riportava un
basso numero di divisioni poiché in quell’epoca pignoni con più di dieci
denti, detti anche “ali”, costituivano un’eccezione e in genere il numero di
ali andava da cinque a otto.
Con il pezzo bloccato dall’alidada che immobilizzava il disco divisore si
incideva una riga con una punta guidata da un apposito supporto sulla parte
dell’asse di diametro maggiore dal quale ricavare il pignone vero e proprio.
Successivamente il disco veniva ruotato di una posizione e veniva incisa
una seconda riga proseguendo poi allo stesso modo fino al completamento
delle divisioni.
Per ottenere quindi un pignone a sei denti si doveva disporre quantomeno
di un disco ripartito in dodici parti in quanto una riga identificava il vertice
del dente e l’altra il centro del vuoto fra un dente e l’altro.
Completata l’operazione il futuro pignone veniva preso in un morsetto a
mano e si provvedeva poi a creare i vuoti tra i denti tramite un seghetto o
una lima a fendere.
In quel periodo erano disponibili numerosi tipi di lime da impiegare

55
secondo lo stato di avanzamento del lavoro, probabilmente molte di più di
quanto non si disponga oggi.
Berthoud raccomandava di lasciare la riga che si era incisa sulla sommità
del dente sino all’ultima fase della lavorazione al fine di poter verificare che
la limatura rispettasse la divisione ed insisteva sulla necessità di effettuare
frequenti ed accurati controlli sull’uniformità di spessore dei denti.
Infine si provvedeva alla tempra e ad una accurata lucidatura della
superficie dei denti per ottenere una buona scorrevolezza del ruotismo.
La lucidatura veniva realizzata con stecchi di legno di faggio ai quali
veniva data all’incirca la stessa forma e dimensione del vuoto tra i denti e si
caricava il legno con una polvere abrasiva molto fine a base di ossido di
ferro, cere e oli.
Ovviamente come per le ruote anche per i pignoni vennero inventate
macchine che potessero facilitare il taglio delle ali con l’unica variante che,
invece di usare il tornio per tracciare, il lavoro veniva eseguito direttamente
su una sola macchina con lime guidate e non a mano libera.
Le ogive però dovevano comunque essere rifinite a mano dall’artigiano a
mezzo di apposite lime, finché non intervennero successivamente macchine
sempre più sofisticate dotate di lime speciali in grado di finire le ogive,
come abbiamo visto per l’arronditura delle ruote.
Anche per la lucidatura venne poi pensata una macchina che potesse
velocizzare le operazioni di finitura delle ali.

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La macchina era dotata di due contropunte fra le quali si alloggiava il
pignone che rimaneva libero di ruotare su se stesso.
Le contropunte erano montate a loro volta su di una slitta che veniva
mossa orizzontalmente con moto alterno da un manovellismo fissato
eccentricamente su una puleggia.
Quest’ultima era collegata tramite una cinghietta ad un’altra puleggia
coassiale ad un asse sul quale era montato un grande e sottile disco di legno
di quercia.
L’asse è sostenuto da un braccio che è incernierato alla base.
Mettendo in rotazione il disco con il solito sistema dell’archetto si faceva
lo stesso con la puleggia con il suo manovellismo, facendo muovere la slitta
e quindi il pignone longitudinalmente in senso alterno sotto al disco di legno
del diametro di una quindicina di centimetri che, oltre ad essere foggiato in
modo da toccare tutta la superficie dell’incavo del pignone, era caricato di
polvere abrasiva che svolgeva la funzione di lucidatura.
Nei primi modelli ogni volta che si ultimava la lucidatura di un dente si
doveva ruotare il pignone nella posizione successiva per poi ripetere tutta
l’operazione, ma ben presto, grazie ad un semplice artifizio, venne evitato
l’intervento manuale.
In pratica il disco veniva tagliato lungo il suo raggio e all’interno
dell’intaglio si inseriva un piccolo cuneo che, grazie anche all’elasticità del
legno, faceva sì che si creasse un disallineamento fra le due parti del disco
conferendogli quindi un profilo elicoidale.
Questo faceva ingranare con il pignone ad ogni giro del disco facendolo
ruotare senza il bisogno di intervenire manualmente.
Dopo questa panoramica sulle antiche tecniche di realizzazione delle
ruote e dei pignoni, possiamo cominciare ad analizzare quali sono i
parametri fondamentali che definiscono le ruote dentate e con quali logiche
di funzionamento queste si legano per trasmettere il moto e quindi l’energia
necessaria al funzionamento dello scappamento e dell’organo regolatore ad
esso connesso.

3. Le ruote dentate

57
Il compito principale che deve svolgere l’insieme di ruote di un orologio si
può riassumere in:
• Trasmettere l’energia dal bariletto allo scappamento
• Contare il numero delle oscillazioni dell’organo regolatore (pendolo o
bilanciere) e indicarle tramite le sfere poste davanti al quadrante
dell’orologio

La seconda funzione può avvenire in modo corretto solo se il numero di giri


delle ruote che portano le lancette è stato calcolato in modo rigoroso, ovvero
che il numero di denti delle ruote implicate non sia stato scelto
arbitrariamente.
Per quanto riguarda invece la prima funzione delle ruote che consiste nel
trasmettere l’energia, questa può essere eseguita correttamente solo se
vengono rispettate determinate condizioni che vedremo più avanti.
Le due funzioni delle ruote, perché possano essere valide, dovranno
essere eseguite simultaneamente.

4. Trasmissione del moto rotatorio fra due ruote

58
Per trasmettere il moto rotatorio da un albero all’altro, adottiamo un sistema
molto semplice composto da due ruote dentate, che andremo a semplificare
immaginandole senza denatura, ma i cui perimetri siano perfettamente
adiacenti e pressati fra loro a tal punto che il moto si trasmetta da una ruota
all’atra.

Supponiamo che il trascinamento avvenga senza slittamenti e che il punto A


sia il punto di contatto.
Ora immaginiamo che durante la rotazione della ruota O1 il punto A si
sposti in B e allo stesso tempo sulla ruota O2 si sposti da A a C.
La ruota O1 ruota di una angolo α radianti, mentre la ruota O2 ruota di un
angolo β radianti e poiché il movimento avviene senza slittamenti avremo

arc AB = arc AC

r1 α = r2 β

dove r1 e r2 rappresentano il raggio delle due ruote

59
se gli angoli α e β fossero descritti in un secondo, potremmo definire le
velocità angolari ω delle due ruote così

Possiamo quindi dire che le velocità angolari di due ruote che si muovono
per frizione senza slittamento sono inversamente proporzionali ai raggi
delle loro rispettive ruote.
La trasmissione del moto può avvenire anche attraverso due carrucole
condotte da una cinghia sempre ipotizzando che non vi siano slittamenti.

I punti A e A’ non sono più in contatto fra loro ma sono collegati dalla
porzione A’A della cinghia.
Facendo ruotare le due pulegge, trascorso un certo tempo, il punto A
arriva a trovarsi nel punto B, mentre il punto A’ si troverà in C, quindi
avremo

arc AB = arc A’C

r1 α = r2 β

60
di conseguenza

La velocità angolare, in genere viene espressa in giri al minuto (rpm) per cui
avremo

quindi

Possiamo quindi dire che il numero di giri di due ruote che si muovono
trascinate da una cinghia (ma anche senza) in assenza di slittamento sono
inversamente proporzionali ai raggi delle loro rispettive ruote.
Definite le relazioni fondamentali della trasmissione del moto fra due
ruote senza denti, passiamo all’analisi dei parametri che legano i principi
della trasmissione del moto alle ruote dentate.

5. Il diametro primitivo e il passo di una ruota dentata


Nei pendoli e negli orologi il rapporto di trasmissione deve essere
estremamente preciso se vogliamo che le sfere indichino l’ora giusta.
Per questa ragione la trasmissione del moto con ruote che lavorano per
frizione non è contemplabile per via degli inevitabili slittamenti che si
potrebbero verificare durante il funzionamento.
Per evitare quindi che le due ruote possano slittare si è pensato di dotare i

61
loro perimetri di una dentatura tale che i denti possano intersecarsi fra loro
trasmettendo così la coppia motrice.

Le circonferenze ab e cd sono dette circonferenze primitive e sono tangenti


fra loro nel punto di contatto dei denti.
Da non confondere il diametro primitivo con il diametro esterno dei
denti poiché sono due parametri ben distinti, inoltre è possibile misurare il
diametro esterno con calibri o micrometri, mentre il diametro primitivo può
essere stabilito solo con il calcolo.
La distanza misurata sulla circonferenza primitiva fra due punti omologhi
di due denti consecutivi è detta passo circonferenziale o più semplicemente
passo dei denti della ruota.
Due ruote che ingranano una con l’altra, per poter girare, dovranno avere
lo stesso passo p.

62
P = arc AB = arc CD = arc AH

Essendo r1 e r2 i raggi primitivi delle due ruote dove il numero di denti è Z1


e Z2, per la prima ruota possiamo scrivere

2π r1 = p Z1

Per la seconda ruota

Possiamo dire quindi che i raggi delle due circonferenze primitive delle due
ruote ingrananti fra loro sono direttamente proporzionali ai rispettivi
numeri di denti.
In un orologio il bilanciere ha un movimento molto rapido, mentre il
bariletto ruota molto più lentamente, questo significa che il numero di giri
dal bariletto attraverso le ruote fino allo scappamento dovrà aumentare
rapidamente, ovvero che il rapporto dovrà essere grande.
Per ottenere un grande rapporto di trasmissione dovremo quindi avere la
ruota conduttrice con diametro maggiore della ruota condotta.
Le ruote con un numero ridotto di denti prendono il nome di pignoni e
sono spesso utilizzate negli orologi per sopperire a questa necessità.

63
6. Calcolo dei rapporti di trasmissione caratteristici di
pendoli e orologi
Negli orologi e nei pendoli troviamo alcuni accoppiamenti di ruote che
sono, e devono essere, vincolati da precisi rapporti di trasmissione, come ad
esempio le ruote della minuteria che portano poi le sfere dei minuti e delle
ore o quella del treno di trasmissione che porta la sfera dei secondi.
In questi casi il rapporto di trasmissione è imposto, la sfera dei minuti
deve fare un giro in un’ora, ovvero 1/60 di giro per minuto, mentre quella
dei secondi dovrà compiere un giro al minuto.
Le ruote di un movimento non hanno una rotazione uniforme, ma ruotano
di un certo angolo per poi fermarsi bruscamente e questo varia da ruota a
ruota; un istante dopo ripartono compiendo una rotazione di una certa
ampiezza per poi rifermarsi.
Nelle varie parti del movimento questa rotazione è pari alla durata
dell’alternanza. Il tempo che trascorre fra una partenza e l’altra comprende
sia il tempo di rotazione che quello di riposo, il primo è molto più corto del
secondo.
Malgrado il movimento incostante le ruote hanno comunque una
rotazione angolare costante se le guardiamo in un periodo più lungo della
durata di una alternanza, perciò possiamo dire che il numero di giri al
minuto di una ruota dentata (facente parte di un movimento di un orologio o
pendolo) è costante.
Combinando quindi le formule viste prima, troviamo una nuova relazione
che ci tornerà utile per il calcolo del numero di denti delle ruote

Possiamo quindi dire che il numero di giri al minuto delle due ruote
ingrananti fra loro è inversamente proporzionale ai rispettivi numeri di
denti.

7. Calcolo del numero dei denti del bariletto e del

64
pignone dei minuti
I costruttori di orologi tendono ad adottare molle di carica con il numero
maggiore possibile di spire così da riuscire ad assicurare un momento
elastico il più possibile costante e una marcia che possa garantire almeno 30
ore di riserva di carica.
Un dato di progetto è la scelta della velocità angolare da assegnare al
bariletto, ovvero per esempio, il numero di giri che dovrà compiere nelle 24
ore.
Per un orologio si voglia ottenere una durata della carica di 32 ore
imponendo al bariletto di compiere 3 giri nelle 24 ore.
Siano n1 e n2 il numero di giri compiuti dal bariletto e dal pignone dei
minuti nelle 24 ore.

n1 = 3 n2 = 24

imponendo Z1 e Z2 come il numero di denti del bariletto e del pignone dei


minuti, avremo

Z1 = 8 Z2

Questa equazione con due incognite ammette una infinita possibilità di


combinazioni intere e positive.
Ma in un orologio il numero di denti può variare entro un numero
piuttosto ristretto, imposto dallo spazio disponibile e dalla necessità di
ottenere denti con sezioni resistenti sufficienti a trasmettere i momenti
necessari.
Il numero di ali dei pignoni raramente va oltre le 12 ali e sotto le 6 ali,
mentre per le ruote i denti raramente superano i 120.
Si suggerisce di evitare l’utilizzo di pignoni con un numero di ali
inferiori a 8 in quanto risultano poco idonei alla trasmissione uniforme della

65
forza.

8. Rapporto fra le velocità angolari in un treno di ruote


dentate
Per realizzare un grande rapporto di trasmissione fra due ruote si deve
aumentare il numero di denti della ruota motrice e diminuire quanto più
possibile quelli del pignone condotto.
Talvolta però si arriva ad avere una ruota di dimensioni troppo grandi e
un pignone di dimensioni troppo piccole.
Per ovviare a questo inconveniente si può inserire una serie di nuovi
alberi ciascuno dotato di una nuova ruota e un nuovo pignone, ottenendo
così un treno di ingranaggi.

Il numero di denti delle ruote nel nostro caso è Z1, Z3, Z5.
Il numero delle ali dei pignoni Z2, Z4, Z6.
Il numero di giri degli assi O1, O2, O3, O4, sarà rispettivamente n1, n2,
n3, n4.

66
Abbiamo quindi una serie di coppie di ruote - pignoni che ingranano fra
loro, ovvero (Z1 − Z2), (Z3 − Z4), (Z5 − Z6) : la relazione che li lega è

da cui

Possiamo dire quindi che il numero di giri al minuto o in un qualsiasi altro


intervallo di tempo, del primo e dell’ultimo albero di un treno di ingranaggi
è uguale al rapporto fra il prodotto del numero delle ali dei pignoni e il
prodotto del numero di denti delle ruote.

9. Ingranaggio bariletto - pignone dei minuti negli


orologi con carica 8 giorni
Negli orologi denominati 8 giorni, ovvero destinati ad essere ricaricati una
sola volta alla settimana, la molla di carica dovrà essere molto lunga, il
bariletto dovrà ingranare direttamente con il pignone dei minuti e il suo
sviluppo raggiungerà i 14 giri.
Obbligando il bariletto a compiere 4 giri in 8 giorni, ovvero in 192 ore,
significherebbe fare un giro in 48 ore, mentre il pignone dei minuti farà un
giro in 1 ora. Il rapporto di trasmissione rispetto al numero di giri in un
tempo determinato sarà 1 : 48.
Il rapporto del numero di denti del bariletto rispetto al pignone dei minuti
sarà 48 : 1.
Proviamo a prendere un pignone con 6 ali: farà un giro ogni

6 * 48 = 288 denti

67
Questo numero di denti è troppo grande per le ruote utilizzate in orologeria,
quindi per ottenere un numero di denti accettabile inseriamo un albero fra il
bariletto e il pignone dei minuti ottenendo così un treno composto da tre
alberi O1, O2, O3.

n3 = 1 giro /ora

Z1 Z3 = 48 Z2 Z4

I numeri Z2 e Z4 sono piccoli, ma nulla ci impedisce di sceglierli e ottenere

68
il numero di denti del bariletto e delle ruote intermedie.
Per questo è abbastanza trovare due numeri il cui prodotto sia uguale a Z1
Z3.
Teoricamente, questo problema ha una serie infinita di soluzioni, in
pratica possiamo solo pensare a numeri interi e positivi fra limiti abbastanza
vicini.
Dobbiamo trovare i numeri più adatti a scomporre il prodotto in fattori
primi. Supponiamo che Z2 = 14 e Z4 = 12

Z1 Z3 = 48 * 14 * 12 = (24 * 3* 2) *(7 * 22 * 3) = 27 * 32 * 7

da cui le soluzioni accettabili

Z1 = 25 * 3 = 96 Z3 = 7 * 22 * 3 = 84

oppure

Z1 = 24 * 7= 112 Z3 = 23 * 32 = 72

le altre soluzioni

Z1=126 Z3=64

Z1=128 Z3=63

se accettiamo la prima soluzione il treno delle ruote sarà caratterizzato dal


seguente numero di denti

Z1 = 96 Z2 = 14 Z3 = 84 Z4 = 12

possiamo ora calcolare il numero di giri della ruota intermedia con la


formula

69
avendo, giri /ora

ovvero che la ruota intermedia fa un giro in 7 ore.

10. Ingranaggio della ruota motrice (bariletto) con il


pignone dei minuti in un orologio con forza motrice a
peso
Nel caso di un orologio con forza motrice data da un peso collegato ad una
fune che insiste su un tamburo, lo spazio disponibile per la discesa del peso
determina il numero di giri che il tamburo può compiere entro due giri di
carica consecutivi.
In effetti se n è il numero di giri del tamburo di raggio r, il peso compirà
una discesa di una altezza h uguale a

h = 2πrn

Se l’orologio deve marciare per α ore entro due giri di carica consecutivi il
pignone dei minuti dovrà compiere α giri per n giri del tamburo.
Il rapporto è generalmente piccolo, negli orologi a carica manuale il
numero di ore di marcia è più o meno uguale a 33*24 = 792.
Supponendo di avere uno spazio disponibile di

h = 1000 mm r = 15 mm

70
avremo

il rapporto di trasmissione sarà

il tamburo fa un giro in 75 ore.


In pratica abbiamo un rapporto di 1 : 75 che è il rapporto di trasmissione
fra la ruota motrice (bariletto) e il pignone dei minuti.
In questo caso siamo quindi obbligati ad inserire un terzo albero con una
nuova coppia di ruote come nel caso dell’orologio 8 giorni:

Z1 Z3 = 75 Z2 Z4

di cui

Z2= 14 Z4= 12

Z1 Z3 = 75 * 14 * 12 = 23 * 32 * 52 * 7

avremo le soluzioni

Z1 =126 Z3 =100

Z1 =120 Z3 =105

71
Per effettuare il calcolo abbiamo semplificato il rapporto 10.6 : 792 e
l’abbiamo rimpiazzato con 1 : 75.
Tale approssimazione non ha alcuna influenza sul numero di giri del
pignone e di conseguenza sulla sfera dei minuti, in quanto questo dipende
dal periodo dell’organo regolatore o dalle ruote che collegano la ruota dei
minuti allo scappamento.
L’errore che si commette utilizzando il rapporto 1 : 75 è legato alla
durata della marcia dell’orologio.
Dal momento che il tamburo compie un giro in 75 ore, il peso compirà
una discesa pari a

75 * 10,6 = 795 ore

La durata della marcia dell’orologio non sarà più quindi di 33 giorni, ma di


33 giorni e 3 ore.

11. Calcolo del rotismo contatore delle ore e dei minuti


A partire dal pignone dei minuti il rotismo è già nelle condizioni di contare
le oscillazioni dell’organo regolatore ed indicarne il numero attraverso la
sfera dei minuti posta davanti al quadrante.
Le sfere, per garantire una completa indicazione dell’ora, devono però
essere tre: per le ore, per i minuti e per i secondi; le ultime due sono fissate
ad un albero del rotismo contatore.
Il rapporto di trasmissione dei due alberi che portano la sfera dei minuti e
quella dei secondi è di 1: 60 in quanto la sfera dei minuti compie un giro in
un’ora, di conseguenza quella dei secondi ne compie 60.
Questo rapporto di trasmissione non può essere realizzato con una sola
ruota che ingrana con un pignone, ma bisogna utilizzare un treno di ruote
comprendente la ruota dei minuti che ingrana con un pignone posto su un
asse intermedio con una ruota solidale che ingrana con il pignone dei
secondi.
Il pignone intermedio prende il nome di pignone mediano e la ruota
prende il nome di ruota media.

72
Z1 e Z3 sono il numero dei denti delle ruote e Z2 e Z4 quello dei pignoni; n1,
n2, n3 il numero di giri degli alberi O1, O2, O3.
Se per esempio compiono un giro in un minuto avremo

Z1 Z3 = 60 Z2 Z4

Supponendo che i due pignoni abbiano entrambi 10 ali otteniamo

Z1 Z 3 = 60 * 10 * 10 = 24 * 3 * 53

73
questa equazione può essere soddisfatta con

Z1 =80 Z3 =75

Il treno si compone quindi di una ruota con 80 denti e pignone da 10 ali e


una ruota da 75 denti e pignone da 10 ali.

12. Le ruote della minuteria

La minuteria è il meccanismo che permette il corretto movimento della sfera


delle ore.
Negli orologi tradizionali la ruota dei minuti è la prima ruota detta anche
ruota centro.

74
Su questa è calettato in modo che possa ruotare con una certa frizione grazie
alla lanternatura, il pignone calzante o chaussèe.

Il pignone calzante ingrana con una ruota libera di girare su un perno posto
sulla platina detta ruota della minuteria o di rinvio sulla quale è posto in
modo solidale ad essa il pignone della minuteria che ingrana a sua volta con
la ruota delle ore che è calettata in modo coassiale sul pignone calzante e
libera di ruotare.

75
Sul pignone calzante è calettata la sfera dei minuti, mentre sulla ruota ore
la sfera della ore.
In pratica abbiamo un treno composto da tre alberi ma con la particolarità
che l’albero della prima ruota è coassiale e coincidente con il terzo albero.
Per calcolare questo treno di ingranaggi possiamo utilizzare la seguente
formula

dove n1è il numero di giri che compie il pignone calzante in un’ora e quindi
n1= 1. Mentre n3 è il numero di giri che compie la ruota ore in un’ora

Z1 è il numero di ali del pignone calzante


Z2 è il numero di denti della ruota minuteria
Z3 è il numero di ali del pignone della minuteria
Z4 è il numero di denti della ruota ore.
Per cui avremo

Per poter risolvere l’equazione possiamo scegliere arbitrariamente Z1 e Z3.


Questa equazione però ammette molteplici soluzioni per Z2 e Z4.
Per ovviare a questo problema, la commissione di normalizzazione La
Chambre Suisse de L’horlogerie ha pubblicato nel 1927 la norma NHS 56
610 dove stabilisce e raccomanda alcuni accoppiamenti divisi in gruppi.

76
Per un orologio con il quadrante diviso in 24 ore l’equazione diventa

Z1 =14 Z2 =56 Z3 =10 Z4 =60

13. Il treno di rinvio


In alcuni orologi, per trasmettere il moto invertendo il senso di rotazione si
usa un treno con alberi che portano solo una ruota e che prende il nome di
treno di rinvio.

77
Consideriamo il caso in cui vi siano quattro ruote montate sui relativi alberi
O1, O2, O3, O4, i cui denti saranno Z1, Z2, Z3, Z4, e il numero di giri n1, n2,
n3, n4.

In questo modo è come se la prima ruota ingranasse direttamente con


l’ultima, perciò: le ruote intermedie non modificano il rapporto di
trasmissione.
Se il numero di ruote è pari, la prima ruota e l’ultima gireranno in senso
opposto, se invece è dispari avranno il medesimo senso di rotazione.

14. Rotismo di messa all’ora


La rimessa all’ora di un orologio la si esegue agendo sull’albero di carica
che, collegato al pignone scorrevole, agisce su un treno di rinvio che porta al
rocchetto calzante.

78
Avremo quindi

La formula ci permette di trovare il numero di denti del pignone scorrevole


e del rocchetto calzante.
La determinazione del numero di denti del rinvio e del pignone
scorrevole viene eseguita seguendo le necessità di ingombro e di solidità.
Tutte le ruote del treno dovranno avere lo stesso passo per funzionare in
modo corretto.

15. Rotismo di carica


La carica di un orologio si esegue ruotando la corona che, essendo collegata
al pignone scorrevole a sua volta solidale con la ruota ad angolo, trasmette il
moto alla ruota di carica posta sull’asse del bariletto.
Ci possono essere alcuni casi in cui la ruota ad angolo è integrata con la
ruota di carica.

79
Z1 è il numero di ali del pignone scorrevole
Z2 è il numero di denti della ruota a corona
Z3 è il numero di denti della ruota di rimando
Z4 è il numero di denti della ruota di carica.

Avremo quindi

La formula ci permette di determinare il numero di giri che dovrà compiere


l’albero di carica perché la ruota di carica compia un giro completo, ovvero
per caricare la molla di 2 π Rad.

16. Il treno della suoneria


Gli orologi con forza motrice a peso o con carica a molla possono essere
dotati di un treno supplementare dedicato alla suoneria: in genere sono
orologi con una durata della carica di circa otto giorni.

80
Il treno ha un funzionamento intermittente in quanto si attiva solo al
momento dei rintocchi delle ore e, se previste, delle mezz’ore.
Il calcolo delle ruote è il medesimo di quello visto per il treno del tempo.

Alcune ruote del treno della suoneria hanno a caratteristiche particolari e


sono composte da un bariletto collegato alla ruota A contenente la molla di
carica della suoneria, un pignone a e una ruota intermedia B, detta anche
ruota otto giorni, un pignone b e una ruota a caviglie C, un pignone c e una
ruota d’arresto D, un pignone d e una ruota di ritardo o ruota della ventola E
ed un pignone della ventola e.
Il pignone della ventola porta solidale la ventola V che svolge una
funzione frenante per fare in modo che i rintocchi non siano troppo vicini e
veloci.
La ruota a caviglie è dotata di un certo numero di pioli che muovono la
leva del martello della suoneria che agisce a sua volta su una campana.
La ruota d’arresto D è dotata di un piolo che blocca la ruota d’arresto
quando incontra la leva mobile e svolge la funzione di preparazione della
suoneria.
Ogni 12 ore l’orologio batterà 150 colpi di cui 78 per le ore e 72 per le
mezze.
Se la ruota a caviglie ha 10 caviglie, in 12 ore la ruota C farà 15 giri.
Scegliamo il numero di giri della ventola V imponendo un numero di giri
pari a n per ogni colpo della suoneria.

81
Il numero di giri n dovrà essere sufficientemente grande in modo che i
colpi si possano distinguere bene, siano forti e ben separati l’uno dall’altro.
Prendiamo n = 72
La ventola V e il suo pignone faranno 720 giri mentre la ruota a caviglie
ne farà 1. Per fare in modo che la copiglia della ruota di ritardo si trovi
sempre nella stessa posizione rispetto alla leva di arresto, la ruota dovrà fare
sempre un numero di giri intero per ogni colpo.
Calcoliamo quindi il rotismo fra la ventola e la ruota a caviglie C
sapendo che il rapporto di trasmissione angolare di e e di C è uguale a 720

scegliamo il numero di denti dei pignoni

Z6 = Z8 = Z10 =7

otteniamo

Z5 Z7 Z9 = 720 * 7 * 7 * 7 = 24 * 32 * 5 * 73

e quindi il numero di denti delle ruote potrebbe essere

Z5 =70 Z7 =63 Z9 =56

Ad ogni colpo la ventola fa 72 giri e la ruota di ritardo

Per calcolare le ruote A e C ammettiamo che il bariletto faccia 5 giri in 8


ore.
Quindi nello stesso tempo il pignone e la ruota a caviglie ne faranno

82
240 = 8 * 15 * 2

Ammettendo

Z2 =12 e Z4 =10

Z1 Z3 =48 * 12 * 10

Z1 =80 e Z3 =72

che sono un numero di denti accettabile.


Un altro sistema usato per definire il numero di rintocchi della suoneria è
quello che fa uso della ruota partitoria.

La leva mobile termina con un tastatore che agisce sulla ruota determinando
così i rintocchi con un periodo di 12 ore: la ruota compie quindi un giro in
12 ore.
Essendo la ruota partitoria solidale con la ruota intermedia e sapendo che

83
il bariletto compie 5 giri in 8 ore o 5/16 di giro in 12 ore, il rapporto di
trasmissione del bariletto e della ruota partitoria è 5/16.

Questo rapporto si può realizzare con un bariletto da 64 denti che ingrana


con un pignone di 20 denti.

84
Capitolo III
Parametri di funzionamento delle ruote
dentate

Le ruote dentate sono caratterizzate da parametri ben precisi e strettamente


correlati fra loro.
Nei capitoli precedenti abbiamo definito il diametro primitivo e il passo.
Il passo è dato dal quoziente della lunghezza della circonferenza
primitiva per il numero di denti della ruota, quindi possiamo definire il
passo angolare come

85
È inoltre comodo poter correlare il diametro primitivo d di una ruota con il
suo numero di denti; questo parametro prende il nome di modulo e si indica
con il simbolo m.

Come il passo, anche il modulo è una lunghezza.


Conoscendo il modulo e il numero di denti di una ruota è possibile
calcolarne il passo, il diametro primitivo e il passo angolare.
Poiché due ruote con il medesimo passo ingranano fra loro, queste
avranno di conseguenza anche il medesimo modulo.
Possiamo quindi dire che: il numero di denti e il modulo sono i parametri
caratteristici di una ruota dentata.
Sia il numero di denti di due ruote Z1, Z2 e il loro raggi primitivi r1, r2,
con modulo m, avremo

Per un ingranamento esterno la distanza fra i due centri c dei due assi

86
Per un ingranamento interno la distanza fra i due centri c dei due assi

1. La trasmissione dell’energia
Consideriamo due ruote dentate di modulo m, con i loro centri di rotazione
O1, O2, denti Z1, Z2, e raggi primitivi r1, r2.

La ruota O1, ingranando con il pignone O2, trasmette la coppia attraverso il


contatto del dente D con l’ala d del pignone e come punto di applicazione
cadrà nel punto A che è poi il punto di contatto fra i denti, nonché il punto di
tangenza delle due circonferenze primitive.

87
La pressione P esercitata sull’ala del pignone d è perpendicolare a O1, O2
ed è applicata nel punto A.
Il valore del suo momento rispetto all’asse O2 è P r2, mentre per
l’equilibrio delle forze la reazione P1 sul dente d è uguale e contraria a P.
Supponiamo che la ruota O1 sia messa in rotazione da un peso M1
collegato ad un asse di raggio ra = 1 mm.
La rotazione della ruota O1 è impedita dalla reazione P1 dell’ala del
pignone d dovuta ad un peso M2 collegato all’asse del pignone di raggio ra
= 1 mm.
I valori di M1 e M2 sono quelli dei momenti riferiti agli assi O1, O2.
Possiamo quindi dire che: una ruota è in equilibrio se la somma dei
momenti delle forze riferite ai centri di rotazione è nulla.
L’equazione di equilibrio per O1 è quindi

M1 − P1 r1 = 0

Per O2

M2 − P r2 = 0

Poiché P = P1 avremo

M1 è il momento della forza motrice, M2 è il momento della forza


trasmessa.
Quando il contatto dei denti si trova sulla linea dei centri delle due
ruote, il sistema è in equilibrio quando il momento motore sta al momento
trasmesso, come il raggio primitivo della ruota conduttrice sta al raggio

88
primitivo della ruota condotta.
Una ruota sulla quale la somma dei momenti delle forze agenti è uguale a
zero è in equilibrio statico o dinamico.
Perché la rotazione venga trasmessa uniformemente da una ruota all’altra
la condizione di equilibrio deve essere rispettata.

2. Contatto fuori dalla linea dei centri


Supponiamo che il contatto dei denti avvenga nel punto B anziché nel punto
A. La pressione normale P del dente della ruota su quello del pignone è
perpendicolare a O2 B.

Le condizioni di equilibrio delle due ruote sono

M1 − P1 O1 C = 0 M2 − P O2 B = 0

Poiché P = P1 avremo

89
Quando il contatto ha luogo sulla linea dei centri abbiamo

Per cui, per far sì che la trasmissione dell’energia possa avvenire nelle stesse
condizioni

Questa equazione è esatta quando la linea comune in B dei due profili passa
per il punto A.
Abbiamo fin qui supposto che ad agire sulle ruote vi siano solo le due
forze M1 e M2, ma in realtà ci sono altre resistenze che non è possibile
eliminare, come l’attrito di strisciamento fra le due superfici dei denti
l’attrito dei perni nei cuscinetti che tendono a modificare la condizione di
equilibrio.
Possiamo però dire che: considerando trascurabili le resistenze come gli
attriti, due ruote dentate sono in grado di trasmettere l’energia in modo
uniforme, se in qualsiasi momento la normale comune alle due superfici di
contatto dei denti passa per il punto di tangenza delle circonferenze
primitive delle due ruote.

3. Trasmissione della velocità angolare


Chiamiamo ω1 e ω2 le velocità angolari delle due ruote al momento del
contatto dei denti sulla linea dei centri e consideriamo come istante un

90
infinitesimo di tempo durante il quale una ruota trascina l’altra.
Possiamo dire che per questo tempo il punto di contatto fra i denti non
cambia e descrive un arco infinitamente piccolo dS1 della circonferenza
primitiva della ruota e il pignone un arco infinitamente piccolo dS2 della
propria circonferenza primitiva.
Avremo quindi

dS1 = ω1 r1 dt dS2 = ω2 r2 dt

Poiché dS1 = dS2 avremo

ω1 r1 = ω2 r2

in questo caso le velocità angolari sono inversamente proporzionali ai raggi


primitivi e ai denti.
Se il contatto avviene in B possiamo considerare che il movimento
infinitesimo di durata dt avvenga lungo la normale in B

dS1 = ω1 O1 C dt dS2 = ω2 O2 B dt

Se la normale passa per il punto A

e quindi

91
Quando il punto di contatto passa da A a B il rapporto delle velocità angolari
non cambia.

4. Le normative di fabbricazione di ruote e pignoni


Come abbiamo visto, nel passato le ruote dentate venivano realizzate
secondo canoni che non prevedevano delle normative precise e questo
portava al problema dell’intercambiabilità delle ruote fra artigiani differenti.
La normalizzazione Horlogère Suisse ha contribuito a mettere ordine fra
i fabbricanti di ruote dentate.
Per ridurre il numero eccessivo di ruote e pignoni ha stabilito una serie di
49 moduli (foglio NHS 56 701) che partono da 0,08 fino a 0,50 e che
comprendono tutti i casi che possono presentarsi nella fabbricazione
orologiera corrente.
La commissione svizzera di normalizzazione raccomanda la
realizzazione dei profili delle ruote secondo il foglio NHS 56 702, in cui
viene seguito il profilo epicicloidale che risulta soddisfacente per la
trasmissione dell’energia.
Il foglio 56 702 riporta i valori del fattore f della formula

D = m (Z + f)

per le dentature epicicloidali teoriche il fattore è

fc = 0.95f

applicabile a ruote con profilo dei denti corretto con profilo ad arco di
circonferenza, e la formula è quindi

D = m (Z + fc)

92
I fattori f e fc dipendono dal numero di denti della ruota e del pignone e dal
rapporto di ingranaggio, i tre valori menzionati sono indicati per pignoni da
6 a 16 ali e rapporto di ingranaggio 5, 6, 7, 8 e 10.
Il foglio NHS 56 703 indica le caratteristiche dei profili delle ali dei
pignoni, profilo A (semi circolare), profilo B (ogiva ridotta normalizzata),
profilo C (ogiva normalizzata).

5. La riduzione dei giochi di ingranamento


Il treno di ingranaggi di un orologio o di un pendolo è composto da ruote
dentate che ruotano sempre nel medesimo senso di rotazione senza
inversioni.
Vi sono però delle eccezioni, come ad esempio il rotismo della minuteria
e della messa all’ora che devono avere la possibilità di ruotare anche in
senso anti orario per favorire la rimessa all’ora.
In questi casi per garantire una corretta trasmissione della forza e non
incorrere in punti morti dovuti ad eventuali giochi fra i denti, le ruote
dovranno rispettare delle tolleranze ben precise e molto più rigorose che nel
caso delle altre ruote. Per questa ragione il gioco sarà

dove m è il modulo della ruota o del pignone.


Il gioco è ripartito su entrambe le ruote dove i denti sono della stessa
larghezza l

93
P = ζ + 2l

6. I difetti di ingranamento o di posizione relativa dei


centri
I problemi che possono portare ad un difetto di ingranamento in orologeria
sono riconducibili al profilo dei denti, alla dimensione delle ruote, alla
distanza fra i centri, al gioco dei perni nelle loro sedi.
In genere però i maggiori problemi derivano da una perdita di coppia e
dalla caduta.
La perdita di coppia si ha quando il momento di forza trasmessa dalla
ruota al pignone è più debole del dovuto.

Il valore normale del momento M2 vale

94
da cui se si ha la perdita di coppia

La caduta al contrario si ha quando


La variazione di coppia si ha a causa di un contatto che avviene fuori
dalla linea dei centri.
La normale al punto di contatto taglia la linea dei centri all’interno della
circonferenza primitiva del pignone.
Il rapporto dei momenti M1 e M2 è quindi

essendo abbiamo

La perdita di coppia è essenzialmente dovuta a:


• profili dei denti non corretti o in particolare troppo corti;
• a causa di un ingranamento debole dove la distanza dei centri è maggiore
della somma dei raggi primitivi delle due ruote;
• a causa di un pignone troppo grande o una ruota troppo piccola.

Se la normale comune alle due superfici di contatto passa molto vicino a O2

95
o addirittura lo attraversa, il momento M2 sarà molto piccolo o nullo.
L’energia trasmessa in questo caso sarà molto debole e il rotismo non
potrà più funzionare con conseguente blocco dell’orologio.
La caduta si produce quando il momento della forza trasmessa ha un
valore maggiore di quello normale.
Si è dato il nome di caduta a questo difetto perché il momento dato dalla
ruota prende un movimento accelerato tale da far cadere il dente successivo
sull’ala del pignone.
Questo fenomeno è dovuto ad un contatto non corretto fra i due denti,
che avviene al di fuori della circonferenza primitiva del pignone.
La linea normale comune ai due profili nel punto di contatto C, taglia la
linea dei centri un punto D situato all’interno della circonferenza primitiva
della ruota.
Avremo quindi

La caduta è essenzialmente dovuta:


• ai profili non corretti e in particolare ai denti delle ruote troppo lunghi;
• a un ingranamento troppo forte, dove la distanza dei centri è più piccola
della somma dei raggi primitivi delle due ruote;
• ad un pignone troppo piccolo e una ruota troppo grande.

In pratica la perdita di coppia e la caduta sono difetti contrari e talvolta il


loro valore è tale da farli compensare reciprocamente.
Molti difetti però non sono facilmente identificabili, ad esempio una
ruota può avere un diametro primitivo errato e un diametro esterno corretto:
quest’ultimo lo si può misurare, mentre per il diametro primitivo non è
possibile.

96
Un metodo di verifica è dato dal lettore di profili con il quale è possibile
rilevare eventuali discordanze.
Anche l’ampiezza di oscillazione di un bilanciere potrebbe rivelarci
eventuali difetti di questo tipo, la curva dell’amplitudine non deve avere né
un massimo, né un minimo troppo accentuato.
Un massimo corrisponde ad una eccessiva ampiezza del bilanciere e
questo ci porta a pensare che in un determinato istante la coppia trasmessa è
troppo grande, ovvero che siamo in presenza di una caduta.
Al contrario un minimo troppo marcato ci porta nel caso della perdita di
coppia.

7. Il dimensionamento di una ruota dentata


Nei capitoli precedenti abbiamo visto quali sono i parametri corretti per il
disegno delle ruote e dei pignoni e quali sono le leggi che ne regolano la
trasmissione delle forze e i rapporti di trasmissione.
Ora dobbiamo affrontare la scelta della ruota e del pignone più opportuno
da adottare in casi dove sia nota la forza in gioco e quindi dimensionare la
ruota o il pignone in funzione dei carichi reali.
Principalmente quando si opera su pendoli, ma talvolta anche quando si a
ha a che fare con l’orologeria da polso, può capitare di imbattersi in ruote
dentate danneggiate da eventi imprevisti che hanno portato alla lesione o
perdita di uno o più denti della loro corona dentata.

97
Il problema si risolve spesso con la semplice sostituzione della ruota
compromessa, ma quando si lavora sull’orologeria antica non essendoci
ricambi si è costretti ad intervenire o con la ricostruzione integrale della
ruota oppure con un intervento di riparazione della stessa che preveda il
riporto della porzione di dentatura mancante.
Cominciamo col vedere come affrontare il lavoro in modo intelligente,
sicuro, e durevole nel tempo conferendo tutte le garanzie di durata alla ruota
dentata su cui andremo ad operare.
Partiamo quindi dalla base del dimensionamento di una ruota dentata e
quindi dalla sua principale funzione che è quella di trasmettere una
determinata potenza compiendo un definito numero di giri.

La potenza di trasmissione si esprime come

P = Mt ω

da cui la coppia trasmessa Mt

Mt = Fr

98
Come abbiamo visto il parametro fondamentale di una ruota dentata è il suo
modulo dal quale poi si risale a tutti dati dimensionali della ruota.
Per stabilire il modulo si parte dall’analisi degli sforzi applicati alla ruota
e in particolare per convenzione si prende in esame un singolo dente che si
considera come una trave incastrata ad un estremo di lunghezza h pari a
13/6 del modulo m con sezione resistente rettangolare di lato b e s.

Partendo quindi dalla relazione che lega il momento flettente alla geometria
del dente e alle caratteristiche fisiche del materiale con la quale è realizzata
la ruota, abbiamo

dove Wf è il modulo di resistenza a flessione e per una sezione rettangolare


vale

Dalla formula di progetto si ricava

99
e poiché

si ottiene

imponendo come condizione di progetto

e considerando che in genere si assume

e poiché

100
8. Taglio di una ruota dentata e di un pignone
Per tagliare una ruota dentata o un pignone, in genere si utilizza la fresatrice
dotata di un opportuno strumento in grado di dividere la circonferenza in
parti uguali e stabilite.
Le fresatrici come i torni possono essere di varie dimensioni e tipi, in
orologeria quello che serve è una macchina versatile e precisa.

Vi sono specifiche macchine, pensate e realizzate con precisioni


elevatissime per lavorazioni di micro meccanica e adottate universalmente
per l’orologeria.
Queste macchine sono di piccole dimensioni e dotate di molti accessori
fra cui pinze di precisione, morse di precisione, divisori universali per il

101
taglio delle ruote etc.
La fresatrice è quindi uno strumento che consente la realizzazione di
componenti di forma come platine, ponti, ruote dentate, pignoni, etc.

8.1. La Fresatura per asportazione di truciolo

La fresatura è una lavorazione per asportazione di materiale che consente di


ottenere una vasta gamma di superfici (piani, scanalature, spallamenti,
forature ecc.) mediante l’azione di un utensile tagliente a geometria definita.
Le caratteristiche più importanti della lavorazione per fresatura sono
l’elevata precisione e la buona finitura superficiale del prodotto finito; una
buona fresatrice può produrre pezzi con tolleranze inferiori al micron e una
superficie a specchio.
I principali parametri di lavoro della fresatura sono la velocità di taglio,
da cui si ricava la velocità di rotazione della fresa, e l’avanzamento del
pezzo.
Poiché la fresatura lavora per sottrazione, è necessario che questo possa
essere inscritto nel pezzo di partenza da cui verrà asportato il sovrametallo.
La lavorazione viene effettuata mediante utensili, detti frese.

102
La fresatura, a differenza di altre lavorazioni più semplici, richiede la
rotazione dell’utensile e la traslazione del pezzo: i taglienti della fresa,
ruotando, asportano metallo dal pezzo quando questo viene a trovarsi in
interferenza con la fresa a causa della traslazione del banco su cui il pezzo è
ancorato.
Il ciclo lavorativo prevede normalmente una prima fase di sgrossatura in
cui l’asportazione viene fatta nel modo più rapido e quindi più economico
possibile, lasciando un sufficiente sovrametallo per la successiva fase di
finitura in cui si asportano le ultime parti eccedenti per raggiungere le
dimensioni previste ottenendo una superficie più liscia.
La finitura, che consiste in una asportazione limitata di metallo, consente
di rispettare il progetto per quanto riguarda le tolleranze delle dimensioni e
il grado di rugosità delle superfici.

8.2. Le frese da taglio

La fresa è un utensile poli-tagliente che ha la forma di un solido di


rivoluzione i cui elementi taglienti, chiamati denti, sono disposti sulla
superficie laterale, oppure su questa e su una o entrambe le basi.
Le frese possono essere interamente costituite in acciaio legato tipo HSS
oppure possono avere i taglienti riportati al carburo di tungsteno.

103
Frese di uso comune. a-e: frese con foro, f-h: frese con codolo

Queste ultime sono ormai quelle più diffusamente impiegate in quanto


consentono una elevata produzione, conducono a superfici lavorate
ottimamente rifinite, tanto da eliminare in molti casi le successive
operazioni di rettifica, permettono di lavorare materiali ad elevata
resistenza.
Tranne alcuni casi particolari, quasi tutte le frese sono a denti elicoidali e
non diritti per conferire continuità di azione all’utensile.

8.3. Le frese di forma

In orologeria troviamo spesso componenti con profili particolari che sono


stati realizzati grazie a determinate frese di forma studiate e realizzate
esclusivamente per il taglio di quello specifico profilo.
In genere sono profili arrotondati o ad angolo come i denti delle ruote
scappamento, delle ruote cricco e particolari ruote dentate a denti
triangolari.

104
Di queste frese si possono trovare ancora repliche moderne rifatte da
produttori specializzati proprio per venire incontro alle necessità derivanti
dal restauro e quindi dalla necessità di ricostruire integralmente tali
componenti, mentre altre sono rimaste solo una lontana eredità del passato
come quella mostrata nell’immagine che segue che serve per il taglio della
ruota Caterina dei primi orologi da tasca a verga.

8.4. Le frese a modulo

Le frese a modulo sono forse fra le frese di forma più conosciute ed


utilizzate già a partire dalla fine del ’700 per la creazione delle ruote dentate
e sono caratterizzate da un tagliente foggiato in modo tale da restituire il
profilo desiderato delle dimensioni e quindi del modulo corretto (vedremo
più avanti cosa è e come si determina il modulo di una ruota).

105
L’utilizzo di queste specifiche frese è normalmente legato alle fresatrici che
ci permettono di poter operare sui tre assi cartesiani e che possono essere
dotate di opportuni sistemi di divisione detti appunto divisori.

8.5. I divisori universali, diretti, elettronici

I divisori si possono dividere in due categorie, quelli a divisione diretta e


quelli a divisione indiretta.
I divisori diretti sono semplicemente costituiti da una o più piastre forate
con passi variabili a seconda del modello o delle necessità; la divisione si
ottiene facendo ruotare il disco che sarà solidale con il pezzo da tagliare, con
passi pari al numero di fori della divisione voluta.

106
I divisori indiretti, detti anche divisori universali, sono quelli utilizzati
maggiormente nelle lavorazioni meccaniche e nella realizzazione di ruote
dentate di medie e grandi dimensioni e sono quindi generalmente poco
compatibili con l’orologeria, anche se esistono versioni di piccole
dimensioni che possono essere comunque utilizzati con buoni risultati.

I divisori indiretti sono costituiti da una coppia di ruote composta da una


vite senza fine e una ruota dentata elicoidale.

107
Il rapporto di riduzione standard è 1:40 e per ottenere frazioni angolari,
sull’asse della vite senza fine sono previsti dei dischi forati che servono a
creare spostamenti parziali secondo la formula generale

dove X è il numero di divisioni desiderate, n il numero di giri che dovremo


far fare alla manovella e f il numero di fori disponibili sui dischi del
divisore.
Dalla formula si evince che le divisioni ottenibili potranno essere solo
numeri interi in quanto il prodotto 40 f dovrà essere esattamente divisibile
per n.
Poiché il numero di fori presenti sui dischi del divisore sono in genere
limitati, ci troveremo di fronte a X divisioni che non potranno essere
eseguite se non con apparecchi più complessi che possano permettere la
divisione differenziale e questo rappresenta uno degli svantaggi di questo
sistema.
I divisori elettronici possono essere considerati come una evoluzione di
quelli meccanici dove il controllo degli spostamenti è gestito
elettronicamente.
La forza motrice è rappresentata da un motore capace di compiere
spostamenti angolari di piccola entità in modo preciso, questi motori
prendono il nome di motori passo-passo e servomotori.
I motori passo-passo sono una forma di motori brushless con un numero
di poli molto elevato, 100 poli o 50 coppie di poli e sono considerati un
semplice sistema di controllo del movimento a basso costo in cui un motore
a 100 poli può far ruotare il rotore in 200 posizioni definite dette passi.
Abbinati ad un semplice azionamento con ingresso step e direzione, i
motori passo-passo sono controllori di posizione semplici, ampiamente
utilizzati nei sistemi di controllo del movimento di fascia bassa.
I tradizionali sistemi di motori passo-passo funzionano in modalità “ad
anello aperto”, dove si presume che la rotazione dell’albero motore segua il
numero di passi forniti all’azionamento del motore.
Con l’aggiunta di un encoder (assoluto o incrementale) posto sul secondo
albero in uscita di un motore passo-passo, è possibile verificare la rotazione

108
dell’albero motore.
L’uso di un encoder con motore passo-passo si traduce in un sistema di
controllo dove le informazioni sulla posizione dell’encoder di retroazione
possono dire al sistema se il motore si è spostato o meno del numero di passi
impostati.
I servomotori passo-passo richiedono sempre il feedback dell’encoder
per consentire all’elettronica di azionamento di commutare le correnti di
fase del motore al momento giusto, in modo che l’albero motore ruoti in
modo controllato.

Grazie alle nuove tecnologie è oggi possibile realizzare un sistema di


controllo in modo semplice ed economico utilizzando Arduino.
Con Arduino è possibile realizzare programmi di controllo sia di motori
passo-passo sia di servomotori capaci di controllarne gli spostamenti in
modo molto preciso.
La precisione del sistema sarà data dalla risoluzione dell’encoder adottato

109
con il servomotore, più la risoluzione sarà elevata e maggiore sarà la
precisione di posizionamento che potremo ottenere.

8.6. Calibri e rilievi dimensionali

In orologeria tutto diventa estremamente piccolo e spesso i normali sistemi e


strumenti di rilievo come i calibri o i micrometri risultano troppo grossi e
ingombranti.

110
Per la misura dei diametri, è possibile usare il calibro centesimale
classico, il micrometro oppure il micrometro dedicato ai piccoli componenti.

Questi strumenti sono utili nel momento in cui possiamo disporre del pezzo
libero, ma le cose si complicano quando stiamo eseguendo una tornitura e
non possiamo smontare il pezzo dal tornio.
In questi casi per le misure dei diametri può essere utilizzato, prestando
le dovute accortezze, il calibro digitale centesimale, oppure seguendo la
logica dei calibri passa/non passa.
In pratica si usa il pezzo tornito, ad esempio un perno, facendolo passare
attraverso il suo cuscinetto e verificando cosi l’accoppiamento.
In questi casi si parla di rilievi visivi e per essere attendibili, oltre ad una
certa pratica, diventa necessario un microscopio che possa permetterci di
vedere in modo preciso le condizioni di accoppiamento e gli eventuali
giochi.
La cosa più complicata da misurare sono invece le lunghezze, che come
vedremo in massima parte vengono rilevate per confronto laddove si può
disporre di un pezzo campione o di un riferimento, ad esempio l’altezza di

111
una platina o di una boccola.
Un altro metodo molto efficace per rilevare le altezze anche di pochi
decimi consiste nell’utilizzare lo spessimetro.

Mettendo a confronto lo spessore della lamina con quello del pezzo in


lavorazione è possibile rilevarne la lunghezza con una certa precisione ed è
comunque sufficiente per tutte le lavorazioni che possono essere richieste.
Vi sono poi speciali calibri con fori e perni calibrati che vengono
utilizzati come riferimento per il rilievo indiretto delle misure dei perni e dei
fori.

112
8.7. Calcolo dimensionale della ruota dentata

Per tagliare una ruota dentata si dovrà procedere al rilievo dei parametri
necessari a stabilire quale fresa utilizzare.
I dati che dovremo conoscere sono
• il numero dei denti Z;
• il diametro esterno De;
• il tipo di profilo della dentatura.
Come abbiamo avuto modo di vedere il modulo è dato dal diametro
primitivo sul numero di denti della ruota

da cui

d=m*Z

113
Come sappiamo il diametro primitivo, essendo una misura intermedia,
diventa difficile da rilevare con esattezza, pertanto si è trovata una relazione
che lega il modulo al diametro esterno De della ruota

De = m (Z+2)

da cui

Grazie a queste semplici relazioni possiamo quindi stabilire il tipo e la


misura di fresa a modulo da utilizzare per tagliare la ruota.
Trattandosi di ruote con moduli ridotti e normalmente sotto il modulo 1,
in genere si preferisce operare con una fresatrice dotata di divisore diretto,
che risulta più semplice e veloce da usare.
La prima operazione da eseguire è l’allineamento del tagliente della fresa
con il centro esatto di rotazione del pezzo da tagliare.

114
L’accuratezza di questa operazione preliminare sarà determinante per la
buona riuscita del profilo dei denti della ruota o del pignone che andremo a
tagliare.

115
Eseguita questa operazione possiamo fissare il pezzo nella pinza avendo
l’accortezza di evitare sbalzi elevati che potrebbero portare a flessioni
durante l’operazione di taglio dovute all’avanzamento della fresa.
Le velocità di taglio sono in genere piuttosto contenute e non devono
eccedere gli 800 giri, poi per ogni costruttore di frese ci saranno dei
parametri di riferimento precisi.
L’operazione di taglio si esegue a più riprese, aumentando gradualmente
ad ogni passata la profondità di taglio con l’asse orizzontale e spostandosi
lungo l’asse verticale per eseguire il taglio dei denti.
La cosa da tenere sempre in considerazione è di superare sempre la
mezzeria della fresa a modulo per ottenere il profilo completo del dente.

Per il taglio dei pignoni valgono le considerazioni fatte finora. L’unico


accorgimento da prendere, visto che i pignoni in genere sono ricavati
direttamente sugli assi delle ruote e quindi di sezione contenuta rispetto alla
loro lunghezza, è quello di usare contropunte che possano reggere il pezzo
anche dalla parte superiore ed esterna alla pinza.

116
117
Il taglio dei pignoni si può eseguire anche in pozione orizzontale, ma si deve
prevedere un adeguato sostegno della parte soggetta al taglio, questo per
evitare vibrazioni che renderebbero la superficie delle ali meno liscia e
precisa.

118
Il taglio dovrà essere eseguito in modo graduale e ad un basso numero di
giri per non danneggiare prematuramente la fresa a modulo.
Di seguito alcune fasi del taglio di un pignone.

119
120
121
122
I materiali usati per la realizzazione dei pignoni e delle ruote sono in genere
acciaio per i primi e ottone crudo per le ruote dentate.
In passato venivano prodotti trafilati in acciaio con numero di denti
variabili dai quali era possibile ricavare un pignone, in pratica pignoni pronti
all’uso.

Un aspetto importante riguarda la finitura superficiale delle ali del pignone


che dovrà essere quanto più accurata possibile in modo da limitare al
massimo gli attriti per strisciamento durante l’ingranamento.

123
Per questa operazione si può procedere manualmente con paste diamantate
oppure, potendone disporre, utilizzare le macchine specifiche per questo
tipo di lavoro che come abbiamo visto sono dotate di un disco di legno di
quercia che opportunamente drogato con paste lucidanti restituisce superfici
con finiture superficiali ottime.
Ne caso in cui le ruote da tagliare fossero di dimensioni maggiori e
quindi anche le frese a modulo fossero di modulo più grande, si suggerisce
l’uso della fresatrice dotata di divisore universale.
Questo per meglio sopperire agli sforzi di taglio che saranno di maggior
entità oltre che per poter gestire meglio la presa del pezzo da lavorare.
Le procedure di posizionamento della macchina sono le medesime viste
in precedenza.

124
8.8. Taglio di un pignone per ruota GMT

Quello mostrato in questo esempio è un pignone di piccolissime dimensioni


del diametro di 1,2 mm montato sul treno di ruote di un orologio GMT.

125
Il pignone era danneggiato sulle ali ed è stato necessario ricostruirlo e per
questo tipo di ricostruzione abbiamo adottato la fresatrice con il divisore
diretto.

126
La particolarità di questo pignone era quella di essere forato e calzare in
modo solidale su un altro pignone direttamente collegato alla ruota di rinvio.

Per questo tipo di lavori, viste le dimensioni del pezzo da lavorare, si deve
necessariamente procedere con il pezzo a sbalzo e pertanto le passate
dovranno essere molto ridotte per ovviare a flessioni dovute al passaggio
della fresa a modulo durante il taglio.
Ultimato il taglio del pignone si procede con la foratura al tornio e alla
lucidatura delle ali del pignone con diamantina.

127
8.9. Taglio di un corona dentata frontale

Le dentature a corona circolare sono spesso utilizzate in orologeria per


trasmettere il moto fra due assi ortogonali, ma anche in alcuni casi come
dentature di bariletti tipo quello dell’orologio da tasca Hebdomas che
mostriamo come esempio.

Questo tipo di lavorazione si ottiene posizionando la ruota in orizzontale e


tagliando i denti per mezzo di un divisore.
Il calcolo del modulo è il medesimo visto per le altre ruote come anche la
centratura della fresa a modulo.

128
Terminata la fresatura dei denti si tornisce la parte interna eccedente fino al
raggiungimento dello spessore desiderato per poi tagliare l’anello all’altezza
prestabilita e procedere con la rettifica del piano.

129
8.10. Taglio di una ruota fasi luna

Le ruote fasi luna sono caratterizzate anch’esse da una dentatura triangolare


e quindi sono necessarie delle specifiche frese di forma con tale profilo.

130
Il numero dei denti è sempre 59 anche se il diametro esterno può variare in
funzione delle dimensioni dell’orologio.

A causa delle dimensioni ridotte di questi componenti sarebbe consigliabile


dotare la fresatrice di un sistema di visualizzazione elettronico a forte

131
ingrandimento che aiuta a visualizzare le fasi della lavorazione.

132
Il taglio della ruota segue invece le stesse logiche viste fino a questo
momento sfruttando in questo caso il divisore diretto che velocizza e facilita
il compito di taglio dei denti.

8.11. Taglio di una ruota cricco a denti triangolari

Le ruote cricco, prevalentemente quelle utilizzate in pendoleria, sono


particolarmente soggette ad usura e talvolta, a causa di forti sollecitazioni
dovute al cedimento della molla, possono accusare il danneggiamento della
dentatura.

133
Trattandosi in genere di ruote di dimensioni dell’ordine del centimetro di
diametro, si procede al taglio con la fresatrice che adotta il divisore
universale.
La prima procedura da eseguire è sempre il centraggio del tagliente della
fresa.

Successivamente si procede al taglio dei denti in più riprese che sono


funzione della dimensione della ruota e del numero di denti di cui è
composta.

134
8.12. Ricostruzione ruota conduttrice del cronografo

Le ruote del cronografo sono caratterizzate dall’avere dentature triangolari


con denti molto fini e numerosi.
Per tagliare questa tipologia di ruote si necessita di frese di forma con
angolatura specifica, in questo caso l’angolo è di 40 gradi.

135
Viste le dimensioni estremamente ridotte della ruota e volendo fare in modo
che la ruota finita sia quanto più simile a quella originale, si può andare alla
ricerca di una ruota di dimensioni similari anche con dentatura differente,
l’importante è che abbia il diametro di base del dente uguale a quello
esterno della ruota da ricostruire.

Trovata la ruota adatta, si asportano con il tornio tutti i denti fino ad ottenere
una ruota con diametro esterno pari a quello di cui si necessita.
Con la fresatrice con divisore diretto è quindi possibile iniziare
l’operazione di taglio dei denti della ruota.

136
Si ottiene così una ruota perfettamente similare a quella originale.

8.13. Fresatura di albero di carica di un bariletto

137
Per la realizzazione di un albero di carica con codolo quadro dovremo prima
realizzare al tornio l’albero della dimensione opportuna per poi passare alla
fresatrice per la realizzazione della parte quadra.

Per stabilire il diametro del cilindro dal quale andare poi a ricavare la parte
quadra si misura la diagonale D del quadro inscritto nella circonferenza, i
due lati potranno poi essere ricavati con il teorema di Pitagora.

138
La fresatura dei piani, se le dimensioni lo consentono, può essere eseguita
per mezzo di un divisore utilizzando una fresa a candela per la lavorazione.

139
9. Tecnica di accoppiamento ruota - pignone
I casi in cui si rende necessario accoppiare una ruota dentata con un pignone
possono essere sostanzialmente due: all’atto della realizzazione di un nuovo
asse o sostituzione di una parte di esso, oppure quando per via di un
problema alla molla di carica viene meno l’accoppiamento stabile fra ruota e
pignone.
I pignoni sono in genere ricavati dal pieno di tondini di acciaio da
tempra, comprendono l’asse della ruota e vengono lavorati in modo da avere
una sorta di corona dentata atta a creare delle opportune sedi nella ruota ad
essi accoppiata che in genere è in ottone e viene calettata su di essi per
interferenza.
Oltre a questo viene praticato un apposito intaglio che grazie ad un
opportuno punzone verrà dilatato favorendo così l’interferenza e il corretto
bloccaggio della ruota.

140
Dalla vista in sezione è possibile apprezzare la cava e il collare per la
ribaditura.

Per la ribaditura si utilizza in genere un apposito punzone con terminale


bombato con foro centrale il più vicino possibile al diametro del terminale
interno e diametro esterno il più vicino a quello del collare.

141
La ruota dentata dovrà avere un foro di dimensioni opportune in modo che
possa essere calettata per interferenza sul mozzo dentato, facendo sì che i
denti creino dei solchi che vincolano la ruota favorendo il mantenimento
della coppia di trasmissione che la ruota sarà chiamata a trasmettere.

142
Come operazione finale si procederà quindi alla deformazione del collarino
creando così un accoppiamento stabile.
L’acciaio del pignone, al contrario di quanto si possa essere portati a
credere, pur essendo duro si deforma correttamente senza subire alcun
trauma o rottura, anzi saranno sicuramente necessari colpi più vigorosi tanto
più grande sarà il pignone da ribadire.

Tale operazione di ribaditura si esegue anche qualora, come detto, la ruota


possa aver perso la presa sul pignone a causa di traumi dovuti ad eventi

143
particolari.
Sono assolutamente da evitare altre forme di punzonatura che agiscano
sulla ruota in ottone, come talvolta capita di vedere, poiché oltre a
deformarla facendole perdere planarità e concentricità, non garantiscono
la corretta deformazione del materiale, si indebolisce il punto di contatto
fra pignone e ruota e non si avrà mai il giusto grado di sicurezza in termini
di accoppiamento, per via delle esigue forze di spinta che possono derivare
dallo schiacciamento del metallo.

Il fatto di creare un collarino di ribaditura, che per altro è il medesimo che


troviamo negli assi bilanciere, è dettato anche da una questione di carattere
puramente fisico di come agiscono le forze nel punto di contatto con la
ruota.

Dall’analisi delle forze applicate è immediato comprendere come, a parità di


forza esercitata dal punzone Fp, la risultante Rpo sia diretta verso
l’accoppiamento ruota-pignone e quindi favorisca l’interferenza fra i due,
mentre Rp svolga anche un’altra funzione fondamentale che è quella di
spingere la ruota verso le ali sottostanti del pignone. Questo garantisce
quindi anche la stabilità assiale dell’accoppiamento, cosa molto importante
per evitare che la ruota possa rimanere vincolata radialmente, ma libera

144
assialmente.
Inoltre essendo la spinta esercitata dal punzone uniformemente distribuita
lungo tutta la circonferenza del collarino, questo ci garantirà anche la
concentricità dell’accoppiamento.

Nel caso in cui invece il foro della ruota fosse eccessivamente largo e quindi
con una dimensione tale da non poter essere bloccato in modo sicuro dalla
ribaditura, si dovrà effettuare un’operazione di riporto di una boccola
opportunamente dimensionata, per poi procedere alla punzonatura come
detto.

145
Altri metodi o sistemi che prevedano il restringimento del foro della ruota
sono assolutamente da evitare in quanto non garantirebbero il mantenimento
delle tolleranze di posizione, come la coassialità o la concentricità o peggio
si rischierebbe di ridurre la sezione resistente in prossimità del foro con un
sensibile indebolimento del successivo accoppiamento.

10. I danni alle ruote dentate: cause e rimedi


Capita talvolta che a causa di malfunzionamenti o di cedimenti improvvisi
delle molle di carica, dovuti alla rottura di un perno o peggio all’imperizia
del riparatore, alcune ruote e a volte i pignoni, in genere quelli più vicini al
bariletto e quindi maggiormente esposti ai picchi di forza istantanei, possano
risentirne al punto da arrivare alla perdita di uno o più denti della loro
corona.
Capita che a volte si debba intervenire con il restauro della ruota a causa
della sua particolare conformazione, come nel caso di quelle costruite tra il
’600 e la prima metà del ’700, i cui denti non venivano realizzati seguendo
schemi fissi, ma secondo l’esperienza dell’artigiano e i cui pezzi di ricambio
risultano per questo introvabili. Fortunatamente esistono ancora diverse
testimonianze del passato sul metodo di restauro degli orologi antichi.

146
L’operazione di riporto dei denti può essere effettuata laddove il danno sia
piuttosto contenuto, altrimenti risulterebbe più conveniente e sicuro rifare
l’intera ruota dentata.
Nei libri di testo quando si parla di riporto dei denti si fa sempre
riferimento all’incastro a Coda di rondine, una tecnica nata in un passato
lontano principalmente utilizzata dai falegnami per la realizzazione di
mobili di pregio ed era simbolo di solidità, stabilità e tenuta meccanica delle
parti assemblate senza la necessità di altri leganti come chiodi o collanti.

147
In ambito meccanico questa tipologia di incastro prese piede per le stesse
ragioni e caratteristiche per poi essere utilizzato anche come profilo di
accoppiamenti scorrevoli di alta precisione e stabilità.
Nel campo dell’orologeria se ne sente sempre parlare nell’ambito del
riporto di denti rotti su ruote dentate e molto spesso vengono travisate le
ragioni del suo utilizzo sfociando in disastrosi lavori di incastro altamente
imprecisi e che poco hanno a che vedere con il vero incastro talvolta senza
neanche una reale necessità.
Per comprendere meglio come e quando sarebbe necessario adottare
questa particolare lavorazione cominciamo a considerare il caso più
semplice, ovvero il riporto di un solo dente.
Per comprendere fino in fondo quale sia il metodo corretto per effettuare
questa operazione in modo da ottenere un lavoro che sia sicuro e stabile
meccanicamente, si deve partire analizzando quali forze agiscano sul dente e
come queste possano influenzarne la stabilità.
Come abbiamo già visto, per convenzione in meccanica il
dimensionamento di una ruota dentata viene semplificato considerando il
carico dovuto alla coppia di trasmissione applicato nella mezzeria di un
singolo dente.
Questa semplificazione si risolve considerando il dente come una
mensola incastrata e quindi soggetta a flessione e taglio.
Partendo da questa considerazione è facile comprendere che per riportare
un solo dente basta eseguire un taglio di forma rettangolare che possa
ospitare in modo preciso la nostra mensola che nella realtà poi diverrà un
dente della ruota, in modo da ottenere un incastro del tutto sicuro e
funzionale sotto il profilo meccanico.

148
L’unico accorgimento sarà quello di creare un incastro che abbia una
profondità di circa 2/3 la lunghezza del dente.

A questo punto viene da chiedersi perché si parli tanto di incastro a coda di


rondine e se questo sia poi così strettamente necessario.
La risposta è da ricercarsi nel caso in cui i denti da riportare non siano
più unitari, ma di numero superiore.
Per meglio comprendere quello che accade ad un riporto di un certo

149
numero di denti, proviamo a pensare al classico rastrello appoggiato al
muro.
Il rastrello raffigura l’ultimo dente del riporto sul quale agisce la forza di
trasmissione che rappresenteremo con la pressione del nostro piede.
Se premiamo sul rastrello questo tenderà a ribaltarsi verso di noi facendo
finire il manico sulla nostra testa: ebbene questo è quello che accade ad una
porzione di denti riportata su una circonferenza.
La sua rappresentazione potrebbe essere la seguente

è facile comprendere come la porzione riportata, non avendo un vincolo


specifico possa sollevarsi nella parte superiore quando viene sollecitato
l’ultimo dente e questa è ovviamente la condizione peggiore.
Per evitare che sorga questo inconveniente è quindi necessario creare un
vincolo alla rotazione e questo vincolo è proprio rappresentato dalla
conformazione dell’incastro a coda di rondine, raffigurato nell’immagine
seguente.

150
Riassumendo quanto detto è possibile affermare con certezza che nel caso in
cui si debba riportare un solo dente o un numero limitato di denti non sia
necessario operare in lavorazioni particolari e complicate, in quanto gli
sforzi applicati non ne giustificano la necessità.
Quindi, piuttosto che realizzare incastri imprecisi solo per seguire una
leggenda, è meglio realizzare un buon incastro che potrà garantire
comunque la tenuta senza problemi di cedimento.
Ovviamente le considerazioni devono essere fatte caso per caso anche in
funzione della coppia trasmessa dalla ruota, dalla lunghezza del dente e
dalla conformazione della ruota.
Ci sono casi un cui ad esempio la corona dentata è molto bassa e non c’è
modo di realizzare una cava sufficientemente profonda che possa garantire
la giusta tenuta meccanica.
Prendiamo come esempio una corona molto bassa il cui spazio a
disposizione è inferiore rispetto a quello necessario per ottenere una buona
tenuta dell’incastro, ovvero almeno 3 volte l’altezza del dente.

151
Per risolvere questo inconveniente è possibile adottare una soluzione
alternativa che nel suo insieme conferisce maggior stabilità al nostro dente,
ovvero un doppio incastro con rinforzo bilaterale o più semplicemente un
incastro a croce. La prima operazione consiste nel realizzare la cava quanto
più profonda possibile, sempre rispettando però i limiti fisici oltre i quali si
avrebbe un eccessivo indebolimento della corona.

152
Poi si realizza l’innesto che dovrà calzare appunto a croce sulla corona e
abbracciare, coprendola, la sezione rimasta.

Fatta questa operazione in modo che l’accoppiamento risulti stabile, sarà

153
possibile saldo brasare i due componenti in modo da garantirne la massima
stabilità; successivamente si potranno asportare le parti eccedenti avendo
però cura di lasciare uno spessore sufficiente a garantire la stabilità agli
sforzi radiali.

Oltre alle ruote anche i bariletti possono riportare danni che vanno dalla
perdita di un solo dente a porzioni di dentatura anche più estese.
Sempre rimanendo nel campo del possibile, oltre al quale diventa più
conveniente la ricostruzione integrale della corona dentata, vediamo quali
possono essere le tecniche per la riparazione conservativa dei bariletti.
Una delle tecniche utilizzate in passato per il ripristino dei denti rotti sui
bariletti consisteva nell’impiantare dei perni affiancati (in genere delle viti
alle quali veniva asportata la testa) che potessero in qualche modo simulare
il dente mancante. Questa lavorazione per quanto potesse rivelarsi efficace
era poco precisa e sempre eseguita in modo approssimativo.
Il bariletto preso in esame aveva appunto due perni che sostituivano i due
denti rimpiazzati a loro volta da due innesti singoli.

154
Quello che determina una buona riuscita in questo tipo di lavorazione è la
precisione dell’incavo e la sua profondità, che garantisca una tenuta corretta,
che nello specifico dovrà essere eseguita con una fresa a candela del
diametro pari alla larghezza del dente o poco superiore.

poi si realizzano due innesti molto precisi che dovranno essere calettati per
interferenza nelle cave.

155
La fase successiva prevede la saldobrasatura a stagno a bassa temperatura
per evitare il rinvenimento dell’ottone e l’asportazione delle parti eccedenti.

È ora possibile portare a misura i due inserti sia come altezza del dente sia
come spessore avendo poi cura di creare il giusto profilo.
L’operazione di finitura in questo caso può essere eseguita a lima,
utilizzando lime di opportune dimensioni o di ripresa con una fresa a
modulo.

156
Nel caso in cui il numero di denti danneggiati fosse elevato, si può eseguire
il lavoro di riporto inserendo un tassello di dimensioni equivalenti allo
spazio occupato dai denti mancanti.
Questo tipo di intervento richiede necessariamente l’uso della fresa a
modulo per il taglio dei denti, oppure di una lama circolare di spessore pari
allo spazio esistente fra un dente e l’altro con la quale si eseguiranno i tagli,
per poi rifinire le creste a lima.

Preparazione del tassello di riempimento, anche in questo caso dovrà essere


calettato con estrema precisione.

157
Saldobrasatura e tornitura della parte eccedente.

Taglio dei denti con divisore e fresa a modulo.

158
11. La forgiatura e l’arronditura delle ruote
Durante le operazioni di restauro capita sovente di trovarsi di fronte a ruote
dentate con denti leggermente consumati sulle creste o di avere la necessità
di sostituire una ruota esistente con una simile come modulo, ma con un
diametro leggermente inferiore.
In queste circostanze le tecniche di restauro - le stesse utilizzate in
passato dagli orologiai - prevedono interventi mirati sulla sola dentatura,
operazioni che potremmo definire di punzonatura e ripresa dei profili.
Come esempio pratico analizziamo il caso di una piccola ruota di un
orologio da tasca in cui, per cause sconosciute, alcuni denti risultavano
schiacciati sulle creste causando quindi il mancato ingranamento in quella
porzione di ruota.

Non disponendo di ricambi simili, in situazioni come questa si procede


sfruttando il principio della forgiatura dei metalli a freddo, infatti nel caso
dell’ottone la lavorazione a freddo ne migliora le caratteristiche di durezza e
resistenza all’usura.
La forgiatura consiste quindi nel ribadire in modo opportuno la porzione
di dentatura che interessa ripristinare o aumentare in diametro.
Questa operazione si può eseguire in vari modi, il più semplice è quello
che considera l’utilizzo di un punzone piano e che prevede quindi un
controllato schiacciamento dei denti da lavorare.

159
Per verificare in modo accurato e corretto i risultati della punzonatura si
utilizza un vecchio calibro per ruote che ci darà in modo immediato e diretto
l’indicazione del processo.

Quando avremo raggiunto il giusto livello di dilatazione, si dovrà


provvedere a ripristinare il corretto profilo dei denti, cosa che si può
eseguire manualmente con lime di opportune dimensioni, sfruttando le

160
antiche macchine per arrondire, o utilizzando apposite frese a modulo.

Le ruote dentate in orologeria sono in genere scheletrate e dotate di razze.


Questa particolarità che sicuramente svolge anche un ruolo estetico, è di
grande importanza se si considera l’energia necessaria a far muovere l’intero
treno di ruote, sia esso di un pendolo che di un orologio da polso.
Infatti la creazione di razze ha la funzione di alleggerire la ruota e nel
contempo variarne l’inerzia riducendola notevolmente e favorendo quindi
una minore energia necessaria a riavviare il rotismo ad ogni alternanza.

161
Capitolo IV
L’organo regolatore di un orologio

All’interno degli orologi destinati a subire continui cambi di posizione come


gli orologi da polso o da tasca, l’organo regolatore è rappresentato dal
bilanciere, che è costituito dal volano completo del suo asse e dalla spirale.

Il volano è costituito da un anello all’interno del quale vi sono due o tre


razze al centro delle quali è calettato l’asse bilanciere.

162
Il centro del volano è quindi il centro di gravità del bilanciere.
Il volano può essere monometallico se costituito da una sola lega o
bimetallico se le leghe costituenti sono due, generalmente sovrapposte e con
coefficienti di dilatazione differenti.
Il volano bimetallico è anche detto volano compensato in quanto ha la
capacità di compensare le variazioni della sua geometria dovute alle
variazioni di temperatura migliorando quindi lo scarto di marcia
dell’orologio.

La spirale è sostanzialmente una molla costituita di materiale ferroso o non


ferroso, in genere leghe speciali capaci di risultare quanto più insensibili alle
variazioni termiche, come elinvar, nivarox, metelinvar, isoval fino alle
moderne spirali al silicio, di forma circolare o cilindrica e avvolta a formare
una spirale di Archimede.

163
La spirale nella parte interna è collegata ad un anello d’ottone detto
virola che ha la funzione di potersi calettare sull’asse bilanciere, mentre
nella parte più esterna è generalmente fissata al ponte del bilanciere tramite
un ancoraggio detto pitone.
Il bilanciere completo di spirale in condizioni di riposo è perfettamente in
equilibrio, ma se dovessimo imprimere una rotazione al volano la spirale
subirebbe una contrazione e grazie alla sua elasticità farebbe in modo di
riportare il volano verso il punto di partenza o di riposo continuando ad
oscillare liberamente. Se invece non dovessimo ripristinare l’energia
iniziale, l’oscillazione proseguirebbe con ampiezze sempre minori fino
all’arresto.
Per comprendere meglio il moto di un bilanciere prendiamo come
riferimento il seguente disegno

oa posizione di riposo o di equilibrio


ob oc posizioni estreme o punti morti superiori
od posizione intermedia qualunque

coa = aob = α’

164
2 α’ rappresenta graficamente l’ampiezza di oscillazione

aod = α

rappresenta graficamente l’elongazione nella posizione od


Quando il bilanciere passa dalla posizione ob passando da oa per arrivare
ad oc e ripetere il percorso inverso fino nuovamente a ob, ha compiuto
graficamente un’oscillazione.
Il tempo impiegato è detto periodo o durata dell’oscillazione.
La metà di una oscillazione ovvero il percorso da ob ad oc è detto
alternanza.
Partendo dalla posizione di riposo applichiamo una forza al volano fino a
portarlo nella posizione oc e lasciamolo andare libero.
La spirale si sarà armata e il volano tenderà a compiere un percorso
inverso fino a raggiungere il punto oc’ tale per cui

aoc’ < boa

In pratica si dice che il movimento risulta smorzato e lo smorzamento è dato


da c’oc ee è continuo nel tempo fino a fermarsi se su di esso non agiscono
forze esterne.
L’oscillazione di un bilanciere libero è detta isocrona ovvero che la sua
durata è indipendente dall’ampiezza.

L’obiettivo che ci si pone da sempre quando si progetta un orologio è di


riuscire a mantenere l’oscillazione con una amplitudine quanto più
possibile costante e quindi di minimizzare lo smorzamento regolarizzando
così l’intensità dell’impulso, cosa non sempre possibile in quanto la forza
motrice proviene da una molla il cui rilascio energetico è essenzialmente
variabile.

1. Il numero di alternanze del bilanciere


L’albero con il pignone dei secondi porta la ruota dei secondi che ingrana
con il pignone dello scappamento e che porta a sua volta la ruota

165
scappamento.
Nello scappamento tradizionale ad ogni giro della ruota un dente genera
due impulsi, per un giro della ruota quindi si ha un doppio impulso dato
dallo stesso dente, così come ci sono altrettante alternanze del bilanciere per
ogni impulso. Per un intero giro della ruota scappamento di Z denti, il
numero di alternanze A del bilanciere sarà

A = 2Z

Per calcolare il numero di alternanze di un bilanciere o di un pendolo in un


determinato tempo è sufficiente calcolare il numero di giri della ruota
scappamento nel medesimo tempo e moltiplicarlo per il doppio del numero
di denti della ruota.

Siano quindi Z5 e Z7 il numero di denti della ruota secondi e della ruota


scappamento.
Per un giro della ruota scappamento avremo

A = 2 Z7

e come abbiamo visto in precedenza

166
In precedenza avevamo trovato che

Chiamando Ah il numero di alternanze dell’organo regolatore per ora ovvero


per n1 = 1, avremo

2. Formula generale per le alternanze/ora


Nello sviluppare la formula precedente abbiamo supposto che il primo
albero compisse un giro ogni ora.
Questo vale per un albero che porta la sfera dei minuti, ma può succedere
che il primo albero faccia n1 giri per ora oppure n1 giri in ore.
Per questa ragione quando l’albero avrà compiuto un giro il numero di

167
alternanze sarà

quindi in questo caso avremo

dove n1 indica il numero di giri per ora del primo albero del rotismo
contatore.

3. Conformazione del bilanciere di un orologio


Con la parola bilanciere normalmente si intende l’insieme del volano e del
suoasse, detto appunto asse bilanciere.
Si dice invece bilanciere completo se vi è montata anche la spirale con il
relativo plateau.
I volani possono assumere diverse configurazioni in base all’epoca e al
tipo di orologio per i quali erano destinati e talvolta presentano sul loro
perimetro esterno o sulle razze delle micro viti di appesantimento.

168
Queste viti possono svolgere due funzioni, servire come contrappesi per
l’equilibratura della corona volanica o, in caso di bilancieri più recenti, per
far variare in modo micrometrico la massa della corona volanica e quindi il
momento di inerzia del bilanciere.
Prima di analizzare il movimento oscillatorio del bilanciere - spirale, si
definisce momento di inerzia della superficie rispetto ad una retta assegnata
la sommatoria dei prodotti delle singole aree elementari per i quadrati delle
rispettive distanze dalla retta considerata.
Vediamo cosa si intende per momento di inerzia partendo dall’analisi del
momento di inerzia di superficie.

4. Momento d’inerzia di una superficie piana

169
Il momento di inerzia I di una superficie piana S riferito ad un asse AB posto
all’interno dell’area stessa, è la somma dei prodotti delle singole aree
elementari ds per i quadrati delle rispettive distanze dall’asse.

I = ∑a2ds = ∫a2ds

Il momento d’inerzia rappresenta una somma di termini dove ciascuno è il


prodotto al quadrato di una lunghezza per una superficie per cui la sua unità
di misura sarà espressa in mm4, cm4 etc.
Per calcolare un valore di I bisogna integrare entro i limiti appropriati.
Se l’asse AB è un asse di simmetria, il momento di inerzia della massa in
figura è uguale a quello dell’altro suo omologo simmetrico, quindi se
chiamiamo I’ questo momento, avremo

I = 2I’

I = 2 ∫a2ds

Dovendo integrare altri limiti avremo

Proviamo ora a calcolare il momento di inerzia riferito a due coordinate


qualunque poste all’interno della superficie.

170
Il momento di inerzia riferito ai due assi Ox e Oy sarà quindi

Ix = ∫y2ds Iy = ∫x2ds

Il momento di inerzia rispetto ad un punto viene definito come momento


polare di inerzia Io della superficie ed è dato dalla somma dei prodotti
ottenuti moltiplicando ds per il quadrato della distanza r dell’area
elementare dal punto O

Io = ∑r2ds = ∫r2ds

facendo passare per il punto O dei due assi del rettangolo Ox e Oy il


momento d’inerzia rispetto a questi punti sarà

Io = ∫r2ds

Io = ∫(x2+ y2) ds

Io = ∫x2ds + ∫y2ds

Io = Ix + Iy

171
che ci permette quindi di definire che il momento polare d’inerzia di una
superficie piana è uguale alla somma dei due momenti di inerzia della
superficie riferiti ai due assi incidenti qualunque perpendicolari fra loro e
passanti per il polo O.

5. Momento d’inerzia di un cerchio

Per il calcolo del momento di inerzia di un cerchio, essendo la circonferenza


uniformemente distribuita rispetto al suo centro, possiamo prendere
quest’ultimo come riferimento e farlo attraversare dai due assi cartesiani,
ottenendo

Ix = Iy

scomponendo la superficie del cerchio in infinitesime aree e riferendole agli


assi XY il momento polare d’inerzia sarà

172
per tanto possiamo scrivere

Io = Ix + Iy = 2Ix

6. Momento d’inerzia di massa della corona del volano


Al contrario delle superfici piane, il volano è costituito da una corona di
forma circolare definita da un raggio interno r, un raggio esterno R e una
altezza h ed essendo quindi un solido sarà dotato di una massa m, quindi
dobbiamo considerare a tutti gli effetti un cilindro cavo.
Si tenga presente che questo calcolo è solo approssimato in quanto non
tiene conto di tutti gli altri corpi che compongono il bilanciere e che
comunque sono dotati di momenti di inerzia come le razze e le viti di
regolazione.

173
L’asse di rivoluzione OZ è definito come asse centrale d’inerzia ed è lo
stesso per tutti gli assi passanti per il centro di gravità o baricentro e
perpendicolari a ZO. Definiti r, R i raggi interno ed esterno, h l’altezza del
cilindro, la massa m sarà

m = π (R2 − r2) hρ

il momento d’inerzia di un cilindro cavo riferito ad un asse qualunque è


uguale alla differenza dei momenti di inerzia di un cilindro teoricamente
pieno ed un cilindro del medesimo volume che riempia la parte vuota.
Calcoliamo quindi Ix chiamando I’x e I”x i momenti d’inerzia dei due
cilindri pieni dentro il cilindro cavo, otteniamo quindi

dove M’ = π R2 hρ

174
dove m” = π r2 hρ da cui

Rispetto all’asse Z avremo

7. L’equilibratura del volano


Il volano dovrà essere perfettamente equilibrato affiché non vada ad
influenzare la marcia nelle posizioni verticali dell’orologio.
I moderni volani vengono equilibrati in fabbrica con tecnologie sempre
più sofisticate, ma può capitare di dover intervenire su bilancieri di vecchi
orologi dove l’equilibratura era eseguita in modo approssimativo o
addirittura manualmente.
Vi sono due tipologie di equilibratura da eseguire su un orologio, quella
statica e quella dinamica; cominciamo quindi a vedere come affrontare
questo delicato intervento.

8. L’equilibratura statica

175
L’operazione più delicata che dovremo effettuare quando si attua una
revisione di un orologio è la messa a punto del movimento in modo che
questo possa mantenere nelle varie posizioni una marcia corretta nel tempo.
Il principale responsabile del buon andamento del nostro orologio e
quindi il cuore pulsante della nostra macchina è l’insieme costituito dal
gruppo bilanciere – spirale.
Per quanto sopra, nei casi in cui andremo per qualsiasi motivo a lavorare
sull’asse bilanciere, anche semplicemente rimuovendo la spirale e il plateau
per una normale pulizia, sarà buona norma ricontrollare il corretto
posizionamento del nostro asse, l’equilibratura del bilanciere e il centraggio
della spirale.
Per fare questi controlli in modo efficace e attendibile saranno necessari
alcuni strumenti senza i quali non ci sarà possibile procedere.

I due strumenti di cui non potremo fare a meno sono:


• l’ottocifre;
• tavolino per la verifica dell’equilibratura.

Con l’ottocifre si può verificare la planarità del volano ed eventualmente


apportare le dovute correzioni, mentre con il tavolino per equilibrare si
verifica la corretta distribuzione delle masse del bilanciere rispetto al
proprio asse di rotazione, in quanto queste devono essere perfettamente
distribuite in modo uniforme lungo tutta la circonferenza del volano stesso.
La mancanza di uniformità delle masse si manifesta con la tendenza da
parte del bilanciere ad assumere sempre una posizione predominante, in
altre parole tende a ruotare per effetto del maggior peso posizionandosi con
il punto più pesante sempre verso il basso.
Una cattiva equilibratura di un bilanciere incide sul corretto andamento
dell’orologio nelle varie posizioni di marcia e quanto più grande sarà lo
squilibrio, tanto più grande sarà lo scostamento di marcia fra una posizione
e l’altra, che si manifesta come anticipo o ritardo, mentre non incide
significativamente sull’ampiezza di oscillazione del volano.
Da questa semplicissima premessa di tipo teorico si passa poi alla pratica,
ovvero a come procedere materialmente nell’operazione di equilibratura.
La prima cosa a cui dovremo prestare molta attenzione è la pulizia

176
accurata delle due lame o rubini sui quali andremo a poggiare i perni del
volano, questo perché i perni devono trovarsi nella condizione di minimo
attrito possibile, facilitando la rotazione del volano anche in presenza di
squilibri minimi.
Come seconda cosa è estremamente importante che lo strumento sia
perfettamente in piano in modo da non influenzare l’equilibrio statico e
dinamico del volano.
Come terzo punto il volano dovrà essere appoggiato alle lame in modo
che queste intercettino i soli perni nella loro parte più rettilinea, in quanto il
raccordo verso il centro dell’asse potrebbe influenzare in modo anomalo la
verifica.
Per la messa in piano dello strumento, qualora questo ne fosse
sprovvisto, si può adottare una classica bolla, avendo cura di posizionarla su
entrambi i piani di lavoro come mostrato nelle immagini che seguono.

177
Messo in piano lo strumento, andremo ad appoggiare l’asse bilanciere
completo di plateau sulle lame dello strumento in modo che i perni siano
perfettamente perpendicolari alle lame.

In caso vi siano degli squilibri, il nostro volano tenderà a ruotare fino a


stabilizzarsi con il suo punto più pesante rivolto verso il basso.
Questa operazione, come credo sia intuibile, ci indica il punto di

178
squilibrio o il punto in cui il volano risulta essere maggiormente pesante.
A questo punto si deve intervenire sull’equilibratura che può essere
eseguita in diversi modi anche in base al tipo di bilanciere sul quale stiamo
lavorando.
Per riassumere, se si opera su bilancieri con volano senza viti di
regolazione, si dovrà necessariamente agire sul punto più pesante
asportando il materiale in eccesso, anche se in genere questa tipologia di
volano difficilmente è affetta da errori, che, se presenti, sono da imputare a
cause esterne come ad esempio precedenti interventi maldestri.
In caso invece di volani con viti di regolazione si potrà agire asportando
materiale oppure inserendo o togliendo le piccole rondelle di regolazione.
Questa operazione va ripetuta fintantoché il nostro asse, appoggiato sulle
lame, rimarrà perfettamente fermo in tutte le posizioni.
Va considerato che talvolta gli squilibri possono essere così piccoli da
essere vinti dagli attriti fra i perni e le lame, quindi per essere davvero certi
di aver eliminato il più possibile, si dovrà far ruotare il bilanciere sulle lame,
facendo in modo di farlo fermare autonomamente in tutte le posizioni.
Se non si rilevano spostamenti inversi l’equilibratura potrà essere
considerata accettabile.

9. L’equilibratura dinamica
L’equilibratura statica ci consente di mettere in equilibrio le principali
masse responsabili della linearità di rotazione del volano, ma questo in
realtà non ci garantisce che l’effetto sia perfetto, in quanto oltre alle masse
del volano e del plateau incidono, anche se in misura diversa, quelle della
spirale e in parte anche quelle dell’ancora, inoltre in questo ragionamento
stiamo considerando assolutamente trascurabili gli attriti dei perni nelle loro
sedi.
Per quanto sopra si può già fare una importante osservazione, ovvero che
la ricerca morbosa di una equilibratura statica perfetta sarà pressoché
inutile se il movimento non sarà di buon livello; basterà una buona
equilibratura.
Gli studi effettuati sulla dinamica di funzionamento del volano hanno
portato a rilevare che eventuali difformità nella distribuzione delle masse di
un bilanciere (inteso come insieme di parti) in determinate condizioni, può

179
incidere in modo significativo sull’andamento dell’orologio portando a
ritardi o anticipi.
Si è visto poi che la variazione di marcia è molto più sentita entro un ben
preciso campo di ampiezza di oscillazione che in genere viene considerato
fra i 150° e 180° e che la sua massima influenza si ha quando la massa
eccentrica si trova in posizione verticale e perpendicolare (sopra o sotto)
all’asse bilanciere, quindi in un orologio con quadrante in posizione
verticale.
Quanto sopra ci dice che se avremo degli squilibri nella rotazione del
bilanciere questi si manifesteranno in modo alterno come anticipi o ritardi
difficilmente prevedibili in funzione della posizione che il nostro orologio
andrà ad assumere di volta in volta, ma che saranno anche fortemente
influenzati da altri fattori non trascurabili quali attriti o imprecisioni di altra
natura.
Quindi possiamo già fare un’altra osservazione che reputo importante:
questo tipo di equilibratura può trovare una sua applicabilità con
meccaniche di pregio e di alta precisione, in quanto maggiormente sensibili
ad eventuali correzioni, ma anche con orologi del passato dove le logiche
costruttive sono tali da rendere i risultati ottenibili con la sola equilibratura
statica poco soddisfacenti.
Fatte queste premesse, possiamo passare alla parte pratica, che letta sui
vari testi appare complessa e macchinosa, ma che una volta capita e
“tradotta” non è poi così difficile da eseguire.
La prima cosa da fare è procurarsi un cronocomparatore, in assenza del
quale non sarà possibile eseguire questa procedura.
Come seconda cosa si deve porre l’orologio in verticale caricandolo in
modo da avere una ampiezza di oscillazione compresa, come abbiamo visto,
fra 150° e i 180°.
Fatto questo, si dovrà sistemare il movimento in modo che l’asse
immaginario che congiunge i centri di rotazione del bilanciere, dell’ancora e
della ruota di scappamento, sia posto perpendicolarmente al piano di
appoggio.
A questo punto si cominceranno a rilevare i tempi di marcia con il
cronocomparatore, ruotando il movimento di 45° per volta e annotandosi i
risultati, fino a compiere un giro completo, in tutto otto posizioni.
Quello che andremo a rilevare sarà una serie di anticipi e/o ritardi, tra i
quali uno di questi valori sarà predominante.

180
Fatto questo dovremo smontare il ponte completo di bilanciere e
sistemarlo al centro di un cerchio diviso in settori di 45°, avendo cura di far
coincidere il bottone del plateau con l’asse verticale corrispondente allo
zero; per questo scopo in passato si trovavano appositi cartoncini stampati
come quello in figura.

Ora, supponendo di avere rilevato il valore massimo a 90°, il punto di


maggior squilibrio sarà riferito al punto 2 del nostro cerchio e sarà in quel
punto che dovremo andare ad agire con appesantimenti o alleggerimenti
sulla base di anticipo/ritardo rilevato.
Questa procedura tiene quindi conto di tutte le masse in movimento
coinvolte nello spostamento del volano ed è influenzata anche dagli attriti.
Si tenga presente inoltre, come credo sia facile comprendere, che tale
equilibratura non potrà coincidere con quella statica, che risulterà di
conseguenza errata. Questo a mio modo di vedere deve essere un parametro
da tenere in forte considerazione soprattutto quando si opera nella
sostituzione di un asse bilanciere o quando si ha a che fare con il restauro di
un vecchio orologio.
Per agevolare le operazioni sopra descritte, si possono utilizzare dei fogli
di calcolo grazie ai quali, inserendo i dati rilevati nelle posizioni verticali, è
possibile stabilire con precisione il punto di squilibrio del volano.
Prendiamo come esempio una serie di dati rilevati su un orologio da tasca
durante la prima verifica dopo la sola operazione di equilibratura statica.

181
Il foglio di calcolo ci dice che è presente uno squilibrio posto a 182,8°.
Il parametro è riferito al bilanciere guardato dal lato ponte e quindi con il
plateau sottostante ad esso.
Tale squilibrio è per altro di entità infinitesimale in quanto non leggibile
in condizioni statiche, ma solo dinamiche. In pratica, se si appoggia il
bilanciere sulle lame in prossimità dello squilibrio, questo non viene rilevato
per via degli attriti fra i perni e le lame stesse, cosa che invece si manifesta
se si imprime sull’asse un lieve moto rotatorio vincendo quindi gli attriti di
primo distacco dei perni sulle lame.
Benché questo squilibrio sia apparentemente piccolo, fatte le opportune
correzioni la situazione è cambiata in meglio, segno evidente che la
localizzazione del problema era esatta.
Eseguiti i nuovi rilievi e inseriti i dati, lo squilibrio si pone ora in un
quadrante differente, ma questo sarà ormai di entità tale da non poter essere
più rilevato staticamente e quindi ci si deve affidare al solo dato
matematico, che è il seguente:

182
Si procede in questo modo fintanto che i risultati non saranno ritenuti
accettabili.
Inoltre più si va ad eliminare lo squilibrio del gruppo asse/plateau –
spirale, più il sistema sarà sensibile alle variazioni introdotte dalle masse
“secondarie” e quindi meno influenti in prima analisi. Questo ci fa capire
come la precisione generale dell’intero movimento ad un dato livello diventi
di estrema importanza per l’ottenimento di risultati accettabili.
Passiamo ora ad analizzare l’altro componente del bilanciere, la spirale,
che come abbiamo visto svolge la funzione di accumulo dell’energia elastica
per poi rilasciarla in modo tale da consentire al volano di oscillare.

10. Movimento oscillatorio del bilanciere

183
L’organo regolatore dell’orologio è il bilanciere sul quale è fissata la
spirale S.
L’altra estremità della spirale è fissata al punto P, il pitone, che è un
componente fisso.
La lama della spirale generalmente passa attraverso le spinette di
limitazione C che sono parte della racchetta collocata sul ponte del
bilanciere e libere di essere spostate secondo una traiettoria circolare.
Le spinette nelle quali passa la spirale si considerano una sorta di
serraggio che limita la lunghezza della spirale.
Per questa ragione la lunghezza attiva della spirale si considera a partire
dal punto A di fissaggio alla virola fino al punto C delle spinette di
limitazione.
Per poter studiare il fenomeno oscillatorio di un bilanciere collegato ad
una spirale possiamo quindi schematizzare come segue

184
Il bilanciere è rappresentato come un cerchio con un’unica razza OA che
indica anche la posizione di equilibrio del bilanciere.
Se facciamo ruotare il bilanciere di un angolo ϕ si applica una
elongazione con il conseguente spostamento della razza nel punto OB.
Per la legge di Hooke la coppia esercitata dalla spirale per riportare il
bilanciere nella posizione di equilibrio è direttamente proporzionale
all’angolo ϕ e il valore del momento della coppia applicata vale

M = Cϕ

dove la costante C assume un valore uguale a quello della coppia M quando

ϕ =1 rad

e prende il nome di momento elastico della spirale.


Se esaminiamo un elemento di massa m posto ad una distanza r dall’asse
del bilanciere la forza che agisce sull’elemento e pari a

Questa forza imprime alla massa una accelerazione lineare γ pari a

185
essendo il bilanciere composto da una gran quantità di masse elementari,
ciascuna di queste in un dato momento avrà la stessa elongazione φ e la
stessa accelerazione angolare

Possiamo dire che

∑m r2 = I

dove I è il momento di inerzia del volano rispetto all’asse di rotazione.


Quindi l’equazione del movimento del bilanciere diventa

Si assegna il segno negativo alla coppia in quanto questa risulta essere


negativa quando l’accelerazione angolare è di segno positivo

I = ∑m r2 = ∫mr2

Essendo la spirale di sezione rettangolare il momento di inerzia è pari a

Il momento elastico C di una spirale di sezione rettangolare di lunghezza L,


sezione h e spessore e armata di un angolo α radianti è dato da

186
dove E è il modulo di elasticità dell’acciaio

La lunghezza L di una spirale di raggio medio Rm e con numero di spire n si


può calcolare in forma approssimata con la seguente formula

L = 2π Rm n

11. Velocità angolare e periodo


La velocità angolare è data dal rapporto fra uno spazio percorso nell’unità di
tempo

dove φo rappresenta l’ampiezza di oscillazione.


Il tempo t impiegato a compiere l’elongazione da 0 a φ vale

il periodo

Il tempo t” - t’ è quello necessario per passare dall’elongazione φ’ a φ”

187
il valore massimo della velocità angolare Ω

12. Costanza di amplitudine e isocronismo


È possibile dimostrare la costanza di amplitudine come derivata di un moto
lineare.
Se ipotizziamo che il bilanciere sia composto da una massa m
concentrata in un punto a distanza r dall’asse di rotazione e l’elongazione sia
uguale a φ questa massa sarà soggetta ad una forza pari a

Ne deriva che per un angolo infinitamente piccolo dφ, la massa percorrerà


un angolo altrettanto piccolo pari a rdφ, pertanto il lavoro prodotto sarà

Integrando entrambi gli angoli φ = 0 e φ = φo otteniamo l’energia potenziale


della massa m al punto estremo della sua corsa e se sollecitata da una spirale
con momento elastico C troviamo

188
La massa giunta al punto morto ha una velocità angolare Ω

La velocità lineare

e la sua energia cinetica

e dal momento che

I = m r2

si ottiene

189
La trasformazione dell’energia potenziale in energia cinetica senza alcuna
perdita e quindi l’ampiezza di oscillazione del bilanciere resta costante.
Questo è possibile in quanto il bilanciere è composto da infinite masse
elementari che tendono ciascuna a conservare la propria energia.
L’isocronismo di oscillazione di un bilanciere deriva dal fatto che la
formula

che fornisce il valore del periodo di oscillazione non contiene il fattore φo


né alcun altro fattore legato all’ampiezza di oscillazione.

13. La numerazione della spirale - CGS


Nel corso degli anni cominciò a sentirsi la necessità di dare una
numerazione di riconoscimento alle spirali in modo da identificarne
rapidamente le caratteristiche e quindi l’intercambiabilità.
Al congresso internazionale di cronometria che si tenne a Parigi nel
1900, Ch. E. Guillaume propose di dare alla spirale un numero Ns uguale
alla radice quadrata del momento elastico.

per il bilanciere si sceglierà un numero Nb

C e I saranno espresse in unità CGS, il periodo diventa

190
Come sappiamo il valore di C dipende dalla lunghezza della spirale, se il
numero della spirale dipendesse solo dal suo momento elastico potremmo
modificare la lunghezza della spirale, modificando anche il numero.
D’altra parte spirali differenti potrebbero avere lo stesso momento
elastico ovvero lo stesso numero.
Per rendere la proporzione di Guillaume pratica, A. Donat elaborò un
sistema razionale di numerazione che venne poi universalmente adottato.
Dato che il momento elastico della spirale è funzione della sua lunghezza
L, decise di scegliere, per comparare i momenti delle diverse spirali, un
diametro di riferimento piuttosto che una lunghezza.

La lunghezza della spirale e data da

191
dove p è il passo della spirale
Esprimendola in funzione dei diametri d’ e d”

Questa formula è approssimativa in quanto esprime la lunghezza della


spirale come se fosse costituita da n spire circolari di diametro uguale ad un
diametro medio

possiamo anche esprimere la lunghezza L in funzione del passo P e del


diametro medio

prendiamo ora un’altra spirale con diametri D’ e D” dove la lama abbia il


medesimo spessore e e la stessa altezza h e il medesimo valore del
coefficiente di elasticità E

di conseguenza avremo

i relativi momenti delle due spirali saranno quindi

192
essendo l’origine della spirale posta al centro possiamo dire che

I valori di d’e D’ sono generalmente piccoli, per questa ragione l’errore che
possiamo avere utilizzando la formula trovata lo si può considerare
trascurabile, per cui dalla precedente equazione troviamo

C d”2 = C’D”2 =K

K rappresenta una costante ovvero: il prodotto dei momenti elastici per il


quadrato del diametro quando l’origine della spirale si trova al centro.
Possiamo quindi affermare che nel sistema CGS la caratteristica di una
spirale è uguale al valore del momento elastico della spirale quando il
diametro è pari a 1 cm con un angolo di carica di 1 rad.

Ns = K

Per le spirali che non iniziamo dal centro

C(d”2 − d’2) = C’(D”2 − D’2) = K

193
Capitolo V
Le perturbazioni del periodo del bilanciere
- spirale

1. I fattori che ne modificano il periodo


Il periodo T del bilanciere-spirale è dato dalla formula

194
dove I è il momento d’inerzia del bilanciere rapportato all’asse di rotazione
e C il momento elastico della spirale.
Modificando sia I che C si avrà una variazione di T.
Il valore di T è esatto se il movimento del bilanciere è di tipo armonico,
ovvero se la risultante delle forze che provocano il movimento è
costantemente proporzionale all’elongazione.
Le cause che introducono forze supplementari non proporzionali
all’elongazione ne modificano la natura, modificando il periodo dal quale
dipende l’amplitudine.
Tra i più importanti fattori che possono influenzare e modificare il
periodo T possiamo citare:
1. gli attriti;
2. lo scappamento;
3. le vibrazioni;
4. i difetti di equilibratura del volano;
5. i difetti di equilibratura dell’ancora;
6. i difetti di equilibratura della spirale;
7. il gioco della spirale all’interno delle spinette della racchetta;
8. le variazioni di elasticità della spirale;
9. le variazioni di temperatura;
10. la forza centrifuga;
11. l’inerzia della spirale;
12. le variazioni della pressione atmosferica;
13. i campi magnetici.

Il momento d’inerzia del bilanciere può subire variazioni a causa dei punti
9, 10, 11 e 12.
Il momento elastico della spirale può essere influenzato dai punti 7, 8 e 9.
Il movimento armonico del bilanciere viene invece influenzato dai punti
1, 2, 3, 4, 5, 6 e 13, facendo intervenire forze non proporzionali
all’elongazione φ.

195
Quando le forze supplementari sono proporzionali a φ il movimento del
bilanciere - spirale resta armonico, il momento elastico C non è più il solo
momento attivo, il periodo del bilanciere è influenzato, ma le oscillazioni
restano isocrone.
Una forza supplementare, costante e proporzionale all’elongazione non
può essere considerata come un fattore perturbatorio del periodo, in quanto
è possibile compensare facilmente i suoi effetti modificando il momento
d’inerzia del bilanciere o il momento elastico della spirale.

2. Gli attriti
Gli attriti che possono influenzare il movimento del bilanciere sono quelli
dei perni all’interno dei loro cuscinetti, quelli che si producono all’interno
dello scappamento come perni dell’ancora, ruota scappamento, entrata della
forchetta e caviglia, denti della ruota e palette: agiscono certamente sul
periodo del bilanciere, ma i loro effetti si manifestano e influenzano lo
scappamento a livello globale.
Infine abbiamo l’attrito delle lame della molla di carica e anche i perni
delle ruote dentate modificano l’amplitudine delle oscillazioni del bilanciere
permettendo così il manifestarsi di tutti i difetti di isocronismo.
Poiché il movimento del bilanciere è smorzato a causa degli attriti, si ha
uno spostamento della posizione di equilibrio.
Le parti dell’alternanza prima e dopo il punto morto non sono più uguali
e il ritardo che si genera nella semi alternanza discendente non può essere
compensato a causa dell’incremento degli attriti prodotti durante la semi
alternanza ascendente.
In realtà lo smorzamento è annullato dall’impulso dello scappamento che
introduce una perturbazione abbastanza complessa del periodo.

3. Lo scappamento
Questa influenza può considerarsi trascurabile e difficile da misurare, quindi
non sarà possibile eliminarla ma dovremo cercare di contenerla quanto
possibile diminuendo gli attriti, migliorando l’impulso e lo sgancio e
cercando inoltre di avvicinare il più possibile l’impulso alla posizione di
equilibrio del bilanciere.

196
4. Le vibrazioni
Un orologio indossato tutto il giorno è soggetto ad un numero considerevole
di vibrazioni o scosse che possano modificare in modo temporaneo la
rotazione del bilanciere.
In caso di colpo istantaneo, la velocità angolare del bilanciere ω diventa
ω + dω; se l’elongazione è φ per una amplitudine uguale a φ0 abbiamo

In base al segno di φ e dω avremo una diminuzione o un aumento del


periodo, quindi un anticipo o un ritardo del’orologio.
Le vibrazioni modificano il periodo di un bilanciere-spirale in funzione
della loro intensità e direzione, ovvero secondo il loro effetto sulla velocità
angolare del bilanciere e quindi secondo il valore dell’elongazione nel
momento in cui queste agiscono.

5. Il ribattimento
Certe scosse possono aumentare la velocità angolare del bilanciere al punto
tale che nello scappamento ad ancora la caviglia del plateau viene spinta
contro il dorso della forchetta che a sua volta è appoggiata alla spinetta di
limitazione. Questo fenomeno prende il nome di ribattimento e provoca un
forte incremento di marcia e quindi un anticipo dell’orologio.
Questo fatto è assai frequente e può essere causato non solo da scosse
accidentali ma anche da una molla di carica troppo forte o a causa di un
ingranamento difettoso.
L’eccesso di forza della molla motrice può essere dovuto ad un errore di
progettazione e in questo caso è possibile sostituirla con una più debole.
Può anche essere provocato da una tensione eccessiva causata dal
cricchetto di blocco della ruota di carica nel momento in cui la molla è
completamente carica.
Il ribattimento altera considerevolmente il periodo del bilanciere e può
modificare sensibilmente la marcia di un orologio.

197
Supponiamo che la forchetta appoggi contro la spinetta di limitazione e
che la caviglia del plateau A ad un certo punto si scontri con la parete
esterna della forchetta.
La caviglia percorre un certo angolo α rispetto alla linea dei centri,
l’elongazione del bilanciere è in quel momento

360 - α = φ

se ad un certo momento l’amplitudine φ0 è più grande di φ si ha il


ribattimento. Al momento dell’urto il bilanciere si arresta e viene respinto
indietro.
La durata della semi alternanza ascendente a causa del colpo è assai più
breve, poiché inizia quando il bilanciere ha già la velocità con cui la caviglia
viene respinta dalla forchetta.

198
6. Durata della semi alternanza ascendente
Sia T il periodo del bilanciere di momento di inerzia I accoppiato ad una
spirale di momento elastico C.

Per passare dall’elongazione 0 all’elongazione φ il bilanciere impiega il


tempo t e quindi

dove φ0 indica l’amplitudine del bilanciere.


La durata della semi alternanza ascendente è, nel caso del ribattimento,
uguale a t, ma avrebbe dovuto essere
La perturbazione Δ T1 della semi alternanza ascendente è

sostituendo

essendo ω1 la velocità angolare del bilanciere al momento dell’urto della


caviglia contro il dorso della forchetta, cioè un aumento dell’elongazione
del bilanciere φ

199
7. Durata della semi alternanza discendente

In seguito all’urto il bilanciere ha una velocità angolare che non è uguale


a ω1.

La velocità angolare corrisponde all’elongazione φ ad una


amplitudine , questo per un istante sconosciuto.

Possiamo quindi scrivere

da cui

Per passare dall’elongazione φ all’elongazione 0 (o viceversa), il bilanciere


impiega un tempo t’ che può essere calcolato considerando la velocità

angolare del bilanciere al momento dell’urto

La perturbazione della semi alternanza discendente è

200
8. Perturbazioni relative alla durata dell’alternanza
La perturbazione della durata dell’alternanza è

La perturbazione relativa alla durata dell’alternanza e minore della


perturbazione relativa al periodo è

Queste formule ci permettono di calcolare la variazione della marcia diurna.

9. Velocità angolare del bilanciere nel momento


dell’impulso
Per il calcolo si parte dalla formula

nella quale il momento di inerzia del corpo percuotente è lo stesso di quello


percosso e sono chiamati I1 e I2.
La velocità angolare prima e dopo il colpo è ω1 e ω2, la distanza dal
punto di impatto rispetto al centro di rotazione del bilanciere e dell’ancora
da r è ϱ e infine il coefficiente d’elasticità è ε (ε = 0 per corpi
completamente molli, ε = 1 per corpi perfettamente elastici).

201
In questo caso ω2 = 0 in quanto la forchetta è appoggiata contro una delle
spinette di limitazione, in più la forchetta non può essere spostata poiché il
momento di inerzia I2 è infinitamente grande.
La velocità angolare ω’1 si può esprimere come

quindi per corpi molli , per quelli perfettamente elastici .


Per meglio comprendere l’importanza della perturbazione apportata alla
marcia dell’orologio a causa del ribattimento, prendiamo il seguente
esempio

Calcoliamo innanzitutto ω’1

ω1 = 15,927 rad/s

per ε = 0, 5

calcoliamo ora φ’0

202
e sostituendo φ e φ0 con i loro valori otteniamo

φ’0 = 336°, 25

e infine

che riporta ad una variazione di marcia diurna pari a

μ = − (− 0,0411) 86400 = + 3551sec= 59min11 sec

Se il ribattimento che abbiamo calcolato nelle 24 ore si dovesse verificare


per un solo minuto, ovvero per 300 alternanze, la marcia dell’orologio
sarebbe alterata di

300 ΔT ≅ 4.9 sec

È quindi una perturbazione considerevole che porta sempre ad un anticipo


della marcia il cui valore dipende da φ0 e dalla durata del ribattimento.

203
10. La capacità di regolazione del bilanciere
Si definisce come l’insensibilità del bilanciere verso fattori che tendono a
modificarne il periodo.
Per dare un senso più ristretto a questa espressione possiamo considerare
le perturbazioni come delle forze: escludiamo per esempio la temperatura
che modifica il momento di inerzia del bilanciere e il momento elastico della
spirale.
Possiamo quindi cercare di dare a certe grandezze una espressione
matematica, rendendoci conto che dobbiamo considerare diversi fattori che
non sempre sono indipendenti gli uni dagli altri; questi fattori sono il
momento d’inerzia del bilanciere, l’amplitudine, il periodo e l’energia
cinetica massima del bilanciere-spirale.
La grandezza del bilanciere, il peso e l’amplitudine del bilanciere sono
parametri che portano ad avere la formula

P = I φ0

dove P è il potere regolante del bilanciere.


L’esperienza porta ad affermare che sarebbe ideale poter disporre di un
bilanciere - spirale con grande velocità angolare, ovvero un periodo breve e
una grande amplitudine.
Dalla formula però si desume che due bilancieri che hanno il medesimo
momento di inerzia hanno oscillazioni della stessa amplitudine e lo stesso
potere regolante qualunque sia il loro periodo. Haag propose la formula

dove R è il raggio di rotazione del bilanciere. Stupisce il fatto che nella


formula non siano contemplati né la massa del bilanciere né l’amplitudine,
in quanto il periodo dipende dal primo di questi due fattori.
J. e H. Grossmann ammisero che il potere regolante del bilanciere è
proporzionale al peso o alla massa del volano del bilanciere e del suo raggio
di rotazione e inversamente proporzionale al periodo, perciò proposero la
formula

204
ma in questa formula non troviamo più l’amplitudine.
Se dalla formula di Airy, applicabile per il calcolo di piccole
perturbazioni che possono modificare sensibilmente il movimento del
bilanciere-spirale

imponiamo

avremo

La perturbazione è tanto più piccola quanto minore è T1 e quanto φ0 è


grande.
Da non dimenticare che la funzione perturbatrice S e a volte
l’accelerazione γ contengono anche l’amplitudine.
Potremmo definire la capacità di regolazione del bilanciere con la
formula

Possiamo provare a fare intervenire l’energia cinetica massima del

205
bilanciere

da cui

La capacità di regolazione è quindi proporzionale all’energia cinetica


massima del bilanciere e inversamente proporzionale al momento d’inerzia
del bilanciere.

Il bilanciere regola meglio se il suo momento d’inerzia è tanto più grande e


se le oscillazioni sono rapide e di grande ampiezza.

11. Difetti di equilibratura del bilanciere


Consideriamo un bilanciere dove il centro di rotazione coincide con il suo
centro di gravità G.

206
Quando il bilanciere è a riposo la sua posizione di equilibrio è data dal
raggio OA

OG = λ ∢ GOA = β

L’orologio è posto in una posizione verticale e considerando una posizione


qualunque OB del bilanciere caratterizzato dall’elongazione φ, il centro di
gravità si troverà allora in G1

O G1 = λ ∢ G1 OA = φ+ β

Se il peso del bilanciere è P il suo momento rispetto a O sarà

- P λ sin (φ+ β)

e l’equazione del momento del bilanciere sarà data da

207
L’accelerazione dovuta all’eccentricità del bilanciere sarà

Applicando la formula di Airy

l’integrale prende la forma

il secondo integrale risulta nullo, in quanto con la differenza, i termini si


annullano a due a due, pertanto non rimane che sviluppare l’integrale

Sviluppando sin φ in serie otteniamo

208
Il termine generale di questa serie contiene l’integrale

integrando per parti e imponendo

avremo

dal momento che

209
avremo

moltiplicando e dividendo per

integrando avremo infine

da cui

Successivamente avremo

210
la serie diventerà

introducendola nella formula di Airy

da cui

211
introducendo il valore del momento elastico C della spirale

Le ultime due formule sono equivalenti a quelle di Philips che fu il primo a


risolvere questo problema.
Le formule dimostrano che la perturbazione del periodo dovuto ad un difetto
di equilibratura del bilanciere è direttamente proporzionale al prodotto Pλ e
al coseno dell’angolo β e inversamente proporzionale al momento elastico
della spirale che dipende inoltre dalla amplitudine; il calcolo mostra che il
valore della serie fra le parentesi quadre è ancora più grande se φ0 si riduce
di valore.
Il difetto di equilibratura del bilanciere porta ad un difetto di isocronismo.

Il segno della perturbazione dipende da quello del cos β e dal valore della
serie.
Per ha segno contrario a quello della serie.

Per .

Se β > 90°, cosβ risulta negativo e ha lo stesso segno della serie fra
le pa rentesi quadre.
Grossmann riuscì a calcolare un difetto di equilibratura ben definito sul
periodo di un bilanciere dato, supponendo che β = 0 ovvero quando a riposo
il baricentro del bilanciere si trova sopra l’asse supposto in posizione
orizzontale. La curva della figura rappresentano la marcia diurna μ in

212
funzione dell’amplitudine.

Quando φ0 varia da 0 a 300°, la curva taglia l’asse orizzontale in un punto


corrispondente all’amplitudine di 220°.
Il difetto di equilibratura studiato da Grossmann provoca un forte
anticipo a piccole ampiezze e tende a diminuire con il crescere di φ0.
Si annulla per φ0 ≅ 220°, per poi cambiare in ritardo con valori compresi
fra 220° < φ0 < 300°.
Se l’amplitudine varia, anche la marcia dell’orologio cambia di
conseguenza. La pratica suggerisce, nelle posizioni verticali dell’orologio,
di avere una ampiezza di circa 220° che corrisponde ad una ampiezza di
circa 270/300° nelle posizioni orizzontali. Anche se nelle posizioni
orizzontali i difetti di equilibratura non ne alterano il periodo.
Il difetto di isocronismo causato da quello di equilibratura del bilanciere
è molto importante: nel caso studiato da Grossmann, la marcia diurna si
modifica di 39 secondi quando l’amplitudine passa da 220° a 180°.
Se in un orologio posto in verticale si rileva una variazione di marcia
indipendente dall’ampiezza si può supporre che tale variazione non sia
causata da un difetto di equilibratura del bilanciere.
Questi difetti non hanno alcuna influenza sul periodo:

213
• Quando l’orologio è posto in orizzontale.
• Quando l’ampiezza è di circa 220°.
• Quando il baricentro del bilanciere a riposo, è dentro la posizione
verticale dell’orologio e sull’orizzontale passante per i centri di rotazione
(β = ± 90°, cos β=0).

L’equilibratura del bilanciere si verifica sull’attrezzo specifico detto


tavolino per l’equilibratura, composto da due lame in rubino o in acciaio
temprato, perfettamente parallele.

Il bilanciere viene posto fra le due lame in modo che solo i perni poggino
sulle lame.
Se il bilanciere è equilibrato rimane fermo, senza ruotare in tutte le
posizioni, se invece sussiste un difetto di equilibratura tende ad assumere la
posizione in cui il suo baricentro sarà più basso.
Un fattore che può falsare l’operazione è l’attrito dei perni sulle lame,
pertanto si dovrà prestare molta attenzione al posizionamento dell’asse e che
le lame siano perfettamente lisce e pulite.
L’equilibratura del bilanciere si esegue sempre con il plateau montato

214
sull’asse, ma all’atto del montaggio della spirale la virola, essendo tagliata,
ne modificherà leggermente l’equilibratura portando ad un difetto di
isocronismo.
In questo caso se l’equilibratura è perfetta basterà intervenire sul volano
dalla parte opposta al taglio della virola alleggerendo la corona del volano
per ripristinare l’equilibrio.
La formula di Philips contiene il fattore C a denominatore.
Il difetto di equilibratura del bilanciere ha molta più influenza rispetto al
momento elastico della spirale che sarà più debole.
In questo caso il peso P viene diminuito, ma non è detto che risolva il
problema della compensazione, in quanto C varia con il momento di inerzia
che non dipende solamente dalla massa o dal peso, ma anche dal quadrato
del raggio di rotazione.
Quindi per aumentare I senza aumentare P si deve spostare la massa dal
centro di rotazione.
L’amplitudine di 220° è da prediligere, in quanto a certe ampiezze il
bilanciere - spirale è insensibile ai difetti di equilibratura di una certa
consistenza come in genere si rileva.
Possiamo quindi dire che a certe amplitudini il potere regolante del
bilanciere è massimo, in quanto non viene influenzato da questi difetti di
equilibratura.
Il potere regolante del bilanciere diminuisce quando ci si allontana
dall’amplitudine di 220° sia in un senso che nell’altro.
La formula di Philips permette di rilevare la posizione dei centri di
gravità di un bilanciere a riposo in quanto contiene cos β che varia da +1 a
-1mentre i valori assoluti massimi corrispondono a β = 0 e β = 180°. In
queste due posizioni e per una data amplitudine, la marcia dell’orologio sarà
più grande, avanzerà in una posizione e ritarderà nell’altra.
Se si osserva quindi l’orologio da diverse posizioni verticali, si potrà
constatare che la marcia è più forte quando il centro di gravità è posto sulla
verticale passante per il centro di rotazione del bilanciere, se questo sarà
nella posizione superiore la marcia sarà positiva (anticipo), mentre se si
troverà nella parte bassa sarà negativa (ritardo) e questo tenuto conto del
valore φ0.
In effetti se l’ampiezza è minore di 220°, il centro di gravità posto nella
parte alta dell’asse produrrà un anticipo, mentre causerà un ritardo se φ0 >
220°.

215
12. Posizione del baricentro di un bilanciere non
equilibrato
Per determinare un eventuale intervento di modifica su un bilanciere non
equilibrato si deve osservare l’orologio nelle posizioni verticali facendolo
ruotare di 45° per volta e cercando di mantenere una amplitudine con
elongazione il più possibile vicina ai 220°.

Definiamo le differenti posizioni verticali come:


• CA posizione con corona di carica verso l’alto
• CB posizione con corona di carica verso il basso
• CD posizione con corona di carica verso destra
• CS posizione con corona di carica verso sinistra
• Se φ0 < 220° l’anticipo è massimo con β = 0

Se l’anticipo massimo è nella posizione CD si dovrà alleggerire il bilanciere


nella parte bassa rispetto alla posizione in cui si trova l’orologio.
Può accadere che l’anticipo massimo si abbia nelle posizioni verticali
intermedie e quindi fra due di quelle citate.
La regola da applicare in pratica è :
Per correggere un difetto di equilibratura del bilanciere lo si deve
alleggerire dalla parte più bassa, quando l’orologio posto nella posizione
verticale ha il maggior anticipo o ritardo, per una amplitudine inferiore ai
220°.
La marcia dell’orologio posto in verticale può essere influenzata anche
da altri fattori, per capire se dipende da un difetto di equilibratura la marcia
dovrà variare in base alle posizioni assunte nelle posizioni verticali
dell’orologio.
La formula di Philips può essere scritta come

216
Chiamando β il punto corrispondente alla posizione CA,
per CD il punto diventa
per CB il punto diventa π + β
per CS il punto diventa

la somma delle perturbazioni relative nelle quattro posizioni diventa

13. Semplificazione della formula di Philips


La funzione φ0 contenuta nelle formule di Philips viste in precedenza, resta
difficile da calcolare.
Keelhoff rielaborò la formula semplificandola e considerando che la
funzione φ0 potesse essere espressa con una serie di Fourier che non
contenesse il termine coseno poiché la funzione contiene solo esponenti
pari.
Chiamando y la funzione φ0 contenuta nelle formule di Philips, abbiamo

217
da cui

y = A0 + A1 cos mφ0 + A2 cos 2mφ0

Proviamo a determinare i quattro parametri A0, A1, A2 e m considerando che


la tangente alla curva y = f(φ0) è orizzontale per φ0 = 0 e φ0 = 300°

Kelhoff ottiene pertanto la formula

y = 0.3950 + 0.5658 cos 0.6 φ0 + 0.0392 cos 1.2 φ0

la formula di Philips prende allora la forma

che è più accessibile al calcolo e abbastanza precisa per le amplitudini che ci


interessano.
L’equazione

0.3950 + 0.5658 cos 0.6φ0 + 0.0392 cos 1.2φ0 = 0

restituisce un valore dell’amplitudine per il quale il difetto di equilibratura


del bilanciere non ha più alcun effetto sul periodo

φ0 = 223° 30’

14. Difetto di equilibratura dell’ancora

218
Se il baricentro del’ancora non si trova esattamente sul suo asse di
rotazione, il peso dell’ancora nelle posizioni verticali dell’orologio, esercita
una coppia che modifica la pressione della forchetta contro la caviglia del
plateau, alterando cosi il periodo del bilanciere-spirale.
Nel passato per cercare di compensare questo problema venivano
aggiunti dei contrappesi alla forchetta al fine di equilibrare l’ancora.
Cerchiamo di stabilire l’ordine di grandezza dell’influenza che può avere
un’ancora non equilibrata sul periodo del bilanciere e sulla marcia
dell’orologio per far questo prendiamo la formula di Airy

Per poter applicare questa formula dobbiamo determinare l’accelerazione


angolare provocata dal peso dell’ancora γ.
Siano O1 e O2 i centri dell’ancora e del bilanciere.
Ad un certo istante la caviglia del plateau, che per semplificare i calcoli
supporremo ridotta ad un punto, è in C.

219
Il baricentro G dell’ancora si trova ad una distanza GO2 = λ dal centro O2
dell’ancora e forma un angolo β con la retta O2 V.
Il momento del peso P dell’ancora rispetto al centro O2 è

Pλsinβ

quando l’asse della forchetta coincide con O2 O3.


Per una posizione qualunque dell’asse della forchetta, il momento P è

Pλsin (β+ α)

dove α è l’angolo caratteristico della forchetta

α = ∢ O3 O2 C

α si suppone positivo quando si apre nel senso della freccia 1 e negativo nel
caso contrario.
È importante determinare il momento P rispetto a O3, per fare questo si
deve trovare una relazione fra l’angolo α e l’elongazione corrispondente φ
del bilanciere.
Dal triangolo O3 O2 C nel quale O3 C = r e O3 O2 = a, si ha

Il peso P tende a far tornare nel senso della freccia, la forchetta che esercita
una pressione F sulla caviglia del Plateau, la quale reagisce con una
pressione uguale e contraria.
F è perpendicolare a O2 C, il momento di F rispetto ad O2 è uguale a
quello di p.

Pλsin (β+ α) = Fx

220
Definiamo la distanza O2 C per X, il momento di F rispetto ad O2 è M

avremo così

da cui

L’accelerazione γ che risulta dall’azione di P sulla caviglia vale

ed ha lo stesso segno di quella provocata dalla spirale.


La formula di Airy contiene sui segni di integrazione l’espressione di M,

221
dove il denominatore ha lo stesso valore di φ e - φ ed è lo stesso del fattore
(cosφ − n).
Integriamo dentro i limiti φ’ e - φ’ uguali e disegno contrario (φ’ è il semi
angolo di levata del bilanciere).
Il termine sinβ (cosφ − n) darà un risultato nullo e quindi la formula di
Airy diventa

sin (φ − β) = sinφ cos β − cosφ sinβ

come detto il risultato cosφ sinβ sarà nullo e quindi l’equazione relativa alla
perturbazione diventa

ma φ non supera quasi mai i 20° e quindi possiamo scrivere approssimando


senza grossi errori

e per 20° avremo

L’errore non è certo trascurabile, ma il presente calcolo può servire a fissare


un certo ordine di grandezza della perturbazione e per cui giustificare
l’utilizzo o l’abbandono del contrappeso.
La grandezza, integrandola, diventa

222
semplificando

223
e la perturbazione relativa ha finalmente valore

La presenza di cos β nella formula indica che la perturbazione dipende


dalla posizione dell’orologio.
Cos β può variare da +1 a -1 come il difetto di equilibratura del
bilanciere, per questa ragione l’ancora rende più difficile la regolazione
nelle posizioni verticali.
La presenza di φ0 indica che il difetto di equilibratura dell’ancora crea
un problema di isocronismo.
L’influenza del difetto di equilibratura dell’ancora risulta meno
trascurabile solo nel caso più sfavorevole dove β=0
Questo risultato giustifica l’abbandono del contrappeso alla forchetta.
L’influenza del peso dell’ancore sull’equilibratura è tanto più grande
quando l’amplitudine φ0 diventa piccola.

15. Difetti di equilibratura della spirale


Quando il baricentro della spirale non cade sull’asse di rotazione del
bilanciere, a causa del suo peso ne influenza il periodo.
Nel caso di una spirale il problema diventa più complicato in quanto essa
si deforma e il suo centro di gravità si sposta di conseguenza in base alla
contrazione o alla dilatazione.
La spirale è attaccata per una delle sue estremità alla virola a sua volta
fissata sull’asse bilanciere e l’altra estremità è fissata al pitone.
Durante la rotazione del bilanciere la spirale si contrae e le spire si
avvicinano alla virola e di conseguenza anche il suo baricentro, quando
invece la spirale si dilata le spire tornano verso il pitone e così sarà anche
per il baricentro.
Vediamo come trovare il baricentro di una spirale piana detta anche
spirale di Archimede.

224
16. Il centro di gravità di una spirale di Archimede
L’equazione di una spirale piana o spirale di Archimede è data da

r=aθ

dove r è il raggio vettore corrispondente all’angolo θ che forma un vettore


con direzione data pari a Ox.
a è una costante il cui valore è funzione del passo delle spire P

il momento di una curva riferito ad un asse è uguale alla somma dei prodotti
di ciascun elemento della curva rispetto alla loro distanza dall’asse,
considerando elementi infinitamente piccoli d’una curva AB.

I momenti Mx e My della curva rispetto agli assi Ox e Oy sono

225
Mx = ∫ydl My = ∫xdl

Il centro di gravità della curva per le coordinate xc e yc sarà

nella formula L è la lunghezza della corda AB.


Calcoliamo Mx e My per la spirale di Archimede.
La lunghezza L della spirale è data dalla formula approssimata

Se la spirale comincia all’origine O delle coordinate, un elemento dell’arco


sarà dato da

dl = aθdθ

r = aθ

X = r cosθ = aθ cosθ

Y = r sinθ = aθ sinθ

e per cui

Mx = ∫ydl = ∫aθ sinθ aθdθ = a2 ∫θ2 sinθdθ

Mx = a2[ − θ2 cosθ + 2∫θ cosθdθ]

226
Mx = a2[ − θ2 cosθ + 2 (θ sinθ − ∫sinθdθ)]

da cui

Mx = a2 [− θ2 cosθ + 2θ sinθ + 2 cosθ]

My = a2 [θ2 sinθ + 2θ cosθ − 2 sinθ]

per l’intera spirale θ = 0 θ = θ0 avremo

le coordinate del baricentro sono

Troviamo ora le coordinate del baricentro della spirale rispetto agli assi

e , dove l’asse passa per l’estremità della spirale

227
X’ = X cosθ0 + y sinθ0

y’ = - X sinθ0 + y cosθ0

introducendo nelle formule i valori Xc e yc otteniamo

I momenti della spirale rispetto ai nuovi assi sono

i nuovi valori delle coordinate del baricentro della spirale di Archimede


saranno

17. Le curve terminali delle spirali


Nel passato gli studiosi di orologeria si resero subito conto che la spirale
piana non centrata perfettamente poteva influenzare l’isocronismo,
introducendo delle perturbazioni dovute alla pressione che esercitavano le

228
spire sui perni dell’asse bilanciere con conseguente usura degli organi.
Si cercò quindi una soluzione per produrre una spirale che potesse
svilupparsi concentricamente all’asse del bilanciere.
Lo studioso di cronometria inglese Frosham (1810 - 1871) immaginò di
attaccare l’estremità esterna della spirale ad una molla flessibile in modo da
creare un pitone mobile, l’estremità della spirale poteva così seguire più o
meno il movimento delle altre spire.
Un’altra soluzione consisteva nel terminare la spirale elicoidale con due
curve e la spirale piana con una situata all’interno del piano parallelo al
piano della spirale stessa.
Queste curve furono già utilizzate nel XVIII secolo dall’orologiaio
francese Gourdain a cui successe John Arnold (1736-1799) per le spirali
cilindriche.
Infine Abraham-Louis Breguet (1747-1823) ebbe l’idea di applicare
questa soluzione alla spirale piana.
Le spirali piane dotate di due curve terminali prendono il nome di Spirali
Breguet. Tutti questi tentativi miravano ad un solo obiettivo: obbligare la
spirale a restare centrata sull’asse del bilanciere per sopprimere i difetti di
concentricità, dovuti allo spostamento delle spire durante il movimento, che
causano una pressione sui perni del bilanciere.
Le prime curve vennero realizzate un po’ alla buona, poi correggendo i
risultati di marcia dei cronografi si arrivò a determinare delle forme che
furono mantenute nel tempo e replicate.
Il problema della pressione sull’asse fu una preoccupazione per gli
orologiai come Berthoud che conosceva la regola dell’isocronismo
enunciata da Huygens:
Un corpo esegue oscillazioni isocrone, fintanto che è costantemente
sollecitato verso una posizione di riposo da una forza variabile,
proporzionale all’elongazione.

18. Le considerazioni di Philips


Nel 1860 Ed Philips studiò le condizioni da imporre ad una spirale cilindrica
per assicurare l’isocronismo delle oscillazioni del bilanciere-spirale.
Queste condizioni sono tre:
1. Il centro di gravità della spirale a riposo deve trovarsi al centro della

229
spirale, ovvero sull’asse del bilanciere.
2. Il centro di gravità della spirale in movimento deve restare sull’asse del
bilanciere.
3. La spirale non deve esercitare alcuna pressione sui perni del bilanciere.
Queste tre condizioni non sono inconciliabili, il problema è cercare di dare
alla spirale a riposo delle curve che la mantengano sul centro di gravita
dell’asse bilanciere.

19. La pressione laterale sui perni del bilanciere e


l’isocronismo
Per semplificare i calcoli e i disegni supponiamo di prendere una spirale
elicoidale di raggio r0 a riposo e di raggio r quando contratta.
La spirale piana (spirale di Archimede) può essere considerata come
formata da una successione di archi di cerchio infinitamente piccoli, di
raggio variabile da una arco all’altro e con centro in O, centro della spirale.
Diciamo che la spirale cilindrica si deforma ma che la proiezione delle
spire rimane un cerchio di centro O.

La formula che segue esprime la relazione fra r e r0 e l’angolo α di armo


della spirale contratta.

230
Supponiamo che la pressione laterale P sul perno non sia nulla, e siano X e Y
le componenti di questa pressione sugli assi Ox e Oy.
La somma dei momenti delle componenti rispetto ad O è

Yx - Xy

e l’equazione dei momento del bilanciere è

dove φ indica l’elongazione del bilanciere.


L’isocronismo però si ha se l’equazione ha la forma

ovvero se

Yx - Xy = 0

231
Moltiplicando per ds, lunghezza di un elemento infinitesimale della spirale,
otteniamo

Yx ds - Xy ds = 0

Y∫xds - X∫yds = 0

ma ∫xds rappresenta il momento della spirale di lunghezza L rispetto al


punto Oy. Questo è il prodotto della lunghezza L rispetto all’ascissa del
centro di gravità della spirale

∫xds = xcL ∫yds = yc L

Yxc L - Xyc L = 0

Yxc - Xyc = 0

L’equazione è quella della pressione laterale sui perni che diventa nulla se

xc = 0 yc = 0

Il baricentro di una spirale montata su un asse bilanciere, annulla i


momenti della pressione laterale sui perni se questo coincide con il centro
di rotazione dell’asse stesso e assicura l’isocronismo di oscillazione.
Nei cronometri di buona qualità che hanno la spirale che si sviluppa
concentricamente all’asse bilanciere, la pressione laterale sui perni deve
essere necessariamente piccola, anche in considerazione delle dimensioni
dei perni e dei cuscinetti ad essi annessi.
Lo sviluppo simmetrico della spirale permette di prevenire che la somma
delle pressioni laterali esercitate dai differenti elementi della spirale sia nulla
o quasi.

20. Il gioco della spirale fra le spinette di limitazione

232
della racchetta

L’influenza del gioco fra le spinette di limitazione è stata per lungo tempo
utilizzata dagli orologiai per la regolazione e la correzione di altri difetti di
marcia. Il calcolo dell’influenza del gioco fra le spinette si basa su due
ipotesi: si ammette che quando la spirale è posta fra le due spinette sia
bloccata, ovvero che la tangente al punto di serraggio conservi
costantemente la stessa direzione quando la spirale si deforma oppure si
ammette che la spirale appoggiata contro le spinette rimanga bloccata,
ovvero che la lunghezza attiva sia misurata dal punto di collegamento alla
virola al punto di appoggio con le spinette.
Partendo da queste due ipotesi il calcolo non può che condurci verso un
risultato approssimativo ma sufficiente per darci un ordine di grandezza
dell’influenza delle spinette sulla spirale.
La cosa importante da considerare è che l’isocronismo delle oscillazioni
del bilanciere-spirale è alterato a causa del gioco della spirale fra le spinette
ed è possibile modificarlo.
Quando la lama della spirale è libera fra le spinette si può presentare una
moltitudine di casi, in questa sede trattiamo solo i due casi estremi, caso A e
caso B.

233
Caso A - La lama della spirale a riposo fra le spinette si trova alla stessa
distanza dalle due senza toccarle.
Caso B - La lama della spirale a riposo è appoggiata ad una delle due
spinette

Vediamo il caso A.
Quando la spirale è in movimento tende ad espandersi e a contrarsi e di
conseguenza entrerà in contatto alternativamente con le due copiglie e
l’elongazione del bilanciere sarà φ0.
Durante la prima semi alternanza ascendente la lunghezza della spirale
sarà L + ΔL e l’elongazione passerà da 0 a φ1.
La lunghezza attiva della spirale diventa L quando la spirale entra in
contatto con una delle spinette.
L’elongazione passerà quindi da φ1 a φ0.
L è la lunghezza attiva normale della spirale partendo dalla virola fino
alla spinetta.

234
ΔL è la lunghezza della spirale compresa fra le spinette e il pitone.
φ0 è l’amplitudine del bilanciere corrispondente alle condizioni che si
realizzano quando la spirale è a riposo, nel nostro caso è l’amplitudine del
bilanciere spirale quando la lunghezza della spirale è L + ΔL.
Il momento elastico della spirale è C ’.

La prima parte dell’alternanza ascendente viene percorsa in un tempo t1

La seconda parte dell’alternanza ascendente ha inizio quando la lama della


spirale tocca una delle spinette, ovvero quando l’elongazione è φ1 e la
velocità angolare del bilanciere è ω1

Nel momento in cui la velocità angolare del bilanciere-spirale è ω1, il


momento elastico della spirale diventa bruscamente pari a C

Il momento elastico della spirale si oppone al movimento del bilanciere, che


verrà fermato prima che abbia compiuto l’elongazione φ0.
L’elongazione del bilanciere sarà quindi φ0 < φ0
La velocità angolare sarà quindi riferita a φ’0 e C quindi

235
La durata t2 della seconda parte della semi alternanza ascendente vale

Chiamando T il periodo normale corrispondente al valore C del momento


elastico della spirale

236
la durata normale della semi alternanza ascendente è da cui

237
da cui

e di conseguenza

238
la variazione della marcia diurna sarà quindi

e siccome x’ è quasi uguale a x possiamo scrivere

μ = − 18335 yx3

Dalla formula si evince che il ritardo aumenta sensibilmente quanto più


piccolo è il valore dell’amplitudine, quindi possiamo dire che:
quando la spirale a riposo si trova alla medesima distanza dalle spinette
poste sulla racchetta, le oscillazioni sono tanto più lente quanto più si
riduce l’ampiezza di oscillazione.
Ammettendo φ1 = 20° e facendo variare φ0 otteniamo alcuni valori di μ
che se riportati in un sistema di assi cartesiani rappresentano una curva di
questo genere

239
Dal grafico si evince come intervenendo sulle spinette per aumentare o
diminuire il ritardo, si vada ad influire pesantemente anche sull’ampiezza di
oscillazione.
Quindi eventuali regolazioni devono essere eseguite senza eccedere né in
un senso né nell’altro.
La tendenza attuale è quella di eliminare le spinette di regolazione e di
lasciare la spirale libera.

Vediamo ora il caso B.


Effettuando il calcolo per il caso in cui la spirale appoggi su una delle
due spinette restando nella posizione di equilibrio, e riportando i dati in un
grafico cartesiano, abbiamo una curva del tipo

240
che è nettamente differente da quella vista per il caso A.
Possiamo in questo caso dire che :
Quando a riposo, la spirale si trova appoggiata contro una delle due
spinette di limitazione poste sulla racchetta e si ha un anticipo della marcia
anche per piccoli archi.
Il gioco della spirale fra le spinette torna utile qualora si debbano ottenere
compensazioni di marcia anche con piccoli archi.
La diminuzione dell’elasticità della spirale dovuta ad un aumento della
temperatura può essere ugualmente compensata con una diminuzione del
momento di inerzia del bilanciere.
Questi due effetti dovranno dipendere dagli stessi fattori, la
compensazione sarà possibile se i due effetti sono uguali e di segno
contrario.
Maggiori fattori portano ad un difetto di isocronismo: lo scappamento, i
difetti di equilibratura, il gioco della spirale fra le spinette che può essere
corretto a livello globale giocando sulla regolazioni di alcuni di questi.

21. Cambiamenti dell’elasticità della spirale

241
La spirale di un orologio è soggetta a migliaia di contrazioni e dilatazioni
giornaliere, questo lavoro meccanico può in qualche modo influire
sull’elasticità iniziale della spirale modificandola a causa dello snervamento
delle fibre che compongono l’acciaio della spirale stessa.
Infatti da analisi fatte su orologi nuovi, si è notato che all’inizio
l’orologio tendeva ad accumulare un certo anticipo che andava via via
diminuendo fino a stabilizzarsi e questo lasciava presupporre che fosse
dovuto ad un aumento del modulo di elasticità della spirale.
Jaquerod dimostrò che il modulo di elasticità poteva variare in funzione
del numero di cicli a cui la spirale era sottoposta.
Per la dimostrazione pratica utilizzò un pendolo a torsione formato da un
filo sottile di 2 metri di lunghezza LL, fissato ad una estremità e con la
possibilità di essere messo in tensione grazie ad una pinza B collegata ad
una vite D posta all’altro capo del filo, mentre a metà del filo era fissato un
disco A con momento di inerzia I.
Imprimendo al disco A una determinata forza lo si faceva oscillare con
ampiezze basse φ0 ≅ 1° e si determinava il periodo T0 fin tanto che il filo
non si torceva.
Per torcere il filo si poteva ruotare la pinza di un angolo θ 1 poi si
metteva in oscillazione il disco A in modo che l’ampiezza fosse dell’ordine
di 1°.
Si faceva torcere il filo di giro, di 1 giro, giro etc. rilevando le misure
del periodo T1, T2, T3 etc.
Se il modulo di torsione era indipendente dallo stato di contrazione del
filo, si doveva avere

T0 = T1 = T2 = T3 =...

Le misure di Jaquerod dimostrarono che la realtà dei fatti era differente.


Vediamo quindi quali sono i parametri che lo definiscono partendo dal
periodo

242
In questa formula, C indica il momento elastico di torsione del filo, questo
momento dipende dalle dimensioni del filo e dal modulo di elasticità a
torsione G detto anche Modulo di Coulomb o Coefficiente di rigidità.
Per l’acciaio G ≅ 8*1011 dynes/c m2, mentre il Modulo di Young è E ≅
20* 1011 dynes/c m2

C = KG

Per un dato periodo e restando nella condizione ben definita dove I e K sono
costanti, se T cambia, la causa non può che essere il modulo G.
Sia G0 il modulo a torsione nel punto di contrazione nulla θ =0, e G1, G2
i valori del modulo per gli angoli di torsione θ1 e θ2 del filo.

243
Jaquerod sosteneva che per oscillazioni di scarsa ampiezza di un pendolo a
torsione il rapporto dei periodo aumenta con l’angolo θ, se il filo è in
acciaio.
Se il filo è in Elinvar il periodo inizialmente diminuisce per poi
aumentare.

Le curve rappresentano la variazione del rapporto , quando questo aumenta


diminuisce di conseguenza
Il grafico ci mostra inoltre che la diminuzione del modulo può attestarsi

244
intorno all’1% per una torsione di 6 giri.
Questo effetto è dunque considerevole come la variazione del periodo
corrispondente che vale

se si suppone T = 2 sec

che equivale ad una marcia diurna di μ = 435 sec.


Per studiare la variazione del modulo di Young, Jaquerod sostituì il filo
inferiore di una spirale cilindrica che aveva lavorato a flessione.
Il filo superiore dopo essere stato segmentato venne studiato e Jaquerod
poté constatare che il periodo della spirale varia con l’età e il numero di cicli
di lavoro della spirale (contrazioni e dilatazioni).
Le curve che seguono, rappresentano il periodo in funzione dell’angolo
di flessione della spirale.
Se la legge di Hooke fosse esatta, tutte le curve viste in questo paragrafo
dovrebbero essere delle linee parallele all’asse delle ascisse.
Se le oscillazioni di piccola ampiezza interessano i costruttori di orologi
a pendolo, potrebbero essere di minor interesse per i fabbricanti di orologi
da polso e da tasca.

245
Jaquerod mise a punto un sistema di coincidenze che permetteva di misurare
in modo molto preciso, il periodo di un pendolo di torsione e constatò che il
periodo variava con l’ampiezza.
Per gli orologi possono essere interessanti le seguenti constatazioni:
• Il periodo aumenta con l’amplitudine con spirali in acciaio al carbonio,
acciaio nichel non trattato, elinvar, SHD90, e cuproberillio.
• Per le spirali in acciaio nichel trattate 30 mina 710°, il periodo aumenta

246
con ampiezze di φ0 ≅ 80° : più diminuisce e più grande sarà l’amplitudine.
• Per le spirali in acciaio al carbonio riscaldate a 700° e raffreddate
bruscamente, in acciaio nichel non trattate, elinvar e SHD90, la curva del
periodo è in funzione dell’ampiezza e si appiattisce per ampiezze φ0 che
vanno dai 200° ai 400°.

Si può quindi prevedere per queste spirali una diminuzione del periodo solo
con piccole ampiezze e più suscettibili di compensare i ritardi dello
scappamento. L’elinvar e SHD90 obbediscono bene alla legge di Hooke per
piccole ampiezze. A partire dai 200° il modulo aumenta notevolmente,
mentre rallenta verso i 500°.

22. L’influenza della temperatura


Le variazioni di temperatura modificano le dimensioni del bilanciere e della
spirale e influiscono altresì sul modulo di elasticità della spirale.

247
Un incremento della temperatura aumenta le dimensioni del bilanciere,
del suo raggio di rotazione e quindi il suo momento d’inerzia, che si traduce
in un aumento del periodo del bilanciere-spirale, cioè in un ritardo di
marcia.
Non è però così facile da prevedere l’effetto del cambiamento delle
dimensioni della spirale sul periodo.
Il momento elastico a 0° gradi vale

Non teniamo conto per ora dell’influenza della temperatura su E e


chiamiamo α il coefficiente di dilatazione lineare del metallo della spirale.
Alla temperatura di θ° gradi il momento elastico Cθ

Cθ = C0 (1 + αθ)3

Il coefficiente α è un numero positivo dove Cθ > C0.


L’aumento della temperatura, aumentando le dimensioni della spirale,
porta ad un altrettanto aumento del momento elastico, ovvero diminuisce il
periodo del bilanciere-spirale facendo avanzare l’orologio.

eθ = e0 (1 + αθ + βθ2)

Il momento d’inerzia del bilanciere a 0° gradi

248
dove M indica la massa e ϱ0 il raggio di rotazione del bilanciere.
Sia α’il coefficiente di dilatazione lineare del metallo del bilanciere che
supponiamo essere monometallico, avremo

Si avrà quindi una certa compensazione dei due effetti e sarà data

dal momento che α è un numero piccolo

L’orologiaio non ha alcun interesse ad una compensazione di questo tipo in


quanto l’effetto principale derivante da un cambiamento di temperatura sulla
marcia dell’orologio proviene dalla variazione del modulo di elasticità della
spirale.
Il modulo varia con la temperatura e in prima approssimazione si può
esprimere come

249
Eθ = E0 (1+ βθ)

Il coefficiente β è negativo e per l’acciaio vale

β ≅ − 2.4 * 10−4

Se la temperatura aumenta di 1 grado il modulo diventa

E1 = E0 (1 − 2,4 * 10−4)

Considerando il cambiamento di modulo provocato da una variazione di 1


grado, avremo

La marcia diurna dell’orologio sarà quindi

250
μ = − 86400 * 1,2 * 10−4 = − 10,308 sec

L’esperienza insegna che un aumento della temperatura di 1 grado, in un


orologio con bilanciere monometallico e spirale in acciaio, porta ad un
ritardo giornaliero di circa 10/11 sec/giorno, causato dalla diminuzione del
modulo di elasticità della spirale.

Calcoliamo il ritardo dovuto ad un cambiamento delle dimensioni di un


bilanciere monometallico in ottone accoppiato ad una spirale in acciaio.

I coefficienti di dilatazione sono

La marcia diurna sarà pertanto

μ = − 86400 * 1,499 * 10−6 = - 0,129 sec

Possiamo quindi dire che l’influenza della temperatura è considerevole in


quanto in questo caso abbiamo considerato una variazione di 1 grado che

251
provoca un ritardo di marcia diurna pari a

- 10,368 - 0,129 ≅ -10,50 sec

Per compensare l’influenza della temperatura in modo razionale si deve


utilizzare comunque il risultato di una variazione della temperatura ma con
effetti indipendenti dall’ampiezza.

23. La compensazione termica di un bilanciere


bimetallico
Nel XVIII secolo vennero introdotti i bilancieri bimetallici la cui corona è
costituita da due lamine sovrapposte di due metalli differenti con
coefficienti di dilatazione termica diversi, in genere acciaio e ottone.
L’ottone si dilata maggiormente rispetto all’acciaio e contraendosi porta
ad una deformazione della lamina.
Nei bilancieri compensati degli orologi la lamina in ottone è posta
all’esterno della corona in modo tale che, in caso di un aumento della
temperatura, il bilanciere tenda a restringersi diminuendo il suo raggio di
rotazione e di conseguenza il suo momento d’inerzia, andando in questo
modo a compensare il ritardo introdotto dalla temperatura.
In aggiunta a questo, per migliorare la precisione della regolazione,
vennero inserite delle viti disposte in modo radiale alla corona del bilanciere
atte ad aumentare o diminuire in caso di necessità la massa della corona e
quindi la sua inerzia.

252
24. Il restauro delle spirali
Nelle attività di riparazione quotidiane capita sovente di trovarsi spirali
fortemente danneggiate, piegate o stirate.
Quando poi abbiamo a che fare con orologi antichi il problema che si
pone è ancora maggiore per via dell’impossibilità di recuperare eventuali
ricambi.
In questi casi viene in aiuto la tecnica di restauro che prevede, con
l’ausilio di pinzette ben affilate e di opportune dimensioni, di riportare la
spirale alla forma originale intervenendo sulla lama ed eliminando quanto
più possibile le deformazioni presenti.

I problemi che possono colpire la spirale sono essenzialmente di tre tipi


• Problema di centratura

253
• Problema di deflessione della lama
• Problema di planarità della lama

24.1. Centratura della spirale e deflessione della lama

Nel caso in cui la spirale sia fuori centro, il problema può essere dovuto ad
una deflessione della lama oppure in casi più lievi ad una deviazione del
profilo di piega.
In questo caso per intervenire si prende saldamente la lama con una
pinzetta ben affilata e con una seconda pinzetta di agisce nel punto di piega.

L’operazione si dovrà ripetere ogni qual volta ci si dovesse trovare con spire
fuori centro.
Le correzioni di eventuali deflessioni si eseguono nel medesimo modo
intervenendo iin maniera più decisa dove vi siano problemi di maggior
gravità.

254
24.2. Rimessa in piano della spirale

Riportare in piano una spirale deformata è l’operazione più difficile fra tutte
quelle viste, in quanto lo spostamento verticale delle spire può essere dovuto
sia alla flessione longitudinale della lama che a quella verticale o spesso ad
entrambe. Per quanto riguarda la flessione longitudinale si opera prendendo
la lama con due pinzette ed esercitando una torsione nella direzione opposta
a quella esistente.
Per quella verticale ci si dovrà munire di un piano semi morbido, come
potrebbe essere una assicella di legno, e con una pinzetta afferrare la lama
per poi spingerla nella direzione opposta a quella di piegatura.

255
256
Capitolo VI
Le resistenze passive o attriti

Tra le resistenze passive che assorbono una parte dell’energia trasmessa


possiamo menzionare l’azione dei perni dei vari mobili all’interno delle loro
sedi, boccole o rubini.
Negli orologi i perni in genere vengono realizzati in acciaio temprato e
lappato, il tenore della tempra e la qualità dell’acciaio utilizzato variano a
seconda dell’applicazione, dell’epoca e del pregio dell’orologio.
I rubini sono in genere realizzati o sinteticamente o con pietre preziose
tra cui appunto il rubino naturale, lo zaffiro o il granato e in genere sono
foggiati in modo tale da accogliere l’olio lubrificante.
Il movimento di un perno di un mobile all’interno del suo rubino è da
considerarsi un movimento di tipo alternato e il relativo spostamento
angolare varia da un mobile all’altro partendo dal bariletto fino alla ruota
scappamento.
Ad esempio una ruota scappamento da 15 denti si sposta di

per ogni alternanza del bilanciere, mentre l’albero della ruota dei minuti farà
1’12” nello stesso tempo.
Le condizioni di movimento dei perni all’interno di un orologio sono
complesse e si possono dividere fra movimenti veloci e di breve durata a
velocità variabile con amplitudini diverse fra una ruota e l’altra e in certi
casi possiamo riscontrare movimenti di rinculo la cui durata è ancora più
breve di quella di avanzamento.

257
Abbiamo poi il bilanciere con movimenti alternati di grande amplitudine
(circa 270°) con velocità variabile e senza apparenti periodi di riposo.
Per potersi approcciare quindi al calcolo degli attriti nei perni, si dovrà
semplificare il problema e accontentarsi di calcoli approssimativi.
Ammettendo quindi che l’attrito è indipendente dalla rotazione, si
procederà al calcolo assumendo un valore medio del coefficiente d’attrito,
trascurando l’effetto dissipativo dovuto agli urti durante la rotazione.
Il calcolo dell’attrito dei perni serve quindi a determinare l’ordine di
grandezza dell’energia assorbita e ci permette di fare delle considerazioni di
carattere pratico e delle comparazioni degli effetti dovuti agli attriti nelle
varie posizioni dell’orologio.
I casi che andremo ad analizzare si possono riassumere come segue:
• Perno in posizione orizzontale.
• Perno in posizione verticale senza contro-pietra.
• Spinte radiali sui perni.
• Perno in posizione verticale con contro-pietra.

Seguirà poi l’analisi delle finiture superficiali ottenibili con le lavorazioni


meccaniche per poi affrontare l’aspetto puramente pratico di realizzazione
di un perno e di come si può intervenire in caso di rottura dello stesso
realizzando il riporto di un nuovo elemento.

1. Attrito del perno in posizione orizzontale


Quando il mobile si trova in posizione orizzontale il punto di contatto dei
relativi perni sarà lungo tutta la lunghezza di appoggio, ovvero per tutta
l’altezza del rubino o della boccola.

258
Nel caso più semplice il valore dell’attrito è dato da

F = Pφ

dove P è la pressione esercitata dal perno sul rubino e φ è il coefficiente di


attrito fra il perno e il rubino.
In un orologio è anche frequente il caso in cui la superficie AB entri in
contatto con quella del rubino CD.
Non è possibile determinare con precisione questo valore di attrito poiché
è casuale e saltuario e proprio per via dell’incostanza con cui può presentarsi
lo si può considerare trascurabile ai fini del calcolo.
Calcoliamo quindi l’energia persa per attrito durante una intera rotazione
del perno all’interno del relativo rubino o boccola.
Il valore del lavoro dell’attrito durante la rotazione del perno di raggio r
vale

T=Pφ2πr

È possibile determinare la pressione P in modo approssimativo: è data dal


peso del mobile e dalla spinta radiale proveniente dal mobile successivo.
Il peso del mobile è supportato dai due perni e quindi ogni perno
supporterà P/2 ma quello che ci interessa calcolare è il valore del lavoro
totale dei due perni.
Stabilito che i due perni hanno le medesime dimensioni, e quindi raggi

259
uguali

da cui

T = π P φ (r’ + r”)

Per la riduzione degli attriti sarà naturalmente importante curare in modo


molto attento le finiture superficiali dei perni cercando di ottenere superfici
perfettamente cilindriche e con lucidatura a specchio.
E altresì importante il processo di lubrificazione e l’utilizzo di oli
lubrificanti adeguati come avremo modo di affrontare nei prossimi capitoli.

2. Attrito del perno in posizione verticale


Quando un perno si trova in posizione verticale si possono verificare due
condizioni:
a) Attrito dovuto al contatto della faccia dell’asse contro il rubino o la
boccola.
b) Attrito generato dal perno spinto contro la parete del foro del rubino o
della boccola.

260
Nel caso a l’attrito è generato dal peso P del mobile e sarà dovuto al
contatto della superficie della corona circolare dell’asse della ruota che vale

π(R2 - r2)

mentre la pressione per unità di superficie sarà

Per poter calcolare il lavoro dell’attrito durante un intero giro del perno
dobbiamo prendere in esame un elemento infinitesimo della corona di
rotazione e integrando si otterrà il valore totale.

261
L’elemento ds della superficie è compreso fra due circonferenze di raggio ρ
e (ρ+dρ) e compreso in un angolo infinitesimo θ, quindi

da cui

Potendo trascurare l’infinitesima parte di secondo ordine dρ2 si ottiene

ds = ρ dρ dθ

per cui il valore dell’attrito sarà

262
mentre il lavoro

da cui

Integrando si ottiene

da cui

è possibile esprimere T in funzione del raggio di appoggio L e del raggio


medio rm

263
e introducendo questo valore nella formula precedente otteniamo

in alcuni casi il valore risulta trascurabile ottenendo quindi

T = 2π P φ rm

oppure

T = 2π P φ (R + r)

L’attrito che si genera dal contatto del perno con la parete del foro del
rubino e della boccola è talvolta più considerevole di quanto non si sia
portati a pensare in quanto fortemente condizionato dalle spinte radiali
dovute ai mobili adiacenti e che sono in genere di intensità maggiore del
peso del singolo mobile.

3. La spinta radiale
La spinta radiale esercitata da un mobile su quello adiacente si scarica sui
perni generando attrito e una conseguente ulteriore perdita di energia oltre
quella dovuta al contatto del perno nella sua sede.
Se prendiamo ad esempio il caso di una ruota O’ che ingrana con un

264
pignone O”

il dente della ruota O’ esercita sull’ala del pignone O” una pressione p’

uguale ed opposta alla p” applicata all’ala del pignone O” e agente sul dente
della ruota O’.

In questo modo si ha una situazione di equilibrio e la risultante delle forze p’


e p” agente sull’asse del pignone O” è pari a

R = p’ + p” = 2p

in quanto le forze sono di uguale intensità.

265
Questa risultante ha il suo punto di applicazione sui due perni del
pignone spingendoli contro le pareti dei relativi rubini e sarà simmetrica se
il suo punto di applicazione sarà nel centro.

Il valore delle forze agenti sui perni sarà quindi funzione di R, dove

R = 2p

e più precisamente delle relative reazioni R’ e R” agenti sull’asse del


pignone AB

266
Le forze R, R’, R” sono fra loro in equilibrio e la somma algebrica dei loro
momenti rispetto ad un punto qualunque dell’asse su cui agiscono è uguale
zero. Le forze applicate ai perni si possono determinare come segue

la pressione esercitata su uno dei perni di O”, che nel nostro caso è la
distanza “a” dalla ruota O”, vale

Nella realtà delle cose la situazione si complica poiché in un movimento che


sia di un orologio da polso o una pendola vi troviamo altri mobili che
ingranano fra loro.

267
Prendiamo in esame il caso in cui oltre ai due mobili visti prima ve ne sia
anche un terzo.

Sul perno della ruota O” agiscono le forze R e R1, quest’ultima è generata

268
dalla ruota O‴ ed è perpendicolare a O” e O‴; la risultante di queste due
forze è Q’. Se chiamiamo θ l’angolo formato dalle due linee del poligono
delle forze la risultante Q’ sarà

Il valore della risultante è quindi funzione dell’angoloθ, per questa ragione


per contenere la pressione radiale sui perni si dovrà fare in modo di
contenere questo angolo disponendo i mobili nel modo più conveniente.

Vediamo ora il caso in cui il perno invece che essere libero alla sua
estremità sia supportato e che quindi possa appoggiare su un piano durante
la sua rotazione. Questa specifica configurazione in genere viene adottata
per gli assi bilanciere e talvolta per le ruote scappamento che, oltre ad avere
un semplice rubino, sono dotate di contro pietre sulle quali poggia il perno
quando si trova in posizione verticale.

269
4. Attrito di un perno verticale con appoggio
È il caso in cui il perno poggia su una superficie di sostegno che in
orologeria prende il nome di contro-pietra.
La parte terminale del perno ha una grande importanza, in quanto
responsabile di un maggior o minor rendimento dovuto all’attrito del perno
sulla contro-pietra.
Per questa ragione i perni degli assi bilanciere e comunque tutti quelli per
cui è previsto un lavoro in appoggio dovranno avere una punta con profilo
arrotondato per limitare l’attrito.
Prenderemo quindi in esame i due casi
• A perno con estremità piatta
• B perno con estremità arrotondata

Vediamo cosa succede se dovessimo ipotizzare di avere un perno con punta


completamente piatta in appoggio sulla contro-pietra.

La superficie di contatto sarà quindi la sezione del perno di raggio r,


pertanto il lavoro di attrito del perno sarà

Un perno completamente piatto in genere non è ammissibile e può essere


considerato un caso estremo, come potrebbe anche essere il caso di un perno

270
che termini perfettamente a punta.
In questo caso l’attrito sarà nullo in quanto il raggio della superficie di
appoggio sarà molto piccolo e quindi trascurabile.
La punta però con il tempo tenderà a smussarsi e a dare origine ad una
superficie piatta sempre maggiore quanto maggiore sarà l’usura.
Nella pratica generale e quindi nella realtà delle cose il perno termina
sempre con una forma arrotondata (caso B), ma anche in questo caso l’usura
porterà ad un appiattimento della punta incrementando il lavoro di attrito.

Per quanto sopra, non potendo conoscere a priori lo stato di usura di un


perno o di quanto potenzialmente potrà deteriorarsi nel tempo, si considera
per il calcolo una via di mezzo fra i due casi estremi

che contempla una superficie d’attrito pari a

Considerando che la P non varia, la parte di energia da bilanciare persa per


attrito è quindi tre volte più grande quando l’orologio viene messo in
posizione verticale che non in quella orizzontale.

271
L’attrito quindi si traduce in una perdita di energia che porta ad una
diminuzione dell’ampiezza di oscillazione del bilanciere nelle posizioni
verticali ripercuotendosi sulla stabilità di marcia dell’orologio.
Affrontato il tema del calcolo dell’attrito, possiamo passare ora ad
affrontare quello del dimensionamento dei perni per poi entrare nel merito
della realizzazione pratica.

272
Capitolo VII
Dimensionamento e tornitura di perni e
assi

Come abbiamo visto, un mobile inserito fra le platine e nei rispettivi


cuscinetti si può assimilare per semplificazione da una trave vincolata ai due
estremi, sui quali, a causa del peso proprio e delle spinte agenti fra le ruote,
si generano delle forze dette reazioni vincolari.

Le reazioni vincolari non sono altro quindi che la risultante delle forze
applicate all’asse del mobile in esame.
I perni sono sempre posti all’estremità dell’albero e per questa ragione si
dicono perni di estremità, inoltre dal momento che ruotano all’interno dei

273
rubini strisciando sulla superficie del foro, prendono il nome di perni di
strisciamento. Per il dimensionamento prendiamo in considerazione un
perno di estremità sul quale agisce una reazione vincolare F.

Poiché il perno poggia sul relativo rubino è ragionevole ritenere che il carico
F sia uniformemente distribuito su tutta la superficie di appoggio ovvero su
tutta la lunghezza del perno L.
Le incognite saranno quindi la lunghezza del perno e il diametro dello
stesso che dovrà essere tale da poter sopportare il carico di rottura F.
A causa del carico F il perno che possiamo assimilare per semplicità ad
una trave a mensola sarà soggetto ad un momento flettente

Trascurando lo sforzo di taglio che sarà comunque di valore inferiore,


abbiamo

274
dove Wf è il modulo di resistenza a flessione e ρ rappresenta la sigma di
rottura dell’acciaio del perno e per questo dovrà essere inferiore al carico di
sicurezza K e pertanto

per una sezione circolare piena

da cui

La lunghezza che rimane ancora incognita può essere determinata in base


allo spessore della platina o a quello del rubino nel quale alloggerà il perno,
oppure è possibile riferirsi a parametri prestabiliti.

275
Adesso che abbiamo chiarito quali sono gli sforzi agenti sui perni e come si
dimensiona un perno, andiamo ad analizzare la parte riguardante l’aspetto
pratico di ricostruzione con l’ausilio del tornio.
Vedremo anche le tecniche che ci consentono di rimpiazzare un perno
rotto senza dover necessariamente ricostruire l’intero asse.

1. Riporto e tornitura dei perni


In orologeria capita molto sovente di trovarsi di fronte ad un perno rotto di
un mobile o di un asse bilanciere e, anche se l’operazione in sé potrebbe
sembrare banale, quando la si rapporta alle dimensioni tipiche
dell’orologeria le difficoltà si manifestano in tutta la loro grandezza.
Il riporto di un perno su di un asse di dimensioni molto piccole comporta
l’utilizzo di metodi e procedure che solo in parte possono rifarsi a quanto
previsto dalla meccanica tradizionale.
In genere il riporto di un perno viene eseguito per calettamento forzato
tramite pressa a freddo o tramite accoppiamento a caldo sfruttando le
proprietà di dilatazione termica degli acciai sottoposti a forte riscaldamento.
Per comprendere meglio le differenze che intercorrono fra le tecniche
tradizionali e quelle richieste dall’orologeria, cominciamo con una semplice
panoramica riguardo il calettamento a caldo.
Gli acciai (come altri materiali) se riscaldati tendono a subire delle
deformazioni che sono proporzionali alla loro geometria.
Ad esempio un corpo filiforme di forma cilindrica, come potrebbe essere
un perno, se sottoposto a riscaldamento tenderà ad allungarsi restringendo la
sua sezione, per poi ritornare alle dimensioni originali una volta raffreddato.
Un cilindro cavo, come ad esempio un tratto di asse forato, se riscaldato
tenderà a dilatarsi aumentando quindi la dimensione relativa del suo foro.
Sfruttando questa caratteristica, che è funzione del coefficiente di
dilatazione termica dei materiali, con opportune tolleranze è possibile
accoppiare due corpi in modo stabile e questa operazione è appunto
chiamata “accoppiamento a caldo”.
È facile comprendere come le tolleranze di lavorazione e la temperatura
di riscaldamento giochino un ruolo determinante per la buona riuscita di
questa operazione e di conseguenza come questa stessa operazione non sia
applicabile su componenti estremamente piccoli come gli assi degli orologi

276
tradizionali.
Infatti, oltre ad un problema legato al corretto ottenimento delle
tolleranze previste, vi è poi il fattore riscaldamento che inciderebbe in modo
grave sulla stabilità di eventuali altri organi calettati sul nostro asse (ad
esempio una ruota dentata in ottone) e sul mantenimento della temperatura
necessaria all’operazione di calettamento, in quanto il pezzo, per via delle
ridottissime dimensioni, tenderebbe a raffreddarsi in modo estremamente
repentino non consentendo quindi all’operatore di portare a termine il
lavoro.
Per queste ragioni il processo di riporto viene sempre eseguito a freddo
sfruttando le tolleranze in modo da avere un calettamento con interferenza o
incerto (il termine incerto identifica un accoppiamento la cui tolleranza
prevede una interferenza voluta).
Lo strumento di cui necessiteremo e di cui non potremo fare a meno è il
tornio possibilmente dotato di torretta della contropunta estraibile e con
mandrino o pinza atti ad ospitare la punta.

2. Le punte a forare
Una delle necessità più ricorrenti durante le operazioni di tornitura è quella
della foratura del pezzo.
La foratura si esegue direttamente sul tornio grazie alla torretta a forare
che può assumere forme e dimensioni differenti in base alle dimensioni del
tornio, ma che di principio svolge sempre il medesimo lavoro, ovvero quello
di far avanzare longitudinalmente la punta a forare.
Le punte più usate sono quelle elicoidali, anche se nel passato, quando le
tecnologie erano meno avanzate, per eseguire fori di piccole dimensioni
venivano adottate le punte a lancia, spesso realizzate artigianalmente
ricavandole da barrette di acciaio temprato.
Lo svantaggio era la scarsa capacità di taglio e il limitato utilizzo su
metalli non troppo duri come le leghe di rame, ottone e bronzo.

277
Oggi grazie alle nuove tecnologie si è arrivati a realizzare punte elicoidali ad
alta resistenza in acciai legati come l’HSS, l’acciaio al cobalto e le speciali
punte elicoidali al carburo di tungsteno capaci di forare agevolmente anche
l’acciaio più duro.
Sconosciute alla maggior parte dei professionisti fino a pochi anni fa,
queste punte partono da diametri 0,1 mm fino a qualche millimetro,
rimangono comunque di difficile utilizzo per via della loro estrema fragilità
che ne limita moltissimo il loro impiego.

Per un corretto utilizzo di queste punte è necessario disporre di torni con


elevato grado di precisione, di buona manualità e precisione nel realizzare il
centrino di foratura e una buona sensibilità nelle operazioni di foratura, ma
spesso anche in presenza di tutti questi accorgimenti le punte tendono a
rompersi improvvisamente senza apparente motivo.

278
3. La foratura al tornio
Negli anni e con l’esperienza maturata in questo tipo di lavori sono stati
individuati diversi fattori di rischio limitando così in gran parte il fenomeno
della rottura delle punte che però persiste se si oltrepassano alcuni
parametri, primo fra tutti la profondità di foratura.
Le punte sono caratterizzate da un gambo da 3,2 mm e punta che in
genere parte da un diametro di 0,1 mm a salire.

Per eseguire la foratura al tornio si fissa il pezzo da forare nel mandrino o


nella pinza e la punta viene posta nella contropunta dotata anch’essa di
mandrino o di pinza.
La prima operazione da eseguire, che è anche quella più importante per
ottenere un foro perfettamente centrato, consiste nel realizzare il centrino di
foratura. Per la creazione dei centrini sono in commercio specifiche punte
da centro di diversi diametri in funzione della punta che si intende adottare
per realizzare la prima foratura.
Sono in genere realizzate in HSS e il diametro più piccolo è normalmente
pari a 0,5 mm.

279
Nel campo dell’orologeria capita però di dover eseguire fori anche
dell’ordine di 0,1 mm e quindi nasce la necessità di dover realizzare un
centrino di opportune dimensioni.
In questo casi si ricorre all’uso del bulino a mano e si realizza il centrino
partendo dal centro del pezzo in rotazione, premendo con la punta del bulino
fino a realizzare un piccolo foro conico.

È molto importante quando si esegue questa lavorazione prestare attenzione


alla realizzazione del cono che deve terminare perfettamente a punta.

280
È facile che l’utensile scivoli leggermente verso l’esterno senza intercettare
il centro di rotazione comportando così la creazione di un piccolo cono
positivo centrale che porterebbe la punta fuori centro all’atto della foratura.

Dopo aver eseguito il centrino si procede con la foratura mettendo in


rotazione il pezzo e avanzando con la punta che resta ferma nella pinza

281
senza ruotare.
È chiaro che per eseguire un foro perfettamente centrato gli allineamenti
fra punta e pezzo da forare devono essere perfetti, ma questo nella realtà non
accade e per quanto piccoli possano essere i disallineamenti, saranno sempre
comunque presenti portando la punta a flettersi in modo più o meno
sensibile in base all’errore della macchina.

In prima analisi si potrebbe essere portati a pensare che sia la flessione a far
rompere la punta in quanto questa aumenta con l’aumentare della profondità
di foratura ed essendo la punta fragile questa arriva ad un certo punto fino a
rompersi, ma in realtà non è cosi in quanto subentrano altri aspetti legati alla
dinamica di foratura come la fatica, ma non solo!

Come è facile intuire, essendo la punta ferma e il pezzo in rotazione attorno


ad essa, l’angolo di inclinazione e quindi l’errore di centratura della punta,
oltre ad aumentare con la profondità di foratura, si sposta lungo l’asse di
foratura sottoponendo quindi la parte più estrema della punta per forare ad
una traiettoria circolare che tende ad aumentare in modo molto sensibile
anche a fronte di piccolissimi avanzamenti.
Questo tipo di sollecitazione sottopone la punta a forare ad uno sforzo
per fatica, oltre a quello dovuto alla flessione, che la pone in una condizione

282
di lavoro non favorevole, ma questo non è il solo motivo per cui la punta si
rompe.
Il vero problema è rappresentato dai due punti di contatto fra la punta e il
pezzo in rotazione indicati dalle frecce che diventano dei veri e propri punti
di strisciamento che impediscono alla punta di avanzare e che altresì creano
una coppia di rottura.
Questo spiega perché con le punte al carburo più sottili diventa
praticamente impossibile ottenere profondità di foratura oltre un ben preciso
punto massimo di lavoro.

4. Parametri di lavoro per la foratura


La punta elicoidale è dotata di due taglienti con relativi angoli di spoglia
caratteristici come quelli da tornio ai quali in massima parte possono essere
assimilati, in quanto gli sforzi di taglio sono sostanzialmente gli stessi.
Per questa ragione il calcolo della velocità di taglio si esegue con la
stessa formula vista per il tornio.
Avremo quindi

dove
D = Diametro della punta
ωt = numero di giri della punta

283
Possiamo quindi vedere come il numero di giri sia un parametro molto
importante in funzione del diametro della punta.
Nello specifico, quando si fa uso di punte molto sottili come quelle al
carburo usate in orologeria, lavorare con il corretto numero di giri diventa
molto importante.
Prendiamo ad esempio una punta da 0,1 mm di diametro, avremo per
forare un acciaio duro

Mentre per una punta da 1 mm avremo

284
Il numero di giri derivante dal calcolo deve essere inteso come indicativo e
solo l’esperienza può portare ad un corretto utilizzo delle punte scelte.

5. L’affilatura delle punte elicoidali


Un aspetto fondamentale per avere il massimo rendimento della punta
durante la foratura è l’affilatura.
Anche se può sembrare semplice, l’affilatura corretta delle punte
elicoidali richiede molta pratica ed esperienza, in quanto i due taglienti
dovranno essere, oltre che inclinati nel modo giusto, anche essere
perfettamente simmetrici ed essere foggiati secondo uno specifico evolvente
per facilitare lo scarico del truciolo.
L’affilatura delle punte si può effettuare con una normale mola da banco
e deve seguire una procedura ben precisa.
Molto importante è l’angolo fra i taglienti che varia in funzione del tipo
di materiale da forare.
I principali angoli φ sono:
1. Alluminio 100 - 140°
2. Acciai al Ni e NiCr 118°
3. Acciai non legati 118°
4. Materiali edili 80°

285
L’affilatura deve essere quindi eseguita in modo tale da rispettare il corretto
angolo di taglio e lo sviluppo del cono della punta.
Inoltre per migliorare lo scarico del truciolo, quando ad esempio sono
richieste delle forature molto profonde, si adotta un particolare sistema di
molatura del contro-tagliente.
Per quanto riguarda invece le punte al carburo, trattandosi di punte
estremamente fragili e di piccole dimensioni, si consiglia dopo un certo
numero di forature la loro sostituzione per prevenire eventuali rotture
improvvise della punta all’interno del pezzo in lavorazione.

6. La foratura con la fresatrice


Dovendo forare componenti che non siano di forma cilindrica, è possibile
eseguire la foratura con il trapano a colonna o la fresatrice.
Quest’ultima consente di ottenere posizionamenti e precisioni maggiori
anche in funzione del tipo di macchina andremo ad utilizzare.
Per la foratura di precisione in orologeria è possibile utilizzare appositi
centratori ottici, detti microscopi di centraggio, che montati sull’asse di
rotazione della fresatrice consentono di vedere ad ingrandimenti dell’ordine
dei 20x il pezzo da forare.

286
Grazie ad una speciale divisione all’interno del sistema ottico permettono
posizionamenti estremamente precisi nel punto desiderato.

287
7. La foratura con il trapano a colonna
Il trapano a colonna può assumere dimensioni anche molto elevate, ma fra
questi ne sono stati prodotti alcuni modelli di altissima precisione con i quali
è possibile realizzare fori anche con punte da 0,2 mm su acciai temprati.

Sono caratterizzati da dimensioni abbastanza ridotte tali da renderli


posizionabili sul banco di lavoro, hanno generalmente un numero di giri
elevato che può arrivare anche oltre i 5000 giri/min e sono dotati di piccoli

288
mandrini di alta precisione e totale assenza di vibrazioni ed eccentricità di
rotazione della punta.

8. L’operazione di riporto del perno


Le punte atte a svolgere l’operazione di foratura possono essere di tipo
elicoidale o i classici e antichi foretti, anche se questi ultimi sono
principalmente adatti alla foratura di materiali duttili come l’ottone e le sue
leghe.
Per i materiali particolarmente duri si usano le punte elicoidali al carburo
di tungsteno o al cobalto, mentre per gli acciai al carbonio da costruzione
come il C40/C45 possono essere utilizzate le normali punte HSS.
L’operazione di foratura si esegue al tornio facendo l’opportuno centrino,
per poi procedere con la punta elicoidale.
Per l’esecuzione corretta del foro si devono tenere in evidenza alcuni
aspetti importanti, primi fra tutti il raffreddamento e la lubrificazione della
punta durante l’operazione di taglio.
Un cattivo raffreddamento della punta, come anche un avanzamento
troppo rapido, oltre a compromettere l’integrità della punta stessa fa sì che si
crei un riscaldamento localizzato in prossimità dei taglienti della punta,
portando all’incrudimento del materiale da forare e un conseguente
repentino deterioramento dei taglienti stessi.

289
Eseguito il foro, si dovrà procedere con la tornitura del terminale che
andremo ad accoppiare con l’asse e dal quale andremo poi a ricavare il
perno finito.
Di massima si prescrive che la lunghezza del terminale da calettare sia
circa tre volte il diametro dello stesso, questo per garantire una corretta
tenuta all’interno del foro.

Come abbiamo detto l’accoppiamento dovrà avvenire per interferenza e per


una corretta valutazione delle tolleranze sarà buona norma provare a calzare
parzialmente l’asse sul perno prima di tagliarlo a misura.

290
Una volta sicuri di aver raggiunto il diametro corretto, andremo ad eseguire
il taglio alla base del perno a, facendo in modo di tenere una lunghezza
sufficiente per le operazioni di finitura successive.

Tagliato il perno, procederemo al calettamento forzato che potremo eseguire

291
o direttamente sul tornio, con punzoniera, oppure a mano avvalendoci di un
supporto adeguato.

Fissato il perno in modo stabile, non rimarrà che riprenderlo al tornio per
eseguire la messa in misura definitiva.

292
Portato a misura, si dovrà procedere con la lucidatura utilizzando i brunitori,
che come sappiamo oltre a rendere la superficie lucida, le conferiscono
anche una maggior durezza.

Ci si trova spesso a dover affrontare la scomoda situazione nella quale il


foro eseguito sull’asse risulti fuori centro, o per un nostro errore di foratura
o perché qualcuno in precedenza l’aveva eseguito male.

293
Per compensare l’eccentricità del foro sarà necessario inserire un perno di
dimensioni tali che, una volta tornito a misura grazie alla proprietà della
tornitura, possa ritornare ad essere perfettamente concentrico all’albero
principale.

La procedura con la quale si esegue il riporto del perno è sostanzialmente


uguale a quella vista prima, l’unico accorgimento rimane la dimensione del

294
riporto e la cura con la quale andremo a riprendere di tornitura il perno
riportato.

Di seguito una sequenza fotografica che ci illustra il lavoro durante le varie


fasi.

Albero con foro eccentrico e fuori asse

295
Preparazione del perno da riportare

Prova di calettamento del nuovo perno sull’asse

296
Perno tagliato e calettato

Sgrossatura del nuovo perno

297
Perno finito e lucidato

Perno riportato e perfettamente centrato

298
9. La finitura superficiale dei perni
Come abbiamo visto, la finitura superficiale dei perni riveste una notevole
importanza in quanto causa principale di dissipazione di energia dovuta a
strisciamento.
Vista l’importanza della finitura superficiale da conferire alle superfici
destinate a strisciamento come i perni degli assi in genere, vediamo nello
specifico quali sono i parametri implicati in questo delicato aspetto.
Partiamo quindi dalla definizione di finitura superficiale di un pezzo
lavorato con le macchine utensili, che in gergo tecnico prende il nome di
rugosità.
La rugosità non è altro che una serie di piccolissimi picchi e avvallamenti
che caratterizzano la superficie del pezzo e tanto questi sono profondi e
marcati tanto più la rugosità è considerata maggiore.
Ogni lavorazione porta ad avere una finitura superficiale specifica che è
data da tanti fattori, tra cui la natura del materiale, il mezzo con il quale si
esegue la lavorazione, l’utensile utilizzato, i parametri di taglio, etc.
Queste finiture sono state normate e riassunte per tipologia di lavorazione
in specifiche tabelle.
Quello che a noi interessa principalmente è la finitura ottenuta dalla
tornitura per asportazione di truciolo, ovvero quella che si esegue con il
tornio parallelo tramite l’utensile da taglio montato su carro croce o nel caso
specifico con bulino a mano.
La finitura superficiale può variare notevolmente anche su una stessa
macchina e con lo stesso utensile soltanto modificando i parametri di taglio,

299
che sono il numero di giri e l’avanzamento che a loro volta sono funzione
della natura del materiale da lavorare, del materiale con il quale è realizzato
l’utensile da taglio e della dimensione del pezzo da tornire.
Variando questi parametri si possono ottenere diverse finiture e quindi
diverse rugosità, ma mai scendere sotto il limite minimo dato dal tipo di
lavorazione.
Nella pratica la finitura superficiale si può apprezzare in diversi modi più
o meno avanzati, ma il modo più comune rimane il tatto e l’ispezione visiva.
Come è facilmente intuibile un pezzo rugoso appare ruvido al tatto e
dalla superficie incerta alla vista, inoltre la luce gioca un ruolo determinante
in quanto le varie sfaccettature della superficie irregolare la riflettono in
modo differente dandoci una percezione immediata di irregolarità.
Come abbiamo avuto modo ormai di apprendere, forti rugosità generano
forti attriti, e quindi in determinate applicazioni dove le forze in gioco sono
molto piccole, per far sì che determinati componenti possano mantenere il
loro stato di moto, diventa necessario ridurre al massimo gli attriti e quindi
la rugosità dei componenti a contatto come perni e boccole.
Trattandosi in genere di componenti molto piccoli, dell’ordine di pochi
decimi fino a scendere a pochi centesimi di millimetro, diventa di vitale
importanza ottenere superfici estremamente lisce e quindi con rugosità
tendenti a zero.
Partendo quindi dalla tornitura la fase successiva che viene adottata in
orologeria come mezzo per ridurre quanto più possibile la rugosità prende il
nome di brunitura.
La brunitura è una lavorazione di tipo meccanico atta ad ottenere una
sorta di schiacciamento delle creste tipiche della rugosità, stirando anche in
parte le fibre superficiali, conferendo quindi un aspetto più liscio al
componente.
Questa operazione viene eseguita manualmente per mezzo di appositi
utensili chiamati appunto brunitori o in alcuni casi, grazie ad una maggior
sofisticazione, tramite appositi dischi di acciaio controllati meccanicamente.
In passato sono state pensate e realizzate macchine ad hoc dette tornietti
a pivottare o pivotter o simili con le quali, grazie ad apposite dime, si poteva
portare a misura il perno e nel contempo renderlo lucido grazie
all’operazione di brunitura.
Fatta questa premessa possiamo entrare nel merito di come ottenere una
buona finitura superficiale e soprattutto come poterla apprezzare senza farsi

300
trarre in inganno dalle foto realizzate ad elevato ingrandimento che possono
divenire per certi versi fuorvianti.
Per cominciare quindi inserisco una foto di tre perni di acciaio identici
fra loro del diametro di 1,6 mm che sono stati lavorati con il tornio.
L’ingrandimento è di 7x in modo da poterne apprezzare la finitura
superficiale passando da quella meno curata a quella più curata.

Guardando la foto dei perni ci si accorge subito di alcune differenze fra la


finitura superficiale del primo a sinistra rispetto a quelli che seguono verso
destra.
Il primo a sinistra appare meno lucido e si tende a scorgere una superficie
più rugosa.
Questa superficie è tipica della tornitura per asportazione di truciolo
anche quando si usano utensili molto affilati.
Le altre finiture che vedremo in seguito sono invece date dalla brunitura
e dalla brunitura più lucidatura con pasta.
Adesso proseguiamo la nostra indagine visiva spingendoci un pochino
oltre l’ingrandimento precedente per cercare di apprezzare meglio le
differenze fra le tre superfici, ma anche per cominciare a comprendere come
grazie all’ingrandimento determinati particolari possano risultare fortemente
diversi da una normale osservazione.
In questa foto vediamo gli stessi perni ingranditi a 15x.

301
Volendo esplorare in modo più accurato la superficie del pezzo in modo di
riuscire ad apprezzare meglio la configurazione della rugosità, raddoppiamo
l’ingrandimento e passiamo a 30x.

302
Sicuramente le cose cominciano ad essere più chiare ed è più facile
comprendere gli effetti della brunitura rispetto alla semplice lavorazione di
tornitura, ma ancora non abbastanza per distinguere delle differenze
sostanziali fra i due processi di brunita e brunitura/lucidatura, quindi
spingiamoci ancora un pochino oltre e andiamo a 45x.
Quello che vediamo nella foto seguente è il perno lavorato solo con
l’utensile e come si può notare mostra una rugosità abbastanza accentuata,
anche se a questo ingrandimento può apparire quasi come una filettatura.

Passiamo ora a quello lavorato con semplice brunitore, che nel caso
specifico è stato usato senza supporti a mano libera sul tornio.
Come possiamo notare le righe cominciano a sparire e la superficie ci
appare più lucida e omogenea anche se non proprio perfetta.
Il solo brunitore per quanto lo si tenga pulito e magari oliato, per sua
natura tende sempre e comunque ad asportare piccole particelle di metallo
che in qualche modo tendono a rigare la superficie, sia che lo si faccia a
mano libera sia con supporto specifico per la brunitura.
La terza foto ci mostra la finitura che si ottiene passando il brunitore per
poi finire con la lucidatura con pasta specifica, che può essere ad esempio la
diamantina, disponibile per altro in diverse granulometrie.

303
Da un confronto diretto questo ingrandimento sembra di non riuscire a
rilevare particolari differenze e questo perché la pasta abrasiva lavora a
livello infinitesimale eliminando le micro rugosità residue, conferendo però
un aspetto più brillante alla superficie del nostro pezzo.
Ora che abbiamo cominciato a farci un’idea di come cambia il punto di
vista in funzione dell’ingrandimento, cerchiamo di indagare ancora più a
fondo e proviamo a vedere se spingendoci davvero oltre l’ingrandimento di
45x riusciamo a scorgere ulteriori dettagli che possano farci comprendere
l’effetto della lucidatura e quindi il lavoro che svolge la pasta abrasiva sulla
superficie del nostro pezzo. Le immagini che seguono sono state scattate a
120x.

304
Perno finito di sola tornitura

Perno finito con il solo brunitore

Perno finito con brunitore e pasta abrasiva

305
Analizzando attentamente le ultime due immagini, ci accorgiamo come nella
sola brunitura la superficie del pezzo mostri ancora i leggeri segni dei solchi
della tornitura, chiaramente schiacciati dalla pressione del brunitore (vedi la
parte illuminata di destra), effetto dovuto alla rifrazione della luce sulle
superfici, cosa che nell’ultimo caso scompare.
Ebbene questa differenza è proprio dovuta al lavoro di spianamento delle
micro creste che la pasta abrasiva svolge rendendo la superficie del pezzo
molto più uniforme a livello micrometrico.
Andiamo ora a lavorare un perno di sola tornitura per poi usare il
brunitore sia a mano libera sul tornio che con apposito tassello. Questo ci
aiuterà a scoprire se i due metodi possono in qualche modo dare risultati
differenti.
Ricordo però che la brunitura, sia che venga eseguita a mano libera sia
che la si esegua con il pivotter ad archetto, serve oltre che a rendere la
superficie più lucida e priva di asperità, anche a portare a misura il perno.
Prendiamo ora in esame gli strumenti che sono stati pensati nel passato
appositamente per la finitura e messa in misura dei perni.
Il più conosciuto è il tornietto a pivottare con movimento ad archetto, poi
sono stati realizzati appositi supporti con cave calibrate per essere usati
direttamente sul tornio simulando il pivotter.
Quello che adotteremo in questo caso è quello che vediamo nella
seguente immagine e con il quale andremo a brunire un perno secondo gli
standard più conosciuti.

306
Per questa prova abbiamo realizzato un nuovo perno sempre utilizzando gli
stessi materiali

Come possiamo vedere la finitura superficiale rispecchia molto quella già


vista in precedenza, in quanto è purtroppo uno standard dal quale non
riusciremo a scostarci usando il solo tornio. Per quanto il nostro utensile
possa essere affilato, potremo forse leggermente migliorarla, ma mai
scostarci troppo da questa.
Ora montiamo il dispositivo per la brunitura e prepariamo il perno nella

307
giusta sede.
Nel caso specifico si tratta di un perno da circa 0,20 mm su una cava da
0,18 mm.

Con il brunitore procediamo alla lavorazione che si concluderà quando il


perno avrà raggiunto la quota della cava calibrata, ovvero 0,18 mm.
Il risultato che in questo caso andiamo ad ottenere è il seguente:

che per quanto possa sembrare buono se visto con i normali mezzi di

308
ingrandimento, a 45x comincia già a mostrare un certo cedimento
qualitativo.
Inoltre per prova ho ripreso il perno con il solo brunitore a mano libera a
numero di giri elevato ottenendo questo risultato.

Si può facilmente apprezzare che la finitura è migliorata rispetto a quello


precedente, questo anche per via di una diversa distribuzione delle forze
tangenziali che agiscono sulle fibre del metallo.
Allo scopo di migliorare ulteriormente il risultato ottenuto all’inizio con
il brunitore e pasta abrasiva, abbiamo effettuato un’altra prova partendo
sempre da un nuovo tondino ridotto di tornitura.

309
sul nuovo tondino sono stati realizzati i seguenti passaggi:
• Brunitura a mano libera.
• Brunitura a mano libera con olio di vaselina.
• Lucidatura con pasta abrasiva e olio di vaselina.

Questi semplici passaggi eseguiti sempre a mano libera e ad alta velocità


(3000 rpm) hanno portato ad un esito sicuramente interessante sotto tutti i
punti di vista:

che confrontato con un perno lavorato al solo tornio appare sicuramente un


buon compromesso.

310
Ci sono ovviamente moltissimi metodi che possono dare buoni risultati,
quello che conta quando si osserva è riuscire a dare la giusta interpretazione
di ciò che si vede realmente senza illudersi che determinate lavorazioni
possano dare risultati migliori solo perché si è convinti di aver affilato
meglio l’utensile o solo perché non si è abituati a vedere i nostri manufatti
ad ingrandimenti differenti da quelli usuali.

10. L’asse bilanciere


L’asse bilanciere è uno dei componenti più importanti di un orologio e la
sua precisione costruttiva deve rispettare tolleranze di lavorazione e di
posizione estremamente rigorose e ristrette poiché è il fulcro dell’organo
regolatore, composto da volano e spirale.
La finitura superficiale dei perni deve essere lappata, ovvero essere resa
perfettamente liscia ed omogenea quasi da risultare a specchio; questo come
abbiamo avuto modo di vedere serve alla riduzione massima degli attriti.
Prendiamo in esame le parti fondamentali che compongono un asse
bilanciere e vediamo quali possono considerarsi le misure salienti, ovvero
quelle di riferimento e da rispettare in assoluto.

311
Nel disegno è rappresentato un asse bilanciere con l’indicazione di tutte le
quote necessarie per la sua realizzazione.
A - lunghezza totale dell’asse;
B - lunghezza del terminale superiore;
C - lunghezza del terminale inferiore;
D - diametro dello spallamento del volano;
E - diametro della sede del volano;
F - diametro della sede della spirale e spallamento virola;
G - diametro della parte terminale della sede spirale;
H - diametro dell’albero di supporto del perno superiore;
I - diametro del perno superiore;
J - diametro massimo di centraggio conico plateau;

312
K - diametro minimo di centraggio conico plateau;
L - diametro perno inferiore;
M - lunghezza della sede del volano;
N - lunghezza della sede virola-spirale;
O - lunghezza dell’albero di supporto del perno superiore;
P - lunghezza perno superiore;
Q - lunghezza dello spallamento del volano;
R - lunghezza centraggio conico plateau;
S - lunghezza perno inferiore.
La lettera a identifica quello che viene definito scarico di sicurezza per
l’olio, che consiste in una piccola gola atta a bloccare eventuali perdite di
olio dal rubino superiore evitando che questo possa andare a contaminare la
spirale.

11. Dimensioni salienti di un asse bilanciere


Di tutte le misure indicate, ve ne sono alcune che possono essere considerate
critiche, nel senso che devono essere assolutamente rispettate perché
fondamentali per la corretta riuscita del lavoro.
Nello specifico possiamo identificarle come segue:
A - lunghezza totale dell’asse;
I/L - diametri dei perni;
B - determina la posizione in altezza del volano sia rispetto alla ruota
centrale che rispetto al ponte;
C - determina la posizione del volano rispetto al ponte dell’ancora;
Q - determina la posizione in altezza del plateau rispetto alla posizione
dell’ancora con la quale dovrà poi interagire.
Le altre dimensioni sono importanti e dovranno essere accurate ma non
determinanti e particolarmente critiche per il buon funzionamento del
sistema.

313
Il materiale utilizzato per la sua realizzazione è in genere acciaio fortemente
temprato con durezze talvolta anche molto elevate che di contro però lo
rendono particolarmente fragile e infatti è molto facile incorrere in assi con
perni rotti a causa di urti accidentali, anche se protetti dai sistemi di anti
shock.

12. Possibili interventi in caso di rottura dei perni


Nel caso in cui ci si dovesse trovare con un asse con perni rotti, l’operazione
più semplice è quella di rimpiazzarlo con uno nuovo di fornitura.
Questa è la procedura più semplice ma spesso non priva di rischi in
quanto, come abbiamo avuto già modo di vedere, l’asse è vincolato al
volano per ribaditura e tutto l’insieme è stato poi equilibrato.
Rimuovendo l’asse danneggiato, per quanto l’operazione possa essere
svolta con perizia e con l’utilizzo di procedure e mezzi adeguati, quando
andremo a ribadire quello nuovo il foro del volano risulterà leggermente
deformato dalla precedente ribaditura e quella che andremo a fare sarà
altrettanto differente.
Questo ci fa immediatamente comprendere come in qualche modo anche
l’equilibratura originaria si possa essere modificata, spesso anche in modo
sensibile, in funzione delle condizioni con le quali si sarà eseguito il lavoro.
È evidente che si dovrà procedere ad una verifica dell’equilibratura, ma
anche della planarità o ortogonalità del volano rispetto al nuovo asse, in
quanto la superficie di appoggio è limitata e potrebbe non risultare in piano

314
a causa della ribaditura.
Il caso si complicherebbe nel momento in cui non vi fosse più la
possibilità di reperire l’asse di ricambio.
In questo caso in genere si opera nella ricostruzione dell’intero asse
utilizzando uno specifico tornio di dimensioni adeguate e dotato di pinze di
precisione, in pratica un tornio per orologeria.
La procedura di realizzazione è abbastanza semplice e con un minimo di
pratica è possibile ricostruire praticamente ogni tipo di asse e di qualsiasi
dimensione, ci sono però dei parametri e delle tolleranze molto strette da
rispettare che spesso non vengono tenute in considerazione quando si opta
per questa scelta.

13. Tornitura dell’asse bilanciere


Partiamo procurandoci una barretta di acciaio adatto al nostro scopo, che
può essere ad esempio il blu-steel, un acciaio temprato e rinvenuto al blu
specifico per questo tipo di lavori, oppure in alternativa un C40/C45, tipico
acciaio da costruzione e da tempra.
La prima operazione da eseguire sarà quella di tagliare la nostra barretta
di acciaio secondo la lunghezza massima dell’asse che andremo a realizzare.
La barretta verrà scelta in base al diametro massimo dell’asse che
corrisponderà alla misura identificata con la lettera D.

315
La prima operazione da eseguire sarà quella di realizzare la sede per il
volano di diametro E con altezza M e spallamento alla distanza B.
Potremo rilevare il diametro E direttamente sul volano che avremo
preventivamente smontato e dovrà essere realizzato con estrema precisione,
altrimenti il volano una volta calettato girerà storto.
L’operazione si esegue tornendo secondo il diametro E fino alla
lunghezza B. Per la sgrossatura il bulino lo si potrà tenere con la losanga
rivolta verso il basso, mentre lo spallamento dovrà essere eseguito
sfruttando la punta della losanga. Si deve prestare attenzione a realizzare un
angolo retto e una superficie che sia cilindrica e non conica.

316
Le verifiche dimensionali del diametro e della lunghezza si eseguono
generalmente per confronto, oppure utilizzando lo spessimetro come
riferimento.

L’operazione successiva consisterà nel realizzare la lunghezza M della sede


del volano tornendo la restante parte fino a portarla alla misura di
calettamento della virola della spirale G/F.

317
Si tenga presente che la misura M sarà leggermente superiore allo spessore
delle razze del volano, questo per consentirci poi di ribadire la parte
superiore bloccando il volano in sede.
L’operazione di ribaditura in genere viene facilitata realizzando una
opportuna cava atta ad essere poi deformata per dilatazione e
schiacciamento per mezzo di un apposito punzone, con la funzione di
bloccare, come abbiamo detto, il volano sulla sua sede.

Questa cava dovrà essere realizzata utilizzando un bulino la cui losanga


dovrà essere di dimensioni tali da poter penetrare nel materiale creando una
cava con un angolo di circa 40°.

318
La realizzazione della parte terminale, che comprende il perno, è sempre
molto delicata e richiede la massima precisione, in quanto un errore
potrebbe compromettere tutto il lavoro svolto fino a questo momento.
È necessario quindi prendere accuratamente le misure eseguendo il
lavoro in più fasi passando da una prima di sgrossatura dove andremo a
realizzare il cono di base e lo sbozzo del perno, fino a quella di finitura.

L’angolo di inclinazione della parte di lunghezza O in genere è dell’ordine


dei 2/3°, mentre è sempre consigliabile lasciare la lunghezza del perno lato
ponte P di qualche centesimo più lunga da quanto potenzialmente stabilito.
La lavorazione delle parti coniche si esegue inclinando il bulino secondo
necessità, affondando la punta della losanga e muovendola verso l’esterno.
Questo ci consente di avere materiale sufficiente per eventuali
aggiustamenti finali che necessariamente, salvo casi fortuiti, saremo

319
chiamati ad eseguire.
La parte terminale da cui ha origine il perno dovrà essere caratterizzata
da un lungo raccordo che termina con una parte cilindrica costituente il
perno dell’asse.
Il raggio è funzione delle dimensioni del terminale e del perno non dovrà
risultare né troppo marcato, né troppo lungo.
La cosa importante è che il perno, oltre ad essere perfettamente
raccordato, dovrà essere perfettamente cilindrico e della giusta lunghezza,
né troppo lungo, né troppo corto.

Possiamo quindi eseguire lo spallamento del volano realizzando come prima


tornitura il diametro J.

320
Successivamente si realizza lo smusso a 45° dello spallamento inclinando il
bulino con losanga rivolta verso il basso per una migliore resa e
asportazione di materiale.

La fase successiva consiste nel lavorare sul cilindro di diametro J, questa


parte dell’asse dove ha sede il Plateau è di forma conica e i diametri
rispettivi sono J diametro maggiore e K diametro minore con lunghezza R.
L’esecuzione di questa conicità è molto importante in quanto garantisce
la stabilita del plateau che dovrà essere calettato con interferenza.
Trattandosi di una piccola conicità, dovrà nel contempo essere realizzata
in modo molto preciso, in quanto se fosse scarsa il plateau non resterebbe
bloccato; al contrario se fosse troppo marcata si rischierebbe di rompere il
plateau durante la fase di calettamento.

321
Il metodo migliore per ottenere la conicità corretta consiste nell’utilizzare il
carro croce impostando sul goniometro il corretto valore in gradi.
Il calcolo di questo angolo si esegue applicando la formula:

Oppure utilizzando la formula approssimata applicabile per piccole conicità:

Il valore che ricaviamo lo potremo impostare sul goniometro del carro croce
per poi poter eseguire la tornitura.
Eventuali aggiustamenti potranno essere eseguiti con la lima del
brunitore o con la pietra Arkansas.
L’ultima lavorazione prima di staccare l’asse dalla matrice consiste nel
realizzare il perno quanto più possibile vicino alla misura necessaria.

322
A questo punto è possibile staccare l’asse dalla matrice ed eseguire la
tornitura di finitura dei perni e degli spallamenti.

323
Ultimato l’asse, possiamo dire di essere quasi giunti al termine del nostro
lavoro, ma prima ci si deve occupare dell’aggiustaggio in lunghezza dei
perni e la lucidatura degli stessi.
L’aggiustaggio in lunghezza si può eseguire posizionando il nostro asse
sulla meccanica e serrando il ponte con la vite, facendo però attenzione a
non rompere le contro-pietre o peggio piegare i perni, nel caso questi
fossero ancora troppo lunghi.
Per accorciare i perni, il metodo più semplice e sbrigativo è quello di
usare la pietra Arkansas che garantisce un’ottima abrasione senza
compromettere l’integrità del perno e l’operazione può essere eseguita a
mano o direttamente con il pezzo in rotazione nel tornio.
Portati a misura, i perni devono essere lucidati a specchio con il duplice
scopo di indurirne la superficie e di ridurre al massimo eventuali attriti con
il rubino sintetico o con la rispettiva boccola in ottone.
Questa operazione, detta di brunitura, si può eseguire lasciando il pezzo
montato sul tornio per mezzo dei brunitori, che come abbiamo visto,
spianano la rugosità dovuta alla tornitura restituendo una superficie liscia e
dura.

324
Quando si opera con il brunitore è importante che il numero di giri sia
quanto più elevato possibile e per ottenere una superficie lucida e senza
righe, oltre a curare la pulizia del piano di lavoro del brunitore, si deve avere
l’accortezza di muoverlo orizzontalmente restando paralleli all’asse di
rotazione del pezzo.
Il perno deve avere la sua estremità perfettamente arrotondata e lucida e
questo lo si ottiene sempre grazie al brunitore posizionato frontalmente al
perno facendogli compiere movimenti semi circolari.
Per ottenere poi una finitura estremamente fine, è possibile lucidare il
perno utilizzando uno stecco di bosso drogato con della diamantina o pasta
abrasiva con grana quanto più sottile possibile.
Anche in questo caso si dovrà prestare attenzione che non vi siano agenti
contaminanti che possano in diversa misura creare righe durante la

325
lavorazione.

14. Riporto dei soli perni su un asse bilanciere

L’operazione di riporto dei soli perni rotti su un asse bilanciere è


un’operazione che possiamo definire figlia delle moderne tecnologie che
grazie alle quali, è possibile operare su acciai fortemente temprati e quindi
molto duri senza dover ricorrere a processi di bonifica e tempra.
Si prende quindi l’asse bilanciere senza espiantarlo dal volano e lo si
mette in pinza utilizzando un tornio di precisione.

326
La prima operazione consiste nell’eliminare il moncone di perno rimanente
e praticare il centrino per la foratura.

A seguire sarà quindi possibile forare l’asse avendo cura di verificare che la
punta avanzi rettilinea e senza sbandieramenti radiali, indice di un’errata
esecuzione del centrino di foratura. In questo caso la punta è da 0,10 mm.

327
Eseguito il foro della profondità desiderata, si deve procedere alla
realizzazione del perno di riporto.
Il perno dovrà essere tornito in modo che l’accoppiamento avvenga per
interferenza così da garantire la massima tenuta anche durante le successive
operazioni di finitura.

Terminata la tornitura si dovrà praticare una riduzione del diametro alla base
del perno atta a facilitarne il distacco dopo il calettamento sull’asse.

328
Certi che il perno sia perfettamente a misura e che calzi con interferenza, si
caletta il volano sul perno.

329
Si procede poi con il distacco dell’asse con il perno calettato dalla matrice.

Si continua quindi con l’operazione di tornitura atta a mettere in misura il


perno riportato.

330
Da notare che anche in presenza di piccole eccentricità dovute ad errori di
allineamento della punta durante la foratura, la tornitura sarà in grado di
eliminarla riportando il perno perfettamente concentrico all’asse di
rotazione.
A seguire vi saranno le operazioni di finitura e lucidatura del perno con il
brunitore e stecco di bosso con diamantina.

A lavoro ultimato otterremo un perno perfettamente centrato e dalla


superficie lucida e liscia come quelli di fornitura.

15. Analisi degli errori di lavorazione


Abbiamo visto come sia possibile intervenire nel ripristino di un asse
bilanciere con tre metodi differenti:
a) Sostituzione dell’asse rotto con uno nuovo;
b) Ricostruzione integrale dell’asse al tornio;
c) Riporto dei soli perni rotti sull’asse originale.
Come sappiamo l’equilibratura del volano è di estrema importanza per
garantire la corretta costanza di marcia in tutte le posizioni dell’orologio fra
orizzontali e verticali, quindi andiamo ad analizzare in che modo e in quale

331
quantità questi tre metodi vadano ad influenzare l’equilibratura originale.
Per svolgere questa analisi è necessario introdurre quelle che vengono
definite le tolleranze di posizione.
Le tolleranze di posizione servono a determinare gli scostamenti che si
hanno fra due o più elementi di un corpo e si identificano in base al tipo di
riferimento preso in considerazione, ad esempio tolleranza di rettilineità, di
concentricità, di parallelismo, di planarità, etc.
Nel caso di un asse bilanciere, in cui è di estrema importanza che tutte le
masse elementari siano equidistanti dal suo asse di rotazione e che quindi
non vi siano delle eccentricità, la prima tolleranza di posizione sarà quella di
concentricità, che stabilisce i limiti di variabilità di elementi posti
concentricamente rispetto ad uno stesso punto
La seconda in ordine di importanza sarà quella che identifica la perfetta
perpendicolarità fra il piano di appoggio del volano rispetto al piano di
rotazione, in quanto determina la planarità di rotazione della corona e che
prende il nome di
tolleranza di ortogonalità e può essere associata ad una linea, asse o
superficie rispetto ad un elemento di riferimento.
Senza andare oltre, con queste due tolleranze siamo già in grado di poter
determinare quantitativamente gli eventuali errori potenzialmente
introducibili nelle tre condizioni.

15.1. Sostituzione dell’asse rotto con uno nuovo

La tolleranza che dovremo rispettare sarà quella che intercorre fra il foro del
volano e il diametro dell’asse sul quale andrà a calzare.
La perpendicolarità fra i due elementi dovrebbe essere garantita dalla
precisione costruttiva dell’asse di fornitura.
In questo caso abbiamo quindi una tolleranza da rispettare ma per via di
questa avremo perso almeno in parte l’equilibratura d’origine, cosa non
trascurabile.

332
15.2. Ricostruzione integrale dell’asse al tornio

la ricostruzione integrale dell’asse prevede necessariamente il rispetto di


tutte le concentricità fra i vari settori dell’asse e della perpendicolarità del
piano di appoggio del volano rispetto all’asse di rotazione.
In questo caso abbiamo ben sei tolleranze da rispettare ed avremo perso
integralmente l’equilibratura d’origine.
Inoltre vi saranno da mantenere le tolleranze di accoppiamento della
virola, del plateau e, cosa non affatto trascurabile, le tolleranze riguardanti i
diametri dei perni, la loro forma di estremità e la finitura superficiale.
In pratica questa soluzione rimane particolarmente soggetta a numerosi
errori che andandosi a sommare potrebbero causare una perdita qualitativa e
anche significativa sotto il profilo della precisione di marcia.

333
15.3. Riporto dei soli perni rotti sull’asse originale

Nel caso in cui si debba riportare il solo perno dovremo rispettare solo una
tolleranza rispetto ad una qualunque sezione dell’asse, in quanto le altre lo
sono già di fabbrica e inoltre come abbiamo detto l’operazione viene
eseguita senza togliere il volano dall’asse, preservando in questo modo
l’equilibratura d’origine. Gli unici accorgimenti saranno legati alle
dimensioni e alla finitura superficiale del perno.

334
Sulla base di quanto visto, credo sia abbastanza facile comprendere come sia
sempre meglio, nei limiti del possibile, intervenire in modo drastico
sull’asse bilanciere per preservarne le peculiarità, in modo particolare
quando si opera su orologi di pregio e di cronometria superiore alla norma.
Rimane ora da capire quanto possa risultare sicuro e duraturo un perno
riportato e quali possono essere le eventuali soluzioni per ovviare a
problemi derivanti dalla perdita di aderenza.

16. Usura per sfregamento in un accoppiamento


forzato
Abbiamo visto come sia possibile riportare un perno spezzato, ma rimane
l’importante questione della durata e dell’affidabilità di tale pratica in
condizioni dinamiche, quindi presenza di sollecitazioni flessorie alternate o
vibrazioni.
In altre parole ci sarebbe da chiedersi quanto può resistere un
accoppiamento metallo/metallo anche forzato e ben eseguito di così piccole
dimensioni prima che il foro non si ovalizzi e venga a mancare la tenuta
necessaria.
Prendiamo un classico esempio di perno sollecitato in modo variabile,

335
quello di un asse bilanciere.

Ora supponiamo che un perno si sia rotto e che debba essere riportato e,
tralasciando la parte tecnica riguardante la corretta esecuzione del riporto
del perno già affrontata, andiamo ad analizzare in modo più dettagliato
quello che accade a livello microscopico alle superfici che entrano in
contatto durante il calettamento.

Come abbiamo visto tutte le superfici e nello specifico quelle ottenute da


lavorazioni per asportazione di truciolo hanno una loro ben specifica
rugosità.

336
Andando ad analizzare a livello microscopico la rugosità ci si accorge
che questa si presenta come una sorta di alternanza fra punte e avvallamenti
di differente entità.

Se andiamo ad accoppiare l’albero forato con il perno, parte di queste creste


verranno schiacciate dalle pareti del foro che a sua volta presenterà la
medesima superficie.

337
Ora, analizzando la situazione, si sarebbe portati a pensare che trattandosi di
un accoppiamento forzato non vi sia la possibilità che avvenga alcuno
spostamento relativo fra i due elementi, ma nella realtà delle cose la
situazione è differente in quanto vi possono essere dei piccolissimi
movimenti dovuti allo schiacciamento ulteriore delle creste a contatto.
In questi casi si parla quindi di usura per sfregamento.
L’usura per sfregamento è simile a quella adesiva perché sulle parti
accoppiate si origina una microsaldatura.
La differenza è che l’usura adesiva è associata a parti che scorrono l’una
sull’altra, mentre l’usura per sfregamento riguarda componenti
essenzialmente immobili. Tuttavia, quando si verificano lievi spostamenti o
piccole deviazioni elastiche, lo spostamento ciclico di bassa entità è tale da
causare microsaldature su entrambe le superfici.
Lo sfregamento si verifica con frequenza in giunti fissi o compressi da
accoppiamenti fissi, realizzati tramite bulloni, spinotti, rivetti o altri sistemi
di fissaggio, come l’accoppiamento fra albero e foro.
Dato che l’usura per sfregamento è essenzialmente un fenomeno
stazionario, i detriti vengono trattenuti in prossimità del punto di
formazione.
I detriti consistono normalmente in ossidi dei metalli a contatto; nel caso
dei metalli ferrosi, sono marroni, rossastri o neri a seconda del tipo di ossido
formato.
Le leghe di alluminio formano invece una polvere nera.
Per far fronte a tale fenomeno o cercare di limitarne l’insorgere, la
tecnica moderna ha studiato specifici prodotti chimici in grado di bloccare
saldamente le superfici accoppiate riempiendo gli interstizi fra le superfici
stesse e limitando quindi il nascere di tale fenomeno.
Il bloccante si distribuisce sulla superficie da accoppiare e si procede poi
alla lavorazione; è da tenere ben presente che nel caso di accoppiamenti fra
albero e foro il bloccante non sarà in grado di garantire una forte tenuta e
quindi, in caso serva, si dovrà sempre e comunque procedere con un
accoppiamento per interferenza.

338
339
Capitolo VIII
Cenni di tribologia e lubrificazione dei
perni

Quando si affronta il restauro o la semplice revisione di un orologio sia esso


un pendolo o un orologio da polso, ci si scontra sovente con problematiche
legate alla scarsa lubrificazione che solitamente porta all’inevitabile usura di
perni e delle loro sedi.
Il lubrificante col tempo si arricchisce di particelle metalliche che
tendono a solidificarsi nell’olio ormai esausto divenendo così una tremenda
pasta abrasiva in grado di consumare incredibilmente anche l’acciaio, come
testimoniano le immagini che seguono.

340
Usura del perno

Ovviamente a fronte di situazioni di questo tipo si deve intervenire con la


ricostruzione dei perni e il ripristino delle loro sedi.
Per quanto sopra, la lubrificazione è un aspetto estremamente importante
sia a livello conservativo sia per il buon funzionamento dell’orologio ed è
da sempre stata oggetto di studi fin dal ’600.
Fino alla fine del Seicento per la lubrificazione si ricorreva ad oli di

341
origine vegetale e grassi animali per uso domestico come l’olio di oliva o di
colza che venivano poi sommariamente raffinati con procedimenti
personalizzati dai costruttori dell’epoca.
A partire dalla metà del Settecento con l’avvento e il diffondersi della
cronometria, cominciarono a comparire numerosi testi sull’argomento, fino
a quel periodo praticamente assenti.
La lubrificazione di meccanismi sempre più complicati e delicati
cominciò a divenire una necessità sempre più mirata e si iniziarono quindi
diverse ricerche volte al miglioramento delle tecniche di raffinazione grazie
anche all’aiuto dei chimici del tempo.
Nacque così un assioma riconosciuto da tutti gli orologiai del tempo che
recitava: “Un buon olio non deve variare alle diverse temperature
ambientali, non deve scorrere e disperdersi, non deve evaporare e
disperdersi, evaporare e lasciare residui gommosi, non deve ossidare e
intaccare i metalli”.
Breguet disse a Napoleone: “Datemi un olio perfetto e io vi darò un
orologio perfetto”.
Uno dei problemi che più affliggeva i fabbricanti di orologi è sempre
stato quello di trovare il modo di trattenere l’olio dove era necessario, dato
che una delle sue caratteristiche è la tendenza ad espandersi e aderire agli
organi vicini fatto che in genere risulta inutile se non addirittura dannoso.
Fino ai primi anni del Settecento i fori per i perni delle ruote non erano
muniti di quelle svasature semisferiche dette coppe dell’olio e la piccola
quantità di lubrificante che potevano contenere tendeva ad asciugarsi in
poco tempo.
Il problema era ancora maggiore con i perni del bilanciere che
lavoravano in sedi cieche.
Di grande aiuto furono le ricerche di Henry Sully (1680 – 1728) il quale,
per ridurre l’attrito di questi perni, eliminò i fori ciechi adottando delle
bussole molto corte e facendo lavorare così le sole teste dei perni stessi
contro un piano distanziato.
Sully aveva in pratica inventato il contro perno o l’attuale contropietra,
ma il problema della lubrificazione non era stato risolto, anzi probabilmente
era ancor più difficile trattenere l’olio.
Affrontando il problema della scelta dell’olio e domandandosi quanto
metterne ai perni, Sully si consultò con Julien Le Roy (1686 – 1759) con il
quale era in rapporto di amicizia e di collaborazione e a quest’ultimo quesito

342
Le Roy rispose che era meglio abbondare piuttosto che deficere. Ricordò
infatti di aver sentito dire da Perre Gaudron (1690 – 1745), orologiaio di
Parigi, che se fosse stato possibile applicare una boccetta di olio ad ogni
perno, questo avrebbe conservato molto più a lungo la propria
scorrevolezza.
Questa congettura suggerì a Sully l’idea di creare dei piccoli serbatoi
scavati nelle platine accanto ai perni dove poter versare una discreta quantità
di olio.
I primi serbatoi comunicavano per mezzo di un piccolo solco con i fori
dei perni ed erano coperti da un opercolo avvitato sulla platina.
Felici per l’ingegnosa trovata, Sully e Le Roy decisero di chiamare
“reservoir” quei due piccoli serbatoi, ma il giorno successivo ebbero una
delusione, durante la notte l’olio si era sparso fra le superficie della platina e
del coperchietto.
Sully rimediò a questo inconveniente scavando un solco attorno al
reservoir e riempiendolo di cera gialla in modo da creare una sorta di
guarnizione ermetica con il coperchietto avvitato e in questo modo risolse
così il problema.
Nel 1716 Sully presentò all’Academie Royale des Sciences di Parigi un
orologio da tasca di nuovo calibro munito dei suoi reservoirs, per il quale
ottenne il certificato di approvazione.
Dopo tre anni, esaminando l’orologio, si rinvenne ancora dell’olio
all’interno del serbatoio leggermente deteriorato.
L’esecuzione di questi serbatoi doveva essere molto laboriosa però non
vi è nessuna informazione certa in merito a colui che pensò di scavare i
serbatoi direttamente intorno alle sedi dei perni.
La prima testimonianza scritta appare nel 1763 nell’Essai sur
l’Horologerie di Ferdinand Berthoud sulle cui tavole furono disegnati a
forma di coppe semisferiche scavate snelle platine in corrispondenza dei fori
dei perni.
Solo nel 1792 Berthoud descrisse come dovevano essere eseguiti questi
serbatoi specificando che i perni dovevano affiorare dal fondo dello scavo in
modo da trattenere una maggior quantità di olio.
Le Roy scrisse che la costruzione del sopracitato orologio da tasca aveva
dato a Sully l’occasione di trovare l’ingegnosa maniera di conservare l’olio
ai perni degli orologi e a lui stesso la possibilità di perfezionarla.
L’affermazione di Le Roy può essere considerata un atto di cavalleria nei

343
confronti di Sully in quanto la soluzione per trattenere l’olio era
concettualmente del tutto differente da quella di Berthoud e più che un
perfezionamento si trattò di una nuova invenzione.
L’ispirazione infatti gli venne intorno al 1720 leggendo il trattato di
ottica di Newton dove è descritta l’esperienza della goccia d’olio attratta per
capillarità e trattenuta nel punto di contatto di due vetri accostati, di cui uno
piano e uno convesso, che si dispone poi in circolo intorno a questo punto.
Questa esperienza suggerì a Le Roy la forma da dare alle superfici delle
bussole dei perni e di quella dei contro-perni dei bilancieri, forma analoga a
quelli tuttora adottati.
Julien Le Roy annotava che negli antichi orologi francesi e in quelli
inglesi di fabbricazione più corrente i pignoni delle ruote erano troppo vicini
ai perni causando una possibile risalita dell’olio verso i pignoni e il
conseguente abbandono dei perni stessi.
Le Roy fu uno dei primi a rimediare all’inconveniente pensando e
realizzando i pignoni delle ruote con gli assi più lunghi e in seguito si pensò
di realizzarli di forma conica con la parte più larga verso il perno in modo
da ostacolare la risalita dell’olio.
Fra i molteplici artifizi escogitati per trattenere l’olio dove necessario,
ricordiamo anche le ruote scappamento ad ancora con i denti fessurati in
senso radiale e al perfezionamento dei pioli dello scappamento a caviglie
che vennero muniti alla base di un risalto a gradino atto ad evitare che l’olio
si riversasse sulla ruota scappamento.
Un altro grosso problema era il congelamento dell’olio alle basse
temperature e in modo particolare per tutti i cronometri di grande precisione
destinati alle imbarcazioni che navigavano anche con climi molto freddi,
tanto che si consigliava di tenere insieme al cronometro una lampada accesa
che lo riscaldasse.
La migliore caratteristica che un olio deve avere è quella di essere più o
meno fluido proporzionalmente alle resistenze degli sfregamenti oggi detti
attriti. Il principio generale sarebbe, se fosse possibile, quello di sostituire il
grasso con l’olio, l’olio con l’acqua e l’acqua con l’aria, il che equivarrebbe
a sopprimere tutto l’olio.
Per quanto sembri paradossale John Harrison lo dimostrò realizzando il
suo cronometro con ruote di legno, i perni sostituiti da dischi rotanti e con le
gabbie dei pignoni munite di pioli girevoli anch’essi in legno.
Lo stesso Harrison commentava in un suo manoscritto: “…si muove così

344
liberamente che non ha bisogno di olio”.
Durante la prima metà dell’Ottocento furono costruiti in New England
centinaia di migliaia di orologi da mensola interamente in legno ad
eccezione della ruota scappamento.
Rawlings testimonia che un esemplare in suo possesso aveva marciato
per più di cento anni senza che fosse mai stato lubrificato e senza mostrare
usure agli ingranaggi o ai fori dei perni.
Qualche traccia nera sulle platine indusse l’autore a supporre che fosse
stato lubrificato in origine con della grafite.
Nel 1789 il grande Breguet inventò uno scappamento per orologi da
persona da lui chiamato “Echappememnt naturel” che poteva funzionare
senza olio.
A tale proposito possiamo ricordare le “ATMOS” della CGE e
successivamente Jaeger Le Coultre, attuale orologio da appoggio che si
ricarica automaticamente sfruttando le variazioni di temperatura ambientale
e che rappresenta un eclatante esempio di orologio funzionante con un
limitatissimo uso di olio.
Grazie ai piccoli sforzi e alla elevata qualità del movimento l’orologio
funziona in assenza di olio tranne che per la molla di carica, per i perni del
bariletto e della prima ruota, con la possibilità di funzionare per molti anni
senza manutenzione. Il fondatore della chimica delle sostanze grasse fu il
chimico francese Michel-Eugene Chevreul (1786 – 1889) il quale riuscì ad
isolare gli acidi grassi della stearina e dell’oleina ponendo in questo modo le
basi scientifiche dell’industria dei grassi, dei saponi e delle candele.
Il metodo per isolare l’olio lubrificante (oleina) consisteva nel
trattamento dell’olio grezzo con sette o otto parti di alcool pressoché
bollente.
In seguito al raffreddamento la stearina precipitava separandosi dalla
miscela alcolica e da quest’ultima si otteneva poi l’oleina per evaporazione
dell’alcool stesso.
Braconnot, celebre chimico di Nancy e contemporaneo di Chevreul
constatò che cento parti di olio di oliva sono composte da ventotto parti di
stearina e da settantadue di oleina.
Il processo usato da Braconnot per separare l’oleina era del tutto diverso
in quanto faceva infatti gelare l’olio esponendolo al freddo intenso
dell’inverno.
Comprimeva poi la massa solidificata a temperatura sotto lo zero per vari

345
giorni fra molti fogli di carta assorbente che venivano continuamente
rinnovati fino a che l’olio avesse finito di macchiarli.
Per ottenere poi l’oleina umettava i fogli con acqua tiepida
sottoponendoli all’azione di una pressa.
Nel XIX secolo gli oli per orologeria erano generalmente preparati da
laboratori chimici e da qualche orologiaio come Laresche e Henri Robert
che li misero anche in commercio.
Poiché i mercanti non fornivano sempre oli della stessa qualità, veniva
spesso consigliato agli orologiai da alcuni autori che scrivevano
dell’argomento, di prepararsi autonomamente i lubrificanti seguendo
procedimenti più o meno complessi e a volte dissimili e discordanti che
tendevano principalmente ad ottenere oli che non si ispessissero, che non
gelassero facilmente e che non intaccassero gli ottoni.
Spesso però, con l’intento di creare oli ritenuti puri, si ottenevano invece
sostanze pressoché prive di potere lubrificante.
Le operazioni suggerite erano in alcuni casi così astruse e complesse da
evocare vere e proprie manipolazioni di alchimia.
I lubrificanti - esclusi quelli per orologi da torre e campanile - si dividono
in tre gruppi: oli animali, oli vegetali e oli minerali; esistono poi i moderni
oli sintetici.

Oli di origine animale

Come olio animale utilizzato fino a pochi decenni fa possiamo ricordare


l’olio estratto dal midollo dei piedi di montone.
Sono stati anche sperimentati e usati, ma non sappiamo con quali
risultati, oli estratti dai piedi di maiale e persino di anatra.
Fra tutti questi l’olio di piede di bue è risultato essere il migliore, infatti
in mancanza di umidità era infatti quello che resisteva meglio
all’ossidazione.
Era un olio adatto ai paesi caldi e meno adatto alle basse temperature, ma
secondo un empirico suggerimento di Edmund Beckett (Londra, 1883),
poteva essere usato per climi freddi miscelandolo con acqua e raccogliendo
l’olio che risaliva in superficie.
L’unica ricetta ritrovata per la preparazione di quest’olio era stata
pubblicata sulla rivista “L’arte cronometrica” (giornale scientifico
dell’orologeria, Milano, Dicembre 1882).

346
“L’olio si ottiene con la cottura dei piedi di bue, di vitello e di porco
oppure a freddo; quest’ultimo è il migliore.
Il prodotto va riscaldato per liberarlo dall’acqua residua e miscelato con
benzina purissima in parti uguali.
Esporre il miscuglio a bassa temperatura per parecchie ore (da - 4°C a
10°C) fino ad ottenere una massa solida e un liquido che verrà separato per
decantazione. Filtrare il liquido e riscaldarlo a 40°C – 50°C a bagno maria
per volatilizzare la benzina.
All’olio ottenuto aggiungere il 10% di bicarbonato di soda e agitare;
lasciarlo riposare un po’ di tempo e filtrare con apposita carta.
Se lo si volesse raffinare ulteriormente esporlo all’azione del freddo in
un vaso a larga apertura ma coperto e se si formassero delle parti solide
filtrarlo nuovamente. Se si volesse vedere l’olio più chiaro esporlo ai raggi
del sole in bottiglie ben tappate fino a che il colore non diventi di un bel
giallo chiaro, quest’ultima operazione è comunque sconsigliata.”
Verso la fine dell’Ottocento Brand D’Auvernier (Svizzera) pose in
vendita al prezzo di sei Franchi un apparecchio da lui inventato e brevettato
per la fabbricazione dell’olio di midollo di piede di bue.
L’apparecchio era costituito da un vaso di vetro sormontato da una
capsula di legno bianco avente funzione di filtro e da un’altra capsula in
porcellana munita di fori e sulla quale veniva deposto il midollo.
Brand raccomandava di impiegare midollo fresco spezzettato e di
rimescolarlo con un bastoncino ogni due giorni.
L’apparecchio doveva funzionare al buio e alla temperatura di circa 15
gradi. L’olio di balena detto anche spermaceti era considerato il migliore fra
gli oli ricavati dai mammiferi marini.
Lo spermaceti è una sostanza grassa cerosa insaponificabile e costituita
in gran parte da cetina che veniva usata per la fabbricazione di candele,
pomate, unguenti oppure per l’appretto delle stoffe e come lubrificante di
pregio.
La sostanza che nel passato aveva una importanza notevole
nell’economia è contenuta in un organo particolarissimo dei capodogli,
alloggiato sopra lo scheletro del muso in uno spazio simile a un immenso
serbatoio.
Il grasso è allo stato liquido e solidifica per raffreddamento in seguito
alla morte dell’animale.
Gli inglesi chiamano il capodoglio Sperm Whale cioè balena dallo

347
sperma, infatti in epoche lontane, si credeva che quella sostanza potesse
identificarsi con una massa di elementi seminali.
Chiaramente l’olio di cetaceo a differenza di tutti gli oli non poteva
essere prodotto dal singolo orologiaio ma veniva fornito dalle industrie
baleniere e per essere utilizzato in orologeria doveva essere sottoposto ad
ulteriori trattamenti. Ecco la ricetta suggerita da Hartmann nel 1828.
“A quattro once d’olio di balena di prima qualità aggiungere quattro
grani di kali aeratum (aurato di potassio) sciolto in cinque once di acqua
distillata; lasciare riposare per un giorno o due, versare in un vaso coperto
da un boccale e dopo averlo esposto al sole per tre o quattro settimane
schiumare l’olio che galleggia con un cucchiaio da caffè.”
David Meek (1897) che preferiva l’olio animale a quello vegetale,
riferiva che lo spermaceti applicato ad un orologio era ancora allo stato
fluido dopo tre anni. Lui stesso aveva sperimentato un miscuglio di
spermaceti con olio di piede di bue e aveva trovato la miscela ottenuta il
miglior lubrificante che avesse mai utilizzato.
Altri oli di mammiferi marini raramente ricordati nella letteratura
specifica sono l’olio di marsuino o focena (un cetaceo delfinide detto “porco
marino”) e quello di sirenidi come il lamantino e il dugongo.
Chamberlain (New York, 1941) annotava che l’olio di piede di bue e
l’olio di marsuino molto usati il primo in Inghilterra e il secondo in
America, avevano risposto in maniera soddisfacente per quanto riguarda la
lubrificazione, ma spesso con risultati catastrofici per l’azione corrosiva, per
la tendenza ad espandersi, a gelare alle basse temperature e ad evaporare.
Inoltre la viscosità era eccessiva per i bilancieri e insufficiente per le
prime ruote. In Inghilterra si sperimentarono anche oli estratti dal fegato di
alcuni pesci fra i quali il merluzzo e persino dal tuorlo d’uovo ed entrambi
furono definiti inutilizzabili.

Oli di origine vegetale

Nell’ambito degli oli vegetali sono stati sperimentati oli provenienti da noci,
nocciole, mandorle e da quasi tutti i semi delle piante conosciute, con la
tenace speranza di trovare un olio più confacente allo scopo di quelli già
noti come quelli nominati nei paragrafi precedenti, ma alla fine si riscontrò
che questi ultimi erano ancora i migliori
Laresche (1807 – 1832) abile orologiaio di Parigi con bottega a Palais

348
Royal si era occupato della preparazione di un olio che vendeva anche in
piccole quantità ai propri colleghi.
Nel 1827 pubblicò a Rouen una memoria sugli oli per orologeria che è
stata approvata dalla Societe Libre d’Emulation de Rouen.
Per Berthoud l’olio di Laresche doveva essere preferito a tutti gli oli
provati fino a quel giorno
“…l’olio di Laresche è fluido, diafano, senza odore, non contiene né
mucillaggine né acido…”
Robert tuttavia non fu dello stesso parere e neppure Le Normand (Parigi,
1830). Urban Jungersen (Copenhagen, 1776 – 1830), dopo aver provato un
grande numero di oli “migliorati” con procedimenti chimici, si convinse che
l’olio di oliva puro e naturale così come lo si ottiene per incisione e non per
troppa compressione dai frutti maturi, era il migliore possibile in orologeria
e aggiunse: “…è di quest’olio che io consiglierei di fare uso in preferenza;
ma non è facile procurarsene.”
Anche Henri Robert, che si occupò della sperimentazione degli oli sin dal
1820, era certo che l’olio di oliva fosse migliore di tutti gli oli sia animali
che vegetali e ne divenne un tenace sostenitore facendone commercio e
migliorandone sempre più la qualità.
Robert tratta l’argomento con meticolosità e puntigliosità in un rilevante
capitolo del suo libro evitando però di descrivere i procedimenti adottati per
l’estrazione e la depurazione adducendo la ragione che, se fossero stati male
ripetuti, avrebbe potuto essere accusato di indurre in errore.
Più tardi dichiara di voler conservare in famiglia i propri procedimenti ed
esprime il desiderio di voler smettere il commercio degli orologi per
dedicarsi esclusivamente alla preparazione e alla vendita degli oli.
Per dimostrare la meticolosità adottata nella produzione degli oli si limita
ad elencare i criteri più importanti da lui seguiti, ovvero la scelta dell’albero,
la località in cui si trova, l’anno più o meno propizio, la manutenzione del
frutto, l’alterazione per l’attacco di insetti e il tempo trascorso dal momento
della raccolta a quello della spremitura.
Robert era contrario ai trattamenti degli oli con acqua, alcool, etere e
l’esposizione alla luce sosteneva che tali oli non erano adatti per l’uso in
orologeria. Per poter fruire delle differenti caratteristiche di oli di diversa
natura alcuni autori consigliavano delle miscele.
Riassumendo la puntigliosa ricetta di una miscela suggerita da J. E.
Persegol (Parigi, 1882):

349
“Mescolare un litro di olio di oliva senza gusto di frutto con due litri di
olio bianco di piede di bue; filtrare e versare in un vaso; versare sulla
superficie dell’olio 500 gr. di stagno fuso; coprire il vaso per 7/8 giorni;
travasare e filtrare la quantità che necessita; filtrare ancora.
Dopo questa operazione supponendo di avere un litro di olio, versarci 5
gr. di etere volatile e mescolare; filtrare versando in un recipiente di bosso.
L’olio che gocciolerà dal recipiente potrà essere usato per le pendole
mentre l’olio per gli orologi dovrà essere invece filtrato altre due volte e
passato nel recipiente di bosso precedentemente lavato con sapone e ben
seccato.”
Persegol aggiunse:
“…sono certo che gli orologiai che fanno questa esperienza, lasceranno
da parte tutti gli oli che i mercanti di fornitura di orologeria vendono con
etichette più o meno ingannevoli”.
Più recentemente e sino a pochi decenni fa si producevano anche miscele
di oli vegetali e animali con oli minerali che davano buoni risultati a tutte le
temperature nonostante non fossero di qualità eccezionale.

Oli di origine minerale

Gli oli minerali erano conosciuti già a partire dall’ultimo quarto


dell’Ottocento infatti venivano prodotti e usati in orologeria oli estratti per
distillazione dal carbone, dall’asfalto, dagli scisti bituminosi e soprattutto
dal petrolio che sgorgava naturalmente da alcune sorgenti in America e in
Asia.
L’olio minerale è preferibile agli oli organici perché non si decompone
alle alte temperature o all’azione dell’ossigeno e non gela alle basse
temperature.
La piombaggine, sinonimo di grafite, è una varietà di carbone molle e
untuosa che viene usata come lubrificante, pura o miscelata con altri oli che
ne aumentano il potere lubrificante.
Troviamo citata la piombaggine già nel 1667 mentre nel 1830 L. Herbert
suggerì di usarla per lubrificare i cronometri e descrisse un elaborato e
meticoloso metodo per prepararla.
Una invenzione relativamente recente per evitare che l’olio si allontani
dalle parti soggette a lubrificazione è il trattamento con una sostanza detta
epilame. Si tratta di un brevetto di Paul Woog di Strasburgo.

350
L’epilame è un liquido in cui vengono immerse per qualche minuto le
parti da lubrificare e sulla loro superficie aderisce così una sottile e tenace
pellicola che impedisce all’olio di espandersi; la sostanza è stata introdotta
da Paul Ditisheim nel 1927.
Concludiamo con una annotazione di Carlo Bargoni, orologiaio veronese
della fine del XVIII secolo.
Bargoni asseriva che era necessario far pulire gli orologi una volta
all’anno, verso la fine dell’autunno.
“…quand’anche andassero passabilmente, poiché, derivando le
variazioni dall’oglio disseccato o vecchio, egli è necessario introdurvene
del nuovo, specialmente se si fa riflesso a cert’oglio cattivo e non purificato
ritenuto in vasetti di rame o d’ottone ed esposto alla polve che suolsi
adoperare da certi lordi professori, come se l’oglio purificato e netto fosse
un ente di minima necessità negli orologi”.
Termino il nostro percorso nella storia con una esclamazione di Jodin a
proposito dei crucci creati dagli oli agli orologiai:
“…ecco la nostra guida, tutte le nostre invenzioni sono insufficienti
poiché sono tutte assoggettate all’olio!”.
E all’affermazione di Jodin si può aggiungere quella più recente di Gould
(Marine Chronometer, 1923):
“Queste osservazioni danno rilievo all’importante verità che la
precisione di qualsiasi cronometro, seppur di disegno e costruzione perfetti,
è alla mercè del suo olio lubrificante…”.
Arriviamo così ai tempi nostri dove le cose sono notevolmente cambiate
e il progresso ha portato ad avere oli lubrificanti sempre più raffinati e di
alto livello. Come abbiamo avuto modo di comprendere la lubrificazione
come la pulizia sono due parametri di estrema importanza per operare
correttamente nelle revisioni degli orologi e per il loro buon funzionamento.
Oggi in orologeria vi sono numerose tipologie di oli specifici, pensati per
adattarsi al meglio al tipo di lavoro che gli organi in movimento sono
chiamati a svolgere.
Da questa analisi si evidenzia come l’attrito sia fortemente condizionato
anche da eventuali spinte assiali che nel caso reale degli accoppiamenti fra
ruote e pignoni è tanto più grande quanto più ci si avvicina alla forza
motrice, ovvero il bariletto di carica.
Per ridurre l’attrito, che come sappiamo è determinato dalla rugosità
delle superfici a contatto, si adotta quello che viene definito come

351
lubrificante, ovvero un fluido in grado di interporsi fra le due superfici
riducendone di molto il loro contatto relativo.

1. I moderni lubrificanti e la loro azione


La natura dei lubrificanti, come abbiamo avuto modo di vedere, si è evoluta
nella storia seguendo diverse direzioni in funzione dell’ambito per il quale
questi erano pensati e per l’utilizzo al quale erano destinati.
Nell’orologeria vi sono stati moltissimi studi e sperimentazioni che
hanno portato ai giorni nostri all’ottenimento di lubrificanti sempre più
raffinati e specifici. In generale un lubrificante può essere di natura liquida o
solida, quelli più comuni sono gli oli minerali o sintetici e i grassi che
rappresentano i lubrificanti di tipo solido.
La proprietà che un lubrificante deve possedere è quella di essere in
grado di aderire alle superfici senza aggredirle o corroderle e di rimanere in
posizione anche durante le sollecitazioni dovute al moto e alle pressioni
relative favorendo così la riduzione degli attriti.
Una delle caratteristiche che identificano un lubrificante è la sua viscosità
che ne esprime la resistenza allo scorrimento.
La viscosità è influenzata dalla temperatura che potrebbe farne variare
anche di molto il suo valore rendendo meno efficace così l’azione di
riduzione degli attriti.
Si considera ideale un fluido con viscosità nulla, cosa ovviamente
impossibile da ottenere in pratica.
Riassumendo quindi, il lubrificante che andremo ad utilizzare per i nostri
scopi dovrà avere caratteristiche specifiche tali da poter reggere bene le
pressioni radiali e quindi con elevato punto di rottura, sufficientemente
fluido da non determinare un eccessivo ostacolo alla trasmissione della
coppia, essere quanto più stabile agli sbalzi di temperatura e poter durare nel
tempo senza che vengano meno le caratteristiche chimico-fisiche che lo
caratterizzano.
Se volessimo approfondire quello che accade all’olio sottoposto agli
sforzi dovuti al moto, dovremmo prendere in analisi il seguente disegno

352
Durante la rotazione, come abbiamo visto in precedenza, il punto di contatto
fra perno e boccola tende a spostarsi trascinando di conseguenza il
lubrificante presente nell’intercapedine.
Il restringersi di questa intercapedine porta l’olio ad aumentare la sua
pressione relativa fino a raggiungere il suo massimo nel punto di contatto.
Questa pressione, se le caratteristiche dell’olio sono tali da non cedere a
livello molecolare facendo rompere la sua superficie, fa sì che l’olio stesso
venga “spinto”, frapponendosi fra perno e boccola e vincendo così la spinta
radiale applicata al perno.
Questa nuova condizione di equilibrio fa portare idealmente il perno in
una condizione di “galleggiamento” riducendo in questo modo il contatto
fra le superfici e quindi l’attrito.
Questo spiega perché quando vengono meno le caratteristiche di fluidità
dell’olio si creino le irreversibili usure che abbiamo visto all’inizio di questa
trattazione.

353
Capitolo IX
Lo scappamento

Il dispositivo denominato scappamento ha la funzione di mantenere le


oscillazioni del regolatore, sia esso un pendolo o un bilanciere con spirale,
che vengono smorzate dagli attriti e dalla resistenza con l’aria.
La trasmissione dell’energia avviene per impulsi atti a modificare
bruscamente la posizione di equilibrio del regolatore e in modo periodico e
l’intervallo fra un intervento e l’altro è la durata di una alternanza o quella di
una oscillazione.
Ad ogni intervento dello scappamento un dente della ruota scappamento
si sposta o scappa, da qui il nome del dispositivo.
In generale, prima dell’impulso la ruota scappamento è a riposo, durante
l’impulso si muove per arrestarsi immediatamente dopo.
Il movimento della ruota quindi non è continuo, ma alternato e di
conseguenza anche il movimento di tutte le ruote e i pignoni del treno fino
al bariletto e alle ruote della minuteria.
Scegliendo in modo oculato il numero dei denti delle ruote e dei pignoni
secondo il periodo del regolatore e secondo l’intervallo dei due interventi
consecutivi dello scappamento, possiamo fare in modo che la ruota dei
secondi faccia un giro al minuto e quella dei minuti un giro in un’ora.
Lo scappamento svolge quindi due funzioni:
• Mantenere le oscillazioni del regolatore fornendo in piccole dosi l’energia
proveniente dal peso o dalla molla motrice che giunge allo scappamento
attraverso il treno di ingranaggi.
• Permettere la rotazione regolare delle ruote in modo che le sfere possano
indicare la durata delle oscillazioni effettuate dal regolatore.

354
Il funzionamento dello scappamento segue il seguente svolgimento:
La ruota scappamento è arrestata da un componente dello scappamento,
questo arresto è poi soppresso dal bilanciere o dal pendolo che libera la
ruota scappamento di un dente e conferisce un impulso direttamente o
indirettamente ad un componente solidale all’organo regolatore.
Quando l’impulso termina la ruota scappamento si trova nuovamente a
riposo fino allo sgancio successivo.

1. Classificazione degli scappamenti


Gli scappamenti sono estremamente numerosi e solo alcuni di questi sono
stati effettivamente realizzati.
Vengono classificati in base alla durata del contatto fra la ruota ed il
componete solidale al regolatore.
Nello scappamento a contatto permanente c’è sempre un dente della
ruota che preme sull’albero del regolatore o su un pezzo più o meno solidale
al regolatore. Lo scappamento a contatto periodico ha il vantaggio di
lasciare il bilanciere libero durante l’arco supplementare.
Le oscillazioni del bilanciere sarebbero isocrone se non vi fosse la forza
di richiamo della spirale. Una delle resistenze è anche rappresentata dalla
ruota scappamento che preme direttamente o indirettamente sul regolatore.
Se si tratta di un pendolo o di un bilanciere si deve fare in modo di
lasciare la maggior libertà possibile al regolatore; il contatto periodico della
ruota scappamento con l’organo regolatore è preferibile a quello
permanente.
Citiamo gli scappamenti più comuni:
• Scappamenti a contatto permanente - per gli orologi : scappamento a
verga, scappamento a cilindro, scappamento Duplex, per gli orologi a
pendolo: scappamento a verga, scappamento ad a rinculo, scappamento
di Graham e scappamento brocot.
• Scappamento a contatto periodico o libero - per gli apparecchi con
bilanciere e spirale: lo scappamento ad ancora e lo scappamento detent.
• Scappamento libero con variazione della posizione di equilibrio -
scappamento di Riefler e Strasser utilizzato negli orologi a pendolo.

355
2. Lo scappamento foliot
I primi prototipi realizzati erano principalmente dei dispositivi volti a ridurre
la velocità di una ruota o di un treno di ruote e per fare questo si adottarono
diversi sistemi che si dimostrarono più o meno efficaci, passando da palette
simili a quelle usate nei girarrosti fino ad arrivare ad un vero e proprio freno
periodico che agiva direttamente su una ruota dentata. Alcuni esempi di
questa macchina furono proposti dallo stesso Leonardo dal quale poi si
presume si sia evoluto quello che venne chiamato in seguito scappamento a
verga
L’organo oscillante dei primi orologi meccanici prese il nome di foliot ed
era costituito da una barra ben equilibrata e libera di ruotate intorno al
proprio asse.
La funzione principale era quella di lasciar scappare un dente per volta,
rallentando quindi la rotazione della ruota stessa o del treno di ruote ad essa
connesso. Questo concetto fu in seguito adottato in orologeria
trasformandolo in un vero e proprio divisore periodico che rimase valido per
almeno cinque secoli.

356
Lo scappamento è composto dalla ruota a corona A, dall’albero B dotato di
due palette P1 e P2 poste con un angolo di circa 90° fra loro che prende il
nome di verga e sul quale è calettata una barra ben equilibrata C detta foliot
che porta due masse R1 e R2 detti regolatori.
Spostando i due pesi si allunga o si accorcia la barra C modificando di
conseguenza il suo momento di inerzia e di conseguenza il periodo
dell’organo oscillante.

Per comprendere meglio il funzionamento dello scappamento prendiamo in


esame i denti frontali D1 e D2 che si muovono secondo il senso di rotazione
indicato dalla freccia.
Il dente conduce la paletta p1 fintantoché abbandonato il punto E, si
troverà in F.
In questo istante p2 si troverà nel punto G in prossimità del dente D2.
Il dente D2 si sposta secondo il senso di rotazione ω, e nel momento che
il dente ha lasciato la paletta p1 la ruota prende un movimento accelerato e
D2 si scontra con la paletta p2.
Il movimento di p2 è quello dell’asta foliot e dei due regolatori R1 e R2
che ne aumentano e regolano l’inerzia.
La paletta p2 oltre a fermare D2 e di conseguenza la ruota, è costretta ad
arretrare. In questo istante la ruota è sollecitata da due forze, una
proveniente dalle palette che la obbliga a retrocedere, l’altra data dalla

357
coppia motrice che tende a farla ruotare nel senso normale di marcia.
La rotazione e l’energia cinetica di p2 diminuiscono, ma la coppia
motrice rimane invariata.
Da qui l’equilibrio è stabilito, la ruota riprende il suo movimento normale
ed obbliga p2 e l’asta foliot a ruotare in senso opposto.
Il movimento del foliot si compone di due parti:
Nella prima parte, durante l’impulso, il foliot è condotto dalla ruota, nella
seconda, durante l’arco supplementare, il foliot conduce la ruota che
l’obbliga a retrocedere.
La coppia motrice per poter condurre l’asta foliot dotata di notevole
inerzia deve essere necessariamente elevata, mentre gli attriti delle palette
contro i denti della ruota sono altrettanto rilevanti.
Le dimensioni delle palette quando entrano fra i denti della ruota
determinano l’elongazione del foliot al termine dell’impulso.

Avremo quindi:

358
Se l è la lunghezza della paletta

OP = OF = l

e indicando con ε la penetrazione nella ruota della paletta lungo la traiettoria


AA avremo

Sapendo che

otteniamo

φ0 ≅ 70°

Questo valore che risulta enorme per un orologio a pendolo, non lo è in


realtà per un orologio foliot.
Il valore ammissibile per l’angolo fra le palette è in genere di 90° mentre
negli orologi a pendolo può assumere valori anche inferiori, intorno ai 45°.
La paletta una volta ferma al termine dell’impulso genera una
componente più favorevole della forza motrice data da

359
N = C Cos α

3. Il periodo del foliot


Possiamo distinguere tre fasi del movimento del foliot durante la durata di
una alternanza:
• L’impulso - un dente della ruota conduce una delle due palette.
• La caduta - un altro dente della ruota va a scontrarsi con la seconda
paletta.
• L’arco supplementare - la seconda paletta fa arretrare la ruota.

In questo scappamento gli attriti sono notevoli e sono poco determinabili


attraverso il calcolo.
Calcoliamo il periodo del foliot in modo approssimativo semplificando il
problema.
Calcoliamo in quanto tempo un foliot dotato di un momento di inerzia I
descrive un angolo dato φ nel momento in cui viene condotto da un dente
della ruota scappamento sotto l’influenza della coppia C che supponiamo
essere costante, senza poi considerare gli attriti.
Applicando il teorema delle forze vive, il lavoro di C vale

360

L’energia cinetica del foliot passa da 0 a , dove ω è la velocità angolare


del foliot e dopo aver descritto l’angolo φ avremo

Sia t1 il tempo impiegato dal foliot per descrivere l’angolo φ, durante questo
tempo il movimento del foliot è uniformemente accelerato e l’accelerazione
angolare γ sarà

L’equazione delle forze vive diventa quindi

In pratica la parte del periodo t1 diminuisce quando la coppia aumenta a


condizione che l’angolo φ rimanga costante.
Se la ruota scappamento è sotto l’influenza di una coppia costante, non lo
è invece l’asta foliot sulla quale agisce una forza che varia in base
all’inclinazione delle palette e in rapporto al numero di denti della ruota.
Possiamo comunque provare a calcolarla supponendo che tale forza
rimanga costante. Non consideriamo inoltre la caduta e l’accelerazione che
ne risulta sulla ruota.
Durante il ritorno abbiamo una coppia C’ che si oppone al movimento

361
delle palette. C’ differisce da C in quanto l’inclinazione media della paletta
di spinta non è la stessa di quella spinta.
Chiamiamo φ0 l’angolo massimo percorso dal foliot e φ0 − φ l’angolo di
ritorno.
Il teorema delle forze vive permette di calcolare il tempo t2 impiegato dal
foliot a descrivere l’angolo φ0 − φ, avremo quindi

la durata di una alternanza del foliot sarà

Quando la coppia che agisce sulla ruota scappamento aumenta (ad esempio
per un incremento del peso motore), il periodo diminuisce e l’orologio
avanza.
Questa conclusione può dirsi esatta se l’aumento della coppia motrice
non modifica l’ampiezza φ0, perché se φ0 dovesse aumentare anche t2
aumenterebbe.
Tuttavia l’aumento di φ0 è lontano dal compensare C e C’ in quanto per
un aumento di C avremo un accrescimento dell’amplitudine del foliot,
mentre per un aumento di C’ si avrebbe una diminuzione.
Lo scappamento a verga è robusto, ma al contempo più soggetto ad usura
ed è stato utilizzato per parecchi secoli, il suo più ardente sostenitore fu
Ferdinand Berthoud.
Non dimentichiamo che nel XVIII secolo l’orologio da marina permise
ad Harrison di risolvere i problemi della longitudine e guadagnò il premio
del parlamento britannico sullo scappamento a verga, che presentava una
importante particolarità: le palette erano in diamante con piani di impulso la
cui sommità era arrotondata secondo una forma cicloidale, mentre l’organo
oscillante era composto da un bilanciere e spirale.
Con l’introduzione della spirale in qualche modo si riduceva la necessità

362
di utilizzare la verga in quanto l’inversione del moto era comunque garantita
dalla spirale stessa.
Malgrado questo passarono però parecchi anni prima che venisse
prodotto uno scappamento altrettanto valido, arrivando nel 1726 allo
scappamento a cilindro di Graham e a quello ad ancora di Mudge circa
trent’anni dopo.
Nonostante le innovazioni lo scappamento a verga mantenne imperterrito
le sue posizioni pur avendo dei difetti che sostanzialmente erano due: non
lascia libertà di oscillazione al bilanciere poiché è sempre a contatto con la
verga ed è molto sensibile alle inevitabili variazioni della forza motrice
portando ad oscillazioni di ampiezza non costante e variabile nel tempo con
il risultato di avere una divisione del tempo imprecisa.
Uno dei punti di forza dello scappamento a verga era invece il fatto di
non necessitare di lubrificazione nei punti di contatto fra paletta e dente
della ruota. Ora viene da chiedersi se lo scappamento a verga fosse davvero
in contrasto con la finalità di ottenere la precisione dall’orologio e se avesse
dato sempre il massimo di sé.
A giudicare dalla storia che segue parrebbe proprio di no!
Tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700, con l’incremento dei viaggi
oceanici, divenne sempre più necessario fare calcoli e valutazioni in mare
aperto per capire dove ci si trovasse e stabilire la rotta più breve e più sicura
da seguire.
Il modo per ottenere la posizione della nave era ben noto, bastava
incrociare latitudine e longitudine sulle carte di navigazione.
A quel tempo era più semplice determinare la latitudine, mentre i modi
per stabilire la longitudine non erano ancora del tutto certi.
Senza approfondire troppo basti ricordare che erano stati proposti diversi
modi tra cui le osservazioni celesti con precise misurazioni, impossibili da
determinare sulla tolda ondeggiante di una nave e che oltre tutto
richiedevano complicatissimi calcoli non sempre alla portata dei
comandanti, che per quanto dotati di coraggio talvolta non avevano una
grande conoscenza della matematica.
Tra questi però ne venne proposto uno semplice che prevedeva l’impiego
di un orologio.
Questo doveva mantenere sulla nave l’ora della località dalla quale si era
partiti o meglio del meridiano ufficiale, per poi confrontarla con quella del
luogo in cui si trovava la nave al momento del calcolo. L’ora era deducibile

363
studiando la posizione del sole, che sappiamo mutare a seconda del
meridiano.
Constatata la differenza bastava poi un semplicissimo calcolo per
determinare la longitudine.
Il problema era così sentito che Spagna, Olanda, Francia e Inghilterra.
Nazioni marinare per eccellenza, avevano messo in palio un’ingente somma
di denaro per chi avesse trovato un modo di calcolarla con sufficiente
precisione.
L’Inghilterra lo fissò a 200.000 sterline di allora che equivarrebbe a
diversi milioni di euro attuali.
Questo scatenò la corsa al premio, gara che impegnò astronomi,
matematici e orologiai per un metodo che vedeva come protagonista
l’orologio.
Vi si impegnò anche un carpentiere di nome John Harrison con la
passione per l’orologeria e vi dedicò tutti gli anni della sua lunga vita
impiegati quasi esclusivamente alla realizzazione di cinque ingegnosi
orologi di cui quattro esposti al museo navale di Greenwich e uno a Londra.
Raccontare la storia di Harrison e delle sue vicissitudini per la conquista
del premio della longitudine ed esporre le caratteristiche tecniche dei suoi
orologi sarebbe molto affascinante quanto complesso e pertanto ci
limiteremo a parlare del più famoso degli orologi da lui costruito ovvero il
numero quattro.
Questo può essere la dimostrazione di come lo scappamento a verga
opportunamente modificato e meglio costruito potesse dare ancora molto.
Questo orologio fu sincronizzato a terra con una pendola precisissima di
Graham, appena rimessa all’ora sulla base del passaggio del sole sul
meridiano prima della partenza per un viaggio in mare che durò cinque
mesi.
Al suo ritorno, 156 giorni dopo, venne messa a confronto l’ora segnata
dall’orologio con la pendola rimessa all’ora in quel momento con il
meridiano e l’orologio mostrò un ritardo di 15 secondi, ovvero un circa un
decimo di secondo al giorno che consentiva quindi di determinare la
longitudine in mare con estrema precisione e ben maggiore di quella
richiesta nel concorso del 1714 emanato dal parlamento inglese.
Viene da chiedersi come fu possibile nel 1764 ottenere una precisione
così elevata da un orologio portatile e gran parte del suo successo risiede
nella costruzione meccanica di livello estremamente elevato, infatti

364
conteneva le seguenti innovazioni:
• Non si arrestava durante la carica, cosa che invece poteva accadere agli
orologi che prevedevano il conoide e questo grazie ad un marchingegno
inventato da Harrison che prese il nome di “sistema di conservazione
della forza motrice” e che fu in seguito inserito in tutti gli orologi a
conoide.
• I perni del rotismo giravano, per la prima volta, tutti in cuscinetti di pietra
dura, oggi chiamati rubini.
• Lo scappamento a verga fu inoltre modificato in modo tale che il rinculo
fosse minimo.
• Le palette della verga era a forma di semicilindro pieno e dal disegno
sofisticato erano state realizzate in diamante.
• La ruota scappamento non riceveva la forza motrice direttamente, ma
attraverso un rotismo armava ogni 7 secondi una seconda esile molla che
a sua volta forniva la forza alla ruota scappamento, una sorta di spirale.

Ne conseguiva che questa poteva contare su una erogazione di energia


estremamente costante che si trasformava a sua volta in impulsi altrettanto
costanti al bilanciere facendolo oscillare sempre alla medesima ampiezza.
• Per ultimo ma non di minor importanza, incorporava uno dei primissimi
esempi di sistema di compensazione della temperatura, ottenuta con una
lamina bimetallica di ottone e acciaio saldati, che agiva sulla lunghezza
attiva della spirale.

Questo orologio per le sue caratteristiche era molto complesso e anziché


divenire il futuro degli orologi a verga divenne il traguardo e la fine di
questa tipologia. Infatti nei successivi cronometri da marina vennero adottati
scappamenti di più facile costruzione relegando l’orologio di Harrison al
solo e ultimo esempio di orologio a verga.

4. La verga - dalla teoria alla pratica

365
Può capitare di dover restaurare un orologio a verga e dover ricostruire
proprio la verga stessa perché danneggiata o mancante.
L’operazione si esegue interamente al tornio e si può collocare fra quelle
di difficoltà piuttosto elevata per via del tipo di lavorazione, delle
dimensioni ridotte e per la fragilità del pezzo.
Come prima cosa si consiglia di realizzare un disegno costruttivo con
tutte le quote che ci serviranno poi come riferimento per le successive
lavorazioni.
La scelta dell’acciaio è determinante per la buona riuscita del lavoro,
infatti gli acciai da tempra sarebbero troppo malleabili e l’operazione di
successiva tempra renderebbe molto fragile il pezzo, con il rischio di
deformazioni se non addirittura la rottura.
Per queste ragioni si deve utilizzare un acciaio ad alto tenore di carbonio,
con buone caratteristiche di elasticità e che non richieda successivi
trattamenti termici.
Queste caratteristiche ci vincolano all’utilizzo di utensili molto duri come
quelli al carburo di tungsteno che ci permettono di lavorare anche acciai
temprati. La lavorazione deve seguire una sequenza precisa, pena la rottura
del pezzo in lavorazione per via degli sforzi di taglio applicati.
A seguire alcune fasi della lavorazione.

366
Le palette si possono realizzare manualmente con una lima adeguata oppure
avvalendosi di una fresa o di un adeguato disco abrasivo.
Vista la delicatezza e le dimensioni di alcune verghe si consiglia inoltre
l’utilizzo di appositi supporti atti ad evitare pericolose flessioni dell’albero

367
durante le lavorazioni.
Al termine del lavoro di sgrossatura si dovrà provvedere alla lucidatura
dei piani di impulso delle palette cercando di ottenere una superficie con
finitura lappata, questo per ridurre gli attriti durante il funzionamento.
L’angolo da tenere fra le palette può variare fra i 90 e 115 gradi, in
genere è di 96 gradi.
Per determinare la larghezza delle palette si parte dal numero di denti
della ruota e si calcola secondo il seguente schema

dove D è il diametro della ruota scappamento.

5. La ruota scappamento per i verga


Uno dei problemi che affliggono maggiormente gli orologi da tasca a verga
è proprio il danneggiamento dei denti della ruota scappamento che a causa
di una mancata presa con le palette della verga ruota libera e urtando contro
le palette stesse, danneggiano le creste acuminate dei denti con il risultato
che lo scappamento non potrà più funzionare.

368
Quando questo accade sarebbe necessario sostituirla, ma come è facile
comprendere è praticamente impossibile reperire ricambi di orologi così
antichi e altamente artigianali, quindi rimane la sola strada della
ricostruzione. Le dimensioni dei caratteristici denti raccordati però rendono
questa operazione praticamente impossibile a meno che non si disponga di
opportune frese di forma, eredità e testimonianza storica dell’artigianato del
Settecento.
Queste particolari frese dalle dimensioni estremamente ridotte erano state
pensate per realizzare i delicatissimi denti e ogni fresa aveva un opportuno
raggio di curvatura tipico delle differenti ruote di diversa dimensione.

Grazie al loro profilo raccordato è quindi possibile tagliare i denti della


ruota in modo molto preciso e senza la necessità di riprese successive ed è
anche possibile il ripristino della dentatura lesionata senza necessariamente
ricostruire interamente la ruota.

369
Nel caso in cui invece si dovesse ricostruire una ruota di dimensioni
maggiori, ad esempio di quelle montate sui pendoli del ’700, il lavoro verrà
svolto utilizzando apposite frese di forma che copiano il profilo del dente.

La prima fase è quella della tornitura.

370
Poi con la fresatrice dotata di divisore si eseguono le lavorazioni restanti.

371
6. Lo scappamento a cilindro

Inventato da Graham verso il 1720, lo scappamento a cilindro ebbe una vita


longeva e prese il posto dello scappamento a verga in quanto presentava due
importanti vantaggi: l’assenza di rinculo e la possibilità per il bilanciere di
compiere oscillazioni di ampiezza maggiore.
È composto da due organi, la ruota scappamento e il cilindro.
La ruota scappamento è di forma piana e senza denti come quella del
verga ed è composta da colonnine perpendicolari al piano della ruota sulle
quali trovano posto delle piastrine di forma semi triangolare.

372
La ruota scappamento è in genere in acciaio temprato e rinvenuto ed è
ribadita sull’albero del pignone di scappamento.
Il cilindro è cavo, in acciaio temprato e alle sue estremità sono calettati
due tamponi anch’essi in acciaio temprato e rinvenuto che danno origine ai
perni di forma cilindrica.
Ad una certa altezza il cilindro presenta una fresatura nella quale passa la
ruota scappamento da cui riceve l’impulso che prende il nome di bocca del
cilindro.

373
L’insieme dei due tamponi, perni e cilindro costituisce l’asse del bilanciere
sul quale sono calettati il volano e la spirale.
Il volano in genere ha la corona liscia senza viti di regolazione o
compensazione, ma è dotato di un perno radiale che svolge la funzione di
anti - ribaltamento; a sua volta è calettato su un collarino in ottone sul quale
viene alloggiata la virola della spirale che di norma è di tipo piano.

7. Funzionamento dello scappamento a cilindro


Per comprendere il funzionamento dello scappamento a cilindro guardiamo
la ruota scappamento dall’alto e sezioniamo il cilindro all’altezza dei piani
di impulso della ruota.
Partiamo dal momento in cui il mobile descrive l’arco supplementare.
Il movimento si svolge secondo le frecce 1 e 2, la forza di richiamo della
spirale riporta il bilanciere verso la posizione di equilibrio mentre la
superficie laterale del cilindro scivola sulla punta del dente della ruota.
In questo caso non si ha nessun rinculo e il cilindro gira effettivamente
intorno al suo asse geometrico, il bilanciere descrive l’arco supplementare
fino al punto morto.

374
Ad un certo punto la punta del dente incontra nuovamente l’estremità A
della leva d’entrata del cilindro e la ruota mossa dalla forza della molla
motrice si può muovere nella direzione indicata dalla freccia 1.
Il piano d’impulso EF del dente respinge il piano AB della leva d’entrata
e questa pressione fa si che il bilanciere acquisisca una accelerazione
ruotando nel senso della freccia 2.

A questo punto il periodo d’impulso è terminato.

375
In questo momento il dente della ruota abbandona la leva d’entrata e, non
trovando nessuna resistenza, accelera fintantoché il punto E incontra la
parete interna del cilindro in G; questo movimento è chiamato caduta ed è
misurato dall’angolo B O1 F descritto dalla ruota.

Per questa ragione la ruota durante questo percorso subisce una


trasformazione di energia derivante dalla molla motrice in energia cinetica,
questa parte di energia viene assorbita dal bilanciere.
Questo angolo deve essere ridotto il più possibile, tuttavia non può essere

376
soppresso in quanto assicura il gioco del dente all’interno del cilindro.
Il movimento del cilindro continua nel medesimo senso, ma avendo
superato il punto morto, il movimento diventa contrario per via della spirale
e il bilanciere ad un certo istante si ferma.
La spirale avvolta tende a far tornare il cilindro verso la posizione di
equilibrio e il movimento a questo punto seguirà la direzione della freccia 3

In questo istante il dente è “caduto” sulla parete interna del cilindro fino a
che la punta del dente non si trova in concomitanza del punto C.

377
La ruota rimane ferma ma il punto E striscia costantemente contro l’interno
del cilindro.
Quando la punta del dente si trova nel punto C si ha l’impulso sulla leva
di uscita, questo impulso imprime al bilanciere una accelerazione angolare
diretta nel senso della freccia 3.
Al termine dell’impulso il cilindro e la ruota si trovano nella posizione
rappresentata nella figura che segue.

Quando il dente 1 abbandona la leva d’uscita, il dente successivo 2 viene


intercettato dalla parete esterna del cilindro.
L’impulso termina e la ruota è libera ed avrà percorso l’angolo HO1 K, la
punta del dente 2 toccherà a sua volta la parete del cilindro.
Il movimento del cilindro prosegue nella direzione della freccia 3 quindi
percorre l’angolo supplementare. La ruota è ferma, la punta H del dente 2
striscia contro la parete esterna del cilindro che ruota con una velocità che
va riducendosi a causa del contrarsi della spirale.
Da qui il bilanciere si arresta e viene trascinato dalla spirale verso la
posizione di equilibrio, le successive fasi sono quelle viste in precedenza.
Un dente della ruota scappamento genera due impulsi consecutivi, uno
sulla leva di entrata e uno durante l’alternanza successiva sulla leva di

378
uscita.

8. Trasmissione dell’energia dalla ruota scappamento


al bilanciere
Chiamiamo M il momento motore riferito al centro della ruota O1 che
possiamo rappresentare per la forza M agente sull’unità di distanza da O1.
Il dente della ruota è appoggiato contro la parete esterna del cilindro ed
esercita contro quest’ultima una pressione N diretta verso O.

L’attrito Nφè diretto lungo la tangente alla circonferenza esterna del cilindro
II e il senso di rotazione è quello indicato dalla freccia 2.
La direzione opposta III indica il momento in cui il cilindro ruota nel
senso indicato dalla freccia 3.
Per il senso di rotazione della freccia 3, l’equazione di equilibrio è data

379
da

M - N * O1T - Nφ* O1S = 0

Indicando il momento di forza P che mantiene il cilindro in equilibrio e r’ il


raggio esterno del cilindro, l’equazione d’equilibrio del cilindro è

P = Nφr’ = 0

Ma se chiamando R la distanza dei centri OO1,

O1 T = Rsinη − r ’

e introducendo questo valore nell’equazione di equilibrio otteniamo

Se la rotazione del cilindro avviene secondo la freccia 2, il valore di P sarà

È possibile calcolare l’angolo η partendo dal triangolo OO1 E, considerando


R, r’, e il raggio ρ1 della punta del dente, applicando la formula

avremo

380
da cui

Se il contatto ha luogo all’interno del cilindro, il momento P può essere


calcolato con la seguente formula

da cui

Dove r è il raggio interno del cilindro, in seguito il movimento del cilindro


segue la direzione della freccia 3 o in quello della freccia 2.
Esaminiamo la condizione di equilibrio quindi l’impulso.

381
Sia B il punto di contatto del dente con la leva d’entrata, la pressione del
dente BN è perpendicolare a BO1.
Se M è il momento motore agente sulla ruota scappamento, abbiamo
trascurando l’attrito

O1B è una grandezza situata fra ρ1 e ρ2 raggi principali fra la punta e il


piede del dente.
Il momento N rispetto ad O è

N * OT = N r sinα

la pressione normale N’ vale

N’ = N sin α (α + β)

l’attrito varrà

N’φ = Nφsin(α + β)

i cui momento rispetto a O sono

Nφsin(α + β) * OV = Nφsin(α + β) * r sinβ

Chiamando P il momento di forza trasmesso al cilindro, l’equazione di


equilibrio del cilindro diventa

P - N r sinα - N r φsin(α + β)sinβ = 0

da cui avremo

P = N r[sin α + φsin(α + β)sinβ]

382
Questa equazione è approssimativa in quanto, mettendo , non
abbiamo in pratica considerato gli attriti.
Tenendo conto di quanto detto, avremo l’equazione di equilibrio della
ruota

M - N * O1B − N’φ* O1S = 0

da cui

O1S = O1B Cos (α+ β)

Quindi

M - N * O1B − N φ Sin(α + β) * O1B Cos (α + β) = 0

da cui

M = N * O1B [1 + φ sin(α + β) cos (α + β)]

da cui

e quindi l’equazione diventa

Se il rapporto fosse uguale a si avrebbe rendimento pari a 1.

383
Non considerando gli attriti il rendimento è uguale a sin α, quindi molto
debole, questo è dovuto al fatto che N ha un braccio piccolo in rapporto ad
O.
Per calcolare il rendimento globale dello scappamento a cilindro si deve
calcolare il lavoro assorbito dagli attriti, compreso quello dei perni, durante
una oscillazione.

9. L’amplitudine del bilanciere


Si cerca sempre di dare all’oscillazione del bilanciere la più grande
amplitudine possibile compatibilmente con la funzione dello scappamento.
Prendiamo in esame l’istante in cui il punto E del dente è appoggiato
contro la parete esterna del cilindro.

L’impulso sulla leva di uscita spinge il bilanciere a descrivere l’arco


supplementare seguendo la direzione della freccia 3.
Il punto E si trova sull’estremità D della leva d’uscita e con una piccola
rotazione del cilindro si troverà nello spazio vuoto.
La ruota a questo punto avanzerà e il cilindro, a causa della spirale,
tornerà indietro di uno spazio pari ad un dente della ruota.
Possiamo ora parlare di ribaltamento, che accade facilmente se
l’amplitudine di oscillazione supera i 180° o π radianti.
Per evitare il ribaltamento, come abbiamo già detto, viene inserito un
perno radiale alla corona del volano e sotto al ponte viene inserito un

384
ulteriore perno fisso.
Quando l’amplitudine supera i 180° i due perni si scontrano arrestando
così il bilanciere che tornerà indietro e scongiurando il ribaltamento.
Il contatto fra i due perni deve avvenire solo in casi eccezionali in quanto
l’urto produce un aumento elevato della velocità angolare del bilanciere.
Il contatto fra i due elementi viene detto ribattimento, fenomeno che
porta a fortissime perturbazioni al periodo del bilanciere.

10. Ricostruzione del cilindro

Uno dei problemi più grossi che si possono presentare durante il restauro di
un orologio con scappamento a cilindro è proprio la rottura del cilindro
stesso. In passato erano disponibili grandi assortimenti di cilindri e tamponi
di varie dimensioni ormai divenuti irreperibili se non limitati a pezzi di
piccole dimensioni.
Per poter procedere quindi col restauro di un orologio con cilindro rotto
diventa determinante il fatto di poter realizzare questo delicato e complesso
componente.
Per la realizzazione del cilindro si deve partire da un tondino di acciaio
da tempra o ancora meglio, se disponibile, un tubo di dimensioni opportune

385
che rileveremo dal cilindro originale.
A seguire verranno poi realizzati i tamponi partendo questa volta da un
acciaio già temprato.
Vediamo alcune fasi da seguire per la ricostruzione del cilindro: in
questo caso si è partiti da un cilindro pieno e quindi la prima fase è quella
che prevede la tornitura del diametro esterno, la foratura e fresatura della
bocca del cilindro.

La fase successiva riguarda la finitura dei labbri di ingresso e di uscita che


dovranno essere privi di rugosità e perfettamente lucidi per evitare
impuntamenti e attriti oltre misura.

386
Fatta questa operazione si passa alla tempra in olio, fase molto delicata che
potrebbe compromettere l’integrità del lavoro svolto.
La tempra infatti, a causa del raffreddamento molto repentino, potrebbe
creare delle tensioni a livello molecolare tali da portare a rottura il metallo
nei punti di maggior criticità come gli angoli a spigolo vivo.

387
Dopo la tempra la superficie del cilindro appare opaca e ricoperta da una
sorta di crosta, detta morchia, dovuta ai residui della combustione dell’olio
di raffreddamento.

Per questa ragione si procederà quindi con la lucidatura della parete esterna
ed interna del cilindro utilizzando uno stecco di bosso sporco di diamantina
e olio.

388
Ultimata la lucidatura sarà quindi possibile tagliare il cilindro staccandolo
dalla matrice.

Sarà possibile ora realizzare i due tamponi partendo da una barretta di


acciaio temprato.
La procedura prevede di realizzare come prima cosa la parte cilindrica
che dovrà essere calettata nel cilindro in modo tale che l’accoppiamento
avvenga per interferenza.

389
Quando si è certi di aver raggiunto la dimensione corretta si potrà procedere
con lo sbozzo del perno eseguendo una tornitura a sbalzo.

390
Eseguita questa operazione, andremo a fissare il cilindro nella pinza avendo
cura di prenderlo quanto più vicino possibile alla sua sommità e potremo
quindi calettare il tampone staccandolo così dalla matrice.

Si procederà quindi alla tornitura del perno per portarlo a misura e alla

391
successiva finitura con brunitore e diamantina.

Prima di realizzare entrambi i tamponi è sempre consigliabile realizzare il


tampone inferiore e verificare che la bocca del cilindro sia stata eseguita
correttamente e che la ruota scappamento possa ruotare senza intoppi.

392
Accertato che tutto sia come previsto si può ultimare il cilindro.

11. Lo scappamento ad ancora


Lo scappamento maggiormente utilizzato negli orologi attuali è lo

393
scappamento ad ancora inventato da Thomas Mudge nel XVIII secolo.

È composto da tre organi: la ruota scappamento, l’ancora dotata di forchetta


e il plateau completo del suo rubino.
I perni dell’ancora sono in genere molto sottili, di dimensioni
particolarmente ridotte in modo da poter ridurre al massimo l’energia
assorbita dagli attriti, ma sufficientemente robusti da resistere alle
sollecitazioni alternate durante il funzionamento.
La ruota scappamento è calettata sull’albero del pignone scappamento,
l’ancora è fissata su un piccolo asse dotato di perni chiamato tige d’ancora e
il plateau è fissato sull’asse bilanciere.

12. La ruota scappamento


La ruota scappamento trasmette l’energia all’ancora tramite dei piani
inclinati detti piani di impulso.

394
Se il dente della ruota scappamento e la paletta dell’ancora sono dotati di
piani di impulso, lo scappamento viene denominato a superfici di impulso
condivise o ancora svizzera.
Se i denti della ruota terminano a punta e quindi senza un piano di
impulso lo scappamento viene definito come scappamento con denti a punta
o scappamento inglese.
Se la superficie d’impulso appartiene solamente al dente della ruota, lo
scappamento prende il nome di scappamento a caviglie, utilizzata per
esempio in alcune sveglie o negli orologi da tasca Roskopf.
Le ruote scappamento ad ancora svizzera sono in genere in acciaio
temprato e rinvenuto oppure in bronzo negli orologi amagnetici, mentre
quelle in ottone sono in genere destinate allo scappamento Inglese e a quello
a caviglie.
Il numero dei denti varia da 12 a 18 e per gli orologi in genere sono 15,
mentre negli orologi da tasca Roskopf le ruote sono composte da 18 denti.

13. L’ancora e la forchetta

395
Il componente, generalmente in acciaio temprato e rinvenuto che riceve
l’energia dalla ruota per poi trasmetterla al bilanciere è chiamato ancora per
via della sua forma caratteristica.
Montate sui due bracci vi sono le palette che possono essere in rubino,
zaffiro o granato e dalla parte opposta troviamo la forchetta: anche questa
prende il nome per via della sua forma.
Nelle realizzazioni antiche la forchetta era avvitata sull’ancora e a volte
c’era un contrappeso posto sul centro di gravità dell’ancora e la forchetta
sulla tige d’ancora.
Questo dispositivo è ormai stato abbandonato e l’ancora è realizzata in
un unica soluzione con la forchetta, che risulta più solida e più semplice;
inoltre il contrappeso è superfluo.

396
La paletta E è definita paletta d’entrata, la paletta S è definita paletta
d’uscita.
I piani d’impulso delle palette sono FG e HI, mentre i piani di riposo
sono FK e HJ.
La forchetta è costituita da una cava MNOP e termina con le corna MQ e
PR; calettato sulla forchetta troviamo un organo di sicurezza denominato
Dardo SS. L’asse della forchetta segue una direzione ben precisa, se il suo
asse è perpendicolare ad una linea che collega le estremità G e I delle due
palette, i centri di ruota, ancora e bilanciere cadono sulla stessa retta e lo
scappamento prende il nome di ligne droite.
Se l’asse della forchetta è parallelo e maggiormente spostato verso GI,
lo scappamento prende il nome di scappamento ancre còtè, dove i centri di
ruota, ancora e bilanciere formano un triangolo.

14. Il plateau e la caviglia


La caviglia del plateau generalmente è in rubino ed è fissata su un disco
mentre il plateau è fissato per interferenza sull’asse bilanciere.
L’asse della caviglia è perpendicolare al piano del disco e parallelo
all’asse bilanciere.
Il plateau riceve dalla forchetta l’impulso atto a mantenere il movimento
del bilanciere
La sezione della caviglia può variare ed essere ellittica, semicircolare o di
forma triangolare.

Il plateau ha la funzione di sostenere la caviglia e di collegarla in modo


rigido all’asse del bilanciere oltre a quella di sicurezza, ovvero di evitare che
a causa di un urto o di un movimento molto brusco l’organo di scappamento
assuma una posizione tale da non permetterne più il corretto funzionamento.
Questa funzione di sicurezza è data dal secondo disco, chiamato disco di
sicurezza o petit plateau, collegato al gran plateau che è quello sul quale si
trova la caviglia detta anche bottone del disco.

397
Esiste anche una versione di plateau costituito solo dal gran plateau senza il
disco di sicurezza che viene anche definito come plateau semplice.

398
15. Funzionamento dello scappamento ad ancora
Nello scappamento ad ancora ci sono quattro organi: la ruota scappamento,
l’ancora, la forchetta e il plateau che trasmettono l’energia dalle ruote al
bilanciere.
Ci sono due azioni che avvengono simultaneamente: quella della ruota
sull’ancora e quella della forchetta sulla caviglia.
Queste dipendono l’una dall’altra in quanto ancora e forchetta sono un
unico componente.
Per l’analisi del cinematismo prendiamo l’istante in cui il bilanciere
percorre l’arco supplementare.
Il dente 1 della ruota scappamento è appoggiato contro il piano di riposo
della paletta d’entrata E.

399
La ruota risulta ferma come anche tutti gli altri organi dello scappamento
tranne il plateau che è legato al movimento del bilanciere.
La ruota può essere fermata solo dalla paletta E e dalla paletta S, mentre
la forchetta e l’ancora sono fermate solo dalle spinette di limitazione G1 e
G2.
Supponiamo che il bilanciere si muova nella direzione della freccia, ad
un certo istante la caviglia R incontrerà la parete PO di entrata della
forchetta e la obbligherà a retrocedere girando intorno al centro di rotazione
O2 seguendo il senso della freccia 2.
L’ancora solidale con la forchetta viene trascinata nella medesima

400
direzione, la paletta E si solleva liberando il dente 1 che compie un
movimento nel senso della freccia 3 a causa della forza motrice proveniente
dal bariletto che agisce in modo costante sulla ruota scappamento.
La ruota si libera per un breve istante fintantoché non incontra il piano
d’impulso FG della paletta d’entrata anch’essa in movimento.
Il dente 1 spinge l’ancora e la forchetta nella direzione della freccia 2,
questo movimento è fortemente accelerato al punto che la forchetta
acquisisce una velocità di molto superiore a quella della Caviglia.
La parete OP di entrata della forchetta abbandona la caviglia e un istante
più tardi, la parete MN raggiunge la caviglia e la supera.
Si invertono i ruoli: mentre durante l’ingaggio è la caviglia a condurre la
forchetta, adesso è la forchetta a condurre la caviglia, l’impulso generato
impartisce al bilanciere una accelerazione supplementare che annullerà lo
smorzamento dovuto alle resistenze.
Il bilanciere compirà le oscillazioni di egual ampiezza se sia lo
smorzamento che l’energia dissipata restano costanti.
La durata dell’impulso è limitata all’istante in cui il dente 1 abbandona il
piano d’impulso FG della paletta E, in questo istante il piede C del dente di
impulso coincide con il punto G del piano d’impulso della paletta.
La ruota è nuovamente libera ma il suo movimento è fermato dal dente 3
che cade sulla superficie di riposo della paletta di uscita S.
Nello stesso istante la forchetta entra in contatto con la spinetta di
limitazione G2.
La forchetta, l’ancora e la ruota sono ora ferme, la caviglia si trova sulla
parete MN dell’entrata della forchetta e continua per via del bilanciere il suo
movimento nelle direzione della freccia 1.
In questo istante la caviglia abbandona la forchetta e il bilanciere è del
tutto libero di descrivere l’arco supplementare fintanto che la tensione
crescente della spirale non lo farà tornare indietro.
L’angolo supplementare è descritto nella direzione della freccia 1’ e
l’alternanza è completata.
Per riassumere le tre fasi:
a) Ingaggio della forchetta e dell’ancora con la caviglia e nel medesimo
tempo impegno del dente 3 della ruota dell’ancora.
b) Impulso dell’ancora attraverso il dente 3 con relativa accelerazione del
movimento dell’ancora, la forchetta nella sua leva d’entrata da condotta

401
diventa conduttrice aumentando così la velocità del bilanciere.
c) Termina l’impulso, il dente 0 cade sulla faccia di riposo della paletta E, la
forchetta si ferma sulla spinetta di limitazione G1, mentre la caviglia e
l’asse bilanciere continuano il loro movimento nella direzione della
freccia 1’.

16. Protezione dello scappamento da fenomeni


accidentali

Quando la caviglia del plateau si trova in posizione R, un colpo accidentale


che agisca nella direzione della freccia 2 può, se abbastanza forte, far
passare la forchetta dalla spinetta di limitazione G1 alla G2.
Per via di questo movimento il dente 1 si libera e la ruota potrà girare
fintantoché non entrerà in contatto con il piano di riposo della paletta di
uscita.
Se la caviglia si muove nella direzione indicata dalla freccia 1’, il
bilanciere terminerà il suo percorso senza problemi, ma al ritorno la caviglia
si sarà mossa nella direzione indicata dalla freccia 1 e incontrerà il dorso
della forchetta facendo fermare l’orologio.
Questo inconveniente viene definito ribaltamento.
Per evitare che questo accada, si è dotata la forchetta di una barretta SS,
chiamata dardo che attraversa il piccolo plateau di sicurezza P’.

402
Quando la forchetta è appoggiata contro l’una o l’altra spinetta di
limitazione G1 o G2 il dardo non deve poter toccare il disco di sicurezza.

L’angolo SO2S’è dove il dardo deve girare finché non incontra il bordo del
disco di sicurezza: questa circostanza prende il nome di ribattimento del
dardo.
Il dardo non ostacola il movimento del bilanciere fino al momento in cui
una scossa spinge la forchetta verso G2 facendolo ribattere ed arresta il
movimento a causa della collisione con il bottone di sicurezza del plateau.
Per questa ragione, durante l’impulso di rotazione del bilanciere secondo
la direzione della freccia 1, la forchetta può passare da G1 a G2, il bottone
del disco ha una tacca che si trova allineata con il dardo durante lo sgancio e
durante l’impulso.
La tacca è di forma semicircolare ed è abbastanza profonda e larga da far

403
passare il dardo senza che questo tocchi il disco.

17. L’angolo di levata e cammino perduto


La forchetta è trattenuta dalla caviglia del plateau, in modo che l’ancora
descriva per la prima volta un angolo di uscita che è uguale a quello del
bilanciere.
Chiamiamo ρ2 la distanza dal centro dell’ancora rispetto al punto di
contatto C della forchetta e ρ3 la distanza dal centro del bilanciere rispetto al
medesimo punto C.
Dal momento che l’angolo di uscita è piccolo, possiamo ammettere che il
punto C rimanga alla stessa distanza dai centri O2 e O3.
In realtà non è così, ma l’errore derivante da questa ipotesi si può
considerare trascurabile.

Durante l’uscita il cammino percorso dalla caviglia è ρ3 α e quello della


forchetta è ρ2 β, dove α e β rappresentano l’angolo di uscita del bilanciere e
dell’ancora.
Questi percorsi sono uguali a

404
L’inizio dell’impulso sulla caviglia del plateau coincide con l’inizio
dell’impulso sull’ancora: in effetti durante l’inizio dell’impulso della ruota
sulla paletta dell’ancora, il movimento dell’ancora è accelerato, la parete PO
è vicina alla caviglia e l’ancora deve percorrere un certo angolo prima
dell’inizio dell’impulso dato alla caviglia dalla parete MN dell’entrata della
forchetta.
Durante l’impulso del dente della ruota su una delle palette, l’ancora
descrive l’angolo di impulso.
La somma degli angoli di uscita e di impulso è detta angolo di levata
dell’ancora. Successivamente all’impulso la ruota lascia le palette, ma
l’ancora deve ancora percorrere l’angolo di sicurezza o cammino perduto, a
cui segue il contatto con la spinetta di limitazione che segna il termine del
percorso.

18. L’amplitudine del bilanciere con lo scappamento


ad ancora
Se in un orologio con scappamento ad ancora l’amplitudine del bilanciere
dovesse aumentare, si potrebbe raggiungere un punto in cui la caviglia C del
plateau entra in collisione con la forchetta.
Questo fenomeno prende il nome di ribattimento.
Ad un certo istante la forchetta si trova appoggiata alla spinetta di
limitazione G1 e la caviglia viene spinta e arretra nella direzione della
freccia 2, dando origine all’alternanza successiva.

405
Il ribattimento può essere causato da uno scuotimento che accelera il
movimento del Bilanciere, da una molla di carica troppo forte o troppo tesa,
da un difetto di ingranamento, una caduta che genera un aumento
momentaneo della forza trasmessa e deve essere evitato in tutti i modi
possibili.
Per eliminare il problema, dobbiamo progettare un orologio che sia
quanto più immune dai possibili fenomeni che portano al ribattimento.
Partiamo quindi con il definire l’amplitudine del bilanciere imponendo il
suo valore uguale a 360° - α, questa sarà quindi l’amplitudine limite del
bilanciere.
L’angolo α dipende dalla costruzione e dalle dimensioni della forchetta e
della caviglia del plateau che definiscono il punto di impatto J.
Se l’amplitudine reale è molto prossima a quella limite, il ribattimento
potrebbe manifestarsi con maggior frequenza.
Per le posizioni orizzontali, di norma si fissa l’amplitudine a 270° o 1.5 π
rad.
L’amplitudine tende a variare di continuo per via della forza motrice
trasmessa dalla molla di carica che risulta variabile nel tempo e quindi non
uniforme.
Negli orologi automatici la diminuzione dell’amplitudine del bilanciere
data dalla molla di carica non risulta regolare per il fatto che la tensione
della molla è subordinata al movimento dell’orologio e quindi dal
movimento del polso di chi lo indossa.

406
19. La messa in scappamento
Dopo aver montato la spirale sul bilanciere, si deve procedere alla
regolazione della posizione della virola in modo che, con la spirale a riposo,
il centro della caviglia del plateau cada esattamente sulla linea dei centri O2
O3 che congiungono i relativi centri di ancora e bilanciere.
A questo punto l’orologio può dirsi in scappamento: se così non fosse si
deve far girare la virola fintanto che la caviglia non si trovi all’interno della
forchetta avendo però l’accortezza di posizionare l’asta dell’ancora
esattamente a metà fra le spinette di limitazione ed accertarsi cha la caviglia
sia posizionata perfettamente equidistante dalle due pareti A e B della
forchetta.

Se lo scappamento non è centrato, la posizione di equilibrio del bilanciere si


muove in funzione di questo errore e di conseguenza si modifica la
ripartizione dell’angolo di uscita e di quello di impulso.
Immaginiamo di avere, ad esempio, una ripartizione degli angoli come da
disegno che segue.

407
La posizione di equilibrio si ha nel momento dello sgancio, BO3C
rappresenta l’angolo di uscita sulla paletta d’entrata e rappresenta il settore
durante il quale il contatto fra la caviglia del plateau e la forchetta viene
meno e il periodo si modifica in quanto la velocità della caviglia si riduce
molto rapidamente.
L’impulso ha inizio in C e dura fintanto che il bilanciere non descrive
l’angolo CO3F.
Si ha un aumento del periodo nel settore BO3A e CO3F e una
diminuzione nel settore AO3C.
L’influenza sul periodo non è mai la stessa per le due palette, il disegno
che segue mostra l’andamento dell’alternanza dove gli angoli di uscita e di
impulso non sono ripartiti come in precedenza.

408
Basta comparare i due esempi per comprendere che le due alternanze
consecutive non hanno la stessa durata.
L’effetto di una funzione, come ad esempio l’uscita, è differente fra una
alternanza e l’altra, in una si raggiunge prima la posizione di equilibrio della
spirale che nell’altra.
L’influenza sulla durata delle alternanze è maggiore se l’uscita va oltre la
posizione di equilibrio.
L’arresto dell’impulso o sul riposo non sarà lo stesso per le due palette,
nei due casi visti, l’arresto dell’impulso sarà più problematico sulla paletta
d’entrata e meno su quella di uscita.
Lo sgancio avviene sulle due palette a due velocità differenti, quando lo
sgancio si svolge ad un ritmo più veloce, l’angolo di rinculo dinamico della
ruota scappamento aumenta cosi come l’angolo percorso dalla ruota per
raggiungere il piano di impulso d’una paletta.
In questo caso, la perdita d’impulso è maggiore sulla paletta d’entrata che
su quella d’uscita.
Lo strumento che determina la marcia istantanea di un orologio è il
cronocomparatore, che traccia un diagramma costituito da una o due rette
parallele.

409
Nella figura le due rette rappresentano il tracciato della paletta d’entrata e
della paletta d’uscita.
Le due linee coincidono se lo scappamento è in battuta e quindi i tracciati
delle due palette si sovrappongono.

410
Capitolo X
Cenni di pendoleria

1. Periodo del pendolo matematico o pendolo semplice


Immaginiamo che tutte le masse del pendolo siano concentrate in un punto

411
G detto centro di gravità del pendolo.

Il filo al quale la massa m è attaccata si considera quindi privo di massa.


Prendiamo la formula generale per il calcolo delle oscillazioni
infinitamente piccole

Per il pendolo semplice abbiamo

I = ma2

il periodo diventa quindi

definiamo la grandezza l come

412
Quindi la formula per il pendolo semplice di lunghezza l e per oscillazioni
d’ampiezza infinitamente piccole diventa

per oscillazioni di ampiezza superiore φ0 < 5°

per oscillazioni di ampiezza maggiore φ0 > 5°

Consideriamo ora la formula

I = ma2

e chiamiamo ϱ il raggio di rotazione del pendolo in rapporto al suo asse di


rotazione; sostituendo avremo

I=mϱ2

la formula diventa

413
Il periodo del pendolo fisico dipende
• Dal valore di g.
• Dall’amplitudine φ0.
• Dalla ripartizione delle masse che determinano ϱ e a.

Il periodo non dipende quindi dalla massa del pendolo. Negli orologi
precisi l’utilizzo di un pendolo pesante non serve ad influenzare il periodo,
ma ad aumentare l’energia cinetica del pendolo.

2. La lunghezza ridotta del pendolo fisico


Il periodo si esprime come

esiste un pendolo matematico avente lo stesso periodo

La lunghezza l è la lunghezza del pendolo matematico avente lo stesso


periodo del pendolo fisico, ed è la lunghezza ridotta del pendolo fisico.
Riprendiamo il valore del periodo per le oscillazioni infinitamente
piccole

414
da cui

È possibile utilizzare il pendolo per determinare l’accelerazione di gravità


in un unico punto, con la formula

3. Il centro di oscillazione del pendolo


Supponiamo che in un pendolo fisico tutta la massa sia concentrata in un
unico punto S e che non ne modifichi il periodo.
È chiaro che la distanza OS sia uguale alla distanza ridotta del pendolo

415
Il punto S viene definito centro di oscillazione del pendolo, G è il centro di
gravità.

OS = l OG = a GS = l - a

Nel pendolo semplice G e S sono coincidenti.


Chiamiamo I0, Ig, Is i momenti di inerzia del pendolo rispetto agli assi
perpendicolari al piano di oscillazione del pendolo e passanti per O, G ed S.

Facendo oscillare il pendolo attorno all’asse passante per S cerchiamo la


lunghezza ridotta l’ del nuovo del pendolo.

416
Per cui possiamo dire che l’= l
La lunghezza ridotta del pendolo non cambia se lo si fa oscillare attorno
ad un asse posto sul centro di oscillazione.
Questa constatazione permise di realizzare il pendolo reversibile che è
dotato di due coltelli, uno posto in O e l’altro in S.

417
Sia S il coltello mobile nella cava F; spostando S è possibile equalizzare il
periodo dei due pendoli che oscillano uno attorno ad O e l’altro attorno ad S.
In un certo punto la distanza OS è uguale alla lunghezza ridotta del
pendolo e con la formula

possiamo calcolarne tutti i parametri.


Questo metodo è abbastanza grossolano e non può essere adottato per le
misure precise di g.
Il pendolo reversibile di Kater permette misure più esatte ed è composto
da un’asta T e due masse M, m, dove M è fissa, mentre m è mobile lungo T.

418
I due coltelli O e S sono fissi e spostando m il periodo del pendolo oscillante
attorno ad O e S può essere reso uguale; va osservato che S è posto molto
vicino al centro di oscillazione, cosa che ci fa capire che lo spostamento di
m è piccolo. Con i coltelli fissi è possibile misurare esattamente la distanza
OS ovvero la lunghezza ridotta del pendolo.
La misura di g è una operazione molto delicata e la si esegue misurando
la lunghezza ridotta del pendolo.

4. La posizione del centro di oscillazione


La lunghezza l dipende dal momento di inerzia I e dal momento statico m, il
calcolo di queste grandezze per il pendolo è molto complesso ed è quindi
opportuno cercare di individuare la posizione approssimativa del centro di
oscillazione.
Questo ci consente di comprendere perché l’impulso di mantenimento
del movimento del pendolo non venga conferito al centro di oscillazione
malgrado il vantaggio che ne risulterebbe.

419
Capitolo XI
Classificazione dei pendoli

1. Pendolo formato da un’asta sottile e di sezione


omogenea costante

420
Si abbia un’asta di lunghezza L e di sezione F, incernierata in O, il cui
centro di gravità è G a distanza da O.
La lunghezza ridotta del pendolo è

Considerando un elemento infinitesimale dx dell’asta posto a distanza X da


O, il suo volume è Fdx e la sua massa Fδdx; δ rappresenta la massa
specifica o la massa dell’unità di volume in g/cm2, il momento d’inerzia di
questo elemento rispetto all’asse O è

421
dI = Fδx2dx

il momento statico ma vale

Il centro di oscillazione S è situato a della lunghezza dell’asta a partire


dall’asse di rotazione O.

2. Pendolo composto da una sfera omogenea collegata


ad un filo di massa trascurabile

422
La sfera omogenea con centro in C e di raggio r avrà rispetto al suo
diametro un momento di inerzia I’ uguale a

Sia L la distanza OC, il momento di inerzia della sfera rispetto all’asse O è

il momento statico è ML quindi

Il centro di oscillazione si trova rispetto al centro della sfera a

3. Pendolo composto da una sfera omogenea collegata


ad un’asta sottile e omogenea di sezione costante

423
Il momento di inerzia I di un pendolo sospeso in O si compone di un
momento di inerzia It dell’asta e di un momento di inerzia Is della sfera.
Se l’asta e la sfera sono fatte dello stesso materiale

Il momento statico vale

la lunghezza ridotta del pendolo è

424
Inserendo le due masse M e m otteniamo

4. Pendolo composto da una lente cilindrica omogenea


collegata ad un’asta omogenea di sezione costante

Il centro di gravità C d’una lente cilindrica di raggio r, di altezza h, e di


massa M è posto a distanza L dall’asse di rotazione.

425
Il momento di inerzia di questa lente rispetto ad un asse parallelo all’asse
di rotazione e passante per C vale

dove δ2 indica la massa specifica della lente, il momento d’inerzia rispetto


all’asse d rotazione diventa

il momento di inerzia rispetto all’asse di rotazione di un’asta di sezione F, di


massa specifica δ1e di massa m è

Il momento statico vale

quindi si ottiene

5. Pendolo parzialmente equilibrato composto da due


sfere omogenee collegate ad un’asta di massa
trascurabile

426
Si abbiano due sfere di centro C1 e C2, di raggio r1 e r2 situate ad una
distanza L1 e L2 da una parte e dall’altra rispetto all’asse di rotazione O.
Le loro masse sono M1 e M2 e il momento d’inerzia del pendolo è

il momento statico vale

M1 L1 − M2 L2

da cui

Se la sfera C2 si trova nello stesso punto della C1 avremo

427
dove l’ < l.
La ripartizione delle masse di entrambi i lati dell’asse di rotazione è un
modo comodo per aumentare la lunghezza ridotta del pendolo, ovvero il
periodo, senza aumentare la lunghezza reale.
Per

l= ∞ M1 L1 = M2 L2

ammettendo che

R2 < R1 L2 < L1

e ponendo

R2 =p R1 L2 = q L1

e se le due sfere sono dello stesso materiale

da cui

428
6. Periodo del pendolo parzialmente equilibrato

In un pendolo le cui masse sono situate da una parte e dall’altra rispetto


all’asse di rotazione O, il centro di gravità di m1 si trova in G1, come quello
di m2 si trova in G2.
L’equazione di movimento del pendolo è

Il periodo T è uguale a

429
Se φ o è infinitamente piccolo

La presenza della massa m2 sopra l’asse O aumenta il periodo


Per m1 a1 − m2 a2, T = ∞, ma in questo caso non abbiamo più un pendolo
in quanto il centro di gravità si troverà in O.

7. L’anacronismo del pendolo libero


Il periodo T di un pendolo semplice o composto varia secondo l’amplitudine
φ0.
Chiamiamo ΔT/T la variazione relativa del periodo corrispondente ad una
certa variazione dell’amplitudine.
La marcia diurna μ dell’orologio è data dalla

Sia T il periodo di un pendolo per una amplitudine φ0, To il periodo per una

amplitudine infinitamente piccola, il rapporto è dato dalla tabella che


segue. I valori di sono dati al 1/10.000 e i valori corrispondenti di μ si
possono considerare quindi esatti.

430
Il grafico che segue rappresenta μ in funzione di φo

431
Negli orologi di precisione φ0 non passa mai i 2°, la tabella mostra che da 0
a 2° la marcia diurna varia in proporzioni inaccettabili per un orologio.
In realtà l’amplitudine varia di poco e oscilla attorno a valori normali, lo
sforzo degli orologiai è volto a mantenere una amplitudine costante.
Malgrado sia un anacronismo il pendolo è un regolatore molto preciso.
Il problema principale che si trova a dover affrontare un orologiaio è
quello di ridurre quanto più possibile lo smorzamento delle oscillazioni del
pendolo libero e cercare di migliorare costantemente il dispositivo di
mantenimento dell’impulso in modo che sia sempre di intensità costante.

8. L’azione del pendolo sull’asse di rotazione


Nelle posizioni estreme il pendolo ha una certa energia potenziale
utilizzabile uguale a

Wp = mgh = mga(1 − cos φ0)

Nella posizione di equilibrio l’energia potenziale è nulla, per contro il


pendolo ha una certa energia cinetica

432
Se non si considerano le resistenze, abbiamo Wp = Wc

Riprendiamo il disegno seguente

La componente Q rappresenta la trazione esercitata nel senso dell’asse del


pendolo dal peso mg

Q = mg cosφ

433
ai punti estremi dell’oscillazione

Q = mg cosφ0

ai punti morti

Q = mg

In un orologio di precisione φ0 <2°, Q varia da 0,99985 mg a mg.


L’effetto della trazione agisce sulla sospensione ed è indipendente dal
movimento del pendolo ed è soggetto alla forza centrifuga F che è data da

avremo

La forza centrifuga massima per φ=0, ovvero quando il pendolo passa dalla
pozione di equilibrio

Le forze F e Q provocano delle reazioni sull’asse di rotazione del pendolo.


Il valore assoluto di queste reazioni è R che per una elongazione φ vale

Il più grande valore di R corrisponde all’istante in cui l’asse del pendolo

434
passa per la verticale.

Se si tratta di un pendolo semplice

I = ma2

Rmax = mg(3−2 cosφ0)

per una elongazione φ qualunque

R = mg cosφ+ 2mg(cosφ−cosφ0)

R = mg(3cosφ− 2 cosφ0)

In un orologio di precisione cosφ0 =0,99985 e cosφ sono ancora più vicini


all’unità, possiamo quindi dire senza grossi errori che

3cosφ− 2 cosφ0 =1

R = mg

In un orologio di precisione l’azione sull’asse di rotazione può, in prima


approssimazione, essere considerata come costante e uguale al peso del
pendolo e la forza che agisce sull’asse di rotazione può essere ridotta
utilizzando un pendolo parzialmente equilibrato.
Nella figura precedente le componenti Q1 e Q2 agiscono nello stesso
senso, per contro le forze centrifughe agiscono in senso opposto.
Abbiamo quindi che per un pendolo d’amplitudine φ0 <2° le forze

435
centrifughe sono piccole.
In questo caso in un pendolo parzialmente equilibrato non si può ridurre
la pressione sull’asse di rotazione se non in quantità minima.

436
Capitolo XII
Cenni sulle tipologie di pendoli

In questo capitolo facciamo una breve panoramica su quelle che sono alcune
tipologie di pendoli meno comuni e più interessanti sotto il profilo tecnico.
In questo contesto rientrano anche i pendoli elettromeccanici, ovvero
mossi da una sorgente elettrica che generalmente era costituita da una o più
batterie.
Nel corso degli anni si sono succedute numerosissime tipologie di
pendoli volti spesso alla ricerca della massima precisione, tra questi gli studi
fatti da Huygens sul pendolo cicloidale e in tempi successivi da Hip con il
suo pendolo libero mosso da elettromagnete.

1. Pendolo oscillante misterioso


Un tipico esempio di questa tipologia di pendoli è rappresentato dai pendoli
oscillanti, o pendolo oscillante misterioso.
Possono essere di diverse misure e in base alla loro dimensione cambia la
conformazione della sospensione.
Le sospensioni possono essere costituite da doppie punte che poggiano su
superfici leggermente concave realizzate con rubini o in acciaio temprato,
presenti di norma su pendolini di piccole dimensioni.

437
Oppure per i pendoli di maggiori dimensioni venivano realizzate con una
doppia molla incrociata.

Per il mantenimento dell’impulso direttamente collegato all’ancora,


troviamo normalmente un contrappeso oscillante le cui dimensioni e peso

438
variano in funzione delle dimensioni del movimento.

Esistono alcuni pendolini in cui, in base ad un brevetto dell’epoca, l’ancora


e la ruota scappamento era stati sostituiti da un pignone collegato ad un
sistema oscillante detto glifo oscillante.

439
2. Il pendolo cicloidale e isocrono
Huygens conosceva l’anacronismo delle oscillazioni del pendolo circolare.
Partendo dal fatto che il periodo aumenta con l’amplitudine, immaginò un
dispositivo che accorciasse gradualmente il pendolo e verificò che si aveva
un aumento dell’amplitudine.
Il pendolo di Huygens è sospeso ad un filo flessibile capace di adattarsi
ad una superficie curva OB.

440
Durante l’oscillazione il peso arriva in A1, il filo della sospensione è
tangente alla superficie OB in F.
La lunghezza del pendolo a questo punto diventa FA1, mentre nella
posizione verticale corrisponde a OA.
Quindi FA1 <OA.
La curva descritta da A è un arco di cerchio fino al tratto OB. Perché
l’accorciamento del pendolo potesse compensare in ogni istante il ritardo
dovuto all’amplitudine, si doveva dare ad OB una forma appropriata e
Huygens dimostrò che il tratto OB doveva essere formato da un arco di
cicloide come anche il tratto A A1 descritto dal centro di gravità del pendolo.
Siano OB e OC due archi di cicloide simmetrici rispetto ad O.
La generatrice di OB e OC è la cicloide BAC della stessa forma di OB e
OC.

441
Se R è il raggio della circonferenza generatrice, le equazioni della cicloide
BAC sono

x = R(α − sinα) y = R(1 - cosα)

Facendo variare i parametri α da 0 a 2 π nelle equazioni della cicloide


otteniamo le coordinate dei punti BAC.
Calcoliamo la lunghezza di un arco della cicloide descritto per il centro
di gravità del pendolo: un elemento dell’arco ha per valore

Per ottenere la lunghezza dell’arco BE, integriamo da 0 a α e otteniamo

e integrando fra 0 e π avremo

442
BA = 4R

Chiamando β l’angolo della tangente ad E rispetto all’asse x

β = 90° − γ = 90° - (90° - δ) = δ

Esaminando il movimento di una massa m che descrive un arco BEAC, la


componente tangenziale è collocata in E e vale

Sia Arc EA = φ l’elongazione del pendolo, ovvero la distanza angolare da


percorrere fino alla posizione di equilibrio

La forza di ritorno è proporzionale all’elongazione φ quindi:


le oscillazioni del pendolo cicloidale sono isocrone.
L’equazione di movimento di un punto collocato lungo la cicloide è

dalla quale possiamo ricavare la velocità angolare e il periodo

443
Chiamando OA = l la tangente del pendolo

l = 4R

Il pendolo cicloidale oscilla come un pendolo semplice di lunghezza OA


compiendo oscillazioni d’ampiezza infinitamente piccola.
Il pendolo cicloidale non ebbe successo benché risolvesse in modo
ingegnoso il problema dell’isocronismo delle oscillazioni del pendolo
libero, causato dalla difficoltà nel realizzare delle lame cicloidali OB e OC
perfette. Il problema legato al filo molto sottile e flessibile e non in grado di
sopportare un pendolo delle dimensioni di quelli utilizzati negli orologi di
precisione rese la soluzione di Huygens poco praticabile.
Gli orologiai preferirono ricercare l’isocronismo obbligando il pendolo
ad eseguire delle oscillazioni di ampiezza più semplice da raggiungere.

3. Il pendolo a torsione

Una massa m con centro di gravità in C è sostenuta da un filo A da una

444
estremità e incastrata in B.
Facendo ruotare il volano il filo collegato in C si torce di un certo angolo
e quindi diamo al filo, dotato di forza elastica, la capacità di riportare il
volano nella posizione di equilibrio dove la coppia cesserà di agire.
La massa m compirà una serie di oscillazioni d’ampiezza decrescente;
questo sistema viene definito pendolo a torsione.
Una posizione qualunque di questo pendolo è caratterizzata dalla sua
elongazione, ovvero l’angolo entro il quale torna alla sua posizione di
equilibrio; l’elongazione massima è l’amplitudine, l’oscillazione fra i due
punti morti estremi.

L’oscillazione avviene intorno ad O e sia OA la posizione di equilibrio o di


riposo.
Quando il raggio OA passa in OB, l’elongazione è φ, quando si trova in
OE1 o in OE2 l’elongazione φ0 diventa l’amplitudine.
Una oscillazione è compiuta quando il raggio di riferimento si sposta da
E1 a E2 nel senso della freccia 1 per poi tornare da E2 a E1 nel senso della
freccia 2. La durata di una oscillazione è detta periodo.

445
La coppia di richiamo nel punto di elongazione φ è

essendo

C=Mφ

Poiché la coppia di richiamo è proporzionale all’elongazione, le


oscillazioni del pendolo di torsione sono isocrone e la loro durata è
indipendente dall’amplitudine.
L’equazione del movimento del pendolo di torsione è

dove I rappresenta il momento di inerzia della massa rispetto all’asse del


pendolo.
Il periodo del pendolo di torsione è

la velocità angolare ω corrispondente all’elongazione φ è

e raggiunge il valore massimo Ω quando φ = 0

446
Il tempo t impiegato per passare dal punto morto all’elongazione φ vale

4. La pendola 400 giorni


Fra i pendoli a torsione possiamo inserire a pieno titolo la famosa pendola
400 Days o pendola 400 giorni che prende il nome dalla durata teorica della
sua carica.
In genere la forma del rotore nelle versioni più comuni è costituita da
quattro braccetti collegati al centro di rotazione e regolabili in apertura sui
quali sono collegate in modo rigido delle sfere contenenti pesi in piombo.

In altri la massa rotante è costituita da un vero e proprio disco sul quale sono
posti i contrappesi per la regolazione del momento di inerzia del volano.
Il filo di sospensione è collegato al centro di rotazione del volano e alla
platina dalla parte opposta e su questo è fissata una forchetta che porta
l’impulso direttamente all’ancora.
I pendoli 400 giorni sono considerati spesso fra i più ostici da far

447
funzionare in modo corretto per via delle difficoltà che possono sorgere nel
corretto settaggio dello scappamento.
In realtà le difficoltà nascono dal fatto che non si conosce bene la logica
del loro funzionamento, anche se bastano davvero pochi punti da tenere
presente.
La prima cosa che si deve fare quando si decide di operare su un pendolo
di questo tipo, oltre ad una revisione accurata, è la sostituzione della molla
di carica che deve essere sempre in ottime condizioni per poter garantire la
giusta forza a tutto il sistema.

Terminata la revisione dovremo passare al controllo accurato dello


scappamento verificando in prima analisi che non vi siano denti della ruota
scappamento piegati o danneggiati (in figura A – B), ma che siano tutti
come C.

448
Nel caso in cui si dovessero riscontrare denti piegati, con una pinza a becchi
piatti e lisci si dovrà provvedere alla loro sistemazione operando come
nell’immagine che segue, ovvero afferrando il dente fra i becchi e tirando
con delicatezza.

Una volta certi che la ruota sia in ordine si procede alla verifica del corretto
funzionamento dello scappamento, verificando che l’ancora abbia il giusto

449
impegno.
Per fare questa operazione dovremo muovere l’asta dell’ancora a destra e
a sinistra verificando che la ruota scappamento si liberi in modo simmetrico
dopo uno spostamento dell’asta di circa 4 gradi, come mostrato in figura.

Terminata quest’ultima verifica si può procedere al corretto posizionamento


della forchetta, qualora fosse stata smontata per sostituire la sospensione, o
nel caso in cui vi fossero dei dubbi sul suo corretto posizionamento.
La posizione della forchetta viene determinata empiricamente partendo
dalla posizione più distante dal morsetto superiore e spostandola verso l’alto
fintanto che non venga annullato durante il passaggio per il punto morto
l’effetto di sbandieramento della forchetta stessa come mostrato in figura.
Trovata la giusta collocazione, si dovrà provvedere quindi alla messa in
battuta della forchetta rispetto all’ancora, ovvero l’asta dell’ancora dovrà
cadere perfettamente in centro alla forchetta in condizione di riposo.
Le 400 giorni sono tutte dotate di un supporto che ha la possibilità di
poter ruotare consentendo quindi di posizionare in modo corretto la
forchetta che è solidale alla sospensione.

450
Arrivati a questo punto sarà possibile appendere il volano e avviare la
rotazione. Se avremo operato in modo corretto otteremo una rotazione di
270° sia in senso orario che antiorario, alla quale corrisponderà un piccolo
avanzamento della sfera dei minuti, se questo non fosse significa che
qualche cosa non funziona correttamente e il pendolo sarà destinato a
fermarsi.

5. La pendola ATMOS
L’ATMOS della Jaeger Le Coultre è fra i più affascinanti orologi mai
prodotti e pensati, precisa e durevole nel tempo, sembra possa volare verso
il futuro incurante del trascorrere del tempo.

451
Tutto il suo cuore è appeso a un filo, un sottilissimo collegamento con il suo
polmone dal quale prende l’energia necessaria al suo moto, respira, procede
instancabilmente nel tempo.
Una simbiosi perfetta fra meccanica e ambiente circostante, una sorta di
essere vivente primordiale, senza un vero e proprio sistema nervoso ma
capace di esistere, vivere, nutrirsi spontaneamente generando energia
propria. Può ricordare una medusa, il celenterato che allo stesso modo si
lascia trasportare dalle correnti nutrendosi solo di ciò che incontra durante il
suo incessante vagare, incurante del tempo e del luogo.
L’unico movimento percepibile è il pulsare del suo cuore e l’incedere del
tempo scandito dalle sue sfere: caldo, freddo, e variazioni termiche sono la
sua linfa vitale e come tutte le cose animate risente molto degli agenti
inquinanti e infatti si presenta sempre ben protetta da un elegante
esoscheletro trasparente che la pone al riparo dalla frenesia del mondo che la
circonda.
Il funzionamento dell’ATMOS si fonda sul principio di dilatazione dei
gas con il variare della temperatura, una legge fisica applicata alla
meccanica, una trovata geniale che ha in qualche modo avvicinato questo
orologio al moto perpetuo scandito dal trascorrere delle stagioni.
L’energia cinetica viene fornita dal suo polmone e immagazzinata poi in

452
un bariletto contenente una molla che la rilascia progressivamente.
La dilatazione del polmone consente al bariletto di ricaricarsi e quindi di
accumulare una riserva di carica che verrà utilizzata durante il punto morto
di contrazione, ciclo che si ripeterà ad ogni piccola variazione di
temperatura.

Per quanto sopra, è facile comprendere come il polmone sia il principale


responsabile di eventuali malfunzionamenti o fermi macchina.
Per questo motivo, quando ci si trova di fronte ad un Atmos ferma, la
prima cosa da verificare è la corretta funzionalità di quest’ultimo.
Un polmone efficiente si dilaterà o contrarrà di circa 1,2 mm per °C di
variazione termica, questo significa che passando da una temperatura
ambiente di 20 °C ad una di 5 °C si deve poter avere una contrazione di
circa 19 mm, quindi facilmente apprezzabili anche con normali strumenti di
misura.

453
Se questa condizione non dovesse verificarsi, sarà allora necessario
procedere con la sostituzione del polmone o la sua riparazione.

454
Capitolo XIII
Variazioni del periodo del pendolo

Consideriamo le oscillazioni semplici di un pendolo fisico

Volendo cambiare il periodo modificando I e conservando la massa m

la variazione di ΔI modifica la marcia μ dell’orologio che diventa

1.Variazione del periodo con un peso ausiliare


Per far variare il periodo in un pendolo senza modificarne la lunghezza, è
possibile inserire un peso ausiliare sull’asta del pendolo.
Supponiamo di inserire un piano A ad una distanza b dall’asse O: il

455
periodo del pendolo, tenendo conto anche del piano A, è

Il momento statico è

C0 = mga

Se sul piano aggiungiamo un peso m’g il periodo diventa

456
poiché m’ in rapporto a m è piccola

La marcia dell’orologio sarà quindi

Per un dato orologio il fattore è costante

Il peso ausiliare è quindi direttamente proporzionale a μ

2. La sospensione del pendolo


I pendoli possono essere sospesi in diversi modi. Prima di tutto bisogna
ricercare una sospensione che influisca il meno possibile sullo smorzamento
del pendolo, in quanto sospensioni troppo rigide e quindi pendoli con forte
smorzamento richiedono maggiori quantità di energia per il mantenimento
dell’impulso, da cui inoltre risulta una usura più rapida del meccanismo, un
impulso meno uniforme e quindi una perturbazione del periodo del pendolo.
Huygens fece diversi esperimenti adottando differenti tipologie di
sospensioni e provò a collegare il pendolo direttamente all’albero
dell’ancora che poggiava su perni senza cuscinetti; tuttavia gli attriti erano
esagerati e veniva quindi assorbita troppa energia.

457
Decise così di adottare la sospensione a filo.
Le qualità che deve avere la sospensione di un pendolo sono:
• Assorbire meno energia possibile dal pendolo.
• Definizione netta dell’asse di rotazione.
• Inalterabilità.
• Insensibilità ai cambiamenti di temperatura.

3. La sospensione a filo

Il pendolo è appeso in F a un filo soffice, resistente e sottile.


Il filo C ad una estremità è fissato alla struttura solida dell’orologio D e
all’altra è fissato ad un albero A che ha la possibilità di ruotare grazie alla
manopola E e quindi di avvolgere o svolgere il filo e di conseguenza far
salire o scendere l’asta del pendolo T.
Il filo dovrà essere anche insensibile all’umidità, poiché con un filo
igroscopico, in presenza di umidità, ci sarebbe una variazione del periodo
del pendolo.

458
4. La sospensione a molla
La sospensione a molla è costituita da una o due lamine flessibili A alle
quali si appende il pendolo P.

Le lame sono tenute dalle copiglie g fra le due piastrine B1 e B2.


La piastrina B2 è fissata sul movimento o sulla cassa del pendolo, mentre
alla B1 attraversata dal perno C, si aggancia l’asta del pendolo.
Quando il pendolo oscilla le lamine flettono, ma in qualche misura
tendono a resistere al movimento introducendo uno smorzamento delle
oscillazioni e quindi dell’amplitudine.
Questo in effetti potrebbe essere un vantaggio perché quando il pendolo
torna verso la posizione di equilibrio, la molla agisce in senso opposto al
senso del movimento con due risultati: resistenza all’alternanza ascendente e
impulso durante quella discendente.
La molla di sospensione diminuisce i difetti d’isocronismo del pendolo
grazie all’ampiezza.

459
La flessione della molla di sospensione assorbe l’energia per vincere gli
attriti interni, un pendolo libero sospeso ad una molla senza attrito oscillerà
all’infinito. Le dimensioni delle lame della molla di sospensione hanno
un’influenza sul momento elastico della molla.
La reazione della molla dipende anche dall’elongazione del pendolo e dal
modulo di Young.
Per lame di dimensioni date la reazione elastica compensa, per un
pendolo di ampiezza conosciuta, esattamente l’effetto dell’amplitudine sul
periodo.
Se le lame non subiscono alcuna torsione sono sottoposte a trazione dal
peso del pendolo con conseguente allungamento: è da evitare che tale
allungamento diventi permanente, ovvero deve sempre restare nel campo
elastico.
Le lame sono realizzate in genere in acciaio temprato e rinvenuto e
possono ammettere un valore del limite di elasticità di circa 75 Kg/mm2.
Quindi un pendolo di 10 kg collegato ad una sospensione di spessore 0,1
mm di spessore e 7 mm di larghezza esercita una trazione di

La prescrizione data dai costruttori delle sospensioni è che non si superi mai
il limite di .
Negli orologi di precisione la trazione esercitata sulla sospensione del
pendolo rimane costante in quanto l’amplitudine rimane molto contenuta,
anche se i fenomeni di fatica, nel corso del tempo possono in qualche
misura modificarne la stabilità e le condizioni fisiche iniziali.

5. La reazione elastica della molla di sospensione


Per rendersi conto dell’azione della lama di sospensione sul movimento e
sul periodo del pendolo mettiamo in relazione la deformazione della lama
con l’oscillazione.
Il problema si può affrontare da più punti di vista, ad esempio
ammettendo che il profilo della lama, durante la flessione, si modifichi
secondo un arco di circonferenza, ovvero che il raggio di curvatura sia lo

460
stesso per tutti i punti della lama situati entro il punto di fissaggio O della
platina e O1, dove viene agganciata l’asta del pendolo.

Il punto di passaggio dell’asse di rotazione del pendolo varia con la


flessione e quindi con l’oscillazione e si ammette che passi attraverso la
tangente del punto di intersezione A.
Questa ipotesi però non è molto attinente al vero in quanto si è visto che
la molla tende a flettere bruscamente nel punto O e il punto di flessione è
tanto più vicino ad O quanto minore è lo spessore della lama stessa.
Pertanto è ragionevole stabilire che il punto di flessione si collochi ad
una distanza L dal punto di flessione O a meno di della distanza fra i due
punti.

461
Per il calcolo della forma delle lame si parte dal momento flettente
calcolando il momento elastico M

dove E è il modulo di flessione, Is il momento di inerzia della sezione dritta


della lama rispetto all’asse di flessione, ϱ è il raggio di curvatura della lama
nel punto P (x,y).
Il momento flettente è quindi associato al valore della coppia N e alle
componenti X e Y della reazione di incastro in O1.

462
L’equazione di partenza è quindi

ponendo

dove m è la massa del pendolo, troviamo le entro le coordinate (x, y) un


punto P della lama

che si può scrivere anche utilizzando l’equazione iperbolica

μ = cothu (chx − 1) + x − shx

Questa equazione è applicabile se:


• L’ampiezza delle oscillazioni è infinitamente piccola.

463
• Il pendolo soggetto ad una forza normale applicata nel suo centro di
gravità.
• La lama è sottile.

Se la lama della sospensione si deforma secondo l’equazione di cui sopra, le


oscillazioni del pendolo possono dirsi isocrone.
Si tratta però di una soluzione approssimativa poiché nella pratica le
condizioni che sono la base del calcolo di Haag non sono generalmente
replicabili.

6. L’influenza della temperatura


Un aumento della temperatura porta ad una dilatazione che si riflette su tutti
gli organi di un orologio o di un pendolo e affatica le molle.
La lunghezza reale e la lunghezza ridotta del pendolo possono
aumentare, la molla di sospensione diventa meno elastica e questi due effetti
sono la causa di un aumento del periodo, ovvero di un ritardo nella marcia
dell’orologio.
Lasciamo da parte l’influenza della temperatura sulla densità dell’aria,
argomento che vedremo più avanti.
Le variazioni della lunghezza del pendolo dipendono dal coefficiente di
dilatazione lineare del materiale dell’asta, di quello della lente e della
sospensione. Per ridurre l’effetto indesiderato dovuto alla temperatura si
utilizzano materiali a basso coefficiente di dilatazione.
Inoltre si devono tenere presenti altri fattori di natura meccanica come la
solidità, la stabilità, l’elasticità, la resistenza alla corrosione e l’aspetto;
inoltre, negli orologi realizzati in grandi serie, il prezzo gioca un ruolo
determinante.
In genere le aste sono realizzate in acciaio, in legno, in invar o in quarzo.
Siano l0 e lθ le lunghezze ridotte di un pendolo rispettivamente a 0° C e θ
° C, in prima approssimazione abbiamo

lθ = l0 (1+ αθ)

dove α indica il coefficiente di dilatazione termica del metallo costituente il

464
pendolo, per oscillazioni di piccola ampiezza

Per una variazione dθ della temperatura la grandezza lθ subisce una


variazione di

dlθ = αlθ dθ

μ = −43.200 αdθ

La marcia diurna è direttamente proporzionale alla variazione di


temperatura e al coefficiente di dilatazione termica.
Per l’acciaio α = 11 * 10 −6 quindi se dθ = 1°

μ = −43.200 * 11 * 10−6 = −0, 475 sec

Ovvero un ritardo di circa 0,5 secondi per un aumento di 1° di temperatura.

465
In alcuni pendoli si sfrutta la dilatazione dei materiali per ottenere
compensazioni relative che annullino gli effetti degli uni rispetto agli altri;
tra i più comuni possiamo citare i pendoli al mercurio, le aste composte di
alcuni pendoli etc.

7. L’influenza dell’aria sul movimento del pendolo


Un pendolo libero spostato dalla sua posizione di equilibrio di un angolo φ0
impiegherebbe più tempo ad arrestarsi se oscillasse nel vuoto piuttosto che
in aria libera.
L’aria si oppone al movimento modificandone quindi il periodo, questo è
dovuto al fatto che l’attrito con essa provoca un aumento del momento di
inerzia e quindi del periodo.
La densità dell’aria è quindi quella che ha maggior influenza in quanto
dipende dalla temperatura e dalla pressione.
Cerchiamo di calcolare l’effetto della spinta dell’aria sul periodo e come
questa possa influenzare la marcia dell’orologio.
Supponiamo di avere un pendolo omogeneo di volume v e di massa
specifica δ1, chiamiamo δ2 la massa specifica dell’aria, T0 il periodo nel
vuoto, T1 il periodo in aria libera: per oscillazioni infinitamente piccole
abbiamo

La spinta dell’aria agisce sul centro di gravità del pendolo

essendo δ2 piccolo rispetto a δ1 otteniamo

466
per un pendolo in acciaio

μ = −7,17 sec

La differenza di marcia diventa significativa quando si passa da una


condizione di vuoto a quella in aria libera.
L’aria tende ad aumentare il momento di inerzia del pendolo che diventa
I + ΔI, la variazione relativa al periodo è quindi

ΔI dipende dalla forma del pendolo, l’esperienza fatta da Baily su un


orologio dice che, per una forma data del pendolo, l’effetto è indipendente
dalla densità del materiale, ma tanto più grande se l’asta del pendolo è
sottile.
L’influenza di un fluido non può essere trascurata, la pressione
atmosferica e la spinta dell’aria sono indirettamente funzioni della
temperatura in quanto modificano la densità dell’aria.
Possiamo dire che la variazione di marcia di un orologio provocata
dall’aria ambiente è direttamente proporzionale alla variazione di pressione

μ = − a(H− Hn)

In questa formula H indica la pressione ambiente, Hn la pressione normale o


pressione di riferimento e sono indicate in mmHg e a una costante.

467
Il coefficiente barometrico a è positivo se si ha un aumento della
pressione (H> Hn) e provoca un ritardo della marcia dell’orologio.
Se a = 0,01 la marcia dell’orologio sarà modificata di 0,01 per una
differenza di pressione di 1 mmHg.
In Italia H-Hn si può attestare intorno a ± 15 mmHg e la marcia diurna di
un orologio diventa quindi

μ = ± 0,15 sec

468
Capitolo XIV
I materiali da costruzione

1. L’ottone
L’ottone è una lega ossidabile formata da rame (Cu) e zinco (Zn).
Bisogna fare una distinzione tra ottoni ternari, costituiti da rame e zinco,
e ottoni quaternari, in cui è presente un quarto elemento chimico
caratterizzante la lega, o ottoni binari in cui sono presenti altri elementi
chimici. Per gli ottoni ternari si possono avere leghe differenti in base alla
percentuale di zinco contenuto: se lo zinco è inferiore al 36%, questi ottoni
hanno eccellente lavorabilità a freddo e buona a caldo. Se lo zinco è
oscillante tra il 36 e il 45%, questi ultimi sono facilmente lavorabili a caldo.
Le leghe con percentuali di Zn superiori al 45% non hanno interesse
pratico.
La lavorabilità alle macchine utensili delle leghe binarie rame-zinco è
buona, ma la tenacità provoca la formazione di trucioli molto lunghi. Per
ovviare a tale inconveniente viene aggiunto del piombo (Pb) che facilita la
formazione di trucioli corti o addirittura polverosi; in questo modo gli
utensili subiscono un’usura e un riscaldamento minori, con conseguente
miglioramento della qualità e della velocità della lavorazione.
Gli ottoni al piombo sono denominati anche ottoni secchi.
Alla lega possono essere aggiunti altri elementi per ottenere determinate
proprietà:
• Il manganese e lo stagno aumentano la resistenza alla corrosione.
• Il ferro aumenta il carico di rottura.
• L’alluminio aumenta la resistenza alla corrosione e all’abrasione.

469
• Il nichel migliora le caratteristiche meccaniche la resistenza alla
corrosione.
• Il silicio serve a disossidare.

Gli ottoni contenenti dal 40 al 60% di stagno sono molto plastici e sono
anche chiamati similoro per via della colorazione simile a quella dell’oro.
Vengono impiegati in bigiotteria o in orologeria l’ottone OT 59 CW612N
è anche chiamato ottone da orologeria ed è buono nell’asportazione di
truciolo. Gli ottoni che hanno percentuali maggiori di zinco hanno
caratteristiche meccaniche più elevate: vengono usati per parti di oggetti che
necessitano di elevata resistenza meccanica. Quello al 28% viene usato per i
bossoli dei cannoni e cartucce mentre quello al 33%, ottimamente
lavorabile, è raccomandato per i laminati destinati a pezzi imbutiti, molle e
tubi.
Durante la formatura a freddo dell’ottone il materiale incrudisce e di
conseguenza aumenta la sua durezza: maggiore è la formatura a freddo, più
aumenterà la durezza del materiale.
L’incrudimento causato da una formatura a freddo può essere eliminato
mediante la ricottura di lavorabilità.
Per le leghe di rame e ottone il processo fisico è diverso da quello
dell’acciaio e la temperatura di ricottura di lavorabilità è compresa tra 300
°C e 650 °C per le leghe di rame e tra 425 °C e 650 °C per le leghe di
ottone.
Questo aspetto è molto importante e deve sempre essere tenuto in
considerazione in orologeria in modo specifico quando si opera nella
ricostruzione di denti o di parti su componenti in ottone dove venga
richiesto un riscaldamento come la saldatura.
Da evitare quindi la saldatura a fiamma che può superare le temperature
di ricottura in quanto avremmo un decadimento delle caratteristiche
meccaniche del componente, soprattutto in presenza di ruote dentate o
componenti sottoposti a sforzi.

2. L’acciaio
Una lega di ferro e carbonio prodotta allo stato fuso con tenore di carbonio

470
minore di 1,7% è denominata acciaio; le leghe contenenti una percentuale
maggiore di carbonio si chiamano ghise.
Gli acciai si possono classificare secondo determinati parametri che li
identificano.

2.1. Composizione chimica

È una delle classificazioni più correntemente adottate e raggruppa tutti i tipi


di acciaio in due grandi categorie:
acciai non legati (o al carbonio), che contengono quantità di carbonio
variabili (0,06-1,0% circa) e tenori relativamente bassi di altri elementi
(manganese e silicio);
acciai legati, in cui rientrano moltissime leghe ferro-carbonio con
quantità sensibili di altri elementi di lega (nichel, titanio ecc.).
Gli elementi leganti, oltre naturalmente al carbonio, comportano un
generale miglioramento delle caratteristiche meccaniche, chimiche e fisiche.
Il nichel aumenta l’allungamento e la resilienza, determina la formazione
di una struttura più fine e favorisce la penetrazione di tempra.
Il cromo aumenta la durezza, il carico di snervamento, il carico di rottura
e, a forti tenori, la resistenza alla corrosione.
Il manganese, oltre lo 0,5%, migliora le caratteristiche meccaniche e di
lavorabilità.
Il silicio conferisce resistenza e durezza, accresce il limite elastico e
migliora le caratteristiche elettriche e magnetiche.
Il molibdeno (in particolare se unito a tungsteno) aumenta la resistenza a
fatica alle alte temperature e (con nichel e cromo) impedisce la fragilità al
rinvenimento.
Il tungsteno dà carburi assai duri, aumenta la durezza e la resistenza a
caldo.
Il cobalto in alte percentuali accresce la forza coercitiva nei magneti
permanenti.
L’alluminio è utile nella nitrurazione, migliora le proprietà magnetiche
(con nichel) e aumenta la resistenza all’ossidazione a caldo.
Il vanadio migliora in generale alcune proprietà meccaniche (limite
elastico e di fatica).
Il boro aumenta sensibilmente l’attitudine alla tempra.
Il rame accresce la resistenza alla corrosione.

471
Lo zolfo comporta un incremento di lavorabilità all’utensile, ma
inducendo fragilità, specie se a caldo.
Le proprietà meccaniche di un acciaio dipendono soprattutto dal tenore di
carbonio: con l’aumento di questo crescono il carico di snervamento, il
carico di rottura e la durezza, mentre diminuiscono l’allungamento, la
strizione e la resilienza.
Per quanto concerne le proprietà tecnologiche, all’aumentare della
quantità di carbonio diminuiscono la fucinabilità e la saldabilità, mentre
aumenta la temprabilità; inoltre le proprietà meccaniche di un acciaio
variano notevolmente con il variare della temperatura.

2.2. Impiego

Acciai da costruzione: contengono quantità limitate di elementi speciali e


presentano buone caratteristiche meccaniche insieme a un’elevata capacità
di tempra. Si ottengono in forma di laminati o fucinati, ovvero per fusione,
nel qual caso hanno proprietà migliori che non i getti di acciaio comune.
Si possono far rientrare in questa categoria gli acciai da cementazione, da
bonifica e da nitrurazione: i primi contengono nichel o cromo con bassi
tenori di carbonio (diminuzione della dimensione dei grani per
riscaldamento), i secondi contengono nichel, cromo e molibdeno, con tenori
medi di carbonio (0,25-0,45%) per cui è favorita la temprabilità, mentre gli
ultimi contengono cromo, molibdeno e alluminio. Acciai per utensili: sono
caratterizzati da grande durezza mista a elevata tenacia e resistenza alle alte
temperature.
Si distinguono in:
• Acciai al carbonio, contenenti da 0,6 a 1,50% di questo elemento, adatti a
utensilerie per lavorazione lenta e leggera.
• Acciai legati (non rapidi), contenenti tenori variabili di tungsteno, cromo,
molibdeno, vanadio e silicio, adatti per lavorazione a freddo con
asportazione di truciolo.
• Acciai rapidi, permettono di realizzare elevate velocità di taglio: la loro
principale caratteristica consiste inoltre nel non perdere la durezza anche
se portati a elevata temperatura (color rosso).

472
Gli acciai rapidi contengono come elemento principale il tungsteno, unito a
tenori sensibili di cromo e vanadio (composizione tipica: W 18%; Cr 4%; V
1%); spesso sono anche presenti il molibdeno e il cobalto (acciai super
rapidi). Gli acciai per utensili richiedono un’accurata preparazione e
trattamenti termici complessi per il raggiungimento delle caratteristiche
desiderate e sono pertanto costosi.
A questa categoria possono essere associati gli acciai per magneti,
contenenti qualità sensibili di cobalto accanto a tungsteno, molibdeno,
cromo.
Sono da ricordare infine i cosiddetti acciai automatici o acciai comuni
dolci al piombo (0,10-0,50% di Pb), adatti alla lavorazione rapida, come
materia prima per la fabbricazione in serie di viti, bulloni ecc.; la grande
lavorabilità è assicurata dalla facilità con cui si spezza il truciolo.
Acciai per usi particolari:
• Acciai per molle: contengono silicio (in quantità non superiore al 5%, che
aumenta i carichi limite di elasticità e di snervamento) e contengono poco
carbonio. Si ottengono inoltre proprietà meccaniche particolari, e cioè
grande tenacità ed elevata elasticità, abbinando l’azione del silicio a
quella del manganese (molle a foglia o a balestra) e aggiungendo in alcuni
casi cromo (molle a spirale).
• Acciai per alte temperature: per le palette delle turbine a gas per velivoli
sono di uso corrente acciai al nichel-cromo con titanio e alluminio induriti
per precipitazione (nimonic), eventualmente con aggiunta di cobalto e
molibdeno; sempre diffuso è l’impiego di acciai ferritici al cromo per le
turbine a vapore.
• Acciai per basse temperature: gli acciai adatti per il trasporto
d’idrocarburi e di gas liquefatti devono resistere soprattutto alla ‘rottura
fragilÈ che è favorita dalle basse temperature e avviene anche con
sollecitazioni limitate, in punti d’intaglio o di concentrazione degli sforzi;
acciai al manganese e al nichel (2,5%) si prestano per applicazioni fino a
−50 °C, al nichel (3,5%) fino a −100 °C, ferritici al 9% di nichel e
austenitici al cromo-nichel, fino a −200 °C.
• Acciai inossidabili: sono caratterizzati da un elevato tenore di cromo o di
cromo-nichel (composizione tipica 18-8, cioè 18% di cromo e 8% di
nichel). Sono di uso diffusissimo, perché non si ossidano all’aria e sono

473
resistenti all’azione di vari liquidi aggressivi; gli acciai al cromo-nichel a
più bassi tenori sono adatti per la cementazione, per costruzioni
meccaniche fini (motori di aerei e auto, ingranaggi ecc.) e anche per le
possibilità che presentano di autotemprarsi.

Gli acciai al solo cromo presentano, per bassi tenori, un’elevata durezza
(adatti quindi per corazze e proiettili penetranti), mentre quelli con alte
concentrazioni in cromo sono assai resistenti all’ossidazione: da ricordare,
per esempio, l’impiego di acciai ferritici al cromo per la costruzione di
turbine a vapore.

3. Trattamenti termici
Per trattamento termico si intende il ciclo termico di riscaldamento
effettuato in predeterminate condizioni e temperature a cui devono seguire
raffreddamenti, più o meno lenti, con lo scopo di fare assumere ad un
metallo o ad una lega metallica (solitamente acciaio) quelle strutture
cristalline che conferiscono loro determinate caratteristiche meccaniche e/o
tecnologiche.
Per comprendere l’effetto dei trattamenti termici sulla struttura di una
lega metallica, è necessario conoscere il diagramma di stato della lega
stessa.

474
Tale conoscenza non è tuttavia sufficiente, infatti i diagrammi di stato
definiscono le strutture di equilibrio di un metallo o una lega ad una
determinata temperatura.
Le relative curve sono quindi ricavate applicando riscaldamenti e
raffreddamenti molto lenti (tali da consentire il raggiungimento
dell’equilibrio ad ogni temperatura).
Per questo motivo, un importante ruolo è svolto dalla velocità di
raffreddamento o di riscaldamento della trasformazione. Tale velocità non
solo influisce sulle temperature di transizione (che in genere saranno diverse
da quelle ricavate dai diagrammi di stato), ma anche sulla natura stessa della
struttura ottenuta, con la possibilità di ottenere costituenti metastabili (quali
ad esempio la martensite negli acciai) assenti nel diagramma di stato.

3.1. Tempra

Il trattamento di tempra comprende un riscaldamento fino alla temperatura


di formazione dell’austenite, seguito da un raffreddamento sufficientemente
rapido da permettere la trasformazione in martensite, struttura di elevata
durezza e fragilità.
Per poter realizzare una tempra perfetta (o ideale, o completa), cioè con
una struttura martensitica al 100%, è necessario che la velocità di

475
raffreddamento sia superiore a quella critica tipica per ogni acciaio.
Gli acciai al carbonio presentano una velocità critica di tempra molto
elevata; questa velocità si riduce per la presenza di elementi leganti in modo
più o meno marcato a seconda delle percentuali e della natura di essi.
In relazione al tipo di acciaio e alle dimensioni dei pezzi da temprare,
verrà scelto il mezzo di spegnimento più adatto: acqua, olio o aria.

3.2 Temperature di tempra

• Marrone/rosso: 600 °C.


• Rosso sangue: 650 °C.
• Rosso ciliegia scuro: 700 °C.
• Rosso ciliegia: 760 °C.
• Rosso ciliegia chiaro: 810 °C.
• Rosso chiaro: 870 °C
• Arancio: 930 °C
• Arancio chiaro: 980 °C.
• Giallo: 1050 °C.
• Giallo chiaro: 1100 °C.
• Bianco: 1200°C.

3.3. Rinvenimento

Allo stato temprato l’acciaio presenta una elevata durezza e basse


caratteristiche di tenacità.
È necessario quindi ricorrere ad un successivo trattamento che ne
modifichi più o meno profondamente la struttura martensitica di tempra,
annullandone le tensioni e la fragilità.
Questo trattamento, denominato rinvenimento, comprende un riscaldo ad
una temperatura inferiore a quella di tempra, un mantenimento per un certo
tempo a questa temperatura ed infine un raffreddamento in un mezzo
appropriato fino a temperatura ambiente.

476
Il rinvenimento deve essere eseguito immediatamente dopo la tempra per
evitare il pericolo di cricche dovute alle elevate tensioni interne in cui si
trovano i pezzi temprati.
La temperatura di rinvenimento va scelta in modo da ottenere il miglior
compromesso tra le caratteristiche di durezza e di tenacità.
È noto infatti che con l’aumentare della temperatura si ha un progressivo
incremento della tenacità, dell’allungamento e della contrazione e,
corrispondentemente, una diminuzione della durezza, della resistenza a
trazione e dello snervamento.
Quando la temperatura di rinvenimento è intorno ai 600°C il trattamento
che ne deriva (tempra e rinvenimento) viene chiamato bonifica e permette di
conferire all’acciaio un buon compromesso tra tenacità e resistenza.

3.4. Temperature di rinvenimento

• giallo chiaro : 200-220 °C.


• giallo : 220-230 °C.
• giallo cupo : 230-245 °C.
• giallo bruno : 245-255 °C.
• rosso bruno : 255-265 °C.
• rosso porpora : 265-275 °C.
• violetto : 275-285 °C.
• blu violaceo : 285-295 °C.
• blu chiaro : 295-310 °C.
• grigio : 310-325 °C.

3.5. Distensione

Nel caso degli acciai da cementazione o autotempranti, per diminuire e


possibilmente annullare le tensioni residue causate dalla tempra pur
mantenendo elevati valori di durezza, si ricorre al trattamento di distensione
che consiste in un riscaldo a temperature inferiori ai 250°C: in questo caso

477
non si hanno apprezzabili modifiche strutturali.
La distensione viene anche eseguita su pezzi che, dopo le lavorazioni
meccaniche, si trovano in uno stato di particolare tensione.
In questo caso lo scopo è di ristabilire le caratteristiche meccaniche
precedenti, in particolare quelle elastiche (limite di snervamento) e di
tenacità.

3.6 Bonifica isotermica

La bonifica isotermica consiste in un trattamento unico in quanto il


rinvenimento si può di regola tralasciare e presenta il vantaggio di non dar
luogo a deformazioni e spaccature tensionali, come può avvenire nella
tempra convenzionale.

3.7. Normalizzazione

Consiste in un riscaldo ad una temperatura inferiore a quella di tempra, per


un tempo sufficiente ad austenitizzare completamente il materiale, seguito
da raffreddamento in aria calma o mossa.
Viene generalmente eseguita su pezzi grezzi di lavorazione a caldo per
affinare ed uniformare il grano allo scopo di predisporre l’acciaio nel modo
migliore per i successivi trattamenti termici.

3.8. Ricottura

Lo scopo della ricottura è quello di addolcire l’acciaio per renderlo atto alle
lavorazioni meccaniche e/o plastiche, di eliminare le tensioni residue e di
distruggere gli effetti di una deformazione plastica, di una saldatura o di un
trattamento termico precedente.

3.9. Permanenza in temperatura

Il tempo di permanenza dipende dal grado desiderato di dissoluzione dei


carburi:
• Acciai da costruzione, al carbonio e basso-legati: pochi minuti.

478
• Acciai da costruzione medio legati: almeno 15 minuti.
• Acciai per utensili al carbonio e bassolegati: 0,5 minuti per mm di
spessore, con un massimo di un’ora.
• Acciai alto-legati al cromo: 0,8 minuti al mm, con un massimo di un’ora.
• Acciai per lavorazioni a caldo: mezz’ora al massimo, data la scarsa
quantità di carburi.
• Acciai rapidi: essi sono riscaldati alla più alta temperatura, quindi occorre
limitare la permanenza al minimo (tempo dipendente dallo spessore).

3.10. Bluitura

Un altro trattamento termico utilizzato molto spesso in orologeria per


conferire un aspetto gradevole e una maggior resistenza alla corrosione a
viti, molle, sfere o particolari in acciaio, è quello della bluitura. Con acciaio
bluito si intende un acciaio rinvenuto al blu.
Il materiale viene riscaldato, generando un sottile strato di magnesite (di
fatto, una ossidazione). Quanto maggiore è la temperatura, tanto più spesso
sarà questo strato di ossido. Lo spessore dello strato determina, a sua volta,
il colore della superficie dell’acciaio.
Per ottenere il blu tipico dei particolari presenti negli orologi e nei
pendoli, occorre riscaldare lentamente il metallo ad una temperatura di 300
°C.

479
È necessaria la massima precisione, poiché a 290 °C si ottiene un blu scuro,
mentre a 320 °C un celeste chiaro. A temperature più basse invece si passa
al violetto, al porpora, fino al giallo chiaro; a temperature più alte al grigio,
al marrone e al rosso.

Per ottenere il massimo risultato è anche molto importante lucidare a


specchio la superficie interessata eliminando così anche ossidazioni, grasso
e sporcizia.

4. Scelta dei materiali per la realizzazione di un


orologio
La scelta dei materiali è molto importante e le caratteristiche del materiale
devono essere tali da poter sopportare gli sforzi agenti sull’organo con il
quale sarà realizzato.
Dopo aver fatto il progetto e le dovute verifiche degli sforzi che in genere

480
sono flessione e taglio, si passa alla scelta dei materiali che dovranno in
secondo ordine essere pensati, come nel caso di un orologio, per durare a
lungo, quindi resistere all’usura, essere compatibili e accoppiabili fra loro
senza dover ricorrere a giunzioni con saldature o simili.
In genere in orologeria si usano principalmente l’ottone per la
realizzazione delle platine, delle ruote dentate, i bariletti, le boccole e
qualche altro organo come l’ancora e talvolta il volano, mentre si adotta
l’acciaio per gli alberi delle ruote, i pignoni, alberi di carica, assi dei
bariletti, leve, molle, viti e tutti gli organi sottoposti a sollecitazioni
maggiori.
Come abbiamo visto esistono in commercio materiali specifici per
l’orologeria, per l’ottone ad esempio si consiglia l’ OT 59 CW612N; la
lavorazione dell’ottone deve essere eseguita senza riscaldare in modo
eccessivo il metallo in quanto, come abbiamo visto, perderebbe le sue
caratteristiche di durezza, mentre per l’acciaio si usano normalmente acciai
da costruzione che possono essere temprati in base all’utilizzo.
Per la ricostruzione in laboratorio l’acciaio al piombo detto anche AVP è
quello che meglio si presta per le lavorazioni al tornio di assi e relativi
pignoni, offrendo buone caratteristiche meccaniche e discreta temprabilità.
Per i perni delle ruote, gli assi bilanciere, si consiglia l’utilizzo di acciaio
blu, ovvero acciaio temprato rinvenuto al blu, vedi ad esempio i chiodi per il
muro.

Questi acciai sono particolarmente indicati per la realizzazione di parti con


sezioni molto piccole: con opportuni utensili è possibile raggiungere
diametri dell’ordine di 0,04 mm senza che l’acciaio perda di consistenza ed
elasticità.

481
Per quanto riguarda invece la realizzazione di molle, leve e altri particolari
in lastra, la scelta può cadere fra acciai da costruzione o acciai per molle che
dovranno essere lavorati con opportuni utensili diamantati in quanto non
sarà ovviamente possibile farli rinvenire per la lavorazione.

482
Capitolo XV
La revisione di un orologio

L’ambiente di lavoro di un orologiaio è molto variabile e soggettivo, E k


o k dd . spesso condizionato dalle disponibilità e dalle necessità
di chi vi opera. Tuttavia è possibile stabilire alcuni punti fermi sul tipo di
approccio che si può adottare nei confronti della revisione dell’orologio.
Da sempre l’orologiaio lavora sul classico banchetto pensato proprio per

483
questa tipologia di utilizzo, un banco attrezzato, alto a sufficienza e tale da
poter arrivare quasi al mento dell’operatore.

Con questa configurazione, trovandosi molto vicino al piano di lavoro, per


l’analisi dei componenti e per il lavoro l’orologiaio adotta i classici
monocoli.
I monocoli sono disponibili in diverse lunghezze focali che vanno da
1,5x fino a 10x, l’unico svantaggio è che più aumenta l’ingrandimento, più
si riduce la distanza di messa a fuoco, già molto ridotta, e il campo visivo,
costringendo l’operatore ad avvicinarsi moltissimo al pezzo in esame.
Un altro svantaggio è quello di trovarsi a lavorare sempre con un solo
occhio, con conseguente sforzo della vista e un limitato angolo visivo.
Come tutte le tradizioni, anche questa sembra essere molto difficile da
superare, dato che oggi, grazie alle moderne tecnologie, è possibile rivedere
completamente l’impostazione di un tempo, rendendo il lavoro molto più
semplice ed efficiente grazie all’uso dei microscopi stereoscopici.
Per quanto diffusi ed economicamente alla portata di tutti, il loro utilizzo

484
viene limitato soltanto alle attività di controllo o per particolari interventi di
lubrificazione, senza pensare che possono essere utilizzati tranquillamente
anche per le normali attività di lavoro.

L’utilizzo del microscopio applicato all’orologeria porta vantaggi notevoli


poiché, oltre a poter operare su un banco di altezza normale, si ha la
possibilità di guardare con entrambi gli occhi e con ingrandimenti, in
funzione della qualità del microscopio adottato, che possono andare da 6x
fino a 70x con una variazione minima della distanza di messa fuoco e con
immagini estremamente nitide e luminose.
In questo modo l’operatore può lavorare seduto con la schiena eretta e
senza sforzare oltremodo un solo occhio.

1. L’illuminazione
L’illuminazione è molto importante in quanto ci permette di non sforzare la
vista durante il lavoro e deve essere pensata in modo molto attento ed
oculato. Sul classico banchetto la lampada è pensata in modo tale da

485
rimanere molto vicina all’operatore e per questa ragione dovrà essere dotata
di lampade fredde. Nel passato erano utilizzati il classici tubi florescenti,
soppiantati oggi dalle nuove tecnologie a LED.
L’uso del microscopio risolve in modo definitivo anche questo aspetto in
quanto l’illuminazione è posta sotto lo strumento senza arrecare nessun
fastidio o ingombro.

2. L’attrezzatura di base
Il mestiere dell’orologiaio è forse uno di quelli dov’è presente il maggior
numero di strumenti pensati e dedicati per svolgere determinate operazioni.
La scelta di questi utensili, in genere, viene fatta strada facendo nel
momento in cui se ne presenta la necessità, quindi è possibile cominciare a
stabilirne alcuni che sono indispensabili per poter iniziare ad operare.
Vediamo di seguito un breve elenco:
1. Cacciaviti
2. Pinzette
3. Porta movimenti
4. Leva sfere
5. Apricasse
6. Potenza piazza vetri
7. Porta olio
8. Oliatori
9. Pompetta per l’aria
10. Punzoniera
11. Cronocomparatore

3. Le macchine per il laboratorio


Fra le macchine che potenzialmente possono essere utilizzate in un
laboratorio, ve ne sono alcune che potremmo definire quasi indispensabili

486
per svolgere in modo autonomo il maggior numero di lavori senza la
necessità di doversi appoggiare ad enti esterni e fra queste possiamo citare:
1. Macchina per il lavaggio
2. Macchina per il test di impermeabilità
3. Macchina per lucidare e satinare
4. Trapano a colonna
5. Mola da banco
6. Tornio
7. Fresatrice

3.1. Il tornio

Una macchina di cui non si può fare a meno universalmente diffusa e


utilizzata nelle officine meccaniche, è il tornio parallelo insieme un suo
derivato di maggior precisione e specificatamente pensato per l’orologeria
che chiameremo tornio per orologeria.
Il tornio parallelo può raggiungere dimensioni anche molto notevoli ed è
utilizzato nell’industria metalmeccanica per tutte le lavorazioni atte alla
realizzazione di corpi di forma cilindrica o pseudo-cilindrica.
Vi sono macchine nate per eseguire precisioni molto elevate che ancora
oggi sono molto blasonate ed esistono poi versioni che potremmo definire
quasi casalinghe, di piccole dimensioni dedicate all’hobbistica o per piccole
lavorazioni di minuteria.
Queste macchine sono concepite in modo tradizionale e sono
generalmente dotate di un mandrino a tre griffe, un carro a croce e una
contropunta e quelle più complete consentono di eseguire anche filettature.
In genere sono macchine nate per precisioni dell’ordine del centesimo,
questo significa che le tolleranze ottenibili non potranno scendere sotto al
centesimo di millimetro.
A seguire esiste una serie di piccole macchine che definiremo come torni
per orologeria, i cui primi esemplari risalgono alla fine del ’600, e
nascevano specificatamente per le piccole lavorazioni richieste in
orologeria.

487
Questi torni hanno una conformazione particolare, che di massima è rimasta
immutata negli anni.
I primi esemplari erano del tutto manuali e venivano azionati tramite una
puleggia mossa da un archetto a mano per poi evolversi con movimenti a
manovella o pedale collegato ad una cinghia che azionava il mandrino.
Con l’avvento delle nuove tecnologie, i torni si sono evoluti e motorizzati
arricchendosi di molti accessori e divenendo nel tempo sempre più precisi e
performanti.

488
Una caratteristica tipica di questa tipologia di torni è il fatto di essere dotati
di pinze di precisione che offrono la possibilità di serrare diametri con
estrema precisione, a partire da 0,1 mm.
Per questo si prestano meglio alla realizzazione di piccoli componenti:
grazie all’uso delle pinze è possibile riprendere una lavorazione smontando
e girando il pezzo a piacimento senza perdere la coassialità.
Il rovescio della medaglia però è che sono molto costosi e anche quando
si riesce a trovarne di usati, i costi sono comunque nettamente superiori ai
normali torni di piccole dimensioni, perciò rimangono macchine altamente
specializzate e specifiche per determinati settori come l’orologeria.
In questa nostra trattazione prenderemo in considerazione entrambe le
tipologie di tornio, cercando di capire in base alle nostre necessità su quale
macchina far ricadere la nostra scelta.
Come già detto all’inizio, prenderemo in esame la realizzazione di
componenti per orologeria che sono in assoluto l’essenza della precisione,
ma le stesse considerazioni possono essere estese alla micro meccanica di
precisione in generale.

3.2. Nozioni preliminari e terminologia

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Cominciamo ad analizzare le funzioni di base e identificare in modo corretto
le varie parti che compongono la macchina.

Un tornio, in linea generale, è composto dal banco, ovvero una struttura


generalmente in ghisa sulla quale troviamo le guide che sostengono il carro
a croce e la torretta della contropunta.
Il mandrino è poi collegato al motore tramite una serie di ingranaggi
contenuti in quella che comunemente viene definita scatola del cambio o
degli ingranaggi. La parte più importante del tornio, che è poi quella che
determina in massima parte la precisione del pezzo che andremo a
realizzare, è costituita dal sistema di presa del pezzo da lavorare e può
essere un mandrino o la pinza.
I mandrini sono generalmente a tre o quattro griffe o ganasce e sono
autocentranti, ovvero tendono a serrare in modo perfettamente simmetrico
rispetto all’asse di rotazione.
Vi sono poi mandrini a quattro griffe indipendenti, ovvero che serrano
l’uno in modo autonomo rispetto all’altro e sono usati per serrare pezzi dalla
geometria complessa, di forma quadra o per realizzazioni particolari come
eccentrici, camme o altro.
Il carro a croce può essere comandato manualmente o in automatico in
base alla dotazione del tornio e su di esso viene montata la torretta porta
utensile, che, come facilmente intuibile, serve a sostenere e fissare l’utensile
da taglio.
Queste torrette possono assumere differenti forme, ma di massima si
distinguono fra fisse o a sgancio rapido con cartelle intercambiabili.
Con quelle fisse il cambio utensile deve avvenire svitando le viti di

490
fissaggio, mentre con quelle a cambio rapido l’utensile è fissato sulla
cartella, la quale viene innestata su un apposito supporto e bloccata per
mezzo di una semplice leva. La torretta della contropunta, grazie ad un
innesto conico detto cono morse, può montare sia la classica contropunta sia
un mandrino a cremagliera o auto-serrante per l’esecuzione di forature.
Inoltre è dotata anch’essa di una manetta collegata ad un canotto mobile
che consente lo spostamento longitudinale della contropunta o del mandrino
in caso di operazioni di foratura.
I torni da orologeria sono, come abbiamo detto, macchine
specificatamente studiate per ottenere gradi di precisione estremamente
elevati e volti alla realizzazione di componenti molto piccoli, spesso
dell’ordine di pochi decimi di millimetro.
Strutturalmente sono simili a quelli tradizionali, in quanto troviamo
sempre un Banco sul quale sono fissati il carro a croce e la contropunta
(anche se con caratteristiche e forme differenti), ma che in genere (salvo
qualche caso) non sono dotati della scatola del cambio e del classico
mandrino a tre griffe, ma di uno speciale asse motore, collegato ad un
gruppo di pulegge.
Questa particolare conformazione consente una veloce intercambiabilità
di accessori, ma soprattutto l’utilizzo delle pinze, ovvero delle morse a tre
griffe che abbracciano l’intera circonferenza del pezzo da lavorare.
Le pinze sono poi messe in tensione, grazie ad un innesto conico, dalla
barra di trascinamento.

Questo sistema di fissaggio, rende l’insieme assolutamente privo di


vibrazioni dovute all’inerzia e al peso del mandrino a tre griffe e consente di

491
lavorare a velocità estremamente elevate raggiungibili grazie ai rapporti di
trasmissione dati dalle varie pulegge.

3.3. Gli utensili da taglio

Per eseguire il vero lavoro di tornitura detto anche per asportazione di


truciolo, si utilizzano degli speciali utensili che come abbiamo visto
vengono fissati sul carro a croce e lavorano in condizione statica, in quanto
è il pezzo a subire il movimento di rotazione.
La panoramica di utensili per tornitura è oggi estremamente vasta e ricca
di varie soluzioni anche altamente tecnologiche che consentono il taglio
degli acciai anche ad altissime velocità, ma noi ci soffermeremo a quelli più
semplici e tradizionali, ovvero quelli ricavabili dalla classica barretta di
acciaio HSS disponibili in diverse misure, anche se quelle necessarie ai
nostri scopi non saranno più grandi di 4×4 mm o al massimo 6×6 mm.
Tutti gli utensili per poter svolgere correttamente la loro funzione devono
essere dotati di un tagliente con una specifica inclinazione detta angolo di
spoglia. Le barrette in commercio vengono vendute grezze e devono essere
foggiate in base alle necessità e al tipo di materiale da lavorare.
La prima peculiarità di un utensile da taglio sono gli angoli di spoglia
che devono rispettare caratteristiche ben precise.
Per capire come sono e a cosa servono ci avvaliamo della seguente
figura:

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Come possiamo vedere, il tagliente C viene caratterizzato da una serie di
piani con angoli specifici e ben determinati che come abbiamo detto
prendono il nome di angoli di spoglia e nello specifico si identificano come
segue:
1. C = Tagliente principale
2. d = Fianco secondario
3. e = Tagliente secondario
4. α = Angolo di spoglia inferiore
5. β = Angolo di taglio
6. γ = Angolo di spoglia superiore
L’affilatura di un utensile deve essere eseguita seguendo questi precisi
parametri che dovranno variare secondo determinati valori prestabiliti in
base al materiale che andremo a lavorare:

Si tenga inoltre presente che i valori indicati in tabella sono semplificati e


indicativi in quanto non tengono conto delle velocità di taglio e di
avanzamento.
L’affilatura di queste barrette si esegue manualmente utilizzando normali
mole da banco, anche se per l’affilatura degli acciai legati si consiglia
l’utilizzo di dischi al carburo di silicio (colore verdino) che ha la
caratteristica di non surriscaldare eccessivamente l’utensile durante la fase

493
di affilatura.
Come abbiamo detto precedentemente gli utensili vengono foggiati sulla
base delle specifiche necessità e lavorazioni da eseguire.
Tra le lavorazioni più comuni possiamo ricordare la tornitura con
spallamento a sinistra o a destra e la troncatura, poi ci sono quelle dette di
forma, per le quali l’utensile viene foggiato in modo da riprodurre la forma
desiderata.
Di seguito riportiamo a titolo indicativo alcuni esempi che mostrano
come si possa affilare un utensile per mezzo della mola e quali possibili
forme esso può assumere.

3.4. Procedimento di affilatura di un utensile in HSS

Abbiamo fin qui visto l’aspetto che l’utensile deve avere per poter svolgere
la sua funzione, ma quello di cui in genere non si fa menzione sono le
dimensioni dello strumento in funzione della lavorazione alla quale deve
essere destinato. Questo aspetto che può sembrare banale, è invece molto
importante quando si devono eseguire lavorazioni estremamente piccole, in
quanto, come credo sia facilmente intuibile, per eseguire una cava di pochi
decimi o una passata di pochi centesimi l’utensile, ovvero il suo tagliente,
dovrà essere dimensionato in modo tale da poter sopperire a tale esigenza.
Vediamo quindi quali dimensioni deve avere un utensile per consentirci
ad esempio di realizzare un asse bilanciere o un perno di una ruota di un
orologio da tasca e quali sono i passaggi pratici di base per riuscire a creare
gli opportuni angoli di spoglia manualmente con la mola.

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Per fare questo avvaliamoci delle seguenti immagini, tenendo conto che
queste sono puramente indicative e atte a comprendere meglio come
avvicinarsi in modo corretto all’affilatura.
Vediamo ora a livello dimensionale come dovrà presentarsi il nostro
utensile partendo da una barretta da 4×4 mm.

In figura è rappresentato un utensile ricavato da una barretta 4×4 mm atto a


lavorare diametri anche molto piccoli fino a 0,05 mm con passate manuali
per mezzo del carro a croce.

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Nelle immagini che seguono è mostrata la sequenza delle azioni da
compiere per la realizzazione dell’utensile e dei relativi angoli di spoglia.

496
3.5. Procedimento di allineamento dell’utensile

La più importante operazione prima di cominciare a tornire è l’allineamento


dell’utensile all’asse di rotazione.
L’utensile, perché possa essere in grado di tagliare in modo corretto,
dovrà avere il suo tagliente principale perfettamente allineato all’asse
orizzontale del mandrino.
Per fare questo si inserisce l’utensile nella torretta portautensili, si monta
la contropunta e si avvicina la punta dello strumento alla punta della
contropunta, regolando l’altezza della barretta in modo da far coincidere il
tagliente principale con la punta della contropunta.
Trovata la posizione si blocca l’utensile sulla torretta.
Questa operazione è estremamente importante sia per l’esecuzione di un
taglio corretto, sia per evitare che in fase di intestatura del pezzo (di cui
parleremo a breve) non rimangano testimoni.

497
3.6. Tornitura - Fasi preliminari

Una cosa fondamentale da tenere sempre in considerazione per non


incorrere in errore è il senso di rotazione del nostro mandrino e del pezzo.
È facile, soprattutto per coloro che iniziano ad usare il tornio,
confondersi e invertire il senso di rotazione senza quindi ottenere risultati
validi in termini di tornitura.

Dobbiamo sempre ricordare che è il pezzo a girare e che l’utensile rimane


fermo e per questo dovrà essere il nostro pezzo ad andare incontro al
tagliente dell’utensile. Questa può sembrare una banalità per coloro che già
godono di una certa esperienza, ma potrebbe essere un errore piuttosto
comune per i neofiti.
Un altro aspetto molto importante è rappresentato dalla torretta porta
utensili, alla quale si deve prestare attenzione soprattutto quando siamo in
prossimità del mandrino.
Infatti capita sovente che, impegnati ad osservare la lavorazione, non ci
si accorga che le griffe del mandrino entrano in collisione con il carro a
croce, causando nella migliore delle ipotesi qualche bella ammaccatura.
Bisogna ricordare che quando si lavora sulle macchine utensili si deve
sempre prestare attenzione a non indossare cose che possano in qualche
modo impigliarsi negli organi in rotazione con seri rischi per la nostra
incolumità, anche anelli e catenine sono sconsigliate.
Altra cosa che spesso viene spontaneo fare è quella di spostare i trucioli

498
con le mani; anche se si indossano guanti, i trucioli sono molto resistenti e
affilati e possono causare gravi lesioni agli arti.
In orologeria, per eseguire torniture di piccolissime dimensioni diventa
spesso necessario utilizzare i monocoli o delle lenti.
Più sono spinti come capacità di ingrandimento, più costringono
l’operatore ad avvicinarsi all’oggetto e di conseguenza, spesso, ci si trova
estremamente vicini al mandrino o al pezzo in rotazione.
Questa pratica, per quanto diffusa fra i professionisti, è comunque molto
pericolosa, in quanto espone direttamente il viso a rischi anche
potenzialmente gravi.
Un sistema molto valido che consente anche una perfetta visione del
lavoro che stiamo svolgendo consiste nel dotare il tornio di un microscopio
stereoscopico, il cui costo oggi è accessibile a tutti e che risolve
perfettamente tutti i problemi legati alla corretta visione.

3.7. Tornitura in orologeria

L’uso del tornio in orologeria e più nello specifico in applicazioni di micro


tornitura, prevede logiche di utilizzo che per alcuni fattori si possono
scostare anche di molto rispetto a quanto previsto dalla meccanica
tradizionale.
Per quanto i torni da orologiaio siano anch’essi dotati di carro croce,
quest’ultimo viene utilizzato solo per determinate lavorazioni che comunque
possono considerarsi ancora collocabili un campo dimensionale standard.
Per meglio comprendere cosa significhi campo dimensionale standard
facciamo due esempi molto comuni:
1. Un lavoro che possa rientrare nel campo dimensionale standard potrebbe
essere ad esempio quello di tagliare con una forbicina un filo di cotone
molto sottile.
2. Un lavoro che invece esula da questo campo, potrebbe essere ad esempio
riuscire a tagliare un solo filo del trefolo con la stessa forbice.
Quanto sopra, se rapportato all’orologeria, ci porta a comprendere come sia
necessario in alcuni casi dotarsi di strumenti adeguati che possano
consentirci di raggiungere l’obiettivo di eseguire lavorazioni su pezzi che
spesso sono dell’ordine dei centesimi.

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Analizziamo quindi gli utensili pensati specificatamente per l’esecuzione
di lavori estremamente piccoli che prendono storicamente il nome di bulini
a mano.

3.8. Il bulino a mano

Il bulino a mano in genere viene ricavato da un trafilato di forma quadra


foggiato opportunamente per ricavarne la classica forma definita a losanga.
In funzione del tipo di lavorazione al quale sarà poi destinato, sono
previste diverse configurazioni e fogge.

Un aspetto molto importante che spesso si tende a sottovalutare è il tipo di


acciaio con il quale realizzare il bulino.
In genere si pensa che un acciaio legato come il classico HSS possa
risultare idoneo a lavorare tutto ciò che capita, ma in modo particolare nel
mondo dell’orologeria, popolato da acciai prevalentemente temprati e
talvolta molto duri e fragili, gli acciai legati non sono assolutamente adatti,
in quanto molto meno duri degli acciai di cui ad esempio sono realizzati gli
assi bilanciere o i pignoni delle ruote e quindi soggetti a repentine perdite
del tagliente se non addirittura risultare totalmente inefficaci.
Per quanto sopra, se l’obiettivo è quello di lavorare in tutta tranquillità
acciai temprati o fortemente legati come l’HSS stesso, è necessario
orientarsi verso quelli che vengono definiti acciai sinterizzati e il più
comunemente usato e conosciuto è il carburo di tungsteno.
Questa tipologia di acciaio per utensili si trova molto comunemente sotto
forma di placchette sinterizzate e saldo-brasate su appositi supporti per carro

500
croce, su lame per la lavorazione del legno, ma anche in forma di utensili
finiti come piccole punte elicoidali con diametri che arrivano a 0,14 mm e in
forma più grezza come le barrette di sezione quadra o tonda.
Scelto l’acciaio del bulino non rimane che trovare i miglior sistema per
poterlo affilare in modo corretto.
Nell’orologeria tradizionale, proprio in virtù del confine che divide il
campo dimensionale standard da quello del microscopico, rimanendo legata
appunto a regole del passato in cui il microscopico non veniva considerato
come nei giorni nostri, tutti i sistemi meccanici di finitura come la lappatura
dei perni con l’apposito tornio a pivottare, erano studiati e pensati in modo
che i risultati finali fossero accettabili anche se non propriamente verificabili
in modo inequivocabile.
Da questo nasce tutta una teoria in merito all’affilatura dei bulini a mano
che doveva essere eseguita con pietre di varie grane sino ad ottenere
(almeno in teoria) superfici estremamente lisce tali da garantire a loro volta
finiture superficiali del pezzo lavorato di altrettanto buon livello.
Tutto questo era ed è potenzialmente possibile, ma comporta una grande
perdita di tempo. Una finitura superficiale perfetta della losanga è da
ritenersi inutile ai fini della lavorazione al tornio, in quanto se si lavorano
materiali duttili la finitura si eseguirà successivamente con altri mezzi; se
invece si lavorano materiali più duri, l’eccessiva finitura del tagliente della
losanga porterà ad una diminuzione estremamente sensibile della sua
capacità di taglio con scarsi risultati in termini di efficienza e senza per altro
raggiungere grandi vantaggi sulla finitura del pezzo in lavorazione.
A dimostrazione di quanto asserito, di seguito vediamo alcune foto di una
barretta in HSS alla quale è stata ricavata una losanga utilizzando una mola
diamantata. Le foto a forte ingrandimento di una barretta di 4 mm di lato,
mettono in evidenza i micro solchi lasciati dalla mola, che è possibile
confrontare con quelli della finitura industriale delle facce della barretta che
ad una analisi visiva normale appare perfettamente liscia e lucida.

501
Da questo deriva che una ulteriore finitura a mano su pietra, sarebbe del
tutto inutile e controproducente in termini di efficienza e vantaggio sul
risultato finale.
Le stesse considerazioni valgono per gli acciai sinterizzati che, oltre ad
essere molto più duri dell’HSS e quindi non lavorabili con normali pietre
ma solo con specifiche mole diamantate, risultano più fragili e
frammentabili con il rischio, in caso di mancata esperienza o mezzi di
affilatura adeguati, di ottenere taglienti frastagliati e scheggiati.
Le osservazioni fatte in precedenza in merito alle dimensioni che
l’utensile deve avere in funzione del tipo di lavoro che deve svolgere,
valgono anche nel caso del bulino a mano che dovrà essere proporzionato
alle dimensioni del pezzo in lavorazione.
Un utensile di dimensioni sproporzionate rispetto a ciò che si deve fare
non può essere utilizzato.
Per poter lavorare correttamente elementi molto piccoli sarà altrettanto

502
necessario dotarsi di utensili adeguati al lavoro da svolgere che talvolta
avranno sezioni anche inferiori al millimetro.
Questi accorgimenti sono necessari per poter realizzare piani, raccordi e
diametri di dimensioni molto ridotte che con un normale utensile non
sarebbe possibile realizzare.
Le immagini che seguono mostrano un bulino ricavato da una barretta di
sezione quadra di 4 mm, che risulta enorme rispetto alla lavorazione
dell’asse bilanciere.

503
La finitura superficiale del bulino, come detto, non influenza
particolarmente la finitura del pezzo in lavorazione.
Quest’ultima sarà condizionata solamente da come verrà utilizzato il
bulino, dalla capacità dell’operatore di tornire, dal tipo di acciaio utilizzato e
da altri fattori legati alle caratteristiche del tornio come la velocità di
rotazione, la stabilità, le vibrazioni etc.
Nell’immagine che segue vediamo un bulino ricavato da una barretta
quadra da 1,8 mm di lato in carburo di tungsteno la cui losanga è stata
realizzata con dischetto diamantato.

Avendo ingrandito l’immagine la superficie appare rigata e quindi


apparentemente non idonea alla lavorazione.
In realtà, la finitura superficiale è in massima parte condizionata dalla
durezza del materiale e da come si utilizza il bulino durante la fase di
tornitura.
Nell’immagine che segue possiamo apprezzare la finitura che si riesce ad
ottenere lavorando acciaio legato e quindi particolarmente duro utilizzando
il bulino visto prima, affilato con il disco diamantato.

504
3.9. Procedimento di affilatura di un bulino al carburo di tungsteno

Gli utensili realizzati in carburo di tungsteno ovvero metallo sinterizzato


dalle caratteristiche prestazionali elevatissime, hanno la capacità di tagliare
acciai durissimi e legati come l’HSS e gli acciai al cobalto.
Hanno però anche la caratteristica di essere fragili e anche molto duri e
difficili da affilare.
Questi sinterizzati vengono utilizzati per la realizzazione di placchette
per utensili da tornio, inserti per frese, micro punte elicoidali.
Dal momento che per l’uso in orologeria sono richiesti utensili di sezioni
estremamente piccole che possono variare anche sensibilmente in funzione
del tipo di tornitura che andremo ad eseguire, ecco tornarci utili le piccole
punte elicoidali che sovente capita di rompere e che sono interamente
realizzate in questo materiale (almeno quelle di qualità, in quanto molte
hanno solo la punta riportata).

505
Per poterle utilizzare è sufficiente realizzare dei manici metallici ricavabili
facilmente da barrette in acciaio.
Per la loro affilatura si rende però necessaria una mola diamantata e in
commercio è possibile reperire con facilità dischetti metallici con deposito
diamantato che si prestano molto bene per questo scopo, la cosa importante
è usarli ad un numero di giri elevato (15.000/30.000 rpm).

Il microscopio si rende necessario in quanto gli utensili, come detto,


potranno avere sezioni anche molto piccole si consideri che il codolo delle

506
punte ha un diametro di 3,2 mm e le sezioni quadre possono essere anche
dell’ordine di 0,5 mm. Per l’affilatura, sarà necessario realizzare un profilo
quadro delle dimensioni opportune, ottenendo bulini simili a quelli in figura.

Nella foto seguente si possono vedere le varie sezioni ad ingrandimento di


6x.

Il più piccolo in alto a destra in genere è quello che serve per realizzare
perni di piccole dimensioni come ad esempio quelli di un asse bilanciere di
un orologio da polso di medie dimensioni, per orologi da donna dovremo
prevedere sezioni anche inferiori.

507
3.10. La tornitura cilindrica con carro a croce

La tornitura cilindrica è una delle operazioni più ricorrenti fra le lavorazioni


al tornio ed è anche quella relativamente più semplice.
Se si opera con il carro a croce, si esegue fissando il pezzo nel mandrino
o nella pinza e avvicinando l’utensile al pezzo in rotazione si agisce sulla
manetta dell’avanzamento radiale, determinando così il valore della
profondità di passata, per poi avanzare con la manetta longitudinale per
eseguire la passata.
La profondità di passata determina la quantità di materiale che l’utensile
andrà ad asportare e quindi dovrà essere proporzionale al tipo di materiale
che stiamo tornendo (acciaio, ottone, plastica etc,) ed è sempre funzione
della velocità di rotazione, dell’avanzamento e anche del tipo di utensile che
stiamo utilizzando. È comunque buona norma adottare profondità di passata
piccole in modo da non sollecitare troppo l’utensile e non rischiare di creare
impuntamenti, strappamenti o incrudimenti localizzati del pezzo in
lavorazione.
Un parametro importante che però è bene conoscere e saper calcolare
quando si esegue una tornitura è la velocità di taglio.
La velocità di taglio varia in funzione del diametro del pezzo in
lavorazione ed è riferita alla velocità periferica del punto di contatto P fra
utensile e superficie del pezzo.

508
Avremo quindi

dove
D = Diametro del pezzo
n = numero di giri del pezzo
Vista la grande varietà di materiali e utensili in commercio, i produttori
forniscono tabelle di riferimento con tutti i dati necessari.

509
Quando si esegue una tornitura è sempre buona norma cercare di tenere il
pezzo da lavorare il meno sporgente possibile dal mandrino, questo per
ridurre al massimo flessioni dovute al taglio e vibrazioni che
comprometterebbero la buona finitura superficiale del pezzo.
L’avanzamento, come la profondità di passata, è determinante per una
buona finitura superficiale, infatti è funzione del numero di giri.
Il numero di giri viene in genere impostato in base a diversi parametri
legati al materiale da lavorare, al tipo di utensile etc, ma nel caso di piccole
lavorazioni, questo viene fortemente condizionato dal tipo di tornio adottato
e dalla lavorazione che dobbiamo eseguire.
A titolo di esempio possiamo dire che per i torni paralleli di piccole e
medie dimensioni il numero di giri potrebbe oscillare fra 800 e 1500
giri/min, in quanto le inerzie in gioco sono talvolta notevoli per via delle
masse dei mandrini adottati. Nel caso di torni da orologeria il numero di giri
può salire anche sensibilmente proprio per le loro caratteristiche intrinseche
di precisione, assenza di vibrazioni e inerzie ridotte, basti pensare che ci
sono torni con motore da 3000 giri/min e con pulegge che lo possono
portare anche molto oltre i 10.000 giri/min mantenendo la massima stabilità
e assenza di vibrazioni.
Il numero di giri dovrà invece essere ridotto quando si eseguono

510
operazioni di troncatura, torniture di forma o lavorazioni speciali.

3.11. Troncatura, esecuzione di cave, spallamenti sinistri e destri

Con il tornio è possibile eseguire delle troncature e per fare questo


dobbiamo avvalerci di un utensile foggiato in modo tale che possa penetrare
nel materiale asportandolo fino a ridurne la sezione al limite della rottura.

Lo stesso utensile può poi essere anche usato per la realizzazione di cave a
fondo piano, un esempio è riportato di seguito e identificato dalla lettera B.
Per la realizzazione di spallamenti che siano destri o sinistri avremo
invece la necessità di disporre di un utensile che abbia il tagliente principale
perfettamente ortogonale all’asse di rotazione, in modo da creare un piano a
90° con l’asse del pezzo; a seconda dello spallamento, il tagliente sarà a
destra o a sinistra, lettere D, E.
Mentre per la lavorazione di tornitura longitudinale semplice l’utensile
potrebbe assumere la configurazione A, anche se per piccole torniture

511
questo non è comunque adatto per via delle eccessive dimensioni.
Poi vi sono gli utensili per filettare che sono foggiati in modo da
riprodurre l’angolo di inclinazione del filetto, che può essere metrico o
inglese; questi in genere sono come quello identificato con C, anche se
questo tipo di lavori richiede necessariamente un tornio che sia predisposto
per poter eseguire delle filettature.

3.12. Tornitura conica

Una lavorazione che spesso capita di dover eseguire è la tornitura conica e si


può eseguire sostanzialmente in due modi:
1. Piccole conicità e grandi lunghezze.
2. Piccole lunghezze anche con forte conicità.
Per ottenere piccole conicità su lunghezze elevate in genere si decentra la
contropunta, ma questa è una lavorazione che in orologeria capita
raramente, mentre quella che più interessa è la tornitura di lunghezze ridotte
a conicità elevate.

È possibile calcolare l’inclinazione o pendenza come

512
Nella pratica, la tornitura conica si esegue impostando sul goniometro del
carro a croce il valore dell’angolo α/2

In questo modo avanzando con lo spostamento longitudinale del carro a


croce otterremo uno spostamento relativo dell’utensile pari all’angolo
impostato e conseguentemente la creazione del cono desiderato.

513
Questo tipo di lavorazione è molto comune nella realizzazione ad esempio
di assi per bilanciere, dove la parte che ospita il plateau è solitamente
conica, oppure per la realizzazione dei terminali dai quali poi ha origine il
perno dell’asse.

514
Esaminando la foto precedente possiamo anche fare alcune considerazioni
su quella che abbiamo chiamato precedentemente finitura superficiale.
La finitura superficiale è determinata in massima parte dal tipo di
lavorazione, dalla profondità di passata, dalla durezza del materiale e non da
ultimo dal grado di affilatura dell’utensile.
In questo caso appare subito evidente il differente grado di rugosità fra la
parte cilindrica vicino al volano e la superficie conica adiacente ad essa.
Nello specifico la rugosità è volutamente ammessa, in quanto su quella
superficie andrà calettata la spirale e quindi un minimo di attrito è richiesto,
cosa che invece non sarebbe assolutamente ammissibile sul perno, in quanto
l’accoppiamento con la sua sede deve essere quanto più libero da attriti
possibile.
Questo ci fa capire quanto sia importante tenere in debito conto tutti i
parametri di cui abbiamo parlato per poter raggiungere il miglior risultato
desiderato.
Ma questo non sempre è possibile con un solo tipo di lavorazione, in
quanto ogni utensile e ogni macchina è caratterizzata da un suo livello

515
fisiologico di precisione e di finitura superficiale e quindi talvolta si rende
necessario eseguire ulteriori lavorazioni di finitura.

6.13. La tornitura con bulino a mano

Al contrario di quanto avviene con il carro a croce, nella tornitura con


bulino a mano e quindi a mano libera, l’utensile non è fissato al tornio ma
tenuto liberamente in mano dall’operatore.
La tornitura a mano libera ha notevoli vantaggi in termini di flessibilità e
velocità nel cambio delle posizioni di tornitura e si presta particolarmente
bene per la realizzazione di piccoli componenti dove gli sforzi di taglio sono
ridotti e quindi facilmente controllabili.
Il bulino poggia su un supporto detto ventaglio, sul quale si ha la
possibilità di farlo scorrere orizzontalmente durante le fasi di tornitura.
Il ventaglio dovrà essere posto in modo che durante la tornitura, il
tagliente del bulino risulti allineato all’asse di rotazione del pezzo da
lavorare.

La posizione del tagliente del bulino rispetto al pezzo in rotazione determina


la sgrossatura e la finitura.

516
Per sgrossare e togliere quindi grandi quantità di materiale la losanga
dovrà essere posta verso il basso.

Per le operazioni di finitura, e quindi per ottenere superfici molto accurate e


lucide, la losanga dovrà essere rivolta verso l’alto.

Il bulino dovrà essere sempre spostato longitudinalmente rispetto al pezzo in


rotazione avendo cura di seguire una traiettoria parallela all’asse di

517
rotazione, in modo da ottenere una tornitura cilindrica e non conica.
Il movimento relativo determina il grado di finitura della superficie in
lavorazione insieme alla natura dell’acciaio che stiamo lavorando: più
l’acciaio sarà temprato o duro, più la finitura superficiale sarà migliore.
Il bulino consente di eseguire profili di diversa natura, in funzione di
come viene premuto durante la tornitura ed è quindi molto importante
prendere dimestichezza in modo da riuscire a controllarne lo spostamento.
Per eseguire la spianatura delle facce frontali si usa tenere il bulino con la
losanga verso il basso o verso l’alto e partendo dal centro si sposta
radialmente al pezzo in rotazione.

Lo stesso procedimento lo si adotta per la realizzazione di cave o


spallamenti.

518
3.14. Brunitura o lappatura

L’operazione di tornitura come abbiamo visto non ci consente però di


raggiungere un sufficiente grado di finitura superficiale che dovrà essere
estremamente elevato al livello della lappatura, ovvero lucido a specchio.

Per ottenere questo grado di finitura, in orologeria sono stati realizzati degli
appositi strumenti che prendono il nome di brunitori.

519
I brunitori non sono altro che bacchette di acciaio temprato atte a
spianare le punte che caratterizzano la rugosità della lavorazione.
In genere sono composti da una micro-lima e da una parte semi-liscia,
che servono rispettivamente per ridurre eventuali diametri asportando
materiale nell’ordine dei centesimi e per effettuare la lucidatura e quindi
l’operazione di riduzione della rugosità.
Tale operazione inoltre tende a conferire una maggior durezza
superficiale alla parte trattata, in quanto si ha un incrudimento dovuto allo
schiacciamento. Ecco come si presentano se visti al microscopio a confronto
con una piccola lima per usi tradizionali

520
Grazie a questi strumenti è possibile raggiungere gradi di finitura molto
accurati eliminando rigature e micro asperità dovute alle operazioni di taglio
dell’utensile.

Il brunitore si appoggia sotto il pezzo in rotazione e si sposta


ortogonalmente all’asse di rotazione premendo leggermente fino al
raggiungimento del grado di finitura desiderata.

521
3.15. I limiti fisici della tornitura

In orologeria capita molto spesso di dover realizzare torniture di piccolo o


piccolissimo diametro, anche se difficilmente si scende sotto i cinque
centesimi di millimetro (0,05 mm).
Una lavorazione particolarmente frequente riguarda la ricostruzione di
perni e assi di varia natura e dimensione.
Più i diametri diminuiscono, più in proporzione diminuisce anche la loro
lunghezza e questo è stato previsto sia per motivi di stabilità statica e
dinamica sia perché vi sono dei limiti fisici sotto i quali gli acciai, ma in
generale tutti i materiali, non sarebbero lavorabili con delle macchine
tradizionali come il tornio. Un fattore che deve essere sempre preso in
considerazione quando si decide di realizzare un perno è il rapporto
diametro/lunghezza poiché un diametro molto piccolo, e quindi una sezione
resistente altrettanto piccola potrà sopportare sforzi di taglio generati
dall’utensile durante la tornitura proporzionali alla sezione del pezzo in
lavorazione.
Questo lo si spiega considerando il perno come una trave incastrata alla
cui estremità viene applicata una forza (sforzo di taglio) che porterà alla
flessione del perno e, tanto più grande sarà la sua lunghezza, maggiore sarà

522
il relativo momento flettente con conseguente superamento del limite di
rottura.

A scopo puramente sperimentale abbiamo preso un trafilato in acciaio C45


di diametro 0,9 mm e lo abbiamo tornito fino al limite della sua rottura per
una lunghezza di 2 mm.

523
Il risultato delle prove è stato quello di non essere assolutamente riusciti a
scendere sotto la quota di otto centesimi di millimetro (0,08 mm) in quanto
il materiale tende a rompersi sia per fatica che per raggiunto limite di rottura
alla sollecitazione di flessione e taglio.

524
A dimostrazione di quanto sia complesso sotto una certa misura scendere
anche di solo un centesimo di millimetro (0,01 mm), abbiamo ridotto la
lunghezza ad 1 mm e abbiamo tornito fino al limite di rottura.

525
Dai rilievi si comprende come, malgrado si sia dimezzata la lunghezza, si
sia potuti scendere solo fino a sei centesimi di millimetro (0,06 mm).
Sotto questa soglia, anche diminuendo ulteriormente la lunghezza del
perno, il limite fisico diventa la sezione resistente del perno stesso che sotto
l’azione dello sforzo di taglio, per quanto piccolo, possa essere tende a

526
rompersi.
A dimostrazione di quanto detto abbiamo eseguito le seguenti prove.

Questo è il primo risultato in cui si è raggiunto il limite di cinque centesimi


di millimetro (0,05 mm) per una lunghezza inferiore a 0,5 mm.

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Ci siamo poi spinti oltre mantenendo la stessa lunghezza e raggiungendo
così il traguardo di 4 centesimi di millimetro (0,04 mm), che riteniamo sia il
limite sotto il quale sia pressoché impossibile scendere con mezzi manuali.

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Riassumendo, come si è potuto vedere, per poter guadagnare soli quattro
centesimi di millimetro (0,04 mm) è stato necessario ridurre drasticamente
sia la lunghezza che le forze in gioco.

Questo tipo di prove può essere inoltre un ottimo esercizio per tutti coloro
che fanno uso del tornio poiché oltre ad aiutare a comprendere realmente i
limiti fisici di determinate lavorazioni, aiutano ad acquisire la giusta
sensibilità nelle lavorazioni di piccolo calibro.

3.16. La Fresatrice

Un’altra macchina indispensabile per eseguire lavorazioni di precisione è la

529
fresatrice.
Le fresatrici come i torni possono essere di varie dimensioni e tipi, in
orologeria quello che serve è una macchina versatile e precisa.

Vi sono specifiche macchine, pensate e realizzate con precisioni


elevatissime per lavorazioni di micro meccanica e adottate universalmente
per l’orologeria.
Queste sono di piccole dimensioni e dotate di molti accessori fra cui
pinze di precisione, morse di precisione, divisori universali per il taglio delle
ruote etc. La fresatrice è quindi uno strumento che consente la realizzazione
di componenti di forma come platine, ponti, ruote dentate, pignoni, etc.

4. La revisione in pratica
Adesso che abbiamo visto quali sono gli strumenti suggeriti per poter
intraprendere una revisione, entriamo nel merito di come è composto un
orologio, quali sono le nomenclature dei vari componenti e come procedere
in modo corretto e sicuro al suo smontaggio, con l’obiettivo di individuare
eventuali problemi, risolverli e riportarlo al suo corretto funzionamento.

530
4.1. Il treno del tempo

L’orologio meccanico, sia esso carica manuale che automatico, viene spesso
visto come una macchina particolare regolata da logiche proprie.
In realtà, si tratta semplicemente di un riduttore di giri, le cui leggi
seguono quelle della meccanica razionale.

Il suo dimensionamento, il progetto dei suoi componenti, le logiche con le


quali si deve affrontare una sua eventuale riparazione sono le stesse che si
potrebbero adottare per la riparazione di un cambio di un’automobile, ma
con qualche accortezza in più per via delle dimensioni sensibilmente ridotte
dei suoi componenti.
Partendo da queste considerazioni, possiamo prima di tutto stabilire due
regole fondamentali che ci aiuteranno sia a comprendere meglio il
funzionamento dell’orologio, sia nella ricerca di eventuali anomalie di
natura meccanica.

Prima regola:
Il valore della potenza in un sistema meccanico composto da una serie di

531
ruote non cambia mai, quello che si modifica è il numero di giri e la coppia
motrice.

Seconda regola:
Il valore della potenza applicata in ingresso ad un sistema meccanico
composto da una serie di ruote è uguale a quello in uscita ridotto solo dal
rendimento del sistema. La prima regola è fondamentale per comprendere
l’andamento delle forze all’interno del treno di ruote dell’orologio e può
essere scritta come

P = Mt ω

dove

P = Potenza
Mt = Coppia motrice
ω = Velocità angolare
n = Numero di giri

Queste relazioni ci servono a comprendere il motivo per cui il bariletto


sviluppa una coppia notevolmente più elevata della ruota scappamento e
giustificano inoltre il motivo per cui il bariletto gira molto più lentamente
della ruota scappamento.
Il valore della potenza in gioco è sempre la stesso ed è dato dalla molla
di carica.
La seconda regola ci aiuta a comprendere il motivo per il quale, ad
esempio, un movimento potrebbe bloccarsi in assenza di una corretta
lubrificazione, perché anche se il valore della potenza non cambia,
cambiano le coppie sviluppate dalle varie ruote ed è intuitivo comprendere
che se il valore della coppia tende a divenire piccolo, sarà altrettanto facile
riuscire a bloccarne la rotazione.
I fenomeni che possono quindi essere un ostacolo alla rotazione vengono
genericamente definiti attriti o perdite e la somma delle perdite rapportate al

532
valore della potenza iniziale ci dà il valore di rendimento del sistema.
Da quanto emerso è chiaro che tutto ciò che in qualche misura va ad
agire sulle condizioni dinamiche del treno di ruote, introduce una anomalia
che come vedremo si tradurrà in una perdita di precisione dell’ orologio e
quindi di isocronismo, fino ad arrivare al blocco del sistema.
Il treno del tempo è quindi un sistema di ruote e pignoni che, disposti
opportunamente, ingranano fra loro trasmettendo il moto rotatorio dal
bariletto allo scappamento, che nei moderni orologi, è composto dalla ruota
scappamento e dall’ancora.
L’ancora trasmette il moto sotto forma di impulso alternato al bilanciere
che svolge l’importante funzione di organo regolatore, ovvero una sorta di
divisore che, opportunamente rapportato ad un ulteriore treno di ruote
collegate alle sfere dei muniti e delle ore, ci consente di leggerne il valore.

533
Il treno di ruote, come è possibile vedere in figura, è composto dal bariletto,
dalla seconda ruota o ruota centro, dalla terza ruota o ruota media e dalla
ruota secondi.
Lo scappamento è composto dalla ruota scappamento, dall’ancora e dal
bilanciere completo di spirale.
All’interno del bariletto ha sede la molla di carica, che viene messa in
tensione quando si esegue l’operazione di carica dell’orologio agendo sulla
corona esterna. La corona è collegata all’albero di carica che a sua volta,
tramite un sistema di rinvii, trasmette il moto all’asse del bariletto caricando
quindi la molla.

4.2. Il treno di carica manuale e automatica

534
L’albero di carica o tige attraverso la ruota ad angolo accoppiata al pignone
scorrevole, trasmette il moto rotatorio di carica alla ruota a corona che a sua
volta ingrana con la ruota di carica direttamente collegata tramite l’albero
del bariletto alla molla di carica.
Il cricco svolge l’importante funzione di bloccare la rotazione contraria
della ruota di carica dovuta alla forza di svolgimento della molla.
Negli orologi a ricarica automatica collegata alla ruota di carica vi è un
sistema di ricarica autonomo costituito da una massa rotante detta massa
oscillante m la quale è collegata a due particolari ruote dette invertitori I che
consentono la rotazione della massa in entrambi i sensi, trasmettendo il
moto rotatorio tramite un sistema di rinvii al rocchetto che essendo collegato
all’albero del bariletto ricarica la molla motrice.
Gli invertitori svolgerebbero la funzione di svincolare la massa oscillante
nel momento in cui la carica venisse trasmessa manualmente tramite l’abero
di carica.

4.3. Il treno della rimessa all’ora

Per la rimessa all’ora si agisce sempre sull’albero di carica f estraendolo


parzialmente.

535
Grazie ad un particolare sistema di selezione, il pignone scorrevole a si
allontana svincolandosi dalla ruota ad angolo per ingranare con le ruote di
rinvio m portando il moto alle ruote della minuteria, ruota di rinvio b
collegata con la ruota ore d posta sul pignone calzante h.
Le sfere delle ore e dei minuti sono calettate rispettivamente sulla ruota
ore e sul pignone calzante.
Lo spostamento del pignone scorrevole mediante l’estrazione dell’albero
di carica è reso possibile da un sistema di leve.
L’albero di carica è tenuto in sede dal tiretto e che potendo ruotare
intorno alla sua vite permette all’albero di carica di essere estratto.
Il tiretto ruotando si appoggia sulla bascula c facendola spostare insieme
al rocchetto scorrevole nel quale ha sede.
Il copri-bascula x svolge la funzione di tenere in posizione il tiretto e fa
da guida alla bascula evitando che si sollevi.

536
5. Analisi preliminare
Tutti gli orologi al cui interno sia presente una parte meccanica in
movimento sono soggetti ad usura dovuta agli attriti che si generano fra i
componenti in movimento.
Le usure non possono essere eliminate, ma si possono ridurre in modo
significativo con la lubrificazione che ha da sempre rappresentato un
problema molto importante ed è ancora in fase di sviluppo ai nostri giorni.
Si è potuto statisticamente stabilire che la vita media di un moderno
lubrificante, prima che questo perda le sue caratteristiche chimico-fisiche,
sia di circa 8-10 anni; dopo questo periodo gli organi in rotazione sono
soggetti ad un aumento elevato degli attriti talvolta aggravato dalla presenza
di lubrificante secco e contaminato da particelle metalliche che lo rendono
particolarmente abrasivo e aggressivo al punto da riuscire a consumare i
perni in un periodo molto breve, come è possibile vedere nelle due
immagini che seguono.

È chiaro che situazioni di questo tipo portano a scompensi più o meno


significativi al normale funzionamento di un orologio.
Fatta questa premessa, per comprendere in via preliminare lo stato di
conservazione e di funzionamento di un orologio si devono eseguire due
verifiche fondamentali:
1. Analisi visiva dello stato del movimento e dei lubrificanti.
2. Analisi strumentale da eseguire con il cronocomparatore.

537
5.1. Analisi visiva

L’analisi visiva deve riguardare lo stato generale del movimento, verificare


eventuali rotture e anomalie. È inoltre necessario prestare la massima
attenzione allo stato dei lubrificanti.
I punti critici in cui l’assenza di lubrificante può essere identificata con
facilità, sono in genere i castoni dotati di contro pietra come quello del
bilanciere: in pratica sono una finestra attraverso la quale è possibile vedere
in modo inequivocabile la presenza di olio.
Se il castone è correttamente lubrificato potremo rilevare una superficie
circolare posta al centro del castone con trasparenza differente rispetto al
resto (vedi foto).

L’assenza di questo significa che il castone è privo di lubrificante e quindi


presumibilmente anche tutto il resto del movimento, con l’aggravante che le
parti maggiormente sollecitate come le prime ruote possono risentire in
modo molto significativo di usure per mancanza di lubrificazione, in quanto
soggette a spinte radiali di valore elevato.
Un altro parametro molto importante è rappresentato dalla presenza di
polvere bianca o marrone in prossimità delle boccole o sul movimento.
Questi residui sono spesso lubrificanti ormai esausti che tendono a
polverizzarsi; se troviamo polveri marroni, siamo in presenza di particelle
metalliche ossidate che si depositano nei pressi della superficie usurata.

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Movimento Rolex

Perno di massa Rolex

5.2. Analisi strumentale

L’analisi strumentale si deve eseguire al cronocomparatore, uno strumento


in grado di calcolare la marcia istantanea di un orologio.
La marcia istantanea può essere determinata con precisione e utilizzata
per analizzare il suo comportamento in intervalli di tempo molto ristretti e
generalmente inferiori al minuto.

539
Il primo apparecchio studiato per questo scopo è stato quello di Thomas e
Gibbs apparso in Svizzera nel 1937.
M. Fritz Marti costruì poi una nuova macchina, sempre di fabbricazione
svizzera, sfruttando il principio di quella di Thomas, ma con numerose
innovazioni e migliorie.
L’apparecchio era sostanzialmente composto da un sensore costituito da
un cristallo piezoelettrico, un apparecchio indicatore e un microfono e
permetteva la verifica rapida dell’isocronismo e la possibilità di ottenere una
regolazione precisa in minor tempo.
I moderni cronocomparatori sono ormai completamente elettronici e
restituiscono un tracciato su schermi monocromatici o a colori e dal
tracciato che ne risulta è già possibile stabilire a priori se vi sono problemi
riconducibili anche a parti non ispezionabili a vista come vedremo nel
capitolo successivo.
Quello che segue è un estratto di un vecchio manuale d’uso che però
rende molto bene l’idea e spiega in modo chiaro e sintetico le varie tipologie
di tracciati ottenibili anche con i moderni cronocomparatori.

540
Il cronocomparatore ci fornisce alcuni parametri importanti ai fini della
determinazione dello stato dell’orologio, che sono:
1. Il rate, ovvero la scarto in secondi al giorno.
2. Amplitude o ampiezza di oscillazione del bilanciere.
3. Il beat error.
4. Lift angle o angolo di levata.

541
5. Beat number o alternanze/ora.

1) Il rate rappresenta la marcia dell’orologio che può essere tendente a zero,


negativa quando l’orologio ritarda o positiva quando anticipa.
Il valore letto durante le verifiche preliminari può già essere indice di un
problema di lubrificazione nel momento in cui vi sia uno scarto giornaliero
elevato.
Questo scarto dipende poi dal tipo di orologio, dall’epoca di costruzione
e dalle condizioni generali, ma di massima non dovrebbe essere superiore ai
10 sec/day.

2) L’amplitude o ampiezza di oscillazione è forse il parametro più


importante fra quelli che possiamo ottenere dalla lettura ed è il primo
indicatore dello stato del movimento e cambia in base alla posizione
dell’orologio.
Nelle posizioni orizzontali non dovrà mai essere inferiore ai 240/260° per
poi scendere nelle verticali di circa 30/40°.
Ampiezze inferiori sono indice di un problema energetico che può
dipendere da molteplici fattori, tra cui scarsa lubrificazione, molla snervata,
problemi ai perni e alle ruote.
L’ampiezza è svincolata dal valore del rate che potrebbe anche essere
perfetto, quindi non lasciamoci trarre in inganno.

3) Il beat error o errore di battuta rappresenta l’errore di posizione che

542
assume il bottone del disco rispetto alla forchetta in condizione di riposo
come vedremo nei prossimi capitoli.
Questo valore dovrebbe essere portato quanto più vicino possibile allo
zero e graficamente viene rappresentato dallo sdoppiamento della linea del
grafico.

4) Il Lift angle o angolo di levata è un valore tipico riferito all’ancora e può


variare da un orologio all’altro in base a come è stato progettato: per gli
orologi moderni generalmente il valore è 52° ma ci possono essere delle
eccezioni. L’impostazione del valore dell’angolo di levata sul
cronocomparatore serve alla macchina per calcolare il corretto valore di
ampiezza al momento della lettura; infatti facendo variare arbitrariamente
questo parametro si ottengono valori di amplitudine maggiori aumentando il
valore rispetto a quello reale o minori diminuendolo.

5) Le alternanze/ora o beat number vengono rilevate automaticamente o


possono essere inserite manualmente.
Sono tipiche del calibro e quindi derivano dal tipo di bilanciere e spirale
adottato a livello di progetto.
Possono variare normalmente da un valore di 18.000 ad un massimo di
36.000 A/h.
Quando si testa un movimento è sempre importante conoscere a priori il
valore delle alternanze del movimento in analisi, poiché indicazioni diverse
rese dallo strumento, sono certamente indice di problemi o di natura
meccanica o di rilievo da parte del microfono che ne falsa il valore.

6. Smontaggio
Lo smontaggio dell’orologio richiede particolare attenzione e molta pratica,
le possibilità di commettere degli errori che possono rivelarsi disastrosi sono
elevate ed inoltre l’esperienza e la conoscenza dei vari calibri aiuta
nell’individuazione immediata di eventuali criticità che possono presentarsi
durante questa fase.
Vi sono però alcuni punti fermi che costituiscono una procedura per
smontare un movimento in tutta sicurezza, primo fra tutti scongiurare
l’azione distruttiva dell’energia immagazzinata dalla molla di carica.

543
Vediamo di seguito a grandi linee quali sono i passaggi principali e quali
devono essere i controlli da effettuare.
La prima operazione da eseguire è sempre quella di scaricare l’orologio e
accertarsi che la molla di carica si sia realmente disarmata.
Ci sono casi in cui, a causa di problemi di lubrificazione, i perni possono
grippare e la molla rimanere carica e scaricarsi improvvisamente durante
l’apertura delle platine.

Per scaricare la molla si deve agire sul cricco di carica che blocca la ruota di
carica e si opera nel seguente modo: si tiene con due dita la corona di carica
facendole fare una piccola rotazione nel senso di carica fino a liberare il
cricco e contemporaneamente con un piccolo cacciavite o col la pinzetta
faremo in modo di allontanare il cricco di carica rendendola libera di
ruotare.
A questo punto, facendo molta attenzione a non farsela sfuggire, si
allenterà leggermente la presa sulla corona permettendole di ruotare
lentamente fra le dita fino a quando non si sarà esaurita la carica.

544
Una volta certi che la molla di carica sia stata disarmata si procede come
segue.

- Estrazione del movimento dalla cassa


Questa operazione di massima prevede la rimozione delle bride ferma
movimento e la rimozione della lunetta reggi vetro.
Le varianti possono essere diverse in funzione della logica costruttiva
dell’orologio in esame.

- Rimozione di sfere e quadrante

La rimozione delle sfere è una delle operazioni alle quali di deve prestare la
massima attenzione in quanto, trovandoci a contatto con il quadrante, ogni
errore potrebbe portare ad avere danni gravi al quadrante stesso.
La rimozione delle sfere in genere si esegue utilizzando l’apposito leva
sfere pensato e realizzato per questa operazione in abbinamento al tappetino
protettivo. Con il leva sfere, dopo averle allineate a ore 12, si rimuovono le
sfere partendo da quella dei secondi, sia questa centrale o a ore 6 e nel caso
di cronografi si tolgono tutti gli sferini dei vari contatori.
Successivamente si passa all’estrazione della sfera dei minuti, delle ore e
altre sempre in successione come ad esempio nel caso dei GMT.
Le sfere dovranno sempre essere riposte in un luogo sicuro e nel caso

545
degli sferini dei cronografi si dovrà sempre avere l’accortezza di riporli in
modo che possano poi essere rimontati nella stessa posizione di partenza.
Questo perché talvolta le tolleranze di accoppiamento fra sferini e
relativo albero possono variare.

- Rimozione del disco data

Per la rimozione del disco data si devono togliere tutti i ponti che tengono in
posizione il disco data e i relativi rotismi, fra cui le ruote della minuteria, il
rocchetto calzante e le leve preposte allo scatto rapido.
Il rocchetto calzante, essendo montato per interferenza, deve essere
estratto facendo attenzione a non flettere l’albero durante l’operazione e per
questa ragione, per lavorare in sicurezza è possibile utilizzare ancora il leva
sfere oppure dotarsi dello strumento simile ma dedicato proprio a questo
lavoro.
È molto importante quando si esegue questa operazione prestare

546
attenzione alla rimozione delle mollettine a filo che tengono in tensione le
varie leve e che, essendo spesso solo appoggiate, possono saltare ed essere
perse facilmente.
In ultimo si rimuovono il copri bascula, la bascula, le ruote di rinvio, la
ruota ad angolo, il pignone calzante e tutti gli eventuali rotismi presenti sulla
platina lato quadrante.

- Rimozione della massa oscillante e del ponte dell’automatico

Per rimuovere la massa oscillante in genere è sufficiente svitare la vite che


la tiene o in alcuni casi agire sulla leva di sblocco, ogni calibro ha un suo
ben preciso sistema di tenuta.
Si passa poi, alla rimozione del ponte dell’automatico.
Questa operazione potrebbe rendersi necessaria in alcuni casi, prima
della rimozione del bilanciere, dipende dalla conformazione del calibro.
Il ponte dell’automatico comprende gli invertitori e i relativi rotismi di
rinvio e accoppiamento con la massa oscillante.

- Rimozione del ponte del bilanciere e dell’ancora

547
La rimozione del ponte completo di bilanciere è una delle operazioni di
maggior importanza per la messa in sicurezza di questo delicato
componente.
Durante il sollevamento del ponte e il suo spostamento si deve prestare la
massima attenzione a non stirare o piegare la spirale o rompere i delicati e
fragili perni.
Quando lo si ripone, si deve avere l’accortezza di appoggiarlo in modo
che il bilanciere rimanga rivolto verso l’alto.
Dopo aver tolto il bilanciere si deve rimuovere l’ultimo vincolo alla
rotazione del treno del tempo che è rappresentato dall’ancora.
Tolta l’ancora sarebbe buona norma far girare la ruota scappamento in
modo da verificarne l’effettivo grado di libertà e scongiurare eventuali
residui di carica dovuti ad impuntamenti dei rotismi.

- Rimozione della ruota di carica e del ponte del bariletto

548
La rimozione della ruota di carica serve a prevenire che eventuali residui di
carica possano danneggiare le ruote nel momento in cui si andrà a rimuovere
la platina superiore.
È sempre molto importante accertarsi che la molla sia davvero
completamente scarica adottando tutti i sistemi che ci consentano di isolare
il bariletto dal resto del movimento.

- Rimozione del ponte del treno del tempo, delle ruote e del bariletto

Dopo aver tolto le viti, si deve sollevare con attenzione il ponte, facendo
leva con un cacciavite fra la platina e il ponte stesso in prossimità delle

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piccole fessure appositamente pensate per questa operazione.
La cosa importante a cui dovremo prestare attenzione è di non sollevare
solo da un lato forzando così la posizione delle ruote con il rischio concreto
di romperne i perni. Tolto il ponte sarà quindi possibile rimuovere tutte le
ruote del treno del tempo mettendole in una posizione sicura.
Una delle ultime operazioni è quella di rimozione del bariletto e relativi
rotismi di carica e rinvio.
Tolto il ponte si può estrarre il bariletto.
Il bariletto contenente la molla di carica dovrà essere sempre aperto ed è
sempre consigliabile estrarre la molla per poi sostituirla dopo il suo
lavaggio.

Le palette dell’ancora dovranno essere pulite con molta accuratezza per


rimuovere i residui di olio secco.
Negli orologi più vecchi le palette erano fissate con la gommalacca che è
solubile in alcool, quindi prestare attenzione nel caso in cui si dovesse
adottare come liquido di lavaggio.

550
7. Pulizia e lavaggio
Il lavaggio dei componenti è un’operazione di estrema importanza e deve
essere eseguito in modo molto rigoroso e con l’ausilio di apposite macchine.
Nel corso degli anni le macchine per lavare hanno subito diverse
evoluzioni automatizzandosi, ma il concetto di base è rimasto comunque
immutato.
I pezzi vengono riposti in appositi cestelli per essere immersi nel liquido
di lavaggio, dove verranno centrifugati.
Vi sono poi macchine ad immersione senza centrifuga a rilascio di
ultrasuoni e altre che combinano entrambe le tecnologie.
I liquidi di lavaggio sono pensati specificatamente per l’orologeria e la
pendoleria e di massima sono a base di ammoniaca.
Il lavaggio viene seguito poi da un’attenta analisi di tutti i rubini e le
boccole per verificare che non vi siano rimasti residui di oli secchi e nel
caso si procede con l’asportazione meccanica passando un bastoncino di
bosso opportunamente ridotto di diametro.

8. Assemblaggio e controlli
Terminato il lavaggio si procede con la fase più importante della revisione
che consiste nel controllo accurato di tutti i pezzi e in modo particolare dei
perni delle ruote che come abbiamo visto sono quelli maggiormente soggetti

551
ad usura. Una volta accertato che tutto sia in ordine, è possibile procedere al
montaggio di tutti i componenti, e anche in questo caso, per quanto non vi
siano delle regole precise, si segue sempre un certo ordine:
• Montare bariletto completo di molla.
• Pignone scorrevole e ruota ad angolo con bascula, etc.
• Rotismi e relativo ponte.
• Ponte del bariletto.
• Ruota di carica.
• Tige.

Le pareti del bariletto, nel caso in cui si trattasse di un orologio automatico,


dovranno essere lubrificate con grasso opportuno, come anche le superfici di
appoggio della molla e le boccole dell’albero del bariletto.

Non si deve mai esagerare con la quantità di lubrificante, basta depositare


delle piccole strisce sul fondo del bariletto e sulla superficie superiore della
molla.

552
Bisogna poi ricordarsi di lubrificare sempre le boccole del bariletto dove
alloggia l’albero di carica.
Assemblato quindi il treno di ingranaggi, si devono eseguire i controlli
relativi ai giochi assiali e radiali di tutte le ruote per poi testare il grado di
libertà del rotismo dando un giro di carica.
I giochi assiali si possono stabilire secondo l’esperienza muovendo le
ruote verticalmente e accertandosi che vi sia la possibilità di farle spostare,
essendo lo spostamento apprezzabile, si può considerare una tolleranza di
circa 0,030/0,050 mm; non dovranno mai risultare bloccate fra platina e
ponte, mentre per quanto riguarda il gioco radiale di massima si considera
una tolleranza di circa 0,015/0,020 mm.

La ruota scappamento, ovvero l’ultima ruota del treno del tempo, dando un
minimo di carica dovrà iniziare a ruotare quasi immediatamente e invertire
il suo senso di rotazione prima di arrestarsi.
Se questo non dovesse accadere, potrebbe significare che è presente un
problema da qualche parte, che introduce un eccessivo attrito tale da opporsi
allo scorrimento delle ruote.
In questo caso, prima di procedere nel lavoro, si dovrà cercare e risolvere
il problema, altrimenti l’orologio potrebbe funzionare male e presentare un
andamento irregolare.
Quando si ha la certezza che tutto sia in condizioni di funzionamento
ottimale, si può procedere con la lubrificazione dei rubini e delle boccole,
dando un giro di carica per far scorrere il treno di ruote e favorire la
distribuzione dell’olio fresco sulle pareti dei fori.

553
L’olio deve essere circoscritto al solo contenitore e mai sbordare oltre i
limiti.

Eseguita questa operazione è possibile passare al montaggio dell’ancora che


prevede l’operazione preliminare di lubrificazione delle palette con apposito
lubrificante.
La lubrificazione delle palette è molto importante e richiede particolare
attenzione in quanto la quantità d’olio che andremo a depositare dovrà
essere minima e seguire la stessa logica che vedremo a breve per le contro-
pietre, ovvero dovremo fare in modo che la goccia rimanga all’interno della
superficie della paletta senza sbordare.
Come ultimo passaggio potremo rimontare il bilanciere e relativo ponte e
procedere alla lubrificazione dei castoni.

554
9. Lubrificazione e controlli
Le palette dell’ancora come abbiamo detto dovranno essere lubrificate con
olio apposito prima del montaggio della stessa sul movimento in modo che
il lubrificante rimanga solo sulla paletta senza sbordare.
Vi sono prodotti specifici che rendono le superfici da lubrificare
particolarmente ricettive nei confronti del lubrificante stesso, con il risultato
di polarizzarlo in una determinata area senza che questo possa spostarsi
anche durante le sollecitazioni dovute al movimento e allo strisciamento.
Questo trattamento prende il nome di Epilam ed è particolarmente indicato
per le palette dell’ancora, per le contro-pietre e per gli invertitori del sistema
di ricarica automatica.
Dopo aver montato l’ancora si passa al controllo relativo a:

1. Impegno delle palette dell’ancora

555
L’impegno delle palette dell’ancora segue la regola della terza parte della
paletta e può essere rappresentata come segue.

In pratica abbiamo

L’impegno dovrà essere il medesimo su entrambe le palette e di massima


non dovrà ne essere eccessivo, ne troppo scarso.

2. Tiraggio e cammino perduto


Il tiraggio può essere definito graficamente dall’angolo formato dalla
perpendicolare BA ripsetto al punto di riposo B posto sul raggio OB e la
retta EC passante per il fianco della paletta.

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Per via della pressione che esercita il dente sul piano di riposo della paletta e
in funzione dell’inclinazione della paletta stessa, la forchetta viene spinta
contro la spinetta di limitazione fin tanto che non sarà nuovamente
allontanata dal passaggio del bottone del disco.
La forza necessaria a vincere la spinta T è detta tiraggio.
L’angolo BOE di 5° è definito come angolo di impegno totale, mentre
l’angolo ABC è l’angolo di tiraggio che vale 13/15° per la leva di entrata e
15° per la leva di uscita.
Il cammino perduto è il percorso che l’ancora compie dopo la caduta e
che termina quando la forchetta tocca la spinetta.
Un modo semplice per verificare se vi è tiraggio e quindi il cammino
perduto, consiste, dopo aver armato leggermente la molla, nello spingere

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leggermente lo stelo della forchetta con le pinzette verso il centro e quindi
liberare.
Se esiste tiraggio, la forchetta deve tornare con decisione ad appoggiarsi
sulla spinetta di limitazione.
Si controlla il cammino perduto su tutta la dentatura: prima sulla levata di
entrata e poi ugualmente su quella di uscita poichè vi può essere tiraggio in
entrata ma non in uscita o viceversa.
Ultimato anche questo controllo si può procedere con la lubrificazione
del treno del tempo.
Particolare attenzione deve essere posta nella lubrificazione delle contro-
pietre, in genere presenti sui castoni del bilanciere e della ruota
scappamento, dove l’olio dovrà essere depositato in goccia e rimanere al
centro di essa senza sbordare. Per prima cosa si deve sollevare la mollettina
che tiene in posizione la contro pietra, rimuoverla dal castone e depositare il
lubrificante.

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La lubrificazione delle boccole o dei rubini si esegue con appositi oliatori ad
ago, capaci di prelevare piccole quantità d’olio per rilasciarle nel punto
desiderato. Questa operazione deve essere eseguita con massima cura

559
evitando di sporcare i bordi esterni delle boccole o rubini e facendo
attenzione a non esagerare con la quantità d’olio, che dovrà essere tale da
riempire solamente l’intercapedine fra perno e pareti del cuscinetto.

10. I lubrificanti
La lubrificazione riveste un ruolo fondamentale per la buona riuscita della
revisione oltre a garantire il corretto funzionamento dell’orologio nel corso
degli anni. Come abbiamo avuto modo di vedere, vi sono in commercio
lubrificanti specifici pensati per essere utilizzati nei vari punti del
movimento che sono caratterizzati da viscosità e resistenza alle pressioni
specifiche differenti in base alle forze in gioco e alle coppie presenti. Si
dividono quindi in base alla loro viscosità in oli e grassi, elenco di seguito i
principali lubrificanti moderni a disposizione. Specifiche degli oli moebius
usati in orologeria:
• 8000 Olio classico per uso generico adatto per orologi da polso e tasca.

560
• 8030 Olio classico per orologi, scatole musicali e altre tipologie di
movimenti di precisione.
• 8031 Olio classico per orologi, scatole musicali e altre tipologie di
movimenti di precisione, specifico per basse temperature.
• 8040 Olio classico per orologi a cucù, piccoli orologi a torre e altre
tipologie di movimenti di precisione.
• 8043 Contiene disolfito di molibdeno che gli conferisce un colore nero,
quest’olio è indicato in casi pressioni superficiali elevate.
• 8141 Olio classico con eccellente stabilità e qualità di resistenza alle alte
pressioni. Adatto per coperchi di cuscinetti, ruote centro, alberi di carica,
pignoni scorrevoli e altre parti di meccanismi di carica.
• 8200 Grasso classico per cuscinetti a sfere e altri movimenti lenti con
ampie superfici di lubrificazione. Di colore giallo e con una consistenza
normale a 20°C. Minima temperatura di esercizio compresa fra -10°C e
-40°C. Massima temperatura di esercizio a +80°C, si trasforma in olio a
partire dai +40°C in su.
• 8201 Lubrificante speciale con disolfuro di molibdeno. Applicazioni:
come l’8200 ma generalmente utilizzato a temperatura ambiente.
• 8207 Lubrificante speciale alla grafite. Applicazioni: come l’8201 ma non
cola per via della grafite contenuta.
• 8212 Grasso per parti in alluminio.
• 8213 Grasso per assi in ottone di bariletti.
• 8217 Grasso per assi in ottone di bariletti.
• 8219 Grasso per assi di carica, viscosità più elevata del 8212 e 8213.
• 8300 Grasso classico per movimenti a carica; applicazioni: sistemi di
carica, suonerie di sveglie e orologi, adatto inoltre per perni bariletti e
parti a lento movimento con ampie superfici di contatto; massimo limite
di temperatura 80 °C ma a 50 °C cambia viscosità e diventa olio.
• 8301 Aspetto nero, contiene grafite ed è adatto per fibbie scorrevoli.
• 8302 Aspetto grigio-nero, contiene disolfito di molibdeno ed è adatto per
fibbie scorrevoli.

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• 8513 Grasso al silicone, waterproof.
• 8516 Grasso al silicone, waterproof.
• 8941 Per trattamenti di epilam atti a ridurre le tensioni superficiali degli
oli favorendone la permanenza ed evitando lo spargimento durante il
funzionamento.
• 9000 Lubrificante sintetico universale per orologi analogici e al quarzo;
adatto per materiali plastici tipo il polyacetal (Delrin®), poliammidi,
policarbonati.
• 9010 Olio sintetico per pietre e parti di regolazione in piccoli e medi
calibri e ogni altro meccanismo di precisione.
• 9014 Un mix di 70% del 9010 e 30% del 9030.
• 9015 Olio sintetico atto ridurre la frizione fra metallo e plastica nei
cuscinetti e plastica e plastica nelle frizioni scorrevoli.
• 9020 Olio sintetico per cuscinetti di piccoli calibri da usarsi al posto del
9010; adatto per situazioni dove è richiesta una buona resistenza alle alte
pressioni, per masse oscillanti e altre parti mobili in orologi automatici.
• 9024 -9026 -9027-9034 Per alte pressioni e temperature usare il 9026 con
aggiunta di Disolfito di Molibdeno, la resistenza dell’olio sulla plastica
dipende molto dalla superficie ed è quindi indicato un trattamento di
epilam.
• 9030 Olio sintetico usato in condizioni di bassa temperatura per piccoli
meccanismi; si raccomanda un trattamento di epilam prima della
lubrificazione.
• 9040 Olio sintetico indicato per orologi e strumenti di precisione adibiti a
imbarcazioni; resistente alle basse temperature ma adatto anche alle alte;
bassa viscosità, richiesto trattamento di epilam.
• 9104 SYNT-HP è adatto per ridurre attriti fra metallo e metallo in
strumenti di precisione, motori e piccoli cuscinetti.
• 941 Olio sintetico speciale indicato per la lubrificazione delle palette
dell’ancora.
• 9415 Grasso sintetico per differenti applicazioni; negli orologi meccanici

562
è usato per la lubrificazione dello scappamento, per micro meccanismi è
utilizzato per i cuscinetti in miniatura, motori passo-passo, alta frequenza,
sincroni etc.
• 9501 Grasso sintetico morbido sviluppato per risolvere problemi di
frizione generici come meccanismi di rimessa all’ora, molle, meccanismi
di calendari.
• 9504 Grasso sintetico ad alte prestazioni e stabilità; composto da una base
di grasso 9501 e sapone metallico ha una eccellente resistenza alla
pressione ed è indicato per accoppiamenti fra metalli come sistemi di
carica, calendari, cronografi.
• 1000 = 9104 SYNT-HP è adatto per ridurre attriti fra metallo e metallo in
strumenti di precisione, motori e piccoli cuscinetti MICROGLISS D-5, il
gruppo dei lubrificanti D è composto da cinque tipologie di oli di
composizione identica ma con viscosità differenti.
• D1 e D2 sono adatti alle basse temperature ma è richiesto un trattamento
preventivo di epilam.
• D3, D4 e D5 sono usati per i cuscinetti sottoposti ad alte pressioni.

Ogni costruttore mette a disposizione per ogni calibro delle schede tecniche
dove, oltre alle indicazioni di assemblaggio del calibro stesso, vengono
indicati i lubrificanti da usare, fornendo indicazioni in merito ai punti critici
che dovranno essere lubrificati.
Da ricordare che i perni dell’ancora non devono mai essere lubrificati e
questo vale universalmente per qualsiasi orologio.
L’esperienza poi porta comunque a conoscere che cosa lubrificare e con
quale tipologia di olio o grasso.
Le scelte inoltre possono variare anche sensibilmente in base al paese in
cui si opera per via delle condizioni climatiche, ad esempio in Groenlandia
serviranno lubrificanti diversi da quelli in uso in Africa.

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www.dmorologeria.com

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11. Montaggio del bilanciere e messa in battuta


L’ultimo componente da rimontare è il bilanciere completo del suo ponte.

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Per questa operazione si deve prestare particolare attenzione al corretto
posizionamento dei perni dell’asse che siano all’interno dei relativi rubini e
al bottone del plateau che cada all’interno della forchetta dell’ancora.
Quando si è certi che il bilanciere sia posizionato correttamente e che
oscilli libero, è possibile serrare la vite di tenuta del ponte.
A questo punto si può passare alla regolazione del beat error che dovrà
avere come valore da zero ad un massimo di 0,2, valori superiori sarebbero
da evitare o correggere.
La correzione del beat error si può eseguire in due modi:
1. Agendo sul pitone mobile (se disponibile).
2. Agendo sulla virola.
Il pitone mobile è presente in tutti gli orologi moderni, mentre non è
presente in quelli più vecchi; in questo caso si dovrà ruotare la virola
rispetto alla posizione del bottone del plateau, fino a che non verrà raggiunto
il valore di beat error desiderato.
Su molti volani è possibile trovare una piccola punzonatura che indica la
posizione che deve avere il pitone per far sì che lo scappamento risulti in
battuta. Un eccessivo valore di beat error porta ad avere anche una
diminuzione dell’ampiezza di oscillazione.

12. Anomalie e problemi


Quando si opera su orologi antichi, ma talvolta anche su quelli moderni, ci
si deve sempre aspettare di trovare delle anomalie di gravità variabile che
spesso richiedono interventi anche abbastanza invasivi.
Vediamo in linea generale quali possono essere quelli maggiormente
ricorrenti e come possiamo risolverli.
Gli orologi da polso sono fra quelli in cui i problemi sono maggiormente
diffusi e su cui è probabile che si debba intervenire.
Le principali problematiche che possono essere riscontrate in un orologio
da polso inerenti la parte meccanica (tralasciamo quindi la parte estetica),
possono essere le seguenti:
• Magnetizzazione.
• Rottura della molla di carica.

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• Problemi di usura ai perni delle ruote.
• Problemi di usura alle boccole dei ponti e platine.
• Problema di usura negli accoppiamenti a frizione.
• Rotture accidentali.
• Rottura dell’asse bilanciere.

12.1. Magnetizzazione

Uno dei problemi più comuni che si possono riscontrare su un orologio è la


magnetizzazione dovuta a campi magnetici che sono ormai presenti
comunemente quasi ovunque, basti pensare ad esempio al telefono cellulare.
Un orologio magnetizzato tenderà a variare la sua marcia: la parte più
sensibile è la spirale perché è composta da spire sottili, che tenderanno ad
entrare in contatto fra loro portando ad un conseguente forte anticipo nella
marcia.
Negli orologi meccanici fino a 18.000 alternanze la parte che ne risente
maggiormente è la spirale le cui spire tendono ad attaccarsi fra loro
modificando di conseguenza la marcia; in quelli con alternanze superiori la
magnetizzazione tende a frenare l’espansione della spirale causando anche
in questo caso problemi di marcia.

Questo è dovuto alla rigidità della spirale e quindi allo spessore della lamina
con cui è stata realizzata.

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Negli orologi al quarzo la magnetizzazione li porta a ritardare in quanto,
viste le deboli forze di trascinamento, bastano due componenti come ad
esempio le sfere ad essere magnetizzate e quindi ad attrarsi quando
sovrapposte per frenare l’orologio.
La magnetizzazione può essere facilmente rilevata per mezzo di una
bussola o utilizzando strumenti specifici pensati per questo scopo ed
eliminata con appositi smagnetizzatori, operazione semplice e veloce.

12.2. Rottura della molla di carica

Per quanto riguarda la sostituzione della molla di carica non vi sono grosse
difficoltà se non la necessità, nella maggior parte dei casi, di dover smontare
tutto l’orologio, ma di fatto non è poi un grosso problema in quanto
contestualmente verrà revisionato.
Se non si è certi che la vecchia molla sia quella giusta, è sempre bene
fare delle verifiche che possono inoltre aiutare a determinare la scelta
corretta anche nei casi in cui la molla trovata all’interno del bariletto sia
palesemente errata.
Le misure da prendere in caso si volesse sostituire la molla sono
sostanzialmente:
1. Diametro interno del bariletto.
2. Altezza della molla.
3. Spessore della molla.

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Nei casi pratici dove sia necessario determinare in modo veloce lo spessore
si utilizza la formula ridotta

dove K assume un valore compreso fra 20 e 28, per quasi tutti gli orologi il
valore è 26.

12.3. Problemi di usura ai perni delle ruote

L’usura dei perni delle ruote è un problema abbastanza comune in orologi


che hanno lavorato per lungo tempo in assenza di lubrificazione o con
lubrificante secco.
Il lubrificante, nel tempo, si arricchisce di particelle metalliche e si
sporca fino a seccarsi, dando origine ad una terribile pasta abrasiva nella
quale il perno, ruotando, finisce per solcarsi e consumarsi talvolta fino alla
rottura.

In presenza di questo problema si può optare con la sostituzione della ruota


completa o se le dimensioni lo permettono con il ripristino del perno
usurato; in questo caso per il riporto del nuovo perno è necessario poter

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disporre di un tornio.

Nel caso il cuscinetto fosse in rubino, vi è la possibilità di sostituirlo grazie


ad opportuni strumenti appositamente studiati per questo tipo di operazioni,
la più conosciuta è la Seitz, una piccola potenza corredata di opportuni
punzoni calibrati atti a estrarre o inserire i rubini nelle platine oltre che a
poterli spostare in altezza in modo calibrato.
Questa operazione in genere si esegue quando si deve correggere il gioco
assiale delle ruote.

Nel caso in cui vi fosse un foro ovalizzato su un ponte o sulla platina, è


possibile ripristinare il foro piazzando una boccola calibrata in bronzo o in
ottone.

570
Questa operazione deve essere eseguita con la massima precisione e solo
se lo spessore del ponte o della platina siano tali da poterlo permettere, in
modo che venga garantita una tenuta del calettamento sufficientemente
sicura.

12.4. Ripristino delle boccole ovalizzate

Quando ci si trova a dover ripristinare un foro ovalizzato, e questo è un


problema che si verifica prevalentemente nei pendoli dove le forze in gioco
sono notevolmente più elevate, si deve seguire una procedura precisa e
possibilmente dotarsi della strumentazione adatta a questo tipo di intervento.
Le ovalizzazioni dei fori influiscono sulla posizione dei perni e quindi
delle ruote e dei pignoni ad essi solidali modificandone l’ingranamento con
relativi malfunzionamenti e impuntamenti.
Spesso ad accompagnare queste usure vi sono anche quelle dei perni che
a causa di assenza di lubrificazione e di spinte irregolari tendono a
consumarsi o rigarsi insieme alla loro sede.
L’operazione di ripristino di una boccola richiede molta precisione per
non rischiare di alterare gli interassi originali.
Il controllo delle ovalizzazioni si può eseguire in due modi:
• Visivo, quindi osservando la geometria del foro.
• Empirico, inserendo la ruota nella boccola, verificandone l’inclinazione e
facendola ruotare intorno alla circonferenza del foro stesso.

Se il foro non presenta irregolarità il cerchio descritto sarà uniforme, in


presenza di irregolarità si avrà un aumento dell’inclinazione in prossimità
del punto di maggior consumo con il risultato di avere una traiettoria
ellittica.

571
Quella che segue è una boccola ovalizzata e relativo perno allo stato in cui è
stato trovato.

Fatta questa introduzione di carattere pratico fondata sull’esperienza, rimane


da stabilire un metodo analitico che ci consenta di quantificare in modo
esatto l’ammontare del gioco radiale di una determinata boccola stabilendo
così anche un valore di tolleranza che potrà servirci come parametro di
riferimento.
Nell’immagine che segue possiamo apprezzare quello che si verifica
quando incliniamo l’asse della ruota all’interno della rispettiva boccola nel
punto di massima usura del foro.

572
Schematizzando otteniamo

573
Da cui possiamo quindi ricavare il valore del gioco λ

β = 180 − (90+ α)

B = A tan β

574
da cui

Nei casi in cui si renda necessario il ripristino del foro, tenendo presente che
nelle vecchie pendole l’ottone con il quale erano costruite le platine era di
ottima qualità e che le moderne boccole siano esse in ottone o bronzo non si
avvicinano minimamente a quel livello, si deve procedere nel riporto di una
boccola. Contestualmente si dovrà valutare lo stato di conservazione del
perno, che se dovesse risultare particolarmente usurato dovrà essere rifatto.
Dove possibile è consigliabile la ricostruzione del solo perno maggiorato
e dell’alesatura del foro esistente in modo da mantenere l’originalità del foro
ricavato nella platina, mentre nel caso in cui il perno fosse ancora in buone
condizioni si procede allargando il foro ovalizzato e impiantando una
boccola che avrà il foro calibrato sul diametro del perno.

In commercio ci sono oggi diversi assortimenti di boccole calibrate sia in


bronzo che in ottone pensate proprio per questo specifico utilizzo.
La prima operazione è quella dell’alesatura del foro ovalizzato e per
questa operazione, che dovrà essere eseguita in modo molto preciso, si può
procedere a mano per mezzo di specifici alesatori, oppure servirsi di
apposite macchine dette piazza boccole che consentono il centraggio esatto
del foro grazie ad un tastatore conico, l’alesatura calibrata per mezzo di
alesatori specifici e il successivo impianto per interferenza della boccola
come mostrato nelle immagini che seguono.

575
576
12.5. Problema di usura negli accoppiamenti a frizione

Per poter permettere la regolazione delle ore, si è studiato un accoppiamento


fra ruota centro e rocchetto calzante che avviene per frizione e che consente
la rotazione manuale delle sfere dell’orologio in caso di necessità.
Trattandosi di un accoppiamento per frizione, il rocchetto calzante è
provvisto di una piccola ribaditura che ne favorisce lo strisciamento.
Quando questo viene a mancare per usura, può capitare che l’orologio,
pur avendo al cronocomparatore tutti i parametri corretti, tenda a ritardare
anche in modo molto evidente.

Questo è un problema abbastanza ricorrente soprattutto in orologi di una


certa epoca, meno probabile su quelli moderni per via dei nuovi profili di
accoppiamento che garantiscono maggiori prestazioni.
Per risolvere il problema si esegue la lanternatura, ovvero si ripristina
con un apposito punzone o grazie a pinze dedicate la ribaditura necessaria
ad una frizione corretta.

12.6. Rotture accidentali

Le rotture accidentali possono riguardare tutti i componenti dell’orologio, e


fra queste una di quelle ricorrenti dovuta ad urto (oltre ai perni), è la rottura
dell’albero di carica detto anche tige o la rottura dei denti delle ruote.

577
12.7. Ricostruzione dell’albero di carica (tige)

In questo caso si può operare andando a sostituire l’intero albero di carica


con uno nuovo oppure si può optare per la sua ricostruzione integrale con
l’ausilio del tornio.
Per la realizzazione del tige è bene utilizzare acciaio rinvenuto al blu, o
da costruzione ad alto tenore di carbonio C50, da lavorare con utensili al
carburo di tungsteno e lime diamantate.
Come prima fase si eseguono le torniture di base e si verifica che le
lunghezze siano quelle corrette.

Come seconda fase, con l’ausilio di un divisore e una lima diamantata si


creano i piani della sezione quadra.

Verificato che il quadro sia della misura corretta, si procede con la verifica
del quadro, che dovrà calzare perfettamente sul pignone scorrevole senza
giochi e senza eccessivo attrito.

578
Dopo aver verificato il corretto funzionamento è possibile realizzare la cava
per la vite del tiretto, portare a misura e filettare l’albero sul quale andrà
avvitata la corona.

12.8. Rottura dell’asse bilanciere

L’asse bilanciere è un argomento che richiede un maggior approfondimento


poiché, visto l’evolversi delle tecnologie, si è passati da bilancieri dov’era
possibile operare nella sostituzione del solo asse a quelli moderni dove
l’asse non viene più fornito e diventa obbligatorio sostituire il bilanciere
completo.
Se si sceglie di sostituire l’asse, trattandosi di una operazione delicata che
deve essere eseguita con cura e perizia, ci si dovrà munire degli strumenti
necessari, almeno quelli base, atti ad eseguire il lavoro in modo corretto.
La prima cosa da valutare prima di espiantare il vecchio asse, è la
disponibilità e la reperibilità di un eventuale ricambio.
Questo perchè se non fosse disponibile, è sempre consigliabile lasciare il
vecchio asse montato in quanto vi è la possibilità di riportare il solo perno
rotto salvaguardando l’integrità del volano e dell’equilibratura originale.
Trovato l’asse corretto, si procede all’espianto del vecchio tenendo bene
in considerazione che, essendo ribattuto, si dovranno seguire alcuni semplici
accorgimenti atti a non ovalizzare o allargare il foro nel quale ha sede.
Per una rimozione sicura dell’asse sono disponibili in commercio alcuni
strumenti specifici tra cui:
• La Molfres, una speciale mola elettrica che permette di tagliare l’asse
bilanciere permettendone l’estrazione.

579
• La Platax, una piccola punzoniera manuale con tasselli dedicati atti a
sostenere il volano durante l’operazione di estrazione.
• Il Tornio che permette di eliminare una parte di asse consentendo quindi
l’estrazione.
• La punzoniera classica, se usata bene, fornisce comunque buoni risultati.

In pratica quello che di deve fare è cercare di rimuovere la parte di collarino


deformato dalla ribaditura.

Con il tornio o con la Molfres è possibile rimuovere la parte dell’asse che


appoggia alla razza del volano, consentendo così l’estrazione della
rimanente parte dalla parte cilindrica non deformata, salvaguardando il più
possibile la circolarità del foro.

580
13. La regolazione e il COSC
L’operazione di regolazione è la parte più importante di tutto il lavoro di
revisione e riguarda in prima analisi la taratura dell’organo regolatore che è
costituito dal gruppo bilanciere/spirale passando per lo scappamento e il
rotismo. Nella regolazione rientrano tutte le operazioni che riguardano la
taratura della spirale, del bilanciere, l’equilibratura sia statica che dinamica
nonché la verifica finale della marcia istantanea.
Ci sono orologi che vengono definiti cronometri e che vengono certificati

581
come COSC, acronimo per Contrôle Officiel Suisse des Chronomètres, sigla
con la quale si identifica un ente di certificazione cronometrica con sede in
Svizzera.
Venne costituito nella sua forma originaria nel1973 dai cinque cantoni
che ospitano la maggior parte delle manifatture d’orologeria (Berna,
Ginevra, Neuchâtel, Soletta e Vaud) in collaborazione con la Federazione
dell’Industria Svizzera d’Orologeria.
Esso certifica la qualità dei calibri montati sugli orologi nel momento in
cui escono dai laboratori d’analisi e non in quello in cui escono dal ciclo
produttivo. Attualmente dispone di tre laboratori, con sedi a Bienne,
Ginevra e Le Locle, i primi due dei quali analizzano principalmente
movimenti realizzati da Rolex, reciprocamente per una percentuale pari
all’86% e al 96% del numero totale dei meccanismi analizzati.
Quando un movimento passa la certificazione, viene identificato con un
numero univoco e gli viene allegato il bollettino di marcia.
Nel paragrafo che segue entreremo nel dettaglio di quelli che sono i
parametri e le logiche da seguire per ottenere il massimo dell’isocronismo
da un movimento meccanico.

13.1. Analisi preliminare

La marcia di un orologio non dipende solamente dal suo organo regolatore


ma da un insieme di fattori che tendono a modificarne l’isocronismo.
Quindi prima di intervenire sul bilanciere o la spirale dovremo verificare
lo stato delle varie parti dell’orologio.
La molla di carica del bariletto dovrà essere libera e svilupparsi senza
ostacoli e senza che la sua forza abbia variazioni significative durante il suo
sviluppo.
Le ruote dentate devono ingranare correttamente, i perni devono essere
ben lucidi, i giochi corretti e le pietre in buono stato.
L’olio lubrificante deve essere fresco e di buona qualità e scelto in base
alla posizione da lubrificare, per il bariletto più viscoso, per le ruote più
fluido.
La lubrificazione deve essere eseguita in modo corretto senza esagerare
con le quantità di lubrificante per evitare dei residui si muovano verso le
ruote e i pignoni.
Infine cercare di eliminare tutta una serie di piccoli difetti che potrebbero

582
influenzare una buona regolazione e fra questi ricordiamo:
1. La minuteria che non tocchi il quadrante.
2. Le sfere che non si tocchino fra loro o tocchino il quadrante o sotto al
vetro.
3. Il gioco dei mobili che sia corretto e che non sia bloccato.
4. Che non vi sia magnetizzazione.

La magnetizzazione della spirale e dei componenti in acciaio aumenta


gravemente le perturbazioni della marcia dell’orologio e un metodo
semplice per poterlo rilevare consiste nell’uso della bussola.
Se l’ago della bussola deflette, significa che siamo in presenza di
magnetismo che dovrà essere eliminato utilizzando gli appositi
smagnetizzatori.

13.2. Il bilanciere e la spirale

L’organo regolatore di un orologio si compone di:


1. Bilanciere.
2. Spirale.

Il bilanciere è composto da un anello circolare al cui interno vi sono


generalmente due o tre bracci detti razze.
I bilancieri possono essere di tipo monometallico, realizzati in ottone,
acciaio, nichel o bronzo al glucinium con anello semplice o dotato di viti,
oppure bimetallici con viti perimetrali e realizzati accoppiando
acciaio/ottone o acciaio-nichel/ottone.

I bilancieri bimetallici hanno in genere la corona dotata di viti perimetrali e


tagliata in prossimità delle razze.

583
Le varianti e le tipologie di bilanciere sono molte e si sono caratterizzate ed
evolute con il passare del tempo fino ai giorni nostri con l’adozione di nuovi
materiali sempre meno sensibili alle deformazioni dovute alle variazioni di
temperatura e migliorando in modo sempre maggiore la precisione
costruttiva e quindi la sua equilibratura.
In passato per favorire la distribuzione delle masse in modo da
compensare gli attriti e quindi mantenere una marcia costante nelle
differenti posizioni, furono adottati dei volani con masse mobili in grado di
modificare il momento d’inerzia e la durata dell’oscillazione del bilanciere.
Questi particolari volani si possono trovare comunemente nei cronometri
da marina e in orologi le cui prestazioni cronometriche devono mantenere
standard estremamente rigorosi.

584
Associata al volano vi è la spirale che è costituita da una lamina metallica
avvolta ad elica.
Le spirali possono assumere sostanzialmente tre forme:
1. Spirale piana.
2. Spirale Breguet.
3. Spirale cilindrica.

La spirale piana è stata la prima ad essere utilizzata già a partire dal ’700
con l’avvento dei primi orologi da tasca con scappamento a verga fino ad
arrivare ai giorni nostri e assume proprio la forma di una spirale con le spire
equidistanti e poste sullo stesso piano.
La spirale Breguet è una spirale piana, ma con la particolarità di avere
l’ultima spira esterna sollevata progressivamente su un piano parallelo alle
altre spire, per poi curvare in modo brusco assumendo una piega ben precisa
secondo quanto stabilito da Philips, da cui ha preso il nome.

585
La spirale cilindrica è costituita da una lama piana avvolta ad elica
sviluppata in altezza, che dà forma proprio ad un cilindro.

Di norma la sezione della lama della spirale è più grande delle spirali piane
e di quelle Breguet, anche se molto dipende dalla qualità e dalla grandezza
della spirale.
Le spire possono avvolgersi sia verso destra che verso sinistra e questo
caratterizza la spirale che prende il nome di spirale destra o sinistra.
Le spirali possono essere realizzate in acciaio, in lega di palladium, in
bronzo, in acciaio-nichel, in elinvar, metelinvar, nivarox e isoval.
Le nuove tecnologie hanno portato alla realizzazione di spirali in silicio.
La scelta dei materiali è spesso determinata dalla qualità e

586
dall’importanza dell’orologio a cui sono destinati, negli orologi ordinari le
spirali sono sovente in acciaio non temprato.
Dal punto di vista dell’elasticità, le spirali in acciaio temprato e rinvenuto
sono le migliori.
Le spirali in bronzo o in lega di palladium, elinvar, metelinvar, nivarox
sono amagnetiche al contrario di quelle in acciaio e risentono meno delle
variazioni di temperatura mantenendo così una migliore costanza di marcia
dell’orologio. Oltre alle migliorie in termini di resistenza a campi magnetici,
attrito, leggerezza e via dicendo, il silicio apre la strada ad idee e soluzioni
totalmente nuove, grazie alle forme in cui può essere lavorato e al suo
peculiare comportamento.
La ricerca di materiali sempre più innovativi e performanti non si è mai
fermata e ad oggi si è arrivati alla produzione di spirali realizzate con
materiali innovativi come le spirali nivachron che si sono affiancate a quelle
già innovative al silicio. La spirale è fissata nella parte centrale ad un
cilindro in ottone tagliato che prende il nome di virola e può essere ancorata
a questa tramite una copiglia o semplicemente crimpata.

L’altra estremità della spirale è fissata al pitone che a sua volta è fisso sul
ponte del bilanciere e quindi la sua posizione è fissa.
Negli orologi tradizionali la prima spira della spirale attraversa
liberamente le spinette della racchetta.
Lo spostamento della racchetta e quindi delle spinette permette di
modificare la lunghezza attiva della spirale.

587
Per comprendere il moto del bilanciere, supponiamo di avere un bilanciere
completo di spirale collegata alla virola V nel punto A e al pitone C.

Supponiamo ora di far ruotare il volano attorno al suo asse di un angolo di


90°: la spirale essendo vincolata subirà una contrazione.

588
Se si rilascia il bilanciere, la tensione della spirale lo farà ritornare verso la
posizione iniziale con una certa velocità e, siccome per via dell’inerzia e
non essendoci vincoli questo non potrà bloccarsi in modo istantaneo,
proseguirà il suo percorso ancora per un certo angolo fino a tornare
nuovamente indietro finché l’energia elastica della spirale diminuendo non
farà diminuire l’ampiezza fino a fermarsi.

Negli orologi le oscillazioni sono mantenute in modo costante dallo

589
scappamento.

13.3. Isocronismo e durata dell’oscillazione

Il bilanciere e la spirale sono stati scelti come organo di regolazione di un


orologio perché le oscillazioni del bilanciere hanno tutte la stessa durata,
qualunque sia il valore dell’amplitudine.
Le oscillazioni sono quindi definite isocrone e questa proprietà è detta
isocronismo. Tuttavia non è possibile ottenere l’isocronismo delle
oscillazioni se non in determinate condizioni, il cui studio è una parte
importante della teoria della regolazione. Sia OA una razza del bilanciere a
riposo: facendolo ruotare fino alla posizione E1 e lasciandolo andare,
tenderà a ruotare fino alla posizione E2 arrestandosi e rifacendo lo stesso
percorso in senso contrario.

I punti E1, E2 sono i punti estremi dell’oscillazione, mentre A è il punto


morto o posizione di equilibrio o posizione di riposo.
L’arco AE1 è l’ampiezza dell’oscillazione.
Possiamo quindi definire alternanza la corsa del bilanciere compresa fra
E1 e E2, mentre l’oscillazione è il percorso E1AE2 e ritorno a E1.
Nei primi orologi il bilanciere compiva 18.000 alternanze l’ora (5
alternanze al secondo), tuttavia è possibile trovare altri valori di alternanza
come 14.400 dei cronometri della marina (4 alternanze al secondo), 17.280

590
degli orologi Roskopf, mentre nei piccoli orologi si potevano avere valori
come 21.600, 21.000, 20.220,19.800, 17.524 etc; con le moderne tecnologie
si è potuti arrivare anche valori di 36.000 alternanze l’ora.
Il tempo impiegato dal bilanciere a compiere una oscillazione viene
definito come durata dell’oscillazione o periodo e per orologi il cui
bilanciere compie 18.000 alternanze l’ora, vale 2/5 di secondo.
Per monitorare l’isocronismo di un organo regolatore nel passato, a
scopo dimostrativo e di studio, era possibile servirsi di una ruota di
bicicletta montata su un supporto e munita di opportuna spirale.
L’asse della ruota è orizzontale e perpendicolare ad una plancia su cui è
riportato un cerchio diviso in gradi.

Per mezzo di un cronografo è possibile misurare la durata di 10 oscillazioni.


In questo modo è possibile rilevare che per angoli di 90°, 180° e 270° la
durata delle oscillazioni non varia e rimane la stessa.
La durata dell’oscillazione dipende dal peso e dalle dimensioni del
bilanciere e dalla dimensione e dal valore di elasticità della spirale.
La capacità di una spirale di riportare un bilanciere verso la sua posizione
di equilibrio dipende dal suo momento elastico, mentre il bilanciere si
oppone al movimento per via del suo momento di inerzia.
Chiamando quindi M il momento elastico della spirale e J il momento di
inerzia del volano, possiamo scrivere

591
dove E rappresenta il modulo di elasticità della spirale in [g/mm2], e, h, L
rispettivamente lo spessore, l’altezza e la lunghezza della lama della spirale
[mm]. Il modulo di elasticità è caratteristico per ogni tipo di metallo e per
l’acciaio il suo valore è di 20.000.000 g/mm2.
Per il calcolo del momento di inerzia J del bilanciere possiamo usare la
seguente formula

dove r è il raggio di girazione del bilanciere espresso in [mm], g è la forza di


gravità che può assumere valore approssimativo di 9.810 mm/s2.
Il raggio di girazione o raggio di inerzia è rappresentato da una
circonferenza immaginaria lungo la quale sono concentrate tutte le masse
del bilanciere in modo che assumano lo stesso valore del momento di
inerzia.
Per calcolare la durata T [sec] di una oscillazione del bilanciere possiamo
utilizzare la seguente relazione

Questa formula è valida solo per un bilanciere e una spirale libera, ben
equilibrati e sui quali non agiscano forze esterne.
La formula non contiene riferimenti all’amplitudine e quindi le
oscillazioni sono da considerarsi isocrone.
Sostituendo nella formula J e M otteniamo anche

La formula indica tutti i fattori da cui dipende la durata di una oscillazione.


Per intervenire e modificarne il valore è quindi possibile far variare i
fattori P, r ed e.

592
Per aumentare la durata dell’oscillazione possiamo intervenire nei
seguenti modi:
1. Appesantire il bilanciere aumentando la massa del volano avendo
massima cura nel mantenere l’equilibratura.
Questa operazione è possibile eseguirla solo con volani dotati di viti
perimetrali, sotto le quali potremo inserire delle specifiche rondelle di
appesantimento. In tutti gli altri casi sarà solo possibile diminuire la massa
asportando del materiale.
2. Aumentare il raggio di inerzia del bilanciere.
Questa operazione è possibile eseguirla su volani dotati di viti perimetrali
che possano essere svitate, oppure agendo sulle viti di regolazione dei
moderni volani dette anche viti microstella.
3. Allungare la parte attiva della spirale agendo sulla racchetta di
regolazione.

14. Principi base della regolazione: la posa della spirale

Quando si opera su orologi d’epoca e su orologi tradizionali, può capitare di


dover sostituire il bilanciere o la spirale, magari fortemente danneggiata o
spezzata o addirittura entrambi e talvolta il problema maggiore è la
reperibilità del ricambio originale in modo particolare quando si opera su

593
orologi da tasca antichi.
Per queste ragioni, per poter procedere nel restauro o semplicemente
nella taratura del bilanciere esistente, si devono conoscere bene le regole e
le operazioni da seguire per una corretta regolazione di questi delicati
componenti.
La prima operazione della regolazione è quindi la posa della spirale, ma
prima si devono verificare le seguenti condizioni:
1. Verificare che il volano sia perfettamente in piano, che non sia ovalizzato
e sia equilibrato.
2. La spirale, associata ad un dato volano, deve avere un momento di forza
tale da garantire che la durata dell’oscillazione dell’organo regolatore sia
conforme al valore di calcolo utilizzato per il treno di ruote dell’orologio,
per gli orologi d’epoca a 18.000 alternanze vale 2/5 di secondo.
3. La spirale inoltre dovrà avere un diametro quanto più possibile uguale al
raggio di rotazione del bilanciere.

Quando si trovano spirali d’epoca, alcune di queste sono numerate, talvolta


con due numeri che esprimono la forza della spirale e la grandezza, altre
invece non riportano alcuna numerazione.
La numerazione è arbitraria e varia in funzione del tipo di spirale, per
quelle non temprate il valore crescente del momento di forza è indicato da
un numero crescente, mentre per le spirali in acciaio temprato il numero è
decrescente. Questo sistema venne poi rimpiazzato dal sistema C.G.S. dove
il numero indica il momento elastico riferito ad una spirale di 1 cm di
diametro.

Per verificare che la spirale scelta fosse quella giusta in passato si


utilizzavano specifici strumenti detti macchine di regolazione, che erano
dotati di un bilanciere campione con la possibilità di avere diversi valori di
alternanza.
Si fissava l’estremità della spirale ad una pinza e si posava il bilanciere
esattamente al centro del bilanciere campione.
Una leva permetteva di mettere in oscillazione il bilanciere campione e
nello stesso tempo si metteva in oscillazione il bilanciere in prova.
Se i due volani oscillavano sincroni le alternanze erano corrette,

594
altrimenti si agiva sulla lunghezza della spirale fino al raggiungimento del
risultato.
Spesso le spirali erano fornite prive di virola, in quanto questa era diversa
da un orologio all’altro e quindi una delle operazioni da eseguire era il
fissaggio della spirale alla virola stessa.
Questa operazione si rende necessaria anche quando ci troviamo con una
spirale danneggiata e che dobbiamo sostituire mantenendo buona la virola
esistente.

595
La spirale è fissata alla virola per mezzo di una copiglia conica di ottone.
È importante che la piega di fissaggio della spirale sia eseguita in modo
corretto, né troppo lunga, né troppo corta.

596
Inoltre per fare in modo che la spirale rimanga ancorata correttamente alla
virola, la conicità della copiglia deve essere la medesima di quella del foro
della virola.

Di notevole importanza per un corretto funzionamento dell’orologio e per


mantenere la planarità della spirale è il fatto che la lama della spirale
all’interno della virola rimanga parallela all’asse di rotazione del bilanciere
e per ottenerlo si deve prestare attenzione alla posa della copiglia conica.

597
Ultimato l’inserimento della copiglia in modo corretto e dopo essersi
accertati che la spirale sia perfettamente solidale con essa, è possibile
tagliare la copiglia a filo della virola, per poi ritoccare la prima spira in
modo da renderla perfettamente parallela alla superficie esterna della stessa:
questa operazione prende il nome di messa in piano della spirale.
Per eseguire queste operazioni in genere si utilizza un apposito perno
conico.

598
La messa in piano fine della spirale si esegue in ultimo, quando la virola è
montata sull’asse bilanciere, in quanto vi possono essere delle leggere
differenze di parallelismo fra il foro della virola e il suo perimetro esterno.
Ultimato il fissaggio della spirale alla virola, conoscendo la lunghezza
attiva della spirale determinata con lo strumento visto in precedenza, si
stabilisce (fissato quest’ultimo come il punto in cui dovrà trovarsi fra le
spinette di limitazione), la lunghezza reale della spirale che è data dalla
lunghezza attiva più la lunghezza compresa fra le spinette e il punto di
fissaggio al pitone.
Fissata la spirale al pitone sempre per mezzo di una copiglia conica in
ottone e dopo aver verificato che sia perfettamente in piano e quindi
parallela al volano, si regola la lamina della spirale in modo che questa non
tocchi una delle due spinette di limitazione (caso B), ma cada esattamente a
metà di queste (caso A).

599
Nel caso in cui si dovesse agire su di una spirale Breguet, ci si deve
accertare che questa segua la corretta piega terminale e per una regolazione
più precisa, il punto di collegamento alla virola deve seguire una particolare
curvatura, come vedremo più avanti.
Ultimata la procedura di fissaggio della spirale è possibile calettarla
sull’asse bilanciere, fissare il pitone al ponte e montarlo sulla platina.
Quando il bilanciere si trova a riposo, ovvero quando la spirale è
completamente distesa, la caviglia del plateau si deve trovare esattamente al
centro della bocca AB della forchetta dell’ancora.

600
Un metodo per trovare la posizione della virola sul bilanciere senza troppe
complicazioni consiste nel posizionare il bilanciere senza spirale sul
movimento completo di scappamento in modo che la paletta di entrata sia
impegnata su un dente della ruota scappamento (Fig. 1).
Chiamiamo A il punto del bilanciere in prossimità della vite del pitone.
Facciamo ruotare in senso opposto il bilanciere in modo che il dente della
ruota scappamento intercetti la paletta di uscita (Fig. 2).
Chiamiamo quindi B il punto in cui il bilanciere intercetta la vite del
pitone. Infine chiamiamo C il punto intermedio fra A e B.

Fig. 1

601
Fig. 2

Se posizioniamo la virola sul bilanciere in modo che la vite del pitone si


trovi esattamente di fronte al punto C, la caviglia del plateau starà a riposo
all’interno della forchetta ad eguale distanza dalle due pareti della cava della
forchetta.
Una cosa importante da non sottovalutare è la presenza di ruggine sulla
spirale, che nel caso fosse presente, ne altererebbe la corretta funzionalità.
Evitare sempre di toccare con le dita la spirale o di esporla all’umidità
anche dopo un lavaggio.

14.1. Equilibratura del bilanciere

L’isocronismo delle oscillazioni si ottiene quando la forza della spirale è la


sola ad agire sul bilanciere.
Per questa ragione il peso del bilanciere deve essere perfettamente ed
uniformemente distribuito senza che vi siano punti più pesanti o più leggeri,
in altre parole, deve essere perfettamente equilibrato rispetto al suo asse di
rotazione o centro di gravità.

602
Il centro di gravità di un corpo è definito come il punto in cui si possono
immaginare concentrate tutte le masse elementari del corpo stesso, ovvero il
punto di applicazione della risultante di tutte le forze di gravità agenti su di
esso.
Un corpo mobile il cui asse passa per il suo centro di gravità è detto in
equilibrio indifferente, ovvero è in grado di restare in tutte le posizioni in cui
potrebbe trovarsi.
Il centro di gravità di un corpo omogeneo (dove ogni sua parte è
composta dalla stessa materia) è normalmente di facile individuazione.
Il centro di gravità G di una sfera si trova esattamente nel suo centro.

In un corpo di forma cubica si troverà nel punto medio della retta AB che
collega i punti medi di due facce opposte.

603
In un cilindro si trova nel punto medio delle retta O1 O2 che congiunge i due
centri delle facce opposte.

Il bilanciere avrà il suo centro di gravità sull’asse di rotazione purché certe


condizioni siano verificate, tra cui, lo spessore dell’ottone deve essere
uguale e simmetrico e di altezza costante per tutta la circonferenza della
corona, le viti perimetrali uguali e ripartite simmetricamente rispetto al
centro del bilanciere, i due tagli della corona (se presenti) dovranno avere la

604
stessa larghezza e trovarsi opposti uno all’altro.
Ma la cosa più importante di tutte è che nel sistema oscillante composto
dal bilanciere, l’asse, il plateau, la virola e la spirale abbiano i loro
rispettivi centri di gravità coincidenti con quello dell’asse del bilanciere.
Per stabilire se il centro di gravità del bilanciere completo di plateau si
trova sul suo asse, ci si serve dello strumento per l’equilibratura.
È composto da due lame in acciaio o in rubino perfettamente dritte,
parallele, orizzontali e perfettamente lisce sulle quali si posa il bilanciere
facendo attenzione che i perni possano ruotare liberamente sulle lame;
questo è facilitato dalla possibilità di regolare la distanza esatta fra le lame
stesse.

Le lame hanno generalmente il bordo arrotondato per evitare l’usura e per


facilitare il rotolamento del perno.
La verifica la si esegue poggiando il bilanciere sulle lame e mettendole in
rotazione con un leggero soffio o con un pennellino morbido e verificando
che questo ruoti senza mai fermarsi in un stesso punto o ruoti in senso
contrario.
Se il bilanciere dovesse fermarsi sempre nella stessa posizione
significherebbe che non è in equilibrio e dovremmo limare leggermente una
o più viti perimetrali presenti nella parte di anello sottostante il piano di
appoggio.
Si procede fin tanto che non si raggiunge un risultato accettabile.
Se il bilanciere è bimetallico con anello tagliato si deve prestare
attenzione a non deformarlo o schiacciarlo durante l’operazione di
alleggerimento.

14.2. Influenza dei difetti di equilibratura del bilanciere sulla durata


dell’oscillazione

605
Quando il bilanciere non è equilibrato, il suo centro di gravità si trova
spostato rispetto all’asse di rotazione con il risultato di farlo ruotare verso il
punto di maggior peso.
Supponiamo di avere un orologio in posizione verticale: a riposo se
l’asse bilanciere non fosse perfettamente equilibrato, tenderebbe a ruotare
portandosi con la parte più pesante verso il basso.

Supponiamo che l’amplitudine del bilanciere sia inferiore ad un semi giro.


All’inizio dell’alternanza, lo squilibrio si trova in S1 e alla fine in S2.

Il peso dovuto allo squilibrio tende ad accelerare il movimento da S1 al

606
punto A e viceversa ritardarlo da A a S2.
La conseguenza di questo si traduce in un impulso prima del punto morto
e successivamente in una resistenza dopo il punto morto: queste due
situazioni portano come abbiamo visto in precedenza ad un anticipo.
Supponiamo ora di mantenere una amplitudine superiore ad un semigiro.
In questo caso la posizione dello squilibrio si trova al termine
dell’alternanza, S1 e alla fine in S2.

Si può notare chiaramente come in questo caso lo squilibrio S1 tenda a far


arrestare il movimento durante il percorso verso B, mentre accelera da B ad
A, da A a B rallenta, per accelerare nuovamente da B verso S2.
Per tanto possiamo scrivere
da S1 a B Ritardo
da B a A Anticipo
da A a B Anticipo
da B a S2 Ritardo
Nel caso di grandi oscillazioni le influenze tendono a compensarsi.
Quando l’amplitudine si attesta intorno ai 220° ovvero 5/8 di giro, il
ritardo compensa esattamente l’anticipo e la durata dell’oscillazione è la
stessa di un bilanciere equilibrato.
Quando il centro di gravità del bilanciere a riposo si trova sotto l’asse di

607
rotazione, le oscillazioni sono più rapide e l’ampiezza più ridotta.
Quando l’amplitudine è di 220°, la durata delle oscillazioni è la
medesima di quelle di un bilanciere equilibrato.
Possiamo quindi dire che sotto i 220° di amplitudine avremo un anticipo,
mentre sopra i 220° di amplitudine avremo un ritardo.
Poiché la durata delle oscillazioni varia in funzione dell’amplitudine, le
oscillazioni del bilanciere non equilibrato non saranno isocrone.
Quando il centro di gravità del bilanciere a riposo si trova sotto l’asse di
rotazione, è come se noi avessimo uno squilibrio come mostrato nella figura
che segue.

Un ragionamento analogo al precedente ci mostra che, per oscillazioni dove


l’amplitudine è minore di 180° (in una semi rotazione), avremo un ritardo da
S1 ad A e da S2 ad A.

608
Mentre per le grandi oscillazioni avremo
da S1 a B Anticipo
da B a A Ritardo
da A a B Ritardo
da B a S2 Anticipo

609
Possiamo quindi dire che
Quando il centro di gravità del bilanciere a riposo si trova sotto l’asse di
rotazione, le oscillazioni sono tanto più lente quanto l’amplitudine tende a
diminuire.
Quando l’ampiezza è di 220 ° il periodo è il medesimo di un bilanciere
equilibrato, avremo un ritardo quando l’ampiezza scende sotto i 220 ° e un
anticipo quando sarà superiore a questo valore.
Le oscillazioni non saranno più isocrone.
Nella posizione orizzontale dell’orologio il peso del bilanciere non
equilibrato non avrà alcuna influenza sulla marcia, senza quindi portare né a
ritardo né ad anticipo della marcia e senza influenzare in alcun modo la
durata delle oscillazioni.
Per quanto sopra, l’equilibratura di un bilanciere è quindi importante
per la regolazione dell’orologio nelle differenti posizioni verticali.

14.3. Equilibratura della spirale e curve terminali

Abbiamo visto nei paragrafi precedenti come equilibrare un bilanciere


completo di plateau, ora affrontiamo l’equilibratura della spirale.
Il centro di gravità di una spirale ben centrata si trova in prossimità del
suo asse di rotazione.
Durante il moto del bilanciere la spirale cambia forma e dimensione per
via delle contrazioni alle quali è sottoposta, si contrae durante una
oscillazione e si distende in quella successiva.
Supponiamo di avere una spirale piana ordinaria fissata alla virola V e al
pitone P.

Per via del movimento del bilanciere, la spirale subisce una contrazione

610
divenendo quindi più piccola di diametro, ma essendo fissata al pitone P si
sposta verso quest’ultimo seguendo la direzione VP.
Durante il periodo di distensione la spirale e il suo centro di gravità si
allontanano dal pitone P.
Quindi il centro di gravità della spirale tende a modificarsi in modo
costante. Per correggere questo difetto e assicurare uno sviluppo concentrico
della spirale, si è pensato di elevare la spira più esterna secondo una forma
ben precisa che rispetti le condizioni enunciate dall’ingegnere francese E.
Philips, (Parigi 1821 - 1889).
Questo tipo di conformazione prende il nome di curva terminale o curva
Philips e la spirale così formata prende il nome di spirale Breguet.

Esiste un gran numero di curve terminali in funzione del valore che queste
devono assumere nella pratica.
Essendo l’orologio munito di racchetta, la curva deve terminare per un
arco di cerchio concentrico all’asse al fine che lo spostamento della
racchetta non ne modifichi la curvatura.

Ogni curva è identificata da un numero che è il quoziente, moltiplicato 100,


della distanza della copiglia della racchetta rispetto al centro del bilanciere
per il raggio esterno della spirale.

611
Chiamiamo R il raggio esterno della spirale, a la distanza della copiglia dal
centro del bilanciere e possiamo scrivere

Dove N rappresenta il numero della curva terminale della spirale.


Esempi di curve maggiormente usate.

612
Per riuscire ad ottenere una curva esatta è indispensabile conoscere quale
sezione della spirale utilizzare per realizzarla.

613
Si dovranno quindi considerare la lunghezza e lo spazio angolare,
quest’ultimo espresso in gradi e occupato dall’ultima spira.
Chiamiamo questo valore angolo di sviluppo della curva.

Sia ACG una curva terminale che ha inizio in A e la copiglia in G.


Per poter realizzare questa curva si deve prendere una certa porzione
ADB dell’ultima spira la cui lunghezza sarà uguale al tratto ACG della
curva.
La spirale dovrà essere posizionata sotto ad un ponte bilanciere P di un
orologio con racchetta mobile R.
Come abbiamo visto l’ultima spira dovrà essere tale da poter scorrere fra
le spinette della racchetta per la regolazione della parte attiva della spirale
senza impuntamenti o causando deformazioni o decentramenti della spirale
durante la regolazione.
Si stabilisce il diametro che deve avere la spirale in funzione del
diametro del bilanciere e conoscendo la distanza delle spinette a e
l’escursione della racchetta, si determina il punto di massimo anticipo
rappresentato dalla retta OB.
L’angolo BOA è quindi l’angolo di sviluppo della curva.
In questo caso l’angolo è di 194°, mentre lo spazio angolare occupato
dalla curva, ovvero l’angolo AOG, è uguale a 270°.
L’arco percorso dalle spinette, disponibile per la regolazione, sarà quindi
di

614
270° - 194° = 76°

Per determinare il punto di attacco della spirale alla virola dovremo quindi
utilizzare questo angolo.
Stabilito il punto di partenza dell’ultima spira, con l’ausilio di una buona
pinzetta si dovrà realizzare il punto di salita della spira, ovvero una curva
progressiva che eleva l’ultima spira all’altezza desiderata.

Le condizioni che le curve terminali enunciate da Philips dovranno quindi


rispettare sono:
1. Il centro di gravità della curva deve trovarsi sul raggio della spirale
perpendicolare all’asse che interseca il punto di partenza della curva
stessa.
2. La distanza del centro di gravità dal centro della spirale deve essere
uguale al quadrato del raggio della spirale diviso per la lunghezza della
curva.

Sia ADB una curva terminale di lunghezza l.

615
La curva è esatta se il suo centro di gravità G si trova sul raggio OC
perpendicolare ad OA, per cui avremo

Per costruire ad esempio una curva identificata dal numero N = 65,


si traccia un cerchio con centro in O e di raggio sufficientemente grande,
assumiamo r = 40 mm.

Stabiliamo ora lo spazio angolare occupato dalla curva e che sia di 270°.
Piazziamo quindi le spinette sul raggio OG formando con OA un angolo
di 270°.

Tracciamo ora una curva approssimativa AG che non abbiamo ancora


verificato. Per fare questo tracciamo sulla curva a partire da A, dei segmenti
di dimensioni molto ridotte in modo da dividere la curva affinché ogni

616
sezione possa essere considerata come una retta.
In questo caso dividiamo per una lunghezza di 10 mm, ottenendo i punti
1, 2, 3, 4 fino al 14 finendo esattamente in G: questo è un caso, in genere
non accade. La curva è inoltre divisa in 15 elementi che sono i centri di
gravità I, II, II, IV fino a XV che cadono a metà dei due.
Dai centri di gravità si tracciano le perpendicolari secondo l’asse delle X
e delle Y ottenendo quindi 15 verticali e 15 orizzontali sulle quali andremo a
misurare le relative lunghezze.
Se la curva è esatta, la somma delle verticali situate a destra dell’asse Y è
uguale a quella delle orizzontali situate a sinistra dello stesso asse.
Inoltre la differenza delle somme delle verticali situate sopra l’asse X e
quelle situate sotto lo stesso asse è uguale a

Dove l1 rappresenta la lunghezza di un elemento della curva.


Per la curva che abbiamo disegnato abbiamo

Si deve anche tenere conto dell’ultimo elemento la cui lunghezza non è la


stessa, per questo è possibile ridurre l’orizzontale e la verticale del suo
centro di gravità in proporzione alla lunghezza.
Consideriamo ad esempio un elemento di lunghezza 3,3 mm rispetto agli
altri di 10 mm, ovvero 1/3 di quello normale; dovremo quindi introdurre nel
calcolo 1/3 per l’orizzontale e 1/3 per quello verticale del suo centro di
gravità.
Se il calcolo non portasse ad un risultato esatto, bisognerebbe
modificarlo tenendo conto dei risultati della prima verifica, per poi rifare
tutti i calcoli e le operazioni indicate.
La spirale cilindrica deve essere munita di due curve terminali, una
Breguet che prende il nome di curva esterna, mentre per le regolazioni di
precisione si adotta una seconda curva che viene chiamata curva interna o
curva di centro che è fatta come quella esterna ma che occupa il centro della
spirale a partire dal punto di attacco alla virola.

617
14.4. Influenza del gioco della spirale all’interno delle spinette di
limitazione della racchetta

Spostando la racchetta e di conseguenza le sue spinette, si modifica la durata


dell’oscillazione del bilanciere in quanto si modifica la lunghezza attiva
della spirale.
Questa lunghezza si misura dal punto di contatto della spirale con le
spinette fino al punto di attacco alla virola.

618
La spirale deve passare attraverso le spinette che dovranno essere di
forma cilindrica, parallele e perpendicolari alla racchetta.
Le spinette sono in genere realizzate in ottone o talvolta in rubino e
devono presentare una superficie liscia e ben pulita per evitare che la lama
della spirale possa grippare durante la regolazione.
Quando la spirale si trova esattamente a metà fra le due spinette, la
lunghezza attiva si trova ad essere temporaneamente aumentata producendo
un ritardo di marcia dell’orologio.
Se il ritardo si mantenesse comunque costante, sarebbe possibile
intervenire alleggerendo il peso del bilanciere, ma talvolta potrebbe essere
anche causato dall’ampiezza.
Possiamo quindi distinguere i due casi:

Primo caso - A riposo la spirale si trova esattamente in mezzo alle spinette


di limitazione

Per oscillazioni di piccola ampiezza la parte attiva della spirale va dalla


virola al pitone, in pratica è come se le spinette non vi fossero.
Tuttavia quando l’amplitudine aumenta, arriva un momento in cui la
lama della spirale si appoggia contro l’una o l’altra spinetta.
In questa circostanza la lunghezza attiva diminuisce in funzione della
durata dell’oscillazione.
Scomponiamo l’alternanza in tre parti.

619
1. Il punto E1 è dove la lama della spirale tocca la spinetta esterna, mentre
il punto B è dove la lama si stacca dalla copiglia. Durante questo
periodo la lunghezza attiva della spirale va dalla spinetta alla virola.
2. Da B a C la lama della spirale non tocca più nessuna spinetta. Durante
questo periodo la lunghezza attiva della spirale è aumentata e con essa
anche la durata dell’oscillazione.
3. Da C a E2 la lama della spirale tocca la spinetta interna e la lunghezza
attiva della spirale ritorna ad essere la stessa del periodo precedente al
punto 1.
Il ritardo introdotto durante il secondo periodo dell’alternanza diventa
maggiore quanto più l’amplitudine diminuisce.
Possiamo quindi rappresentare l’influenza del gioco della spirale fra le
spinette con il seguente diagramma.

620
Partendo dall’asse dell’amplitudine, fino al momento in cui la spirale tocca
la spinetta in G si ha un ritardo costante.
Nel momento in cui la spirale tocca la spinetta, il ritardo diminuisce
progressivamente con conseguente aumento dell’ampiezza.
La durata dell’oscillazione tende a normalizzarsi e il ritardo aumenta con
l’aumentare della distanza BC, momento in cui l’ampiezza è più bassa.
Tutti questi fenomeni saranno più marcati in funzione della lunghezza
della spirale, diventeranno infatti maggiori con il diminuire della lunghezza
della spirale. Quando la spirale a riposo non appoggia a nessuna delle due
spinette, si avrà nella marcia dell’orologio un ritardo tanto maggiore
quanto più piccola sarà l’ampiezza di oscillazione del bilanciere.

Secondo caso - A riposo la spirale tocca una delle due spinette di


limitazione
In questo caso abbiamo da considerare tre fenomeni

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1. Il periodo E1 C, dove la spirale è costantemente appoggiata alla spinetta
di limitazione esterna.
2. Il periodo CB, dove la spirale non tocca nessuna delle due spinette.
3. Il periodo B E2, dove la spirale è costantemente appoggiata alla spinetta
di limitazione interna.

Da quanto rilevato, possiamo riscontrare un ritardo durante il periodo


descritto al punto 2, mentre in un bilanciere con una oscillazione inferiore
ad AB non avremo invece nessun ritardo.
Quando l’amplitudine aumenta, il ritardo si manifesta maggiormente, ma
comincia a diminuire quando la lama della spirale entra in contatto con la
seconda spinetta C.
Possiamo rappresentare quanto appena detto come segue:

622
La durata rimane normale fino al punto H, momento in cui la spirale tocca la
spinetta.
Abbiamo quindi un ritardo che aumenta fino all’istante in cui la spirale
non tocca la seconda spinetta nel punto G.
Il ritardo a questo punto diminuisce con un conseguente aumento
dell’ampiezza, senza mai annullarsi totalmente.
Quando la spirale a riposo appoggia contro una spinetta, il gioco
produce un ritardo che raggiunge il suo massimo per un’ampiezza
corrispondente all’istante in cui la spirale tocca l’altra spinetta di
limitazione.
Se le cose sono fatte correttamente questo secondo caso non dovrebbe
mai presentarsi.
Nel caso in cui si dovesse presentare, avremmo quello che si definisce un
battito irregolare.
Per la regolazione si possono tenere in considerazione le seguenti norme:

Se un orologio ha un ritardo di marcia quando il bilanciere ha una


amplitudine bassa (per esempio nella posizione verticale oppure con molla
di carica quasi scarica) ci si deve assicurare che la spirale non abbia alcun
gioco fra le spinette di limitazione della racchetta.
Possiamo invece correggere con un leggero anticipo della marcia per le
piccole oscillazioni del bilanciere allontanando leggermente le spinette di

623
limitazione.

Il gioco della spirale fra le spinette di limitazione porta ad un difetto di


isocronismo e questa influenza dipende dall’amplitudine delle oscillazioni
del bilanciere.
Non è possibile quindi contare su una regolazione stabile per via della
diminuzione dell’ampiezza dovuta alla diminuzione della forza motrice,
causata dallo scaricarsi del bariletto e dalla variazione di viscosità dei
lubrificanti al diminuire delle temperature o per invecchiamento.
Per queste ragioni si tende ad eliminare o ridurre quanto più possibile il
gioco fra le spinette di limitazione.

14.5. Influenza della temperatura sulla marcia dell’orologio

Le variazioni di temperatura hanno una grande influenza sulla marcia


dell’orologio, andando principalmente ad incidere sull’organo regolatore e
modificando l’elasticità e le dimensioni della spirale e quelle del bilanciere.
Quando la temperatura aumenta, allo stesso tempo aumentano il diametro
del volano e la lunghezza della spirale, facendo così variare la durata
dell’oscillazione. Per contro la lama della spirale allungandosi tende ad
aumentare anche di dimensione, favorendo la diminuzione del periodo e
compensandone in parte l’aumento dovuto alla variazione della sua
elasticità, della lunghezza e delle dimensioni del volano.
Un aumento della temperatura porta un ritardo di marcia negli orologi
muniti di spirale in acciaio, da 10 a 11 secondi al giorno per ogni grado
centigrado di aumento.
Al contrario una diminuzione della temperatura porta ad un anticipo
della marcia.
Per correggere le variazioni dovute alla temperatura si è introdotto al
posto del bilanciere completamente in acciaio detto anche monometallico,
un bilanciere composto da due metalli detto appunto bimetallico tagliato,
dove l’anello è composto da due lame, una in acciaio e una in ottone poste
l’una sull’altra e dotate di un certo numero di viti in ottone disposte sul
perimetro della corona stessa. La lama in ottone è posta all’esterno
dell’anello, mentre la parte interna e le razze sono in acciaio.
I due semi-anelli della corona sono sempre simmetrici rispetto all’asse di

624
rotazione del bilanciere come anche la disposizione e il numero delle viti
perimetrali.

Quando la temperatura si alza, l’acciaio e l’ottone che compongono l’anello


si dilatano, ma l’ottone tende a dilatarsi maggiormente dell’acciaio e
siccome i due metalli sono solidali fra loro l’anello si curva verso l’interno.
Quando al contrario la temperatura diminuisce, il raggio di curvatura
dell’anello aumenta, portando un ritardo di marcia.
Le viti di compensazione poste in prossimità dei tagli si avvicinano al
centro di rotazione in modo maggiore di quelle poste in prossimità delle
razze, e hanno una maggior influenza sulla compensazione.
Per aumentare l’effetto compensativo è possibile far avvicinare una o più
paia di viti di compensazione al centro di rotazione; per ridurne l’effetto si
può, al contrario, allontanare una più coppie di viti dal centro di rotazione.
Per verificare la compensazione di un orologio lo si pone in un
congelatore.
La temperatura del congelatore si deve attestare intorno a 0° centigradi.
L’orologio viene poi collocato sotto una fonte di vapore, generalmente
dopo un periodo di assestamento a temperatura ambiente.
Se l’orologio avrà un anticipo maggiore nella condizione di
congelamento che non in quella di vapore, si può dire che la compensazione
è troppo debole.
In questo caso si rende necessario avvicinare una o più coppie di viti del
bilanciere all’asse di rotazione.
Nel caso contrario, se la compensazione dovesse risultare troppo forte si
dovrà intervenire allontanandole.

625
Il lavoro che svolge il volano ha una grande influenza sulla possibilità di
compensare l’effetto di una variazione di temperatura.
Più la sezione è ridotta, e maggiore sarà la sua sensibilità alle variazioni
di temperatura e per un dato spessore il massimo della sensibilità si ottiene
quando lo spessore dei due metalli che formano l’anello del volano è in
rapporto inverso alla radice quadra del modulo di elasticità.
Siano e1, e2 lo spessore dell’acciaio e dell’ottone ed E1, E2 il relativo
modulo di elasticità.
Il massimo della sensibilità di un volano di spessore dato è

e = e1 + e2

da cui

Il massimo della sensibilità di un volano realizzato in acciaio e ottone si


ottiene quindi dal rapporto

ovvero che lo spessore dell’acciaio è uguale a 2/5 dello spessore totale del
volano.
Nel caso in cui la regolazione delle viti non fosse sufficiente a
raggiungere un risultato accettabile, si interviene sostituendo le viti con altre
di dimensioni maggiori o inserendo sotto di esse delle apposite rondelle
calibrate di appesantimento.
Si è constatato che, una volta raggiunta una marcia corretta, ovvero
quando la marcia è la stessa alle due temperature estreme fra freddo e caldo,
la temperatura ambiente la marcia dell’orologio tenda ad essere anticipata.
Questa differenza di marcia prende il nome di errore secondario.
La variazione è in genere dai 2 ai 5 secondi per un bilanciere dotato di
volano in acciaio e ottone e tende a diminuire per bilancieri con spirale in
lega di palladium.

626
È invece quasi nullo con l’utilizzo di bilanciere Guillaume dove il volano
è composto da acciaio e nichel (42% di nichel, 58 % di ferro) e ottone.
Si è cercato di semplificare il problema della compensazione utilizzando
una spirale di metallo dove l’elasticità potesse variare in funzione dei
cambiamenti di temperatura come quelle in acciaio-nichel la cui lega è
formata dal 27% di nichel.
Il suo modulo di elasticità varia in funzione della temperatura e in più ha
la proprietà di essere refrattaria alla ruggine e avere la caratteristica di essere
insensibile ai campi magnetici.
Le prime prove vennero eseguite nel 1901 dall’Osservatorio di Neuchatel
e diedero per una spirale associata ad un volano non compensato, la
variazione di marcia dovuta ad una variazione di 1°C:
• spirale in acciaio-nichel 0.6 sec
• spirale in acciaio temprato 11.8sec
• spirale al palladium 12.8 sec
• spirale non magnetica in bronzo sbiancato 14.9 sec

La spirale in acciaio-nichel era nota anche con il nome di Spirale Paul


Perret, è morbida e ha un errore secondario di circa 15 secondi medi.
Studiando l’influenza di certi additivi come carbone, manganese, cromo,
tungsteno etc, Guillame arrivò a produrre una speciale lega chiamata elinvar
che contiene, oltre a ferro e nichel, altri leganti tra cui il più importante è il
cromo.
Le spirali in elinvar sono più elastiche delle spirali Perret e il loro errore
secondario si attesta generalmente da 1 a 2 secondi, restando per lo più al di
sotto di 1 secondo.
Siccome l’elasticità dell’elinvar risultava minore di quella dell’acciaio
temprato, si aumentò la quantità di alcuni leganti tra cui molibdeno,
vanadio, alluminio, titanio, glucinium, ottenendo la possibilità di applicare
alla lega un procedimento di indurimento strutturale utilizzato al primo
posto per la fabbricazione del duralluminio.
Questa nuova lega prese il nome di metelinvar, di nivarox, di isoval, etc.
Le spirali di compensazione in acciaio-nichel, in elinvar, in metelinvar,
in nivarox e in isoval resistono maggiormente alla corrosione e sono meno
sensibili ai campi magnetici delle spirali in acciaio.
La combinazione della spirale di compensazione con un bilanciere in

627
ottone o bronzo di glucinium (glucidur) è risultata insensibile ai campi
magnetici, tuttavia non è stata ancora trovata una spirale completamente
amagnetica.
Per le leghe complesse come l’elinvar, il metelinvar, il nivarox, e l’isoval
è difficile ottenere delle leghe che siano sempre uguali e le differenze nella
composizione si traducono in un differente coefficiente termico (variazione
di marcia per una variazione di temperatura di 1° C), per questo sono stati
stabiliti differenti gradi qualitativi:
• Qualità 1 Coefficiente termico al di sotto di 0,5 sec
• Qualità 2 Coefficiente termico compreso fra 0,5 - 2 sec
• Qualità 3 Coefficiente termico compreso fra 2 - 4 sec
• Qualità 4 Coefficiente termico compreso fra 4 - 6 sec
• Qualità 5 Coefficiente termico superiore a 6 sec

L’uso delle spirali in acciaio-nichel o in elinvar rendono superfluo l’utilizzo


di bilancieri bimetallici tagliati che sono stati sostituiti da particolari
bilancieri inventati da Paul Ditisheim dotati di lamine bimetalliche mobili
attaccate all’esterno o all’interno del volano.
Questa costruzione permette di correggere leggeri anticipi e ritardi di
marcia, il senso della correzione dipende dalla posizione dell’acciaio e
dell’ottone delle due lame rispetto al centro di rotazione del bilanciere.

628
Per la correzione di un ritardo, la lama maggiormente dilatabile viene posta
più lontana rispetto all’altra dal centro di rotazione, per correggere un
anticipo si esegue l’operazione inversa.
Il principio di funzionamento è lo stesso del bilanciere bimetallico visto
in precedenza.
Quando un orologio viene sottoposto a temperature estreme, è importante
che, riportato alla temperatura ambiente, riprenda la marcia corretta che
aveva prima dello sbalzo termico.
La ripresa della marcia dipende dalla rapidità con cui il bilanciere
deformato riprende la sua forma primitiva conservandola e la rapidità con la
quale l’elasticità della spirale riprende il suo valore normale.

14.6. Influenza degli attriti e della forza centrifuga

Fra le forze che si oppongono al movimento del bilanciere, sono importanti


gli attriti dei perni nelle sedi dei rubini o delle boccole.
L’attrito dipende dalla natura e dalla pressione della superficie di contatto
e dalle dimensioni dei perni.
Se per una determinata condizione l’attrito fosse costante, la sua
influenza sulla durata dell’oscillazione sarebbe trascurabile e il ritardo
provocato prima del punto morto sarebbe compensato dall’anticipo
realizzato dopo il passaggio della pozione di riposo.
L’attrito però non si manifesta come forza costante e dipende in gran
parte dalla rotazione del bilanciere, ovvero è legato all’amplitudine, alla
pressione dei perni contro le pietre e allo stato del lubrificante.
La pressione dei perni può variare per alcune imperfezioni dello
scappamento o delle ruote o a causa di uno sviluppo eccentrico della spirale.
L’olio lubrificante impiegato per i perni del bilanciere ha un elevato
grado di fluidità, tuttavia quando si altera con il passare del tempo, tende a
diventare più viscoso facendo aumentare quindi l’attrito.
La fluidità dell’olio è anche legata alle variazioni di temperatura che
possono farne variare lo stato.
Per i perni di un bilanciere di un orologio l’attrito è fortemente
influenzato anche dalle impurità presenti nell’olio e dalle piccole bolle
d’aria che possono formarsi.
Dal momento che non è possibile eliminare gli attriti e che il loro valore
risulta essere molto variabile, si cerca di ridurli quanto possibile adottando

629
lubrificanti molto fluidi e che non si alterino nel tempo, inoltre i perni
dell’asse dovranno essere ben temprati e perfettamente lucidi e puliti.
Nelle posizioni orizzontali dell’orologio il bilanciere è appoggiato sulle
estremità dei suoi perni, quando invece l’orologio viene posto in verticale
sono le parti cilindriche dei due perni a poggiare sulle pietre aumentando
sensibilmente l’attrito.
Nel secondo caso, l’attrito è più considerevole che nel primo e tende a far
diminuire l’amplitudine oltre i 45°, maggiori riduzioni si hanno in presenza
di perni di grande diametro.
La forza centrifuga applicata ad un volano tagliato ne aumenta il raggio e
di conseguenza la durata dell’oscillazione.
L’aumento è quindi funzione della rotazione, ovvero legato
all’amplitudine del bilanciere, e sarà maggiore per grandi oscillazioni e
provocherà un ritardo di marcia alle grandi amplitudini.
L’influenza della forza centrifuga è contraria a quella dello scappamento,
ne deriva quindi una parziale compensazione che dipende molto dal valore
dell’amplitudine del bilanciere perciò può variare da un bilanciere all’altro
in funzione del diametro del volano e del suo peso.

15. Regolazione dell’isocronismo


L’isocronismo è la proprietà fondamentale di un organo regolatore e di
uno strumento per la misura del tempo.
Si ottiene solo in condizioni di regolazione perfetta, ma vi sono fattori
che ne influenzano il risultato che non possono essere eliminati, si deve
pertanto provvedere a ridurne gli effetti quanto più possibile.
Fra le cause che portano a difetti di equilibratura del bilanciere e della
spirale che possono essere eliminati, vi è il gioco della spirale fra le spinette
della racchetta.
Dei difetti invece che non possono essere eliminati, ma limitati possiamo
ricordare, lo scappamento, gli attriti e la forza centrifuga.
Per la verifica dell’isocronismo si osserva l’orologio in posizione
orizzontale per almeno due o tre ore con la molla di carica completamente
armata.
L’amplitudine del bilanciere risulta elevata e per orologi in buono stato si
attesta intorno ai 270°.

630
Successivamente si scarica la molla in modo che l’orologio possa
marciare ancora due o tre ore e se ne osserva la marcia, in questo caso
l’amplitudine del bilanciere sarà sensibilmente diminuita.
Per una corretta comparazione delle due situazioni di marcia
dell’orologio si deve rapportare alla marcia diurna, ovvero nell’arco delle 24
ore.
Se la durata della marcia scelta è stata di 2 ore si moltiplica lo scarto per
12, in quanto 2 ore sono la dodicesima parte di 24 ore, se la marcia è di 3
ore il fattore moltiplicativo diventa 8.
Se l’isocronismo non viene raggiunto nella misura desiderata si deve
verificare l’equilibratura del bilanciere, il gioco della spirale fra le spinette
della racchetta e lo sviluppo della spirale.
Se quest’ultima non fosse concentrica, si deve intervenire modificando la
forma della curva terminale.
Una spirale senza curva terminale si sviluppa nel senso opposto alle
spinette, la curva terminale esatta assicura lo sviluppo concentrico quando il
suo centro di gravità si trova nella posizione corretta vista nei paragrafi
precedenti.
Volendo formare una curva, il centro di gravità della porzione di spirale
AB si trova più distante dal centro del bilanciere in posizione D.

631
Formando la curva si sposta il centro di gravità posizionandosi in G rispetto
al centro O della spirale.
Quando lo sviluppo viene eseguito in posizione opposta alle spinette, il
centro di gravità della spirale e la sua curva si spostano verso il centro della
spirale.
Se lo sviluppo viene eseguito dalla parte delle spinette, la curva si
allontana dal centro della spirale.
Per raggiungere un corretto isocronismo ci si deve sempre assicurare che
i fattori che inevitabilmente lo influenzano siano limitati quanto più
possibile.
Lo scappamento deve essere corretto e si deve verificare l’angolo di
ingaggio, il tiraggio sia in entrata che in uscita, l’angolo d’azione del
bilanciere, lo stato dei piani di riposo e di impulso e lo stato delle palette.
L’attrito dovrà essere ridotto quanto più possibile utilizzando un olio che
sia fluido e puro, i perni di dimensioni più piccole devono essere ben
lucidati e puliti, i rubini devono risultare netti e non ovalizzati.
Non è invece facile ridurre l’effetto della forza centrifuga che dipende
soprattutto dalla conformazione del bilanciere.
Se la costruzione dell’orologio è corretta, l’isocronismo sarà facilmente
ottenuto nella misura desiderata, le variazioni di amplitudine del bilanciere
non saranno considerevoli così anche gli effetti destabilizzanti risulteranno
attenuati.

15.1. Regolazione nelle posizioni orizzontali e verticali, variazione


dell’amplitudine del bilanciere

Se osserviamo il movimento di un bilanciere prima in posizione orizzontale


e poi in verticale, sarà facile notare una discreta diminuzione dell’ampiezza
di oscillazione.
Questa diminuzione è data soprattutto dagli attriti dei perni più grandi
quando l’orologio si trova in posizione verticale.
Queste variazioni di amplitudine sono la prima causa delle variazioni di
marcia fra la posizione orizzontale e verticale, modificando i fattori che
influenzano l’isocronismo e sono inevitabili.
Lo scappamento produce un ritardo sia in posizione orizzontale che in
verticale, mentre la forza centrifuga produce l’effetto contrario.
Sappiamo che è possibile attenuare l’influenza dello scappamento agendo

632
sulla posizione del punto di attacco della spirale alla virola.
Quindi quando si dovesse rilevare un’eccessiva differenza di marcia fra
la posizione orizzontale e verticale, si dovranno eseguire i seguenti controlli:

1. Si deve verificare che il valore dell’ampiezza fra una posizione e l’altra


non sia eccessivamente differente: se supera i 45° si dovranno controllare
i perni del bilanciere, le boccole o i rubini e le contro-pietre.
2. Se il valore dell’amplitudine rientra nella norma si dovrà verificare lo
scappamento, l’equilibratura del bilanciere e lo sviluppo della spirale, la
posizione del punto di attacco della spirale alla virola e il gioco della
lama della spirale fra le spinette di limitazione della racchetta.

Abbiamo visto come è possibile correggere un piccolo anticipo operando


esclusivamente sulla posizione delle spinette della racchetta e conosciamo
inoltre il ruolo importante che gioca la variazione di amplitudine del
bilanciere sulla marcia dell’orologio.
Queste variazioni in massima parte sono dovute all’attrito dei perni del
bilanciere.
Altri fattori che possono provocare una diminuzione dell’ampiezza sono:

1. La diminuzione della forza della molla del bariletto.


2. L’ispessimento dell’olio lubrificante.
3. Una diminuzione della temperatura.
4. Difetti nelle trasmissione della forza fra le ruote e lo scappamento.

Nella realtà, l’amplitudine del bilanciere tende a variare costantemente, la


perturbazione è principalmente dovuta all’ingranamento fra il bariletto e il
pignone della ruota centro e successivamente alla seconda ruota con il
pignone dei secondi.

633
Capitolo XVI
Impermeabilità e orologi

Tutti gli orologi hanno dei “dati di targa” forniti dal costruttore che indicano
il grado di tenuta dell’orologio in metri (m) o in atmosfere (atm), che spesso
però vengono fraintesi in quanto considerati in valore assoluto senza
pensare a come questi dati siano stati ricavati presso i laboratori delle case
costruttrici.
Dall’analisi delle tabelle appare subito immediato come si possa
fraintendere un dato che all’apparenza può dare delle garanzie certe, ovvero
quello che viene definito “water resistant” nella quale categoria rientrano
anche gli orologi impermeabili fino a 30 mt (3 atm).
Allora ci si chiede: “Com’è possibile che un orologio che può in teoria
scendere fino a 30 mt di profondità, non sia in grado di resistere ad una
semplice nuotata?”

634
Per rispondere a questo ci si deve rifare a fenomeni di carattere
puramente fisico, ovvero legati alle condizioni istantanee che si vengono a
creare in determinati momenti, come l’urto dell’orologio contro l’elemento
liquido ad esempio all’atto dell’inserimento della mano nell’acqua durante
una bracciata.
L’impatto con l’acqua crea delle pressioni localizzate notevolmente
superiori a quelle massime consentite e capaci di vincere le tenute delle
guarnizioni.
Su questo principio si basano le prove di tenuta IP di tutti gli apparecchi
stagni che vengono eseguite sfruttando la forza di determinati getti d’acqua
spruzzati direttamente sul corpo in esame.
Oltre a questo poi, vi sono fenomeni di tipo ambientale che possono in
alcuni casi modificare in modo sensibile la tenuta di un orologio stagno e
primo fra tutti è il calore prodotto ad esempio da situazioni climatiche e di
temperatura critiche.
Immaginiamo di trovarci durante il periodo estivo, a riposare sotto un
ombrellone in riva al mare o al bordo di una piscina, dove la temperatura
possa attestarsi tra 30 e i 40 gradi.
L’aria all’interno dell’orologio esposto a tale temperatura può
raggiungere tranquillamente anche 60 gradi ed oltre.
In virtù di un ben preciso fenomeno fisico, l’aria stessa per effetto del
surriscaldamento tende ad espandersi e quindi ad esercitare una determinata
pressione all’interno dell’orologio. È facile comprendere come uno sbalzo di
temperatura improvviso che crei una diminuzione repentina della
temperatura (shock termico dovuto ad esempio ad un tuffo in acqua) possa
far contrarre sempre in modo istantaneo il volume d’aria all’interno
dell’orologio con una funzione proporzionalmente inversa, creando così una
forte depressione.
Tale fenomeno tenderebbe a creare un risucchio d’aria dall’esterno volto
a ristabilire gli equilibri di pressione. Se l’orologio dovesse avere delle
perdite anche piccole insieme all’aria si avrebbero anche infiltrazioni di
umidità o acqua nel caso in cui si trovasse immerso.
A questo punto l’aria satura di umidità è entrata all’interno e una volta
stabilizzatasi la temperatura ritornerà a riscaldarsi nuovamente.
Essendo il vetro per sua natura molto più sottile della cassa e
tendenzialmente più freddo per via della sua miglior dissipazione termica, si
concentrerà su di esso il fenomeno della condensazione dell’acqua sulla sua

635
superficie interna.
Si tenga presente che in caso di infiltrazioni d’acqua e in modo
particolare quella di mare, si deve intervenire immediatamente aprendo
l’orologio per asciugare e lavare in modo corretto il movimento, pena il
deterioramento quasi immediato delle parti coinvolte.
Si evitino i rimedi “fai da te” di asciugatura ad esempio con asciuga
capelli o simili, che possono portare a gravi danni sia alle parti metalliche
dell’orologio come ad esempio la spirale, o alle vernici dei quadranti;
rivolgersi sempre ad un orologiaio.
La condizione appena descritta può portare a differenze di pressione inversa
anche notevoli e la tenuta garantita delle 3 atm può divenire insufficiente in
quanto tale prova viene eseguita in laboratorio a temperatura ambiente e
sottoponendo l’orologio ad una prova di pressione (e non di depressione
come avviene invece nel caso visto sopra), favorendo quindi un ulteriore
schiacciamento delle guarnizioni che ne migliora entro certi limiti il risultato
finale.
Per quanto sopra, il verificarsi di pressioni interne potrebbe portare ad
infiltrazioni di umidità anche in orologi dichiarati impermeabili.
Diventa quindi importante eseguire oltre alla prova in pressione anche un
test sottovuoto con opportuna macchina, il quale simula proprio la
situazione più critica che è anche più probabile che si possa verificare in
condizioni di utilizzo comune. Le situazioni critiche più frequenti
avvengono quindi in estate durante la quale sono più frequenti alte
temperature e sbalzi; e in inverno in cui risulta altrettanto pericoloso
indossare l’orologio sotto la tuta da sci o da moto: la temperatura corporea
che tende ad aumentare e la presenza di umidità dovuta alla sudorazione
creano una situazione analoga a quella estiva.
Quando l’orologio verrà portato allo scoperto per leggere l’ora, la
temperatura molto bassa dell’aria esterna rispetto a quella creatasi sotto la
tuta potrebbe portare al fenomeno fisico descritto sopra.

1. La prova di impermeabilità
Per eseguire il controllo dell’impermeabilità di un orologio si utilizzano
macchine in grado di ricreare artificialmente le condizioni fisiche, talvolta
gravose, alle quali sono sottoposti gli orologi che comunemente vengono

636
immersi in acqua, sia essa dolce o di mare.
L’infiltrazione di umidità o di acqua all’interno di un orologio immerso è
sostanzialmente dovuta alla differenza di pressione che si viene a creare fra
l’esterno e il suo interno.
Un orologio è assimilabile ad una cassa chiusa al cui interno la pressione
è pari a quella atmosferica (1 atm) che lo circonda in condizioni normali.
Se l’orologio viene immerso in acqua, questo sarà sottoposto ad una
pressione relativa che varia in funzione della profondità di immersione e che
sarà sempre maggiore di quella presente al suo interno.
Da queste considerazioni è facile comprendere che essendo la pressione
dell’acqua superiore a quella atmosferica contenuta nell’orologio, riuscirà a
vincere quest’ultima con conseguente ingresso d’acqua all’interno della
cassa.
Accanto a questo semplice fenomeno fisico vi sono le complicazioni di
tipo meccanico che comprendono tutte le strutture assemblate che
compongono la cassa dell’orologio. Oltre a essere un punto debole per la
tenuta, queste ultime vengono sollecitate dalla pressione che causa
deformazioni strutturali talvolta anche di importanza rilevante in base alla
potenza alla quale vengono sottoposte.
I principali componenti soggetti a deformazione sono in genere il vetro e
il fondello di chiusura, mentre i punti critici dove si ha una giunzione di tipo
meccanico sono la corona, i bottoni dei cronografi e i punti di collegamento
fra i vari elementi siano essi a pressione o a vite.
Tutti i punti di giunzione sono sempre dotati di opportune guarnizioni
atte a garantire la tenuta stagna fra gli accoppiamenti relativi, una sorta di
cuscinetto necessario a “colmare” le piccole differenze dimensionali o errori
di accoppiamento caratteristici di qualunque tipo di lavorazione meccanica
(tolleranze dimensionali).
I test attuabili su un orologio per verificarne l’impermeabilità possono e
essere eseguiti in due modi:
• Con macchine che creano le pressioni di immersione (test in pressione).
• Con macchine che creano una depressione per verifiche di tenuta inversa
(test sottovuoto).

1.1. Test sottovuoto

637
Come dice la parola stessa, questo test lo si esegue ponendo l’orologio in
una apposita macchina che grazie ad una pompa per il vuoto estrae l’aria
dalla camera. Sempre per il principio della differenza di pressione fra
l’atmosfera contenuta all’interno della cassa e quella esterna ad essa,
essendo quella interna maggiore, l’orologio tenderà a subire delle
deformazioni verso l’esterno, ovvero tenderà ad esplodere.
In questo tipo di prova, se l’orologio risulta stagno, le sollecitazioni alle
varie parti assemblate sono di tipo inverso rispetto a quelle in pressione e
tutti gli accoppiamenti tendono ad allontanarsi rispettivamente facendo
espandere, in alcuni casi anche parzialmente, le guarnizioni, mentre se non
fosse stagno e vi fossero delle perdite, si avrebbe una situazione di
equilibrio senza alcuna deformazione, o in caso di componenti
particolarmente flessibili anche una sorta di implosione.
Grazie a questa peculiarità il test sottovuoto è soprattutto usato per
individuare piccole perdite e parti male assemblate e corrisponde nella
pratica ad un utilizzo non estremo come invece avviene durante il nuoto o lo
snorkeling.
Per una verifica diretta dello stato di deformazione e quindi della tenuta o
meno dell’orologio le macchine sono dotate di uno strumento che ne rileva
le piccole variazioni di volume e quindi i micro spostamenti sia positivi che
negativi o nulli rilevabili su una apposita scala graduata.
Di conseguenza, i principali fattori che possono determinare il fallimento
del test in genere sono:
• Guarnizioni vecchie, difettose o sporche.
• Porosità e micro fessure sui vecchi vetri acrilici.
• Corona difettosa.
• Vetri non conformi o malamente installati.

1.2 Test in pressione

L’orologio viene posto su un sensore collegato alla macchina all’interno di


una camera che una volta chiusa potrà essere messa in pressione.
Una volta sigillato ermeticamente il contenitore, si crea la pressione
desiderata all’interno dello stesso grazie ad un compressore d’aria; questi
test normalmente non superano i 7 Bar.

638
La pressione interna al contenitore agisce uniformemente su tutta la
superficie dell’orologio.
Se l’orologio è perfettamente ermetico, essendo la pressione esterna
maggiore di quella interna, tenderà ad implodere e le parti che lo
compongono subiranno delle deformazioni che saranno funzione del loro
coefficiente di elasticità e della pressione alla quale saranno sottoposte.
In questo caso oltre alle deformazioni elastiche, si avrà anche uno
schiacciamento delle guarnizioni di tenuta che in teoria dovrebbe
migliorarne l’efficacia.
Infatti i problemi principali di infiltrazione in genere si hanno a basse
pressioni di esercizio piuttosto che a pressioni estremamente elevate, salvo
che le deformazioni elastiche non siano tali da modificare la superficie di
contatto relativa fra due giunzioni con interposta guarnizione di tenuta.
La macchina è programmata in modo da mantenere l’orologio in
pressione per un certo periodo di tempo e ne analizza le deformazioni dando
poi al temine del ciclo un esito che può essere positivo se l’orologio risulta
stagno o negativo in caso contrario.
A fronte di quanto detto, i principali fattori che possono determinare il
fallimento del test in genere sono:
• Guarnizioni vecchie, difettose o sporche.
• Porosità e micro fessure sui vecchi vetri acrilici.
• Corona difettosa.
• Vetri non conformi o malamente installati.

2. La prova di condensa
Oltre alla prova di impermeabilità esiste un ulteriore test previsto dalle case
costruttrici, che in genere non viene mai menzionato, che è quello della
condensa. Come abbiamo detto l’orologio è assimilabile ad una cassa chiusa
e piena d’aria che per sua natura contiene un determinato tasso di umidità
che può variare anche sensibilmente in funzione delle diverse condizioni
climatiche; questa infatti potrebbe essere molto secca se non quasi priva di
acqua oppure molto umida se il tasso di acqua risulta essere elevato
situazione tipica che si crea nei periodi estivi nelle grandi metropoli.
Il test viene eseguito portando l’orologio ad una temperatura di 40°C e

639
viene fatta cadere una goccia d’acqua alla temperatura di 18 °C sul vetro.
Lasciata decantare per 60 secondi viene rimossa verificando che non vi
siano segni visibili di condensa sotto al vetro.
La condensa potrebbe indicare una possibile presenza d’acqua
nell’orologio oppure che è stato assemblato in una condizione climatica
sfavorevole dove il tasso di umidità risulta essere troppo elevato.
Quanto appena affrontato potrebbe significare un possibile
appannamento del vetro in particolari condizioni di sbalzo termico, come ad
esempio un bagno in piscina o al mare se prima dell’immersione è stato
esposto al sole.
Per evitare il formarsi di condensa i parametri previsti dalle ISO (18°C)
di umidità ambientale in cui è consigliato assemblare un orologio
impermeabile sono indicati nel grafico seguente.

L’umidità relativa esprime la quantità di vapore acqueo presente nell’aria


come percentuale della quantità massima possibile alla temperatura
ambiente. Dall’interpolazione dei valori del grafico è possibile stabilire
entro quali parametri di umidità e temperatura ambiente si deve rimanere

640
perché non si verifichi condensa alla temperatura di 18°C.

Se si assembla un orologio alla temperatura ambiente di 28 °C, l’umidità


dell’aria dovrà essere mantenuta inferiore al 50% per evitare la formazione
di condensa in caso di sbalzi termici non inferiori ai 18°C, come
succederebbe se si facesse ad esempio un bagno al mare o in piscina dove
la temperatura dell’acqua in genere è intorno ai 20°C.

641
Capitolo XVII
I quadranti in ceramica e il loro restauro

Ad oggi ci sono pochissime testimonianze su come i quadranti venissero


realizzati nel ’700, forse perché si trattava di lavorazioni artigianali che
venivano per lo più tenute gelosamente segrete.
Quello che si conosce per certo è che venivano realizzati con la tecnica
della fusione partendo dal primo fuoco per creare la base bianca sul
supporto in rame, il secondo e il terzo fuoco per la grafica o la pittura delle
icone sui fondelli degli orologi.

1. Restauro a freddo
Le tecniche più comuni di restauro prevedono interventi con resine a freddo.
Queste particolari resine che possono essere di base trasparenti, colorate o

642
colorabili con ossidi, hanno il vantaggio di essere applicabili a freddo e
autolivellanti. Una volta consolidate, alcune tipologie permettono ulteriori
lavorazioni come la carteggiatura e la lucidatura.
Di contro tutte le resine hanno la tendenza ad ingiallire nel tempo e
questo potrebbe diventare uno svantaggio nel medio e lungo periodo su
orologi da esposizione. Inoltre non essendo restauri ceramici risulteranno
delicati al tatto e sensibili agli agenti atmosferici e di questo si dovrà tenerne
conto soprattutto per quadranti non protetti da vetro come quelli di alcune
pendole da tavolo o quelli che prevedevano la regolazione dell’ora agendo
direttamente sulle sfere. Tecniche simili prevedono l’uso di gessi ceramici
che vengono poi colorati con tinte acriliche per mezzo di aerografi e talvolta
coperti con vernici lucide, ma anche in questo caso l’ingiallimento nel
tempo non potrà essere evitato.

2. Eliminazione di capelli e felature


Sui quadranti ceramici spesso si formano delle sottili fratture che,
riempiendosi di polvere, tendono a divenire nere, ricordando appunto i
capelli da cui prendono il nome.
L’eliminazione di tali imperfezioni è abbastanza semplice, in quanto è
sufficiente immergere il quadrante in una soluzione detergente, meglio se si
dispone di una lavatrice ad ultrasuoni.
Il grado di pulizia ottenibile dipende dal tipo di bagno e dall’efficacia e

643
durata del lavaggio.
Il problema più grosso è poi rappresentato dal fatto che le micro crepe
rimangono e se non sigillate ritorneranno a sporcarsi ripresentando il
problema.
Uno dei sistemi più comunemente usati è quello di intervenire nel
riempimento con polveri cerose o coprendo l’intero quadrante con vernici
trasparenti che però, come già detto, hanno lo svantaggio di ingiallire nel
tempo.

3. Restauro con smalti a caldo


Un’altra tecnica di restauro dei quadranti di fatto simile a quella con resine,
è quella che prevede l’utilizzo di particolari smalti a caldo.
L’applicazione avviene a freddo e in genere tramite miscelazione di due
componenti (colore e indurente); successivamente il quadrante viene messo
in forno a temperature comprese fra i 70 e i 100 °C.
L’operazione viene ripetuta dopo aver rifatto la grafica sullo smalto
bianco già consolidato.

644
Il vantaggio degli smalti è quello di resistere meglio alle manipolazioni e
avere una miglior resistenza all’ingiallimento.

4. Restauro a fuoco
Come abbiamo visto i quadranti venivano prodotti secondo le regole, ancora
attuali, della cottura della ceramica.
Il primo deposito ceramico veniva cotto in forno a temperature intorno a
800 / 850 °C, primo fuoco, e con questo prima operazione si creava la base
ceramica su cui successivamente venivano realizzati i numeri.
Il passaggio successivo detto anche secondo fuoco prevedeva in alcuni
casi un ulteriore deposito di cristallina, un materiale vetroso trasparente che
rendeva lucida e brillante la superficie del quadrante; la temperatura di
fusione in genere si attestava fra i 700 / 750 °C.
Come ultimo passaggio detto terzo fuoco vi era la creazione della grafica,
indici e numeri con colori specifici che cuociono a temperature fra i 600 e i
700 °C. Considerando che lo smalto ceramico e la cristallina possono essere
fuse nuovamente, è possibile intervenire sui quadranti sfruttando questa
prerogativa.

645
I vantaggi di tale procedimento sono molteplici: oltre ad avere una
superficie vetrificata uguale all’originale, si ha l’eliminazione definitiva
delle crepe ottenendo un restauro definitivo in termini di resistenza sia al
tatto che agli agenti atmosferici.

Dopo il trattamento termico la cristallina si è fusa e amalgamata chiudendo


le fessure e saldando fra loro anche le piccole parti scheggiate destinate in
altro modo a staccarsi: i sistemi a freddo non sono in grado di fissare in

646
modo sicuro le parti frammentate.
Ovviamente si deve disporre di strumenti adeguati come un forno
elettrico che possa raggiungere almeno i 1000 °C, polveri vetrose e colori
specifici per la cottura.

Questa tecnica richiede particolari attenzioni sia alla preparazione delle


polveri sia ai tempi di cottura e alle temperature che dovranno essere
adeguate alla natura del quadrante, che può variare in base all’epoca e al suo
artigiano.

Il passo successivo a quello della compattazione e ricottura della cristallina

647
è quello del riempimento delle vacanze che dovrà essere eseguito scegliendo
le polveri vetrose idonee e all’occorrenza colorandole adeguatamente per
poi passare alla cottura.

648
Capitolo XVIII
Automi e carillon

1. Automi, cenni storici


Partiamo dal principio: gli antenati dei robot e dei bot contemporanei sono

649
gli automi, ovvero macchine in grado di operare in modo autonomo.
Il termine deriva dal greco automatos, ovvero “che agisce di propria
volontà”. Nell’antica Grecia gli automi erano creati come giocattoli volti ad
intrattenere, oppure idoli religiosi per impressionare i fedeli o ancora
strumenti scientifici per coadiuvare gli studiosi nella dimostrazione di una
teoria.
Il più antico automa con sembianze umane sopravvissuto fino ai giorni
nostri è datato III secolo a.C. ed è conosciuto come Servo automatico di
Philon.
La storia vuole che sia stato ideato e progettato da un anonimo ingegnere
e scrittore di Bisanzio.
La funzione del servo è versare il vino e il suo funzionamento è
meccanico: all’interno ci sono due contenitori (uno per il vino e uno per
l’acqua) collegati alla brocca tramite tubi posti nelle braccia.
La mano sinistra in cui viene posto il bicchiere da riempire è collegata ad
un sistema di leve che regola il funzionamento dell’automa.

Non dimentichiamo poi che Erone di Alessandria (matematico, ingegnere e


inventore del I secolo a.C.) ha scritto Automata, straordinario trattato in cui
illustra il funzionamento dei teatrini dotati di moto autonomo.
Ci sono poi numerosissimi esempi tratti direttamente dal mito: Dedalo
utilizzò l’argento vivo per installare una voce nelle sue statue e il dio Efesto
creò diversi automi per il suo laboratorio: Talo, un uomo artificiale di
bronzo e, secondo la versione di Esiodo, la più famosa Pandora.
Nella cultura cinese troviamo un resoconto sugli automi nel testo del
Libro del vuoto perfetto (III secolo a.C.), dove il re Mu incontra un
ingegnere meccanico chiamato Yan Shi, nel testo definito col termine
artefice.
Altre tracce antiche si ritrovano nell’VIII secolo, quando l’alchimista
islamico Jabir ibn Hayyan nel suo trattato Il libro delle pietre raccoglie
ricette per costruire serpenti, scorpioni ed esseri umani artificiali.
Nell’XI secolo invece Alī Ibn Khalaf al-Muradi scrisse il Libro dei
segreti risultanti dai pensieri, un trattato di ingegneria meccanica dedicato
alla costruzione di complessi automi.
Questi sono solo alcuni dei resoconti che si possono trovare, a riprova
dell’interesse e della curiosità che già allora accomunava gli uomini, senza
alcuna distinzione di nazionalità.

650
L’interesse per gli automi è proseguito per tutti i secoli successivi, Al-
Jazari (matematico, inventore e ingegnere meccanico, nonché il più
importante esponente di tecnologia nel mondo islamico), attorno al 1200
inventò un automa per il lavaggio delle mani utilizzando per la prima volta
il meccanismo di scarico in uso ancora oggi per la tazza delle toilette.
Persino Leonardo da Vinci progettò un automa intorno al 1495. In alcuni
appunti del Codice Atlantico (scoperti solo negli anni cinquanta del ‘900) si
trovano disegni dettagliati per un cavaliere meccanico in armatura in grado
di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella, almeno
secondo gli appunti.

Nel Rinascimento i trattati di Erone di Alessandria vennero pubblicati e


tradotti in latino e italiano e l’interesse per gli automi aumentò ancora di più.
La Francia divenne poi la patria di giocattoli meccanici nel 1649 infatti
un artigiano chiamato Camus progettò per il piccolo Luigi XIV un cocchio
meccanico in miniatura completo di cavalli, fanti e una signora nella vettura.
Questi meccanismi sarebbero poi divenuti i prototipi dei motori nella
successiva rivoluzione industriale inglese.
L’inventore francese Jacques de Vaucanson nel 1737 creò quello che è
considerato il primo automa del mondo costruito con successo, ovvero Il
suonatore di flauto. Lo stesso de Vaucanson costruì anche un’anatra
meccanica, L’anatra digeritrice, che dava l’illusione di nutrirsi e defecare.

L’automa probabilmente più conosciuto al mondo venne costruito nel 1770


da Wolfgang von Kempelen.
È noto come Il turco ed è una macchina per giocare a scacchi che
all’epoca fece il giro delle corti europee venendo spacciata per automa.
“Spacciata” perché anni dopo, nel 1857, si scoprì che in realtà aveva un
operatore all’interno.
Gli automi si diffusero anche nel Giappone del periodo Edo (1603 –
1867) col nome di Karakuri ningyō, e venivano utilizzati per servire il tè.
Tra il 1860 e il 1910 a Parigi prosperarono numerose piccole imprese
familiari di costruttori (Vichy, Roullet & Decamps, Lambert, Phalibois,
Renou e Bontems), autori degli automi collezionati ancora oggi da numerosi
appassionati.

651
Dopo le guerre mondiali

Se fino ad ora gli automi erano considerati poco più che giocattoli, dopo la
Grande Guerra cominciarono invece a essere considerati uno strumento per
aiutare l’uomo nei lavori più pesanti.
Nel 1938 gli americani Willard Pollard e Harold Roselund progettarono
per la società DeVilbiss un meccanismo programmabile che spruzzava
vernice.
Negli anni ’50 iniziano ad aumentare le ricerche sull’automazione e sulla
robotica.
Nel 1951, nell’ambito del programma per l’energia atomica, lo scienziato
Raymond Goertz progettò un braccio automatico per manovrare il materiale
radioattivo.
Otto anni dopo, Marvin Minsky e John McCarthy aprono il laboratorio di
intelligenza artificiale al MIT.
È l’inizio della contemporaneità.
Nel 1939 appare al cinema The Wizard of Oz, film tratto dal celebre
racconto di L. Frank Baum del 1900.
L’uomo di latta, uno dei protagonisti, è rappresentato nella pellicola
secondo l’iconografia tipica del robot che aveva preso piede dalla letteratura
di genere, tanto che Jack Haley, l’attore che interpretava il personaggio,
veniva ricoperto di polvere di alluminio per rendere più veritiera
l’apparenza.
E che dire dei robottoni giapponesi che hanno incantato generazioni di
bambini? Il primo del suo genere fu Mazinga Z, creato nel 1972 dalla penna
di Go Nagai.
In quanti poi si ricordano di Super Vicky, la serie tv americana andata in
onda in patria tra il 1985 e il 1989 e diventata di gran successo qui in Italia
negli anni ’90.
Vi sono poi tutte le opere letterarie di Isaac Asimov, pietra miliare sia nel
campo della fantascienza sia in quello della divulgazione scientifica.
Oltre ad aver scritto una serie di romanzi riuniti nel titolo il Ciclo dei
Robot, ha creato anche il famosissimo Io Robot (I, Robot, 1950), una
raccolta di racconti di fantascienza che affronta temi quali l’interazione fra il
genere umano e l’androide, i robot e la morale. Il libro ha ispirato il film del
2004 diretto da Alex Proyas con protagonista Will Smith.
A significare come col passare del tempo la curiosità verso l’androide

652
non sia mai andata scemando, ecco il ciclo cinematografico Terminator,
composto da cinque pellicole, prodotte tra 1984 e il 2015.

1.2. Cenni sul restauro di semplici automi

Fra gli automi più comuni che possono capitare di dover restaurare
possiamo sicuramente collocare L’uccellino in gabbia o L’uccellino nella
tabacchiera.

Sono in genere costituiti da un sistema di leve che agiscono su opportune


camme messe in rotazione da un bariletto.
Le leve sono collegate ad un soffietto a tre camere dotato di fischietto
con modulazione di frequenza che, opportunamente mosso dalle camme
attraverso le leve, simula il canto dell’uccellino.

653
Uno dei principali problemi che si possono riscontrare su questi automi,
oltre ad una possibile mancanza di lubrificazione, è la perforazione dei
mantici del soffietto a causa dell’invecchiamento del materiale con il quale è
realizzato (in genere pelle o polpa di cellulosa).

L’intervento di restauro prevede quindi, oltre allo smontaggio integrale del


meccanismo, il rifacimento dei mantici del soffietto.
La prima operazione da eseguire è il distacco e la pulizia del vecchio
mantice, facendo in modo di lasciare scoperta la sola struttura in legno.

654
Il passo successivo è quello di scegliere un materiale che possa essere
idoneo per la ricostruzione del mantice, le cui caratteristiche principali
devono essere:
• Impermeabilità all’aria.
• Spessore ridotto.
• Ottima resistenza alla fatica.
Trovato il materiale, si devono ricreare i settori rigidi del soffietto dove poi
si dovranno formare le pieghe.
Questa operazione è molto importante per il buon funzionamento del
soffietto.

Preparati i tre mantici si deve procedere con l’incollaggio dei mantici alla

655
struttura avendo cura di sigillare perfettamente i giunti e di ricreare le giuste
pieghe.

Se il lavoro sarà stato eseguito correttamente, muovendo lentamente il primo


mantice del soffietto, il fischietto ad esso collegato emetterà un forte suono
che sarà possibile modulare agendo sull’asta di modulazione.

656
2. Carillon, cenni storici

657
La storia ufficiale del carillon comincia nel 1796: a quell’epoca un
orologiaio svizzero, Antoine Favre (1767-1828), ebbe l’idea di integrare
questo tipo di meccanismo musicale negli orologi, dando così vita al
carillon.
Inizialmente il meccanismo musicale non venne concepito come quello
dei carillon che siamo abituati a vedere, infatti l’invenzione di Favre non era
basata sul principio per il quale delle punte o copiglie sollevavano le lamine
di un pettine mettendole in vibrazione, ma prevedeva un disco piatto le cui
punte azionavano le lamine accordate.
Rapidamente si ebbe l’idea di sostituire il disco con un cilindro munito di
copiglie poste parallelamente a numerose serie di lamine individuali.
A quell’epoca la fabbricazione dei carillon era molto artigianale, le
singole parti, infatti, erano assemblate individualmente dagli artigiani a
domicilio.
Questi ultimi erano spesso dei contadini che approfittavano delle lunghe
giornate invernali per guadagnare qualche soldo.
I meccanismi musicali erano poi assemblati e inseriti nei cofanetti da
altre persone assunte dai fabbricanti stessi.
Verso il 1820 si ebbe l’idea di sostituire le lamine segmentate con un
pettine o tastiera fatto di un solo asse per aumentare la risonanza. Il
miglioramento più importante fu in seguito l’invenzione degli smorzatori la
cui funzione era di limitare le vibrazioni parassite delle lamine: questi
smorzatori erano inizialmente costruiti con piume di pollo.
Verso il 1875 Charles Paillard, i fratelli Nicole e molti altri fabbricanti
svizzeri cominciarono a produrre carillon in maniera industriale.
I metodi cambiarono e i miracoli dell’industrializzazione permisero di
inventare macchinari capaci di riprodurre i cilindri in grande quantità e a
costi ridotti: fu così che si riuscì a superare la concorrenza dei fabbricanti
francesi, tra i quali ricordiamo l’Epée.
Altre innovazioni ebbero l’obiettivo di accentuare il ritmo delle melodie
e di rendere i carillon più ricchi dal punto di vista della resa sonora.
Fu così che i tamburi e i carillon fecero la loro apparizione.
I martelli delle campane presero la forma di animali come farfalle, api e
altri uccelli in metallo.
Per quanto riguarda i tamburi, erano delle riproduzioni realistiche in
scala ridotta con vera pelle e bacchette di rame.
La struttura del carillon è sostanzialmente rimasta immutata negli anni e

658
ancora ai giorni nostri vengono realizzati secondo le logiche dell’epoca,
anche se in taluni casi con materiali scadenti e neanche lontanamente
assimilabili a quelli d’epoca.

2.1. Cenni sul restauro dei carillon

I carillon nella loro versione più comune sono costituiti da un tamburo sul
quale sono riportate le copiglie, sul quale insistono gli aghi del pettine
accordato.
Il tamburo è collegato meccanicamente ad un bariletto contenete la molla
di carica che lo mette in rotazione.

La velocità di rotazione è controllata da una ruota che ingrana con una vite
senza fine sulla quale è calettata una farfalla di metallo che, ruotando a sua
volta, tende ad agire da freno sfruttando l’attrito causato dall’incontro delle
palette con l’aria.

659
Il restauro di questo genere di meccanismo non comporta grandi
difficoltà, l’unico aspetto al quale si deve prestare attenzione è la coppia
ruota e vite senza fine che, se non perfettamente efficienti, tendono a non
avviarsi autonomamente al rilascio della forza e quindi all’avvio della
rotazione del rullo.
Di particolare interesse è l’analisi del sistema di freno in quanto sfrutta il
bassissimo rendimento del sistema ruota-vite senza fine.
Questo sistema che in genere viene usato per trasmettere il moto fra due
assi posti ortogonalmente fra loro fu inventato da Leonardo Da Vinci. La
vite senza fine prende questo nome quando la sua lunghezza non è eccessiva
e con pochi filetti ed ingrana con una ruota dentata il cui asse non è parallelo
a quello della vite.
Le viti senza fine possono avere uno o più filetti che vengono denominati
“principi” quindi viti a un principio, due principi, etc.
L’inclinazione del filetto della ruota si trova nello stesso senso di
inclinazione del filetto della vite.
Il senso di rotazione della ruota dipende dal senso di rotazione della vite
e dall’inclinazione dei filetti.
In genere la vite senza fine conduce o comanda la ruota con conseguente
enorme riduzione di velocità: questa applicazione è comunemente adottata
nei riduttori di giri tradizionalmente utilizzati in meccanica e in genere il
comando è irreversibile.
Veniamo ora a quella che è l’applicazione classica di questo cinematismo
quando abbiamo a che fare con carillon, automi o tutti quei particolari
meccanismi che richiedano una riduzione del numero di giri, una sorta di
freno che sfrutta la resistenza dell’aria facendo girare una ventola molto più
velocemente del moto in ingresso. In pratica se analizziamo
l’accoppiamento vite ruota la trasmissione del moto viene data dalla ruota
che conduce la vite con il risultato di avere un fortissimo incremento del
numero di giri della vite stessa. In poche parole è l’esatto opposto di quanto
abbiamo visto fino ad ora.

A questo punto nasce un dubbio: non si era detto prima che il moto è
irreversibile? Sarà per via di una diversa forma della vite e della ruota?
A queste domande si risponde facilmente entrando nel merito di quelli
che sono i parametri caratteristici di progetto di questo accoppiamento che
non sono del tutto dissimili da quello delle ruote dentate viste nei capitoli

660
precedenti.
Quello che determina la reversibilità del moto in questo tipo di
accoppiamento è l’angolo di inclinazione del filetto della vite (e di
conseguenza anche quello della ruota) che di massima (anche se vi sono
delle eccezioni) fino a circa 10° è irreversibile per divenire reversibile; con
angoli superiori ad esempio, a 45° si ha la massima reversibilità.

2.2. Parametri di calcolo ruota-vite senza fine

Le ruote dei carillon che si accoppiano con le relative viti senza fine hanno
spesso profili che possono differire fra loro e che non rispecchiano in alcun
modo quelli visti per le ruote dentate tradizionali.
I parametri da prendere in considerazione sono:

Vite senza fine:


• dev - diametro esterno della vite;
• dp - diametro primitivo della filetto della vite;
• mo - modulo obliquo;
• f - numero di principi della vite;
• βV - angolo di inclinazione del filetto;
• Pv - Passo del filetto.

Ruota:
• der - diametro esterno della ruota;
• dpr - diametro primitivo della ruota;
• mn - modulo normale;
• βR - angolo di inclinazione dei denti della ruota;
• Pr - passo dei denti della ruota;
• Z - numero dei denti della ruota.

Due cose molto importanti:

661
• Il passo della vite deve essere uguale al passo della ruota

Pv=Pr

• L’angolo β della vite deve essere uguale all’angolo di inclinazione dei


denti della ruota

βV = βR

2.3. Vite senza fine motrice e ruota condotta

Supponiamo di avere a disposizione solo i dati della vite, la ruota è


mancante:
• dev = 19.42 mm;
• dp = diametro primitivo della filetto della vite;
• mo = modulo obliquo;
• f = 1;
• βV = 2°;
• Pv = 2.8 mm.

Il modulo obliquo è dato da

Il modulo normale della ruota

mn = mo Cos βV = 0.891

a questo punto rimangono due incognite per dimensionare la ruota, il


numero di denti Z e il diametro esterno.

662
Il diametro esterno è un dato che di massima potremmo ricavare con un
rilievo fisico sul pezzo e, anche se approssimativo, ci potrebbe dare un
numero di denti abbastanza attendibile, ovviamente nulla vieta di fare
l’inverso.
Calcoliamo quindi il diametro primitivo della ruota assumendo un
diametro esterno di 23 mm

dpr = der - (2 mn) = 21.218 mm

da cui il numero di denti Z della ruota è

2.4. Vite senza fine condotta e ruota motrice

Supponiamo di avere a disposizione solo i dati della vite, la ruota è


mancante:
• dev = 1.94 mm;
• dp = diametro primitivo della filetto della vite;
• mo = modulo obliquo;
• f = 1;
• βV = 20°;
• Pv = 0.9 mm.

il modulo obliquo è dato da

Il modulo normale della ruota

mn = mo Cos βV = 0.269

663
a questo punto rimangono due incognite per dimensionare la ruota, il
numero di denti Z e il diametro esterno.
Il diametro esterno è un dato che di massima potremmo ricavare con un
rilievo fisico sul pezzo e, anche se approssimativo, ci potrebbe dare un
numero di denti abbastanza attendibile, ovviamente nulla vieta di fare
l’inverso.
Calcoliamo quindi il diametro primitivo della ruota assumendo un
diametro esterno di 7 mm

dpr = der - (2 mn) = 6.46 mm

da cui il numero di denti Z della ruota è

Con questa procedura siamo quindi in grado di determinare le dimensioni


dell’eventuale ruota mancante con una discreta precisione, determinata
inoltre anche dalla precisione con la quale andremo a fare i rilievi
dimensionali sia dell’angolo che del passo della vite.

Questo tipo di accoppiamento nasce per essere irreversibile e con la vite


che fa da motrice è caratterizzato da un rendimento molto basso per via
degli attriti.

Per fare una stima dell’andamento delle forze e come queste siano
strettamente correlate all’angolo della vite-ruota, si può assimilare il
funzionamento ad un piano inclinato dove le due risultanti della coppia
applicata risultano essere ortogonali fra loro.

664
Nel caso in cui la ruota fosse condotta e la vite conduttrice avremmo la
seguente relazione:

Fv = Fr tan(β + ϱ)

dove ϱ è il coefficiente d’attrito.


Nel caso in cui invece la ruota fosse conduttrice e la vite condotta si
avrebbe

Fv = Fr tan(β - ϱ)

Volendo provare a trasformare in numeri:


Fv = 10 N
β = 3°
ϱ = 4° (Valore per Ferro su Bronzo)

nel caso della ruota condotta (caso tipico) avremmo

665
Nel caso della vite condotta (caso carillon, automi etc.)

Da quanto sopra si dimostra come, mantenendo l’angolo β invariato, la


trasmissione sia irreversibile.
Ora come detto, perché si possa avere la reversibilità del movimento, si
deve incrementare l’angolo β portandolo a valori superiori ai 15°, quindi
proviamo a fare la stessa verifica mantenendo invariata la forza e
modificando l’angolo, portandolo ad esempio a 20°.
Nel caso della ruota condotta (caso tipico) avremmo

Nel caso della vite condotta (caso carillon, automi etc.)

Anche in questo caso abbiamo dimostrato come l’angolo di inclinazione


della vite sia determinante per la reversibilità del moto, ma anche come
questo influenzi la coppia necessaria da applicare al sistema perché questo
possa muoversi in modo autonomo, ovvero vincendo gli attriti di primo
distacco.

Sapendo che la potenza è data dalla relazione

P = Mt ω

dove Mt è il momento torcente e ω è la velocità angolare, è evidente che


disponendo di un valore di potenza invariabile - dato ad esempio dalla forza
sviluppata da una molla di carica - se l’applichiamo ad una ruota che deve
muovere una vite senza fine, diventa molto importante mantenere un
bilanciamento delle forze quanto più equilibrato possibile, pena una perdita

666
di coppia che andrebbe a compromettere l’avvio della trasmissione.
In aggiunta a questo, nel caso in cui l’applicazione sia quella dei carillon
etc. si dovrà inoltre tenere conto dell’effetto frenante dato dalla ventola
collegata alla vite senza fine e quindi di una ulteriore dissipazione di energia
che dovrà essere bilanciata e considerata nel calcolo.

Per quanto riguarda la forma del dente della ruota, considerando che ci
troviamo in una condizione di sfavore, sarebbe consigliabile adottare un
profilo quanto più performante possibile e quindi assimilabile al profilo ad
evolvente; lo spessore della ruota è subordinato alle dimensioni della vite,
all’angolo di inclinazione e al coefficiente d’attrito e quindi anche al tipo di
materiale con il quale andremo a realizzare la ruota, fermo restando che la
vite è in acciaio.

667
Capitolo XIX
Orologi elettromeccanici e al quarzo

Il primo orologio elettrico fu presentato nel XIX secolo e la sua evoluzione


può essere riassunta come segue:
• orologi elettromeccanici;
• orologi elettronici a diapason;
• orologi elettronici al quarzo con visualizzazione analogica;
• orologi elettronici al quarzo con visualizzazione numerica.

668
1. Orologi elettromeccanici
Nel 1952 Hamilton negli Stati Uniti e Lip in Francia crearono il primo
orologio elettromeccanico.
Il risonatore era costituito da un bilanciere con spirale come quelli
montati nei comuni orologi meccanici, ma equipaggiato con micro bobine
capaci di controllare il moto del bilanciere stesso, trasformandolo così nel
motore dell’orologio.

2. Orologi elettronici a diapason

Max Hetzel propose di rimpiazzare il risonatore a bilanciere e spirale con


uno formato da un diapason.
Il lavoro venne portato avanti dalla Bulova che nel 1960 presentò il
primo orologio al diapason con il nome di Accutron.
La frequenza di oscillazione passò quindi da qualche Hz a 360 Hz.
Il vantaggio è dato dal fatto che le perturbazioni sull’oscillatore sono
inversamente proporzionali al quadrato della frequenza.

669
Lo svantaggio risiede nel fatto che alle alte frequenze diventa più
difficile creare un divisore meccanico.
La precisione di un Accutron si attesta a circa +/_ 4 sec/giorno in tutte le
posizioni.
La caratteristica costruttiva che lo distingue risiede nella ruota indice,
caratterizzata dall’avere 320 denti su un diametro che è poco più di un
millimetro e sulla quale agiscono due rubini. Uno, quello di spinta, è
collegato al diapason e l’altro, collegato ad una base regolabile, è quello di
freno.

Vibrando il diapason conferisce al rubino di spinta una determinata


ampiezza facendo in modo che questo ingaggi un dente della ruota
facendola avanzare; il rubino di freno svolge la funzione di non ritorno della
ruota durante la fase di allontanamento del rubino di spinta.

670
Il diapason è posto in vibrazione da un circuito oscillante costituito da due
bobine nelle quali è posto un magnete permanente collegato ai suoi rebbi.

Il circuito elettronico è invece costituito da un transistor, una resistenza e un


condensatore.
L’alimentazione era originariamente fornita da una pila al mercurio da
1,35 V, oggi soppiantata da quelle al litio da 1,55 V.
Per questa ragione talvolta si rende necessario intervenire sulla

671
regolazione dei cricchi per ritardarne la marcia causata da un aumento
dell’ampiezza di oscillazione del diapason.
Il rubino di spinta può ingaggiare da uno ad un massimo di tre denti.
Le bobine sono realizzate con filo smaltato molto sottile, il diametro del
filo è di 0,012 / 0,014 mm e questa caratteristica le rende particolarmente
sensibili alle sovracorrenti che in un circuito oscillante aumentano nel
momento in cui il magnete mobile all’interno del campo elettrico generato
dalla bobine tende ad essere frenato.
Una delle principali cause che portano il diapason ad un rallentamento è
l’assenza di lubrificazione dei perni delle ruote.
Un aumento della forza necessaria a far muovere il treno del tempo porta
ad un aumento della corrente che circola nelle bobine fino alla loro
definitiva interruzione. Per questi motivi è consigliabile eseguire la
revisione di Accutron ogni cinque anni.

3. Orologi elettronici al quarzo

Nel 1880 venne scoperto l’effetto piezoelettrico.


Il quarzo è un cristallo piezoelettrico e la sua prima applicazione fu
legata all’emissione e ricezione delle onde ultrasonore per rintracciare i

672
sottomarini militari durante la prima Guerra Mondiale.
Nel 1920 venne scoperto il primo oscillatore al quarzo e tubi elettronici e
venne utilizzato per le prime trasmissioni e ricezioni radio.
Nel 1930 Scheibe e Adelsberger costruirono il primo orologio al quarzo.
Durante la seconda Guerra Mondiale la richiesta di quarzo per le
comunicazioni trasformò la fabbricazione artigianale in una produzione
industriale volta alla produzione di un cristallo monocristallino di sintesi che
potesse soppiantare quello naturale.
Nel 1948 l’Osservatorio di Neuchatel ricevette il suo primo orologio al
quarzo e nel 1954 A. Karolus costruì il primo orologio con un quarzo a
forma di diapason.
Nel 1958 Patek Philippe realizzò la prima pendoletta al quarzo.
Nel 1967 la CEH presentò due prototipi di movimento al quarzo formato
da una barretta e capace di oscillare a 8192 Hz.
Nel 1970 Hamilton presentò il Pulsar con quadrante a diodi
elettrolumiscenti (LED) che soppiantarono le lancette.
L’anno successivo la Seiko insieme alla Optel-Microma rimpiazzò il
LED con i cristalli liquidi (LCD).
Nel 1980 fu il microprocessore a entrare negli orologi trasformandoli
definitivamente fino ai giorni nostri.

4. Principio di funzionamento dei movimenti al quarzo


Al contrario degli orologi meccanici dove la forza motrice è rappresentata
dal bariletto e dall’energia sviluppata dalla molla di carica, in quelli
elettronici l’energia necessaria viene fornita da un accumulatore detto
comunemente batteria o pila.
La batteria alimenta quindi il circuito, che è un dispositivo elettronico,
utilizzato in numerosi contesti (circuiti di telecomunicazioni, processori
elettronici, timers analogico-digitali etc.), il cui unico scopo è quello di
“generare” o “regolare”, a seconda dei casi, segnali elettrici, in genere in
corrente alternata.
Nel nostro caso tale circuito utilizza entrambe le funzioni.
In un primo momento produce un segnale elettrico ad una determinata
frequenza f1 e lo invia alla capsula del cristallo di quarzo.
La capsula, un contenitore chiuso ermeticamente, di solito cilindrico,

673
contiene un cristallo di quarzo ed è un semplice trasduttore elettrico.
Che cosa ha questo elemento di così importante, a tal punto da essere
considerato il “cuore” dell’intero sistema?
La risposta a questa domanda si riassume in una sola parola: la
piezoelettricità.
I materiali piezoelettrici (dal greco “piezòs”, movimento o deformazione)
sono quei materiali che, attraverso la loro vibrazione fisica, trasformano
l’energia meccanica (dovuta al movimento oscillatorio) in energia elettrica.
Non solo: tali materiali godono anche della proprietà inversa secondo
cui, se sollecitati da corrente elettrica alternata, presentano oscillazioni
fisiche. Maggiore è la frequenza della corrente, maggiore sarà l’oscillazione
del materiale.
Il cristallo di quarzo contenuto nella capsula viene lavorato attraverso un
lungo e preciso procedimento, allo scopo di dare ad esso la comune forma
ad “Y”, simile a quella di un comune diapason.
Le motivazioni che hanno spinto i progettisti ad adoperare questa
singolare scelta è che attraverso questa forma, l’oscillazione dei rebbi (rami)
del cristallo si propaga senza dispersioni di energia sull’albero, in modo da
garantire un’assoluta precisione nella generazione del segnale elettrico.
Attraverso questo segnale, il quarzo contenuto nella capsula, per le sue
proprietà fisiche, vibra.
Il numero delle oscillazioni che compie ogni secondo naturalmente
dipende dalla frequenza del segnale elettrico generato dall’oscillatore.
Per questo motivo, la frequenza di tale segnale viene stabilita in modo
tale da procurare al cristallo 32.768 oscillazioni al secondo.
Il rapporto che lega la frequenza dell’oscillatore a quella del segnale è di
15:1.
Ciò vuol dire che a ogni 15 oscillazioni del quarzo corrisponde
un’oscillazione dell’oscillatore, che a sua volta corrisponde a una variazione
del campo magnetico e di conseguenza a due movimenti del rotore a
formare un giro completo.

Ogni giro completo del rotore scandisce in maniera inequivocabile il


secondo.

Una volta che il quarzo viene posto in oscillazione produce corrente

674
elettrica.
Se le oscillazioni sono 32.768 al secondo, allora la sua corrente
(alternata) avrà proprio una frequenza di 32.768 Hz, ovvero esattamente pari
al numero di vibrazioni al secondo effettuate dal cristallo.
Il segnale elettrico dunque ritorna di nuovo al circuito oscillatore, che,
stavolta, lo regola, ovvero produce un secondo segnale a partire dalla
frequenza f1 (pari a 32.768 Hz).
Il secondo segnale compie una sola oscillazione ogni 15 oscillazioni del
primo segnale.
Così facendo il rapporto delle due frequenze è perfettamente di 15:1.
Il segnale prodotto dall’oscillatore viene diretto poi allo stepper.
Lo stepper, o motore passo-passo, ha la principale funzione di ricevere
segnali elettromagnetici (impulsi elettrici) dal circuito oscillatore e
“trasformarli” in un movimento meccanico.
Infatti, come vedremo successivamente nel dettaglio, il suo
funzionamento è regolato da tre elementi: una bobina percorsa da corrente,
la quale attraverso il campo magnetico generato stimola uno statore, che a
sua volta mette continuamente in rotazione un rotore, ovvero un disco
dentato i cui giri determinano il movimento degli ingranaggi e quindi della
lancetta dei secondi.

La bobina

È avvolta su un asse verticale e il numero di avvolgimenti può variare a


seconda delle applicazioni.
La bobina, a seconda del verso della corrente elettrica (alternata) da cui è
percorsa, genera variazioni di campo magnetico, che magnetizzano lo
statore.

675
Lo statore

È un elemento di materiale ferromagnetico, costituito da due poli che si


polarizzano diversamente (Nord, Sud) a seconda delle variazioni del campo
magnetico in cui sono immersi.
All’interno dello statore è posto il rotore.

Il rotore

È un magnete dotato di un asse che, a seconda della polarizzazione dei poli


dello statore, compie rotazioni attorno al proprio asse.

676
Il segnale elettrico che arriva allo stepper è quello generato dall’oscillatore.
La corrente elettrica alternata che percorre la bobina genera un campo
magnetico variabile.
La variabilità di tale campo si percuote sui poli dello statore che vengono
polarizzati e ri-polarizzati continuamente.
Questo fa sì che il rotore, ogni qual volta lo statore polarizzi i poli,
compia mezzo giro attorno all’asse.
Il movimento del rotore mette poi in azione gli ingranaggi che muovono
le lancette.

5. La revisione dei movimenti al quarzo


La revisione dei movimenti al quarzo non implica grosse problematiche e le
logiche operative sono quelle viste per i movimenti meccanici.
La lubrificazione deve essere eseguita in modo molto accurato e con
lubrificanti specifici e molto leggeri in quanto un eccesso di olio potrebbe
compromettere il corretto funzionamento dell’orologio, facendolo ritardare
o peggio bloccare.
La prima operazione da eseguire quando si deve analizzare un
movimento di questo tipo è lo stato di carica della pila e se questa non abbia
rilasciato dell’acido.
Per la verifica della carica della batteria si può utilizzare un tester
specifico che, una volta applicato un carico alla pila, ci restituisce
un’indicazione certa sulla sua carica.

677
La seconda verifica importante da eseguire è quella di determinare la
presenza dell’impulso dato dal circuito e per questo ci si può avvalere di
specifici strumenti in grado di leggerlo e di calcolare il valore medio della
marcia su base mensile.

Eseguita questa operazione, sempre avvalendosi dello stesso strumento si

678
verifica l’assorbimento di corrente del circuito che deve risultare nei
parametri previsti dal costruttore, in quanto assorbimenti eccessivi sono
indice di mal funzionamento.

Eseguiti questi controlli preliminari in caso di esito positivo si passa allo


smontaggio integrale della parte meccanica e al lavaggio con le stesse
logiche viste per gli orologi meccanici.

679
L’unico accorgimento da prendere riguarda il rotore che, essendo
fortemente magnetico, è in grado di attrarre anche piccole particelle di
metallo che spesso possono essere presenti nel liquido di lavaggio se non
perfettamente pulito.
Per evitare questo fastidio si consiglia di lavarlo a parte in liquidi sempre
nuovi. Dopo aver assemblato nuovamente il movimento si possono ripetere i
rilievi visti in precedenza e mettere la batteria.

5.1. La verifica delle bobine

Nel caso in cui si dovesse riscontrare l’assenza totale di impulso, il primo


controllo che dovremo effettuare è quello relativo alla misura della
resistenza in continua della bobina o delle bobine nel caso in cui queste
fossero in numero maggiore.

Si deve quindi identificare la posizione dei contatti di uscita delle bobine e


con il tester verificarne il valore, che dovrà essere sempre maggiore di zero
e avvicinarsi a qualche migliaio di ohm.
Nel caso in cui non si dovesse rilevare alcun valore, significherebbe che
la bobina è interrotta e va sostituita.
Nel caso in cui questa fosse solidale al circuito si dovrà procedere alla
sostituzione integrale del circuito stesso.

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NOTE

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NOTE

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NOTE

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Sullo stesso argomento

Donald De Carle
OROLOGIAIO RIPARATORE

Prima traduzione italiana a cura del dott. ing. A. Zanetti Polzi. Con 553 illustrazioni
originali. Il volume fornisce informazioni utili partendo dai metodi diretti, con riferimento
alla pratica di lavoro. Dal banco di lavoro a tutti gli apparecchi necessari. In appendice,
alcune delle 101 ragioni che possono provocare l’arresto di un orologio.

INDICE
Laboratorio e banco di lavoro - Utensili indispensabili - Cassa quadrante e lancette - Il
movimento, parti che lo compongono; smontaggio - Lo scappamento ad àncora, suo esame e
correzione - Lo scappamento a caviglie - Il ruotismo: ingranaggi e forma dei denti - Il
bariletto e la molla motrice - Pulitura a mano e lubrificazione - La macchina per pulire
orologi - Gli organi di carica e di messa all’ora - La regolazione - La spira superiore della
spirale Breguet - La regolazione nelle varie posizioni - Esecuzione di nuove parti - Tornitura
- Il tornio per attrezzista ed il modo di adoperarlo - L’orologio inglese ad àncora -
Montaggio delle pietre forzate. Dispositivi antiurto per il montaggio delle pietre -
Magnetizzazione e smagnetizzazione - Casse stagne - Apparecchi per il controllo rapido
della marcia degli orologi - Appendici. Alcune delle 101 ragioni che possono provocare
l’arresto di un orologio - Norme per un buon lavoro.

687
Informazioni sul Libro

Quando si interviene sugli orologi, antichi o moderni che siano, ci si deve


sempre aspettare di trovare delle anomalie di gravità variabile che spesso
richiedono interventi ricostruttivi. Orologeria è una guida dove poter
trovare tutte le risposte che servono per affrontare con serenità e
professionalità il mestiere dell’orologiaio riparatore.
I 19 capitoli in cui il manuale è articolato costituiscono un autentico
viaggio attraverso la meccanica, la matematica e la tecnica costruttiva di
componenti antichi e moderni. Una finestra sulle tecniche del passato che si
fondono con nozioni moderne derivanti da anni di esperienza e pratica di
laboratorio.
Oltre a diversi cenni storici specie sulle lavorazioni tradizionali, la
trattazione è puntualmente accompagnata da numerosissimi disegni e
fotografie, tutti realizzati dall’autore, che illustrano l’applicazione pratica
dell’argomento di volta in volta affrontato.

Indice. La forza motrice – La distribuzione della forza motrice – Parametri


di funzionamento delle ruote dentate – L’organo regolatore di un orologio –
Le perturbazioni del periodo del bilanciere-spirale – Le resistenze passive o
attriti – Dimensionamento e tornitura di perni e assi – Cenni di tribologia e
lubrificazione dei perni – Lo scappamento – Cenni di pendoleria –
Classificazione dei pendoli – Cenni sulle tipologie di pendoli – Variazioni
del periodo del pendolo – I materiali da costruzione – La revisione di un
orologio – Impermeabilità e orologi – I quadranti in ceramica e il loro
restauro – Automi e carillon – Orologi elettromeccanici e al quarzo.

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Circa l’autore

Davide Munaretto, libero professionista e titolare d’azienda nel campo


dell’orologeria, si occupa di progettazione meccanica, riparazione e restauro
di orologi antichi e moderni, e collabora per i corsi di orologeria con la
fondazione CAPAC Politecnico del Commercio e del Turismo di Milano.

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