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Sistemi telescopici e
Sistemi teleidraulici:
“Le forcelle”
Indice
1.0.1 Generalità;
1.0.2 Funzionamento e componenti di una forcella.
2.0.1 Generalità;
2.0.2 Dimensionamento di una molla ad elica a compressione UNI/900.
4.0 Dalle origini ad oggi: Storia della nascita della Paioli Meccanica :
7.0.1 Generalità;
7.0.2 Potenziometro resistivo.
1.0 Elementi di base di una forcella
1.0.1 Generalità
La forcella è un organo meccanico che assicura
solidalmente il contatto ruota–terreno per garantire
trazione e direzionalità in tutte le circostanze d’uso
ed isolare il pilota dalle asperità stradali.
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1.0.2 Funzionamento e componenti di una forcella
All’interno dei foderi sono alloggiate il complesso delle cartucce a bagno d’olio, per
minimizzare gli attriti e fornire l’effetto frenante (elemento idraulico).
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Questo gruppo ha la funzione di smorzare in maniera idraulica la forza esercitata
dalla molla esterna (punto 6,figura 2).
Il pompante è anch'esso un sistema telescopico formato da una cartuccia fissata al
piedino e da un'asta solidale al tappo della forcella (punto 1, figura 2) che scorre e si
muove all'interno della stessa cartuccia.
In fase di estensione invece, il flusso procede in senso inverso, l'olio può passare sia
attraverso i fori/lamelle (punto 13, figura 2) presenti sul pistone (punto 12,figura 2),
che attraverso un un’altro foro. Quest’ultimo nelle versioni race può essere
parzializzato da uno spillo comandato dall'esterno della forcella che consente di
regolare la velocità di estensione (registro dell'estensione ,figura 4).
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Per comprendere il funzionamento della forcella, occorre chiarire che questa è
sensibile alla velocità di scorrimento verticale e non a quella a cui procede il veicolo.
Una velocità verticale bassa, generata per esempio da un lieve dislivello significa
una piccola quantità di olio da spostare, con una conseguente debole resistenza
idraulica generata molto piccola.
Viceversa, con velocità verticali più alte, la frenatura idraulica aumenta
notevolmente (Nota: la resistenza varia con il quadrato della velocità, quindi se
questa raddoppia, la resistenza idraulica quadruplica).
Tabella 1: nella tabella vengono riportati alcune parti della forcella, i materiali
utilizzati e gli eventuali trattamenti.
Nota tabella 1:Si utilizza principalmente l’alluminio in funzione del peso e per una
uniformità di materiali (viene eseguito il trattamento sullo stesso tipo di materiale
ottenendo un guadagno di tipo temporale).
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Figura 4: componenti della parte superiore della cartuccia.
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Figura 6: componenti della parte inferiore della cartuccia.
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2.0 Elementi elastici di una forcella: Le Molle
2.0.1 Generalità
La molla (fig.1) è un organo meccanico capace di
deformarsi in modo considerevole, sotto l’azione di un
carico esterno, immagazzinando energia che può essere
restituita al cessare dell’azione deformante.
Sono considerate soggette a regime dinamico quelle molle operanti sotto carico
variabile, periodicamente, fra due valori in modo da realizzare più di 10.000
alternanze durante la vita della molla; devono essere costruite con acciai di classe C
o D (deducibile tramite tabelle).
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2.0.2 Dimensionamento di una molla ad elica a compressione
UNI/900
Formule:
È noto il materiale della molla da cui si ricavano, tramite tabelle, il carico di rottura
e il modulo di elasticità tangenziale. Vengono inoltre forniti i seguenti dati:
Il precarico 2;
Il carico finale 1;
La variazione di freccia ;
Il diametro medio della molla (se non viene dato deve essere fissato).
·
Carico sulla molla → = · = ·
· · []
Rigidezza molla → = [⁄]
Rapporto d'avvolgimento → =
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$ · %&' ),*'+
Fattore di correzione → = $ · %&$ + %
· ·
·
Tensione di torsione → ,max = ·
·
Numero di spire utili → = ·
· .
G = 78500 ÷ 81500 per acciaio legato e non legato, per molle avvolte a freddo
senza successivo trattamento di bonifica;
G = 5500 ÷ 78500 per acciaio da bonifica, per molle avvolte a freddo o a caldo
e successivamente bonificate;
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Lunghezza a pacco molla → 0b = (t− 0,5) · []
Lunghezza sotto carico molla → 01= 0b+0,1 · · ( + 0,5) []
Nel caso la molla avesse una sola estremità bloccata tale valore si dimezza.
·
Rigidezza molla (aggiornata) → = ·
· [⁄]
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3.0 Evoluzione storica della forcella
L'obiettivo principale del loro impiego è comunque quello di ottenere, durante i vari
percorsi, un'ottimale stabilità del veicolo ed un elevato comfort del conducente.
I primi esempi di forcella sono comparsi con l’invenzione della motocicletta verso la
fine del ’800 e gli inizi del ‘900. Questi ultimi anni furono segnati da un periodo di
benessere globale che fece aumentare la produzione industriale.
Nel corso degli anni la forcella ha subito notevoli evoluzioni e si sono distinte diverse
tipologie caratterizzate da varianti tra i vari sistemi che assicurano il movimento fra
telaio e ruote.
forcella Girder;
forcella Springer;
forcella Earles.
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Forcella Girder
Forcella Springer
Forcella Earles
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Questi sistemi vengono ancora utilizzati su alcune moto di basso costo, dedicate ai
mercati di paesi meno esigenti in cui l’obbiettivo principale resta l'affidabilità.
In Russia la tipologia Leading link è tutt’ora in uso dalla IMZ-Ural, soprattutto per
mezzi muniti di sidecar.
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3.0.4 Le Forcella dei nostri giorni:
Sistema USD
diminuzione di peso.
Questa scelta tecnica rimane ancora oggi il punto di riferimento per ogni
motocicletta d’uso stradale e da competizione.
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4.0 Dalle origini ad oggi:
Storia della nascita della Paioli Meccanica
La storia della Paioli Meccanica risale a tempi
molto lontani, quando le uniche sospensioni
conosciute erano quelle costituite dalle balestre
delle carrozze.
Solo all’inizio del XX secolo, con i nuovi mezzi di
locomozione, si cominciò a produrre sistemi che,
sia pur lontanamente, si baseranno sui criteri delle
sospensioni attuali.
A Bologna, dal 1902 al 1915 “ Grazia & Fiorini”
costruivano motocicli artigianali in un mercato
principalmente dedicato alle biciclette.
In quel periodo si iniziavano a produrre biciclette
in serie che utilizzavano i propri telai montando
movimenti tramite sfere (antenato del cuscinetto)
acquistati all’estero.
Iniziò così la vendita di biciclette di marche anche
straniere che diede avvio ad un incremento
occupazionale per riparatori e addetti alla
fabbricazione.
4.0.1 Ricciotti Paioli
Giuseppe Casanova figura come una di queste nuove
leve di imprenditori. Egli aveva assunto un giovane
apprendista di nome Ricciotti Paioli, di modesta
estrazione ma dotato ed entusiasta. In breve cercò
la strada del lavoro autonomo.
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Grazie all’impiego di indovinate attrezzature, Ricciotti Paioli, si fece ben presto
valere sia tra i Commercianti che tra i costruttori di biciclette.
Nel periodo post-bellico continuò a vendere accessori e ricambi per biciclette. Diede
lavoro a una ventina di operai e riuscì a superare la crisi del ‘29, studiando molti
articoli a buon mercato, semplici e pratici, tipo i “salvaraggi”, i parafanghi, i rulli
delle dinamo, le retine di ferro “Eterna” applicabili alle biciclette da donna, gli anelli
“Simplex” per le moltipliche, i portabollo e le gemme catarifrangenti...
Si ricorda anche una “moltiplica” di forma ellittica, che aveva lo scopo di rendere più
efficace la pedalata ma che rimase allo stato sperimentale.
4.0.2 “1945”
Le sorelle Paioli diedero vita ad una società con l’intento di vendere accessori per
biciclette sia all’ingrosso che al minuto.
Al mercato della bicicletta in espansione si aggiunse, presto, quello dei ciclomotori e
delle moto di varia cilindrata.
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4.0.3 “1954”
Nel 1962 venne costituita la Paioli di Laura Paioli e Attilio, che nel 1963 diventa
S.p.A.
4.0.4 “1967“
Venne inaugurato un moderno stabilimento a S. Agata Bolognese e si aprì la
possibilità di un eventuale ingresso nel settore sospensioni data dall’occasione di
rilevare la “Bonazzi & Gambetta”, fornitrice di Moto Morini.
La Bonazzi & Gambetta produceva forcelle telescopiche già dal 1939 e nel 1972 Gino
Gambetta era in grado di fabbricare diversi ed apprezzabili modelli di forcelle
teleidrauliche per turismo, velocità, regolarità e cross.
Nel medesimo anno il know-how di questa azienda venne acquistato dalla Paioli
S.p.A., che conseguì ottimi risultati commerciali.
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4.0.5 Primi anni ‘70
Nel 1973 viene fondata la Paioli Meccanica che prosegue il commercio all’ingrosso di
articoli sportivi ed accessori per ciclo ma che dedica ogni possibile energia al settore
moto.
L’obbiettivo immediato consiste nel perfezionamento delle sospensioni per moto e
scooter.
Tra la vasta e selezionata produzione di quel tempo ricordiamo gli ammortizzatori
oleopneumatici in lega di alluminio, gli ammortizzatori idraulici di sterzo, le unità
molla-ammotizzatore per moto da velocità e da fuoristrada.
4.0.6 “1980”
La Paioli Meccanica inaugura uno stabilimento a Castel Maggiore (Bologna) dove
vengono realizzate aggiornatissime parti costruttive: forcelle teleidrauliche da cross
e velocità in lega di magnesio, con canne in acciaio al Nikel-Cromo-Molibdeno,
nonchè forcelle telescopiche meccaniche per ciclomotori.
Tra i molti clienti si ricordano Cagiva, Ducati, Italjet, Malanca e Moto Morini.
4.0.8 Oggi
Il passo decisivo per imporsi come leader a livello
mondiale del suo settore venne mosso dalla Paioli
Meccanica realizzando un accordo di collaborazione con
la Yamaha e la sua fornitrice di sospensioni Kayaba. Si
tratta di una convergenza di interessi che legano le tre
aziende.
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5.0 S.p.A. in Italia: Disciplina generale, adempimenti
amministrativi e fiscali
La Paioli Meccanica è una società per azioni (S.p.A), non quotata in borsa, leader
mondiale nella produzione di sospensioni, in particolare in ambito motociclistico.
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5.0.3 Patti Parasociali
Contemporaneamente o successivamente alla costituzione della società, i soci potranno
stipulare sindacati azionari (patti parasociali) sotto qualsiasi forma. Comunemente si
distinguono in sindacati di voto e sindacati di blocco, a secondo che riguardino il
comportamento dei soci nella assemblea della società oppure prevedano obblighi in
relazione al trasferimento delle azioni. Se essi sono stipulati a tempo determinato non
possono avere durata superiore a 5 anni, ma sono rinnovabili. Se sono stipulati a tempo
indeterminato ciascun contraente avrà diritto di recedere con un preavviso di sei mesi.
5.0.4 Azioni
Le azioni sono frazioni del capitale sociale e sono rappresentate da certificati. La legge
stabilisce che le azioni emesse da società quotate siano dematerializzate. Le azioni
devono essere di uguale valore e conferiscono ai loro possessori uguali diritti. Si possono
tuttavia creare con lo statuto, categorie di azioni fornite di diritti diversi anche per
quanto concerne la incidenza delle perdite. In tal caso la società, nei limiti imposti dalla
legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie. Tutte
le azioni appartenenti ad una medesima categoria conferiscono uguali diritti (art. 2348
c.c.).
1) Valore nominale (è previsto per tutte le azioni): è il valore che l’azione acquista nel
momento in cui si costituisce la società, è il numero delle azioni apportate al
capitale sociale, ovvero → capitale sociale / numero delle azioni = valore nominale.
È un valore che non cambia nel tempo perché è riferito al capitale.
2) Valore di reale (è previsto per tutte le azioni): è il valore che le azioni acquistano
nel tempo rispetto al patrimonio, varia a seconda dell’andamento della società nel
sistema economico.
E previsto che la società possa avere un azionista unico ovvero una persona (giuridica o
fisica) che detiene la totalità delle azioni. Quando le azioni risultano appartenere ad una
sola persona, gli amministratori devono depositare per l’iscrizione del registro delle
imprese una dichiarazione contenente l’indicazione del cognome e nome o della
denominazione, della data e del luogo di nascita o di costituzione, del domicilio o della
sede e cittadinanza dell’unico socio.
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5.0.5 Assemblea dei soci
Le materie sulle quali l'assemblea può deliberare variano, a seconda del modello di
amministrazione prescelto (il modello tradizionale, il modello monistico o dualistico) e
secondo il tipo di assemblea (ordinaria o straordinaria). Sono previsti dei quorum speciali
per la costituzione dell'assemblea e per l'approvazione delle delibere.
5.0.6 Amministrazione
Sono previsti tre sistemi di amministrazione e controllo:
Nel caso in cui lo statuto non disponga diversamente, si applica il sistema tradizionale. Gli
amministratori perseguono, nell'ambito della gestione ordinaria e straordinaria della
società, l'oggetto sociale, in conformità alle disposizioni di legge ed all'atto costitutivo.
L’amministrazione della società può essere affidata anche a non soci.
2) accertamento della conformità alla legge ed allo statuto degli atti compiuti dalla
società;
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Il collegio sindacale è composto da 3 o 5 membri effettivi e 2 membri supplenti. Almeno
un membro effettivo ed uno supplente devono essere scelti tra gli iscritti nel registro dei
revisori contabili istituito presso il Ministero della giustizia.
I restanti membri, se non iscritti in tale registro, devono essere scelti fra gli iscritti negli
albi professionali, o fra i professori universitari di ruolo, in materie economiche o
giuridiche (art. 2397 c.c.).
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6.0 Processi di deposizione superficiale di film sottili
6.0.1 Le applicazioni delle tecnologie PVD
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Nel settore dei rivestimenti ceramici anti-usura il riporto PVD più utilizzato a livello
industriale è ancora sicuramente il Nitruro di Titanio (TiN). Nella Fig. 1 è riportato lo
schema di una delle tecniche PVD (Cathodic Arc Evaporation) utilizzate per la
deposizione di film sottili anti-usura di TiN. Il riporto PVD-TiN è generalmente
adottato (vedi in Tab. II le proprietà del TiN) per ridurre i fenomeni di attrito, usura,
erosione, adesione, soprattutto nell'area delle attrezzature e utensili, e in generale
per i componenti meccanici (es. steli per forcelle di moto da competizione, vedi fig.)
Figura 1: schema di una delle tecniche PVD (utilizzate per la deposizione di film sottili
anti-usura di TiN).
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Proprietà del Nitruro di Titanio (TiN) - PVD
Proprietà Fisiche:
Proprietà Chimiche:
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L'utilizzo dei rivestimenti PVD-TiN si sta estendendo in campi molto diversificati fra
loro per migliorare le caratteristiche superficiali antiusura, anticorrosione o
decorative di componenti costruiti soprattutto in acciaio e in carburo.
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Per quanto riguarda le realizzazioni industriali di questi studi applicati ai tubi di
forza delle forcelle, attualmente al rivestimento standard con TiN si sono affiancati i
seguenti rivestimenti:
Tabella 2 – Proprietà dei rivestimenti PVD duri eseguiti con processo ad arco.
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6.0.3 Il processo di elettrodeposizione
La deposizione dello strato per mezzo del procedimento PVD ha luogo in una
camera ermeticamente chiusa, alla temperatura di circa 400° C in presenza di un
plasma, ossia di una scarica elettrica in seno ad un gas, che in questa cella si trova
alla pressione dell’ordine di 0,00003 bar. Il metallo del rivestimento (titanio, titanio
ed alluminio, cromo, zirconio) viene trasformato in vapori metallici per mezzo di un
arco elettrico innescato tra un opportuno elettrodo ed una pastiglia di metallo che
viene dunque consumata durante il processo, poiché "evaporata" grazie
all’elevatissima temperatura dell’arco elettrico e grazie al fatto che il fenomeno
avviene ad una pressione molto bassa (si lavora in condizioni assai prossime al vuoto
assoluto).La pastiglia di metalli da vaporizzare (in taluni impianti la forma può anche
non essere rotonda bensì rettangolare) costituisce il polo negativo del circuito
elettrico che fa capo, come polo positivo, al pezzo sul quale si deve applicare il
rivestimento. In genere nella cella non si trova un pezzo solo, ma una griglia
metallica (isolata dalla carcassa) sulla quale vengono ordinatamente disposti
numerosi particolari da rivestire.
Nella cella aperta si vede il sopporto sul quale sono stati ordinatamente depositati i
pezzi sui quali il trattamento è appena terminato.
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L’arco elettrico tra polo negativo (metallo da depositare) e polo positivo (pezzo da
rivestire) fa evaporare dalla pastiglia
una quantità di metallo proporzionale,
approssimativamente, alla corrente
dell’arco stesso. Si lavora con differenze
di potenziale nell’ordine di 250 V e
correnti di circa 80 A; modificando
l’intensità della corrente e la pressione
del gas nella cella, si può variare
secondo necessità la quantità, e
dunque lo spessore, del composto
depositato a formare il rivestimento.
Le molecole di metallo duro si dirigono verso la superficie da rivestire per effetto del
campo elettrico e ,durante il loro tragitto, incontrano delle molecole di un
opportuno gas con il quale si combinano prima di depositarsi di nuovo sotto forma
solida.
Dal punto di vista operativo, invece, l’apparato per realizzare questo processo è
decisamente complesso e raffinato e richiede tra l’altro apparecchiature di controllo
che mantengano i parametri ottenuti entro limiti ottimali e contengano i possibili
inconvenienti come per esempio l’inquinamento (drogaggio) del bersaglio che dà
origine a tassi di deposizione incontrollati ed a strati di rivestimento dalla
composizione non omogenea.
In primo luogo è opportuno avere già in partenza una finitura superficiale molto
elevata, in quanto lo strato deposto con il metodo PVD non altera tale finitura
poiché la deposizione ha luogo a livello molecolare, quindi con dimensioni di diversi
ordini di grandezza inferiori a quelle tipiche delle più accurate lavorazioni
meccaniche.
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I pezzi non devono inoltre essere contaminati da residui di polveri di rettifica, di
polveri diamantate o di tracce anomale lasciate dall’elettroerosione; si devono
eliminare tracce di ossidazione di qualsiasi altro genere di sporco come anche
trattamenti come brunitura ecc.
Dopo la sabbiatura si soffiano i residui e si effettua lo scartaggio dei pezzi pronti per
il trattamento in camere a 40° C che eliminano ogni traccia di umidità dalle superfici.
Ciascun passaggio che segue i bagni di pulitura vede gli operatori lavorare con guanti
puliti per evitare possibili contaminazioni.
I pezzi sono deposti sui supporti (una specie di rastrelliere) che poi andranno inseriti
nelle celle di deposizione: se necessario si applicano delle mascherature dove non
occorre rivestire la superficie. Per com’è strutturato il processo, si possono rivestire
anche le superfici interne di fori relativamente profondi se il pezzo in oggetto viene
orientato nella cella in una maniera opportuna.
Del resto, per presentare al plasma tutti i lati dei pezzi, il supporto sul quale questi
ultimi sono disposti è dotato di un meccanismo di rotazione e all’interno della cella
si trovano numerose pastiglie applicate su tutte le pareti.
Il processo dura circa 4 ore, delle quali una sola è per la deposizione vera e propria:
una volta introdotto il supporto e chiusa la cella, si fa dapprima un vuoto molto
spinto, ben superiore a quello che si avrà durante la deposizione. In questa prima
fase si arriva ad un vuoto di fatto assoluto, dell’ordine di 2 x 10-11 bar.
Mediante alcune resistenze elettriche applicate alle pareti della cella si riscaldano i
pezzi per irraggiamento, quindi si immette argon ad una pressione di 0,00003 bar e
si applica un polarità invertita al campo elettrico, con una corrente di circa 200 A che
fluisce ai pezzi dagli elettrodi costituiti da quelle stesse pastiglie che, nella seconda
fase, forniranno il metallo per la deposizione.
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Ciò provoca sui pezzi una sorta di bombardamento di ioni di argon che attiva le
superfici predisponendole per la deposizione del rivestimento: quest’ultima fase ha
luogo togliendo l’argon ed immettendo nella cella azoto, che si combinerà con i
vapori di titanio.
Al termine del processo, si lascia raffreddare tutto il sistema (il processo viene
eseguito a 400° C) ed i pezzi sono pronti per l’uso.
Nel metodo PVD ad arco il metallo (Ti, Cr, etc.) viene evaporato per mezzo di un
arco sotto vuoto (vedi Fig. 1), la sorgente è a potenziale negativo (catodo) rispetto
alla camera di deposizione, ed è innescata con un corto circuito elettrico.
una più elevata variazione dei parametri di processo e dei parametri magnetici;
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6.0.4 I controlli dei rivestimenti PVD
Per garantire una produzione di rivestimenti PVD di elevatissima qualità e per
assicurare una costanza di qualità più elevata possibile nel tempo è molto
importante mettere a punto un sistema di controllo qualità dei rivestimenti prodotti
più accurato e sistematico possibile.
Per la deposizione di film sottili PVD la metodologia di controllo prevede l’utilizzo
soprattutto di due prove di controllo:
la prova Calotest;
la prova Rockwell C.
Con la prova Calotest (vedi Fig. 3) è possibile controllare in modo molto accurato lo
spessore, l’aderenza e la qualità del singolo strato o dei differenti strati depositati.
Con la prova Rockwell C, effettuata utilizzando una comune macchina per le prove
di durezza Rockwell, viene eseguita una impronta HRC sulle superfici rivestite e
viene controllata, al microscopio ottico, l’impronta ottenuta facendo attenzione
soprattutto alla circonferenza esterna dell’impronta stessa. Con questa prova è
possibile controllare soprattutto il grado di aderenza del rivestimento sul substrato
e la qualità dei film depositati con particolare riferimento alla tenacità dello strato.
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6.0.5 Normativa sui controlli per rivestimenti PVD
Sulla base di differenti prove sono state stabilite alcune relazioni tra le incrinature
dello strato rivestito al bordo dell’impronta, l’aderenza del rivestimento e il
successivo rendimento in produzione del pezzo rivestito. In base a questa esperienza
è stata stabilita una procedura di controllo con la quale è possibile correlare
visivamente le incrinature e la qualità dello strato attraverso una tabella di
classificazione delle impronte ottenute (vedi Fig. 4). I risultati riportati nella tabella
sono stati ottenuti su pezzi di durezza minima di 61/62 HRC e con uno spessore
massimo di rivestimento di 5µm.
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7.0 Trasduttori di spostamento
7.0.1 Generalità
Pur non rivestendo un ruolo importante nei processi industriali, la maggior parte dei
sistemi di misura opera con elementi di conversione della variabile di ingresso in
spostamento.
Per gli strumenti la cui uscita è un indicatore meccanico, come un ago di un
quadrante od un pennino di un registratore, la variabile spostamento viene in
genere amplificata da un elemento di tipo meccanico e non necessita di ulteriore
conversione.
Per tutti gli altri tipi di strumenti che devono fare parte di un sistema di misura o di
controllo elettronico, lo spostamento o la deformazione deve essere convertito in
un segnale elettrico.
Sono in grado di generare in uscita dei segnali proporzionali alla posizione assunta
da un organo in movimento oppure di eseguire la misura di una lunghezza.
Le informazioni sulla posizione trasmessa possono derivare da misure lineari o
angolari.
Il tipo più usato, per via della robustezza intrinseca, è quello costituito da un sottile
filo metallico di bassa conducibilità (ad esempio: Costantana) avvolto su un
supporto isolante cilindrico o ellittico, come in fig. 1.
Come si vede nel circuito del potenziometro di fig. 2, è richiesta una alimentazione E
di valore costante per avere sul cursore una tensione proporzionale alla sua
posizione.
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Questo tipo di trasduttore è abbastanza economico ed affidabile, presenta in uscita
un segnale sufficientemente ampio, per cui non richiede circuiti
elettronici di amplificazione.
Come svantaggi ha una bassa sensibilità per via del contatto non puntiforme del
pattino sulle spire e richiede una forza non sempre trascurabile per spostare
il cursore. Inoltre non è adatto per spostamenti ciclici, a causa dell'usura delle parti
in contatto.
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Nella scelta di un potenziometro, si devono esaminare le caratteristiche
seguenti:
tipo di spostamento: lineare od angolare.
corsa utile: in cm o gradi (o giri)
linearità: in base alla precisione che occorre.
resistenza: in base al carico da applicare al cursore.
potenza : in funzione della tensione massima da applicare.
tipo di montaggio: a seconda dei supporti utilizzati.
I potenziometri vengono utilizzati anche nel campo motociclistico per un uso da
competizione (ad esempio vengono applicati sulle forcelle fig.3 ) poiché servono a
registrare dati e segnali relativi alla forcella come:
escursione massima e minima della forcella;
frequenza e velocità di scorrimento della forcella;
spostamento nei confronti del tempo ;
spostamento nei confronti dello spazio.
Tramite un software dedicato viene tracciato un grafico con i dati rilevati.
In base all’andamento del grafico (fig.4) è possibile intervenire sul setup della
forcella (compressione e ritorno molla) ottimizzando la tenuta di strada del
motoveicolo e la stabilità in fase frenata.
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Bibliografia
Libri
“Manuale di meccanica”, Luigi Caligaris, Stefano Fava, Carlo Tomasello;
“Manuale di trattamenti e finiture”.
Aziende
Mupo Race Suspension, Federico Bolognini, Gianluca Maselli;
STS group, Denis Romagnoli.
Siti internet
http://www.lgfactory.it/sospensioni.html;
http://www.slas.info/pdf/Spa_in_Italia_disciplina_generale_e_adempime
nti.pdf;
http://www.ing.unitn.it/~colombo/RIVESTIMENTI_DA_FASE_VAPORE/Le
%20applicazioni%20delle%20tecnologie%20PVD.htm;
http://www.navale.unige.it/admin_ccs/db_stores/1165406733.pdf.