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Alice attraverso lo specchio

Letteratura
Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano
13 pag.

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Nel mondo al rovescio solo i controsensi hanno senso e una sola è la
regola: credere all’impossibile. Tra le case di una surreale partita a scacchi
Alice comincia una folle corsa per conquistare la casella finale che la farà
regina del suo mondo incantato e impara poesie facendo un sogno che, alla
fine, non saprà nemmeno se sia suo davvero. Ma prima dovrà aiutare i gemelli
Tweedledum e Tweedledee ad indossare pentole come elmi, dovrà imparare da
Humpty Dumpty, appollaiato su di un muretto, che è tanto più bello ricevere
trecentosessantaquattro regali di non compleanno piuttosto che uno solo di
compleanno, e incontrare il simpatico e dinoccolato cavaliere (giuro: si ride solo
a guardarlo!) che porta in sella al suo brocco una trappola per topi “per ogni
evenienza” e conosce l’arte dell’equitazione che insegna a mantenere
l’equilibrio a testa in giù cadendo continuamente da cavallo. Sarà lui ad
accompagnarla finalmente alla meta, non prima di averle cantato a squarciagola
una strampalata canzone che, nel suo essere sconclusionata, assomiglia alle
poesie e alle storielle ricche di nonsense e giochi di parole che ogni
personaggio incontrato le ha insegnato…

ATTRAVERSO LO SPECCHIO

I – LA CASA DELLO SPECCHIO

Alice si risveglia trovando un gomitolo disfatto. Dina è intenta a lavare la sua gattina bianca,
Bucaneve, quindi la colpevole è l’altra gattina, la nera Kitty. Fuori nevica, e lei va avanti a far
la predica e discorsi vari alla gattina nera. Scorgendo la scacchiera con cui aveva giocato da
sola al mattino, Alice pensa che sarebbe bello se Kitty divenisse la Regina Nera. Ma non sta
ferma e allora la porta davanti allo specchio, minacciandola di farla passare nel paese al di là
dello stesso. E via a raccontarle della Casa dello Specchio. Il “Facciamo finta che” è il gioco
preferito di Alice, ormai ragazza, ma ancora sognatrice… Sarebbe bello se potessero passare
nell’altro mondo. Ed ecco che il desiderio prende forma e lei passa oltre…

Tra le prime cose che scorge ci sono pezzi della scacchiera nella cenere del camino. Tra
questi il Re e la Regina Nera. Dal tavolo giungono invece le urla di un pedone bianco, la
piccola Lily. Alice non viene da loro né vista né udita, ma sposta sul tavolo prima la Regina e
poi il Re… Più tardi apre un libro che può leggere di fronte allo specchio, essendo quello
scritto al contrario. Contiene la poesia di un eroe che uccide uno sconosciuto essere, un
Tartaglione. Non la comprende e allora decide di andare ad esplorare il giardino…

«Ma oh!», pensò Alice, balzando improvvisamente in piedi, «se non mi sbrigo, dovrò tornare
indietro attraverso lo specchio, prima di aver visto com’è il resto della casa! Diamo
un’occhiata al giardino prima di tutto!». (p.135)

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II – IL GIARDINO DEI FIORI PARLANTI

Entrata dunque nel giardino, Alice pensa di poter vederlo meglio raggiungendo la cima della
collina. Imbocca dunque il sentiero che dovrebbe condurla fin lassù, ma ogni tentativo
sembra vano e lei si ritrova sempre di fronte alla casa…

«Potrei vedere molto meglio il giardino», disse Alice tra sé, «se riuscissi ad arrivare in cima a
quella collina: ed ecco qua un sentiero che porta lì dritto dritto, no, veramente proprio dritto
no…»[…]
E così fece: gironzolando in su e in giù, e riprovandoci una volta dopo l’altra, ma ritornando
sempre alla casa, qualunque cosa facesse.

Dopo l’ennesimo fallimento, si rimette in marcia raggiungendo una grande aiuola fiorita con
ai bordi della margherite e al centro un gigantesco salice piangente. Con stupore Alice riceve
risposta da un giglio tigrato che le rivela che tutti i fiori possono parlare (di norma non lo
fanno perché inseriti in morbidi terreni che li tengono in stato di sonno perenne e perché non
trovano mai qualcuno con cui valga la pena di farlo)…

Questa volta ella giunse a una grande aiuola fiorita, con un bordo di margheritine e nel mezzo
un gran salice piangente.
« «Noi possiamo parlare», ribatté il Giglio Tigrato, «quando c’è qualcuno con cui valga la
pena di farlo». (p.136)
«E tutti i fiori possono parlare?». «Esattamente come te», dichiarò il Giglio Tigrato. «E anche
molto più forte». (p.137)
«In molti giardini, spiegò il Giglio Tigrato, «fanno le aiuole di un terreno morbido come un
materasso, sicché i fiori dormono sempre». (p.138)

A poco a poco vari fiori si uniscono alla conversazione (la polemica rosa, la viola e le
margherite), fino all’arrivo di un altro essere vivente, la Regina Nera, cresciuta molto
dall’ultima volta che la ragazza l’ha raccolta dalla cenere. È ora più alta di lei…

Alice girò lo sguardo con grande interesse, e vide che si trattava della Regina Nera. «Ed è
cresciuta un bel po’!», fu la prima osservazione. Era cresciuta davvero: quando Alice l’aveva
trovata per la prima volta tra la cenere era alta soltanto pochi centimetri, e ora eccola lì, alta
mezza testa più di Alice!

Decide di andarle incontro, sebbene la Rosa glielo sconsigli suggerendogli di muoversi in


direzione opposta. Ed infatti la ragazza si allontana anziché avvicinarsi e, ricordandosi di
trovarsi nel regno dello specchio, si muove infine in senso opposto raggiungendola…

«Credo che le andrò incontro», disse Alice[…]


«In questo modo non ci riuscirai assolutamente», dichiarò la Rosa, «io ti consiglierei di
andare dalla parte opposta». […]
Un po’ seccata, tornò indietro, e dopo aver cercato da tutte le parti la Regina finalmente riuscì

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a scorgerla, un bel po’ lontano; allora pensò che questa volta avrebbe provato il sistema di
camminare nella direzione opposta.
La cosa riuscì perfettamente. Non aveva camminato neppure un minuto, che si trovò faccia a
faccia con la Regina Nera, proprio davanti alla collina che aveva tentato invano di
raggiungere.

Giunte in cima alla collina, Alice si accorge con stupore che il paesaggio sottostante è in
realtà un’enorme scacchiera. Le piacerebbe tanto poter giocare, e così la Regina la
accontenta. Potrà essere un Pedone della Regina Bianca, dato che la piccola Lily non sa
giocare. All’Ottava Traversa potrà trasformarsi in Regina, se è quello il suo desiderio…

«Dico io, è diviso proprio come una grande scacchiera!», esclamò alla fine Alice.
«Dovrebbero esserci dei pezzi in movimento da qualche parte… ah, eccoli lì», aggiunse in
tono giubilante, e il cuore le batteva d’eccitazione nel proseguire. (p.140)
Oh, come è divertente! Come vorrei essere una di loro! Non mi importerebbe neppure di
essere una Pedina, se solo potessi giocare con loro[…]
Tu puoi essere un pedone della Regina Bianca, se ti fa piacere, perché Lily è troppo giovane
per giocare: e per cominciare puoi stare nella Seconda Traversa: quando sarai arrivata
all’Ottava Traversa diventerai Regina…» (p.141)

Iniziano a correre perché bisogna farlo per rimanere fermi. Per muoversi c’è invece bisogno
di correre il doppio più svelti…

Proprio in quel momento, in un modo o nell’altro, cominciarono a correre.


«Qui invece, vedi, bisogna correre a più non posso, per restare nello stesso posto. Se vuoi
andare da qualche altra parte, devi correre più svelta almeno il doppio!»

Mentre la povera Alice riprende fiato e mangia un biscotto duro e secco, la Regina le spiega
le regole del gioco e al quinto paletto piantato in terra, come preannunciato, svanisce
lasciandole iniziare il gioco…

Al paletto successivo, la Regina si voltò di nuovo, e questa volta disse: «Parla in francese
quando non ti viene in mente una cosa nella tua lingua; tieni in fuori le punte dei piedi mentre
cammini, e ricordati chi sei!».

III – GLI INSETTI DEL PAESE DELLO SPECCHIO

Mentre si guarda attorno per studiare il paesaggio, Alice scorge in lontananza delle api-
elefante! al lavoro presso giganteschi fiori. Ma, anziché dirigersi verso di loro, decide di
avviarsi in direzione della Terza Casella saltando con un balzo il primo dei sei ruscelletti…

Naturalmente la prima cosa da fare era esaminare bene il paese che avrebbe attraversato.[…]
Però non era proprio un’ape normale: in realtà, era un elefante, come Alice scoprì ben presto,
benché da principio quell’idea la lasciasse senza fiato. «Che fiori enormi devono essere
quelli!».[…]

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«Credo che scenderò giù dall’altra parte», disse dopo una pausa, «e forse potrei andare a
trovare gli elefanti più tardi. E poi desidero tanto andare nella Terza Casella!».
Sicché con questa scusa scese di corsa giù per la collina e scavalcò d’un balzo il primo dei sei
ruscelletti. (p.145)

Alice si ritrova a bordo di un treno dove il controllore le chiede subito il biglietto. Attorno a
lei strani passeggeri e insetti parlanti, fino a che un cavallo avvisa del prossimo salto del
ruscello che li porterà alla Quarta Casella. Spaventata, Alice si aggrappa alla barba del
caprone vicino di posto, ritrovandosi però sotto un albero in compagnia di una zanzara
(divenuta grande come un pulcino) con cui aveva discorso sul treno…

Ma la barba parve sciogliersi appena la toccò, e Alice si trovò seduta tranquillamente sotto un
albero, mentre la Zanzara (che era poi l’insetto con cui aveva parlato sino allora) si dondolava
su un piccolo ramo, facendole vento con le sue alucce. (p.148)

Parlano un po’ degli insetti e la Zanzara mostra ad Alice i pittoreschi omologhi di quelli da
lei citati, frutto di giochi di parole (Mosca Cavalluccio; Libellula Natalizia; Farfalla Pane-e-
Burro). Dopo l’ennesimo gioco di parole legato all’eventuale perdita del nome (to miss) che
non piace ad Alice, la Zanzara se ne va. Alice fa ben presto altrettanto ritrovandosi poco dopo
in un campo aperto con un bosco ai lati. Ed in esso, il temibile bosco in cui le cose non hanno
nome, si addentra accorgendosi poco dopo di aver dimenticato il nome di tutto, compreso il
proprio.

Si trovò ben presto in un campo aperto, con un bosco sul lato opposto: sembrava molto più
scuro del bosco precedente, e Alice provò un po’ di ritrosia al pensiero di entrarvi. Però poi,
dopo averci riflettuto un momento, decise di andare avanti: «Perché indietro non voglio
tornare assolutamente», pensò tra sé, e questa era certo la sola maniera di arrivare all’Ottava
Casella.[…] (pp.150-151)
«Questo», disse pensosamente tra sé, «dev’essere il bosco in cui le cose non hanno nome.[…]
E adesso, chi sono io? Voglio ricordarmene davvero, se posso! Sono decisa a ricordarmene!»
(p.151)

Giunge improvviso un cerbiatto che le domanda come si chiami. Lei non sa rispondere e
chiede a sua volta come si chiami lui. L’animale la invita allora a seguirlo e, giunti in una
radura, entrambi recuperano la memoria. Lì si separano, data la paura dei cerbiatti per i
cacciatori umani. Di fronte a due cartelli che indicano la medesima direzione, Alice si dirige
nuovamente verso il bosco dove altri cartelli indirizzano il viandante nella stessa direzione, la
casa del Tuiodeldum e del Tuideldì…

«E adesso, quale di questi cartelli indicatori dovrò seguire, io mi domando?»


Non era molto difficile rispondere a quella domanda, dato che c’era un’unica strada
attraverso il bosco, e tutti e due i cartelli indicavano quella.[…]
[…]Andò sempre avanti, per un pezzo, ma dovunque la strada si biforcava c’erano

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invariabilmente due cartelli che indicavano la medesima via; su uno era scritto ALLA CASA
DEL TUIDELDUM, e sull’altro ALLA CASA DEL TUIDELDÌ. (p.153)

Continuando ad avanzare parlando tra sé, Alice giunge infine al cospetto di due grassi
ometti…

Così seguitò ad andare avanti, parlando tra sé mentre camminava, fino a che, a una brusca
svolta, si imbatté in due ometti grassi, così all’improvviso che non poté fare a meno di
indietreggiare[…]

IV – TUIDELDUM E TUIDELDÌ p.154

Sotto un albero, immobili, ecco dunque Tuideldum e Tuideldì, riconoscibili per via delle
lettere incise sui colletti delle camicie…

Stavano ritti in piedi sotto un albero, ciascuno con un braccio attorno al collo dell’altro, e
Alice seppe immediatamente qual era l’uno e qual era l’altro, perché uno dei due aveva
ricamato sul colletto DUM, e l’altro DÌ. (p.154)
«Stavo pensando», disse Alice molto gentilmente, «qual è la via migliore per uscire da questo
bosco: si sta facendo così buio! Vorreste dirmelo, per piacere?». (pp.154-155)

Un po’ antipatici e infantili, i due fratelli non dicono ad Alice come fare per allontanarsi dal
bosco. Dopo essersi stretti la mano e aver giocato a girotondo, elusa nuovamente la richiesta
di Alice, Tuideldì si cimenta nella recitazione della lunga poesia Il tricheco e il carpentiere.
Durante i commenti Alice ode un rumore. È il Re Nero che russa e a vederlo la conducono.
La prendono poi in giro dicendole di non svegliarlo perché lei è una creatura dei suoi sogni…

Qui si fermò piuttosto spaventata, nell’udire qualcosa che parve al suo orecchio molto simile
a una grossa locomotiva nel bosco vicino[…]
«È soltanto il Re Nero che russa», disse Tuideldì.
«Vieni a vederlo!», gridarono i fratelli, e presa per mano Alice la condussero dove il Re stava
dormendo.[…]
Diamine, tu sei solo una specie di personaggio nel suo sogno!. «Se quel Re là dovesse
svegliarsi», aggiunge Tuideldum, «tu spariresti – bang! – proprio come una candela!».
(p.159)

Tuideldì le mostra poi un sonaglio nuovo rotto da Tuideldum. I due devono quindi duellare e
lei è incaricata di cucire e sistemare le armature (coperte, cuscini) e di assistere alla loro
tenzone. Ma l’arrivo del temibile Corvo Nero li fa fuggire. Alice si rifugia sotto un albero
dove svolazza uno scialle…

«È il corvo!», esclamò Tuideldum con voce acuta e piena di spavento; e i due fratelli se la
diedero a gambe e furono fuor di vista in un attimo.
Alice corse un po’ per il bosco, poi si fermò sotto un grande albero. (p.163)

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V – LANA E ACQUA p.164

Alice afferra lo scialle e lo porge alla sopraggiungente Regina Bianca, che deduce esserne la
legittima proprietaria, aiutandola a indossarlo…

Così dicendo afferrò lo scialle, e si guardò attorno in cerca della proprietaria: un istante dopo
la Regina Bianca giunse di corsa attraverso il bosco, con tutte e due le braccia spalancate
come se volasse, e Alice molto educatamente le andò incontro con lo scialle. (p.164)

Tra le due principia una discussione nel corso della quale la sovrana le spiega che lì si vive
nel passato e nel futuro, di entrambi i quali resta memoria. Può di fatto prevedere il futuro e
infatti inizia a strillare per una puntura al dito, su cui ha posto un cerotto, che si procura poco
dopo tentando di riallacciare lo scialle con una spilla…
Più tardi un colpo di vento fa volare lo scialle oltre un ruscello al di là del quale passa anche
Alice…

Mentre parlava le si era riaperta la spilla, e un improvviso soffio di vento portò lo scialle della
Regina al di là di un piccolo ruscello. […] «Allora spero che il suo dito stia bene adesso»,
disse Alice molto cortesemente, nel traversare il piccolo ruscello per seguire la Regina.
(p.167)

Ma Alice si ritrova in una bottega dove la commessa è una pecora (in essa si è dunque
trasformata la regina?) intenta a ricamare…

Guardò la Regina, e le parve che si fosse improvvisamente avvolta nella lana.[…]


E quella era davvero… era davvero una pecora, che stava seduta dietro la cassa? […]
[…]di fronte a lei c’era una vecchia Pecora, seduta in un seggiolone a far la calza, che di
quando in quando alzava gli occhi per guardarla attraverso un paio di occhialoni. (p.168)

La Pecora le chiede cosa voglia comprare e così Alice inizia a guardare la merce esposta
negli scaffali, ma ovunque posi lo sguardo gli oggetti cambiano posizione lasciando spazio al
vuoto. La vecchia le lancia dei ferri da uncinetto chiedendole se sappia remare e così…
eccole a bordo di una barca con la Pecora a ricamare e lei a remare. Scorti dei fiori Alice
smette di vogare per coglierli, ma per uno che ne coglie un altro più bello le si para di fronte.
I fiori, frutto di illusione, svaniscono peraltro appena colti…

[…]per quanto cercasse di cogliere un quantità di fiori bellissimi mentre la barca sgusciava in
mezzo a essi, ce n’era sempre uno più carino a cui non si poteva arrivare.[…]
[…]e quelli, essendo fiori si sogno, si scioglievano quasi come la neve, mentre giacevano
ammucchiati ai suoi piedi, ma Alice se ne accorse appena, perché c’erano tante altre cose a
cui pensare. (p.170)

Giochi di parole che lei non capisce, come “prendere un granchio”, ossia il ritmo della
remata…
Ma ecco che si ritrova nuovamente nella bottega dove compra un uovo che deve però andarsi

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a prendere da sola. Cammina e cammina ma quello sembra non avvicinarsi mai, fino a che
passa un ruscello…

[…]perché i remi della barca, e il fiume erano svaniti in un attimo, e lei si trovava di nuovo
nella botteghina buia.
«Mi piacerebbe comprare un uovo, per favore», disse timidamente. «A quanto li vende?»[…]
Più cammino e più l’uovo mi sembra lontano. […]
E adesso ecco qua un piccolo ruscello. (p.172)

VI – HUMPTY DUMPTY p.173

L’uovo diventa sempre più grande rivelando essere la personificazione di Humpty Dumpty,
protagonista di una filastrocca per ragazzi…

Invece, l’uovo si limitò a diventare sempre più grande, e sempre più umano: quando fu
arrivata a pochi passi da lui, Alice vide che aveva gli occhi, il naso e la bocca; e quando gli fu
proprio vicinissima, vide distintamente che era proprio HUMPTY DUMPTY in persona.
(p.173)

Humpty è seduto su un sottile muretto e si offende nel sentirsi definire uovo. Tra i due si
avvia un botta e risposta da cui emergono la puntigliosità e permalosità dell’uovo, in un
continuo cambio di argomento. Humpty si adira ancor di più quando Alice scambia la sua
cravatta per una cinta. Gli è stata donata per il suo non-compleanno (se ne festeggiano 364
con relativi regali…) dal Re e dalla Regina Bianca. Calmatosi, le rivela poi di assegnare alle
parole il significato che vuole, pagandole per il servigio…

Evidentemente Humpty Dumpty era molto in collera, e per un paio di minuti non aprì più
bocca. Quando ricominciò a parlare, fu con un profondo borbottio.
«È una cosa molto offensiva», disse alla fine, «che una persona non riconosca una cravatta da
una cintura!».[…]
«È una cravatta, bambina, ed è molto bella, come dici. È un regalo del Re e della Regina
Bianca, ecco!». […] […]«me la diedero come regalo di non-compleanno».[…] (p.176)
«È una gran bella cosa dare alle parole il significato che si vuole», osservò Alice tutta
pensierosa.
«Quando faccio fare a una parola un lavoro simile», spiegò Humpty Dumpty, «le pago
sempre lo straordinario». (p.177)

Su richiesta di Alice spiega poi il significato dell’inizio della poesia Il Tartaglione, da lei letto
nel libro al rovescio. Poi le recita una poesia, al termine della quale le dice addio. Alice
aspetta un po’, poi saluta riprendendo il cammino. Ma un terribile fracasso scuote l’intera
foresta…

Ma non finì la frase, perché proprio in quel momento un gran fracasso scosse tutta la foresta
da un’estremità all’altra. (p.182)

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VII – IL LEONE E L’UNICORNO p.183

Ecco passare di fronte all’attonita Alice strampalati soldati e cavalli. Si rifugia dietro un
albero, poi riprende la marcia fino ad arrivare in uno spiazzo dove siede il Re Bianco, intento
a scrivere sul suo taccuino, in attesa del ritorno di uno dei due Alfieri…

Alice si rifugiò dietro un albero, per timore di essere travolta, e rimase lì a guardarli.[…]
La confusione diventava sempre più grande, e Alice fu molto contenta di uscire dal bosco in
uno spiazzo scoperto, dove trovò il Re Bianco seduto per terra, tutto affaccendato a scrivere
nel suo taccuino. (p.183)

Gli alfieri sono Aiga, che sopraggiunge con le sue pittoresche mosse, e Atta. Affannato e
smorfioso, Aiga passa al re dei panini che lo placano. Poi gli comunica che lo scontro tra il
Leone e l’Unicorno, quelli della filastrocca per bambini, è ripreso. Il Re propone di andarli a
vedere…

In quel momento l’Alfiere arrivò: era assolutamente troppo sfiatato per pronunciar parola, ed
era in grado soltanto di sventolare le mani e di fare le più spaventose boccacce al povero Re.
[…]
«Tu mi spaventi!», disse il Re. «Mi sento svenire… Dammi un panino con l’Anitra!» (p.184)
«Chi è che ha ricominciato da capo?», si azzardò a domandare.
«Diamine, il Leone e l’Unicorno, naturalmente», disse il Re.
«A combattere per la corona?».
«Sì, proprio così», spiegò il Re. «E quello che è peggio, è che si contendono sempre la mia
corona! Andiamo a vederli». (p.185)

Durante la corsa Alice prova a fare domande, ma fermarsi non è consentito e così è costretta a
tacere fino a che giungono sul luogo dello scontro…

[…]finché giunsero in vista di una gran folla, in mezzo alla quale il Leone e l’Unicorno
stavano lottando. (p.186)

Quando Aiga e Atta porgono loro fette di pane bianco e nero, lo scontro ha termine. Poi Atta,
su ordine del Re, va a dar l’ordine ai tamburi di iniziare a rullare. Poco dopo l’Unicorno,
passando davanti ad Alice, chiede di che mostro fantastico si tratti. È un’umana, le risponde
Aiga, che tira poi fuori una torta. Ma ecco giungere il Leone, e anch’esso chiede chi sia
Alice…

«È un mostro favoloso!», gridò l’Unicorno, prima che Alice potesse rispondere. (p.188)

A lei il Leone assegna il compito di tagliare la torna in fette, ma, sulle rive del ruscello su cui
si è seduta con l’enorme piatto, Alice non ci riesce. Le fette tagliate si riuniscono sempre.
L’unicorno le spiega allora che deve girare e così riesce nel compito assegnatole. Al Leone
distribuisce però doppia razione, mentre per lei resta nulla. L’unicorno protesta, ma ecco che
un frastuono si propaga nell’aria ad opera dei tamburi. Con un balzo Alice salta il ruscello…

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«Ho già tagliato parecchie fette, ma si riuniscono sempre!». «Tu non sai maneggiare le torte
del paese dello specchio», osservò l’Unicorno. «Prima falla girare, e poi tagliala».[…]
Balzò in piedi e, piena di terrore, superò con un salto un ruscelletto. (p.189)

VIII – «È UNA MIA INVENZIONE» p.191

Poco dopo il silenzio svanisce ed Alice si ridesta con ai piedi il piatto della torta: non ha
dunque sognato…

Dopo un po’ il rumore parve svanire gradualmente, finché tutto fu un profondo silenzio, e
Alice alzò il capo un po’ spaventata.[…]
Tuttavia ai suoi piedi giaceva ancora il gran piatto su cui aveva cercato di tagliare la torta.
«Allora non ho sognato, dopo tutto». (p.191)

Ma ecco il grido di un cavaliere nero che la prende prigioniera. Ma subito dopo giunge un
cavaliere bianco, ancor più goffo del precedente, che avvia una sfida per liberare Alice
(pedone bianco)…

In quel momento i suoi pensieri furono interrotti da un forte grido di «Ohé! Ohé! Scacco!», e
un Cavaliere in un’armatura nera venne verso di lei al galoppo, brandendo una grande mazza.
Appena la raggiunse, il cavallo si fermò all’improvviso: «Sei mia prigioniera!», gridò il
Cavaliere, mentre ruzzolava da cavallo.[…]
Questa volta era un Cavaliere Bianco. Arrivò al fianco di Alice, e ruzzolò giù da cavallo
proprio come aveva fatto il Cavaliere Nero[…]
«Bene, dovremo combattere per lei, allora», disse il Cavaliere Nero[…] (pp.191-192)

Lo strano e comico combattimento ha dunque inizio e si conclude con la vittoria del


Cavaliere Bianco. Il Nero riparte dopo aver stretto la mano al collega Bianco…

«Lo faccio sempre», disse il Cavaliere Nero, e cominciarono a menar colpi l’uno contro
l’altro con tale furia che Alice si rifugiò contro un albero per esser fuori di portata.[…]
Sembrava che un’altra Regola di Combattimento, che Alice non aveva notato, fosse di cadere
sempre sulla testa, e il combattimento terminò quando caddero tutti e due in quel modo, uno a
fianco dell’altro: quando si rialzarono, si strinsero la mano, poi il Cavaliere Nero risalì a
cavallo e se ne andò al galoppo. (p.192)

Il Cavaliere Bianco rivela ad Alice di aver ricevuto l’incarico di scortarla fino alla fine del
bosco. Superando poi da sola l’ultimo ruscello potrà diventar regina…

«E lo sarai, quando avrai attraversato l’ultimo ruscello», disse il Cavaliere Bianco. «Ti
scorterò sana e salva fino alla fine del bosco, e poi dovrò tornare indietro, sai! Oltre non
posso andare». (p.192)

Il viaggio ha inizio. Alice avanza a piedi, mentre il cavaliere resta in groppa al cavallo, o
meglio, vi cade ripetutamente in avanti, indietro e di lato. L’equino è peraltro pieno di oggetti

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che il buffo Cavaliere raccoglie strada facendo con la scusa che potrebbero poi servirgli in
futuro (ha perfino un alveare e una trappola per topi!). E così anche il piatto di Alice finisce
nella sua sacca…

Ogni volta che il cavallo si fermava (cosa che in genere faceva molto spesso) il poveretto
cadeva a faccia avanti; e ogni volta che si rimetteva in movimento (cosa che in genere faceva
piuttosto bruscamente), cadeva giù all’indietro. Salvo questo andava avanti abbastanza bene,
a parte il fatto che aveva l’abitudine di cadere di tanto in tanto da un parte o dall’altra; e dato
che generalmente cadeva dalla parte in cui camminava Alice, ella scoprì ben presto che il
sistema migliore era di non camminare troppo vicino al cavallo. (p.194)

Alice gli fa notare che forse gli manca un po’ di pratica, ma l’altro nega e, cadendo
ripetutamente, le mostra comicamente la sua maestria…

«Moltissima pratica!», continuò a ripetere per tutto il tempo che Alice impiegò per rimetterlo
in piedi. «Moltissima pratica!».
«Ma è una cosa troppo ridicola!», esclamò Alice, che questa volta perdette completamente la
pazienza.» Dovrebbe avere un cavallo di legno a rotelle, ecco quello che dovrebbe avere!».
(p.195)

Mentre il Cavaliere racconta di strampalate invenzioni impossibili da mettere in pratica,


eccoli giunti al limitare del bosco. Devono separarsi ma, vista Alice perplessa (per la storia di
un assurdo budino da lui inventato e mai preparato), l’uomo decide di narrarle una canzone:
Seduto su un cancello…

[…]E qui debbo lasciarti. Infatti erano appena arrivati alla fine del bosco. Alice aveva un’aria
piuttosto perplessa: seguitava a pensare al budino. «Tu sei triste», disse il Cavaliere in tono
ansioso. «Lascia che ti canti una canzone per confortarti». (p.197)

Terminata la declamazione, il Cavaliere dà le ultime istruzioni sul percorso ad Alice, alla


quale chiede di guardarlo andar via e di salutarlo da lontano con un fazzoletto bianco per
dargli coraggio. Alice fa quanto richiestole, poi riprende la marcia e, saltato il ruscello,
raggiunge finalmente l’Ottava Casella…

«Hai solo pochi metri da fare», disse, «giù per la collina e oltre quel ruscelletto, poi sarai
Regina. Ma vuoi restare prima qui a vedermi andar via?»[…] Ti dispiacerebbe aspettare e
sventolare il fazzoletto quando svolterò quella curva? Credo che questo mi darebbe coraggio,
sai». […]
Così si scambiarono una stretta di mano, poi il Cavaliere si avviò cavalcando lentamente
verso la foresta.[…]
Dopo il quarto o quinto capitombolo arrivò alla svolta, e allora lei gli sventolò il fazzoletto, e
aspettò fino a che non fu scomparso al suo sguardo. (p.202)
«E adesso, all’ultimo ruscello, così sarò Regina! Come suona bene!». Altri pochi passi la

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portarono presso un ruscello. «L’Ottava Casella, finalmente!», gridò nel superarlo con un
salto. (p.202)

Si ritrova su un morbido prato con in testa una corona…

E si ritrovò distesa su un prato morbido come il muschio, con piccole aiuole fiorite sparse qua
e là. «Oh, come sono contenta di essere qui! E che cosa ho sulla testa?»[…] Era una corona
d’oro. (p.202)

IX – ALICE REGINA p.203

Alice si alza, un po’ impacciata per via della corona, poi si ridistende accorgendosi della
presenza delle due Regine. Queste le dicono che diverrà regina solo dopo aver superato un
esame…

Così si alzò e si mise a camminare qua e là, un po’ rigida da principio, perché aveva paura
che le cadesse la corona[…]
Tutto accadeva in modo così strano, che non fu affatto spaventata nel trovare la Regina
Bianca e la Regina Nera sedute vicino a lei, una per parte[…]
Non puoi essere una Regina, sai, finché non avrai passato gli esami del caso. E più presto
cominceremo, meglio sarà. (p.203)

Le due sovrane iniziano quindi a tempestarla di strane domande, fino a che la Regina Bianca
si dichiara stanca e quella Nera insegna ad Alice una ninna nanna con la quale prima si
addormenta la Bianca e poi la stessa Nera. Alice non sa che fare con le due Regine sul
grembo, ma ecco che il loro russare si trasforma in musica e lei si ritrova al cospetto di un
portone sormontato da un arco che reca la scritta “Alice Regina”…

Un minuto dopo tutte e due le Regine erano profondamente addormentate, e russavano forte.
[…]
Il russare diventava sempre più distinto, e sembrava quasi simile a una musica[…]
Si trovò in piedi davanti a un portone sormontato da un arco, su cui erano scritte a gradi
lettere le parole ALICE REGINA[…]

Non sa a quale campanello suonare e un servitore dalla testa di becco fa capolino dicendole
che non si può entrare fino alla settimana dopo la prossima. Ma lei è la Regina, deve pur
entrare, pensa Alice. Ma nessuno risponde al suo suonare e bussare fino a che un vecchio
Ranocchio, alzatosi e raggiuntala, inizia strani discorsi. Poi, colpita la porta con una delle
enormi scarpe, si allontana e la porta si apre…

Alice bussò e suonò invano per un bel po’, ma alla fine un vecchissimo Ranocchio, che stava
seduto sotto un albero, si alzò e arrancò lentamente verso di lei; era vestito di un bel giallo
lucente, e aveva delle scarpe enormi. (p.208)
Poi si avvicinò e diede un calcio alla porta con uno dei suoi piedoni.[…]
In quel momento la porta si spalancò[…] (p.210)

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Alice entra e la canzone intonata all’interno della casa cessa. Una cinquantina di strani ospiti,
per lo più animali, occupa i posti del banchetto, al cui tavolo d’onore siedono le due Regine.
Alice va ad occupare il posto libero tra le due, poi viene continuamente ripresa per presunta
mancanza di buone maniere (per voler affettare un cosciotto di montone parlante e per aver
tagliato una fetta di torta fatta portare via dalla Regina Nera poco prima). Le propongono un
indovinello, poi accade di tutto in una baraonda e un caos crescenti ed inenarrabili…

«Farei meglio a entrare immediatamente!», ed entrò, e nel momento in cui apparve si fece un
silenzio di morte.
Alice diede nervosamente un’occhiata alla tavola, mentre camminava per la gran sala, e notò
che c’erano circa cinquanta ospiti d’ogni sorta: alcuni erano animali, altri uccelli, e c’erano
persino dei fiori. […]
C’erano tre sedie a capotavola: due le avevano già occupate la Regina Nera e la Regina
Bianca, ma quella di mezzo era vuota. Alice ci si mise a sedere, piuttosto avvilita da quel
silenzio e desiderando che qualcuno parlasse. (p.211)
E poi (come ebbe a raccontare Alice in seguito) in un attimo accadde ogni sorta di cose.
(p.213)

Si volta e in luogo della Regina Bianca trova il gaudente Cosciotto di Montone. Invitati nei
piatti, pentole e piatti in volo…

In quel momento udì una risata al suo fianco, e si vole per vedere che cosa stesse succedendo
alla Regina Bianca; ma, invece della Regina, nella sedia c’era a sedere il cosciotto di
montone. (p.213)
Non c’era un minuto da perdere. Già parecchi invitati giacevano nei piatti, e il mestolo della
zuppiera camminava sulla tavola avviandosi verso la sedia di Alice e con impazienza le
faceva cenno di andarsene da lì. (p.214)

Alice è infastidita dal caos e, agguantata la Regina Nera, rimpicciolitasi nel frattempo, che
ritiene la responsabile di tutto ciò, le promette di scuoterla fino a trasformarla in un gattino…

«Non poso sopportare ancora delle cose di questo genere!», gridò la bambina balzando in
piedi, e afferrò la tovaglia con tutte e due le mani: una bella strappata, e vassoi, piatti, invitati
e candele andarono a rovesciarsi tutti insieme in un mucchio sul pavimento. […]
Ma la Regina non era più accanto a lei; si era improvvisamente rimpicciolita alla grandezza
di una bamboletta, e adesso era sulla tavola, e correva tutta allegra torno torno al suo scialle
che si trascinava dietro.[…]
«[…]Quanto a te», ripeté, impadronendosi della minuscola creaturina proprio mentre stava
per saltare su una bottiglia che per caso era rimasta ritta sulla tavola, io ti scuoterò fino a farti
diventare un gattino; sì, proprio!».

X – SCOSSE

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La tolse dalla tavola mentre parlava, e cominciò a scuoterla avanti e indietro con tutte le sue
forze.
La Regina Nera non fece alcuna resistenza; solo la sua faccia diventò molto piccola e i suoi
occhi verdi e grandi: a mano a mano che Alice seguitava a sbatterla, diventava sempre più
corta, e sempre più grassa, e più morbida, e più rotondetta, e…

XI – RISVEGLIO p.216

… Ed era proprio un gattino, dopo tutto. (p.216)

XII – CHI L’HA SOGNATO? p.217

Alice si ridesta nel mondo reale, dando la colpa del risveglio alla piccola Kitty, cui prova a
far confessare di esser stata sempre con lei nel sogno in qualità di Regina Nera…

E voi, chi credete che fosse?

Navigava un bastimento,
prora dritta, vele al vento,
per il mar, tutto contento.
E tre bimbe entusiasmate, con le bocche spalancate,
mi sentian parlar di fate.
Oggi il sole è impallidito,
quel ricordo si è smarrito […] (p.218)

Quel paese spesso agogno:


la vita che cos’è, se non un sogno? (p.219)

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