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Oggetto di questo lavoro sono le domande che iniziano con “ma” o con
“e”. Come è tipico dell’analisi della conversazione, i turni e i loro compo-
nenti non saranno considerati a partire da ipotetici usi standardizzati o con-
venzionali, ma dando priorità e autonomia alla forma in cui sono rinvenibili
nel parlato, identificandone il senso e la funzione all’interno del contesto
sequenziale pertinente. L’incontro tra discipline promosso dall’analisi della
conversazione, a cui Franca Orletti ha aperto la strada in Italia, si avvera
proprio sul terreno della valorizzazione del parlato e della disponibilità a
lasciarsi sorprendere dal linguaggio quotidiano.
In particolare, i due tipi di domande di cui si parlerà saranno discussi nel
quadro del contributo a una teoria operativa della conoscenza, o epistemica,
ambito di studio che è anche parte degli interessi di Franca Orletti (1995);
obiettivo è mostrare come la cognizione in vivo, realizzata attraverso il par-
lato in interazione, sia una funzione dinamica su cui gli interlocutori opera-
no attraverso continui interventi di monitoraggio, indirizzamento, ripara-
zione e messa in evidenza.
Vediamo dunque un esempio per ciascun tipo di domanda che trattere-
mo qui. Come per la totalità degli esempi usati nel capitolo, questi estratti
provengono da due corpus di telefonate.
(1) Rosa, Daniele
29
(2) Franco, Rosa
1. ((squillo))
2. Ro pronto
3. (.9)
4. Fr chi è:?
5. (.4)
6. Ro sò Rosa
7. Fr a Rò:
8. Ro [dimmi
9. Fr [se-
10. (.)
11. Fr → ma Paolo?
12. Ro .h eh: Paolo sta giù al bar.
1. Le domande in “e”
Le domande che cominciano per “e” sono state descritte anche per la
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lingua inglese, nel corso di interazioni istituzionali largamente basate su
domande (ad esempio, interviste di infermiere a neo-madri, oppure interro-
gatori in tribunale: Heritage, Sorjonen, 1994). In Heritage e Sorjonen, le
domande “and-prefaced” segnalano ciò che gli autori chiamano un “ritorno
all’agenda”: le infermiere che visitano le neo-madri a casa fanno una serie
di domande di routine, parte delle quali sono anche contenute in un modulo
su cui vengono annotate le risposte della persona visitata. Durante queste
interazioni, tuttavia, possono esserci domande non prescritte, oppure può
succedere che una domanda dia luogo a uno scambio che si prolunga per
qualche turno; quando l’infermiera torna alla propria agenda istituzionale e
al proprio formulario di questioni, tipicamente si presenta una domanda che
inizia con “and” (ad esempio: “And this is your first baby” oppure “And you
had a normal pregnancy / Yeah / And normal delivery”; adattato da Herita-
ge, Sorjonen, 1994). “And” segnala dunque, da un lato, che la domanda si
riconnette a un’attività sovraordinata e, dall’altro, che è svincolata dal par-
lato immediatamente precedente (per esempio non è una domanda che sor-
ge dall’ultima risposta della neo-madre). Nello stesso lavoro, sono citati da-
ti tratti da interrogatori giudiziari che mostrano lo stesso andamento. Nevile
(2006: 279) trova un’organizzazione simile per i turni (non interrogativi)
che iniziano con “and” nell’interazione tra piloti di aereo: “By and-
prefacing their talk, pilots present some new talk or task as connected and
relevantly next in a larger macro-sequence of work for their flight”.
In nessuno dei lavori citati viene invece citato l’uso – o una consapevo-
lezza da nativi – di funzioni polemiche dell’“and” iniziale. Heritage e Sor-
jonen mostrano però che il formato “domanda di routine” può essere usato
strategicamente, per neutralizzare altre possibili letture, ad esempio in chia-
ve critica, della domanda stessa. Questa possibilità di sfruttare il funziona-
mento sequenziale della domanda ad altri scopi apre nel caso dell’italiano,
come si vedrà, a una ampia gamma di possibilità. In quanto segue dunque
cercheremo di mostrare come il rimando all’attività subordinata sia un caso
di una operazione più generale innescata da questo connettivo.
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le caratteristiche del servizio”
(3) Andrea, Toni
L’uso appena descritto però non appare il più diffuso o standard. Nei
due esempi successivi, uno dei quali abbiamo già incontrato nell’intro-
duzione, le domande in “e” non si inscrivono in una serie di domande che
hanno origine in una attività sovraordinata, ma sono determinate da un’in-
comprensione relativa a qualche aspetto del turno precedente dell’inter-
locutore.
(4) [FP C4 4 T6] Rosa, Daniele
32
5. =io ho mangiato.
6. (.4)
7. Ro hai mangiato=tu?
8. Dan sì!
9. Ro → ↓e che te sei mangia:to?
10. (0.4)
11. Dan >la carne che è avanzata da ieri<
12. (.2)
[...]
13. Ro → ehh. (.) la carne sola che ce fai.
33
turno del ricevente e che segnala un problema con quanto appena udito ri-
spetto alle conoscenze possedute fino a quel momento. Da un punto di vista
sequenziale, gli esempi 3 e 4 sono simili alle riparazioni in terza posizione,
o “dopo il prossimo turno” (Schegloff, 1992), in quanto inducono il parlan-
te precedente ad aggiungere informazioni che “aggiustino” un problema di
comprensione legato all’ultimo turno emesso in risposta ad una domanda
del parlante attuale. Non sempre l’interlocutore però, pur essendo in grado
di rispondere, ha elementi per comprendere l’origine del problema segnala-
to dalla domanda in “e”. La pausa di Daniele alla riga 10, dopo la richiesta
della moglie, segnala proprio l’incertezza rispetto al senso di quell’in-
dagine. Per questo motivo, spesso chi pone la domanda in “e”, una volta
ottenuta una risposta, svela l’origine del problema (cfr. es. 3 “ehh. (.) la
carne sola che ce fai.” ed es. 4 “ah è rimasta a ca:sa.”). Le giustificazioni
post-hoc del problema segnalato dalla “e” (che troveremo anche a seguito
delle domande in “ma”), fanno pensare che queste siano marcate per gli in-
terlocutori e che pertanto i parlanti tendano a fornire accounts rispetto al
loro uso.
Cosa hanno dunque in comune le domande in “e” del tipo “ritorno
all’agenda” con queste richieste di chiarimento? Come già anticipato, si
tratta del lavoro che fanno sulla propria origine come domande, il quale a
sua volta provoca effetti sulla connessione sequenziale con il turno prece-
dente. Anche le domande in “e” di chiarimento, infatti, sono rivolte all’in-
dietro, connesse (è qui che viene sfruttato il valore di congiunzione della
“e”) a un momento antecedente il più recente sviluppo sequenziale. Se le
domande di routine semplicemente si svincolano dall’ultimo turno o topic,
segnalando che una sottoattività è conclusa e che con la domanda in “e” si
torna indietro a un livello di attività condiviso (ad esempio, finisce la sotto-
attività legata al prezzo dell’abbonamento telefonico e comincia quella le-
gata all’installazione del modem, entrambe parte dell’attività generale di
richiesta di informazioni sul servizio), le domande di chiarimento1 indicano
che “non si può procedere oltre” rispetto al punto in cui ci si trova ma è ne-
cessario un passo indietro, una verifica rispetto allo stato di conoscenze
condiviso prima del disturbo che l’ultimo turno vi ha apportato.
Queste considerazioni già ci fanno intravedere il livello epistemico della
questione: i parlanti usano lo stesso dispositivo per gestire i legami sequen-
ziali e per segnalare squilibri tra informazioni nuove e stati di conoscenze
1
Non essendo in serie, le domande di chiarimento non possono essere confuse con le
prime e interpretate come legate ad un’agenda: la domanda di routine presuppone una prima
domanda senza “e” iniziale che dia il via alla serie.
34
precedenti. Si fa riferimento a un certo stato di conoscenza precedente (ad
esempio, il fatto che Carla non può lasciare sola la figlia) allo stesso modo
con cui si torna al livello sovraordinato di attività che gli interlocutori stan-
no condividendo a un momento dato (ad esempio, “siamo all’interno di uno
scambio di informazioni sul servizio telefonico”). In altre parole, la “e” fa
scorrere all’indietro il nastro della storia interattiva dei partecipanti, susci-
tando nel ricevente o il ritorno all’agenda o una revisione di quanto detto
alla luce di una possibile contraddizione rispetto alla conoscenza che ha in-
sieme al parlante. La forma di intersoggettività dinamica che gli analisti
della conversazione hanno teorizzato e dimostrato tramite una varietà di fe-
nomeni trova qui una sua ulteriore specificazione.
35
L’interazione riguarda un problema finanziario su cui Emma, nipote di
Daniele e sua commercialista, lo sta consigliando. La domanda di Daniele
(rr.4-5), che esprime un dubbio circa il perseguire legalmente alcuni debito-
ri, viene contrastata dalla domanda in “e” con un effetto che fa sembrare
illogica l’alternativa, e quindi mal posta la domanda (da cui il senso di leg-
gera polemica o opposizione)2. La domanda in “e” viene trattata come una
chiara espressione di una certa posizione, a cui il turno successivo si allinea
con la posizione espressa. Daniele infatti con il suo “direi di si” non rispon-
de alla domanda retorica della nipote ma alla propria, allineandosi con
Emma sulla sua valutazione del da farsi.
Nell’estratto successivo è invece Daniele a pronunciare la domanda in
“e”, a seguito dei dubbi di Emma sull’opportunità che lo zio affronti la sera
stessa in automobile il viaggio necessario per portarle un documento.
(7)[FP C4 T14] Daniele, Emma.
2
Come si vede, la domanda arriva dopo l’inizio del turno di Emma che contiene la rispo-
sta, già con una “e” finale. Questa non è pertinente ai nostri scopi qui, visto che comunque
non elimina il bisogno della “e” nella domanda che affiora nella seconda parte del turno, ma
si può notare in passim come il funzionamento sia il medesimo.
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pensi anche al proverbiale e idiomatico ‘e che ne so’). La continuità con le
forme analizzate sopra, e in particolare con la domanda di chiarimento,
consiste nel fatto che in questa funzione la domanda in “e” arresta la pro-
gressione della sequenza, implica una revisione del ricevente rispetto al
proprio ultimo turno, e fa appello a presupposizioni condivise. Il livello di
conoscenza condivisa verso cui la domanda in “e” punta in questo caso è di
tipo generale, ovvero un principio di razionalità o di fattualità (ad esempio,
nell’estratto 6, l’irrazionalità di regalare soldi al debitore).
L’estratto successivo mostra l’uso a fini umoristici della domanda in
“e”. In questo caso, la valenza oppositiva non interessa l’interlocutrice di-
retta, ma è piuttosto orientata a mettere in luce il carattere inatte-
so/problematico/non plausibile nel comportamento di un terzo:
(8) [EQ] Elisa, Vanessa
2. Domande in “ma”
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Il turno successivo tratta la domanda come una valutazione e si allinea.
Questa coppia adiacente è simile all’ultima che abbiamo visto nel caso del-
le domande in “e”, quella relativa alla mancata telefonata: giungendo al
termine di un turno esteso, la domanda ha funzione di valutazione conclu-
siva, e il ricevente fornisce seconda valutazione (Pomerantz, 1984), anche
qui usando lo stesso connettivo nel proprio turno di affiliazione.
Il secondo esempio illustra invece una lamentela diretta al ricevente,
tramite una domanda in “ma” che ha valenza idiomatica.
I due esempi che seguono mostrano invece domande che sono effettive
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richieste di informazione. L’attacco in “ma” è un indicatore di problemati-
cità che pone la richiesta di informazione in un frame di turbamento rispet-
to ad un’aspettativa. Lo squilibrio segnalato dal “ma” può essere spiegato a
posteriori, una volta che l’informazione richiesta sia stata fornita.
Il “ma” può far parte della domanda che è “motivo della telefonata”
(Schegloff, Sacks, 1973), e contribuire a qualificare la domanda (e la tele-
fonata) come originata da lacune o dubbi da parte del chiamante. In ogni
caso, questa funzione è caratteristica delle domande in “ma” che aprono un
nuovo topic.
(10) [FP C4 T12] Emma, Daniele4
30. Em no te volevo dì
31. → ma- quei c↑o:se,
32. ne hai saputo più niente?
33. Dan no:,
34. Em no:.
[...]
in chiusura:
81. Em → >↑infatti io di:co<
82. mò zio me dirà: me dirà
83. e poi niente è passato il t↑e:mpo
84. dico mo: h::: °°niente, hn::°°
85. °°t’ho: chiamato.°°
Emma, dopo un’unità preliminare (“no te volevo dì” r.30) chiede a Da-
niele con una domanda in “ma” se ha ricevuto alcune notizie che aspettava.
Alla risposta negativa di Daniele la conversazione continua sul tema. Prima
della chiusura della telefonata, Emma giustifica la domanda (e la telefona-
ta). Usando il dispositivo del “pensiero riportato” (Fasulo, 1997), rivela in-
fatti di aver atteso che fosse lo zio a comunicarle dell’avvenuta ricezione
(“io di:co< mò zio me dirà: me dirà”, la ripetizione del “me dirà” ad indica-
re che il pensiero della nipote era corso ripetutamente alla questione), ma di
essersi poi decisa a chiamare perché il tempo passato le sembrava eccessivo
rispetto alle sue previsioni sull’arrivo delle suddette notizie.
L’esempio successivo, già incontrato nell’introduzione, illustra ancora
un esempio di “ma” iniziale che segnala un’incongruenza.
1. ((squillo))
4
La numerazione delle righe è stata mantenuta come nell’originale per indicare la posi-
zione delle due sequenze di interesse all’interno della telefonata.
40
2. Ro pronto
3. (.9)
4. Fr chi è:?
5. (.4)
6. Ro sò Rosa
7. Fr a Rò:
8. Ro [dimmi
9. Fr [se-
10. (.)
11. Fr → ma Paolo?
12. Ro .h eh: Paolo sta giù al bar.
[...]
in chiusura:
31. Ro e mo sta giù:
32. Fr → eh: ma non me rispo:nde,
33. Ro → ah ‘n te rispond- eh no=
34. =perché ce l’ha quassù: il cellula:re.
41
chi ha fatto la domanda evita di chiudere l’incontro lasciandosi dietro l'im-
pressione di un ingiustificato allarmismo. Dunque, se negli esempi “retori-
ci” i parlanti esprimevano con le domande in “ma” una fittizia mancanza di
comprensione rispetto a punti di vista altrui (come in “ma sta gente se rende
conto” o “ma che vuoi”) qui vediamo la forma usata in modo letterale, cioè
per aggiungere a una effettiva richiesta di informazione un valore aggiunti-
vo di stupore, smarrimento, perplessità.
La stabilità della forma trova conferma nell’uso all’interno del discorso
riportato fittizio: incontriamo ancora Emma, che suggerisce nel corso della
stessa telefonata da cui è tratto l’esempio 8, di chiamare la banca e chiedere
informazioni rispetto al mancato arrivo delle notizie attese:
(12) [FP C T12] Emma, Daniele
42
chiusura di telefonata (r. 17) riapre un topic che sembrava esaurito (rr. 1-3).
(13) [FP C4 T27] Vanessa; Daniele
Vanessa telefona a casa dal treno, col cellulare, annunciando il suo immi-
nente arrivo. Il padre le offre di andarla a prendere alla stazione in macchina,
ma Vanessa rifiuta anche se in modo dubitativo. La domanda in “ma” recu-
pera l’offerta in extremis, ritornando al topic dal quale la parlante stessa si era
discostata. L’operazione è condotta formulando la domanda in “ma” e rici-
clando parte dell’enunciato iniziale (cfr. “vengo a piedi”, rr. 6 e 17).
Come si vede all’inizio della sequenza, l’accordo relativo all’appunta-
mento in stazione era stato difficoltoso: Vanessa “offre” al padre di rinun-
ciare al suo accompagnamento nel caso in cui il padre stia già dormendo; il
padre non specifica la propria condizione (non dice se stia dormendo o me-
no) ma chiede alla figlia se vuole che vada a prenderla. La mancata risposta
sul dormire sembra implicare un assenso, e Vanessa rifiuta l’offerta ma la-
sciando nel turno un elemento di incertezza (“che ne so”). Continua poi su
un altro argomento, ed è solo dopo i saluti, cioè quando è esaurito ogni spa-
zio per una spontanea reiterazione dell’offerta da parte del padre, che torna
alla questione con una domanda in “ma” e il parziale riciclaggio di enuncia-
ti precedenti. I due turni di Vanessa in cui era comparsa la frase “vengo a
piedi” avevano entrambi una componente di interrogazione (il primo nel
chiedere “se stai a dormi’”, il secondo con il “che ne so” centrale) ma que-
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ste componenti erano state ignorate; il recupero con la domanda in “ma”
ottiene il seguito desiderato attraverso una più diretta forma di interpella-
zione. A questo punto il padre risponde accettando esplicitamente di andare.
Il “ma” dunque, accompagnato qui da “allora” che è un altro marcatore
di ripresa e continuità, riporta i parlanti a una fase antecedente della se-
quenza, riattivando un turno passato per poi generare quello che avrebbe
potuto esserne una continuazione
Vediamo ancora un caso. Qui un piano che era stato abbandonato viene
riammesso nel discorso quando emerge che una delle parti ci teneva a rea-
lizzarlo.
(14) [EQ T32] Elisa, Vanessa
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“sciopero” preceduto da “(que)sto” riportano dunque lo stato dell’intera-
zione a un momento precedente a quello che Vanessa sembra considerare
un proprio passo falso; nel seguito infatti l’amica propone di tentare ugual-
mente di raggiungere il luogo della dimostrazione. La risposta di Elisa mo-
stra che annunciando lo sciopero aveva inteso effettivamente cancellare il
programma, e che il turno di lamentela evidentemente aveva a che fare con
altri aspetti della risposta dell’amica, plausibilmente per la mancanza di al-
lineamento rispetto all’interesse provato per l’evento.
Le domande in “ma” di questo tipo rivelano con grande chiarezza il ca-
rattere contingente della conversazione (Ford, 2004; Schegloff, 1991). Un
turno di replica ha diverse piste possibili, potendo selezionare ad esempio il
piano dell'azione o quello della valutazione, scegliendo di raccogliere o di
lasciar cadere componenti dubitative di un affermazione e così via. La do-
manda in “ma” appare allora una risorsa per perseguire una seconda opzio-
ne quando la prima direzione intrapresa si sia dimostrata inefficace o abbia
incontrato una reazione negativa nell’interlocutore.
Come si pone questo tipo di domande in “ma” rispetto a quelle prece-
dentemente illustrate? Sebbene si tratti di usi diversi, non necessariamente
posti lungo un continuum di qualche tipo, il carattere comune consiste nel
presentare la domanda come originata in una fase precedente dell’intera-
zione, e in uno stato di accordo intersoggettivo che è stato, in un periodo
interveniente, compromesso. Quando il “ma” è usato nella forma della pro-
testa, la domanda mette in luce la discordanza tra alcuni fatti riportati e al-
cuni assunti che si suppongono condivisi nel campo della moralità o della
razionalità (ad esempio lasciare che i prezzi aumentino, assumere che una
persona ricordi un tragitto avendolo percorso soltanto una volta). L’uso del
“ma” in queste domande retoriche segnala proprio un divario di punti di vi-
sta, e da questo trae la connotazione di valutazione negativa e di protesta.
La domanda in “ma” che segnala un’incongruenza rispetto ad una certa
aspettativa funziona in modo analogo ma rispetto a un contesto di condivi-
sione molto più circoscritto, qualcosa su cui gli interlocutori nella loro par-
ticolare storia interattiva hanno a un certo momento convenuto (l’arrivo di
una certa notizia entro un certo lasso di tempo, il numero di telefono a cui
trovare una persona in certe ore). In questo caso il “ma” a inizio domanda
indica che l’interrogazione scaturisce da uno scarto tra attese condivise ed
eventi verificatisi. Infine, nell’ultimo caso della funzione sequenziale, la
domanda fa tornare ad un punto precedente della sequenza in corso, e quin-
di fa parte dell’intersoggettività operativa degli interagenti. Negli esempi
qui presentati, il punto della sequenza a cui si torna coincide con l’ultimo
turno prima che sia avvenuta una divaricazione nelle prospettive dei parlanti.
L’uso dello stesso dispositivo in questi tre contesti discorsivi ci obbliga
45
di nuovo a notare che i meccanismi della conversazione trattano in modo
analogo contenuti del senso comune, elementi di conoscenza legati al pro-
prio specifico contesto di vita e turni di discorso scambiati appena pochi
secondi prima.
3. Conclusioni
5
Cfr. Hopper (2004) rispetto alle modalità conversazionali di doing being cognitive.
46
i contenuti soggettivi siano parte di un passato comune, qualcosa che è stato
detto e ratificato in una fase antecedente e a cui si può tornare.
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