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L’epistemica debole della conversazione:

quando le domande iniziano con e o con ma


di Alessandra Fasulo

Oggetto di questo lavoro sono le domande che iniziano con “ma” o con
“e”. Come è tipico dell’analisi della conversazione, i turni e i loro compo-
nenti non saranno considerati a partire da ipotetici usi standardizzati o con-
venzionali, ma dando priorità e autonomia alla forma in cui sono rinvenibili
nel parlato, identificandone il senso e la funzione all’interno del contesto
sequenziale pertinente. L’incontro tra discipline promosso dall’analisi della
conversazione, a cui Franca Orletti ha aperto la strada in Italia, si avvera
proprio sul terreno della valorizzazione del parlato e della disponibilità a
lasciarsi sorprendere dal linguaggio quotidiano.
In particolare, i due tipi di domande di cui si parlerà saranno discussi nel
quadro del contributo a una teoria operativa della conoscenza, o epistemica,
ambito di studio che è anche parte degli interessi di Franca Orletti (1995);
obiettivo è mostrare come la cognizione in vivo, realizzata attraverso il par-
lato in interazione, sia una funzione dinamica su cui gli interlocutori opera-
no attraverso continui interventi di monitoraggio, indirizzamento, ripara-
zione e messa in evidenza.
Vediamo dunque un esempio per ciascun tipo di domanda che trattere-
mo qui. Come per la totalità degli esempi usati nel capitolo, questi estratti
provengono da due corpus di telefonate.
(1) Rosa, Daniele

1. Dan se:: quando vieni tu fai tutto te=


2. =io ho mangiato.
3. (.4)
4. Ro hai mangiato=tu?
5. Dan sì!
6. Ro → ↓e che te sei mangia:to?
7. (.5)
8. Dan >la carne che è avanzata da ieri<

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(2) Franco, Rosa

1. ((squillo))
2. Ro pronto
3. (.9)
4. Fr chi è:?
5. (.4)
6. Ro sò Rosa
7. Fr a Rò:
8. Ro [dimmi
9. Fr [se-
10. (.)
11. Fr → ma Paolo?
12. Ro .h eh: Paolo sta giù al bar.

Perché Rosa nell’estratto 1 e Franco nell’estratto 2 antepongono “e” e


“ma” alla loro domanda? In entrambi i casi, si trovano pause all’inizio dei
turni allocati a chi poi farà la domanda, e pause o esitazioni anche in segui-
to alla domanda. Dunque, anche se questa caratteristica non è sempre pre-
sente, siamo qui allertati sulla possibilità che ci sia una certa sfasatura tra i
parlanti o comunque qualche problema che impedisce una progressione
fluida. La risposta immediatamente susseguente ad entrambe le domande
non offre nulla che possa farci capire quale differenza ci sarebbe se la stes-
sa domanda fosse posta senza l’elemento iniziale; come vedremo nel segui-
to del lavoro, però, considerando la sequenza più estesa si osserva che il
connettivo costituisce una componente di significato importante.
Dopo aver raccolto un centinaio di casi tra l’uno e l’altro tipo di doman-
de, ho deciso di trattarle insieme perché, al contrario di quanto la loro fun-
zione interfrasale lascerebbe prevedere, le applicazioni e i significati che
“e” e “ma” a inizio domanda possono assumere sono piuttosto simili.
I due corpus usati per le collezioni sono registrazioni telefoniche delle
telefonate di due famiglie, una residente a Roma e una nel basso Lazio, per
circa sei ore di registrazione ciascuna, negli anni 2004-2005. I partecipanti
sono dunque gli stessi membri delle due famiglie che parlano tra loro, tal-
volta via telefono cellulare, o con componenti della famiglia estesa, con
amici e conoscenti, e in alcuni scambi di servizio.
Entrambi i tipi di domande si trovano facilmente, anche se le domande
in “ma” sono molto più frequenti, e compaiono quasi in ogni telefonata e
spesso con più di un’occorrenza.

1. Le domande in “e”

Le domande che cominciano per “e” sono state descritte anche per la
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lingua inglese, nel corso di interazioni istituzionali largamente basate su
domande (ad esempio, interviste di infermiere a neo-madri, oppure interro-
gatori in tribunale: Heritage, Sorjonen, 1994). In Heritage e Sorjonen, le
domande “and-prefaced” segnalano ciò che gli autori chiamano un “ritorno
all’agenda”: le infermiere che visitano le neo-madri a casa fanno una serie
di domande di routine, parte delle quali sono anche contenute in un modulo
su cui vengono annotate le risposte della persona visitata. Durante queste
interazioni, tuttavia, possono esserci domande non prescritte, oppure può
succedere che una domanda dia luogo a uno scambio che si prolunga per
qualche turno; quando l’infermiera torna alla propria agenda istituzionale e
al proprio formulario di questioni, tipicamente si presenta una domanda che
inizia con “and” (ad esempio: “And this is your first baby” oppure “And you
had a normal pregnancy / Yeah / And normal delivery”; adattato da Herita-
ge, Sorjonen, 1994). “And” segnala dunque, da un lato, che la domanda si
riconnette a un’attività sovraordinata e, dall’altro, che è svincolata dal par-
lato immediatamente precedente (per esempio non è una domanda che sor-
ge dall’ultima risposta della neo-madre). Nello stesso lavoro, sono citati da-
ti tratti da interrogatori giudiziari che mostrano lo stesso andamento. Nevile
(2006: 279) trova un’organizzazione simile per i turni (non interrogativi)
che iniziano con “and” nell’interazione tra piloti di aereo: “By and-
prefacing their talk, pilots present some new talk or task as connected and
relevantly next in a larger macro-sequence of work for their flight”.
In nessuno dei lavori citati viene invece citato l’uso – o una consapevo-
lezza da nativi – di funzioni polemiche dell’“and” iniziale. Heritage e Sor-
jonen mostrano però che il formato “domanda di routine” può essere usato
strategicamente, per neutralizzare altre possibili letture, ad esempio in chia-
ve critica, della domanda stessa. Questa possibilità di sfruttare il funziona-
mento sequenziale della domanda ad altri scopi apre nel caso dell’italiano,
come si vedrà, a una ampia gamma di possibilità. In quanto segue dunque
cercheremo di mostrare come il rimando all’attività subordinata sia un caso
di una operazione più generale innescata da questo connettivo.

1.1 Domande in “e” di “ritorno all’agenda”

Vediamo per prima cosa un caso italiano di ritorno all’agenda, anche se


non istituzionale. La conversazione è tra due giovani amici; il chiamante
chiede informazioni su un servizio di abbonamento telefonico. Nell’estratto
vediamo come le domande che cominciano per “e” interrompono scambi di
approfondimento su una questione particolare e si pongono tutte sullo stes-
so piano da un punto di vista sequenziale, ovvero “ancora una domanda sul-

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le caratteristiche del servizio”
(3) Andrea, Toni

1. An e poi tu:: dalla sera alla mattina


2. puoi chiamare chi te pare
3. e stare al telefono quanto ti pare.
4. capito?
5. To anche interurbane? o no?
6. An anche interurbane, si.
7. To → e quanto paghi?
[...]
8. To → e pagando <quanto>?
[...]
9. To e so: trentamilalire il canone?
[...]
10. To → e l’inculata dov’è? heheh(hh hh)
11. An ah ah ah(hh hh hh) non c’è l’inculata.
12. non c’è.
13. To → e per averlo cosa bisogna fare?
[...]
14. To → e poi te l’attivano subito?

Come si vede, ogni nuova domanda in “e” genera spiegazioni e appro-


fondimenti, esauriti i quali un’altra domanda chiude la sottosequenza tor-
nando all’attività sovraordinata “richiesta di informazioni”. Nel turno 10,
l’effetto comico è realizzato proprio sfruttando questa organizzazione, nel
senso che viene infuso un senso di “normale amministrazione” all’ipotesi
che un prezzo così conveniente nasconda costi aggiuntivi.

1.2 Domande in “e” in funzione riparatoria

L’uso appena descritto però non appare il più diffuso o standard. Nei
due esempi successivi, uno dei quali abbiamo già incontrato nell’intro-
duzione, le domande in “e” non si inscrivono in una serie di domande che
hanno origine in una attività sovraordinata, ma sono determinate da un’in-
comprensione relativa a qualche aspetto del turno precedente dell’inter-
locutore.
(4) [FP C4 4 T6] Rosa, Daniele

1. Ro sc↑aldate le crepes che stanno al f-


2. al frigori:fero,
3. (.2)
4. Dan se:: quando vieni tu fai tutto te=

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5. =io ho mangiato.
6. (.4)
7. Ro hai mangiato=tu?
8. Dan sì!
9. Ro → ↓e che te sei mangia:to?
10. (0.4)
11. Dan >la carne che è avanzata da ieri<
12. (.2)
[...]
13. Ro → ehh. (.) la carne sola che ce fai.

(5) [FP C1 T5] Daniele; Alessia

1. Dan ha:i finito da fa- i gire:tti?


2. Al .hh s::i. oggi
3. n’altra giornata=
4. semo anda:te a Ro:ma cò Carla
5. Dan ehh
6. Al e siamo ritornate che è poco hehehe
7. Dan eh[h
8. Al hgh h h
9. Dan → ↑e Carla a Gra:zia?
10. Al e Grazia l’ha lasciata stamattina
11. co- Dario poi pomeriggio è venuta:
12. la: ma:mma ↑di=Dario mhh
13. (.)
14. Al ↑↑ecco.
15. (0.2)
16. Dan → ah è rimasta a ca:sa.

Nell’estratto 4 l’affermazione di Daniele (“=io ho mangiato”) è seguita,


dopo una breve pausa, da una richiesta di verifica della comprensione da
parte di Rosa (“hai mangiato=tu?”) e poi dalla domanda “e”. La prosecu-
zione della sequenza indica che Rosa non riteneva ci fosse in casa cibo suf-
ficiente (r. 13), e che quindi la domanda non era solo diretta a conoscere il
contenuto del pasto del marito, ma a conoscerlo sullo sfondo di una pre-
conoscenza che il turno del marito aveva contraddetto. Si noti che Rosa
all’inizio della sequenza sta dando istruzioni al marito su cosa può prepa-
rarsi: la sequenza origina proprio sulla base del presupposto che lui non ab-
bia mangiato e che non ci sia niente di pronto oltre alle crepes.
In modo simile, nell’estratto 4, Daniele ha chiesto informazioni ad Ales-
sia sui propri “giretti”, ma la risposta (“semo anda:te a Ro:ma cò Carla”)
rivela che in compagnia di Alessia c’era una persona di famiglia che ha una
bambina piccola. Segue la domanda in “e”, “↑e Carla a Gra:zia?”, che mira
a chiarire come abbia potuto Carla spendere tutta la giornata fuori casa.
Anche questa è dunque una richiesta di chiarimento che origina dall’ultimo

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turno del ricevente e che segnala un problema con quanto appena udito ri-
spetto alle conoscenze possedute fino a quel momento. Da un punto di vista
sequenziale, gli esempi 3 e 4 sono simili alle riparazioni in terza posizione,
o “dopo il prossimo turno” (Schegloff, 1992), in quanto inducono il parlan-
te precedente ad aggiungere informazioni che “aggiustino” un problema di
comprensione legato all’ultimo turno emesso in risposta ad una domanda
del parlante attuale. Non sempre l’interlocutore però, pur essendo in grado
di rispondere, ha elementi per comprendere l’origine del problema segnala-
to dalla domanda in “e”. La pausa di Daniele alla riga 10, dopo la richiesta
della moglie, segnala proprio l’incertezza rispetto al senso di quell’in-
dagine. Per questo motivo, spesso chi pone la domanda in “e”, una volta
ottenuta una risposta, svela l’origine del problema (cfr. es. 3 “ehh. (.) la
carne sola che ce fai.” ed es. 4 “ah è rimasta a ca:sa.”). Le giustificazioni
post-hoc del problema segnalato dalla “e” (che troveremo anche a seguito
delle domande in “ma”), fanno pensare che queste siano marcate per gli in-
terlocutori e che pertanto i parlanti tendano a fornire accounts rispetto al
loro uso.
Cosa hanno dunque in comune le domande in “e” del tipo “ritorno
all’agenda” con queste richieste di chiarimento? Come già anticipato, si
tratta del lavoro che fanno sulla propria origine come domande, il quale a
sua volta provoca effetti sulla connessione sequenziale con il turno prece-
dente. Anche le domande in “e” di chiarimento, infatti, sono rivolte all’in-
dietro, connesse (è qui che viene sfruttato il valore di congiunzione della
“e”) a un momento antecedente il più recente sviluppo sequenziale. Se le
domande di routine semplicemente si svincolano dall’ultimo turno o topic,
segnalando che una sottoattività è conclusa e che con la domanda in “e” si
torna indietro a un livello di attività condiviso (ad esempio, finisce la sotto-
attività legata al prezzo dell’abbonamento telefonico e comincia quella le-
gata all’installazione del modem, entrambe parte dell’attività generale di
richiesta di informazioni sul servizio), le domande di chiarimento1 indicano
che “non si può procedere oltre” rispetto al punto in cui ci si trova ma è ne-
cessario un passo indietro, una verifica rispetto allo stato di conoscenze
condiviso prima del disturbo che l’ultimo turno vi ha apportato.
Queste considerazioni già ci fanno intravedere il livello epistemico della
questione: i parlanti usano lo stesso dispositivo per gestire i legami sequen-
ziali e per segnalare squilibri tra informazioni nuove e stati di conoscenze

1
Non essendo in serie, le domande di chiarimento non possono essere confuse con le
prime e interpretate come legate ad un’agenda: la domanda di routine presuppone una prima
domanda senza “e” iniziale che dia il via alla serie.

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precedenti. Si fa riferimento a un certo stato di conoscenza precedente (ad
esempio, il fatto che Carla non può lasciare sola la figlia) allo stesso modo
con cui si torna al livello sovraordinato di attività che gli interlocutori stan-
no condividendo a un momento dato (ad esempio, “siamo all’interno di uno
scambio di informazioni sul servizio telefonico”). In altre parole, la “e” fa
scorrere all’indietro il nastro della storia interattiva dei partecipanti, susci-
tando nel ricevente o il ritorno all’agenda o una revisione di quanto detto
alla luce di una possibile contraddizione rispetto alla conoscenza che ha in-
sieme al parlante. La forma di intersoggettività dinamica che gli analisti
della conversazione hanno teorizzato e dimostrato tramite una varietà di fe-
nomeni trova qui una sua ulteriore specificazione.

1.2 Domande in “e” di opposizione

Continuando nello sviluppo dell’argomento sopra introdotto, si può


comprendere come le domande in “e” possano assumere connotazioni op-
positive: abbiamo visto come la “e” iniziale possa veicolare l’idea che
qualcosa nel turno precedente dell’interlocutore collida con l’informazione
posseduta; qualora la collisione non dipenda da uno squilibrio nelle cono-
scenze ma da una divergenza di opinioni, la domanda in “e” può avere
l’effetto di una messa in questione il contenuto del turno precedente, anche
con finalità umoristiche. Gli estratti 6 e 7 sotto mostrano la stessa coppia di
interlocutori, con la domanda in “e” pronunciata una volta dall’una e una
volta dall’altro. In entrambi casi, le domande hanno perso valore interroga-
tivo, nel senso che non agiscono come richieste di informazioni ma come
espressioni di disaccordo, e sono trattate come tali nel turno successivo. In
effetti, nell’estratto 6 sotto riportato, la domanda in “e” fa parte della rispo-
sta ad una interrogazione precedente.
(6) [FP C4 T14] Daniele, Emma.

1. Em >però<- comunque c’hai ste cambiali


2. che te permettono °de::°
3. °di agì nei loro [confronti °
4. Dan [cioè:
5. t:e dici la migliore cosa è muoversi,
6. Em .h e certo
7. → e che fai insomma=
8. → che p:erdi ‘sti soldi così?
9. (.)
10. ↓eh io direi de sì
11. Dan EH.

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L’interazione riguarda un problema finanziario su cui Emma, nipote di
Daniele e sua commercialista, lo sta consigliando. La domanda di Daniele
(rr.4-5), che esprime un dubbio circa il perseguire legalmente alcuni debito-
ri, viene contrastata dalla domanda in “e” con un effetto che fa sembrare
illogica l’alternativa, e quindi mal posta la domanda (da cui il senso di leg-
gera polemica o opposizione)2. La domanda in “e” viene trattata come una
chiara espressione di una certa posizione, a cui il turno successivo si allinea
con la posizione espressa. Daniele infatti con il suo “direi di si” non rispon-
de alla domanda retorica della nipote ma alla propria, allineandosi con
Emma sulla sua valutazione del da farsi.
Nell’estratto successivo è invece Daniele a pronunciare la domanda in
“e”, a seguito dei dubbi di Emma sull’opportunità che lo zio affronti la sera
stessa in automobile il viaggio necessario per portarle un documento.
(7)[FP C4 T14] Daniele, Emma.

1. Dan io te la posso portà pure stasera a (Ceronia)


2. (.7)
3. ↑hai capito come?
4. (.3)
5. Em °ah sì te metti a fa: subito:: n°
6. (.2) °‘sta strada°
7. Dan → ↑e che strada devo fa.
8. (.4)
9. Em °ah-°
10. (1.5)
11. °↑↑vabbè°

La proposta di Daniele alla riga 1 incontra la perplessità di Emma, pre-


annunciata dalle pause alle rr. 2 e 4 e poi esplicitata alle rr.5-6 in riferimen-
to alla lunghezza della strada da fare. Daniele con la sua domanda in “e”
alla riga 7, mette in questione l’effettiva difficoltà o lunghezza del viaggio.
L’interpretazione è confermata dalla reazione di Emma e dai successivi
accordi per la serata, qui non riportati.
Il turno di Emma che dà luogo alla domanda in ‘e’ ( °ah sì te metti a fa:
subito:: n° (.2) °‘sta strada°) è in effetti una domanda. Anche in questo ca-
so, dunque, la domanda in ‘e’ costituisce la seconda parte di una sequenza
domanda/contro-domanda, che mette in rilievo l’illegittimità della prima (si

2
Come si vede, la domanda arriva dopo l’inizio del turno di Emma che contiene la rispo-
sta, già con una “e” finale. Questa non è pertinente ai nostri scopi qui, visto che comunque
non elimina il bisogno della “e” nella domanda che affiora nella seconda parte del turno, ma
si può notare in passim come il funzionamento sia il medesimo.

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pensi anche al proverbiale e idiomatico ‘e che ne so’). La continuità con le
forme analizzate sopra, e in particolare con la domanda di chiarimento,
consiste nel fatto che in questa funzione la domanda in “e” arresta la pro-
gressione della sequenza, implica una revisione del ricevente rispetto al
proprio ultimo turno, e fa appello a presupposizioni condivise. Il livello di
conoscenza condivisa verso cui la domanda in “e” punta in questo caso è di
tipo generale, ovvero un principio di razionalità o di fattualità (ad esempio,
nell’estratto 6, l’irrazionalità di regalare soldi al debitore).
L’estratto successivo mostra l’uso a fini umoristici della domanda in
“e”. In questo caso, la valenza oppositiva non interessa l’interlocutrice di-
retta, ma è piuttosto orientata a mettere in luce il carattere inatte-
so/problematico/non plausibile nel comportamento di un terzo:
(8) [EQ] Elisa, Vanessa

1. El e lui mi fa scusa=scusa ↓dice


2. ti posso richiamare tra dieci minuti
3. che sto mettendo delle cose in frigo.
4. >gli ho detto< ↑certo certo!.
5. tutto questo però n’ora=e=mezzo fa,
6. capisci?
7. Van ah ah (h hh)
8. → e che ci ha messo in fri:go= ↓un bu:e?
9. El e infatti quello ho pensa:to!
10. ha ammazzato un bu:e,
11. l’ha fatto a f:ette e l’ha messo in frigo.

Il racconto di Elisa all’amica contiene circostanze in contraddizione tra


loro (la promessa del ragazzo di Elisa di ritelefonare subito, il tempo tra-
scorso dalla promessa). Vanessa usa questi elementi della narrazione per
formulare una domanda in “e” e sottolineare l’incongruità della situazione.
In effetti, Vanessa ed Elisa sono impegnate in una “story closure” (Sacks,
1992) in cui si allineano sulla valutazione dei fatti (si veda il grazioso paral-
lelo della “e” iniziale del turno di Elisa alla r.9).
Le domande con “e” iniziale producono in sintesi una inversione dire-
zionale: nel caso delle domande-agenda, per identificare l’attività da cui la
domanda scaturisce e per scollegare la domanda dal turno precedente; nel
caso delle domande di chiarimento, per evidenziare che l’ultimo turno
dell’interlocutore contraddice informazioni precedenti, e nel caso della do-
manda oppositiva per evidenziare un aspetto di problematicità o illogicità
del turno precedente (domanda o narrazione) alla luce di quella che do-
vrebbe essere un’opinione condivisa. In questo ultimo caso, è come se la
domanda in “e” costruisse a posteriori una condivisione di presupposti e
valutazioni dell’esistente, inducendo l’interlocutore ad allinearsi. In italiano
37
quindi il “ritorno all’agenda” sembra essere soltanto l’applicazione specifi-
ca di una proprietà generale dell’inizio in “e”.

2. Domande in “ma”

Nella ricostruzione delle domande che iniziano con il connettivo “ma”


seguiremo il percorso inverso rispetto alla sezione precedente, presentando
all’inizio i casi in cui si avverte più chiaramente il confronto polemico fino
a scoprirne il funzionamento a livello della regolazione sequenziale.
A mia conoscenza, l’unico lavoro sul “ma” a inizio turno è quello di
Mazeland e Huiskes (2001) sull’olandese, che però non illustra il caso della
domanda3. La loro analisi rivela che il “ma” è impiegato dai parlanti per ri-
prendere una traccia discorsiva precedentemente abbandonata o sospesa,
elidendo la progressione standard con i turni immediatamente precedenti e
reinstallando il topic attivo prima della digressione.
In italiano vedremo che questa funzione di ritorno ad una fase antece-
dente della sequenza è talora svolta dal “ma” ad inizio domanda; tuttavia,
come già visto per la “e”, gli usi si rivelano molto vari e soprattutto i conte-
sti di applicazione risultano numerosi.

2.1 Domande in “ma” di protesta

Il primo tipo di domande in “ma” si trova all’interno di un genere di-


scorsivo che si potrebbe definire della protesta o dello scandalo. Vediamo
due esempi:
(8) [FP C1 T7] Oreste, Rosa

1. Or ↑vai a=piglià un tubetto de pomata


2. (.) dieci quindici euro così
3. → ↑ma ‘sta gente se ne re:nde conto.
4. Ro eh: ma infa:tti ↓sai che c’è

In conclusione di una tirata sull’aumento dei prezzi, Oreste formula la


domanda in “ma” (r.3), orientata a suggellare la sua lamentela con una
scandalizzata accusa ai non meglio identificati responsabili della situazione.
3
Uno solo dei casi citati da Mazeland e Huiskes è una domanda, ma non assomiglia ai
nostri esempi in quanto il “ma” è aggiunto, con la riproposizione dell’argomento precedente,
ad una domanda che era già stata formulata.

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Il turno successivo tratta la domanda come una valutazione e si allinea.
Questa coppia adiacente è simile all’ultima che abbiamo visto nel caso del-
le domande in “e”, quella relativa alla mancata telefonata: giungendo al
termine di un turno esteso, la domanda ha funzione di valutazione conclu-
siva, e il ricevente fornisce seconda valutazione (Pomerantz, 1984), anche
qui usando lo stesso connettivo nel proprio turno di affiliazione.
Il secondo esempio illustra invece una lamentela diretta al ricevente,
tramite una domanda in “ma” che ha valenza idiomatica.

(9) [EQ T13] Elisa, Vanessa

1. El ah: ho capito dove: ah si,


2. il seicentosettantu:no,
3. Van eh:! ((impaziente))
4. El ↓eh vabbè. ↑aho Vanè
5. ce so venuta ‘na volta in vita mia
6. all’università tu::a=
7. → =>ma che vo:i<?
8. Van veramente ↑du:e,

Tutto il turno di Elisa (rr.4-7) è una reazione all’impazienza che l’amica


dimostra nel fornirle le indicazioni stradali per raggiungere la sede della sua
università. Dopo aver ricordato all’amica la sua unica visita precedente, E-
lisa pronuncia la domanda “=>ma che vo:i<?”. Come nell’estratto prece-
dente, la domanda in “ma” è proferita dopo aver presentato altre informa-
zioni, quindi in funzione conclusiva; non si tratta di una mossa interrogati-
va, ma di un’appendice con valore oppositivo al discorso che è chiamata a
concludere. L’interlocutrice reagisce al turno nel suo insieme e corregge
l’affermazione precedente di Elisa.
Questo uso delle domande in “ma” suggerisce una presa di distanza ri-
spetto ad una certa posizione, sia essa dell’interlocutore diretto o di terzi.
Per usare un termine che trovo abusato e non molto utile, si tratta di una
strategia di “posizionamento”. In entrambi i casi qui mostrati, il parlante
dichiara incongruente o illegittimo un certo stato interno del bersaglio po-
lemico (“ma sta gente se rende conto” “ma che vuoi”), usando una forma
interrogativa, immagine della propria difficoltà a comprendere, introdotta
da una forma grammaticale specializzata nella disgiunzione.

2.2 Domande in “ma” che segnalano un’incongruenza a fronte di


un’aspettativa

I due esempi che seguono mostrano invece domande che sono effettive
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richieste di informazione. L’attacco in “ma” è un indicatore di problemati-
cità che pone la richiesta di informazione in un frame di turbamento rispet-
to ad un’aspettativa. Lo squilibrio segnalato dal “ma” può essere spiegato a
posteriori, una volta che l’informazione richiesta sia stata fornita.
Il “ma” può far parte della domanda che è “motivo della telefonata”
(Schegloff, Sacks, 1973), e contribuire a qualificare la domanda (e la tele-
fonata) come originata da lacune o dubbi da parte del chiamante. In ogni
caso, questa funzione è caratteristica delle domande in “ma” che aprono un
nuovo topic.
(10) [FP C4 T12] Emma, Daniele4

30. Em no te volevo dì
31. → ma- quei c↑o:se,
32. ne hai saputo più niente?
33. Dan no:,
34. Em no:.
[...]
in chiusura:
81. Em → >↑infatti io di:co<
82. mò zio me dirà: me dirà
83. e poi niente è passato il t↑e:mpo
84. dico mo: h::: °°niente, hn::°°
85. °°t’ho: chiamato.°°

Emma, dopo un’unità preliminare (“no te volevo dì” r.30) chiede a Da-
niele con una domanda in “ma” se ha ricevuto alcune notizie che aspettava.
Alla risposta negativa di Daniele la conversazione continua sul tema. Prima
della chiusura della telefonata, Emma giustifica la domanda (e la telefona-
ta). Usando il dispositivo del “pensiero riportato” (Fasulo, 1997), rivela in-
fatti di aver atteso che fosse lo zio a comunicarle dell’avvenuta ricezione
(“io di:co< mò zio me dirà: me dirà”, la ripetizione del “me dirà” ad indica-
re che il pensiero della nipote era corso ripetutamente alla questione), ma di
essersi poi decisa a chiamare perché il tempo passato le sembrava eccessivo
rispetto alle sue previsioni sull’arrivo delle suddette notizie.
L’esempio successivo, già incontrato nell’introduzione, illustra ancora
un esempio di “ma” iniziale che segnala un’incongruenza.

(11) [FP C4 T8] Franco, Rosa

1. ((squillo))

4
La numerazione delle righe è stata mantenuta come nell’originale per indicare la posi-
zione delle due sequenze di interesse all’interno della telefonata.

40
2. Ro pronto
3. (.9)
4. Fr chi è:?
5. (.4)
6. Ro sò Rosa
7. Fr a Rò:
8. Ro [dimmi
9. Fr [se-
10. (.)
11. Fr → ma Paolo?
12. Ro .h eh: Paolo sta giù al bar.
[...]
in chiusura:
31. Ro e mo sta giù:
32. Fr → eh: ma non me rispo:nde,
33. Ro → ah ‘n te rispond- eh no=
34. =perché ce l’ha quassù: il cellula:re.

Dopo lo scambio di riconoscimento (rr 4-6), il chiamante chiede notizie


di una persona che abita nella casa chiamata. Il problema segnalato dal
“ma” iniziale non viene chiarito che alla fine, dopo che Rosa ha fornito
l’informazione richiesta e la persona di cui si parla, Paolo, è stata oggetto di
uno scambio piuttosto prolungato tra i due. Riciclando la propria iniziale
risposta (cfr. rr. 12 e 31) Rosa dà inizio alla fase di chiusura (Schegloff,
2007; vedi anche Mazeland, Huiskes, 2001), e qui il chiamante sfrutta l'ul-
timo slot disponibile per la spiegazione alla domanda in “ma”: “eh: ma non
me rispo:nde”. Ovvero, Paolo non aveva risposto al telefono cellulare, dove
lo si trova quando lavora nel proprio bar; l’amico si immaginava allora che
la moglie lo stesse sostituendo al bar e che lui fosse a casa: da qui la pausa
nell'udire la voce di Rosa e la domanda in chiave problematica circa la col-
locazione di Paolo stesso. La replica di Rosa in effetti rivela che sussiste
un’alterazione delle condizioni abituali, visto che il telefono cellulare è sta-
to dimenticato a casa.
In entrambi gli esempi appena riportati, il “ma” indica che la domanda
non è soltanto una richiesta di informazione, ma piuttosto è una richiesta di
informazione che si è resa necessaria dato un qualche evento precedente.
In entrambi i casi, i chiamanti anticipano col “ma” la presenza di un pro-
blema, e offrono poi spiegazioni della richiesta così formulata dando conto
di proprie attività precedenti (Emma dichiarando di aver atteso a lungo ed
essersi interrogata sull’arrivo delle notizie attese dallo zio, Franco rivelando
di avere già telefonato al numero dove con più probabilità avrebbe potuto
trovare l’amico). Una possibile interpretazione per l’account tardivo, molto
ricorrente anche nel resto del corpus, può consistere nel fatto che, se la na-
tura del problema non ha occasione di emergere nel corso dell’interazione,

41
chi ha fatto la domanda evita di chiudere l’incontro lasciandosi dietro l'im-
pressione di un ingiustificato allarmismo. Dunque, se negli esempi “retori-
ci” i parlanti esprimevano con le domande in “ma” una fittizia mancanza di
comprensione rispetto a punti di vista altrui (come in “ma sta gente se rende
conto” o “ma che vuoi”) qui vediamo la forma usata in modo letterale, cioè
per aggiungere a una effettiva richiesta di informazione un valore aggiunti-
vo di stupore, smarrimento, perplessità.
La stabilità della forma trova conferma nell’uso all’interno del discorso
riportato fittizio: incontriamo ancora Emma, che suggerisce nel corso della
stessa telefonata da cui è tratto l’esempio 8, di chiamare la banca e chiedere
informazioni rispetto al mancato arrivo delle notizie attese:
(12) [FP C T12] Emma, Daniele

1. Em perché lui- loro t’avevano detto


2. che te la mandavano per po:s[ta,
3. Dan [eh:.
4. (.5)
5. Em eh (.) ↑ h che ne so. tu je dici
6. → ma m’avete spedi:to=
7. =↑io ‘n ho ricevuto più nie::nte=
8. =che ne so=se- te vai a ‘nformà=

Nel consigliare lo zio rispetto alla comunicazione da tenere (ricordiamo


che Emma gestisce come commercialista gli affari del suo parente) Emma
produce un “enunciato offerto” (Fasulo, Pontecorvo, 1999), cioè un enun-
ciato immaginario in forma di discorso riportato diretto che è pronto per es-
sere pronunciato senza cambiamenti dall’interlocutore che lo riceve (cfr.
anche Galatolo, infra). Gli enunciati offerti sono esemplificativi fin nei det-
tagli dell’atteggiamento che chi li costruisce ritiene sia più adeguato per
l’interlocutore. In questo caso, Emma offre una domanda in “ma” (r. 6) se-
guita immediatamente dalla descrizione delle circostanze inattese che
l’hanno generata (r. 7 “=↑io ‘n ho ricevuto più nie::nte=”). Il fatto che la
struttura sia presente anche a livello di “discorso rappresentato” testimonia
della stabilità funzionale delle domande in “ma” di esordio. In effetti,
nell’esemplificazione, vediamo che la sequenza viene compressa, e trovia-
mo in un unico turno la domanda in “ma” e la sua spiegazione.

2.3 Domande in “ma” per ritorno a punto precedente nella sequenza

Giungiamo infine all’uso delle domande in “ma” come dispositivo di ri-


torno a un punto precedente della sequenza. Nel primo estratto il “ma” in

42
chiusura di telefonata (r. 17) riapre un topic che sembrava esaurito (rr. 1-3).
(13) [FP C4 T27] Vanessa; Daniele

1. Van eh: (.) io sto a Barenza ((stazione sulla linea))


2. Da eh
3. Van che:: (0.2) se stai a dormì vengo a piedi
4. Da (1.0)
5. te vengo a aspettà?
6. Van no. che=ne=so torno a piedi
7. tu comunque diglielo a mamma
8. che me preparasse da mangiare
9. Da se tu madre sta su!
10. (1.2)
11. Van su dove?
12. Da e: mo ce lo dico va bene
13. Van va bene: [ciao
14. Da [ci vediamo ciao
15. Van pa’ pa’
16. Da eh?
17. Van → ma allora che faccio? vengo a piedi?
18. Da VE:NGO::
19. Van va: bene.
20. Da ciao
21. Van ciao

Vanessa telefona a casa dal treno, col cellulare, annunciando il suo immi-
nente arrivo. Il padre le offre di andarla a prendere alla stazione in macchina,
ma Vanessa rifiuta anche se in modo dubitativo. La domanda in “ma” recu-
pera l’offerta in extremis, ritornando al topic dal quale la parlante stessa si era
discostata. L’operazione è condotta formulando la domanda in “ma” e rici-
clando parte dell’enunciato iniziale (cfr. “vengo a piedi”, rr. 6 e 17).
Come si vede all’inizio della sequenza, l’accordo relativo all’appunta-
mento in stazione era stato difficoltoso: Vanessa “offre” al padre di rinun-
ciare al suo accompagnamento nel caso in cui il padre stia già dormendo; il
padre non specifica la propria condizione (non dice se stia dormendo o me-
no) ma chiede alla figlia se vuole che vada a prenderla. La mancata risposta
sul dormire sembra implicare un assenso, e Vanessa rifiuta l’offerta ma la-
sciando nel turno un elemento di incertezza (“che ne so”). Continua poi su
un altro argomento, ed è solo dopo i saluti, cioè quando è esaurito ogni spa-
zio per una spontanea reiterazione dell’offerta da parte del padre, che torna
alla questione con una domanda in “ma” e il parziale riciclaggio di enuncia-
ti precedenti. I due turni di Vanessa in cui era comparsa la frase “vengo a
piedi” avevano entrambi una componente di interrogazione (il primo nel
chiedere “se stai a dormi’”, il secondo con il “che ne so” centrale) ma que-

43
ste componenti erano state ignorate; il recupero con la domanda in “ma”
ottiene il seguito desiderato attraverso una più diretta forma di interpella-
zione. A questo punto il padre risponde accettando esplicitamente di andare.
Il “ma” dunque, accompagnato qui da “allora” che è un altro marcatore
di ripresa e continuità, riporta i parlanti a una fase antecedente della se-
quenza, riattivando un turno passato per poi generare quello che avrebbe
potuto esserne una continuazione
Vediamo ancora un caso. Qui un piano che era stato abbandonato viene
riammesso nel discorso quando emerge che una delle parti ci teneva a rea-
lizzarlo.
(14) [EQ T32] Elisa, Vanessa

1. El ah. domani abbiamo un problema


2. ↑Vanessa,
3. Van mh:::
4. El e riguarda quella cosa-
5. la demo che dovevamo andare a vedere.
6. Van ah già!
7. El è un problema che abbiamo entrambe.
(.)
8. El ed è: un problema che accomuna i cittadini di tutta
Roma=ossia lo sciopero della metro.
9. Van ah! (h hh) [In comune a
10. El [eh già!
11. Van e da: vabbè! sti cavoli della demo gratis!
12. El figurate! ((con tono seccato))
13. Van che è.
14. El io ce volevo andà:
15. Van → ma fino a che ora du:ra sto sciopero?
16. El da stanotte a mezzanotte: dura: 24 o:re,
[...]
17. Van potremmo sempre prova:rci!
18. El provarci? >A fa che?<
19. Van ad anda:re
20. El eh: la metro è chiusa eh!
21. Van ah è chiusa=proprio chiusa?
22. El si =si è sciopero=proprio sciopero!

All’annuncio di Elena sulla difficoltà a raggiungere una certa destina-


zione, il giorno dopo, a causa dello sciopero dei trasporti, Vanessa risponde
con una valutazione di indifferenza rispetto all’evento, implicitamente con-
siderando l’impegno cancellato. La reazione seccata dell’amica, a tutta
prima non compresa (cfr. rr. 12-14), induce Vanessa a tornare al punto im-
mediatamente dopo l’annuncio del problema per dare luogo a uno sviluppo
diverso della sequenza. La domanda in “ma” e la reintroduzione del topic

44
“sciopero” preceduto da “(que)sto” riportano dunque lo stato dell’intera-
zione a un momento precedente a quello che Vanessa sembra considerare
un proprio passo falso; nel seguito infatti l’amica propone di tentare ugual-
mente di raggiungere il luogo della dimostrazione. La risposta di Elisa mo-
stra che annunciando lo sciopero aveva inteso effettivamente cancellare il
programma, e che il turno di lamentela evidentemente aveva a che fare con
altri aspetti della risposta dell’amica, plausibilmente per la mancanza di al-
lineamento rispetto all’interesse provato per l’evento.
Le domande in “ma” di questo tipo rivelano con grande chiarezza il ca-
rattere contingente della conversazione (Ford, 2004; Schegloff, 1991). Un
turno di replica ha diverse piste possibili, potendo selezionare ad esempio il
piano dell'azione o quello della valutazione, scegliendo di raccogliere o di
lasciar cadere componenti dubitative di un affermazione e così via. La do-
manda in “ma” appare allora una risorsa per perseguire una seconda opzio-
ne quando la prima direzione intrapresa si sia dimostrata inefficace o abbia
incontrato una reazione negativa nell’interlocutore.
Come si pone questo tipo di domande in “ma” rispetto a quelle prece-
dentemente illustrate? Sebbene si tratti di usi diversi, non necessariamente
posti lungo un continuum di qualche tipo, il carattere comune consiste nel
presentare la domanda come originata in una fase precedente dell’intera-
zione, e in uno stato di accordo intersoggettivo che è stato, in un periodo
interveniente, compromesso. Quando il “ma” è usato nella forma della pro-
testa, la domanda mette in luce la discordanza tra alcuni fatti riportati e al-
cuni assunti che si suppongono condivisi nel campo della moralità o della
razionalità (ad esempio lasciare che i prezzi aumentino, assumere che una
persona ricordi un tragitto avendolo percorso soltanto una volta). L’uso del
“ma” in queste domande retoriche segnala proprio un divario di punti di vi-
sta, e da questo trae la connotazione di valutazione negativa e di protesta.
La domanda in “ma” che segnala un’incongruenza rispetto ad una certa
aspettativa funziona in modo analogo ma rispetto a un contesto di condivi-
sione molto più circoscritto, qualcosa su cui gli interlocutori nella loro par-
ticolare storia interattiva hanno a un certo momento convenuto (l’arrivo di
una certa notizia entro un certo lasso di tempo, il numero di telefono a cui
trovare una persona in certe ore). In questo caso il “ma” a inizio domanda
indica che l’interrogazione scaturisce da uno scarto tra attese condivise ed
eventi verificatisi. Infine, nell’ultimo caso della funzione sequenziale, la
domanda fa tornare ad un punto precedente della sequenza in corso, e quin-
di fa parte dell’intersoggettività operativa degli interagenti. Negli esempi
qui presentati, il punto della sequenza a cui si torna coincide con l’ultimo
turno prima che sia avvenuta una divaricazione nelle prospettive dei parlanti.
L’uso dello stesso dispositivo in questi tre contesti discorsivi ci obbliga

45
di nuovo a notare che i meccanismi della conversazione trattano in modo
analogo contenuti del senso comune, elementi di conoscenza legati al pro-
prio specifico contesto di vita e turni di discorso scambiati appena pochi
secondi prima.

3. Conclusioni

Come per le domande in “e”, le domande in “ma” rivelano un aspetto di


logica conversazionale, ovvero il presupposto di accordo intersoggettivo
fino a prova contraria. Questa proprietà è discussa in analisi della conversa-
zione soprattutto a proposito della riparazione: se una riparazione non è ri-
chiesta, gli interattanti possono legittimamente assumere l’allineamento
della propria rispettiva comprensione circa “ciò che sta succedendo ora”. In
questo senso si può parlare di epistemica debole: non abbiamo a che fare
con un trattamento delle conoscenze degli interagenti emergente in modo
esplicito, in cui la conoscenza sia tematizzata, ma con un insieme di assun-
zioni operative sull’accordo intersoggettivo e sulla relazione epistemica dei
parlanti con le informazioni che emergono via via nell’avvicendamento dei
turni. Le riparazioni in realtà sono solo l’esempio più evidente del lavoro
dei parlanti in questo senso. C’è una componente di regolazione cognitiva
in moltissimi dispositivi conversazionali, proprio perché la cognizione si dà
nella conversazione non come proprietà delle menti individuali ma come la
sfera di conoscenza attivata nel presente dell’interazione a cui tutti gli inter-
locutori sono connessi. Le pause all’inizio di un turno dispereferito (Sacks,
1987), le particelle che esprimono un cambiamento di stato mentale (Heri-
tage, 1984), la sospensione prima del completamento di un’unità di turno
(Goodwin, 1987) sono tra le modalità con cui i parlanti agiscono la cogni-
zione5 come parte di, e in funzione della prosecuzione dello scambio socia-
le. Ciò che questo lavoro conferma empiricamente è la continuità dell’as-
sunzione operativa che presiede la conversazione (cioè, che se nulla inter-
viene a segnalare il contrario la condizione di intersoggettività è realizzata)
con la teoria fenomenologica sulla percezione del mondo naturale: i parte-
cipanti trattano – nel fare della conversazione – i principi di moralità o di
razionalità allo stesso modo dei fatti conosciuti nella storia di una relazione
sociale e anche allo stesso modo di quello che fa parte del breve passato di
uno scambio verbale tuttora in corso. In altre parole, la realtà è costruita
nella conversazione ordinaria dall’assunzione operativa dei partecipanti che

5
Cfr. Hopper (2004) rispetto alle modalità conversazionali di doing being cognitive.

46
i contenuti soggettivi siano parte di un passato comune, qualcosa che è stato
detto e ratificato in una fase antecedente e a cui si può tornare.

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