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SBOBINA BUSCEMI 13

IRISINA E TESSUTO ADIPOSO, INSULINO RESISTENZA, LIPODISTROFIE.


1. L’irisina

L’irisina è una miochina, una sostanza alla cui si


attribuiscono caratteristiche tali da poterla definire un vero e proprio ormone, che è prodotta dal
muscolo, pertanto da ciò deriva il suo nome (come l’adiponectina che è una adipichina). Viene prodotta
e secreta dal muscolo, con effetti anche a distanza, e da alcuni anni è stata riconosciuta anche nell’uomo
come irisina. L’irisina si forma dall’FNDC5 (Fibronectin type III domain-containing protein 5). Si tratta
di una proteina di membrana che in risposta all’attività fisica, ma anche in risposta all’infiammazione,
viene in parte clivata dando vita all’irisina. Il promoter della sintesi dell’irisina è Pgc1-α, che è un
fattore di trascrizione. L’esercizio fisico attiva il Pgc1-α (coattivatore 1 del proliferatore gamma del
perossisoma), che svolge tantissimi ruoli, non fa solo da fattore di trascrizione per l’irisina. Quando
viene rilasciato si produce FNDC5, dunque si ottiene irisina e quest’ultima svolge una serie di azioni,
non soltanto in termini di trans-differenziazione del tessuto adiposo bianco in bruno, ma, ad esempio,
anche come responsabile della variazione della cito-architettura ossea. Questa variazione avviene in
quanto è strettamente correlata all’attività fisica, quindi, se si compie più attività fisica, più esercizio
fisico, si avrà necessità di rimodellare la struttura dell’osso, che è costituita da una complessa
architettura con forze di carico e linee di carico e va rimodellata per supportare il maggior carico di
lavoro. L’irisina, inoltre, ha un effetto nel migliorare le capacità cognitive, come l’apprendimento e
la memoria (mens sana, in corpore sano--> necessita un po’ di attività fisica per favorire la salute delle
facoltà di memoria e di apprendimento). Dunque, questi tre aspetti risultano strettamente correlati.
L’irisina, inoltre, consentendo la trans-differenziazione del tessuto adiposo bianco in bruno, permette
la produzione di calore, quindi, permette anche di termodisperdere energia. Ad oggi, si cerca sempre di
aumentare la spesa energetica per negativizzare il bilancio energetico e favorire il contrasto dell’obesità,
anche per un controllo maggiore del peso corporeo. Non è detto che questo possa essere un effetto
auspicabile però, poiché potrebbe associarsi ad altre problematiche, tra cui l’aumento dello stress
ossidativo, per cui ciò determinerebbe l’instaurarsi dei processi che conducono all’aterogenesi, poiché
induttori di disfunzione endoteliale. Sono stati fatti una serie di studi in cui si sono prese in esame le
magrezze costituzionali, cioè quelle non dovute ad un deficitario apporto di nutrienti, ma ad un eccesso
di spesa energetica costituzionale. Infatti, come esistono condizioni di risparmio energetico, esistono
condizioni opposte di persone con spesa energetica elevata (studio ancora non pubblicato). Le
condizioni di magrezza costituzionali in individui che si alimentano normalmente o addirittura si sovra-
alimentano, sono accompagnate da un aumento della spesa energetica, che potrebbe essere dovuto ad
una eccessiva presenza, geneticamente determinata, di tessuto adiposo bruno.
In molte forme di obesità la capacità di trans-differenziare il tessuto bianco in bruno è ridotta. La
condizione opposta, invece, spiegherebbe come mai alcune persone hanno una spesa energetica elevata
in assenza di patologie che possono accompagnarsi ad un aumento della spesa energetica, come quelle
a carico della tiroide o il malassorbimento. Per mantenere costante il peso, in questo caso, si richiede
un aumento dell’apporto calorico.
Tuttavia, in queste persone, non si
sono visti effetti protettivi dal punto
di vista cardiovascolare, anzi gli
effetti cardiovascolari sfavorevoli
sono maggiori, perché
l’iperossidazione di substrati,
associata a stress ossidativo, porta a
disfunzione endoteliale. Una sessione
di attività fisica produce
un’aumentata espressione
significativa di alcuni fattori di
trascrizione, tra cui la Pgc1-α, che è
responsabile della trascrizione di
FNDC5, quindi, dell’irisina (studio pubblicato prima della scoperta dell’irisina). Questo aumento si ha
in breve tempo, dopo pochi minuti dall’inizio di una seduta di attività fisica. Naturalmente, maggiore è
l’intensità dello sforzo fisico, maggiore è l’espressione di Pgc1-α. L’espressione genica aumenta man
mano nel tempo che si procede con l’attività, a partire dall’immediato.
Guardando riepilogata l’espressione genica a riposo e fino a tre ore dopo, notiamo che questa via via
aumenti; dunque non si tratta di risposte che ci aspettiamo nel tempo ma nell’immediato. Osservando
il tessuto adiposo bruno in questo studio del 2009, si evidenzia come la sua presenza sia negativamente
correlata con l’indice di massa corporea, quindi all’aumentare di quest’ultimo si riduce il tessuto
adiposo bruno e quindi di fatto la spesa energetica, dunque un fondamentale componente del bilancio
energetico che regola il peso corporeo. Inoltre, più andiamo avanti con l’età meno tessuto adiposo bruno
c’è.

Quindi, parlando di tessuto adiposo, ricordiamo come questo possa avere dei precursori comuni, sia
che si tratti di tessuto adiposo bianco sia che si tratti di tessuto adiposo bruno, il quale risulta
particolarmente rappresentato alla nascita e che, secondo i dati di un tempo, si riduceva fino a quasi
scomparire con l’accrescimento e nell’adulto. Conosciamo poi i precursori dermomiotomali, che
possono dare luogo sia a cellule muscolari, che a cellule adipose brune (di cui troviamo traccia nelle
sedi latero-cervicali, paravertebrali, ascellari, sopra-claveari, dove sono presenti vasi arteriosi che
portano sangue a strutture molto delicate che non avrebbero capacità di adeguato funzionamento
laddove dovessero essere esposte al freddo e potrebbero rischiare di ridurre la temperatura del sangue,
rendendo meno efficaci gli scambi gassosi e metabolici dei substrati con strutture nervose).
Piccola digrassione: i neonati avvicinano la testa alle zone più calde della madre, dove è presente più
grasso bruno.
Il grasso può anche transdifferenziarsi, ad esempio il grasso bianco diventare beige (con funzioni
analoghe a quelle del grasso bruno) e viceversa. Il grasso beige rientra all’interno del normale tessuto
adiposo in cui troviamo adipociti con funzioni identiche al grasso bruno, in cui cambia un po’ il
precursore che sarà rappresentato dalle cellule staminali mesodermiche (precursori di adipociti
bianchi o di cellule muscolari liscie che però con induzioni ambientali come il freddo, l’esercizio fisico
si trasformano in precursori beige).
Sottolineiamo come il PGC-1alfa sia un protagonista di questa transdifferenzazione e la UCP (proteina
disaccoppiante) è il marker dell’adipocita beige o bruno; questa proteina disaccoppia la fosforilazione
ossidativa e questi adipociti, infatti, hanno dei grossi mitocondri.
Questo dinamismo del tessuto adiposo capace di adattarsi all’esercizio fisico, alle variazioni di
temperatura, alla stagionalità e a tanti altri stimoli, si riduce nei pazienti obesi, contribuendo
enormemente nel descrivere la condizione di “risparmiatore” che predispone all’obesità. Che questo si
intenda un vantaggio per la sopravvivenza della specie, dato che consente di sopravvivere con minore
energia ma oggi così non è.
Quindi noi scopriamo l’irisina e pensiamo che possa aiutarci a curare l’obesità e pensiamo
erroneamente che l’irisina sia il mediatore dei benefici dell’attività fisica.

Ci troviamo in apparenza un po’ in contraddizione, perché oggi è visto positivamente il fatto che
muovendoci produciamo l’irisina che fa trans-differenziare il grasso bianco in bruno e ci fa spendere
energia oltre quella dovuta all’attività fisica. Quindi questo ci aiuta a contrastare l’obesità. Ma il
problema dell’uomo in passato è stato quello di sopravvivere e di conseguenza di risparmiare. Come si
interpreta ciò? (Nds: il professore lascia in sospeso come interpretare questo concetto che verrà trattato
in seguito).
Un altro strano effetto è mostrato in questa figura, in cui è presente la condizione del soggetto obeso
con grossi adipociti e una sola cellula beige al suo interno e quella del soggetto magro che ha meno
cellule adipose e più cellule beige. La situazione a sx in una condizione ancora più estremizzata porta
alla magrezza costituzionale e alla cachessia per esempio. Il pz cachettico ha un paradosso, cioè è
malnutrito ma non ha una contrazione della spesa energetica, al contrario quest’ultima aumenta e
accelera ancor di più il processo catabolico e il dimagrimento, comportando un malnutrizione anche
proteica che condurrà il pz a morte.
La figura riportata sopra è del 2015 (quando ancora dell’irisina si parlava poco) e ci mostra come il
cancro e la cachessia favoriscono la trans-differenziazione del grasso bianco in bruno e quindi la
perdita di peso. Inoltre non solo l’esercizio fisico ma anche l’infiammazione e le citochine
infiammatorie, come IL6, hanno questa capacità, di cui è stato dato un segno macroscopico in termini
di epidemiologia clinica non soltanto nell’animale ma anche nella popolazione umana. La trans-
differenziazione è favorita anche dal freddo e dalle catecolamine. Per esempio, in una patologia
endocrina che è il feocromocitoma l’iperespressione delle catecolammine da parte della midollare del
surrene e dei paragangli nervosi fa sì che sia presente molto tessuto adiposo bruno e infatti il
dimagrimento è uno degli aspetti della malattia. Questa è una conoscenza acquisita già tantissimi anni
fa e descritta come un fatto quasi curioso. Lo stato catabolico dovuto ad una iperproduzione di calore
termodisperso nell’ambiente facilita un bilancio energetico negativo e induce il calo ponderale.
Anche altri fattori endocrini riportati nella slide possono favorire la trans-differenziazione del bianco in
bruno.
La componente genetica dell’obesità
Nell’obesità c’è una componente genetica. Al di là della condivisione dello stesso ambiente e delle
abitudini, in alcuni casi ci sono famiglie i cui componenti vivono in ambienti diversi ma si evince una
correlazione con il BMI tra loro. Esiste infatti un genotipo predisponente che si è selezionato negli
anni, perché è quello che ci ha fatto risparmiare energia e ci ha fatti sopravvivere di più laddove ci siamo
trovati in tempi di carestia con ridotta disponibilità di cibo. Quindi si è propagata maggiormente la
propensione al risparmio energetico ed è il motivo per cui si trovano casi sporadici di magrezza
costituzionale, perché non avrebbero avuto chance di sopravvivenza. Invece oggi siamo immersi in un
ambiente obesiogeno, cioè dove ci si muove di meno e si mangia di più, e questo predispone allo
sviluppo di obesità.
Oggi riconosciamo alcuni
polimorfismi di un paio di geni
che possono predisporre
all’obesità, in particolare il gene
FTO, che è responsabile
dell’obesità monogenica
nell’animale da esperimento. Si è
compresa la funzione del gene
FTO nello stesso anno in cui si
cominciò a parlare di irisina e si è
visto che è implicato proprio nel
governo dei meccanismi di trans-
differenziazione del grasso bianco
in beige. Avere il polimorfismo
FTO rs1421085 in questo
contesto equivale ad avere un gene che fa meno trans-differenziare grasso bianco in bruno, e non è raro.
Riepilogando: esercizio fisico → muscolo scheletrico → FNDC5 che si esprime ad opera
dell’attivazione della PGC1α che avviene subito dopo l’attività fisica o addirittura in concomitanza se
questa si protrae → l’irisina va in circolo e presiede e concorre ai processi di trans-differenziazione del
grasso bianco in bruno/beige con gli effetti che ne derivano. L’irisina è quindi una sostanza ad azione
ormonale.
Il professore riporta i dati dell’ABCD (Alimentazione Benessere Cardiovascolare Diabete) che è uno
studio su una coorte di persone seguite dal 2011. Andando a fare degli score sul livello di attività fisica
abituale validato nella popolazione generale di interesse, è evidente come quelli che fanno più attività
fisica hanno più elevate concentrazioni di irisina rispetto a chi invece è classificabile come la quota
della coorte a più basso livello abituale di attività fisica. Non è solo l’esercizio acuto ma anche
l’esercizio cronico che condiziona una differenza nelle concentrazioni circolanti di irisina. Chi ha un
più basso livello di attività fisica ha anche HDL più basso e pressione più alta.
Altre azioni dell’irisina
Dicevamo dell’irisina che ha anche altre azioni. Abbiamo visto quella sull’osso e l’abbiamo messa in
evidenza nel momento in cui devo fare attività fisica perché se io faccio più attività fisica devo
rimodellare il mio osso , quindi l’azione dell’irisina si esprime anche su questo aspetto. Tant’è che è
stata brevettata come sostanza per la cura dell’osteoporosi.
Poi non è stata sfruttata commercialmente perché economicamente non è vantaggiosa e si conosco tante
altre molecole che possono fare questo effetto, per cui l’industria farmaceutica non ci ha investito come
farmaco per l’osteoporosi. Ha anche un effetto sul cognitivo perché questa sostanza dovrebbe favorire
(?) (nds. non mette il complemento oggetto). Su questo si è trovato un inghippo, poi modestamente
abbiamo fornito questa spiegazione , che ormai viene accettata ed è pubblicata e non c’è più dibattito
su questo perché questa spiegazione è stata accolta favorevolmente. Cioè noi compiamo un errore
quando guardiamo le cose dalla nostra attualità , dal nostro contesto certamente in quanto le cose madre
natura le ha fatte con un’altra finalità , cioè quella di farci sopravvivere nei milioni di anni , che ci
vedono presenti sul pianeta.
Certamente bisogna ricollegarsi al passato, io vivo in una caverna , vivo i rigori dell’inverno, devo
procurarmi il cibo assolutamente, ho necessità di uscire fuori, di fare attività fisica, devo andare a
combattere contro belve feroci molto spesso , allora ho bisogno di proteggermi dal freddo e questo è il
grasso bruno. Perché io compio attività fisica sviluppo irisina , trandifferenzio bianco in bruno , che mi
aiuterà a proteggermi dai rigori del freddo. Dall’altra parte devo essere acuto, capace a cogliere ogni
piccolo segnale a prendere delle decisioni immediate, devo essere da un punto di vista cognitivo attivato.
Allora ho necessità di qualcosa che mi lega un po' questi effetti : “cosa c’è meglio dell’irisina?”.
“Ma se già non ho cibo, devo spendere pure più energia perché produco più calore? “ .Questo è vero ,
però se me ne sto dentro la mia caverna devo tentare il tutto e per tutto come quelli che sono assediati
in quei film Western, se uno è assediato dentro il fortino , puoi stare là , ma devi rompere l’assediamento
rischiando ,perché puoi resistere ancora un po' ma poi soccombere, perché finisci le sue riserve (?).
Quindi concentra le sue attività per cercare di rompere un accerchiamento.
Nella popolazione chi fa più attività fisica nel cronico , avere un livello abituale di attività fisica più
elevata, significa avere irisina più alta. Anche l’infiammazione fa aumentare la produzione di irisina.
Abbiamo visto in pazienti ricoverati, molto infiammati a vario titolo.
Abbiamo trovato in queste persone iperinfiammiate (avevano una PCR molto alta per varie patologie ,
non solo infettive, ma anche reumatologiche ed oncologiche erano persone che erano fisicamente
inattive anche a letto) una concentrazione di irisina del 30% più elevate rispetto a quelle della
popolazione in generale. L’infiammazione è un altro fenomeno che comporta un iperpressione di irisina.
E’ una condizione che quando presente concorre a determinare la malnutrizione.
Indipendente dall’attività fisica l’infiammazione è un meccanismo comune in tante situazioni. Nella
cachessia un criterio diagnostico era che sono pazienti infiammati hanno PCR e citochine
infiammatorie più alte , avere uno stato infiammatorio dovuto alla presenza di malnutrizione può indurre
la produzione di irisina che transdiffenzia il grasso bianco in bruno, aumenta ulteriormente la spesa
energetica. Cosa riscontriamo nei pazienti cachettici? In un paziente che non mangia negativizza
ulteriormente il bilancio energetico e favorisce ulteriormente la perdita di peso in una spirale che poi
diventa anche un po' irreversibile in un meccanismo che abbiamo chiamato meccanismo estremo finale
della morte. Quello del pz anche in assenza di patologie comunque deve lasciare la vita e quindi può
essere un meccanismo di fine vita. E’ un meccanismo Naturale, quello della cachessia ,chiamato nel
pz che non ha patologie concomitanti “ marasma senile” che ad un certo punto diventa una spirale
irreversibile. Ce lo spiegano questi meccanismi, ce ne saranno anche altri, ma questi già sono bastevoli
a farci intuire questo meccanismo come si instaura. L’infiammazione irisina grasso bruno , spesa
energetica, bilancio energetico.
Insulino-resistenza
Se parliamo di insulino
resistenza dobbiamo
pensare all’insulina e al
suo recettore. Essa è una
condizione in cui c’è
una riduzione della
sensibilità degli organi
bersagli agli effetti
biologici dell’insulina.
Abbiamo una captazione
di glucosio da parte del
muscolo, se questo
effetto è ridotto abbiamo
insulino resistenza
periferica, stiamo
parlando di una
riduzione della sensibilità recettoriale all’insulina ,(dire insulino resistente è la stessa cosa di poco
insulino sensibile). L’ormone insulina ha tanti organi bersaglio, ha tanti effetti biologici, quindi questa
resistenza all’insulina può essere globale o parziale. Scomponiamolo in un insulino resistenza periferica
muscolare , potremmo parlare in un insulino resistenza epatica.
La resistenza all’azione dell’insulina può essere globale o anche parziale. La possiamo scomporre in
una insulino resistenza periferica e in una insulino resistenza centrale. Quella periferica può
riguardare le cellule muscolari (insulino resistenza muscolare) o gli adipociti (insulino resistenza
adipocitaria), quella centrale ha a che vedere con le azioni svolte dall’ormone a livello epatico (insulino
resistenza epatica). Negli adipociti l’insulina ha un’azione anti lipolitica, liposintetica e blocca la lipasi
ormono sensibile.
Possiamo anche considerare l’ipotesi che si diventi insulino resistenti solo a livello muscolare ma non
a livello dell’adipocita: si riduce l’afflusso di substrato all’interno della cellula muscolare, ciò induce
un ulteriore attivazione della produzione di insulina e questo eccesso di insulina esprime la sua azione
a livello adiposo dove invece sarà favorito il deposito di substrato. Il tutto ovviamente governato dal
bilancio energetico.
In generale questa è la definizione di insulino resistenza: una riduzione della sensibilità degli organi
bersaglio agli effetti biologici dell’insulina.
Un’altra forma di insulino resistenza centrale è quella che riguarda le stesse cellule beta panceatiche.
Qui la questione diventa molto più complessa.
Se parliamo di insulino resistenza e sensibilità all’insulina dobbiamo subito proiettarci ai recettori che
costituiscono i trasportatori del glucosio: i GLUT (glucose transporter).

▪ GLUT-1 si trova in tanti distretti (placenta, eritrociti, sistema nervoso, colon) e la sua funzione
è quella di consentire la captazione basale di glucosio. È un recettore a bassa affinità ed è da
considerare un recettore insulino indipendente: il substrato riesce a passare indipendentemente
dalla presenza di insulina. Non a caso, suddetto trasportatore lo si trova in cellule fondamentali
per la vita le quali hanno un utilizzo quasi obbligato di substrato glucidico. Qui non possiamo
permetterci un trasportatore malfunzionante per alterazioni dell’insulina, serve un recettore che
funzioni sempre e che garantisca il metabolismo energetico a queste cellule indipendentemente
dall’insulina. Per esempio, nella placenta non possiamo permettere che un problema di
sensibilità di un recetore possa compromettere l’attraversamento placentare del substrato
glucidico. Lo stesso vale nel colon e nel distretto gastroenterico: siamo a digiuno ma dobbiamo
assorbire il substrato alla fine dei processi digestivi, come faremmo a trasportare glucosio
dall’enterocita al versante ematico se l’attività del trasportatore fosse dipendente dall’insulina?
▪ GLUT-2 questo si trova a livello pancreatico e funge da sensore. Percepisce variazioni di
glucosio in circolo ed eventualmente darà l’input alla beta cellula di rilasciare o produrre
insulina. Questo recettore deve funzionare veramente bene affinche possa dare i tempi giusti
per la produzione di insulina, i quali sono fondamentali per l’omeostasi glucidica.
▪ GLUT-3 è anch’esso insulino indipendente e lavora pure per la captazione basale di glucosio.
Madre Natura ha previsto che due recettori diversi (GLUT 1 e GLUT 3) facciano la stesa cosa
in distretti fondamentali per la nostra sopravvivenza e riproduzione (come encefalo e placenta).
È chiaro che avere a disposizione due recettori rappresenta un vantaggio: se un recettore per
un’anomalia genetica non funziona più, avremo l’altro che può sopperire tale mancanza. Questi
recettori sono presenti anche a livello renale. Il rene è un organo con un elevato fabbisogno
energetico, il suo contributo al metabolismo basale è importante e non possiamo consentire un
suo deficit funzionale.
▪ GLUT-4 è responsabile del trasporto all’interno degli adipociti, delle cellule muscolari e del
cuore. Per essere attivato necessita della presenza dell’insulina, la quale induce una modifica
della conformazione sterica tale da far captare glucosio e trasportarlo all’interno della cellula.
▪ GLUT-5 invece serve per l’assorbimento intestinale del glucosio nell’intestino tenue (anche se
l’esempio relativo all’assorbimento di glucosio l’ha fatto con GLUT 1 che si trova nel colon).
Possiamo comprendere come questi recettori siano collocati in posizioni strategiche in virtù della
funzione dell’organo considerato.
Gli SGLT1 li troviamo a livello renale e intestinale (intestino tenue). Sono quelli coinvolti
nell’assorbimento del glucosio dal lume dei rispettivi organi alle cellule, per esempio dalla preurina
all’epitelio renale e poi al circolo. Questo meccanismo in parte regola anche la glicemia: quando la
glicemia sale troppo si elimina più glucosio e ciò è garantito da questi recettori. Oggi siamo in gradi di
controllare farmacologicamente l’attività di questi recettori(SGLT1 e SGLT2) , bloccandoli a scopo
anti diabetico (penso si riferisca alle glifozine).
Attività delle varie isoforme di GLUT
GLUT1
Tale isoforma garantisce la captazione basale del glucosio (non insulino-stimolata) in differenti citotipi
come:
▪ Eritrociti
▪ Cellule nervose

GLUT2
Di fatto questa isoforma, è
responsabile del “glucose-
sensing”, cioè del trasporto di
glucosio all’interno delle cellule
in relazione alla velocità con cui
varia la glicemia. Ad esempio,
se la glicemia aumenta
rapidamente si attiva la GLUT2
e contestualmente si produce
insulina. Se, invece, la glicemia
sta scendendo troppo
velocemente si blocca o se ne
riduce drasticamente la
produzione indipendentemente
dal valore in sé della concentrazione di glucosio. “Bisogna essere pronti a regolare ciò che accade
mentre avviene e non dopo” per ridurre preventivamente eventuali danni all’organismo.

Esempio per comprendere meglio: se si sente il citofono suonare, si sa già che sta arrivando qualcuno e
andiamo ad aprire la porta di casa e ci si accinge a ricevere l’ospite. Se, invece, si presenta qualcuno
direttamente alla porta di casa questo processo di “preparazione” è totalmente assente.

Medesimo fenomeno si manifesta a livello cellulare, per cui si rilascia insulina preventivamente già
quando la glicemia aumenta anche di poco ma con elevata velocità. Questo ragionamento lo si applica
sia all’aumentare della glicemia che alla sua riduzione con il blocco del rilascio di insulina per evitare
fenomeni di ipoglicemia.
Pazienti con iperglicemia cronica hanno difetti in tale meccanismo di regolazione.

Dunque, all’aumentare della velocità di aumento della glicemia GLUT2 fa entrare glucosio e
l’attivazione di vie che inducono 2 effetti:
1) Garantire la liberazione d’insulina preformata (fondamentale riserva di pronto uso)
2) Attiva le vie che portano alla sintesi di nuova insulina

GLUT3
Si occupa, anche lei, di captazione non insulino-
mediata a livello cerebrale e placentare.

GLUT4
Tale isoforma si occupa della captazione del glucosio
insulino-mediata ed è d’interesse prevalentemente
periferico (muscolo, adipocita...). Il recettore
insulinico viene attivato dal legame con l’insulina e
media segnali di trasduzione per modificare la
conformazione di GLUT4 che, dunque, potrà captare
il glucosio ematico.

Picco precoce insulinico


Quando si mangia, per un meccanismo
neurologico, si ha già una dismissione
d’insulina in circolo e tale fenomeno ha la
funzione di indurre uno stato di “pre-
allarme” nelle cellule in grado di assorbire
il glucosio (“andare in giro a citofonare
alle varie cellule”). Si crea così già prima
dell’accesso del glucosio un ambiente
idoneo al suo metabolismo soprattutto in
siti come il fegato, il muscolo e la
periferia in generale. Lo scopo
fondamentale è evitare oscillazioni
eccessive della glicemia anche in fase
post-prandiale. Qualora non dovesse
funzionare tale meccanismo, come nel
caso dei diabetici, si perde la capacità di esprimere il picco precoce di insulina con genesi di tipica
iperglicemia post-prandiale, base di danno cellulare. Dunque, il picco precoce di insulina è
fondamentale nel governo dell’omeostasi glucidica.
Entrando sempre di più nel concetto di insulino-resistenza, guardiamo cosa ci insegnano queste curve:
nel primo riquadro a sinistra (figura a sx dove c’è la curva rossa) viene riportata la curva di utilizzazione
totale del glucosio, la quale può essere valutata con la calorimetria indiretta e col clamp (di cui si parlerà
nei paragrafi successivi). Aumentando la concentrazione periferica di insulina spostandoci verso destra
sull’asse delle ascisse, all’aumentare dell’insulinemia periferica aumenta l’utilizzazione totale glucosio.
Ma guardando attentamente cosa succede, si nota una cosa: questa utilizzazione non aumenta
indefinitamente, a un certo punto questa curva va in plateau, cioè può aumentare ancora l’insulina
periferica ma non aumenterà ulteriormente l’utilizzazione totale del glucosio. Questa curva suggerisce
che la situazione non è lineare, bensì fisiologicamente oltre determinati valori si sviluppa una riduzione
della sensibilità all’insulina, cioè una resistenza all’azione dell’insulina (ci troviamo al livello del
muscolo). Trattandosi di una risposta fisiologica, questa servirà a qualcosa, non è una situazione di
malattia. Adesso, guardando a livello centrale, a livello del fegato, aumenta l’insulinemia a livello
portale (perché il substrato arriva al fegato tramite la vena porta) e si riduce la produzione epatica di
glucosio che a un certo punto si blocca entro un determinato valore limite. Ecco, queste sono le curve
di sensibilità all’insulina in condizioni fisiologiche e si intuisce la presenza di una cosiddetta “insulino-
resistenza fisiologica”.

In condizione di digiuno post assorbitivo (in genere una condizione di digiuno al mattino dalla sera
precedente), cosa accade se viene introdotto un carico orale di glucosio? qual è il destino metabolico?
Accade questo (slide a fianco): si
assume glucosio che deve essere
smaltito, una parte viene utilizzata per

via ossidativa cioè viene


ossidato e se ne ricava ATP
(ed è quello che succede
nelle fasi interprandiali
quindi durante il digiuno), e una parte viene conservata come glicogeno, quindi utilizzazione ossidativa
e utilizzazione non ossidativa (se ne è parlato anche a proposito della calorimetria indiretta), inoltre è
necessario ridurre la produzione epatica di glucosio altrimenti succede qualcosa di svantaggioso che
porta all’iperglicemia post-prandiale, quindi si deve bloccare la glicogenolisi anche perché si dovrà
andare ad attivare la glicogenosintesi. Chi lo fa questo? L’insulina ovviamente. Si deve bloccare anche
la neoglucogenesi, non c’è motivo di produrre glucosio (che tra l’altro ha un costo) se è già bello pronto,
in parte c’è necessità di utilizzarlo immediatamente come substrato energetico e in parte di andarlo a
depositare, perché quando l’organismo si troverà nuovamente a digiuno o lo deve fabbricare o lo deve
liberare dal glicogeno in quanto cervello, globuli rossi, placenta, sistema immunitario (se è impegnato
a contrastare un’iniezione) funzionano grazie al glucosio. Quindi, ingerendo il glucosio, nei primi venti
minuti ancora la glicemia non è aumentata (ci sono i tre tondini nel riquadro in alto) ma comincia ad
aumentare l’insulina nei primi dieci minuti, infatti c’è un piccolo picco di insulina che poi rientra, detto
picco precoce di insulina, che corrisponde ad un primo avviso alla periferia per dettare i tempi per
l’utilizzazione del glucosio, ossidativa e non ossidativa, governati dall’azione dell’insulina e della
glicemia. Quindi non aumenta ancora la glicemia perché l’assorbimento sta iniziando ma già aumenta
l’insulina, comincia ad aumentare l’utilizzazione del glucosio e comincia a ridursi la produzione di
glucosio fino a spegnersi del tutto. Dopodiché comincia ad aumentare la glicemia post-prandiale,
continua ad aumentare l’insulina, l’assorbimento del glucosio nella prima mezz’ora diventa massimale,
e questo accade ancora prima che aumenti l’insulina perché sono recettori GLUT insulino-indipendenti.
L’utilizzazione aumenta sempre di più, è sempre più si blocca la produzione, fino a smaltire quello che
abbiamo ingerito, ecco come funziona.
Nel primo riquadro è rappresentata la glicemia, nel secondo l’insulinemia, negli ultimi due, invece, i
flussi di glucosio, in particolare l’assorbimento, l’utilizzazione e la produzione. Sull’asse delle ascisse
è rappresentato il tempo.
Il prof non lo dice esplicitamente, ma stiamo valutando un OGTT, un carico orale di glucosio.
Inciso del prof: L’utilizzazione del glucosio è definita disposal; esiste un’utilizzazione ossidativa
(ossido glucosio e produco ATP, questo avviene nelle fasi interprandiali) e un’utilizzazione non
ossidativa (conservo glucosio sottoforma di glicogeno - glicogenosintesi). Ovviamente, se in circolo è
presente glucosio, la produzione epatica di glucosio (glicogenolisi) deve essere inibita, altrimenti si
verificherebbero quadri di iperglicemia post-prandiale. È l’insulina ad attivare la glicogenosintesi ed
inibire la glicogenolisi. Dev’essere inibita anche la neoglucogenesi. Il glicogeno, poi, in condizioni di
digiuno, potrà essere trasformato in glucosio e utilizzato come substrato energetico da cervello, globuli
rossi, placenta, sistema immunitario, etc. Ora possiamo tornare all’immagine (primo riquadro) :) .
In condizioni di digiuno post-assorbitivo (ad esempio al mattino), quando introduciamo un carico di
glucosio, durante i primi 20 minuti, la
glicemia post-prandiale non è ancora
aumentata, ma l’insulina comincia ad
aumentare; addirittura, durante i primi
10 minuti, l’insulina subirà un piccolo
picco precoce, che poi “rientra”. Il prof
paragona questo piccolo picco a una
“citofonata alla periferia” per far
iniziare il disposal di glucosio.
Contemporaneamente (20 min),
comincia non solo l’assorbimento del
glucosio, ma anche la sua utilizzazione
metabolica. L’assorbimento diventa
massimale dopo la prima mezz’ora,
ancora prima del picco di insulina, visto
che il processo assorbitivo, in alcuni organi, è regolato da trasportatori GLUT insulino-indipendenti. La
produzione diminuisce (come anticipato, neoglucogenesi e glicogenolisi vengono inibite del tutto).
Tutto quello che abbiamo appena detto è propedeutico a comprendere il clamp.
Il clamp euglicemico-iperinsulinemico è una procedura sperimentale complessa, ma è metodo più
accurato per misurare l'IR (insulino-resistenza).
Per fare il clamp, è necessaria una pompa di insulina, inserita nel circolo venoso periferico (e non
portale). Il grande limite del clamp è proprio questo, considerato che:
2. il pancreas immette insulina nel circolo portale, non nel periferico;
3. il tessuto adiposo drena nel circolo portale, non nel periferico.
Oltre la pompa di insulina, sarà necessaria anche una pompa di glucosio (necessaria per non mandare
in ipoglicemia il pz a causa dell’insulina precedentemente infusa). Entrambe le pompe saranno
introdotte su un braccio. Sull’altro braccio si inserisce un misuratore della glicemia, che ci permette
di valutare la concentrazione glucidica “in diretta”. Questo misuratore è direttamente collegato a uno
sistema che, tramite un algoritmo di controllo, regola l’infusione di glucosio e insulina. Insomma, è un
sistema a circuito chiuso.
Immaginiamo di avere due pazienti e immaginiamo di iniettare a entrambi la stessa quantità di insulina;
logicamente la glicemia si abbassa.
L’algoritmo è stato fissato su un valore di glicemia di 130. Il mio sistema, a cui ho imposto una glicemia
di 130, immetterà glucosio tramite la pompa per raggiungere questo valore. Il valore di glicemia sarà
mantenuto costante per tutta la durata del test, nonostante l’insulina infusa, grazie alla contemporanea
infusione di glucosio tramite pompa.
Il prof a questo punto fa una domanda: secondo voi sta meglio il paziente a cui devo infondere più
glucosio o meno glucosio per fargli raggiungere 130 di glicemia?
Il soggetto che sta meglio è il paziente a cui devo dare PIU’ glucosio, perché evidentemente è più
sensibile all’azione dell’insulina.
Al contrario, il paziente che raggiunge 130 di glicemia con l’infusione di una minore quantità di
glucosio avrà una ridotta sensibilità all’insulina. ERGO in altre parole, il paziente a cui infondo meno
glucosio è più insulino-resistente.
Un indiano Pima ha meno bisogno di glucosio, perché questa popolazione tende all’insulino-resistenza.
Questo è il metodo grazie al quale, tramite la quantità di glucosio infuso, si può comprendere il grado
di resistenza all’insulina del paziente.
Il prof aggiunge che il glucosio infuso corrisponde al disposal (ossidativo e non ossidativo). Se si fa
anche calorimetria, si può comprendere come viene usato questo glucosio: se su 100g di glucosio, la
calorimetria mi dice che ne ho ossidati 30, logicamente gli altri 70 sono stati trasformati in glicogeno
e conservati.
Manca da dimostrare che è
stata bloccata la produzione
di glucosio endogena, che
nei diabetici potrebbe non
avvenire bene e contribuire
anche all’iperglicemia post
prandiale.
Breve interruzione
dell’audio. Il punto è
comunque che alla
regolazione della glicemia
concorre anche il glucosio
prodotto per via endogena.
Va quindi dato meno
glucosio dall’esterno,
perché l’output epatico di
glucosio (nds: il glucosio
immesso in circolo dal
fegato) non viene bloccato correttamente. Tale output è inibito dall’insulina, ma se si è insulino-
resistenti l’inibizione non può esserci: si continua a produrre glucosio, sebbene in quantità inferiore.
Quindi prima di affermare che un paziente abbia bisogno di ridurre l’introito di glucosio esterno a causa
dell’insulino-resistenza, bisogna valutare la produzione epatica endogena, che potrebbe essere
aumentata.
Domanda del prof: ma è solo l’insulina a concorrere alla regolazione della glicemia?
Risposta collega: no, ci sono anche gli ormoni contro insulari, come il glucagone, il GH e il cortisolo.
Esatto, questi non possono essere ignorati in questo ragionamento: per la durata del test si deve infatti
somministrare somatostatina, ormone che blocca la produzione degli ormoni citati sopra che
concorrono nel mantenimento della glicemia. Negli ormoni bloccati dalla somatostatina è inclusa
l’eventuale produzione endogena di insulina: si valuta così l’azione esclusivamente dell’insulina
somministrata dall’esterno. Il sistema viene così isolato.
Questo test è stato messo in piedi dal professor De Fronzo, che è noto per aver dimostrato la correlazione
tra diabetici e insulino-resistenza: facendo il clamp si dimostra la resistenza e quindi la necessità di
ridurre il glucosio da somministrare per mantenere l’euglicemia.
Nds: il prof accenna al “grosso limite di questo test” ma poi si perde a parlare dell’insulino resistenza
dimenticandosi del limite…
Insulino-resistenza pt.1

Si tratta di una riduzione


dell’azione dell’insulina. Il prof
mostra una foto scattata a un
congresso in cui è mostrata una
serie di pazienti che si sono
sottoposti a una PET, che illumina
il glucosio marcato (FDG,
fluorodesossiglucosio). Le zone
più illuminate sono quindi quelle aventi maggiore captazione e metabolizzazione del substrato.
In basso sono presenti in ordine crescente dei numeri che si riferiscono all’insulino sensibilità. A destra
stanno quelli messi meglio, quindi quelli insulino-sensibili. Questo parametro (insulino sensibilità) si
valuta con il valore M (M VALUE), che misura il disposal del glucosio, cioè quanto glucosio diamo, e
traduce il concetto di sensibilità insulinica: naturalmente si sviluppa la resistenza quando la sensibilità
è bassa. I diabetici hanno sensibilità bassa all’insulina, i non diabetici ce l’hanno più alta.

Si osserva nella slide che nelle regioni più a sinistra (i meno sensibili) le zone chiare sono ridotte, il che
porterà a un aumento glicemico visto il ridotto uptake delle cellule.
(Alcune osservazioni riguardo all’immagine in alto).

Osservazione di un collega: Anche in un soggetto insulino sensibile vi è una diversa sensibilità dei
tessuti all’insulina, quindi per esempio una maggiore esposizione delle GLUT in alcuni distretti
piuttosto che altri.
Nei soggetti più insulino sensibili (andando verso destra) vediamo che i distretti hanno una diversa
sensibilità all’insulina e quindi vi è una minore o maggiore captazione del glucosio. Si “accendono”
maggiormente e quindi avviene la captazione del glucosio, cosa che invece non vediamo nei diabetici.
Domanda: Abbiamo detto che i soggetti con T2D sono diabetici e gli altri no. Il soggetto con captazione
8,13 non è diabetico, è possibile che sia prediabetico dal momento che quelli che sono alla sua destra
sono diabetici e presentano un’insulino sensibilità più elevata?
Risposta: Potrebbe essere, perché comunque 8,13 e 8,26 sono valori molto simili. Notiamo inoltre che
si “accendono” dei distretti dove c’è tessuto muscolare.

Osservazione della collega: la sensibilità all’insulina dipende dalla risposta biologica a quest’ultima e
dall’esposizione della GLUT 4 e per questo i soggetti a destra risultano più fluorescenti, perché a livello
del tessuto adiposo e del tessuto muscolare vi sarà una maggiore risposta rispetto ai diabetici.
Risposta del professore: Ottima osservazione. Naturalmente i distretti muscolari, dove ci sono le GLUT
4 per la captazione condizionata dalla presenza di insulina e quindi dalla sensibilità insulinica si
accendono di più.
Osservazione di un collega: Nei soggetti più insulino resistenti si ha la captazione di glucosio solo dove
c’è una maggiore espressione di GLUT 1 e GLUT 3, che sono indipendenti dall’insulina.
Risposta: Esatto, quindi ci sono zone che nei diabetici sono più captanti.
(La fluorescenza a livello della vescica non indica una captazione, ma l’eliminazione del substrao a quel
livello).

A livello cardiaco viene mantenuta tendenzialmente la stessa captazione tra i vari individui.
Si nota invece una grossa differenza a livello encefalico, dove l’accesso del glucosio è insulino
indipendente e l’iperglicemia fa sì che a livello delle strutture nervose si capti addirittura più glucosio
rispetto alle persone non diabetiche o più insulino sensibili.
Quindi l’iperglicemia permette una maggiore captazione e una maggiore metabolizzazione di glucosio
in un distretto in cui l’ingresso di quest’ultimo non è dipendente dalla presenza dell’insulina.

Osservazione di una collega: Però a differenza del tessuto adiposo, il tessuto nervoso non trasforma il
glucosio in glicogeno, ma lo usa tutto.
Risposta: Il glucosio viene ossidato, non può essere conservato in glicogeno, perché quest’ultimo viene
conservato con attorno 6 molecole d’acqua. Infatti quando siamo a digiuno perdiamo più peso durante
i primi giorni, poiché perdiamo l’acqua che serve a idratare il glicogeno. Inoltre questo costituisce una
riserva di acqua, perché se non possiamo mangiare o bere utilizziamo quell’acqua.
Nella testa non possiamo depositare glicogeno (e quindi acqua), perché la scatola cranica è rigida, si
determinerebbe un danno ai neuroni e una ipertensione endocranica. Quindi questo glucosio si può
utilizzare solo per via ossidativa e abbiamo molti trasportatori che ne permettono l’ingresso e
garantiscono la vita di questi distretti.
Più alta è la glicemia, più entra glucosio e più questo viene ossidato.
Le persone diabetiche, sia per questa ragione (che probabilmente è la principale) che per altre
motivazioni, sono più esposte a decadimento cognitivo e malattie neurodegenerative, poiché l’eccessiva
ossidazione può portare anche a una glicazione non enzimatica delle strutture proteiche cerebrali e
quindi a un peggioramento della loro funzione.
Questa eccessiva ossidazione glucidica a livello delle cellule nervose quindi è dovuta a una particolare
abbondanza di substrato, che è un evento assolutamente sfavorevole.
Domanda: spostandoci a sinistra vediamo tutti soggetti diabetici. Il soggetto con captazione 3,83 come
mai è più “illuminato” e quindi ci sono più zone di captazione del glucosio rispetto al soggetto che è
un po’ più insulino sensibile?
Risposta: Sono differenze minime, stiamo studiando aspetti biochimici e biologici con metodiche che si
traducono in macroimmagini e ci possono essere anche piccole incongruenze.
Domanda di una collega:” Abbiamo visto che a livello della PET dei diabetici vengono evidenziati
maggiormente encefalo e reni, ciò è dovuto al fatto che queste zone captano più glucosio grazie alla
presenza di trasportatori come ad esempio 1 e 3 che sono insulino-indipendenti?
Risposta: “Si è così. Dei reni in realtà non ne ho parlato, quella è la vescica in quanto si accumula e
poi lo eliminiamo. Nel cuore non si vedono molte differenze, mentre si evidenzia molto nella testa e dei
distretti muscolari che captano il glucosio (GLUT4).”
Insulino-resistenza pt.2

In questa foto si vede un prima e dopo un trattamento con incretina e riduzione ponderale dove c’è un
recupero del picco precoce di insulina.

L’insulino-resistenza è una delle cause del Diabete di tipo


II ed è associata ad individui con obesità centrale.
Ovviamente, avendo un’associazione non si è sicuri se
l’insulino-resistenza sia la causa o la conseguenza
dell’obesità (in realtà dati dell’ABCD dimostrano che è
l’obesità la causa, ma li farà vedere dopo). L’insulino-resistenza è anche una concausa del diabete di
tipo II, in quanto, affinché una persona diventi diabetica non basta essere insulino-resistenti, ma deve
esserci un’alterata produzione di insulina.

Questa figura è stata mostrata nelle scorse lezioni,


essa mostra un grafico anni fino alla diagnosi di
diabete. Nei quattordici anni prima della diagnosi si
osserva che la glicemia sale lentamente e non arriva
ai valori necessari per la diagnosi di diabete; infatti,
l’insulina a digiuno deve essere superiore a 126
mg/dl e quella post-prandiale superiore a 200mg/dl.
Dal grafico, però, già si nota che la sensibilità
all’insulina scende, ma non come sale la glicemia,
ciò si spiega dal fatto che la funzione beta-cellulare
si mantiene costante, da come si nota nella curva
arancione. Quando la sensibilità insulinica precipita
la produzione di insulina inizialmente aumenta, per
compensare questa riduzione e favorire l’azione in
altri distretti come quello epatico o adiposo,
successivamente diminuisce e scatta l’iperiglicemia.
Il diabete conclamato si raggiunge, quindi, quando la
capacità secretoria -cellulare risulta essere
modificata. Quest’ultima è fortemente condizionata dalla predisposizione genetica, infatti, esiste la
familiarità per il diabete (che è poligenica).
La prima forma d’insulina che risulta essere alterata è quella post-prandiale. Tutto ciò spiega il perché
dell’esistenza di persone diabetiche che hanno valori d’insulina elevanti, anche maggiori di soggetti
normopeso non diabetici, in quanto alti valori non bastano per sovrastare il deficit d’insulino-sensibilità,
che è attribuibile a fattori ambientali, allo stile di vita, ma soprattutto ad obesità centrale. Infatti, il
tessuto adiposo produce citochine pro-infiammatorie che, dopo essere state secrete nel sistema portale,
vanno a danneggiare la funzione -cellulare pancreatica.
Quindi, fin quando si mantiene una funzione -cellulare adeguata non si raggiunge la condizione
diabetica.
Il sistema a livello centrale, di funzione beta-cellulare, può non reggere questo stress perché
geneticamente non è ben strutturato, e se a questo si sovrappone un deficit della capacità secretoria
betacellulare compare il diabete. Ecco perché oggi il diabete è molto più diffuso, infatti è cambiato
l’ambiente, è cambiato lo stile di vita, è aumentata l’obesità, il sistema è stato stressato oltre un livello
che in molte persone è intollerabile.

DATI DELL’ABCD SU PERSONE NON DIABETICHE

C’è una correlazione lineare tra BMI e HOMA-Index, all’aumentare del BMI aumenta anche l’HOMA-
I. Più è alto l’HOMA-index più questo sarà correlato all’insulino resistenza. Di conseguenza si ha una
diretta correlazione tra obesità e insulino resistenza, e negli anni aumenterà il rischio di sviluppare il
diabete.
La variazione di peso nel tempo si correla con la variazione di insulina. Se aumenta il peso infatti
aumenta la concentrazione di insulina; se al contrario il peso si riduce, a sua volta avremo una riduzione
di insulina.
Chiaramente per stabilire se sia l’aumento di peso a causare insulino resistenza, o l’insulino resistenza
a causare un aumento di peso, devono essere valutati dei dati longitudinali.

In questa tabella è possibile osservare una popolazione di oltre 1000 soggetti non diabetici di cui si sono
valutati vari parametri tra cui l’insulina, la glicemia, l’HOMA-INDEX, e gli stessi individui sono stati
sottoposti alle stesse valutazioni 4 anni dopo. Si sono osservati i pazienti che avevano preso peso negli
anni, rispetto ai soggetti il cui peso era rimasto invariato, considerando come significativo una
variazione di peso di 5 kg, poiché statisticamente il peso corporeo fluttua, per cui va ritenuto come
significativo un aumento di peso superiore a 5 kg.
Vengono suddivisi i soggetti esaminati in due gruppi: quelli che hanno preso più di 5 kg, e quelli che
hanno preso meno di 5 kg (possono anche essere dimagriti). Osservando i livelli di insulinemia dei due
gruppi si osserva che i soggetti che hanno preso più di 5 kg hanno dei livelli di insulina più alti rispetto
a 4 anni prima. Nonostante ciò questo dato è ancora statico, non fa ancora comprendere se sia l’aumento
di insulina a promuovere un incremento del peso corporeo o viceversa, e questo può portare a supporre
(in maniera errata), che agendo sui livelli di insulina (abbassandola) farmacologicamente si vada a
ridurre l’obesità.
Nei soggetti il cui peso non è variato in maniera significativa l’insulina a sua volta è rimasta invariata.
Analizzando i valori di insulina all’inizio dello studio (prima che i soggetti del secondo gruppo
mettessero peso), si osserva come questi fossero uguali in entrambi i gruppi, le due colonne azzurre
infatti sono identiche. E’ perciò evidente che l’insulina sia aumentata a seguito dell’aumento di peso, e
non il contrario, poiché entrambi i gruppi partivano dagli stessi valori di insulina.

Ergo, non c'era iperinsulinemia di partenza ma è stata successiva all'aumento di peso, la prova è questa.
Quindi l'iperinsulinemia è una risposta all'aumento di peso perchè si riduce con l'aumento di peso la
sensibilità all’insulina, ho bisogno di più insulina per smaltire il substrato. Se faccio l'homa index non
è che quelli che aumentano di peso sono più insulino resistenti, anzi se vedete la colonnina azzurra di
quelli che non sono aumentati di peso è leggermente più alta. L’homa index dopo è aumentato, chi è
aumentato di peso è diventato insulino- resistente, prima non lo era, chi non è aumentato di peso è
rimasto insulino-sensibile come prima. Dunque è sbagliato pensare che con un farmaco come la
metformina riduco l'insulino resistenza perchè riduco il peso, questo non succede. A meno che non sia
una insulino-resistenza PRIMITIVA, in cui vi è una recettore-patia genetica o fome di diabete
particolari chiamate MODI, rare, o l'insulino-resistenza nell'ovaio policistico. Quindi se ho insulino-
resistenza e sviluppo iperinsulinemia tardivamente posso dare iperglicemia. Ma limitiamoci all'aspetto
macroscopico che riguarda la quasi totalità della popolazione. Quindi l'insulino resistenza è successiva
all'aumento di peso, non precede. L'homa index si correla con la quantità di calorie normalmente
introdotta non per un substrato ma globalmente. Quelli a sinistra sono carboidrati, grassi e proteine, più
grassi mangi e più alto è l'homa index. Cioè l'insulino resistenza è una risposta all’eccessivo introito di
nutrienti perchè se io non sviluppo insulino resistenza, se comincio a mangiare di più e questo substrato
mi entra tutto in periferia, rischiamo pure di andarle a rompere queste cellule, se tutto il glucosio dovesse
entrare dentro le cellule avremmo anche un effetto osmotico perché il glucosio attrae acqua, avremmo
un stress ossidativo pazzesco, ecco perché nella magrezza costituzionale noi ci ritroviamo anche
problemi cardiovascolari aterosclerotici, perchè l'iperossidazione di un substrato crea stress ossidativo.
Se io mangio troppo e attraverso meccanismo insulino-dipendente lo assorbo tutto, questo substrato va
in circolo ed entra tutto subito perchè sono sensibilissimo (ecco perchè le glut4 sono regolate
dall'insulina e poi c’è insulino-resistenza, ecco perché questo meccanismo si satura oltre un certo livello
aumento ma non ossido più glucosio perchè non lo faccio entrare più dentro la cellula perchè altrimenti
va a creare danno. Quindi pazienza io sul momento me la risolvo così, ovvero che faccio aumentare un
po' di più la glicemia in circolo ma non lo faccio entrare tutto altrimenti va a creare danno. Quindi
sviluppo insulino-resistenza a livello periferico. Come se dentro un teatro si presentasse una folla di
gente e non si riesce a governare bene la situazione allora è necessario qualcuno a livello della porta
che faccia entrare le persone poche per volta e quindi si accumuleranno per strada (dove creano
comunque altri problemi) però se li facessi entare dentro il teatro succederebbe un putiferio. Se c'è un
iperafflusso di substrato nella cellula, poiché il glucosio tira acqua, la cellula scoppia, o se ho
iperossidazione di glucosio crea stress ossidativo dentro la cellula. Un po' quello che succede
cronicamente nel diabetico quando gli si accende il cervello alla PET. Allora l'insulino- resistenza è un
meccanismo di PROTEZIONE che pago con l'ipertrigliceridemia. L'insulina fa si che vengano esposte
Glut2 in altri distretti come l'adpocita. Quindi l’iperinsulinismo poi fa si che entri il glucosio in altri
distretti. L'homa index dipende da BMI (freccia rossa), maggiore è il BMI maggiore è l'insulino-
resistenza perchè devo difendermi di più, e dipenda anche dall'apposto di substrati energetici. La causa
dell'obesità non è l'insulino-resistenza ma è un fenomeno che segue. Ed è un meccanismo di difesa che,
come tutti i meccanismi di difesa, se ne abusiamo poi nel tempo determinano dei malfunzionamenti,
dei danni, io posso anche usare il freno a mano per frenare, ma è un problema se continuo a camminare
col freno a mano. Il freno a mano mi dà un aiuto sul momento ma non posso andare con meccanismi di
protezione attivati perché poi ne pago i danni (come ipertrofia al cuore, ipertensione ventricolare
sinistra..). Ma la logica vuole che io debba curare l'obesità per risolvere l'insulino resistenza. Infatti, se
correggo l'obesità si riduce l'insulina, migliora la sensibilità insulinica. Quello che è un meccanismo
che ci aiuta in acuto poi se lo manteniamo cronicamente attivato è un gran problema.
Lipodistrofie pt.1
Le lipodistrofie sono delle condizioni che ricordano un po' quello che succede nell’obesità, ma questi
soggetti non appariranno obesi, anzi presentano magrezza, il problema alla base è la loro incapacità a
fare massa grassa: ciò che mangiano non sarà depositato a livello del tessuto adiposo, ma altrove, come
per esempio nel fegato, infatti questi soggetti molto spesso presentano steatosi come i diabetici. C’è
un’analogia con l’obesità perché in questi ultimi vi sarà un eccesso di substrato che causerà il deposito
di questo altrove, nel soggetto lipodistrofico invece avverrà ciò pur non essendoci un eccesso di
substrato, questi ultimi non riusciranno ugualmente a depositarlo nel tessuto adiposo. Nonostante essi
siano magri, si prescriverà loro una dieta come approccio terapeutico. Le lipodistrofie si suddividono
in congenite e parziali acquisite.

Confronto tra obesità, lipodistrofia, insulino-recettorepatia


Confronto tra obesità della sindrome metabolica, le lipodistrofie e l’insulino-recettorepatia (condizione
nella quale un soggetto geneticamente può avere i recettori per l’insulina compromessi e quindi avere
un insulino-resistenza primitiva): il BMI nella sindrome metabolica è aumentato, nelle lipodistrofie è
addirittura diminuito, nelle insulino-recettoriepatie il BMI non è significativamente variato, a
dimostrazione del fatto che non è l’insulino resistenza a provocare l’obesità. La massa grassa e la
circonferenza vita nell’obesità è aumentata, nelle lipodistrofie è fortemente ridotta, il rapporto vita
fianchi è aumentato nell’obesità e nelle lipodistrofie perché questi ultimi non riescono a mettere massa
grassa; l’insulino resistenza è aumentata nell’obesità e ancora di più nelle lipodistrofie perché non
riescono a depositare il substrato nel tessuto adiposo, ma lo faranno altrove come nel fegato. Nelle
lipodistrofie troviamo le stesse caratteristiche presenti nella sindrome metabolica: insulino-resistenza,
ipertrigliceridemia, basso HDL colesterolo, presenza di steatosi, NAFLD (“Non alcoholic fatty liver
disease), oggi più correttamente chiamata MAFLD (“Metabolic dysfunction-associated fatty liver
disease): condizioni presenti nella sindrome metabolica, molto presenti nelle lipodistrofie, assenti
invece nell’insulino-recettorepatia. Il rischio di aterosclerosi è aumentato nell’obesità, ancora di più
nelle lipodistrofie. Si nota quindi come due fenotipi diversi, uno si presenta magro l’altro obeso, hanno
delle implicazioni differenti. Una differenza importante, anche a livello diagnostico, è che nell’obesità
troviamo la leptina aumentata, essendo questa prodotta dal tessuto adiposo, mentre nelle lipodistrofie
risulta essere bassa perché la quantità di tessuto adiposo risulta essere piuttosto ridotta.

Nella storia naturale che va dall’obesità al diabete esiste un approccio un po' più vecchio, ed un altro
più recente.
Approccio vecchio: predisposizione diabetica che si associava ad insulino-resistenza, questo
comportava iperinsulinemia compensatoria, a lungo andare questo comporta un maggior stress per le
cellule beta pancreatiche, queste ultimi poi per motivi genetici venivano compromesse. Nel momento
in cui si sovrappone il deficit beta-cellulare prevale l’iperglicemia e quindi il diabete.
Secondo il nuovo approccio: si parte da un cronico bilancio energetico positivo che conduce ad un
aumento della massa grassa, cioè espansione del tessuto adiposo, c’è un iperinsulinemia compensatoria,
tutto questo esita nell’obesità. Se gli adipociti funzionano bene si ha un’obesità non complicata:
aumenta in particolare il grasso periferico. Laddove invece si ha un limite nell’espansione del grasso
periferico, si avrà un deposito di grasso ectopico, quindi a livello del fegato (con il rischio poi di
steatosi), obesità viscerale ed è quello che porta alla sindrome metabolica, ed eventualmente al diabete
(meglio definita come “Diabesità” cioè obesità diabetica).
Oggi si parla di Adiposopatia: cioè deposizione ectopica del grasso. In un soggetto che non presenta
adiposopatia il grasso verrà depositato come grasso sottocutaneo, questi presenteranno una normale
tolleranza glucidica.
La stessa cosa succede con la lipodistrofia, cioè l’organismo non trova dove mettere il grasso e dunque
lo accumula in sedi ectopiche, come il fegato, con conseguente steatosi.
Osserviamo questo prospetto: si può vedere come l’insulino sensibilità sia in ascissa, in ordinata vi è
insulino secrezione.
Seguendo quello che succede si ha che più si è insulino sensibili, meno insulina viene prodotta perché
ne si ha bisogno di meno; ad un certo punto però succede che se si rimane insulino sensibili, si mantiene
uno stato di normotolleranza, ma se ciò non è possibile, si verifica una riduzione della tolleranza al
glucosio, e quindi diabete. Questo accade se c’è un tessuto adiposo disfunzionale (è quello che succede
ad esempio negli indiani?, non sono riuscita a capire la parola). Questo tessuto adiposo disfunzionale
reagisce con un meccanismo che si chiama di spillover, cioè “che va altrove”: un esempio per capire
meglio il concetto è quello del bicchiere che non riesce a contenere l’acqua, quest’ultima uscirà
all’esterno; analogamente, se il tessuto adiposo non riesce a contenere più grasso, quest’ultimo si
accumulerà in altre sedi (discorso rielaborato dallo sbobinatore).
A questo punto il professore mostra la seguente immagine, in cui viene presentato lo studio Direct; esso
dimostra che, a seguito di una low-carboidrates diet, atta a ridurre il substrato, si ottiene un effetto
migliorativo sulla glicemia: più viene perso peso e più è elevata la % di remissione del diabete.

I pazienti reclutati per lo studio erano soggetti diabetici che, dopo aver seguito una dieta chetogenica,
sono andati incontro a remissione del diabete. Guardando il grafico si evince che nei soggetti che hanno
perso meno di 5 kg la remissione era del 7%, tra 5 e 10 kg 34%, quelli che hanno perso più di 15 kg di
peso hanno avuto una remissione dell’86%.
Quindi si tratta di uno studio di intervento che mi dimostra come, rimuovendo la causa, ovvero
riducendo il substrato, riducendo il tessuto adiposo, si riduce il diabete.
Si può anche vedere che, se questo tessuto adiposo non è disfunzionale e ha una capacità di espandersi
a dismisura, si mantiene una normale tolleranza glucidica. Laddove, invece, questo non ha più la
capacità di espansione, ecco che si determina il deposito ectopico di tessuto adiposo e quindi si arriva
al diabete. Ecco perché molte persone con lieve obesità centrale o addirittura semplicemente in
sovrappeso possono diventare diabetiche.
Lipodistrofie pt.2

Nelle lipodistrofie funziona esattamente così (cioè secondo il modello dello spillover, grasso
disfunzionale, di cui abbiamo parlato poc’anzi): queste persone mangiano normalmente, sono figure
pseudo-atletiche (si vedono i muscoli perché sono malnutrite), ma hanno gli stessi problemi delle
persone con obesità centrale, ovvero sindrome metabolica e diabete di tipo 2 (steatosi epatica,
trigliceridi aumentati, basso HDL colesterolo). Questo perché non hanno un grasso in grado di
accogliere il substrato che mangiano normalmente.
La lipodistrofia è una malattia rara e complessa, spesso sottodiagnostica nella pratica clinica ed esistono
delle forme generalizzate e delle forme parziali. Essa ha cause genetiche, ma ci sono anche forme
acquisite, ad esempio i vecchi farmaci antiretrovirali per l’AIDS. Nei pazienti con AIDS la terapia
causava atrofia del grasso sottocutaneo ed essi sviluppavano tutte le caratteristiche della sindrome
metabolica.
Ricapitolando la lipodistrofia è un disordine metabolico caratterizzato da assenza parziale o
generalizzata di tessuto adiposo sottocutaneo. Da ciò deriva il deficit della leptina, che è prodotta dal
grasso sottocutaneo e che, se bassa, rientra infatti tra i criteri diagnostici. I soggetti affetti possono
sviluppare insulino-resistenza, ipertrigliceridemia, diabete.
Quindi la perdita della capacità di immagazzinare trigliceridi del tessuto adiposo causa la deposizione
ectopica di lipidi nel fegato, nei muscoli e in altri organi; conseguentemente c’è un severo danno
multisistemico.
La mancanza di tessuto adiposo (lipodistrofia) determina deficit di leptina che si traduce in iperfagia,
deposizione ectopica di lipidi, ipertrigliceridemia con rischio di pancreatite e malattie
cardiovascolari, insulinoresistenza e diabete.
Le comorbidità e le complicanze sono molteplici e sono quelle appena accennate: a livello epatico dalla
steatosi epatica alla steatoepatite alla cirrosi; a livello renale glomerulopatia obesità-correlata; a livello
cardiaco cardiomiopatia; e altre alterazioni sul pancreas, sull’apparato riproduttore…
La mortalità è più elevata nei pazienti lipodistrofici rispetto al resto della popolazione specie per
patologie cardiovascolari, così come avviene nella sindrome metabolica e
nel diabete.
Riscontriamo delle forme congenite generalizzate (CGL), acquisite generalizzate (AGL) e infine
forme parziali acquisite (molto frequenti ma spesso inosservate) correlate a processi autoimmuni e
cause sconosciute e forme parziali familiari.
Fra le congenite generalizzate troviamo la sindrome di Berardinelli Seip e tra le acquisite la sindrome
di Laurence con una età di insorgenza media molto precoce.
La sindrome di Dunningan rientra fra le lipodistrofie parziali familiari invece la sindrome di
Barraquer-Simons fra le acquisite.
Fra le caratteristiche cliniche vi è una spiccata insulino-resistenza.
La mancanza di tessuto adiposo sottocutaneo senza deprivazione alimentare volontaria (si alimentano)
può costituire un elemento importante per fare diagnosi come anche HIV+, dolori muscolari senza causa
apparente per tessuto adiposo che si deposita nei muscoli, fame incontrollata per deficit di leptina,
pseudo-ipertrofia muscolare non associato ad attività sportiva intensiva, vene prominenti e aspetto
pseudo-acromegalico del volto, delle mani e dei piedi, protrusione ombelicale, rapporto vita fianchi
aumentato, acanthosis nigricans ed irsutismo, alterazioni del ciclo mestruale, amenorrea, infertilità,
ovaio policistico, aspetto Cushingoide del volto e del tronco…
Dal punto di vista terapeutico si fa uso di leptina ricombinante.
SBOBINATORI:
Laura Ragusa Emanuele Bacile Ludovica Cucinella
Sara Monastero Giulia Bianco Daria Scibona
Alessia Palermo Giulia Cacciatore Elena La Franca
Ludovico Cudia Fabio Militello Fiammetta Giovannelli
Gianmarco Cirafisi Martina Curabba Valentina Lo Presti

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