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Legge sull’Aborto in Italia

Prima del 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata reato dal
codice penale italiano, che lo puniva con la reclusione da due a cinque anni,
comminati sia all’esecutore dell’aborto che alla donna stessa.

Il clima in cui si è vissuto fino agli anni sessanta era quello di una scontata immoralità
dell’aborto volontario.

Con la diffusione del femminismo ed un cambiamento della sensibilità morale, la legge


sull’aborto in Italia e la legislazione proibitiva fu radicalmente modificata, anche a
fronte dell’elevatissimo numero di aborti illegali, che causavano spesso complicazioni
gravi ed un grande numero di morti. Radicalmente non è un avverbio usato a caso: è con
i Radicali e con la loro campagna referendaria che nel nostro Paese si solleva l’onda
antiproibizionista.

Nel 1975 si autodenunciavano alle autorità di polizia per aver praticato aborti, e
venivano arrestati, il segretario del Partito Radicale Gianfranco Spadaccia (leggi il
testo di Gianfranco Spadaccia sulla battaglia radicale), la fondatrice del Centro
d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto (CISA) Adele Faccio e la militante
radicale Emma Bonino.

Il 5 febbraio una delegazione comprendente Marco Pannella e Livio Zanetti, direttore


de L’espresso, presentava alla Corte di Cassazione la richiesta di un referendum
abrogativo degli articoli nn. 546, 547, 548, 549 2º Comma, 550, 551, 552, 553, 554, 555
del codice penale, riguardanti i reati d’aborto su donna consenziente, di istigazione
all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a
pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia.

Dopo aver raccolto oltre 700.000 firme, il 15 aprile del 1976 veniva fissato il giorno per
la consultazione referendaria, che però non ebbe seguito perché il presidente Leone fu
costretto a sciogliere le Camere per la seconda volta. Intanto, però, la Corte
Costituzionale, con la storica sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975 aveva consentito il
ricorso all’IVG per motivi gravi motivando che non era accettabile porre sullo stesso
piano la salute della donna e la salute dell’embrione o del feto.

Legge 194 del 1978


Finalmente nel 1978 arrivava la legge 194, ovvero la legge sull’aborto, detta anche
legge 194 aborto, che da allora consente alla donna, nei casi previsti, di poter ricorrere
alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la
Regione di appartenenza).

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