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Indice

11 Introduzione

17 Capitolo I
Il lessico di una lingua
1.1. Cosa chiamiamo parola, 17 – 1.2. Il dizionario: una rappresentazione del
lessico, 19 – 1.3. Dizionario, vocabolario e lessico, 21 – 1.4. Parole lessicali e
parole grammaticali, 22 – 1.5. Types e tokens, 24 – 1.6. Quante parole deve
conoscere chi apprende una lingua, 26 – 1.7. Vocabolario ricettivo e vocabo-
lario produttivo, 27 – 1.8. Quali parole si imparano prima, 30 – 1.9. Il signifi-
cato, 31 – 1.9.1. Le collocazioni, 34 – 1.9.2. Omonimia e polisemia, 35 – 1.9.3.
Sinonimia, 36 – 1.9.4. Antonimia, 38 – 1.9.5. Iperonimi e iponimi, 39 – 1.10.
La competenza lessicale, 40

43 Capitolo II
Le parole nella mente
2.1. Il lessico mentale, 43 – 2.2. Come si organizzano le parole nella mente,
49 – 2.3. I modelli di rappresentazione, 50 – 2.3.1. Il secondo modello logogen
di Morton, 51 – 2.3.2. Il modello di ricerca seriale di Forster, 53 – 2.3.3. Il
modello di Levelt, 55 – 2.3.4. Il modello neuropsicologico del lessico, 58 –
2.3.5. La teoria modulare, 60 – 2.3.6. Il connessionismo, 61 – 2.4. Modelli del
lessico mentale bilingue, 62

69 Capitolo III
Il Lexical approach
3.1. Le basi teoriche del Lexical approach, 74 – 3.1.1. Aspetti linguistici, 74 –
3.1.2. Aspetti metodologici, 77 – 3.2. La natura del lessico, 81 – 3.3. I chunks
lessicali e i livelli di elaborazione, 90 – 3.4. Applicazioni pratiche del Lexical
approach, 93

101 Capitolo IV
La lettura e lo sviluppo del lessico
4.1. L’ipotesi del riciclo neuronale, 102 – 4.2. Il cervello che legge, 105 – 4.3.
Il percorso della lettura, 107 – 4.4. Leggere in L2, 111 – 4.5. La profondità
ortografica, 113 – 4.6. Modelli di lettura e processi di inferenza, 116 – 4.6.1.
Il modello interattivo di Just e Carpenter, 118 – 4.6.2. Il pandemonio, 122 –
4.6.3. I processi di inferenza, 124 – 4.6.4. La ritenzione dell’inferenza, 132 –

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10 Indice

4.7. Lettura e lessico, 135 – 4.8. La competenza lessicale, 137 – 4.9. Appren-
dere il lessico attraverso la lettura, 142 – 4.9.1. Riconoscere una parola, 142 –
4.9.2. L’apprendimento cumulativo, 143 – 4.9.3. La soglia lessicale, 144 –
4.10. Implicazioni glottodidattiche, 146 - 4.10.1. La scelta del testo, 146 –
4.10.2. Obiettivi e strategie, 148

155 Capitolo V
I corpora
5.1. Cosa sono i corpora, 155 – 5.2. Cosa si può fare con i corpora, 158 – 5.3.
Le diverse tipologie di corpora, 160 – 5.3.1. Corpus di riferimento di una lin-
gua, 160 – 5.3.2. Corpora specialistici, 161 – 5.3.3. Corpora di apprendi-
mento, 161 – 5.3.4. Confronto tra corpora, 163 – 5.4. I corpora della lingua
italiana, 164 – 5.5. Perché usare i corpora nell’insegnamento del lessico di una
lingua straniera, 175 – 5.6. Come usare i corpora nell’educazione linguistica,
183 – 5.6.1. Esempi di ricerca attraverso i corpora a scopo didattico, 185

201 Capitolo VI
Gli idioms e la metafora
6.1. Gli idioms e la competenza lessicale, 201 – 6.2. Una definizione di idiom,
204 – 6.3. La comprensione delle forme idiomatiche in L1, 206 – 6.4. I livelli
di idiomaticità, 211 – 6.5. Aspetti psicolinguistici delle espressioni idiomati-
che, 213 – 6.6. La rappresentazione mentale delle espressioni idiomatiche, 215
– 6.6.1. La lista idiomatica, 215 – 6.6.2. La codifica simultanea, 216 – 6.6.3.
L’accesso diretto, 216 – 6.6.4. L’ipotesi della configurazione, 217 – 6.7. Ti-
pologie di forme idiomatiche, 218 – 6.8. Strategie per l’apprendimento delle
liste idiomatiche, 220 – 6.9. Criteri di scelta delle forme idiomatiche, 223 –
6.10. La metafora: premesse storiche, 227 – 6.11. La competenza metaforica,
237 – 6.11.1. Definire la metafora, 238 – 6.11.2. Comparazione, anomalia,
interazione, 240 – 6.12. La metafora è un viaggio, 244 – 6.13. La dimensione
cognitiva, 246 – 6.13.1. Richards e il “commercio dei pensieri”, 246 – 6.13.2.
La concezione interattiva di Black, 248 – 6.13.3. I sistemi attivi operanti, 250
– 6.13.4. Il sistema dei luoghi comuni associati, 251 – 6.14. Vivere e agire
metaforicamente, 253 – 6.15. Metafora e concetti astratti, 257 – 6.16. Tradurre
le metafore concettuali di Metaphors We Live By, 262 – 6.16.1. La metafora
del titolo, 267 – 6.16.2. Uno sguardo attraverso le traduzioni di alcune meta-
fore indicate da Lakoff e Johnson, 269 – 6.16.3. La discussione è una guerra,
270 – 6.16.4. Il tempo è denaro, 274 – 6.16.5. La metafora del canale, 278 –
6.16.6 – Le metafore di orientamento, 288 – 6.17. Metafore e educazione lin-
guistica, 292

297 Bibliografia
Introduzione

Parole nella mente, parole per parlare è un saggio dedicato al


lessico nell’ambito dell’educazione linguistica. Come annuncia
lo stesso titolo, il volume si propone di affrontare l’argomento
del lessico e della competenza lessicale attraverso diverse pro-
spettive. I vari capitoli contengono, infatti, elementi di lingui-
stica, psicolinguistica e neurolinguistica senza mai trascurare
aspetti metodologici e pratici per l’insegnamento e l’apprendi-
mento delle lingue. La dimensione lessicale negli ultimi qua-
rant’anni ha assunto un ruolo sempre più centrale nella rifles-
sione glottodidattica. Purtuttavia, nel panorama glottodidattico
italiano, non sono ancora molte le monografie interamente dedi-
cate a questo argomento; fra queste ricordiamo Zegrebelsky
(1988); Porcelli (2004); Cardona (2004); Barni, Troncarelli, Ba-
gna (2008); Casadei, Basile (2019) e i lavori di Carla Marello sui
dizionari, sul lessico e i corpora per l’educazione linguistica (tra
i quali Marello 1996; Corda, Marello, 2004; Corino, Marello
2017).
Il presente volume si articola in capitoli che descrivono spe-
cifici aspetti della competenza lessicale. Di questi i primi due
sono dedicati alla descrizione delle principali caratteristiche del
lessico sia da un punto di vista linguistico che psicolinguistico.
Cosa sono le parole, questi meravigliosi contenitori a cui affi-
diamo i nostri pensieri? Come nascono nella mente? Qual è la
loro natura? Come vivono assieme? In quale luogo della mente
abitano e come le ricordiamo? Tali capitoli costituiscono un’in-
troduzione alla dimensione lessicale in prospettiva glottodidat-
tica, analizzando i principali modelli psicolinguistici di organiz-
zazione del lessico mentale e fornendo nozioni di base sul lessico
e sulla sua struttura in funzione del suo insegnamento. Successi-
vamente il volume si concentra su quattro aspetti rilevanti sia

11
12 Introduzione

sotto il profilo teorico-metodologico che pratico. Un capitolo è


dedicato, infatti, al Lexical approach proposto da Lewis (1993;
1997); in un altro capitolo si approfondirà il tema della lettura e
del suo rapporto con lo sviluppo della competenza lessicale; un
capitolo sarà incentrato sui corpora nella didattica delle lingue ed
infine un ultimo capitolo sarà dedicato al linguaggio figurato, un
aspetto, quest’ultimo, che sta assumendo un ruolo centrale nella
riflessione linguistica contemporanea in ambito cognitivista, in
particolare nell’analisi linguistica e psicolinguistica di idioms e
metafore.

Il Lexical approach

È ormai un fatto acquisito come il lessico sia stato a lungo un


argomento trascurato dalla glottodidattica. Bisognerà aspettare,
infatti, la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta per
osservare un risveglio di interesse per la dimensione lessicale.
Fortunatamente, in questi ultimi quarant’anni, si è assistito ad
un fiorire di studi e ricerche sul lessico ed allo stato attuale vi è
un’ampia bibliografia disponibile sia sul piano della teoria lin-
guistica che della pratica didattica. In Parole nella mente, parole
per parlare è presente un capitolo sul Lexical approach, una ri-
visitazione dei suoi presupposti teorico-metodologici.
Il Lexical approach è stato probabilmente una delle proposte
più organiche che il nuovo interesse per il lessico ha prodotto
negli anni Novanta del secolo scorso. Esso assume come basi
teoriche sia gli studi sui corpora che i principi della lessico-gram-
matica. La proposta del Lexical approach parte da una riflessione
critica sui principi metodologici fino ad allora dominanti. In par-
ticolare, viene discusso il ruolo preponderante della grammatica
negli approcci tradizionali proponendo una nuova visione che su-
pera la dicotomia tra lessico e grammatica sostenendo che la lin-
gua non è una grammatica con un lessico, bensì un lessico gram-
maticalizzato.
Il Lexical approach sviluppa molti principi metodologici co-
muni all’approccio comunicativo. Tuttavia, esso avvia una rifles-
sione sulla natura del lessico che fino ad allora non aveva ancora
Introduzione 13

avuto luogo nell’ambito dell’educazione linguistica dando vita


ad importanti implicazioni metodologiche. La descrizione dei
chunks lessicali, delle collocazioni, delle unità lessicali com-
plesse si traduce, infatti, in proposte metodologiche concrete, che
enfatizzano il ruolo del lessico in una prospettiva socio-pragma-
tica e di uso della lingua intesa come risorsa individuale per la
comunicazione e non come idealizzazione astratta. In Italia tale
approccio non ha avuto molta diffusione ed è stato scarsamente
applicato. Riteniamo utile dunque inserirlo in questo volume. Ci
auguriamo che in futuro esso riceva maggiore attenzione.

I corpora

I corpora vengono qui presentati e descritti nelle diverse tipolo-


gie e nelle loro potenzialità in funzione dello studio e dell’ap-
prendimento delle lingue. Essi offrono una raccolta testuale au-
tentica e, attraverso strumenti di ricerca linguistica, permettono
di osservare come si comportano le parole rilevandone la fre-
quenza d’uso, le concordanze, le collocazioni e le sfumature se-
mantiche in relazione ai contesti d’uso. Essi consentono di esa-
minare come i parlanti effettivamente usano una lingua.
Dal punto di vista didattico la ricerca attraverso i corpora for-
nisce dati anche sulla frequenza di ambito specialistico e micro-
linguistico, aspetto, quest’ultimo, molto utile in ambito CLIL e
nell’uso veicolare della lingua. Le stringhe di concordanza costi-
tuiscono uno strumento per ricavare materiale didattico su cui far
esercitare gli apprendenti e su cui farli riflettere, favorendo in tal
modo lo sviluppo della competenza metalinguistica. Inoltre, è
possibile svolgere ricerche comparative tra le diverse raccolte te-
stuali di una stessa lingua o tra lingue differenti.
Nel capitolo a essi dedicato vengono illustrati i diversi cor-
pora disponibili online ad accesso libero e viene descritto come
essi possono essere utilizzati nella didattica. L’obiettivo è quello
di fornire al lettore uno strumento che descriva in modo semplice
e accurato la complessa struttura dei software in funzione di un
loro utilizzo pratico nel campo dell’educazione linguistica.
14 Introduzione

Lettura e competenza lessicale

Parole nella mente, parole per parlare contiene un capitolo de-


dicato alla lettura e allo stretto rapporto tra questa e lo sviluppo
della competenza lessicale. È ampiamente comprovato, infatti,
come da un lato la lettura favorisca grandemente lo sviluppo del
lessico e come quest’ultimo, a sua volta, influenzi in modo de-
terminante l’abilità di lettura. Il capitolo contiene alcuni degli
aspetti principali del complesso processo di lettura attraverso al-
cuni modelli proposti in ambito neurolinguistico e psicolingui-
stico. È nostra ferma convinzione, infatti, che la conoscenza dei
principali meccanismi neurobiologici che presiedono ai processi
cognitivi sia oggi un aspetto importante nella formazione dei do-
centi ed in particolare dei docenti di lingue.
Come osserva Dehaene: «possiamo ancora accettare nel XXI
secolo che una persona colta conosca meglio il funzionamento
della propria automobile o del proprio computer piuttosto che del
proprio cervello? Il nostro sistema scolastico, troppo a lungo sot-
toposto all’arbitrio dell’intuizione di questo o quel decisore, non
può più accettare di subire una riforma dietro l’altra senza che le
scoperte delle neuroscienze cognitive siano prese in considera-
zione» (2009: 2). A partire da queste considerazioni riguardanti
il sistema universale di scrittura e alcune caratteristiche specifi-
che di natura interlinguistica, il capitolo propone spunti di rifles-
sione e proposte metodologiche che traducono le osservazioni
scientifiche in implicazioni glottodidattiche, nella prospettiva
teorico-pratica propria dell’educazione linguistica.

Il linguaggio figurato

Nel sesto capitolo ci siamo occupati del linguaggio figurato dal


punto di vista psicolinguistico, prestando particolare attenzione
agli idioms e alle metafore. A partire dagli anni Ottanta è cre-
sciuto molto l’interesse per il linguaggio figurato in ambito psi-
colinguistico e neurolinguistico tuttavia, nonostante ciò, nel
campo dell’educazione linguistica non si sono compiuti molti
Introduzione 15

studi strutturati di carattere teorico-applicativo finalizzati all’in-


segnamento del linguaggio figurato in L2. La psicolinguistica ha
ormai comprovato la pervasività del linguaggio figurato nella co-
municazione quotidiana; conseguentemente, nel presente vo-
lume si è ritenuto opportuno riflettere sul linguaggio figurato in
ambito glottodidattico. A tale scopo sono stati descritti gli aspetti
psicolinguistici e le strategie per l’apprendimento e per l’inse-
gnamento degli idioms. Il volume contiene, inoltre, la descri-
zione del percorso che ha portato a considerare la metafora non
più un mero artificio retorico con funzioni linguistiche marginali,
prettamente poetiche, bensì ad assumerla come uno strumento
cognitivo centrale nella vita e nel pensiero quotidiani. Viviamo e
agiamo secondo metafore che strutturano i nostri concetti e i no-
stri modi pensare. Ciò si riflette nelle espressioni metaforiche che
usiamo quotidianamente. Il sesto capitolo offre uno studio com-
parativo delle traduzioni e della traducibilità in italiano, tedesco,
spagnolo e francese delle espressioni metaforiche utilizzate da
Lakoff e Johnson in Metaphors We Live By. Questo studio per-
mette di valutare la portata culturale delle metafore e di ricavare
importanti osservazioni di carattere teorico-applicativo per
l’educazione linguistica.

Il presente volume è frutto del progetto comune dei due autori.


Tuttavia, i capitoli I, II, V sono da attribuire a Moira De Iaco,
mentre i capitoli III e IV sono di Mario Cardona. L’introduzione
e il capitolo VI sono a cura di entrambi gli autori. Nel capito VI
i paragrafi dal 6.1. al 6.9. e dal 6.11. al 6.15. sono di Mario Car-
dona, mentre i paragrafi 6.10., 6.16. e 6.17. sono di Moira De
Iaco.
Capitolo I

Il lessico di una lingua

1.1. Cosa chiamiamo parola

La Parola
(Stefan George)

Meraviglia di lontano o sogno


io portai al lembo estremo della mia terra
e attesi fino a che la grigia norna
il nome trovò nella sua fonte.
Meraviglia o sogno potei allora afferrare consistente e forte
ed ora fiorisce e splende per tutta la marca…
Un giorno giunsi colà dopo viaggio felice
con un gioiello ricco e fine
Ella cercò a lungo e [alfine] mi annunciò:
“Qui nulla d’uguale dorme sul fondo”
Al che esso sfuggì alla mia mano
e mai più la mia terra ebbe il tesoro…
Così io appresi la triste rinuncia:
Nessuna cosa è (sia) dove la parola manca1.

I versi di questa intensa poesia di Stefan George dedicati alla pa-


rola mettono in luce il rapporto stringente tra cose e parole, tra
mondo e linguaggio e la necessità degli uomini di nominare tutto
ciò che incontrano nel corso delle proprie esperienze: dare un
nome alle cose, agli eventi o ai vissuti è un modo per “appro-
priarsi” di essi. Pensiamo alla «furia nominatrice» di Colombo di
cui parla Todorov: la sua smania di nominare e rinominare tutto

1
La poesia di George è qui riportata nella traduzione di Fabio Ronci presente in un
contributo a cura di Marco Onofrio pubblicato sulla rivista letteraria L’Ombra delle Pa-
role (2015).

17
18 Parole nella mente, parole per parlare

ciò che incontra nel nuovo mondo in funzione del posto che cia-
scun luogo o cosa assume nel quadro della sua scoperta, equi-
vale, come Todorov osserva, «a una presa di possesso» (1982:
33). L’atto del nominare consente di avvicinare le cose, di fami-
liarizzare con esse, le rende disponibili all’uso così come per-
mette agli eventi e ai vissuti di essere disponibili alla riflessione
e alla rievocazione.
La relazione tra cose o fatti e parole è però più complessa del
semplice denominare inteso come l’assegnare un’etichetta a
qualcosa. Le parole di una lingua svolgono molteplici funzioni
giacché ci sono diversi modi in cui il nostro pensiero, per mezzo
del linguaggio, concettualizza la realtà. Inoltre, sebbene, come
evidenzia De Mauro (2005: 13), svariate lingue riconoscano
come parola un’unità compositiva dotata di significato, osser-
viamo che ciò che chiamiamo parola varia per struttura fonolo-
gica e grafemica sia all’interno di una stessa lingua che fra le
diverse lingue. Una parola può riferirsi a un’idea astratta, un’altra
a qualcosa di concreto, un’altra può essere, invece, polisemica e
può assumere diversi significati a seconda del contesto in cui
viene usata dai parlanti. Una parola può cadere in disuso, un’altra
può essere “fabbricata” e accettata dai parlanti di una lingua per
esigenze concettuali e comunicative. Una parola può non essere
traducibile in un’altra lingua. Le parole, poi, si legano le une alle
altre formando delle unità lessicali complesse che possono intrat-
tenere diversi rapporti semantici con la realtà a cui rinviano: pen-
siamo agli usi figurativi della lingua, ai significati traslati, meta-
forici, ai modi di dire, i quali non sono affatto marginali nella
comunicazione umana, ma – come avremo modo di vedere –
fanno strutturalmente parte della relazione quotidiana tra lingua
e vita. L’organizzazione del lessico, inteso come l’insieme delle
parole di una lingua, è dunque alquanto complessa e non è assi-
milabile all’immagine di una cassettiera costituita da cassetti se-
parati e allineati in ordine rigidamente schematico all’interno dei
quali sono contenute le parole con le loro univoche relazioni se-
mantiche. Il lessico è suscettibile di continue trasformazioni
giacché la lingua è una struttura storico-sociale in divenire.
I. Il lessico di una lingua 19

Seguendo De Mauro possiamo sinteticamente dire che le pa-


role che fanno parte di un lessico possono essere:
̶ lessemi, ovvero «unità di forme variabili nelle desinenze e nei
morfi grammaticali» (2005: 18) a seconda delle esigenze del
contesto;
̶ singoli morfo-lessicali invariabili congiungibili a soli morfi
grammaticali (le parole radice) o congiungibili a morfi sia
grammaticali che formanti (le parole tema);
̶ unità di forma invariabile dal punto di vista grammaticale o
famiglie di unità di forma testuale riconducibili a un unico
lessema (ivi: 18-19).
Si denomina allora lessico l’insieme aperto, indefinito, dei les-
semi di una lingua. La lessicologia si occupa dello studio dei vari
aspetti del lessico, mentre la lessicografia ha il compito di stu-
diare i metodi e le tecniche per comporre vocabolari e dizionari,
i quali sono sempre delle rappresentazioni parziali e limitate del
lessico di una lingua.

1.2. Il dizionario: una rappresentazione del lessico

Quando incontriamo una parola che non capiamo, non necessa-


riamente una parola di una lingua straniera (succede anche, al di
là del livello di istruzione, con parole della lingua nativa) fac-
ciamo ricorso al dizionario, questo quando il tempo disponibile
per la comprensione lo permette. Nell’interazione orale, data
l’urgenza di risolvere incomprensioni o fraintendimenti al fine di
non inficiare l’esito della comunicazione, è molto più probabile
che si risolva il problema chiedendo direttamente al nostro inter-
locutore che cosa intenda dire con quella certa parola a noi sco-
nosciuta. Quando invece si legge un testo, in base all’obiettivo
della nostra lettura, si potrebbe decidere di usare un dizionario in
presenza di parole oscure. Se si legge un testo con l’obiettivo di
cogliere il senso generale e si incontra una parola dal significato
ignoto che tuttavia non pregiudica la comprensione a grandi linee
di ciò che stiamo leggendo, si può tentare di ricavare approssi-
20 Parole nella mente, parole per parlare

mativamente il significato di quella parola facendo strategica-


mente ricorso all’expectancy grammar (Oller 1977), ovvero alla
capacità di prevedere o inferire i significati delle parole sulla
base del contesto in cui esse ricorrono. Se, invece, l’obiettivo
della lettura richiede una comprensione dettagliata delle parole
che compongono il testo o la complessità del testo non permette
di ricavare in modo sufficientemente adeguato il significato di
una parola sconosciuta, allora non resta che cercare quest’ultima
nel dizionario.
Occorre però tenere presente che, soprattutto in funzione di
una scelta metodologica glottodidattica orientata all’insegna-
mento/apprendimento di un’adeguata competenza lessicale, il di-
zionario non contiene tutto il lessico di una lingua, bensì è sol-
tanto una rappresentazione di esso. Il lessico, come abbiamo già
detto, è soggetto a continue trasformazioni giacché alcune parole
invecchiano, altre “nascono”, altre ancora si arricchiscono di si-
gnificati. Pertanto, anche il dizionario che raccoglie il numero
più elevato di voci necessita di aggiornamenti. Vediamo perciò
succedersi nuove edizioni che includono le parole che entrano a
far parte del lessico e che registrano le forme arcaiche delle pa-
role cadute in disuso. Le parole che compongono una lingua, le
norme che ne governano i rapporti con i fatti e le cose che esse
denotano, connotano, metaforizzano, cambiano continuamente.
Le stesse definizioni di un dizionario presentano perciò dei limiti
rispetto alla natura dinamica e generativa del lessico: nonostante
le numerose e continue riedizioni, i dizionari non riescono a te-
nere il passo mutevole della lingua e ci restituiscono una fotogra-
fia di quest’ultima che si presenta sempre già sbiadita, già invec-
chiata.
Inoltre, il dizionario è strutturato in modo artificiale rispetto
al modo in cui il lessico si organizza nella nostra mente. In esso
le parole sono presentate in ordine alfabetico e ciò agevola in-
dubbiamente le esigenze di ricerca di una certa parola, ma – come
vedremo nel prossimo capitolo – non rispecchia affatto il modo
in cui il lessico si struttura nella nostra mente. In essa si configu-
rano delle reti semantiche con specifici accessi lessicali basati
sulle componenti di carattere fonologico, morfologico, sintattico,
I. Il lessico di una lingua 21

nonché semantico e socio-pragmatico. Questa incongruenza tra


la struttura del lessico nel dizionario e la sua organizzazione nella
nostra mente è uno dei motivi per cui leggere la spiegazione di
un significato in un dizionario spesso non è sufficiente per me-
morizzare in modo duraturo un certo input linguistico. Affinché
una parola venga elaborata profondamente e inviata così alla me-
moria semantica che è parte della nostra memoria a lungo ter-
mine, è necessario che quella determinata parola entri nelle reti
di relazioni semantiche del nostro lessico mentale basate sull’uso
e quindi su una ripetizione fonologica e/o grafemica della parola
all’interno di una struttura morfo-sintattica con valenza socio-
pragmatica.

1.3. Dizionario, vocabolario e lessico

Se il dizionario, per le ragioni che abbiamo illustrato, è solo una


rappresentazione inevitabilmente parziale del lessico, che cosa
chiamiamo “vocabolario” e cosa include allora il lessico? La di-
stinzione tracciata da De Mauro (2007: 29) ci aiuta efficacemente
a comprendere come usare queste tre parole: dizionario, vocabo-
lario e lessico. Abbiamo già descritto che cos’è un dizionario e
quali sono i limiti della rappresentazione che esso ci offre ri-
spetto ai cambiamenti che investono costantemente la lingua e,
quindi, il lessico. E il vocabolario? Si intende per vocabolario
l’insieme dei vocaboli usati da un autore, ma anche quello dei
vocaboli usati in una singola opera. Consideriamo poi vocabola-
rio l’insieme delle parole utilizzate in modo caratterizzante da un
singolo parlante (idioletto) o da un gruppo di parlanti e parliamo
anche del vocabolario usato per trattare un certo tema e per co-
struire un determinato discorso, intendendo l’insieme delle pa-
role usate in modo specifico per essi.
Ogni genere di vocabolario è parte del lessico e, con riferi-
mento all’insieme di tutti i vocabolari, sono parte del lessico an-
che tutte le regole che permettono la formazione di altri vocaboli
a partire da quelli già attestati nei vocabolari (ivi: 30). Dunque,
22 Parole nella mente, parole per parlare

del lessico, insieme illimitato di elementi, fanno parte: una quan-


tità considerevole di parole attestate, un’immensa quantità di pa-
role potenzialmente formabili secondo le regole di formazione
delle parole, «lo sciame vastissimo» – come lo chiama De Mauro
(ivi: 31) – di novità dal punto di vista lessicale che possono es-
sere introdotte, gli accoppiamenti di vocaboli, ovvero le «giun-
ture stabilizzate nell’uso» (ibidem), come, ad esempio, “prendere
la parola”. Tra queste giunture sono comprese anche le espres-
sioni in cui le parole che le compongono hanno cambiato il pro-
prio singolo valore per assumere un valore globale nuovo, indi-
pendente da quello che ciascuna parola ha se presa singolar-
mente: si tratta delle cosiddette espressioni polirematiche come,
ad esempio, “andare allo sbando”. Di questa massa illimitata di
parole che compongono il lessico descriveremo nei prossimi pa-
ragrafi gli aspetti funzionali all’apprendimento del lessico di una
lingua.

1.4. Parole lessicali e parole grammaticali

Tra le parole contenute in un lessico si può tracciare una prima


distinzione utile sul piano didattico: quella tra parole lessicali e
parole grammaticali. Vi sono parole lessicali, dette anche piene
perché sono in grado di veicolare significato in modo del tutto
autonomo e talvolta anche se si presentano isolate: si tratta di
nomi, aggettivi, avverbi. Abbiamo poi le parole grammaticali, le
quali da sole non possono veicolare significato – al massimo lo
fanno in modo del tutto parziale – e sono perciò chiamate parole
vuote, ma sono anche definite “parole funzionali”, in quanto
svolgono una funzione grammaticale in associazione ad altre pa-
role. Appartengono a questa categoria gli articoli, le preposi-
zioni, i pronomi, le congiunzioni.
Se le parole lessicali di una lingua costituiscono una classe
indubbiamente aperta, in quanto in essa si possono aggiungere
nel tempo un numero indefinito di nuove parole, la classe delle
parole grammaticali di una certa lingua è piuttosto circoscritta a
un numero finito e predicibile di entità, le quali possono variare
I. Il lessico di una lingua 23

solo nel caso in cui intervengano mutamenti linguistici radicali


(Berruto, Cerruti 2011: 96). Perciò, Singleton (2000) ha classifi-
cato come funzionali tutte le parole che non cambiano nel corso
della vita di una persona, mentre ha iscritto nella classe delle pa-
role lessicali tutte quelle parole in grado di evolvere e variare nel
tempo.
La distinzione che abbiamo tracciato, come tutte le distinzioni
di ciò che, come il lessico, non si lascia rigidamente definire può
non corrispondere alla perfezione e presenta inevitabilmente
delle oscillazioni nella sua applicazione alla varietà delle lingue.
Per esempio, se confrontiamo l’articolo inglese “the” e un qual-
siasi articolo determinativo italiano, ad esempio, “il”, ci ren-
diamo conto che si tratta di due parole vuote in misura diversa:
“the”, infatti, non ci fornisce alcuna indicazione finché non viene
associato a un qualunque sostantivo, sappiamo solo che svolge
la funzione di articolo determinativo nella lingua inglese, non
sappiamo se la parola che a esso seguirà sarà singolare o plurale,
maschile o femminile; mentre, se consideriamo l’articolo italiano
“il” sappiamo già che la parola a cui esso si associa non può che
essere un nome maschile singolare e quindi “il” è una parola fun-
zionale meno vuota di “the”.
Per quanto riguarda poi le parole lessicali, sebbene queste
possiedano un proprio significato e possano talvolta esprimerlo
presentandosi isolate – pensiamo a un uso esclamativo come
“meraviglioso!” o “spettacolare!” – dobbiamo osservare che que-
ste parole veicolano il proprio significato sempre all’interno di
un contesto: se pensiamo a esse in modo isolato, come stiamo
facendo qui, risulta impossibile immaginarne il significato senza
collocarle in un possibile contesto.
Dal punto di vista didattico è importante tenere presente che
le parole grammaticali hanno una frequenza maggiore nella lin-
gua (Zagrebelsky 1998), pertanto la capacità di individuarle, di
discernerne la funzione, nell’apprendimento di una lingua è uno
degli obiettivi principali della competenza lessicale.
24 Parole nella mente, parole per parlare

L’insegnante, quando sceglie un testo da sottoporre agli stu-


denti, deve sempre considerare, attraverso operazioni metalin-
guistiche, il profilo lessicale e grammaticale delle parole conte-
nute al fine di valutarne l’adeguatezza rispetto al livello di com-
petenza linguistica degli allievi e agli obiettivi didattici prefissati.

1.5. Types e tokens

Prendiamo un semplice scioglilingua come “Figlia, sfoglia la fo-


glia; sfoglia la foglia, figlia” e chiediamoci di quante parole esso
sia composto. Per rispondere abbiamo due possibilità: se ci rife-
riamo ai types o forme grafiche, ovvero a quante parole diverse
ci sono in questo componimento, dobbiamo rispondere che esso
è costituito da quattro parole (figlia, sfoglia, la, foglia); invece,
se ci riferiamo ai tokens, ossia alle occorrenze, dobbiamo contare
tutte le parole, anche quelle che si ripetono e dobbiamo dire che
esso è composto da otto parole.
Il rapporto tra il numero di types e quello dei tokens – che si
ottiene dividendo il primo per il secondo (Laviosa 1998) – ci re-
stituisce la misura della varietà lessicale di un testo. Quanto più
è elevato il numero di types, tanto più il lettore dovrà sforzarsi di
comprendere un testo. Questo è un dato a cui un insegnante di
lingua può prestare attenzione al fine di stabilire la difficoltà di
lettura dei testi su cui far lavorare gli studenti. Egli può così fare
la scelta più appropriata avendo individuato il grado di compe-
tenza lessicale che deve avere lo studente per potersi confrontare
con un certo testo. Nell’uso di questo indice in ambito glottodi-
dattico occorre però tenere presente una difficoltà: nel caso, in-
fatti, delle parole funzionali, i cosiddetti morfemi grammaticali,
che possono essere derivazionali, quando derivano una parola da
altre parole, e flessionali, quando invece costruiscono le diverse
forme di una parola, l’insegnante deve compiere una scelta nel
computo, ovvero deve decidere se, nella misura in cui queste pa-
role si rifanno a uno stesso lessema, deve classificarle come to-
kens (occorrenze) o no. Per chiarire questo punto facciamo
I. Il lessico di una lingua 25

l’esempio di un verbo irregolare come “andare”, il quale al pre-


sente indicativo diviene “vado, vai, va, andiamo, andate, vanno”:
se all’interno di un testo ricorre la prima persona singolare del
presente indicativo di andare e poi anche la prima persona plu-
rale, l’insegnante che sta valutando il rapporto types/tokens al
fine di stabilire il grado di difficoltà di comprensione di un testo,
può decidere di considerare le due forme come due occorrenze
dello stesso type o le deve conteggiare come due types? L’allievo
con una competenza bassa potrebbe infatti avere più difficoltà a
riconoscere “vado” rispetto ad “andiamo” come forma flessio-
nale del verbo “andare”.
Il rapporto tra types e tokens è legato alla lunghezza del testo,
nel senso che se aumenta la lunghezza di un testo diminuisce il
valore di tale rapporto, nella misura in cui cresce il numero delle
parole che si ripetono e si abbassa quello delle parole che com-
paiono per la prima volta. Un basso valore del rapporto types/to-
kens indica una certa ridondanza lessicale nel testo, mentre un
valore alto vuol dire che il testo si presenta poco ripetitivo dal
punto di vista lessicale. Quest’indice è chiaramente determinante
nello stabilire quanto un testo sia creativo e ricco dal punto di
vista lessicale e quanto, invece, possa essere considerato piutto-
sto povero. Si tratta di uno dei quattro parametri individuati da
Laviosa (1998) per stabilire la varietà lessicale di un testo: in-
sieme a esso, Laviosa include l’indice di densità lessicale, quello
della lunghezza media delle frasi e il rapporto tra parole più fre-
quenti e meno frequenti. Questi parametri, inoltre, sono utili per
comparare la varietà lessicale di un corpus di testi tradotti con un
corpus di testi non tradotti, con lo scopo di determinare se il les-
sico della lingua tradotta sia meno vario rispetto ai testi in lingua
originale.
26 Parole nella mente, parole per parlare

1.6. Quante parole deve conoscere chi apprende una lingua

La quantità di parole che deve apprendere uno studente di lingua


straniera dipende ovviamente dal livello di competenza che si as-
sume come riferimento, da quali mete culturali e obiettivi comu-
nicativi lo studente si prefigge di raggiungere. Nation e Waring
(1997) hanno affrontato la questione provando a rispondere a tre
domande: quante parole ci sono nella lingua target? Quante pa-
role conosce il parlante nativo? Quante parole si devono cono-
scere per potere fare ciò che un parlante ha bisogno di fare con
una lingua?
Per rispondere alla prima domanda i due studiosi suggeri-
scono di consultare la versione aggiornata del dizionario più am-
pio della lingua target. Invece, per quanto riguarda la risposta al
secondo quesito, occorre tenere presente diverse variabili come
il livello di istruzione del parlante nativo, la sua abilità di lettura,
il grado di intelligenza cristallizzata, ossia la sua capacità di uti-
lizzare le competenze e le conoscenze acquisite. Si possono cal-
colare per ciascuna lingua un valore medio di parole apprese dai
bambini in età prescolare, che va via crescendo con la scolariz-
zazione fino a raggiungere un vocabolario di base che si arricchi-
sce sempre più fino ad arrivare a un valore medio di parole note
simile a quello di un parlante adulto altamente istruito. Per
quanto riguarda il terzo quesito, misurare quante parole sono ne-
cessarie a un parlante per soddisfare le proprie esigenze lingui-
stiche, è chiaro che questa misura dipende molto dagli obiettivi
che l’apprendente si prefissa: essi possono essere minimi e
quindi la quantità di parole da apprendere sarà contenuta oppure
possono essere più elevati e il lessico da acquisire sarà conse-
quenzialmente più ricco e ampio.
Vediamo quali sono i dati per la lingua italiana secondo le
stime attuali. Dei poco più di 260000 lemmi inclusi da De Mauro
nel Grande dizionario italiano dell’uso in 6 volumi, si stima che
un italiano adulto con un’istruzione medio-alta arrivi a usarne
47000. Il vocabolario di base della lingua italiana di De Mauro
aggiornato nel 2016 comprende 7500 parole circa suddivise in:
I. Il lessico di una lingua 27

̶ lessico fondamentale, costituito dalle parole ad altissima fre-


quenza, comprende 2000 parole circa usate nell’86% dei di-
scorsi e testi;
̶ lessico ad alto uso, costituito da 3000 parole circa d’uso fre-
quente, le quali coprono il 6% delle occorrenze;
̶ lessico ad alta disponibilità che comprende 2000 parole circa
usate solo in determinate circostanze, ma considerate di facile
comprensione in quanto percepite dai parlanti ugualmente se
non maggiormente disponibili rispetto alle parole d’uso fre-
quente.
È chiaro che il vocabolario di base di una lingua varia da lingua
a lingua. Si è soliti tuttavia accettare – nel quadro dei livelli di
competenza – che per acquisire una conoscenza minima del les-
sico di una lingua si debbano conoscere circa 3000 parole.

1.7. Vocabolario ricettivo e vocabolario produttivo

Dobbiamo a questo punto distinguere fra un vocabolario produt-


tivo che è quello che ciascun parlante è in grado di produrre
quando parla, scrive o pensa in una lingua e un vocabolario ri-
cettivo che comprende invece le parole che riusciamo a capire
durante l’ascolto o la lettura, che siamo in grado di ricevere, ma
non riusciamo a usare nelle fasi produttive della lingua, quando
pensiamo, interagiamo e scriviamo.
Più precisamente possiamo dire che si intende per vocabola-
rio ricettivo quello che si attiva durante il processo di riconosci-
mento delle parole in attività come la lettura o l’ascolto, nel corso
delle quali si recupera dalla memoria semantica il significato
delle parole che vengono riconosciute come familiari e che fanno
parte del nostro sapere, ossia che appartengono a quella che più
avanti chiameremo la nostra enciclopedia. Nel caso dell’attiva-
zione del vocabolario produttivo, invece, avviene un processo di-
verso: nel tentativo di esprimere un concetto nel corso di attività
produttive come parlare o scrivere si recuperano – in modo tanto
automatizzato quanto più elevato è il livello linguistico conse-
guito – le forme scritte o orali delle parole (le tracce ortografiche
28 Parole nella mente, parole per parlare

o fonologiche di esse) producendo con esse dei discorsi o dei testi


sensati.
In generale, il vocabolario ricettivo è più esteso del vocabo-
lario produttivo, per cui uno studente può conoscere alcune pa-
role che è in grado di riconoscere e comprendere, senza però es-
sere riuscito a trasferirle nel proprio vocabolario produttivo, ov-
vero può conoscere delle parole a cui è stato esposto occasional-
mente o che ha acquisito profondamente assorbendole, senza es-
sere tuttavia in grado di recuperarle e utilizzarle in fase produt-
tiva. Cercare di trasformare il lessico ricettivo in lessico produt-
tivo è un obiettivo importante al fine di espandere la conoscenza
linguistica.
Alla luce di quanto abbiamo appena descritto, dobbiamo os-
servare che una parola può non appartenere in modo rigido ed
esclusivo al vocabolario produttivo o a quello ricettivo di uno
studente, quanto piuttosto può collocarsi in uno dei gradi inter-
medi che sono stati individuati tra quello della ricezione e della
produzione. Studiosi come Melka (1997) hanno proposto infatti,
a questo proposito, quattro livelli: imitazione, riproduzione,
comprensione e produzione. Al primo livello non è necessario
che si attivino i significati degli input linguistici, mentre invece
nel caso della riproduzione dovrebbe esserci un processo di assi-
milazione, ossia un processo di presa di coscienza del valore se-
mantico di quanto si sta ripetendo. Si tratta di un processo che
favorisce la memorizzazione degli input. Senza un processo di
riproduzione consapevole del senso di quel che si sta dicendo, la
riproduzione viene a coincidere con l’imitazione. Se, invece, la
riproduzione avviene insieme alla comprensione, allora il livello
di produzione è sempre più prossimo, in quanto una volta acqui-
sito profondamente l’input linguistico, esso si rende disponibile
a un uso creativo da parte del soggetto che riesce a collocarlo a
un livello produttivo più complesso.
In funzione di questi diversi gradi intermedi della trasforma-
zione del vocabolario ricettivo in vocabolario produttivo, pos-
siamo distinguere – seguendo Nation (2001) – gli obiettivi che
uno studente deve raggiungere. Per quanto riguarda le parole del
vocabolario ricettivo uno studente deve acquisire la capacità di:
I. Il lessico di una lingua 29

̶ riconoscere una parola dal punto di vista fonologico durante


l’ascolto;
̶ riconoscere le parti di una parola quali radice, suffissi, affissi,
flessioni, ecc.
̶ riconoscere la correttezza ortografica di una parola scritta;
̶ riconoscere il valore semantico di una parola in base al con-
testo in cui essa ricorre;
̶ riconoscere e distinguere il significato denotativo e quello
connotativo di una parola;
̶ riconoscere le potenziali collocazioni di una parola.
Per conseguire questi obiettivi è necessario che l’insegnante sti-
moli lo sviluppo di una competenza metalinguistica sugli aspetti
fonologici e morfologici delle parole affinché queste possano es-
sere acquisite in modo profondo.
Vediamo che cosa deve essere in grado di fare lo studente per
attivare, invece, il vocabolario produttivo. Noteremo come si
tratti spesso di processi successivi a quelli precedentemente men-
zionati per l’acquisizione del vocabolario ricettivo. Lo studente
deve dunque essere capace di:
̶ riprodurre una parola correttamente, ovvero deve essere in
grado di pronunciarla prestando la giusta attenzione ad ele-
menti soprasegmentali come l’intonazione e l’accento;
̶ riprodurre la parola correttamente dal punto di vista della
struttura morfosintattica;
̶ scrivere le parole correttamente sotto il profilo ortografico;
̶ usare la parola in modo appropriato nei contesti semantica-
mente pertinenti;
̶ combinare le parole secondo quanto consentito dalle regole di
occorrenza e collocazione della lingua;
̶ scegliere le parole in base al grado di adeguatezza al registro
comunicativo.
Quanto abbiamo schematicamente appena descritto non si ap-
plica rigidamente a ciascun caso di apprendimento delle parole.
La conoscenza di una parola implica il conseguimento di diverse
sotto-competenze che possono essere presenti in grado diverso
nella lingua che lo studente sviluppa ̶ l’interlingua (Selinker
30 Parole nella mente, parole per parlare

1972) ̶ man mano che accresce la propria competenza nella lin-


gua che sta apprendendo. La sviluppo di queste sotto-compe-
tenze avviene in modo diversificato e dipende dalle attività di-
dattiche che vengono proposte allo studente.

1.8. Quali parole si imparano prima

Occorre tenere presente che ciascuno studente ha una propria


sfera emotivo-affettiva che influisce sulla capacità di apprendi-
mento di una lingua (Shumann 1997). Come abbiamo avuto
modo di vedere, ciascuno di noi ha un proprio vocabolario, nel
senso che, in base al proprio grado di istruzione, al proprio stile
di vita, alla propria professione, predilige certi vocaboli che ma-
gari un’altra persona non conosce e, in ogni caso, caratterizza le
proprie produzioni scritte e orali in modo personale.
Quando si apprende una lingua straniera è probabile che si
tenti, in modo del tutto inconsapevole, di ricreare il proprio vo-
cabolario nella lingua che si sta apprendendo e, in generale, è
possibile che uno studente riesca ad acquisire più facilmente al-
cune parole simili a quelle che è solito usare nella lingua madre
immettendole rapidamente nel suo vocabolario produttivo. Tut-
tavia, è possibile che la trasformazione del vocabolario ricettivo
in vocabolario produttivo venga guidata, nel senso di motivata e
stimolata, dal principio di utilità per cui uno studente riuscirà a
imparare prima le parole della lingua straniera utili a soddisfare
le proprie esigenze pratiche. L’insegnante può strategicamente
tenere conto del principio di utilità che motiva l’apprendimento
linguistico di ciascun studente, in modo da fare leva su di esso
per favorire l’apprendimento.
Può anche succedere che si riescano ad acquisire prima gli
input linguistici ricevuti più frequentemente o, ancora, quelli più
facili da pronunciare o quelli meno affini alla propria lingua ma-
dre, giacché – soprattutto nelle prime fasi di apprendimento – le
parole della lingua straniera fonologicamente simili a quelle
della lingua madre possono generare interferenza e confusione,
inibendo l’acquisizione profonda dell’input. È invece più facile
I. Il lessico di una lingua 31

apprendere le parole che non presentano troppa discrepanza tra


forma scritta e forma orale: quelle che si pronunciano in misura
considerevolmente diversa rispetto a come si scrivono tendono a
essere memorizzate con più difficoltà. Nei primi stadi d’appren-
dimento di una lingua, inoltre, anche la lunghezza delle parole
può essere determinante: tendenzialmente le parole corte si me-
morizzano più facilmente in quanto gravano meno sul ciclo fo-
nologico della memoria di lavoro la cui capacità di ritenzione de-
gli input, il cosiddetto span, è in funzione del tempo che si im-
piega per articolare una parola (Cardona 2010).
È impossibile dunque determinare in modo chiaro e definitivo
quali parole verranno acquisite prima: la capacità di costituire un
vocabolario ricettivo e di trasformarlo in vocabolario produttivo
dipende indubbiamente dalle scelte da parte dell’insegnante di
metodologie e materiali didattici adeguati all’apprendimento del
lessico, ma, in modo variabile, dipende anche dalle contingenze
di vita e dalle disposizioni emotivo-affettive di ciascun studente.

1.9. Il significato

Abbiamo fatto riferimento al significato delle parole, al signifi-


cato denotativo, a quello connotativo, alle collocazioni, senza
tuttavia aver chiarito che cosa si intende per significato e in che
senso possiamo fare le distinzioni sopracitate. Ci occuperemo di
questi aspetti in questo paragrafo.
Il campo della linguistica che tratta in modo specifico del si-
gnificato si chiama semantica. Nel 1883 il linguista francese
Bréal – che ebbe il merito di rilanciare gli studi di linguistica
storica e comparativa sviluppatisi soprattutto in Germania tra il
Seicento il Settecento e culminati nelle opere di Humboldt e
Bopp – propose di chiamare semantica un campo di studi foca-
lizzato sull’indagine del significato, con un’attenzione partico-
lare al suo diversificarsi nelle diverse lingue e all’interno di una
stessa lingua e al mutamento del significato delle parole.
Lo studio del significato, tuttavia, incrocia diverse discipline
come la filosofia, la semiotica, la psicologia, la linguistica e le
32 Parole nella mente, parole per parlare

scienze cognitive. Oggi chiamiamo semantica, in modo esten-


sivo, «lo studio dell’organizzazione dei significati di ogni sorta
di codice semiologico» (De Mauro 2005: 21), ma la semantica
che ci interessa, in prospettiva glottodidattica, è quella della lin-
guistica, la quale si occupa dell’intera organizzazione dei rap-
porti di significato all’interno di una lingua storica e di come i
significati vengono usati nei concreti atti linguistici, quelli che
Saussure chiamava paroles (1922 [2000]: 23-24). Gli atti lingui-
stici sono le combinazioni linguistiche volontariamente create
dai parlanti che attivano, attualizzano e ricreano il sistema sto-
rico-sociale della lingua entro cui si collocano.
Nel considerare un segno linguistico verbale si distingue una
parte materiale, ossia la forma grafemica o fonologica, detta si-
gnificante, e una parte cosiddetta immateriale, concettuale, che
veicola informazioni, chiamata significato. Il rapporto tra una
parte e l’altra di un segno risulta immotivato dal punto di vista
naturale ed è frutto di convenzioni sociali. Il significato si confi-
gura come un punto d’unione tra i processi mentali, la lingua e il
mondo esterno ed è la parte del segno decisamente più difficile
da definire. Non a caso la natura complessa del significato è stata
oggetto di varie congetture nel corso della storia del pensiero ed
è ancora oggi molto dibattuta in almeno due filoni di indagine:
quello più logico-filosofico che considera il significato «in ter-
mini di operazioni astratte con cui si costruisce la rappresenta-
zione mentale della realtà» e quello cognitivista che vede il si-
gnificato come «una struttura cognitiva basata sul complesso
dell’esperienza umana con particolare riguardo ai suoi aspetti fi-
sico-percettivi» (Berruto, Cerruti 2011: 192).
Nell’economia di questo studio possiamo limitarci a sintetiz-
zare due concezioni del significato: quella denotativa o referen-
ziale e quella pragmatica o contestuale. Secondo la prima conce-
zione il significato è un’immagine o un’operazione mentale cor-
rispondente a oggetti, qualità e azioni concrete nel mondo
esterno o a un’idea quando si tratta di un riferimento a qualcosa
di astratto esterno alla lingua. Invece, nella prospettiva della con-
cezione pragmatista il significato viene descritto come l’uso che
I. Il lessico di una lingua 33

si fa di un segno all’interno di un certo contesto secondo deter-


minate regole: si tratta quindi di una visione funzionale, detta an-
che contestuale, del significato.
In modo semplificato e finalizzato a ciò che ci preme qui ana-
lizzare, consideriamo la distinzione usata in linguistica tra signi-
ficato denotativo e significato connotativo, laddove per signifi-
cato denotativo si intende ciò che in senso oggettivo il segno rap-
presenta, ossia la relazione oggettiva di un significante con un
referente della realtà esterna, mentre con l’espressione signifi-
cato connotativo ci riferiamo a una relazione semantica sogget-
tiva, a un significato inferito, connesso alle sensazioni del sog-
getto parlante e alle associazioni generate dal segno. Ad esempio,
il significato denotativo della parola “cane” è “animale dome-
stico dall’olfatto finissimo, con dimensioni, aspetto, attitudini
variabili ecc.”; invece, un significato connotativo potrebbe es-
sere: “animale fedele, molto socievole, giocherellone”. Tra i si-
gnificati connotativi includiamo tutte le associazioni al cane che
ci sovvengono, le valutazioni personali su questo animale, le sen-
sazioni legate a nostri vissuti personali con i cani.
Gli aspetti del segno che, rispetto al significato, dobbiamo te-
nere a mente in quanto rilevanti nella didattica delle lingue sono:
̶ il carattere arbitrario del legame tra significante e significato
(Saussure, 1922 [2000]: 85-87), per cui è del tutto convenzio-
nale, privo di aggancio naturale e frutto di un’abitudine so-
ciale affermatasi nel tempo, che in italiano alla sequenza di
suoni /s-o-r-e-l-l-a/ corrisponda il significato di “sorella”, in-
teso come colei che è parente di primo grado, in quanto figlia
dei miei stessi genitori. Così come è immotivato e convenzio-
nale che a questo stesso significato in francese corrisponda il
significante /s-ö-r/:
34 Parole nella mente, parole per parlare

̶ la lingua è un sistema organizzato di segni in cui ciascun se-


gno deve, saussurrianamente parlando, la propria esistenza
all’esistenza di altri segni, ovvero ogni segno assume il pro-
prio significato secondo relazioni sintagmatiche (come le col-
locazioni che analizzeremo nel prossimo paragrafo) e para-
digmatiche (quali polisemia, sinonimia, antonimia, iperoni-
mia e iponimia) con altri segni della stessa struttura lingui-
stica, ossia della stessa lingua storica.

1.9.1. Le collocazioni

Fra le parole di una lingua si possono instaurare, dunque, rela-


zioni di tipo sintagmatico quando una parola entra in relazione
con quelle che la precedono o la seguono, oppure relazioni di tipo
paradigmatico quando una parola entra in relazione con una pa-
rola che potrebbe sostituirla.
Le collocazioni sono relazioni sintagmatiche particolarmente
interessanti nella didattica del lessico. Ogni parola tende a stabi-
lire dei rapporti privilegiati, a volte esclusivi, con le parole che
la seguono e la precedono, formando così dei chunks, delle unità
informative in cui una parola richiama un’altra. Si tratta di rap-
porti che possono variare, in modo più o meno considerevole,
nelle diverse lingue e questa variabilità è ciò che rende impossi-
bile eseguire una traduzione letterale di una lingua in un’altra. I
rapporti tra le parole di una lingua non sono equivalenti a quella
di un’altra per cui, ad esempio, se in italiano dico “una forte piog-
gia” non posso tradurre letteralmente in inglese a strong rain, in
quanto l’aggettivo inglese che va collocato prima del sostantivo
rain non è strong, che traduce letteralmente “forte”, bensì heavy,
per cui parleremo di heavy rain.
In ogni lingua si costituiscono delle co-occorrenze social-
mente accettate e abitualmente riattualizzate dai parlanti che si
configurano come sintagmi lessicali piuttosto fissi che devono
essere correttamente appresi dai parlanti stranieri in modo da rag-
giungere una buona fluenza linguistica: in italiano, per esempio,
“cordiali/saluti” o “bandire/un concorso”, in inglese submis-
sion/of papers o submission/of application. A questo proposito
I. Il lessico di una lingua 35

possiamo assumere che per ovviare al problema del transfert ne-


gativo di collocazioni della lingua madre alla lingua target, sa-
rebbe opportuno non basare l’apprendimento del lessico sulla
traduzione in lingua straniera delle strutture lessicali della lingua
madre. Occorre quanto più possibile puntare sull’acquisizione
diretta del lessico della lingua target.

1.9.2. Omonimia e polisemia

Fra le relazioni di significato che possiamo riscontrare tra uno o


più lessemi c’è quella di omonimia nel caso di lessemi che hanno
lo stesso significante, ma diverso significato. Sono ad esempio
omonime le parole “porta”, terza persona singolare dell’indica-
tivo presente del verbo portare, e “porta”, apertura che consente
un passaggio.
Nella lingua italiana gli omonimi si distinguono in omografi
e omofoni: gli omografi sono le parole che si scrivono allo stesso
modo, ma si pronunciano diversamente come “vènti” (vocale [e]
chiusa) – plurale di “vento” – e “vénti” (vocale [Ɛ] aperta), nu-
mero; oppure “subîto” – participio passato del verbo “subire” –
e “subito” – immediatamente, in questo istante. Parliamo, invece,
di omofoni nel caso di parole che si pronunciano anche allo
stesso modo: “danno” – terza persona plurale dell’indicativo pre-
sente del verbo “dare” – e “danno” – perdita di consistenza, effi-
cienza, prestigio, valore; oppure “partito” – participio passato del
verbo partire – e “partito” – associazione politica.
Dall’omonimia deve essere distinta la polisemia: nel caso
dell’omonimia non ci sono rapporti di parentela e derivazione fra
i significati rappresentati dallo stesso significante, mentre nella
polisemia i diversi significati che sono stati associati nel tempo
allo stesso significante sono imparentati tra loro e intrattengono
o possono intrattenere rapporti di derivazione. Nel caso della po-
lisemia si tratta di una stessa parola che ha più significati in qual-
che modo e misura correlati tra loro. Facciamo qualche esempio:
la parola “ala” può significare l’ala dell’uccello, ma – per esten-
sione semantica – anche quella di un aereo o quella di un edificio
o ancora il giocatore schierato in una delle due estremità della
36 Parole nella mente, parole per parlare

linea degli avanti o una parte di un partito con un preciso indi-


rizzo politico; con la parola “campo” si intende una parte di ter-
reno destinata alla coltivazione, ma si può anche intendere
un’area adibita a scopi particolari (il campo dove si gioca una
partita di calcio), la delimitazione di una superficie o di un’area
di studio o uno spazio di propagazione di onde elettromagneti-
che, ecc.
I diversi significati associati a una parola polisemica variano
quando si passa da una lingua a un’altra e la polisemia può per-
tanto costituire un fattore di difficoltà nell’apprendimento del
lessico, soprattutto se si tenta di apprendere il lessico della lingua
straniera traducendo quello della propria lingua madre.

1.9.3. Sinonimia

Quando fra due parole sussiste un rapporto di somiglianza se-


mantica parliamo di sinonimia. Si tratta di parole con significante
diverso, ma significato simile (bello/affascinante) o uguale (pa-
dre/babbo). La sostituzione di una parola simile con un’altra
comporta spesso un cambio di sfumatura del significato e può
non risultare sempre appropriata.
Nel caso di parole dal significato uguale come padre e babbo,
l’uso di una parola al posto dell’altra può dipendere da un co-
stume locale – babbo, ad esempio, è molto più diffuso in regioni
come la Toscana e l’Emilia-Romagna – oppure può essere basata
su aspetti connotativi per cui “babbo” può suonare più affettuoso
di “padre” che richiama un rapporto distanziato e rispettoso. In-
vece, nel caso di parole con significato simile come bello o affa-
scinante, definire qualcuno “affascinante” può significare rife-
rirsi ad aspetti non strettamente connessi a una bellezza fisica,
bensì a comportamenti eleganti e atteggiamenti, anche di carat-
tere intellettuale, in grado di catturare l’attenzione.
La sostituzione, quindi, di una parola con un suo sinonimo
può aggiungere valori connotativi e può non essere appropriata
in certi contesti comunicativi. Se il registro di una conversazione
è formale non è appropriato parlare di “casino”, in presenza di
I. Il lessico di una lingua 37

“confusione”. Raffreddore e rinite sono sinonimi, ma mentre par-


liamo comunemente di raffreddore, in campo medico si parla più
tecnicamente di “rinite” e può succedere che persone con
un’istruzione elevata sostituiscano la parola “rinite” con “raf-
freddore” a seconda dell’interlocutore con cui parlano e dunque
anche del tipo di registro comunicativo. Le parole “viso”, “volto”
e “faccia” sono considerate sinonimi, ma non lo sono in senso
assoluto:
̶ posso dire “mi sono lavata la faccia”, ma posso dire anche
“mi sono lavata il viso”, tuttavia il registro della prima frase
è certamente informale e l’espressione è appropriata in un
contesto familiare, mentre la seconda espressione suona bene
in un registro formale;
̶ qualcuno può dire a qualcun altro, con tono minaccioso, “ti
spacco la faccia”, ma in questo caso non funzionerebbe dire
“ti spacco il volto” o “ti spacco il viso”, tra il sintagma “ti
spacco” e quello “la faccia” c’è un rapporto di co-occorrenza,
uno richiama l’altro, si tratta di una collocazione;
̶ posso dire a qualcuno “hai proprio una brutta faccia” per dir-
gli che appare provato o stanco, ma non funziona allo stesso
modo se provo a sostituire “faccia” con i suoi sinonimi dicen-
dogli “hai proprio un brutto volto” o “hai proprio un brutto
viso”, sembra che io stia esprimendo un giudizio estetico ne-
gativo e risulterei offensiva, in questo caso si tratta di una
frase idiomatica che non ammette sostituzioni della parola
“faccia”;
̶ nell’espressione “come sei scuro in volto” posso sostituire la
parola “volto” con “faccia” o “viso”, tuttavia queste ultime
due parole risultano meno frequenti nella costruzione di que-
sta espressione;
̶ se dico a qualcuno “ci ho rimesso la faccia” non posso sosti-
tuire la parola “faccia” con i suoi sinonimi perché abbiamo a
che fare con una collocazione e il rapporto sintagmatico è
fisso;
̶ se parlo delle facce di un cubo, non posso assolutamente so-
stituire “facce” con “volti” o “visi”.
38 Parole nella mente, parole per parlare

Emerge quindi che una sinonimia perfetta o assoluta è estrema-


mente rara. Abbiamo casi di sinonimia parziale in molte espres-
sioni in cui ricorrono “vivere” e “abitare” con lo stesso signifi-
cato: “vivo a Lecce” può essere sostituito con “abito a Lecce”.
Ma nella maggior pare dei casi, come abbiamo avuto modo di
osservare, abbiamo a che fare con una sinonima relativa o conte-
stuale e quindi funzionale a ciò che in una certa situazione socio-
pragmatica si vuole esprimere. Pertanto, dal punto di vista glot-
todidattico, dobbiamo dedurre che è importante introdurre il les-
sico agli studenti sempre in specifici contesti d’uso, in modo da
stimolare la riflessione sulla sinonimia tanto per arricchire il les-
sico dell’apprendente, quanto per sviluppare la sua abilità meta-
linguistica in funzione della scelta appropriata di una parola, a
discapito di un suo sinonimo in base allo specifico contesto co-
municativo in cui egli si trova a interagire.

1.9.4. Antonimia

Quando fra due parole sussiste un rapporto di incompatibilità se-


mantica parliamo di antonimia. Si considerano antonimi due les-
semi che hanno un significato contrario, ovvero uno ha un signi-
ficato opposto a quello dell’altro. I rapporti di antonimia si dif-
ferenziano in base alla loro appartenenza a categorie che espri-
mono proprietà fisiche (alto/basso, sottile/grosso), qualitative
(buono/cattivo, generoso/tirchio), spaziali (sopra/sotto, destra/si-
nistra), estetiche (bello/brutto) o proprietà che si escludono l’un
l’altra (pieno/vuoto, chiaro/scuro, giorno/notte).
Fra gli antonimi ci sono poi diversi gradi che possono essere
lessicalizzati ricorrendo a “poco, abbastanza, molto”, per cui
possiamo dire “un po’ freddo” o “un po’ caldo”, “abbastanza
freddo” o “abbastanza caldo”, “né caldo né freddo”, “molto
freddo” o “molto caldo”. Ci possono essere degli antonimi spe-
cifici di una lingua in termini culturali come “azzurro” opposto
al “rosa” in riferimento alla nascita di un bambino o di una bam-
bina o “nord” opposto a “sud” non nel senso geografico, ma nel
senso di una contrapposizione di grado socioeconomico.
Quest’ultimo rapporto oppositivo risulta capovolto in ordine di
I. Il lessico di una lingua 39

grado se ci si sposta in Germania e ciò dimostra come questi rap-


porti semantici oppositivi siano relativi e possano variare da lin-
gua a lingua generando incomprensioni o fraintendimenti.
Occorre tenere presente che i rapporti semantici oppositivi
possono essere usati in modo strategico nella didattica del lessico
di una lingua, in quanto presentare una coppia di opposti agli stu-
denti può favorire la memorizzazione delle due parole (Balboni
1998). Ciò vuol dire che, tenendo conto del fatto che si apprende
più rapidamente una parola se si offre anche il suo opposto, è
opportuno considerare i rapporti oppositivi nel lessico di una lin-
gua e scegliere il materiale didattico che permette di introdurre
insieme le parole fra cui si è instaurato un rapporto di antonimia.

1.9.5. Iperonimi e iponimi

Iperonimi e iponimi si definiscono reciprocamente. Un ipero-


nimo appartiene a una categoria semantica più estesa entro la
quale si iscrive un iponimo che rispetto all’iperonimo ha un si-
gnificato più specifico. Per cui “animale” è iperonimo di “cane”
che è quindi un iponimo. Ma fra “animale” e “cane” possiamo
indicare un iponimo intermedio che è “mammifero” così come
possiamo continuare ad estendere la catena degli iponimi, ad
esempio, con la parola “bassotto”.
La parola “animale” è iperonima anche di “gatto” che condi-
vide con cane il tratto semantico “mammifero”, ma non quello
“siamese”. La parola “animale” condivide una serie di tratti se-
mantici con tutti gli iponimi che si relazionano a essa del tipo
“respira”, “si nutre”, “si muove”. Inoltre, alcuni iponimi che rien-
trano nella categoria semantica più estesa degli animali condivi-
dono tratti semantici come “mammiferi”, altri ancora condivi-
dono il tratto semantico “ovipari”, altri ancora quello “volatili”.
All’interno di una certa categoria semantica (iperonimo) tro-
viamo un ordine gerarchico rispetto agli iponimi e a rete tra gli
iponimi nella misura in cui aumentano i tratti semantici di cia-
scun iponimo e fra di essi si stabiliscono degli incroci: alcuni
tratti appartengono ad alcuni iponimi, ma non ad altri e così via.
40 Parole nella mente, parole per parlare

Il rapporto tra iperonimi e iponimi permette di rilevare una


struttura organizzativa di tipo associativo tra gli elementi del les-
sico di una lingua. Avremo modo di analizzare questa organizza-
zione del lessico all’interno della mente nel prossimo capitolo.

1.10. La competenza lessicale

In questo capitolo abbiamo esaminato i diversi aspetti del lessico


che devono essere presi in considerazione in sede didattica in
modo da agevolare lo sviluppo del lessico della lingua target evi-
tando di incorrere in problemi di transfert negativo generati dal
ricorso alla traduzione letterale delle parole della lingua madre
nel lessico della lingua target. La competenza lessicale si strut-
tura in una serie di sotto-competenze che devono essere svilup-
pate attraverso tecniche e strategie didattiche che tengano conto
del contesto educativo e delle specifiche condizioni emotivo-af-
fettive degli studenti. Sintetizziamo l’insieme delle sotto-compe-
tenze della competenza lessicale riportando la seguente tabella:

Tabella 1.1. La competenza lessicale


Competenza linguistica ̶ Conoscenza della forma delle
parole, dell’ortografia e della
pronuncia.
̶ Conoscenza della struttura
delle unità lessicali e del loro si-
gnificato.
̶ Conoscenza delle caratteristi-
che morfosintattiche
Competenza discorsiva ̶ Conoscenza dei rapporti lo-
gico-semantici tra le unità lessi-
cali.
̶ Conoscenza delle co-occor-
renze e delle collocazioni
̶ Conoscenza delle regole di
coesione e coerenza all’interno
del testo
I. Il lessico di una lingua 41

Competenza referenziale ̶ Riguarda la conoscenza del


mondo e l’enciclopedia. Con-
sente di attivare schemi e script
sui quali si basano i processi di
inferenza.
̶ Consente di attivare il lessico
corrispondente a determinati
domini di esperienza.
Competenza socioculturale ̶ Riguarda ad esempio le scelte
di registro in base al contesto
comunicativo in cui si produce
l’atto linguistico.
̶ Questa competenza riguarda
anche il valore culturale, affet-
tivo e connotativo delle parole
in funzione delle griglie cultu-
rali proprie di ogni comunità
linguistica.
Competenza strategica ̶ Riguarda la capacità di utiliz-
zare strategie per risolvere pro-
blemi di comunicazione in or-
dine al livello di conoscenza
lessicale. Ad esempio, saper
utilizzare le informazioni con-
testuali per inferire parole sco-
nosciute o utilizzare strategie
compensative in fase di produ-
zione laddove si presentino ca-
renze lessicali
FONTE: Adattato da Tréville, Duquette 1996.
Capitolo II

Le parole nella mente

2.1. Il lessico mentale

Osservando la lingua e le strutture semantiche che la caratteriz-


zano abbiamo avuto modo di precisare che il lessico è un insieme
aperto, del quale fanno parte un numero imprecisabile di ele-
menti, in quanto è un insieme in continua espansione, composto
da una classe di parole che sono piuttosto fisse e non subiscono
variazioni importanti e una classe aperta che include parole che
mutano nel corso della vita di un parlante, alla quale si aggiun-
gono sempre nuove parole. Abbiamo anche visto che l’ordine al-
fabetico del dizionario in cui viene solitamente rappresentato, in
misura sempre parziale, il lessico di una lingua è un artificio che
agevola la ricerca dei lemmi, ma non rispecchia il modo naturale
in cui si imparano le parole e il modo in cui esse vengono ripro-
dotte e associate negli atti linguistici.
Quante parole impariamo e il modo in cui impariamo a usarle
non è rigidamente prestabilito dalle strutture cognitive che cia-
scuno di noi possiede, ma dipende dall’ambiente socio-culturale
in cui nasciamo, cresciamo e apprendiamo, da quella che è stata
chiamata da Wittgenstein la nostra “forma di vita” (1953: § 19),
dagli stimoli che riceviamo dall’ambiente in cui viviamo, dalle
specifiche condizioni emotivo-affettive, dalle possibilità che cia-
scuno di noi ha di interagire con le altre persone senza l’aiuto
delle quali non sarebbe in grado di imparare a parlare né a leg-
gere e scrivere né potrebbe apprendere una lingua straniera. Ogni
processo di apprendimento linguistico prende avvio, infatti, con
un atto di attenzione congiunta tra almeno due persone che si
prestano consapevolmente attenzione a vicenda (Tomasello

43
44 Parole nella mente, parole per parlare

2008). Per quanto gli esseri umani nascano dotati delle basi na-
turali per acquisire una lingua, posseggano alla nascita quella che
viene chiamata la facoltà di linguaggio (Ponzio 2002), ossia la
capacità dal punto di vista biologico di apprendere le lingue, è
solo all’interno di un contesto comunicativo pragmatico-sociale,
interazionale, funzionale alle prassi di vita, un contesto affettivo
e relazionale, che riescono ad acquisire una o più lingue storiche.
Apprendere il lessico di una lingua implica, quindi, che ci siano
condizioni socioaffettive, favorevoli all’apprendimento, coordi-
nate a funzioni cognitive e a capacità linguistiche e percettive
(Basile 2020: 41-42). È dunque un processo complesso e l’orga-
nizzazione del lessico mentale che ne risulta si configura in modo
altrettanto complesso.
Ma cosa chiamiamo lessico mentale? Come argomentano Ja-
rema e Libben (2007), definire cosa sia il lessico mentale è im-
possibile nella misura in cui qualsiasi definizione si rivela inade-
guata o incompleta:
̶ inadeguata, in quanto, da un lato, quando parliamo di lessico
mentale non abbiamo effettivamente a che fare con “qual-
cosa” e, dall’altro, non possiamo neppure parlare semplice-
mente del lessico mentale nei termini di un insieme di pro-
cessi giacché in qualche modo entriamo in possesso di parole
come entità contenute nella nostra memoria;
̶ incompleta, perché il lessico mentale sembra sottrarsi alla de-
limitazione dei suoi confini, nel senso che lo studio del lessico
mentale ̶ per la varietà dei processi psicolinguistici di tipo
fonologico, morfologico, sintattico, semantico che lo caratte-
rizzano ̶ implica la co-dipendenza di diverse prospettive e la
difficile individuazione di alcuni presupposti che rispondono
a quesiti come quelli posti da Jarema e Libben, ovvero “che
cos’è il significato del significato?” e “come si assegnano eti-
chette alle esperienze culturali e individuali in modo che que-
ste possano essere memorizzate e messe in contatto fra le
menti?” (2007: 2).
Per queste ragioni i due autori hanno proposto una definizione
aperta che non incapsula il lessico mentale come un’entità con
precisi confini strutturali e funzionali, ma lo inquadra come
II. Le parole nella mente 45

un’attività che può essere esercitata consciamente o inconscia-


mente e che riguarda non solo qualcosa con cui gli uomini hanno
a che fare, ma anche ciò che gli uomini possono fare, non con-
cerne dunque solo le parole che gli uomini ricevono, ma anche
quelle che gli uomini creano: «il lessico mentale è il sistema co-
gnitivo che costituisce la capacità dell’attività lessicale conscia e
inconscia» (ibidem [trad. nostra]).
Esposte quindi le difficoltà teoriche che comporta qualsiasi
definizione del lessico mentale e che occorre sempre tenere pre-
senti, all’interno di questo lavoro, per ragioni pratiche, analizze-
remo il lessico mentale descrivendolo in termini psicolinguistici
come «un insieme di rappresentazioni, cioè di oggetti mentali
che corrispondono a elementi della realtà», dei quali «riflettono
certe caratteristiche rilevanti, e di processi che si applicano a que-
ste rappresentazioni, operando su di esse, trasformandole o met-
tendole in relazione fra loro» (Laudanna, Burani 1993: 15). Se-
condo questa definizione, esso contiene le rappresentazioni men-
tali delle parole che abbiamo acquisito e include i processi che
permettono di operare su queste rappresentazioni modificandole,
ponendole in relazione, operando con esse. I nuovi elementi che
vengono introdotti nel lessico mentale entrano evidentemente in
connessione con gli elementi già presenti. Nel lessico mentale
sono dunque incluse tutte le conoscenze concernenti le parole e i
loro usi, le quali ci permettono di comprendere, parlare e scrivere
in modo appropriato (Baldi 2003: 9): siamo in grado di compren-
dere una parola che leggiamo e ascoltiamo giacché essa è rappre-
sentata nel nostro lessico mentale, così come siamo in grado di
produrre testi e discorsi perché troviamo in esso tutte le informa-
zioni necessarie per produrre con le parole.
Pensiamo al seguente esempio: se ci troviamo davanti a una
stringa di grafemi del tipo “unglia nisatrare”, cosa accade? Ten-
tiamo probabilmente, in modo immediato e inconscio, di com-
prendere il significato di quelle che deduciamo siano due parole,
visto che sono separate da uno spazio, ma che a primo impatto
risultano incomprensibili. Ci accorgiamo dopo alcuni tentativi di
riconoscimento delle parole che la nostra competenza linguistica
non consente di decodificare questi input che restano, pertanto,
46 Parole nella mente, parole per parlare

oscuri. Innanzitutto, queste due parole si presentano in una com-


binazione isolata, fuori contesto, e mancano quindi quelle infor-
mazioni contestuali che ci permetterebbero di avviare un pro-
cesso di inferenza del significato. La ricerca condotta dalla nostra
mente non è andata a buon fine, ossia non è stata rintracciata al-
cuna rappresentazione – fra quelle sedimentate nel lessico men-
tale – corrispondente a queste combinazioni di grafemi.
Se quegli stessi grafemi, però, ci vengono presentati in una
combinazione differente, ovvero combinati in modo da costituire
le parole “lingua straniera”, siamo immediatamente capaci di ri-
conoscere la familiarità di queste parole e di stabilirne l’apparte-
nenza al lessico della lingua italiana. Nonostante esse si presen-
tino al di fuori di un preciso contesto, sappiamo cosa significano,
comprendiamo queste due parole quando le riceviamo, siamo in
grado di immaginare come potremmo usarle e, di fatto, siamo in
grado di usarle in modo appropriato nei contesti comunicativi.
Quando riconosciamo una parola come appartenente al les-
sico di una lingua che abbiamo imparato o che stiamo appren-
dendo, si attivano una serie di competenze come quella che ci
permette di riconoscere la forma della parola o quella che ci con-
sente di riconoscerne gli aspetti morfosintattici, siamo in grado
di categorizzarla dal punto di vista grammaticale, riusciamo cioè
a stabilire se abbiamo a che fare con un sostantivo, un aggettivo,
un verbo, ecc., e possiamo attribuirle un significato sulla base di
quelle che sono le nostre conoscenze del mondo, ossia sulla base
del sapere accumulato nel corso della nostra vita e depositato
nella nostra memoria a lungo termine.
La memoria semantica è la parte della memoria a lungo ter-
mine che raccoglie tutto il sapere che accumuliamo, tutta l’enci-
clopedia delle nostre conoscenze. Essa conserva i significati
delle parole delle lingue che apprendiamo: essa codifica le rap-
presentazioni delle parole che vengono riattivate nel momento in
cui ci troviamo a decodificare gli input a esse corrispondenti
(Cardona 2010). Quando riconosciamo un input, non si attiva
semplicemente la rappresentazione a esso corrispondente, bensì
si avvia un processo di elaborazione concettuale attraverso il
quale l’input viene confrontato e integrato con altri input presenti
II. Le parole nella mente 47

nella memoria, si attiva l’intera enciclopedia delle conoscenze


accumulate in base alle nostre esperienze e a ciò che abbiamo
acquisito nel corso della vita.

Figura 2.1. FONTE: adattato da Appel 1996.

Possiamo pensare al lessico mentale come al nostro database di


parole e di informazioni su di esse attraverso il quale proces-
siamo gli input linguistici nel momento in cui comprendiamo o
parliamo una lingua acquisita. In esso sono depositate informa-
zioni sulle parole non solo di carattere semantico, bensì anche di
carattere formale (informazioni ortografiche e fonologiche) e di
carattere sintattico, disposte non in modo atomistico e in rigidi
schemi ordinati, bensì interconnesse in modo complesso. Sul
modo in cui sono organizzate le rappresentazioni lessicali e su
quali sono le procedure di attivazione di esse non c’è accordo tra
48 Parole nella mente, parole per parlare

gli studiosi e pertanto sono stati elaborati diversi modelli che de-
scrivono la struttura e il funzionamento del lessico mentale.
Quest’ultimo, di certo, si attiva immediatamente quando rice-
viamo input linguistici o produciamo output linguistici. Esso è in
grado sia di conservare a lungo, per anni, anche per tutta la vita
di una persona, le informazioni sulle parole che raccoglie sia di
riorganizzarsi di volta in volta in base ai nuovi input che fanno
ingresso nella nostra mente.
Quando si apprende una lingua straniera si vengono eviden-
temente a creare delle nuove rappresentazioni lessicali nella no-
stra mente, con dei collegamenti in parte o totalmente diversi tra
forma grafemica e fonemica e significati, pensiamo da questo
punto di vista allo studio di una lingua orientale. L’obiettivo della
didattica delle lingue sarà quello di permettere allo studente di
archiviare il lessico della lingua straniera nella memoria a lungo
termine dove esso entrerà in relazione con le conoscenze già ac-
quisite – linguistiche e non solo – e queste connessioni consenti-
ranno alle nuove rappresentazioni lessicali di essere disponibili
al momento dell’interazione orale o della produzione scritta. Sor-
gono, tuttavia, quesiti importanti rispetto a questi nuovi ingressi
lessicali: il lessico mentale è un sistema unico ed è lo stesso
quando si apprendono più lingue? Ciò che si ricava per lo studio
del lessico mentale osservando una lingua è valido in modo ge-
nerale anche per le altre lingue oppure no? Alcuni studi hanno
dimostrato che l’architettura del lessico mentale – almeno per
lingue dello stesso ceppo – è la stessa e le differenze rilevate nei
meccanismi di attivazione del lessico sono riconducibili alle di-
verse modalità non standardizzate con cui il lessico viene ap-
preso (Jarema, Libben 2007).
II. Le parole nella mente 49

2.2. Come si organizzano le parole nella mente

A questo punto proviamo a esplorare l’organizzazione del lessico


mentale per capire secondo quale architettura esso si struttura al
fine di garantire l’efficienza dei processi cognitivi connessi al
nostro agire con le parole, al nostro comprendere, parlare, ap-
prendere. I quesiti che sorgono sono diversi: abbiamo un sistema
d’ingresso del lessico – un sistema ricettivo collegato all’imma-
gazzinamento sensoriale degli stimoli uditivi e visivi – distinto
da un sistema d’uscita – un sistema produttivo collegato alla pro-
cessazione fonologica e ortografica delle informazioni concet-
tuali – o si tratta di un unico sistema chiamato a svolgere diffe-
renti funzioni a seconda dei compiti cognitivi che ci troviamo ad
affrontare? Le diverse informazioni (fonologiche, sintattiche, or-
tografiche, ecc.) contenute nel lessico mentale afferiscono a di-
versi sottosistemi o sono tutte gestite da un unico sistema? E
come si pone la situazione dell’immagazzinamento e del depo-
sito del lessico di una lingua straniera? Quest’ultimo si deposita
insieme al lessico della L1 o separatamente? E, in ogni caso, che
tipo di relazioni mentali si instaurano tra il lessico della L1 e
quello di una L2? E quando le lingue acquisite sono anche più di
due il deposito delle parole e l’interazione tra i vari lessici è an-
cora differente? È chiaro che, dal punto di vista del lessico di una
o più lingue straniere, potrebbero entrare in gioco diverse varia-
bili come, ad esempio, la somiglianza formale – grafemica o fo-
nemica – oppure semantica tra la L1 e la lingua target. Una ri-
sposta alla gestione separata del lessico mentale della L1 e di
quello della L2 è stata data in diversi studi: è possibile che –
come sintetizza Singleton (1999) – i due lessici vengano imma-
gazzinati in due sistemi differenti che però sono in grado di rela-
zionarsi tra loro nella misura in cui entrambi si connettono allo
stesso unico sistema concettuale. Il modo e la misura in cui questi
due sistemi entrano in contatto dipendono molto da fattori quali
le modalità d’apprendimento del lessico della L2 e il livello di
competenza lessicale raggiunto nella L2. È stato dimostrato che
il lessico della L1 viene generalmente memorizzato – soprattutto
50 Parole nella mente, parole per parlare

con le parole ad alta frequenza d’uso – in base a rapporti seman-


tici di tipo paradigmatico; nel caso infatti di esperimenti condotti
con esercizi di libera associazione è emerso che le parole veni-
vano associate in base ai tratti salienti emergenti (Meara 2009;
Bolognesi 2011). Le associazioni di tipo sintagmatico vengono
preferite per memorizzare il lessico a bassa frequenza d’uso. Per
memorizzare il lessico della L2, invece, la tipologia di associa-
zioni appare molto più variabile e tende a basarsi su rapporti se-
mantici di carattere contestuale, ovvero si tendono ad associare
parole usate nella stessa situazione comunicativa o in situazioni
simili.

2.3. I modelli di rappresentazione

Per la rappresentazione dell’associazione degli aspetti formali


delle parole con quelli semantici, dell’organizzazione dei rap-
porti delle parole nella mente e delle modalità d’accesso e
d’uscita del lessico, sono stati elaborati dalle scienze cognitive
diversi modelli volti a descrivere il funzionamento del lessico
mentale. Alcuni di questi – come, ad esempio, il modello di For-
ster (1976) – si basano sull’idea che l’accesso delle parole nel
lessico mentale avvenga in modo seriale, ovvero secondo un’ela-
borazione sequenziale e lineare, stadio dopo stadio, degli input,
mentre altri sostengono che abbia luogo un’attivazione in paral-
lelo, ossia che più processi di elaborazione dell’input linguistico
si attivino simultaneamente. Il secondo modello logogen di Mor-
ton (1978) sintetizza in qualche modo le due impostazioni pre-
vedendo un’attivazione di tipo seriale, ma una processazione in
parallelo. Nei prossimi paragrafi verranno descritti alcuni mo-
delli di elaborazione mentale del lessico.
II. Le parole nella mente 51

2.3.1. Il secondo modello logogen di Morton

Come abbiamo anticipato, il modello logogen di Morton prevede


un’elaborazione in parallelo dell’input2. Esso è costituito da un
sistema cognitivo che include informazioni di tipo semantico e
sintattico ed è collegato a due sistemi detti logogen, i quali sono
separati: uno è deputato all’analisi degli aspetti uditivi dell’input
e l’altro a quella degli aspetti visivi. L’esistenza di due sistemi
separati è fondata su alcune ricerche condotte attraverso il para-
digma di priming, le quali hanno dimostrato che il riconosci-
mento visivo di una parola è facilitato dalla precedente presenta-
zione di esso nella stessa modalità, invece, questo effetto positivo
di facilitazione del riconoscimento lessicale non si verifica
quando lo stimolo è presentato in forma uditiva.
I due sistemi logogen del modello Marton accumulano le in-
formazioni su ogni stimolo che ricevono e le rimettono al sistema
cognitivo; da quest’ultimo attingono le informazioni necessarie
per riconoscere un input quando questo è fra quelli che sono già
stati archiviati. I logogen operano in parallelo e sono poi connessi
con un sistema d’uscita degli input che si attiva quando si produ-
cono le parole in modo scritto o orale.
Il riconoscimento di una parola da parte del logogen avviene
secondo variabili quali la frequenza d’uso d’una parola, la sua
lunghezza, la sua concretezza, ecc. Secondo Morton (1978) le
parole più ricercate, ovvero quelle con maggiore frequenza
d’uso, sarebbero quelle più attive e dunque maggiormente dispo-
nibili nelle ricerche successive. Ciò suggerisce, dal punto di vista
glottodidattico, che occorre favorire il più possibile l’esposizione
alle parole di una lingua, perché quanto più alta è la frequenza di
esposizione a esse, tanto più basso sarà il livello di soglia per
l’attivazione dei sistemi logogen. Sarà quindi più facile ricono-
scere e produrre le parole a cui si viene esposti maggiormente. Il
modello Morton è un modello globale (Baldi 2003: 16), in quanto
prevede che il riconoscimento di una parola avvenga attraverso

2
Nel primo modello (1968) Morton aveva ipotizzato un unico meccanismo di elabo-
razione degli input visivi e uditivi.
52 Parole nella mente, parole per parlare

l’attivazione di un’unità d’accesso riferita all’intero input lingui-


stico da cui si è ricavata l’informazione, per cui, ad esempio, nel
caso in cui si riconosca la parola inglese cat si attiverà in modo
specifico il logogen di cat, ma si attiveranno anche altri logogen
contenenti gli stessi attributi riferibili alla parola cat come “pa-
role di tre lettere”, “c iniziale”, “t finale”, ecc. (Morton 1979:
206).

Figura 2.2. FONTE: adattato da Morton 1978.


II. Le parole nella mente 53

2.3.2. Il modello di ricerca seriale di Forster

Secondo il modello elaborato da Forster (1976; 1979) il lessico


consiste in un unico grande archivio centrale che raccoglie tutte
le informazioni necessarie per comprendere e produrre le parole.
Le operazioni di processazione degli input lessicali avvengono
attraverso una serie ordinata di operazioni che permettono il pas-
saggio sequenziale a diversi gradi di elaborazione. L’ordine di
elaborazione seriale resta costante. L’accesso all’archivio cen-
trale avviene attraverso tre archivi periferici: ortografico, fono-
logico e sintattico/semantico. Le informazioni ricevute dal ma-
gazzino centrale vengono trasmesse al magazzino delle cono-
scenze – la cosiddetta enciclopedia – che ciascun individuo ac-
cumula nel corso della propria vita. L’attivazione degli archivi
periferici dipende dal tipo di input che la mente riceve. Durante
un compito di lettura si attiva certamente l’archivio ortografico,
mentre invece se ascoltiamo parlare qualcuno durante una con-
versazione si attivano le informazioni contenute nell’archivio fo-
nologico. L’archivio sintattico/semantico mette a disposizione le
sue informazioni tutte le volte che produciamo un discorso o un
testo.
54 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 2.3. FONTE: adattato da Forster 1979.

Nel modello Forster ciascun archivio d’accesso così rappresen-


tato opera autonomamente, non c’è dunque alcuna forma di in-
terconnessione fra gli archivi descritti. Abbiamo differenti ac-
cessi, ma un’unica confluenza, nel senso che indipendentemente
dalla forma (ortografica o fonologica) in cui si presenta un input
le informazioni confluiranno tutte insieme nell’archivio centrale
dove si depositerà un’unica rappresentazione dell’input.
Ogni ingresso attraverso un archivio periferico associato a un
ingresso nell’archivio centrale è organizzato in bin, dei raggrup-
pamenti di parole, delle aree lessicali basate su relazioni di somi-
glianza tra le parole o sul loro grado di frequenza. Pertanto, nel
caso in cui si stia leggendo una parola si attiva l’archivio orto-
grafico e il bin di riferimento nel quale viene cercata fra le parole
d’uso più frequente la corrispondenza con la parola letta, se-
condo un processo che è stato assimilato a quello dello scorrere
II. Le parole nella mente 55

le parole di un dizionario durante la ricerca di un certo lemma


(Singleton 1999). Se la parola viene individuata si accede allora
all’archivio centrale e in tal modo si ottengono tutte le informa-
zioni relative a essa contenute nel lessico mentale.
Come evidenziato da Baldi (2003), il modello Forster prevede
una scomposizione morfemica nel caso in cui ci si confronti con
parole complesse: attraverso questa ricerca della struttura morfe-
mica primitiva viene isolata la radice di una parola rispetto ai
suoi eventuali prefissi e suffissi e si facilita l’accesso al lessico
mentale. La centralità assegnata da questo modello all’analisi
morfemica suggerisce che, nella didattica L2, occorrerebbe insi-
stere sull’acquisizione di una competenza sulla forma delle pa-
role prestando molta attenzione all’insegnamento degli aspetti
morfo-lessicali delle parole di una lingua.

2.3.3. Il modello di Levelt

Il modello psicolinguistico di Levelt è stato elaborato nel 1989.


Levelt era particolarmente interessato ai processi linguistici orali
e voleva spiegare i meccanismi della comprensione delle parole
attraverso l’ascolto. È giunto a concepire un modello complesso
e articolato che non si limita a illustrare i processi di compren-
sione, bensì anche quelli di produzione.
56 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 2.4. FONTE: adattato da Levelt 1989.

Si tratta di un modello strutturato secondo un percorso discen-


dente (produzione/riconoscimento) e uno ascendente (compren-
sione/ricostruzione), nei quali sono inclusi:
̶ elementi dichiarativi (cosa conoscere) – quelli rappresentati
nelle ellissi – che riguardano la conoscenza del mondo, la co-
siddetta enciclopedia del parlante, e le conoscenze lessicali di
natura fonologica e morfologica nonché di tipo grammaticale
e semantico; essi comprendono anche informazioni sulle ti-
pologie discorsuali, sui contesti comunicativi e sui loro regi-
stri;
II. Le parole nella mente 57

̶ elementi procedurali (come conoscere), racchiusi negli spazi


rettangolari; si riferiscono ai diversi livelli di codifica ed ela-
borazione dell’input.
A livello del concettualizzatore si genera il messaggio prever-
bale, il quale, passando al formulatore, viene codificato sul piano
grammaticale e su quello fonologico: entrambe queste codifiche,
secondo Levelt, sono su base lessicale, come su base lessicale è
l’operazione parallela corrispondente nel percorso ascendente.
Fra i due percorsi, infatti, discendente e ascendente, è presente
una corrispondenza parallela: entrambi presentano due fasi di
elaborazione «che includono la fonologia (struttura segmentale
di suoni), la prosodia (stress e intonazione della frase), la strut-
tura lessicale, la sintassi e il “livello del messaggio” relativo alla
struttura del discorso e al sistema concettuale» (Balconi 2008:
18).
Il sistema di articolazione si occupa della produzione di
quanto predisposto sul piano fonetico interno, mentre il sistema
di codifica uditivo del percorso ascendente di comprensione del
messaggio, corrispondente al sistema di articolazione del per-
corso discendente, è deputato all’analisi delle stringhe fonetiche.
Il sistema di comprensione riceve le stringhe fonetiche e assegna
loro un valore semantico e grammaticale grazie a un’elabora-
zione di tipo lessicale degli elementi dell’enunciato. Il risultato
dell’analisi viene inviato al concettualizzatore attraverso il mo-
nitor.
Il modello di Levelt è strutturato in modo sequenziale e in
esso la rappresentazione lessicale avviene simultaneamente
all’assegnazione della struttura grammaticale. Nel percorso di
produzione vi è la costruzione sintattica seguita dall’attribuzione
fonologica del lemma e dall’assimilazione della struttura formale
del lemma all’interno della struttura enunciativa e prosodica: il
percorso discendente termina nella sequenza di articolazione.
Mentre, nel percorso ascendente di comprensione di un enun-
ciato, la forma lessicale viene assimilata alla struttura frasale, a
sua volta definita coerentemente attraverso le caratteristiche pro-
sodiche. La forma lessicale viene assegnata in base alle proprietà
formali del lemma (Balconi 2008: 18).
58 Parole nella mente, parole per parlare

Nel modello di Levelt il lessico assume una collocazione cen-


trale: il processo di codifica ed elaborazione grammaticale e fo-
nologica, sia nel flusso di produzione che in quello di compren-
sione, avviene grazie all’attivazione delle conoscenze lessicali di
carattere morfologico, fonologico, grammaticale e semantico
(Levelt 1989: 181).
Alla luce delle evidenze di questo modello, dal punto di vista
glottodidattico, dobbiamo riconsiderare la natura di diversi feno-
meni riferiti alla grammaticalizzazione: essi derivano piuttosto
da processi lessicali. Tale riconsiderazione e quanto quindi
emerso dall’analisi del modello di Levelt si iscrivono nella vi-
sione della lingua in termini di un’unità lessico-grammaticale ̶
come proposto in ambito linguistico da Gross (1975; 1984) ̶ in
linea con quanto concepito dal Lexical Approach di Lewis che
verrà esaminato nel prossimo capitolo.

2.3.4. Il modello neuropsicologico del lessico

Semenza ha presentato un modello cognitivo del lessico più re-


cente rispetto a quelli descritti fino ad ora. Si tratta di un modello
del 1996 nel quale la differenziazione tra un sistema d’entrata e
uno d’uscita lessicale è basata su assunzioni neuropsicologiche
frutto di riscontri su pazienti che presentavano, per esempio, pro-
blemi di lettura di parole irregolari, ma non di scrittura sotto det-
tatura di quello stesso genere di parole e pazienti che non com-
mettevano errori nel comprendere e denominare, ma commette-
vano errori di natura semantica in fase di ripetizione (Baldi 2003:
24).
Questo modello del lessico pone al centro il sistema concet-
tuale semantico, il quale corrisponde alla memoria semantica
(1996: 291) e al quale si connettono un lessico fonologico d’en-
trata, prodotto dalla codifica dello stimolo acustico e un lessico
ortografico d’entrata prodotto dalla codifica dello stimolo ver-
bale visivo nonché un lessico fonologico d’uscita che viene poi
articolato e un lessico ortografico d’uscita che viene elaborato in
scrittura. Tutte le componenti di questo modello fanno parte della
memoria a lungo termine (Baldi 2003).
II. Le parole nella mente 59

Figura 2.5. FONTE: adattato da Semenza 1996.

Nella parte sinistra dello schema è raffigurato il processo di com-


prensione dell’input uditivo e quello di produzione dell’output
vocale; nella parte destra, invece, troviamo il processo di com-
prensione dello stimolo visivo e quello della produzione scritta.
Il buffer fonologico è una componente intermedia che si col-
loca tra la ricezione dello stimolo acustico e l’elaborazione lessi-
cale in quanto è un’area di immagazzinamento d’ingresso dei
dati che attendono di essere elaborati, proprio come il buffer or-
tografico è un’area di immagazzinamento degli stimoli visivi in
ingresso. Il buffer fonologico e quello ortografico d’uscita, in-
60 Parole nella mente, parole per parlare

vece, sono rispettivamente l’area in cui si attiva la rappresenta-


zione fonologica del lessico da articolare e quella in cui si attiva
la rappresentazione ortografica del lessico da produrre in forma
scritta. Il funzionamento di questo buffer è assimilabile a quello
presente nel meccanismo di funzionamento della memoria a
breve termine (Baldi 2003: 22).
Questo modello include anche una componente deputata
all’elaborazione degli stimoli configurazionali: si tratta di una
via extraverbale, come la definisce Baldi (ibidem), indispensa-
bile nella processazione di immagini, oggetti, figure. Nella me-
moria strutturale canonica vengono raccolte le rappresentazioni
visive degli stimoli configurazionali processati.

2.3.5. La teoria modulare

Per quanto riguarda la rappresentazione del lessico mentale,


all’interno delle scienze cognitive si sono affermate due linee
teoriche: la teoria modulare fondata da Fodor (1983) e il connes-
sionismo formulato da Hopfield (1982). Sulla base della teoria
modulare sono stati creati i cosiddetti modelli computer style,
mentre sulla base del connessionismo sono stati avanzati i mo-
delli brain style (Baldi 2003: 35). La teoria modulare prevede
che i processi mentali umani si costituiscano in moduli, ovvero
in componenti distinte, e ritiene che ci sia un isomorfismo tra
l’organizzazione funzionale della mente e la struttura neurolo-
gica del cervello. In questa prospettiva il lessico mentale si con-
figurerebbe come un modulo mentale specifico a cui corrispon-
dono precise connessioni neurali.
Chomsky (1965), contrapponendosi alla teoria comportamen-
tista elabora una teoria che assume i processi mentali alla base
del linguaggio. Egli argomenta una predisposizione innata
dell’uomo al linguaggio sostenendo che gli uomini siano univer-
salmente dotati di una struttura psicologica innata – la compe-
tenza linguistica – che gli rende in grado di sviluppare il linguag-
gio. La struttura innata (LAD: Language Acquisition Device) è
composta da un insieme finito di regole che permette di creare
infinite forme linguistiche.
II. Le parole nella mente 61

Fodor, nel 1983, estremizzando la posizione innatista di


Chomsky, considera le strutture mentali del sistema cognitivo
umano come meccanismi psicologici puri che svolgono precise
funzioni cognitive. Secondo la teoria modulare elaborata da Fo-
dor, dunque, la mente sarebbe strutturata in sistemi di input che
processano in modo meccanico, a prescindere dalla coscienza del
soggetto, gli stimoli sensoriali e anche il linguaggio, e in sistemi
centrali che ricevono le rappresentazioni trasmesse dai sistemi di
input e ne dispongono per svolgere funzioni cognitive superiori.
Seguendo un percorso bottom-up, dal basso verso l’alto, i sistemi
di input si attivano indipendentemente dai sistemi centrali ogni
volta che ricevono un input da processare.

2.3.6. Il connessionismo

Il connessionismo si contrappone al modularismo. Mette innan-


zitutto in discussione l’idea che ci sia isomorfismo tra funzione
cognitiva e struttura neurale, sostenendo piuttosto che più com-
parti neurologici corrispondano a un modulo cognitivo dando
vita a una rete a funzionalità distribuita. Ciò ha trovato riscontro
in diverse ricerche neuropsicologiche e il paradigma connessio-
nista si è affermato con vigore a discapito di quello modulare: ci
sono aree che intervengono in più funzioni cognitive con diffe-
renti livelli di attivazione e partecipazione alla funzione. Per-
tanto, più che strutturarsi in moduli e in diversi lessici, la mente
si struttura in reti di connessioni con differenti profili d’attiva-
zione in base alla funzione cognitiva da svolgere.
I moduli evidenziati nei modelli che abbiamo descritto, sia
che si attivino in modo sequenziale e lineare sia che si attivino in
parallelo, sono disconnessi tra loro. Invece, secondo il paradigma
connessionista, la struttura cognitiva è caratterizzata da un’inter-
connessione neurale degli elementi che si attivano e operano in
parallelo secondo diversi gradi di attivazione e partecipazione
alla funzione cognitiva. Le reti neurali connessioniste, secondo
il principio di plasticità neurale (Denes 2016), si modificano in
base all’esperienza e all’apprendimento. Esse processano uno
stimolo secondo modelli di funzionamento acquisiti, ma qualora
62 Parole nella mente, parole per parlare

questi modelli si rivelino inadeguati o insufficienti, le connes-


sioni neurali si aggiustano e si riconfigurano per fornire risposte
adeguate ai nuovi stimoli e archiviano nella memoria la traccia
della nuova esperienza. Per cui le reti connessioniste riflettono le
esperienze e il sapere accumulati da un individuo.
Pensiamo al fenomeno dell’ipercorrettismo nei bambini,
come suggerisce Baldi (2003: 49): il loro sistema cognitivo in
evoluzione elabora gli stimoli secondo certe regolarità frutto
della rete di conoscenze acquisite, per cui nel caso del participio
passato del verbo “aprire” sentiremo dire a un bambino in età
prescolare “aprito”. Sulla base delle reazioni che il bambino ri-
ceve in risposta alla sua elaborazione e di quanto apprende
nell’ambiente in cui vive, le reti rilevano l’errore e si aggiustano
creando un pattern d’attivazione specifico per quella determinata
forma verbale.

2.4. Modelli del lessico mentale bilingue

Il connessionismo tiene dunque conto della capacità delle reti


neurali di rimodellarsi in base alle conoscenze acquisite e alle
esperienze accumulate da ciascun individuo. Ciò suggerisce che
quando si apprende una lingua straniera avvengono degli aggiu-
stamenti delle reti neurali e questi aggiustamenti sono certamente
favoriti dalla frequenza con cui gli apprendenti vengono esposti
agli input linguistici e dalle modalità con cui avviene l’esposi-
zione. Un’esposizione multimodale e dunque una codifica plu-
rale degli input garantisce un’elaborazione maggiore e favorisce
un’acquisizione profonda del lessico.
Come ha sottolineato Pavlenko (2004; 2009), diversi studi
hanno dimostrato che tra le categorie linguistiche delle diverse
lingue esistono delle differenze graduali che possono andare da
un’equivalenza concettuale a una non equivalenza parziale o
completa. Ciò vuol dire che chi apprende una nuova lingua può
avere bisogno di sviluppare categorie parzialmente differenti o
comunque di aggiustare quelle della sua lingua madre. Per cui al
centro dell’apprendimento del lessico di una nuova lingua c’è
II. Le parole nella mente 63

una ristrutturazione concettuale, ovvero, come scrive Pavlenko,


«un riaggiustamento della struttura e dei confini delle categorie
conformemente ai vincoli delle categorie linguistiche di destina-
zione» e uno sviluppo concettuale, ovvero lo sviluppo di nuove
rappresentazioni multimodali che consentono ai parlanti appren-
denti di mappare nuove parole sul mondo reale in modo simile
alla mappatura dei parlanti della lingua di destinazione (2009:
141).
La discussione circa i modelli di rappresentazione del lessico
mentale bilingue è principalmente incentrata su due modelli: il
Revised Hierachical Model e il Distributed Feature Model. Il
primo modello si basa su due assunti concernenti le connessioni
interlinguistiche, ovvero quello secondo cui la traduzione dalla
L1 alla L2 è più veloce del denominare immagini nella L2 e
quello in base al quale la traduzione dalla L2 alla L1 è più veloce
di quella dalla L1 alla L2 specie nei principianti, per i quali l’ac-
cesso concettuale avviene attraverso gli equivalenti nella L1.
Con lo sviluppo della competenza in L2 i legami tra le parole di
L2 e i concetti si fanno più stretti e gli studenti cominciano a fare
affidamento a collegamenti diretti che prescindono dalla media-
zione concettuale nella L1. Il Revised Hierarchical Model riesce
proprio a rappresentare il cambiamento nello sviluppo del colle-
gamento tra la forma delle parole L1 e L2 e i concetti lessicali
(Pavlenko 2009: 143).
64 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 2.6. Revised Hierarchical Model. FONTE: adattato da Kroll, Stewart 1994.

Questo modello ha il limite di tenere conto solo dell’equivalenza


concettuale e non delle differenze graduali che possono sussi-
stere tra le categorie linguistiche delle diverse lingue.
Il Distributed Feature Model, invece, rappresenta le diffe-
renze tra le lingue basandosi sulla rilevazione di una rapidità
maggiore dei bilingui nel tradurre parole concrete e affini rispetto
alla traduzione delle parole astratte. Ciò dimostrerebbe che la
rappresentazione delle parole concrete e affini è maggiormente
condivisa dalle diverse lingue rispetto a quella delle parole
astratte (ivi: 144).
II. Le parole nella mente 65

Figura 2.7. Distributed Feature Model. FONTE: adattato da De Groot 1992.

Questo modello, tuttavia, ignora l’apprendimento di equivalenti


parziali predicibili ed è sbilanciato verso una concezione basata
su caratteristiche prestabilite delle parole piuttosto che sugli ef-
fetti della loro prototicipità e della loro dipendenza dal contesto:
elementi, questi, importanti nell’apprendimento del lessico in
L2. Inoltre, ci sono chiare evidenze che contrastano con l’assun-
zione di un’equivalenza interlinguistica tra i concetti delle parole
concrete i cui significati sarebbero condivisi tra le diverse lingue
a differenza dei significati delle parole astratte.
Il Modified Hierarchical Model, una versione aggiornata del
modello gerarchico, pur mantenendo il progressivo sviluppo
dalla mediazione lessicale a quella concettuale nell’apprendi-
mento L2, presenta importanti cambiamenti:
̶ l’archivio concettuale è costituito da rappresentazioni distinte
in rappresentazioni concettuali completamente condivise,
parzialmente sovrapposte o specifiche di una lingua che ven-
gono riconosciute attraverso l’attivazione di processi che pre-
vedono l’interazione tra la mente e l’ambiente;
66 Parole nella mente, parole per parlare

̶ tiene conto del fenomeno del transfer concettuale basato sulla


differenziazione tra livelli semantici riferiti a conoscenze im-
plicite e livelli concettuali di rappresentazione. La
differenziazione tra livelli di rappresentazione semantici e
concettuali consente di distinguere tra le fonti di trasferi-
mento, fonte concettuale o semantica, e di considerare quale
tipo di rappresentazione sia coinvolto in ogni caso di acquisi-
zione di L2;
̶ considera la ristrutturazione concettuale e lo sviluppo delle
categorie linguistiche della lingua target come gli obiettivi
principali nell’apprendimento del lessico L2 (ivi: 146-148).

Figura 2.8. Modified Hierarchical Model. FONTE: adattato da Pavlenko 2009.

Entro la prospettiva di questo modello l’apprendimento del les-


sico L2 viene visto come un processo graduale che avviene nella
memoria implicita e che conduce alla produzione linguistica
spontanea, non mediata da processi metalinguistici di cono-
scenza esplicita.
II. Le parole nella mente 67

I modelli illustrati nelle loro potenzialità e nei loro limiti ci


permettono di ricavare, dal punto di vista glottodidattico, dedu-
zioni utili come la necessità di differenziare le metodologie di
insegnamento del lessico in base ai livelli degli apprendenti e
l’esigenza di favorire l’acquisizione implicita degli input lingui-
stici. Inoltre, essi forniscono parametri importanti per la valuta-
zione degli errori lessicali negli apprendenti L2.
Capitolo III

Il Lexical approach

Le grammatiche su cui si studiano le lingue saranno utilissime per impararle,


ma non altrettanto per la logica e il buon senso. […]
Dalla grammatica inglese:
«Portaste il binocolo?»
«No, ma portai il vostro ventaglio.»
Col che si imparano parecchi vocaboli, non c’è dubbio. Ma non è chi non
veda un ventaglio essere tutt’altra cosa che un binocolo. Non c’è niente in co-
mune tra i due oggetti. Come è possibile parlare di ventaglio a chi vi chiede
notizie del binocolo?
(A. Campanile, Manuale di conversazione).

Correvano gli anni Settanta quando Campanile descriveva con il


suo umorismo un quadro alquanto tipico nella didattica delle lin-
gue moderne di allora. Apprendere una lingua significava cono-
scerne la grammatica, mentre ben poco interesse veniva rivolto
al lessico ed agli usi sociopragmatici implicati nell’evento comu-
nicativo. La conoscenza del sistema linguistico era limitata ad un
insieme di regole morfositattiche che determinavano i paradigmi
logico-sequenziali in base ai quali le parole venivano giustappo-
ste sul piano sintagmatico per formare delle frasi grammatical-
mente corrette. Inoltre, gli approcci di matrice neocomportamen-
tista, ancora molto diffusi in quegli anni, teorizzavano una didat-
tica fondata sul percorso Presentazione/Esercitazione/Produ-
zione. Una regola veniva presentata dall’insegnante agli allievi, i
quali erano tenuti ad apprenderla attraverso la pratica, spesso li-
mitata ad esercizi ripetitivi (pattern drills), fino ad essere memo-
rizzata; si procedeva quindi a momenti di produzione linguistica
nei quali ciò che contava era comprovare la capacità di applicare

69
70 Parole nella mente, parole per parlare

la regola appresa, mentre il contenuto ed il contesto all’interno


del quale essa veniva prodotta era di secondaria importanza.
Il lessico dunque è stato un aspetto della lingua a lungo igno-
rato dalla glottodidattica. Per molti anni è prevalsa una visione
dicotomica della lingua: da una parte la grammatica (le regole),
dall’altra le parole (l’uso), dove la prima godeva della quasi to-
tale attenzione nel percorso didattico.
Tuttavia, proprio nel corso degli anni Settanta, avviene un
profondo cambiamento sia a livello glottodidattico che psico-pe-
dagogico. Hymes (1972) introduce il concetto di competenza co-
municativa (di cui la competenza linguistica diviene una delle
componenti fondamentali, ma non l’unica), portando al centro
dell’attenzione gli aspetti sociolinguistici e pragmalinguistici le-
gati alla dimensione funzionale della lingua nei vari contesti co-
municativi. Il cognitivismo confuta profondamente le teorie neo-
behavioriste. La mente non è più una scatola nera di cui è impos-
sibile conoscerne i processi, ma proprio questi ultimi (la memo-
ria, la percezione, l’attenzione, ecc.) divengono gli aspetti privi-
legiati della ricerca in ambito psicologico. La mente è attiva e le
strategie attraverso cui essa apprende sono il fondamento di una
nuova visione glottodidattica. L’allievo è al centro del processo
di apprendimento ed al paradigma Presentazione/Esercita-
zione/Produzione si sostituisce il percorso Osserva/Ipotizza/Spe-
rimenta, che diverrà una delle basi epistemologiche del Lexical
approach (Lewis, 1993: vii). A partire da un input linguistico
sarà l’allievo, attraverso strategie di osservazione e di verifica a
creare ipotesi sul funzionamento del sistema lingua, sperimen-
tando le nuove conoscenze all’interno di atti linguistici il cui
scopo è raggiungere un obiettivo comunicativo. L’allievo deve
essere in grado di comunicare le proprie idee, il proprio pensiero
nell’interazione linguistica e non solo dimostrare la propria com-
petenza morfosintattica in performance decontestualizzate.
Eppure, malgrado tali profonde innovazioni, la ricerca sul les-
sico, sulla sua natura ed il suo apprendimento/insegnamento è
rimasta latitante fino agli anni Ottanta del secolo scorso. È solo
dunque in questi ultimi quarant’anni che si assiste ad un fiorire
di pubblicazioni e convegni sul lessico, ed è solo a partire dagli
III. Il Lexical approach 71

anni Novanta che in ambito anglosassone si propone un approc-


cio dichiaratamente incentrato sul lessico e non più sulla progres-
sione grammaticale: il Lexical approach (Lewis, 1993; 1997).
Certo non sono mancate voci di studiosi che sottolineavano fin
dagli anni Ottanta l’importanza del lessico. È nota l’espressione
di Krashen secondo cui When students travel, they don’t carry
grammar books, they carry dictionaries (British Council Confer-
ence, Milano, 1987) ed è spesso citata la frase di Wilkins: With-
out grammar very little can be conveyed, without vocabulary
nothing can be conveyed (1972: 111). Widdowson già nel 1978
sosteneva l’importanza di considerare il lessico come elemento
centrale nell’apprendimento, attribuendo alla sintassi un ruolo
secondario (in questo anticipando uno dei principi cardine del
Lexical apprach di Lewis). Anche Krashen e Terrell nel Natural
Approach sottolineano come:

Vocabulary is also very important for the acquisition process. The pop-
ular belief is that one uses form and grammar to understand meaning.
The truth is probably closer to the opposite: we acquire morphology
and syntax because we understand the meaning of utterances. Acquisi-
tion depends crucially on the input being comprehensible. And com-
prehensibility is dependent directly on the ability to recognize the
meaning of key elements in the utterance. Thus, acquisition will not
take place without comprehension of vocabulary (1983: 155).

Tuttavia, malgrado tali affermazioni possano far presupporre una


nuova sensibilità nei confronti della dimensione lessicale, non si
osservano in quegli anni particolari cambiamenti negli orienta-
menti metodologici. Infatti, le poche pubblicazioni sull’argo-
mento riportano quasi sempre come introduzione alcune consi-
derazioni che denunciano l’assenza di attenzione verso il lessico.
Nel 1980 Meara pubblica il saggio Vocabulary acquisition: a ne-
glected aspect of language learning in cui afferma:

Vocabulary acquisition is part of the psychology of second language


learning that has received short shrift from applied linguistics and has
been very largely neglected by recent developments in research (1980:
121).
72 Parole nella mente, parole per parlare

Allo stesso modo Morgan e Rinvolucri osservano come:

It is curious to reflect that so little importance has been given to vocab-


ulary in modern language teaching. Both the behaviourist/structural
model and the functional/communicative model have, in their different
ways, consistently underplayed it (Morgan e Rinvolucri 1986: 3).

La glottodidattica italiana non fa eccezione a tale panorama e


Balboni stigmatizza tale situazione nel 1988 nella seguente af-
fermazione: «il problema glottodidattico relativo al lessico […]
rappresenta uno dei maggiori casi di rimozione da parte di stu-
diosi, di autori di libri di testo e di multimediali, di insegnanti»
(1998: 112). È dunque a partire dagli anni Novanta che si assiste
ad un nuovo risveglio di interesse per il lessico ed è in questo
rinnovato panorama che si afferma il Lexical approach di Lewis
(1993; 1997). Tale approccio si colloca senz’altro nel filone degli
approcci di matrice comunicativa ed ha il merito di essere a tutti
gli effetti un approccio. Esso coinvolge, infatti, tutti i livelli del
percorso pedagogico. Come osserva lo stesso Lewis (1993: 2-3),
il Lexical approach riguarda sia il cosa insegnare, ossia i conte-
nuti e dunque il sillabo sia il come, ossia il percorso metodolo-
gico, ma soprattutto riflette sul “perché”, ossia sui fondamenti
epistemologici stessi che stanno alla base dell’impianto teorico
di un approccio. Il Lexical approach dunque rappresenta la prima
proposta didattica organica ed articolata incentrata sul lessico 3.
Va inoltre osservato come esso non si proponga nessuna rivolu-
zione glottodidatica; in tal senso non ha le caratteristiche di al-
cuni approcci o metodi di impostazione umanistico-affettiva che,
pur accettabili nell’impianto teorico, sono di difficile applica-
zione nella pratica didattica. Il Lexical apporach si propone una
serie di spostamenti di focus in realtà facili da realizzare ed estre-
mamente efficaci sul piano didattico.

3
Va tuttavia ricordato che nel 1990 Willis pubblica The Lexical Syllabus, a New
Approach to Language Teaching.
III. Il Lexical approach 73

Osserva Lewis:

Implementing the Lexical approach in your classes does not mean a


radical upheaval, likely to upset colleagues, parents and learners. On
the contrary, if introduced with thought and sensitivity, its introduction
will be almost invisible, involving perhaps 20 or even 50 small changes
in every lesson, each in itself unremarkable, but the cumulative effect
will be more effective teaching and more efficient learning (1997: 3).

Allo stesso modo non si deve pensare che il Lexical approach,


essendo appunto incentrato su lessico, voglia eliminare la gram-
matica, così come accadde in alcune approssimazioni metodolo-
giche comunicativistiche durante gli anni Settanta. Per Lewis si
tratta di riconsiderare la lingua come un organismo unitario supa-
rando la dicotomia tra lessico e grammatica in una visione di les-
sico-grammatica in cui il focus si sposta dalla grammatica al les-
sico. È ovvio che in questa impostazione la grammatica svolge
un ruolo meno centrale. D’altra parte: emphasising lexis neces-
sarily reduces the role of grammar (Lewis 1997: 15), ma non si
tratta in nessun modo di demonizzare la grammatica ed il suo
insegnamento. A questo proposito Lewis è molto esplicito:

is a gross misreading of the text [si riferisce al suo saggio del 1993] to
pretend that asserting the pedagogic value of lexis is in any way to deny
the pedagogic value of grammar […] I totally dissociate myself from
any suggestion that the Lexical approach denies the value of grammar
(1997: 41).

E ancora:

The Lexical approach suggests the content and role of grammar in lan-
guage courses needs to be radically revised but the Approach in no way
denies the value of grammar, nor its unique role in language. While the
Lexical Approach emphasises probable language, based on observation
of “used” language, it recognises clearly that lexis is not enough and
that courses which totally discard grammar are doing learners a serious
disservice (1997: 41).
74 Parole nella mente, parole per parlare

In definitiva dunque si tratta di sviluppare una consapevolezza


metalinguistica in docenti e allievi che consenta di attuare effi-
cacemente nel percorso didattico i cambiamenti metodologici ne-
cessari ad una corretta applicazione del Lexical approach te-
nendo conto che: «any approach to language teaching which em-
phasises lexis and de-emphasises grammar represent not a rev-
olution, but a change of emphasis» (1993: 133). Sulla base di
queste premesse di carattere generale, nei prossimi paragrafi ver-
ranno descritte e commentate le principali caratteristiche del le-
xical approach sia sotto un profilo teorico che applicativo.

3.1. Le basi teoriche del Lexical approach

In apertura di The Lexical approach (1993: vi-vii) Lewis propone


un decalogo di aspetti metodologici e linguistici che presenta
nella sostanza tutti i principi fondanti dell’approccio, ne descrive
la concezione della lingua e del suo insegnamento mettendo in
luce i fattori di continuità o di innovazione rispetto al panorama
glottodidattico contemporaneo. Di seguito verranno considerate
le affermazioni più significative di tale decalogo raggruppandole
in due diverse sezioni; la prima raccoglie le considerazioni di
Lewis rispetto alla lingua, la seconda, correlata alla prima, si ri-
ferisce ad aspetti metodologici.

3.1.1. Aspetti linguistici

̶ Language consists of grammaticalized lexis, not lexicalised


grammar;
̶ the grammar/vocabulary dichotomy is invalid; much lan-
guage consists of multi-word ‘chunks’;
̶ the central metaphor of language is holistic-an organism; not
atomistic-a machine;
̶ grammar as structure is subordinate to lexis.
Questi primi punti contengono gli elementi essenziali sulla vi-
sione della lingua proposta dal Lexical approach. D’altronde os-
serva lo stesso Lewis: «the lexical approach can be summarised
III. Il Lexical approach 75

in a few words: language consists not of traditional grammar


and vocabulary but often of multi-word prefabricated chunks»
(1997: 5). La lingua non è dunque vista come un edificio nel
quale la grammatica funge da struttura portante e il lessico è co-
stituito dai singoli mattoni che rivestono la struttura (Serra Bor-
neto 1998). La lingua è un organismo unitario che non può essere
scomposto nelle sue parti in modo atomistico (teoria fondante
dell’approccio strutturalista di matrice bloomfieldiana rivolto
alla forma sintattica del linguaggio) e tale organismo è costituito
di unità lessicali complesse, da segmenti organizzati, da raggrup-
pamenti strutturati di parole (che Lewis definisce chunks) che
impongono il superamento della dicotomia tra lessico e gramma-
tica a favore di una concezione della lingua intesa come lessico
grammaticalizzato. Peraltro, va osservato come spesso nella di-
dattica si parli di lessico e di grammatica a prescindere da una
seria riflessione su cosa siano veramente la grammatica e il les-
sico. Spesso, infatti, la prima è vista come un insieme di regole
normative da applicare per ottenere una frase corretta, almeno
dal punto di vista sintattico, mentre il lessico viene rappresentato
come un insieme di significati arbitrari che possono essere ap-
presi separatamente. Tuttavia, la psicolinguistica ha ampiamente
dimostrato come le parole non vivano da sole nel lessico mentale,
ma si organizzino in reti semantiche e si associno ad altre parole
sulla base di diverse caratteristiche e informazioni di natura se-
mantica e morfosintattica (cfr. cap. II). Una didattica attenta ai
naturali processi psicolinguistici di apprendimento e di memo-
rizzazione del linguaggio dovrebbe interrogarsi di più sulla me-
todologia di insegnamento: cercando di rispettare il normale fun-
zionamento della mente si dovrebbe favorire un percorso didat-
tico più “ecologico” che garantisca un’acquisizione più stabile e
profonda della lingua straniera.
Prendiamo ora in considerazione le seguenti ulteriori defini-
zioni sulla lingua proposte da Lewis:
̶ language is recognised as a personal resource, not an ab-
stract idealisation;
̶ Successful language is a wider concept than accurate lan-
guage.
76 Parole nella mente, parole per parlare

̶ Socio-linguistic competence-communicative power-precedes


and is the basis, not the product, of grammatical competence.
Queste affermazioni contribuiscono a collocare chiaramente il
Lexical approach all’interno della visione comunicativa della
lingua dimostrando particolare attenzione per la dimensione so-
ciolinguistica e pragmatica legata alla comunicazione e all’inte-
razione linguistica in contesti comunicativi significativi. La di-
dattica delle lingue è stata nel corso degli anni più sensibile ora
agli aspetti formali della lingua, ora agli aspetti d’uso. Questi
aspetti dicotomici sono stati di volta in volta definiti in modo di-
verso. Già Saussure aveva proposto una distinzione fondamen-
tale tra la langue intesa come sistema della lingua e parole, ter-
mine che si riferisce alla possibilità dell’individuo di realizzare
attraverso la facoltà del linguaggio le potenzialità della langue.
In seguito Chomsky ha proposto una fondamentale distinzione
tra la competence ossia l’insieme delle conoscenze implicite e
inconsce delle regole che organizzano la lingua e la performance
riferita alla capacità di applicare tale competenza. Tuttavia, per
poter individuare le strutture sintattiche profonde della compe-
tence Chomsky ha ipotizzato un parlante ideale in possesso di
una facoltà cognitiva astratta, non prendendo in considerazione
gli aspetti relativi alla comunicazione linguistica dell’individuo
nel mondo reale e dunque all’uso della lingua nella realtà comu-
nicativa quotidiana. Dalle definizioni di langue/parole e di com-
petence/performance nasce una lunga riflessione glottodidattica.
Nel 1972 Hymes definisce il concetto di communicative compe-
tence ribadendo la necessità di far uscire la competence chom-
skyana dal paradiso terrestre per calarla nella dimensione socio-
linguistica della dimensione comunicativa. Rivers osserva che:

it is all very well for theorists like Chomsky to say that in performance
terms language is a chaos and that it is not worth studying. The teacher
replies: Yes, it is the chaos into which our students must plunge (cit. in
Lewis 1993: 11).
III. Il Lexical approach 77

La glottodidattica, a partire dagli anni Settanta, rivendica l’im-


portanza della competenza socio-pragmalinguistica come ele-
mento imprescindibile alla dimensione comunicativa. Non basta
conoscere la lingua e saperne manipolare le strutture per produrre
delle frasi corrette sul piano morfosintattico, ma è necessario svi-
luppare una competenza d’uso in contesti significativi. Widdow-
son (1978) descrive questo aspetto nella dicotomia tra i termini
usage e use. Il primo descrive norme indipendenti dal contesto
che indicano se una frase è accettabile o meno in una certa lingua,
mentre il secondo termine rimanda all’appropriatezza di una
frase rispetto al contesto e dunque al valore pragmatico e illocu-
torio dell’atto comunicativo. Come si può notare il Lexical ap-
proach si colloca in questa seconda dimensione della lingua, os-
sia nella dimensione funzionale sociopragmatica propria di
un’ottica metodologica di impostazione comunicativa. Si tratta
dunque di stabilire un continuum tra un significato (signification)
denotato, de-contestualizzato proprio della frase (sentence) e il
valore (value) comunicativo contestualizzato (e dunque con gli
aspetti connotativi, affettivi, traslati e metaforici) propri
dell’espressione (utterance). È chiaro che entrambi gli aspetti
sono importanti, ma ciò a cui si deve tendere in linguistica edu-
cativa è la formazione di un parlante competente, ossia un indi-
viduo in grado di comunicare le proprie idee e di gestire il pro-
prio Sé in contesti comunicativi significativi. Come osserva
Lewis sono i bisogni linguistici e le necessità comunicative a
spingere l’individuo a sviluppare e migliorare la propria compe-
tenza linguistica e non il contrario.

3.1.2. Aspetti metodologici

Gli aspetti linguistici richiedono delle opzioni metodologiche


coerenti. Anche rispetto agli spetti metodologici i suggerimenti
di Lewis sono molto espliciti: «a central element of language
teaching is raising students’ awareness of and developing their
ability to ‘chunk’ language successfully» (1993: vi). È stato os-
servato come la lingua sia costruita in gran parte da multi-word
78 Parole nella mente, parole per parlare

prefabricated chunks. Di conseguenza gran parte dell’attività di-


dattica sarà incentrata nello sviluppo di una competenza metalin-
guistica che consenta all’allievo di riconoscere, memorizzare e
utilizzare in fase produttiva tali chunks. Osserva Lewis:

Teachers using the lexical approach will, instead of analysing language


whenever possible, be more inclined to direct learners’ attention to
chunks which are as large as possible (1995: 5).

Una metodologia incentrata su chunks impone necessariamente


un diverso tipo di progressione didattica. Una programmazione
incentrata sulla progressione grammaticale sarà infatti caratteriz-
zata da una progressione dal più semplice al più difficile, mentre
nel caso del Lexical approach essa sarà piuttosto dal più utile al
meno utile e dal più frequente al meno frequente.

̶ Collocation is integrated as an organising principle within


syllabuses

Le collocazioni sono delle unità lessicali complesse, dei chunks,


di due o più parole che formano delle co-occorenze di alta fre-
quenza. Sono estremamente comuni nelle lingue e spesso diffe-
riscono da una lingua all’altra presentando dunque un certo grado
di difficoltà per gli studenti. Curiosamente, malgrado la loro fre-
quenza, sono state spesso ignorate nella didattica delle lingue
moderne. La formazione delle collocazioni, infatti, rientra nella
dimensione paradigmatica della lingua, esse hanno principal-
mente un’origine semantica e d’uso. Non hanno pertanto una re-
gola della grammatica che le possa spiegare ed è forse per tale
ragione, per la loro natura lessicale, che esse sono state così lun-
gamente ignorate. Per il Lexical approach, invece, le colloca-
zioni rappresentano una parte importante della lingua che non
solo non può essere ignorata, ma che, al contrario, va posta al
centro del percorso didattico, al punto da essere integrata nella
programmazione del sillabo ossia del “cosa”, dei contenuti che
devono essere insegnati.
III. Il Lexical approach 79

̶ The primacy of speech over the writing is recognised; writing


is acknowledged as a secondary encodement, with a radically
different grammar from that of the spoken language;
̶ receptive skills, particularly listening, are given enhanced
status.
Nel Lexical approach si sostiene particolarmente lo sviluppo
delle abilità orali. Molto spesso nel percorso didattico ci si basa
sul libro di testo e di conseguenza, anche se il libro è impostato
in modo comunicativo, si finisce per privilegiare il codice scritto,
quasi fosse considerato “più corretto” del codice orale. Tuttavia,
la lingua scritta non è lingua parlata riportata su un foglio. Codice
scritto e codice orale non sono due alternative dello stesso mes-
saggio, ma due comunicazioni diverse, con regole diverse; è im-
portante nella didattica delle lingue una riflessione approfondita
sulla grammatica del parlato. All’interno delle abilità ricettive il
Lexical approach, almeno nelle fasi iniziali di apprendimento, dà
ampio rilievo all’ascolto, attività ricettiva considerata tutt’altro
che passiva, ma, anzi, determinante nelle fasi iniziali dell’ap-
prendimento. Lo sviluppo della consapevolezza metalinguistica
e del monitor non può prescindere dall’attività dell’ascolto che
favorisce l’osservazione come base della comprensione. È noto
come molta letteratura glottodidattica sostenga la necessità di ri-
durre il Teaching Talking Time (TTT) a favore del Student Tal-
king Time (STT). Tuttavia, nelle fasi iniziali è molto importante
che lo studente abbia modi di ricevere molto input in fase di
ascolto e di conseguenza il ruolo dell’insegnante è molto impor-
tante in quanto egli rappresenta un fonte essenziale per l’ascolto
e un feedback molto utile per le ipotesi sulla lingua sviluppate
dall’allievo.
Veniamo ora alla descrizione degli ultimi punti del decalogo
di Lewis che sono di particolare importanza per le implicazioni
metodologiche contenute:
̶ The Present-Practice-Produce paradigm is rejected, in fa-
vour of a paradigm based on the Observe-Hypothesise-Ex-
periment cycle;
̶ it is the co-textual rather than situational elements of context
which are of primary importance for language teaching;
80 Parole nella mente, parole per parlare

̶ task and process, rather than exercise and product, are em-
phasized.
Balboni (2002: 117-118) presenta una sintesi di due diversi per-
corsi metodologici.

Tabella 3.1.
Insegnare la Riflettere sulla
grammatica lingua
Quando Inizio fine
Chi Insegnante allievo
Come deduttivo induttivo
Perché applicazione scoperta
Cosa prodotto processo

Il primo incentrato sull’insegnamento della grammatica, il se-


condo basato sulla riflessione sulla lingua. Nel primo caso ci si
trova di fronte ad un percorso tradizionale nel quale il docente
presenta all’inizio della lezione un determinato argomento di
grammatica e successivamente, generalmente attraverso tecniche
di ripetizione e rinforzo, richiede agli studenti di apprendere la
regola e di applicarla. Nel secondo caso, invece, il percorso di-
dattico è incentrato sull’allievo che riflette sul fenomeno lingui-
stico, lo osserva e crea ipotesi sui possibili meccanismi che lo
presiedono. Nel primo caso la regola generale (presentata dal do-
cente) viene applicata dagli studenti a frasi che la contengono;
nel secondo caso, invece, gli studenti osservano una certa quan-
tità di input linguistico e, sulla base di quanto osserva crea ipotesi
sulla regola generale. Ora, perché la riflessione avvenga sono ne-
cessarie due condizioni. In primo luogo bisogna che vi siano suf-
ficienti “indizi” per poter ipotizzare la regola e dunque l’unità
minima per le attività didattiche è il testo con i suoi meccanismi
di coesione e coerenza e non le singole frasi da trasformare, come
nella tradizione incentrata sulla grammatica. In secondo luogo è
necessario che la riflessione si collochi alla fine del percorso di-
dattico e non all’inizio. Siamo dunque di fronte a due diversi per-
III. Il Lexical approach 81

corsi di ragionamento: deduttivo ed induttivo. Il Lexical ap-


proach propende per un percorso induttivo. L’apprendimento dei
chunks, i loro riconoscimento e l’analisi della loro natura dipende
in gran parte da un percorso di scoperta e non di applicazione. In
questo senso si intravedono nel Lexical approach elementi che
appartengono ad una certa glottodidattica di matrice umanistico-
affettiva. La riflessione sulla lingua deve avvenire a partire dal
testo e in esso assumono particolare interesse gli elementi relativi
al co-testo e non solo al contesto. È infatti nella dimensione co-
testuale che si individuano importanti fenomeni linguistici quali
le collocazioni ed altri tipi di chunks.
Infine, conseguentemente all’impostazione metodologica fin
qui descritta, il Lexical approach privilegia una didattica task
oriented piuttosto che incentrata sugli esercizi della didattica tra-
dizionale. L’esercizio prevede una forma di applicazione delle
regole attraverso una certa dose di ripetizione e si concentra sul
risultato, sul prodotto. Se la frase è corretta significa che la regola
è stata appresa. Nel caso del task la lingua deve essere usata per
raggiungere determinati obiettivi, per realizzare un determinato
compito ed in questo caso si osserva maggiormente il processo e
non tanto il prodotto.

3.2. La natura del lessico

Lewis individua quattro categorie fondamentali di unità lessicali:


a) ̶ words
̶ polywords
b) collocations
c) institutionalised utterances
d) sentence frames or heads
Le prime due categorie riguardano il significato referenziale,
mentre le altre due il significato pragmatico.
82 Parole nella mente, parole per parlare

̶ Words e polywords

Si tratta delle parole assunte come unità indipendenti. In genere,


quando si pensa all’insegnamento del lessico negli approcci tra-
dizionali, ci si riferisce all’insegnamento di queste singole parole
spesso presentate attraverso liste con la relativa traduzione. Cam-
biando tali unità cambia il senso della frase, come nell’esempio:
Scusa, mi presteresti la matita/la penna/il disco/il libro, ecc. In
questo caso il Lexical approach opererebbe individuando il
chunk: scusa, mi presteresti … più il singolo lemma che com-
pleta la frase. Singole unità lessicali sono anche parole come ba-
sta!, certo!, prego, volentieri, aperto/chiuso, ecc. A questa cate-
goria appartengono, inoltre, anche i termini delle microlingue
scientifico professionali.
Per polywords invece si intendono locuzioni composte in ge-
nere da due, tre parole, come ad esempio le espressioni a propo-
sito, d’altra parte, comunque sia, ad ogni modo, né più né meno,
ecc. Tali locuzioni possono essere apprese e memorizzate come
singole unità lessicali con diverse funzioni all’interno del di-
scorso. Si pensi a locuzioni preposizionali come dal punto di vi-
sta di, a seconda di, in proporzione a, a favore di, allo scopo di,
ecc; oppure locuzioni con valore congiuntivo come in modo che,
di tal sorta che, ecc. Si tratta di espressioni che ricorrono con
certa frequenza, ma che in genere la didattica tradizionale non ha
preso in considerazione in modo sistematico. Le polywords sono
un esempio di lessico grammaticalizzato: sono espressioni fisse,
locuzioni/sintagmi preposizionali o avverbiali da assumere come
semplici unità lessicali.

̶ Le collocazioni

Si tratta di coppie di parole (ma a volte anche più di due) che si


attraggono in modo particolare e che ricorrono con alta frequenza
dando vita a co-occorrenze, più o meno fisse, sul piano sintag-
matico. Di fatto, alcune collocazioni fisse possono essere assunte
come espressioni polilessicali:
III. Il Lexical approach 83

Fixed collocation are one kind of polyword. Free collocations are, by


definition, entirely novel and therefore lie towards the creative, gram-
matical competence-based pole of language (Lewis 1993: 92).

Tuttavia, le parole che formano questa tipologia di chunks non si


attraggono nello stesso modo. Per esempio nella lingua italiana
si dice che una persona ha i capelli castani, ma mai che ha i ca-
pelli marroni; l’aggettivo attrae con maggior forza il sostantivo
di quanto non accada nel caso contrario. Questo porta alla possi-
bilità di individuare all’interno di una determinata collocazione
una “parola chiave” sulla quale la collocazione si regge. Ab-
biamo già osservato come nelle varie lingue non sempre esiste
corrispondenza tra le possibili collocazioni e dunque esse pos-
sono costituire una difficoltà per gli allievi.
Nel Lexical approach le collocazioni svolgono un ruolo cen-
trale. Secondo Lewis si dovrebbe dedicare loro parte delle atti-
vità didattiche sia per sviluppare la riflessione metalinguistica,
sia perché possano essere apprese come singole unità lessicali. È
possibile che la memoria semantica organizzi il linguaggio pro-
prio raggruppandolo in chunks e dunque apprendere la lingua
straniera attraverso tali strutture le renderebbe in seguito più fa-
cilmente recuperabili. In italiano le collocazioni possono essere
di diversa natura. Si vedano i seguenti esempi:
̶ Sost. + agg.
Giornata storta
̶ Agg. + sost.
Vecchio amico, gran baccano
̶ Sost. + sost.
Temperatura ambiente, spazio eventi, punto vendita
̶ Verbo + sost. + agg.
Far man bassa, fare piazza pulita
̶ Verbo + avv.
Dormire profondamente
̶ Verbo + prep. + sost.
Essere in tempo
̶ Sost. + prep. + avv.
Persona per bene
84 Parole nella mente, parole per parlare

In alcuni casi le collocazioni possono assumere una certa valenza


idiomatica. È possibile ipotizzare, infatti, un continuum tra le
collocazioni più semplici fino a forme idiomatiche più com-
plesse.

̶ Frasi istituzionalizzate

Rientrano in questa categoria chunks di uso pragmatico che ap-


partengono al codice orale. Tali chunks, che sono molto più nu-
merosi di quanto si possa supporre, possono essere costituiti an-
che da intere frasi, identificabili spesso come forme routinizzate
all’interno di un determinato contesto. Espressioni come c’è una
telefonata per te, apro io, sono espressioni che possiamo assu-
mere come singole unità all’interno di un discorso ed essere ap-
prese come tali. Molte di queste espressioni fisse sono politness
phrases routinizzate che è bene presentare in dialoghi che ne evi-
denzino il contesto. Il Lexical approach si focalizza sulle espres-
sioni semifisse che si inquadrano in una struttura pragmatica o
funzionale del tipo ho l’impressione che…; oppure quello che mi
ha sorpreso è stato che …; quello che mi sorprende è che…;
trovo incredibile che… In questa categoria Lewis include anche
espressioni del tipo se fossi in te, se fossi al tuo posto, ecc. Sono
espressioni che prevedono l’uso dei tempi nel periodo ipotetico,
ma in realtà è possibile apprenderle come chunks senza necessa-
riamente partire dalla spiegazione grammaticale che può avve-
nire in seguito.

those sentences that are fully institutionalised utterances can be learned


and used as wholes, without analysis, thereby forming the basis, not the
product, of grammatical competence (Lewis 1997: 259).

̶ Espressioni per strutturare il testo

Si tratta di forme istituzionalizzate che appartengono al codice


scritto e che si utilizzano per strutturare e decodificare testi di
una certa lunghezza. Si tratta di espressioni come in primo
luogo…; in secondo luogo…; infine …; oppure: passeremo ora
III. Il Lexical approach 85

ad analizzare una serie di punti…; innanzitutto bisogna sottoli-


neare che …; Sono espressioni utili per organizzare lunghi pas-
saggi scritti, ma possono essere presenti anche nella lingua par-
lata, ad esempio nel campo del linguaggio accademico.
Ovviamente, le categorie lessicali indicate da Lewis e i
chunks che le compongono, hanno alla base le regole di forma-
zione delle parole presenti in una determinata lingua. Per svilup-
pare la consapevolezza sull’organizzazione di tali chunks può es-
sere utile riflettere, dal punto di vista metalinguistico, sui mecca-
nismi di formazione delle parole nel lessico di una lingua e di
considerarne i rapporti paradigmatici e sintagmatici. Si prendano
in considerazione i seguenti aspetti:

̶ I neologismi

Una lingua non è mai statica o cristallizzata. È un organismo vi-


vente che rinnova il suo lessico sulla base di nuove esigenze. La
neologia è un fenomeno insito nella natura stessa della lingua,
nella costante necessità dell’uomo di descrivere per mezzo di
essa il mondo e i cambiamenti tecnico-scientifici, sociali e cultu-
rali che si succedono costantemente imponendo nuove necessità
comunicative. A volte alcuni neologismi non hanno fortuna e
non trovano una collocazione stabile nella lingua, in altri casi in-
vece, malgrado le resistenze dei puristi, un neologismo entra de-
finitivamente nel lessico fino a divenire una parola o una locu-
zione insostituibile che può, a sua volta, generare nel tempo
nuovi neologismi. Anche i prestiti e i forestierismi che entrano
in una lingua possono essere considerati neologismi, ma general-
mente il processo di neologia è riferito a parole che si formano
sulla base di lemmi già presenti nella lingua. Vi sono neologismi
combinatori e semantici (Beccaria 1994). I primi derivano essen-
zialmente da processi di suffissazione e derivazione, oppure sono
costituiti da sintagmi che si formano attraverso l’unione di due o
più parole che si legano stabilmente e possono dar luogo a delle
co-occorrenze di alta frequenza, dei chunks lessicali come spazio
vendita, servizio clienti, mani pulite, area videosorvegliata (in
quest’ultima è presente l’ulteriore composizione di una parola
86 Parole nella mente, parole per parlare

attraverso il suffissoide video-). I secondi, invece, sono costituiti


da lemmi già esistenti nella lingua che variano la loro valenza
polisemica assumendo di volta in volta nuovi significati (ed
eventualmente perdendone altri). La parola “espresso” una volta
indicava un tipo di treno, una rivista, un tipo di lettera e il caffè.
Oggi i treni espressi sono praticamente scomparsi, sostituiti con
espressioni composte da suffissoidi come inter- e euro- più i pre-
stiti city e night nelle espressioni “intercity” ed “euronight”. Allo
stesso modo non si invia più una lettera in modo espresso, ma si
usa la nuova espressione dirematica posta prioritaria. Il lemma
espresso dunque presenta una contrazione del suo valore polise-
mico, mentre altre parole possono espandere la loro polisemia
per descrivere nuove referenze. La parola velina indicava origi-
nalmente, oltre al foglio di carta velina, un tipo di comunicazione
ufficiale inviato dalle istituzioni alla stampa a scopo informativo,
mentre dagli anni Ottanta, in accezione televisiva, ha assunto il
significato di ragazza che compare in programmi televisivi nel
ruolo comprimario di bellezza figurante.

̶ La derivazione

La formazione di parole nuove può avvenire attraverso la deri-


vazione, ossia attraverso un processo di affissazione. In senso di-
stribuzionale gli affissi si definiscono prefissi, suffissi ed infissi
in base alla posizione che essi assumono rispetto alla radice della
parola. Quando si compie una suffissazione, il suffisso si può le-
gare a nomi, aggettivi e verbi permettendo di passare da una ca-
tegoria sintattica ad un’altra, così come di derivare parole all’in-
terno della stessa categoria. Le nuove formazioni che derivano
da un nome si chiamano denominali (senato > senatore); quelle
che derivano da un aggettivo deaggettivali (possibile > impossi-
bile); quelle che derivano da un verbo deverbali (partire > par-
tenza). In base alle regole derivative i suffissi più usati sono:
̶ da nome a nome: -aio, -ario, -ista, -ano, -ino, -eria, -ificio, -
ale, -ata, -eto, -aglia, -ame, -ina, -atura;
̶ da nome ad aggettivo: -ato, -uto, -are, -evole, -ile, -ino, -aneo,
-esco;
III. Il Lexical approach 87

̶ da aggettivo a nome: -ezza, -izia, -ura, -ia, -itudine, -ione, -


aggine, -eria;
̶ da nome o aggettivo a verbo: -are, -eggiare, -izzare da verbo
a nome: -(a-i)zione, -anza, -enza, -(a-i)mento, -uta, -ita, -
(at)ura, -sione, -(a-i)tore, -sore, -ino, -eria;
̶ da verbo ad aggettivo: -(a-i)tore, -sore, -(a-i)bile.
Ciascun suffisso può inoltre implicare significati diversi, ad
esempio il suffisso -aio può indicare colui che vende i giornali
(giornalaio) così come un luogo destinato a contenere qualcosa
(vivaio). È possibile tuttavia che una parola cambi di categoria
senza ricorrere ad un processo di suffissazione, come nel caso di
svegliare/sveglia; lavoro/lavorare; guida/guidare, ecc. In tal
caso si tratta di derivazioni a suffisso zero.
All’interno delle regole derivative si può includere anche l’al-
terazione, attraverso suffissi accrescitivi, diminutivi, vezzeggia-
tivi e spregiativi. Diversamente dalla suffissazione, la prefissa-
zione non implica variazioni di categoria. I prefissi sono, tutta-
via, veicoli di specifici significati: ad esempio i prefissi in-, s-,
de-, a- possono attribuire carattere negativo o privativo alla pa-
rola (inutile, scortese, deridere, disattento, asociale). il prefisso
in- può indicare anche movimento per mettere qualcosa in un po-
sto (im-mettere, im-bucare); il prefisso de- può indicare moto da
luogo, allontanamento (de-portare); e ancora, il prefisso ri- può
indicare ripetizione (ri-fare) così come conferire valore intensivo
(ri-cercare, ri-pulire). I principali prefissi utilizzati nella forma-
zione di parole nuove sono: ante-, post-, cis-, meta-, intra-, anti-
peri-, oltre-, extra-, entro-, co-, trans-, arci-, sub-, iper-, vice-,
bene-, re-, tri-, a-, dis-, s-, inter-, super-, sovra-, sotto-, para-,
semi-, mal(e)-, ri-, bis-, contro-, de-, in-.

̶ La composizione

La composizione consiste nel processo di combinazione di due o


più parole che, messe assieme, assumono un significato diverso
dalle parole che le compongono (“asciugamano”, “apriscatole”,
“manomettere”, “sottopassaggio”, “attaccapanni”, ecc.). La
composizione si differenzia dal processo derivazionale in quanto
88 Parole nella mente, parole per parlare

le parole che si uniscono possiedono una loro autonomia seman-


tica, mentre gli affissi non possono essere isolati come unità les-
sicali indipendenti. Nell’italiano contemporaneo la formazione
di nuove parole dipende più dalla composizione che dalla suffis-
sazione. Vi sono associazioni di parole definite conglomerati
come “saliscendi”, “viavai”, “fuggifuggi”, che attraverso l’uso si
sono consolidati in unità lessicali singole.
Il processo di composizione può riguardare sia parole appar-
tenenti alla stessa categoria grammaticale:
̶ sostantivi (“capotreno”, “fondotinta”, “cassapanca”);
̶ aggettivi (“pianoforte”, “grigioverde”):
̶ verbi (“viavai”, “fuggifuggi”);
̶ avverbi (“malvolentieri”, “sottosopra”).
Oppure possono aver origine da categorie diverse, principal-
mente:
̶ verbo + sostantivo (“attaccapanni”, “scendiletto”, “portafo-
glio”, “passaporto”);
̶ sostantivo + verbo (“terracotta”, “manomettere”, “nullate-
nente”);
̶ sostantivo + aggettivo (“palcoscenico”, “terraferma”);
̶ aggettivo + sostantivo (“bassorilievo”, “mezzogiorno”);
̶ avverbio + sostantivo (“sottobosco”).
Le parole possono inoltre dar forma ad unità lessicali polirema-
tiche formate da due parole che non si uniscono fra di loro. È il
caso di parole frasi quali temperatura ambiente, busta paga,
treno merci, divano letto, ecc. Tali unità lessicali vengono defi-
nite parole frasi in quanto, sostituiscono un’intera frase: così ad
esempio, divano letto riassume la frase divano che può anche
svolgere le funzioni di letto. Nella società attuale queste espres-
sioni sono molto usate per la loro concisione e immediatezza. Si
pensi ad esempio alle espressioni punto vendita, spazio eventi,
servizio clienti, ecc., In altri casi si possono creare unità lessicali
superiori formate da due sostantivi e una preposizione, come nel
caso di carta d’identità, lista d’attesa, sacco a pelo, punto d’in-
contro, posto di blocco, avviso di garanzia, ecc.
III. Il Lexical approach 89

Si definiscono invece parole macedonia quelle espressioni ot-


tenute dalla fusione della parte iniziale di una parola con un’altra
parola o con la parte finale di essa: cartolibreria o inflazione.

̶ I composti dotti

I cosiddetti composti dotti sono invece unità lessicali in cui al-


meno uno dei costituenti è di origine classica, greca o latina.
Questi elementi svolgono nella formazione della parola compo-
sta un ruolo simile a quello dei prefissi e dei suffissi, assumendo
il nome di prefissoidi e suffissoidi. Questi sono presenti nelle lin-
gue speciali e nelle microlingue e, grazie alla loro origine clas-
sica, consentono una internazionalizzazione del termine scienti-
fico, che spesso è presente in modo simile in lingue diverse
(come nel caso di antropologia, biologia ecc.). In alcuni casi il
prefissoide assume con l’uso un significato diverso da quello ori-
ginale. Telefono, telescopio e televisione hanno origine dallo
stesso prefissoide tele- (che in greco significava lontano). Tutta-
via, proprio a causa della televisione, le parole composte succes-
sivamente hanno un significato derivante soprattutto dal mezzo
televisivo divenendone sostanzialmente una abbreviazione in
espressioni come telegiornale, telecomando ecc.).

̶ I forestierismi

I forestierismi si possono raggruppare in due distinte categorie: i


prestiti e i calchi. Il prestito si realizza quando all’interno di una
lingua si usano elementi linguistici alloglotti o lemmi apparte-
nenti ad altre lingue. Spesso ciò avviene sulla base del prestigio
che una certa lingua assume in determinate epoche storiche o per
necessità comunicative (si pensi agli anglismi diffusissimi
nell’epoca del computer e dell’informatica). Vi sono diverse ti-
pologie di prestiti:
̶ acclimatati o non acclimatati: in base al grado in cui essi sono
entrati definitivamente a far parte del patrimonio lessicale di
una lingua. Bar, équipe, manager sono ad esempio termini
acclimatati in italiano;
90 Parole nella mente, parole per parlare

̶ adattati o non adattati: nel caso in cui siano stati adeguati o


meno alle strutture grafemiche o fonetiche della lingua rice-
vente (bistecca dall'inglese beefsteak).
In italiano i prestiti (soprattutto dall’inglese) sono molto diffusi,
al punto che a volte si sono creati anche dei falsi prestiti. Ad
esempio, l’espressione beauty farm è in realtà un neologismo
esogeno assente nel lessico inglese. I calchi sono una particolare
categoria di forestierismi costituita da termini alloglotti che ven-
gono tradotti con lemmi già esistenti nella lingua che li adotta, ai
quali, tuttavia, viene attribuito un significato diverso. Anch’essi
possono essere classificati in base ad alcune caratteristiche spe-
cifiche:
̶ calchi semantici: riguardano un’estensione del significato di
una parola già esistente indotta da un modello straniero (ad
esempio, vertice, in espressioni come incontro al vertice è
calco semantico dell’inglese summit, così come il verbo rea-
lizzare nel senso di comprendere, rendersi conto, è calco se-
mantico dall’inglese to realize);
̶ calchi strutturali (o di traduzione): si realizzano quando una
parola o locuzione di una lingua vengono tradotti letteral-
mente utilizzando parole già esistenti nella lingua ricevente (è
in caso di “week-end”, “fine settimana”, o parole composte
come skycraper, grattacielo, nel quale, peraltro, l’ordine sin-
tattico in italiano è diverso e forma un neologismo, o come
multinazionale da multinational);
̶ calchi parziali: sono quei calchi in cui solo una parte è presa
in prestito da un’altra lingua. Ad esempio, l’espressione volo
charter, effetto glamour o “spazio storage”.

3.3. I chunks lessicali e i livelli di elaborazione

Nella rappresentazione classica del funzionamento della memo-


ria l’informazione elaborata temporaneamente dalla memoria a
breve termine viene trasferita attraverso la ripetizione (il rehear-
sal) nella memoria a lungo termine. Tuttavia, questo processo si
basa su una visione sequenziale (si veda il modello modale di
III. Il Lexical approach 91

Atkinson e Shiffrin del 1968) che prevede un procedimento in


fasi successive, in cui il trasferimento dell’informazione dalla
memoria a breve termine a quella a lungo termine è soprattutto
in funzione del rehearsal, e dunque della sua permanenza nella
memoria a breve termine. In altre parole, secondo tale modello
più l’item permane nella memoria a breve termine e più vi sono
garanzie di un suo trasferimento in quella a lungo termine.
Craick e Lockart (1972) hanno proposto un modello diverso
basato su una visione funzionale, avanzando l’ipotesi della pro-
fondità di codifica. In questa prospettiva, il processo di elabora-
zione dell’informazione avviene lungo un continuum, anziché at-
traverso una serie di tappe discrete, e sarebbe distribuito secondo
un percorso dai livelli più superficiali di codifica, caratterizzati
dall’analisi dei tratti sensoriali e fisici, verso un’elaborazione
profonda dell’input a livello semantico, a più alto grado associa-
tivo.
In base al principio dei livelli di elaborazione, la ripetizione
non è sufficiente a garantire il formarsi di una traccia stabile, ma
il fattore centrale diviene il livello della sua profondità di codi-
fica. Un’elaborazione più profonda dà origine ad un ricordo più
stabile, perché più connesso a livello di reti semantiche.
Un secondo punto fondamentale del modello di Craik e Loc-
kart riguarda il processo di conservazione dell’informazione. Se
l’acquisizione profonda dipende dal livello di elaborazione, sarà
solamente un ripasso elaborativo dell’item a consentirne la per-
manenza e non un ripasso di mantenimento, in cui il l’informa-
zione viene ripetuta senza ulteriore elaborazione. Il primo tipo di
ripasso permette l’accesso ai livelli di elaborazione profonda,
rinforzando le associazioni semantiche, mentre il secondo con-
sente la permanenza a breve termine dell’item durante il processo
di conservazione. In altri termini il ripasso di mantenimento è un
sistema di conservazione che non presenta le caratteristiche
dell’apprendimento, in quanto ha solo la funzione di attivare una
rappresentazione già esistente in memoria, mentre il ripasso ela-
borativo presiede alla riorganizzazione del sapere.
In base a queste osservazioni si deve supporre che quanto più
un compito assegnato riguarda le caratteristiche semantiche
92 Parole nella mente, parole per parlare

dell’item, tanto più dovrebbero aumentare le possibilità di riten-


zione. Sembra dunque evidente che la traccia mnestica nelle sue
fasi di codifica, ritenzione e recupero necessita di una elabora-
zione semantica per divenire una traccia stabile nella memoria
semantica e nella memoria a lungo termine.
Dal punto di vista della didattica delle lingue questo implica
che quanto maggiore sarà l’attenzione alle caratteristiche seman-
tiche del materiale linguistico tanto più stabile sarà il suo appren-
dimento. Ciò si accorda con l’assunto glottodidattico secondo il
quale più ci si concentra sul contenuto di un enunciato meglio se
ne può comprendere la struttura. Tuttavia, affinché ciò si realizzi,
diviene fondamentale considerare il testo come l’unità minima di
significato. Solo nel testo, infatti, sono presenti tutti gli elementi
linguistici ed extralinguistici che concorrono alla sua compren-
sione profonda. Da questi dati emergono alcuni punti di conver-
genza tra la proposta metodologica del Lexical approach e i pro-
cessi della memoria. I chunks lessicali, che il Lexical Approach
pone al centro della propria proposta metodologica, sembrano ri-
specchiare perfettamente l’attività di chunking della memoria a
breve termine. Predisporre attività didattiche che favoriscano
l’apprendimento di unità lessicali strutturate rappresenta, quindi,
una metodologia ecologica in quanto rispetta il normale funzio-
namento della memoria umana.
Un altro interessante punto di convergenza riguarda la lun-
ghezza dei chunks e lo span della memoria a breve termine. Os-
serva Lewis:

Several linguists who have studied and classified expressions have


come to the conclusion that they consist of between two and seven
words and, most interestingly, they do not normally exceed seven
words […] Research on short term memory bears out this limit, which
remains speculative, on the length of individual lexical items (1997a:
33-34).

La relazione tra la struttura dei chunks e lo span di memoria con-


ferma, dunque, l’interesse per una metodologia didattica basata
sul Lexical approach. I nuovi chunks che gli allievi formano a
III. Il Lexical approach 93

partire dalle unità lessicali già acquisite e memorizzate, possie-


dono una struttura linguistica perfettamente coerente con l’am-
piezza dello span della memoria a breve termine e di conse-
guenza possono essere memorizzati in modo naturale. Un’ulte-
riore conferma della coerenza della proposta metodologica di
Lewis con i processi della memoria riguarda la profondità di co-
difica e i livelli di elaborazione. Nei punti-chiave posti in aper-
tura di The Lexical approach Lewis sottolinea che «the Present-
Practice-Produce paradigm is rejected, in favour of a paradigm
based on the Observe-Hypothesise-Experiment cycle» (1993:
vii).
Il primo paradigma enfatizza il ruolo del ripasso di manteni-
mento, ma non di quello di elaborazione. Si tratta di un modello
metodologico che, considerando il soggetto una mente passiva
che apprende attraverso la ripetizione, non favorisce di fatto
un’elaborazione dell’input a livello profondo, ossia semantico.
Una metodologia basata sull’osservazione e la formulazione di
ipotesi sul funzionamento del sistema lingua, come quella pro-
posta dal Lexical approach, consente, invece, una maggiore fa-
cilità di memorizzazione stabile dell’input e rappresenta la pro-
cedura più idonea per comprendere la formazione e la struttura
dei chunks lessicali.

3.4. Applicazioni pratiche del Lexical approach

Sulla base delle caratteristiche del lessico descritte da Lewis pro-


poniamo in questa sezione alcune attività didattiche come esem-
plificazione metodologica del Lexical approach applicato all’in-
segnamento dell’italiano come lingua straniera o L2.

̶ Unità composte da più parole o polywords

Come abbiamo accennato, vi sono coppie di parole o locuzioni


che possono essere assunte come singole unità lessicali e memo-
rizzate come tali. Tuttavia, queste espressioni seguono un ordine
preciso: in italiano, per esempio, diciamo avanti e indietro e non
94 Parole nella mente, parole per parlare

il contrario. La prima tecnica consiste nel riconoscere ed asso-


ciare nell’ordine corretto le coppie di parole, per poi riutilizzarle
all’interno di alcuni mini-dialoghi:
a) Associa le espressioni seguenti formando dei chunks. Osserva
l’esempio:

all’altro
avanti
da un momento
né più
in largo
indietro
spesso
volentieri
in lungo
né meno

né più né meno
______________ ____________________
______________ ____________________
______________ ____________________
______________ ____________________

b) Con le espressioni ottenute completa i mini-dialoghi se-


guenti:

Esempio: Laura mi ha ripetuto né più né meno quello che mi


avevi detto tu ieri al telefono.

1. Giorgio ti ha detto che veniva subito?


Si, ormai dovrebbe essere qui _______________

2. Maria, ti vedi ancora tutti i giorni con Claudio?


Tutti i giorni no, però ci vediamo ________________

3. Allora, avete trovato il negozio che cercavate?


III. Il Lexical approach 95

No, abbiamo girato il centro ________ senza riuscire a ricor-


darci dov’era.

4. Francesca, è tutto il giorno che cammini __________ senza


concludere nulla.
Lo so, ma oggi non riesco a concentrarmi per studiare.

̶ Collocazioni

È utile predisporre tecniche che aiutino gli allievi a riflettere sulle


relazioni di alta frequenza tra le parole. Si possono utilizzare
schede come quelle riportate negli esempi seguenti, che possono
essere completate singolarmente o a coppie e poi discusse con
tutta la classe:

Esempio: a) Trova cinque verbi che secondo te stabiliscono re-


lazioni privilegiate con la parola indicata.

Verbi Nome (parola chiave)


_______________
_______________
_______________ tempo
_______________
_______________

oppure

Esempio: b)

verbo avverbi
_______________
_______________
parlare _______________
_______________
_______________
96 Parole nella mente, parole per parlare

Esempio: c)

Parola chiave Aggettivo verbo

abbonamento scaduto Rinnovare


lettera ___________ _______________________
lavoro ___________ _______________________
biglietto ___________ _______________________

Un altro tipo di attività può riguardare il riconoscimento di col-


locazioni formate, ad esempio, da verbi e sostantivi presentati in
una lista:

Associa ai verbi le parole della lista che secondo te si attraggono mag-


giormente (un nome può legarsi anche a due verbi). Osserva l’esempio.

Aiuto, atto, fastidio, freddo, parte, promessa, ragione, retta, si-


lenzio, sonno, tempo

una promessa
Fare ________________
________________
________________

________________
Dare ________________
________________
________________

________________
Prendere ________________
________________
________________
III. Il Lexical approach 97

Oppure si possono usare delle griglie. Ad esempio:

Leggero/a Forte Grosso/a Alto/a sottile


pioggia
Vento
mare
neve

Gli allievi devono completare la griglia associando il sostantivo


all’aggettivo. In tal modo si accorgono che il mare può essere
grosso, ma non può essere sottile, mentre la pioggia può essere
sottile, ma non grossa e così via. Con questo tipo di attività si
riflette anche sugli aspetti connotativi della lingua.

̶ Espressioni fisse e semi-fisse

Alcune tecniche possono essere predisposte per lavorare sulle


espressioni fisse o frasi istituzionalizzate. Si veda l’esempio se-
guente
a) Nelle frasi seguenti una non è corretta. Trovala e riscrivi la
frase con la giusta espressione
̶ Cerca di vedere le cose dalla mia linea di vista.
̶ Non sono molto soddisfatto della giacca che ho comprato,
d’altro lato era l’unica rimasta della mia taglia.
̶ Comprami il giornale che preferisci, tanto uno vale questo.
Una volta individuate le unità lessicali corrette (punto di vista,
d’altra parte, uno vale l’altro), si può chiedere agli allievi di in-
dividuare una espressione corrispondente nella lingua madre (si
tenga presente che dal punto di vista metodologico il Lexical ap-
proach non esclude il riferimento alla lingua madre) oppure di
riproporre le locuzioni apprese all’interno di nuovi contesti di-
scorsivi nella lingua target.
Un’altra tecnica prevede un’attività di matching tra un verbo
della prima colonna e uno dei gruppi di espressioni fisse o semi-
fisse della seconda.
98 Parole nella mente, parole per parlare

Esempio:

cerco Poco bene


In piena forma
A mio agio
Chiamato in causa

Faccio Dove l’ho già visto


Chi sia
Se sia il caso
Se sia capace/in grado di

Mi sento quello che posso


come se non fosse successo niente
finta di niente
una cosa alla volta

Mi chiedo di stare/di tirarmi su


di non pensarci
di concentrarmi
un’altra soluzione

Ogni verbo può associarsi con tutte le espressioni contenute in


un gruppo, ma in contesti diversi. Una volta associato il verbo
con il gruppo di espressioni corrispondenti, gli allievi possono
cercare di utilizzare ogni frase all’interno di brevi dialoghi in
classe.
Altre tecniche utilizzabili:

̶ Parole crociate

Le tecniche enigmistiche sono spesso presenti nei materiali di-


dattici e nelle attività in classe. Tuttavia, sono spesso costruite
sulla base di parole singole che devono essere individuate ed in-
serite, generalmente sulla base di campi semantici e di riferi-
menti iconici (vignette, immagini) al margine. Lo studente deve
recuperare dalla memoria semantica il nome corrispondente
all’oggetto indicato ed inserirlo nello schema in base alle caselle
corrispondenti alle caratteristiche ortografiche del lemma. Si
III. Il Lexical approach 99

possono però predisporre parole crociate dove si richiede di in-


serire non una sola parola, ma un chunk sulla base di una frase
da completare. Si tratta di un’ottima tecnica per memorizzare
unità lessicali composte da più di una parola.

̶ Tecniche di incastro

Si possono presentare brevi dialoghi, contenenti molte routine ed


espressioni fisse o semi-fisse, le cui battute non sono nel giusto
ordine. Gli allievi devono ricostruire il dialogo. Si tratta di un’at-
tività che sviluppa la competenza pragmatica e aiuta ad utilizzare
in contesto i vari items lessicali.

̶ Creare una storia

L’insegnante fornisce agli allievi, che lavorano in piccoli gruppi,


un certo numero di unità lessicali costituite da espressioni fisse o
semi-fisse. Su questa base gli allievi devono scrivere una breve
storia con un numero prefissato di parole.

̶ Cloze

La procedura cloze in generale prevede di completare un testo


nel quale è stata cancellata una parola ogni sette. Una variante
può essere rappresentata da un cloze mirato, nel quale sono stati
cancellati dal testo alcuni chunks lessicali di vario tipo. Tali
chunks vanno riportati in calce e gli allievi devono riconoscerli
ed inserirli nello spazio vuoto corrispondente del testo.

̶ Dialogo su traccia

Si può creare uno schema in cui inserire, ad esempio, il dialogo


telefonico tra due interlocutori. Gli allievi lavorano in coppia e
devono completare il dialogo sulla base della traccia fornita
dall’insegnante. In una seconda fase i dialoghi vengono presen-
tati a tutta la classe e si riflette assieme sulle espressioni che pos-
sono costituire dei chunks lessicali.
100 Parole nella mente, parole per parlare

Esempio: Completa il dialogo telefonico sulla base della traccia.


Puoi scegliere la telefonata di tipo formale o quella informale.
Capitolo IV

La lettura e lo sviluppo del lessico

Circa 5000 anni fa l’uomo realizzava una delle più grandi rivo-
luzioni culturali della storia. Nasceva la scrittura. Questa straor-
dinaria invenzione cambiò il mondo e la comunicazione umana.
L’uomo possiede una dimensione sociale ed è, soprattutto, un es-
sere narrante. Possiede il linguaggio e la memoria e queste due
meravigliose facoltà gli hanno consentito di comunicare con i
suoi simili i propri pensieri, le proprie emozioni, le proprie sco-
perte. La comunicazione è stata una condizione fondante della
stessa evoluzione umana e della sua dimensione culturale.
Dai gesti, al linguaggio, alla scrittura e alla lettura, fino alle
odierne forme di comunicazione del mondo digitale e informa-
tizzato, la specie umana non ha smesso di sviluppare la propria
dimensione comunicativa, attraverso tappe epocali e rivoluzioni
culturali che hanno richiesto al cervello lunghi periodi di adatta-
mento, di modificazione dei propri circuiti e delle proprie aree
neurali, di utilizzare aree preesistenti per far fronte a nuove sfide
culturali come la lettura. Fortunatamente, la mente possiede la
straordinaria capacità di modellarsi sulla base dell’esperienza.
All’origine della capacità di modificare e adattare le proprie fun-
zioni e di creare nuovi collegamenti vi è infatti la plasticità cere-
brale ossia:

Le variazioni dell’organizzazione nervosa che sono alla base delle di-


verse forme di modifica del comportamento, sia di lunga che di breve
durata. Esse comprendono i processi di maturazione, adattamento al
cambiamento dell’ambiente, apprendimento specifico e non specifico e
infine i meccanismi di compenso conseguenti a fattori diversi quali l’in-
vecchiamento o una lesione cerebrale (Berlucchi, Buchtel 2009: 307,
cfr. Denes 2016: 34).

101
102 Parole nella mente, parole per parlare

Accanto dunque a moduli geneticamente predisposti e dunque


innati, il cervello modifica i propri circuiti sulla base di processi
evolutivi e culturali. Tali processi sono alla base, ad esempio, del
riconoscimento delle parole e della lettura, così come sono al
centro dei nuovi moduli complessi richiesti dall’adattamento al
mondo digitale della nostra epoca. Secondo i dati UNESCO del
2015 sull’analfabetismo, l’85% della popolazione mondiale è al-
fabetizzata e leggere è un’attività quotidiana che appare del tutto
naturale, così come sembra naturale avere accesso diretto al si-
gnificato delle parole scritte. Invece leggere è una conquista cul-
turale che ha richiesto al cervello un lungo percorso di adatta-
mento. Per ogni individuo la lettura costituisce un apprendimento
che spesso coincide con la scolarizzazione, ossia verso i 5-6 anni.
Diversamente dallo sviluppo della parola, del linguaggio o della
visione, che si basano su programmi innati, la lettura è un ap-
prendimento consapevole e a volte faticoso. Non esistono moduli
o circuiti cerebrali innati per la lettura che si attivano quando il
bambino inizia a farne pratica.

4.1. L’ipotesi del riciclo neuronale

La scrittura è nata cinquemila anni fa presso i babilonesi e l’al-


fabeto fonetico è successivo di circa 1.200 anni. Come osserva
Dehaene (2009: 4-5), «il nostro genoma non ha avuto il tempo di
modificarsi per sviluppare circuiti cerebrali deputati alla lettura:
[…] Semplicemente è mancato il tempo perché l’evoluzione con-
cepisse dei circuiti specializzati per la lettura». Sulla base di que-
sta osservazione è stato sviluppato il modello definito riciclaggio
neuronale (Dehaene, Cohen 2007; Dehaene 2005; 2009). In base
ad esso il cervello di fronte a nuove sfide trasmesse cultural-
mente, in mancanza di circuiti specifici geneticamente determi-
nati, utilizza circuiti preesistenti adattandoli alle nuove esigenze
e riconvertendoli ad un nuovo uso.
Il modello del riciclaggio neuronale è particolarmente inte-
ressante in quanto superando la tradizionale dicotomia tra natura
e cultura, dimostra come lo sviluppo filogenetico imponga dei
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 103

vincoli biologici che favoriscono determinati sviluppi culturali e


che questi ultimi, a loro volta, richiedono che il cervello, attra-
verso la plasticità neuronale, modifichi se stesso sulla base delle
nuove esperienze culturali con le quali deve confrontarsi. L’in-
venzione della scrittura e della lettura ne sono un esempio evi-
dente. La scrittura si è sviluppata in un determinato modo perché
tale era consentito dai vincoli biologici e il modello universale
della lettura che ne è derivato ha cambiato per sempre la struttura
del nostro cervello. La teoria del riciclaggio neuronale si basa su
tre assunti principali come osservano Dehaene e Cohen:
a) Human brain organization is subject to strong anatomical
and connectional constraints inherited from evolution. Orga-
nized neural maps are present early on infancy and bias sub-
sequent learning;
b) cultural acquisition (e.g. reading) must find their “neuronal
niche”, a set of circuits that are sufficiently close to the re-
quired function and sufficiently plastic as to reorient a signif-
icant fraction of their neural resources to this novel use;
c) as cortical territories dedicated to evolutionarily older func-
tions are invaded by novel cultural objects, their prior organ-
ization is never entirely erased. Thus, prior neural constraints
exert a powerful influence on cultural acquisition and adult
organization (2007: 384).
Se dunque l’invenzione culturale della scrittura e della lettura ha
potuto giovarsi della plasticità cerebrale e del riciclaggio neuro-
nale, è anche vero che i vincoli biologici consentiti dall’evolu-
zione del nostro cervello hanno reso possibili determinati svi-
luppi della scrittura: «non è il cervello che è evoluto per la scrit-
tura, bensì è la scrittura a essersi adattata al nostro cervello» (De-
haene 2009: 197). Ne consegue che la teoria del riciclaggio neu-
ronale confuta l’idea del relativismo culturale in base al quale «le
capacità di apprendimento dell’uomo sono così grandi che le va-
riazioni culturali sono potenzialmente limitate» (Dehaene 2009:
202). Inoltre, l’ipotesi del riciclaggio neuronale si oppone al con-
cetto neo-comportamentista del cervello come tabula rasa, in cui
le scoperte culturali, tra cui la scrittura e la lettura si apprende-
rebbero attraverso stimoli esterni reiterati in modo da formare
104 Parole nella mente, parole per parlare

abitudini mentali. Il cervello è da subito in grado di apprendere


grazie alla sua plasticità e alla sua capacità di fare cose nuove
convertendo circuiti preesistenti a nuove funzioni. Un esempio
di ciò è dato dalla regione occipito-temporale sinistra. Questa re-
gione, nel corso dei millenni dello sviluppo filogenetico, si è spe-
cializzata nel riconoscimento invariante degli oggetti. È dunque
un’area importante del complesso sistema visivo. Tale area rap-
presentava dunque uno “spazio ideale” per il cervello per adat-
tarsi all’invenzione culturale della scrittura e della lettura. Os-
serva Dehaene:

Nel corso dell’apprendimento la lettura approda semplicemente nel


luogo della corteccia in cui si trovano i neuroni meglio adattati a questo
compito. In tutti gli esseri umani l’intersezione dei gradienti di prefe-
renza innati fa sì che sia sempre la stessa regione della corteccia a ri-
spondere all’appello: la corteccia occipitale sinistra (2009: 193).

Ciò spiega, inoltre, come in ogni cultura e in ogni lingua sia sem-
pre la medesima area ad essere interessata nel riconoscimento
delle parole. È possibile dunque far riferimento ad un sistema
universale di lettura (Bolger et al. 2005). Tale sistema coinvolge
praticamente tutte le aree dell’encefalo, dalle aree della perce-
zione visiva e le aree associative della corteccia occipitale, l’area
37 di Brodmann, le aree parietali e temporali deputate alle di-
verse dimensioni del linguaggio e infine le aree prefrontali dove
ha sede la memoria di lavoro. Nel tempo il cervello ha creato tra
queste aree collegamenti necessari alla lettura, nuove vie nervose
che consentono la trasmissione di dati in tempi rapidissimi. Le
aree deputate alla lettura sono le medesime in tutte le culture del
mondo. Tuttavia, il cervello ha anche adattato alcuni circuiti in
funzione di specifiche caratteristiche delle lingue.
Osserva Wolf:

a livello neuronale chi impara a leggere il cinese utilizza un particolare


gruppo di collegamenti neuronali che in modi significativi differisce da
quelli impiegati da chi legge l’inglese. Quando il lettore del cinese fa i
primi tentativi di leggere l’inglese, dapprima il suo cervello prova ad
usare le vie nervose su ciò si basa la lettura del cinese. La letteratura
del cinese ha completamente plasmato il suo cervello (2007: 11).
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 105

4.2. Il cervello che legge

Il cervello ha dunque imparato a leggere utilizzando dei circuiti


preesistenti e destinati ad altre funzioni creando nuovi collega-
menti tra essi. In particolare, ha adattato le aree cerebrali visive,
collegandole ad altre aree di diverse zone dell’encefalo in un per-
corso articolato e complesso funzionale alle tante fasi che in ri-
conoscimento di una parola richiede, partendo dal riconosci-
mento dei grafemi per proseguire in percorsi a volte paralleli
all’elaborazione morfologica e sintattica, alla conversione dei
grafemi in fonemi e all’attribuzione di un significato alla parola.
Il cervello ha sfruttato antichi circuiti neurali delle aree occi-
pitali deputati alla visione e al riconoscimento degli oggetti e li
ha adattati al riconoscimento delle parole, creando collegamenti
tra queste aree, con le aree linguistiche e con le aree corticali
della regione prefrontale dove hanno sede i processi cognitivi
della memoria di lavoro. Un percorso molto articolato che coin-
volge molte aree cerebrali distribuite in diverse regioni dell’en-
cefalo, ma talmente funzionale e rapido da dare l’impressione
che la lettura sia un’attività di riconoscimento immediato e scor-
revole delle parole e non il frutto di complesse operazioni. Peral-
tro, il sistema alfabetico sviluppato nell’antica Grecia 2000 anni
dopo le prime forme di scrittura è il frutto di un lungo cammino
e, come osserva Wolf:

consiste nella profonda intuizione che ogni parola della lingua parlata
è fatta di un numero finito di singoli suoni, rappresentabili con un nu-
mero finito di singole lettere. Tale principio non potrebbe sembrare più
innocuo, ma nel tempo si è rivelato assolutamente rivoluzionario, per-
ché ha permesso di mettere per iscritto qualunque parola in qualunque
lingua (2007: 24).

Tuttavia, prima di giungere al sistema alfabetico, il cervello ha


via via costruito collegamenti tra il sistema retinico, le aree della
visione e quelle deputate al linguaggio e al sistema concettuale
per far fronte alle nuove richieste culturali e alle diverse rappre-
sentazioni simboliche provenienti dai sistemi di scrittura pitto-
grafici e poi logografici, dal sistema cuneiforme dei sumeri e poi
106 Parole nella mente, parole per parlare

della lingua accadica nell’area mesopotamica, dai geroglifici


egizi e dal sistema di scrittura ugaritico, diffusosi in Siria, basato
su trenta segni. Il sistema alfabetico, tuttavia, rappresenta la
forma di scrittura più economica ed efficiente. Un repertorio tra
le venti e le trenta lettere a fronte di centinaia di caratteri cunei-
formi e migliaia di geroglifici.
La diffusione del sistema alfabetico contribuì probabilmente
allo sviluppo della grande cultura della Grecia classica. I fenici
introdussero le vocali nel loro sistema alfabetico e i greci perfe-
zionarono tale sistema rendendolo uno strumento straordinaria-
mente efficace ed economico. Anche se non mancarono coloro
che, come Socrate, si scagliarono contro la scrittura in difesa
della maieutica basata sul dialogo. Platone affronta l’argomento
sulla convenienza o meno della scrittura nell’ultima parte del Fe-
dro. Nel dialogo con Fedro, Socrate riporta una conversazione
avvenuta a Neucrati in Egitto tra il dio Teuth, inventore del cal-
colo, della geometria, dell’astronomia e soprattutto della scrittura
e il re Thamus che viveva a Tebe. Teuth si era recato dal re per
presentargli le sue invenzioni da diffondere presso il popolo egi-
ziano. Presentando la scrittura disse: «Questa conoscenza, o re,
renderà gli egizi più sapienti e più capaci di ricordare: è stata in-
fatti trovata come medicina per la memoria e per la sapienza».
Ma Thamus rispose:

Questa […] produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l’avranno


imparata, perché non fa esercitare la memoria. Infatti, facendo affida-
mento sulla scrittura, essi trarranno i ricordi dall’esterno, da segni estra-
nei, e non dall’interno, da se stessi. […] Divenuti grazie a te ascoltatori
di molte cose senza bisogno di insegnamento, crederanno di essere
molto dotti, mentre saranno per lo più ignoranti, e difficili da trattare,
essendo diventati saccenti invece che sapienti (Platone, Fedro: 123).
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 107

Thamus si sbagliava, soprattutto per quanto riguarda i processi


mnestici che invece dalla scrittura hanno tratto notevoli vantaggi.
Tuttavia, nel dialogo di Platone, scritto presumibilmente nel 340
a.C., sembra di cogliere le stesse critiche che nell’attuale mondo
digitale alcuni contemporanei rivolgono all’uso di internet e
delle grandi banche dati consultabili in rete. Fortunatamente Pla-
tone e Aristotele, grazie alla scrittura, hanno potuto trasmettere
alle future generazioni il loro immenso patrimonio intellettuale.

4.3. Il percorso della lettura

Il percorso della lettura inizia dall’organo periferico della vi-


sione, l’occhio. Tuttavia, solo una piccola porzione di esso, una
zona della retina denominata fovea, possiede le cellule fotoricet-
trici in grado di cogliere i particolari delle parole. Ciò comporta
due conseguenze. In primo luogo, essendo questa area della fo-
vea molto ristretta (occupa il 15% del campo visivo) la visione
del testo risulta limitata da una finestra percettiva molto piccola
e di conseguenza siamo obbligati a rapidi spostamenti degli occhi
per poter procedere nella lettura. Tali spostamenti, definiti movi-
menti saccadici, sono dell’ordine di circa 250 millesimi di se-
condo.
Dunque, lo sguardo si sposta sul testo ogni 2-3 decimi di se-
condo circa. Il processo di lettura, dunque, si basa su brevi fissa-
zioni in cui vengono estratte informazioni e movimenti saccadici
che spostano il centro della visione su una nuova porzione di te-
sto. Le informazioni vengono colte attraverso fissazioni succes-
sive, «come se ci si servisse di una serie di istantanee sovrapposte
l’una all’altra» (Crowder 1986: 14). Durante una fissazione
siamo in grado di cogliere in media 1,2 parole alla volta (Just,
Carpenter 1980). Crowder (1986) indica, infatti, che in una fis-
sazione si possono cogliere circa otto lettere, dopodiché la curva
di chiarezza decresce rapidamente fino a non consentire più di
stabilire il significato di parole distribuite nella visione perife-
rica. Secondo Dehaene (2009: 16) la lettura avanza di circa 7-9
lettere ogni saccade.
108 Parole nella mente, parole per parlare

È interessante notare che lo span di percezione visiva distri-


buisce le lettere in modo asimmetrico rispetto al centro della vi-
sione. Ciò dipende dalla direzione della lettura in una certa lin-
gua. Le lingue che leggono da sinistra verso destra, hanno una
maggiore percezione di lettere a destra (secondo Dehaene il dop-
pio di quelle distribuite a sinistra) mentre invece il fenomeno è
esattamente opposto per lingue come l’arabo o l’ebraico che leg-
gono in direzione contraria da destra verso sinistra. Dunque lo
span di percezione visiva si adatta alle modalità di lettura di una
determinata lingua (Dehaene 2009: 18-19). È importante notare
che il sistema di riconoscimento delle lettere è in grado di adat-
tare la percezione a delle invarianze che riguardano sia la dimen-
sione che la forma dei caratteri. Tali forme di compensazione
fanno sì che dimensione e forma non incidano sulla durata delle
fissazioni e sul numero delle saccadi che sono regolate solo in
funzione del numero delle lettere.
Molto rapidamente, dunque, frammenti che impressionano la
fovea, attraverso una serie di processi gerarchici pervengono a
formare lettere che costituiscono grafemi. Il livello successivo
procede per due vie probabilmente parallele. Da un lato avviene
la conversione grafema-fonema, e dunque si accede ad una via
definita fonologica, mentre contemporaneamente si attiva la via
lessicale per attribuire un significato.
La durata delle fissazioni varia a seconda del tempo che il let-
tore impiega nel codificare le diverse parole: «The eye-mind as-
sumption is that the eye remains fixated on a word as long as the
word is being processed» (Just, Carpenter 1980: 330). Se la di-
versa durata delle fissazioni è in relazione al tempo necessario
all’attivazione dei processi di riconoscimento e codifica, ciò si-
gnifica che questi processi vengono attivati immediatamente
ogniqualvolta il lettore incontra una parola:
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 109

A reader tries to interpret each content word of a text as it is encoun-


tered […] Interpretation refers to processing at several levels such as
encoding the word, choosing one meaning of it, assigning it to its ref-
erent, and determining its status in the sentence and in the discourse.
The immediacy assumption posit that interpretations at all level of pro-
cessing are not deferred, they occur as soon as possible (Just, Carpenter
1980: 330).

È importante tener presente che quando si legge in una lingua


straniera i tempi di lettura tendono ad allungarsi, non a causa
dell’aumento del numero delle fissazioni, ma della loro durata
(Oller 1972). Ciò significa che gli allievi leggono più lentamente
i testi in lingua straniera perché l’accesso alle rappresentazioni
del lessico mentale è più complesso ed essi impiegano maggiore
tempo nei processi di comprensione del significato della parola
scritta. Quando una parola è nota o è frequente la via lessicale
può essere sufficiente al recupero del suo significato, mentre di
fronte alla parola nuova, come accade spesso nello studio di una
lingua straniera, la via fonologica diviene fondamentale.
Tuttavia, è probabile che la conversione grafema/fonema av-
venga sempre durante il processo di lettura. È possibile che af-
frontando la lettura in lingua straniera il lettore si affidi prevalen-
temente alla via fonologica ai livelli più bassi di fluency, per poi
accedere sempre più direttamente al lessico mentale attraverso la
via lessicale man mano che la sua competenza aumenta. Nel les-
sico mentale permangono le informazioni ortografiche e fonolo-
giche della parola, la sua forma e la sua rappresentazione acu-
stica, ma esso contiene anche la biblioteca mentale, l’ampio re-
pertorio di lemmi che si associano a diverse informazioni seman-
tiche. Un lettore normale legge circa 250-300 parole al minuto e
confronta queste parole con un repertorio di circa 40.000, 50.000
parole conservate nel suo lessico mentale. Se si considera che per
un lettore esperto è sufficiente meno di mezzo secondo per leg-
gere qualsiasi parola si comprende la meraviglia del sistema di
lettura.
L’area 37 invia informazioni sulla forma della parola attorno
ai 150 millisecondi dalla percezione e già entro i 200 millesimi
di secondo avviene la conversione grafema/fonema interessando
110 Parole nella mente, parole per parlare

già aree frontali, parietali e temporali della corteccia. È interes-


sante notare, come la conversione grafema/fonema vari legger-
mente in funzione del tipo di rapporto ortografico/fonetico di una
determinata lingua. In lingue trasparenti, come l’italiano o il te-
desco, in cui il rapporto grafema/fonema è prevalentemente co-
stante, le informazioni accedono più rapidamente alle aree tem-
porali per la successiva elaborazione, mentre le lingue in cui tale
rapporto è opaco, come l’inglese o il francese, l’elaborazione fo-
netica richiede un tempo leggermente maggiore. Il cinese e il
giapponese kanji invece richiedono una permanenza maggiore
dell’informazione nell’area occipitale sinistra e coinvolge anche
aree dell’emisfero destro. Tuttavia, tali variazioni rientrano in un
tempo non superiore ai 200 millesimi di secondo. Verso i 200
millesimi di secondo, infatti, inizia l’elaborazione semantica
della parola con l’attivazione di aree temporali e parietali. Tra i
200 e i 500 millesimi di secondo si sviluppano contestualmente
le informazioni morfologiche e sintattiche con l’attivazione di
aree frontali e temporali come l’area di Broca:

Le informazioni sintattiche sono intrinsecamente legate sia a quelle se-


mantiche sia a quelle morfologiche, e l’attitudine dei corrispondenti si-
stemi a lavorare di concerto aumenta l’efficienza nell’intervallo tra i
200 e i 500 millesimi di secondo (Wolf 2007: 169).

A questo punto la parola è pronta per essere elaborata da com-


plesse reti semantiche che la pongono in rapporto con il lessico
mentale e ne determinano il significato contestuale necessario
alla comprensione del testo. Esse pongono il lemma in rapporto
con il patrimonio semantico in possesso del lettore e ne determi-
nano inferenze, significati traslati e metaforici. Queste complesse
operazioni di elaborazione del significato e di integrazione delle
conoscenze implica l’attivazione dei più alti processi cognitivi e
spesso coinvolge aree appartenenti ad entrambi gli emisferi
nell’elaborazione di concetti astratti. Questi brevi cenni al si-
stema della lettura non possono che rappresentare una descri-
zione limitata di processi cognitivi estremamente complessi e ar-
ticolati su cui esiste ormai un’ampia letteratura. D’altronde,
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 111

nell’economia del presente saggio non è possibile affrontare in


modo più approfondito un processo tanto complesso come quello
della lettura. Un percorso che va dal riconoscimento delle lettere
e delle parole attraverso lo sviluppo ortografico, fonologico, sin-
tattico per giungere alle elaborazioni lessicali, semantiche e prag-
matiche che coinvolgono importanti aree come la memoria di la-
voro e molti altri processi mnestici come la memoria a lungo ter-
mine. Tale percorso costituisce un ambito di ricerca straordinario
che negli ultimi decenni ha dato vita ad una vera e propria scienza
della lettura che continuerà ad indagare e fornire sorprendenti
teorie su un fenomeno così straordinario che ancora oggi na-
sconde alcuni misteri, malgrado le nuove tecniche di neuroima-
ging abbiano contribuito in modo determinante a far luce su
molti aspetti.

4.4. Leggere in L2

Le differenze nei processi di lettura tra L1 e L2 sono state oggetto


di molti recenti studi (Genesee 2006; Schwartz, Kroll 2006; Sey-
mour 2006; Grabe 2009). Come abbiamo notato, infatti, se da un
lato è possibile affermare l’esistenza di un sistema di lettura uni-
versale distribuito nelle medesime aree dell’encefalo, è anche
possibile osservare alcune differenze nei processi di lettura in di-
verse lingue. Tali differenze sono riscontrabili a diversi livelli del
processo di lettura e di comprensione del testo.
Una prima distinzione riguarda, ad esempio, il rapporto tra il
riconoscimento visivo della parola e il sistema di scrittura a cui
essa appartiene; a seconda che esso sia morfo-fonologico, come
l’inglese, sillabico puro come il kana giapponese o morfo-silla-
bico come la scrittura cinese, nella quale i caratteri veicolano sia
elementi fonologici che di significato. Peraltro, anche il sistema
alfabetico prevede delle differenze. Ad esempio, l’ebraico e
l’arabo sono sistemi di scrittura consonantici, mentre altre lin-
gue, come ad esempio l’inglese o l’italiano rappresentano orto-
graficamente le vocali (Grabe 2009). Spesso nell’ortografia
dell’ebraico le vocali sono sostituite da segni diacritici.
112 Parole nella mente, parole per parlare

Anche il sistema morfologico differisce molto a seconda del


tipo di lingua. Ad esempio, le lingue cosiddette isolanti o anali-
tiche come il cinese, prevedono che una parola sia formata da un
solo morfema e dunque non sia scomponibile in unità più pic-
cole. In questo caso, dunque, è fondamentale la posizione che la
parola assume all’interno della frase. In vietnamita, ad esempio,
la variazione di numero da singolare a plurale si comunica attra-
verso una parola invariabile. Ad esempio, “io” si dice tôi mentre
“noi” si dice chúng tôi (cfr. Beccaria 1994). Lingue agglutinanti,
come ad esempio il turco, il giapponese o il finlandese, espri-
mono le categorie grammaticali attraverso un sistema di affissa-
zione che lega più morfemi ad una radice invariabile. La struttura
della parola, in questo caso, prevede una catena di morfemi i
quali svolgono un’unica funzione. Le lingue flessive o fusive
hanno, invece, una struttura morfologica complessa con morfemi
che possono contenere più di una informazione grammaticale. In
questa categoria rientra l’italiano e molte lingue indoeuropee. Ad
esempio, nella parola gatt-o il morfema “o” veicola due informa-
zioni contemporaneamente riguardanti il genere e il numero.
Queste lingue spesso modificano una vocale della parola (apofo-
nia) e dunque operano una flessione interna o alternanza vocalica
per indicare una diversa relazione grammaticale, come ad esem-
pio in inglese man/men woman/women o in italiano vedo/vidi,
ecc.
Nel caso di lingue polisintetiche invece la complessità deriva
dal numero di morfemi come nel caso delle lingue agglutinanti,
ma mentre queste ultime possiedono solo una radice, nelle lingue
polisintetiche le radici possono essere diverse, e dunque una pa-
rola può rappresentare un’intera frase. Vi sono dunque molte dif-
ferenze a livello dei sistemi ortografici e dei diversi rapporti tra
le componenti fonologiche e morfologiche della lingua. Questo
implica sul piano pedagogico la necessità di prestare attenzione
alle diverse tipologie di difficoltà in ordine ai diversi sistemi or-
tografici.
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 113

È affascinante tuttavia notare che sul piano neuroanatomico


qualsiasi tipo di lingua è analizzata sempre dalle stesse aree ce-
rebrali. Come osserva Dehaene:

È stupefacente constatare che a parecchie migliaia di chilometri di di-


stanza, a dispetto delle differenze di metodologia, di educazione e di
sistema di scrittura, le coordinate della regione attivata dal cinese pos-
sono situarsi solo a qualche millimetro di distanza da quelle osservate
in un soggetto francofono che legge parole stampate in caratteri latini
(2009: 112).

Vi possono essere, dunque, diverse intensità di attivazione delle


diverse aree deputate alla lettura e vie nervose coinvolte in modo
maggiore o minore a seconda del sistema ortografico, ma tali di-
versità si basano comunque sullo stesso sistema neurofisiologico
di lettura universale. Nel riconoscimento della parola, scritture
alfabetiche attiveranno maggiormente regioni temporali e il giro
angolare dove si rappresentano i suoni del linguaggio, altre scrit-
ture attiveranno maggiormente aree temporali dove si elabora il
significato. Anche all’interno della stessa lingua, come abbiamo
avuto modo di osservare, si può realizzare un grado diverso di
attivazione della via fonologica e della via lessicale. Le parole
irregolari o sconosciute, come nel caso di molte parole in L2,
vengono prima elaborate dal sistema uditivo, e dunque vengono
prima pronunciate in forma endofasica e successivamente viene
loro attribuito un significato. Nel caso invece di parole già note
o regolari si attiva direttamente o contemporaneamente la via fo-
nologica e l’accesso lessicale.

4.5. La profondità ortografica

Abbiamo osservato che i sistemi alfabetici regolari prevedono


una corrispondenza grafema/fonema e che la conversione gra-
fema/fonema è una delle tappe essenziali del processo di lettura.
Tuttavia, tale rapporto non è univoco e varia a seconda delle ca-
114 Parole nella mente, parole per parlare

ratteristiche della lingua. La corrispondenza, infatti, varia in or-


dine al grado di trasparenza o opacità del sistema ortografico. Nel
caso di una corrispondenza biunivoca grafema/fonema il rap-
porto è trasparente, quanto maggiormente il sistema ortografico
non corrisponde a tale biunivocità, tanto più assume le caratteri-
stiche di un sistema ortografico opaco.
Il sistema inglese è un esempio di ortografia opaca, mentre in
italiano il rapporto tra lettera e suono è molto più regolare e biu-
nivoco e dunque esso è un esempio di sistema ortografico traspa-
rente. Grabe 2009, riporta alcuni esempi che dimostrano come la
lingua inglese sia opaca non solo nel rapporto grafema/fonema,
ma anche nel rapporto inverso. Se osserviamo le forme ortogra-
fiche ff, f, ph sappiamo che si pronunciano nello stesso modo /f/.
Tuttavia, se ascoltiamo questi suoni non siamo in grado di defi-
nirne l’ortografia finché non conosciamo la parola in cui questo
suono è rappresentato. Allo stesso modo il suono /i/ può essere
rappresentato in diverse forme grafiche come recent, seal, peel,
ecc. (cfr. Grabe 2009: 116). Spagnolo e italiano, come tedesco e
russo sono lingue prevalentemente trasparenti, mentre l’inglese,
e in forma minore il francese, sono considerate un tipico esempio
di lingue opache. È chiaro che il grado di opacità della lingua
rappresenta un primo ostacolo per colui che si accinge ad appren-
derla e richiede, dal punto di vista dell’educazione linguistica,
una didattica adeguata a preparare l’allievo a sviluppare l’abilità
di lettura. Per coloro che affrontano lo studio di una lingua opaca,
infatti, sarà opportuno sviluppare una certa meta-competenza fo-
nologica che sarà meno necessaria in coloro che si impegnano
nello studio e nella lettura di una lingua trasparente. Non che in
quest’ultimo caso tale competenza non serva, anzi, ma semplice-
mente è più semplice da sviluppare in conseguenza alla maggior
trasparenza del rapporto suono/lettera della lingua.
Un’interessante conseguenza dal punto di vista psicolingui-
stico e glottodidattico riguarda il maggior impatto della fre-
quenza della parola nell’accesso lessicale. Coloro che appren-
dono una lingua prevalentemente trasparente non incontrano par-
ticolari problemi nel pronunciare parole che non conoscono o di
scarsa frequenza, mentre nelle lingue opache ciò richiede molto
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 115

più tempo con un maggior carico del ciclo fonologico e del cir-
cuito articolatorio della memoria di lavoro. Come osserva Grabe:

Learners from deeper orthographies because they do not have many en-
counters with less frequent word, will not know how to pronounce them
as accurately and their word recognition will be slower (2009: 119).

Un’altra differenza riguarda il ruolo della memoria visiva, ad


esempio in lingue non alfabetiche come il cinese o il giapponese.
In queste lingue, infatti, come in lingue particolarmente opache,
l’analisi visiva dell’input ortografico è molto più importante che
nelle lingue alfabetiche, in particolare quelle trasparenti. In que-
sto caso, oltre al ciclo fonologico, diviene importante il ruolo del
taccuino visuo-spaziale della memoria di lavoro.
Si nota dunque che sulla base di un comune sistema univer-
sale di lettura, le caratteristiche specifiche delle lingue impon-
gono una certa rilevanza o meno a determinati processi. Anche
le differenze interlinguistiche a livello fonetico, ortografico,
morfosintattico e semantico-lessicale hanno un ruolo importante,
soprattutto ai primi livelli di lettura. È evidente, infatti, che anche
la distanza linguistica tra la lingua madre e la L2 rappresenta un
importante fattore nello sviluppo della lettura in L2. L’educa-
zione linguistica, dunque, deve tener conto da un lato delle carat-
teristiche universali dei processi di lettura e dall’altro delle carat-
teristiche intrinseche ad una certa lingua.
Grabe (2009) sintetizza in 5 punti le caratteristiche universali
e le abilità specifiche nei processi di lettura 4:
a) L’architettura del sistema cognitivo: ogni lettore integra pro-
cessi di riconoscimento, processi della memoria di lavoro,
della memoria a lungo termine e abilità inferenziali sulla base
della coerenza interpretativa e sui principi cognitivi generali
di apprendimento;
b) relazione tra scritto e parlato: ogni tipo di ortografia attiva i
processi della lingua parlata. Malgrado vari il livello di tale

4
I cinque punti sono stati liberamente tradotti e adattati da Grabe 2009: 124.
116 Parole nella mente, parole per parlare

rapporto la codifica fonologica è comune a tutte le lingue e


dunque è universale;
c) il transfer nella lettura: La lettura è facilitata quando il transfer
è positivo e i tratti della L1 sono trasferibili in quelli della L2;
d) consapevolezza metalinguistica: Leggere in qualsiasi lingua
richiede che il lettore diventi consapevole dei molti livelli di
conoscenza linguistica e che sappia ricorrere ad essi per svi-
luppare l’abilità di lettura. Tali livelli di consapevolezza me-
talinguistica utili alla lettura includono la consapevolezza fo-
nologica, ortografica, morfologica, sintattica e la competenza
discorsiva;
e) tratti comuni nell’interpretazione del testo: Il significato di un
testo si costruisce in ogni lingua su un modello di compren-
sione fortemente relazionato alle conoscenze pregresse del
lettore, al suo atteggiamento e al suo grado culturale e sociale.

4.6. Modelli di lettura e processi di inferenza

Nei paragrafi precedenti si sono descritti alcuni aspetti riguar-


danti i processi di lettura, relativi in particolare al riconoscimento
della parola e al complesso percorso che essa compie nel cervello
per giungere all’elaborazione semantico-lessicale. La psicolin-
guistica ha elaborato molti modelli per rappresentare tali pro-
cessi. Modelli che riguardano i processi di riconoscimento delle
parole, modelli incentrati sul ruolo della memoria di lavoro e la
lettura e modelli sui processi di inferenza.
L’abilità di lettura e comprensione di un testo si basa su un
certo numero di processi coordinati a vari livelli, che procedono
dal riconoscimento della parola alla codifica e al suo accesso les-
sicale, fino all’attribuzione di un valore semantico in relazione al
significato contestuale e alla conoscenze previamente acquisite
dal lettore; queste conoscenze, organizzate in schemi o script,
consentono a loro volta di attivare meccanismi di predizione e
inferenza su quanto verrà letto, agendo in tal modo sui processi
di lettura. Alcuni di questi modelli hanno dato maggior enfasi
alle informazioni provenienti, per così dire, dal basso, ossia da
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 117

processi che stanno alla base della lettura. Secondo questi mo-
delli (Gough 1972; Massaro 1975) la maggior parte dell’infor-
mazione scorre in modo passivo durante la codifica dell’input.
Siccome tale flusso avviene ad una velocità estremamente ele-
vata, le informazioni contenute nella memoria a lungo termine
intervengono in modo molto limitato sulle modalità dell’intero
processo di lettura. In sostanza, la lettura avviene attraverso una
serie di stadi, che si susseguono secondo un ordine fisso dal li-
vello sensoriale alla comprensione. Al primo stadio le informa-
zioni colte nel periodo di fissazione restano disponibili nella me-
moria visiva (iconica), mentre il lettore procede ad una fissazione
successiva. L’input immagazzinato viene in seguito analizzato
nella memoria a breve termine, dove il sistema di comprensione,
in base a regole morfosintattiche e semantiche, attribuisce signi-
ficato all’enunciato. Come si può notare il ruolo dell’inferenza è
praticamente assente. I processi bottom-up presuppongono in-
fatti l’analisi di ogni lettera e la conseguente creazione di unità
fonemiche corrispondenti ad unità lessicali rappresentate nel les-
sico mentale. In questa prospettiva la parola viene riconosciuta
in modo isolato e le informazioni contestuali non concorrono a
definirne il significato.
Diversamente, nei cosiddetti modelli top-down la caratteri-
stica fondamentale (Goodman 1970; Smith 1971) risiede nel
controllo ad ogni livello del flusso dell’informazione da parte
delle facoltà mentali superiori del sistema cognitivo. In questo
tipo di modelli le informazioni contestuali e l’enciclopedia svol-
gono un ruolo essenziale, in quanto consentono al lettore di for-
mulare delle ipotesi su quanto sta per leggere. Gli schemi e script
presenti nella memoria a lungo termine consentono di creare con-
tinuamente ipotesi su quanto si sta per leggere, contribuendo alla
costruzione di un significato soggettivo e personale. Goodman
(1970) definisce la lettura come uno psychological guessing
game, un gioco psicologico di scoperta tra pensiero e linguaggio,
in cui il lettore è costantemente impegnato in un selective, tenta-
tive anticipatory process (cfr. Rayner, Pollastek 1989: 462). Nei
modelli top-down oltre alle competenze linguistiche (sintattiche
e semantiche), svolgono un ruolo fondamentale le conoscenze
118 Parole nella mente, parole per parlare

già acquisite sul mondo e l’esperienza personale. L’abilità di let-


tura e di comprensione risiede, infatti, nell’individuare le infor-
mazioni contestuali sufficienti a creare ipotesi corrette sul conte-
nuto di quanto si sta leggendo.
I modelli definiti interattivi, botton-up/top-down, defini-
scono, invece, la lettura come un processo distribuito su diversi
livelli che vanno dal riconoscimento dei grafemi fino agli schemi
che organizzano la conoscenza. In questa tipologia di modelli il
flusso di informazione si sviluppa in entrambi i sensi. Stanovich
(1980), ad esempio, propone un modello definito interactive-
compensatory in cui i vari livelli interagiscono compensando re-
ciprocamente le eventuali carenze. Sulla base di questo modello,
se un lettore ha difficoltà nel riconoscimento automatico di una
parola può ricorrere ai processi di inferenza e utilizzare le indi-
cazioni contestuali. Va osservato, tuttavia, che un eccessivo ri-
corso alle informazioni contestuali nel caso della lettura in L2
non significa necessariamente una maggiore padronanza
nell’abilità di lettura, ma piuttosto potrebbe indicare una mag-
giore difficoltà nel riconoscimento delle parole. Osserva
Hulstijn:

fluent word recognition during normal reading and listening, although


it is an interactive process including top-down spreading of activation,
takes places exclusively at sublexical levels, i.e., it is unaffected by the
meaning of the word itself or of words in the immediate context. Only
less skilled readers use contextual information in word recognition.
When readers become more skilled their reliance on context decrease
(2001: 265).

4.6.1. Il modello interattivo di Just e Carpenter

I modelli interattivi prevedono dunque l’integrazione dei pro-


cessi top-down e bottom-up. Il processo di lettura e compren-
sione è il risultato di un’interazione bidirezionale, che prevede il
coinvolgimento sia delle facoltà cognitive di ordine superiore sia
del processo di codifica dell’input sensoriale. La parola viene
percepita e, una volta codificata a livello fonetico, si attiva il pro-
cesso inferenziale, che produce la comprensione sulla base delle
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 119

informazioni contestuali (cfr. Hudson 1998). Se la fase di codi-


fica avviene correttamente, la rappresentazione lessicale può es-
sere elaborata dai processi cognitivi superiori, che mettono in re-
lazione il significato del item con gli altri significati depositati
nella memoria semantica. Questo processo associativo, a sua
volta, favorisce la codifica dell’item successivo in ordine ai prin-
cipi di coerenza e coesione dell’enunciato.
Riportiamo nella figura seguente un esempio di modello inte-
grato dei processi di lettura elaborato da Just e Carpenter (1980).
Gli stadi del processo di lettura sono riportati nella colonna di
sinistra in base al loro ordine normale di successione. La memo-
ria a lungo termine contiene sia le informazioni di tipo dichiara-
tivo (enciclopedia, schemi e script) sia le conoscenze procedurali
necessarie per realizzare il processo di lettura. La memoria di la-
voro, rappresentata al centro dello schema, svolge un ruolo fon-
damentale, elaborando la rappresentazione fonologica dell’input
ed utilizzando le informazioni depositate nella memoria a lungo
termine. Il funzionamento della memoria di lavoro è strettamente
correlato alle differenze individuali nel processo di lettura e com-
prensione, perché lo span, ossia la capacità di contenere un certo
numero di informazioni, è limitato e dipende dalla velocità di ar-
ticolazione subvocalica. Un lettore abile è in grado, pertanto, di
integrare più elementi nella memoria di lavoro di quanto possa
fare un cattivo lettore.
L’input in entrata viene codificato inizialmente in base ai suoi
tratti fisici, ossia la sua forma, quindi viene attivata la rappresen-
tazione corrispondente nel lessico mentale che viene trasferita
nella memoria di lavoro. La rappresentazione fonologica attiva il
significato della parola che viene messo a confronto con le reti
semantiche in cui sono organizzati i concetti nella memoria a
lungo termine. Nel caso si incontri una parola sconosciuta, come
può accadere quando si legge un testo in L2, il lettore deve co-
struire una nuova rappresentazione fonologica (e grafologica) da
associare alle caratteristiche sintattiche e semantiche del concetto
attivato sulla base dell’inferenza attraverso il contesto, creando
in tal modo un nuovo accesso lessicale. Questo processo richiede
120 Parole nella mente, parole per parlare

più tempo della normale fase di codifica e rappresentazione les-


sicale (come avviene ad esempio normalmente nella L1). Da un
punto di vista glottodidattico ciò implica la necessità di proporre
agli allievi testi la cui densità lessicale consenta l’attivazione sia
dei processi top-down sia di quelli bottom-up. Un testo troppo
complesso, in cui compaiono troppe parole sconosciute, impedi-
rebbe infatti di riconoscere le informazioni contestuali e cote-
stuali necessarie ad attivare i processi di inferenza del percorso
top-down. Conseguentemente, non potendosi attribuire nessun
significato alla parola, il processo bottom-up non potrebbe con-
durre alla creazione di una rappresentazione lessicale nella me-
moria di lavoro.
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 121

Figura 4.1. FONTE: Just, Carpenter 1980.


122 Parole nella mente, parole per parlare

I modelli top-down enfatizzano il ruolo dei processi cognitivi,


che generano il significato basandosi principalmente sulle infor-
mazioni contestuali. Tuttavia, le strategie di lettura sono corre-
late al livello di competenza linguistica degli allievi; mentre co-
loro che possiedono competenze avanzate tendono ad utilizzare
un percorso interattivo (avvicinandosi alle strategie di lettura in
lingua madre), gli allievi di livello meno avanzato sono poco sen-
sibili agli apporti del contesto e conseguentemente tendono ad
utilizzare maggiormente strategie di tipo bottom-up (Cziko
1980).

4.6.2. Il pandemonio

Nella seconda metà del secolo scorso sono stati elaborati modelli
cognitivi che si rifanno ai principi del connessionismo. Negli
anni Cinquanta Selfridge aveva elaborato un modello basato su
sistemi di elaborazione in parallelo. Il modello prese il nome di
Pandemonio perché la teoria di fondo prevedeva l’esistenza di
unità di detezione organizzate gerarchicamente in continuo con-
fronto tra di loro. Queste unità sono raccolte nel lessico mentale
e vengono rappresentate come migliaia di demoni in competi-
zione. Quando compare una parola tutti i demoni la analizzano,
ma il demone che corrisponde a quella parola entra in competi-
zione con tutti gli altri che man mano riducono la loro attiva-
zione. A questo punto l’informazione selezionata passa ad uno
stadio successivo di rappresentazione. Nel riconoscimento delle
parole, ad esempio, un demone ai livelli più bassi del processo di
riconoscimento potrebbe essere coinvolto solo dalla comparsa di
segni verticali. In questo caso esso entra in competizione paral-
lela con gli altri demoni ma una volta vinta la sfida passa l’infor-
mazione ad uno stadio successivo e superiore dove vi è un altro
parapiglia tra demoni, ma in cui prevale il demone responsabile,
ad esempio, della lettera “H”.
A questo punto tutti i demoni responsabili delle linee curve o
oblique non vengono attivati. Sulla base del modello Pandemo-
nio sono stati elaborati nell’ambito della psicologia cognitiva
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 123

vari modelli, grazie anche al supporto dell’informatica. Tali mo-


delli sono importanti perché si fondano sull’elaborazione in pa-
rallelo dell’informazione. La metafora del Pandemonio illustra
bene l’idea di un sistema nervoso basato su elaborazioni parallele
di raggruppamenti di neuroni e di reti neurali che vengono via
via attivati o inibiti (Dehaene 2009). Sul principio del Pandemo-
nio sono stati successivamente elaborati diversi modelli. Ad
esempio, McClelland e Rumelhart, nel 1981, hanno proposto un
modello a rete organizzato su tre livelli, come si può esservare
nella prossima figura: un livello neuronale che elabora i tratti
provenienti dalla fovea, un livello intermedio di reti neurali de-
putate a rilevare le lettere, e infine le unità neurali che operano a
livello del riconoscimento della parola.

Figura 4.2. FONTE: McClelland, Rumelhart 1981.

Ai vari livelli corrispondenti ai tratti, alle lettere e alle parole av-


viene una competizione tra i demoni che si sostengono o si eli-
minano in un continuo calcolo delle probabilità. Come si nota
alcuni elementi sono collegati da connessioni che terminano con
una freccia e dunque sono eccitatori, mentre altri terminano con
un pallino e corrispondono a connessioni inibitorie. Esistono
124 Parole nella mente, parole per parlare

inoltre connessioni che collegano i livelli inferiori con quelli su-


periori, ma anche di tipo discendente. Accanto alla parola cane
si attiveranno anche i demoni corrispondenti ad esempio a pane
e tane, ma la relazione tra la parola e i demoni che la sostengono
riuscirà ad imporsi sui significati non pertinenti. Questo sistema
di elaborazione parallela consente di disambiguare rapidamente
l’informazione ed ha fornito una base importante per successivi
modelli connessionisti sempre più complessi nel tentativo di ela-
borare sistemi di lettura vicini alle modalità di elaborazione del
sistema nervoso.

4.6.3. I processi di inferenza

Per comprendere un testo è necessario collegare nella mente se-


quenze successive di eventi al fine di ottenere una rappresenta-
zione coerente di quanto si sta leggendo (Mason et al. 2004). A
volte, tuttavia, gli eventi non sono correlati in modo esplicito e
dunque per poter comprendere il testo il lettore deve produrre e
integrare delle inferenze. Le recenti tecniche di neuroimaging
sono oggi in grado di fornirci importanti informazioni sulle aree
cerebrali coinvolte nei processi inferenziali. Vi sono due diverse
fasi che caratterizzano tale processo. In primo luogo, il lettore
deve creare l’inferenza e successivamente la deve integrare coe-
rentemente nel processo di comprensione del testo:

A successful integration of an inference will then result in a text repre-


sentation that involves both the specific propositions contained in the
text and those inferred propositions that were generated by the reader
to connect information in the text (Mason et al. 2004: 1).

Secondo studi condotti con fMRI le inferenze vengono create


nella corteccia dorso-laterale prefrontale e successivamente inte-
grate attraverso il coinvolgimento di aree dell’emisfero destro. È
interessante notare che prendendo in considerazione tre livelli di
relazioni causali tra due eventi, ad esempio due frasi molto cor-
relate, moderatamente correlate o molto distanti, si nota che, con-
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 125

trariamente a quanto si potrebbe supporre, il lettore ricorda mag-


giormente quelle moderatamente correlate. Ciò probabilmente
dipende dal fatto che egli crea maggiormente inferenze in pre-
senza di frasi moderatamente correlate e attiva entrambi gli emi-
sferi, mentre in caso di frasi poco correlate le inferenze incontre-
rebbero difficoltà di integrazione e un minor coinvolgimento
dell’emisfero destro. In presenza di eventi altamente correlati i
processi inferenziali non sono necessari. In questo caso si nota
una maggiore velocità di lettura, ma una minore capacità di ri-
cordo (Mason et al. 2004). I processi di inferenza rappresentano
dunque una componente importante dei processi di compren-
sione del testo.
I processi di inferenza avvengono sia in L1 che in L2, tuttavia,
nell’abilità di lettura in lingua straniera vi sono delle variabili
specifiche di cui è opportuno tener conto. Ad esempio alcune ri-
cerche hanno evidenziato che in L2 i significati di parole scono-
sciute vengono inferiti più dal contesto immediato (il cotesto, la
frase) che dal significato globale del testo. Inoltre, i processi di
inferenza richiedono, oltre alla competenza linguistica, anche
una competenza testuale e culturale. Si legga questo breve pas-
saggio tratto dal racconto Il vecchio che leggeva romanzi
d’amore dello scrittore cileno Luis Sepulveda:

“Paul la baciò con ardore mentre il gondoliere, complice delle avven-


ture dell’amico, fingeva di guardare altrove, e la gondola, provvista di
soffici cuscini, scivolava dolcemente sui canali di Venezia.” Lesse il
brano varie volte, a voce alta. Che diavolo erano le gondole? Scivola-
vano sui canali. Doveva trattarsi di barche o di canoe. Quanto a Paul,
era chiaro che non si trattava di un tipo per bene, visto che baciava “con
ardore” la piccola in presenza di un amico e complice per di più. L’ini-
zio gli piacque.
126 Parole nella mente, parole per parlare

Secondo Sternberg e Powell (1983) la comprensione di nuove


parole all’interno di un determinato contesto implica tre processi
fondamentali:
̶ codifica selettiva
̶ combinazione selettiva
̶ comparazione selettiva
La codifica selettiva permette di selezionare rispetto al lessico
sconosciuto le informazioni rilevanti da quelle che non lo sono.
Si osservi il brano di Sepulveda. Per il personaggio del romanzo,
il vecchio, secondo quanto emerge dalle sue considerazioni, il
dato rilevante per inferire il significato della parola gondola è che
essa scivoli sull’acqua, mentre è molto meno rilevante il fatto che
Paul baci la ragazza.
La seconda fase, la combinazione selettiva, ha il compito di
mettere in relazione fra loro le informazioni disponibili sulla pa-
rola sconosciuta mediante l’organizzazione degli “indizi” veico-
lati da quelle stesse informazioni, al fine di ipotizzare un signifi-
cato possibile. Oltre a scivolare sull’acqua, la gondola è provvi-
sta, infatti, di morbidi cuscini e dunque ci si può sedere a bordo.
Il terzo processo, la comparazione selettiva, consente al per-
sonaggio di Sepulveda di mettere in relazione il nuovo signifi-
cato appreso con le informazioni già depositate nella memoria a
lungo termine. A questo punto il vecchio che amava leggere ro-
manzi d’amore avrà imparato la parola gondola nel suo contesto,
l’avrà collocata nelle reti semantiche associandola ai nodi con-
cettuali già esistenti e, in base all’organizzazione categoriale,
avrà correlato la nuova parola, insieme con gli altri iponimi
barca e canoa, alla categoria superiore che li contiene tutti, ossia
l’iperonimo imbarcazione. Non v’è dubbio che possa accadere
di compiere inferenze sbagliate, ma il contesto dovrebbe fornire
sufficienti informazioni per consentire di distinguere le ipotesi
corrette da quelle che non lo sono. In seguito, ci occuperemo più
dettagliatamente del guessing e delle implicazioni che tale stra-
tegia ha nella comprensione di un testo in lingua straniera.
Infine, da un punto di vista glottodidattico, il testo di Sepul-
veda si conclude con un’affermazione importante: l’inizio gli
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 127

piacque. Il personaggio/lettore del romanzo appare dunque for-


temente motivato e la motivazione intrinseca a continuare la let-
tura del romanzo gli garantirà l’attivazione dei processi attentivi
e la possibilità di ricordare senza eccessivo sforzo la trama del
racconto che si appresta a leggere e di imparare le parole scono-
sciute per il piacere di comprendere bene le vicende dei protago-
nisti.
I tre processi fin qui esposti non si attivano in modo casuale,
ma si basano su una serie di indici presenti nel testo in cui è com-
presa la parola target. Sternberg (1987: 92) suggerisce una serie
di otto indici contestuali, generalmente presenti anche se in grado
variabile:
̶ indici temporali
quando e con che frequenza ricorre la parola target;
̶ indici spaziali
le collocazioni nello spazio della parola target e le eventuali
altre collocazioni spaziali in cui essa potrebbe essere inserita;
̶ indici di valore
le qualità più o meno positive che la parola target assume nel
contesto;
̶ indici che descrivono lo stato
le caratteristiche o proprietà relative alla parola target, quali
forma, colore, dimensione, ampiezza ecc.;
̶ indici che descrivono la dimensione funzionale
i possibili fini, scopi, usi e azioni della parola target;
̶ indici causali
le possibili cause o condizioni inerenti alla parola target;
̶ indici di appartenenza a una classe
la classe (o le classi) di appartenenza della parola. Ad esem-
pio, la parola appartiene ad una data categoria all’interno
della quale ha determinati rapporti di significato e di valore
semantico (iponimia, iperonimia, ecc.) con le altre parole.
Ovviamente, le caratteristiche intrinseche del testo consentono di
attivare i tre processi descritti di codifica, combinazione e com-
parazione con maggiore o minore facilità.
128 Parole nella mente, parole per parlare

Sternberg (1987: 92-94) indica sei variabili (moderating va-


riables) che possono influire sensibilmente su tali processi:
̶ numero di occorrenze della parola sconosciuta;
̶ varietà di contesti in cui la parola può comparire;
̶ importanza della parola sconosciuta per la comprensione del
contesto in cui è inserita;
̶ aiuto che si può trarre dal cotesto o dal contesto immediato
(la frase, il periodo);
̶ densità di parole sconosciute nel testo;
̶ utilità delle conoscenze pregresse (l’enciclopedia) mettere a
frutto le informazioni conosciute presenti nel testo.
Incontrare la parola sconosciuta più volte in un testo (più occor-
renze) consente di relazionarla ad un maggior numero di infor-
mazioni di diversa natura, aumentando conseguentemente le pos-
sibilità di comprenderne il significato. Inoltre, le probabilità di
acquisire un determinato elemento lessicale aumentano sensibil-
mente se esso compare successivamente in testi di tipo e genere
diversi; se varia la tipologia di input variano anche le informa-
zioni contestuali e aumentano, in tal modo, le possibilità sia di
comprensione che di memorizzazione, per cui la parola appresa
si rende più facilmente disponibile in fase di produzione.
Il grado di attenzione che il lettore dedica ad una parola sco-
nosciuta dipende molto dall’importanza che egli vi attribuisce
per la comprensione del testo. Se ritiene che la parola sia fonda-
mentale, attiverà tutte le strategie possibili per comprenderne il
significato, mentre se giudica la parola ininfluente ai fini della
comprensione potrebbe decidere di non prestarvi eccessiva atten-
zione. Ovviamente, molto dipende dal tipo di testo e dall’obiet-
tivo che l’apprendente si pone nell’affrontarlo. Nel caso di un
testo scientifico-professionale potrebbe essere necessaria la com-
prensione della quasi totalità delle parole, mentre nel caso di un
brano di letteratura potrebbe essere sufficiente la comprensione
globale dei passaggi che non sembrano particolarmente rilevanti
nell’economia del racconto. Se, per esempio, la parola gondola
apparisse solo in un passaggio marginale potrebbe essere igno-
rata, mentre, se fosse l’elemento centrale di un racconto giallo
che si svolge a Venezia, diverrebbe essenziale la comprensione
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 129

del suo significato. Il lettore può dunque porsi l’obiettivo di una


lettura analitica (skanning) e focalizzare la sua attenzione su tutti
gli items lessicali, oppure accontentarsi di una comprensione glo-
bale (skimming) che richiede strategie di lettura diverse.
Una variabile importante è rappresentata dalla posizione nel
testo delle informazioni considerate rilevanti per comprendere le
parole sconosciute. Se una parola è collocata immediatamente
vicino alla parola di cui si cerca di inferire il significato (e ne
costituisce dunque il cotesto), si tende a considerarla automati-
camente più rilevante per il processo di inferenza rispetto ad una
parola separata da una certa porzione di testo.
La possibilità di comprendere le parole sconosciute è inoltre
strettamente collegata alla percentuale di unità lessicali ignote
presenti nel testo. Il problema della densità lessicale è infatti par-
ticolarmente importante per l’apprendimento del lessico di una
lingua straniera.
Infine, l’ultima variabile determinante riguarda le conoscenze
generali che il lettore già possiede. Il vecchio che leggeva ro-
manzi d’amore viveva in una capanna sulle rive di un fiume
amazzonico, dunque sapeva che le imbarcazioni scivolano
sull’acqua. In questo caso fortunato egli ha potuto utilizzare ap-
pieno le informazioni rilevanti presenti nel testo per disambi-
guare la parola gondola. Se, al contrario, non avesse posseduto
tale conoscenza e avesse trascorso tutta la sua vita in uno sper-
duto paesino montano, senza aver mai visto il mare e le imbarca-
zioni, allora le informazioni rilevanti avrebbero potuto rimanere
oscure e inutilizzabili. La variabile delle conoscenze generali,
come vedremo, è estremamente importante nell’apprendimento
del lessico di una lingua straniera, in quanto molte informazioni
di carattere socioculturale e pragmatico presenti in un testo, che
possono considerarsi scontate per un parlante nativo, potrebbero
risultare poco comprensibili a colui che non appartiene alla co-
munità culturale di cui sta apprendendo la lingua.
Inferire nuovi significati è una prerogativa del sistema cogni-
tivo e della capacità dell’uomo di comprendere il mondo. I pro-
cessi inferenziali mettono in relazione le nostre conoscenze del
mondo e la nostra memoria in rapporto al nostro agire. Spesso
130 Parole nella mente, parole per parlare

ricorriamo a schemi o scripts, reti di concetti organizzati sulla


base dell’esperienza che ci consentono di inferire importanti in-
formazioni. In tal senso il processo inferenziale non appartiene
solo alla lettura o alla comprensione del testo, ma è parte inte-
grante del sistema cognitivo attraverso il quale interpretiamo e
agiamo nel mondo. Nello specifico caso della lettura i processi
inferenziali consentono, come osserva Grabe (2009: 69), di:
̶ integrate new information with prior knowledge;
̶ interpret and situate information that is decontextualized;
̶ synthesize information from multiple cue and source;
̶ evaluate information in terms of a reader’s goal and atti-
tudes;
̶ understand information that may be conceptually different
from prior expectation.
Nel caso specifico della comprensione del testo in L2 vi sono
delle variabili importanti da considerare per utilizzare i processi
inferenziali sfruttando il contesto Haynes (1993) indica alcuni
principi:
̶ le informazioni che aiutano a disambiguare il significato do-
vrebbero trovarsi preferibilmente nel contesto immediato;
̶ un contesto insufficiente, assenza di elementi ridondanti, ec-
cessiva difficoltà lessicale complessiva inficiano le possibilità
di inferenza;
̶ gli studenti cercano di scoprire il significato anche attraverso
l’analisi degli elementi grafemici e morfologici. In questo
caso il percorso bottom-up è altrettanto importante di quello
top-down.
Se, da un lato, è dunque evidente che molto lessico può essere
acquisito attraverso il contesto, dall’altro, emerge con chiarezza
che la semplice esposizione al testo potrebbe non essere suffi-
ciente per garantire l’apprendimento spontaneo di molte parole.
In realtà, ciò che risulta maggiormente importante dal punto di
vista dell’educazione linguistica e che coinvolge direttamente
l’operato degli insegnanti è che non basta fornire molto input agli
allievi per garantirsi un aumento del patrimonio lessicale. Ciò
che è fondamentale è insegnare come imparare dal testo, come
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 131

sviluppare i processi inferenziali per costruire una rappresenta-


zione coerente di quanto si sta leggendo. Come osserva Stern-
berg:

If, indeed, most vocabulary is learned from context, then what we most
need to do is not to teach vocabulary from context, but to teach students
to use context to teach themselves (1987: 97).

Da un punto di vista glottodidattico sembra dunque importante


che si creino le condizioni per poter attivare sia il percorso top-
down che bottom-up, in un processo integrato di codifica ed ela-
borazione dell’informazione. A tal fine è importante che i testi
proposti agli allievi presentino una densità lessicale che consenta
l’attivazione di entrambe le modalità. Un testo eccessivamente
complesso non presenterebbe i requisiti per attivare in modo ar-
monioso il modello integrato. Stanovich (1980) nel suo modello
di lettura riferito alla prima lingua ha osservato come il lettore
carente nel riconoscimento delle parole faccia ricorso al contesto
per cercare di inferire i significati che non comprende. Anche
nella L2 questo processo viene messo in atto spesso, a costo però
di un sensibile rallentamento dei tempi di fissazione. D’altra
parte se il lettore possiede limitate conoscenze sull’argomento e
una competenza lessicale non sufficiente difficilmente potrà
trarre vantaggio dalle indicazioni contestuali anche perché, come
osservano Perfetti e Lesgold (1979) quando il tentativo di codi-
ficare una parola è lento e richiede molto sforzo la memoria a
breve termine viene sottoposta ad un lavoro eccessivo e diviene
molto difficile attivare le strategie di tipo top-down.
Vi sono dunque alcuni fattori fondamentali che determinano
il successo dei processi di inferenza. In primo luogo le caratteri-
stiche del testo; in secondo luogo il grado di conoscenza che il
lettore possiede circa l’argomento oggetto del testo ed il livello
di competenza lessicale raggiunto; infine le scelte metodologiche
e didattiche che possono orientare l’allievo a sviluppare mag-
giormente percorsi di tipo top-down o bottom-up. Abbiamo os-
servato che riguardo a quest’ultimo punto sarebbe auspicabile un
132 Parole nella mente, parole per parlare

percorso didattico orientato a sostenere una modalità integrata


che favorisca le normali strategie di riconoscimento della parola.
Secondo Huckin e Bloch (1993) tali strategie si articolano in
varie fasi. Innanzitutto il lettore cerca di riconoscere la forma
della parola o quantomeno di riconoscerne alcune sue parti. In
caso di successo egli cercherà di formulare un’ipotesi sul signi-
ficato (in questo caso il contesto serve solo per verificare l’esat-
tezza dell’ipotesi). In caso contrario, se le indicazioni fornite
dalla parola stessa non sono sufficienti, egli cercherà di orientarsi
nel testo per vedere se vi sono indicazioni per poter inferire o
indovinare il significato della parola sconosciuta (in generale, so-
prattutto in ambito di L2, le informazioni contestuali saranno ri-
cercate principalmente nel contesto immediato). Se anche questo
tentativo fallisce si attivano strategie di evitamento e il lettore
tende a passare oltre trascurando la parola di cui non riesce a for-
nire un significato plausibile.
Nation e Coady (1988) propongono un precorso simile, in cui
le strategie di guessing sono suddivise in cinque livelli:
a) finding the part of speech of unknown word;
b) looking at the immediate context of the unknown word and
simplifying this contest if necessary;
c) looking at the wider context of the unknown word. This means
looking at the relationship between the clause containing the
unknown word and surrounding clauses and sentences;
d) guessing the meaning of the unknown word;
e) checking that the guess is correct.

4.6.4. La ritenzione dell’inferenza

L’attività inferenziale, sulla base dei processi indicati da Stern-


berg e Powell (1983) descritti nel paragrafo precedente (codifica,
combinazione e comparazione selettiva) è una componente es-
senziale del processo di lettura sia nella L1 che nella L2. In
quest’ultimo ambito, tuttavia, abbiamo osservato che affinché
l’inferenza possa aver luogo è importante che nel testo siano pre-
senti determinati requisiti. Un ulteriore aspetto riguarda la riten-
zione dell’inferenza. È importante infatti stabilire se il prodotto
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 133

dell’inferenza possa trasformarsi in un ricordo stabile nella me-


moria a lungo termine e assumere le caratteristiche di lessico pro-
duttivo. A tal fine è utile stabilire il rapporto esistente tra l’atti-
vità inferenziale e la ritenzione del significato inferito. Sotto que-
sto profilo sembra si stabilisca un processo inversamente propor-
zionale tra la facilità di inferenza e le probabilità di ritenzione.
Contesti troppo ricchi d’informazione ridurrebbero l’attenzione
sul livello lessicale (Mondria, Wit-de Boer 1991). In sostanza,
una parola può essere inferita facilmente quando è inserita in un
contesto ricco di informazioni utilizzabili o di elementi ridon-
danti, ma in tal modo l’allievo attiva solo parzialmente i processi
di codifica (o non li attiva affatto) e quindi si produce una traccia
mnestica meno stabile, mentre il significato di una parola diviene
più stabile nella memoria a lungo termine quando è il frutto di
un’elaborazione più complessa. Osserva Coady (1993: 18):

the very redundancy of richness of information in a given context which


enables a reader to successfully guess an unknown word olso predicts
that the same reader is less likely to learn the word because he or she
was able to comprehend the text without knowing the word.

È dunque importante presentare testi calibrati con attenzione, che


presentino veramente le caratteristiche di input + 1 descritte da
Krashen nelle sue cinque ipotesi (1981; 1985) ed è altrettanto
importante che l’insegnante ricorra a strumenti di monitoraggio
del livello di competenza lessicale raggiunto, anche attraverso
attività di testing diffuso, per stabilire (ad esempio con una curva
gaussiana) il livello complessivo di conoscenza lessicale rag-
giunto ad un certo stadio del percorso di apprendimento. Per po-
ter utilizzare correttamente gli indici di verifica della competenza
lessicale è importante riferirsi ai lessici di frequenza e alle indi-
cazioni fornite dai corpora oggi facilmente consultabili (cfr. cap.
V).
In sintesi possiamo concludere che i processi di inferenza e il
ricorso agli indizi contestuali, pur costituendo una attività impre-
scindibile della lettura e pur essendo alla base della possibilità di
134 Parole nella mente, parole per parlare

acquisizione di molto lessico, se assunta come unica procedura


presenta alcuni inconvenienti.
In primo luogo può verificarsi che il lettore in L2 abbia gravi
carenze nel riconoscere la forma delle parole. Se questo primo
stadio non è sormontabile il processo di inferenza diviene pro-
blematico. Inoltre, è possibile che egli non sia in grado di ricor-
rere agli indizi contestuali perché il suo livello lessicale non lo
consente. Oppure, come osserva Parry (1993), può accadere che
il singolo testo non contenga sufficienti elementi affinché sia
possibile ricorrere al guessing e all’inferenza con successo.
Un ulteriore elemento di difficoltà è rappresentato dal retro-
terra culturale, dall’enciclopedia e dalle conoscenze specifiche
sull’argomento in possesso del lettore. In L2 tali conoscenze pos-
sono essere ridotte e ciò può costituire dunque un serio problema
per l’utilizzo del contesto e dell’inferenza.
D’altra parte, è ovvio che l’apprendimento delle migliaia di
parole che compongono il lessico di uno studente non potrebbe
avvenire solo attraverso un apprendimento strutturato che privi-
legi solo le strategie bottom-up. È evidente che i processi top-
down concorrono ampiamente nella formazione del lessico di un
individuo. Se si pensa che secondo una ricerca di Milton e Meara
(1995) studenti di lingue in contesto di L2 apprendono circa 2500
parole all’anno e in contesto di lingua straniera circa 550, è dif-
ficile pensare che ciò possa avvenire solo attraverso processi
consapevoli e strutturati, senza considerare l’apprendimento in-
ferenziale e l’apporto dell’apprendimento incidentale, conside-
rando anche il poco tempo dedicato al lessico e in generale le
poche ore settimanali di esposizione alla lingua (particolarmente
grave in contesto di lingua straniera).
Inoltre, concentrare l’attenzione sul solo riconoscimento for-
male della parola condurrebbe ad un apprendimento di lemmi as-
sunti singolarmente, con il rischio di apprenderne solo il signifi-
cato principale venendo meno la possibilità di relazionare i si-
gnificati delle parole con lo specifico contesto in cui si trovano.
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 135

La vera strategia vincente è dunque utilizzare un percorso inte-


grato. Osservano infatti, Huckin, Haynes e Coady (1993: 291):

a more viable approach to second-language reading and word guessing


appears to be one in which learners employ both top-down and bottom-
up processing in complementary fashion. Ideally bottom-up processing
should consist of rapid, automated activities such as graphemic identi-
fication, lexical access, and syntactic analysis. Top-down processing is
a more strategic activity that can be done consciously and deliberately;
it oversees the reading and guessing processes and helps ensure that
they don’t go off the track.

4.7. Lettura e lessico

Lo sviluppo dell’abilità di lettura rappresenta senza dubbio una


componente fondamentale per lo sviluppo della competenza les-
sicale. È possibile affermare che l’accrescimento del lessico è
una condizione fondamentale per progredire nell’abilità di lettura
e nella reading comprehension e che tale progresso è, a sua volta,
determinante per l’espansione lessicale. Osservano Stoller e
Grabe:

vocabulary development must be viewed as both a cause and a conse-


quence of reading abilities. Any serious discussion of vocabulary in ac-
ademic contexts must be viewed in terms of its relation to reading de-
velopment (1993: 30).

Allo stesso modo per Beck e McKeown: vocabulary knowledge


is the cornerstone of literacy (1985). L’abilità di lettura è dunque
uno strumento particolarmente adeguato all’espansione lessicale
(Ellis la definisce the ideal medium; 1994: 40). Anche nell’ap-
prendimento della lingua madre se da un lato l’apprendimento
della lettura favorisce la conoscenza di nuove parole, lo sviluppo
di un adeguato repertorio lessicale è un importante indicatore non
solo per lo sviluppo dell’abilità di lettura, ma in generale del suc-
cesso scolastico. Wolf sostiene che un bambino apprende durante
la scuola primaria circa 88.700 parole, di cui almeno 9.000 du-
rante i primi tre anni. Lo sviluppo dell’abilità di lettura nei primi
136 Parole nella mente, parole per parlare

anni della scuola corrisponde, dunque, ad una fase di grande am-


pliamento del patrimonio lessicale (cfr. Wolf 2007: 137).
La comprensione del testo è ovviamente vincolata alla cono-
scenza del significato delle parole che lo compongono. Certo,
come abbiamo osservato, vi sono altre componenti che concor-
rono alla comprensione: il background culturale e le conoscenze
specifiche sull’argomento, le possibili strategie di inferenza e di
attivazione della expectancy grammar sulla base delle informa-
zioni contestuali e co-testuali, ecc. Tuttavia, osserva Laufer:

it has been consistently demonstrated that reading comprehension is


strongly related to vocabulary knowledge, more strongly than to the
other components of reading […] the word variable is more highly pre-
dictive of comprehension than the sentence variable, the inferencing
ability, and the ability to grasp main ideas (1997: 20).

La stretta relazione tra l’abilità di lettura e la competenza lessi-


cale è riscontrabile sia nell’acquisizione della L1 che della L2
(Laufer 1991). Inoltre, molto lessico viene appreso in modo in-
cidentale attraverso la lettura. Secondo Nagy (1997) le migliaia
di parole che incrementano il patrimonio lessicale del bambino
nei primi anni di scuola non possono essere apprese tutte in modo
consapevole:

it seems plausibile that first language learners must pick up most vo-
cabulary from context, because relatively little of their vocabulary
growth can be attributed to vocabulary instruction (1997: 71).

Ciò ha condotto molti studiosi a ritenere che anche nella L2 l’ap-


prendimento incidentale attraverso ripetute e graduali esposi-
zioni (extensive reading) svolga un ruolo determinante per l’ac-
quisizione lessicale. Tuttavia, nell’acquisizione di una lingua
straniera i vari fattori legati ai processi di lettura e comprensione
incidono in modo diverso, in base a specifiche problematiche. Se
infatti nella lingua madre si affronta l’abilità di lettura in età sco-
lare con un patrimonio lessicale già conformato di 5000-6000
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 137

parole e con una certa acquisizione del sistema fonologico e sin-


tattico (Stoller, Grabe 1993), ciò non avviene, o avviene solo par-
zialmente, nella L2.
La competenza lessicale costituisce dunque un fattore deter-
minante per la comprensione di un testo, ma va osservato che tale
affermazione, solo apparentemente banale, è, in realtà, la sintesi
di un’ampia serie di fattori riconducibili alla complessità dei pro-
cessi e strategie soggiacenti all’abilità di lettura da un lato, alle
caratteristiche intrinseche dell’input dall’altro e alle scelte meto-
dologiche che stanno alla base del percorso didattico.

4.8. La competenza lessicale

Cosa significa conoscere una parola? Quando si può dire che


un’unità lessicale è entrata in modo stabile nel lessico mentale?
Se vi fosse un rapporto univoco, monosemico, tra i referenti e i
segni arbitrari che li definiscono, se vi fosse un rapporto discreto
tra le cose e i segni linguistici che le etichettano la risposta sa-
rebbe facile. Conoscere una parola significherebbe saper attri-
buire ad un oggetto la parola corrispondente che lo definisce.
Avrebbero allora avuto in parte ragione gli accademici di Lagado
che in un bellissimo passaggio di Gulliver’s travels suggeriscono
di risolvere i problemi del linguaggio eliminandolo del tutto:

Dato che ogni parola è semplicemente il nome di una cosa, sarebbe più
conveniente a chiunque portarsi addosso tutte le cose necessarie ad
esprimere i particolari affari di cui vuol parlare […] unico inconve-
niente è che, se dobbiamo trattare affari complessi e di vario genere,
siamo costretti a portarci sulla schiena una montagna di oggetti.

Un altro grave problema che si sarebbe presentato agli abitanti di


Lagado avrebbe riguardato sicuramente la difficoltà di argomen-
tare su concetti astratti e di ricorrere all’ironia, al linguaggio fi-
gurato, alla metafora, agli idioms, ecc. anche gli abitanti di Ma-
condo, nel meravigliloso romanzo di Garcia Marquez Cent'anni
di solitudine, avrebbero incontrato simili problemi visto che per
138 Parole nella mente, parole per parlare

loro il mondo era così recente che «molte cose erano prive di
nome e bisognava indicarle con il dito».
La lingua dunque non ci consente solo di ritagliare e descri-
vere il mondo extralinguistico che ci circonda, ma ci consente di
comunicare pensieri, idee, atteggiamenti, emozioni. Per far que-
sto i concetti si organizzano nel lessico mentale in rappresenta-
zioni linguistiche complesse che intrattengono fra di esse rela-
zioni articolate di varia natura (morfosintattica, lessicale, seman-
tica, ecc.) al fine di rendere la lingua funzionale alla comunica-
zione. Conoscere una parola significa allora non solo conoscerne
il significato denotato, ma significa saperla collocare all’interno
dei rapporti che essa intrattiene con il sistema linguistico di cui è
parte. Tali rapporti possono essere rappresentati nello schema se-
guente:

Figura 4.3.
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 139

Un’unità lessicale non vive da sola, isolata rispetto alle altre pa-
role, ma si colloca nel lessico mentale sulla base di caratteristiche
specifiche che la definiscono. Conoscere una parola nel quadro
delle abilità linguistiche ricettive e produttive, significa dunque
saperne identificare alcuni aspetti che sono alla base della com-
petenza lessicale e che Nation (1990) sintetizza in:
̶ forma
̶ posizione
̶ funzione
̶ significato
Una parola si presenta con una certa forma che ne costituisce il
significante, la sua parte concreta (fonemi e grafemi). Uno stesso
lemma può ripetersi più volte all’interno di un testo mantenendo
la stessa forma oppure assumendo forme diverse sulla base delle
modificazioni morfologiche in ordine alla posizione che esso as-
sume all’interno della frase. Nell’analisi della densità lessicale di
un testo si possono considerare tutte le occorrenze (token), ossia
il numero di volte in cui compare uno stesso lemma, (comprese
le variazioni morfologiche come ad esempio le forme flesse, gli
aspetti derivazionali, ecc), oppure i tipi (type) riconducendo ad
un unico lessema le diverse modificazioni morfologiche che la
parola assume di volta in volta all’interno del testo (cfr. cap. I).
Ad esempio, se compaiono le parole libro, libri, libretto, libri-
cino esse possono essere considerate quattro occorrenze oppure
possono essere considerate parole riconducibili ad un unico tipo
nella sua forma base (libro).
Nello sviluppo dell’abilità di lettura in L2 è chiaro che essere
in grado di riconoscere una parola sotto il profilo ortografico, sa-
perne riconoscere la parti (radice, morfemi flessivi, affissi, ecc.)
concorre in modo importante alla comprensione del testo.
Nell’approccio integrato alla lettura che prevede l’interazione di
processi top-down e bottom-up, lo sviluppo della competenza
metalinguistica sugli aspetti morfologici della parola e sul ruolo
che tale parola può assumere all’interno della frase costituisce
una componente essenziale.
140 Parole nella mente, parole per parlare

Una parola dunque si presenta in una certa forma ed assume


all’interno della frase una certa posizione sulla base del proprio
ruolo grammaticale e sintattico. Forma e posizione costituiscono
però solo due aspetti della competenza lessicale. Va osservato,
peraltro, che per molto tempo negli approcci tradizionali erano
questi i soli aspetti presi in considerazione. Quando il concetto
di competenza linguistica era ricondotto alla capacità di giustap-
porre correttamente le parole di una frase sull’asse sintagmatico
è evidente che lo sviluppo della dimensione morfologica e sin-
tattica costituiva l’obiettivo centrale della metodologia didattica.
Si ignoravano dunque importanti aspetti relativi alla dimensione
paradigmatica della lingua. Un esempio emblematico in questo
senso è la scarsa attenzione prestata in sede glottodidattica, al-
meno fino agli anni Novanta del secolo scorso, alle collocazioni,
alle co-occorrenze di alta frequenza che rivestono invece un
ruolo molto importante nell’apprendimento linguistico.
In una didattica fondata sulla concezione della lingua come e
per la comunicazione, in cui si ponga l’accento sugli aspetti so-
cio-pragmalinguistici legati all’uso, divengono fondamentali per
uno sviluppo lessicale coerente anche le altre due componenti
indicate da Nation: la funzione ed il significato. La prima si rife-
risce alla frequenza e alla appropriatezza di una parola. Sulla
base degli studi computazionali risulta ormai acquisito che il les-
sico di base che consente di raggiungere gli obiettivi minimi di
comunicazione in L2 si aggira attorno alle 3000 parole. È dunque
importante in sede didattica dedicare un tempo adeguato allo svi-
luppo del lessico di frequenza e di alta disponibilità. Oltre a ciò
è necessario sapere in quale contesto è possibile o meno incon-
trare una certa unità lessicale, quale può essere il suo uso in base
ad una adeguata scelta di registro, bisogna dunque conoscerne
l’appropriatezza in funzione del contesto in cui si realizza la co-
municazione.
Infine il significato che riguarda il ruolo e la rete di relazioni
che un lemma intrattiene all’interno del corpus lessicale. Ciò si-
gnifica conoscere i rapporti di polisemia, sinonimia, antonimia,
iponimia, iperonimia, ecc (cfr. cap. I). Sotto il profilo metodolo-
gico è importante dedicare tempo ai rapporti di significato in
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 141

quanto consentono di creare delle associazioni che favoriscono


l’integrazione stabile di nuove parole nelle reti semantiche della
memoria a lungo termine.
Forma, posizione, funzione e significato sono dunque gli ele-
menti che concorrono alla conoscenza di una parola e costitui-
scono la premessa necessaria allo sviluppo della competenza les-
sicale che si articola in cinque sotto-competenze:

̶ Competenza linguistica

riguarda gli aspetti morfosintattici inerenti alla forma e alla posi-


zione delle parole descritti in precedenza.

̶ Competenza discorsiva

Relativa alla conoscenza delle co-occorrenze e delle colloca-


zioni, ai rapporti logico-semantici tra le unità lessicali e alla co-
noscenza dei rapporti di coerenza e coesione all’interno del testo.

̶ Competenza referenziale

Riguarda la conoscenza del lessico relativo a diversi domini di


esperienza sulla base della conoscenza del mondo e dell’enciclo-
pedia. Consente di attivare schemi e script su cui si basano i pro-
cessi di inferenza e l’expectancy grammar. È una competenza
fondamentale per la comprensione. Alcuni processi di memoria,
come la profondità di codifica sulla base dei livelli di elabora-
zione semantica (Kraick, Lockhart 1972) e l’attivazione delle reti
semantiche sulla base del principio di diffusione dell’attivazione
(spread activation) proposto da Collins e Loftus (1975) concor-
rono alla comprensione di un testo durante i processi di lettura,
ma non possono attivarsi se la competenza referenziale è defici-
taria, ossia se il lettore non possiede una adeguata conoscenza
sull’argomento a cui si riferisce il testo.
142 Parole nella mente, parole per parlare

̶ Competenza socioculturale

Riguarda gli aspetti relativi alla funzione e al significato delle


parole. Tale competenza è alla base delle scelte di registro in base
al contesto comunicativo e riguarda anche il valore culturale e
affettivo (e dunque gli aspetti connotativi del significato) in rela-
zione ai paradigmi culturali specifici di una determinata comu-
nità linguistica.

̶ Competenza strategica

In generale riguarda la capacità di mettere in atto determinate


strategie per risolvere problemi di comunicazione. Rispetto
all’abilità di lettura si tratta, sulla base del livello di competenza
lessicale raggiunto, di utilizzare strategie per favorire la com-
prensione del testo, ad esempio utilizzando le informazioni con-
testuali per inferire parole sconosciute, oppure tentare di indovi-
narne il significato (guessing) o più in generale comprendere glo-
balmente il significato di un paragrafo.
Una volta stabilito, pur in modo sintetico, cosa si intenda per
competenza lessicale si prenderanno in considerazione alcuni
specifici aspetti relativi al lessico in funzione dell’abilità di let-
tura.

4.9. Apprendere il lessico attraverso la lettura

4.9.1. Riconoscere una parola

L’apprendimento di una unità lessicale non è un percorso “tutto


o niente”, ma vi sono diversi gradi di conoscenza del significato
di una parola. È possibile, infatti, che essa sia conosciuta solo
parzialmente, che se ne conoscano solo alcuni significati ed al-
cuni usi. Può trattarsi di un lemma che appartiene al lessico ri-
cettivo (o passivo) e non al lessico produttivo (o attivo) del let-
tore, oppure può trattarsi di una parola che per effetto di simila-
rità tra L1 e L2 si crede di conoscere, ma in realtà appartiene alla
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 143

categoria di parole che presentano una deceptive transparence


(Laufer 1997) o per caratteristiche legate alla forma, ossia alla
struttura morfologica o per aspetti riconducibili ai rapporti di si-
gnificato (sinonimia, polisemia, ecc.) che possono variare, anche
sensibilmente, da un sistema linguistico ad un altro. I “falsi
amici” sono un esempio classico di parole che si pensa di rico-
noscere, ma di cui, di fatto, si ignora il reale significato. Le parole
con un significato apparentemente riconoscibile sono particolar-
mente insidiose in quanto il lettore credendo di riconoscere la
parola non mette in atto alcuna strategia di comprensione, ma vi
attribuisce un significato che può essere errato e fuorviante al
punto da inficiare parzialmente o in modo grave la comprensione
del testo.
Un altro problema può essere rappresentato dalle forme idio-
matiche. In generale gli idioms si definiscono come espressioni
il cui significato non è dato dalla somma delle parole che le com-
pongono. Espressioni come essere in gamba o essere al verde
possono essere riconosciute solo se se ne conosce il significato
traslato e se le si assumono e codificano come chunks, mentre
l’analisi dei singoli significati non porterebbe a nessuna com-
prensione. In altri casi ci possono essere espressioni, come ad
esempio rompere il ghiaccio o prendere la porta, che consentono
un significato letterale il quale, tuttavia, è ben lontano dal signi-
ficato traslato e dunque anche in questo caso le difficoltà di com-
prensione permangono.

4.9.2. L’apprendimento cumulativo

Un fattore determinante per l’espansione lessicale è senz’altro


rappresentato dal numero di esposizioni a una determinata por-
zione di lessico a cui lo studente è esposto. Molte ricerche hanno
cercato di stabilire quale sia il numero minimo di esposizioni ne-
cessario per poter acquisire una parola in modo stabile. I risultati
sono piuttosto eterogenei. Saragi et al. (1978) hanno rilevato che
sotto la soglia delle sei esposizioni i significati delle parole target
erano ricordati dal 50% degli allievi, mentre oltre le sei esposi-
zioni la percentuale aumentava sensibilmente (93%). Una ricerca
144 Parole nella mente, parole per parlare

condotta da Herman, et al. (1987) stabilisce invece a venti il nu-


mero delle esposizioni necessarie. All’interno di questa forbice
si collocano altre ricerche: Nation (1982) indica sedici esposi-
zioni Jenkins et al. (1985) rilevano che dopo dieci esposizioni
solo il 25% degli studenti risulta conoscere le parole target. Uno
studio di Rott (1999) sembra confermare un numero di sei espo-
sizioni come soglia discriminante per l’acquisizione di nuove pa-
role. Ovviamente, le esposizioni sono tanto più significative
quanto più le parole compaiono all’interno di input variati e mo-
tivanti. Inoltre, il numero di esposizioni è legato alla competenza
metalinguistica e al grado di competenza lessicale raggiunta
dallo studente. Nelle fasi iniziali di apprendimento può essere
necessario un numero di esposizioni superiore a sei, mentre con
il progredire del livello e con il consolidarsi di un patrimonio les-
sicale più ampio le esposizioni necessarie possono diminuire.

4.9.3. La soglia lessicale

Per poter attivare in L2 i normali processi di lettura utilizzati


nella L1 è necessario possedere un livello di competenza lessi-
cale sufficiente al riconoscimento automatico (sia nella forma
che nei principali significati) di una certa percentuale di parole
del testo. Diviene allora importante stabilire quale possa essere
la soglia di conoscenza lessicale che consenta di attivare le nor-
mali strategie di lettura, sotto la quale il testo non possa essere
compreso. Anche per l’abilità di lettura risulta fondamentale la
conoscenza di un lessico di base di circa 3000 famiglie di parole
(ossia tipi, non occorrenze) che tradotte in singole unità lessicali
corrisponderebbero a circa 5000 parole (Laufer 1991). È questa
la soglia minima di patrimonio lessicale che consente di attivare
nella L2 processi di lettura simili alla L1. Secondo alcuni studi
(Laufer 1997) questa soglia è valida a prescindere dalle qualità
attitudinali e intellettive del soggetto:

even the more intelligent students who are good readers in their native
language cannot read well in their L2 if their vocabulary is below the
threshold (Laufer 1997: 24).
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 145

È dunque importante sottolineare che il fattore discriminante


nell’abilità di lettura è costituito dalla soglia lessicale più che
dalle strategie utilizzate:

fgrtmost significant handicapfor L2 readers is not lack of reading strat-


egies but insufficient vocabulary [...] What these studies indicate is that
the trheshold for reading comprehension is, to a large extent, lexical
(Laufer 1997: 21).

Va notato, tuttavia, che, come abbiamo notato in precedenza, la


conoscenza di una parola non è un processo “tutto o niente”, ma
prevede sfumature diverse. Di conseguenza anche la soglia di
3000 famiglie di parole deve essere intesa non in senso assoluto,
ma in senso probabilistico (Nation 2001).
Le 3000 famiglie di parole del lessico di base (o 5000 unità
lessicali) consentono la copertura di circa il 90-95% di un testo
(Laufer 1997). Anche in questo caso vanno prese in considera-
zione alcune variabili che possono incidere su questa percen-
tuale, come ad esempio il genere e tipo di testo, la sua lunghezza
e il grado di coerenza e coesione. La percentuale di copertura
lessicale di un testo è molto importante. Spesso gli insegnanti
propongono ai loro allievi testi da leggere senza verificarne il
grado di densità e complessità lessicale e questo può comportare
seri problemi nella comprensione. È noto, peraltro, che in as-
senza di una comprensione del contenuto difficilmente si può af-
frontare una proficua analisi della forma del testo, della sua strut-
tura e della sua organizzazione sintattica. Nation (2001:148) pro-
pone una tabella che riassume tale problematica:

Tabella 4.1.
Percentuale di coper- Numero di parole sco- Numero di righe del te-
tura del testo nosciute ogni 100 oc- sto per ogni parola sco-
correnze nosciuta
99 1 10
98 2 5
95 5 2
90 10 1
80 20 0.5
146 Parole nella mente, parole per parlare

Una copertura lessicale dell’80% del testo significa che una pa-
rola ogni 5 è sconosciuta e che vi sono circa 2 parole sconosciute
ogni riga; con una copertura del 95% (che corrisponde alla soglia
lessicale individuata da Laufer) vi sono 5 parole sconosciute ogni
100 e, conseguentemente, una parola sconosciuta ogni 2 righe.
In alcuni studi la soglia per una adeguata comprensione viene
innalzata al 98%. Osserva Nation (2001: 148):

Learners need to know a substantial amount of vocabulary in order to


read unsimplified material, especially academic text. If we relate text
coverage to the strands of learning from meaning-focused input and
fluency development, the learners would need to have 95% coverage
for learning vocabulary from meaning-focused input, and 98-100%
coverage for fluency development.

4.10. Implicazioni glottodidattiche

Sulla base di quanto descritto nei paragrafi precedenti è possibile


stabilire alcuni presupposti metodologici e definire alcune indi-
cazioni pratiche sulle attività da svolgere. In questo paragrafo
verrà proposta una possibile traccia di percorso didattico. Si
tenga presente che tale percorso ha solo lo scopo di un orienta-
mento generale e non prevede specifiche indicazioni sulla base
del livello e dell’età degli allievi. Si tratta, in sostanza, di una
griglia metodologica che deve essere adattata dall’insegnante di
volta in volta sulla base delle caratteristiche dell’utenza e sugli
obiettivi linguistici e mete educative specifici.

4.10.1. La scelta del testo

Il testo deve essere innanzitutto motivante e vicino agli interessi


degli allievi. Tutte le attività di comprensione e di espansione
lessicale raggiungono il loro obiettivo se alla base vi è una moti-
vazione alla lettura. Ad una maggior motivazione corrisponde un
maggiore interesse e dunque uno stimolo più forte alla compren-
sione profonda del testo. In tal modo si garantisce un maggiore
coinvolgimento dei processi attentivi (noticing) che sono alla
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 147

base dell’inferenza. La scelta dell’argomento deve dunque essere


accurata.
Il testo deve porsi al livello di I+1. Perché questo avvenga è
necessario tenere in conto due aspetti fondamentali:
a) aspetti linguistici che riguardano
̶ la densità lessicale (occorrenze, tipi, rispetto della soglia les-
sicale; cfr. 2.3);
̶ il lessico di frequenza contenuto nel testo (grado di familia-
rità, presenza di parole di alta disponibilità oppure di bassa
frequenza o termini microlinguistici, ecc.);
̶ presenza sufficiente di indici contestuali in grado di favorire
il processo di inferenza;
̶ livello di coerenza e coesione nel testo.
b) Aspetti socioculturali
̶ conoscenze di ordine generale (enciclopedia);
̶ conoscenze specifiche sull’argomento;
̶ nozioni socioculturali rispetto alla comunità linguistica di
cui si apprende la lingua.
148 Parole nella mente, parole per parlare

Possiamo riassumere questi aspetti fondamentali per la compren-


sione adattando il seguente schema di Anderson e Lynch (1988):

Figura 4.4. FONTE: adattato da Anderson e Lynch 1988.

4.10.2. Obiettivi e strategie

La scelta del testo deve avvenire in funzione degli obiettivi lin-


guistici che l’insegnante desidera raggiungere. Il grado di diffi-
coltà risiede in parte nelle caratteristiche intrinseche del testo, ma
molto dipende anche dalle attività che l’insegnante propone di
fare su di esso e da quale livello di comprensione sarà richiesto.
Si possono sviluppare infatti specifiche strategie di lettura e
quindi si possono predisporre attività coerenti ad esse. Si veda il
seguente schema:
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 149

Tabella 4.2.
Obiettivi Strategia Attività

Comprendere il conte- Skimming ̶ Prevedere il contenuto


nuto generale del testo. del testo sulla base degli
elementi contestuali e
paratestuali.
̶ Leggere in un tempo li-
mitato.
̶ Comprovare con do-
mande generiche, scelte
multiple o griglie l’avve-
nuta comprensione glo-
bale del testo.
Comprendere informa- Skanning ̶ Individuare nel testo in-
zioni specifiche presenti formazioni specifiche o
nel testo. rilevanti grazie alla com-
prensione profonda del
lessico.

Comprendere l’infor- Lettura attenta ̶ Distinguere le informa-


mazione oggettiva del zioni rilevanti da quelle
testo nella sua totalità. che non lo sono.
̶ Evidenziare i contenuti
fondamentali
̶ Comprendere l’orga-
nizzazione delle diverse
parti del testo in base ai
suoi meccanismi di coe-
renza e coesione.
̶ Comprendere le infor-
mazioni implicite.
Comprendere valuta- Lettura critica ̶ Individuare le diverse
zioni soggettive, punti opinioni e riassumerle,
di vista contrapposti, in- cogliendo gli elementi di
dici di atteggiamento. differenza.
̶ Prendere posizione ed
esprimere e sostenere le
proprie opinioni attra-
verso dialoghi a coppie.
150 Parole nella mente, parole per parlare

È importante che l’insegnante all’inizio del percorso didattico


espliciti e comunichi alla classe quali sono gli obiettivi prefissati
e per quale ragione è stato scelto un certo tipo di testo. Coinvol-
gere gli allievi sulle scelte metodologiche è utile sia sotto
l’aspetto motivazionale, sia per sviluppare una consapevolezza
critica sulle strategie di lettura a cui successivamente essi pos-
sono ricorrere autonomamente.
Si veda la sequenza generale delle attività.
a) Attività di pre-lettura:
̶ Esposizione del topic, dell’argomento e del contenuto del
testo.
̶ Presentazione dell’obiettivo e del compito che gli studenti
dovranno affrontare, stabilendo i criteri in base ai quali la
comprensione sarà soddisfacente (lettura skimming, skan-
ning, ecc).
̶ Ascolto di una storia, un commento, un dialogo ecc. sullo
stesso argomento del testo.
̶ Si possono utilizzare tecniche di espansione lessicale quali
spidergram o costellazioni, mappe concettuali, brainstorming
ecc. per scrivere alla lavagna un corpus lessicale relativo al
tema contenuto nel testo.
̶ Breve discussione, anche con domande aperte, sull’argo-
mento del testo.
Tali attività costituiscono una fase fondamentale per attivare
l’expectancy grammar, ossia la capacità di creare ipotesi su ciò
che verrà letto sulla base degli script in cui sono organizzate le
conoscenze nella mente.
Per quanto riguarda invece il ricorso ad attività di preteaching
sul lessico specifico contenuto nel testo i pareri sono discordanti.
Se da un lato infatti, vi può essere un qualche vantaggio a pre-
sentare il lessico meno frequente o che può creare difficoltà
prima della lettura, ciò comporta anche alcuni inconvenienti.
Questo tipo di attività infatti richiede un tempo eccessivo e non
garantisce che l’apprendimento di parole isolate favorisca poi
realmente la comprensione del testo (Nation 1990; Nation,
Coady 1988). Inoltre la comprensione, come abbiamo osservato,
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 151

avviene anche attraverso il guessing, ma un eccessivo studio


delle parole prima della lettura ridurrebbe l’attività inferenziale.
Meglio dunque approfondire lo studio del lessico specifico dopo
la lettura: vocabulary teaching will be more meaningful for
learner after they have met it in a text because then they have
some experience to attach the teaching to (Nation 1990: 134).
b) Distribuzione del testo alla classe:
̶ Commento sulle eventuali immagini, sul titolo ed eventuale
sottotitolo.
c) Fase di lettura:
̶ Prima lettura silenziosa
Varie ricerche sui processi di lettura in ambito psicolingui-
stico hanno stabilito che vi è una stretta relazione tra i tempi
di fissazione delle parole e il tempo richiesto dal processo di
codifica. Una parola meno familiare o sconosciuta richiede
più tempo nella codifica e ciò implica un tempo di fissazione
maggiore. Questo produce livelli differenziati da studente a
studente nell’attivazione dei processi top-down e bottom-up.
Una fase di lettura silenziosa in un tempo stabilito dall’inse-
gnante (sufficiente affinché tutti possano ragionevolmente
completare la lettura) favorisce un approccio al testo con stra-
tegie personali e abbassa un eventuale approccio ansiogeno al
testo.
̶ Seconda lettura a voce alta e verifica della comprensione
globale del testo attraverso semplici domande alla classe op-
pure griglie e/o scelte multiple e/o cloze.
̶ Terza lettura con particolare attenzione ad aspetti specifici
del testo, individuazione delle parole chiave, ecc.
̶ Attenzione alle parole sconosciute (noticing). È una fase
molto importante. Gli allievi devono cerchiare, sottolineare,
evidenziare sul testo le parole che non conoscono anche con-
frontandosi fra di loro.
d) Attività sulle parole sconosciute per sviluppare l’inferenza:
̶ l’insegnante aiuta a riflettere sulla parola o su alcune parti
di essa (affissi, suffissi, morfemi flessivi o derivazionali, ecc.)
per definirne la categoria e il suo ruolo nella frase;
152 Parole nella mente, parole per parlare

̶ si cercano indizi nel contesto immediato, gli elementi cote-


stuali che possono favorire la comprensione della parola, le
eventuali collocazioni;
̶ si può ricorrere anche al contesto generale cercando di indi-
viduare il ruolo o il rapporto della frase che contiene la parola
sconosciuta con le altre frasi e con le altre parti del discorso.
(rapporti di causa ed effetto, di opposizione, di inclusione ed
esclusione, ecc.);
̶ tentativo di individuare il significato della parola;
̶ verifica se il significato inferito è corretto.
Se l’allievo non è in grado di formulare un’ipotesi corretta l’in-
segnante può ricorrere ad ulteriori strategie:
̶ presentare la parola in un contesto differente in cui vi siano
maggiori indizi contestuali per comprenderne il significato;
̶ fornire una definizione della parola (facendo attenzione che
nella definizione non sia compreso lessico più difficile della
parola stessa) attraverso, ad esempio, attività di matching;
̶ presentare il significato della parola in una serie di scelte
multiple.
̶ scegliere il disegno corretto in relazione alla parola target o
utilizzare tecniche simili di transcodificazione;
̶ fornire una traduzione della parola nella lingua madre. Que-
sta attività, tuttavia, dipende da alcune variabili. Sempre più
spesso le classi sono plurilingue e dunque non esiste un’unica
lingua madre. In secondo luogo non sempre una parola può
essere tradotta ed avere una corrispondenza nella L1. Non è
consigliabile, infine, che la relazione tra un lemma e la corri-
spondente rappresentazione nel lessico mentale sia mediata
dalla traduzione in lingua madre. È preferibile che l’accesso
lessicale sia diretto.
e) Commenti e attività sul testo:
̶ discussione di gruppo sul testo letto;
̶ ulteriori attività sul lessico, individuazione di chunks, col-
locazioni, forme idiomatiche,
̶ riflessione sulle metafore, ecc.;
̶ attività sui rapporti di significato (polisemia, sinonimia, an-
tinomia, ecc.).
IV. La lettura e lo sviluppo del lessico 153

̶ riflessione sugli aspetti morfosintattici e formulazione di


ipotesi sul funzionamento di alcune regole (ad esempio rela-
tive all’affissazione, alla derivazione, ecc.).
f) Verifica conclusiva degli obiettivi raggiunti.
Capitolo V

I corpora

5.1. Cosa sono i corpora

I corpora sono delle raccolte, considerevolmente ampie, di testi


o porzioni di testi archiviati in formato elettronico, alle quali ven-
gono correlati degli strumenti informatici che ne permettono la
consultazione in base a specifiche funzioni di ricerca linguistica.
La linguistica dei corpora è il settore della linguistica computa-
zionale che persegue l’obiettivo di ricavare più informazioni pos-
sibili e di svariata natura da grandi quantità di testi archiviati in
un formato leggibile dal computer (Sassi, Ceccotti 2000). Le in-
formazioni che si possono trovare usando la ricerca computeriz-
zata, ovvero interrogando i corpora attraverso un’interfaccia,
sono potenzialmente utili a molteplici tipologie di utenti: lingui-
sti, docenti, studenti, sociologi, politologi, lessicografici, scrit-
tori, ecc. (ibidem). A noi interessa in questa sede rilevare le in-
formazioni di carattere prettamente lessicale che si possono otte-
nere attraverso questo tipo di ricerca.
Cosa distingue i corpora da un semplice archivio di testi? Ini-
zialmente, negli anni Sessanta i corpora furono progettati e creati
per studiare il lessico dal punto di vista quantitativo utilizzando
l’elaborazione automatica dei dati (Sassi, Ceccotti 2001). Lo svi-
luppo dei software a essi correlati ha reso poi disponibile un’ela-
borazione qualitativa, rapida, sempre più articolata e sofisticata,
delle porzioni di lingua in cui sono prodotti i testi archiviati. È
ormai diffuso trovare infatti i corpora annotati, i quali conten-
gono parole annotate nel senso di distinte come nomi, verbi, sog-
getti, avverbi, Attraverso di essi è possibile cercare le parole di-
stinguendo la funzione che esse svolgono nel discorso, per cui è

155
156 Parole nella mente, parole per parlare

possibile chiedere, per esempio, di cercare “fatto” come sostan-


tivo e non come “verbo” o viceversa; i corpora annotati inclu-
dono poi le parole lemmatizzate, pertanto, se si interroga il cor-
pus di riferimento a proposito dell’infinito di un verbo si otten-
gono tutte le forme flesse di quel determinato verbo; infine, i cor-
pora annotati forniscono una serie di metadata, ossia informa-
zioni sull’intero corpus (quanti lemmi e quante parole com-
prende, la provenienza dei testi, l’ultimo aggiornamento, ecc.) e
informazioni specifiche relative a ciascun esito della nostra ri-
cerca, circa la parte di testo in cui occorre la parola che abbiamo
cercato.
Un semplice database di testi per quanto possa essere vasto
non assolve da sé il compito di fornire informazioni sulla lingua,
non fornisce dati sulla frequenza d’uso delle parole, sulla strut-
tura delle loro occorrenze, sui sintagmi ricorrenti, sulle varia-
zioni di significato delle parole in base ai contesti comunicativi
in cui esse ricorrono. Questo tipo di analisi sono invece offerte
dai software che permettono di effettuare ricerche linguistiche
attraverso i corpora e, pertanto, tali strumenti sono diventati
un’area innovativa e significativa per lo studio del lessico di una
lingua.
I corpora, rinviando a chunks lessicali, a unità linguistiche
composite (lexical items), e a frasi lessicali (lexical phrasis) si
presentano come un valido supporto alla didattica delle lingue in
quanto favoriscono l’acquisizione di patterns linguistici in con-
testi d’uso appropriati. Permettono di apprendere l’uso delle pa-
role superando la separazione tra lessico e grammatica, ovvero
oltrepassando la concezione che prevede lo studio dei significati
da una parte e quello delle regole per l’uso delle parole dall’altra.
È necessario, infatti, che gli studenti acquisiscano l’abilità
pragmatica, la competenza metalinguistica e quella metacogni-
tiva necessarie per riconoscere e usare correttamente e in modo
fluente i chunks lessicali. Questi ultimi, nel caso della lingua ma-
dre, vengono archiviati nella memoria a lungo termine attraverso
l’esposizione inconscia e ripetuta nel tempo all’uso della lingua
e vanno a costituire un corpus interno che costituisce un priming
V. I corpora 157

che può influenzare negativamente l’apprendimento di una lin-


gua straniera, nella misura in cui può suggerire all’apprendente
scelte linguistiche non appropriate nella lingua target (Hoey
2005).
Per ovviare a questo problema occorre che l’apprendimento
del lessico di una lingua straniera avvenga attraverso l’esposi-
zione intensa e ripetuta all’interazione linguistica e attraverso il
ricorso a materiale testuale autentico, basato su contesti d’uso ef-
fettivi delle parole. Da questo punto di vista, i corpora si candi-
dano come uno strumento utile a:
̶ sviluppare le competenze metalinguistiche necessarie per af-
frontare le specificità lessicali di una lingua, in quanto met-
tono in evidenza come si comportano le parole nell’uso della
lingua;
̶ facilitare la memorizzazione del lessico grazie alla presenta-
zione di esso negli aspetti compositi, fraseologici e idiomatici
che lo costituiscono, ovvero secondo le possibili collocazioni
e le co-occorrenze delle parole di una lingua.
I dati che si ricavano dall’analisi dei corpora sono tuttavia dati
da elaborare, dati che possono essere proficuamente usati nella
didattica delle lingue e per risolvere problemi legati all’uso delle
parole, ma si tratta di dati che non bastano da sé per apprendere
il lessico di una lingua. Sono dati che vanno contestualizzati
nell’interazione orale: essi provengono da materiale linguistico
autentico, ma grezzo, e devono dunque essere adattati dagli inse-
gnanti alle esigenze didattiche specifiche di ogni contesto d’in-
segnamento. Gli studenti devono essere in grado di interpretare i
risultati che ottengono dalla ricerca linguistica attraverso i cor-
pora, devono saperli leggere, contestualizzare in base ai propri
obiettivi e, dunque, per poter sfruttare i vantaggi che essi offrono
devono allenarsi all’uso dei corpora con il supporto degli inse-
gnanti e devono calibrare il ricorso a questo strumento in base
alla competenza linguistica già acquisita, oltre che in funzione
agli obiettivi da conseguire.
158 Parole nella mente, parole per parlare

5.2. Cosa si può fare con i corpora

I corpora forniscono descrizioni dell’uso effettivo di una lingua,


rilevando tendenze generali su basi statistiche (Lüdeling & Kytö
2009; Reppen 2010). Essi, come Corino efficacemente sinte-
tizza, «sono un osservatorio attrezzato per fornire un quadro
della lingua autenticamente usata da parlanti reali e per godere
dell’illimitata e piena fruibilità di tali contesti» (2014: 233-234).
Più un corpus, ovvero un campione rappresentativo di testi di una
lingua, è vario, più aspetti di quella determinata lingua permette
di rilevare. Se include, ad esempio, registrazioni di discorsi oltre
a testi di vario uso, dall’articolo giornalistico alla porzione di un
testo letterario, permette certamente di osservare come si com-
porta il lessico nei vari registri d’uso delle parole, in base alle
diverse variabili sociolinguistiche. I corpora vengono perciò uti-
lizzati nell’ambito delle tecnologie linguistiche sia per le tradu-
zioni automatiche che per il riconoscimento vocale automatico e
possono essere proficuamente usati nella didattica delle lingue
per ricavare materiali didattici che permettono lo studio del les-
sico a partire dai fatti della lingua.
Gli strumenti di consultazione standard permettono di ricer-
care le parole per sequenze di lettere, a volte sostituendo per
esempio le desinenze con un carattere jolly (wildcard) in modo
da poter trovare tutte le occorrenze riferite alla radice di una pa-
rola primitiva: se cerco “color*” i risultati della ricerca include-
ranno non solo le occorrenze del sostantivo “colore”, sia al sin-
golare che al plurale, ma anche quelle dell’aggettivo “colorato”
e del verbo “colorare” in tutte le flessioni del caso. Le informa-
zioni che riceviamo in risposta alla ricerca linguistica attraverso
i corpora concernono la frequenza di occorrenza delle parole cer-
cate, le concordanze delle parole con contesti d’uso trovati nel
corpus e le co-occorrenze, ovvero le altre parole che statistica-
mente, sulla base del corpus di riferimento, occorrono insieme a
una certa parola ricercata. Lo studio proposto da Sassi e Ceccotti
(2001) mostra le potenzialità dei corpora a scopo didattico. Essi
sono in grado di fornire materiale efficace, esempi di lingua vi-
vente, con cui insegnare come si comporta una parola all’interno
V. I corpora 159

di una lingua, quali rapporti intesse con altre parole, che tipo di
relazioni semantiche è in grado di instaurare. Uno strumento da
mettere anche direttamente a disposizione degli studenti di lin-
gua per consentire loro, per esempio, di risolvere un dubbio les-
sicale o sintattico ricorrendo a una banca dati dove la lingua si
manifesta nelle sue forme d’uso.
Lo studio di Sassi e Ceccotti (2001) si propone di indagare le
occorrenze del verbo statisticamente più ricorrente in lingua ita-
liana dopo l’ausiliare essere, ossia il verbo “fare”, e si basa
sull’uso di più corpora disponibili alla consultazione presso
l’Istituto di Linguistica Computazionale del CNR di Pisa: il Cor-
pus di Riferimento dell’Italiano basato sugli articoli dei quoti-
diani italiani di maggiore tiratura, il Corpus di quaderni di alunni
delle scuole elementari di Padova e Pisa degli anni 1983-1985,
l’archivio elettronico delle opere di Gadda, il Corpus dell’Ita-
liano Parlato. Grazie all’eterogeneità dei corpora coinvolti in
questa indagine, il verbo “fare” viene indagato nella varietà delle
sue occorrenze e co-occorrenze nei diversi contesti d’uso della
lingua italiana: informazione quotidiana, apprendimento scola-
stico, letteratura, italiano parlato (Sassi, Ceccotti 2001). Pen-
siamo anche alle possibilità offerte dal progetto inglese
COBUILD (Collins-Birmingham-University-International-Lan-
guage-Database) (1980). Si tratta di un progetto che prevede
l’elaborazione di milioni di parole al fine di costituire una banca
dati di corpora utile, per esempio, per studiare la frequenza d’uso
delle parole inglesi, le loro occorrenze e co-occorrenze, nonché
le frasi idiomatiche così come vengono usate. È chiaro che una
lingua è così ricca che anche un database ambizioso come questo
può risultare insufficiente per coglierne la varietà. Per ovviare a
queste carenze e cercare di ricavare una rappresentazione più
160 Parole nella mente, parole per parlare

perspicua possibile di una lingua si tende a studiare anche i cor-


pus specialistici che si focalizzano su testi di ambito tecnico o di
un certo periodo storico o su registrazioni di lingua parlata.

5.3. Le diverse tipologie di corpora

Per ciascuna lingua sono ormai disponibili raccolte di diverse ti-


pologie testuali, si va da database testuali di carattere piuttosto
generale, e quindi abbastanza ampi, a database più specialistici
che comprendono una quantità di testi più limitata. Una distin-
zione tra le diverse tipologie di corpora ci aiuta a comprendere
quanto sia opportuno scegliere i corpora su cui lavorare in base
alle specifiche esigenze didattiche o di studio.

5.3.1. Corpus di riferimento di una lingua

Si tratta di un corpus che si propone come campione rappresen-


tativo di una lingua nei suoi diversi aspetti e pertanto raccoglie
testi di vario genere e tipologie, testi scritti o trascrizioni di lin-
gua parlata, testi con parole di registro formale e di registro in-
formale, testi letterari e testi giornalistici. Quanto più varie sono
le tipologie testuali incluse nel corpus tanto più esso sarà in grado
di offrirsi come osservatorio generale di una certa lingua.
Da questo genere di corpora possiamo quindi ricavare dati gene-
rali circa il comportamento delle parole di una lingua: possiamo
capire, ad esempio, quali sono le parole o i lemmi più frequenti
e ricavare quindi, in ottica glottodidattica, non solo la lista di essi,
ma anche informazioni circa il loro uso: quale aggettivo co-oc-
corre più frequentemente con un certo nome, quale avverbio
compare solitamente dopo un certo verbo, con quali preposizioni
concorda un certo verbo in base ai diversi contesti d’uso. Con-
sultando questi corpora uno studente può, invece, misurare la
propria competenza verificando, per esempio, se possiede la co-
noscenza delle parole indispensabili nell’interazione quotidiana
nella lingua che sta apprendendo. Questo genere di corpora viene
V. I corpora 161

anche usato con la funzione di referenza nella comparazione con


i corpora di tipo specialistico.

5.3.2. Corpora specialistici

I corpora specialistici includono solo testi di un certo tipo. Pos-


sono essere i testi di un settore specifico, come ad esempio, i cor-
pora del linguaggio medico. Possono anche raccogliere esclusi-
vamente i testi di un autore o quelli di un certo periodo storico.
Possono essere corpora basati solo sulla lingua parlata.
Data la loro specificità, risultano particolarmente utili per in-
dagare gli aspetti microlinguistici, gli aspetti linguistici caratte-
rizzanti un lessico di settore, per ricavare il lessico di base di una
lingua in riferimento a un certo campo specialistico, come il les-
sico inglese maggiormente utilizzato in ambito giuridico che, per
esempio, un avvocato italiano che apprende l’inglese ha l’esi-
genza di acquisire (accanto al lessico di base necessario a qual-
siasi apprendente per interagire quotidianamente in lingua in-
glese) se vuole esercitare la professione in paesi anglofoni o, in
generale, per esigenze di tipo internazionale legate alla sua pro-
fessione. I corpora specialistici forniscono quindi indicazioni
specifiche sul lessico di una lingua usata in un certo settore.

5.3.3. Corpora di apprendimento

Si tratta di corpora che raccolgono materiale proveniente da ap-


prendenti o da contesti di apprendimento linguistico. Essi si di-
stinguono in learner corpora e teacher corpora. I learner cor-
pora sono costituiti dal materiale testuale scritto e/o orale pro-
dotto dagli apprendenti di lingue seconde o straniere. I corpora
di apprendimento si offrono a linguisti, docenti e studenti. I lin-
guisti possono ricorrere a questo tipo di corpora per studiare la
varietà di una lingua e per rilevare le difficoltà reali incontrate
nella produzione degli apprendenti L2 o LS.
162 Parole nella mente, parole per parlare

Attraverso i dati ricavati dall’analisi corpus-based di queste dif-


ficoltà, i linguisti sono in grado di creare un elenco degli errori
più frequentemente commessi dagli apprendenti di una certa lin-
gua appresa come lingua straniera. Tali dati possono essere in-
clusi in sezioni dedicate dei dizionari o dei manuali di lingua sot-
toforma di sezioni di avvertenza. A questo proposito, Corino se-
gnala come sia sempre più diffuso incontrare nei dizionari delle
sezioni come quelle presenti nel MEDAL 2009 (MacMillan En-
glish Dictionary for Advanced Learners), ossia dei «box con ‘av-
vertimenti’ rivolti agli studenti, che approfondiscono questioni
lessicali o morfosintattiche emerse come particolarmente proble-
matiche durante l’analisi del corpus» di apprendenti lingua in-
glese (2014: 236).
I learner corpora sono poi importanti per i docenti in quanto
permettono a quelli meno esperti di formarsi sulle varietà di ap-
prendimento linguistico, mentre a quelli esperti forniscono ma-
teriale da cui attingere informazioni in funzione didattica, ad
esempio, per la preparazione di esercitazioni e test. Infine, i lear-
ner corpora sono uno strumento utile anche per gli studenti che
possono ricorrere a essi per osservare gli errori più comuni com-
messi dagli apprendenti della lingua che stanno acquisendo, svi-
luppando così una competenza metalinguistica che permetterà
loro di autocorreggersi e di evitare di incorrere in quel genere di
errore di cui hanno preso coscienza.
I teacher corpora, invece, contengono testi usati come mate-
riale didattico dagli insegnanti di lingua straniera, ovvero ma-
nuali, letture varie, trascrizioni di testi orali fatti ascoltare agli
studenti nel corso delle lezioni, esercizi somministrati agli stu-
denti. Si tratta quindi di materiale a cui lo studente è stato esposto
che può essere riutilizzato da altri studenti per affinare lo svi-
luppo della competenza metalinguistica oppure può servire agli
insegnanti come base per i programmi dei corsi di lingua, per
strutturare altri libri di testo, per creare esercizi per gli studenti.
V. I corpora 163

5.3.4. Confronto tra corpora

In funzione delle esigenze didattiche o di studio i diversi corpora


possono essere comparati. I corpora di due o più lingue, per
esempio, possono essere messi a confronto se includono la stessa
quantità di materiale testuale strutturata secondo criteri affini. In
tal modo si può condurre un’indagine linguistica oppositiva rile-
vando differenze nelle collocazioni e nelle co-occorrenze, diver-
genze semantiche e sintattiche o, al contrario, effettuare un’ana-
lisi linguistica sulle corrispondenze e convergenze tra le lingue
dei corpora comparati. Si possono poi confrontare i corpora di
diversi apprendenti per studiare le differenze fra l’interlingua
sviluppata da ciascun studente in fase di apprendimento di una
lingua straniera oppure per rilevare l’influenza esercitata dalla
L1 degli studenti apprendenti sulla scrittura nella L2. Una com-
parazione tra learner corpora e teacher corpora riferiti all’ap-
prendimento di una certa lingua può fornire dati utili per misu-
rare l’adeguatezza del materiale didattico a cui viene esposto lo
studente rispetto ai risultati d’apprendimento osservati nella sua
produzione scritta e orale. Ciò può portare a un miglioramento
delle tecniche e dei materiali didattici.
A proposito del confronto tra corpora, si parla di corpora pa-
ralleli quando si comparano corpora allineati e sincronici, cioè
dello stesso periodo storico, di lingue diverse. Questo confronto
torna utile nelle attività di traduzione giacché permette di osser-
vare le diverse traduzioni di una certa stringa di parole o di una
frase all’interno di contesti effettivi d’uso delle lingue dei cor-
pora allineati. In tal caso si può infatti disporre di «un corpus
formato da una serie di testi originali in una determinata lingua
di origine», la cosiddetta source language, «e dalle relative tra-
duzioni in un’altra lingua (o altre lingue) di destinazione», la tar-
get language (Gandin 2009: 134).
164 Parole nella mente, parole per parlare

La comparazione tra corpora può essere effettuata anche tra cor-


pora diacronici, ovvero tra raccolte di testi appartenenti a diversi
periodi storici: ad esempio, i corpora che raccolgono testi scritti
in italiano antico possono essere confrontati con corpora che in-
cludono testi risalenti a un periodo storico successivo. In tal
modo si possono rilevare le variazioni lessicali di una lingua, i
cambi linguistici, i mutamenti intervenuti nei modi di scrivere e
parlare. Si possono condurre così specifiche analisi etimologi-
che, ma anche analisi più generali di carattere socio-pragmatico.

5.4. I corpora della lingua italiana

Il primo corpus di riferimento della lingua italiana è quello su cui


è basato il LIF (Lessico di frequenza della lingua italiana con-
temporanea) pubblicato nel 1971. Si tratta di un corpus compo-
sto da testi di romanzi, testi teatrali, testi tratti dalle sceneggiature
dei film, articoli di giornale e stralci di sussidiari. Esso com-
prende circa 500.000 parole ed è stato utilizzato da De Mauro per
stilare la lista dei lemmi del suo Vocabolario di base della lingua
italiana del 1987.
I corpus più rappresentativi della lingua italiana attualmente
disponibili online sono il Corpus e Lessico di Frequenza dell’Ita-
liano Scritto (CoLFIS) e il Corpus di Italiano Scritto Contempo-
raneo (CORIS). Il CoLFIS (http://esploracolfis.sns.it/Esplora-
CoLFIS/) è un corpus lemmatizzato e annotato di oltre 3 milioni
di parole la cui composizione si basa sui dati ISTAT sulle ten-
denze di lettura degli italiani: i testi che contiene provengono
perciò da periodici, quotidiani e libri di diverso genere.
V. I corpora 165

Il CORIS (http://corpora.dslo.unibo.it/TCORIS/), invece, è un


corpus più ampio che include circa 100 milioni di parole ed è un
corpus piuttosto variegato costituito per lo più da testi giornali-
stici e narrativi, ma anche accademici e giuridico-amministrativi,
considerati rappresentativi dell’italiano contemporaneo. Vi è una
versione del CORIS che viene periodicamente aggiornata in
modo da monitorare l’evoluzione della lingua: si chiama CODIS
(http://corpora.dslo.unibo.it/CODIS/) ed è una versione dina-
mica e adattiva che permette, ad esempio, di selezionare – a se-
conda delle specifiche esigenze dell’utente o dell’interrogazione
– uno o più sotto-corpora attraverso i quali eseguire la ricerca.
Va detto che le interfaccia del CORIS/CODIS e del CoLFIS non
sono abbastanza user-friendly: per quanto entrambi abbiano il
vantaggio di essere ricchi di informazioni e di essere disponibili
online gratuitamente, non sono affatto d’uso immediato e senza
limiti; le modalità di interrogazione si presentano in un linguag-
gio troppo tecnico e prevedono la selezione di opzioni che non
sono facilmente comprensibili.

Figura 5.1. Interfaccia CoLFIS. FONTE: http://esploracolfis.sns.it/EsploraCoLFIS/ ac-


cesso: maggio 2020.
166 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 5.2. Interfaccia CORIS FONTE: http://corpora.dslo.unibo.it/TCORIS/ accesso:


maggio 2020.

Figura 5.3. Interfaccia CODIS. FONTE: http://corpora.dslo.unibo.it/CODIS/ accesso:


maggio 2020.
V. I corpora 167

Data la mole e la natura del materiale testuale che essi raccolgono


– si tratta di materiale autentico, selezionato, proveniente da fonti
variegate e controllate – ci possono essere, dal punto di vista glot-
todidattico, circostanze, magari in contesti di apprendimento lin-
guistico avanzato dell’italiano come L1, L2 o LS, nelle quali vale
la pena familiarizzare con questi strumenti ricorrendo, per esem-
pio, ai videotutorial. Nel caso del CoLFIS sono disponibili sul
sito d’accesso al corpus alcuni videotutorial, differenziati per
funzioni di ricerca.

Figura 5.4. Videotutorial CoLFIS. FONTE: http://linguistica.sns.it/esploracolfis/Video-


tutorial.htm accesso: maggio 2020.

Mentre una brevissima guida per il CODIS, non del tutto espli-
cativa, è presente al seguente indirizzo: https:
//www.yumpu.com/it/document/read/15633643/il-coris-codis-
e-il-la-repubblica-corpus-esempi-di-funzionamento.
168 Parole nella mente, parole per parlare

Il corpus del quotidiano La Repubblica non nasce come corpus


di riferimento della lingua italiana, in quanto raccoglie esclusi-
vamente i testi di Repubblica – in particolare, le annate che vanno
dal 1985 al 2000 – ma viste le dimensioni che lo caratterizzano
– comprende circa 380 milioni di tokens – ed essendo un corpus
annotato, che permette la ricerca avanzata attraverso metadati,
lemmi, parti del discorso, si pone comunque come un campione
rappresentativo della lingua italiana. Inoltre, si presenta con
un’interfaccia abbastanza chiara e intuitiva e ha pertanto il van-
taggio di risultare accessibile a un vasto pubblico. Attualmente è
incluso fra i corpora selezionabili sulla piattaforma ad accesso
libero NoSketchEngine (https://corpora.dipintra.it/pu-
blic/run.cgi/first_form). Su questa piattaforma sono disponibili
anche corpora di tipo accademico che derivano dal web
(acWaC), ma anche corpora generici tratti dal web (WaCky), lo
European Parliament Interpreting Corpus e il Bulletin Corpus
in lingua tedesca.

Figura 5.5. Corpus La Repubblica. FONTE: https://corpora.dipintra.it/pu-


blic/run.cgi/first_form accesso: maggio 2020.
V. I corpora 169

Il corpus della lingua italiana attualmente più ampio è però it-


WAC, il quale, frutto di una raccolta automatica di testi dal web,
a cura di Marco Baroni, include circa un miliardo e mezzo di
parole. È un corpus annotato e consultabile sulla piattaforma
Sketch Engine dove sono fornite anche informazioni dettagliate
su di esso, come dimostra la seguente videata:

Figura 5.6. Info Italian Corpus itWAC. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ accesso:


maggio 2020.

L’applicazione Sketch Engine (https://www.sketchengine.eu/)


offre l’analisi di corpora di numerose lingue oltre a quella ita-
liana e include corpora di diverso tipo, anche di carattere specia-
listico. Contiene, per esempio, corpora solo di lingua parlata
come il British Academic Spoken English Corpus o learner cor-
pora come l’Arabic Learner Corpus.
È un software che permette di ottenere word sketches, ovvero
riassunti che mostrano, attraverso esempi d’uso, il comporta-
mento grammaticale delle parole in termini di collocazioni e
combinazioni delle parole cercate; consente anche di ricavare li-
ste di frequenza e di indagare i sinonimi di una parola visualiz-
zando le differenze d’uso delle parole simili selezionando la fun-
zione Thesaurus.
170 Parole nella mente, parole per parlare

L’interfaccia è intuitiva e quello che si può fare con questo


software risulta di comprensione immediata: dopo aver selezio-
nato nel menu a tendina posto in alto il corpus che si intende in-
terrogare, si possono selezionare nella finestra le diverse opzioni
di ricerca seguendo anche i sottotitoli che esplicano sintetica-
mente la funzione di ricerca di ciascuna opzione. Questa sele-
zione può essere eseguita anche attraverso la barra degli stru-
menti posizionata sulla destra della pagina.

Figura 5.7. Ricerca corpus su Sketch Engine. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ ac-


cesso: maggio 2020.

Figura 5.8. Selezione opzioni di ricerca 1. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ ac-


cesso: maggio 2020.
V. I corpora 171

Figura 5.9. Seleziona opzioni di ricerca 2. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ ac-


cesso: maggio 2020.

Sketch Engine può essere utilizzato gratuitamente, in tutte le sue


funzioni, per un mese. Una volta scaduto il mese di prova gra-
tuito occorre acquistare la licenza per continuare a consultare i
diversi corpora che esso include. Possono, invece, fruire gratui-
tamente della piattaforma gli studenti, i ricercatori e i docenti che
possiedono l’account istituzionale di una delle università incluse
nella lista delle istituzioni con accesso Elexis-funded a Sketch
Engine.
172 Parole nella mente, parole per parlare

Sul sito BADIP (Banca Dati dell’Italiano Parlato, 2003-2019,


http://badip.uni-graz.at) è consultabile liberamente il corpus su
cui si basa il Lessico di Frequenza dell’Italiano Parlato (LIP,
1993). Questo corpus fu creato nel 1990-1992 da un gruppo di
linguisti diretto da Tullio De Mauro. Si tratta di un corpus anno-
tato che contiene trascrizioni di registrazioni provenienti da quat-
tro diverse città italiane (Milano, Firenze, Roma e Napoli), in-
clude circa 500.000 parole ed è uno dei corpus più utilizzati per
la ricerca linguistica. Ha un’interfaccia user-friendly, le ricerca è
guidata da una finestra cliccabile che fornisce istruzioni semplici
e chiare; si possono esportare facilmente i dati ottenuti con l’in-
terrogazione e, come hanno evidenziato Guidetti, Lenchi e Stor-
chi, è possibile «formulare una ricerca selezionando i testi sia
sulla base della provenienza (Milano, Firenze, Roma e Napoli)
sia secondo il genere testuale, mostrando concretamente le pecu-
liarità del registro informale e colloquiale di parlanti nativi»
(2012).
Considerando la forte variabilità linguistica che si manifesta
soprattutto nel parlato, l’importanza di disporre di strumenti che
permettono l’analisi della dimensione parlata della lingua (McE-
nery, Wilson 1996) è stata ormai acquisita. Alla luce di tale ac-
quisizione i corpora di lingua parlata come quello del LIP e come
quello, ricco e vario, creato nell’ambito del progetto CLIPS, con-
sentono di osservare e apprendere il funzionamento della lingua
parlata nelle diverse circostanze d’uso e di predisporre strumenti
per il riconoscimento del parlato e «per la produzione di voce
sintetica di buona qualità, con particolare riferimento all’intona-
zione» (Leoni 2005).
V. I corpora 173

Il corpus di italiano parlato CLIPS «consiste di circa 100 ore di


parlato, equamente ripartito tra voci maschili e voci femminili,
in parte trascritto, segmentato ed annotato dal punto di vista fo-
netico segmentale, ed è caratterizzato da una duplice stratifica-
zione, diatopica e diafasica» (ibidem). La variazione diatopica,
ovvero quella su base geografica, è stata campionata attraverso
un’indagine sociolinguistica preliminare che ha interessato l’in-
tero territorio nazionale dall’Università di Lecce attraverso dei
punti di raccolta dei materiali «rappresentativi tanto dal punto di
vista della varietà di italiano, quanto da quello della significati-
vità demografica e socioeconomica delle località. Le località pre-
scelte sono state le città di Bari, Bergamo, Bologna, Cagliari, Ca-
tanzaro, Firenze, Genova, Lecce, Milano, Napoli, Palermo,
Parma, Perugia, Roma, Venezia» (ibidem). Mentre la variazione
diafasica, ossia la variazione di stile e registro legata al variare
delle situazioni comunicative dei parlanti, è stata rappresentata
ricorrendo a diversi tipi di materiale: parlato radiotelevisivo, no-
tiziari, interviste, talk shows; dialoghi raccolti sul campo; parlato
letto; parlato telefonico. Una volta effettuata la registrazione sul
sito http://www.clips.unina.it/it/, basta autenticarsi con le cre-
denziali d’accesso per consultare il corpus parlato CLIPS e usu-
fruire di tutti gli strumenti disponibili. Sulla base delle variabili
con cui è stato costruito, questo corpus si presenta diviso in 5
cartelle corrispondenti ai sotto-corpora: radiotelevisivo, dialo-
gico, letto, telefonico, ortofonico e ciascun sotto-corpus è a sua
volta in 15 cartelle corrispondenti alle 15 località in cui è stata
eseguita la raccolta del materiale.
Tra i corpora specialistici in lingua italiana accessibili online
possiamo ricordare il Corpus dell’italiano antico dell’Opera del
Vocabolario Italiano (http://gattoweb.ovi.cnr.it/). Si tratta di un
corpus che raccoglie testi italiani antichi in volgare e comprende
circa 22 milioni di parole. Si può consultare gratuitamente e li-
beramente, ossia senza registrarsi sul sito.
174 Parole nella mente, parole per parlare

Tra i corpora specialistici e comparabili c’è la raccolta dei cor-


pora dei bambini che forniscono dati per osservare lo sviluppo
linguistico dei bambini italiani. Il CHILDES Italian Corpus fa
parte della grande raccolta di corpora CHILDES che include ap-
punto corpora di bambini di diverse lingue, per lo più costituiti
da trascrizioni di registrazioni di conversazioni spontanee. Essi
sono inclusi sulla piattaforma Sketch Engine e sono quindi con-
sultabili secondo le modalità d’accesso a questo sito precedente-
mente esposte.
Per quanto riguarda i corpora di apprendimento in lingua ita-
liana il portale VALICO.org (Varietà di apprendimento della lin-
gua italiana: corpus online, http://www.valico.org/valico.html),
offre un corpus annotato per parte del discorso e tipo di testo, ad
accesso libero e gratuito, che raccoglie testi di apprendenti di ita-
liano come lingua seconda e comprende circa 570.000 parole. Si
tratta di un portale che si propone come uno strumento per la ri-
cerca linguistica e glottodidattica. L’interrogazione del corpus,
infatti, è in grado di:
̶ mostrare le variazioni di scrittura tra apprendenti con età e
lingua madre differenti;
̶ offrire spunti metodologici e didattici agli insegnanti sulla
base dell’analisi del materiale prodotto dagli studenti;
̶ fornire materiale grezzo da elaborare in funzione di esercizi e
verifiche da destinare agli apprendenti di italiano L2 o LS;
̶ rendere visibili dati sui comportamenti delle parole nei con-
testi d’uso della lingua e informazioni sugli errori comuni de-
gli apprendenti, utili per sviluppare la competenza metalin-
guistica;
̶ proporre ai linguisti un osservatorio per lo studio della varia-
zione dell’italiano e delle problematiche di apprendimento
dell’italiano come lingua straniera.
VALICO.org contiene anche un corpus appaiato di testi di italo-
foni: VINCA. Quest’ultimo era stato inizialmente pensato come
un corpus di controllo per VALICO, ma è poi diventato un vero
e proprio supporto per gli studi sulla didattica e per la didattica
applicata (Corino, Marello 2009: 281).
V. I corpora 175

Sulla piattaforma PAISÀ (Piattaforma per l’Apprendimento


dell’Italiano Su corpora Annotati) troviamo un corpus comple-
tamente annotato di testi autentici tratti dal web nel 2010 creato
da Marco Baroni. Si tratta di un corpus abbastanza ampio – com-
prende circa 250 milioni di tokens – che, come scrive Barbera,
«trascende le finalità glottodidattiche per cui si dichiara nato»
(2013: 56). I testi collezionati sono riutilizzabili e possono essere
interrogati attraverso un’interfaccia molto amichevole studiata
per agevolare gli apprendenti.
Il CEXIS, invece, è un corpus parallelo che raccoglie testi ori-
ginali in italiano e inglese, bilingue e bidirezionale. Contiene tra-
duzioni dall’inglese all’italiano e dall’italiano all’inglese pubbli-
cate tra il 1975 e il 2000. È stato «realizzato presso la Scuola per
interpreti e traduttori di Forlì e contiene una collezione di testi di
fiction suddivisi in due sub-corpora: fiction per adulti e fiction
per bambini» (Gandin 2009). Purtroppo non è ad accesso pub-
blico.

5.5. Perché usare i corpora nell’insegnamento del lessico di


di una lingua straniera

Abbiamo visto quali sono i diversi corpora generali e specialistici


della lingua italiana e, alla luce di quanto abbiamo evidenziato
dal punto di vista glottodidattico per ciascuna tipologia di cor-
pora, siamo in grado di intuire che ciascun corpus potrebbe es-
sere usato in relazione a specifiche esigenze didattiche e di ap-
prendimento. Forniremo, nel prossimo paragrafo, delle dimostra-
zioni applicative della ricerca attraverso i corpora nella didattica
delle lingue.
Le parole di una lingua non sono egualmente importanti in
ogni fase dell’apprendimento di una lingua straniera. Perciò Na-
tion divide il lessico in quattro livelli: parole d’alta frequenza,
lessico intellettuale, lessico tecnico e parole a bassa frequenza
(2001). L’importanza del lessico varia anche a seconda degli
obiettivi specifici dell’apprendimento.
176 Parole nella mente, parole per parlare

Per quanto riguarda la lingua inglese, se l’insegnante vuole sa-


pere quali sono le parole più usate in inglese e quindi quali parole
è necessario insegnare per prime, può ricavare questi dati con-
sultando il Cambridge International Corpus (CIC), il British In-
ternational Corpus (BIC) o la Bank of English Corpus
(COBUILD).
Se il tipo di task proposto dall’insegnante o l’obiettivo che
intende raggiungere lo studente verte maggiormente sulla lingua
parlata, si può accedere al CANCODE (Cambridge and Nottin-
gham Corpus of Discorse English), un corpus di circa cinque mi-
lioni di parole, basato sulle frequenze d’uso dell’inglese parlato.
Se, invece, ci sono esigenze d’apprendimento specifiche dal
punto di vista lessicale, nel senso che è richiesto apprendere o
confrontarsi con un lessico di tipo specialistico, si può ricorrere
ai corpora specialistici, che sono, come abbiamo visto, raccolte
di dimensioni più ristrette che includono parole appartenenti a un
certo settore linguistico tecnico-specialistico. Pensiamo da que-
sto punto di vista alla necessità, per esempio, di individuare il
materiale didattico per corsi di inglese professionale, come quelli
dedicati a studenti di lingua inglese che devono svolgere profes-
sioni sanitarie. È chiaro che la lista di parole da apprendere prima
subisce variazioni importanti in base alle esigenze socio-pragma-
tiche degli apprendenti e di queste esigenze l’insegnante deve te-
nere conto.
V. I corpora 177

La co-occorrenza “parametri vitali” non è certamente inclusa


nella lista delle parole usate più frequentemente nella lingua ita-
liana, pertanto un insegnante di italiano L2 non la includerebbe
nel lessico di base da insegnare. Ma nel caso in cui un corso di
lingua italiana sia rivolto a immigrati con formazione sanitaria
che ambiscono a esercitare la professione in Italia, l’insegnante
è tenuto a includere questa co-occorrenza nel lessico di base che
questi studenti devono apprendere in funzione delle loro specifi-
che esigenze linguistiche socio-pragmatiche. Questo aspetto di-
mostra quanto abbiamo posto come avvertenza alla fine del
primo paragrafo di questo capitolo: i dati forniti dai corpora pos-
sono essere utilissimi, costituiscono materiale linguistico auten-
tico, ma alla luce delle diverse e specifiche esigenze dei contesti
di apprendimento, essi devono sempre essere elaborati in modo
funzionale e critico.
I corpora specialistici possono essere anche proficuamente
usati per la progettazione dei contenuti linguistici (CLIL, Con-
tent and Language Integrated Learning) da sviluppare in rela-
zione all’apprendimento di una certa disciplina in lingua stra-
niera: a scuola, ad esempio, la scienza in lingua inglese o, in am-
bito universitario – dove è sempre più diffusa l’istituzione di spe-
cifici corsi di laurea in lingua inglese – un corso di infermieri-
stica, ad esempio, in lingua inglese. L’accesso al lessico di un
determinato settore attraverso i corpora specialistici di riferi-
mento è un supporto certamente utile nel predisporre adeguata-
mente i contenuti e i materiali di questi corsi tenendo conto delle
competenze lessicali necessarie per affrontare quello specifico
apprendimento.
178 Parole nella mente, parole per parlare

Se consideriamo, inoltre, i corpora di apprendimento è interes-


sante evidenziare – attraverso uno studio di Corino e Marello sui
testi di VALICO – le possibilità che essi offrono di studiare gli
errori commessi dagli apprendenti di lingua straniera, in questo
caso di italiano LS. Presentando due esperimenti, uno di analisi
degli errori presenti nei testi VALICO di apprendenti ispanofoni
da parte di parlanti native di spagnolo aspiranti insegnanti di ita-
liano e l’altro di analisi degli errori più frequenti presenti nei testi
VALICO scritti da apprendenti francofoni, anglofoni e ispano-
foni da parte di studenti italiani di lingue straniere, Corino e Ma-
rello hanno dimostrato come i corpora degli apprendenti siano un
valido aiuto nella costruzione dei distrattori negli esercizi a scelta
multipla (2014: 281). La riflessione sugli errori più frequenti de-
gli apprendenti è vantaggiosa sia per l’autoapprendimento degli
studenti che per l’autoformazione degli insegnanti e permette a
questi ultimi di costruire dei test basati su problemi reali e speci-
fici degli apprendenti di una certa lingua madre.
Abbiano detto che uno dei dati principali che possiamo rica-
vare dall’analisi dei corpora è la frequenza d’uso di un certo
lemma nei vari contesti linguistici. Nell’insegnamento di una lin-
gua straniera disporre di dati statistici circa la frequenza d’uso
delle parole permette di dedurre informazioni importanti circa
quali parole è necessario che siano insegnate prima in modo da
far acquisire un lessico di base agli apprendenti. Dato che i dati
sulla frequenza d’uso delle parole ricavati dai corpora non sa-
ranno solo, come abbiamo evidenziato, di tipo quantitativo, bensì
anche di tipo qualitativo, acquisiremo informazioni quali, ad
esempio, il grado di polisemia di queste parole ad alta frequenza
d’uso. Tali informazioni potranno essere sottoposte dall’inse-
gnante all’analisi degli studenti in modo da sviluppare in loro la
competenza metalinguistica necessaria ad usare le parole in
modo appropriato nei diversi contesti.
V. I corpora 179

Sulla base dei dati sulla frequenza d’uso delle parole raccolti at-
traverso i corpora, un insegnante di lingua straniera può inoltre
predisporre il materiale didattico in modo adeguato al livello di
competenza linguistica degli apprendenti, controllando la densità
lessicale dei testi da usare in classe. Per cui, a seconda degli
obiettivi didattici, si sceglierà la tipologia di testo più appropriata
giacché ogni testo comprende parole dalla frequenza d’uso va-
riabile e quindi può essere più o meno adeguato all’obiettivo che
l’analisi del testo si propone di far conseguire.
Una lista di frequenza dei verbi italiani permette ad esempio
di assumere che il verbo fare è il verbo statisticamente più fre-
quente nella lingua italiana dopo l’ausiliare essere, come dimo-
stra la sottostante videata Sketch Engine della wordlist ricavata
attraverso la ricerca dei verbi usati più frequentemente in lingua
italiana.

Figura 5.10. Worlist verb. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ ultimo accesso: mag-


gio 2020.
180 Parole nella mente, parole per parlare

Una volta assunto che il verbo “fare” è il verbo usato di più dopo
l’ausiliare essere, dalla ricerca attraverso i corpora possiamo ri-
cevere altre informazioni importanti concernenti aspetti qualita-
tivi. Nel già citato studio di Sassi e Ceccotti (2001), il verbo fare
è stato analizzato attraverso corpora di tipo giornalistico, peda-
gogico e letterario. I dati emersi permettono di osservare tutta
una serie di co-occorrenze in cui “fare” assume di volta in volta
significati diversi che vanno dal generico “fare” nel significato
di compiere una qualsiasi azione, differenziata poi dal comple-
mento oggetto con cui il verbo co-occorre (“fare ginnastica”,
“fare chiarezza”, “fare shopping”, “fare i conti”), al più specifico
significato di “costruire, fabbricare”, passando per significati
idiomatici come “far quadrare”, “fare miracoli”, “non fare una
piega” . Il verbo “fare” svolge anche funzioni diverse che vanno
da quella sostitutiva di una ripetizione per rendere più fluente il
discorso, come per esempio nella frase “voglio dirglielo, ma non
so come fare”, a quella della funzione causale quando “fare” si
accompagna a un infinito come “ridere”, ad esempio, “mi fa ri-
dere” riferito a qualcuno o qualcosa che provoca, causa, l’atto del
ridere oppure “far riflettere” riferito a qualcosa che induce a ri-
flettere. E ancora: “far conoscere” “far scattare”, “far funzio-
nare”, “far notare”, “far emergere”, “far piangere”, “fa ten-
denza”, ecc.
V. I corpora 181

Figura 5.11. Videata del Corriere della Sera. Fonte riadattata: Sassi, Ceccotti 2001.

Figura 5.12. Videata periodici. Fonte riadattata: Sassi, Ceccotti 2001.


182 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 5.13. Videata del Corpus Gaddiano. Fonte riadattata: Sassi, Ceccotti 2001.

Quindi tra le altre informazioni importanti dal punto di vista glot-


todidattico che possiamo ottenere con la ricerca attraverso i cor-
pora annoveriamo quelle sulle collocazioni e sulle concordanze.
Le collocazioni sono un fenomeno diffuso nella lingua e difficile
da inquadrare e trasmettere agli studenti attraverso una regola
precisa, soprattutto perché sono spesso di natura paradigmatica e
dipendono dall’uso. Esse possono assumere forme diverse: pen-
siamo ad esempio a “carta d’imbarco” [sostantivo + sostantivo],
“vicolo cieco” [sostantivo + aggettivo], “persona a modo” [so-
stantivo + preposizione + sostantivo], “essere in tempo” [verbo
+ proposizione + sostantivo], ecc. (vedi paragrafo 3.2). I corpora
permettono non solo di visualizzare le collocazioni e memoriz-
zarle nei diversi contesti d’uso in cui occorrono, bensì anche di
prendere coscienza della loro frequenza.
V. I corpora 183

Le liste di concordanza permettono di ricavare molti esempi e


regolarità d’uso della parola, della stringa di parole o frase ricer-
cate (Nation 2014). Consentono di osservare la tendenza degli
elementi lessicali a legarsi in strutture tipiche che possono essere,
per esempio, frasi idiomatiche, il cui senso è difficile da spiegare
attraverso una regola. L’occorrenza delle parole in specifiche se-
quenze ha orientato i linguisti a descrivere la lingua in termini
fraseologici per cui noi cogliamo il senso di alcune espressioni
solo in quanto queste sono parte di una frase. Pensiamo in tal
senso, come suggeriscono Guidetti, Lenzi, Storchi (2012), alla
difficoltà di cogliere il senso di espressioni polirematiche quali
“tagliare corto”, “vuotare il sacco”, “alzare il gomito”. Come fare
a insegnarle senza esibirne il contesto d’uso? La lingua, come
evidenzia Sinclair (1991, 2004), si configura come un insieme di
espressioni lessicalizzate, e non come una somma di unità lessi-
cali separate da unità grammaticali, e il significato, come esibi-
scono le co-occorrenze ottenute attraverso i corpora, risiede
nell’interezza di una frase.

5.6. Come usare i corpora nell’educazione linguistica

Nonostante i corpora siano ormai da alcuni decenni studiati ed


apprezzati come metodologia didattica, essi non vengono ancora
usati in modo diffuso nell’insegnamento delle lingue. Il motivo
principale per cui insegnanti e studenti non ricorrono a essi è il
pregiudizio che l’uso dei corpora richieda complesse conoscenze
tecniche, giacché si tratta di strumenti creati dalla linguistica
computazionale. Gli insegnanti pensano che per poter usare i cor-
pora in classe o per poter insegnare ai propri studenti come usarli
occorra acquisire e trasmettere una competenza troppo speciali-
stica. Questo pregiudizio ha impedito a insegnanti e apprendenti
di sfruttare i vantaggi che la ricerca linguistica attraverso i cor-
pora è in grado di offrire nell’apprendimento del lessico di una
lingua. Per cercare di superare l’ostacolo preliminare dell’acqui-
sizione di una competenza tecnica circa i corpora, almeno dal
punto di vista degli studenti, ma sembra che la proposta possa
184 Parole nella mente, parole per parlare

aiutare anche gli insegnanti, Zanca (2018) suggerisce che sa-


rebbe utile introdurre direttamente i corpora utilizzandoli per ri-
solvere problemi linguistici concreti mostrandone così le poten-
zialità. A tal fine, Zanca (ibidem) propone prima di tutto di far
familiarizzare gli studenti con i corpora attraverso strumenti più
conosciuti, come dizionari online – pensiamo da questo punto di
vista a Reverso Context – e motori di ricerca, per poi passare ai
software e quindi a una dimensione più tecnica di impiego dei
corpora. Il passaggio ai software che permettono l’accesso a cor-
pora composti da materiale autentico e annotato è un’occasione
importante per avvertire gli studenti del rischio insito nell’assun-
zione del web come corpus: il materiale con cui si entra in con-
tatto sul web presenta spesso errori grammaticali e ortografici
che un apprendente, specie ai primi livelli di apprendimento lin-
guistico, non è in grado di riconoscere. Egli rischia così di acqui-
sire forme linguistiche sbagliate.
Gli studi sull’uso dei corpora come metodologia didattica
sono soliti distinguere tra un uso indiretto e un uso diretto dei
corpora (McEnery 1990; Zanca 2018). Si parla di uso indiretto
quando insegnanti e studiosi ricavano dai corpora materiali quali
testi ed esercitazioni da utilizzare in classe – pensiamo alla co-
struzione dei test a scelta multipla attraverso i testi VALICO pro-
posto da Corino e Marello (2014), a cui abbiamo accennato – e
dati sulla base dei quali elaborare dizionari, sussidi didattici,
studi teorici e metodologici. Quando sono invece gli studenti a
ricorrere ai corpora si parla di uso diretto: si tratta di un uso
aperto, non prestabilito, personalizzabile da ciascun studente se-
condo esigenze d’apprendimento personali e contingenti. L’uso
diretto dei corpora da parte degli apprendenti implica però che
venga insegnato agli studenti come usare i corpora e che vengano
insegnati loro aspetti tecnici in modo che essi siano in grado di
esplorare correttamente le risorse. È inoltre necessario che gli
studenti abbiano già sviluppato una competenza linguistica di li-
vello medio per essere in grado di interpretare correttamente i
dati ottenuti dalla ricerca e di riutilizzare quanto ricavato in modo
appropriato. I corpora, tuttavia, possono anche essere usati in
classe dagli insegnanti per estrarre modelli di lingua a partire da
V. I corpora 185

liste di concordanze o liste di frequenze, in modo da osservare e


confermare regole oppure per inferire delle regole, per fare ipo-
tesi sui comportamenti delle parole, e per trarre conclusioni dai
fatti di lingua. Il docente si pone così nel ruolo di facilitatore di
apprendimento (Corino 2014: 236), piuttosto che in quello di de-
tentore indiscusso di conoscenza e le lezioni di lingua assumono
una forma laboratoriale che rende meno ansiogeno e più moti-
vante l’apprendimento.

5.6.1. Esempi di ricerca attraverso i corpora a scopo didattico

Pensando ai corpora accessibili online gratuitamente che ab-


biamo descritto, immaginiamo di voler ricavare un modello
d’uso medio-alto, ma non specialistico, del sostantivo “potere”,
un modello autentico e controllato, da utilizzare in un contesto
didattico con apprendenti di livello intermedio. Un docente può
osservare preliminarmente i risultati offerti dalla ricerca attra-
verso il corpus CODIS e valutare la possibilità di condividere gli
esiti di questa ricerca con gli studenti (tenendo presente che i dati
ricavati non sono esportabili) per eseguire un’analisi che porti a
inferire le funzioni e gli usi di questo verbo in lingua italiana. Per
una ricerca di base, senza fruire di opzioni tecniche, basta sapere
che l’interrogazione deve essere posta inserendo tra virgolette il
sostantivo “potere”, si possono selezionare i subcorpus più ap-
propriati in base alle finalità della ricerca e, per ottenere dei dati
più completi, conviene selezionare l’opzione collocates in modo
186 Parole nella mente, parole per parlare

da visualizzare anche le parole con cui il sostantivo si combina


più frequentemente.

Figura 5.14. FONTE: http://corpora.dslo.unibo.it/CODIS/ accesso: maggio 2020.

Si otterranno due liste: una lista di concordanza seguita da una


lista di combinazioni.
V. I corpora 187

Figura 5.15. FONTE: http://corpora.dslo.unibo.it/CODIS/ accesso: maggio 2020.


188 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 5.16. FONTE: http://corpora.dslo.unibo.it/CODIS/ accesso: maggio 2020.


V. I corpora 189

Le videate dimostrano che il corpus CODIS non è lemmatizzato


e annotato, non permette di distinguere la ricerca linguistica del
sostantivo “potere” da quella del verbo “potere” e fornisce risul-
tati riferiti alla parola “potere” senza includere quelli delle sue
flessioni. Deduciamo che se avessimo inteso cercare il verbo
“potere” i risultati ottenuti – che si concentrano sul sostantivo
fatta eccezione per due occorrenze del verbo all’infinito (“dove
potere costruire un nuovo mondo” e “ramponi per potere risalire
cascate”) – non avrebbero affatto soddisfatto gli obiettivi della
nostra ricerca. Per quanto concerne il sostantivo, tuttavia, le due
liste presentano degli spunti di riflessione che potrebbero tornare
utili in prospettiva di un esame dei contesti d’uso del sostantivo
“potere” da eseguire in classe con gli studenti.
Se vogliamo cercare le occorrenze del verbo “potere” pos-
siamo agevolmente farlo attraverso il corpus di Repubblica sulla
piattaforma NoSketch Engine.

Figura 5.17. FONTE: https://corpora.dipintra.it/public/run.cgi/first_form accesso: mag-


gio 2020.
190 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 5.18. FONTE: https://corpora.dipintra.it/public/run.cgi/first_form accesso: mag-


gio 2020.

Il corpus di Repubblica ci permette di osservare le occorrenze


del verbo “potere” nelle diverse forme flesse. Inoltre, essendo un
corpus annotato, possiamo indirizzare la ricerca sulla parola “po-
tere” differenziando l’interrogazione, come mostrano le videate
che seguono, e ricavare così una lista delle concordanze della pa-
rola “potere” sia nella funzione di sostantivo che in quella di
verbo all’infinito.
V. I corpora 191

Figura 5.19. FONTE: https://corpora.dipintra.it/public/run.cgi/first_form accesso: mag-


gio 2020.

Figura 5.20. FONTE: https://corpora.dipintra.it/public/run.cgi/first_form accesso: mag-


gio 2020.
192 Parole nella mente, parole per parlare

Esplorando il corpus itWAC sulla piattaforma Sketch Engine è


possibile ricavare informazioni dettagliate sui comportamenti
delle parole. Proviamo a cercare la parola “tempo”, una parola
ad alta frequenza, il quadro dei risultati che ricaviamo è il se-
guente:

Figura 5.21. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ accesso: maggio 2020.

Come si evince dalla videata le informazioni che otteniamo sele-


zionando la funzione word sketch sono chiare, importanti e utili,
soprattutto se ci poniamo dal punto di vista di uno studente che
ha la necessità di apprendere le collocazioni e le possibili com-
binazioni che interessano il sostantivo “tempo”. Efficace e utile
è la sintesi delle varie combinazioni del nome con le preposi-
zioni: cliccando su ciascuna di esse veniamo rinviati alla lista di
concordanze e possiamo osservare i contesti d’uso in cui ricorre
la combinazione su cui abbiamo cliccato.
V. I corpora 193

Figura 5.22. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ accesso: maggio 2020.

I dati che otteniamo, sempre sulla piattaforma Sketch Engine, se-


lezionando la funzione Word Sketch Difference possono essere
utilizzati sia da insegnanti che da apprendenti per analizzare e
memorizzare, osservando anche le liste di concordanze correlate,
le differenze tra due parole. Per cui, per esempio, se vogliamo
prendere in esame le differenze d’uso in inglese delle parole
194 Parole nella mente, parole per parlare

“work” e “job”, possiamo selezionare un corpus controllato


come il British National Corpus.

Figura 5.23. FONTE: https://www.sketchengine.eu/ accesso: maggio 2020.

Gli esiti della nostra ricerca – che nella videata appaiono solo
parzialmente – possono essere scaricati e magari usati in classe
come scheda da sottoporre agli studenti, sulla quale lavorare in
modo laboratoriale invitandoli a formulare osservazioni e porre
questioni. Alla riflessione si può affiancare la visualizzazione de-
gli esempi tratti dalle concordanze associate ai dati ottenuti.
Selezionando nel menu a tendina in alto uno dei corpus DGT
– c’è anche quello per la lingua italiana – su Sketch Engine è
possibile anche effettuare delle ricerche sulla traduzione di un
V. I corpora 195

lemma comparando due o anche più corpora paralleli in altre lin-


gue fra quelle disponibili.
Pensando di voler esaminare le occorrenze e le co-occorrenze
della particella “mica” frequentemente usata nell’italiano par-
lato, ma piuttosto difficile da spiegare fornendo delle regole, si
può proficuamente ricorrere al corpus LIP attraverso la piatta-
forma BADIP. Qui sarà possibile esportare i dati della nostra ri-
cerca in modo da disporre in classe di materiale autentico costi-
tuito da esempi di lingua parlata in cui la particella mica viene
utilizzata. Sottoponendo agli studenti esempi d’uso della parti-
cella “mica” si potrà stimolare la loro riflessione invitandoli a
inferire la funzione che essa svolge nelle diverse occorrenze. Ciò
faciliterà la memorizzazione e l’apprendimento attraverso lo svi-
luppo di una competenza metalinguistica.
196 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 5.24. Dati esportati. FONTE: http://badip.uni-graz.at/it/ accesso: maggio 2020.


V. I corpora 197

Interrogando il corpus PAISÁ a proposito dell’espressione “vuo-


tare il sacco” otteniamo una serie di occorrenze che possiamo
anche scegliere di visualizzare nel contesto testuale più ampio da
cui sono tratte. Materiale di questo tipo può essere elaborato dai
docenti di italiano LS in funzione didattica.

Figura 5.25. FONTE: https://www.corpusitaliano.it/ accesso: maggio 2020.

Infine, come ultimo esempio di ricerca linguistica interrogando i


corpora, proponiamo una videata che mostra la ricerca della pa-
rola “lavoro” sul portale VALICO.org. La finestra di ricerca pre-
senta diverse opzioni che possono non risultare immediatamente
comprensibili, sono un po’ tecniche e occorre familiarizzare con
l’interfaccia per sfruttare al meglio le possibilità di ricerca che
essa offre. Accanto ad essa una volta inviata la richiesta com-
paiono frasi estratte dei testi degli apprendenti in cui è stata usata
la parola “lavoro”.
198 Parole nella mente, parole per parlare

Figura 5.26. FONTE: http://www.valico.org/valico.html accesso maggio 2020.

Cliccando sul numero posto tra l’elenco numerato e la frase si


apre una pagina che contiene il testo in forma estesa, le informa-
zioni dettagliate sulla provenienza del testo, quali data e luogo in
cui è stato prodotto il testo, lingua madre dell’apprendente che lo
ha prodotto, scuola presso la quale l’apprendete studiava, nonché
la segnalazione degli errori ortografici e grammaticali presenti
nel testo.
V. I corpora 199

Figura 5.27. FONTE: http://www.valico.org/valico.html accesso maggio 2020.

Abbiamo fornito solo qualche esempio del tipo di ricerche che


possono essere svolte a scopo didattico attraverso alcuni corpora
disponibili online. Come abbiamo avuto modo di evidenziare in
questo capitolo i vantaggi e le potenzialità dell’uso dei corpora
per l’apprendimento del lessico non sono trascurabili. Occorre
tuttavia tenere presente che il materiale ricavato con l’interroga-
zione dei corpora se proviene dal web può presentare errori che
certamente non giovano agli studenti. Se si tratta di materiale di
provenienza più controllata, per poter svolgere funzioni efficaci
nell’apprendimento della lingua, esso deve essere elaborato dagli
insegnanti ed interpretato dagli studenti attraverso la guida del
docente. Egli deve cercare di allenare gli studenti all’uso dei cor-
pora in modo che possano nel tempo ricorrere a essi in modo au-
tonomo, consapevoli delle potenzialità di questi strumenti, ma
anche dei loro limiti. I corpora, insomma, non bastano da sé per
apprendere il lessico di una lingua, ma si prestano certamente a
un approccio didattico di tipo comunicativo e offrono una meto-
dologia didattica in grado di favorire l’apprendimento del lessico
direttamente nei contesti socio-pragmatici in cui esso compare,
crea, si ricrea e muta.
Capitolo VI

Idioms e metafore nella linguistica cognitiva

6.1. Gli idioms e la competenza lessicale

Idioms are the poetry of daily discourse


(Johnson-Laird)

Speak idiomatically unless there is some good reason not to do it.


(Searle)

Come abbiamo già avuto modo di osservare, a partire dagli anni


Ottanta si assiste nell’ambito dell’educazione linguistica ad un
rinnovato interesse per il lessico. Nasce in questo periodo un’am-
pia bibliografia e lentamente si va colmando un vuoto scientifico
e metodologico che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Sul
piano teorico il concetto di lessico-grammatica porta la rifles-
sione linguistica a superare la dicotomia tra questi due aspetti
della lingua. A poco a poco anche il linguaggio figurato ed in
particolare gli idioms e le metafore diventano oggetto di ricerca
in ambito glottodidattico, grazie anche alle nuove teorie sul lin-
guaggio figurato che dagli anni Ottanta divengono centrali
nell’ambito della linguistica cognitiva. Tuttavia, malgrado si sia
sviluppato un ampio interesse in ambito psicolinguistico e neu-
rolinguistico, nel campo dell’educazione linguistica sono ancora
pochi gli studi organici di carattere teorico-applicativo dedicati
all’insegnamento del linguaggio figurato in L2. Spesso le espres-
sioni idiomatiche vengono considerate nel loro insieme (senza
considerarne le varie tipologie, la frequenza d’uso, ecc.) più
come un aspetto destinato a colui che deve perfezionare la lingua
e, dunque, da affrontare solo ai livelli più avanzati del percorso

201
202 Parole nella mente, parole per parlare

di apprendimento, piuttosto che come aspetto importante del les-


sico da sviluppare contestualmente alla crescita della compe-
tenza lessicale. Osserva Lewis:

Traditional picturesque idioms have been seen an appropriate for rela-


tively advanced students – a sophistication, marginal to the serious
business of mastering the central grammatical system. Similarly, the
selection of idiomatically appropriate rather than formally accurate ut-
terances has been seen as “advanced” language teaching (1993: 98).

Ciò dipende probabilmente da due fattori interdipendenti. Lo


scarso interesse rivolto al lessico nella didattica delle lingue a cui
abbiamo accennato ha infatti comportato una totale assenza di
riflessione sul linguaggio figurato, considerato un aspetto secon-
dario e poco rilevante della lingua. Inoltre, il ruolo secondario
attribuito al lessico dipende anche dal fatto che dalla metà del
secolo scorso, con l’imporsi della linguistica chomskiana, l’inte-
resse degli studiosi si è prevalentemente orientato verso la sin-
tassi trascurando la dimensione semantico-lessicale:

If idioms are a relatively neglected area in lexical studies […] it can


also be said that the lexis itself has been relatively neglected in language
studies. Such neglect could be ascribed to the vocabulary being viewed
as the non-generative component, the rule of sentence construction be-
ing the generative and, consequently, the creative component. Terms
like generative suggest a transformational generative model of lan-
guage with its stress on novelty and creativity; however, whatever the
model adopted, structuralist, transformational-generative, or func-
tional, the vocabulary has tended to be a Cinderella in relation to sen-
tence construction and the grammatical categories (mood, tense, con-
cord, etc.), relevant to sentence-construction (Fernando 1996: 26).

Eppure numerosi studi pubblicati negli ultimi decenni, soprat-


tutto in ambito psicolinguistico, confermano l’importante ruolo
del linguaggio figurato non solo in ambiti specifici quali, ad
esempio, il linguaggio poetico-immaginativo della dimensione
letteraria o la retorica del linguaggio pubblicitario, ma anche
all’interno della lingua quotidiana.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 203

Uno degli aspetti più evidenti del linguaggio figurato, infatti,


è la sua pervasività nella comunicazione quotidiana. Pollio et al.
(1977) attraverso la trascrizione e l’analisi di diversi generi e ti-
pologie di interazioni orali hanno dimostrato che in un minuto di
conversazione si producono mediamente –cinque-sei espressioni
figurate (1,8 nuove metafore e 4,8 metafore convenzionali). In
un’altra ricerca Graesser et al. (1989), hanno analizzato le con-
versazioni di una serie di dibattiti televisivi e hanno rilevato la
presenza di una metafora ogni venticinque parole. Hoffmann
(1984) stima che in una settimana si usino circa 7.000 forme idio-
matiche. Jakendorf (1985), analizzando il corpus linguistico di
uno show televisivo, stimava che vi fossero:

as many fixed expressions as there as there are words in american eng-


lish, roughly 80.000. This means that people have at least 160.000 item
memorized and available for use (cfr. Glucksberg 2001: 68).

Tali dati sembrano dunque confermare che la nostra abilità nel


comprendere e produrre lingua si basa grandemente nella nostra
competenza sull’uso e la comprensione del linguaggio figurato.
Ovviamente, nelle interazioni tra parlanti della stessa comunità
linguistica il ricorso frequente a metafore o idioms non costitui-
sce un problema e nemmeno ci si rende conto di esprimere con-
cetti facendo ricorso a costrutti figurati, in quanto i soggetti coin-
volti nell’interazione condividono non solo gli elementi morfo-
sintattici della lingua, ma anche gli aspetti culturali pragmatici e
sociolinguistici su cui si fonda gran parte della competenza les-
sicale. Diversamente, quando ci si trova ad interagire in lingue
altre dalla propria lingua madre l’abilità di comprendere e pro-
durre enunciati di carattere figurato rappresenta una sfida diffi-
cile a causa della natura complessa che sta alla base del linguag-
gio figurato. Va osservato, inoltre, che molti studi nel campo
della linguistica cognitiva concordano nel considerare il linguag-
gio figurato non una risorsa retorica, un insieme di varianti stili-
stiche alle quali si ricorre per descrivere concetti altrimenti espri-
mibili in modo letterale, ma piuttosto l’esito linguistico di una
204 Parole nella mente, parole per parlare

vera e propria attività concettualizzante della mente. in altri ter-


mini, non usiamo una metafora in sostituzione di un significato
letterale, magari per renderlo più incisivo o apprezzabile poeti-
camente, ma ricorriamo all’attività metaforizzante della mente
per descrivere concetti astratti che altrimenti non sapremmo rap-
presentare e tradurre linguisticamente (Lakoff 1987; Lakoff,
Johnson 1980, 1999).
In questo contributo si prenderà in considerazione il concetto
di idiom, cercando di descriverne sinteticamente la natura e le
caratteristiche essenziali sotto il profilo linguistico e psicolingui-
stico, ricavandone alcune osservazioni di carattere glottodidat-
tico. Le espressioni idiomatiche sono, peraltro, un aspetto impor-
tante della competenza lessicale, considerando la loro pervasività
all’interno delle interazioni quotidiane e la loro presenza in ogni
genere e tipologia testuale. Da un punto di vista pedagogico, data
la loro natura complessa e a volte sfuggente, non è semplice sta-
bilire le attività e i percorsi didattici in grado di sviluppare rapi-
damente la competenza linguistica e metalinguistica necessaria
alla crescita consapevole di una adeguata competenza relativa
alla comprensione e all’uso delle espressioni idiomatiche.

Idioms are one of the most difficult aspects il l2 acquisition due to the
fact that they are conventionalized expression peculiar to language
community and they are usually frozen in form and often unpredictable
in meaning – that is, their meaning cannot always be derived from the
literal meanings of the components involved (Liu 2008: xiii).

6.2. Una definizione di idiom

Come abbiamo osservato in apertura di questo contributo molte


ricerche confermano la massiccia presenza di espressioni idio-
matiche nelle consuete interazioni della vita quotidiana. Tuttavia,
tali dati vanno confermati sulla base del concetto stesso di idiom
e su cosa si intenda per esso. Diverse scuole di pensiero, infatti,
presentano una visione più o meno restrittiva del concetto di
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 205

idiom. Passando in rassegna la letteratura 5, sia in campo lingui-


stico che psicolinguistico, è alquanto diffusa una definizione
piuttosto generale e omnicomprensiva, in base alla quale gli
idioms sono espressioni il cui significato non dipende dalla
somma dei significati dei loro componenti. Dunque il significato
di tali enunciati non è riconducibile ad una analisi sintattica o
semantica, ma piuttosto ad un significato condiviso all’interno di
una determinata comunità linguistica che si è andato cristalliz-
zando nel tempo e nell’uso. Come osserva Cacciari (1989) si
tratta di espressioni che violano il principio di composizionalità
del significato. Un’espressione idiomatica si connota dunque
come un’unità lessicale e come tale viene riconosciuta, recupe-
rata e memorizzata nel lessico mentale di un individuo. Tuttavia,
diverse scuole di pensiero hanno prodotto diversi modelli inter-
pretativi. Alcuni di essi includono, in una definizione molto am-
pia di idioms, praticamente tutte le espressioni fisse e cristalliz-
zate di una lingua. In quest’ottica locuzioni, clichés, proverbi,
unità polisemiche, espressioni formulaiche, metafore morte e
collocazioni possono essere ricondotti al concetto di idiom.
Qualsiasi enunciato il cui significato non è riconducibile alla
sua struttura è dunque considerato un’espressione idiomatica. In
un’ottica interlinguistica, se si assumesse una visione estrema-
mente allargata di idiom si potrebbe dire che ha valore idioma-
tico ciò che non è esattamente traducibile in un’altra lingua. In
altri modelli, caratterizzati da una visione più restrittiva, si in-
tende per idiom solo un tipo di espressione fissa semanticamente
opaca (cfr. Liu 2008: 4). Per Weinrich (1969), da un punto di
vista generativo-trasformazionale, non tutte le locuzioni in
quanto unità fraseologiche possono essere definite idioms. Egli
infatti attribuisce tale definizione a quelle espressioni che risul-
tano ambigue in quanto presentano sia un significato letterale che
idiomatico. In questo caso, dunque, l’analisi verte sulla com-
plessa distinzione tra una forma idiomatica e una collocazione.
Weinrich si riferisce infatti alla distinzione tra “idiomaticity of

5
Per una descrizione delle varie definizioni di idiom si veda, tra gli altri, Fernando
1996; Liu, 2008; Moon 1998; Tabossi e Zardon 1993; Cacciari C., Tabossi P., 1993.
206 Parole nella mente, parole per parlare

expression” e “stability of collocation”. È evidente che in en-


trambi i casi (espressione idiomatica e collocazione) siamo di
fronte ad espressioni che contengono al loro interno delle co-oc-
correnze. Tuttavia, l’elemento che le differenzia risiede nel rap-
porto di opacità che si instaura tra i componenti dell’unità fra-
seologica. Per Weinrich dunque una espressioni idiomatica è:

A phraseological unit involving at least two polysemous constituents,


and in which there is a reciprocal contextual selection of subsenses will
be called an idiom (1969: 42; cfr. Fernando 1996: 7-8).

Nell’economia di questo contributo non è possibile analizzare i


diversi approcci che la letteratura sull’argomento ha prodotto
(cfr. ad esempio Hockett 1958; Malkiel 1959; Katz e Postal
1963; Chafe 1968; Weinrich 1969; Fraser 1970; Makkai 1972;
Stressler 1982), ma risulta evidente che nel corso del tempo sono
stati proposti diversi modelli di classificazione degli idioms. È
possibile, tuttavia, fornire una definizione che me riassume i
tratti fondamentali e che risulta peraltro funzionale ai nostri fini
glottodidattici: per espressione idiomatica si intende una locu-
zione polilessicale il cui significato non deriva dalla somma dei
significati dei suoi componenti e la cui struttura possiede un
certo grado di flessibilità o cristallizzazione.

6.3. La comprensione delle forme idiomatiche in L1

Gli studi in ambito psicolinguistico sullo sviluppo del linguaggio


nel bambino hanno spesso offerto fondamentali spunti di rifles-
sione nel campo dell’educazione linguistica. Anche per quanto
concerne il linguaggio figurato e l’apprendimento linguistico nel
bambino esiste un’ampia bibliografia che può indicare alcuni
percorsi di ricerca al fine di stabilire eventuali possibili paralle-
lismi con l’apprendimento delle espressioni idiomatiche in L2.
Ne diamo alcuni cenni nel presente paragrafo considerando so-
prattutto i lavori di Levorato (1993), Cacciari e Levorato (1989),
Levorato e Cacciari (1992).
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 207

Con la definizione figurative competence Levorato (1993) de-


finisce l’abilità di comprensione e produzione di metafore, forme
idiomatiche e, più in generale, l'uso figurato e traslato del lin-
guaggio supportato dallo sviluppo di una consapevolezza meta-
linguistica, che consente di comprendere cosa l'interlocutore vo-
glia trasmettere realmente, quale sia la vera intenzione comuni-
cativa al di là di quanto viene letteralmente espresso. E interes-
sante, sotto il profilo glottodidattico, osservare come il bambino
acquisisce la figurative competence per ricavarne delle implica-
zioni metodologiche sul piano glottodidattico.
Nello sviluppo linguistico-cognitivo del bambino la compe-
tenza per il linguaggio figurato cresce attraverso un processo gra-
duale di acquisizione che si accompagna parallelamente allo svi-
luppo dei processi cognitivi cha stanno alla base delle strategie
di comprensione. La capacità di cogliere il significato traslato di
quanto viene detto e di porre tale significato in una relazione se-
mantica coerente con il testo ed il contesto implica una serie di
abilità linguistiche e metalinguistiche che il bambino sviluppa
fino a conformare la competenza necessaria non solo a ricono-
scere espressioni che possiedono un evidente grado di idiomati-
cità e di convenzionalità (come le espressioni idiomatiche, i pro-
verbi, alcuni usi formulaici, espressioni cristallizzate o routiniz-
zate della lingua), ma che sta anche alla base della comprensione
di sfumature più complesse, come ad esempio gli aspetti ironici
o le implicazioni emotive. Grazie a tale competenza il bambino
è in grado di riconoscere il valore figurativo e traslato di espres-
sioni e locuzioni non perché queste possiedano una valenza figu-
rativa di per sé, ma in quanto egli è in grado di assumerle in re-
lazione all'enunciato. Secondo Levorato (1993: 104) la compe-
tenza per il linguaggio figurato è il frutto di una serie di abilità
linguistiche gradualmente acquisite:
̶ the gradual broadening of word meaning, its position in a
given semantic domain, and its paradigmatic and sintagmatic
relations;
̶ the ability to understand the dominant, peripheral and polise-
mous meaning of a word, and also the ability to perceive the
208 Parole nella mente, parole per parlare

relationship between a given meaning and the figurative


meaning;
̶ the ability to suspend a purely referential strategy;
̶ the ability to understand the figurative uses of a word and the
relationship between the literal meaning and the figurative
meaning;
̶ the ability to process large amounts of language, such as a
text or a dialogue sequence, in order to identify the meaning
of ambiguous or unknown expressions;
̶ the ability to use figurative language productively in the cre-
ation of new figures of speech by means of the lexical and
syntactic transformation of preexisting figures of speech.
Il processo di formazione della competenza per il linguaggio fi-
gurato ha inizio verso i 4-5 anni (Ackerman 1982; Levorato e
Cacciari 1992) e si sviluppa successivamente attraverso un per-
corso articolato in cinque diversi livelli. Dopo una prima fase in
cui l'oggetto e la parola che lo definisce non sono separati e co-
stituiscono una entità unica (livello 0), il bambino inizia a sepa-
rare la parola dal referente ponendo in relazione un nome ad un
significato, iniziando dunque a sviluppare la funzione simbolica
del linguaggio, che consente le prime fasi di elaborazione del si-
stema concettuale. In questa prima fase le strategie di compren-
sione dell'enunciato sono limitate all'analisi letterale. Nella se-
conda fase, verso i 7-8 anni, il bambino è in grado di compiere
un ulteriore passo fondamentale. Egli è ora in grado di abbando-
nare l'analisi strettamente referenziale e letterale del testo (su-
spended literalness) iniziando a sfruttare le strategie inferenziali
per arrivare ad una comprensione coerente del testo. Si tratta di
un passaggio cruciale in cui gioca un ruolo fondamentale la com-
ponente semantica. E infatti grazie all'iniziale sviluppo dell'abi-
lità di comprensione a livello semantico che il bambino è in
grado di costruire un significato coerente del testo sfruttando le
informazioni inferenziali in esso contenute senza ricorrere all'a-
nalisi letterale. La terza fase, verso i 9-10 anni, corrisponde alla
scoperta e alla conseguente consapevolezza che una frase può
non avere necessariamente o obbligatoriamente un significato
letterale, ma che quest'ultimo è solo un'opzione possibile rispetto
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 209

alla costruzione coerente del significato del testo. E il passaggio


fondamentale ed il presupposto necessario verso la compren-
sione delle forme idiomatiche. Da un lato in questa fase l'atten-
zione si concentra più sul contenuto che sulla forma, focalizzan-
dosi più sulla ricerca del significato che sulla stretta denotazione
del significante, dall'altro il linguaggio figurato diviene un'op-
zione per raggiungere i propri obiettivi comunicativi e compren-
dere le intenzioni comunicative dell'interlocutore:

With the awareness of nonliteral language possibilities, meaning has


become such a crucial element for communication that it detaches itself
from the significant, which only serves as an aid in the search of mean-
ing. To this is added the realization that the communicative intentions
of the speaker are what count and that the speaker is free to use any
means he or she wishes to express those intentions (Levorato 1993:
121).

Nella quarta fase il bambino è in grado di riconoscere ed utiliz-


zare espressioni idiomatiche, ma gioca ora un ruolo fondamen-
tale il grado di familiarità. Osserva ancora Levorato: The acqui-
sition of the idioms depends on the extent to which they are en-
countered in appropriate contexts (1993: 121). Inoltre, in questa
fase, il bambino utilizza le forme idiomatiche come unità lessi-
cali fisse assumendole in modo olistico, senza riflettere sulle
parti che le compongono. La consapevolezza metalinguistica è
raggiunta infatti solo nella quinta fase, nella quale compare la
capacità di interpretare il significato dell'espressione idiomatica
sulla base delle conoscenze acquisite e dei processi di inferenza.
In questa fase il significato della forma idiomatica viene ricono-
sciuto sulla base degli elementi che la compongono e, grazie alle
conoscenze acquisite, è possibile attivare i processi di inferenza
che consentono una corretta interpretazione degli obiettivi comu-
nicativi. In sostanza, a questo livello il bambino è in grado di
elaborare il significato sia attraverso l'analisi dell'espressione
idiomatica per se stessa sia ricorrendo alle indicazioni conte-
stuali.
210 Parole nella mente, parole per parlare

At its most mature, this level represents the skills, as far as figurative
language is concerned, of a truly competent speaker. Regarding idio-
matic expressions, these skills can be described as follows: the ability
to break down an idiom into its component parts and to make semantic
inferences about these; the ability to comprehend idiomatic expressions
even when they have been subjected to lexical substitution or syntactic
and lexical variations; and the ability to generate new idioms by means
of syntactic and lexical variations on existing idioms (Levorato 1993:
123).

Possiamo dunque osservare che l'acquisizione del linguaggio fi-


gurato avviene gradualmente attraverso un percorso distribuito
su vari livelli; da una fase in cui esso ha una funzione totalmente
concreta e referenziale ad un'ultima fase in cui esso, grazie al
consolidamento della competenza metalinguistica, si arricchisce
di tutte le sfumature connotative relative al contesto, alle fun-
zioni socio-pragmatiche e agli intenti comunicativi dei parlanti.
Ovviamente i livelli descritti non devono intendersi in modo ri-
gido. Vi possono essere infatti variabili soggettive di tipo cogni-
tivo e variabili riconducibili agli aspetti morfosintattici degli
idioms in oggetto che possono intervenire determinando altera-
zioni nei tempi di acquisizione. Inoltre, un ruolo importante è
svolto dagli aspetti semantici e dalla tipologia di idioms. I bam-
bini sembrano comprendere più facilmente espressioni idiomati-
che che si riferiscono ad azioni concrete piuttosto che a stati d'a-
nimo ed emozioni e tra queste ultime è più facile l'acquisizione
di espressioni che si riferiscono a emozioni primarie (ad esempio
rabbia, gioia, disgusto, paura) piuttosto che emozioni riconduci-
bili a stati d'animo complessi quali vergogna, tristezza, ecc. che
appartengono alle emozioni secondarie ed implicano un maggior
coinvolgimento dei processi cognitivi. Sotto il profilo glottodi-
dattico le modalità di apprendimento delle espressioni idiomati-
che nella lingua madre suggeriscono alcune riflessioni. In primo
luogo, è evidente che, nell'ambito dell'insegnamento delle lingue
straniere a bambini, è opportuno evitare di presentare forme idio-
matiche in età in cui non si è ancora consolidata la competenza
metalinguistica in grado di supportare la comprensione e l'uso
del linguaggio figurato.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 211

In secondo luogo, si è osservato come proprio la competenza


metalinguistica da un lato e le conoscenze pregresse dall'altro,
caratterizzino la fase più matura nella comprensione degli
idioms. Questi, infatti, possono essere utilizzati secondo le loro
caratteristiche di maggiore o minore flessibilità all'interno di
contesti comunicativi di diversa natura e non solo assunti come
semplici unità lessicali fisse a cui viene attribuito un significato
predefinito. Ad esempio, l'espressione essere in gamba può avere
significati diversi in base al contesto. Nell'espressione conosco
un idraulico in gamba si fa riferimento alle competenze e alla
capacità in ambito lavorativo della persona, mentre nell'espres-
sione Marco è un tipo in gamba il significato si riferisce in modo
generico a qualità positive che possono spaziare dalla simpatia,
all'intelligenza, ecc. Da un punto di vista metodologico va dun-
que osservato come spesso, nelle rare attività dedicate alle
espressioni idiomatiche, si tenda a trascurare gli aspetti metalin-
guistici e semantici privilegiando la presentazione di idioms de-
contestualizzati con una semplice parafrasi a fianco, o messi a
confronto con una forma idiomatica corrispondente nella lingua
madre dell'allievo, quando ciò è possibile, anche se la sfera con-
notativa può risultare sostanzialmente diversa. Sarebbe invece
più opportuno presentare le forme idiomatiche in diversi contesti
significativi al fine di sviluppare negli allievi la competenza me-
talinguistica necessaria a far diventare tali espressioni patrimo-
nio del lessico produttivo e non solo ricettivo.

6.4. Livelli di idiomaticità

D'abitudine un'espressione idiomatica viene definita come una


frase il cui significato non è dato dalla somma dei significati
delle parole che la compongono. Espressioni come essere al
verde o essere in gamba non significherebbero nulla se consi-
derate sulla base dei significati dei loro componenti, mentre in-
vece rimandano ad un significato traslato condiviso all'interno
della comunità linguistica italiana. Nel lessico di una lingua,
212 Parole nella mente, parole per parlare

tuttavia, esistono diverse tipologie di unità lessicali più o meno


fisse a cui corrisponde un grado diverso di idiomaticità. E il
caso dei molti morfemi cristallizzati che non risultano da una
libera combinazione, ma sono già presenti nella lingua e si com-
portano come singole unità di significato. Si tratta delle unità
lessicali che Martinet (1971) ha denominato sintemi in opposi-
zione ai sintagmi la cui combinazione è frutto della scelta del
parlante. Diversi gradi di idiomaticità sono presenti nelle collo-
cazioni (vedi paragrafo 3.2.), unità lessicali in cui ad un termine
A corrisponde un termine B in modo lessicalmente determinato.
Il fatto che si dica in italiano un maglione marrone, ma non si
possa dire un maglione castano dipende da caratteristiche se-
mantico-lessicali consolidatesi con l'uso all'interno della comu-
nità linguistica. Spesso le restrizioni lessicali presenti nelle col-
locazioni non sono così strette come nelle espressioni idiomati-
che e consentono un certo grado di sostituzione. Nell'espres-
sione patire la fame è possibile sostituire il verbo patire con
soffrire senza alterare il significato della frase (cfr. Beccaria
1994: 149). Inoltre, diversamente dalle espressioni idiomatiche,
i termini che costituiscono una collocazione mantengono lo
stesso significato anche quando essi vengono assunti al di fuori
dalla collocazione stessa. Vi sono poi varie espressioni routi-
nizzate nel linguaggio che possiedono una certa valenza idio-
matica. Come abbiamo osservato nel capitolo dedicato al Lexi-
cal approach si tratta di chunks lessicali che Lewis (1993) de-
finisce istitutionalised utterances e sentence frames or heads.
Si tratta in sostanza di: «all those chunks of language that are
recalled as wholes and of which much conversation is made»
(Lewis 1997a: 257).
A queste si potrebbero aggiungere tutte le routine linguisti-
che corrispondenti alle espressioni sociali che esprimono rin-
graziamento, scuse, rifiuto, accettazione, consiglio, ecc. Non è
questa la sede per una descrizione dettagliata di questo specifico
corpus lessicale che, tuttavia, presenta spesso forme di idioma-
ticità. Il lessico dunque è costituito da parole singole e da unità
lessicali complesse che hanno origine nella tendenza delle pa-
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 213

role a formare delle co-occorrenze che nel tempo tendono a les-


sicalizzarsi con un diverso grado di variabilità e di idiomaticità.
Ciò implica, come osserva Fernando (1996: 38):

1. The formation of pure idioms, semi-idioms, or literal idioms showing


resistance in varying degrees to internal lexical substitutions and func-
tioning, therefore, as single lexical units even though such units are
multiword expressions: compounds, phrases, semi-clauses, and
clauses; 2. non-literalness as a result of pure idioms Iosing the meaning
of their constituent words over time and so having an external meaning
imposed on the unit as a whole, or in the case of semi-idioms certain of
their words developing specialised subsenses in restricted contexts.

6.5. Aspetti psicolinguistici delle espressioni idiomatiche

̶ Cristallizzazione e flessibilità

La peculiare coesione interna delle espressioni idiomatiche con-


sente un certo grado di flessibilità lessicale e sintattica che può
avvenire principalmente con l'inserimento o la sostituzione di un
termine oppure con variazioni sintattiche. A volte è possibile, ad
esempio, l'inserimento all'interno della frase di avverbi o agget-
tivi: si può dire Francesca si è tolta un grande peso dallo sto-
maco, mentre nell'espressione tirare la pesante carretta l'agget-
tivo pesante priverebbe la frase della sua idiomaticità (cfr. Cac-
ciari 1989). Allo stesso modo l'espressione fare quattro passi
consente la variazione fare due passi, ma la sostituzione di qual-
siasi altro numero al posto di due o quattro farebbe perdere il
significato idiomatico alla frase. L'espressione mettere le carte
in tavola consente la forma passiva (le carte sono state messe in
tavola), mentre altre espressioni completamente fisse non lo
consentono. Esistono dunque espressioni idiomatiche assoluta-
mente congelate, che non accettano alcun tipo di modificazione
al loro interno, ed altre più elastiche che in diverso grado con-
sentono alcune variazioni. Fraser (1970), analizzando le possi-
bili modificazioni sintattiche delle espressioni idiomatiche in
ambito generativista, propone una suddivisione in sei livelli, da
214 Parole nella mente, parole per parlare

un grado zero, costituito da espressioni immodificabili (comple-


tely frozen), ad un livello in cui non sono presenti restrizioni:
0. Completely frozen
1. Adjunction
2. Insertion
3. Permutation
4. Extraction
5. Reconstitution
6. Unrestricted

̶ Opacità e trasparenza

Le espressioni idiomatiche sono inoltre caratterizzate da vari


gradi di opacità semantica, che ne determina il livello di idioma-
ticità e le differenzia dalle espressioni letterali, semanticamente
trasparenti. Vi sono espressioni parzialmente opache come i bi-
nomi irreversibili (presto detto, sotto sopra, ecc.) o locuzioni
complesse (suo malgrado) fino a espressioni totalmente opache
(essere al verde, essere in gamba). Il grado di opacità o traspa-
renza, unito a quello di cristallizzazione o flessibilità, dà luogo
ad un continuum in cui si dispongono le varie espressioni. Tut-
tavia, è interessante notare che le espressioni con il maggior
grado di opacità sono anche le meno modificabili. Il grado di non
modificabilità e di cristallizzazione di un'espressione idiomatica
sarebbe, inoltre, da mettere in relazione con il tempo di conser-
vazione di tale espressione nella lingua. Quando una nuova
espressione ne entra a far parte essa possiede, secondo Cutler
(1982), una certa flessibilità sintattica che tende a scomparire
con il tempo rendendo l'espressione idiomatica sempre più cri-
stallizzata.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 215

6.6. La rappresentazione mentale delle espressioni idiomatiche

Il modo in cui le espressioni idiomatiche vengono rappresentate


nella mente è strettamente correlato al modo di comprenderle e
codificarle sulla base delle informazioni contestuali che le ac-
compagnano. Delle diverse ipotesi di rappresentazione delle
forme idiomatiche elaborate dalla psicolinguistica ne verranno
prese in considerazione quattro:
a) la lista idiomatica
b) la codifica simultanea
c) l'accesso diretto
d) la configurazione

6.6.1. La lista idiomatica

Questa ipotesi si basa sul presupposto che vi siano diverse mo-


dalità di elaborazione per le espressioni letterali e per quelle idio-
matiche. Secondo Bobrow e Bell (1973), queste ultime sarebbero
processate come unità lessicali, come singoli item depositati nel
lessico mentale in modo indipendente, in una lista di espressioni
idiomatiche separate dal resto del lessico. In base a questa teoria
bisognerebbe supporre che molte parole abbiano una doppia en-
trata lessicale, cioè che siano rappresentate nella memoria lessi-
cale tanto nel lessico normale quanto nella lista delle espressioni
idiomatiche. Inoltre, questo modello suggerisce che, in fase di
codifica, il soggetto che percepisce una frase idiomatica prima
tenti di processarla a livello letterale e solo dopo, di fronte al fal-
limento di tale tentativo, orienti la ricerca del significato verso la
parte specializzata del suo lessico mentale per trovare un'inter-
pretazione soddisfacente. Di conseguenza, l'elaborazione del si-
gnificato delle espressioni idiomatiche richiederebbe più tempo
di quelle letterali. L'ipotesi della lista idiomatica è stata in seguito
messa in discussione, tuttavia ha costituito un modello di base
per le successive ricerche.
216 Parole nella mente, parole per parlare

È comunque possibile che vi sia una diversa processazione per


le forme idiomatiche note e familiari e per quelle invece di scarsa
frequenza e poco conosciute. Le prime sarebbero effettivamente
immagazzinate direttamente nel lessico mentale, mentre le altre
sarebbero sottoposte a una computazione totale sia del parser
sintattico che del processore lessicale.

6.6.2. La codifica simultanea

L'ipotesi della codifica simultanea o rappresentazione lessicale


(Swinney, Cutler 1979) propone, diversamente dal modello pre-
cedente, una processazione parallela dell'analisi letterale e idio-
matica. Contrariamente all'ipotesi della lista idiomatica, la codi-
fica delle espressioni idiomatiche non richiederebbe maggior
tempo di quelle letterali, in quanto avrebbe luogo una elabora-
zione parallela. Inoltre, le forme idiomatiche sarebbero imma-
gazzinate come item lessicali normali all'interno del lessico men-
tale e non in una sua parte specifica. In tal modo, quando si ana-
lizza la prima parola di una frase, si attiverebbero sia il signifi-
cato letterale che quello figurato, ma la disambiguazione avver-
rebbe immediatamente in base al contesto.

6.6.3. L'accesso diretto

Secondo Gibbs (1980) il significato idiomatico viene recuperato


interamente dal lessico mentale fin dall'inizio della frase ed è co-
dificato più rapidamente di quello letterale. In base a questa ipo-
tesi, quindi, non solo i significati letterale e idiomatico non sa-
rebbero processati in parallelo, ma sarebbe proprio il significato
figurato ad imporsi sull'altro. Grazie al loro alto grado di conven-
zionalità d'uso, le espressioni idiomatiche sarebbero dunque co-
dificate più rapidamente. Questo modello rappresenta in sostanza
il rovesciamento dell'ipotesi della lista idiomatica.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 217

6.6.4. L'ipotesi della configurazione

Questo modello (Cacciari, Tabossi 1988; Cacciari, Glucksberg


1991) suscita particolare interesse. Le forme idiomatiche sareb-
bero collocate nel lessico mentale alla stessa stregua di versi e
titoli di poesie, canzoni, ecc. e il loro significato verrebbe asso-
ciato a configurazioni formate dalle stesse parole cui abbiamo
accesso normalmente nel corso della comprensione di una frase"
(Cacciari 1989: 430). Le frasi idiomatiche, dunque, non sareb-
bero raggruppate nel lessico mentale come singole unità lessicali,
pur possedendo un loro elemento centrale, un perno, una idioma-
tic key, costituita da un tratto semantico particolare o anche da
alcune specificità grammaticali. Esse vengono inizialmente co-
dificate ed analizzate come una frase qualsiasi attraverso un pro-
cesso di analisi letterale, ma quando compare l'elemento caratte-
rizzante, la idiomatic key, emerge la configurazione completa e
si attiva il significato idiomatico, che si impone su quello lette-
rale. Il tempo di elaborazione della frase idiomatica rispetto a
quella letterale non varia, quindi, in funzione della sua conven-
zionalità, ma in base alla collocazione della idiomatic key all'in-
terno della frase. Nella frase Gianni dice di essere al verde il
perno della frase è alla fine (verde), mentre nell'espressione Pie-
tro ha preso baracca e burattini e se n'è andato la idiomatic key,
costituita dall'assenza dell'articolo determinativo davanti ai due
nomi comuni, è all'inizio, per cui la configurazione si attiva su-
bito (se invece la frase fosse stata Pietro ha preso la baracca e i
burattini, la presenza dell'articolo avrebbe cancellato la valenza
idiomatica). Le forme idiomatiche vengono dunque codificate
con le stesse modalità di elaborazione linguistica delle altre con-
figurazioni di parole. La idiomatic key determina il momento in
cui un'espressione idiomatica diventa tale durante il processo di
ascolto o lettura. Vi è pertanto un elemento nell'espressione idio-
matica che determina la sua unicità, un point of idioms unique-
ness (Flores d'Arcais 1993). Nella lingua madre la conoscenza
del contesto e la familiarità con le forme idiomatiche ed il loro
uso pragmatico possono consentire la corretta interpretazione
dell'espressione anche quando la idiomatic key è collocata alla
218 Parole nella mente, parole per parlare

fine. In lingua straniera, invece, i tempi di riconoscimento si al-


lungano e di solito è necessario riconoscere l’elemento chiave
che determina l’unicità del significato idiomatico per poterne at-
tivare la rappresentazione corrispondente.

6.7. Tipologie di forme idiomatiche

Glucksberg (1993) individua due diverse categorie di forme idio-


matiche. La prima è costituita da espressioni il cui significato è
stabilito arbitrariamente, come attaccare un bottone, essere in
gamba, ingoiare il rospo. Si tratta di forme idiomatiche che ven-
gono assunte nella memoria semantica come singole unità lessi-
cali e in quanto tali recuperate. Sono forme che rientrano nel mo-
dello definito Direct look-up. Al modello composizionale (com-
positional) appartiene invece la seconda tipologia di espressioni
idiomatiche, le quali traggono origine da fatti storicamente acca-
duti, in seguito divenuti esemplari di determinate situazioni,
come una vittoria di Pirro o venire a Canossa. In questo caso si
tratta di espressioni che non differiscono nelle caratteristiche
composizionali, morfosintattiche e pragmatiche da quelle non
idiomatiche. Le due tipologie presentate comportano ovviamente
difficoltà di natura diversa sotto il profilo glottodidattico. Nel
primo caso sono gli elementi linguistici non composizionali a
creare difficoltà. Il significato di essere in gamba non può essere
desunto, infatti, dalla somma dei significati delle parole che com-
pongono questa espressione, per cui l'unica possibilità è che l'al-
lievo abbia avuto modo di memorizzarne il significato attraverso
attività didattiche e graduali esposizioni in contesti diversi. Nel
secondo caso, invece, deve essere noto il significato pragmatico
dell’espressione con il suo uso in contesto. Espressioni come una
vittoria di Pirro o venire a Canossa possono essere chiari da un
punto di vista composizionale, ma rimanere opachi in mancanza
della conoscenza del loro significato etimologico e di conse-
guenza del loro uso pragmatico. Un ulteriore caso è rappresen-
tato da espressioni idiomatiche anch’esse comprensibili sul piano
composizionale, ma con un significato traslato desumibile solo
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 219

in base al contesto, come prendere la porta o rompere il ghiac-


cio, per le quali esiste un significato letterale possibile ugual-
mente accettabile. Possiamo, infatti, prendere la porta e rimet-
terla al suo posto dopo averla riparata oppure rompere il ghiaccio
con un bastone camminando in montagna, ma, molto più fre-
quentemente, utilizziamo queste espressioni in modo idiomatico,
per indicare una persona in collera che se ne va senza salutare o
qualcuno che fa qualcosa per superare l'imbarazzo iniziale che si
crea in alcune situazioni d'interazione. Tuttavia, mentre nell'uso
letterale di tali espressioni è possibile sostituire alcune delle pa-
role con sinonimi (sollevare/spostare la porta, frantumare il
ghiaccio), nell'uso idiomatico non è ammessa altrettanta flessibi-
lità semantica e non sono consentiti cambiamenti nella composi-
zione della frase. Un altro tipo di classificazione delle espressioni
idiomatiche è stato proposto da Moon (1996: 72-73), il quale ne
descrive sette diverse categorie sulla base del contenuto seman-
tico. Ne proponiamo di seguito una versione adattata:
a) azioni (parlare a vanvera, prendere la porta, levare le tende,
ecc.);
b) avvenimenti (crollo in borsa, euforia delle borse, lancio sul
mercato, un tempo da lupi, una pioggia battente, ecc.).
c) situazioni (essere nei pasticci/in cattive acque, non avere la-
crime per piangere, ecc.);
d) persone (essere un casanova, un saltimbanco, un voltagab-
bana, un pagliaccio, ecc.);
e) paragoni (essere brutto come un debito, essere bianco come
uno strofinaccio/cencio, essere curioso come una scimmia,
ecc); valutazioni (avere il pollice verde, avere il bernoccolo
per la musica;
f) emozioni (verde dalla rabbia, vedere i sorci verdi, avere la
luna storta/di traverso, rosso dalla vergogna, perdere le
staffe, ecc.).
220 Parole nella mente, parole per parlare

6.8. Strategie per l’apprendimento delle liste idiomatiche

Le espressioni idiomatiche hanno raramente traduzioni corri-


spondenti nelle varie lingue e spesso il significato è reso da lo-
cuzioni molto diverse che non hanno nulla in comune con i loro
significati letterali. Ad esempio, l'espressione italiana mi prendi
in giro si traduce in inglese con you are pulling my leg, la cui
traduzione letterale "mi stai tirando la gamba" non ha per noi va-
lore idiomatico, mentre un modo di dire simile a quello inglese
esiste in francese, il m’a tenu une jambe, ma con un altro signi-
ficato, corrispondente all'italiano mi ha attaccato un bottone.
Come si può immaginare, dunque, l'accesso al significato di que-
ste espressioni così particolari e specifiche crea seri problemi
nell'ambito della 12, ma soprattutto in contesto di lingua stra-
niera, in cui lo studente non ha occasione di interagire con i par-
lanti nativi ed è esposto alla lingua per lo più nelle ore del corso.
L'apprendimento delle forme idiomatiche rappresenta, tuttavia,
un aspetto importante della competenza lessicale, sia per la per-
vasività con la quale ricorrono nel linguaggio quotidiano, sia per
la comprensione di alcuni aspetti culturali specifici che esse vei-
colano all'interno della lingua che le produce. Non si deve dun-
que pensare agli idioms come aspetti sofisticati o pittoreschi di
una lingua, i cui significati possono essere espressi in modo più
trasparente attraverso espressioni letterali, né, come abbiamo os-
servato in precedenza, devono essere considerati argomento di
studio marginale solo per i livelli più avanzati. In realtà, le
espressioni idiomatiche costituiscono una componente rilevante
del lessico e dovrebbero essere apprese fin dall'inizio del per-
corso di apprendimento, soprattutto quando quest'ultimo viene
inteso in funzione dello sviluppo della competenza comunicativa
dell'allievo in un'ottica plurilinguistica e multiculturale.

Idioms should play an important role in language teaching, even at el-


ementary and intermediate levels. This will particularly be the case in
courses aimed at adult learners anxious to increase their communicative
power rapidly (Lewis 1993: 99).
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 221

Ovviamente l'insegnamento delle espressioni idiomatiche deve


avvenire tenendo presenti le caratteristiche delle varie tipologie
di idioms, la loro frequenza ed il loro uso pragmatico nella co-
munità linguistica di riferimento. Fondamentali sono anche le ca-
ratteristiche di trasparenza e opacità che tali espressioni presen-
tano per gli allievi stranieri. Per esempio espressioni come essere
in gamba, prendere in giro, prendere una cotta sono più opache
e meno comprensibili di espressioni come fare il bello ed il cat-
tivo tempo, andare a gonfie vele, ecc. che possono essere più fa-
cilmente comprese sulla base del significato delle parole che le
compongono. Espressioni come restare a bocca aperta, sbarrare
gli occhi sono comprensibili perché sono facilmente rappresen-
tabili nella mente in quanto riproducono manifestazioni tipiche
di determinate emozioni. Altre espressioni ancora, come pren-
dere un granchio, alzare il gomito, ecc. possiedono un signifi-
cato letterale che in determinati contesti si sostituisce a quello
metaforico. In questo caso il contesto è fondamentale per com-
prenderne il significato figurato o meno. La presentazione delle
forme idiomatiche in contesti significativi è particolarmente im-
portante, perché è solo attraverso il contesto che se ne può di-
sambiguare il significato e si possono comprendere i confini, di
natura prettamente pragmatica, della loro idiomaticità, che non
si basa su regole morfosintattiche, ma su regole d'uso stabilitesi
nel tempo. Uno dei motivi per cui la glottodidattica ha scarsa-
mente riflettuto sulla natura, l'apprendimento e la metodologia
d'insegnamento degli idioms è certamente legato al fatto che le
espressioni idiomatiche trascendono la struttura logica del lin-
guaggio, che è sempre stata il centro d'interesse degli approcci
tradizionali, basati sull'acquisizione della competenza linguistica
anziché di quella comunicativa, ossia sull'analisi anziché sull'uso
socio-pragmatico della lingua. Eppure, come osserva Johnson-
Laird (1993) parliamo spesso per indovinelli che costruiamo ed
interpretiamo comunemente e non ci rendiamo conto delle loro
caratteristiche particolari, a meno che non abbiamo la ventura di
non essere di madrelingua. L'utilizzo di forme idiomatiche, inol-
tre, rappresenta una risorsa linguistica, perché ogni individuo
può esprimere con esse concetti già esistenti, ma può anche
222 Parole nella mente, parole per parlare

creare all'interno del proprio idioletto nuove rappresentazioni del


mondo, attraverso lo "scarto" semantico che fa sì che l'enunciato
sorprenda, stupisca, attragga l'attenzione. Johnson-Laird afferma
che "Idioms are the poetry of daily discourse" (1993: ix) e anche
per questa ragione la competenza lessicale non può prescindere
dagli aspetti idiomatici.
In ambito glottodidatico, come abbiamo osservato, le espres-
sioni idiomatiche compaiono generalmente in attività deconte-
stualizzate che, se possono essere utili per ricordarne il signifi-
cato, non aiutano in nessun modo a comprenderne l’uso e la con-
seguente rilevanza pragmatica. I testi didattici presentano di so-
lito liste di forme idiomatiche con traduzione a fianco; tecniche
di matching tra l'espressione idiomatica e la sua possibile defini-
zione; scelte multiple.
La tecnica di matching prevede che siano già note le espres-
sioni descritte, ma spesso accade che gli studenti non ne cono-
scano il significato o che le definizioni utilizzino un lessico più
difficile di quello delle forme idiomatiche presentate. Inoltre, le
espressioni idiomatiche possiedono un loro grado di grammati-
calità e di flessibilità sintattica, come ad esempio la coniugazione
dei verbi, mentre in queste attività decontestualizzate le espres-
sioni sono spesso presentate con il verbo all'infinito. Prendere
una cotta può diventare sia ho preso una cotta per… sia nella
forma riflessiva mi sono preso una cotta per, ecc. Questo tipo di
attività può servire al massimo in fase ricettiva, per riconoscere
le espressioni quando le si incontra successivamente in un con-
testo, ma non sono di grande utilità per lo sviluppo delle abilità
produttive. Gli studenti, infatti, se sono stati esposti solo a questo
genere di attività, difficilmente si avventureranno ad usare le
forme idiomatiche nelle abilità produttive, non conoscendone,
oltretutto, l'uso strategico in situazioni interattive. D'altronde, in
generale, se non si conosce il feedback che una certa frase può
ottenere dall’interlocutore si cerca di evitarla e di ricorrere a
espressioni di cui si è più sicuri. Nel caso delle scelte multiple
sussiste il problema della presentazione totalmente decontestua-
lizzata degli idioms. In genere esse si presentano con una defini-
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 223

zione e una serie di espressioni idiomatiche di cui una corri-


sponde al significato dell'espressione presentata nello stem dell'i-
tem. In generale che si può osservare che le tipiche tecniche og-
gettive di matrice strutturalista possono costituire attività di rin-
forzo, ma per sviluppare la figurative competence è molto più
utile ricorrere ad una metodologia fondata sul testo.

6.9. Criteri di scelta delle forme idiomatiche

È importante in sede glottodidattica stabilire dei criteri di scelta


delle forme idiomatiche da utilizzare in classe, perché le espres-
sioni idiomatiche di una lingua sono moltissime ed è necessario
un criterio di selezione che individui quelle più utili e quelle che
invece è possibile trascurare. Tale criterio può riguardare i se-
guenti aspetti:

Frequenza d'uso

Il primo criterio da osservare riguarda ovviamente la frequenza


d'uso delle espressioni idiomatiche. In mancanza di una lista di
frequenza la scelta soggettiva dell'insegnante sarà sicuramente
sufficiente. In italiano, ad esempio, menare il can per l'aia o sal-
tare/far saltare la mosca al naso sono meno frequenti di essere
in gamba, avere l'acqua alla gola, ecc.

Difficoltà del vocabolario interno

Oltre alla frequenza d'uso, è importante considerare se la frase


idiomatica possiede al suo interno vocaboli di bassa o rara fre-
quenza. Il modo di dire menare il can per l’aia presenta il verbo
non frequente menare e la parola aia che non è molto diffusa,
invece cadere dalle nuvole presenta un lessico di alta frequenza.
224 Parole nella mente, parole per parlare

Grado di trasparenza

Come abbiamo osservato, alcune espressioni sono semantica-


mente trasparenti, mentre altre possono essere capite solo se se
ne conosce il significato figurato. Per un parlante non italofono
le frasi essere in gamba o prendere in giro non sono trasparenti,
per cui egli deve conoscerne il significato figurato perché si attivi
il link con la loro rappresentazione, mentre le espressioni fare
piazza pulita o aprire le orecchie hanno un grado di trasparenza
maggiore ed il loro significato può essere più facilmente inferito
dal contesto ln cui compaiono.

Similarità nella lingua madre

Questa variabile funziona in classe ovviamente solo se gli allievi


sono tutti della stessa madrelingua e dunque può essere più utile
in contesti di lingua straniera che di lingua seconda. Nei casi in
cui vi sia corrispondenza tra lingue diverse il transfert può essere
positivo, per esempio: rompere il ghiaccio, romper el hielo,
break the ice, ecc., mentre non lo è nei casi in cui vi sia solo
somiglianza parziale o somiglianza letterale, ma totale diversità
del significato figurato. Sta di fatto che, in generale, gli allievi
nel momento in cui imparano il senso di una nuova espressione
idiomatica cercano immediatamente l'espressione corrispon-
dente nella loro lingua madre e questo può essere fonte di confu-
sione. Una volta stabiliti alcuni parametri di selezione delle
espressioni idiomatiche, è utile predisporre una griglia come la
seguente, in cui inserire assieme agli studenti un certo numero di
osservazioni.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 225

Tabella 6.1.
Fre- Fre- Trans- Ap- Defi- Les- Les-
quenza quenza fer pro- ni- sico sico
espres- lessico lingua pria- zione; ri- at-
sione interno madre tezza para- cet- tivo
for- frasi tivo
male;
regi-
stro
Espressione
1
Espressione
2
Griglia di osservazione delle espressioni idiomatiche.

Le espressioni idiomatiche che gli studenti incontrano nelle varie


attività didattiche o extra-didattiche, vengono riportate su un
quaderno e discusse in classe. Attraverso la griglia è possibile
creare un certo grado di consapevolezza metalinguistica che può
aiutare lo studente a decidere se utilizzare o meno tali espressioni
nelle sue interazioni. Nel caso di un'espressione di alta frequenza
sarà importante, inoltre, che lo studente ne conosca l'appropria-
tezza in base alla situazione e al registro più o meno formale della
lingua. Vi sono infatti espressioni che sono proprie del linguag-
gio familiare o colloquiale e meno utilizzabili nel linguaggio for-
male. Una volta stabilite alcune caratteristiche delle espressioni
idiomatiche e una loro possibile classificazione, è importante
analizzare le strategie alle quali gli studenti ricorrono con mag-
giore frequenza per comprendere i] significato sullabase delle in-
formazioni contenute nel contesto. È possibile suddividere tali
strategie in due tipologie: strategie preparatorie e strategie infe-
renziali (Cooper 1999). Le prime hanno principalmente il ruolo
di analizzare e consolidare le conoscenze parziali già in possesso
dello studente. Il soffermarsi nella ripetizione o il cercare di pa-
rafrasare l'espressione idiomatica possono aiutare a recuperare
eventuali informazioni già depositate nella memoria a lungo ter-
mine; si tratta di strategie volte a preparare le migliori condizioni
per l'attivazione dei processi inferenziali che caratterizzano le
strategie successive. Si osservi la seguente tabella riassuntiva:
226 Parole nella mente, parole per parlare

a) Strategie preparatorie
̶ ripetere o parafrasare l'espressione idiomatica senza tentare
un’interpretazione
̶ analizzare la forma idiomatica o il contesto in cui compare;
Elaborare una possibile parafrasi senza tentare di inferire il
significato;
̶ richiedere informazioni sulla forma idiomatica o sul suo
contesto.
b) Strategie inferenziali
̶ inferire il significato della forma idiomatica attraverso il
contesto;
̶ utilizzare il significato letterale della forma idiomatica come
chiave per comprenderne il significato figurato;
̶ utilizzare le conoscenze pregresse per ipotizzare il signifi-
cato dell'espressione idiomatica; riferirsi a espressioni idio-
matiche presenti nella LI per ipotizzare il significato dell'e-
spressione incontrata in LS.

Sulla base di alcuni esperimenti (Cooper 1999) l'inferenza del


significato dal contesto sembra essere la strategia favorita dagli
studenti (28%), seguita dall'analisi dell'espressione idiomatica e
del contesto in cui compare (24%). Infine, un 19% degli studenti
cerca di inferire il significato figurato dal significato letterale.
Come si può notate, l'uso di queste strategie ricopre il 71%
dell’intera gamma di strategie descritte. In effetti, gli studenti ri-
corrono solo raramente (8%) alla richiesta di informazioni per
facilitare il proprio compito di comprensione. Ciò può accadere
sia perché l’espressione idiomatica è di bassa frequenza e non
appartiene nemmeno al lessico passivo dello studente sia perché
anche il contesto presenta un lessico sconosciuto e non può for-
nire indicazioni utili. Casi di questo genere si verificano o
quando è stato disatteso il principio di i +1 proposto da Krashen
(1985) o quando il lessico sconosciuto supera la soglia del 5%,
indicata da Laufer (1989) come la soglia massima di parole
ignote consentita affinché il processo di inferenza sulla base del
contesto possa avere buon esito. La ripetizione e la parafrasi ven-
gono impiegate entrambe con un'incidenza del 7%. Sembrano in
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 227

effetti rappresentare solo un primo passo verso strategie più effi-


caci, mentre la possibilità di utilizzare l'uso delle conoscenze già
in possesso sembra una strategia più utile alla comprensione glo-
bale del testo e non tanto al contesto immediato in cui compare
l'espressione idiomatica. Il processo di comprensione, comun-
que, è sempre dinamico e gli studenti possono ricorrere a più
d'una delle strategie descritte, sicché i dati emersi dallo studio di
Cooper (1999) vanno presi soprattutto con valore orientativo.
Sulla base dei suggerimenti ricavabili da tali dati, tuttavia, l'inse-
gnante può predisporre attività di classe in grado di sviluppare
l'uso delle forme idiomatiche nella produzione e una maggior
metacompetenza sulla loro natura.

6.10. La metafora: premesse storiche

Nel linguaggio figurato ̶ che esprime in modo paradigmatico


l’essenza creativa del linguaggio stabilendo relazioni inedite tra
campi semantici ̶ si rivela il carattere cognitivo del linguaggio,
ovvero il suo ineluttabile essere strumento di conoscenza. Ciò
pone la centralità teoretica e pratica del linguaggio figurato
nell’educazione linguistica. In questo lavoro ci concentreremo
sull’analisi della metafora entro la prospettiva della linguistica
cognitiva. Ne descriveremo alcuni aspetti per giungere alle idee
che hanno portato agli sviluppi più moderni della teoria della me-
tafora – la cosiddetta teoria concettuale della metafora – utili per
comprendere il passaggio dalla considerazione della metafora
come fatto puramente linguistico e artificio retorico, prerogativa
del linguaggio poetico, alla concezione della metafora come stru-
mento del pensiero, in quanto intesa come struttura del sistema
concettuale che è alla base del nostro agire e pensare quotidiani.
Al di fuori dell’ambito di studi sulla metafora, essa è ancora
popolarmente considerata una figura retorica d’uso speciale, ov-
vero un artificio del linguaggio poetico che prevede la compara-
zione di una cosa a un’altra sulla base di una relazione di somi-
glianza: il primo termine della relazione viene a sostituirsi con
228 Parole nella mente, parole per parlare

quello della seconda cosa con cui è stato messo in relazione. Nel
trasferimento da un dominio semantico a un altro, la metafora
permette di compiere un passaggio dal noto, il luogo di partenza
e appartenenza semantica delle parole, all’ignoto, la meta di ar-
rivo, ovvero la nuova pertinenza semantica. Tale passaggio pro-
cura straniamento, suscita meraviglia – l’affezione che, come ci
insegna Aristotele, segna il cominciamento di ogni conoscenza –
e accende l’interpretazione (Ret III, 2, 10: 317).
Molta letteratura ha attribuito ad Aristotele una concezione
piuttosto classica della metafora secondo la quale quest’ultima
sarebbe sostanzialmente un fenomeno collocabile a livello della
singola espressione lessicale e si caratterizzerebbe come un espe-
diente ornamentale di carattere puramente stilistico e quindi
privo di apporto conoscitivo. In realtà, per quanto sia vero che
Aristotele abbia proposto, in una prospettiva classica, una con-
cezione che vede la metafora come la sostituzione di un nome
con un altro collocandola, dunque, al livello linguistico del
nome, egli tuttavia sottolineò – in modo innovativo – la dimen-
sione cognitiva della metafora distinguendola dall’ornamento.
La presentò, infatti, come uno degli strumenti attraverso cui si
realizza la conoscenza.
L’apprendimento suscita meraviglia e ciò che suscita meravi-
glia procura piacere e proprio tale effetto di piacere è, per Ari-
stotele, alla base del desiderio umano di conoscere. La metafora
ci permette – secondo Aristotele – di acquisire con facilità cono-
scenza dischiudendoci l’ignoto, ovvero un significato nuovo.
Pertanto, egli scrive che tutte le parole che «producono in noi un
apprendimento sono assai piacevoli». Fra tutte, quelle che deter-
minano questo effetto di piacere nel produrre conoscenza sono
«soprattutto le metafore», giacché le glosse sono incomprensibili
e le parole comuni le conosciamo già in quanto «consacrate
dall’uso» (Ret III, 10, 10-15: 340). Inoltre, rispetto alle similitu-
dini, le metafore sono in grado di procurare maggiore piacere in
quanto sono più brevi: non prevedono l’aggiunta del “come” pre-
sente nelle similitudini (Ret III, 11, 25: 349). La metafora,
quindi, per via della sua concisione, favorisce un apprendimento
rapido, facile e piacevole.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 229

Che la metafora sia principio vitale del linguaggio appare


chiaro con Ricoeur, il quale ha inteso la metafora come evento
del senso, come possibilità di ricreare sempre di nuovo il reale.
Ricoeur scrive che la metafora, «lungi dall’essere uno scarto nei
confronti del funzionamento ordinario del linguaggio», «è il
principio onnipotente di ogni suo spontaneo atteggiarsi». Essa è
«la forma costitutiva del linguaggio» (1975 [trad. it.: 107-108]).
A differenza di Aristotele, egli non intende la metafora come
semplice epifora del nome. Essa non è semplice operazione di
sostituzione in una prospettiva linguistica di denominazione, ma
è l’instaurarsi di una tensione tra due interpretazioni di un enun-
ciato: per Ricoeur, è un evento che si manifesta nel punto di in-
tersezione tra diversi campi semantici ed è il contesto delle rela-
zioni nell’enunciato a far sì che la metafora abbia lo statuto di
evento (cfr. ivi: 131). Essa non è una creazione dal nulla. È un
trascendersi del già detto nel dicibile: senza le aperture del si-
stema, senza il carattere polisemico delle parole, non sarebbe
possibile avere metafore. È un’innovazione semantica che
emerge estranea all’ordine del già detto: rivela l’autentico venire
al linguaggio del linguaggio, ha a che fare con il modo di essere
del linguaggio, con la sua costitutiva creatività, è la manifesta-
zione di questo modo.
A proposito di questa costitutiva creatività del linguaggio,
Coseriu (1956) ha argomentato a favore della metaforizzazione
come principio di formazione del linguaggio: egli ha evidenziato
come l’attività poetica dell’uomo sia costitutiva del linguaggio
in generale e non solo di quello letterario e sia pertanto essenziale
tanto alla formazione della lingua d’uso corrente quanto alle
creazioni linguistiche con usi più specifici, come ad esempio
quelle della scienza. Coseriu sostiene che la conoscenza per
l’uomo – che è un animale linguistico che conosce e categorizza
le proprie conoscenze nel linguaggio – è una conoscenza meta-
forica (1956: 15).
La riflessione ricoeuriana sulla metafora, rispetto alla compo-
nente classica della concezione aristotelica – che intende la me-
tafora come epifora del nome – compie una profonda revisione
230 Parole nella mente, parole per parlare

delle tesi classiche che vedono la metafora come un tropo riguar-


dante la denominazione, ancorata a un nome esteso per via di uno
slittamento del significato letterale. La semplice sostituzione di
un significato letterale con uno figurato prospettato dalle teorie
classiche non può bastare a spiegare il mutamento radicale a cui
la metafora dà vita: il significato letterale sostituito potrebbe es-
sere sempre ristabilito senza produrre alcuna innovazione seman-
tica.
Ricoeur mostra come la metafora non sia un semplice sposta-
mento del significato delle parole, bensì un fenomeno di predi-
cazione che si produce all’interno di un enunciato nel quale si
instaura una tensione tra tutti i termini. Non riguarda una singola
parola, ma l’intera frase e la tensione che si viene a creare è una
tensione tra interpretazioni contraddittorie: «la metafora non esi-
ste in se stessa, ma in un’interpretazione. L’interpretazione me-
taforica presuppone un’interpretazione che si autodistrugge.
L’operazione metaforica consiste nel trasformare una contraddi-
zione che si autodistrugge in una contraddizione piena di signi-
ficato» (1978: 149). Assistiamo a un movimento di torsione della
parola nell’enunciato: si avvicina così ciò che era distante. La
metafora non è un’immagine che genera senso, bensì è un senso
che genera immagine (Ricoeur 1975: 284), creando una meta-
morfosi che accresce la nostra conoscenza e i nostri modi di stare
al mondo.
La semantica a enciclopedia di Eco si instaura sul solco della
tradizione più moderna in cui si iscrive il pensiero di Ricoeur:
Eco (1984) ha evidenziato quanto fosse necessario pensare la
metafora entro la pragmatica del testo, ovvero quanto una seman-
tica a dizionario dicesse poco sulla metafora. Dire che in
un’espressione come lei è un giunco si applica «un trasferimento
di proprietà per cui la fanciulla acquista un sema “vegetale” o il
giunco ne acquista uno “umano”», secondo Eco, è dire «assai
poco su quanto avviene nell’interpretazione e nella produzione
di questo tropo» (1984: 177). La sua semantica a enciclopedia –
che propone una rappresentazione basata sul principio dell’inter-
pretazione illimitata nel quadro di una semiosi illimitata in cui
ogni segno può essere definito da altri che divengono definiendi
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 231

rispetto ad altri assunti come definienti (1975) – permette di co-


gliere il concetto di similarità fra proprietà e di comprendere il
meccanismo della metafora. Quest’ultima, Eco scrive, «non
mette in moto solo similarità, ma anche opposizioni» (1984:
178): dicendo lei è un giunco dico che lei e il giunco sono simili
nella forma – condividono la proprietà dell’essere snelli – ma
dico anche che sono opposti nella funzione giacché lei usa la sua
agilità al fine di spostarsi, di cambiare posizione, mentre il
giunco no.
Una semantica enciclopedica deve assumere «il formato di
una semantica causale che tenga in considerazione il Soggetto
Agente, l’Oggetto su cui l’agente esercita la propria azione, il
Contro-Agente che eventualmente vi si oppone, lo Strumento
usato dall’agente, il Proposito o lo scopo dell’azione, ecc.» che
si estenda anche ai sostantivi oltre che ai verbi (ivi: 178). Entro
tale prospettiva «si ha metafora quando sulla base di una identità
di metonimie (due proprietà uguali in due sememi diversi) si so-
stituisce un semema per l’altro» (ivi: 183) e la riuscita della me-
tafora dipende dal formato socioculturale dell’enciclopedia dei
parlanti che la interpretano (cfr. ivi: 195). Ciò implica che non
sia la conoscenza profonda del codice a permetterci di compren-
dere le metafore, bensì siano le metafore a permetterci di com-
prendere profondamente il codice illuminandone le specificità
culturali di riferimento. La metafora ci consente quindi di cono-
scere meglio il codice (l’enciclopedia) dei parlanti di una certa
comunità favorendo anche il dialogo interculturale. Questa va-
lenza cognitiva ci costringe, come sostiene Eco, a rinunciare a
«una definizione sintetica, immediata, bruciante» della metafora
(ivi: 198).
La concezione contemporanea giunge a inquadrare la meta-
fora come «un fenomeno essenzialmente cognitivo» in grado di
produrre «una diversa categorizzazione del mondo» (Manetti
2005: 27) in una prospettiva interazionale e con delle importanti
implicazioni nella comprensione reciproca e interculturale. Il
punto di svolta nella comprensione della dimensione cognitiva
della metafora è quello del superamento della visione della me-
232 Parole nella mente, parole per parlare

tafora come fatto puramente linguistico che fa leva sulla descri-


zione di similarità preesistenti. La metafora viene piuttosto intesa
come un fatto di pensiero e azione in grado di creare similarità.
Essa non è dunque diffusa solo nel linguaggio, bensì anche nei
nostri modi di vivere e pensare. Il nostro sistema concettuale –
che regola il nostro pensiero, il nostro agire e interagire quoti-
diani – è, come sostengono Lakoff e Johnson, largamente meta-
forico (trad. it. 1998: 21).
Il sistema dei nostri concetti è come una vecchia città con
strade che si incontrano e si incrociano, senza che sia possibile
individuare uno schema urbanistico preciso, univoco. Da queste
strade si dipanano una serie di nuovi sobborghi caratterizzati da
una rete stradale più ordinata, meno ingarbugliata (Wittgenstein
1953: § 71). Le strade della vecchia città sono le vecchie strutture
del linguaggio sulla base delle quali soltanto è possibile creare
nuovi percorsi linguistici. La struttura complessiva di questa città
è in continua crescita, non è delimitabile e ciò che oggi appare
maggiormente ordinato e univoco, sarà presto investito da cam-
biamenti, stratificazioni semantiche, polisemie che lo renderanno
un concetto aperto dai contorni sfumati. È inevitabile, infatti, che
il nostro linguaggio configuri sempre nuovi significati attraverso
la funzione poetico-metaforica che ci costituisce in quanto esseri
umani. In tal senso Wittgenstein dice: «chiediti se sia completo
il nostro linguaggio», se lo fosse per esempio prima dell’introdu-
zione della notazione del calcolo infinitesimale (ivi: § 18).
Possiamo dire che la formazione e la struttura dei nostri con-
cetti è essenzialmente metaforica. Quello che Lakoff e Johnson
sviluppano, entro la prospettiva di una linguistica cognitiva, a
proposito della metafora intesa come modalità in cui pensiamo,
viviamo e agiamo, si iscrive in un percorso del pensiero che
aveva intuito la centralità della metafora nella formazione del
linguaggio e del pensiero. Da questo punto di vista possiamo così
brevemente evocare alcuni passaggi cruciali della storia del pen-
siero.
Vico, ad esempio, ha descritto il linguaggio come una forma
di conoscenza e ha stabilito le origini prelogiche di esso: il lin-
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 233

guaggio, secondo Vico, non scaturisce da ragioni, bensì da intui-


zioni e fantasia. La logica che è a fondamento del linguaggio non
è una logica razionale, ma è la stessa logica creativa alla base del
mito e della poesia: una logica poetica. Quest’ultima precede la
logica stricto sensu. La metafora, per Vico, nasce dalla necessità
di esprimersi e la sua verità sta nell’esperienza umana particolare
che in essa trova espressione. Essa non è, dunque, un semplice
espediente stilistico. Vico ha avuto il merito di superare la vi-
sione della metafora come artificio stilistico che mente: egli l’ha
inquadrata come prodotto di quella logica poetica che sta a fon-
damento del linguaggio. Il pensiero di Vico si concentra tuttavia
sugli aspetti di genesi linguistica e non mette a fuoco la centralità
della metafora lungo tutta l’evoluzione del linguaggio e negli
svariati usi, anche quotidiani, di quest’ultimo.
Nietzsche, invece, è consapevole della natura metaforica dei
nostri concetti. Egli ha descritto come, per esigenze comunica-
tive, ogni parola sia subito destinata a farsi concetto in modo da
adattarsi a tutti i casi simili seppur mai uguali, per cui il grande
edificio dei concetti finisce col «mostrare la rigida regolarità di
un colombario romano e insuffla nella logica quel rigore e quella
freddezza che sono propri della matematica». In realtà, egli dice,
ogni concetto non è che «il residuo di una metafora» (1873: 176),
pertanto dietro la parvenza di un’identità, di un ordine pirami-
dale, si nascondono sempre trasposizioni, immagini, intuitive e
particolari.
Nietzsche descrive la costruzione concettuale dell’uomo
come una configurazione di ragnatele – tessiture complicate di
relazioni – così fini da poter essere portate con sé dall’onda, dal
mutamento, dal divenire del nostro concettualizzare, e così solide
da non sfilacciarsi sotto il soffio dei venti (ivi: 177), ovvero sta-
bili quanto basta per non essere smantellate, per non sfaldarsi
perdendo qualunque forma di ordine. Un ordine, infatti, è sempre
necessario per garantire una certa regolarità nel nostro pensare e
vivere che altrimenti si dissolverebbe nell’insicurezza, nell’in-
coerenza e nell’inquietudine: il nostro pensiero si articola in
schemi che scaturiscono, tuttavia, sempre da un metaforizzare
per cui non sono mai rigidi, con confini fissi.
234 Parole nella mente, parole per parlare

Un aspetto importante evidenziato da Nietzsche è la centralità


della metafora nella formazione del linguaggio. Egli oltrepassa
la visione delle convenzioni linguistiche come prodotti della ve-
rità, mostrando come la verità non solo non sia stata decisiva
nella genesi del linguaggio, ma sia essa stessa un’illusione di cui
si è dimenticata la natura illusoria: la verità, per Nietzsche, è una
metafora logorata che, dopo largo uso, è diventata assunzione
salda, vincolante, convenzionale, perdendo la sua presa sensibile.
Per cui l’uomo in realtà mente secondo una convenzione consue-
tudinaria accettata da tutti, mente usando metafore usuali e mente
nella misura in cui dimentica che il linguaggio non scaturisce
dalla logica (Nietzsche 1873: 174-175).
Nietzsche sostiene che la parola sia la riproduzione di uno sti-
molo nervoso in suoni e il concludere da questo stimolo nervoso
«a una causa fuori di noi è già il risultato di un’applicazione falsa
e ingiustificata del principio di ragione» (ivi: 172). Tale stimolo
nervoso è innanzitutto trasposto, come egli dice, in immagine e
questa trasposizione è una prima metafora. L’immagine viene
poi trasformata in un suono e questa trasformazione è per Nie-
tzsche una seconda metafora. E ogni volta, egli aggiunge, «vi è
un completo salto di sfera, con passaggio a una sfera del tutto
diversa e nuova» (ivi: 173). Pertanto, le relazioni degli uomini
con le cose si esprimono in un linguaggio che si genera sempre
metaforicamente. Le parole non contengono le essenze delle
cose: esse le nominano attraverso immagini e facendo ciò le tra-
spongono già e le trasformano: «noi crediamo di sapere qualcosa
delle cose stesse quando parliamo di alberi, colori, neve e fiori e
invece non possediamo altro che metafore delle cose che non
corrispondono alle essenze originarie» (ivi: 174).
La struttura metaforica del nostro relazionarci alle cose e ai
fatti del mondo e anche agli altri è intuita da Humboldt, il quale
vede in senso metaforico lo stesso rapporto tra uomo e mondo e
tra l’uomo e la lingua considerata un inter-mondo. La cono-
scenza umana, per Humboldt, si fonda sull’analogia: l’uomo co-
glie somiglianze ovunque rivolga lo sguardo e la sua relazione
con la lingua è di tipo analogico nella misura in cui egli riceve
con la lingua una rappresentazione, una visione, del mondo e
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 235

delle emozioni che a essa lo legano. Inoltre, l’attività della lingua


è una trasformazione del materiale già dato che presenta affinità,
parentele, con quanto di nuovo viene creato. Gli elementi che co-
stituiscono una lingua sono collegati gli uni agli altri e si confi-
gurano essi stessi metaforicamente come gli elementi di un orga-
nismo. Le parole non offrono mai gli oggetti, bensì sempre le
interpretazioni di questi, ovvero le formazioni concettuali create
spontaneamente in analogia con le intuizioni sensibili di essi.
I nostri concetti regolano e strutturano il nostro pensiero e il
nostro vivere strutturando quel che percepiamo e il modo in cui
ci rapportiamo agli altri secondo relazioni di tipo metaforico. La
modalità con cui noi ci relazioniamo al mondo e ai fatti che ci
circondano, più specificamente il modo in cui acquisiamo cono-
scenze, non è una somma analitica di ciò con cui veniamo in con-
tatto, bensì è una sintesi creativa, frutto della nostra capacità di
immaginare connessioni tra elementi anche estranei gli uni agli
altri.
La funzione poetico-metaforica essenziale al linguaggio e co-
stitutiva del modo di vivere dell’uomo, permette di acquisire in-
put, ovvero immagazzinare, organizzare e rievocare conoscenze,
attraverso reti di somiglianza tra i concetti. Questi ultimi si con-
figurano secondo quelle che Wittgenstein denomina “somi-
glianze di famiglia”: «vediamo una rete complicata di somi-
glianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda. Somi-
glianze in grande e in piccolo» (1953: § 66). Tali somiglianze
connettono i concetti in una rete flessibile, aperta, dipendente
dalle esperienze di vita di ciascun parlante: sono i tratti in co-
mune tra i membri di una stessa famiglia (Cardona 2010: 119ss.).
Le varie somiglianze, scrive Wittgenstein, «che sussistono tra
i membri di una famiglia si sovrappongono e si incrociano allo
stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli occhi,
modo di camminare, temperamento, ecc.» (Wittgenstein 1953: §
67). Nessuno di questi tratti comuni è tuttavia condiviso da tutti
i membri di una famiglia di concetti, per cui nessun concetto ha
i confini definiti, determinabili, una volta per tutte. Le somi-
glianze ricorrono qua e là all’interno della rete. Nessun concetto
236 Parole nella mente, parole per parlare

può essere definito in modo univoco, stringente, immutabile. Ciò


vale perfino per un concetto matematico come quello di numero.
Wittgenstein scrive infatti: «è vero che posso imporre rigidi
confini al concetto di numero, posso cioè usare la parola “nu-
mero” per designare un concetto rigidamente delimitato; ma
posso anche usarlo in modo che l’estensione del concetto non sia
racchiusa da alcun confine» (ivi: § 68). Per cui possiamo dire, in
contesti di spiegazione e apprendimento del concetto di numero,
che esso indica “la quantità di elementi in un insieme” o “il posto
di un elemento in una successione” circoscrivendo così i limiti
del concetto entro la definizione di “numero cardinale” con la
prima frase ed entro la definizione di “numero ordinale” con la
seconda. Ma possiamo anche dire “siamo solo un numero”, in un
contesto in cui si viene considerati non per ciò che ci caratterizza
e ci distingue come persona, ma per il solo fatto di essere parte
di un insieme; oppure “ho tutti i numeri per farcela” nel senso di
avere tutte le competenze, le qualità, per affrontare una sfida.
Questi sono esempi di come possa estendersi il concetto di nu-
mero al di là dei vincoli definitori che gli vengono assegnati in
campo matematico.
L’applicazione delle parole non è delimitata ovunque da re-
gole e così come non esiste una regola che ci dica fino a che al-
tezza è possibile alzare la palla quando si gioca a pallavolo o sta-
bilire quali e quante traiettorie si possono seguire quando si cal-
cia il pallone per battere un calcio di punizione, allo stesso modo
non esiste alcuna regola che ci dica quanto possiamo estendere
gli usi di un concetto ampliandone così il significato. Il linguag-
gio è in continua evoluzione così come sono in continua evolu-
zione i fatti del mondo, le nostre conoscenze, la concettualizza-
zione dei fenomeni che ci circondano, ci investono, ci cambiano.
È per questa ragione che, ad esempio, Gramsci – sostenendo
che il linguaggio è sempre metaforico «rispetto ai significati e al
contenuto ideologico che le parole hanno avuto nei precedenti
periodi di civiltà» (Quaderno 11: § 24) – scrive che è impossibile
«togliere al linguaggio i suoi significati metaforici ed estensivi».
Il linguaggio, infatti, così continua Gramsci,
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 237

si trasforma col trasformarsi di tutta la civiltà, per l’affiorare di nuove


classi alla coltura, per l’egemonia esercitata da una lingua nazionale
sulle altre ecc., e precisamente assume metaforicamente le parole delle
civiltà e culture precedenti. Nessuno oggi pensa che la parola «dis-
astro» sia legata all’astrologia e si ritiene indotto in errore sulle opinioni
di chi la usa; così anche un ateo può parlare di «dis-grazia» senza essere
ritenuto seguace della predestinazione ecc. Il nuovo significato «meta-
forico» si estende con l’estendersi della nuova cultura, che d’altronde
crea anche parole nuove di zecca e le assume in prestito da altre lingue
con un significato preciso, cioè senza l’alone estensivo che avevano
nella lingua originale (ibidem).

Gramsci ha il merito di intravedere una pervasività generativa


della metafora. Il linguaggio che siamo soliti parlare è intrinse-
camente metaforico in quanto ha alla base un meccanismo meta-
forico, qualcosa che prima di avere a che fare con il linguaggio
concerne – come avremo modo di vedere – l’organizzazione con-
cettuale delle nostre esperienze. Per quanto fosse stata già intra-
vista in passato la capacità della metafora di generare nuova co-
noscenza, quello che si è chiarito solo con la svolta della teoria
concettuale della metafora è che la metafora non è semplice-
mente un fatto di linguaggio, bensì è alla base dell’organizza-
zione del sistema concettuale che deriva dalle nostre esperienze.
238 Parole nella mente, parole per parlare

6.11. La competenza metaforica

«Metafore, diamine!».
«E cosa sarebbero?».
Il poeta posò una mano sulla spalla del ragazzo.
«Per spiegartelo più o meno confusamente, sono modi di dire una cosa para-
gonandola con un'altra».
«Mi faccia un esempio».
Neruda guardò l'orologio e sospirò.
«Be', quando dici che il cielo sta piangendo, cos'è che vuoi dire?».
«Semplice! Che sta piovendo, no?».
«Ebbene, questa è una metafora».
«E perché, se è una cosa così semplice, ha un nome così complicato?».
(Antonio Skarmeta: Il postino di Neruda)

È ovvio che chi fa metafore, letteralmente parlando, mente – e tutti lo


sanno
Umberto Eco: Metafora

La metafora è oggetto di studio in molte aree scientifiche. La ri-


flessione sulla natura e la funzione delle metafore è stata oggetto
di un interesse interdisciplinare forse unico nella storia della
scienza. Da più di duemila anni essa è stata oggetto di studio nei
più diversi ambiti della scienza, dagli studi di retorica e critica
letteraria, alla filosofia, alla linguistica, alla psicologia, alla psi-
colinguistica e, più recentemente alla neurolinguistica, all’antro-
pologia fino alla psicanalisi e la psichiatria. Nel corso dei secoli,
filosofi, poeti, letterati e linguisti hanno scritto su di essa, ora ap-
prezzandola, ora denigrandola, dandone di volta in volta diverse
interpretazioni e attribuendovi diverso valore. La teoria di Ari-
stotele descritta nella Poetica, in base alla quale la metafora è
una forma di paragone basato su un rapporto metonimico, per il
quale ad una cosa si attribuisce il nome che appartiene a qual-
cos’altro (Beccaria 1994: s. v. metafora) rimane ancora oggi un
punto di partenza per molti trattati sulla metafora. Secondo Ari-
stotele la metafora si basa su un processo di trasferimento di si-
gnificato che può avvenire da specie a specie, da genere a specie
o viceversa, per analogia, similitudine o sineddoche. Per Quinti-
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 239

liano la metafora consisteva semplicemente in un processo di so-


stituzione di un significato letterale. Per Aristotele come per
Quintiliano, e in generale per il mondo classico la metafora, con-
cepita come processo di comparazione o sostituzione, aveva so-
prattutto una funzione retorico-stilistica di pertinenza di poeti e
oratori, priva di un reale valore cognitivo.

6.11.1. Definire la metafora

All’inizio del suo testo Understending figurative language


(2001: 3) Sam Glucksberg riporta come aneddoto un divertente
episodio accaduto a Ray Gibbs, uno dei maggiori referenti
nell’ambito degli studi di psicolinguistica dedicati al linguaggio
figurato e alla metafora. All’aeroporto di Tel-Aviv la polizia
chiese allo studioso la ragione del suo viaggio in Israele. Gibbs
rispose che si trovava lì per dare conferenze sulla metafora. Tut-
tavia, alla domanda del poliziotto su cosa fosse la metafora, l’esi-
tazione manifestata nella risposta fu tale da suscitare la reazione
del poliziotto: “sta per dare una conferenza sulla metafora e non
sa che cosa sia?”. Gibbs fu liberato grazie all’intervento di un
professore dell’università di Tel-Aviv venutogli in soccorso.
Questo aneddoto indica come definire cosa sia una metafora non
sia compito facile. Da un lato si rischia una risposta troppo gene-
rica o approssimativa, dall’altro si può cadere nel rischio di of-
frire una definizione troppo parziale, sensibile all’ambito speci-
fico in cui la metafora viene assunta. Nella citazione del film di
Troisi, Il postino di Neruda, che abbiamo inserito in incipit di
questo paragrafo la metafora viene definita come la descrizione
di qualcosa nei termini di qualcos’altro, una specie di paragone
implicito in cui non è presente il come ad indicare la relazione
comparativa. Questa concezione ha costituito a lungo una delle
più frequenti definizioni di metafora. Nella seconda metà del se-
colo scorso si affermano, tuttavia, nuove teorie che alimentano
nuovi orizzonti nella ricerca scientifica e che assumono la meta-
fora non più come mero fatto linguistico, proprio del discorso
poetico e della retorica. Essa viene ora messa in relazione con il
pensiero umano e dunque, come osserva Black (1983), assume il
240 Parole nella mente, parole per parlare

ruolo, di strumento cognitivo. Da elemento stilistico la metafora


diviene un aspetto del pensiero, presenza costante nel linguaggio
quotidiano. Essa diviene elemento costitutivo del processo di or-
ganizzazione concettuale del mondo. L’uomo crea metafore per-
ché comprende e descrive la propria esperienza del mondo in ter-
mini metaforici, possiede quindi una competenza metaforiz-
zante.
La metafora non è una deviazione dalla norma semantica.
Essa non costituisce una trasgressione alle regole di condizione,
alla well-formedness conditions o, come osserva Cinque (1972),
una violazione delle presupposizioni. Le nuove teorie sulla me-
tafora a far tempo dagli anni Ottanta del secolo scorso, inducono
ad una nuova concezione in base alla quale non solo pensiamo,
ma viviamo e agiamo su basi concettuali metaforiche (Lakoff,
Johnson 1980). Osserva Umberto Eco:

Il discorso sulla metafora si muove attorno a due opzioni: a) il linguag-


gio è per sua natura, e originariamente, metaforico, il meccanismo della
metafora fonda l’attività linguistica e ogni regola o convenzione poste-
riore nasce per ridurre e disciplinare (e impoverire) la ricchezza meta-
forica che definisce l’uomo come animale simbolico; b): la lingua (e
ogni altro sistema semiotico) è meccanismo convenzionato retto da re-
gole, macchina provvisionale che dice quali frasi si possono generare e
quali no. E quali tra le generabili siano ‘buone’ o ‘corrette’, o dotate di
senso, e di questa macchina la metafora è un guasto, il sussulto, l’esito
inspiegabile e al tempo stesso il motore di rinnovamento (1984: 192).

La metafora dunque, non è un’anomalia semantica, ma il più alto


presupposto della creatività dell’uomo simbolico. D’altronde
nella Scienza Nuova, Giambattista Vico, come abbiamo osser-
vato, aveva descritto la metafora la più luminosa dei tropi:

Perché luminosa più necessaria e più spessa è la metafora, ch’allora è


vieppiù lodata quando alle cose insensate ella dà senso e passione, per
la metafisica sopra qui ragionata: ch’i primi poeti dieder a’ corpi l’es-
sere di sostanze animate, sol di tanto capaci di quanto essi potevano,
cioè di senso e di passione, e sì ne fecero le favole; talché ogni metafora
sì fatta vien ad essere una piccola favoletta (1977: 283).
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 241

La metafora è dunque la forma naturale e spontanea attraverso la


quale si esprime la logica poetica, ossia l’abilità innata di rap-
presentare l’esperienza del mondo attraverso la fantasia:

In cotal guisa si formò la lingua poetica per le nazioni, composta di


caratteri divini ed eroici, dappoi spiegati con parlari volgari, e final-
mente scritti con volgari caratteri. E nacque tutta da povertà di lingua e
necessità di spiegarsi; lo che si dimostra con essi primi lumi della poe-
tica locuzione che sono l’ipotiposi, l’immagini, le somiglianze, le com-
parazioni, le metafore, le circoscrizioni (ivi: 324).

6.11.2. Comparazione, anomalia, interazione

La metafora, a far tempo da Aristotele è stata dunque descritta


come una forma di comparazione. Nel tempo la letteratura l’ha
definita come un’anomalia (in ambito generativo-trasformazio-
nale), un errore denotativo rispetto alla struttura logica della frase
(Cacciari 1991), oppure una forma di interazione, in base alla
teoria interattiva di Black. A seconda della prospettiva discipli-
nare e in base ai diversi modelli di riferimento, la ricerca sulla
metafora offre sempre spunti di riflessione diversi. Non si è dun-
que pervenuti ad una teoria unica della metafora. Come osserva
Prandi (2007):

L’aspetto più interessante della metafora è che può essere di volta in


volta tutte queste realtà diverse: l’estensione del significato di una pa-
rola, un concetto condiviso, un sostituto, l’interpretazione di un con-
flitto concettuale. Non ci sono teorie sbagliate della metafora, ma solo
teorie parziali, tutte supportate da dati empirici, nessuna esaustiva, cioè
capace di giustificarli tutti.

La descrizione della metafora come analogia o somiglianza


ha avuto ampio riscontro nella letteratura. Il significato di una
metafora è il risultato dell'interazione tra due elementi (topic e
tenor; tenore e veicolo secondo la definizione di Richards, 19366)
in cui le proprietà di uno si estendono sull’altro.

6
Richards ha il merito di aver denominato le parti che costituiscono l’espressione
metaforica, i due pensieri attivi di cose differenti, attribuendo al soggetto principale la
242 Parole nella mente, parole per parlare

La sua carriera è al tramonto implica che il significato di fine, termine,


declino, conclusione inclusi nei possibili significati di tramonto ven-
gano attribuiti al tenore, ossia alla carriera. In questo caso la connota-
zine di dolcezza, calma o i colori del tramonto non potrebbero essere
attribuiti al tenore. Dunque, in questa prospettiva, la metafora nominale
A è B diviene A è B per certi aspetti, che rappresentano il significato
letterale dell'espressione (Gibbs 2006:152; cfr. Cardona 2019).

Se, tuttavia, prendiamo in considerazione l’espressione quel den-


tista è un cane allora il significato letterale di cane trasferito sul
tenore non svela il significato metaforico. È necessario conoscere
all'interno di una certa cultura i significati simbolici attribuiti
all’animale cane e stabilire quali di essi possono essere trasferiti
ad un essere umano. Se poi osserviamo espressioni come
quell'uomo è un serpente o la fila di macchine è un serpente, è
evidente bisogna ricorrere a più proprietà del veicolo che pos-
sano adattarsi al tenore. Nel primo caso verranno selezionate al-
cune caratteristiche del serpente (non necessariamente vere) che
nella nostra cultura definiscono determinati tratti negativi, nel se-
condo caso sono coinvolte le proprietà fisiche del serpente che si
associano alla rappresentazione di una lunga fila d’attesa.

For any given metaphor topic, only certain sorts of property attributions
would be context-appropriate, that is, interesting and/or relevant
(Gluksberg 2001: 53).

Se si assume la metafora come una forma di comparazione, è


evidente che il suo significato non è desumibile attraverso una
parafrasi letterale, ma piuttosto nelle proprietà condivise che ren-
dono possibile tale comparazione. Malgady e Johnson (1980)
hanno proposto un esempio: la rugiada è un velo, spesso citato
in letteratura, in cui i tratti semantici specifici di tenore e veicolo
vengono inseriti in un diagramma di Ven. L’ntersezione include
i tratti comuni che costituiscono il significato della metafora,

definizione di tenore (tenor o topic) e al predicato, al significato che si trasferisce sul


soggetto, la definizione di veicolo (vehicle). In altre teorie i due elementi sono stati defi-
niti frame e focus. L’introduzione di una terminologia condivisa rappresenta senza dubbio
un aspetto fondamentale, visto che spesso l’analisi sulla metafora ruota intorno ai diversi
modelli di interazione tra i due elementi costitutivi.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 243

mentre quelli che non rientrano nella possibile comparazione ne


rimangono esclusi.

Figura 6.1. FONTE: Malgady, Johnson 1980.

La comparazione presuppone, inoltre, che vi sia un grado di so-


miglianza preesistente alla metafora stessa, un fascio di associa-
zioni semantiche preesistenti che la metafora rivela. Tale somi-
glianza, tuttavia, può risiedere negli schemi concettuali, nell’or-
ganizzazione condivisa in una comunità linguistica di determi-
nati domini semantici e attribuzioni culturali (Ortony si riferisce
al concetto di schemata). Come osserva Cacciari (1991: 11),

la comunanza tra i termini della metafora può non provenire da una


zona di identità di attributi, bensì dalle nostre conoscenze generali sugli
eventi e sulle cose, sui domini semantici a cui appartengono, nonché
dalla percezione degli oggetti, dal rapporto con il modo in cui li imma-
giniamo e con altre modalità sensoriali.

La teoria della comparazione ha dunque dei limiti, che risiedono


nell’identificare la metafora come una forma di paragone basata
solo su una rigida forma di confronto tra tratti semantici. Tale
teoria non è in grado di fornire un modello omnicomprensivo del
processo metaforico.
244 Parole nella mente, parole per parlare

Tuttavia, come osserva Ortony:

the fact that metaphors are not to be identified with comparisons, how-
ever, does not means that the process of making comparisons is not of
the utmost importance in the comprehension of metaphor (1979: 189).

Anche se la comparazione svolge un ruolo importante nella com-


prensione del processo metaforico, è altresì vero che la natura
della somiglianza può non risiedere nel processo comparativo.
Nell’espressione metaforica Stefania è un blocco di ghiaccio
(Gibbs 2006) la similitudine tra il comportamento emotivo di
Stefania e un blocco di ghiaccio lascia di fatto intatta la metafora,
anche considerando letteralmente la relazione tra atteggiamento
e gelo. Cesare Pavese diceva che le ciliegie hanno gusto di cielo.
Come risolvere questa meravigliosa metafora attraverso un pro-
cesso di comparazione?

6.12. La metafora è un viaggio

Metaforicamente parlando potremmo dire che la metafora è un


viaggio nella mente. Un significato (il viaggiatore) sale su una
parola (il mezzo di trasporto) e lascia il suo dominio semantico
(il luogo di appartenenza) per recarsi (il trasferimento) presso un
altro dominio semantico (la meta di arrivo). D’altronde, Il ter-
mine metafora fonda la sua etimologia nel greco classico meta-
ferein, lemma formato dal prefisso meta (dopo, oltre) e dal verbo
ferein, trasportare, dunque trasferire, spostare. Ancora oggi, in
greco moderno, mezzo di trasporto si dice metaforicò mezo. La
metafora dunque è l’esito di un meraviglioso viaggio che un si-
gnificato intraprende dalla propria sfera semantico-concettuale
verso un altro dominio, arricchendolo, nell’incontro, di un nuovo
significato e di nuove possibili interpretazioni. Il lungo dibattito
e le tante teorie e modelli proposti sulla metafora nel corso dei
secoli hanno cercato, spesso da prospettive diverse, di compren-
dere la natura, il perché e la necessità di tale viaggio, la sua fun-
zione all’interno del linguaggio e del pensiero, il suo valore
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 245

nell’interazione pragmatica del discorso, la sua funzione cogni-


tiva nel comprendere, organizzare e definire l’esperienza che fac-
ciamo del mondo. Metafora come ricorso retorico-stilistico, me-
tafora come paragone, analogia, similitudine, anomalia; meta-
fora come strumento cognitivo, come esito della potenza meta-
forizzante dell’organizzarsi concettuale della conoscenza, meta-
fora universale o metafora come espressione specifica di una de-
terminata cultura… Eppure, come osserva Eco (1984: 142), «la
storia della discussione sulla metafora è la storia di una serie di
variazioni intorno a poche tautologie, forse una sola: “la meta-
fora è quell’artificio che permette di parlare metaforicamente».
La metafora si ritrova, tuttavia, al centro dell’irrisolto dibat-
tito su ciò che del linguaggio sia letterale e ciò che non lo sia,
sulla logica della sua struttura, sulla verità o falsità dell’asser-
zione metaforica: ma se vediamo dappertutto metafore che cosa
resta dei fatti? Così Flaubert faceva dire a un Pecuchet poco con-
vinto dalle troppe metafore presenti nella Genesi. Eppure il sole
sorge e si corica e continuerà a sorgere e a coricarsi. Dai tempi
di Copernico e Galileo sappiamo che è la terra a girare intorno al
sole e dunque chi dice il sole sorge scientificamente mente, ma
tutti lo sappiamo e ci teniamo cara questa metafora ontologica,
questa personificazione del sole che ci permette di comprendere
in termini dell’esperienza umana il fenomeno dell’alba e, per
estensione, della vita, quando appunto il sole nasce. Quel mera-
viglioso viaggio nella mente, la metafora, può essere descritto
perché possediamo un metalinguaggio per poterlo fare, perché
possediamo l’abilità metaforizzante necessaria per descrivere le
metafore. Se si affermasse un giorno la Neolingua descritta da
Orwell in 1984, in cui tutte le ambiguità e sfumature di signifi-
cato erano state completamente eliminate riducendo al minimo
la scelta delle parole nell’intento di diminuire le possibilità di
pensiero, allora non ci sarebbe una lingua sufficientemente me-
taforizzata e metaforizzante per definire quel viaggio nella mente
che ci aiuta a comprendere e categorizzare il mondo.
Nel corso dei secoli, filosofi, poeti, letterati e linguisti hanno
dedicato saggi alla metafora, ora apprezzandola, ora denigran-
dola. Nell’ambito dell’empirismo e del positivismo la metafora
246 Parole nella mente, parole per parlare

era un elemento che rendeva ambiguo il discorso, un inganno


linguistico incompatibile con il pensiero filosofico e nemico
della verità. Come osserva Cohen:

the works of many twentieth-century positivist philosophers and others


either state or imply that metaphors are frivolous and inessential, if not
dangerous and logically perverse, by denying to them 1) any capacity
to contain or transmit knowledge; 2) any direct connection with facts;
or 3) any genuine meaning (1980: 3).

Per altri filosofi, invece, come Nietzsche esprimersi per mezzo


di metafore avvicina la lingua alla sua espressione più vicina, più
giusta, più semplice (Nietzsche 2007: 99).
Gli esempi citati sono solo una minima testimonianza del di-
battito che nei secoli si è sviluppato sulla possibilità attraverso la
metafora di comunicare verità oggettive o se essa, per sua natura,
non possa farlo e costituisca allora una deviazione non desiderata
rispetto alla ricerca di verità assoluta del discorso filosofico. Il
dibattito in campo linguistico ha prodotto diversi modi di inten-
dere la metafora, come forma di comparazione, di anomalia se-
mantica o come interazione di idee nella mente ed infine come
strumento cognitivo e come concettualizzatore alla base del pen-
siero umano. In definitiva parlare di metafora significa affrontare
il dibattito sugli stessi principi costitutivi del linguaggio e del
pensiero umano. Come osserva Eco (1984) parlare di metafora
significa parlare «di simbolo, ideogramma, modello, archetipo,
sogno, desiderio, delirio, rito, mito, magia, creatività, paradigma,
icona, rappresentazione, nonché, è ovvio, di linguaggio, segno,
significato, senso» (1984: 191).
In questo breve contributo ci limiteremo a descrivere sinteti-
camente la metafora da un punto di vista cognitivo attraverso al-
cuni dei principali modelli proposti nel secolo scorso al fine di
individuare alcune implicazioni sul piano della linguistica edu-
cativa.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 247

6.13. La dimensione cognitiva

A partire dalla pubblicazione di Metaphor and Thought (1979) a


cura di Andrew Ortony, la ricerca sulla metafora viene affrontata
con un approccio multidisciplinare. Una seconda edizione (1993)
comprenderà ulteriori campi di ricerca, soprattutto nell’ambito
della psicolinguistica e successivamente della psico-neurolingui-
stica. Dagli anni Settanta inizia, dunque, ad affermarsi una con-
cezione che supera lo stretto ambito linguistico-letterario, inda-
gando la metafora sul piano cognitivo.

6.13.1. Richards e il “commercio di pensieri”

Le osservazioni di Richards (1936) rappresentano uno dei pas-


saggi fondamentali della letteratura sulla metafora. Aristotele,
nella Poetica, osservava che grandissima fra tutte le cose è la
padronanza della metafora, ma sosteneva anche che l’arte di
creare delle buone metafore è abilità di chi sa osservare le rasso-
miglianze e questo non è cosa di tutti. Tale arte, inoltre, non può
essere insegnata. Richards si oppone alla concezione aristotelica
di eccezionalità della metafora. Essa è parte del linguaggio
umano: «come individui raggiungiamo la nostra padronanza
della metafora nello stessissimo modo in cui impariamo qualsiasi
altra cosa che ci fa specificamente umani» (1936: 86). Richards
sottolinea l’ubiquità della metafora, la sua onnipresenza nel lin-
guaggio come tratto distintivo di esso:

che la metafora sia un principio onnipresente del linguaggio può essere


dimostrato sulla base della semplice osservazione. Non riusciamo a co-
struire nemmeno tre frasi del nostro discorso in modo spontaneo, senza
di essa (ibidem).
248 Parole nella mente, parole per parlare

Inoltre, egli propone una concezione interattiva del processo me-


taforico che rappresenterà un punto di partenza fondamentale per
molti modelli successivi:

Quando adoperiamo una metafora abbiamo due pensieri di cose diffe-


renti contemporaneamente attivi e sorretti da una singola parola o frase,
il cui significato risulta dalla loro interazione (ivi: 89).

La metafora dunque non è più intesa come fenomeno stretta-


mente linguistico, ma come una specificità del pensiero umano.
Essa rappresenta, come osserva lo stesso Richards, un commer-
cio di pensieri.
La relazione tra tenore e veicolo, definito ground, contiene,
inoltre, l’elemento di tensione (tension) che si produce nella me-
tafora in conseguenza alla relazione che si stabilisce tra i domini
concettuali assunti nel loro significato letterale. Come osserva
Ortony:

this theory, called the “tensive” view, emphasized the conceptual in-
compatibility, the “tension” between the terms (the topic and the vehi-
cle) in a metaphor (1993: 3).

Richards è stato il precursore dei moderni studi sulla metafora,


tuttavia, il suo approccio mette in evidenza nella tensione del
ground analogie o similitudini già esistenti. Dunque la metafora
non ha ancora assunto quel ruolo di creatività attraverso il quale
essa non rivela una comparazione già esistente, ma ne è l’origine.

6.13.2. La concezione interattiva di Black

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso Black elabora
la concezione interattiva della metafora. Egli sviluppa le intui-
zioni di Richards, distaccandosi ulteriormente dal tradizionale
modello di comparazione o sostituzione. La metafora per Black
non descrive una similarità già esistente, ma ne è l’origine. In
quanto tale, essa assume un ruolo creativo. Diviene uno stru-
mento cognitivo in grado di rappresentare nuove connessioni, le
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 249

quali iniziano ad esistere nel momento in cui le metafore le rive-


lano.
Black parte dal superamento di due concezioni della meta-
fora: la concezione sostitutiva, in base alla quale, per analogia, è
possibile sostituire un’espressione letterale con un’espressione
metaforica equivalente e la concezione comparativa che, come
abbiamo osservato, esprime la similitudine o l’analogia implicata
nel processo sostitutivo. Uno degli aspetti fondamentali del mo-
dello interattivo di Black risiede proprio nel superare il concetto
di metafora come espressione di rapporti semantici già esistenti,
considerando essa stessa lo strumento creativo di tali connes-
sioni.
Egli cita alcuni esempi come: il presidente si aprì faticosa-
mente un varco nella discussione oppure una semplice metafora
nominale come l’uomo è un lupo. Black preferisce basare, infatti,
la sua analisi su esempi di metafora semplici, tratti dal linguaggio
quotidiano, in cui non compaiano le difficoltà specifiche delle
metafore poetiche e letterarie. La metafora è il frutto di una ten-
sione tra due elementi costituenti che Black denomina focus e
cornice (frame). L’elemento focale della metafora si inserisce
all’interno di un determinato contesto. Dunque nell’esempio so-
pra citato, il presidente si aprì faticosamente un varco nella di-
scussione, aprire il varco rappresenta il focus dell’enunciato.
Black, inoltre, sostiene che il significato di un’espressione meta-
forica deve essere ricostruito dalle intenzioni di chi parla (1983:
47). Assume dunque importanza il contesto e le circostanze par-
ticolari in cui avviene l’interazione. In tale prospettiva la meta-
fora non è un fenomeno da analizzare sul piano sintattico, quanto
piuttosto sul piano semantico e soprattutto pragmatico, nel mo-
mento in cui il suo significato dipende dal contesto e dalle inten-
zioni comunicative del parlante.
250 Parole nella mente, parole per parlare

6.13.3. I sistemi attivi operanti

Uno degli aspetti centrali della teoria di Black è la concezione


interattiva. Tale rapporto dinamico è alla base della capacità
creativa della metafora. L’interazione ha la funzione di creare la
similarità, piuttosto che rappresentarne di già esistenti. Black,
dunque, approfondisce ulteriormente il concetto di interazione
già presente in Richards.
L’interazione nasce da due pensieri contemporaneamente at-
tivi ed operanti insieme (Black parla di illuminazione reciproca
o cooperazione). L’estensione del significato è dunque il frutto
dell’interazione tra i due domini concettuali attivi nella mente.
L’interlocutore ha un ruolo attivo, in quanto egli stesso crea le
connessioni che consentono la comprensione:

i loro creatori [di metafore] hanno bisogno della cooperazione di un


destinatario che si sforzi di percepire che cosa c’è dietro le parole usate
(1983: 112).

Il ruolo attivo dell’interlocutore nel costruire il significato


dell’asserzione metaforica implica un approccio alla metafora
non solo semantico, ma pragmatico. Inoltre, nel processo di in-
terazione dei due pensieri operanti insieme, l’espressione meta-
forica non è deviante rispetto al linguaggio letterale, né può es-
sere sostituita da un significato letterale equivalente, perché pos-
siede una forza creativa in grado di esprimere, ma anche di orga-
nizzare le idee. In certo modo Black sembra implicitamente an-
ticipare un presupposto fondamentale delle più recenti teorie
sulla metafora. Possiamo creare metafore perché il nostro uni-
verso concettuale può strutturarsi attraverso l’attività metaforiz-
zante della mente. In questo senso la metafora assume ora anche
un valore cognitivo (Cardona 2019).
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 251

6.13.4. Il sistema dei luoghi comuni associati

La possibilità di creare un’estensione del significato sulla base


dei sistemi operanti si basa su quello che Black definisce il si-
stema dei luoghi comuni associati. Prendiamo l’esempio sugge-
rito dallo stesso Black: l’uomo è un lupo (1983: 57). Per com-
prendere il significato metaforico di questa espressione, oltre al
significato denotato di lupo, è fondamentale l’insieme di conno-
tazioni che all’interno di una determinata cultura costituiscono
una rete di credenze e di opinioni condivise, un insieme di luoghi
comuni relativi che si associano al soggetto sussidiario, un si-
stema di implicazioni che attribuito al soggetto principale defini-
sce una certa idea (negativa in questo caso) dell’uomo. Tali luo-
ghi comuni possono anche distanziarsi dall’uso letterale o scien-
tifico, e al limite non essere veri, ma ciò che conta è che siano
condivisi all’interno di una determinata cultura:

la cosa importante per l’efficacia della metafora non è che i luoghi co-
muni siano veri, ma che siano prontamente e liberamente evocati. Pro-
prio per questo una metafora che funziona in una società, può sembrare
assurda in un’altra (1983: 58).

Per Black dunque la metafora non si basa tanto sul confronto tra
due significati lessicali, quanto piuttosto sull’interazione di due
domini semantici. Le metafore d’interazione richiedono l’uti-
lizzo di un sistema di implicazioni per selezionare, enfatizzare,
organizzare le relazioni tra i diversi domini.

Questo uso di un soggetto sussidiario per favorire l’intuizione di un


soggetto principale è un’operazione intellettuale specifica […] che ri-
chiede una percezione simultanea di entrambi i soggetti e non è riduci-
bile a nessun confronto tra i due (1983: 65).

È ovvio che nel momento in cui la rete di significati normalmente


associati alla parola lupo si proiettano sul soggetto principale, ne
determinano una nuova estensione connotativa che, tuttavia, ne
esclude necessariamente altre. In tal modo l’attività metaforiz-
zante dei sistemi operanti insieme attraverso il sistema dei luoghi
252 Parole nella mente, parole per parlare

comuni organizza l’idea che possediamo del soggetto principale


che viene percepito attraverso l’espressione metaforica.
Nel modello interattivo di Black la metafora è concepita come
un filtro, uno schermo attraverso cui possiamo rappresentare la
nostra esperienza del mondo. L’attività metaforizzante si basa sui
luoghi comuni associati, ma grazie alla sua forza creativa essa è
in grado di produrre un nuovo complesso di implicazioni.

Una metafora efficace ha il potere di mettere due domini separati in


relazione cognitiva ed emotiva usando il linguaggio direttamente ap-
propriato all’uno come una lente per vedere l’altro; le implicazioni, le
associazioni, i valori costitutivi intrecciati all’uso letterale dell’espres-
sione metaforica ci permettono di vedere un nuovo argomento in un
nuovo modo (1983: 87).

A conclusione di questa breve disamina della teoria interattiva di


Black si riportano in sintesi i punti salienti descritti dallo stesso
autore:
̶ un’asserzione metaforica ha due soggetti distinti, che identi-
fichiamo come soggetto primario e soggetto secondario;
̶ il soggetto secondario è da valutarsi più come un sistema che
come una cosa individuale;
̶ l’espressione metaforica funziona «proiettando» sul soggetto
primario un insieme di implicazioni associate, comprese nel
complesso di implicazioni che sono predicabili del soggetto
secondario;
̶ chi fa un’asserzione metaforica seleziona, mette in risalto,
sopprime e organizza i tratti del soggetto primario applicando
ad esso asserzioni isomorfiche con i membri del complesso di
implicazioni del soggetto secondario;
̶ nel contesto di una particolare asserzione metaforica, i due
soggetti interagiscono nel modo seguente: (i) la presenza del
soggetto primario incita l’ascoltatore a selezionare alcune
delle qualità proprie del soggetto secondario e (ii) lo invita a
costruire un «complesso di implicazioni» parallelo che possa
andar bene per il soggetto primario; e (iii) reciprocamente in-
duce dei cambiamenti paralleli nel soggetto secondario.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 253

Con Richards e Black dunque la metafora assume un nuovo sta-


tus. Essa infatti non è più considerata solo un fatto linguistico,
ma diviene uno strumento cognitivo necessario alla rappresenta-
zione della conoscenza. La metafora diviene una forma del pen-
siero. Il passo successivo si realizzerà negli anni Ottanta. Lakoff
e Johnson, infatti, avanzeranno, nel panorama della rivoluzione
cognitiva di quegli anni, una proposta destinata a rinnovare ulte-
riormente lo status della metafora. Da strumento cognitivo, essa
diviene il motore stesso, il fondamento dell’organizzazione con-
cettuale del pensiero e dell’agire umano.

6.14. Vivere e agire metaforicamente

Una delle pietre miliari per le attuali teorie sulla metafora è sicu-
ramente il volume Metaphor we live by (Metafora e vita quoti-
diana) di George Lakoff e Mark Johnson pubblicato nel 1980.
Gli autori propongono un ulteriore sviluppo dello statuto della
metafora, asserendo che l’intero nostro sistema concettuale è or-
ganizzato su base metaforica. Attraverso tale organizzazione del
pensiero non solo comprendiamo, ma viviamo, facciamo espe-
rienza e agiamo: l’essenza della metafora è comprendere e vivere
un tipo di cosa nei termini di un altro (Lakoff, Johnson 1998:
24). La struttura profonda del linguaggio che determina la com-
prensione semantica dell’enunciato è di natura metaforica e le
espressioni che utilizziamo nell’interagire quotidiano sono coe-
renti all’organizzazione metaforica che struttura concettual-
mente il nostro pensiero. Abbiamo dunque espressioni metafori-
che che si basano su metafore concettuali:

the word “metaphor” has come to be used differently in contemporary


metaphor research. It has come to mean “a cross-domain mapping in
the conceptual system.” The term “metaphorical expression” refers to
a linguistic expression (a word, phrase, or sentence) that is the surface
realization of such cross-domain mapping (this is what the word “met-
aphor” referred to in the old theory [Lakoff 1989: 203]).
254 Parole nella mente, parole per parlare

La concezione di un sistema metaforico organizzato e sistema-


tico in base al quale si struttura il nostro universo concettuale e
il linguaggio porta a riconsiderare la tradizionale distinzione tra
significato letterale e figurato. Come osserva Lakoff (1989: 204)
tale prospettiva confuta radicalmente alcune tradizionali assun-
zioni di base:
̶ il linguaggio quotidiano convenzionale è letterale e non me-
taforico;
̶ ogni argomento può essere compreso letteralmente, senza
metafore;
̶ solo il linguaggio letterale può essere contingentemente vero
o falso;
̶ ogni definizione nel lessico di una lingua e letterale, non me-
taforica;
̶ i concetti usati nella grammatica della lingua sono tutti lette-
rali; nessuno è metaforico.
Rifiutare tali asserzioni significa, di conseguenza, confutare la
teoria in base alla quale la comprensione a livello metaforico si
realizza una volta escluso un possibile significato letterale. Certo
un’esperienza fisica può essere interpretata letteralmente (il gatto
è sul divano), ma quando ci si riferisce a concetti astratti o a emo-
zioni la comprensione si sposta sul piano metaforico (cfr. Lakoff
2003).
Lakoff e Johnson (1980) hanno cercato di sistematizzare e de-
finire l’organizzazione del sistema concettuale attraverso la de-
scrizione di una serie di metafore concettuali basate sulle corri-
spondenze tra due domini, un dominio origine (terget-domain) e
un dominio oggetto (source-demain). Le corrispondenze proiet-
tate (mapping) del dominio oggetto sul dominio origine vengono
descritte secondo il modello TARGET DOMAIN AS SOURCE
DOMAIN oppure TARGET DOMAIN IS SOURCE DOMAIN
(Cardona 2019).
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 255

Si considerino alcuni esempi tratti dal linguaggio quotidiano


che si riferiscono allo stato di una relazione amorosa:

siamo arrivati ad un bivio,


le nostre strade di separano,
siamo in un vicolo cieco,
guarda quanta strada abbiamo fatto assieme,
siamo andati lontano,
siamo a una svolta,
siamo bloccati,
il nostro amore va a gonfie vele,
il nostro rapporto è naufragato (oppure è andato a picco),
non andiamo da nessuna parte,
non possiamo più tornare indietro, ecc.

Tali espressioni sono accettabili perché possono essere ricon-


dotte alla metafora concettuale L’AMORE È UN VIAGGIO. Le
corrispondenze tra i due domini si realizzano per mezzo delle se-
guenti proiezioni:

Tabella 6.2.
componenti della coppia viaggiatori
rapporto mezzo di trasporto
difficoltà (o meno) del rapporto Incidenti (o meno) di percorso
obiettivi raggiunti destinazione

La metafora concettuale L’AMORE È UN VIAGGIO ci con-


sente di parlare dell’amore nei termini del viaggio. Ci consente
di rappresentarlo e di descriverlo. La definizione L’AMORE È
UN VIAGGIO assume una forma proposizionale, ma in realtà
esprime un fascio di corrispondenze concettuali. Come osserva
Lakoff:

The LOVE-AS-JOURNEY mapping is a set of ontological correspond-


ences that characterize epistemic correspondences by mapping
knowledge about journeys onto knowledge about love. Such corre-
spondences permit us to reason about love using the knowledge we use
to reason about journeys (1993: 207).
256 Parole nella mente, parole per parlare

La metafora concettuale L’AMORE è UN VIAGGIO, va dunque


intesa come una proiezione ontologica tra due domini concettuali
in cui il dominio più concreto, il viaggio, ci consente di concet-
tualizzare il dominio più astratto, l’amore. Il viaggio diviene al-
lora uno dei possibili modi convenzionali per descrivere un rap-
porto di coppia che non contiene quindi nessun elemento poetico
o fantasioso. Parliamo della relazione d’amore come un viaggio
perché in quel modo lo rappresentiamo. Dunque quando ci espri-
miamo in modo coerente rispetto al concetto metaforico stiamo
parlando in modo letterale. Usiamo determinate espressioni me-
taforiche (enunciati metaforici) perché viviamo quella cosa attra-
verso la concettualizzazione metaforica che ne è alla base. L’esi-
stenza delle espressioni metaforiche linguistiche è la manifesta-
zione dell’esistenza del cross-domain mapping, della proiezione
di corrispondenze fra due domini nel nostro sistema concettuale
profondo. Così un breve periodo di separazione sarà descritto
come un incidente di percorso, ma potremmo anche incontrare
nuove metafore che sarebbero immediatamente comprese se coe-
renti con la metafora concettuale L’AMORE È UN VIAGGIO.
In tal caso esse diverrebbero perfettamente convenzionali e com-
prensibili.
Come si può osservare nella concezione di Lakoff e Johnson
vi è una importante differenza anche con il modello interattivo.
In esso infatti, il soggetto secondario (veicolo) funziona come un
“filtro” che permette di concepire in modo diverso, di modificare
il dominio del soggetto principale (tenore). Il soggetto principale,
quindi, viene “filtrato” attraverso le proprietà del veicolo trasfe-
rite sul soggetto principale. Tuttavia, tale concezione si basa su
una tensione tra il contesto dell’asserzione metaforica, la cornice
(frame) e il soggetto secondario che vi interagisce come ele-
mento eccezionale, inconsueto. L’elemento di tensione che si
crea in tal modo tra i due soggetti è secondo Black un elemento
intrinseco nella natura stessa della metafora.
Per Lakoff e Johnson, invece, le metafore si basano su una
rete coerente di metafore concettuali. La comprensione delle me-
tafore non si basa sulla soluzione del conflitto semantico interno
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 257

ad esse, ma si fonda sulla coerenza intrinseca alla loro organiz-


zazione concettuale e alla loro sistematicità. La concezione inno-
vativa di Lakoff e Johnson risiede proprio nell’analisi di tale si-
stematicità (Cardona 2019).

6.15. Metafora e concetti astratti

Grazie alla metafora possiamo comprendere concetti astratti at-


traverso una rete di concetti concreti che, in quanto tali, proiet-
tano sui primi le basi fisiche dell’esperienza cognitiva. Si veda
ad esempio il concetto di tempo e la metafora concettuale IL
TEMPO È DENARO. Il tempo è un concetto astratto, difficile
da definire. Tuttavia, è possibile individuare una serie di meta-
fore che consentono di esprimere un concetto astratto come il
tempo nei termini di concetti più rappresentabili nella nostra
esperienza sensoriale. Ad esempio, nella società occidentale
comprendiamo il concetto tempo attraverso una serie di metafore
concettuali come IL TEMPO È DENARO. Il tempo che abbiamo
a disposizione è limitato, dunque IL TEMPO È UNA RISORSA
LIMITATA. Come tutte le risorse limitate IL TEMPO È UNA
MERCE PREZIOSA a partire da queste metafore concettuali
possiamo comprendere espressioni linguistiche come ad esem-
pio:

Risparmiare tempo,
Investire il proprio tempo
La deviazione mi è costata due ore di tempo
Impiegare il tempo
Non sprecare tempo
Non ho abbastanza tempo
Non ho tempo da perdere (da buttare)
Non ho molto tempo da dedicare allo sport
Non vale il tempo che ci metti
Il tempo è esaurito
Il tempo disponibile
Concedere tempo
258 Parole nella mente, parole per parlare

Non in tutte le culture, tuttavia, il tempo possiede necessaria-


mente la stessa connotazione di IL TEMPO È DENARO. Il
tempo, inoltre, può essere definito in parte attraverso la metafora
strutturale IL TEMPO È DENARO, ma vi sono anche altre me-
tafore in base alle quali possiamo concettualizzarlo. Un esempio
tipico riguarda, ad esempio il processo di personificazione come
estensione di metafore ontologiche attraverso il quale una deter-
minata entità o sostanza assume caratteristiche e comportamenti
umani. Il tempo può essere concepito attraverso un processo di
personificazione. Il tempo, infatti, trascorre, passa, fugge (tem-
pus fugit), cura, è signore, aiuta, vola, è tiranno, scade, ecc. Pos-
siamo allora considerare la metafora IL TEMPO È UN OG-
GETTO CHE SI MUOVE. Di conseguenza il tempo assume un
certo orientamento una direzione avanti-dietro. Se pensiamo al
concetto vita come spazio definito, VITA COME CONTENI-
TORE, possiamo rappresentare i tempi come un’entità che si
sposta verso una certa direzione. Se pensiamo al tempo biologico
della vita umana il tempo ci accompagna. Esso procede in avanti
come avanza la vita, ossia da un punto originale verso il limite
della sua fine, la morte. In questo senso il tempo procede nella
direzione dietro-avanti. Tuttavia, possiamo anche immaginare il
tempo come un’entità immobile e siamo noi ad andare verso di
esso trascorrendo la vita, infatti avanziamo negli anni. inoltre, se
noi ci rappresentiamo nell’hic et nunc della nostra esperienza fi-
sica attuale possiamo percepire il tempo come un’entità che si
sposta in senso contrario. Noi andiamo verso il tempo e il tempo
viene verso di noi e attraversandoci diviene costantemente pas-
sato alle nostre spalle. Di conseguenza immaginiamo di cammi-
nare verso il futuro, che supponiamo davanti a noi, mentre il pas-
sato è dietro di noi. Il tempo è dunque concettualizzato in termini
di spazio.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 259

Questo tipo di metafore concettuali produce espressioni metafo-


riche quali:

guarda il futuro in faccia,


si avanza negli anni,
è avanti negli anni
la vita è adesso
non voltarti indietro
guarda avanti
lasciati queste cose alle spalle

La metafora IL TEMPO È UN OGGETTO CHE SI MUOVE si


basa sia sull’esperienza fisica che su una serie di presupposizioni
culturali specifiche. L’esperienza fisica davanti/dietro implica
una distinzione probabilmente presente in tutte le culture del
mondo. Tuttavia la sua concettualizzazione può esprimersi con
rappresentazioni diverse. Ad esempio, per le culture quechua e
aymara dell’altipiano andino, le metafore linguistiche che ab-
biamo portato come esempio non avrebbero lo stesso significato
o non potrebbero esistere, in quanto in quelle culture il passato è
concepito davanti a noi in quanto è noto, mentre il futuro è dietro
le spalle perché è sconosciuto. Questi esempi dimostrano come
l’esperienza fisica corporea, sensoriale e il mondo extra-lingui-
stico siano intrecciati con la dimensione culturale specifica di
una determinata comunità linguistica. Secondo Lakoff e John-
son, infatti:

Le assunzioni culturali, i valori, le attitudini non sono un rivestimento


concettuale che noi possiamo a nostra scelta sovrimporre o meno
all’esperienza. Sarebbe più corretto dire che tutta la nostra esperienza è
completamente culturale e che noi facciamo esperienza del nostro
“mondo” in modo tale che la nostra cultura è già presente persino
nell’esperienza stessa (Lakoff, Johnson 1980: 78).

La metafora, dunque, è coerente in quanto corrisponde all'uni-


verso concettuale profondo radicato (grounded) nell'esperienza.
In questa prospettiva Lakoff e Johnson escludono che vi possa
essere una verità totalmente oggettiva o soggettiva, ma piuttosto
260 Parole nella mente, parole per parlare

delle verità non riconducibili a uno solo di tali aspetti. La meta-


fora basata sull'esperienza implica una terza via rappresentata da
una razionalità immaginativa. L'alternativa esperienziale pone le
basi della comprensione della metafora sulla corrispondenza tra
essa e il sistema concettuale attraverso il quale comprendiamo le
situazioni:

abbiamo l’impressione che nessuna metafora posa essere compresa o


adeguatamente rappresentata prescindendo dalle sue connessioni con
l’esperienza (ivi: 38).

Un altro esempio delle proprietà interazionali tra esperienza per-


cettiva, sistema concettuale e comprensione della metafora è of-
ferto da un altro gruppo di metafore descritto da Lakoff e John-
son (1980), le metafore di orientamento, che riguardano l'orien-
tamento spaziale. Ogni soggetto possiede consapevolezza del
proprio corpo nello spazio. L’individuo fa esperienza del mondo
che lo circonda perché si percepisce altro dall'ambiente in cui in-
teragisce. Abbiamo dei confini fisici concettualizzati metaforica-
mente da IL CORPO È UN CONTENITORE. In tal modo inte-
ragiamo nell'ambiente fisico attraverso categorie non arbitrarie
come SU-GIÙ, DENTRO-FUORI, DAVANTI-DIETRO, PRO-
FONDO SUPERFICIALE, CENTRALE-PERIFERICO. Tali
categorie si radicano nell'esperienza fisica e servono da base per
un gran numero di metafore. Ad esempio, in uno stato di tri-
stezza, di sconforto, tendiamo a curvare le spalle o a guardare
verso il basso con il capo chino, diversamente da quando siamo
contenti. Quando siamo malati ci sdraiamo, se invece stiamo
bene la posizione è eretta. Di conseguenza, in base a tale espe-
rienza, possiamo concettualizzare la felicità, ciò che è positivo,
la salute e ciò che è buono come SU, mentre la tristezza, la ma-
linconia, la vergogna, la malattia e la morte sono GIÙ. Da ciò
derivano espressioni metaforiche come mi sento giù, oppure stai
su; tirati su. Per estensione ciò che è razionale o virtuoso è SU,
mentre ciò che è emotivo o irrazionale, ciò che non controlliamo
è GIÙ. Gli esempi sono moltissimi. Se consideriamo, ad esem-
pio, l'opposizione DENTRO-FUORI attraverso la metafora del
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 261

CONTENITORE possiamo creare moltissime metafore del tipo


essere in crisi o uscire dalla crisi; uscire da un brutto periodo;
entrare in una fase di difficoltà; essere in salute; uscire da una
malattia o entrare in coma; essere fuori tempo o essere in tempo.
Il concetto di SU/ GIÙ e DEL CONTENITORE assieme danno
vita a entità come fluidi che salgono e scendono; la rabbia sale
e la febbre scende; il conto in banca sale o (più spesso) scende.
Dunque il denaro può essere concepito come IL DENARO È UN
FLUIDO (un fiume di denaro) e dunque è possibile versare, riti-
rare, congelare il denaro.
Le metafore si basano su un’esperienza universale (tutti gli
uomini percepiscono le categorie SU/GIÙ, DENTRO/FUORI
ecc.), ma sono anche coerenti con i tratti specifici delle diverse
culture:

i valori più fondamentali in una data cultura saranno coerenti con la


struttura metaforica dei concetti più fondamentali di quella cultura
(1989: 41).

La metafora è oggi al centro delle più recenti riflessioni nell’am-


bito delle scienze cognitive. In particolare le nuove teorie
nell’ambito della linguistica e della psicologia cognitiva propon-
gono nuovi approcci volti a superare la dicotomia corpo/mente,
emozioni/ragione. Nuovi orizzonti di indagine si aprono consi-
derando il concetto di embodied. In base ad esso l’esperienza fi-
sica del mondo percepita attraverso il nostro corpo, la conforma-
zione biologica e lo sviluppo filogenetico del nostro cervello e
del nostro corpo, non sono aspetti secondari, ininfluenti (quando
non antitetici) rispetto al sistema cognitivo ed al linguaggio. Al
contrario, ne costituiscono le basi e ne determinano lo sviluppo:

Reason is not disembodied, as the tradition has largely held, but arises
from the nature of our brain, bodies, and bodily experience. This is not
just the innocuous and obvious claim that we need a body to reason;
rather, it is the striking claim that the very structure of reason itself
comes from the details of our embodiment. The same neural and cog-
nitive mechanisms that allow us to perceive and move around also cre-
ate our conceptual systems and modes of reason (Lakoff, Johnson 1999:
4).
262 Parole nella mente, parole per parlare

La ragione nasce dal corpo, non lo trascende e la sua natura è


metaforica e immaginativa. Su questi presupposti è evidente
come la metafora sia uno degli aspetti centrali della riflessione
nell’ambito della filosofia e della neuropsicologia cognitiva.
La ragione è embodied, e come tale essa è anche in stretta
relazione con il nostro universo emotivo. Sulla base di questi as-
sunti sarebbe molto importante che l’educazione linguistica de-
dicasse ampia attenzione teorico-metodologica alla metafora e al
linguaggio figurato, sia per la rilevanza pragmatica che esso pos-
siede, sia per l’organizzazione del mondo concettuale a cui esso
presiede.

It is through our conceptual systems that we are able to make sense in


everyday life, and our everyday metaphysics is embodied in those con-
ceptual systems (Lakoff, Johnson 1999: 10).

6.16. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors we live by

La teoria delle metafore concettuali introdotta da Lakoff e John-


son in Metaphors We Live By si basa sull’analisi di metafore les-
sicalizzate, ovvero metafore che i parlanti non percepiscono più
come tali mentre parlando ricorrono a esse. Si tratta di metafore
di cui abbiamo perso o non abbiamo mai avuto consapevolezza
nonostante esse vivano nella nostra mente, metafore la cui natura
è stata offuscata dall’uso. Esse sono state estrapolate da un con-
testo testuale, per cui vengono presentate in modo isolato, al di
fuori delle consuete situazioni in cui le usiamo e le afferriamo.
Per comprenderle dobbiamo spesso immaginare il contesto in cui
funzionano o potrebbero funzionare.
Immaginare questo contesto e le implicazioni di ciascuna me-
tafora concettuale proposta da Lakoff e Johnson, permette di ve-
dere concretamente che pensiamo e agiamo secondo metafore e
perciò parliamo per metafore. Queste ultime non si limitano a
descrivere somiglianze che trovano belle e pronte nel linguaggio,
bensì creano somiglianze – basate sulla nostra percezione e deri-
vate da esperienze – attraverso le quali noi concettualizziamo la
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 263

realtà. Le metafore, dunque, ci permettono di comprendere in


modo parziale «un tipo di esperienza nei termini di un altro tipo
di esperienza» e questa è la loro «funzione principale» (trad. it.
1998: 190-191): esse creano immagini della nostra conoscenza
che si riflettono nel linguaggio. Ponendo in una relazione di cor-
rispondenza due domini distanti, uno più astratto e un altro più
fisico e concreto, le metafore permettono di comprendere il do-
minio più astratto nei termini di quello più concreto (Lakoff,
Kövecses 1987; Kövecses 2000: 5).
Per mezzo delle metafore noi vediamo un fenomeno o un
evento come un altro fenomeno o evento: non si tratta di una
semplice comparazione, ma di un nuovo modo di pensare un
certo fenomeno. Pertanto, il nostro stesso esperire e pensare è
metaforico. In tal senso Lakoff e Johnson scrivono che «molte
delle nostre esperienze e attività sono di natura metaforica» e
«gran parte del nostro sistema concettuale è strutturato dalla me-
tafora» (trad. it. 1998: 183). Le metafore ci permettono di orga-
nizzare le nostre esperienze e, dato che le esperienze differiscono
da cultura a cultura, ne consegue che anche la comprensione di
un’esperienza nei termini di un’altra non è universale, ma varia
tra le diverse culture.
La metafora, dunque, è uno strumento del pensiero in grado
di creare nuovi significati sfumando – in funzione dei particolari
contesti di vita – i confini delle categorie, i quali non vengono
mai fissati una volta per tutte giacché ogni categoria è sempre
suscettibile di restrizioni, ampliamenti o modifiche (cfr. ivi:
203): unendo ragione e immaginazione essa offre la possibilità
di comprendere le nuove esperienze sulla base del sistema con-
cettuale fondato sulle precedenti esperienze. In tal modo, il pen-
siero metaforico ci permette di comprendere in qualche misura
anche ciò che appare totalmente incomprensibile: sentimenti,
esperienze estetiche, pratiche morali e spirituali (cfr. ivi: 235).
La nostra stessa autocomprensione, come scrivono Lakoff e
Johnson, si fonda sulla «ricerca di metafore personali appropriate
che diano un senso alle nostre vite» (ivi: 285): le metafore fun-
zionano come strumento di chiarimento e organizzazione coe-
rente non solo delle esperienze altrui che, attraverso le metafore
264 Parole nella mente, parole per parlare

si rendono comprensibili, bensì anche delle nostre esperienze


personali passate, presenti e future che nelle metafore divengono
a noi stessi comprensibili.
Inoltre, la metafora, mettendo in luce gli aspetti particolari
delle esperienze di una certa cultura e del sistema concettuale in
cui esse si iscrivono, permette la negoziazione del significato ne-
cessaria per la comprensione reciproca tra persone di culture dif-
ferenti, le quali possono comprendersi grazie appunto a una ne-
goziazione dei significati: per mezzo dell’immaginazione meta-
forica è possibile «creare rapporti» e «comunicare la natura delle
esperienze non condivise» (ivi: 283). Una metafora permette di
visualizzare una differenza culturale in modo più immediato po-
nendola in un’immagine a portata interculturale, un modo allo
stesso tempo meno diretto di quanto possa fare l’uso referenziale
del linguaggio che può suonare politicamente scorretto. Se pro-
vando a chiedere a un indiano perché non mangia la carne di vi-
tello, egli ci risponde che “il vitello è dio” capiamo immediata-
mente che si tratta di un animale per lui sacro e desistiamo dal
persuaderlo ad assaggiare l’arrosto che abbiamo preparato. È
chiaro che il vitello è dio solo in senso metaforico, nella cultura
indiana il vitello è evidentemente un animale che rappresenta il
divino e, per quanto quest’idea sia distante dalla nostra cultura,
attraverso quest’immagine siamo in grado di capire quello che
significa il vitello per un indiano e di porci in maniera sensibile
nei confronti dell’argomento e rispettosa nei confronti del nostro
interlocutore. È un’immagine che, facendoci comprendere qual-
cosa, in questo caso il vitello, nei termini di qualcos’altro, ossia
dio, amplia la nostra competenza interculturale.
In questo paragrafo ci proponiamo di analizzare le diverse tra-
duzioni in italiano, francese, spagnolo e tedesco delle metafore
in lingua inglese scelte da Lakoff e Johnson come esempi per
avvalorare la teoria delle metafore concettuali, secondo la quale,
come abbiamo avuto modo di vedere, la metafora non è affatto
una semplice creazione linguistica, ma ha a che fare con la strut-
tura del nostro pensare e agire. Lakoff e Johnson argomentano,
infatti, che la stessa struttura del nostro sistema concettuale è es-
senzialmente metaforica (ivi: 21). L’obiettivo qui è quello di
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 265

condurre un’indagine comparativa delle traduzioni delle meta-


fore presentate in Metaphors We Live By al fine di comprendere
– osservando differenze e somiglianze – la traducibilità di esse,
di esaminarne la valenza culturale e valutarne la capacità di con-
divisione interculturale.
L’opera di Lakoff e Johnson, da quando è stata pubblicata
fino a oggi, ha conosciuto certamente molta fortuna ed è stata
tradotta in molte lingue. Abbiamo scelto di concentrarci sull’ana-
lisi comparativa della traduzione in quattro lingue europee (ita-
liano, spagnolo, francese e tedesco), non semplicemente perché
sono lingue di ampia diffusione, bensì anche perché sono le lin-
gue di nostra maggiore competenza.
Alcune considerazioni preliminari di carattere generale circa
le tre diverse traduzioni. La prima traduzione dell’opera di La-
koff e Johnson in ordine di uscita è stata quella francese. Essa
risale al 1985, è apparsa quindi cinque anni dopo l’edizione ori-
ginale, e non è stata più riedita. Si configura come una traduzione
target oriented: tende a mantenere lo stesso numero di metafore
incluse nell’opera originale e a trovare una traduzione in francese
per ciascuna di esse cercando di adattare le differenze. Non sem-
pre l’adattamento corrisponde alla traduzione delle metafore in-
glesi in espressioni francesi effettivamente in uso. La traduzione
francese non include, tuttavia, alcuna introduzione né note criti-
che o esplicative rispetto alle scelte di traduzione.
Un approccio source oriented è stato invece scelto dal tradut-
tore spagnolo, il quale ha talvolta tradotto le metafore originali
con espressioni poco convenzionali in lingua spagnola, chie-
dendo espressamente al lettore, in una nota introduttiva, di fare
in tali casi uno sforzo interpretativo nei confronti della lingua in-
glese e della cultura americana che in essa si esprime (Monti
2009: 209). La traduzione spagnola è stata pubblicata l’anno suc-
cessivo a quella francese. È uscita nel 1986 e, a differenza di
quella francese, è stata ripubblicata diverse volte, l’ultima volta
nel 2017, presenta una ricca introduzione, nonché un apparato di
note esplicative degli accomodamenti della traduzione o di chia-
rimento delle lacune, comunque sporadiche, della traduzione
spagnola rispetto all’edizione originale.
266 Parole nella mente, parole per parlare

L’edizione tedesca è stata pubblicata per la prima volta solo


nel 1998. Nel 2018 essa è stata ripubblicata. Include un’introdu-
zione di Michael B. Buchholz, uno psicanalista che ha lavorato
sul coinvolgimento delle metafore nelle emozioni e sulla meta-
fora come paradigma dell’autocomprensione: le metafore, con la
loro capacità di creare uno spazio mentale in cui si incrociano la
logica e l’immaginazione, giocherebbe un ruolo centrale nei pro-
cessi terapeutici (Buchholz 1998: 9). L’edizione tedesca presenta
un numero davvero esiguo di note della traduttrice Astrid Hin-
derbran: esse hanno la funzione di spiegare concetti prettamente
legati alla cultura americana o concetti considerati non immedia-
tamente comprensibili. La traduzione è target oriented: presenta
esattamente lo stesso numero di metafore dell’edizione originale,
per cui per ciascuna di esse indica sempre un’espressione meta-
forica tedesca. Occorre osservare che inglese e tedesco proven-
gono dallo stesso ceppo linguistico, quello anglosassone, e que-
sto può motivare la maggiore aderenza culturale fra le metafore
concettualizzate presentate nell’edizione americana e quelle
dell’edizione tedesca.
Anche l’edizione italiana è stata pubblicata per la prima volta
nel 1998, senza più però essere riedita. Per essa è stato scelto un
approccio source oriented, motivato come segue dalla traduttrice
Patrizia Violi:

due scelte erano possibili per la traduzione: mantenersi il più possibile


fedeli all’originale, conservando il senso “americano” di molte meta-
fore, anche nel caso in cui esse non corrispondano completamente e
perfettamente alle nostre modalità di esperienza e categorizzazione
concettuale, o trovare analoghi corrispettivi nella nostra diversa cultura.
Si è optato per la prima soluzione, dal momento che la seconda avrebbe
implicato riscrivere un altro, e differente, libro: un libro, questa volta,
sulla metafora italiana. Gli esempi sono quindi stati modificati nella
misura necessaria alla loro completa comprensione per il lettore ita-
liano, eliminando […] qualche espressione assolutamente intraducibile
e riducendo così a pochissimi casi l’esigenza di una nota esplicativa
(Violi 1998: 14).

Avremo modo di notare di volta in volta come la traduzione ita-


liana sia quella che presenta il minor numero di metafore rispetto
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 267

all’originale, nonostante spesso – come mostreremo – espres-


sioni metaforiche simili a quelle originali siano concettualmente
presenti nella lingua italiana e pertanto non si tratterebbe di vi-
rare forzatamente verso la cultura italiana. Inoltre, in alcuni casi,
la traduzione italiana risulta piuttosto letterale e non del tutto
convenzionale. Avremo modo di offrire delle alternative o di
proporre delle traduzioni italiane laddove queste sono state la-
sciate cadere.

6.16.1. La metafora nel titolo

Cominciamo dall’analisi delle traduzioni del titolo dell’edizione


originale. Come si evince dalla tabella che segue sono state fatte
delle scelte differenti da parte dei traduttori di ciascuna lingua
che prenderemo in esame.

Tabella 6.3. Traduzioni del titolo


EDIZIONE EDI- EDIZIONE EDIZIONE EDIZIONE
ORIGI- ZIONE SPA- FRAN- TEDESCA
NALE ITA- GNOLA CESE
LIANA
Leben in
Metaphors Metafora e Metáforas de Les Metaphern.
We Live By vita quoti- la vida Métaphores Konstruk-
diana cotidiana dans le vie tion und Ge-
quotidienne brauch von
Sprachbil-
dern

Possiamo sostenere che “Metaphors We Live By” è una meta-


metafora che restituisce l’immagine di una vita quotidiana calata
entro lo spazio costruito dalle metafore. Essa risponde alla meta-
fora concettuale “le metafore strutturano il nostro modo di vivere
e pensare”. Fra le diverse traduzioni solo quella tedesca mantiene
questa metafora trasmettendo l’idea centrale espressa da Lakoff
e Johnson con la scelta del titolo originale. “Metaphors We Live
By” – che letteralmente potremmo tradurre con “le metafore in
268 Parole nella mente, parole per parlare

cui viviamo” – in tedesco è stato tradotto con “Leben in Me-


taphern”, che significa “vivere nelle metafore”. Alla traduzione
del titolo originale è stato aggiunto il seguente sottotitolo tedesco
che è chiamato a svolgere una funzione esplicativa: “Konstruk-
tion und Gebrauch von Sprachbildern”, ovvero “costruzione e
uso delle immagini del linguaggio”. Questo sottotitolo sembra
avere il compito di tradurre la metafora del titolo originale della
quale dispiega discorsivamente l’immediatezza iconica: ci dice
sostanzialmente che le metafore sono le immagini del nostro lin-
guaggio, svolgono un lavoro di tipo iconico, e l’opera a cui il
titolo si riferisce si muove dunque su un piano che è quello della
costruzione e dell’uso di tali immagini.
In francese il titolo di Lakoff e Johnson è stato tradotto con
“Les Métaphores dans la vie quotidienne”: tale traduzione sposta
l’asse verso la metafora nella vita quotidiana mettendo così da
parte la nostra collocazione rispetto alla metafora, noi non ci
siamo, c’è solo la metafora e l’impersonale vita quotidiana in cui
essa è calata. Viene qui tuttavia almeno conservata la posizione
della metafora entro lo spazio quotidiano, grazie all’uso del com-
plemento di luogo “nella vita quotidiana”. Questa scelta tradut-
tiva non adombra uno degli aspetti centrali delle tesi di Lakoff e
Johnson, ossia l’idea che la metafora sia parte della vita quoti-
diana e non sia semplicemente uno strumento retorico appannag-
gio della poesia. Resta però non di poco conto che, con la tradu-
zione francese del titolo inglese, trascurando la metafora concet-
tuale messa in scena dagli autori, viene meno la forza determi-
nante della metafora intesa come struttura cardine dei nostri con-
cetti e, dunque, del nostro vivere e pensare in accordo con essi.
Cosa accade, invece, con la traduzione spagnola e con quella
italiana? Il titolo spagnolo suona così: “Metáforas de la vida co-
tidiana”. Il complemento di luogo della traduzione francese
“nella vita quotidiana” si trasforma nel complemento di specifi-
cazione “della vita quotidiana”. Così facendo viene trasmessa
l’idea della metafora come elemento che appartiene alla vita quo-
tidiana, qualcosa che è parte di essa e non qualcosa che è calato
in essa. Si perde il senso del contatto con la vita quotidiana che
troviamo nella collocazione data alla metafora dalla traduzione
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 269

francese, per trovare quello di un possesso della metafora da


parte della vita quotidiana verso la quale qui si sposta maggior-
mente il focus. Si rafforza così l’idea di appartenenza della me-
tafora alla vita quotidiana. Ma in questo titolo noi non ci siamo
e, soprattutto, non ci siamo noi che viviamo nella struttura con-
cettuale creata dalle metafore.
Il titolo italiano “Metafora e vita quotidiana” si distacca note-
volmente dall’originale, tradendo l’idea che gli autori si propo-
nevano di trasmettere: con esso il rapporto tra la metafora e la
vita quotidiana è quello tracciato da una generica congiunzione,
non c’è immersione di un elemento – la metafora – nell’am-
biente, la vita quotidiana; non c’è appartenenza di un elemento –
la metafora – a un altro elemento, la vita quotidiana. Metafora e
vita quotidiana sono qui sullo stesso piano e sembrano due ele-
menti paralleli da mettere a confronto.
Monti sottolinea il fatto che la traduzione italiana sia arrivata
dopo quella francese e spagnola e si sia allontanata maggior-
mente dall’originale avendo in qualche modo risentito di una
sorta di traduzione delle traduzioni (2009: 211). Ma, almeno per
quanto concerne il titolo, questo aspetto storico non sembra mo-
tivare a sufficienza la scelta, visto che sia il titolo francese che
quello spagnolo sembrano in qualche misura avvicinare gli in-
tenti degli autori, mentre quello italiano si pone in una forma di
neutralizzazione completa dell’efficacia iconica nonché enuncia-
tiva della metafora presente nel titolo originale inglese.

6.16.2. Uno sguardo attraverso le traduzioni di alcune


metafore indicate da Lakoff e Johnson

Nel tentativo di identificare le metafore che strutturano il nostro


pensare, vivere e agire, Lakoff e Johnson cominciano con l’ana-
lizzare la metafora concettuale “La discussione è una guerra”
dalla quale derivano una serie di espressioni metaforiche d’uso
quotidiano. Scelgono come punto di partenza una metafora con-
cettuale lessicalizzata sulla quale si fondano numerose espres-
sioni del linguaggio quotidiano, perché vogliono innanzitutto
mostrare che le metafore concettuali di cui intendono occuparsi,
270 Parole nella mente, parole per parlare

da un lato, non sono affatto considerate tali, ovvero non vi è con-


sapevolezza della loro natura, dall’altro, sono pervasive, sono
presenti ovunque nel linguaggio e nella vita quotidiani: sono
espressioni convenzionali e, come abbiamo avuto modo di osser-
vare all’inizio di questo capitolo, non siamo affatto consapevoli
della loro struttura metaforica di base.

6.16.3. La discussione è una guerra

La metafora “La discussione è una guerra” indica che concettua-


lizziamo la discussione nei termini di una guerra, ovvero molte
delle cose che facciamo e diciamo durante le nostre discussioni
sono strutturate dal concetto di guerra (Lakoff, Johnson (trad. it
1998: 23). Nella nostra cultura, infatti, siamo soliti vivere e pen-
sare una discussione in tali termini e ciò si riflette nei nostri modi
di parlare. Parliamo della discussione e di ciò che la concerne nei
termini di una guerra in quanto concepiamo la discussione nei
termini del concetto di guerra.

Tabella 6.4 Traduzioni di Argument is war


ARGUMENT LA DI- UNA DI- LA DI- ARGU-
IS WAR SCUS- SCUSIÓN SCUSSION, MENTIE-
SIONE È ES UNA C’EST LA REN IST
UNA GUERRA GUERRE KRIEG
GUERRA
Your claims Le tue ri- Tus afirma- Vos affir- Ihre Be-
are indefensi- chieste sono ciones son mations sont hauptun-
ble indifensibili indefen- indéfen- gen sind
dibles dables unhaltbar
He attacked Egli ha at- Atacos todos Il a attaqué Er griff je-
every weak taccato ogni los puntos chaque den
point in my punto de- débiles de point faible Schwach-
argument bole nella mi de mon punkt in
mia argo- argumento argumentati meiner Ar-
mentazione on gumenta-
tion an.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 271

His criticisms Le sue criti- Sus críticas Ses critiques Seine Kri-
were right on che hanno dieron justo visaient tik traf ins
target colpito nel en el blanco droit au but Schwarze
segno
I demolished Ho demolito Destruí su J’ai démoli Ich
his argument. il suo argo- argomento son argu- schmet-
mento mentation terte sein
Argument
ab
I've never Non ho mai Nunca le he Je n’ai ja- Ich habe
won an argu- avuto la me- vensido en mais gagné noch nie
ment with glio su di lui una discu- sur un point eine Aus-
him in una di- sión avec lui einander-
scussione setzung
mit ihm
gewonnen
You disagree? Non sei No estás de Tu n’es pas Sie sind
Okay, shoot! d'accordo? acuerdo? d’accord? anderer
Va bene, Vale, Alors, Meinung?
spara idispara! défénds-toi! Nun,
schießen
Sie los!
If you use that Se usi questa Si usas esa Si tu utilises Wenn du
strategy, he'll strategia, lui estrategia, te cette stra- nach dieser
wipe you out ti fa fuori in aniquilirá tégie, il va Strategie
un minuto t’écraser. vorgehst,
wird er
dich ver-
nichten
He shot down Egli ha di- Les Er machte
all of my ar- strutto tutti i ⸺ arguments alle meine
guments miei argo- qu’il m’a Argumente
menti opposés ont nieder
tous fait
mouche.

Osservando le traduzioni delle diverse espressioni metaforiche


elencate da Lakoff e Johnson ritroviamo una generale equiva-
lenza linguistica e culturale tra le lingue comparate. “Vincere”,
“difendere”, “distruggere”, “adottare strategie”, “attaccare i
272 Parole nella mente, parole per parlare

punti deboli dell’avversario”, “sparare”, “colpire”, “annientare”,


“fare fuori”, “respingere l’avversario”, sono tutte azioni che ap-
partengono al concetto di guerra, sono tutte parole ed espressioni
con cui si parla della guerra e che usiamo per parlare di qualcosa
in termini di guerra. Pensiamo in questo senso anche all’uso del
linguaggio bellico per comprendere e narrare la malattia o, per
fare un esempio molto dibattuto, all’uso della metafora della
guerra per concettualizzare, comprendere e parlare della pande-
mia di Coronavirus.
Per quanto riguarda la frase His criticisms were right on tar-
get la traduzione italiana trova un equivalente completo
nell’espressione metaforica lessicalizzata “Le sue critiche hanno
colpito nel segno”. L’espressione francese suona più come “le
sue critiche mirarono dritte al punto”, una frase che funziona an-
che in italiano, essa assume però una sfumatura di senso diversa:
mirare non vuole dire riuscire poi effettivamente a fare centro.
È interessante osservare che nella traduzione spagnola viene
metaforizzato il colore bianco, mentre in tedesco viene metafo-
rizzato il colore nero. Ciò evidenzia delle differenze culturali
nell’uso metaforico dei colori. Se in italiano pensiamo al signifi-
cato letterale di queste frasi non riusciamo ovviamente a co-
glierne il senso. Ciò fornisce un’indicazione importante dal
punto di vista glottodidattico: espressioni metaforiche come que-
sta possono essere comprese e apprese dallo studente se egli
viene esposto al contesto in cui esse occorrono e viene sensibi-
lizzato rispetto a tentativi fuorvianti e fallimentari di accedere al
senso di esse attraverso una traduzione letterale.
A proposito invece della frase I demolished his argument, la
traduzione italiana e quella francese usano l’equivalente “ho de-
molito”, mentre quella spagnola usa destruí che non altera il
senso dell’espressione. In tedesco ritroviamo il verbo abschmet-
tern (respingere con forza) che metaforizza un’azione di respin-
gimento forzato e non una demolizione o una distruzione. Si
tratta di un’azione che fa comunque parte del concetto di guerra
e quindi l’uso di questo verbo è sempre coerentemente riferibile
alla metafora concettuale “la discussione è una guerra”.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 273

Il verbo “vincere” nell’espressione metaforica inglese I’ve


never won an argument with him è usato anche nella traduzione
tedesca, mentre in spagnolo si è scelto di tradurre con una frase
che significa “non l’ho mai battuto in una discussione”, la quale
pone maggiormente l’accento sul ruolo antagonista della persona
con cui si discute. In italiano l’uso del verbo “vincere” sarebbe
risultato forzato: l’espressione “avere la meglio su qualcuno” in
riferimento a una discussione è, invece, in uso e può essere con-
siderata un’espressione lessicalizzata che concettualizza sempre
la discussione nei termini di una battaglia, di una contrapposi-
zione di forze, in cui una finisce con l’avere la meglio sull’altra,
ovvero finisce con il rivelarsi più efficace, superiore. Il verbo
francese “gagner” significa sia vincere che guadagnare. Essendo
qui seguito dalla preposizione “sur” la costruzione della tradu-
zione francese sembra accomodarsi sull’originale inglese la-
sciando intendere il senso di una frase del tipo: “non ho mai vinto
su un punto con lui”. Senza la preposizione “sur” la frase funzio-
nerebbe metaforicamente così: “non ho mai guadagnato un punto
con lui”.
Nella penultima frase If you use that strategy, he’ll wipe you
out, la parola strategy, appartenente al vocabolario bellico, attra-
versa tutte e quattro le traduzioni e mantiene lo stesso valore. C’è
da osservare il verbo wipe out traducibile in italiano con “spaz-
zare via”: in italiano è reso con la collocazione “fare fuori” ed
essa risulta appropriata al senso metaforico della frase. In fran-
cese troviamo il va t’écraser, che vuol dire “ti trascinerà a
fondo”, ma anche con tono più violento “ti schiaccerà”, “ti to-
glierà di mezzo”. In spagnolo e tedesco sono usati i verbi anni-
chilire e distruggere che conferiscono all’espressione una sfuma-
tura metaforica più violenta rispetto alla metaforizzazione in-
glese e a quella italiana che pongono l’accento sugli esiti tattici,
strategici, capaci di mettere fuori combattimento l’avversario.
274 Parole nella mente, parole per parlare

Nell’ultimo esempio non incluso nella traduzione spagnola,


troviamo una leggera variazione nella traduzione francese che
parla di “contro argomentazioni che hanno colpito” piuttosto che
di un’azione di abbattimento (shoot down → abbattere) o distru-
zione (niedermachen → distruggere) delle argomentazioni da
parte della controparte della discussione.

6.16.4. Il tempo è denaro

Osservando le espressioni metaforiche derivate dalla metafora


concettuale “Il tempo è denaro” ci rendiamo conto, come dicono
Lakoff e Johnson, «della natura metaforica dei concetti che strut-
turano le nostre attività quotidiane» (trad. it 1998: 26). L’idea che
il tempo sia una merce con un valore di scambio, una merce pre-
ziosa che non può essere sprecata, una risorsa limitata che deve
essere usata con parsimonia e sfruttata con profitto, è parte costi-
tutiva del nostro modo di rapportarci al tempo, del modo in cui
pensiamo a esso, della maniera in cui lo gestiamo nella nostra
vita. Quest’idea è culturalmente radicata in Occidente ed è figlia
dell’avvento del capitalismo che ha associato il lavoro alla quan-
tificazione del tempo che esso richiede: lavoro pagato a ore, a
giornata, a settimana, mensilmente, lavoro a tempo determinato,
contratto di lavoro annuale, lavoro stagionale.
Si è affermata così la concettualizzazione del tempo in termini
di denaro, una concettualizzazione basata sulla nostra esperienza
quotidiana con il denaro, con le merci pregiate e le risorse limi-
tate. Non è chiaramente l’unico modo possibile di concepire il
tempo, ma è sicuramente quello che attraversa trasversalmente le
culture occidentali. Ciò viene evidenziato dalla comparazione
delle traduzioni delle espressioni indicate da Lakoff e Johnson.
Quest’ultime risultano equamente presenti nelle lingue da noi
considerate e questo indica la stabilità culturale della struttura
della metafora concettuale “il tempo è denaro”.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 275

Tabella 6.5. Traduzioni di Time is money


TIME IS MO- IL TEMPO È EL LE TEMPS, ZEIT IST
NEY DENARO TIEMPO C’EST DE GELD
ES DI- L’ARGENT
NERO
You‘ re wasting Stai facen- Me estás Tu me fais Sie vergeu-
my time domi perdere haciendo perdre mon den meine
del tempo perder el temps Zeit
tiempo
This gadget will In questo Este Ce procédé Dieses Gerät
save you hours modo rispar- artilugio te vous fera wird Ihnen
mieremo al- ahorrará gagner des viele Zeit er-
cune ore horas heures et des sparen
heures
I don’ t have the Non ho tempo No tengo Je n’ai pas de Ich habe
time to give you da dedicarti tiempo para temps à te keine Zeit zu
dedicártelo donner verschenken
How do you Come avete En qué Comment Wie geht
spend your time impiegato il gastas el gérez-vous man heutzu-
these days? vostro tempo tiempo votre budget- tage mit sei-
in questi estos días? temps? ner Zeit um?
giorni?
That flat tire Questa Esa rueda Reparer ce Dieser platte
cost me an gomma a terra deshin- pneu crevé Reifen kos-
hour. mi è costata chada me m’a coûté tete mich
un’ora ha costado une heure eine Stunde
una hora
I’ve invested a Ho sprecato He inveri- J’y ai mìs Ich habe
lot of time in un sacco di tido mucho beaucoup de viele Zeit in
her tempo per lei tiempo en temps diese Frau
ella investiert
I don’ t have Non ho abba- No Je n’ai pas de Ich habe
enough time to stanza tempo dispongo de temps à keine Zeit zu
spare for that da dedicare a tiempo perdre verlieren
ciò suficiente
para eso
You‘ re running Avete esau- Estás termi-
Il ne te reste Ihnen wird
out of time rito il tempo a nando con
plus die Zeit
beaucoup de
disposizione tu tiempo knapp
temps
You need to Devi pianifi- Tienes que Tu dois Du mußt mit
budget your care il tuo calcular el économìser t deiner Zeit
time tempo tiempo on temps haushalten
276 Parole nella mente, parole per parlare

Put aside some Reserva Mets du Nimm dir


time for ping ̶ algo de temps de côté Zeit zu den
pong. tiempo para pour jouer au Tischtennis-
el ping pong ping-pong spielen
Is that worth y- Vale il tempo Vale la pena Cela vaut-il la Lohnt sich
our while? che ci perdi gastar ese peine que tu y das zeitlich
tiempo? consacres du für dich?
temps?
Do you have Avete ancora Te sobra Haben Sie
much time left? un po' di mucho noch viele
tempo? tiempo? Zeit?
He' s living on Vive de Son temps ne Seine Tage
borrowed time ̶ tiempo pre- lui appartient sind gezählt
stado pas.
You don' t use Non stai No utilizas Vous ne Du nutzt
your time profi- usando il tuo tu tiempo profìtes pas deine Zeit
tably tempo in con pro- du temps que nicht opti-
modo profi- vecho vous avez mal
cuo
I lost a lot of Ho perso un Perdí J’ai perdu Ich habe
time when I got sacco di mucho beaucoup de durch meine
sick tempo quando tiempo temps quand Krankheit
sono stato ma- cuando caí je suis tombé viele Zeit
lato enfermo malade verloren
Thank you for Grazie per il Gracias por Mercì de Danke für
your time tempo che mi tu tiempo nous avoir die Zeit, die
hai concesso donné de Sie sich für
votre temps mich genom-
men haben

Per quanto riguarda la prima espressione notiamo che mentre in


inglese e in tedesco si parla di “sprecare tempo”, in italiano si è
deciso di tradurre con “perdere tempo” seppure “sprecare tempo”
sia una combinazione in uso nella lingua italiana. La traduzione
italiana, poi, è davvero poco fluente: sarebbe stato più corretto
dire “mi stai facendo perdere tempo” o “mi stai facendo sprecare
tempo”. Anche la traduzione francese e quella spagnola hanno
scelto di ricorrere al verbo “perdere” d’uso più frequente.
Che il tempo sia un bene prezioso emerge dal fatto che lo de-
dichiamo (cfr. trad. it. e sp.), lo doniamo (trad. fr.) o lo regaliamo
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 277

(cfr. trad. ted.) e che quando siamo i destinatari di questo dono


ringraziamo chi ce l’ha concesso.
Il tempo è poi qualcosa da spendere (spend, gastar), impie-
gare, gestire (gèrer, umgehen), proprio come si fa con i soldi.
Come accade con i soldi esso può essere perso, disperso, spre-
cato, ma può essere anche investito: la traduzione italiana sceglie
“sprecare” al posto di “investire” mascherando il senso e oscu-
rando l’uso italiano di espressioni in cui si dichiara di aver inve-
stito molto tempo in attività, persone, progetti.
Il tempo, come qualsiasi merce, ha un costo per cui il tempo
che impieghiamo in un’attività viene espresso in termini di costo.
Esso ha anche un valore: ciò per cui lo impieghiamo deve avere
un valore a esso corrispondente. E può essere addirittura prestato
come si presta un oggetto con l’obbligo che esso venga restituito
integro e di pari valore. In italiano non è stata tradotta l’espres-
sione metaforica inglese He’s living on borrowed time che vuol
dire “Sta vivendo di tempo prestato” nel senso che sta usu-
fruendo di qualcosa che non è suo, che gli è stato concesso e che
deve usare in modo rispettoso. In italiano non è un’espressione
frequente.
Il tempo si quantifica come il denaro e quindi può scarseg-
giare, può esaurirsi, può ridursi, può eccedere, avanzare. Ci può
essere un resto o un avanzo di tempo. È una risorsa limitata da
calcolare, gestire in modo pianificato, risparmiare.
Un’attenzione particolare merita la frase Put aside some time
for ping pong (letteralmente “Metti da parte del tempo per il ping
pong”) usata per evidenziare la necessità di riservare del tempo
per il divertimento. Fra gli usi del nostro tempo c’è anche quello
del divertimento, più ristretto rispetto al tempo-lavoro, ma con-
siderato comunque importante dal punto di vista ricreativo.
Il tempo-gioco è una risorsa che cambia in base all’età, al tipo
di lavoro, allo stile di vita, alle disponibilità di tempo-denaro:
nella vita dei bambini e di chi dispone di risorse di tempo-denaro
maggiori c’è più tempo da “spendere” per il divertimento e non
occorre che venga messo da parte, che venga risparmiato per es-
sere dedicato al divertimento. In italiano usiamo l’espressione
278 Parole nella mente, parole per parlare

“ritagliarsi del tempo” in associazione ad attività piacevoli, alter-


native all’impegno del lavoro o a ciò che comporta fatica.

6.16.5. La metafora del canale

C’è un modo comune di considerare il linguaggio e il suo fun-


zionamento che ha attraversato i secoli e che è frutto di un pro-
cesso metaforico. Siamo soliti esprimerci circa la nostra comu-
nicazione per mezzo del linguaggio immaginando che le idee –
che sono poi i significati delle parole e che consideriamo delle
entità interiori situate nella nostra mente – vengano veicolate per
mezzo di contenitori quali le espressioni linguistiche, le quali ac-
colgono appunto i contenuti, ossia le idee, i significati delle pa-
role. La comunicazione non è dunque altro che quel processo
mediante il quale spediamo a un interlocutore i contenuti della
nostra mente, le nostre idee, per mezzo dei contenitori messi a
disposizione dal linguaggio, i segni.
Quest’idea si trascina dietro una serie di implicazioni in ter-
mini di pensiero popolare ed è così ancorata al senso comune da
riflettersi e trasmettersi, in modo del tutto inconsapevole, nei no-
stri modi di parlare. È frutto di una metafora che, nel suo non
essere considerata in quanto tale, ovvero in quanto immagine, in
quanto modo di rappresentare e comprendere qualcosa come
qualcos’altro, e nell’essere piuttosto assunta come un’espres-
sione referenziale, è stata, ad esempio, criticata da uno dei più
importanti filosofi del Novecento: Ludwig Wittgenstein. Egli
contestava a quest’idea il fatto che portasse a una visione solip-
sistica e privata del linguaggio inducendo il parlante comune e
un certo modo di filosofare – che egli reputava metafisico perché
spingeva a ipostatizzare entità e processi occulti paralleli a so-
stanze e processi fisici manifesti – a credere che il significato sia
un oggetto collocato nel nostro spazio mentale privato e il pen-
sare e il comprendere siano processi nascosti attraverso i quali
gli oggetti nella nostra mente – i significati, le idee – passano per
attribuzione alle parole, alle espressioni linguistiche (1953;
1958).
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 279

Paul Johnston (1993) ha evidenziato che riconoscere la natura


metaforica di questo nostro modo di considerare il linguaggio,
permetterebbe di vedere e assumere ciò che viene nascosto da
questi nostri modi di parlare del linguaggio. Un concetto meta-
forico, infatti, come evidenziano Lakoff e Johnson, concentrando
l’attenzione su un aspetto specifico di un concetto può adombrare
altri aspetti che pure riguardano quel concetto (trad. it. 1998: 29).
Nel caso della metafora del canale l’attenzione si focalizza sul
fatto che le espressioni linguistiche sono contenitori del signifi-
cato inducendo a credere che le parole e le frasi possiedano un
significato e un senso come se questi ultimi fossero delle pro-
prietà associate alle parole e alle frasi indipendentemente dal
contesto in cui esse occorrono e dai parlanti chiamati in gioco
nella comunicazione (ivi: 30). Il fatto poi che, in accordo con la
metafora del canale, i significati siano degli oggetti predetermi-
nati, lascia pensare che essi esistano indipendentemente dal
flusso della vita dei parlanti e dunque dalle situazioni in cui sol-
tanto effettivamente funzionano (ivi: 31).
Ciò spinge Lakoff e Johnson a sostenere che la comprensione
di un concetto, in questo caso la comunicazione, nei termini di
un altro, il canale, messa in gioco dalla metafora è sempre una
comprensione parziale degli aspetti che caratterizzano il dato
concetto compreso alla luce di un altro. La strutturazione meta-
forica implicata in metafore concettuali come quella del canale –
ma anche nelle due metafore precedentemente presentate dai due
autori e qui analizzate nella prospettiva interculturale emersa
dalla comparazione delle traduzioni – «è solo parziale e non to-
tale. Se fosse totale, un concetto coinciderebbe perfettamente con
un altro, e non sarebbe soltanto compreso in termini di un altro.
Ad esempio», così scrivono Lakoff e Johnson, «il tempo non è
realmente denaro. Se noi spendiamo il nostro tempo cercando di
fare qualcosa e non ci riusciamo, non possiamo ricevere indietro
il nostro tempo. Non ci sono banche del tempo» (ivi: 32). Allo
stesso modo, la comunicazione non è realmente un canale e le
idee e i significati non sono realmente degli oggetti che attraver-
sano questo presunto canale. Non possiamo toccarli, né prenderli
e spostarli. I significati sono qualcosa che possiamo distinguere
280 Parole nella mente, parole per parlare

dalle parole per spiegarle, ma non sono da esse separabili nella


misura in cui sono le stesse parole o frasi che funzionano in un
certo determinato contesto e poi in un altro e poi in un altro an-
cora.
Ma veniamo ora alla traduzione delle espressioni metaforiche
derivate dalla metafora concettuale del canale.

Tabella 6.6. Traduzioni The conduit metaphor


THE CON- LA META- LA LA DIE
DUIT ME- FORA DEL METÁFORA MÉTAPHOR RÖHREN-
TAPHOR CANALE DEL CANAL E DU CON- ME-
DUIT TAPHER
It’s hard to Es difícil C’est dur de Es ist
get that idea ̶ hacerle llegar faire passer schwierig,
across to him esa idea cette idée ihm diesen
Gedanken
rüberzu-
bringen
I gave you Io ti ho dato Yo te di esa C’est moi qui Die Idee
that idea quella idea idea t’ai donné hast du von
cette idée mir bekom-
men
Your reasons Nos alcanzaron Vos raisons Ihre Gründe
came ̶ tus razones nous vont droit sind bis zu
through to us au coeur uns durch-
gedrungen
It’s difficult È difficile Es difícil poner Il m’est diffi- Es ist
to put my mettere in pa- mis ideas en cile de mettre schwierig,
ideas into role le mie palabras mes idées sur meine Vor-
words idee le papier stellungen
in Worte zu
fassen
When you Quando hai Cuando tengas
Quand vous Wenn du
have a good una buona una buena idea
avez une eine gute
idea, try to idea, cerca di trata de
bonne idée, es- Idee hast,
capture it im- catturarla im- capturarla
sayez de la sai- versuche sie
mediately in mediatamente inmediatament
sir immédiate- sofort in
words in parole e en palabras
ment et de la Worten fest-
mettre en zuhalten
forme
Try to pack Cerca di con- Trata de poner Essayez de Du solltest
more thought centrare più más mettre plus de mehr Inhalt
in weniger
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 281

into fewer pensieri in pensamiento en


contenu dans Worte pa-
words meno parole menos palabras
moins de mots cken
You can’t ̶ No se puede
Tu ne peux pas Du kannst
simply stuff simplemente
te contenter Ideen nicht
ideas into a d’introduire
llenar de ideas nur konven-
sentence any n’importe
una oración tionell in
old way quelles idées Sätze klei-
dans ta phrase den
The meaning Il significato è El significado Les sense est Die Bedeu-
is right there proprio qui está ahí mismo caché dans les tung liegt
in the words nelle parole en las palabras mots nun einmal
im Wort

Don’t force Pressen Sie


your mean- Ihre Ab-
ing into the ̶ ̶ ̶ sichten
wrong words nicht in die
falschen
Worte
His words Le sue parole Sus palabras Ses mots ne Seine Worte
carry little hanno poco tienen poco transmettent enthalten
meaning significato significado pas beaucoup wenig Sinn
de sens
The introduc- L'introduzio- La introduc- L'introduction Die Einfüh-
tion has a ne ha un ele- ción tiene una contient beau- rung enthält
great deal of vato conte- gran cantidad coup d'idées viel Sub-
thought con- nuto concet- de contenido stanz
tent tuale
Your words Le tue parole Tus palabras Tes mots son- Deine
seem hollow suonano vuote parecen huecas nent creux Worte wir-
ken hohl

The sentence La frase è La oración no La phrase est Der Satz hat


is without senza signifi- tiene signifi- vide de sens keinen Sinn
meaning cato cado

The idea is L'idea è na- Las ideás estan L'idée est en- Die Idee ist
buried in ter- scosta in para- enterradas en sevelie sous in entsetz-
ribly dense grafi terribil- párrafos des tonnes de lich kom-
paragraph mente oscuri terriblemente verbiage plexen
difíciles
282 Parole nella mente, parole per parlare

Textpassa-
gen begra-
ben

Come si evince dalla precedente tabella, tre delle espressioni in-


dicate da Lakoff e Johnson non sono state tradotte in italiano:
“It’s hard to get that idea across to him”. In italiano potrebbe
essere tradotto in modo più impersonale con la frase, abbastanza
usuale, “è difficile far passare quest’idea” – che corrisponde alla
frase scelta dal traduttore francese – e in modo più personale può
essere reso con un’espressione come “è difficile fare in modo che
gli arrivi quest’idea” o “è difficile trasmettergli quest’idea”.
Quest’ultima versione sarebbe simile sia alla traduzione spa-
gnola che a quella tedesca. Hacer llegar, infatti, vuol dire sia “far
arrivare” sia “trasmettere”. Il verbo tedesco rüberbringen signi-
fica “trasmettere” e l’intera frase tedesca in italiano suonerebbe
così: “è difficile trasmettergli questo pensiero”.
“Your reasons came through to us”. In italiano può forse es-
sere considerata un’espressione metaforica lessicalizzata o co-
munque non è tra le metafore più usuali, ma si può dire qualcosa
come “Le tue ragioni mi sono giunte” per poter esprimere la frase
inglese in senso metaforico. Dire a qualcuno “le tue ragioni mi
sono giunte”, vuol dire dirgli metaforicamente che abbiamo ca-
pito le sue motivazioni, ovvero che queste ultime sono efficace-
mente state comunicate a noi e le abbiamo pertanto recepite. La
traduzione spagnola “le tue ragioni ci hanno raggiunto” sembra
avvicinare molto l’espressione italiana che qui abbiamo evocato.
Il verbo tedesco durchdringen usato per tradurre came tho-
rough vuol dire “passare, trapelare, attraversare”, ma anche “im-
porsi” e “penetrare”. La costruzione della traduzione in tedesco
ci suggerisce che in italiano potremmo dire “le tue ragioni sono
trapelate”, ma in italiano, come in tedesco, si potrebbe anche dire
“le tue ragioni si sono imposte a noi” in un contesto certamente
diverso e nel senso, per esempio, che non si è potuto fare a meno
di prendere in considerazione, di farsi carico di queste ragioni
che in maniera imponente sono giunte a colui che si sta espri-
mendo.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 283

La traduzione francese assume una specifica connotazione


emozionale di tipo metaforico per via della direzione che pren-
dono le ragioni comunicate: esse arrivano al cuore dell’interlo-
cutore: “le tue ragioni vanno dritte al cuore”. Evidentemente
quando le ragioni di qualcuno arrivano al destinatario della co-
municazione colpiscono quest’ultimo in modo profondo, meta-
foricamente potremmo dire che ne smuovono l’animo. Questo è
quello che sembra dirci qui la lingua francese. L’espressione me-
taforica “mi è arrivato dritto al cuore” è usata in italiano proprio
in riferimento a qualcosa che ci colpisce emotivamente, che non
ci lascia neutrali e ci coinvolge: “le tue parole mi sono arrivate
dritte al cuore” è una frase che usiamo proprio in tal senso. Si
tratta di un’espressione che potremmo sempre includere fra
quelle derivate dalla metafora concettuale del canale in quanto
implica sempre una trasmissione a livello comunicativo di signi-
ficati per mezzo di “contenitori” che arrivano direttamente al
cuore dell’interlocutore che li riceve scuotendone quindi i senti-
menti che, sempre metaforicamente, nel cuore hanno sede.
“You can’t simply stuff ideas into a sentence any old way”. É
davvero difficile rendere in italiano questa frase in modo funzio-
nale, rispettando il senso dell’originale, senza ridurla a una mera
traduzione letterale che non trova uso. Se per conservare in qual-
che misura il suo senso, la traducessimo con l’espressione “non
puoi limitarti a parlare per frasi fatte” la metafora concettuale del
canale non risulterebbe forse subito visibile. Ma l’idea che sta
dietro espressioni come “parli per frasi fatte”, “non dovresti par-
lare per frasi fatte” è che le idee che si intendono veicolare, tra-
smettere devono essere collocate in contenitori adatti e non de-
vono servirsi in maniera meccanica, poco ragionata, di ovvie
combinazioni di parole, logorate dall’uso. In tedesco troviamo
un uso metaforico del verbo kleiden, vestire: “non puoi
semplicemente vestire idee in modo convenzionale”.
Occorre un uso appropriato, oculato, dei contenitori del pen-
siero: le idee devono indossare gli abiti appropriati e non i primi
che capitano. Non può essere casuale il riempimento della frase:
“no se puede simplemente llenar de ideas una oración” scrive il
284 Parole nella mente, parole per parlare

traduttore spagnolo. Evidentemente questo riempimento del con-


tenitore deve essere fatto in modo ragionato, dando la giusta im-
portanza alla corrispondenza tra idee (contenuti) e parole o frasi
(contenitori). “Non puoi accontentarti di introdurre qualsiasi idea
nella tua frase”, come suggerisce la traduzione francese.
Vi è poi il caso della frase Don’t force your meaning into the
wrong words che è stata tradotta solo in tedesco in quanto evi-
dentemente non è in uso nelle altre lingue qui considerate. Lette-
ralmente significa “non forzare la tua intenzione nelle parole sba-
gliate” che in italiano diremmo meglio con una frase del tipo
“sforzati di trovare le parole giuste per esprimere le tue inten-
zioni”. Questa frase italiana può essere comunque considerata un
derivato della metafora concettuale del canale in quanto si basa
sempre sull’idea che le parole siano il canale attraverso il quale
passano le idee, in questo caso nei termini delle intenzioni di un
parlante emittente a un parlante ricevente.
Osserviamo anche le differenze che emergono dalla compa-
razione delle altre frasi incluse da Lakoff e Johnson. È interes-
sante notare, ad esempio, che per quanto riguarda la traduzione
dell’espressione inglese I gave you that idea le traduzioni ricor-
rono conformemente al verbo dare che traduce in modo corri-
spondente la forma usata nella frase inglese, eccetto il tedesco
che per rendere questa espressione usa bekommen, ricevere, e co-
struisce una frase che in italiano suona: “hai ricevuto da me
l’idea”. Evidentemente nella cultura tedesca la metafora del ca-
nale si concentra più sull’arrivo della comunicazione che sulla
partenza e pone più l’accento sulla consegna, sul passaggio, che
sulla donazione, per cui la rivendicazione di un’idea da parte di
un parlante viene fatta marcando la ricezione di quella certa idea
da parte dell’ascoltatore. È come se il parlante dicesse al rice-
vente: l’hai ricevuta, ma non te l’ho data o donata, non è diven-
tata di tua proprietà.
Per quanto riguarda l’esempio inglese It’s difficult to put my
ideas into words, c’è da evidenziare che la traduzione italiana è
comprensibile, accettabile, ma risulta piuttosto letterale, come
quella spagnola, e, potremmo dire, poco lessicalizzata. Siamo so-
liti dire piuttosto “è difficile trovare le parole per esprimere
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 285

quest’idea” o frasi come “non riesco a esprimere a parole quello


che ho in mente”, “non riesco a trovare le parole per esprimere
l’idea che mi sono fatta”. Frasi come queste risultano in italiano
certamente più efficaci in termini comunicativi e sono più dif-
fuse. Sono tutte metafore lessicalizzate se le consideriamo alla
luce della metafora del canale che le governa.
In francese troviamo che si tratta piuttosto di una difficoltà di
“mettere le proprie idee su carta”, una difficoltà dunque di ester-
narle, di trasferirle dalla propria mente all’esterno: questo esterno
è reso metaforicamente con la carta. Il tedesco usa il verbo fassen
traducibile in questo caso con catturare: “è difficile catturare a
parole le mie idee”. Se in italiano si tratta di una ricerca delle
parole in grado di contenere e trasmettere le idee, in tedesco la
faccenda si configura più come una caccia delle idee – che evi-
dentemente tendono in questo caso a sfuggire – da parte delle
parole che tentano appunto di afferrarle.
Ritroviamo questa cattura, questa caccia delle idee da parte
delle parole, nella metafora che segue l’elenco degli esempi pre-
sentati dai due autori nell’opera originale: When you have a good
idea, try to capture it immediately in words. Anche la traduzione
italiana e quella spagnola risultano piuttosto letterali e se pen-
siamo agli usi effettivi in italiano dobbiamo immaginare di ren-
dere l’espressione inglese con frasi come “Quando ti viene una
buona idea, devi subito cercare di fissarla” e in questa direzione
va, per esempio, la traduzione tedesca che si serve del verbo fe-
sthalten (fissare, fermare) per dire “Quando hai una buona idea,
cerca subito di fissarla (o fermarla)”. In contesti d’uso affini in
italiano si potrebbe anche usare la frase “Quando hai una buona
idea, devi cercare di formularla”, la cui variante potrebbe essere
quella di un invito a scriverla, laddove scrivere quest’idea è me-
taforicamente inteso come fissare, memorizzare.
La traduzione francese è una sintesi del concetto di “presa”,
“cattura”, espresso in inglese con il verbo capture e del “mettere
in forma” espresso con l’italiano formulare. Essa suona letteral-
mente così: “Quando avete una buona idea, provate ad afferrarla
immediatamente e a metterla in forma”.
286 Parole nella mente, parole per parlare

Per quanto concerne l’espressione inglese Try to pack more


thought into fewer words, in italiano è difficile trovare un’espres-
sione da usare in modo semanticamente simile a un verbo come
to pack, il quale risulta invece equivalente al tedesco packen. Vo-
lendo pensare a espressioni italiane in uso che siano parzialmente
equivalenti alla frase inglese e alla traduzione tedesca dovremmo
pensare a quei casi in cui invitiamo qualcuno ad accorciare il di-
scorso rivolgendogli una frase idiomatica come “vieni al dun-
que” o frasi quali “dì quello che pensi e non ti dilungare”, “cerca
di stringere il discorso”. In questi casi c’è l’idea di concentrare il
pensiero in meno parole e, pertanto, ciascuna di esse nasconde la
metafora delle espressioni linguistiche come contenitori del pen-
siero, dei contenitori che possono occupare più o meno spazio,
che possono dunque assumere un ingombro differente lungo il
canale della comunicazione e, pertanto, ci possono essere circo-
stanze in cui è necessario misurare bene i contenitori e ottimiz-
zare lo spazio occupato dai pensieri che in essi prendono forma.
Casi in cui, come suggerisce la traduzione francese, è necessario
“cercare di mettere più contenuto in meno parole”.
Osservando le traduzioni della frase inglese The meaning is
right there in the words, notiamo che la traduzione spagnola cor-
risponde letteralmente all’originale. Mentre in italiano l’unica
variazione sta nell’aver preferito “qui” al “there” inglese. Pos-
siamo dire che la scelta del qui o lì dipende evidentemente dal
contesto in cui viene proferita la frase e non cambia la validità
metaforica o l’efficacia della traduzione.
In francese, invece, il senso è qualcosa di “nascosto (caché)
nelle parole” e ciò ci restituisce un’immagine differente da quelle
precedenti: il significato non è solo qualcosa che sta lì nelle pa-
role che lo contengono e lo trasmettono, ma è anche qualcosa che
si nasconde nelle parole, che può restare occulto, qualcosa che
non è sempre visibile e che siamo chiamati a cercare così come
cerchiamo qualcosa che si cela al primo sguardo. Torna ancora
una volta l’immagine interno/esterno, visibile/invisibile, pro-
fondo/superficiale su cui si basa il nostro modo di considerare il
linguaggio e dunque di parlare di esso.
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 287

La traduzione tedesca dice qualcosa come “il significato si


trova per definizione nella parola”, è chiaramente lì nella parola.
Quest’ultima lo contiene e non è qualcosa che va cercato altrove,
perché è lì e basta, nella parola stessa che lo esprime e lo tra-
smette.
Per l’espressione His words carry little meaning le traduzioni
variano sostanzialmente per la sostituzione del verbo carry con
il verbo avere in italiano e spagnolo, per cui il significato non
sarebbe qualcosa che le parole trasportano da una parte all’altra
del canale, ma qualcosa che le parole acquisiscono: entrano in
possesso del significato senza limitarsi a trasportarlo. Le parole
contengono il significato – come ci dice la versione tedesca che
traduce carry con enthalten che vuol dire proprio “contenere” –
e il significato è ciò senza il quale le parole sarebbero vuote come
ci suggerisce una delle successive espressioni elencate.
Torna così, ancora una volta, l’idea delle parole come vuoti
contenitori pronti ad accogliere le idee che danno loro signifi-
cato. Un’idea che attraversa tutte e quattro le lingue qui compa-
rate, come dimostra la facilità con cui si accomodano le diverse
traduzioni dell’espressione The introduction has a great deal of
thought content. Qui è da notare che mentre in italiano e spagnolo
le idee o il pensiero si fanno metaforicamente contenuto, in fran-
cese si fa leva sul contenitore, l’introduzione, che metaforica-
mente contiene le idee.
In tedesco, invece, il contenuto, le idee, il pensiero, sono si-
gnificativamente “sostanza”: sono ciò che dà sostanza a qualcosa
che altrimenti resterebbe vuoto, sarebbe pura forma. L’espres-
sione linguistica, infatti, può restare senza contenuto e quindi
mostrarsi priva di significato come emerge da una frase come
“La frase è senza significato”, anche questa tradotta dall’inglese
in italiano e nelle altre lingue qui analizzate senza particolari ne-
goziazioni semantiche. Oppure può essere tutt’altro che vuota e
nascondere il proprio significato sotto una forma densa e com-
plessa: The idea is buried in terribly dense paragraph.
288 Parole nella mente, parole per parlare

6.16.6. Le metafore di orientamento

Le metafore di orientamento si basano sulla derivazione dei con-


cetti metaforici dalle nostre esperienze fisiche e culturali (ivi:
34). Siccome quando siamo gravemente ammalati siamo costretti
a stenderci, mentre quando siamo pienamente in salute siamo at-
tivi, in movimento e pieni di energie, rappresentiamo concettual-
mente la salute orientandola verso l’alto, la malattia e la morte
orientandole verso il basso. Diciamo perciò “è caduto amma-
lato”, “non si regge in piedi”, “la malattia l’ha buttato giù”, “il
suo stato di salute è precipitato”. La guarigione, invece, viene
espressa con frasi come “si è rialzato”, “è tornato in piedi”. In
italiano diciamo anche “scoppiare di salute”, “ha una salute di
ferro” interpretando la salute in termini di pienezza e forza, in
quando chi è in salute è pieno di energie, forte, resistente.
Quando siamo tristi tendiamo ad avere la testa e lo sguardo
abbassati e da questo orientamento verso il basso derivano
espressioni metaforiche come “mi sento giù”, “ho il morale a
terra”. Quando siamo felici manteniamo la testa alta e lo sguardo
rivolto verso l’alto: un orientamento che ritroviamo nelle frasi
“mi sento al settimo cielo”, “ho il morale alle stelle”.
E ancora: la consapevolezza è su, mentre l’incoscienza è giù.
Ciò deriva, spiegano Lakoff e Johnson (ibidem), dalla posizione
distesa che assumiamo quando dormiamo e siamo incoscienti, di
contro alla posizione eretta che teniamo quando siamo svegli.
Tant’è che diciamo: “è caduto in uno stato di incoscienza”, “ho
avuto un calo d’attenzione”, “è necessario alzare il livello di con-
sapevolezza”, “l’attenzione è alta”.
Avere forza e controllo è su, mentre essere deboli e soggetti alla
forza altrui è giù. Essere buoni è su, essere cattivi è giù. Avere o
fare di più è su, avere o fare di meno è giù.
Ci limiteremo qui a comparare le traduzioni delle espressioni
metaforiche usate da Lakoff e Johnson per la metafora concet-
tuale Foreseeable future events are up (and ahead), ovvero “gli
eventi futuri prevedibili sono situati più avanti e davanti”. A essa
corrisponde per il passato: “gli eventi passati sono indietro e die-
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 289

tro”. Anche questo orientamento avrebbe secondo Lakoff e John-


son una spiegazione basata sulla nostra esperienza: quando avan-
ziamo ci muoviamo in avanti e quando qualcuno avanza verso di
noi si muove sempre in avanti. Quando andiamo via voltiamo le
spalle e ci lasciamo dietro lo spazio precedentemente occupato.
Il testo di Lakoff e Johnson include solo espressioni metaforiche
che si riferiscono all’orientamento del futuro.
Per poter assegnare al tempo una direzione e un orientamento
il concetto di tempo viene metaforizzato dal punto di vista onto-
logico, viene conferita al tempo una sostanza, viene concettua-
lizzato come un oggetto in grado di muoversi e di assumere una
posizione nello spazio. Abbiamo già osservato che questo con-
cetto metaforico del futuro avanti e del passato dietro non è af-
fatto culturalmente universale. La base della concettualizzazione
è sempre fisica, ma mentre la metafora concettuale “futuro
avanti/passato dietro” si basa su un’assimilazione delle direzioni
di moto del tempo a quelle dei nostri movimenti nello spazio, la
metafora concettuale “passato avanti/futuro dietro” si basa sulla
collocazione del tempo-oggetto nella porzione di spazio per noi
visibile, quella posta davanti ai nostri occhi, o nella porzione di
spazio a noi oscura, inaccessibile al nostro sguardo.

Tabella 6.7. Traduzioni di Foreseeable future events are up (and ahead)


FORESEE- LOS LES VORHERSEH-
ABLE FU- ACONTECIMENT ÉVÉNE- BARE EREIG-
TURE OS FUTUROS MENTS NISSE IN DER
EVENTS PREVISIBLES FUTURS ZUKUNFT
ARE UP ⸺ ESTÁN ARRIBA PRÉVISIB- SIND VOR
(and (Y LES SONT UNS (UND
AHEAD) ADELANTE) EN HAUT OBEN)
(ET EN
AVANT)
All up com- Todas las Les rencont- Alle bevorste-
ing events ⸺ actividades que van res sportives henden Ereig-
are listed in a haber están prévues dans nisse stehen in
the paper anotadas en el papel les jours qui der Zeitung
viennent sont
indiquées
dans le jour-
nal
290 Parole nella mente, parole per parlare

What's co- ¿Qué va a pasar esta Qu’est-ce qui Was hast du


ming up this ⸺ semana? va se passer vor?
week? cette se-
maine?
I'm afraid of Tengo miedo de lo J’ai peur de Ich habe Angst,
what's up ⸺ que pueda pasarnos ce qui nous was uns bevor-
ahead of us más adelante attend steht
What's up? ¿Qué hay? Qu’est-ce qui Was steht diese
⸺ se passe? Woche auf dem
Programm

La traduzione italiana ha tagliato completamente fuori la meta-


fora concettuale di orientamento “futuro in avanti/davanti” sia
nella parte argomentativa che in quella degli esempi linguistici.
È vero che non si trovano espressioni metaforiche italiane equi-
valenti a quelle indicate da Lakoff e Johnson, ma ce ne sono altre
lessicalizzate che si basano sul concetto del futuro orientato in
avanti/davanti che potevano essere segnalate in modo da non la-
sciare intendere che in italiano non esistono espressioni derivanti
dalla metafora concettuale di orientamento del futuro.
Quest’ultimo viene rappresentato anche in italiano come
qualcosa che si muove in avanti, che avanza, che giunge, che si
aspetta, che ci sta davanti: “guarda avanti, non pensare al pas-
sato”, “d’ora in avanti mi concentrerò sui miei progetti”, “ho da-
vanti una grande opportunità”, “arriveranno tempi migliori”,
“non so cosa aspettarmi”, “andrò avanti un passo alla volta”.
Mentre per il passato usiamo frasi del tipo: “è acqua passata”,
“non voglio più guardare indietro”, “indietro non si torna”, “non
posso tornare sui miei passi”.
La costruzione verbale inglese presente nelle espressioni me-
taforiche usate per parlare del futuro viene tradotta senza parti-
colari accomodamenti in tedesco: verbi frasali come coming up
(venire, avanzare) e collocazioni come what’s up (come va, che
accade) trovano una combinazione verbo + proposizione nei
verbi tedeschi bevorstehen (essere davanti, essere imminente),
dove bevor indica proprio lo stare davanti, l’essere collocati
prima di qualcos’altro, e stehen auf (stare su).
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 291

La frase All up coming events are listed in the paper è stata


resa in spagnolo ricorrendo al verbo al futuro (trad. it. “tutti gli
eventi che ci saranno, ecc.”), mentre la traduzione francese ci
suggerisce che in italiano avremmo potuto dire in modo equiva-
lente “Gli incontri sportivi previsti nei giorni a venire sono indi-
cati sul giornale”. La locuzione “a venire” in riferimento a giorni
e anni è usata in italiano proprio per indicare il futuro: i giorni e
gli anni che arriveranno, che verranno, quelli che sono collocati
più avanti.
Nel caso di What’s coming up this week? in spagnolo e in
francese troviamo va a pasar e va se passer che ci inducono a
riflettere sulla possibile traduzione in italiano attraverso il verbo
“succedere”. Possiamo ricorrere alla frase “che cosa succederà
questa settimana?” L’orientamento in avanti non risulta subito
visibile come nel caso dell’inglese e del tedesco dove è presente
la preposizione che orienta e in quello dello spagnolo e del fran-
cese dove quel “va” lascia intendere la presenza del movimento,
ma il verbo “succedere” indica qualcosa che viene dopo,
un’azione che segue e in questo senso contiene l’orientamento in
avanti.
Una riflessione può essere fatta anche sull’uso di “attendere”.
In francese lo ritroviamo nella traduzione J’ai peur de ce qui
nous attend: attendiamo sempre qualcosa che arriva, qualcosa
che si muove in avanti e che ci raggiunge e in questo senso il
futuro inteso come ciò che avanza, che sta in avanti, è qualcosa
che anche in italiano associamo all’attesa, qualcosa che arriva e
che temiamo in quanto non conosciamo: “attendiamo” eventi che
non sappiamo di che natura saranno. Diciamo infatti “non so che
mi aspetta” per esprimere l’incertezza degli eventi futuri, dei
giorni “a venire”.
292 Parole nella mente, parole per parlare

6.17. Metafore e educazione linguistica

La metafora è, come abbiamo visto, uno strumento cognitivo e,


in quanto tale, crea conoscenza e questo assunto ha una portata
didattica che dobbiamo considerare. La metafora può essere utile
per destare l’attenzione e disporre emotivamente il discente che,
sentendosi stimolato dall’instaurarsi di relazioni inedite, si sen-
tirà motivato a scoprire e apprendere. Le metafore possono dun-
que essere utilizzate come strategia didattica. Esse possono es-
sere usate, ma devono essere anche tematizzate.
La metafora è un efficace strumento per comunicare e trasmet-
tere i valori del singolo e di un’intera comunità e, in quanto tale,
è in grado di influenzare il punto di vista del nostro interlocutore
(Della Libera 2017: 31). Se consideriamo che le metafore pos-
sono essere diverse da una comunità linguistica a un’altra nella
misura in cui la categorizzazione concettuale di ciascuna comu-
nità differisce in base alle forme di vita che la caratterizzano, ci
rendiamo conto che nel contesto di apprendimento di una lingua
straniera occorre fare in modo che esse non diventino un ostacolo
per la comunicazione interculturale. Ancor più perché la loro
pervasività nell’uso linguistico quotidiano non permette di tra-
scurarne l’apprendimento.
La capacità di comprendere le metafore è strettamente legata
al livello di competenza linguistica dell’apprendente di lingua
straniera: tanto più il livello sarà elementare tanto meno lessico
egli avrà a disposizione per comprendere la metaforizzazione.
Tuttavia, come ha evidenziato Eco, la metafora è in realtà lo stru-
mento che permette di comprendere meglio la lingua in tutta la
sua sostanza socioculturale (cfr. Eco 1984) e, in un contesto di
apprendimento, è proprio questa la conoscenza che la metafora
dischiude.
Alcuni studi hanno mostrato come lo sviluppo di una compe-
tenza metaforica, intesa come capacità di interpretare i riferi-
menti culturali e i modi di dire, sia necessaria per l’apprendi-
mento di una L2 (cfr. Littlemore e Low 2006). È stato anche ar-
gomentato che la capacità del discente di riflettere sulla metafo-
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 293

rizzazione è essa stessa un’opportunità per arricchire l’acquisi-


zione lessicale (Costa e Lima 2010). Le tecniche didattiche che
favoriscono lo sviluppo della competenza metaforica variano te-
nendo conto del fatto che la metafora assume funzioni differenti,
ma sempre importanti, per tutte le sottocompetenze (grammati-
cale, testuale, illocutoria e sociolinguistica) della competenza
linguistica enucleate nel modello di Bachman (1990).
In senso più esteso, la competenza metaforica è parte della
competenza pragmatica che prevede, in generale, la capacità di
produrre atti linguistici, ma anche – come scrive Mariani - «le
abilità di interpretare e trasmettere significati al di là del senso
letterale delle parole, di capire e produrre sequenze di discorso
padroneggiando l’alternanza dei turni, di riconoscere ed espri-
mere emozioni e sentimenti dimostrando sensibilità verso l’in-
terlocutore» (Mariani 2015: 115), una sensibilità che, in contesti
interculturali, prevede la capacità di sospendere il giudizio e di
far spazio a usanze linguistiche e culturali differenti. La compe-
tenza pragmatica permette inoltre «di sciogliere l’ambiguità de-
gli enunciati, colmando così il possibile divario tra “ciò che si
dice e ciò che si intende”» (ibidem), la capacità dunque di con-
giungere la nostra comprensione con le intenzioni dell’interlocu-
tore con cui stiamo parlando.
La comprensione della metaforizzazione non favorisce sol-
tanto l’acquisizione di nuovo lessico, ma permette anche di con-
nettere lingue e culture diverse, di stabilire dei veri e propri ponti
tra lingue e culture (Della Libera 2017: 33). La negoziazione del
significato per mezzo della metafora, come evidenziato dai lavori
di Lakoff e Johnson e di Kövecses, consente di risolvere incer-
tezze comunicative, linguistiche o semantiche: attraverso una
metafora si riesce spesso a spiegare in modo più efficace una dif-
ferenza semantica o a illustrare un uso linguistico specifico di
una certa cultura, il quale irrompendo nella comunicazione, po-
trebbe interromperla compromettendo la comprensione fra gli in-
terlocutori. In casi come questi il ricorso alla metafora aiuta a
ristabilire la comprensione e la comprensione, oltre che ad am-
pliare la conoscenza della lingua e della cultura di riferimento.
294 Parole nella mente, parole per parlare

Tuttavia, se da una parte la metafora può essere un valido sup-


porto educativo, dall’altra occorre tenere conto del fatto che le
espressioni metaforiche assumono valenze culturali specifiche
che l’insegnante di lingua straniera deve cercare di portare alla
luce in modo da evitare che l’apprendente vada incontro a spia-
cevoli incomprensioni linguistiche con implicazioni sociocultu-
rali. Lo sviluppo della competenza metaforica emerge dunque
nella sua importanza sia didattica che comunicativa. Se pen-
siamo, ad esempio, come suggerisce Della Libera, agli accosta-
menti tra caratteri umani e animali, ci rendiamo conto delle pos-
sibili difficoltà nella comunicazione interculturale costituite
dalla connotazione valoriale assunta dagli animali nelle diverse
culture (2017: 34). Abbiamo già evocato la sacralità della mucca
nelle comunità indiane: essa rende impossibile l’associazione di
questo animale a qualunque caratteristica umana. Nella cultura
indiana la mucca rappresenta infatti la divinità e nessuno si so-
gnerebbe mai di dare della mucca a una donna per dirle metafo-
ricamente che è grassa. Occorre, come suggerisce Balboni, «di-
ventare consapevoli del fatto che altre culture possono non capire
le nostre metafore e quindi, dopo essercene lasciati sfuggire una,
si può esplicitarne il significato» (2007: 55). Occorre divenire
sensibili circa la possibilità che una metafora non valga nella cul-
tura di una lingua straniera e che possa addirittura trasgredire i
valori di quella cultura e il ricorso a esso potrebbe creare spiace-
voli situazioni di imbarazzo e incomprensione.
Fra le tante espressioni metaforiche pervasive nella quotidia-
nità, quelle che sono frutto di associazioni con gli animali sono
sicuramente così diffuse al punto da essere lessicalizzate e irri-
conoscibili in quanto tali. Alla luce delle difficoltà che potreb-
bero sorgere dal punto di vista interculturale, come quella evi-
denziata con l’esempio della mucca, è importante rilevare, in
prospettiva glottodidattica, la loro possibile specificità culturale.
Le metafore animali sono il risultato dell’associazione di qualità
e aspetti umani con un animale: nascono dal tentativo di avvici-
nare qualcosa di astratto, una qualità del carattere umano, con
qualcosa di concreto, il comportamento o la caratteristica di un
animale. Ed è a questo avvicinamento che dobbiamo pensare
VI. Tradurre le metafore concettuali di Metaphors We Live By 295

quando ci troviamo nella situazione di dover svelare e spiegare a


un apprendente di lingua straniera una metaforizzazione che è
specifica della lingua target e che quindi non appartiene alla sua
cultura di provenienza.
La lista delle metafore animali in uso nella lingua italiana che
riportiamo di seguito potrebbe essere utilizzata in contesto didat-
tico per spiegare il significato e l’uso di queste metafore ad ap-
prendenti italiano come lingua straniera.
̶ CAPRA: Sei una capra! (sei una persona poco intelligente e
perspicace);
̶ ASINO: Sei un asino! (sei una persona ignorante, poco com-
petente);
̶ VIPERA: Sei una vipera! (sei una persona davvero cattiva,
capace di fare del male e seminare astio e discordia). Una
frase correlata a questa metafora è “hai il veleno in corpo”;
̶ MAIALE: Sei un maiale! (sei un uomo volgare). Può anche
essere usato per caratterizzare un uomo grasso o un uomo che
mangia in modo eccessivo;
̶ BALENA: È una balena (riferito a una donna grassa);
̶ IENA: È una iena (riferito a una persona spietata, solitamente
una donna, che agisce senza farsi scrupoli);
̶ MULO: Sei un mulo (sei una persona testarda, cocciuta, a cui
è difficile far cambiare idea);
̶ LEPRE: Sei una lepre (sei una persona estremamente veloce);
̶ OCA: È un’oca (riferito a una donna che non ha un modo
d’agire e pensare personale, ma agisce cercando di compia-
cere gli altri);
̶ LEONE/LEONESSA: Che leone! (riferito a una persona che
si dimostra forte e combattiva);
̶ CANE: Sei un cane! (riferito a una persona che si comporta
male nei confronti degli altri);
̶ CHIOCCIA: Sei una chioccia (riferito a una donna che si di-
mostra materna con gli altri);
̶ POLLO: Sei un pollo (sei un ingenuo);
̶ TORO: Sei un toro (sei forte, robusto);
̶ COZZA: È una cozza (riferito a una donna considerata molto
brutta);
296 Parole nella mente, parole per parlare

̶ CIVETTA: Che civetta! (riferito a una donna che si atteggia


in modo seduttivo);
̶ LUMACONE: Che lumacone! (riferito a una persona viscida,
ma anche a una persona molto lenta);
̶ ORSO: Sei un orso (sei una persona fredda, distaccata, molto
socievole);
̶ VERME: Sei un verme! (sei un vile, un codardo).
L’analisi di liste di questo tipo in sede didattica offre non solo la
possibilità di acquisire la sensibilità verso l’uso metaforico della
lingua, nel caso specifico verso l’uso metaforico degli animali
nella cultura italiana, bensì costituisce anche un’opportunità per
applicare ed estendere il lessico.
Essa potrebbe essere presentata in classe in due fasi. In una
prima fase, omettendo la spiegazione scritta, ovvero sottopo-
nendo agli apprendenti solo la lista delle espressioni metaforiche,
si potrebbe proporre loro un gioco d’inferenza, ovvero si po-
trebbe chiedere di giocare a turno a condividere con i colleghi
apprendenti ipotesi sul significato metaforico dei diversi animali
elencati. In una seconda fase si potrebbe mostrare loro la lista
includente la spiegazione di ciascuna espressione procedendo
così alla verifica delle inferenze emerse nel confronto di gruppo.
Una terza fase dovrebbe riguardare le riflessioni sulle implica-
zioni sociali e culturali dell’uso di queste metafore, ragionando
anche sull’uso diretto e indiretto di queste espressioni, in modo
che gli apprendenti imparino a riconoscere le funzioni di queste
espressioni e a usarle in modo opportuno rispetto ai contesti lin-
guistici. Un’attività di questo genere, stimolante e divertente, as-
solverebbe il compito di implementare la competenza pragmatica
nella lingua target.
Il ricorso a questo genere di liste non è affatto estraneo in am-
bito didattico. Segnaliamo, per esempio, che all’indirizzo
http://www.locuta.com/sanim_meta.htm è possibile visualizzare
una lista di metafore con animali per apprendenti italiano di lin-
gua madre spagnola. A essa sono annesse delle esercitazioni.

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