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Capitolo II

Il periodo in cui la famiglia si trasferisce nella natia Ratno, coincide con il periodo dei pogrom e
della grande emigrazione verso il Nuovo Mondo.
La Montreal in cui Klein cresce e matura le proprie esperienze formative, è quella tipica del
quartiere ebraico, con le sue sinagoghe, le sue scuole, il suo mercato e altri luoghi di aggregazione
in cui si consuma la lotta tra ortodossia e socialismo, tra un serrare le fila e la volontà di aprirsi a
nuove esperienze.
Abraham Moses Klein nasce a Ratno, uno shetl di 3 mila abitanti, nel febbraio del 1909, nel
momento in cui la pressione zarista e la sempre più grave crisi economica stanno stringendo
d’assedio le ancora numerose comunità ebraiche che vivono nella provincia di Volhynia, nella parte
nord-occidentale dell’Ucraina.

I suoi genitori, Kalman e Yetta Klein, rimasti entrambi vedovi, si sposano nel 1897. Il padre è un
commerciante di terraglie che viaggia in lungo e in largo per la provincia. Questa lontananza dalla
famiglia e dalla comunità viene in parte colmata da lunghe lettere in cui racconta le proprie
esperienze, condendole con ironia yiddish, sino a trasformarle in storielle lette pubblicamente
all’interno della comunità. (yiddish= dialetto parlato dagli ebrei che vivono in Europa).
Si tratta però di una comunità ormai dimezzata dall’ondata migratoria verso il Nord America ma
decisa a resistere alle difficoltà e alle violenze in nome della tradizione.
Soltanto dopo la nascita di due gemelli, uno dei quali è Abraham Moses, i Klein decidono di
trasferirsi in Canada, con destinazione iniziale Halifax, Nuova Scotia.

Halifax si è data una struttura, simile a Staten Island, il Pier 21 in grado di smaltire l’ondata
migratoria proveniente dall’Europa. Da qui partono treni per coloro che devono raggiungere parenti
negli Stati Uniti, gli altri vengono accolti dalle autorità canadesi, desiderose di aumentare il numero
dei propri abitanti e soprattutto, trovare braccianti da inviare nelle Praterie la cui colonizzazione è
iniziata circa un quarto di secolo prima.
Fin dalla seconda metà dell’Ottocento nel Canada si era stabilita una discreta comunità, i cui
membri sono sparsi prevalentemente tra Montreal e Toronto—> si tratta di terre al confine con gli
USA e inoltre, il Canada gode di fama assai favorevole tra gli ebrei essendo colonia dell’Inghilterra.

Nel 1910 questa comunità ha raggiunto la cifra di 75 mila membri e la più alta concentrazione si va
a collocare nella cattolica e francofona Montreal, dove parte della popolazione non è ben disposta
nei loro confronti per motivi di carattere religioso ma anche per l’ondata di antisemitismo che ha
attraversato la Francia nell’ultimo decennio del secolo culminando con l’affaire Dreyfus.
Nella mappa di Montreal del primo Novecento gli inglesi occupano la parte occidentale, i francesi
quella orientale e, nel mezzo quasi a voler costituire una no man’s land, si sviluppa il quartiere
ebraico.
Questa area, nella città delle “due solitudini” diviene il luogo ideale per svilupparne una terza, il
luogo in cui gli ebrei possono sfuggire al “melting pot” e conservare inalterata la loro identità. Negli
Stati Unitila propria affermazione e la propria diversità si rivela nella creazione di una forma di vita
più aperta e meno rigida, nella Montreal di inizio secolo è l’ortodossia a fare da collante tra gli ebrei
russi, polacchi, ucraini, tedeschi che, da un lato tentato di ricostruire lo shetl di provenienza ma
dall’altro cercano di tagliare i ponti con il proprio passato.

È in questo ambiente che Klein si trova a iniziare la propria esistenza canadese; il padre trova
impiego come stiratore in uno sweat-shop collegato con l’industria dell’abbigliamento—> la cosa
più importante per lui resta il tempo da poter dedicare allo studio e alla preghiera in una delle tante
sinagoghe sorte nel quartiere.
Il sistema scolastico canadese funziona bene nell’opera di alfabetizzazione in inglese e francese, le
due lingue ufficiali del Canada ma siamo ancora lontani dal tempo in cui alle varie etnie verrà
concesso di poter far educare i propri figli anche nella lingua madrepore tutelare le proprie radici.
Per questo motivo iniziano ad arrivare anche molti rabbini ortodossi che vengono impiegati per
aprire scuole pomeridiane o domenicali. Si crea dunque un sistema educativo misto di cui lo stesso
Abraham Moses beneficerà e sarà in esso che si andrà formando, a cavallo tra la prima guerra
mondiale e la grande depressione, quella intellighenzia ebraica di Montreal capace di coniugare
ortodossia e modernità.

Mantenere questa struttura sociale però non è così facile: Usher Caplan afferma—> il pericolo
maggiore viene dal proprio interno, dai settori più radicali degli immigrati: quelli formati dai
rivoluzionari che nel 1905 hanno eretto barricate a Minsk e Vilnius e sono dovuti fuggire per
sottrarsi alla vendetta dello Zar; dai socialisti e trade-unionisti che negli anni precedenti alla prima
guerra mondiale si presentano come fortemente anti-religiosi, antisionisti e internazionalisti e
riescono a conquistare ampi settori dei lavoratori e il sostegno della stampa yiddish.

Kalman si dimostra più sensibile al richiamo della dottrina di Theodor Herzl, fondatore del
sionismo politico a cui neanche Abraham Moses rimarrà indifferente. Il piccolo Abraham trascorre
un’infanzia felice all’interno di un nucleo famigliare solido e religioso, che verrà evocata nella
poesia Autobiographical.
Le due figure referenziali sono il padre e lo zio Mayer, suo fratello, che con i loro comportamenti e
convinzioni contribuiscono a plasmarne la mente e l’anima. L’insegnamento del padre lo introduce
anche al mondo del misticismo chassidico che ruota intorno alla Cabbalà e, in particolare, allo
Zohor di cui subisce una certa fascinazione.

Nel 1918 i Klein traslocano più vicino alla sede scolastica e Abraham dimostra la sua grande
intelligenza e facilità nell’apprendimento; sotto la guida del rabbino inizia a studiare anche la
Talmud e la Torah, altro aspetto della sua formazione che si rifletterà non solo nella sua produzione
in versi, ma anche in prosa. Egli frequenta molti ebrei, ma un’eccezione è rappresentata da John
Astbury nato in Nuova Scotia e di fede protestante, che diviene non solo il suo insegnante di latino
e inglese ma anche il suo mentore.
Negli anni del liceo trascorre le sue giornate studiando, trascorrendo molto tempo alla jewish Public
Library. Nel 1924 fonda lo “Sholem Aleichem Club” allo scopo di discutere e divulgare la
letteratura yiddish moderna.
In una di queste occasioni incontra e stringe amicizia con David Lewis, da poco emigrato dalla
Polonia e di madrelingua yiddish, figlio di un padre socialista e antisionista. Esattamente l’opposto
di Klein, ma è proprio questa distanza a far scattare la scintilla dell’interesse reciproco.
Ed è grazie a lui che Abraham incontra nel 1925 Bessie Kozlov, la ragazza destinata a divenire sua
moglie.

Nel 1926, Klein si iscrive alla McGill University dove avrà modo di incontrare e frequentare i
protagonisti del Modernismo canadese. Il curriculum universitario del primo anno rafforza le
proprie conoscenze umanistiche, scegliendo come major latino. Nel secondo anno segue corsi legati
all’economia e scienze politiche, deciso a intraprendere poi gli studi di giurisprudenza e divenire
avvocato, professione molto popolare all’interno della comunità.
Durante il terzo anno riprende le discipline umanistiche in un corso su Chaucer, Spencer e Milton e
nell’ultimo anno segue corsi avanzati di latino, economia politica, storia e filosofia.
In questi anni universitari entra a far parte della Young Judaea un’organizzazione giovanile sionista,
sostenitrice della tradizione e della cultura ebraiche. Viene attratto dal pensiero di Achad Ha’am
per il quale Israele non deve rappresentare soltanto un asilo politico per gli ebrei, quanto un centro
spirituale dove possa fiorire un Rinascimento che stimoli la creatività ebraica in ogni parte del
mondo. Dunque Klein è affasciato sia dalla figura di Herzl che di Achad Ha’am—> da un lato Herzl
vuole uno stato degli ebrei; dall’altro Ha’am uno stato ebraico in cui solo una parte del popolo
ebraico avrebbe potuto trasferirsi.

Nel 1928 Klein assume la direzione di Judaean, il mensile dell’Associazione, ruolo che rivestire
fino al 1932. In questi anni comincia anche a pubblicare le sue poesie in riviste canadesi (The
Canadian Forum) e americane (Poetry).
Sempre nel 1928, organizza l’appuntamento annuale di Young Judaea, l’atteso rifacimento del
Congresso Sionista Internazionale secondo la tradizione dei “mock parliaments”.
Klein è attratto soprattutto dall’Herzl letterario ancor più che dal teorico e dal politico, facendolo un
modello non solo stilistico quanto di vita.
Questo coinvolgimento nella causa sionista influenza profondamente anche la sua produzione
artistica. L’attività frenetica e appassionata di Klein può far pensare a una volontà di intraprendere
la carriera politica, ma sceglierà un strada diversa.

Inizia a lavorare per la McGill Fortnightly Review, rivista studentesca fondata nel 1925 da F.R.
Scott, destinato a divenire uno dei più grandi protagonisti della poesia canadese novecentesca e da
A.J.M. Smith che diverrà il grande mentore del modernismo.
A partire dai primi anni 30 con la poesia “Diary of Abraham Segal, Poet”, si va sviluppando in
Klein l’idea di scrivere un Ulisse canadese e ildesiderio di rendere a Montreal lo stesso tributo di
Joyce a Dublino.
Ma è particolarmente con Leo Kennedy, un giovane di origini irlandesi proveniente dagli slums di
Montreal, che si crea un vincolo reso forte dal comune senso dell’ironia e dal fatto che Klein è
convinto dell’esistenza di affinità tra ebrei e irlandesi. Si può immaginare la gioia di Klein quando
l’amico sposa, nel 1929, una ragazza ebrea, gioia che traspare in “Christian Poest and Hebrew
Maid”, il prothalamion che compone il loro onore trasformando il matrimonio in un «symbolic
commingling of their two religions».

Leo Kennedy è anche uni dei membri del. Gruppo di Montreal, il nucleo formativo del Modernismo
Canadese che include cattolici ed ebrei e che ruota attorno a Smith, Scott, Edel e ha come slogan
“preview” tanto da farne anche il titolo della rivista a cui, nel 1942 danno vita con la direzione di
Ptrick Anderson. Klein partecipa alle riunioni e alla redazione e segue con interesse crescente tutto
il percorso che porta poi alla nascita di First Statement nel 1943 a opera di John Sutherland.

Tornando al 1927, Klein vede pubblicata la sequenza di sonetti “Five Characters” su Mnorah
Journal di New York, la più autorevole rivista di cultura ebraica del Nord America, di cui negli anni
a seguire diviene assiduo collaboratore.
È del 1929 l’inizio del rapporto con il Canadian Mercury, quindi il Canadian Forum, mentre con
l’aiuto di Lewis fonda McGilland, nuovo organo studentesco destinato a colmare il vuoto lasciato
dalla Fortnightly.
Klein decide anche di iscriversi alla Facoltà di Legge dell’Université de Montréal, allo scopo di
poter acquisire le conoscenze tecniche e linguistiche per poter esercitare nel Quebec.
Nel 1932 Edel torna da Parigi e rincontra il vecchio compagno di cui diviene il confidente e il
lettore delle prime due raccolte di poesie. L’apprezzamento di Edel spiana la strada a Klein, in
particolare lo fa conoscere a un pubblico più ampio e gli procura i primi importanti apprezzamenti
critici. Infatti l’anno successivo egli viene definito “Canada’s greatest living poet”.
A contribuire alla fine di questo periodo così fecondo è un insieme di fattori: la crisi economica che
rende precarie le condizioni di vira dei Klein, il divorzio della sorella Dora e il ritorno, con due
figli, alla casa paterna; la necessità di traslocare in un appartamento più grande; la lunga malattia e
la morte del padre che fa di Abraham Moses il capofamiglia e l‘unico sostegno.

La professione forense che esercita da subito con grande serietà e diligenza, gli appare però tediosa
e frustrante. Nel 1934 decide di accettare la presidenza della Canadian Young Judaea e inizia a
lavorare anche per la Zionist Organization of Canada; gli impegni professionali e politici si
intensificano e la sue vena poetica tende ad inaridirsi. Tutte le energie che il lavoro gli lascia sono
indirizzate in questo periodo a quella che sembra essere divenuta la nuova missione del poeta:
divulgare la cultura ebraica moderna e il sionismo.

Nel 1936 inizia a far uscire le proprie traduzioni di molti autori importanti, come Chaim nachman
Bialik. Questo entusiasmo è in parte spezzato dal rigetto della sua raccolta di poesie da parte della
Jewish Publication Society, con sede a Filadelfia, a causa della “gloomy atmosphere pervading most
of the poems”.
Tuttavia gode del favore di Ludwig Lewisohn che lo reputa il primo poeta ebreo di lingua inglese e
che scrive la prefazione ai Selected Poems. Nello stesso anno, Lewinsohn scrive una lunga
recensione intitolata “Concerning a Jewish Poet”.
Ormai Klein gode di una solida reputazione ma quello che gli manca è la controparte canadese, un
gap che tenta di colmare includendo nella antologia New Provinces “Soirée of Velvel Kleinburger”
e “Out od the Pulver and the Polished Lens”.

La sua irrequietezza invece di calmarsi sembra subire un’impennata. Gli spazi di Montreal
sembrano tutto ad un tratto farsi stretti e non fatica troppo per convincere il socio ad andare a
esplorare la possibilità di aprire uno studio nella cittadina di Rouyn.
Così nel 1937 Abraham e la sua famiglia vi si trasferiscono ma la vita rurale del Quebec accelera
l’ansia che le vicende in Europa scatenano nel poeta. Prima è la guerra di Spagna, aprendo tristi
scenari sulla condizione che gli ebrei dell'Europa si apprestano ad affrontare.

L'ondata di antisemitismo arriva anche in Québec dove la destra nazionalista fa affiggere cartelli in
francese in inglese contro gli ebrei. L’eco di questi sentimenti lo cogliamo nel “Childe Harold’s
Pilgrimage” un monologo drammatico composto nel 1938 che costituisce la prima risposta diretta
alla minaccia del nazismo.
Buona parte del mondo ebraico nord americano è convinto che si possa arrivare ad un accordo con
Hitler, che il nazifascismo non sia capace di arrivare a quella che sempre più si sente chiamare “la
soluzione finale”, non ha quindi interesse ad acuire ulteriormente i contrasti favorendo la
pubblicazione di un'opera apertamente anti-hitleriana come il lavoro di Klein.

Soffocato dalla vita di provincia, Klein inizia seriamente a pensare di fare ritorno a Montreal e
l’occasione si fa concreta nel 1938 quando l’editore Hirsch Wolofsky a capo dell’Eagle Publishing
Company gli offre una collaborazione fissa.
Il primo editoriale che firma sull'infausta “notte dei cristalli” ed è il primo di una lunghissima serie,
destinata interrompersi solamente nel 1955 quando le condizioni di salute lo costringeranno al ritiro.
Finalmente nel 1940, Hath Not a Jew viene pubblicato ottenendo un unanime consenso da parte
della critica e servendo da stimolo a una ritrovata vena poetica, ancora una volta rivoluzionaria e
ispirata all'orrore che le notizie provenienti dall'Europa suscitano in lui. Ancora una volta è
affascinato dall'idea di far confluire la tradizione ebraica e quella inglese.
Ad ogni modo, che i suoi salmi non siano una mera imitazione di quelli biblici e lui stesso a
ribadirlo; essi «are not imitations psalms. Their tone and content are perhaps psalmodic in a
twentieth century son of way, but only one psalm is written in a biblico style».

Anche questa volta l’intenzione è di farli pubblicare proprio dalla Jewish Publication Society E ma
la trattativa si rivela estenuante; vengono infatti pubblicati, con numerose modifiche e
l'eliminazione di diversi salmi, solamente nel 1944 con il titolo piuttosto anonimo di Poems.
In questo periodo Klein trova sostegno nei vecchi amici del “gruppo di Montreal” i quali sono
raggruppati attorno a una rivista grafica poco curata ma straordinariamente innovativa nei contenuti:
Previw.
Klein viene ormai considerato nei circoli letterari il più originale poeta canadese e la definitiva e
pubblica consacrazione viene con la pubblicazione, nel 1943, di The Book of Canadian Poetry
curato da A.J.M. Smith.

Nel 1942 Klein porta a termine il suo progetto più ambizioso: The Hitleriad. E ancora una volta
trovare un editore è difficile, sarà James Laughlin il quale, dopo aver accettato di includere alcuni
componimenti di Klein nell'almanacco annuale della rivista, gli offre di pubblicare l'opera nella
collana “Poets of the Year” ma il libro non riscuote grande successo.
La ferita e di quelle che non si rimarginano: il successo che Hollywood tributa a Ernst Lubitsch e
Charlie Chaplin ricade come un macigno su Klein. La situazione non migliora quando con la fine
della guerra, gli orrori dell'Olocausto vengono portati alla luce. Klein sembra sommerso da un
dolore da una rabbia che non lo lasceranno più e lo dimostra “Elegy”.

Bronfman si offre di fargli avere un insegnamento di Letteratura inglese alla McGill ma Klein non
se la sente. Nel 1946 termina cil suo primo romanzo, un thriller originariamente intitolato Comes
the Revolution, che racconta la vicenda realmente accaduta dell'addetto all'Ufficio Cifra
dell'ambasciata russa ad Ottawa che nel settembre del 1945 chiede asilo politico al Canada,
rivelando l'esistenza di una rete spionistica, in territorio canadese, che coinvolge personaggi
importanti come il deputato Fred Rose. Anche in questo caso la pubblicazione risulterà un
problema.

I vecchi amici Lewis e Scott gli propongono allora di presentare la sua candidatura alle elezioni
politiche come candidato del CCF, Cooperative Commonwealth Federation, il Partito Socialista
canadese. Dopo aver rifiutato pensa di trasferirsi a New York dove l’American Jewish Committee ha
appena fondato una rivista, Commentary, ed è in cerca di direttore. Kyo Klein fa conoscere la
propria disponibilità, anche se in cuore suo è consapevole che i propri trascorsi i socialisti e la sua
adesione senza tentennamenti alla causa sionista non depongono a suo favore.
Torna quindi alla proposta di insegnamento alla McGill e gli viene proposto un incarico di “Visiting
Professor in Poetry” della durata di 3 anni.
Ha così inizio la sua breve carriera accademica di un docente estremamente stimolante e molto
legato alla contemporaneità della esperienza modernista. Egli dedica corsi alla prosa del settecento e
alla poesia romantica e vittoriana; alla fine dei tre anni gli viene chiesto di restare di insegnare
letteratura canadese ma Klein risponde che non è interessato.
Ecco dunque quali sono le sue ambizioni: redigere un commento meticoloso dell'Ulisse di James
Joyce. Un testo che fin dalla sua pubblicazione aveva affascinato il poeta che ne aveva fatto
l'oggetto di molte delle discussioni letterarie con i colleghi del “gruppo di Montreal”.
Di questo rapimento la causa principale è la figura di Leopoldo Bloom, in cui Klein vede la
rappresentazione del moderno ebreo errante, costretto come l'Ulisse omerico a vagare e a sottoporsi
a continue prove per guadagnarsi il ritorno in patria.
E non si immerge in una spasmodica ricerca delle fonti di ogni singolo termine usato nel romanzo.
Tutto risulta utile: manuali di ginecologia e ostetricia, antichi gesti, dizionari, strumenti che lo
portano ad affermare di conoscere ogni significato, anche il più remoto, inteso da Joyce.

Il secondo articolo, dedicato al capitolo “Telemachus”, viene terminato agli inizi del 1949 e
pubblicato in Accent quella stessa primavera. Il terzo articolo, dedicato a “Nestor”, e intitolato a
“Shout in the Street” nasce sottoforma di conferenza: viene eletto a New York il 2 febbraio 1951 a
un convegno della Joyce society e James Laughlin lo include nel numero annuale di New Directions
del 1951.
Sulla spinta di questo successo Klein continua il proprio lavoro mettendo mano al saggio su
“Prometeus”. I tre articoli sull'Ulisse furono pubblicati tra il 1949 e il 1951 e lo resero molto
famoso.

Ma dopo pochi mesi, egli annuncia a Edel la decisione di aver preso la decisione di accantonare il
progetto per dedicarsi alla promozione di The Second Scroll, il suo capolavoro.
E per comprendere la genesi di quest'opera si deve fare un passo indietro al 1948 che vede la nascita
dello Stato di Israele e il realizzarsi del sogno sionista. Abraham Moses, arriva nella primavera del
1949, in una Palestina ancora martoriata, invasa da profughi del nuovo esodo.
Inviato dal Canadian Jewish Congress deve compiere una missione esplorativa che consentisse di
programmare un'ampia e documentata campagna di conferenze e descritti a sostegno di quello che è
tornato a essere Eretz Israel. Il viaggio è quello che ritroviamo in The Second Scroll.
Terminato nel 1950, viene inviato alla casa editrice di New York Alfred A. Knopf ma la prima
risposta è negativa. Klein si rimette al lavoro, lo rielabora e, con tenacia lo rispedisce a Knopf.

Il romanzo risente degli echi Joyciani e danteschi e ripercorre la storia ebraica dai tempi dei pogrom
alla Shoah.
Ovviamente la struttura del libro, che egli riprende dal pentateuco, non fa che amplificare quella
dimensione extra temporale che pertiene alla sfera biblica, soprattutto se la intendiamo quale
“grande codice”.
Il successo è immediato e il romanzo diviene l'opera di Klein più letta. Nel maggio del 1952 la
CBC, la radio pubblica canadese, ne presenta una drammatizzazione di un’ora e mezza.
Questa popolarità produce cambiamenti significativi in Abraham Moses—> se da un lato l'essere
pubblicato da un grande editore rafforza la sua autostima dall'altro lo consacra definitivamente
come scrittore ebreo.

I segni del suo squilibrio, già manifestatesi da diverso tempo si aggravano: nel 1954 Klein tenta più
volte di togliersi la vita e viene ricoverato all'ospedale psichiatrico di Verdun dove viene sottoposto
a elettroshock terapia. L’apparente miglioramento lo riporta al lavoro ma si dimette dal Canadian
Jewish Chronicle e inizia a limitare i propri impegni.
Nel 1955 tiene un readinf al “Y” Poetry Center di New York e in novembre un altro a McGill.
Il 1956 segna il suo definitivo ritiro dall’avvocatura e dalla vita attiva.
Klein chiuso sempre più in se stesso, si abbandona a un silente e perpetua sognare a occhi aperti,
rifiutandosi di incontrare chiunque. La morte lo coglie nel sonno nel 1972 a un anno di distanza
dall’amata Bessie.

Capitolo III

The Second Scroll viene pubblicato nel 1951 ed è il primo e unico romanzo di Klein—> riscuote
grande entusiasmo nella critica.
Sono presenti 4 essays nel testo: dalla trama teleologica e ciclica al senso dell’avventura intesa
come quest, una ricerca che si identifica con quella della propria identità per giungere alla fine
all’aristotelica anagnoris ma, secondo Giovanna Capone «è importante sottolineare che mentre ogni
scrittura religiosa è l'epica del creatore, il romance è l'epica della creatura: le sue storie secolari si
raccolgono in leggono anagogicamente come un tutto formante una singola visione integrale del
mondo». —> aspetto che in Klein piò essere applicato ai ai racconti piuttosto che a The Second
Scroll dove creatura e creatore sono deuteragonisti e l’epica bilica, mitica e non favolosa,
costituisce la chiave dominante.

Klein attinge perlopiù al Tanàkh, come si evince dal titolo e dalla stessa struttura, quella del
pentateuco, che vuole riproporre intitolando i primi cinque capitoli:

• Genesis; Essi costituiscono una rivisitazione in chiave


• Exodus; personale e originale dei primi cinque libri della
• Leviticus; Bibbia e delle cinque fasi in cui si articola l'attività
• Numbers; letteraria dello scrittore.
• Deuteronomy.

Fonte altrettanto importante è il Talmùd come testimoniato dalle 5 glosse:


• Aleph;
• Beth; Fungono da commentari e sono realizzati in forme
• Gimel; artistiche diverse: la prima, in versi, è fortemente
autobiografica, si passa poi dall’elegia all’epistola, dal
• Dalid; dramma al salmo.
• Hai;

È opportuno tornare a riflettere sulla concezione della Bibbia per Klein—> egli propone la
definizione di Bibbia quale romance onnicomprensivo di ogni forma d’arte e che in questo senso
allora diventa possibile accettare la concezione fryeiana del termine.
“There is an erroneous impression that the Bible is a book reserved for learned rabbis and pious
ministers. You need only open its covers to dispel that illusion and to become entranced in a
romance containing every form of art from the narrative to the philosophic and offering in a most
attractive form its mental pabulum”

Essendo il Tanàkh la fonte testuale primaria di The Second Scroll, giada esso stesso scaturisce un
enorme varietà di interpretazioni, che l'opera talmudica riflette; la questione non può avere delle
conseguenze sulla scrittura stessa che a sua volta si fa carico di sollecitarne un'ampia sfera di
possibili letture.
Anna Brawer—> l'ebraismo legge la Bibbia, in una continua proliferazione di sensi, basata
sull'esegesi e l'interpretazione continuamente dinamiche del testo, inalterabile in ogni suo minimo
dettaglio e luogo di infinite letture compresenti e proliferanti nel tempo, a seconda delle necessità
dei tempi, dei luoghi e delle persone. È questa metodologia di lettura la se stesso cioè della
tradizione ebraica, fatta non solo di Bibbia ma di Talmud e di Zohar e di tutti i commenti fino ad
oggi, a creare la forma mentis e la visione del reale del popolo del Libro.
I livelli di significazione sono pertanto plurimi anche nell’opera di Klein, la cui forma mentis è
decisamente durra ebraica. Proprio questa stratificazione di significato, ci rimanda al concetto di
pardes che sembra essere il principio su cui si fonda la poetica di Klein. Esso sta a indicare I quattro
livelli di significazione o di interpretazione che la tradizione ebraica attribuisce al testo biblico,
vengono chiamati con i nomi di:
-peshat: significato semplice o letterale;
-remez: significato allusivo;
-derash: ricerca;
-sod: significato nascosto o segreto.
Esiste una progressione dal positivo al negativo non soltanto dall'esplicito all'implicito, ma più
precisamente da quello che è presente nel testo a quello che è sempre meno detto. Se il peshat
designa il senso letterale non vuol dire che esso si limiti a quello che è scritto esplicitamente. C’è
già dell’implicito nella spiegazione del peshat che designa contemporaneamente la semplicità e la
distesa. Il significato di peshat si trova nel testo, sia che esso vi sia presente esplicitamente, sia che
lo si possa dedurre in modo tale che lo si possa ragionevolmente ritrovare.
Il livello successivo è remez o del significato allusivo. Si basa sul fatto che il testo qualche volta è
ellittico, il testo incompleto non fa altro che dichiarare per allusione; proprietà del derash consiste
nell’essere assente dal testo, mentre la stessa assenza origina una domanda che deve essere colmata.
Il derash esprime un significato che non ha nessun collegamento con il testo se non attraverso
domande a priori in numero infinito, che si possono porre sul contesto.
Il sod, il significato nascosto, è totalmente nascosto nel testo, anche sotto forma di lacuna, di vuoto,
di domanda qualsiasi. Questa progressione dal peshat verso il sod consiste nel ricercare la fonte dei
significati del testo sempre più fuori dal testo stesso.

Tutto ciò assume una sua importanza in quanto avendo avuto Klein una formazione di tipo
ortodosso, i criteri di lettura del testo biblico diventano parte integrante del suo modo di affrontare
anche gli altri testi.
Questo modo di operare attraverso l'accumulo di significato e la differenza di stili lo si evince
persino dal titolo: da un punto di vista teologico il primo rotolo è la Torah, la legge che Dio ha
consegnato a Mosè sul monte Sinai; il secondo rotolo sta a significare l'esigenza di una nuova legge
che il popolo ebraico deve darsi alla luce di quanto la storia moderna gli ha insegnato e, a
sottolinearlo, l'acronimo di The Second Scroll, si compone di SS per rievocare l’Olocausto.

The Second Scroll è un romanzo che sfugge a ogni definizione e categorizzazione netta, tanto che la
sua struttura narrativa può essere considerata onniconclusiva: una complessa miscela di poesia,
narrativa, teatro e trattato religioso, autobiografia, racconto di viaggio.
Klee non conosce il francese, l'ebraico lo yiddish, il latino e l'inglese e ognuna di queste lingue la si
ritrova nel testo in forma più o meno diretta, attraverso espliciti elementi lessicali o attraverso lo
stravolgimento delle strutture grammaticali inglesi forzate.
Il testo è reso pertanto in molte parti estremamente oscuro; se da un lato il plurilinguismo può
rinviare allo sperimentalismo dei modernisti (si pensi a The Waste Land di Eliot) dall’altro è anche
vero quanto afferma Hana Wirth Nesher a proposito della letteratura ebraica americana—> Jewish
American Literature offers testimony of multilingual awareness not only among immigrant writers
but also among their descendants who retained attachments to languages other than English.

Klein lancia e porta avanti la propria sfida, una sfida che va dall'invenzione di neologismi ai puns
quanti intraducibili, all’uso costante di lemmi arcaici o di derivazione latina, al ricorso allitterazione
che vuole suggerire un potere incantatorio della parola, che rimanda al logos divino, per cui la
lingua si carica di una vis cosmogonica presente soltanto nella lingua primigenia.
La parola artistica diviene una rivelazione e qui il concetto joyciano di epifania si lega al concetto
di linguaggio come visione mistica e come messaggio politico inerente alla figura del poeta biblico
e infine al concetto di parola e segno grafico come mistero e magia.
La miscela che crea è assolutamente esplosiva, tanto da risultare a molti una forma di acrobazia
linguistica gratuita che finisce spesso con il degenerare in una retorica incomprensibile e ciò si
rivela alienante e straniante per il lettore.

Un altro aspetto fondamentale è la transtestualità; l’ipertestualiutà e l’intersessualità sono alla basa


dell’iperteso kleiniano, il cui ipoteso primario è la Bibbia. A essa Klein non si rifà solo in questi
termini, ma ne riprende anche, come si è già sottolineato, la struttura che pure se variegata non le
impedisce di essere coesa, anche in questo richiamando la Bibbia.
Va inoltre evidenziato il fatto che se con il modernismo, a causa soprattutto dell'influenza freudiana,
subentra diffusamente l'impiego della simbolo, il nostro artista sembra però continuare a preferire
l'allegoria che non lo porta però a una vera e propria categorizzazione dei personaggi, i quali si
muovono sul palcoscenico in modo a volte parodico, a volte melodrammatico.
A Klein non interessa l'individuo nel suo percorso personale ma l'essere umano è la sua storia; lo
scrittore sembra infatti farsi portavoce del percorso doloroso di una generazione attraverso una
pluralità di voci, quasi a significare che la sofferenza è parte integrante, fondante del percorso
ebraico.

La concezione della Bibbia come Grande Codice—> Klein compie su di essa un'operazione per
molti versi simile a quella dei Talmud disti costruendo a canto a ogni singolo capitolo un castello di
interpretazioni che sembrano negare quanto Adorno, Steiner e Wiesel hanno affermato circa
l’impossibilità di fare dell’Olocausto un continuum storico in cui misurarsi e confrontarsi
artisticamente.

Altro tema è quello della quest artistica, spirituale, intellettuale e ideologica che confluiscono l’una
nelle altre; l'esperienza individuale dello zio, parallela a quella del nipote, si fa a paradigmatica
dell'esperienza e della condizione umana.
Melech è una figura messianica che rappresenta il destino del suo popolo e ne incarna i conflitti
spirituali.
La critica canadese è concorde nel vedere nello zio una figura messianica, bisogna però porsi il
problema di come questo aspetto possa conciliarsi con la militanza politica bolscevica, l'apostasia e
la metaforica discesa agli inferi. Anzitutto è da precisare che se il messianismo è una dimensione
fondamentale del cristianesimo, nell'ebraismo c'è chi lo ritiene non essenziale.
In Melech si coniugano due tendenze: la restauratrice e la utopica. Questo ci porta a delle ulteriori
considerazioni in merito al legame che intercorre tra il messianismo e le utopie libertarie del XX
secolo.
Michael Löwy—> tra i sociologi della religione, Marx Webber è stato probabilmente uno dei primi
a formulare l'ipotesi del carattere potenzialmente rivoluzionario della tradizione del giudaismo
antico: nella Bibbia il mondo non era percepito come eterno e immutabile, bensì come un prodotto
storico destinato ad essere sostituito da un ordine divino.
In tal senso Marx costituirebbe l'espressione secolarizzata del messianismo biblico. Come nota
Löwy la visione è piuttosto riduttiva, anzi per quest'ultima dimensione religiosa rimane un aspetto
fondamentale che porta invece, attraverso un rapporto osmotico delle due sfere, a una
secolarizzazione del profano. In tal senso bene si colloca la figura di Melech.
Ma non basta associare la figura dello zio a quella messianica, pare invece di intravedere, dietro la
sua maschera, uno dei falsi Messia più famosi nell'ambito dell’ebraismo: Šabbetay Sevi.
Ad accomunarli c’è in entrambi una sorta di discesa agli inferi, rappresentata dall’apostasia. La
conversione all’islamismo di Šabbetay Sevi fu interpretata dai suoi discepoli come la necessità di
calarsi nel male per raggiungere il bene; il passaggio attraverso il male diventa obbligatorio ed è un
mezzo per consolidare nel bene il proprio essere.
L'apostasia diviene allora «il sotterfugio per mezzo del quale era sceso negli abissi dell'impurità per
estirparvi le ultime scintille divine».

Altro tema è quello dell’artista, un artista che precede invisibilmente scortato da due figure di
riferimento fondamentali: l’Ulisse di Omero e l’Ulisse di Joyce. Dal primo riprende il tema del
viaggio la cui finalità è la conoscenza. Da Joyce, Klein recupera sia l'elemento mitico inteso quale
strumento con cui tentare di ricomporre il caos e la frammentarietà del mondo wastelandiano in cui
l’uomo ha dovuto vivere, vive e continuerà a vivere.
Inoltre i due protagonisti si ricovano, come Leopold Bloom e Stephen Dedalus a portare avanti due
quest separate. Soltanto nell'incontro finale i due percorsi si intersecano per riaffermare da un lato la
consacrazione dell'artista e della sua finitudine, dall'altro i limiti della natura umana.

Se l'eroe di Joyce più di ogni altro ha saputo interpretare la crisi di valori che l'uomo del primo dopo
guerra si trova a fronteggiare, il Melech di Klein, alla fine della suo articolato e tragico percorso
riesce a ricomporre i propri frammenti e a proporsi, anche lui unico e irripetibile, come il ritratto
dell'eroe del dopo Olocausto consapevolmente vittima, prima che di un Dio silenzioso ed eclissato,
dell'uomo stesso.
Ecco che ritorna quanto Klein ha affermato nel “The Bible’s Archetypical Poet” quando egli si
riappropria della narrazione biblica di Giuseppe e i suoi fratelli, leggendola come una metafora
della vita e del destino che da sempre accompagnano l’artista. Egli la rilegge in chiave personale e
autobiografica riconoscendosi in tutti gli elementi che caratterizzano Giuseppe. Nel suo mantello
colorato egli vede un simbolo dell'immaginazione poetica, che lo rende un sognatore e un interprete
dei sogni; l'amore che nutre per i propri fratelli non lo ripaga di uguale moneta ma lo porta a
confrontarsi con l'invidia e rancore. Il mantello gli viene strappato, lui stesso viene gettato nel pozzo
e poi venduto come schiavo e tutto ciò appare «il classical design» del rapporto tra il poeta e gli
uomini.

I capitoli “Genesis” e “Exodus” e le glosse ‫ ב‬e ‫ א‬sono contigue tematicamente e presentano


problematiche che non è possibile affrontare se non dopo aver delineato la trama.
-In “Genesis” l’anonimo narratore/protagonista rievoca la propria infanzia e adolescenza nella
comunità ebraica di Montreal. Il lettore viene immerso nell'atmosfera ashkenazita di questa famiglia
ormai residente in Canada ma ancora legata alle proprie tradizioni: il padre è un uomo dedito alla
Legge; il narratore, ancora bambino, apprende l’ebraico.
Sin dalle prime righe si materializza la presenza/assenza di uno zio che è destinato ad aleggiare
sempre inseguito e mai raggiunto, sull’intera vicenda che si snoda su più continenti, spostandosi dal
Canada all’Europa, fino all’arrivo in Israele.
Questa presenza ha un nome, Melech, ma diviene innominabile per aver tradito la religione dei
padri convertendosi all'ideologia bolscevica, in seguito a un programma di cui lo stesso zio parla in
una lettera ricevuta dal padre del narratore proprio durante la festività di Simchat Toràh, celebrata al
tempio tra canti e danze secondo il rito chassidico.

Nel frattempo il rapporto epistolare continua e le lettere che seguono non presentano più riferimenti
biblici, ma si fanno sempre più formali e distanti, anche se in una serie di esse pare aleggiare l’idea
di immigrare in Canada, cosa che poi non avverrà.
Altri particolari della storia dello zio vengono appresi da due ospiti che si presentano all’improvviso
dopo essere sfuggiti a un pogrom in Ucraina e giunti a distanza di un anno in Canada.
Sempre da questo racconto la famiglia viene a sapere che lo zio è sopravvissuto fuggendo dalla
cittadina, ma avendo cercato di intercedere per il vecchio rabbino è stato accusato di essere un
bolscevico e quindi frustato e umiliato pubblicamente. Questo evento lo spinge a divenire membro
del Partito Comunista.
Il capitolo si chiude con il narratore già all’università alle prese con le prime nozioni sul
comunismo. Lo zio si configura nella mente del narratore come un «secret pride».
Due sono le immagini finali: quella di uno zio letterato e quella dell'invasione della Polonia da parte
delle truppe tedesche.

-il secondo capitolo “Exodus”, caratterizzato ancora dalla presenza dell’elemento autobiografico, si
apre con alcune reminiscenze scolastiche del narratore, che sogna di andare in Palestina e il sogno
diventa realtà quando, a un anno dalla fondazione dello Stato di Israele, l’editore per cui lavora gli
offre di recarsi a Israele allo scopo di raccogliere materiale sufficiente per comporre un’antologia
delle nuove voci ebraiche.
Tuttavia poco prima di partire, il narratore riceve casualmente una vecchia lettera dello zio datata
1949, proveniente da Bari e inviata al loro vecchio indirizzo. La prima cosa che nota è l'ennesimo
cambiamento dello zio: non è più un paladino della rivoluzione, il suo gergo non è più quello
comunista, è tornato allo stile talmudico, i saluti sono in ebraico e la lettera è scritta in yiddish.
Nella lettera è riportata la tragica esperienza dello zio in un campo di sterminio nazista e la tragica
condizione di salvato.
Sorprendente è la capacità dello scrittore di utilizzare gli strumenti del realismo nella ricostruzione
storica, ma anche nella sua asciuttezza già costituisce un piccolo capolavoro. Il capitolo si conclude
con lo zio che da Bari attende di imbarcarsi per Haifa.

- a questi due capitoli iniziali si collegano le prime due glosse, le quali costituiscono il pre(post)-
testo per ricostruire e fare propria la memoria dello shtetl, dell’esperienza che nella Mitteleuropa
e in quella orientali ha per secoli costituito il grande retaggio culturale della diaspora, fino a
divenire, durante e dopo il periodo del nazifascismo, lo strumento che ha permesso di rendere
fertile il terreno da cui far nascere il senso di appartenenza.

Aleph riprende in forma lirica i temi di “Genesis” ed è costituita infatti da una poesia
“autobiografica” già pubblicata nel 1943.
Beth (anche questa antecedente alla stesura del romanzo), è un'elegia in cui si commemorano i
morti della Shoah ma soprattutto il narratore passa man mano dalla tristezza e il dolore alla rabbia e
finisce con il rivolgersi direttamente a Dio per invocare una dura vendetta.

Il linguaggio nella descrizione che ci fa Klein, viene connotato come cosa viva e mistica, le lettere
dell'alfabeto sono infatti definite “mystic block”. Non è necessario inoltrarsi nei misteri della
Cabalà per constatare che in generale tutta la tradizione ebraica attribuisce al proprio alfabeto un
valore spirituale, etico, psicologico che non si riscontra in alcun altra lingua. Lo studio del
simbolismo, della forma, del valore numerico degli insegnamenti legati a ogni lettera ha ricoperto
un ruolo fondamentale per tutti i grandi saggi della tradizione ebraica.
La alef rappresenta sia l'unicità di Dio sia il suo amore verso le creature e costituisce anche iniziale
della parola “arirach” ovvero “maledizione”. La bet è legata al concetto di casa (bayit) e di
benedizione—> il punto per noi centrale è che sebbene il mondo sia stato creato con la bet e non
con la alef, Klein fa partire le sue grosse da quest’ultima.

The Second Scroll che lui scrive dopo la Shoah non può che iniziare con la alef nel segno di una
riconciliazione con il Signore. Dunque dopo la morte sia fisica che morale, non si può che ripartire
da Dio e non più dalla bayit terrena.
Dunque già dal primo capitolo si comincia a sentire l'azione di quello che in una prima fase Anna
Arendt definisce “il male radicale” e in una seconda “il male banale”—> la banalità non in senso
riduttivo ma in quanto strettamente proporzionale a un aumento del grado di tragicità adesso legato.
Ecco allora l'impossibilità di concepire il male, di pensarlo o dirlo; lo zio spiega che con tutti i
documenti a sua disposizione non è in grado di tracciare un quadro, tanto che all'inizio per lui il
fascismo è ridotto a una “questione di gusto”, certamente “amaro”.

Non è un caso che nella lettera che descrive l’esperienza della Shoah, Melech faccia riferimento al
libro di Geremia: perché proprio in esso il Signore si infuria per l'infedeltà di Israele e si rivela
pronto alla sua acerrima vendetta.
Questo sta a significare che ancora è in atto il tentativo di capire o almeno giustificare
teologicamente il genocidio, sulla base del rifiuto dell'uomo di sentirsi dimenticato da Dio.

- a partire da “Leviticus” e “Gloss Gimel” il ricordo e il sogno cedono il passo al racconto di una
ricerca che è al contempo reale ed esistenziale, fisica e metafisica.
Inviato a Israele per mettere assieme un’antologia delle nuove voci dea poesia israeliana, si trova a
inseguire lo zio prima in un campo profughi a Bari, poi a Roma dove sembra essersi lasciato
convertire al cattolicesimo da un Monsignore. Al narratore viene detto che lo zio è un uomo buono
ma incerto, che è una grande battaglia si era combattuta nella sua anima, lasciandolo oscillare tra
luce e oscurità. Ci viene rivelato che lo zio e il monsignore avevano parlato molto anche di
letteratura e che nell'andare oltre la forma lo zio arrivava sempre al cuore del contenuto etico del
testo—> era a quel punto che il monsignore, lo aveva persuaso a visitare la Cappella Sistina,
dopodiché era scomparso.
Soltanto in seguito si era rifatto vivo con il monsignore a mezzo di una lettera scritta in ebraico
dalla quale si intuisce che nessuna conversione è avvenuta, al contrario Melech si sente rafforzato
nel proprio ebraismo.
La lettera sembra assumere un certo valore, tant'è che nella Roma neo realista del dopo guerra, una
vicenda apparentemente personale sembra trasformarsi in un affare di Stato, con tanto di spie
americane, guidate dal demoniaco Settano, che sequestrano il povero narratore e cercano di
sottrargli la lettera.
Un elemento collaterale ma significativo è rappresentato dalle dettagliate descrizioni, neorealistiche
appunto, della Città Eterna che diviene un personaggio a tutto tondo.
Il capitolo si chiude con il narratore in partenza per il Marocco, dove si suppone lo zio dovrebbe
trovarsi per occuparsi dei futuri emigranti in Israele.

La glossa Ghimel è costituita da un estratto della lettera dello zio, in cui egli parla della propria
visita alla cappella Sistina, offrendoci un'interpretazione della storia attraverso l'opera di
Michelangelo. La lettera ghimel viene associata al concetto di «resistenza alle difficoltà del
viaggio». Gamàl inoltre significa “cammello” chiaro simbolo orientale del viaggio nel deserto, nel
nulla. Gomèl, invece, è “colui che opera bene”.
Tutto una metafora di quanto accade a Melech che, a causa del senso di desolazione e vuoto
lasciatogli dalla Shoah, nell'incontro col monsignore vacilla, pur riuscendo a rimanere ancorato alla
propria religione.

Tornando alla visita alla Cappella Sistina: ricalca quella compiuta da Klein, ricordata nel Notebook,
con una sola eccezione—> la descrizione della statua di Mosè (importante perché rimanda al
problema dell'iconografia ebraica, così come i dipinti biblici).
Attraverso la visita alla cappella Sistina di Klein, emerge la concezione della Bibbia quale testo
storico, che narra dell'umana vicenda evidenziando il ritornare ciclico degli avvenimenti.

Se nella seconda glossa si è analizzata la difficoltà di riferire l'esperienza della Shoah, in Gloss
Ghimel l'esperienza inenarrabili non può né deve passare sotto silenzio, in quanto per Klein il tema
artistico non è mai svincolato dall'etica, dalla morale e dalla sua funzione sociale. Qui essa ci viene
narrata tramite la pittura, tramite un artista lontano nel tempo che ha involontariamente profetizzato,
prefigurato forse, quanto di atroce sarebbe accaduto.
Certamente la pittura, così come la scultura o la fotografia, è un'arte lascia aperte molte
problematiche perché ci rimanda a un'interdizione che, è nel cuore stesso dell’ebraismo. Se la
questione non è risolvibile non la si può neanche ignorare.
L'interdizione alla raffigurazione che troviamo nel secondo comandamento è molto esplicita: "non
avere altri lei al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine qualsiasi di tutto quanto
esiste in cielo al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra. Non ti prostrare
loro e non adorarli”. Il testo non può che lasciare perplessi; la proibizione parrebbe riguardare tutto,
compresi fiori e piante—> ma questo non può essere, perché i fiori, come ornamento non solo
ammesso ma addirittura prescritto, compaiono nel testo biblico nella descrizione della menorah.
Il secondo comandamento suonerebbe così: non è costruire idoli scolpiti, non cercare di
materializzare l'immagine divina, non impiegare a questo scopo quanto esiste in cielo per farne un
oggetto di culto idolatrico.

All'interno del capitolo vi troviamo anche la straordinaria descrizione della natura dello zio che
spesso si lascia sedurre da nuove idee e teorie, descrizioni che ci viene fornita da un amico del
campo di Bari ora dirigente di una delle tante organizzazioni che, a Roma, assistono i rifugiati ebrei
desiderosi di emigrare in Palestina.
Quello che l'amico, o meglio Klein, non sembra condividere e l'autocompatimento, tema che tornerà
anche in Deuteronomio, che appare ancora più disdicevole della sua apparente volubilità.

Le metafore che Klein usa per descrivere le fluttuazioni mentali di Melech rimandano ancora una
volta al libro di Geremia, dive il Signore accusa il popolo di Israele di essere una moglie infedele,
sempre pronta a prostituirsi a nuovi idoli.
-il capitolo successivo, “Numbers”, trasporta il lettore nell’esotica atmosfera di Casablanca. Nella
prima parte, il narratore è completamente affascinato dai luoghi.
Se nel capitolo precedente il linguaggio pittorico è protagonista, qui la musica diviene la nuova
forma d'arte incantatrice.
Il senso di familiarità che il narratore avverte, è però tradito dal fatto che non incontra nessun ebreo.
Questo indirettamente suggerisce la necessità di uno Stato per gli ebrei e l'atteggiamento
filosionista di Klein.
In seguito mentre continua la ricerca dello zio, scopre che gli ebrei vivono tutti reclusi nel quartiere
ebraico, un ghetto dalle condizioni disumane. Il contrasto è netto e serve, da un lato a denunciare
l'antico antisemitismo francese e dall'altro le terribili condizioni di vita a cui sono costretti gli ebrei
sefarditi che si sono rifugiati nei paesi arabi a partire dal 1492.
Le condizioni disumane che persistono da secoli vengono narrate in maniera vivida e
straordinariamente realista, come tipico dello stile di Klein, con grande coinvolgimento sensoriale.
La forza dell'impatto che questa visita/scoperta suscita in Klein è talmente forte che non solo la
fissa immediatamente nel Notebook, ma la riprende quasi alla lettera nel romanzo.

Di questa realtà si è occupato anche Melech, che collaborando con l’ufficio della JDC, aveva
tentato in ogni modo di aiutare i reietti che abitano il ghetto e dopo aver cercato invano di far
pubblicare un articolo di denuncia su un quotidiano, organizza una marcia di una folla di disperati,
armati contro una sorta di campo di prigionia nel deserto, dove da quattro giorni erano rinchiusi
alcuni ebrei—>l’obiettivo è la loro liberazione, il fine ricondurli sani e salvi nel ghetto.

-la rispettiva “Gloss Dalid” assume la forma di morality play anche se nella tradizione ebraica
gioca un ruolo fondamentale anche il mystery play.
Essa viene dedicata al mondo arabo e musulmano, per riaffermare il principio della fratellanza tra
popoli che presentano una comune origine e si prefigge lo scopo di sostenere la causa di Israele
come patria degli ebrei. Klein ben conosce il mondo musulmano, in particolare le tradizioni
folcloriche, si serve di un vocabolario molto ricco e allusivo dov'è il puro gusto della parola a far
risaltare il motto forbito, il suono che incanta.
Partendo da una base in cui il folclore costituisce l’ordito, attraversi personaggi monodimensionali,
egli sviluppa il proprio intento didattico.

Nel primo dei “Three Judgements” ci viene raccontato il caso di uno schiavo ebreo fuggito che è
stato ripreso e riconsegnato al proprio padrone. Lo schiavo afferma di essere suo fratello, ma il
padrone nega. Il giudice lo condanna alla flagellazione e quando la schiena viene scoperta, il
padrone riconosce il marchio della sua famiglia —> la morale che Klein vuole affermare è che arabi
ed ebrei sono fratelli.

Nel secondo Judgement il caso è rappresentato da una promessa di matrimonio in parte non
rispettata. I due contendenti sono un vecchio mercante che ha promesso la primogenita a un giovane
arabo. Sentendo avvicinarsi la vecchiaia, il mercante non vuole privarsi dei servigi della figlia
preferita e cerca di convincere il giovane a prendere in moglie la figlia minore, ottenendo un netto
rifiuto. Il Cadi, ascoltate le parti, convoca le due ragazze e fa togliere loro il velo, scoprendo che la
seconda è meno bella della prima. Ordinò quindi al vecchio mercante di mantenere i patti e il
giovane riconoscente offre al vecchio la possibilità di vivere in casa sua, così da non essere separato
dalla figlia.
Anche in questa occasione l'intento di Klein è quello di costruire una parabola della terra di Israele.
Gli ebrei non hanno mai cessato di considerare Israele la loro madrepatria e adesso che, in parte, B
hanno fatto ritorno essa è riferita, si sta di nuovo trasformando nella terra di latte e miele e, quindi, è
giusto che il mondo riconosca agli ebrei il diritto di abitarla.
La vicenda rimanda alla storia biblica di Giacobbe che accettò di lavorare per Lambano 7 anni in
cambio della mano di Rachele, ma durante la festa nuziale quest’ultima viene sostituita da Lia.
Giacobbe lavorò altri 7 anni per Lambano e alla fine riuscì a sposare anche Rachele.

Il Terzo Judgement riguarda la contesa tra un fabbricante di lampade e un mercante che ha ottenuto
l'esclusiva di venderle. Il fabbricante lamenta che il mercante non vende più le sue lampade ma
quelle degli altri. Il Cadi obbliga il mercante a rispettare il contratto sebbene si mostri divertito e
avrebbe voluto liberarlo dell’impegno, ma i mendicanti insorgono, costringendolo a mantenere la
prima sentenza. Secondo Hyman qui si può vedere un’analogia tra la luce delle lampade e la luce di
Dio.

-L’ultimo capitolo si svolge in Israele. Mentre è in volo sul Mediterraneo il narratore si trova
coinvolto, con uno sconosciuto che è seduto accanto, in una discussione teologica che ha per
oggetto l'idea giudaica della immanenza della divinità.
Si tratta di una discussione stravagante, frutto di una conoscenza «legata ai tarocchi piuttosto che
alla Torah» e che serve a favorire quella rielaborazione che il protagonista sta portando avanti
mentre si avvicina il grande momento auspicato da ogni ebreo del Seder di Pesach: “L’anno
prossimo a Gerusalemme”.

Giunto a Israele si rende conto di come la possibilità di scovare Davidson stia diventando sempre
meno plausibile. All’inizio, ripensando a quanto accaduto a Casablanca decide di cercarlo nei
quartieri sefarditi o yemeniti, tuttavia si rende conto ben presto delle loro diverse condizioni di vita,
dell'allegria che traspare dai loro lineamenti scuri che contrastano con il bianco degli abiti per lo
Shabbat. La sua ricerca prosegue nella vecchia Gerusalemme, nel quartiere delle Cento Porte, ed è
una ricerca che gli consente di ricostruire e di mostrarci le diverse sfumature dell’ebraismo.

Si reca a visitare i kibbutz più lontani e gli insediamenti più recenti, portando avanti la propria
indagine. Scorre sui giornali le liste dei rifugiati, si mette di vedetta nella centrale Piazza Mograbi di
Tel Aviv, luogo crocevia delle genti che da tutto il mondo hanno compiuto il loro ritorno.
Lo cerca in tutti i caffè e i locali in cui si trovano gli intellettuali, tentando così di lavorare anche al
progetto che lo ha portato in Israele. Da qui viene indirizzato ad Haifa dove incontra un artista che
dipinge solo alla luce dei lampioni; a Rosphina dove parla con un contadino che cure l’artrite con la
puntura delle api; incontra anche il poeta Uri Avi che lo introduce ai più disparati circoli poetici e
conosce poeti-cittadini che fanno della sperimentazione estrema la loro bandiera.
Da ultimo incontra il poeta Nathan che, allungandogli due fogli, gli dice che questi costituiscono la
sua opera omnia. Con un’ironia pungente e con una satira diretta contro l’imagismo poundiano,
vengono riportare una serie di poesie: vedi pagina 53 del file.

Ecco allora che l’artista divine protagonista e la scrittura più che altrove si fa strumento di
riflessione metanarrativa. Un artista che è capace di concepire una parola artistica nuova che è per
le strade, tra i negozi, incarnata dalla gente comune, che si confonde e fonde tra e con la gente.
l’ultima parte del suo viaggio la conduce a Safed, città nota nel periodo medievale per i suoi
studiosi di Cabbalà, dove il desiderio di recitare il Kaddish per i propri genitori defunti, lo porta in
una piccola e oscura scuola talmudica in cui un adolescente è intento nello studio del trattato Babà
Kama, sotto la guida di un maestro venerabile che gli rivela che lo zio si trova a Safed ed è
diventato un uomo saggio e riverito.
Mentre è in albergo per aspettare il ritorno dello zio per poterlo incontrare, la radio diffonde la
notizia di un attentato in cui Melech Davidson è stato brutalmente ucciso e il cadavere cosparso di
benzina e bruciato. Il capitolo si conclude con i funerali che vedono la partecipazione di tutto il
paese.
Il punto di vista sostanziale che qui preme mettere in luce è quello inerente al problema del
sionismo. Se da un lato Klein è filosionista, dall’altro egli non vede nel sionismo l’unica scelta
possibile per un ebreo.
Gloss Hai ci conduce nella sfera della preghiera, del resto la parola hodayà, in ebraico significa
proprio “preghiera, ringraziamento”; ma non solo, la lettera connessa al mese di Nissan, rimanda al
concetto di redenzione.
L’ultimo salmo è tratto interamente dalla Bibbia ed è il numero 30. Della tragedia e dell’apparente
scomparsa di Dio, Klein sembra giungere a una possibile riconciliazione e alla speranza anche se la
gioia derivante da questo stato d’animo di lì a breve si dissolverà in un muto dolore.

Per concludere si può affermare che l’opera di Klein, si configura, alla fine, come un mosaico che ci
restituisce una vivida e multicolore immagine dell’ebraismo, richiamando quanto nel 1638 il
rabbino Simone Luzzato scrive nel definire l’ebreo: «un mosaico di elementi diversi».
In quanto tale si compone in un'immagine ricchissima nelle sfaccettature stilistiche, nei passaggi
dalla prosa alla poesia, nella sua ricchezza tematica, nella pluralità degli elementi tradizionali,
moderni e post moderni che lo compongono.
Ma la stessa personalità di Klein è un mosaico di elementi eterocliti da un punto di vista umano e
artistico, come si è potuto evincere dalla storia della sua vita.
Come afferma Hyman—> questo artista così singolare non hanno i predecessori e successori nella
storia letteraria canadese. Se non altro per il suo eclettismo e per la sua capacità di farsi fonte
infinita di interpretazioni meriterebbe maggiore attenzione della critica anche fuori dall'ambito
canadese.

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