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14.

MECCANICA DELLA FRATTURA


Spesso gli elementi strutturali sono soggetti a rotture improvvise per sollecitazioni statiche inferiori alla tensione di
rottura del materiale senza che si verifichino deformazioni macroscopiche apprezzabili.
In molti casi la rottura inizia da una discontinuità (o difetto) del materiale, anche di piccole dimensioni, avente
raggio di curvatura nullo alle estremità (frattura, cricca) che, a certe condizioni, si propaga a velocità elevata. Difetti
iniziali possono essere: microporosità, inclusioni di sostanze estranee, profondi graffi superficiali, delaminazioni in
materiali a strati.
I fattori da cui dipende il fenomeno sono: la dimensione del difetto, lo stato tensionale, le caratteristiche del
materiale, la geometria dell'elemento nelle vicinanze del difetto, la temperatura.
La propagazione dei difetti con raggio di raccordo nullo è oggetto di studio della meccanica della frattura, che si
basa su un’idealizzazione del materiale considerato come continuo, studiato mediante la teoria dell'elasticità lineare
o dell’elasto-plasticità. Il problema è studiato da un punto di vista macroscopico.

Lo stato tensionale nell'intorno del difetto


Il valore teorico della tensione ottenibile con la teoria dell’elasticità all’estremità di una discontinuità con raggio di
raccordo nullo può essere derivata da quella agente in corrispondenza ad un foro ellittico. Si consideri la lastra
indefinita caricata uniformemente di fig.13.1. Il fattore di concentrazione delle tensioni è dato dall’equazione (13.5)
i cui parametri sono descritti nel capitolo precedente:

σ max a
kt = = 1+ 2 (14.1)
σ0 ρ
Per determinare la tensione all'estremità di una cricca trasversale è sufficiente fare tendere ρ a 0: si osserva che kt
tende ad infinito. In teoria questo fenomeno dovrebbe provocare la propagazione immediata a causa della
progressiva rottura delle zone dove σ>σr. Tuttavia nei materiali reali il valore di tensione infinito non può essere
raggiunto e sperimentalmente si osserva che essi possono resistere alla presenza di un difetto purché la tensione σ0 si
mantenga sufficientemente bassa.
• Nei materiali duttili la zona sottoposta a tensioni più elevate subisce lo snervamento e le tensioni si mantengono
a valori prossimi a σs; si verifica una ridistribuzione delle tensioni in base alla quale, nelle zone limitrofe alla
cricca, queste ultime risultano maggiori rispetto ai valori teorici (fig.1).
• Nei materiali fragili si può creare una zona con alta densità di piccole fratture nelle vicinanze del difetto.
In qualsiasi caso una relazione di verifica del tipo k t σ ≤ σ lim non può essere utilizzata, proprio perché la
tensione massima calcolata teoricamente è priva di significato. In particolare perde di significato il fattore di
concentrazione delle tensioni kt.
1200
σy [MPa]
F=5000 kN

1000

a=80 mm
y P
800 2b=1000 mm
r
θ
x
600

C A B
σs

400
r’p
rp
200

2a a
0
0 1 2 3 4 5 6 7 8
x [mm]
Fig.14.1- Tensioni teoriche (linea tratteggiata) e reali all'apice della frattura. Fig.14.2 - Sistema di coordinate e lunghezza del difetto.
rp è l’estensione della zona plasticizzata.
Lo spessore della lastra è 50mm e β=1.12.

14.1
L'andamento delle tensioni cartesiane in prossimità dell'apice di una frattura è espresso dalle relazioni di Irwin,
basate sulla teoria lineare elastica, e scritte in coordinate polari secondo lo schema in fig.2:
KI
σx = cos θ 1 − sen θ sen 3θ 
2π r 2 2 2
KI
σy = cos θ 1 + sen θ sen 3θ  (14.2a,b,c)
2π r 2 2 2
KI
τ xy = cos θ sen θ cos 3θ
2π r 2 2 2
τyz=τzx=0; (14.3)

σ z = ν (σ x + σ y ) = 2ν
KI
σz=0 oppure (14.4a,b)
2π r
nelle quali KI (Kprimo) è il fattore di intensificazione delle tensioni, un valore costante dipendente dalla geometria
componente-difetto e dall’entità dello stato tensionale in assenza della frattura.
Nel caso di lastra sottile il materiale all'apice, soggetto ad ampie deformazioni, è libero di contrarsi per effetto
Poisson; in questo caso si ha uno stato di tensione piano con σz=0. Nel caso di lastra spessa il materiale nelle
vicinanze dell'apice, soggetto a tensioni più basse, si oppone alla contrazione in corrispondenza dell'apice, e provoca
uno stato di deformazione piano con εz=0 e una tensione σz diversa da 0 descritta dall’eq.(4b).
Le relazioni (2) possono essere poste nella seguente forma:
KI
σi = f i (θ ) (14.5)
2π r
Si noti che anche in queste equazioni se r tende a 0 le tensioni tendono ad infinito. Lungo la direzione
orizzontale per θ=0 (l’asse x) le equazioni diventano:
KI
σx =σy = τxy=0 (14.6a,b,c)
2π r
σ z = ν (σ x + σ y ) = 2ν
KI
σz=0 oppure (14.7a,b)
2π r
Secondo queste espressioni la tensione normale tenderebbe a 0 per r tendente ad infinito, cosa non vera perché
essa dovrebbe tendere a σ0; in pratica queste relazioni provengono da una serie di Taylor troncata i cui termini
omessi devono essere particolarizzati a seconda dello stato tensionale effettivamente agente. Tali termini sono
trascurabili in vicinanza dell’apice della frattura in quanto l’effetto prevalente sullo stato tensionale è quello della
singolarità; le (2-7) risultano valide per r/a<<1, in particolare r<0.1a.

Il fattore di intensificazione delle tensioni KI


E' importante notare che le tensioni espresse dalle eq.(2-7) sono tutte proporzionali al fattore KI, mentre i termini
rimanenti descrivono solo la variazione rispetto a r e θ. Si osserva che:
• l’andamento delle tensioni in prossimità di un difetto è indipendente dallo stato tensionale agente e dalla
geometria dell’insieme componente-difetto,
• l’entità delle tensioni vi dipende ed è caratterizzata dal solo KI.
KI rappresenta il vero indice dell’intensità della tensione nell’intorno del difetto. Esso dipende dallo stato
tensionale che sarebbe presente nell’intorno del difetto in assenza del medesimo, dalla geometria dell’insieme
elemento-difetto e dalle dimensioni del difetto. Si vedrà nel seguito che la verifica di un componente a frattura si
effettua confrontando il valore di KI con il corrispondente valore critico relativo al materiale, in modo analogo a
come, nel caso classico, si confronta la tensione agente con la tensione di rottura del materiale.
Nel caso di difetto di dimensione a piccola rispetto alla dimensione trasversale b della lastra (α=a/b<0.4) e in
posizione centrale, con tensione in assenza di difetto costante in tutto il campo, il fattore KI può essere dato dalla
seguente relazione:
KI = σ 0 π a (14.8)

dove a è la lunghezza del difetto (fig.14.2) e σ0 è la tensione agente nell’elemento in assenza del difetto.
L’espressione generale di KI, valida per differenti geometrie e stati tensionali non uniformi è la seguente:

KI = β σ 0 π a (14.9)

14.2
nella quale a è sempre la dimensione del difetto, come in fig.2, β è un fattore adimensionale che dipende dalla
geometria elemento-difetto e σ0 è una tensione di riferimento, agente in un punto opportuno dell’elemento e tipica
dello stato tensionale considerato in assenza del difetto.
Valori di KI (in pratica di β) per vari casi pratici possono essere ottenuti mediante la teoria dell'elasticità, metodi
numerici e metodi sperimentali.
La tensione σ0 nella definizione di KI data nelle (8, 9), è identificabile in modo univoco solo in alcuni casi come
quello delle lastre soggette a trazione uniforme. In questo caso σ0 coincide con la tensione che si avrebbe
nell'elemento integro in corrispondenza del difetto. E’ importante sottolineare che, nella maggior parte dei casi,
come σ0 viene assegnato il valore della tensione in un punto di riferimento, caratteristico dello stato tensionale in
assenza di difetto. La posizione di tale punto, in genere, non coincide con quella dell'apice del difetto.
In molti altri casi viene fornito direttamente un valore numerico per data dimensione della cricca che deve essere
moltiplicato per la σ0 agente nel punto specifico.

I Modi
Quanto fin qui riportato vale per carico normale al
difetto cui corrisponde il cosiddetto Modo I
(primo) di propagazione del difetto: il distacco.
Esistono altre situazioni di carico che provocano
differenti modi di propagazione (fig.3): il Modo II,
scorrimento e il Modo III, lacerazione. Il Modo I è
il più pericoloso.

(I) (II) (III)


Fig.14.3 - Modi di propagazione del difetto.
Tenacità a frattura Kc
Come già detto KI è l'unico indice dell’intensità della tensione nell’intorno del difetto per cui la verifica di resistenza
viene effettuata mediante esso. In particolare si definisce il seguente KI critico:
Kc: tenacità a frattura o valore critico del fattore di intensificazione o K critico.
Kc è una proprietà del materiale ottenibile sperimentalmente, indice della combinazione sforzo-difetto che
provoca la propagazione instabile di quest’ultimo, cioè la frattura dell'elemento. Esso è riferito al Modo e vale per
stato di deformazione piano. In particolare la propagazione del difetto si verifica se si ha KI≥Kc. Lo stato di
deformazione piano risulta più pericoloso in quanto la zona limitrofa a quella plasticizzata è soggetta ad una
tensione σz negativa che dà luogo ad uno stato tensionale più severo che rende più facile la propagazione dello
snervamento. In conseguenza di ciò si verifica Kc def. piana<Kc ten. piana.
KIc Mpa m0.5
Duttili 100÷200
Fragili 20÷100
Ceramici 5÷6
Naturalmente un elemento è verificato a frattura se si ha

KI≤Kc (14.10)
Imponendo l’uguaglianza tra il valore di KI e Kc, utilizzando la (8) o la (9), è possibile ottenere, per data
lunghezza della cricca il valore critico della tensione o, viceversa, la lunghezza critica del difetto per la tensione
assegnata
2
Kc K 
σc = ac = 1  c  (14.11,12)
β πa πβ  σ 0 
Estensione della zona plastica - raggio plastico
L’estensione della zona plasticizzata lungo l’asse x, pari ad rp, può essere stimata determinando, in primo luogo, la
distanza dall’apice della frattura alla quale la tensione equivalente teorica, ottenuta con il criterio di Tresca o di Von
Mises, raggiunge il valore di snervamento. Lungo l’asse x le tensioni σx, σy e σz, date rispettivamente dalle (6) e
dalle (7), risultano principali e la tensione equivalente di tresca nei due casi di tensione e deformazione piana è data,
rispettivamente, da
KI KI
σe = σ x = σ y = σe = σ x −σ z = (1 − 2ν ) (14.13a,b)
2π r 2π r
Imponendo σe=σs ed esplicitando rispetto ad r si ottiene:

14.3
 K (1 − 2ν ) 
2 2
 KI 
rp′ =   rp′ =  I  (14.14a,b)
 2π σ s   2π σ s 
Il valore ottenuto, mostrato in fig.1 relativamente al primo caso, non è pari all’estensione della zona
plasticizzata, che risulta essere maggiore. Infatti, considerando lo spessore costante, la differenza tra la σy teorica
(6b) e la tensione di snervamento dà luogo ad una forza ad unità di spessore data dalla seguente espressione:
r p′
∆F = ∫ 0
σ y dr − σ s rp′ (14.15)

Tale forza viene equilibrata da un incremento di tensione nelle zone limitrofe alla posizione r’p che rende più
ampia la zona soggetta allo snervamento. Una valutazione approssimata può essere effettuata uguagliando la forza
ad unità di spessore agente in tutta la zona plasticizzata in direzione y, pari al prodotto σsrp, alla forza che sarebbe
stata esercitata dalla tensione teorica σy (6b) agente dall’apice della frattura sino alla distanza r’p
r p′
KI
σ s rp ≈ ∫ 0 2π r
dr (14.16)

Introducendo al posto di r’p nell’estremo superiore di integrazione della (16) le espressioni (14a) e (14b), si
ottengono due espressioni valide rispettivamente per i casi di stato piano di tensione e deformazione. Tali
espressioni possono essere sintetizzate con
K I2
rp = (14.17)
α π σ s2
con α=1 e α=3, rispettivamente per i due casi citati. In fig.1 è rappresentato il primo caso. Dalla (17) risulta evidente
che, a parità di tensioni σx e σy, la zona plasticizzata risulta più estesa nel caso di stato di tensione piano (lastra
sottile).

Determinazione di Kc tramite prova di frattura


Il valore di Kc si determina portando a rottura un provino di spessore t con difetto pre-esistente. Effettuando la prova
si ottengono:
• Pc carico che provoca rottura
• σc = Pc/Ac tensione nominale che provoca rottura
• Kc= σc (aπ)0.5 fattore corrispondente (β=1 se il difetto è piccolo in confronto alla lastra)

Effettuando la prova per spessori della lastra crescenti si vede che Kc si Kc


abbassa, come mostrato in fig.4. Come visto precedentemente, in questo
caso nel provino si tende ad uno stato di deformazione piana con σz>0
(eq.14.4b) che, al confine della zona plasticizzata, risulta essere più
oneroso. Come K critico si assume KIc=Kc per t tendente a infinito. Lo
spessore minimo dei provini, affinché la prova avvenga in stato di
deformazione piana, deve verificare la seguente disuguaglianza:
2
K 
t ≥ 2.5  Ic  (14.18) t
 σs  Fig.14.4 - Andamento di Kc in funzione dello
spessore t del provino.
con σs tensione di snervamento.
Le dimensioni e la geometria del provino, le modalità di esecuzione della prova e valutazione dei risultati sono
descritte da normative italiane e internazionali, che è necessario consultare per la corretta determinazione del Kc.

14.4
Esempi

M
σ0 σ0 σ0 P/2

h h
b h b h b h
P
a a
a a a

P/2
b t t
t t t b
(1.) (2.) (3.)
Fig.14.5 - Esempi di difetti in lastre in trazione Fig.14.6 - Esempi di difetti in lastre in flessione

Lastre in trazione
I valori di K per piccoli α=a/b e accuratezza del 10 % nei tre casi sono dati da:

1. Per α≤0.4 ⇒ K I = σ 0 πa
2. Per α≤0.13 ⇒ . σ 0 πa
K I = 112
3. Per α≤0.6 ⇒ . σ 0 πa
K I = 112
Per valori qualsiasi di α si ha K I = β σ0 πa . I valori di β da introdurre sono i seguenti:
1 − 0.5α + 0.326α 2
1. β = (h/b≥ 1.5)
1− α
 πα  2 πα
2. β = 1 + 0122
. cos4  tan (h/b≥ 2)
 2  πα 2
0.857 + 0.265α
β = 0.265( 1 − α ) +
4
3. (h/b≥ 1)
(1 − α ) 2
Lastre in flessione
I 2 casi di flessione nella fig.6 sono coincidenti e si assume come σ0 il valore di tensione al bordo della lastra in
assenza di difetto dato, nei due casi, dalle seguenti espressioni:
6M 3Ph
σ0 = σ0 =
b2t b2t
Il valore di K per piccoli α e accuratezza del 10 % è dato da:

Per α≤0.4 ⇒ . σ 0 πa
K I = 112

I valori di β da introdurre per valori qualsiasi di α sono i seguenti:


  πα  
4

 0.923 + .
0199 1 − sen  
2 πα   2  
β = tan h/b elevato
πα 2  πα 
cos
 2 

. − α ( 1 − α )( 2.15 − 3.93α + 2.7α 2 )


199
β = h/b=2
π (1 + 2α ) (1 − α )
32

14.5

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