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INDICE
1. DIFETTOLOGIA E METALLOGRAFIA 1
1.1 DIFETTI DI PRODUZIONE DEI MATERIALI 2
Introduzione 2
Produzione dell'acciaio 2
Fucinatura (e stampaggio) 6
Fusione 8
Tubi 10
Estrusi 12
Trafilati 13
Lavorazioni termomeccaniche 14
1.2 DISCONTINUITA' DELLA SALDATURA 15
Giunti saldati 15
Discontinuità nei giunti saldati 27
1.3 DISCONTINUITA’ INDOTTE IN ESERCIZIO 33
Introduzione 33
Cricche in esercizio 33
Perdite di materiale 36
Deformazioni 41
1.4 METALLOGRAFIA 42
Campione metallografico 42
Tecniche metallografiche 44
2. OTTICA E FOTOMETRIA 49
2.1 INTRODUZIONE 50
1. DIFETTOLOGIA E METALLOGRAFIA
Introduzione
Produzione dell'acciaio
La produzione dell'acciaio ha origine dai minerali del ferro e dal carbone ed avviene secondo un
processo di fabbricazione che porta innanzitutto alla produzione della ghisa in altoforno e quindi
alla sua affinazione per ottenere l'acciaio vero e proprio. Acciaio e ghisa sono infatti entrambe
leghe ferro-carbonio caratterizzate dalla percentuale in peso di carbonio:
• se inferiore all' 1,7% si ha l'acciaio
• se superiore all' 1,7% si ha la ghisa.
Fase 2: affinazione
Nella fase di affinazione la ghisa subisce una operazione metallurgica, detta conversione, per
l'eliminazione degli elementi estranei quali Si, Mn, S e P, impurezze nocive per l'acciaio residui
della lavorazione, e per la riduzione del tenore di carbonio. Successivamente, avviene la colata
del metallo fuso in un recipiente contenitore detto siviera e durante questa operazione continua
l'affinazione.
La fusione dei minerali di ferro avviene in forni chiamati altoforni del tipo rappresentato in figura.
Il forno viene caricato dalla bocca con minerale, carbone (di norma coke) e fondenti, mentre
l'accumulo dei prodotti di fusione (ghisa e scorie) avviene nel crogiolo.
La ghisa è troppo ricca di carbonio e troppo fragile per la maggior parte degli usi, per cui viene
trasportata ancora fusa nei convertitori. Qui viene addizionata a rottame, carbonati, ferroleghe
ecc. per diminuire il tenore di carbonio, eliminare le impurità, principalmente zolfo e fosforo, ed
introdurre elementi di lega.
Fase 2 - Affinazione
Nella fase di affinazione la ghisa subisce una operazione, detta conversione, per l'eliminazione
degli elementi estranei, quali Si, Mn, S e P, impurezze nocive per l'acciaio residui della
lavorazione, e per la riduzione del tenore di carbonio. Il processo consiste nel bruciare una certa
percentuale di carbonio della ghisa, sino a farla così diventare acciaio.
La ghisa liquida viene versata in un grande recipiente convertitore e successivamente viene
soffiata aria da alcuni fori sul fondo. Si svolge allora una serie di reazioni chimiche che si
manifestano con l'emissione di intense fiamme dalla bocca del convertitore e con un innalzamento
della temperatura che sale fino a circa 1650°C.
Al termine di questo processo l'acciaio ottenuto non è però ancora pronto per le applicazioni
industriali e deve subire una ulteriore purificazione.
Questa viene effettuata durante la colata del metallo fuso, in un recipiente contenitore detto
siviera, mediante ossidazione provocata dall'insufflazione di ossigeno, e successiva
disossidazione del bagno metallico.
La colata è l'ultima operazione a cui vengono sottoposti gli acciai allo stato liquido. Dalla siviera il
metallo viene fatto uscire da un apposito foro situato sul fondo per riempire le lingottiere entro le
quali si solidifica. Il riempimento delle lingottiere può avvenire in diversi modi, a seconda delle
necessità:
• colaggio diretto,
• colaggio in sorgente,
• colata continua.
La macchina di colata continua trasforma in un solo passaggio l'acciaio liquido in un prodotto
semilavorato, mentre la colata tradizionale richiede lavoro addizionale come lo strippaggio
(estrazione del lingotto dalla lingottiera) ed altre ancora.
Dopo la solidificazione il lingotto viene riscaldato per subire una prima lavorazione a caldo.
L'operazione più usuale è la laminazione, dalla quale si ottengono profili finiti (tondi, lamiere,
nastri, etc.) o sbozzati (blumi, bramme) destinati a successive lavorazioni a caldo quali
stampaggio e fucinatura.
INCLUSIONI
Durante la colata può accadere che parti di refrattario si stacchino dalla siviera, dal canale di
colata o da altre attrezzature, oppure possono verificarsi fenomeni di riossidazione per il contatto
con l'aria durante i travasi. Durante la solidificazione, le inclusioni inglobate nell'acciaio tendono a
concentrarsi nella parte alta del lingotto (materozza) per cui con l'eliminazione della materozza in
quantità sufficiente vengono quasi integralmente eliminate. Le dimensioni sono variabili (da molto
piccole a molto grandi, dell'ordine di qualche centimetro cubo).
DISCONTINUITA' DI CRISTALLIZZAZIONE
L'acciaio colato nelle lingottiere inizia la sua solidificazione dalle parti più esterne e con velocità di
raffreddamento diverse tra la parte esterna e quella interna. Ai nuclei di solidificazione primari si
aggiunge sempre più materiale solido, ma non in forma ordinata, bensì ramificata in tutte le
direzioni, dando origine al fenomeno del dendritismo. Il fenomeno non pregiudica comunque la
sanità del pezzo in quanto limitato alla superficie ed è di fatto eliminabile con le successive
lavorazioni a caldo.
DISCONTINUITA' DI SEGREGAZIONE
La segregazione è un fenomeno che interessa grossi lingotti o forme geometriche che presentano
punti critici per questo fenomeno (spigoli). E' dovuta al fatto che iniziano a solidificare prima i
materiali più altofondenti e poi via via gli altri. Questo comporta una differenza di composizione
chimica del materiale che in genere si accentua nella zona assiale dei forgiati.
CAVITA' DA RITIRO
Sono dovute alla diminuzione di volume che si ha durante il raffreddamento (nell'acciaio la
variazione di volume è pari a circa il 6%). Tale riduzione può dare origine a cavità nella zona che
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si solidifica per ultima (zona della materozza). Le cavità sono eliminabili con appropriati cicli di
fucinatura o laminazione, in virtù delle proprietà che ha l'acciaio di saldarsi con la sola temperatura
al contatto di due superfici (purché non ossidate).
CRICCHE
Le cricche che si formano durante la colata dell'acciaio sono dovute a parametri di colata sbagliati
o ad errori di procedimento.
SPRUZZI
Sono causati da proiezioni di metallo sulle pareti della lingottiera durante il colaggio. Il metallo
solidifica e si ossida prima di venire raggiunto dal metallo liquido che sale, cui non può più saldarsi
perfettamente.
RIPRESE DI COLATA
Sono delle interruzioni trasversali della continuità del lingotto che affiorano alla superficie e che si
possono estendere a tutta o quasi la sezione del lingotto. Possono essere causate da
solidificazione parziale del metallo, con o senza ossidazione, che impedisce al metallo risalente di
saldarsi con quello colato.
Fucinatura (e stampaggio)
La fucinatura consiste nella lavorazione a caldo dei metalli mediante pressatura. Con la fucinatura
si ottengono forme o complessi di forme geometricamente semplici dalle quali, per successiva
lavorazione meccanica, si ricavano particolari di forma complessa. Si preferisce un fucinato ad
una fusione o ad una modellatura di macchina utensile perché la fucinatura conferisce al
particolare caratteristiche meccanico-fisiche migliori. La fucinatura infatti allunga e affina il grano,
come la laminazione, ma in più lo dispone secondo linee che seguono il contorno del pezzo,
conferendogli così maggiore resistenza nella direzione dell'orientamento del grano. In definitiva, si
ottiene un opportuno flusso fibre all'interno del materiale.
Tipi di fucinatura
I fucinati possono essere prodotti secondo tre modalità:
• Fucinatura al maglio
Nella fucinatura al maglio il pezzo di acciaio viene riscaldato e successivamente deformato
con la "mazza" e l' "incudine" fino ad ottenere la forma desiderata, senza l'ausilio di stampi
chiusi. Quando la temperatura scende sotto il limite di lavorabilità a caldo occorre procedere
con un nuovo riscaldo in forno. Nel maglio la velocità di applicazione del carico è molto
elevata.
•
• Stampaggio
Nell'operazione si usano due
calibri con la forma in "negativo"
del pezzo da fare. La billetta è
portata gradualmente alla
temperatura di forgiatura e quindi
posta fra i due calibri. La pressa di
forgiatura schiaccia il metallo caldo
fra i due calibri.
Le principali discontinuità che si possono avere nei fucinati e negli stampati sono:
• fiocchi: sono dovuti alla presenza di idrogeno disciolto nell'acciaio il quale, in seguito alla
lavorazione a caldo e al successivo raffreddamento, tende a riunirsi in "sacche" dove la
pressione raggiunge valori elevatissimi e provoca delle piccole lacerazioni a forma di lente.
Sono un difetto grave in quanto diventano inneschi per possibili rotture a causa della loro
forma.
• strappo da fucinatura: consiste in una rottura dovuta ad una non corretta (troppo bassa)
temperatura di fucinatura; in queste condizioni il materiale non raggiunge il sufficiente
grado di plasticità e si strappa.
Gli strappi da fucinatura possono verificarsi sia sulla superficie che all'interno del pezzo (s.
subsuperficiali).
Nota
Un tipo di ripiegatura si genera nella forgiatura con stampo se le superfici dei calibri non combaciano
perfettamente. Quando il pezzo da forgiare è pressato dentro i calibri, nelle zone di giunzione tende a
fuoriuscire del materiale che, con i colpi successivi di pressatura, viene ripiegato sulla superficie stessa
dando origine ad una ripiegatura.
Fusione
Con la tecnologia di fusione si realizzano i getti, componenti di forma geometrica complessa, che
non è economico realizzare con altri metodi di fabbricazione. I getti sono ottenuti per colata
dell'acciaio fuso in forme opportunamente modellate, costituite generalmente in sabbia.
- Colaggio in forma
Eliminati i supporti, la forma è pronta per la colata. Il colaggio in forma avviene ad una
temperatura superiore di 50-100°C al punto di fusione del metallo. Alla fine del colaggio le
materozze vengono ricoperte con polveri isolanti per ritardarne la solidificazione.
- Lavorazioni finali
Il ciclo di lavorazione del getto si completa con:
· trattamento termico di qualità
· finitura di macchina utensile
· collaudi
Le discontinuità che si ritrovano nei getti sono, in linea di massima, le stesse del lingotto (un
lingotto può essere infatti considerato come un getto grossolano). Esistono tuttavia delle
differenze dovute al fatto che un getto ha, di norma, una forma geometrica più complessa di quella
del lingotto. Ciò che cambia, assieme alla forma geometrica, è la dinamica di solidificazione. Il
lingotto ha una forma geometrica semplice e i fenomeni legati alla solidificazione si presentano in
maniera lineare. Un getto, a causa della sua forma complessa, presenta una dinamica di
solidificazione complessa che a volte causa discontinuità impreviste.
Cavità di ritiro: sono cavità localizzate nella parte alta del getto, di forma irregolare causate da non
perfette alimentazioni del getto da parte delle materozze. Le zone del getto che solidificano per
prime (quelle a spessore più sottile) attirano materiale liquido dalle zone più calde non ancora
solidificate. Quando anche in queste zone il metallo è quasi solidificato esso non scorre più e si
creano le cavità.
Cricche a caldo: sono cricche dovute a cedimenti a caldo, localizzate nelle zone più calde della
superficie del getto. Se la fusione ha zone con spessori sottili ed elevati, quelle con spessore
sottile solidificheranno prima. A causa di ciò anche i ritiri nel materiale non saranno uniformi e si
creeranno tensioni interne fra le varie zone a differente temperatura che daranno luogo alle
cricche a caldo.
Riprese di colaggio: consistono in una discontinuità che interessa tutta una sezione della fusione
ed avvengono quando si interrompe la fusione, anche per breve tempo. In questo caso, infatti,
quando il metallo fuso incontra il metallo già solidificato (o comunque ad una temperatura
decisamente inferiore) non si può avere l'unione in un unico bagno, ma le due correnti solidificano
separatamente, senza congiungersi.
Soffiature e porosità: sono piccole cavità con superfici lisce sferoidali, isolate o in gruppi, formatesi
per sviluppo di gas durante la solidificazione.
Nota
Piccole riprese possono formarsi anche attorno a schizzi di metallo fuso sulla superficie interna della forma
che sono stati raggiunti dal bagno fuso quando si erano già solidificati.
Tubi
I prodotti tubolari sono ottenuti mediante processi di fabbricazione differenti, ciascuno dei quali
conferisce al prodotto caratteristiche qualitative, come finitura, dimensioni e discontinuità, che
sono peculiari del processo di fabbricazione stesso. A seconda della tecnica di fabbricazione, i
tubi si classificano in:
• tubi saldati; ottenuti unendo, mediante saldatura, i lembi di una striscia di lamiera
opportunamente "deformata";
Spesso non è facile stabilire a vista se una discontinuità è dell'uno o dell'altro tipo, perché a volte
le due cause si sovrappongono oppure i difetti si presentano con uguale aspetto.
Difettologia
Le discontinuità che si osservano nel tubo sono causate da discontinuità presenti nel materiale
usato per la fabbricazione e dai processi di lavorazione del tubo stesso.
PAGLIE
Lingue metalliche attaccate parzialmente alla superficie del tubo e separate da un sottile strato di
ossido.
Le paglie sulla superficie esterna sono discontinuità superficiali e subsuperficiali preesistenti nel
lingotto e non completamente asportate.
Cause L'origine del difetto è dovuta ad impiego di lingotti con soffiature o di semilavorati con già
presenti paglie.
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SCAGLIE
Formazione eccessiva di strato di ossido sulla superficie dei tubi. Si presentano con l'aspetto di
croste discontinue di ossido aderenti alla superficie dei tubi. Lo strato più esterno della scaglia è
talvolta facilmente asportabile.
Origine Il difetto ha origine da riscaldo a temperatura elevata o troppo prolungato.
Le scaglie sulla superficie esterna sono discontinuità superficiali e subsuperficiali preesistenti nel
lingotto e non completamente asportate. Hanno una evoluzione analoga alle ripiegature, ma sono
causate dai cilindri di laminazione.
Cause Sono prodotte principalmente quando le attrezzature non hanno le sfiancature e quindi il
materiale viene "tagliato" dai settori ad anello.
INCLUSIONI AFFIORANTI
Sono discontinuità causate dalla presenza di composti di rame, stagno, antimonio, nichel e zolfo,
notoriamente bassofondenti.
STAMPATURE
Le stampature sono discontinuità superficiali dovute a materiale estraneo che si interpone fra
cilindro di laminazione e tubo. Il corpo estraneo viene impresso sulla superficie del tubo e nella
maggior parte dei casi si distacca lasciando la corrispondente impronta.
Cause Il difetto è dovuto al conglobamento di oggetti durante la laminazione.
RIPIEGATURA O SCAGLIA
Le ripiegature sono porzioni di materiale che nella laminazione si sovrappone al profilo senza che
le superfici si saldino completamente. Si presentano come lingue appiattite ed in parte saldate alla
superficie, oppure come fessure, distinguibili dalle cricche perché le ripiegature presentano un
angolo acuto con la superficie.
Le scaglie hanno una evoluzione analoga alle ripiegature, ma causata dai cilindri di laminazione.
Cause Le ripiegature sono dovute alla chiusura in fase di laminazione di avvallamenti sul forato.
ECCENTRICITA'
L'eccentricità è un difetto di tipo "dimensionale" che consiste nella mancanza di coassialità tra
diametri esterni ed interni del tubo. E' dovuto ad una variazione eccessiva di spessore lungo raggi
nella sezione trasversale di un tubo. Il tubo presenta forte variazione di spessore nella stessa
sezione con massimo e minimo in zone diametralmente opposte. A volte i minimi sono a 90°
rispetto ai massimi.
Cause Il difetto deriva da un riscaldo disomogeneo prima della foratura o da una foratura fuori
centro.
OVALIZZAZIONE
L'ovalizzazione è un difetto di tipo "dimensionale" che consiste nella mancanza di circolarità del
tubo, ossia diametro fluttuante tra un massimo ed un minimo. La sezione dei tubi si presenta
ovale.
Cause Il difetto è causato da laminazione con cilindri usurati o da inefficiente calibrazione. Il difetto
si manifesta anche a seguito di schiacciamento o accatastamento di tubi ancora caldi.
BUCCIA DI ARANCIA
Difetti superficiali distribuiti su tutta la superficie del tubo
Cause Sono dovuti a carenza di lubrificazione durante il processo di estrusione o all'utilizzo di un
lubrificante non idoneo.
SDOPPIATURE
La sdoppiatura è una fessurazione alle estremità o lungo il corpo di un tubo con separazione del
materiale nello spessore. Se la temperatura della billetta al momento della estrusione è troppo
elevata, vi può essere uno scorrimento differenziato tra le superfici a contatto con le attrezzature e
le zone più interne del materiale che provoca la fessurazione
Cause Il difetto è dovuto ad un residuo di cavità di ritiro primaria non spuntata sufficientemente,
oppure ad una cavità secondaria non saldata.
ECCENTRICITA'
L'eccentricità è un difetto di tipo "dimensionale" che consiste nella mancanza di coassialità tra
diametri esterni ed interni del tubo. E' dovuto ad una variazione eccessiva di spessore lungo raggi
nella sezione trasversale di un tubo. Il tubo presenta forte variazione di spessore nella stessa
sezione con massimo e minimo in zone diametralmente opposte. A volte i minimi sono a 90°
rispetto ai massimi.
Cause Il difetto deriva da un riscaldamento non uniforme del materiale in fase di estrusione.
Estrusi
ESTRUSIONE DIRETTA
ESTRUSIONE INVERSA
Nell'estrusione inversa la cavità contenente il materiale riscaldato è chiusa ad una estremità,
mentre il pistone è composto da un cilindro cavo alla cui estremità è fissata la matrice. Il pistone
avanzando, obbliga il metallo plastico a passare attraverso la matrice realizzando l'estrusione. La
pressione necessaria risulta minore in quanto il metallo di base non si muove rispetto al proprio
contenitore e quindi l'attrito risulta diminuito.
Nota
Le moderne presse da estrusione consentono di effettuare sia l'estrusione diretta che quella inversa con
semplici operazioni di adattamento.
Il pezzo formato per estrusione contiene gli stessi Durante il processo di estrusione, se il
difetti eventualmente presenti nel pezzo originario: pezzo non fluisce bene dentro la matrice,
· cricche possono generarsi difetti quali:
· inclusioni · cricche
· porosità · strappi.
Trafilati
La trafilatura, si basa sulla duttilità del materiale e consiste nel tirare una barra attraverso un foro
di sezione lievemente inferiore, in questo modo il materiale si deforma assottigliandosi ed
allungandosi. Ad ogni passaggio di trafilatura il materiale incrudisce e le sue caratteristiche
meccaniche e tecnologiche variano sensibilmente: l'allungamento diminuisce progressivamente,
mentre aumentano la resistenza a trazione, il carico al limite di elasticità e la durezza.
La trafilatura viene utilizzata per ottenere barre di sezione non molto complesse, i principali
prodotti sono: barre, fili metallici, funi, molle a spirale, viti, chiodi, coppiglie, spilli, aghi, rete
metallica.
Nota
La piastra su cui è ricavato il foro di passaggio è denominata "trafila" o "filiera". In genere ad ogni passata la
sezione si riduce del 20%; se la sezione iniziale è elevata si parla di trafilatura di barre, se invece la sezione
da trafilare è piccola, si ha la trafilatura dei fili.
Nei trafilati rimangono, se presenti, i Il processo di trafilatura può generare sul prodotto finale
difetti del laminato originario, quali: altri difetti dovuti alla rottura della trafila, i principali sono:
Lavorazioni termomeccaniche
Per lavorazione termomeccaniche si intendono tutte le lavorazioni in cui il pezzo subisce dei
trattamenti meccanici attraverso utensili e/o cicli termici per conferire al prodotto determinate
proprietà e/o per ottenere una migliore lavorabilità.
Giunti saldati
Introduzione
• saldatura autogena
le parti da saldare sono scaldate con l'ausilio di una
fiamma a gas (es. saldatura ossiacetilenica)
• saldatura ad arco
le parti da saldare sono scaldate tramite il calore di
un arco elettrico (scarica di elettricità, luminosa e
persistente) fatto scoccare tra un elettrodo (metallo
d'apporto) ed il pezzo da saldare (metallo base).
La elevata temperatura dell'arco provoca la fusione
del metallo base e del metallo d'apporto.
La saldatura
Saldatura e corrosione
Posizioni di saldatura
- Preparazione a V (V groove)
Si adotta per spessori compresi tra 5 e 15 mm
- Preparazione a U (U groove)
Si adotta al posto della preparazione a V quando lo spessore dei lembi supera i 15 mm per
diminuire il volume del materiale d'apporto.
• Saldatura d'angolo
• Saldatura di testa (in cianfrino)
Rappresentazione grafica
Una saldatura viene rappresentata mediante l'utilizzo dei seguenti simboli:
- una freccia rivolta verso il giunto di saldatura
- una linea di riferimento composta da due linee parallele, una continua ed una tratteggiata.
Quella tratteggiata può essere sopra o sotto la linea continua.
- il segno grafico della saldatura
• saldature simmetriche
Nel caso di cordoni di saldatura bilaterali e
simmetrici , rappresentati con un simbolo
composto, non si usa la linea tratteggiata.
Simboli di saldatura
Per la rappresentazione della saldatura, nella norma UNI-EN, vengono utilizzati due tipologie di
segni grafici:
Nota Le saldature tra lamiere con bordi rilevati (segno grafico 1) con penetrazione incompleta sono
simboleggiate come se fossero saldature a lembi retti (segno grafico 2) con l'indicazione dello spessore s
della saldatura (vedere quotazioni).
3. Saldatura a V
4. Saldatura a mezza V
5. Saldatura a Y
7. Saldatura ad U
(a fianchi paralleli o inclinati)
8. Saldatura a J
Nota
Le saldature contrassegnate con i numeri d'ordine da 1 a 9, 14, 15 e 19 sono saldature "testa a
testa". La denominazione "testa a testa" non è stata indicata per semplicità.
b) convessa
c) concava
2. Saldatura a K
5. Saldatura a doppia U
Nota (*)
Segno grafico conforme alla ISO 1302: in luogo di questo segno grafico può essere usato il segno grafico
principale .
Metodo di quotatura
La norma UNI EN 22553 stabilisce anche un metodo di quotatura delle saldature basato sulle
seguenti regole:
La mancanza di indicazioni a destra del segno grafico sta a significare che la saldatura è continua
per tutta la lunghezza del pezzo saldato.
Definizione Indicazione
Note
1) L'assenza di indicazioni alla destra del segno grafico significa che la saldatura è continua per tutta la
lunghezza del pezzo saldato.
2) In assenza di indicazioni contrarie, le saldature testa a testa sono da intendersi a completa penetrazione
3) Per le saldature d'angolo esistono due metodi per indicare le quote (come specificato in figura). Perciò
devono essere sempre indicate le lettere "a" o "z" prima del valore della quota corrispondente.
QUOTE PRINCIPALI
Denominazione Saldatura
3. Saldatura d'angolo
continua
Altre indicazioni
Con l'utilizzo del simbolo della freccia è possibile fornire molte altre indicazioni che caratterizzano
una saldatura, quali, ad esempio:
- processo di saldatura
- gruppo di valutazione
- posizione di saldatura
- materiale d'apporto
- saldatura in cantiere.
Queste informazioni sono importanti per l'operatore che deve effettuare il controllo, in quanto, in
base alle caratteristiche della saldatura, egli potrà orientare la ricerca di eventuali difetti.
Nota
Ad esempio, in una costruzione saldata un giunto può occupare qualunque posizione.
In relazione alla localizzazione del giunto il saldatore assumerà determinate posizioni per effettuare la
saldatura, ciascuna delle quali potrà comportare caratteristici inconvenienti nel giunto saldato.
E' quindi necessario conoscere le posizioni di saldatura.
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NUM.
EN ISO PROCESSO DI SALDATURA SIGLA
4063
111 Saldatura manuale ad arco E. R.
131 Saldatura in gas inerte con elettrodo fusibile MIG
135 Saldatura in gas attivo con elettrodo fusibile MAG
141 Saldatura in gas inerte con elettrodo di tungsteno TIG
21 Saldatura a resistenza a punti RP
12 Saldatura ad arco sommerso A.S.
311 Saldatura a gas con fiamma di ossigeno-acetilene OSS.
GRUPPO DI VALUTAZIONE
Attraverso il gruppo si valutazione si forniscono indicazioni riguardanti la qualità del cordone.
Ad esempio tramite gruppi di valutazione secondo UNI EN ISO 5817 (acciaio) o EN 30042
(alluminio) per saldature di testa e saldature d'angolo si possono esprimere le seguenti
indicazioni: D - basso
C - medio
B - alto
POSIZIONE DI SALDATURA
PF = Ascendente
PG = Discendente
PA = Verticale ascendente
PB = Orizzontale - verticale
PC = Trasversale
PD = Orizzontale - sopratesta
PE = Sopratesta
SALDATURA IN CANTIERE
Per indicare che una saldatura è eseguita in cantiere, e non in officina, si usa una banderuola,
posizionata al punto di intersezione tra la freccia e la linea di riferimento:
Riempimento
F = Simbolo di finitura
= Contour symbol
A = Groove angle: included angle of countersink for
plug welds
L = Length of weld
P = Pitch (center-to-center spacing) of welds
W = Field weld symbol
t = Arrow connection reference line to arrow side
member of join or arrow side of joint
| = Weld-all-around symbol
Reference line
N=Number of spot, stud, or projection welds
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CND: CONTROLLO VISIVO
BOTH / SIDES =Basic weld symbol or detail Elements in this area remain as
reference shown when tail and arrow are
> = Tail (Tail omitted when reference is not used) reversed
T = Specification process, or other reference
S = Depth of preparation: size or strength for certain welds
E = Groove weld size
R = Root opening: depth of filling for plug and slot welds
Simboli - Localizzazione
Basic Welding Symbols and Their Location Significance
No lato
Location Lato Entrambi i freccia o
Lato freccia
significance opposto lati altro lato
significativo
Fillet
Plug or Slot
Spot or
Projection
Seam
Back or
Backing
Surfacing
Scart for
Brazed
Joint
Flange
Edge
superficiali
POSIZIONE
volumetriche
bidimensionali
FORMA
tridimensionali
di tipo metallurgico
ORIGINE
di tipo operativo
Nelle pagine che seguono descriveremo i diversi tipi di discontinuità in saldatura con riferimento al
loro aspetto (forma e posizione) ed alle cause principali della loro formazione, tenendo presente
che con l'esame visivo possiamo individuare solo i difetti superficiali o affioranti in superficie.
DISCONTINUITA' SUPERFICIALI
Discontinuità affioranti sulla superficie della saldatura: CRICCHE SUPERFICIALI, MAGLIE IRREGOLARI
VOLUMETRICHE
Discontinuità che si sviluppano internamente alla zona fusa o termicamente alterata (Z.T.A.).
DISCONTINUITA' IN ZONA FUSA (es. tarli, cricche...), DISCONTINUITA' IN Z.T.A. (es. cricche)
BIDIMENSIONALI
Sono discontinuità aventi una sezione trasversale relativamente grande in una direzione e una
sezione trasversale piccola o trascurabile nella direzione perpendicolare alla prima.
TRASVERSALI: allungate e orientate perpendicolarmente all'asse della saldatura (es: cricche, tarli...)
LONGITUDINALI: allungate e orientate parallelamente all'asse della saldatura (es: mancanze di
penetrazione e fusione, tarli, cricche ...)
TRIDIMENSIONALI
Sono discontinuità che presentano uno sviluppo evidente in tutte le direzioni es: SOFFIATURE,
MANCANZA DI FUSIONE
DI TIPO METALLURGICO
Derivano da :
- tensioni residue; queste aumentano con la resistenza del materiale ed agiscono sia in senso
longitudinale che trasversale rispetto alla saldatura;
- fusione nel materiale base;
- assorbimento di gas nella zona fusa;
- raffreddamento veloce del giunto
Es: MICROCRICCHE, CRICCHE
DI TIPO OPERATIVO
Derivano da :
- insufficiente abilità del saldatore;
- condizioni di lavoro non adeguate;
- materiali non adeguatamente conservati;
- lembi mal preparati.
Es: MAGLIE IRREGOLARI, TARLI, INCOLLATURE, MANCANZA DI FUSIONE.
I tarli sono inclusioni gassose di forma allungata determinate dal fatto che l'arco con elettrodi
basici o cellulosici è stato troppo allungato.
La mancanza di fusione può essere causata da distanza tra i lembi insufficiente o scarsa abilità
del saldatore.
Cricche
Una cricca è una discontinuità originatasi per distacco inter- o trans-cristallino in un materiale
metallico originariamente continuo e sano. A seconda che il distacco avvenga lungo i bordi dei
grani o attraverso i grani stessi, le cricche si distinguono in intergranulari o transgranulari.
Viene normalmente considerata come una discontinuità bidimensionale perché è più o meno
allungata (da qualche millesimo di mm sino a parecchi cm) e profonda con un andamento
frastagliato, mentre i suoi lembi sono piuttosto ravvicinati. Se le dimensioni sono molto ridotte,
inferiori al millimetro, si parla di microcricche.
Le cricche sono il difetto più grave e temibile di un giunto saldato in quanto, anche se di piccole
dimensioni, sono sempre una rottura in atto, con alto fattore di concentrazione delle tensioni
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CND: CONTROLLO VISIVO
(effetto d'intaglio) alle sue estremità; una cricca può essere suscettibile di ingrandirsi col tempo a
seconda delle sollecitazioni di esercizio e delle sue dimensioni iniziali, portando il giunto a
cedimento.
Le cricche in zona fusa possono essere longitudinali, trasversali o interdendritiche (queste ultime
sono quelle che seguono l'andamento né longitudinale né trasversale dei grani dendritici nella
zona fusa).
CRICCHE A CALDO
Le cricche a caldo si manifestano durante la solidificazione del giunto; hanno di regola andamento
longitudinale e sono disposte al centro della passata in cui si formano.
Possono o no affiorare alla superficie.
Le cause principali della loro formazione, nella saldatura degli acciai al carbonio, sono:
- medio alto tenore di carbonio del materiale base;
- alto tenore di impurezze (zolfo e fosforo) nel materiale base;
- alto grado di tensioni di ritiro di saldatura.
CRICCHE A FREDDO
Le cricche a freddo si formano durante il raffreddamento del giunto. Sono più frequentemente
trasversali che longitudinali, perché le tensioni longitudinali sono le più elevate.
Le cause principali della loro formazione sono:
- un elevato tenore di idrogeno in zona fusa;
- alta velocità di raffreddamento;
- alto grado di tensioni di ritiro.
Le cricche in zona termicamente alterata si trovano nella zona ZTA o comunque vicino alla zona
che non ha raggiunto la temperatura di fusione. La loro direzione è generalmente longitudinale ma
può anche essere trasversale, inoltre possono essere interne al cordone o affioranti.
CRICCHE A CALDO
Sono cricche generalmente molto piccole dovute: alla fusione di composti basso-fondenti che si
trovano al contorno dei grani cristallini (nella zona termicamente alterata del giunto) ed all'azione
delle tensioni di ritiro che provocano il distacco dei grani.
STRAPPI LAMELLARI
Sono cricche che si verificano nel materiale base quando quest’ultimo è sollecitato
perpendicolarmente al piano di laminazione. Sono tipici dei giunti a T o ad L vincolati ed hanno un
caratteristico andamento a gradino.
Le cause principali della loro formazione sono:
- tensioni di ritiro;
- geometria del giunto;
- materiale base laminato di spessore medio alto suscettibile agli strappi.
INCOLLATURA
E' simile alla fusione incompleta ma con la presenza di uno strato di ossido interposto tra lembo e
zona fusa.Un giunto con questo difetto ha cattive caratteri-stiche meccaniche.
Sono tipiche degli acciai ferritici, per procedimenti ad apporto termico poco concentrato (MAG) o
di materiali facilmente ossidabili (leghe di alluminio).
Inclusioni
Le inclusioni sono discontinuità costituite da sostanze estranee (metalliche o non metalliche, gas)
intrappolate nel metallo d'apporto o fra il metallo d'apporto e quello di base.
INCLUSIONI DI SCORIA
Sono solidi o ossidi non metallici intrappolati nella saldatura, ovvero nel metallo d'apporto o fra il
metallo d'apporto e il metallo base. Poiché è più leggera del materiale d'apporto la scoria tende a
galleggiare sulla sua superficie, a meno che non vi rimanga intrappolata.
L'inclusione può essere superficiale o sub-superficiale e presentarsi come una linea continua o
come bande intermittenti o come particelle isolate. E' detta allungata quando è lunga più di tre
volte la sua larghezza. Le scorie sono tipiche dei procedimenti ad elettrodo rivestito e ad arco
sommerso. Si formano dal rivestimento ricoprente l'elettrodo o dai flussi che proteggono il metallo
fuso.
INCLUSIONI DI TUNGSTENO
Sono discontinuità a forma sferica o poligonale costituite da particelle di tungsteno (pezzi isolati o
minute schegge raggruppate) intrappolate nel materiale di saldatura quando, nella tecnica TIG,
l'elettrodo di tungsteno tocca il bagno di fusione. Sono discontinuità tipiche del procedimento TIG.
POROSITA'
Sono cavità, interne o superficiali, formatesi da gas rimasti intrappolati nel metallo d'apporto in
fase di solidificazione. La porosità si può manifestare in queste diverse forme:
- Diffusa uniformemente
- A grappolo
- Lineare
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CND: CONTROLLO VISIVO
- A tarli
DIFFUSA UNIFORMEMENTE
E' distribuita più o meno uniformemente nel metallo di apporto. Nella porosità uniforme non ci
sono regioni di concentrazione di porosità, può essere superficiale o interna.
A GRAPPOLO
Una concentrazione di porosità in una regione separata dal resto della saldatura da regioni che
non contengono porosità o contengono porosità con concentrazioni minime.
LINEARE
Allineata internamente al deposito e solitamente non è osservata mediante esami visivi. Si trova
lungo i contorni del giunto, al confine fra le passate o alla radice della saldatura.
A TARLI
Sono porosità di forma allungata (con lunghezza superiore a tre volte il loro diametro) sulla
superficie della saldatura o intrappolate nel metallo d'apporto. I tarli con una coda particolarmente
lunga possono terminare con piccole chicche o incollature e sono da considerarsi molto pericolosi
per la sicurezza del giunto.
Profili impropri
Le discontinuità di profilo sono date da deviazioni del contorno della zona fusa rispetto al profilo
ideale prescritto, di norma costituito da una linea che penetra parzialmente nei lembi e si raccorda
dolcemente con il materiale base. Una saldatura che non sia in accordo con i requisiti di codice o
di specifica riguardanti i profili è una discontinuità inaccettabile.
RINFORZO ECCESSIVO
Discontinuità del profilo generata da deposito eccessivo di metallo d'apporto sulla corona della
saldatura (giunti di testa).
Causa: è dovuto in genere al saldatore che non è stato in grado di distribuire opportunamente il
numero delle passate (in saldatura normale), oppure al saldatore che non si è attenuto alle
indicazioni dei parametri (nella saldatura automatica).
CONVESSITA' ECCESSIVA
Discontinuità del profilo generata da deposito eccessivo di metallo d'apporto sulla corona della
saldatura (giunti d'angolo).
SOVRAPPOSIZIONE
Un eccessivo flusso di metallo d'apporto che non si fonde col metallo base.
Visivamente si presenta come metallo non fuso, che appare come "sovrapposto".
Si trova normalmente sul bordo del metallo di saldatura che è a contatto con il metallo base.
INCISIONE MARGINALE
Consiste nella asportazione di metallo base alla giunzione col metallo di saldatura.
L'aspetto di un'incisione marginale è quello di una regione in cui il materiale fuso è scivolato via.
Causa: E' essenzialmente causata dall'impiego di corrente eccessiva, associata ad un maneggio
non corretto.
PENETRAZIONE ECCESSIVA
Il metallo d'apporto oltrepassa più del previsto la radice della saldatura. Questa discontinuità si
forma durante la passata di fondo.
Causa: La penetrazione eccessiva è localizzata alla radice del giunto saldato quando non viene
usato un materiale di sostegno.
INNESCHI D'ARCO
Fusioni non intenzionali del metallo base fuori dalla regione in cui si deposita il metallo d'apporto.
Gli inneschi d'arco possono assomigliare a singoli piccoli crateri circolari o cilindrici o a una serie
di piccoli crateri che formano una traccia verso il deposito di materiale d'apporto.
Possono essere prodotti dal saldatore che strofina l'elettrodo su una zona al di fuori dalla regione
di saldatura, da un morsetto di terra non collegato correttamente, oppure dall'uso improprio dei
puntali durante gli esami non distruttivi con particelle magnetiche.
CRATERI
Depressioni, con o senza porosità o cricche, sulla superficie alla estremità del cordone di
saldatura o nel bagno di saldatura che possono formarsi quando l'arco si è interrotto ed il gas di
protezione è stato rimosso prima che il cratere si sia solidificato. I crateri spesso riducono la
dimensione della saldatura sotto il valore richiesto e possono contenere altre discontinuità.
Possono trovarsi ovunque nella regione di saldatura dove l'arco è stato arrestato oppure fermato e
fatto ripartire. Quando si ha una cricca, essa può essere orientata trasversalmente oppure
longitudinalmente; a volte può essere formata da una serie di cricche intersecatisi che assumono
la figura di una stella.
SPRUZZI DI SALDATURA
Particelle di metallo espulse durante la saldatura dal bagno di fusione, che schizzano via e
cadono nelle regioni adiacenti. Preoccupano sia perché questi spruzzi possono mascherare altri
difetti, sia perché possono indicare che una variabile del processo di saldatura è fuori procedura.
DISTORSIONI E RITIRI
Il calore inerente al processo di saldatura può generare discontinuità quali distorsioni e ritiri sulle
parti saldate. La distorsione è la deviazione, sia temporanea che permanente, dalla forma
desiderata. Il ritiro è la diminuzione delle dimensioni, generata dal raffreddamento e dalla
contrazione del metallo d'apporto e di quello di base adiacente.
Introduzione
Cricche in esercizio
La formazione di cricche durante l'esercizio può avere numerose cause. Tra queste si
esamineranno le seguenti:
• fatica meccanica
• fatica termica
• infragilimento
• tensocorrosione
• corrosione per fatica
Fatica meccanica
Per fatica si intende un fenomeno che si manifesta nei materiali sottoposti a sollecitazioni cicliche
ripetute e che ne abbassa notevolmente il carico di rottura. Nelle costruzioni meccaniche si
verificano spesso rotture improvvise di organi in servizio senza che il carico abbia superato il
valore a base del calcolo di dimensionamento e senza che sia stato raggiunto in nessun punto
della sezione il carico di rottura del materiale. Queste particolari rotture si manifestano in organi
soggetti a sollecitazioni variabili ripetute e sono denominate rotture per fatica.
Tutti i metalli sono soggetti a fatica e spesso l'ambiente influenza fortemente le caratteristiche di
questo fenomeno, come nel caso di ambiente corrosivo o ad elevata temperatura.
Nel caso di alberi e perni, soggetti a torsione, le cricche da fatica sono disposte alla superficie del
pezzo, con orientazione di circa 45° rispetto all'asse.
Nel caso di strutture saldate, la cricca è generalmente localizzata al margine di saldature d'angolo.
Normalmente, le rotture per fatica hanno origine dalla superficie dei pezzi in corrispondenza di
punti singolari come brusche variazioni di sezione, intagli o difetti superficiali. Sono note anche
rotture di fatica originatesi nell'interno di pezzi, per la presenza di discontinuità o di difetti.
Una importante conseguenza di questo fatto è che è possibile migliorare la resistenza a fatica di
un pezzo curandone particolarmente l'aspetto superficiale.
Fatica termica
La fatica termica è un fenomeno causato dal ripetersi di cicli termici. Quando lo strato di un
componente viene riscaldato e raffreddato ripetutamente mentre il resto del pezzo rimane a
temperatura costante, la regione che subisce queste variazioni termiche si espande quando
riscaldata e si contrae durante il raffreddamento. La stessa regione subirà quindi forze di
compressione (che possono raggiungere lo snervamento) quando è calda e sollecitazioni a
trazione quando è fredda. Il ripetersi ciclico di queste condizioni può determinare lo sviluppo di
una cricca di fatica termica che tenderà a crescere durante il raffreddamento. Le cricche da fatica
termica si innescano generalmente sulla superficie e si propagano perpendicolarmente alla
superficie stessa.
Infragilimento
L' infragilimento consiste nella perdita critica di duttilità o di tenacità (o di entrambe) di un metallo.
Le ragioni per le quali un metallo risulta infragilito e quindi dà luogo a rotture fragili, sono varie.
Sotto certe condizioni ad esempio alcuni metalli sono soggetti a diffusione o migrazione di
elementi o gas al bordo grano.
Una delle principali forme di infragilimento è rappresentata dall'infragilimento da idrogeno, che
consiste nell'infragilimento introdotto nell’acciaio per assorbimento di idrogeno durante l’esercizio
del manufatto (ma anche durante il ciclo produttivo). L'idrogeno nei metalli ne altera le
caratteristiche meccaniche. Negli acciai, l'idrogeno provoca aumento della fragilità, diminuzione
del modulo di elasticità e della resilienza e aumento della durezza. Questo fenomeno, sotto
sollecitazioni anche estremamente modeste, può portare nei casi peggiori alla formazione di
cricche o alla rottura vera e propria.
Tensocorrosione
Con il termine tensocorrosione, o corrosione sotto sforzo (in inglese SCC: Stress Corrosion
Cracking), si definiscono i fenomeni di innesco e propagazione di cricche in un metallo sotto
l'azione combinata di sollecitazioni meccaniche di tensione e di un ambiente corrosivo.
Alcune caratteristiche della tensocorrosione sono:
Se gli sforzi ciclici, a causa della particolare geometria del materiale, si concentrano in una sola zona
limitata si potrà verificare una sola cricca la cui velocità di propagazione sarà molto più elevata rispetto a
quella di un gruppo di cricche.
Perdite di materiale
Particolari condizioni e ambienti di esercizio possono causare perdite di materiale che, a causa
della riduzione della sezione normale di un componente, possono comportare fratture o cedimenti
del componente stesso.
Le perdite di materiale possono essere di due tipi:
• perdite generalizzate
• perdite localizzate
Perdite generalizzate
- Corrosione generalizzata
Nota
In pratica, è più opportuno esprimere l'entità del danno come velocità di penetrazione, in quanto questa
fornisce una misura diretta dell'assottigliamento del metallo.
La velocità di penetrazione dell'attacco è legata a quella di perdita di peso attraverso la densità del metallo:
- Usura
L'usura è un tipico fenomeno di danneggiamento superficiale tra parti in contatto che può
realizzarsi in un gran numero di modi e in condizioni molto diverse. L'analisi del fenomeno è molto
complessa perché esso risulta funzione di un gran numero di variabili.
In generale tutti gli organi di macchina che trasmettono azioni meccaniche per attrito radente o
volvente subiscono usura. Questa provoca un'asportazione di materiale dalle superfici, il quale
può allontanarsi o rimanere in loco aggravando l'usura per effetto abrasivo. Per semplicità
possiamo considerare due tipi di usura:
· usura abrasiva
· usura adesiva
- Usura abrasiva
- Usura adesiva
L' usura adesiva si ha nello strisciamento fra le superfici di due corpi in movimento relativo in cui il
contatto diretto avviene soltanto attraverso un certo numero di punti o meglio di areole, in
dipendenza del grado di rugosità delle superfici. L'effettiva area di contatto è quindi assai limitata,
per cui su di essa si possono manifestare delle pressioni elevate, tali da superare il limite di
snervamento del materiale e produrre delle deformazioni plastiche locali, cui seguono
surriscaldamenti con possibilità di saldature. Sotto l'effetto dello scorrimento relativo fra le due
superfici le singole areole saldate sono sollecitate al taglio e si deformano fino a quando, superata
la resistenza del materiale, si produce uno strappo con conseguente formazione di detriti.
- Corrosione erosione
La corrosione erosione è una forma di corrosione tipica di pezzi immersi in un fluido (o che
trasportano un fluido), in cui si ha la concomitanza di un attacco corrosivo con l'azione meccanica
di rimozione dei prodotti di corrosione provocata dalla elevata velocità del fluido.
Zone di turbolenza e cambiamenti bruschi della direzione del flusso sono i siti preferenziali di
questa forma di corrosione.
Perdite localizzate
- Corrosione localizzata
La corrosione localizzata interessa parti limitate dell'area del metallo in contatto con l'ambiente
aggressivo. La localizzazione si presenta con diverse morfologie e viene indicata con termini
diversi a seconda del rapporto estensione/penetrazione dell'attacco o a seconda della causa del
processo.
Ulcera
Penetrante
Vaiolatura
Cavernizzante
Intergranulare
Cricca
Transgranulare
- Vaiolatura (pitting)
La vaiolatura corrosione per pitting si realizza con la formazione di piccole cavità dette crateri a
carattere più o meno penetrante che in brevissimo tempo possono anche determinare la
perforazione del materiale metallico.
La formazione di pitting si verifica principalmente su ferro, nichel, alluminio e acciai inossidabili, se
posti in contatto con soluzioni a debole carattere ossidante, contenenti ioni specifici (ad esempio:
cloruri).
Nella corrosione per pitting i siti di innesco sono rappresentati da disomogeneità della superficie
metallica (difetti, inclusioni, bande di scorrimento affioranti ecc.). Una volta che il processo è
innescato i prodotti di corrosione chiudono l'apertura del "cratere" e si crea così una "cella
occlusa", che accelera il processo corrosivo.
Deformazioni
Nota
Un esempio di deformazioni termiche è costituito dai tubi dei generatori di vapore nelle centrali elettriche.
I tubi che sono stati surriscaldati possono mostrare distorsioni significative: il tubo si indebolisce e la
pressione interna genera un rigonfiamento, spesso accompagnato da cricche nella zona distorta, che può
portare al cedimento del pezzo.
Il Blistering o bugne da idrogeno è un fenomeno dovuto alla diffusione, all'interno della struttura
metallica di un componente, dell’idrogeno atomico liberatosi da reazioni chimiche all’interfaccia
metallo-fluido. L'idrogeno che diffonde nel materiale in forma atomica tende ad accumularsi nei
difetti della struttura metallica quali vuoti, inclusioni, segregazioni, ecc. Quando l'idrogeno atomico
entra in un vuoto si ricombina formando idrogeno molecolare. Una molecola di idrogeno ha
dimensioni molto maggiori di un atomo. Per questa ragione si crea una pressione molto alta
all'interno di questi vuoti che determina la rottura dei legami metallici con conseguente aumento
delle dimensioni del difetto e deformazione del materiale.
1.4 METALLOGRAFIA
Campione metallografico
Sezionatura o taglio
Durante il taglio si genera calore che può provocare bruciature e microdeformazioni del campione.
Per minimizzare tali fenomeni si utilizzano lubrificanti o liquidi di raffreddamento. Nonostante le
precauzioni adottate un seppur minimo strato superficiale risulta danneggiato; conviene pertanto
prolungare la successiva fase di levigatura per eliminare tutti i danneggiamenti procurati.
Inglobamento in resina
Levigatura
Lucidatura
• lucidatura preliminare
Normalmente si utilizza un disco di panno in velluto aderente su disco metallico ed
impregnato con pasta diamantata a grana fine (fino a 1 µm); il campione è mantenuto
pressato al disco in rotazione.
• lucidatura fine
Si opera analogamente alla lucidatura preliminare ma con abrasivi più fini (fino a 0,05 µm)
e su disco di tela sintetica.
Queste operazioni sono condotte in laboratorio utilizzando macchine automatiche con le quali si
possono lucidare gruppi omogenei di provini.
Attacco chimico
L'attacco chimico comprende tutti i processi utilizzati per mettere in evidenza la microstruttura di
un metallo o lega. Poiché molti dettagli microstrutturali non sono visibili con la sola lucidatura, la
superficie del campione deve essere trattata per rivelare gli aspetti strutturali quali: grani, bordo di
grani, geminazioni, deformazioni e fasi secondarie.
L'attacco chimico agisce in modo differenziato rispetto alle diverse aree, all'orientamento dei grani,
alle imperfezioni cristalline, alle variazioni di composizione.
Il risultato è rappresentato da una irregolarità superficiale che riflette la luce incidente del
microscopio con angolazioni diverse, generando contrasto, colorazioni, polarizzazione e quindi
una immagine della superficie del campione.
Le tecniche di attacco sono numerose; oltre al chimico si possono utilizzare attacchi di tipo:
· elettrochimico
· termico
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CND: CONTROLLO VISIVO
L'attacco chimico e l'attacco elettrolitico sono i più diffusi nell'ambito dei materiali ferrosi. Le
tecniche di applicazione prevedono l'impiego di reattivi a base di acidi forti o di sali a reazione
acida. Quelli normalmente utilizzati in laboratorio sono indicati nella tabella.
Repliche metallografiche
Tecniche metallografiche
La metallografia è l'insieme delle tecniche adottate per l'osservazione della struttura dei materiali
metallici. Le tecniche metallografiche normalmente utilizzate per l'esame dei materiali metallici
sono:
• microscopia ottica
permette l'osservazione dei materiali utilizzando luce in campo visibile e fornisce una
immagine ingrandita della macro e microstruttura;
Macrografia
Micrografia
La micrografia ha una applicazione più generale della macrografia mediante essa è possibile
avere informazioni riguardanti:
Molte volte è sufficiente una osservazione micrografica per decidere senza incertezze sulle cause
di insuccessi o di gravi inconvenienti in servizio.
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CND: CONTROLLO VISIVO
Microscopia ottica
La microscopia ottica è la tecnica utilizzata per la riproduzione della topografia e degli aspetti
microstrutturali di una superficie lucidata ed attaccata, ad un ingrandimento variabile da 2 a 1500
volte. Applicazioni e limiti di questa tecnica possono essere così indicati:
Applicazioni
• identificazione/verifica di efficacia dei metodi di fabbricazione e dei trattamenti termici;
• esame delle saldature;
• analisi delle rotture;
• valutazione dell'effetto delle lavorazioni sulla microstruttura e proprietà
Limitazioni
• potere risolvente: circa 1 micron;
• profondità di campo limitata non è possibile mettere a fuoco le superfici grezze o irregolari;
• non fornisce informazioni dirette circa la composizione chimica o cristallografica.
LEGENDA
1 - Piano del film
2 - Oculare cercatore
3 - Lente di proiezione
4 - Prismi del tubo oculare
5 - Oculare
6 - Obiettivi
7 - Diaframma di apertura
8 - Condensatore
9 - Lente di campo
10 - Diaframma di campo
11 - Diffusore
12 - Filtri
13 - Meccanismo movimento tavolino
14 - Lente collettrice
15 - Lampada alogena
16 - Fotomultimetro
17 - Adattatore
18 - Meccanismo di messa a fuoco
Queste proprietà consentono non solo l'esame di fasi strutturali molto piccole, ma anche la
determinazione della loro composizione chimica e natura cristallina.
Le stesse proprietà sono alla base degli esami frattografici delle superfici di rottura
Il SEM analizza le emissioni Rx, gli elettroni secondari e retrodiffusi, li elabora e li trasforma negli
output caratteristici: immagini virtuali, analisi elementari qualitative e quantitative, mappe di
distribuzione, ecc. I segnali emessi dall’interazione fascio elettronico/campione, opportunamente
elaborati, consentono:
La reazione provoca l’emissione di tutti i segnali indicati (raggi X, catodoluminescenza, elettroni retrodiffusi,
ecc.) ognuno dei quali se analizzato fornisce una o più caratteristiche fisico - chimiche della superficie del
materiale.
Tecniche correlate
Microanalisi RX
Microanalisi EDS
Microanalisi WDS
2. OTTICA E FOTOMETRIA
2.1 INTRODUZIONE
L'esame visivo (VT, Visual Testing) è un metodo di controllo non distruttivo che si avvale della
vista quale strumento principale. Sono richieste una grande esperienza, conoscenze e capacità
per effettuare correttamente esami visivi di componenti, manufatti, strutture industriali,
infrastrutture o opere saldate.
La visione
Il bulbo oculare è simile ad un piccolo apparecchio fotografico sferoidale che si orienta nella
direzione di visione (puntamento) e in base alla distanza del punto di interesse, automaticamente
mette a fuoco l'immagine. Il perfetto sincronismo tra i due occhi consente di unificare le due
immagini in una sola immagine di visione.
Struttura dell'occhio
IRIDE: Schermo circolare posto davanti al cristallino e con al centro la pupilla. Da la tipica
colorazione dell'occhio e funge da diaframma per regolare la quantità di luce;
CORNEA: pellicola trasparente posta a protezione del bulbo oculare converge la luce sulla parte
centrale della retina (fovea);
RETINA: schermo sensibile alla luce situato nella parete posteriore del bulbo oculare;
I coni hanno la massima concentrazione (fino a 160.000 per millimetro quadrato) in una piccola
zona della retina, completamente priva di bastoncelli, detta fovea. Sono preposti alla visione
diurna, detta fotopica, e presiedono alla percezione del colore e alla nitidezza dei contrasti.
La stimolazione dei coni della fovea permette una maggiore discriminazione dei dettagli. Infatti
ogni singolo cono della fovea è collegato ad una cellula nervosa e questa comunicazione diretta
con il cervello favorisce una maggiore capacità discriminante.
I bastoncelli, molto più sensibili dei coni alla luce, ma sono collegati alle cellule nervose solo a
gruppi e questo fa sì che l'immagine che essi veicolano sia meno nitida. Tuttavia la loro maggiore
sensibilità permette all'occhio di vedere anche in condizioni di scarsa luminosità, quando i coni
non riescono più a fornire informazioni utili al cervello (visione scotopica). La visione resa possibile
dai bastoncelli è una visione non cromatica.
Nel nostro sistema di visione oggetti di dimensioni uguali, ma distanti dall'occhio il doppio l'uno
dall'altro, producono sulla retina immagini di grandezze una il doppio dell'altra.
Oggetti di dimensioni doppie l'uno dell'altro, se il più grande è ad una distanza doppia rispetto al
più piccolo, producono sulla retina un'immagine di uguale dimensione. La proiezione sulla retina di
un oggetto dipende quindi dal rapporto tra la sua grandezza reale e la sua distanza dall'occhio.
Se consideriamo la grandezza dell'oggetto (L) come arco di un cerchio immaginario, avente come
centro l'occhio e come raggio la distanza d dell'oggetto dall'occhio, possiamo definire l'angolo
visivo (AV) come: AV = (360° x L) / 2π d
ovvero come l'angolo sotteso da un oggetto di misura L posto alla distanza d dall'occhio.
L'angolo visivo è espresso in gradi, primi e secondi.
Il test di acuità visiva consiste nel verificare la capacità di vedere o identificare correttamente
alcuni optotipi di una specifica dimensione ad una determinata distanza.
Esistono vari metodi per la misura dell'acuità visiva, tra cui:
• JAEGER J1 E J2
Serve per controllare la visione da vicino (305 mm) ed è costituto da una pagina (125 x
200 mm) con un testo suddiviso in gruppi di dimensione crescente.
• Si dirà che si ha una visione normale (o acuità del 100%) quando si è in grado di leggere
lettere aventi un angolo di un minuto rispetto all'occhio. La lettura di lettere con un angolo
di due minuti corrisponderà ad una acuità del 50% e così via.
Note
- La visita di controllo dell'acuità visiva non richiede necessariamente del personale medico; è sufficiente
che l'esaminatore sia preparato e qualificato nel metodo scelto.
- Quando un candidato non supera il test l'esaminatore dovrà avvertirlo che dovrà sottoporsi a visita
medica specialistica di controllo dell'acuità visiva.
- Se il medico specialista prescrive al candidato degli occhiali ed una valutazione scritta attestante che il
candidato è idoneo, con l'uso degli occhiali, a soddisfare le richieste dello standard adottato, il candidato
potrà essere utilizzato nell'esecuzione del controllo.
Oltre all'angolo di visuale esistono altri tre fattori fondamentali associati alla visione e sono:
• Luminosità
• Contrasto
• Tempo di esposizione
Luminosità
La luminosità è la caratteristica che fa riferimento alla quantità di bianco o di nero presente nel
colore percepito. Può essere definita in senso ASSOLUTO oppure in senso RELATIVO.
La luminosità assoluta (brillantezza o intensità) è la "quantità" di luce, emessa da una sorgente o
riflessa da una superficie, percepita dall'occhio. La luminosità relativa (apparente) è la "quantità"
La percezione risulta quindi condizionata dalla situazione contestuale. Quando un grigio viene
posto prima su uno sfondo grigio-bianco e successivamente su uno sfondo nero, sembrerà più
chiaro nel secondo caso, pur non essendo variata la sua intensità in questo caso si parla di
contrasto luminoso.
Contrasto
Il contrasto può essere definito come la capacità dell'occhio di percepire oggetti colorati su uno
sfondo anch'esso colorato. In condizioni normali l'uomo non "vede" un colore isolato, ma ogni
colore agisce in modo diverso a seconda dello sfondo.
Il contrasto può essere:
• di tonalità: un colore appare in modo differente a seconda dei colori cui è accostato;
• di colori complementari: sono colori che producono un colore neutro (bianco, grigio, nero)
quando combinati in determinate proporzioni.
Un grigio su uno sfondo colorato tende al colore complementare dello sfondo stesso.
Il massimo contrasto è quindi ottenibile con coppie di colori complementari, poiché ognuno non
contiene traccia dell'altro.
Tempo di esposizione
Il Tempo di esposizione rappresenta il tempo necessario all'occhio umano per percepire
visivamente un oggetto. Tale tempo dipende dai tempi di risposta dei recettori (bastoncelli e coni)
e, pertanto, dipende principalmente dalle condizioni di illuminamento.
Tenendo presente che la reazione dei coni è di circa 3/40 di secondo mentre la reazione dei
bastoncelli è di circa 3/10 di secondo, ne deriva che i coni sono circa quattro volte più "veloci" dei
bastoncelli. Dato che i coni (a differenza dei bastoncelli) intervengono in condizioni di elevato
illuminamento si ha che il tempo di esposizione si riduce all'aumentare dell'illuminazione
ambientale.
Legge di Weber
Il nostro sistema visivo non ha una risposta lineare alla energia radiante, ma logaritmica. Tale
peculiarità è formalizzata nella legge di Weber. La legge di Weber afferma che la risposta
eccitativa del sistema percettivo umano cresce con il logaritmo della energia emessa dalle
superfici luminose che osserviamo.
Tale legge può essere illustrata con un esempio molto semplice. Supponiamo di trovarci in un
ambiente illuminato da una lampada da 25 watt. Dopo esserci abituati a tale livello di luminosità,
raddoppiamo l'illuminazione accendendo una seconda lampada da 25 watt. Percepiremo un
aumento di luminosità ben distinto. Dopo esserci abituati al nuovo livello di luminosità accendiamo
una ulteriore lampada da 25 watt. L'incremento di luminosità non sarà percepito tanto evidente
come il precedente. Per ottenere una sensazione di incremento di luminosità di intensità pari a
quella che si ha passando da 25 a 50 watt in realtà dovremmo raggiungere i 100 watt.
Sensibilità cromatica
Un'onda monocromatica viene percepita come colore; così ad esempio una radiazione di
lunghezza d'onda 577 nm viene percepita come giallo ed una di 673 nm come rosso.
Difetti visivi
La capacità visiva (acuità visiva, percezione dei colori) di un operatore deve rispondere a
determinati requisiti stabiliti dalle norme, in quanto, eventuali difetti visivi possono influire
negativamente sul risultato del controllo. In questa sezione andremo quindi a presentare i
principali e più comuni difetti della vista, quali: ipermetropia, miopia, presbiopia, astigmatismo,
percezione cromatica anomala. Va comunque precisato che tali difetti possono essere corretti e
quindi non necessariamente costituiscono impedimento per il regolare svolgimento delle attività
ispettive.
- Ipermetropia
L'ipermetropia è un difetto strutturale, cioè legato alla conformazione dell'occhio, che presenta il
bulbo oculare "corto". In queste condizioni si ha che il cristallino focalizza i raggi provenienti da
vicino (Muscoli Ciliari rilasciati) in un piano posteriore alla retina.
I muscoli ciliari devono contrarsi anche per consentire la visione da lontano, gli oggetti distanti
sono visti distintamente; la necessità di "accomodare la visione da lontano" limita il potere di
accomodazione per oggetti vicini e, quindi, limita la visione distinta da vicino.
- Miopia
La miopia è un difetto strutturale, cioè legato alla conformazione dell'occhio, che presenta il bulbo
oculare "lungo".
In queste condizioni il cristallino focalizza i raggi provenienti da lontano (muscoli ciliari rilasciati) in
un piano anteriore alla retina e quindi gli oggetti sono visti sfocati.
Gli oggetti vicini all'occhio sono invece messi correttamente a fuoco e sono così visti
distintamente. Per avere una visione distinta anche da lontano è necessario l'uso di occhiali con
lenti concave che permettano una preventiva divergenza dei raggi.
- Presbiopia
La presbiopia è un difetto non legato alla conformazione dell'occhio, ma alla sua usura che causa
una perdita di elasticità del cristallino. Ciò comporta che l'indurimento causa una riduzione del
Potere Accomodante (messa a fuoco al diminuire della distanza) ovvero limita la visione distinta
da vicino. Solo gli oggetti lontani dall'occhio possono essere messi correttamente a fuoco ed
essere così visti distintamente. Questo difetto peggiora con l'età (in media un sessantenne non
riesce a vedere nitidamente oggetti più vicini di 2 m), ma si può correggere con l'uso di occhiali
con lenti convesse per permettere una preventiva convergenza dei raggi.
- Astigmatismo
L'astigmatismo è un difetto strutturale, dovuto ad una anomala curvatura della cornea che nel
soggetto normale ha forma simmetrica, sferica, mentre nell'astigmatico ha forma asimmetrica.
Ciò comporta che i raggi luminosi che arrivano all'occhio non vanno a fuoco in un punto preciso
ma lungo un intervallo di visione sfuocata; le immagini percepite sono deformate e distorte, la
zona centrale dell'intervallo permette di avere una visione relativamente buona o meglio con
minore deformazione.
E' un'anomalia congenita che rimane pressoché invariata nel corso degli anni. L'astigmatismo può
però comparire anche secondariamente ad interventi chirurgici come cataratta, trapianto di
cornea, distacco di retina, o successivamente a traumi oculari. Fino a poco tempo fa la correzione
era l'impiego di occhiali o lenti a contatto; attualmente si può anche correggere con la chirurgia
refrattiva modificando la curvatura della cornea e rendendola più simmetrica.
La luce
Introduzione
I nostri occhi funzionano come due macchine fotografiche: la luce proveniente dall'ambiente
penetra attraverso l'apertura variabile della pupilla (otturatore) e forma sulla retina (pellicola)
un'immagine capovolta di ciò che stiamo osservando. Successivamente la struttura nervosa che
dal nervo ottico arriva al cervello provvede, in modo del tutto indipendente dall'attività cosciente,
ad effettuare il raddrizzamento di quell'immagine capovolta, e darci così la possibilità di interagire
in modo naturale con gli oggetti del nostro ambiente.
La visione dipende quindi dalla luce: è la luce che fornisce informazioni sulla forma e sul colore
degli oggetti del nostro ambiente.
Dal punto di vista fisico la luce è una radiazione elettromagnetica cioè un'onda che si propaga
nello spazio alla massima velocità possibile, pari a circa 300.000 chilometri al secondo.
Come tutte le altre onde ha dei punti di massimo e di minimo e si possono definirne le tre misure
principali:
Fenomeni fisici apparentemente diversissimi, come le onde radio che trasportano suoni e voci ed i
raggi X che impressionano le lastre radiografiche, appartengono in realtà alla medesima
dimensione, quella delle onde elettromagnetiche. L'intera gamma delle lunghezze d'onda esistenti
in natura, dalle onde lunghissime, poco energetiche, alle onde cortissime dotate di straordinaria
energia, costituisce lo spettro elettromagnetico.
Nota
Quando una radiazione è composta da una singola lunghezza d'onda è detta monocromatica (di un solo
colore). Quando invece, come succede normalmente, è composta da un insieme di lunghezze d'onda, allora
è denominata policromatica (di vari colori). Tali definizioni non si usano solo per le radiazioni ottiche, quanto
anche per altri tipi di onda come nel caso dei raggi X emessi da tubi radiogeni, e gamma emessi da
radioisotopi.
Luce visibile
La luce visibile è costituita dall'insieme delle
lunghezze d'onda a cui l'occhio umano è
sensibile e che sono alla base della
percezione dei colori. In linea di massima, al
di là di differenze individuali, lo spettro visibile
si situa tra i 380 e i 780 nanometri.
Nota
Le curve x(λ), y(λ), z(λ) rappresentano rispettivamente le quantità dei colori primari (Rosso, Verde, Blu)
necessarie per riprodurre, in un osservatore normale, lo stimolo cromatico prodotto da un determinato
colore (energia radiante di lunghezza d'onda λ). In pratica le curve rappresentano la sensibilità
dell'osservatore medio al rosso, al verde ed al blu, rispettivamente. La curva y(λ) coincide con quella del
fattore di visibilità in visione fotopica.
Note
- Le radiazioni infrarosse hanno una lunghezza d'onda compresa tra 700 nm e 1 mm ed una frequenza
compresa tra 3·1011 Hz e 4.28·1014 Hz. Rappresentano la regione dello spettro compresa tra le
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microonde e la luce visibile. Il nome deriva dal fatto che tali radiazioni sono il prolungamento dello
spettro visibile dalla parte del rosso. Le radiazioni infrarosse sono invisibili all'occhio umano.
- Gli utilizzi della radiazione infrarossa sono principalmente legati alla caratteristica del calore. Gli oggetti
già alle normali temperature emettono spontaneamente radiazioni infrarosse, a causa dell'agitazione
termica delle loro molecole. Tali radiazioni sono rilevate da specifici sensori infrarossi (termolettori). Gli
apparecchi per la visione notturna usano sensori infrarossi per convertire in immagini le radiazioni
captate. Una evoluzione della tecnologia per visione notturna è la termografia usata sia nelle
applicazioni sanitarie che nelle applicazioni industriali (controlli non distruttivi). L'infrarosso è usato
anche per trasmettere dati: nei telecomandi o tra apparecchi elettronici. Questo sistema permette di
evitare interferenze ad esempio con le onde radio emesse dai vari apparecchi.
• Raggi gamma: prodotti nel nucleo atomico, da interazioni fra particelle sub-nucleari (isotopi
radioattivi a seguito del decadimento emettono fotoni).
• Raggi X: generati da urti di elettroni su atomi dotati di elevato numero atomico (Tungsteno..),
in grado, a loro volta, di emettere agevolmente altri elettroni accompagnati da radiazioni X.
• Luce e Raggi UV: prodotti da traslazioni elettroniche che si verificano negli orbitali atomici.
Ne consegue che l'energia associata ad un'onda elettromagnetica dipende dalla sua lunghezza
d'onda.
Nota
La costante di Planck (h ) è un valore fondamentale della fisica quantistica e rappresenta la quantizzazione
a livello microscopio dell'energia. In pratica rappresenta il fatto che l'energia trasportata da un'onda
elettromagnetica non può assumere valori continui, ma solo quantità multiple di un valore fisso. Il valore di
sperimentale è di: h = 6,626068 x 10 -34 (Joule s)
E1 - E2 = h * f
Il colore
Il colore della luce è determinato dalla sua lunghezza d'onda. La luce bianca è data dalla
presenza di tutte le lunghezze d'onda monocromatiche dello spettro del visibile.
I colori possono essere classificati in:
• colori primari: altrimenti detti fondamentali, sono rosso, blu, verde; sono i colori che non
possono essere ottenuti miscelando altri colori. In teoria, dalla loro combinazione è possibile
ottenere tutti gli altri;
• colori complementari: un colore ottenuto dalla combinazione di due colori primari è detto
secondario o complementare del primario che non è entrato nella sua composizione;
• colori neutri: sono bianco, nero e grigio (in tutte le sue gradazioni); sono i colori che si
ottengono dalla combinazione di due colori complementari o dei tre primari.
Nota
Esiste una seconda definizione per i colori complementari un colore è detto complementare ad un altro
colore quando, miscelati producono un colore neutro.
Il colore è una sensazione fisiologica provocata dalla luce che colpisce la retina dell'occhio.
• tonalità: è l'attributo che permette ai colori di essere classificati come giallo, rosso…..oppure
come valore intermedio tra qualsiasi coppia di colori miscelati. La differenza di tonalità dipende
dalla differente lunghezza d'onda;
• luminosità: è l'attributo che si riferisce alla quantità di bianco o di nero presente nella tonalità
percepita. Fondamentale è il contesto, ovvero la brillantezza dello sfondo. Tanto più brillante è
lo sfondo, tanto più scuro (meno luminoso) appare il colore;
• saturazione: è l'attributo che si riferisce alla purezza del colore. Viene misurata come
differenza di un colore rispetto a un grigio (colore neutro), a parità di luminosità: è la "quantità
di grigio" presente in un colore. Assenza di grigio e piena riconoscibilità della tonalità
corrispondono a max saturazione.
I colori dell'iride sono a massima saturazione mentre i colori neutri sono privi di tonalità e
saturazione
omogeneo e che i raggi luminosi possano toccarsi senza modificarsi reciprocamente. L'ottica
geometrica permette di definire le leggi di rifrazione e riflessione.
L'ottica ondulatoria assume che la luce si
propaga con onde trasversali e definisce i
raggi luminosi come traiettorie ortogonali
alla superficie d'onda. Essa studia i
fenomeni di diffrazione, interferenza,
polarizzazione.
Di seguito esamineremo:
• Trasmissione e assorbimento
• Riflessione e diffusione
• Rifrazione
• Diffrazione
Trasmissione e Assorbimento
Nei confronti della trasmissione e dell'assorbimento, i corpi si dividono in:
• trasparenti: si lasciano attraversare totalmente dalla luce incidente;
• traslucidi: si lasciano attraversare dalla luce incidente, ma la trasmettono in modo diffuso
(attraverso un corpo traslucido, gli oggetti non vengono visti nitidamente ma con i contorni
"sfumati");
• opachi: non si lasciano attraversare dalla luce incidente, la cui energia viene dissipata in
calore.
I corpi possono trasmettere/assorbire solo alcune frequenze ed essere pertanto dei filtri nei
confronti delle frequenze assorbite. La trasmissione e l'assorbimento dipendono da: materiale,
spessore, lunghezza d'onda incidente.
I metalli, entro certi spessori, risultano trasparenti a radiazioni ad alta frequenza quali i raggi X e i
raggi gamma. Il vetro è, invece, trasparente già a frequenze minori come quelle associate alle
radiazioni luminose. L’assorbimento è dovuto al moto di molecole, atomi ed elettroni che
costituiscono il materiale. Essi sfruttano la radiazione incidente per entrare in vibrazione alla
stessa frequenza e dissipare l’energia in calore.
Riflessione e Diffusione
La riflessione è il fenomeno tipico delle superfici finemente levigate. Le superfici altamente
riflettenti sono dette lucide o speculari. Il fattore di riflessione di una superficie è il rapporto tra la
quantità di luce riflessa e la quantità di luce incidente. La riflessione può essere speculare, diffusa
o mista.
Nella riflessione speculare l'angolo formato rispetto alla normale dal fascio riflesso è eguale a
quello del fascio incidente. La riflessione diffusa (o diffusione) si ha in presenza di superfici
opache; quando la luce riflessa si distribuisce uniformemente in tutte le direzioni. La riflessione
mista è una situazione intermedia tra riflessione speculare e diffusione e si ha quando la
diffusione si concentra in una direzione prevalente.
Nota
La diffusione è un fenomeno proprio delle onde elettromagnetiche. E' dovuto alla riemissione di radiazioni,
con frequenza uguale a quella incidente, da parte di atomi e molecole circostanti che vengono "eccitati" e
diventano essi stessi sorgenti che irradiano in tutte le direzioni.
Rifrazione
- n2/1 indica il rapporto tra la velocità del fascio nel mezzo 1 e la velocità del fascio nel mezzo 2
Nel tipico caso di interfaccia aria-vetro (n1 =1, n2 = 1.5) un fascio incidente con un angolo di 30°
procede all'interno del vetro con un angolo di 19.5° ed esce ancora in aria con un angolo di 30°.
Angoli critici
Nel caso di fasci perpendicolari all'interfaccia (θ1 = 0°), il fascio rifratto risulta pure perpendicolare.
Se l'indice di rifrazione del mezzo da cui proviene la luce è maggiore di quello dell'altro mezzo,
allora esiste una condizione limite per l'angolo di incidenza (angolo critico θc), in corrispondenza
della quale la luce incidente viene totalmente riflessa sulla superficie che separa i due mezzi.
Nel caso vetro - aria, questo angolo critico nel vetro vale:
θc = arcsen(1/1,5) = 41.8°
L'angolo di rifrazione dipende anche dalla lunghezza d'onda del raggio incidente (il blu è più
rifratto del rosso, ad esempio). Ne risulta il tipico effetto ad arcobaleno, quando prismi vengono
attraversati da fasci di luce.
Diffrazione
La diffrazione è un fenomeno ottico, per il
quale il fascio subisce una deviazione nel
passaggio attraverso un'apertura D molto
stretta, i cui bordi si comportano come nuove
sorgenti.
Focalizzazione e diffusione
In ottica focalizzare significa concentrare la luce, mediante lenti o specchi, in uno stesso punto
detto fuoco. Data una sorgente P, l’ottica studia il problema di come far convergere i raggi per
formare l'immagine Q. Le soluzioni proposte si basano sulle considerazioni trigonometriche che
regolano riflessione e rifrazione, pertanto si parla di ottica geometrica.
La focalizzazione si può ottenere in trasmissione tramite lenti focalizzatrici; in riflessione tramite
specchi concavi.
Lenti focalizzatrici
Le lenti focalizzatrici, sfruttando la curvatura di due lenti, sono usate per concentrare l'energia
luminosa di un fascio ed ottenere il passaggio di tutti i raggi paralleli attraverso il punto focale.
Varie leggi ne descrivono il funzionamento, mentre i parametri caratteristici sono:
· la distanza focale, f
· l'ingrandimento, m
· l'indice di rifrazione, n ( Aria n = 1.0, Vetro n = 1.5)
Il Fuoco di una lente è il punto dove vengono focalizzati i raggi che provengono da una sorgente
posta a distanza "infinita" dalla lente ovvero che incidono tutti paralleli fra loro.
La Distanza Focale ( f ) rappresenta il segmento giacente sull'asse ottico, i cui estremi sono il
centro della lente e il fuoco.
D=1/f
Specchi
Gli specchi sono distinti in due tipologie (concavi e convessi), in funzione della superficie
effettivamente riflettente. Quando si sfrutta la riflessione della superficie posteriore, si verificano
riflessioni secondarie e variazioni della distanza apparente. Per evitare questo, si possono
metallizzare le superfici anteriori, proteggendole con uno strato di SiO2 dall'ossidazione e dai
graffi.
Gli specchi concavi sono spesso usati al posto delle lenti, anche essi sono caratterizzati da un
punto focale. Varie geometrie (parabolici, sferici, ellissoidali, piani) consentono prestazioni
diverse.
Gli specchi parabolici si usano quando la sorgente luminosa è posta a grande distanza e pertanto
i suoi raggi arrivano circa paralleli (concentratori di energia solare, telescopi a specchio..).
Tutti i raggi incidenti paralleli all'asse ottico (indipendentemente dalla loro distanza dall'asse)
convergono nel fuoco F dello specchio, coincidente con il fuoco della parabola.
Gli sferici e gli ellissoidali si usano quando i raggi della sorgente giungono inclinati tra loro.
Calotta sferica con la parte interna riflettente tutti i raggi incidenti paralleli all'asse ottico (ad esso
vicini) sono riflessi nel fuoco F dello specchio, coincidente con il centro del cerchio.
Gli specchi piani sono più semplici da realizzare costruttivamente; essi non sfruttano la
focalizzazione, ma la formazione di immagini virtuali.
Uno specchio piano può essere considerato come il caso limite di uno specchio sferico (specchio
sferico di raggio di curvatura infinito). L'immagine è virtuale e simmetrica rispetto alla superficie
dello specchio, a grandezza naturale.
Superfici diffondenti
Fasci paralleli
In trasmissione, si posiziona la sorgente luminosa nel punto focale di una lente ottica.
In riflessione, si posiziona la sorgente luminosa nel fuoco di uno specchio parabolico.
Uno dei principali obiettivi nella costruzione di strumenti ottici è di ottenere una immagine perfetta,
che riproduca con la massima fedeltà l'oggetto osservato. Nella pratica raggiungere pienamente
tale obiettivo è impossibile, in quanto gli strumenti ottici sfruttano lenti e specchi per ottenere
immagini focalizzate ed ingrandite degli oggetti. Tutto questo comporta delle imprecisioni (in
genere mai del tutto eliminabili) sull'immagine osservata con conseguente distorsione ed
alterazione nella visione dell'oggetto osservato.
Aberrazioni ottiche
Le aberrazioni ottiche sono alterazioni nella forma e o nel colore di una immagine dovute alla
visione attraverso le lenti di uno strumento ottico. Si deve considerare infatti che le relazioni, alla
base del problema della focalizzazione, sono ottenute con due ipotesi semplificative:
1. I raggi della sorgente sono "poco" divergenti (ipotesi dei raggi parassiali).
2. Le componenti della luce a diversa frequenza non subiscono rifrazioni differenti nel
passaggio aria-vetro (ipotesi delle lenti sottili).
Aberrazione sferica
Aberrazione cromatica
Potere Risolutivo
Il potere risolutivo di uno strumento ottico rappresenta la minima distanza tra due punti le cui
immagini risultano distinte (microscopio…); il minimo "angolo visuale" sotto cui risultano distinte le
immagini di due punti (telescopio…).
Il potere risolutivo risulta sempre limitato, a causa della diffrazione:
· un obiettivo ha sempre una dimensione "finita" e pertanto costituisce sempre un "ostacolo" per
i fronti d'onda luminosi;
· i confini fisici di un obiettivo si comportano come dei riemettitori;
· l'immagine di un oggetto-sorgente, per quanto piccolo esso sia, viene comunque dilatata.
2.4 FOTOMETRIA
Sorgenti luminose
Tutti i corpi emettono radiazioni con intensità e frequenza differenti in funzione del materiale e
della temperatura cui si trovano.
- Se la temperatura è minore della temperatura di soglia, (T < T0) l'energia radiante emessa non
è visibile.
- Se la temperatura T aumenta, le radiazioni emesse entrano nel visibile: prima viene emessa
luce rossa e, al crescere della temperatura, seguono tutte le altre componenti fondamentali
che si sovrappongono, producendo la sensazione di luce bianca (corpo portato
all'incandescenza).
In illuminotecnica, le sorgenti luminose sono comparate con una sorgente teorica denominata
corpo nero.
Corpo nero
Con corpo nero si intende un corpo ideale, in grado di assorbire radiazioni di tutte le lunghezze
d'onda senza rifletterne alcuna. Un corpo nero presenta le seguenti proprietà:
• assorbe interamente l'energia radiante da cui è investito;
• essendo un assorbitore ideale, ha un coefficiente di riflessione pari a zero (da cui il nome di
corpo nero);
• il suo spettro di emissione dipende solo dalla temperatura cui è portato.
• ad una data temperatura, emette più potenza radiante di qualsiasi frequenza irradiata da un
oggetto alla stessa temperatura (un buon assorbitore è anche un buon emettitore poiché il
ritmo di emissione energetica è una costante fisica).
La legge di Stefan descrive come la potenza P irradiata da un corpo dipende dalla sua superficie
(A) e temperatura (T):
P = K * A * T4
dove K è una costante che dipende dal coefficiente di emissione e (0<e<1), che a sua volta
dipende dal tipo di materiale:
- corpo nero e = 1 (K massima)
- pece e = 0.99 (ottima approssimazione reale di corpo nero)
- superficie speculare e = 0 (K minima)
Temperatura di colore
La temperatura di colore di una sorgente è la temperatura cui deve essere portato un corpo nero
per avere una emissività analoga a quella della sorgente stessa.
Questa definizione deriva dal fatto che lo spettro luminoso di un corpo nero presenta un picco di
emissione che dipende soltanto dalla sua temperatura.
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CND: CONTROLLO VISIVO
Inoltre vale la considerazione che anche se un corpo nero ideale differisce da una sorgente reale,
l'analogia tra corpo nero e sorgente rimane valida. La quantità che esprime la temperatura di
colore è usata in Illuminotecnica per valutare le prestazioni delle sorgenti luminose e viene
espressa in kelvin (K).
Note
Per basse temperature, sempre però nell'incandescenza, si passa dall'infrarosso non visibile al rosso.
Salendo di temperatura introno ai 2000 k si passa ai colori giallo-arancio.
Per temperature maggiori la luce diventa prima bianca, poi azzurra, quindi violetta ed ultravioletta.
Comunemente quando si dice che una luce è calda in realtà essa corrisponde ad una bassa temperatura di
colore, viceversa quando si parla di luce fredda a questa corrisponde una temperatura di colore maggiore.
Lampade fluorescenti
La propagazione della luce è descritta dalla legge denominata "dell'inverso del quadrato delle
distanze":
2 2
E1 x d1 = E2 x d2
secondo la quale l'intensità luminosa per unità di area varia in modo inversamente proporzionale
2
al quadrato della distanza considerata. Ad esempio, se si misurano 16 W/cm ad 1 m di distanza,
2 2
allora a 2 m si misureranno 4 W/cm ; mentre a 4 metri si misurerà 1 W/cm .
- L'energia (J) è proporzionale alla frequenza della radiazione luminosa (dipende quindi dal
colore della luce).
- Come noto, la potenza è l'energia trasmessa nell'unità di tempo (s) ed è misurata in watt (W),
con 1 W = 1 J/s
In ottica, la potenza dipende dal numero di fotoni, ovvero dal numero di "unità" che trasportano
energia e lunghezza d'onda
- L'intensità è la grandezza che tiene principalmente conto del numero di fotoni che investono
una superficie. L'intensità di un'onda (anche meccanica) è definita come "potenza (W)
trasferita attraverso l'unità di area di una superficie normale alla direzione di propagazione
dell'onda".
Nota: Per comprendere perché si consideri la proiezione ortogonale al fascio incidente; basta pensare che
una stanza si scalda di più nel caso in cui una finestra esposta al sole, sia meglio orientata piuttosto che nel
caso in cui sia più ampia.
RADIOMETRICHE
Quantità Unità
Energia radiante Q Joule J
Flusso radiante Φe watt W
2 2
Emittanza radiante Me watt / m W/m
2 2
Irradianza Ee watt / m W/m
Intensità radiante Ie watt / steradiante W / sr
2 2
Radianza Le watt / ster / m W / (m sr)
FOTOMETRICHE
Quantità Unità
Energia luminosa Qv Talbot lm s
Flusso luminoso Φv lumen lm
2 2
Emittanza luminosa Mv lumen / m lm / m
2 2
Irradianza Ev lumen / m (lux) lm / m
Intensità luminosa Iv Candela lm / sr (=cd)
2 2
Luminanza Lv Candela/m (nit) cd / m
Steradiante
Un concetto di base per la fotometria è quello di angolo solido. L' angolo solido è una grandezza
geometrica tridimensionale che rappresenta l'estensione del concetto di angolo piano.
Per comprenderlo consideriamo una sfera trasparente di raggio r = 1 m, con al centro C una
2
sorgente luminosa puntiforme che illumina la zona S = 1 m . Si definisce angolo solido Ω lo spazio
racchiuso nel cono di luce di base S e di vertice C.
L'unità di misura dell'angolo solido è lo steradiante che può essere definito come l'angolo sotto il
quale si vede una calotta sferica di area uguale al quadrato del raggio della sfera, cioè:
2
Ω=A/r
Il Flusso radiante è la misura della potenza trasmessa dal fascio luminoso ed indica la potenza del
fascio luminoso nello spettro visibile. Il flusso luminoso è dunque un flusso energetico ”pesato”
secondo la sensibilità spettrale dell’occhio umano (visione fotopica). La sua unità di misura è il
lumen (lm) che può essere definito come l'equivalente ottico del watt.
Dato che la risposta spettrale della retina ha un massimo a λ=555 nm, si è convenuto che il flusso
luminoso (Φ) di una radiazione monocromatica di questa lunghezza d’onda, emessa da una
sorgente della potenza di 1 watt, sia Φ = 683 lumen.
Per sorgenti monocromatiche con stessa potenza, ma lunghezza d’onda inferiore o superiore a
540 nm il flusso luminoso viene definito in proporzione alla risposta spettrale della retina (ad
esempio 410 lumen a 600 nm, o 0 lumen a 200 nm).
Flusso Radiante
Flusso Luminoso
Intensità luminosa
L'intensità luminosa (I) esprime la concentrazione di luce in una direzione specifica, radiata per
secondo. Essa può essere definita come flusso luminoso radiato in una certa direzione per unità
di angolo solido.
I = Φ/4π [cd]
Irraggiamento e illuminamento
L’Irraggiamento è la misura del flusso radiante per unità di area, ed è espresso in Watt/cm² (o
Watt/m²). Analogamente l' illuminamento (E) è il flusso luminoso per unità di superficie. L'unità di
misura dell'illuminamento è il lux (lm/m²), che corrisponde all’illuminamento prodotto da un flusso
di 1 lumen distribuito in modo uniforme su una superficie di 1 m².
Nota Con riferimento a misure anglosassoni, si trova spesso indicato il foot-candle (ftc), equivalente ad un
lumen per piede quadrato.
- Luminosità
Se il flusso luminoso per unità di superficie è riferito ad una superficie emittente invece che ad una
superficie illuminata esso viene misurato nelle stesse unità ma viene detto luminosità (luminosità
del cielo).
Efficienza luminosa
L’efficienza luminosa η (lumen/watt) è definita dal rapporto tra il flusso luminoso (lumen) e il flusso
radiante (watt).
η = Flusso luminoso/potenza
L'efficienza luminosa dipende dalla lunghezza d'onda e rappresenta la frazione della potenza
raggiante che cade nel visibile.
Nota
In altre parole essendo η = Flusso luminoso/potenza
si ha che il Flusso luminoso = Energia raggiante (watt) x 683 (lm/watt) x η
Il fattore 683 (lm/watt) dipende, come abbiamo visto, dalla sensibilità della retina a λ= 540 nm, il picco della
curva della sensibilità scotopica. L’efficienza luminosa vale 1 a tale lunghezza d’onda.
Radianza e Luminanza
La radianza è la misura della densità di flusso per unità di angolo solido (sr) espressa in W/cm2/sr.
Nota
La radianza, riferita all’angolo solido, è indipendente dalla distanza dalla sorgente e non segue l’inverso dei
quadrati delle distanze.
La luminanza (L) è la misura della densità di flusso per unità di angolo solido (sr) nel visibile e si
misura in cd/m2.
E' definita come il limite del rapporto fra l'intensità luminosa prodotta in una data direzione da un
elemento di superficie e la proiezione dell'elemento di superficie su un piano normale alla
direzione stessa. E' quindi una grandezza che dipende dalla posizione dell'osservatore.
Nota
E' importante aver ben chiaro la differenza
esistente tra illuminamento e luminanza:
Spesso sono compiute inesattezze ed imprecisioni nella conversione tra grandezze ottiche.
La soluzione migliore, in ogni caso, è la misura diretta della grandezza cui si è interessati.
Esempio: nell'esempio seguente è svolta la conversione tra lux (lumen per m2 ) e lumen.
Fotodiodi al silicio
I fotodiodi al silicio sono composti da un circuito P-N che genera un'intensità di corrente
proporzionale alla luce incidente. La loro risposta è lineare, la taratura è mantenuta a lungo.
La fotocorrente di un circuito PN può essere sfruttata per convertire energia luminosa in energia
elettrica. I fotodiodi ottimizzati per questa funzione vengono chiamati celle fotovoltaiche (o celle
solari).
Fotodiodi a vuoto
I fotodiodi a vuoto sono costituiti da un piccolo tubo catodico, in cui la superficie del catodo emette
elettroni in proporzione alla luce incidente, e da un anodo, che li riceve. Tra anodo e catodo è
imposta una tensione tra 50 e 90 V.
Per il funzionamento sfruttano l’emissione di elettroni dalla superficie metallica colpita da fotoni di
energia superiore ad un dato valore di soglia. Il materiale del catodo determina la sensibilità
spettrale (Cs - Te per UV).
Possono essere resi molto sensibili aggiungendo una serie di dinodi (elettrodi intermedi), tra
anodo e catodo, per aumentare il campo elettrico.
Il campo elettrico tra ogni coppia successiva di dinodi fornisce agli elettroni estratti dai fotoni
incidenti (fotoelettroni) una energia sufficiente ad estrarre altri elettroni. In questo modo si genera
un processo a valanga che produce un impulso di corrente (anche di milioni di elettroni per fotone)
e che spiega il nome di “foto-moltiplicatori” dato a questi dispositivi.
Termosensori
I termosensori (detti anche bolometri) sono dispositivi sensibili al calore radiante per irraggiamento
(sensore sotto vuoto) ed offrono una adeguata sensibilità nell'infrarosso (IR). Hanno una finestra
d'ingresso in quarzo (banda passante tra 200 e 4200 nm) e sfruttano il riscaldamento prodotto
dall’assorbimento di fotoni per generare un segnale utile.
Illuminazione artificiale
Le sorgenti luminose utilizzate per fornire un'adeguata illuminazione variano dalle torce portatili
alle sorgenti ad alta intensità utilizzate con i videoscopi.
Per illuminare la zona da controllare vengono utilizzati due tipi di sorgente di luce artificiale:
· ad incandescenza:
la luce viene emessa da un filamento di tungsteno attraversato da una corrente elettrica; di
questo tipo sono la lampada tradizionale e la lampada alogena;
Illuminazione ad incandescenza
Lampada tradizionale
La lampada ad incandescenza tradizionale è costituita da un bulbo di vetro trasparente
contenente un sottile filamento in tungsteno sorretto da opportuni sostegni conduttori. Nel bulbo è
praticato il vuoto ed immessa una miscela di gas inerti (azoto, argon) per evitare che il filamento
"bruci" durante il riscaldamento. Il bulbo è sigillato mediante un attacco che serve per il
collegamento con la linea elettrica di alimentazione.
All'incandescenza si ha emissione
di radiazioni luminose, insieme ad
una quota cospicua di radiazioni
infrarosse (invisibili all’occhio, ma
percepite come calore) e ad una
piccolissima quantità di radiazioni
ultraviolette.
La quantità di luce emessa è direttamente proporzionale alla temperatura di funzionamento della
lampada.
Lampada alogena
Il tungsteno di cui è costituito il filamento di una lampada a incandescenza, portato ad alta
temperatura inizia a sublimare, andandosi a depositare sulla superficie interna del bulbo in vetro.
Questo fenomeno porta alla riduzione del flusso luminoso e all’invecchiamento della lampada, in
quanto il bulbo annerito lascerà passare una minore quantità di flusso e il filamento, assottigliato a
causa della sublimazione, si infragilisce e si spezza.
Nota
All'interno del bulbo gli alogenuri di tungsteno possono formarsi come composti stabili soltanto nelle zone
dove la temperatura è inferiore a 1700 K, quindi ad una certa distanza dal filamento (che raggiunge i 3000
K). Quando gli alogenuri si portano in prossimità del filamento, a temperature superiori a 1700 K, avviene la
loro dissociazione in tungsteno, che si deposita casualmente sul filamento, e gas alogeno, che si rende
disponibile per un nuovo ciclo.
Il fatto che il tungsteno si rideposita casualmente sul filamento, e mai esattamente nel punto dal quale si è
volatilizzato, impedisce che il filamento si rigeneri integralmente: il filamento è sempre soggetto a
logoramenti localizzati là dove il tungsteno non torna mai a depositarsi.
La lampada a scarica sfrutta la proprietà di alcuni gas di emettere luce quando sono attraversati
da una scarica elettrica (elettroluminescenza). La lampada è costituita da un'ampolla di vetro o
quarzo (tubo di scarica) nella quale è stato prodotto il vuoto e immessa una piccola quantità di gas
o vapori metallici. Alle due estremità sono saldati gli elettrodi tra cui avviene la scarica.
Nota
L'eccitazione dell'atomo provoca il salto d'orbita di uno dei suoi elettroni periferici su un
livello energetico superiore, instabile, dal quale l'elettrone ricade su un livello più stabile.
Lampada a fluorescenza
Le lampade a fluorescenza sono un tipo particolare di lampada a scarica in cui l'emissione
luminosa non è prodotta direttamente dal gas ionizzato, ma da un sottile strato di polveri
fluorescenti (fosfori) che riveste internamente la superficie del tubo contenitore. Il tubo in vetro (di
forma lineare, circolare o variamente sagomato) contiene al suo interno piccole quantità di
mercurio gassoso unitamente ad altri gas (solitamente Argon o Neon). Alle due estremità sono
saldati i due elettrodi a cui fanno capo i conduttori elettrici di alimentazione.
Gli atomi di mercurio urtati dagli elettroni in movimento tra i due elettrodi emettono
prevalentemente radiazione ultravioletta (vedi: generazione della luce).
Le polveri fluorescenti presenti sulla superficie interna del tubo, investite dalla radiazione UV
prodotta dal gas, emettono luce.
Nota
Questo tipo di lampade sono comunemente chiamate lampade al neon o tubi al neon, ma in realtà il loro
funzionamento è dovuto alla presenza dei vapori di mercurio e non al neon.
Ricordiamo anche che l'emissione luminosa da parte di sostanze fluorescenti cessa non appena viene
meno l'azione eccitatrice svolta dalla radiazione UV, diversamente da quanto accade per le sostanze
fosforescenti, che continuano ad emettere luce anche dopo che l'azione eccitatrice è venuta meno.
3.1 INTRODUZIONE
I numerosi strumenti utilizzabili nelle ispezioni visive sono stati suddivisi nelle seguenti categorie,
illustrate in dettaglio nelle pagine seguenti:
• Strumenti di ausilio alla visione: per esaminare particolari nascosti o minuti, può essere
necessario utilizzare sistemi ottici di ausilio alla visione.
• Strumenti per la visione indiretta: nei casi in cui la visione diretta non è possibile, è
necessario ricorrere a sistemi endoscopici per la visione indiretta.
ENDOSCOPI Boroscopi
Fibroscopi
Videoendoscopi
Introduzione
Nelle ispezioni visive è spesso richiesto determinare lunghezze, diametri, altezze, tolleranze,
aspetto superficiale, filettature e diverse altre caratteristiche che non possono essere
adeguatamente quantificate soltanto dall'occhio umano. I principali strumenti comunemente
utilizzati per le misurazioni nelle ispezioni visive dirette sono:
• Goniometri
• Calibri
• Micrometri
• Comparatori
La riga graduata è il più semplice strumento per le misure lineari, esistono in diverse lunghezze e
possono essere di materiale rigido o flessibile. Le righe graduate hanno normalmente una
lunghezza di 6 pollici e dispongono di diverse scale con differenti gradazioni. La precisione è
limitata dalla larghezza dell'incisione della scala graduata. Per una corretto impiego deve essere
scelta con attenzione la scala più adatta.
Se la misurazione effettuata cade tra due gradazioni, dovrebbe essere utilizzata la scala
successiva più fine, per aumentare il grado di precisione. Con un corretto utilizzo si possono
ottenere precisioni dell'ordine di 0,5 mm (0,016 pollici), anche se possono verificarsi errori di
interpretazione. Sono impiegate anche per controlli della planarità delle superfici, parallelismo e
rettilineità.
Questo poiché è più difficile allineare il riferimento dello zero terminale con lo spigolo del pezzo da
misurare rispetto ad allineare una gradazione intermedia della riga. Inoltre, possibili danni alla
parte terminale della riga con l'indicazione zero, possono influenzare negativamente la
misurazione.
Goniometri
Il controllo degli angoli più comuni (30, 45, 60, 90, 120°) viene eseguito per mezzo delle squadre
fisse. Il controllo di angoli diversi dai suddetti si esegue per mezzo delle squadre zoppe, costituite
da due righelli girevoli attorno ad un perno.
La misurazione degli angoli si effettua per mezzo di goniometri meccanici semplici che danno una
approssimazione di un grado o di mezzo grado. Quando si vogliono approssimazioni maggiori,
s'impiegano i goniometri universali provvisti di nonio.
Calibri
I calibri sono usati per ottenere accurate misurazioni lineari. I calibri esistono in una vasta varietà
di dimensioni e configurazioni per misurare lunghezze, larghezze, altezze, diametri e profondità.
Possono essere sia a misurazione diretta che a misurazione indiretta. I calibri a misurazione
diretta possono essere classificati in base al:
• tipo di lettura (calibro a nonio, calibro a quadrante, calibro digitale)
• tipo di misurazioni (calibri per esterni, per interni, di profondità, universali)
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Tipi di calibri
I calibri a misurazione diretta permettono la lettura diretta della misura effettuata e sono disponibili
in vari tipi. Questo tipo di calibro può essere semplicemente un riga graduata con bracci per
misurazioni grossolane, oppure può essere del tipo a verniero, ad indice, o di tipo elettronico
digitale utilizzato per misurazioni molto precise.
Consentono misurazioni con precisioni da 0,1 mm fino a 0,01 mm per i tipi digitali o a quadrante.
CALIBRO A NONIO
Sulla parte fissa del calibro c'è una scala in centimetri, con divisioni di un millimetro, mentre sulla
parte mobile detta nonio c'è un'altra piccola scala che serve ad aumentare di molto la sensibilità di
lettura. La scala del nonio è di solito numerata da 1 a 10 e vi è una tacca non numerata a metà
dell'intervallo fra due tacche numerate successive.
CALIBRO A QUADRANTE
Questo tipo di calibro dispone di un quadrante ad orologio mosso dal movimento del corsoio con
un meccanismo simile a quello dei comparatori. Sul corpo viene normalmente incisa una scala
fissa millimetrata, sulla quale vengono letti i millimetri, mentre sul quadrante le relative frazioni di
millimetro.
NOTA
I quadranti normalmente hanno una risoluzione 0,05 - 0,02 mm. e possono visualizzare 1 o 2 mm a giro. In
genere i quadranti possono essere ruotati per far coincidere lo zero della scala con una qualsiasi posizione
dell'indicatore per impostare una quota di riferimento. In questo modo è possibile eseguire confronti tra
quote diverse, ma quando si ritorna ad eseguire misure assolute è necessaria una verifica preventiva della
posizione dello zero.
CALIBRO DIGITALE
Il calibro digitale dispone di un display elettronico montato sul corsoio attraverso il quale viene
visualizzata la misura effettuata. La scala millimetrata presente sul corpo viene utilizzata solo per
la verifica grossolana della misura elettronica. I display sono normalmente realizzati con una
risoluzione 0,01 mm. I calibri digitali dispongono di funzioni quali:
- visualizzazione della misura in differenti scale (metriche, inglesi);
- azzeramento della lettura in un qualsiasi punto;
- impostazione di una qualsiasi quota di riferimento
- collegamento con un PC, per trasferire i dati delle misure.
Calibro a corsoio
Il calibro a corsoio, molto usato per le normali misurazioni di officina, è costituito da un'asta di
acciaio ed un corsoio. Ad una estremità dell'asta è presente un braccio ed un beccuccio mentre
lungo il corpo sono incise due scale, una in millimetri e l'altra in pollici e sedicesimi di pollice.
Nota
Il nonio fu ideato, come apparecchio misuratore di piccoli angoli, dal matematico e cosmografo portoghese
Pietro Nunes (Petrus Nonius) verso l'anno 1550; ma il primo nonio a corsoio scorrevole per la misurazione
di frazioni di millimetro fu costruito nel 1631 dal matematico francese Pierre Vernier che prese l'idea dal
primitivo apparecchio di Nunes; per questo motivo il nonio viene anche denominato Verniero.
Vi sono noni rettilinei e noni circolari: i primi sono applicati su strumenti misuratori di lunghezze, i secondi
vengono invece applicati sui goniometri misuratori di angoli. L'ampiezza delle graduazioni del nonio è
sempre diversa dall'ampiezza delle graduazioni incise sulla scala fissa.
Il nonio è una scala ausiliaria costruita suddividendo in n parti uguali la lunghezza corrispondente
a (n-1) divisioni di una scala fissa.
Nota
Il nonio si dice diminuito quando le sue graduazioni sono più piccole di quelle della scala fissa, si dice
eccedente quando le sue graduazioni sono più grandi di quelle della scala fissa.
Il nonio decimale si costruisce suddividendo in dieci parti uguali 9 mm della scala fissa; una
graduazione del nonio vale perciò 9/10 mm.
La misura è data dal numero delle divisioni della scala fissa che si trovano alla sinistra dello zero
del nonio più una frazione di mm indicata dal numero d'ordine del trattino del nonio che coincide
col trattino della scala fissa. Nel caso di un nonio decimale si otterranno quindi misure con una
precisione di un decimo di millimetro.
1° CASO: lo zero del nonio coincide esattamente con una divisione della scala fissa.
La misura della lunghezza è data dal numero delle divisioni della scala fissa a sinistra dello zero
del nonio: lettura = 6,00 mm
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2° CASO: lo zero del nonio cade tra due divisioni della scala fissa ed un trattino del nonio coincide
con una divisione della scala fissa.
La misura è data dal numero delle divisioni della scala fissa a sinistra dello zero del nonio, più la
frazione indicata dal numero d'ordine del trattino del nonio coincidente con una divisione della
scala fissa: lettura = 7,50 mm
3° CASO: due trattini del nonio rimangono compresi tra due divisioni della scala fissa. Non
essendo possibile stabilire quale dei due trattini coincida, avremo due letture:
lettura per difetto = 6,20 mm
lettura per eccesso = 6,30 mm
I calibri a corsoio come tutti gli strumenti di precisione devono essere periodicamente controllati e
verificati al fine di assicurare la correttezza delle misure realizzate. Il controllo dei calibri a corsoio,
particolarmente necessario quando si tratti di calibri di precisione, ha lo scopo di accertare:
Micrometri
Il micrometro a vite, detto anche Palmer dal nome del suo ideatore, permette di eseguire
misurazioni di lunghezze con una precisione superiore a quella del calibro.
In base al tipo di misura che sono in grado di realizzare i micrometri possono essere classificati in:
• micrometri per esterni per misure di spessore e diametri esterni di barre, fili o sfere;
• micrometri per interni, per misure di diametri interni
• micrometri di profondità per la misura di profondità di fori scanalature etc.
• micrometri analogici
• micrometri digitali.
La bussola termina con un lembo tronco-conico graduato e con un tamburo zigrinato; il lembo
tronco-conico è suddiviso in 50 oppure in 100 parti uguali.
Sulla superficie esterna del gambo è incisa la linea di fede della scala fissa, suddivisa in mezzi
millimetri. Per facilitare la lettura, i trattini sono alternativamente rivolti da parti opposte rispetto alla
linea di fede.
Le parti costituenti il micrometro sono di acciaio convenientemente trattato. In certi casi, per
aumentare la resistenza all'usura, sulle parti terminai dell'asta mobile e dell'incudine vengono
applicate placchette di carburi metallici.
Effettuazione misurazione
La misurazione si ottiene agendo sul tamburo zigrinato, per l'avanzamento della vite e quindi
dell'asta mobile, durante tutta la manovra di avvicinamento.
Il micrometro per interni ha il dispositivo di lettura uguale a quello del micrometro per esterni, ma
differisce per il sistema di rilevamento delle quote.
Nota
La superficie dei contatti può avere varie forme (a semisfera, piana,
zigrinata, ecc.); la scelta tra le forme disponibili deve essere fatta in
relazione alle particolarità della superficie interna da esaminare.
La superficie dei contatti può avere varie forme (cilindrica, piana, zigrinata, ecc.); la scelta tra le
forme disponibili deve essere fatta in relazione alle particolarità della superficie interna da
esaminare.
Nota
Apposite molle assicurano il contatto tra le aste combinabili senza danneggiare le superfici di contatto.
Micrometro di profondità
Micrometri digitali
Attraverso il dispositivo elettronico gli indicatori forniscono diverse funzionalità, tra le quali:
I modelli più evoluti sono predisposti per la connessione al PC e consentono il trasferimento dei
dati di lettura e l'automatizzazione delle misure.
Per un corretto impiego del micrometro è necessario avere una serie di avvertenze ed attenzioni
le principali delle quali sono qui riassunte:
Comparatori
Comparatori a quadrante
Un'apposita vite di bloccaggio impedisce rotazioni accidentali rispetto alla regolazione iniziale.
Nel bordo del quadrante di molti comparatori sono presenti due cursori mobili utilizzabili come
riferimenti dei valori di tolleranza di minimo e massimo della regolazione iniziale.
Comparatori digitali
Molla di spinta. L'asta viene mantenuta in estensione a contatto con il materiale da una molla. La
forza esercitata sull'oggetto da misurare aumenta con l'aumentare della compressione della molla
e può alterare la superficie di contatto e quindi produrre errori di misura.
Nota
Il problema risulta trascurabile nei materiali metallici mentre diviene evidente nei materiali soffici (plastica,
gomma...). Una soluzione è utilizzare molle che producono una forza debole, anche quando sono molto
compresse. Tale forza viene utilizzata come parametro per la valutazione della qualità dei comparatori.
Sfera di scorrimento. Per ridurne l'usura e diminuire l'attrito durante lo scorrimento dell'asta sulle
superfici, sull'estremità del tastatore è presente una piccola sfera che ruota all'interno della sua
sede. Nei normali comparatori, la sfera è in acciaio temperato, mentre nei comparatori di
precisione la sfera è può essere realizzata in rubino sintetico, la cui elevata durezza ne riduce
fortemente l'usura.