sopravvenute circostanze austriaca trapelavano al di sotto della lettera e mettevano chiaranme ente in luce il messaggio politico che le tragedie manzoniane intendevan. trasmettere e che avevano reso l'autore suscettibile di una opposizicn ione speciale da parte della stampa filogovernativa (Becherucci, 2018): era dunque necessario mutare rotta, attribuendo la caduta della dinastia longobarda non tanto all'incapacità di unificazione nazionale di nn volgo autoctono inesistente come entità politica, bensi solo a un'in- testina forza disgregatrice della dinastia dominante, nonché alla forza dell'esercito franco condotta da un tanto condotticro. In un nuovo e definitivo atto v la scena veniva, dunque, spostata a Verona, tra reggia longobarda e accampamento dei franchi ormai vinci- tori, e il tema del tradimento dei duchi longobardi assurgeva a causa de- terminante della solenne sconfitta, mentre si ridimensionava la presenza del sentimento patriottico immaginato serpeggiare nella massa anonima degli italiani schiacciati dalla dura servitù straniera. Era la forma defini- tiva della tragedia, intesa ancora una volta a rappresentare prima di tutto il dramma di un uomo di alto sentire in contrasto con i suoi tempi e le sue aspirazioni: un fratello del conte di Carmagnola, come lui destina- to a soccombere, trafitrto da una ferita mortale, lasciando al mondo un secondo ancor più celebre testamento inneggiante al valore epitanico c pacificante della morte («Gran segreto è la vita; e nol comprende/ Che lora estrema»: atto V, vv. 34O-341»). I personaggio principale, che aveva prestato i suoi tratti per rappresentare troppo esplicitamente le aspettative di Manzoni stesso, rispecchiando la consegna di Gocthe secondo cui «per il poeta nessun personaggio è storico; egli si compiace di rappresentare il suo mondo morale e, a questo fa scopo, a certe perso- ne della storia l'onore di prestare i loro nomi alle sue creature>» (Goethe, 1937, p. 243), ritletteva anche lerrore drammaturgico compiuto nella scelta di un eroe che la storia consegnava comunque fra gli sconfitti e la necessità di un suo rimodellamento pi in sintonia con le testimo- nianze storiche. Sarebbe stato il dilemma detinitivo del drammaturgo lombardo, presto romanziere, e il punto di divario col grande maestro di Weimar: i personaggi ideali per lui dovevano «rappresentare una classe, unopinione, un interesse» (lettera a Goethe del 23 gennaio 1821, Lettere, I, p. 223), non riflettere il carattere dell'autore. La solenne smentita alla fine delle Notizie storiche, ripetuta in privato anche al Fauriel nella let- tera del 3 novembre 1821 (Carteggio Manzoni-Fauriel, p. 313), conferma 2. 1L TEATRO
la sua insoddisfazione per la non cocrente riuscita del protagonista: «ll
carattere però d'un personaggio, quale è rappresentato in questa trage dia, manca attatto di fondamenti storici: i disegni d'Adclchi, 1 Suoi gu- dizi sugli avvenimenti, le sue inclinazioni, tutto il carattere insomma è inventato di pianta, e intruso fra i caratteri storici, con un'infelicità, che dal più difficile e dal più malevolo lettore non sarà, certo, cosi vivamente sentita come lo è dall'autore» (4delchi 2015, p. 12). Insomma, Adelchi continuava a essere troppo Alessandro Manzoni, malgrado la generale ristrutturazione dell'opera: un personaggio che con lui aveva sognato e finito, almeno per quella prima stagione, di sognare. II processo di correzione e riscrittura dell'opera avvenne, tuttavia, solo a partire dal nuovo anno, allorché nella lunga disquisizione sto- riografica(l Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Ita- lia), destinata fin da principio ad accompagnarla, ma stesa sulla carta tuttassieme alle Notizie storiche solo nell'autunno 1821, si ponevano le premesse per la ricostruzione delle cause oggettive alla base della ca- duta della dinastia (Becherucci, 2005, pp. LXXVIII-LXXIX): si faceva soprattutto luce sullcffettivo status civile e politico di quella immensa moltitudine di uomini passata sulla sua terra senza lasciare una traccia (Discorso, cap. I1, p. 79), poi ricantata nelle note del celebre coro dell'at- to Il, composto di seguito a quello del iv dal 13 al 19 gennaio 1822. La complessa architettura prevedeva, dunque, come risultato finale un'o- pera questa volta articolata in tre sezioni distinte, ma strettamente con- nesse fra di loro: la storia (Notizie storiche) e la storiografia (Discorso) ai lati, come colonne portanti; e al centro del trittico la poesia, che quei "dati leggeva dal di dentro, restituendone la parte perduta, secondo la grande lezione ancora valida della Lettre å M. C. **.Imesi della prima- vera 1822 videro l'autore alle prese con diversi amanuensi per realizzare questa volta una doppia edizione: una italiana, uscita per i tipi di Vin- cenzo Ferrario nell>'ottobre 1822, e una francese a cura del Fauriel (con anche il Carmagnola, gennaio 1823). Per accattivarsi le compiacenze dei censori fu questa volta neccssario improvvisare una ristampa dei vecchi Inni sacri del 1815 e poi, in simultanea con la pubblicazione del- la tragedia, accompagnare il traguardo anche con una plaquette tuori commercio della sola Pentecoste (Becherucci, 201,). Intanto un lavoro accanito di studio e scandaglio delle fonti antiche e contemporane aveva preparato il pocta alla prossima grande impresa: difatti, all'inten- to di proseguire nell'agone tragico con un nuovo soggetto tratto dalle VIcende dello schiavo gladiatore Spartaco, simbolo della lotta per la li-
La lirica è stata scritta di getto da Manzoni subito dopo aver appreso, sulle colonne della «Gazzetta di Milano» del 17 luglio 1821, la notizia della morte di Napoleone Bonaparte, avvenuta il 5 maggio precedente. Obi (1)