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N.

379/2013 RG TRD
N. 9619/2012 RGNR Monza
N. 6286/2012 RG GIP Monza

REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI MILANO
Sezione XII Penale
in funzione di Giudice del Riesame

Il Tribunale riunito di camera di consiglio nelle persone dei magistrati:

dott. ssa Cesare Tacconi Presidente


dott. ssa Caterina Ambrosino Giudice
dott. ssa Valeria Conforti Giudice relatore ed estensore

nel procedimento ex art 310 c.p.p. promosso dal Difensore nell'interesse


di Achab Aaziz, nato in Marocco il 01.01.1976, attualmente detenuto presso la Casa
Circondariale di Monza
difeso di fiducia dall’avv. Aldo Egidi del foro di Milano
con atto di impugnazione depositato l’11.03.2013 avverso l’ordinanza del 18.02.2013
(notificata al difensore in data 4.03.2013) emessa dal Gip presso il Tribunale di Monza che
respingeva l’istanza di revoca/sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere
con misure meno afflittive;
sciogliendo la riserva assunta all’esito della udienza camerale del 12.04.2013 , letti gli atti
pervenuti in data 12.03.2013 ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
In data 18.02.2013 Il Gip presso il Tribunale di Monza respingeva l'istanza con la quale la
Difesa di Achab Aaziz chiedeva, in principalità, la revoca ed in via gradata la sostituzione
con misure meno afflittive della custodia cautelare in carcere, applicata all’Achab con
ordinanza del 7.08.2012, in esito alla convalida dell'arresto, perché deteneva illecitamente
sostanza stupefacente del tipo cocaina per un peso complessivo di 102 gr, quantitativo che
veniva visto cedere dall’Achab ad un terzo direttamente dai militari che procedevano al
conseguente arresto.

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Per tale reato veniva emessa in data 23.01.2013 sentenza di applicazione della pena ex art.
444 c.p.p. di anni tre di reclusione, oltre ad euro 12.000,00 di multa.

Nel dettaglio, con l'ordinanza qui impugnata il giudice respingeva l’istanza ritenendo
inalterate le esigenze cautelari.

Avverso il predetto provvedimento proponeva appello il Difensore, il quale in primo luogo


richiamava integralmente le ragioni poste a base dell’originaria istanza respinta nella quale
in sintesi evidenziava che vi erano tutte le condizioni per l’attenuazione della trattamento
cautelare.
In particolare osservava la Difesa che: i precedenti del ricorrente sono si specifici ma
risalenti e riguardanti fatti non gravi; la condotta per cui è in atto la misura custodiale può
ritenersi occasionale, atteso il mancato rinvenimento nella disponibilità dell’imputato di
ulteriore stupefacente, oltre a quello sequestrato, pur all’esito di accurate perquisizioni; la
dichiarazione di disponibilità offerta da Hami Jamal ad ospitare l’Achab presso la propria
abitazione è munita di documenti che ne attestano la serietà; l’Achab ha già scontato un
ragguardevole periodo di carcerazione in relazione alla pena in concreto inflitta (non
adeguatamente considerato dal giudice di prime cure), essendo stato tratto in arresto in
data 5.08.2012.
Nell’atto di appello censurava, poi, l’omessa motivazione del gravato provvedimento,
poiché non indicava né spiegava quali fossero le esigenze cautelari tuttora reputate
esistenti, pur a fronte della documentazione allegata a corredo dell’istanza, ribadendo per
il resto le argomentazioni già illustrate nell’istanza del 14 marzo 2013.
Per tali ragioni, la difesa domandava la revoca della misura carceraria ovvero la
sostituzione con gli arresti domiciliari.
All’udienza del 12 aprile 2013 la Difesa si riportava ai motivi di appello, illustrandoli
oralmente. Depositava l’originaria istanza rivolta al Gip di Monza unitamente alla
dichiarazione di disponibilità (e relativa documentazione) ad essa allegata.

Preliminarmente si osserva che non risulta dagli atti il passaggio in giudicato della
sentenza ex art. 444 c.p.p. sicché può ritenersi persistente l’interesse dell’imputato
all’impugnazione cautelare.

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Tanto premesso, l’appello è infondato.

Il provvedimento impugnato pur nell’estrema stringatezza del suo contenuto si inserisce e


va quindi letto nella vicenda cautelare iniziata con l’ordinanza genetica del 7.08.2012, che
aveva considerato sussistente l’ esigenza di cautela di prevenzione del pericolo di recidiva,
come si desume dall’utilizzo nella gravata pronunzia dell’espressione “permanendo le
esigenze cautelari”.
Tale aspetto è quindi pienamente devoluto alla cognizione del Tribunale del Riesame,
sicché entro tali limiti la carente motivazione del provvedimento impugnato ben può essere
integrata dal giudice dell’appello della cautela (cfr da ultimo sui poteri integrativi del
giudice dell’appello cautelare Sez. 1, Sentenza n. 27677 del 10/06/2009 Cc. dep.
07/07/2009, Genchi).

Orbene, ritiene anzitutto il Collegio che il pericolo che l’imputato possa commettere reati
della stessa specie per cui vi è il titolo cautelare sia ancora attuale.
Le modalità della condotta come delineate nella sentenza, nella quale proprio in
considerazione del quantitativo e del principio attivo ricavabile dallo stupefacente
sequestrato è stata esclusa la tenuità del fatto, i precedenti penali e di polizia anche recenti
e con alias che l’Achab annovera, di cui due specifici (uno del 2004 ed uno del 2001, come
richiamati nella citata sentenza e risultanti dal casellario giudiziale e da quello dei carichi
pendenti in atti ) dimostrano che l’imputato è inserito un consolidato circuito deliquenziale
dedito allo spaccio di stupefacenti, dal quale non si è evidentemente distaccato posto che
nonostante le precedenti condanne continua pervicacemente a commettere le stesse
condotte delittuose.
Le osservazioni che precedono non consentono di ritenere, in mancanza di elementi di
segno contrario, di ritenere che il tempo di custodia già trascorso, peraltro contenuto a 8
mesi con un residuo pena - allo stato - tutt’altro che modesto, abbia sortito un valido
effetto deterrente, anche considerando che l’imputato non ha manifestato segni di
revisione critica del suo agire ed appare anzi altamente inaffidabile (come dimostra l’uso
frequente di generalità false e di alias). E’ ragionevole quindi prevedere che l’imputato,
considerata la personalità sopra delineata, possa, pur se sottoposto alla misura custodiale
degli arresti domiciliari, conservare il legame con l’ambiente deliquenziale in cui appare
stabilmente inserito, ciò anche solo in modo indiretto o per interposta persona, attraverso

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ad esempio l’agevole l’utilizzo di strumenti di telefonia mobile facilmente reperibili e
ricadere, quindi, nell’illecito non appena ve ne sia l’occasione.
Ciò induce il Collegio ad escludere, allo stato degli atti, l’idoneità della misura meno
afflittiva richiesta dalla difesa, anche prendendo in debita considerazione la
documentazione posta a sostegno della stessa.

In proposito, osserva il Collegio che la disponibilità di un domicilio non assorbe in sé la


valutazione di adeguatezza della cautela di cui all’art. 284 c.p.p., costituendo solo il
presupposto in fatto perché possa apprezzarsi in concreto se la misura invocata appare
offrire opportuna garanzia rispetto alle esigenze cautelari.
A tal ultimo fine invece assumono effettivo rilievo solo elementi concreti ed oggettivamente
rappresentativi della possibilità di fare positivo affidamento sulle capacità di autocustodia
del prevenuto, che non si reputano ad oggi evincibili alla luce di tutti i dati fattuali sopra
evidenziati.
Alla decisione del Tribunale consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.

Conferma la impugnata ordinanza;


Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di rito
Milano 12.04.2013

Il Giudice Estensore Il Presidente

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