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MANUALE DI
DIRITTO TRIBUTARIO
Cacucci Editore Bari, 2020
INDICE
PARTE PRIMA
I PRINCIPI
CAPITOLO 1 2
CAPITOLO 2 4
CAPITOLO 3 7
CAPITOLO 4 11
CAPITOLO 5 15
CAPITOLO 6 17
PARTE SECONDA
IL SISTEMA DEI TRIBUTI
CAPITOLO 1 21
CAPITOLO 2 24
CAPITOLO 3 26
CAPITOLO 4 30
CAPITOLO 5 32
CAPITOLO 6 34
CAPITOLO 7 37
CAPITOLO 8 40
CAPITOLO 9 43
CAPITOLO 10 52
CAPITOLO 11 57
CAPITOLO 12 62
CAPITOLO 13 64
CAPITOLO 14 70
PARTE TERZA
PROCEDIMENTO, PROCESSO E SANZIONI
CAPITOLO 1 72
CAPITOLO 2 74
CAPITOLO 3 79
CAPITOLO 4 81
CAPITOLO 5 0
1
PARTE PRIMA
I PRINCIPI
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ciascuna secondo le proprie competenze (legislative, amministrative, finanziarie) nel rispetto dei principi
stabilità dalla legge dello Stato.
L’autonomia costituisce il modo di essere del pluralismo istituzionale, realizzando la divisione di poteri e di
funzioni tra i diversi livelli di governo che ne sono titolari in forza di norme superiori di ‘derivazione’ o di
‘attribuzione’.
L’ampiezza di tali poteri e funzioni consente di definire i contenuti dell’autonomia e persino di connotarla,
distinguendola da altri assetti organizzatori dei pubblici poteri, anche a seconda dell’ambito cui si riferisce
(politica, contabile, organizzatoria, amministrativa, tecnica). Attraverso tali previsioni costituzionali,
furono poste le basi per la costruzione del diritto tributario regionale e degli enti locali. Invero, il modello
del centralismo finanziario prescelto con la riforma fiscale (legge 825 del 1971) e con la stessa legge di
avvio delle nuove regioni (legge 281/1970) rese limitati gli spazi dell’autonomia tributaria di Regioni ed
enti territoriali. Dopo vari tentativi di riforma, assetti istituzionali e modelli di finanziamento sono stati
riportati
all’interno del progetto più generale di riforma costituzionale del 2001 con il quale il sistema plurale e
asimmetrico delineato già con la Costituzione repubblicana, è stato affermato con forza valorizzando
l’autonomia finanziaria e tributaria, intesa come diritto fondamentale dei territori.
Il nuovo titolo V approvato nel 2001 ha ridisegnato l’Italia delle autonomie, prevedendo l’equi ordinazione
tra Stato, Regioni, comuni, province e città metropolitane, rafforzando le competenze regionali sia
legislative che amministrative (artt. 117 e 118) e riconoscendo l’autonomia finanziaria di entrata e di
spesa di Regioni ed enti territoriali (art. 119).
L’odierna formulazione dell’art. 119 Cost. riconosce, infatti, l’autonomia dei Comuni, delle Province, delle
Città metropolitane e delle regioni sia in riferimento alle entrate che alle spese stabilendo che il suo
esercizio avvenga “in armonia” con la Costituzione, attraverso l’istituzione ed applicazione di “tributi ed
entrate proprie scendo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.
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CAPITOLO 2: LE FATTISPECIE IMPONIBILI E IL PRINCIPIO DI CAPACITÀ
CONTRIBUTIVA
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ravvisata in qualsiasi indice rilevatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il
controllo di costituzionalità sotto il profilo della arbitrarietà ed irrazionalità.
Fermo restando il criterio della ragionevolezza, va comunque richiamato il limite dell’eguaglianza, non
potendo situazioni eguali ricevere in trattamento differenziato. Sotto un profilo più ampio, la ricerca di
nuove fattispecie imponibili e di nuovi criteri di tassazione non solo non può essere arbitraria, ma deve
riflettere il criterio di idoneità alla contribuzione della fattispecie e del soggetto obbligato in funzione di
situazioni economicamente apprezzabili.
È di tutta evidenza che manifestazioni di ricchezza del tutto nuove rispetto a quelle tradizionalmente
assoggettate a tassazione ad offerte dalla new economy possono essere assunte come fattispecie
imponibili di nuove forme di prelievo, sia pure nel rispetto dei fondamentali principi di ragionevolezza e di
giusto riaperto che proprio dal principio di capacità contributiva discendono.
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5. La fattispecie in senso soggettivo
A. La soggettività tributaria
Il rapporto d’imposta presuppone necessariamente l’esistenza di almeno due soggetti: il soggetto attivo,
cui la legge attribuisce determinati diritti o poteri, tra i quali quello di esigere la prestazione tributaria,
anche attraverso strumenti autoritativi; l’altro, sul soggetto passivo, cui la legge impone determinati
obblighi, sia di natura formale che sostanziale, tra i quali quello di adempiere la prestazione e di
rappresentare la fattispecie attraverso la dichiarazione e tributaria e altri strumenti di rilevazione
contabile. Ciò determina la naturale conseguenza dell’individuazione del soggetto attivo come creditore e
del soggetto passivo come debitore.
Dubbi sono emersi con riguardo al rapporto tra soggettività tributaria e capacità giuridica di diritto
privato. La questione, ampiamente dibattuta dalla dottrina, può trovare una più rigorosa soluzione con
riferimento all’art. 53 Cost.
In base al quale ‘tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva’.
All’opposto, la Carta repubblicana porta ad escludere che il termine tutti, contenuto nell’art. 53, possa
essere riferito in modo esclusivo alle persone fisiche. A conforto, va richiamata la normativa vigente:
l’art. 73 T.U.I.R stabilisce che tra i soggetti passivi dell’IRES (imposta sul reddito delle società) sono
compresi ‘oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni
non appartenenti ad altri soggetti passivi nei confronti delle quali il presupposto dell’imposta si verifichi in
modo unitario ed autonomo’.
6.
B. La parasoggettività tributaria: sostituito e responsabile d’imposta
Il rapporto d’imposta, sebbene riguardi naturalmente un soggetto attivo (ente impositore) e un soggetto
passivo (contribuente- debitore), può coinvolgere anche soggetti terzi che a diverso titolo vengono in
contatto con la fattispecie.
L’espressione, adoperata per definire tali situazioni ‘parasoggettività tributaria’, esprime l’idea di una
soggettività impropria sotto certi aspetti similare a quella del contribuente in senso proprio.
Elemento differenziale, resta la manifestazione di capacità contributiva, riconducibile in modo diretto al
solo
soggetto passivo. Tra le diverse figure di parasoggettività, la più significativa è certamente la sostituzione
d’imposta nella quale un soggetto, in forza di disposizioni di legge, è obbligato al pagamento di imposte in
luogo d’altri, per fatti o situazioni a questi riferibili e all’esercizio della rivalsa, se non è diversamente
stabilito. Spesso confuso tra i soggetti passivi del rapporto giuridico d’imposta e considerato il debitore
del tributo, sostituto è chiamato a versare le ritenute in relazione ad un proprio obbligo, ma per fatti e
situazioni
riferibili ad un altro soggetto, il sostituito, che è e resta il vero e proprio contribuente. L’aderenza tra
fattispecie e capacità contributiva viene ristabilita attraverso la previsione dell’obbligo di rivalsa che il
sostituito ha l’obbligo di esercitare nei confronti del sostituito. Va poi considerato che, per le ritenute a
titolo d’acconto, il versamento da parte del sostituito non estingue il debito d’imposta, in quanto, anche
nel caso in cui la ritenuta corrisponda all’imposta dovuta dal contribuente, occorre che il periodo di
imposta si compia per determinare l’effetto satisfattivo; si deve, poi, aggiungere che tale effetto solo
raramente si produce in modo automatico, essendo, di regola, richiesta una formalità ulteriore, costituita
dalla compilazione e della trasmissione dell’ente impositore della dichiarazione dei redditi.
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CAPITOLO 3: ENTRATE PUBBLICHE, TRIBUTI E PRESTAZIONI PATRIMONIALI
IMPOSTE
3. La nozione di tributo
Sebbene l’art. 23 Cost abbia sostituito l’espressione ‘tributo’ contenuta nello Statuto Albertino con quella
più ampia di prestazione imposta, si rende comunque necessario esprimere una definizione di tale
concetto anche in considerazione del suo utilizzo ad altri fini (processo, sanzioni, privilegi, prescrizione,
accertamento, riscossione ecc.).
Per poter risalire alla natura della prestazione, particolare rilevanza assumono la verifica della fonte
dell’obbligazione e/o l’assetto giuridico all’interno del quale si collocano gli effetti nel rapporto tra le parti.
Invero, la mancanza di ‘autonomia contrattuale’ appare centrale, dovendo escludersi il carattere
tributario della prestazione qualora fonte dell’obbligazione sia la volontà negoziale delle parti (contratto).
La natura tributaria può farsi discendere della non configurabilità di un rapporto sinallagmatico tra le parti
e nel collegamento della prestazione al finanziamento della spesa pubblica in relazione a un presupposto
economicamente rilevante.
Elementi essenziali per poter riconoscere un tributo sono, quindi, la doverosità della prestazione, intesa
come prevalenza dell’obbligatorietà ex lege, il collegamento con la spesa pubblica, la decurtazione della
sfera patrimoniale privata. Può invece atteggiarsi diversamente la fattispecie in relazione alla quale si
rende dovuto il prelievo, potendo consistere in una manifestazione di capacità contributiva o nell’accesso
e nel godimento di un servizio pubblico, richiesto o offerto.
E proprio nel diverso modo di configurare la fattispecie che si fonda la distinzione tra le diverse tipologie
di tributo: le imposte, le tasse e i contributi. In questo senso, si veda la sentenza della Corte
costituzionale n. 304/2013, secondo la quale ‘gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre:
la disciplina legale che deve essere diretta a procurare una decurtazione patrimoniale a carico del
soggetto passivo, le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla
suddetta decurtazione, devono essere destinante a sovvenire alle pubbliche spese’.
Appare di tutta evidenza che sia i tributi che le altre entrate di natura non tributaria (prestazioni,
imposte, entrate patrimoniali, debito pubblico, ecc.) possono essere destinate alla copertura in tutto o in
parte del costo dell’attività finanziaria pubblica.
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Stato, le Regioni e gli enti locali territoriali, sono ugualmente abilitati ad applicare tributi anche gli
altri enti (pubblici non territoriali come ad es. le Camere di Commercio).
- I soggetti passivi, intendendo con tale espressione i soggetti tenuti a adempiere la prestazione
tributaria in relazione ad una manifestazione di capacità contributiva che li riguardi. Possono
assumere tale qualità le persone fisiche, i soggetti residenti e i soggetti non residenti, le persone
giuridiche sia pubbliche che private.
- La fattispecie imponibile, intesa come situazione di fatto o di carattere giuridico alla quale la
legge ricollega l’imposta.
- La base imponibile, rappresentata dalla misura in senso quantitativo della fattispecie alla quale
deve essere applicata l’imposta.
- Il tasso o aliquota, che, a sua volta, esprime il rapporto tra la base imponibile e la prestazione
dovuta dal soggetto obbligato.
Considerata la molteplicità delle forme di prelievo, possiamo distinguere, in primo luogo, le imposte
dirette e le imposte indirette, le prime (ID) colpiscono il reddito oppure il patrimonio e le seconde (II)
compiscono singoli atti di consumo o di scambio.
All’interno delle imposte sui redditi si delinea la distinzione fra imposte reali e imposte personali. Le prime
(IR) tengono conto della fattispecie tributaria nella sua oggettività, le seconde (IP) invece, integrano il
riferimento alla fattispecie imponibile (generalmente il reddito) con una serie di situazioni, alcune
personali, altre economiche che consentono la formazione di nuove e più complesse fattispecie imponibili.
Va, poi, ricordata la distinzione fra imposte proporzionali e imposte progressive. Le prime (I.PROP)
variano in misura costante in ragione della base imponibile, le seconde (I.PROG) aumentano in misura
più accentuata, rispetto all’incremento della base imponibile, per effetto della maggiorazione del tasso.
Possono esservi anche imposte graduali, con riguardo alle quali la progressione cresce, non in modo
uniforme, ma a scatti.
In proposito, è utile ricordare che l’art. 53 Cost. dopo aver enunciato nel primo comma, il dovere di
ciascuno di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, pone, al
secondo comma, la regola secondo cui il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, l’inserimento di tale principio fu condiviso, al fine di
contemperare efficacemente i principi di uguaglianza e libertà.
In forza di tale principio il legislatore è chiamato a imprimere al sistema tributario nel suo complesso uno
sviluppo orientato nella direzione della progressività, individuandone le modalità attuative. La
progressività, come sostenuto dalla Corte costituzionale, va intesa ‘come svolgimento ulteriore, nello
specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli
economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di
solidarietà politica, economica e sociale.
6. La tassa
La nozione di tassa i colloca tra l’imposta e le prestazioni patrimoniali non aventi natura tributaria
(corrispettivi di diritto privato, obbligazioni di natura risarcitoria ecc.).
Sul piano giuridico, la tassa può essere configurata come una prestazione obbligatoria pagata allo Stato
in relazione ad un servizio pubblico che riguarda direttamente il soggetto obbligato.
Confrontando la tassa con l’imposta si può rilevare come entrambe abbiano la medesima struttura
giudica, dando vita ad una obligatio ex lege, la quale sorge non appena si verifica la situazione di fatto a
cui la legge la ricollega ed avendo per oggetto la prestazione di una somma di denaro nella misura
inderogabilmente fissata dalla legge stessa. Differente è, tuttavia, il presupposto dei due tributi:
‘l’imposta si ricollega ad una situazione di fatto che, intanto forma oggetto di imposizione, in quanto è
considerata manifestazione, diretta o indiretta, d’una certa capacità contributiva, una situazione, perciò,
che tocca esclusivamente la persona dell’obbligato e la sfera della sua attività; mentre il presupposto
della tassa consiste in una situazione di fatto che determina o necessariamente si riannoda
all’esplicazione di un’attività dell’ente pubblico nei riguardi dell’obbligato’.
La stessa consiste in una prestazione obbligatoria pagata allo stato da chi si trova in una situazione di
fatto che consiste nel richiedere o trarre vantaggio dall’esplicazione di un’attività economica o giuridica.
Per quanto riconducibili alla categoria dei tributi e incidenti sulla sfera economica del destinatario, tasse e
imposte non si sovrappongono, restando le prime sorrette dal principio del beneficio e le seconde dalla
capacità contributiva.
Si rende possibile distinguere le tasse fisse e le tasse variabili, a loro volta classificabili in proporzionali,
progressive e scalari, a seconda che il loro ammontare complessivo cresca proporzionalmente, più che
proporzionalmente o secondo una data scala con l’aumentare del numero delle unità del servizio
consumate.
A seconda dei casi, il legislatore può valorizzare situazioni rivelatrici di ricchezza (ad es. i parametri ISEE)
ovvero tenere conto dell’incidenza del costo del servizio anche in relazione a categorie di utenti. A questo
riguardo il legislatore può prevedere il principio dell’integrale copertura del costo del servizio.
Sul piano classificatorio, può essere utile menzionare le tasse c.d. industriali, dovute a fronte di attività
economiche della Pubblica amministrazione, tasse giudico amministrative tasse giudiziarie, tasse a fronte
di servizi culturali e di istruzione.
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7. Il contributo fiscale
Il contributo fiscale costituisce una prestazione di natura tributaria dovuta in relazione ad un servizio
pubblico che, sebbene non richiesto, ridonda a vantaggio del soggetto obbligato.
Affinità possono poi intravedersi tra imposte di scopo e contributi in considerazione del vantaggio che il
contribuente potrebbe trarre dall’attività amministrativa. Ciò nonostante, è opportuno distinguere le due
prestazioni imposte in natura tributaria in quanto mentre la prima colpisce un indice di capacità
contributiva, indipendentemente dal vantaggio conseguito dal contribuente, il secondo ha come
presupposto l’arricchimento che un soggetto trae da un’azione amministrativa destinata all’intera
collettività.
8. Il monopolio fiscale
Il monopolio fiscale costituisce un’entrata prelevata a seguito dell’avocazione da parte dello Stato della
produzione di un determinato bene oppure dell’erogazione di un particolare servizio e la fissazione
unilaterale del prezzo di venire del bene.
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CAPITOLO 4: LE FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO E IL PRINCIPIO DI
LEGALITÀ DELL’IMPOSIZIONE
3. Le leggi regionali
La funzione legislativa, oltre che allo Stato, spetta anche alle Regioni, le quali sono chiamate ad
esercitarla nel rispetto di quanto sancito dal titolo V della Carta costituzionale.
Nella formulazione originaria del 1948, l’art. 119 Cost. Stabiliva che “le Regioni hanno autonomia
finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti dalle leggi della Repubblica, che la coordina con la finanza dello
Stato, delle Province e dei Comuni”. La potestà normativa delle regioni e degli altri enti locali in materia
tributaria trova nella riforma costituzionale nel 2001 un espresso riconoscimento anche alla luce dei
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criteri di riparto della funzione legislativa stabiliti dall’art. 117 Cost (che comprende tra le materie
riservate alla legislazione esclusiva dello stato, il ‘sistema tributario e contabile dello Stato e ‘la
perequazione delle risorse finanziarie’ e tra quelle di legislazione regionale concorrente ‘il coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario’) e soprattutto dalla nuova formulazione dell’art. 119 che
attribuisce alle Regioni, ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane “autonomia finanziaria di
entrata e di spesa”. In base alla stessa disposizione, le Regioni e gli altri enti territoriali ‘stabiliscono e
applicano tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario’. La riforma del titolo V della Costituzione nel riferire
l’autonomia finanziaria, sia all’acquisizione delle risorse finanziarie, sia all’erogazione della spesa, segna
un sensibile rafforzamento dell’autonomia riconosciuta alle Regioni e agli altri enti territoriali.
A conforto può essere invocata l’eliminazione del richiamo alle ‘forme e ai limiti stabiliti dalla legge’ entro
cui l’autonomia finanziaria regionale poteva essere esercitata.
Ciò, peraltro, si pone in linea con il superamento della configurazione del rapporto tra Stato, regioni ed
enti locali in senso gerarchico e con l’affermazione del principio di equa ordinazione.
Dagli artt. 117 e 119 della Costituzione discende che compete alle Regioni una potestà legislativa di tipo
concorrente nell’ambito della quale possono essere adottate disposizioni attuative delle leggi statuali
ovvero istitutive di tributi ‘propri’ nel rispetto delle regole espresse dalla legge dello Stato e del principio
della necessaria relazione della fattispecie soggetta a tassazione con gli interessi sottesi alle materie di
competenza (principio di continenza).
L’ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia sono tutte
quelle che l’art. 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente e alcune riservate
dalla stessa norma alla competenza legislativa esclusiva dello Stato quali organizzazione della
giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Tra le materie concorrenti, alcune non possono essere integralmente trasferite alle Regioni quali in
particolare ‘il coordinamento della finanza pubblica’, per espressa disposizione dell’art. 119 Cost.
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‘proposizioni giuridiche’, in quanto rappresentano il modo di essere delle stesse per gli uffici delle
imposte, determinando la formazione di una ‘prassi amministrativa’ che consente di prevedere in quale
modo la norma verrà applicata dagli stessi uffici, trasformandosi da espressione lessicale in realtà
concreta e divenendo, quindi, esperienza giuridica. Ciò non significa che l’attività esplicativa
dell’amministrazione possa sostituirsi alla funzione legislativa. La prassi amministrativa non può essere
confusa con la consuetudine (o uso normativo) in quanto la reiterazione di una condotta applicativa non
comporta né può essere considerata come espressione dell’opinio iuris et necessitatis, non potendo in
alcun modo rivestire la natura di fonte del diritto.
Occorre ricordare la sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, 2/11/2007 secondo cui le circolari
non sono fonti del diritto; conseguentemente, ‘il contribuente resta pienamente libero di non adottare un
comportamento ad essa uniforme’. Non avendo natura di fonti del diritto, non possono imporre al
contribuente adempimenti non previsti dalla legge e meno che mai contemplare cause di revoca o
decadenza da trattamenti agevolati.
Quanto agli effetti, evidente è che il contribuente, come potrà invocare a proprio favore una circolare,
non potrà soccombere per effetto di una prassi ad esso sfavorevole. Pertanto, neppure il giudice al quale
sia devoluta la controversia è vincolato dalle circolari dell’amministrazione finanziaria.
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termine da quella di una legge a tempo indeterminato. Nel primo caso (legge a termine) si tratta, in
genere, di provvedimenti, generalmente agevolati, previsti per un certo arco di tempo. Tra i
provvedimenti a termine vanno richiamati quella di natura emergenziale o per ragioni sanitarie.
Relativamente all’altra ipotesi (legge a tempo indeterminato) in cui la legge non prevede un termine di
scadenza, vale il principio generale, contenuto nell’art.15 delle preleggi, in base al quale “le leggi non
sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilità tra le
nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge
anteriore.
L’ipotesi di abrogazione espressa non provoca alcuna incertezza, mentre le altre comportano, almeno in
materia tributaria, serie di difficoltà. Non è consentita l’abrogazione delle disposizioni tributarie attraverso
consultazione referendaria in considerazione del divieto espresso sancito dall’art.75, secondo comma,
Cost.
Con riguardo alla sfera applicativa di tale articolo, la Corte costituzionale ha più volte chiarito che
rientrano nella nozione di ‘leggi tributarie’ tutte quelle che hanno ad oggetto l’ablazione delle somme con
attribuzione delle stesse ad un ente pubblico e la loro destinazione allo scopo di apprestare mezzi per il
fabbisogno finanziario dell’ente impositore.
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CAPITOLO 5: FINANZA PUBBLICA EUROPEA E SOVRANITÀ IMPOSITIVA
INTERNA
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Tali criteri non sono cumulativi ma alternativi, non essendo sufficiente la presenza di uno solo dei tre per
definire come penale l’illecito in questione. Tuttavia, è possibile adottare un approccio cumulativo qualora
l’analisi separata dei criteri non permetta di giungere ad una conclusione chiara in merito all’esistenza di
un’accusa in materia penale.
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CAPITOLO 6: LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE. I PRINCIPI
GENERALI DELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO
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indotto il legislatore a potenziarlo con la legge delega n.23/2014, “allo scopo di garantire una maggiore
omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale di una maggiore tempestività nella redazione dei
pareri, procedendo in tale contesto all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui
non
producano benefici ma solo aggravi per i contribuenti e per l’amministrazione”.
Nel dare attuazione a tale legge, il d.lgs. n.190/2015 ha completamente rivisto la disciplina affiancando
all’interpello ordinario, tre nuove forme di interpello: probatorio, antiabuso e disapplicativo.
L’interpello ordinario trova applicazione per le questioni riguardanti qualunque tributo che presentino
obbiettive condizioni di incertezza sulla corretta applicazione delle disposizioni tributarie da applicare a
casi concreti e personali.
L’interpello probatorio riguarda la sussistenza delle condizioni e la valutazione dell’idoneità degli elementi
probatori richiesti dalla legge per usufruire di particolari regimi fiscali espressamente previsti; quello
antiabuso concerne le potenziali condotte integranti l’abuso del diritto dello Statuto; l’interpello
disapplicativo riguarda, infine, la disapplicazione di norme tributarie contenenti deduzioni, detrazioni e
crediti d’imposta al fine di contrastare fenomeni elusivi attraverso la dimostrazione da parte del
contribuente dell’impossibilità di realizzazione di tali effetti al proprio caso concreto.
Sul piano procedimentale, l’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere nel termine di 90 giorni per
l’interpello ordinario e di 120 giorni per le altre forme dall’avvenuta notificazione dell’istanza, attraverso
una risposta scritta e motivata che vincola l’ufficio e contribuente esclusivamente per il caso
concreto. In caso di soluzione fornita dal contribuente, il silenzio oltre il termine previsto equivale ad
assenso. L’istanza deve essere presentata alla Direzione regionale dell’Agenzia delle entrate competente
in relazione al domicilio fiscale del contribuente.
Analizzando il contenuto dell’istanza, va evidenziato che, ai sensi dell’art. 3 del DM n.209 del 26 aprile
2001, essa deve contenere:
a. I dati identificativi del contribuente e, eventualmente, del suo legale rappresentante.
b. La specifica descrizione del caso concreto e personale da trattare ai fini tributari sul quale
sussistono concrete condizioni di incertezza.
c. L’indicazione del domicilio del contribuente.
d. La sottoscrizione del contribuente o dell’uso legale rappresentante.
I requisiti appena richiamati sono previsti a pena di inammissibilità. Va, inoltre, segnalato che l’istanza
deve contenere anche l’indicazione del comportamento che il contribuente intende assumere e che reputa
conforme alle disposizioni applicabili.
Nell’ambito del regime delle inammissibilità disposto dal D.M n.209/2001, va segnalato che l’art. 3,
comma 5, nella parte in cui esclude la ricorrenza delle obbiettive condizioni di incertezza sulla corretta
interpretazione delle disposizioni tributarie quando, sia espressa la prassi amministrativa con una
circolare, una risoluzione o una istruzione, portata a conoscenza del contribuente.
La stessa disposizione stabilisce, inoltre, che l’amministrazione finanziaria deve avvertire il contribuente
circa le cause d’inammissibilità dell’istanza.
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se riferito all’amministrazione finanziaria, coincide con i significati attribuiti al termine ‘collaborazione’ e
che il medesimo termine, se riferito al contribuente, allude ad un generico dovere di ‘correttezza’.
Il secondo comma dell’art. 10 dello Statuto enuncia il principio della tutela dell’affidamento del
contribuente.
In relazione alla tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giudica, la Corte
costituzionale ha inteso il principio dell’affidamento quale ‘elemento essenziale dello stato di diritto’.
Il principio dell’affidamento è stato recepito dallo Stato italiano per tutelare il contribuente che ripone
fiducia negli atti e nei comportamenti dell’Amministrazione finanziaria. La definizione dell’affidamento
racchiude significativamente la portata di tale principio volto a creare un clima di certezza dei rapporti
giudici, presupposto per la collaborazione e, quindi, per lo sviluppo sociale.
Per poter rendere concretamente operante i principi di collaborazione, buona fede ed affidamento è
necessario che l’Amministrazione finanziaria enti in contatto diretto con il contribuente con modalità
snelle, dinamiche ed efficaci che consentano un confronto potesti alla rappresentazione delle proprie
ragioni
prima di giungere alla notifica di un provvedimento formale (c.d. partecipazione difensiva). La modalità
più idonea è il dialogo preventivo diretto tra amministrazione finanziaria e contribuente vale a dire il
contraddittorio endo-procedimentale.
L’art. 12 pone ulteriori condizioni al cui verificarsi sono subordinate le attività di accesso e di ispezione,
stabilendo una serie di obblighi a carico dei verificatori fiscali. In particolare, accessi, ispezioni e verifiche
possono essere effettuati solo nei casi di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo, per una
durata massima di 30 giorni lavorativi e con tempi e modalità prestabiliti; inoltre, quando inizia la
verifica, il contribuente ha diritto di essere informato delle ragioni che l’abbiano giustificata e dell’oggetto
che la riguarda, della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato dinanzi alle Commissioni
tributarie, nonché dei diritti e degli obblighi del contribuente nell’ambito della stessa verifica.
Nel rispetto del principio di cooperazione con l’Amministrazione finanziaria, il contribuente, nei 60 giorni
successivi al rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di
controllo, può comunicare osservazioni e richieste che devono essere oggetto di valutazione da parte
degli uffici finanziari.
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PARTE SECONDA
IL SISTEMA DEI TRIBUTI
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2. Riforma e controriforma tributaria: dalla legge delega n.825 del 1971 alla legge
delega n.80 del 2003
La l. Delega 9 ottobre 1971, n.825, e i successivi decreti delegati attuativi, nel riformare in modo
profondo il sistema tributario, introdussero Irpef, Irpeg, e Ilor e poi Iva e le altre imposte indirette,
disciplinando accertamento e riscossione dei tributi. Nonostante l’intento del legislatore di assicurare una
qualche stabilità legislativa, la normativa successiva è intervenuta ripetutamente anche con norme di
dettaglio, contribuendo a rendere più confuso il quadro normativo.
Si è fatta strada una sorta di ‘riforma della riforma’, spesso lontana dai principi che l’avevano ispirata.
Nell’intento di “modernizzare la fiscalità in funzione dei mutamenti intergovernativi nell’economia e nel
mondo”, l.7 aprile 2003, n.80, recava la delega a adottare uno o più decreti per riordinare il sistema
fiscale statale in 5 imposte: imposta sul reddito (IRE), imposta sul reddito delle società (IRES), imposta
sul valore aggiunto, imposta sui servizi, accise.
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f. Redditi diversi.
7. Il periodo d’imposta
Il legislatore tributario, nell’assumere ad oggetto dell’imposizione una fattispecie che si forma avendo
riguardo a componenti tendenzialmente riproducibili e continuativi, delimita l’intervallo temporale al quale
avere riguardo per la sua determinazione.
L’imposta sul reddito delle persone fisiche è dovuta per archi temporali, denominati periodi d’imposta, a
ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma.
Va poi evidenziato che l’imputazione dei redditi al periodo d’imposta è regolata dalle norme relative alla
categoria nella quale rientrano (principio di cassa, applicabile ai redditi di lavoro e di capitale, principio di
competenza, applicabile ai redditi d’impresa).
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CAPITOLO 2: I REDDITI FONDIARI
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agrario partecipa, quindi, della natura fondiaria, sia per il sistema di accertamento censuario, sia in
quanto reddito medio-ordinario del terreno imputabile al capitale di esercizio e al lavoro di organizzazione
impiegati nei limiti della potenzialità del terreno. Fermo restando il principio generale in base al quale i
redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo di coloro che possiedono l’immobile a titolo di
proprietà o altro diritto reale, l’art. 33 T.U.I.R contiene una deroga, stabilendo che, nei casi di affittanza
per uso agricolo, il reddito agrario concorre a formare il reddito complessivo dell’affittuario anziché del
possessore, a partire dalla data in cui ha effettuato il contratto.
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contenzioso, in funzione delle nuove competenze attribuite, assicurando la presenza in essere di
rappresentanti dell’Agenzia delle entrate, di rappresentanti degli enti locali.
In questa luce, ulteriore obiettivo perseguito è quello di assicurare la cooperazione tra l’Agenzia delle
entrate e i comuni, con particolare riferimento alla raccolta e allo scambio delle informazioni necessarie
all’elaborazione dei valori patrimoniali e delle rendite.
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CAPITOLO 3: I REDDITI DI CAPITALE
3. Interessi e altri proventi delle obbligazioni e titoli similari e degli altri titoli diversi
dalle azioni e titoli similari
La lettera b) del comma 1 dell’art. 44 T.U.I.R, comprende tra i redditi di capitale gli interessi e gli altri
proventi delle obbligazioni e titoli similari. La norma comprende sia i proventi dei titoli tipici che sei titoli
atipici. Si considerano similari alle azioni i titoli e gli strumenti finanziari emessi da società ed enti, la
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cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società
emittente. Le partecipazioni al capitale o al patrimonio, nonché i titoli e gli strumenti finanziari, emessi da
società ed enti, si considerano similari alle azioni a condizione che la relativa remunerazione sia
totalmente indeducibile nella determinazione del reddito nello Stato estero di residenza del soggetto
emittente. Il legislatore, nel disciplinare la ‘similarità’ alle azioni ed obbligazioni, utilizza diversi criteri
distintivi: per gli strumenti finanziari assimilati alle azioni, la natura delle remunerazioni, consistente nella
partecipazione ai risultati economici; per gli strumenti finanziari assimilati alle obbligazioni, la natura del
rapporto e le caratteristiche del titolo. I titoli ‘di massa’ sono normalmente assimilati alle obbligazioni,
non attribuendo alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente.
Tra le obbligazioni soggette a particolari adempimenti, la dottrina individua alcune particolari figure. Nelle
obbligazioni senza cedole, mancando la corresponsione periodica degli interessi, il rendimento è costituito
dalla differenza fra il prezzo pagato all’emissione e il valore nominale rimborsato, trattandosi di un tipo di
finanziamento a lungo termine. Più complessa e articolata è, invece, la figura delle obbligazioni con
Warrant che consistono in presiti obbligazionari, contenenti un buono, che può servire per sottoscrivere
azioni della medesima oppure di altre società; carattere peculiare del Warrant è l’autonomia rispetto al
titolo originario.
5. Utili corrisposti a mandanti o fiducianti da società o enti che hanno per oggetto la
gestione di masse patrimoniali
La lettera g) dell’art. 44 T.U.I.R, comprende, fra i redditi di capitale, i proventi derivanti dalla gestione,
nell’interesse collettivo di pluralità di soggetti, di masse patrimoniali costituite con somme di denaro e
beni affidati da terzi o provenienti dai relativi investimenti. Nota come “negotiorum gestio”, questa figura
si differenzia dalle altre indicate per la personalità del rapporto e per la mancanza di un patrimonio
comune. La norma comprende tra le altre anche la gestione collettiva di masse patrimoniali da parte degli
organismi
d’investimento collettivo del risparmio (O.I.C.R Organismi di Investimento Collettivo del Risparmio).
Maggiori difficoltà presenta il mandato per la gestione di un patrimonio, se vi è erogazione di un
corrispettivo periodico, si parlerà di reddito, mentre, se la differenza di valore è corrisposta una tantum,
alla conclusione dell’affare, avremo una vera e propria plusvalenza, tassabile in modo differenziato, a
seconda che il soggetto al quale è corrisposta abbia o meno la qualifica di imprenditore. Per quanto
concerne la disciplina degli Organismi di Investimento, l’art. 26 del d.p.r. n.600 del 1973 disciplina le
modalità di tassazione in capo ai partecipanti dei redditi di capitale derivanti dalla partecipazione a OICR
italiani, rientrando in tale categoria: - i proventi distribuiti in costanza di partecipazione all’OICR; - i
proventi conseguiti in sede di riscatto, cessione o liquidazione delle quote.
Ai sensi del citato art.26, sui redditi di capitale di cui all’art. 44 T.U.I.R, derivanti dalla partecipazione
all’OICR, è applicata una ritenuta alla fonte del 26%, che va tuttavia applicata ad una base imponibile
“ridotta”.
Secondo le norme richiamate, l’intero provento del partecipante per la cessione di quote degli OICR
costituisce esclusivamente reddito di capitale; la differenza eventualmente negativa determinata in sede
di operazioni di riscatto, cessione o liquidazione delle quote o azioni costituisce, invece, una minusvalenza
rilevante fiscalmente secondo le regole proprie dei redditi diversi di natura finanziaria. L’utilizzo dei valori
effettivi di acquisto o cessione nella determinazione dei redditi di capitale nelle operazioni di riscatto,
cessione o liquidazione di quote o azioni, comporta l’impossibilità di rilevare una plusvalenza nell’ambito
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dei redditi diversi, residuando soltanto l’emersione di eventuali minusvalenze in presenza di una
differenza negativa nelle dette operazioni, deducibili sulla base delle regole ordinarie.
L’impossibilità di compensare i risultati negativi di un OICR con i risultati positivi dello stesso, o di altri
organismi, costituisce una grave inefficienza fiscale, che viene meno solo nell’ipotesi in cui le quote di
OICR siano inserite in una gestione patrimoniale individuale per la quale sia stata esercitata l’opzione per
il regime del risparmio gestito. Per gli OICR immobiliari, invece, i proventi derivanti dalla cessione delle
quote o azioni costituiscono redditi diversi, senza alcuna deduzione dei redditi di capitale.
6. Altri proventi:
a) Proventi derivanti da riporti e pronti contro termine su titoli e valute.
b) Proventi derivanti dal mutuo di titoli garantito.
La lettera g) dell’art. 44 T.U.I.R include fra i redditi di capitale i proventi derivanti dalle operazioni di
riporto e di pronti contro termine su titoli e valute, qualunque sia la natura del titolo scambiato (titoli
rappresentativi di quote o di fondo comuni di investimento, titoli atipici, certificati di deposito ecc.). La
norma comprende, inoltre, i proventi rivenienti dalle operazioni di riporto mediante le quali una parte
(riportato) trasferisce all’altra (riportatore) titoli di crediti di una determinata specie, per un determinato
prezzo, con l’impegno di retrocedere, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli
della stessa specie, verso rimborso del prezzo che può essere aumentato o diminuito nella misura
convenuta. Costituiscono redditi di capitale anche i proventi rivenienti dalle operazioni di pronti contro
termine di valute: a questa categoria si possono ricondurre i c.d. currency swaps mediante i quali le parti
effettuano scambi di capitali, espressi in diverse valute, corrispondendo somme aggiuntive determinate
sulla base dei tassi di rendimento delle valute. Per quanto riguarda la determinazione del reddito da
sottoporre a imposizione, l’art. 45 T.U.I.R assume la differenza positiva tra i corrispettivi globali di
trasferimento dei titoli e delle valute dalla quale si scomputano gli interessi e gli altri proventi dei titoli,
non rappresentativi di partecipazioni.
La leggera g) dell’art. 44 T.U.I.R comprende tra i redditi di capitale i proventi derivanti dal mutuo di titoli
garantito.
7. Guadagni differenziali
L’art. 45 comma 1 T.U.I.R, comprende tra i redditi di capitale i guadagni differenziali (differenza tra la
somma percepita o il valore normale dei beni ricevuti alla scadenza e il prezzo di emissione o la somma
impiegata, apportata o affidata in gestione). La qualificazione di queste ‘differenze’ come redditi di
capitale, imponibili in quanto tali, trae fondamento dalla considerazione che esse sono direttamente e
automaticamente inerenti al contratto o al titolo e alla relativa vicenda giudica tipica. L’ampliamento della
categoria rende possibile includere anche i valori differenziali tra la somma trasferita e quella percepita
alla scadenza del rapporto, i quali perdono il carattere di plusvalenza, divenendo veri e propri redditi.
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perpetue sono caratterizzate, quindi, dal carattere della fonte, costituita da un immobile oppure da un
capitale, anche se il fondamento non è individuabile in un dominio diretto sulla cosa. Nell’ambito della
categoria della rendita perpetua, il Codice civile stabilisce, tuttavia, una distinzione tra la rendita
fondiaria, costituita mediante alienazione di un immobile, e la rendita semplice costituita mediante
cessione di un capitale. Gli artt. 1864 c.c. (garanzie per la rendita semplice), 1865 e 1866 c.c. (diritto di
riscatto della rendita perpetua ed esercizio del riscatto), 1867 c.c. (riscatto forzoso) e 1868 c.c. (riscatto
per insolvenza del debitore), “si applicano ad ogni altra annua prestazione perpetua costituita a qualsiasi
titolo, anche per atto di ultima volontà. Da ciò discende l’equiparazione, ai fini tributari, di queste
prestazioni alla rendita perpetua.
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CAPITOLO 4: I REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE
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CAPITOLO 5: I REDDITI DI LAVORO AUTONOMO
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di imprese commerciali. Il quadro normativo è integrato dall’art. 54, comma 8, T.U.I.R, il quale prevede
l’assoggettamento a tassazione nella misura del 75% dell’ammontare dei proventi in denaro o in natura
percepiti nel periodo d’imposta anche sotto forma di partecipazioni agli utili (ridotto al 60% se percepiti
da soggetti di età inferiore a 35 anni).
D. I redditi derivanti dalla levata dei protesti esercitata dai segretari comunali
L’art. 53, comma 2, lettera f) T.U.I.R, derogando al principio della tassazione onnicomprensiva che
informa la disciplina in materia di lavoro dipendente, assimila ai redditi di lavoro autunno, o i redditi
percepiti per la levata dei protesti dai segretari comunali, sebbene rivestano la qualità di lavoratori.
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CAPITOLO 6: I REDDITI D’IMPRESA
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(uno ai fini civili e uno ai fini fiscali), comporta che le norme dettate per la determinazione del reddito
d’impresa rilevino solo ai fini del prelievo del tributo sul reddito (ove dispiegassero effetti fiscali si
verificherebbe il c.d. “inquinamento fiscale”).
Il criterio del reddito netto contabile implica necessariamente un complesso di attività e di valutazioni
orientate alla determinazione del risultato economico di esercizio ed ispirate dai criteri di effettività,
analiticità e certezza che devono combinarsi con esigenze di contrasto all’elusione e all’evasione.
È noto, peraltro, che bilancio di esercizio e rilevazioni contabili rispondono a più esigenze “fiscali, di
rappresentazione del patrimonio della società e di determinazione degli utili distribuibili in dividendi”.
Non può sfuggire che, mentre la disciplina civilistica offre strumenti per attuare politiche di bilancio,
anche al fine di ampliare o ridurre l’utile distribuibile, le norme fiscali sono protese ad esprimere una base
imponibile certa e resistente rispetto a possibili compressioni che abbattono il tributo, violando il principio
di capacità contributiva.
Ciò non significa che le norme fiscali riflettano sempre e comunque le esigenze di massimizzazione del
prelievo, essendo ammissibili norme di tipo promozionale che consentano variazione in diminuzione della
base imponibile fiscale al fine di promuovere e sostenere apparati produttivi o aree più deboli del paese.
Per le persone fisiche e gli enti non commerciali, l’eventuale perdita, al netto dei proventi esenti
dall’imposta per la parte del loro ammontare, che eccede i componenti negativi non dedotti, è computata
in diminuzione dal reddito complessivo a norma dell’art. 8 T.U.I.R: vale a dire, sottraendo dal reddito
complessivo le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali; la perdita, quindi, non afferisce al
reddito particolare, ma all’insieme dei redditi.
Alla formazione del reddito non concorrono i proventi dei cespiti che fruiscono di esenzione dall’imposta e
quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva, le indennità per la
cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche e delle società di persone e le plusvalenze
realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni.
Per le somme attribuite o il valore normale dei beni assegnati ai soci delle società di persone nel caso di
recesso, elusione o riduzione del capitale, può essere richiesta la tassazione separata, a norma dell’art.
17, comma 2, T.U.I.R.
6. Le imprese minori
La dimensione dell’impresa non sembra indifferente rispetto alla stessa struttura delle basi imponibili.
Ponendo in relazione entità delle basi imponibili e dimensioni aziendali si evince chiaramente come la
formazione della ricchezza e le tecniche di controllo non possono dipendere dai modelli giuridici prescelti
ma possono essere influenzate da vari fattori rispetto ai quali il legislatore non può restare indifferente.
La dimensione dell’impresa torna ad assumere rilevanza ai fini dell’accertamento.
L’attuale formulazione dell’art. 66 T.U.I.R, stabilisce che il reddito d’impresa dei soggetti ammessi al
regime di contabilità semplificata che non abbiano optato per il regime ordinario è costituito dalla
differenza tra l’ammontare dei ricavi di cui all’art. 85 e degli altri proventi, derivanti da dividendi e
interessi (art. 89 T.U.I.R) e da redditi di immobili non costituenti beni strumentali per l’esercizio
dell’impresa.
L’art. 18 disciplina la contabilità semplificata per le imprese minori. La scelta della contabilità semplificata
non è vincolata, in quanto l’art. 66 T.U.I.R permette ai contribuenti di optare per il regime ordinario.
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L’attuale formulazione prevede ancora che le quote di ammortamento sono ammesse in deduzione
secondo il disposto degli artt. 64 e 102 (ammortamento dei beni materiali) e 103 (ammortamento dei
beni immateriali), in modo da recuperare queste poste alla disciplina ordinaria.
Sempre nell’intento di adeguare l’assetto dell’impresa minore a quello ordinario, la stessa norma prevede
che “le perdite di beni strumentali e le perdite su crediti sono deducibili a norma dell’art. 101” e, pur
escludendo le deduzioni “a titolo di accantonamento”, che “gli accantonamenti di cui all’art. 105 (di
quiescenza e previdenza) sono deducibili a condizione che risultino iscritti nei registri di cui all’art. 18 del
decreto indicato al comma 1”.
Particolare importanza riveste il comma 1 dell’art. 65 T.U.I.R, che riguarda in modo specifico le imprese
individuali, per le quali la norma prevede che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano relativi
all’impresa, oltre che i beni indicati alla lettera a) e b) del comma 1 dell’art. 85 T.U.I.R, costituenti
oggetto dell’attività dell’impresa, quelli strumentali per l’esercizio dell’impresa stessa e i crediti acquistati
nell’esercizio dell’impresa, i beni appartenenti all’imprenditore.
L’orientamento legislativo in materia di impresa minore svuota, quindi, il criterio basilare di un sistema
tributario fondato sulla rigidità delle scritture contabili, consentendo la determinazione del reddito
d’impresa su parametri a intonazione catastale.
Considerando la legislazione positiva, si può notare che i modelli normativi sono riconducibili ad uno
schema, se non unitario, quanto meno paradigmatico, che assume come punto di riferimento per la
determinazione del reddito l’ammontare dei ricavi, prevedendo regole differenziate per valutazione e
deduzione dei costi. Con queste finalità è stato istituito il c.d. regime forfettario introdotto dall’art. 1,
commi da 54 e 89, della legge 190/2014 e modificato dalla legge 145/2018 (legge di bilancio del 2019).
Quest’ultima ha esteso l’ambito applicativo del regime agli imprenditori individuali che hanno conseguito
nel periodo di imposta precedente ricavi inferiori a 65.000 euro.
Il suddetto meccanismo di prelievo prevede un’imposta sostitutiva dell’IRPEF, delle addizionali e
dell’IRAP, con aliquota pari al 15% da applicare ad un reddito determinato in base a coefficienti di
redditività differenziati a seconda del codice ATECO che contraddistinguono l’attività svolta, la già
menzionata aliquota viene ridotta al 5% nel caso di start up esercitate nei primi cinque anni.
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CAPITOLO 7: I REDDITI DIVERSI
Il quadro D del Modello 730 deve essere utilizzato dal contribuente per dichiarare alcune specifiche
tipologie di redditi. Mi riferisco, in particolare ai seguenti:
- I redditi di capitale.
- I redditi diversi, ai sensi dell’articolo 67 del DPR n 917/86 (TUIR).
- Infine, i redditi soggetti a tassazione separata.
L’art. 67 del TUIR contiene l’elencazione tassativa dei redditi rientranti nella categoria dei redditi diversi.
Si tratta di una categoria residuale dei redditi imponibili IRPEF, prevista dall’art. 6 del TUIR.
L’elencazione dei redditi contenuti in questa categoria è individuata dall’art. 67 del TUIR che contiene le
seguenti tipologie:
I redditi ai fini IRPEF possono essere imputati seguendo il criterio di cassa (presi cioè in considerazione
nel periodo d’imposta in cui sono stati percepiti) o il criterio di competenza (prendendoli in considerazione
nel periodo d’imposta in cui sono maturati, indipendentemente dal momento della loro riscossione).
I redditi precedentemente indicati devono essere dichiarati seguendo il criterio di cassa.
A. Le plusvalenze
L’art. 67 T.U.I.R, elenca i proventi compresi nella categoria dei redditi diversi quando “non sono
conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in
accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente.”
Questa categoria comprende fattispecie che, pur essendo differenti tra loro, hanno in comune
l’occasionalità e la non riconducibilità alle attività di lavoro autonomo o d’impresa. Essa, inoltre, reca al
proprio interno i redditi finanziari diversi da quelli di capitale.
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Plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione dei terreni:
La lettera a) disciplina le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione dei terreni o l’esecuzione di
opere intese a renderli edificabili e la successiva vendita dei terreni o degli edifici. Il termine lottizzazione
viene precisato nel senso che tale figura non si concreta nel mero frazionamento dei terreni, ma richiede
l’utilizzazione del suolo, anche attraverso il frazionamento e la realizzazione contemporanea o successiva
di una pluralità di edifici a scopo residenziale, turistico o industriale, e la necessaria predisposizione di
opere di urbanizzazione occorrenti. Per i terreni, di cui alla lettera a), comma 1, acquistati oltre cinque
anni prima dell’inizio della lottizzazione o delle opere, si assume come prezzo di acquisto il valore normale
nel quinto anno anteriore.
Plusvalenze realizzate a seguito di successiva cessione di aziende acquisite ai sensi dell’art. 58:
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L’art. 67 T.U.I.R, lettera h bis), qualifica come redditi diversi le plusvalenze derivanti dalla successiva
cessione, anche parziale, di aziende acquisite per causa di morte o per atto gratuito dai familiari ovvero
quelle acquisite da uno solo degli eredi a seguito di scioglimento, entro 5 anni dall’apertura della
successione.
3.
B. Altri redditi
Le vincite delle lotterie, dei concorsi a premio ecc.:
Tra i redditi diversi rientrano le vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse
organizzati per il pubblico. Anche le vincite conseguite per effetto della partecipazione a giochi on-line
organizzati su siti web rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 67, comma 1, lettera d) T.U.I.R.
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CAPITOLO 8: IL REDDITO COMPLESSIVO AI FINI IRPEF E LA
DETERMINAZIONE DELL’IMPOSTA
1. La base imponibile
Ai sensi dell’art. 3 T.U.I.R, l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato, per i
residenti, da tutti i redditi posseduti, al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 T.U.I.R e, per i non
residenti, da quelli prodotti nel territorio dello Stato.
Il reddito complessivo si determina sommando i redditi di ogni categoria (fondiari, di capitale, di lavoro
dipendente, di lavoro autonomo, di impresa e diversi) e sottraendo le perdite derivanti dall’esercizio
dell’imprese commerciali e di arti e professioni. Per effetto dell’art. 9, primo comma, T.U.I.R, i redditi e le
perdite che concorrono a formare il reddito complessivo sono determinati distintamente per ciascuna
categoria in base al risultato complessivo netto di tutti i cespiti che vi rientrano.
Nonostante la pluralità di regole di tassazione, conseguenza della stratificazione di diversi istituti tributari
(imposizione fondiaria, ricchezza mobile e complementare, reddito netto o lordo, imputazione per cassa o
per competenza, ecc.), il legislatore supera il rigido schematismo delle categorie reddituali, assumendo il
reddito complessivo, unitariamente considerato, e sottraendo da questo le .perdite derivanti dall’esercizio
di imprese e di arti e professioni.
4. I redditi familiari
Con riguardo ai redditi familiari, la formulazione originaria dell’art. 4 d.P.R. n.597/1973, prevedeva il c.d.
cumulo dei redditi, imputando al soggetto passivo i redditi propri, quelli della moglie, dei figli minori non
emancipati.
Riconosciuta dalla Corte costituzionale l’illegittimità del cumulo dei redditi, la disciplina tributaria ha
sancito l’opposto principio del decumulo, prevedendo che i redditi che formano oggetto della comunione
legale sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare netto o per la diversa quota
stabilita ai sensi dell’art. 210 c.c., in virtù di tale norma, i coniugi possono, mediante convenzione,
stipulata a norma dell’art. 162 c.c., modificare il regime della comunione legale dei beni.
Analogamente, i redditi dei beni facenti parte del fondo patrimoniale sono imputati per metà del loro
ammontare netto a ciascuno dei coniugi.
Anche inediti dei beni dei figli minori soggetti all’usufrutto legale dai genitori sono imputati per metà del
loro ammontare netto a ciascun genitore.
Ampia è la discussione circa la revisione del principio dell’imputazione del reddito al soggetto che lo
produce, e la graduale adozione del cosiddetto ‘splitting’, ossia del metodo di calcolo dell’imposta basato
sulla scomposizione in quote della somma dei redditi prodotti dai membri della famiglia in tante parti
uguali quanti sono i familiari e, poi, dall’imputazione a ciascuno di essi della somma così ottenuta.
Va infine ricordato che la legge n. 76/2016 (Legge Cirinnà), nel disciplinare le unioni civili tra persone
dello stesso sesso, prevede, anche ai fini tributari, che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e
quelle contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrano nelle leggi, si
applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
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c. Le associazioni senza personalità giuridica, costituite fra persone fisiche per l’esercizio di arti o
professioni sono equiparate alle società semplici.
d. Si considerano residenti le società e le associazioni che per la maggior parte del periodo
d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio
dello Stato.
Orientando l’indagine verso le imprese, di cui all’art. 230bis c.c., va avvertito che il legislatore tributario
si è limitato ad attrarre l’impresa familiare nella disciplina dei redditi prodotti in forma associata,
stabilendo, nel comma 4 dell’art. 5 T.U.I.R, che “i redditi delle imprese familiari, di cui all’art. 230 bis c.c.,
limitatamente al 49 per cento dell’ammontare risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore
sono imputati a ciascun familiare che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua attività di
lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili”.
La disposizione si applica a condizione che i familiari partecipanti all’impresa risultino nominativamente
da:
a. Atto pubblico o da scrittura privata autenticata.
b. La dichiarazione dei redditi dell’imprenditore rechi l’indicazione delle quote di partecipazione agli
utili spettanti ai familiari e l’attestazione che le quote stesse sono proporzionate alla qualità e
quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa.
c. Ciascun familiare attesti, nella propria dichiarazione dei redditi, di avere prestato la sua attività di
lavoro nell’impresa in modo continuativo e prevalente.
L’ultimo comma dell’art. 5 T.U.I.R stabilisce infine che si intendono per familiari, ai fini delle imposte sui
redditi, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.
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CAPITOLO 9: IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETÀ
1. Dall’Irpeg all’Ires
Il legislatore istituì con R.D (regio decreto) 30 dicembre 1923, n.3062, l’imposta complementare su
reddito delle persone fisiche e con l. 6 agosto 1954, n.603, l’imposta sulle società.
L’ideologia personalistica posta alla base della riforma diede luogo ad un assetto zipolare al sistema che,
per un verso, riuniva le imposte dirette reali nell’imposta sul reddito delle persone fisiche, per un altro,
trasformava l’imposta sulle società in un nuovo tributo, fondato anch’esso sul dogma della personalità
giuridica, che assoggettava a tassazione, oltre le società, anche enti pubblici e privati diversi dalle
società, aventi l’esercizio di attività commerciali. Più volte sottoposte a modifiche normative, ispirate
dall’esigenza
di contrastare la doppia imposizione interna, l’Irpeg è stato sottoposto ad una profonda riforma con la
legge delega n.80/2003 e il successivo decreto attuativo n.344 del 2003 (art. 4).
Nell’intento di “modernizzare la fiscalità in funzione dei mutamenti intervenuti nell’economia e nel
mondo”, uniformando il modello di prelievo alla corporation tax prevista in molti Stati europei, la riforma
ha sostituito l’imposta sul reddito delle persone giuridiche con l’imposta sul reddito delle società (IRES).
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lo Stato non può tassare le proprie articolazioni anche entificate, il legislatore ha limitato l’esclusione della
soggettività allo Stato-apparato, inteso come insieme degli organi e delle amministrazioni.
In questo senso, l’art. 74, T.U.I.R, stabilisce che gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi
quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, i consorzi tra enti
locali, le associazioni, le province e le regioni non sono soggetti all’imposta.
La norma trova fondamento nell’esigenza di escludere da tassazione organi e amministrazioni pubbliche
che svolgono funzioni pubbliche finanziate direttamente dallo Stato attraverso trasferimenti. Al di fuori di
tale previsione, rivestono la qualità di soggetti passivi tutti gli altri enti pubblici, commerciali e non
commerciali.
Disposizioni particolari sono invece dedicate a taluni enti pubblici non commerciali, per i quali l’art. 74,
secondo comma, dispone che non costituiscono esercizio di attività commerciali:
a. L’esercizio di funzioni statali da parte di enti pubblici.
b. L’esercizio di attività previdenziali, assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti
esclusivamente a tal fine, comprese le aziende sanitarie locali, nonché l’esercizio di attività
previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria.
A. Ricavi
Tra i componenti del reddito d’impresa particolare importanza rivestono i ricavi che le norme tributarie
disciplinano pur senza darne una definizione.
Nell’accezione aziendalistica, il ricavo consiste in un vantaggio, un evento positivo, connesso con la
cessione a terzi di beni merci e di servizi. Il comma 1 dell’art. 85 T.U.I.R lettera a) considera ricavi “i
corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è
diretta l’attività dell’impresa” e la lettera b) della stessa norma comprende fra i ricavi “i corrispettivi delle
cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali,
acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione”.
Costituiscono rivali anche “le indennità conseguite a titolo di risarcimento, anche in forma assicurativa,
per la perdita o il danneggiamento di beni” (lettera f, art. 85).
Sono considerati ricavi, infine, i corrispettivi delle cessioni di azioni, quote e strumenti finanziari similari
alle azioni ai sensi dell’art. 44 T.U.I.R, emessi da società ed enti di cui all’art. 73 T.U.I.R.
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esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla
divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità”.
Pertanto, nel primo esercizio, i beni prodotti e acquistati sono valutati sulla base del costo unitario
effettivo. Il comma 3 stabilisce, a sua volta, che “negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze
è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, costituiscono voci distinte per esercizi
di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti
esercizi, a partire dal più recente”. La norma recepisce il metodo Li-Fo (last-in, first out - ultimo dentro,
primo fuori), il cui effetto sperimentato è di favorire i contribuenti che operino in regimi di costi crescenti,
consentendo un risparmio lecito di imposte. L’andamento a “scatti” delle variazioni consente di
mantenere costante il capitale circolante nel periodo di
tempo intercorrente fra le diverse variazioni. Sono comunque previsti altri metodi valutativi quale il
metodo Fi-Fo (first in, first out - primo dentro, primo fuori), preferibile in caso di costi decrescenti e il
metodo della media ponderata, che con riguardo alle imprese esercenti le attività di ricerca e coltivazione
di idrocarburi liquidi e gassosi, di raffinazione di petrolio etc., consente l’utilizzo del metodo della media
ponderata o del Fi-Fo. L’art. 93, comma 1, T.U.I.R, stabilisce che le variazioni delle rimanenze finali delle
opere, concorrono a formare il reddito dell’esercizio.
7.
C. Plusvalenze, sopravvenienze e altri proventi
L’art. 86 T.U.I.R indica le plusvalenze che concorrono a formare il reddito d’impresa, prevedendo in primo
luogo quelle conseguite “mediante cessione a titolo oneroso” dei beni relativi all’impresa (comma 1
lettera a).
Sono anche plusvalenze quelle “realizzate mediante il risarcimento, anche in forma assicurativa, per la
perdita o il danneggiamento dei beni”. La norma costituisce proiezione dei principi di cui al comma 2
dell’art. 6 T.U.I.R, in base al quale i proventi conseguiti in sostituzione di redditi e le indennità
conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di
redditi, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti.
In entrambi i casi, la plusvalenza è costituita “dalla differenza tra il corrispettivo o l’indennizzo
conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione e il costo non ammortizzato”. Per
plusvalenza realizzate con riguardo a beni posseduti da più di tre anni, il legislatore ne consente la
rateizzazione.
Non costituisce, infine, realizzo di plusvalenza la cessione dei beni a creditori in sede di concordato
preventivo. Le modifiche intervenute nei rapporti fra soci e società hanno comportato l’introduzione a
partire dal 1° gennaio 2018 del principio secondo cui gli utili distribuiti in qualsiasi forma e sotto qualsiasi
denominazione della società o degli enti indicati nell’art. 73 T.U.I.R, vengono assoggettati alla ritenuta a
titolo di imposta del 26% sull’intero dividendo (legge 205/2017).
L’art. 87, T.U.I.R stabilisce che le plusvalenze di cui ai commi 1,2 e 3 dell’art.86, relativamente ad azioni
o quote di partecipazione in società di capitali ed enti commerciali, non concorrono alla formazione del
reddito in quanto esenti nella misura del 95% del loro ammontare.
La fattispecie riguarda azioni o quote di partecipazioni con i seguenti requisiti:
a. Ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta
cessione.
b. Classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante
il periodo di possesso.
c. Residenza fiscale della società in uno Stato o territorio diverso da quelli a regime fiscale
privilegiato.
d. Esercizio da parte della società di un’impresa commerciale di cui all’art. 55 T.U.I.R.
L’art. 88 considera sopravvenienze attive i ricavi o altri proventi conseguiti a fronte di spese, perdi o oneri
o altri proventi conseguiti per ammontare superiore a quello che ha concorso a formare il reddito in
precedenti esercizi.
La ratio della norma è evidente: tenuto conto che il reddito d’impresa matura in un arco di tempo definito
(il periodo d’imposta), può accedere che la correlazione “costi-ricavi” non si verifichi, in quanto i proventi
sono conseguiti in un momento diverso da quello nel quale sono stati sopportati i costi o le passività sono
state iscritte in bilancio. Si tratta, quindi, di uno strumento che consente di collegare partite maturate in
tempi diversi. Il legislatore annovera tra le sopravvenienze i proventi conseguiti a titolo di contributo o
liberalità, esclusi quelli per l’acquisto di beni ammortizzabili indipendentemente dal tipo di finanziamento
adottato, i quali concorrono a formare il reddito nell’esercizio.
In base al comma 4, non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a
fondo perduto o in conto capitale a favore delle società di capitali ed enti di cui all’art. 73 T.U.I.R
47
L’ultimo comma dell’art. 88 dispone:” in caso di cessione del contratto di locazione finanziaria, il valore
normale del bene costituisce sopravvenienza attiva”.
L’art. 90 dispone che i redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali per l’esercizio
dell’impresa, concorrono a formare il reddito nell’ammontare determinato secondo le disposizioni del capo
II (redditi fondiari) per gli immobili situati nel territorio dello Stato e a norma dell’art. 70 T.U.I.R per
quelli situati all’estero.
L’art. 43, del resto, non considera produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi a imprese
commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni, essendo questi
ricondotti a reddito d’impresa in forza del principio di attrazione.
Tra i componenti positivi, rientrano dividendi e interessi alle condizioni e con i limiti di cui all’art. 89
T.U.I.R
Non concorrono alla formazione del reddito, oltre ai proventi esenti, quelli soggetti a ritenuta alla fonte a
titolo d’imposta o imposta sostitutiva.
Tra gli altri proventi vanno richiamati quelli derivanti dalla partecipazione in società semplici, in nome
collettivo e in accomandita semplice residenti nel territorio dello Stato, per i quali si applicano le
disposizioni dell’art. 5, che prevedono l’imputazione a ciascun socio della parte dei redditi della società,
proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili. (c.d. trasparenza fiscale).
L’art. 89, comma 2 stabilisce che gli utili distribuiti “non concorrono a formare il reddito dell’esercizio in
cui sono percepiti in quanto esclusi dalla formazione del reddito della società o dell’ente ricevente per il
95% del loro ammontare”.
L’esclusione è prevista anche per la remunerazione relativa ai contratti di associazione in partecipazione e
a quelli di partecipazione agli utili e alle perdite e alla remunerazione dei finanziamenti eccedenti. In
deroga a tale disposizione, per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali,
gli utili distribuiti relativi ad azioni, quote e strumenti finanziari similari, concorrono per il loro intero
ammontare alla formazione del reddito nell’esercizio in cui soni percepiti.
La disciplina trova fondamento nell’esigenza di evitare la doppia tassazione del reddito delle società con
personalità giuridica, prima nei confronti dell’ente collettivo e, successivamente, a carico dei soci, sugli
utili distribuiti.
10.
E. Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive, perdite, interessi passivi
Sono ammesse in deduzione minusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli che producono
ricavi, sopravvenienze passive per mancato conseguimento di ricavi, il sostenimento di spese, perdite od
oneri a fonte di ricavi o altri proventi che hanno egualmente concorso a formare il reddito.
La perdite dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli che producono ricavi, commisurate al costo non
ammortizzato degli stessi, e le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi; le
perdite su crediti sono deducibili in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali.
Ai fimi della disposizione in esame, il debitore si considera assoggettato a procedura concorsuale dalla
data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la liquidazione coatta
amministrativa. Gli elementi certi e precisi sussistono in ogni caso quando il credito sia di modesta entità
e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso. Il credito si
considera di modesta entità quando ammonta ad un importo non superbire a 5.000 euro per le imprese
di più rilevante dimensione e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese.
Va ricordato che il legislatore tributario riserva capitale di debito e a capitale di rischio un differente
trattamento: il primo genera interessi passivi, suscettibili di essere portati in deduzione, il secondo è
remunerato attraverso i dividendi che non sono deducibili dal reddito societario.
L’asimmetria tra i due modelli di regolazione ha finito per stimolare l’indebitamento e scoraggiare la
capitalizzazione delle imprese. La consapevolezza dello squilibrio esistente tra indebitamento e
finanziamento con capitale proprio e l’esigenza di assumere, ai fini della tassazione, il reddito netto,
hanno indotto a soluzioni che hanno oscillato tra la graduale limitazione della deducibilità degli interessi
passivi e le agevolazioni per la capitalizzazione delle imprese.
La materia è stata recentemente oggetto di riforma ad opera del d.lgs. 142/2018, attuativo della direttiva
2016/1164/UE, in base al quale gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilarti, diversi da quelli
compresi nel costo dei beni ai sensi del comma 1, lettera b), dell’art. 110, possono essere dedotti in
ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi finanziari assimilati di
49
competenza. Qualora gli oneri finanziari siano superiori ai proventi finanziari, l’eccedenza è deducibile nel
limite del 30% del risultato operativo lordo (ROL). Invece, nel caso in cui siano i proventi finanziari ad
essere superiori agli oneri finanziari, questi ultimi sono interamente deducibili e la differenza (c.d.
eccedenza di plafond) potrà essere riportata nei successivi periodi di imposta senza alcun limite di tempo.
Ai fini della disposizione in esame, assumono rilevanza gli interessi passivi e gli interessi attivi, nonché
gli oneri e i proventi assimilati.
50
Essa è irrevocabile per tre esercizi sociali della società partecipata e si intende tacitamente rinnovata al
termine del triennio per un altro triennio, salvo revoca da esercitare con le modalità previste.
La società partecipata è solidamente responsabile con ciascun socio per l’imposta, le sezioni e gli interessi
conseguiti all’obbligo di imputazione del reddito.
L’opzione per la trasparenza fiscale è consentita anche alle società a ristretta base proprietaria: vale a
dire, società a responsabilità limitata, il cui volume di ricavi non supera la soglia prevista per
l’applicazione degli studi di settore e con una compagine sociale composta esclusivamente da persone
fisiche in numero non superiore a 10 o a 20, nel caso di società cooperative.
Le perdite fiscali della società partecipata, relative a periodi in cui è efficace l’opzione è imputata ai soci in
proporzione alle rispettive quote di partecipazione ed entro il limite della propria quota del patrimonio
netto contabile della società partecipata.
52
d. Prevalenza delle componenti negative inerenti alle attività commerciali, rispetto alle restanti
spese.
53
CAPITOLO 10: L’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
2. Il requisito soggettivo
L’art. 12, comma 1, d.P.R. n.633, stabilisce che l’IVA è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di
beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario cumulativamente per tutte le
operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista dall’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel
titolo secondo. Secondo l’art. 9 della direttiva 112/2006, “si considera soggetto passivo chiunque
esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica indipendentemente dallo scopo
o dai risultati di detta attività”.
L’art. 1 d.P.R. n.633, definisce la fattispecie prevedendo che sono soggette al tributo le cessioni di beni o
le prestazioni di servizi, operate nel territorio dello Stato, ed effettuate nell’esercizio di imprese o
nell’esercizio di arti e professioni, nonché le importazioni da chiunque effettuate. In assenza dei requisiti
oggettivo, soggettivo e territoriale, l’operazione diviene “esclusa dal tributo”.
Costituiscono, invece, operazioni esenti quelle che, pur presentando i tre requisiti richiamati, sono
sottratte al tributo in forza di finalità agevolative apprezzate come meritorie. Si considerano in ogni caso
effettuate nell’esercizio dell’impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da società
commerciali, da società cooperative e di mutua assicurazione oppure da società estere (art. 2507 c.c.) e
dalle società di fatto ovvero quelle fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni
o altre organizzazioni senza personalità giuridica e dalle società semplici, che abbiano per oggetto
esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole.
Sono considerate in ogni caso commerciali:
a. Cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita.
b. Erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore.
c. Gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale.
d. Gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti.
e. Trasporto di persone.
f. Organizzazioni di viaggi e soggiorni turistici, prestazioni alberghiere o di alloggio.
Non sono invece considerate attività commerciali le operazioni effettuate dello Stato, dalle regioni, dalle
province, dai comuni e dagli altri enti di diritti pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità.
L’art. 5 stabilisce, sempre in ordine al requisito soggettivo che, “per esercizio di arti e professioni si
intende l’esercizio, per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro
autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza
personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata delle attività stesse”.
55
c. Le prestazioni di servizi di locazione, anche finanziaria, soleggio e simili, a breve termine, di
mezzi di trasporto quando gli stessi sono messi a disposizione del destinatario nel territorio dello
Stato e sempre che siano utilizzate all’interno del territorio della Comunità.
Particolari disposizioni sono state introdotte dall’art. 7 quinquies, in deroga alla disciplina comune,
relativamente alle prestazioni di servizi culturali, artistici, sportivi, scientifici, educativi, ricreativi e simili
rese a committenti non soggetti passivi del tributo, le quali si considerano effettuate nel territorio dello
stato quando le medesime attività sono ivi materialmente svolte.
Ulteriori deroghe sono stabilite dall’art. 7 sexies, si considerano effettuate nel territorio dello stato se rese
a committenti non soggetti passivi: le prestazioni di intermediazione in nome e per conto del cliente,
quando le operazioni oggetto dell’intermediazione si considerano effettuate nel territorio dello stato; le
prestazioni di lavorazione, nonché le perizie, relative ai beni mobili materiali; le prestazioni di servizi di
locazione, anche finanziaria, noleggio e simili.
L’art. 7 septies stabilisce che non si considerano effettuate nel territorio dello stato le prestazioni di
servizi rese a committenti non soggetti passivi domiciliati e residenti fuori dalla Comunità, quelle
pubblicitarie, di consulenza e assistenza tecnica o legale nonché quelle di elaborazione e fornitura dei dati
e simili; le operazioni bancarie e finanziarie ed assicurative, le prestazioni derivanti da contratti di
locazione, anche finanziaria.
Il d.P.R. n.633/1972 stabilisce che non si considerano effettuate nel territorio dello stato le cessioni
all’esportazione di cui all’art. 8, le operazioni assimilate accessioni di esportazione e i servizi internazionali
o connessi agli scambi internazionali di cui all’art. 9: operazioni che, pur avendo luogo sul territorio
nazionale, si attraggono al principio stesso.
6. Il momento impositivo
Al verificarsi dei diversi requisiti (soggettivo, oggettivo, territoriale) l’operazione si rende imponibile,
assumendo rilevanza ai fini dell’applicazione del tributo nel c.d. momento impositivo individuato dal
legislatore secondo le regole di imputazioni temporale, differenziate in regione della natura dell’atto o del
bene che ne costituisce oggetto.
Fondamentale è individuare il momento in cui l’operazione imponibile si considera perfezionata ai fini Iva,
valorizzando alcuni elementi di volta in volta individuati (data dell’atto, consegna del bene, pagamento
del prezzo ecc.).
A questo riguardo, l’art. 6 stabilisce che le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della
stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni
mobili. Tuttavia, le cessioni i cui effetti traslativi o costitutivi si producono posteriormente, si considerano
effettuate nel momento in cui si producono tali effetti. Le prestazioni di servizi si considerano effettuate
all’atto del pagamento del corrispettivo.
56
In base al 4 comma dell’art. 6, se anteriormente al verificarsi degli eventi indicati, o indipendentemente
da essi, sia emessa fattura o sia pagato in tutto o in parte il corrispettivo, l’operazione si considera
effettuata, limitatamente all’importo fatturato o pagato, alla data della fattura o a quella del pagamento.
Per molte delle operazioni con enti pubblici è anche previsto il c.d. split payment in forza del quale
l’imposta è dovuta direttamente dal soggetto pubblico erogante, il quale trattiene la quota del tributo e la
versa all’erario. In deroga al terzo e al quarto comma dell’art. 6 del d.P.R. n.633/1972, le prestazioni di
servizi rese da un soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato ad un soggetto passivo ivi
stabilito, si considerano effettuate nel momento in cui sono ultimate, ovvero, se di carattere periodico o
continuativo, alla data della maturazione dei corrispettivi.
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ipotesi, una sorta di imposta “monofase”, applicata cioè ad un solo stadio della produzione o
commercializzazione.
Tra i setoli interessati l’editoria e il commercio di riviste, giornali e quotidiani, nel quale l’IVA è corrisposta
una volta per tutte dall’editore sul numero di copie vendute ovvero su quelle consegnate o spedite.
Tra i regimi speciali, il più diffuso è quello previsto per l’agricoltura e in particolare per le cessioni dei
prodotti agricoli compresi nella tabella A allegata al decreto IVA.
59
CAPITOLO 11: LE IMPOSTE SULL’ATTIVITÀ GIURIDICA: REGISTRO, BOLLO,
SUCCESSIONI, IPOTECARIE E CATASTALI
1. L’imposta di registro
60
Bilancio 2018, con la previsione del divieto di utilizzo di elementi estranei all’atto ai fini
dell’interpretazione del medesimo, è stata chiarita la portata applicativa della norma, restituendo al
tributo di registro la configurazione di “imposta d’atto”.
In questa luce, l’art. 20 T.U n.131 del 1986 non può più costituire strumento per risolvere le discrepanze
tra gli effetti negoziali e quelli sostanziali dell’atto da registrare: la natura dell’atto da assoggettare ad
imposizione va determinata, in via esclusiva, sulla base degli elementi contenuti nell’atto stesso. Vi è però
un eccezione: il richiamo effettuato all’art. 10-bis della legge n.212/2000 legittima l’amministrazione
finanziaria a riqualificare l’operazione, anche avvalendosi di atti collegati o di elementi extra testuali, ove
sia configurabile un’ipotesi di abuso del diritto.
Il T.U n.131 stabilisce dei criteri particolari con riguardo a fattispecie più complesse o a fini antielusivi: se
un atto contiene più disposizioni che non derivano necessariamente le une dalle altre, ciascuna di esse è
soggetta ad imposta come se fosse un atto distinto; se una disposizione ha per oggetto più beni o più
diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l’aliquota più elevata. Un atto in parte gratuito
e in parte oneroso è soggetto all’imposta prevista dal T.U 131 per la parte a titolo oneroso, salva
l’applicazione dell’imposta sulle successioni o donazioni per la parte a titolo gratuito. Se in un atto sono
enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le
stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni
enunciate (art.22).
I trasferimenti immobiliari posti in essere fra parenti in linea retta si presumono donazioni se la relativa
imposta risulti inferiore a quella dovuta in caso di trasferimento a titolo gratuito.
Con sentenza del 25 febbraio 1999, n.41, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma
per contrasto con i principi di uguaglianza e capacità contributiva.
Gli atti sottoposti a condizione sospensiva sono registrati con il pagamento dell’imposta in misura fissa,
quando la condizione si verifica, o l’atto produce comunque i suoi effetti, è riscossa la differenza fra
l’imposta pagata in sede di registrazione e quella dovuta secondo le norme vigenti al momento della
formazione dell’atto.
La risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa, se dipende da condizione risolutiva
espressa contenta nel contratto stesso ovvero se è attuata mediante atto pubblico o scrittura privata
autenticata. La ratifica, la convalida e la conferma sono soggette all’imposta in misura fissa, salvo il
disposto dell’art. 22, in ordine all’enunciazione degli atti non registrati.
Per i contratti a tempo indeterminato, l’imposta è applicata in base alla durata dichiarata dalla parte che
ne richiede la registrazione. La nullità o l’annullabilità dell’atto non dispensa dall’obbligo di chiedere la
registrazione e di pagare la relativa imposta.
Per gli atti relativi ad operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto, si rende applicabile il principio
dell’alternatività, di cui all’art. 40 T.U n.131 del 1986, in forza del quale l’imposta di registro si applica in
misura fissa quando l’iva è dovuta.
D. Prescrizione e decadenza
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L’imposta sugli atti soggetti a registrazione in termine fisso e non presentati per la registrazione deve
essere richiesta dall’Amministrazione finanzia a pena di decadenza, nel termine di cinque anni dal giorno
in cui, a norma degli artt. 13,14,15, avrebbe dovuto essere richiesta la registrazione o si è verificato il
fatto che legittima la registrazione d’ufficio.
L’avviso di rettifica e di liquidazione della maggiore imposta di cui all’art.52, devono essere notificati
entro il termine di decadenza di due anni dal pagamento dell’imposta principale.
Per gli atti presentati per la registrazione, l’imposta deve essere richiesta, a pena di decadenza, entro il
termine di tre anni decorrenti:
1. Alla richiesta di registrazione, se si tratta di imposta principale.
2. Dalla data in cui l’accertamento di maggior valore è divenuto definitivo.
3. Dalla data di registrazione dell’atto ovvero dalla data di presentazione della denuncia di cui all’art.
19.
La richiesta dell’ufficio, contenente l’indicazione dell’ammontare dell’imposta liquidata, deve essere
notificata al contribuente nei modi stabiliti nel secondo comma dell’art. 52. Le sanzioni devono essere
irrogate, a pena di decadenza, nel termine stabilito per chiedere l’imposta a cui si riferiscono. Il diritto a
riscuotere l’imposta definitivamente accertata si prescrive in dieci anni. Il rimborso del tributo e dei suoi
accessori deve essere richiesto dal contribuente, a pena di decadenza, entro tre anni dal giorno del
pagamento.
2. L’imposta di bollo
L’imposta di bollo riveste natura giuridica di imposta d’atto. In forza dell’art. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972
n.642, sono soggetti all’imposta di bollo gli atti, i documenti e i registri indicati nell’annessa tariffa. La
norma chiarisce che le disposizioni contenute nello stesso decreto “non si applicano agli atti legislativi e,
se non espressamente previsti nella tariffa, agli atti amministrativi dello Stato, delle regioni, delle
province, dei comuni e loro consorzi”.
L’imposta di bollo è dovuta fin dall’origine per gli atti, i documenti e i registri indicati nella parte I della
tariffa, se formati nello Stato, e in caso d’uso per quelli indicati nella parte II. Anche in questi casi, il
legislatore non ha qualificatole due categorie di atti, documenti e registri, limitandosi a classificarli
distintamente. Se nella prima, la tassazione è connessa con l’esistenza stessa dell’atto, documento o
registro, nella seconda, occorre stabilire quando ricorra il caso d’uso: a differenza del tributo di registro,
questa condizione si verifica quanto un atto, un documento o un registro è presentato all’ufficio fiscale
per la registrazione.
L’imposta di bollo si corrisponde secondo le indicazioni della tariffa allegata al d.P.R. n.642/1972:
a. Mediante il pagamento ad un intermediario convenzionato con l’Agenzia delle entrate.
b. In modo virtuale, mediante pagamento all’ufo dell’Agenzia delle entrate.
Una modalità, oramai in disuso, di pagamento del tributo è costituita dall’impiego dell’apposita carta
filigrana e bollata, recante impresso il relativo valore. Esclusa quella per le cambiali, la carta bollata deve
essere marinata e contenere cento linee per ogni foglio; con apposito decreto del Ministro delle finanze
sono determinate la forma, il valore e gli altri caratteri distintivi della carta bollata, delle marche da bollo
e dei bolli a punzone. Il foglio si intende composto da quattro facciate, l’imposta è dovuta per ogni
facciata effettivamente utilizzata.
L’imposta di bollo si corrisponde anche in modo straordinario, mediante marche da bollo, visto per bollo o
bollo a punzone; per gli atti soggetti a bollo sin dall’origine, l’applicazione delle marche da bollo deve
precedere l’eventuale sottoscrizione. L’annullamento delle marche deve avvenire mediante perforazione o
applicazione della sottoscrizione di una delle parti o della data di un timbro.
Per determinate categorie di atti e documenti, per i quali è previsto esclusivamente l’uso della carta
bollata, piò essere consentito, su richiesta dell’interessato, il pagamento dell’imposta in modo
straordinario. Per determinate categorie di atti o documenti, la Direzione regionale può, su richiesta degli
interessati, consentire che il pagamento dell’imposta, anziché in modo ordinario o straordinario, avvenga
in modo virtuale.
Il testo unico concernente l’imposta di bollo non individua, per ciascuna tipologia di atto, il soggetto
passivo, limitandosi a prevedere che l’obbligo di corrisponde il tributo grava, in maniera solidale, a carico
di chi partecipa o ha interesse all’atto e di chi, in qualsiasi momento, accetta o fa uso del medesimo.
Le sanzioni possono essere irrogate per inosservanza di nome formali, violazione delle disposizioni
concernenti il consumo, l’uso di valori bollati o il pagamento in maniera virtuale, violazioni concernenti il
monopolio di produzione e vendita dei valori bollati. Solo queste ultime infrazioni danno luogo a
fattispecie penalmente rilevanti, essendo le prime due canzoni di carattere amministrativo.
62
le imposte di bollo sugli atti giudiziari, la tassa di iscrizione a ruolo, i diritti di cancelleria e i diritti di
chiamata in causa dell’ufficiale giudiziario.
Alla luce dell’attuale aspetto normativo, imposta di registro e contributo unificato costituiscono le
principali forme di prelievo sull’attività giudiziaria, mentre l’applicazione dell’imposta di bollo è limitata e
residuale. Ben altri scenari sembravano dischiudersi a seguito dell’approvazione della legge delega n.80
del 2003 di riforma del sistema tributario nell’ambito della quale era prevista l’istituzione di un’imposta
sui servizi destinata a sostituire imposta di registro, di bollo, ipotecarie e catastali, di assicurazione, sugli
intrattenimenti.
L’inutile decorso dei termini per l’attuazione della delega sembra avere fatto tramontare l’idea di
concentrare in un unico tributo forme di prelievo di natura diversa riguardati l’attività giudica. La nuova
contribuzione unificata ha così aperto la via ad un nuovo corso dell’imposizione sui “servizi di giustizia” la
cui tassazione diventa, in un certo senso, “una tantum”.
Attraverso tale prelievo, non a caso definito unificato, i vari tributi e diritti giudiziari sono accorpati,
semplificando gli adempimento ed evitando l’appesantimento formale dell’apposizione delle arche sugli
atti giudiziari anche in considerazione dell’evidente incompatibilità con la trasmissione degli atti per via
telematica.
Ai sensi dell’art. 9 del T.U, il contributo unificato è dovuto, per ciascun grado di giudizio, sia nell’ambito
del processo civile che del processo amministrativo e tributario come pure, se viene esercitata l’azione
civile nel processo penale e viene chiesta, anche in via provvisionale, la condanna al pagamento di una
somma di una somma a titolo di risarcimento del danno, e, da ultimo per gli atti del processo tributario.
Le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, nonché quelle individuali di lavoro o
concernenti rapporti di pubblico impiego in origine esentate dal contributo unificato, per effetto delle
modifiche apportate dal d.l. 6 luglio 2011, n.98, sono soggette a tale forma di prelievo, ad eccezione dei
processi dinanzi alla Corte di cassazione.
Non mancano, tuttavia, casi di esenzione, specificamente indicati dal legislatore in un apposito elenco. Si
pensi, ad esempio, alle cause in materia di contratti agrari, già esenti, in passato, dall’imposta di bollo e
da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie o natura.
Coerentemente all’indirizzo espresso dalla Corte costituzionale, è stabilita l’esenzione per tutte le azioni
riguardanti la prole, fra le quali quelle in materia di assegni di mantenimento, sia nella fase di
accertamento di merito, che in quella cautelare, i giudizi relativi ai rapporti familiari e alle persone, i
processi di interdizione e inabilitazione, di dichiarazione di assenza e di morte presunta.
Il rilievo costituzionale che ha assunto il principio della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost) ha
indotti il legislatore a disporre l’esenzione del contributo unificato anche delle azioni diretta a ottenere
“l’equa riparazione” ai sensi della legge c.d. Pinto (l.n.89 del 2001).
Per quanto concerne la determinazione delle prestazione, il legislatore ha previsto due criteri distinti, uno
collegato al valore della causa, l’altro alla natura della controversie dedotta in giudizio.
L’art. 13 del T.U prevede sette scaglioni di valore delle cause a cui corrispondono altrettanti importi del
contributo unificato; la stessa disposizione detta, poi, regole particolari a seconda del tipo di giudizio.
L’art. 14 del T.U, nell’individuare il soggetto obbligato al pagamento del contributo, enuncia il principio
c.d. dell’anticipazione, per effetto del quale la parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il
ricorso introduttivo ovvero che, nel processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per
l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati, è tenuta al pagamento contestuale del contributo.
Appare comunque chiaro che, per effetto della regola della soccombenza nel pagamento delle spese
processuali, la parte che abbia anticipato il contributo può comunque recuperare la somma pagata, nel
caso di esito favorevole del giudizio e di condanna della parte avversa al pagamento delle spese di lite.
La liquidazione e l’adempimento del contributo hanno forme e tempi diversi nell’ambito del processo
civile, amministrativo, tributario e in quello penale.
In ogni caso, mentre nel processo penale, la liquidazione è operata all’esito della decisione e corrisponde
all’ammontare del risarcimento stabilito dalla sentenza, nel processo civile e amministrativo, va eseguito
con la proporzione della domanda, secondo il valore determinato sulla base della stessa.
In quanto correlato alla domanda processuale, il contributo compete alla parte che assume l’iniziativa
processuale, non intendendosi, per questa, la parte attrice, quanto piuttosto quella che da impulso al
processo.
Se il valore della controversia aumenta a causa della proposizione di nuove domande, l’obbligo di
pagamento del maggiore contributo ricade sulla parte attrice se ha ampliato la domanda, al convenuto se
ha spiegato la domanda riconvenzionale, alla parte intervenuta che abbia proposto, a sua volta, una
domanda ampliativa.
Per quanto concerne le modalità di controllo, in base all’art. 15 del T.U, il funzionario detto all’ufficio
verifica l’esistenza della dichiarazione in ordine al valore della causa e della ricevuta di versamento e la
corrispondenza del valore dichiarato ai criteri normativamente stabiliti.
La contestazione dell’omesso o insufficiente versamento del contributo deve essere portata a conoscenza
della parte con il mezzo della notificazione, ai sensi dell’art. 137 c.p.c.
Sebbene l’art. 248 del T.U definisca tale atto “invito al pagamento”, deve ritenersi che esso presenti un
contenuto ben più complesso rispetto alla semplice indicazione dell’importo da pagare. In altri termini,
l’avviso deve essere formato in modo da consentire al destinatario di conoscere le ragioni dell’atto e gli
elementi su cui si fonda la pretesa, anche al fine di valutare se esercitare o meno il diritto di difesa.
63
Decorsi 40 giorni dalla notifica dell’invito di pagamento, l’ufficio procede all’iscrizione a ruolo dell’importo
del contributo, maggiorato degli interessi legali.
64
CAPITOLO 12: I TRIBUTI DOGANALI
65
Stati membri dell’Unione europea e non ha limiti di tempo, salva la possibilità di sospensione revoca da
parte delle autorità doganali a fronte di violazioni commesse o del riesame dei requisiti previsti.
Particolare rilevanza presentato i “depositi doganali”, intesi come luoghi autorizzati all’autorità doganale e
sottoposti al suo controllo in cui le merci possono essere immagazzinate senza essere soggette ai dazi
all’importazione.
Il deposito doganale si distingue in “deposito pubblico” e in “deposito privato”.
Il primo è quello in cui l’immagazzinamento delle merci può essere effettuato da qualsiasi persona,
mentre il secondo è destinato unicamente ad immagazzinare merci del soggetto autorizzato alla gestione
del deposito doganale.
L’introduzione nel territorio doganale dell’Unione europea di merci provenienti da territori o paesi terzi
può essere a carattere definitivo, accedendo al regime doganale di “immissione in linea pratica” o a
carattere temporaneo, accedendo ai regimi doganali “sospensivi” di “perfezionamento attivo” e di
“ammissione temporanea”.
L’immissione in libera pratica è quel regime doganale attraverso cui merci provenienti da territori o paesi
terzi introdotte nel territorio doganale dell’Unione Europea acquisiscono definitivamente la qualifica di
merce “unionale”. Essa, attribuendo la posizione doganale di merce unionale ad una merce proveniente
da paesi terzi, implica l’applicazione delle misure di politica commerciale, l’espletamento delle altre
formalità previste per l’importazione di una merce, nonché l’applicazione dei dazi legalmente dovuti.
L’importatore può vincolare le merci non unionali, all’atto della loro introduzione nel territorio doganale
dell’Unione europea, a regimi doganali, quali quelli di “perfezionamento attivo” e di “ammissione
temporanea”, sospensivi del pagamento dei dazi, in quanto le merci sono destinate ad essere riesportate
al di fuori del territorio doganale, con l’effetto che le stesse non acquisiscono la qualifica di merci unionali.
Il regime di “perfezionamento attivo” consente di sottoporre a lavorazione o trasformazione nel territorio
doganale dell’unione europea merci non comunitarie, destinate ad essere riesportate fuori dal territorio
europeo sotto forma di “prodotti trasformati”, senza essere soggette ai dazi all’importazione né a misure
di politica commerciale.
Introdotto per agevolare le attività delle industrie dell’Unione che lavorano prodotti da esportare, esso
può operare secondo due modelli:
1. Il “sistema della sospensione”, dal pagamento dei dazi, dell’IVA e delle accise sulle merci
temporaneamente importate, finché il regime non viene appurato ed i prodotti compensatori
vengono esportati o destinati ad altro regime.
2. Il “sistema del rimborso”, che consiste nell’immissione in libera pratica delle merci con il
pagamento dei dazi e dell’importa sul valore aggiunto e che consente di ottenere il rimborso dei
diritti pagati al momento dell’importazione delle merci lavorate.
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CAPITOLO 13: I TRIBUTI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI
1. La fiscalità degli enti locali dalla Costituzione alla legge delega n.42/2009
La costituzione italiana, nel riaffermare l’unità e l’indivisibilità delle Repubblica, operò un pieno
riconoscimento delle autonomie locali insieme al decentramento amministrativo, assicurando autonomia
finanziaria alle Regioni, pur se nei limiti e nelle forme stabilite dalla legge dello Stato. Tuttavia, proprio
quando le regioni furono istituite, la riforma fiscale (l. n.825 del 1971), fece la scelta di forte centralismo
finanziario, eliminando la quasi totalità dei tributi comunali e locali preesistenti e adottando un modello di
finanza derivata di trasferimento (l.n.281/1970). La riforma degli anni 70 introduceva nuovi tributi per
loro natura erariali (imposte sul reddito, Iva, ecc.), e disponeva l’abolizione dell’imposta di famiglia, delle
imposte comunali di consumo e dell’imposta sul valore locativo ecc., sostituendoli con trasferimenti
erariali.
Aumento della spesa pubblica locale deresponsabilizzazione degli amministratori locali e rivendicazione di
spazi di autonomia impositiva da parte dei Comuni indussero il legislatore a rivedere il modello delineato
dalla riforma tributaria degli anni 70, dapprima sperimentando nuovi tributi locali (si pensi alla
sovrimposta comunale sui fabbricati), e poi introducendo muovi tributi comunali e locali (in primo luogo
l’imposta comunale sugli immobili), quindi riformando alcuni dei tributi locali preesistenti (d.lgs. n.507 del
1993 recante la nuova disciplina dell’imposta di pubblicità, della tassa per l’occupazione di spazi e aree
pubbliche e della tassa sui rifiuti). Con la l.8 giugno 1990, n.142 fu poi espressamente attribuita a
Comuni e a Province autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie. Con la legge delega n.
662 del 1996, seguita dai decreti attuativi fu poi introdotta l’Irap in favore delle regioni e rafforzata
l’autonomia regolamentare degli enti territoriali.
Dopo circa 50 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, il modello dello “Stato unitario delle
autonomie” veniva riformato con la legge costituzionale n.3 del 2001, rafforzando l’autonomia politica e
finanziaria di questi ultimi con il nuovo art. 119 della Cost. Nell’interpretare le disposizioni del nuovo
Titolo V, la Corte Costituzionale ha affermato la statuale competenza legislativa nella determinazione dei
“principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario”, con l’ulteriore conseguenza che, fino a
quando l’indicata legge statale non sarà emanata, è vietato alle Regioni di istituire e disciplinare tributi
propri aventi gli stessi presupposti dei tributi dello Stato o di legiferare sui tributi esistenti istituiti e
regolati da leggi statali.
Solo dopo otto anni dalla riforma costituzionale del Titolo V, il legislatore con legge delega n.42/2009 reca
i principi generali di coordinamento. Tra le tante accezioni proposte, l’espressione “federalismo fiscale”
viene soprattutto adoperata per indicare una modifica dei criteri di riparto del carico fiscale. Il federalismo
fiscale si colloca all’interno degli assetti della finanza degli enti locali, esprimendo l’esigenza di
allargamento degli spazi di autonomia di questi ultimi nei confronti dello Stato centrale e di
responsabilizzazione dei livelli di prelievo e di spesa. Così inteso, il federalismo diviene modalità attuativa
del principio di equilibrio finanziario tra spese ed entrata pubbliche.
Nel dare attuazione ai principi costituzionali del titolo V, la legge delega n.42/2009 dispone “la graduale
sostituzione, per tutti i livelli di governo, del criterio della spesa storica” al fine di “garantire la massima
responsabilizzazione e l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti”.
L’abbandono del criterio della spesa storica e l’introduzione di quello del costo standard vengono
considerati indispensabili per una razionalizzazione della spesa pubblica locale e per impedire la
formazione di disavanzi destinati ad essere coperti dalla fiscalità generale.
L’attribuzione di un’autonomia più ampia a ciascun ente territoriale nello svolgimento dei compiti affidati
e conseguentemente l’intreccio istituzionale trai diversi livelli di governo devono consentire sia la
perequazione finanziaria che l’erogazione di risorse pubbliche nella misura idonea ad assicurare la
copertura delle spese per le funzioni essenziali (art. 117 e 119 Cost.) Allo stesso tempo, il nuovo assetto
normativo deve garantire il rispetto del principio dell’uguaglianza dei cittadini dovunque risiedano.
67
per il finanziamento delle funzioni conferite, e art. 7 (fondo perequativo nazionale) hanno dato luogo a
serie difficoltà di ordine applicativo anche per le rilevanti diseguaglianze tra diverse aree del Paese e la
forte disomogeneità nella distribuzione territoriale del gettito dei tributi partecipati dalle Regioni.
In materia, la l. n. 42/2009 ridefinisce i criteri con cui vengono assonare le entrate agli enti territoriali, le
funzioni e le spese corrispondenti; nell’ambito di queste ultime, la spesa storica è stata superata a favore
di standard di spesa definita, garantiti dallo Stato per tutto il territorio nazionale. Le eventuali ulteriori
spese di ciascun livello di governo, invece, vengono finanziate da tributi propri o da tributi propri derivati
fissati ad aliquote superiori a quella valevole su tutto il territorio nazionale, e infine da perequazioni
regressive.
Nel nuovo asserto delle risorse regionali, particolare rilevanza assume il concetto di tributo regionale,
intendendo con tale espressione l’entrata tributaria il cui gettito affluire al bilancio delle Regioni, ordinarie
o speciali, e che tende a colpire una manifestazione di ricchezza localizzata o localizzabile all’interno del
territorio regionale.
Accanto ai tributi regionali qualificabili come propri in quanto stabiliti e applicati alle Regioni, ve ne sono
altri che potremmo dire “impropri” in quanto istituiti e disciplinati con legge dello Stato ma destinati a far
fronte alle esigenze finanziare della Regione sul cui territorio il prelievo viene operato. In questo senso, si
è espressa la Corte costituzionale la quale, nell’escludere che per tributo proprio possa intendersi
qualunque tributo il cui gettito sia devoluto all’ente regionale, riconosce il carattere di tributo proprio solo
nel caso di istituzione e di regolamentazione con legge regionale.
La distinzione tra tributi regionali propri e tributi regionali impropri trova conferma nella giurisprudenza
della Corte costituzionale, la quale già nel passato aveva chiarito che la devoluzione del gettito al bilancio
regionale, se rileva ai fini della qualificazione del tributo come regionale, è condizione necessaria ma non
sufficiente perché il tributi possa essere considerato come proprio.
68
Analogamente alle imposte sul reddito, l’IRAP è dovuta per periodi d’imposta, a ciascuno dei quali
corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma. Il tributo è determinato applicando al valore della
produzione netta l’aliquota del 3.9%. Nei confronti delle Amministrazioni pubbliche e degli enti pubblici di
cui al d.lgs. n.165/2001, nonché delle Amministrazioni della Camera dei deputati, del Senato, della Corte
costituzionale e degli organi legislativi delle regioni a statuto speciale, l’imposta si applica con l’aliquota
dell’8,5% relativamente al valore prodotto nell’esercizio di attività non commerciali. Per motivi di
semplificazione, i soggetti passivi dell’Irap devono osservare gli obblighi documentali e contabili ai quali
sono tenuti in base alle disposizioni riguardanti l’imposta sul valore aggiunto. Al fine di consentire alle
Regioni l’esercizio dei poteri di controllo, l’Amministrazione finanziaria trasmette a ciascun ente, con
sistemi telematici, le informazioni relative alle dichiarazioni presentate dai soggetti passivi d’imposta.
5. I tributi comunali
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sistema è poi completato con addizionali (si pensi quella sull’imposta delle persone fisiche o
all’addizionale all’accisa sull’energia elettrica), abolita a partire dal 1° gennaio 2012 e sovrimposte (come,
ad esempio la soppressa sovrimposta comunale sugli immobili).
Tra i tributi comunali, quelli insistenti sugli immobili sono sicuramente i più significativi anche in termini di
gettito. Con la legge di stabilità per il 2020, il legislatore ha tentato di dare un nuovo assetto alla materia,
abrogando a decorrere dall’anno 2020 l’imposta unica comunale (IUC) e la TASI, e mantenendo in vita
l’imposta municipale propria (IMU) e la tassa sui rifiuti (TARI). Il legislatore definisce il presupposto del
tributo nel possesso dei fabbricati, ad eccezione dell’abitazione principale, aree fabbricabili e terreni
agricoli, siti nel territorio dello stato, a qualsiasi uso destinati.
La fattispecie si caratterizza per tre requisiti che devono essere presenti insieme:
1. Elemento soggettivo: consistente nel possesso (art. 1140 c.c.).
2. Elemento oggettivo: deve trattarsi di beni immobili.
3. Elemento territoriale: gli immobili devono essere situati in territorio italiano e iscritti in catasto.
Si considerano, invece, non fabbricabili i terreni posseduti e condotti da coltivatori diretti o da
imprenditori agricoli professionali, comprese le società agricole. L’Imu non si applica al possesso
dell’abitazione principale vale a dire l’immobile, iscritto o ascrivibile nel catasto edilizio urbano come unica
unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono
anagraficamente. Soggetti passivi dell’imposta sono i proprietari degli immobili ovvero i titolari del diritto
di usufrutto, uso, e i locatari, nell’ipotesi di concessione del bene in locazione finanziaria. Il tributo, che
ha natura patrimoniale, si applica sul valore del bene. La base imponibile è costituita per i fabbricati del
valore che risulta applicando alle rendite catastali rivalutate del 5% i moltiplicatori suddivisi in relazione
alle diverse categorie catastali stabilite dalla norma.
Alla base imponibile, così determinata, si applica l’aliquota stabilita che, per gli immobili diversi
dall’abitazione principale e fattispecie ad essa assimilate è pari allo 0,86%, per i terreni agricoli è dello
0,76%. I comuni possono aumentare l’aliquota fino all’1,06% o diminuirla fino all’azzeramento.
70
Ai sensi dell’art. 5 comma 2, sono tassabili solo “i messaggi pubblicitari diffusi nell’esercizio di un’attività
economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi ovvero finalizzati a migliorare
l’immagine del soggetto pubblicizzato”.
L’art. 6 comma 1 del d.lgs. n.507/1993, stabilisce che è soggetto passivo dell’imposta, tenuto al
pagamento in via principale, colui che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio
pubblicitario viene diffuso. Il secondo comma prevede, inoltre, che colui che produce o venda la merce o
fornisce i servizi oggetto della pubblicità è solidamente obbligato al pagamento dell’imposta. Sono invece,
estranei rispetto al tributo, mancando qualsiasi collegamento con il relativo elemento oggettivo, coloro
che materialmente eseguono le operazioni di affissione e qualunque altro intermediario. L’imposta sulla
pubblicità è determinata in base alle tariffe stabilite dagli artt. 12,13,14,15 del d.lgs. n.507/1993 in
relazione alla natura ed alle dimissioni del mezzo pubblicitario utilizzato ed in relazione alla consistenza
demografica del Comune in cui il messaggio è diffuso. Prima di iniziare la pubblicità, il soggetto che
detiene a qualsiasi titolo i mezzi pubblicitari è tenuto a presentare all’ufficio comunale competente
apposita dichiarazione tributaria, anche cumulativa per più affissioni. La dichiarazione, redatta sui modelli
predisposti dai Comuni e messi a disposizione degli interessati, deve contenere l’indicazione dei diversi
elementi che rilevano ai fini dell’applicazione del tributo.
E. L’imposta di scopo
L’imposta di scopo (ISCOP), regolata con l’art. 1 comma 146 della l. 27 dicembre 2006, n.296, rientra tra
i tributi che gli enti locali hanno la facoltà e non l’obbligo di adottare. Ai Comuni è, quindi, concessa la
possibilità di istituire attraverso un regolamento comunale l’imposta in esame che, in realtà, costituisce
una sorta di addizionale all’imposizione immobiliare. Va quindi respinta la ricostruzione di una parte della
dottrina, secondo cui la prestazione in esame costituirebbe una sorta di mutuo sia pure generale e
coattivo.
L’accensione di un mutuo o il ricorso al c.d. project financing potrebbero essere, invece, adoperati al fine
di ottenere la liquidità sufficiente a coprire le spese destinate alla realizzazione dell’opera pubblica non
coperte dal provento fiscale. Il ricorso a capitale di terzi per coprire tali costi sembrerebbe essere più
oneroso rispetto alla gestione “in proprio” del tributo di scopo a causa degli interessi e delle commissioni
richieste dagli operatori economici del mercato finanziario.
Rimane, tuttavia, il principale ostacolo che ha impedito un largo utilizzo del tributo: l’obbligo di
restituzione del tributo nel caso di mancato inizio dell’opera entro due anni dalla data prevista dal
progetto esecutivo. L’elemento peculiare dell’imposta di scopo è il vincolo di destinazione gravante sul
gettito del tributo per cui esso dovrà essere esclusivamente utilizzato al dine di coprire le spese per la
realizzazione delle opere pubbliche. Si tratta di opere per il trasporto pubblico urbano, opere viarie, con
l’esclusione della manutenzione straordinaria ed ordinarie delle opere esistenti, di risistemazione di aree
dedicate a parchi e giardini etc.
Il vincolo di destinazione gravante sui proventi dell’imposta di scopo è, inoltre, rafforzato dall’obbligo di
restituzione del tributo in caso di mancato inizio dei lavori relativi all’opera. La norma prevede, infatti,
l’obbligo di rimborso del tributo (senza interessi) qualora i lavori non si avviino entro i due anni successivi
alla data prevista dal progetto esecutivo. Parrebbe, inoltre, che il Comune debba restituire il tributo anche
qualora i lavori non si avviino a causa delle restrizioni di finanza pubblica. Si tratta, a titolo
esemplificativo, del caso in cui l’ente locale una volta incassato il gettito dell’imposta di scopo non possa
utilizzarlo per il pagamento dell’opera pubblica per non superare i limiti imposti dal patto di stabilità
interno.
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L’imposta di soggiorno è un tributo largamente diffuso in Europa, presente in passato anche in Italia, poi
abolito nel 1989 e nuovamente introdotto come tributo comunale di natura facoltativa dall’art. 4 d.lgs. 15
marzo 2011 n.23. in base a tale disposizione, i Comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni, i
Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche e delle città d’arte possono istituire o meno il
tributo, adottando un regolamento istitutivo.
L’imposta colpisce coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul territorio comunale e si applica
in proporzione al prezzo corrisposto, sino a cinque entro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è
destinato a finanziare interventi in materia di turismo. In alternativa all’imposta di soggiorno, la l.26
aprile 2012, n.44 consente di introdurre il contributo di sbarco. Possono avvalersi di tale facoltà i comuni
che hanno sede nelle isole minori e quelli nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con
regolamento, il tributo di sbarco da applicare fino ad un massimo di euro 2.50. il vettore è responsabile
del pagamento dell’imposta, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi, della presentazione delle
dichiarazione e degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale. L’imposta
non è dovuta dai soggetti residenti nel comune, dai lavoratori, dagli studenti pendolari, nonché dai
componenti dei nuclei familiari dei soggetti che risultino aver pagato l’imposta municipale propria e che
non parificati ai residenti.
72
CAPITOLO 14: I NUOVI TRIBUTI
1. Premessa
Il tributo è una prestazione obbligatoria, generalmente richiesta dallo Stato, da ente pubblico o da
pubblica amministrazione, esercizio della potestà di un ente sovrano. All'interno dei tributi si possono
distinguere imposte, tasse e contributi.
I tributi possono essere suddivisi e classificati in tre grandi categorie di prestazioni: Imposte, Tasse e
Contributi.
I tributi locali sono istituiti dallo Stato e sono disciplinati da legge statale, salvo quanto espressamente
rimesso all'autonomia dei Comuni.
I tributi devono essere approvati dal comune entro il termine fissato dalle norme statali per la
deliberazione del bilancio di previsione, come previsto per la generalità dei tributi locali dall'art. 1, comma
169, della legge 27 dicembre 2006.
Pagare i tributi serve per soddisfare i bisogni pubblici di tutti i cittadini. Il contributo di ogni cittadino
permette di accrescere il benessere di tutta la comunità in cui si vive. La condivisione, mediante le tasse,
di parte della nostra ricchezza si definisce solidarietà sociale.
In caso di mancato pagamento dei tributi, il Comune, può richiedere l'esecuzione forzata per il
soddisfacimento del diritto del creditore nei confronti del debitore e ciò può far sì che il tribunale disponga
il pignoramento dei beni del debitore.
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Il tributo non si applica sui prodotti di plastica monouso di natura medica o destinati a contenere o
proteggere preparati medicinali classificati dalla Commissione unica sui dispositivi medici, istituita ai sensi
dell’art. 57 della legge 27 dicembre 2002, n.289 in cui le finalità di protezione della salute appaiono
preminenti. In forza dell’art. 1 comma 637 i soggetti passivi sono individuati distinguendo a seconda
dell’ordine nazionale, europea o extra europea dei prodotti sottoposti a tassazione e precisamente: il
fabbricante, per quelli realizzati nel territorio nazionale, il soggetto che acquista i beni nell’esercizio della
propria attività economica ovvero il cedente qualora i MACSI siano acquistati da un consumatore privato.
Il tributo si caratterizza per una fattispecie a formazione progressiva nel senso che i prodotti in plastica
monouso sono assoggettati ad esso al momento della fabbricazione o dell’importazione divenendo
esigibile al momento dell’immissione in consumo, secondo le norme in vigore al momento della
produzione.
4. La web tax
L’esigenza di introdurre strumenti di prelievo della ricchezza prodotti attraverso la rete è stata oggetto di
studio da parte della Commissione UE la quale ha proposto, sia pure una soluzione provvisoria, un
sistema comune d’imposta sui ricavi derivanti dalla fornitura di alcuni servizi digitali. La proposta si
incentra sul concetto di “creazione di valore” da parte degli utenti. La “soluzione provvisoria” appare
reiterata sui modelli d’impresa e-business nei quali il contributo degli utenti alla creazione di valore è “più
significativo”. L’ISD è un’imposta sui ricavi generati dalla fornitura di determinati servizi digitali,
caratterizzati dal contributo fondamentale della partecipazione dell’utenza all’attività digitale. Vengono,
quindi, assoggettati a tassazione i ricavi generati dalla fornitura di servizi puntualmente indicati dalla
proposta, prodotti col contributo degli utenti. I “servizi imponibili” sono indicati nell’art. 3 comma 1 e
sono catalogabili in servizi pubblicati, servizi di intermediazione e servizi di trasmissione dei dati raccolti
sugli utenti. In merito al meccanismo di applicazione del tributo, L’ISD diviene esigibile nello Stato
membro il giorno lavorativo successivo alla fine del periodo d’imposta, nella misura proposta del 3%. Il
soggetto passivo è tenuto a dichiarare, per ciascuno stato membro, l’importo totale dei ricavi imponibili
che si considerano ottenuti in quello stato, nonché liquidare l’ISD dovuta. L’aliquota proporzionale
stabilita è unica, nella misura del 3% del corrispettivo dovuto, al netto dell’IVA per singola prestazione.
L’imposta si applica soltanto nei confronti del soggetto prestatore, residente o meno, che effettua nel
corso di un anno solare un numero complessivo di transazioni superiore a 3.000 unità.
L’imposta è costruita secondo il modello dell’imposizione indiretta con affinità rispetto all’IVA ed ancor più
all’abrogata IGE: il meccanismo impositivo è infatti strutturato in modo da colpire una manifestazione di
capacità contributiva consistente non solo nel consumo ma nella vendita o nella fornitura di un servizio a
contenuto “elettronico” o “digitale” ad altro operatore economico, restando escluse le prestazioni business
to consumer. Presupposto dell’imposizione è il compimento di “transazioni digitali” relative a prestazioni
di servizi effettuate tramite mezzi elettronici.
74
ritenersi che anche per le unità da diporto utilizzate per lo svolgimento delle altre attività commerciali
individuate dall’art. 2 del d.lgs. n. 171 del 2005, la tassa non è dovuta”.
PARTE TERZA
PROCEDIMENTO, PROCESSO E SANZIONI
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adempimento a cui è tenuto il contribuente. Quest’ultimo piò accettare o modificare la dichiarazione,
resta disponibile direttamente al contribuente mediante i servizi telematici dell’Agenzia delle entrate o,
conferendo apposita delega, tramite il proprio sostituto d’imposta ovvero tramite un centro di assistenza
fiscale.
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CAPITOLO 2: L’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO
1. Introduzione
Nel linguaggio comune, l’espressione accertamenti viene adoperata assumendo la prospettiva finalistica
di ricercare fatti e assicurare certezza agli stessi. Tra le soluzioni prospettate, preferibile è quella che,
considera l’accertamento come una sequenza di atti a composizione variabile orientata all’esatta
determinazione del tributo attraverso l’apprezzamento della fattispecie nella sua dimensione qualitativa e
quantitativa, assicurando così applicazione alla normativa tributaria. L’attività accertativa si sviluppa in
fasi
distinte (investigativa, partecipativa, decisoria ecc.), anche queste diversamente cambiate tra loro, e
sfocia in uno o più atti anche autonomi. Essa compete naturalmente all’amministrazione finanziaria o ad
altro ente impositore cui è demandato il controllo delle dichiarazioni fiscali e degli altri adempimenti dei
contribuenti. L’attuale disciplina risente, della dialettica tra diritti e garanzie del contribuente, resi più
solidi dopo l’approvazione della l. n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) e poteri
investigativi delle autorità fiscali, divenuti ancora più intensi per l’esigenza du contrastare fenomeni
elusivi ed evasivi. Il legislatore, pur avvertendo le finalità di deterrenza sottese alla disciplina dei controlli,
ne coglie i limiti e vi reagisce, promuovendo e potenziando gli strumenti di “cooperative compliance” tra
fiscoe contribuente e lo scambio di informazioni tra le autorità fiscali. Per restituire centralità alla
compliance, particolare rilevanza assume il ruolo dell’amministrazione chiamata a semplificare procedure,
informare e ascoltare il contribuente, operando in modo trasparente e leale.
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Meglio scandagliati dalla dottrina e della giurisprudenza appaiono i poteri di procedere all’esecuzione di
accessi, ispezioni e verifiche, ugualmente suscettibili di comprimere talune garanzie fondamentali oggetto
di tutela (libertà di domicilio, segreto professionale, libera iniziativa economica privata).
Nel bilanciamento tra interesse fiscale e diritti di libertà del contribuente l’art. 12 dello Statuto del
contribuente stabilisce che accessi, ispezioni, e verifiche possono essere effettuati solo nei casi di effettive
esigenze di indagine e controllo sul luogo, per una durata massima e con tempi e modalità prestabiliti,
inoltre, quando inizia la verifica, il contribuente ha dritto ad essere informato delle ragioni che l’abbiano
giustificata, dell’oggetto che la riguarda e della facoltà di farsi assistere da un professionista abilitato
dinanzi alle Commissioni tributarie.
Sulla base delle disposizioni vigenti è possibile individuare più tipi di accesso. Per l’accesso ai locali adibiti
ad abitazione, il legislatore prevede la preventiva “autorizzazione del Procuratore della Repubblica”. In
ogni caso è necessaria l’autorizzazione del Procuratore della repubblica o dell’autorità giudiziaria più
vicina per procedere, durante l’accesso, a perquisizioni personali. Per l’accesso negli studi professionali,
l’autorizzazione del procuratore della repubblica è richiesta solo qualora il professionista eccepisca il
segreto professionale, a tutela di determinate documenti o a salvaguardia di particolari notizie.
La guardia di finanzia coopera con gli Uffici fiscali per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai
fini dell’accertamento dei redditi e per la repressione delle violazioni delle leggi sulle imposte dirette. Al
riguardo, occorre notare che titolare esclusivo dell’azione accertatrice è l’ente impositore, mentre il ruolo
della Polizia tributaria si esaurisce alla fase istruttoria, con l’esercizio dei poteri di collaborazione e
indagine per l’acquisizione di elementi utili per l’accertamento.
L’ispezione può svolgersi seguendo più livello di indagine: quella documentale, finalizzata all’esame di
libri, registri, scritture e documenti la cui tenuta e conservazione sono obbligatorie, al fine di appurare il
grado di coerenza interno del sistema contabile.
Stabilisce infine l’art. 52 del d.P.R. n.633 che “di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da
cui risultino le rilevazioni e le ispezioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e
le risposte ricevute”. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo assiste; il
contribuente ha diritto di averne copia. Il processo verbale di constatazione (PVC), quale atto endo
procedimentale mirante a descrivere fattualmente le attività compiute, i rilievi effettuati e le risultanze
delle indagini, ai sensi dell’art. 2700 c.c., fa piena prova fino a querela di falso con riguardo a fatti e
accadimenti materiali. Esso non è autonomamente impugnabile dinanzi alle
Commissioni tributarie perché privo della natura tipica provvedimentale. Deve tuttavia, riconoscersi che,
proprio in funzione del suo contenuto, le Autorità fiscali, ricorrendone le condizioni di legge, possono
chiedere l’applicazione di misure cautelari sui beni del contribuente (sequestro conservativo).
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- Quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate e le irregolarità formali delle
scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione siano così gravi, numerose e ripetute da
rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse.
- Quando il contribuente non abbia dato seguito agli inviti disposti dagli uffici.
L’art. 39 comma 1, lettera d) prevede, inoltre, un metodo di accertamento intermedio, così detto
analitico-induttivo, che trova applicazione nell’ipotesi in cui l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli
elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risputino dall’ispezione delle scritture contabili e
dalle altre verifiche di cui all’art. 33. In questa ipotesi, l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza
di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi,
precise e concordanti. Queste disposizioni valgono, in quanto applicabili, anche per i redditi delle imprese
minori e per quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni
7. Accertamento d’ufficio
L’art. 41 del d.P.R. n.600/73 prevede l’accertamento d’ufficio nel caso di omissione o nullità della
dichiarazione, potendo in questo caso determinare il reddito complessivo del contribuente sulla base dei
dati e delle notizie, comunque, raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di
presunzioni. Anche per l’accertamento d’ufficio vale il principio della indeducibilità degli oneri.
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Il legislatore tributario, nell’intento di contenere il contenzioso tributario, ha nuovamente introdotto
strumenti di definizione consensuale del rapporto tributario. Dopo le prime esperienze, l’art. 1, d.lgs. 19
giugno 1997, n.218, ha regolato il c.d. “accertamento con adesione”, consentendo la definizione del
rapporto d’imposta in contraddittorii e con adesione del contribuente.
L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad alcuna impugnazione, ne è innegabile o
modificabile da parte dell’ufficio. La definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice,
sia pure entro i termini previsti, a pena di decadenza, se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi. A
seguito della definizione, le sanzioni per le violazioni concernenti i tributi oggetto dell’adesione commesse
nel periodo d’imposta, si applicano nella misura di un terzo del minimo previsto dalla legge.
Secondo quando stabilità dal d.lgs. n.218/97, il procedimento può essere attivato direttamente dall’ufficio
impositore ovvero dal contribuente. Nella prima ipotesi, l’ufficio invia un apposito invito a comparire,
indicato i periodi biposta suscettibili di accertamento, il giorno e il luogo della comparizione per definire
l’accertamento. Nella seconda, il contribuente può presentare istanza quando nei suoi confronti siano stati
effettuati accessi, ispezioni o verifiche ovvero quando abbia ricevuto la notifica di un avviso di
accertamento.
A conclusione del contraddittorio, viene redatto l’atto finale in duplice esemplare, sottoscritto dal
contribuente e dal capo dell’ufficio o da un suo delegato: nel caso di esito positivo del procedimento,
l’atto deve indicare l’importo definito e, separatamente per ciascuna voce, gli elementi e le motivazioni su
cui la definizione si fonda.
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CAPITOLO 3: LA RISCOSSIONE
A. Le ritenute
Nella sequenza delle fasi attuative del tributo, la riscossione costituisce l’attività attraverso la quale il
tributo viene preteso e acquisito direttamente o per conto dell’ente impositore nei confronti del
contribuente. Regolata in larga parte dalla legge (d.P.R. 602 1973).
Il ricorso è sempre più spinto dei sistemi di autotassazione consente di distringere tra riscossione
spontanea e riscossione coattiva: la prima consiste nel versamento del tributo, totale o parziale, da parte
del soggetto obbligato, la seconda viene realizzata attraverso atti autoritativi del soggetto incaricato l’art.
1 d.P.R. 602 stabilisce: ”le imposte sui redditi sono riscosse mediante: a) ritenuta diretta; b) versamenti
diretti del contribuente al cessionario e alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato; c) iscrizione nei
ruoli”.
Il primo strumento è largamente adoperato sia per una più rapida acquisizione dello stesso bilancio dello
stato, sia per prevenire e contrastare l’evasione fiscale. Le ritenute sono prelevate e versate da parte di
colui che paga il reddito nel momento di erogazione.
Esse ricevono una differente disciplina a seconda della natura dei proventi sui quali viene operata, della
natura dei soggetti coinvolti e soprattutto degli effetti che ne conseguono. Sono tenuti ad operare le
ritenute cono obbligo di rivalsa, rivestendo la qualità di sostituti di imposta, gli enti e le società soggetti
ad Ires, le società di persone e le associazioni indicate nell’art. 5, le persone fisiche che esercitino attività
commerciali, agricole o arti e professioni.
Il fondamento della sostituzione appare facilmente identificabile nell’esigenza di rendere più rapida e
sicura l’attuazione della pretesa tributaria, ponendo a carico del soggetto che eroga il reddito l’obbligo di
trattenere nel momento del pagamento la somma relativa, per versarla successivamente all’ente
impositore nei modi previsti.
Si verifica una forma di trasferimento (cessione) di una parte del credito del percipiente verso colui che
eroga il reddito, in conseguenza della quale colui che era debitore nei confronti del soggetto privato
diviene, in quanto sostituto d’imposta, debitore verso l’ente pubblico.
A differenza della ritenuta diretta, nella quale lo stato riscuote direttamente la somma corrispondente
all’imposta dovuta dal percipiente, nella sostituzione, un altro soggetto s’interpone nel rapporto tra il
contribuente e l’ente impositore. Mentre la ritenuta diretta determina l’estinzione del debito d’imposta per
confusione, riunendosi nello Stato le qualità di debitore e creditore, la sostituzione di inquadra fra le
cessioni legali del credito.
B. Versamento diretto
Sono riscosse mediante versamento diretto “le ritenute alla fonte effettuate a norma degli artt. 23, 24,
25, 25-bis e 28 d.P.R. n.600”. Sono riscosse mediante versamento diretto alle sezioni di tesoriera
provinciale dello Stato le ritenute operate dalle amministrazioni della Camera dei deputati, Senato, della
Corte costituzionale e della Presidenza della repubblica e le ritenute alla fonte sui redditi. Oltre alle
ritenute, costituiscono oggetto di versamento diretto le somme dovute a titolo di acconto o di conguaglio
in base all’autoliquidazione effettuata con le dichiarazioni tributarie.
L’art. 17 del d.lgs. 241/1997 in base al quale i contribuenti eseguono versamenti diretti delle imposte sui
redditi, Iva, Irap nonché i contributi previdenziali.
Tali versamenti devono “effettuarsi alle sezioni di tesoriera provinciale dello Stato mediante delega
irrevocabile del contribuente ad una delle aziende di credito”.
In alternativa al versamento diretto, il contribuente può operare la “compensazione”.
Tale fattispecie estintiva, caratterizzata dalla reciproca elisione di poter attive e passive fino all’importo
corrispondente, può assumere due diverse declinazioni: compensazione verticale, ove i reciproci debiti e
crediti siano riferiti allo stesso tributo; compensazione orizzontale, ove gli stessi siano relativi a tributi
diversi.
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L’espressione “ruolo” identifica l’elenco dei debitori e delle somme dagli stessi dovute a titolo di imposte,
sanzioni ed interessi; esso è formato dall’ufficio ai fini della riscossione a mezzo dei concessionario.
Sono iscritte nei ruoli a titolo definitivo:
- Le imposte e le ritenute alla fonte liquidate.
- Le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti
definitivi.
- I redditi dominicali dei terreni e i redditi agrari.
- I relativi interessi, soprattasse e pene pecuniarie.
L’ufficio competente forma ruoli distinti per ciascuno degli ambiti territoriali in cui i concessionari
operano; in ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuente che hanno il domicilio
fiscale nei comuni compresi nell’ambito territoriale cui il ruolo si riferisce. Con la sottoscrizione, il ruolo
diviene esecutivo nei termini previsti dalla legge. L’agente delle riscossione forma la cartella di
pagamento che viene poi notificata al contribuente dagli ufficiali della riscossione, dagli altri soggetti
abilitati ovvero dai messi comunali e dagli agenti della polizia municipale; la notifica, oltre che “in mani
proprie”, può essere eseguita mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento.
Nel caso di mancato versamento del tributo dovuto nel termine di 60 giorni dalla notifica della cartella di
pagamento ha luogo l’esecuzione forzata. Ove non si dia inizio alla procedura esecutiva entro un anno
dalla notifica della cartella di pagamento, è necessario che la stessa sia preceduta dalla notifica di un
avviso contenente l’intimazione a adempiere l’obbligo risultante dal ruolo nei 5 giorni successivi
83
CAPITOLO 4: Le sanzioni tributarie penali e amministrative
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Sono contemplate ulteriori fattispecie delittuose sempre “in materia di pagamento delle imposte”, ovvero
sia: ”omesso versamento di ritenute dichiarate o certificate”, “omesso versamento di iva”, e “indebita
compensazione”, delitti per la cui configurazione è invece richiesto quale elemento soggettivo il “dolo
generico”.
Allo scopo di limitare l’intervento penale ai soli casi maggiormente offensivi per gli interessi dell’erario, il
legislatore tributario ha subordinato la concreta punibilità per i “delitti in materia di dichiararne” al
superamento di determinate soglie di punibilità, riferite all’imposta evasa e/o agli “elementi attivi”
sottratti all’imposizione.
Per imposta evasa si intende la “differenza tra l’imposta effettivamente e quella indicata in dichiarazione,
ovverosia l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal
contribuente”.
Non si considera “imposta evasa” quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a “una rettifica in
diminuzione di perdite dell’esercizio”, “perdite pregresse spettanti e utilizzabili”. Ne consegue che
l’imposta evasa non è più quella teorica derivante dalla violazione accertata, ma quella effettiva dopo il
computo delle perdite stesse. Ai fini della determinazione degli “elementi attivi” sottratti all’imposizione
fiscale, per “elementi attivi” si intendono tutte le componenti comunque costituite o denominate, che
concorrono in sensi positivo (ricavi e compensi, plusvalenze, sopravvenienze attive, dividendi e interessi
ecc.).
Per elementi passivi fittizi il decreto di riforma non lascia spazio a dubbi prevedendo che la parola “fittizi”
sia ora sostituita con “inesistenti”. Ne consegue che nessun costo realmente sostenuto potrà alimentare
l’imposta evasa ai fini penali.
Sempre nella prospettiva della riduzione dell’area dell’intervento penale, si colloca l’innalzamento delle
soglie di punibilità del delitti di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, di “dichiarazione
infedele” e di “omessa dichiarazione”; la riforma del d.lgs. n.158/2015 ha anche rafforzato la componente
“riscossiva” del modello di tutela penale vigente.
In particolare, il riformato art.13, in luogo dell’originaria “circostanza attenuante” del pagamento del
debito tributario, prevede, ora, una “causa di non punibilità” in relazione sia ai diletti di omesso sia in
relazione ai delitti di “dichiarazione infedele” e di “omessa dichiarazione”, consistente nel pagamento del
debito d’imposta unitamente alle sanzioni amministrative e agli interessi dovuti. In ultimo la novella ha
introdotto il nuovo art. 18-bis, relativo alla custodia giudiziale dei beni oggetto di sequestro, nell’ambito
dei procedimenti penali relativi ai delitti tributari, “se diversi dal senato e dalle disponibilità finanziarie,
possono essere affidati dall’Autorità giudiziaria in custodia giudiziale, agli organi dell’Amministrazione
finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative”.
3. La dichiarazione fraudolenta
La dichiarazione fraudolenta è quella redatta sulla base di un impianto contabile artificioso atto a sviare la
successiva attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria o comunque ad avvalorare
“l’inveritiera prospettazione dei dati in essa racchiusa”. Il legislatore ha individuato due fattispecie di
reato: la “dichiarazione fraudolenta su fatture o altri documenti relativi ad operazioni inesistenti” e la
“dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”. La prima fattispecie punisce “con la reclusione da 4 a 8
anni chiunque,
al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni relative alle
suddette imposte, elementi passivi fittizi”.
La novella del 2000 ha introdotto la nuova nozione di “frode fiscale” riferita alla dichiarazione fraudolenta
fondata su falsa documentazione, idonea a fornire una falsa rappresentazione contabile della situazione
fiscale del contribuente. Il secondo comma dell’art. 2 in esame, precisa, che il fatto si considera
commesso avvalendosi di “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.
A norma dell’art.9 lett. b) del richiamato dettato normativo “chi si avvale di fatture o altri documenti per
operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato previsto
dall’art.8”.
Con l’art. 39 del d.lgs. 158, il legislatore, con riferimento alla fattispecie penale di dichiarazione
fraudolenta, eleva la pena edittale a 4 anni nel minimo e 8 anni nel massimo.
Invero, non essendo prevista alcuna soglia di rilevanza penale, la suindicata fattispecie delittuosa può
essere integrata anche da condotte evasive di ridotta entità: tuttavia se “l’ammontare degli elementi
passivi fittizi (inesistenti) è inferire a centomila euro” trova applicazione una pena inferiore rispetto a
quella prevista per il reato base, pari ad un anno e sei mesi nel minimo e a sei anni nel massimo.
Siffatto irrigidimento sanzionatorio viene temperato dall’applicabilità della causa di non punibilità di cui
all’art. 13, comma 2, in caso di pagamento del debito tributario.
85
La seconda fattispecie delittuosa prevista dall’art. 3, rubricata “dichiarazione fraudolenta mediante altri
artifici”, sanziona penalmente chiunque, “compiendo operazioni simulate oggettivamente o
soggettivamente, ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare
l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni
relativa a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo”.
La fattispecie delittuosa richiamata conferisce rilevanza penale a quelle condotte di “frode fiscale”.
Particolare rilevanza anche per la gravità del fenomeno è quello delle “frodi carosello” che si configura
quando un soggetto, residente in un Paese UE, effettua, solo formalmente, cessioni di beni non imponibili
ad un soggetto residente in un altro Stato comunitario, provvedendo, tuttavia, alla spedizione o consegna
dei medesimi ad un soggetto diverso: il rivenditore (c.d. broker).
Quest’ultimo immette i prodotti sul mercato cedendoli o ad un operatore nazionale ovvero ad uno
comunitario, conseguendo in quest’ultimo caso un credito Iva generato da inesistenti acquisti effettuati.
Il d.lgs. n.158/2015 ha integralmente modificato il delitto in parola, semplificando la struttura dell’illecito
tramite l’eliminazione dell’elemento della “falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”.
Invero, dal punto di vista soggettivo, il delitto si trasforma da “reato proprio”, in reato che può essere
commesso da qualunque soggetto tenuto a presentare una dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi o
sul valore aggiunto.
Dal punto di vista oggettivo, è stato espunto uno degli elementi imprescindibili della condotta, ovverosia
la “falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”.
L’elemento che contraddistingue questa ipotesi di reato da quella di dichiarazione infedele è la presenza
di una condotta insidiosa derivante dall’impiego di “artifici idonei ad ostacolare l’attività di accertamento e
a indurre in errore l’amministrazione finanziaria”, quali:
a. Operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente.
b. Altri mezzi fraudolenti idonei.
c. Documenti falsi; il nuovo comma 2 dell’art.3 del d.lgs. n.74/2000 precisa che “il fatto si considera
commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture
contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione
finanziaria”.
La novella ha riformato la parte dedicata alla riscossione delle imposte non versate dal contribuente e le
modalità per aggredire il relativo patrimonio in capo alla persona fisica, attraverso il sequestro preventivo
funzionale alle “confisca per equivalente” e dell’ente collettivo per mezzo del sequestro preventivo
funzionale alla “confisca diretta”. La pena edittale è adatta elevata a 3 anni nel minimo e 8 anno nel
massimo.
5. La dichiarazione infedele
L’art. 4 del d.lgs. 74, rubricato “dichiarazione infedele”, sanziona penalmente chiunque “al fine di evadere
le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette
imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo”.
Con la riforma del 2015 sono state innalzate le soglie di punibilità; l’imposta evasa da 50 mila euro è
stata incrementata a 150 mila euro; mentre il valore assoluto della base imponibile sottratta
all’imposizione è stata anch’essa aumentata da due milioni a tre milioni di euro.
Con la novella del 2019, la pena edittale per la dichiarazione infedele passa a due anni nel minimo e
quattro anni e sei mesi nel massimo. La disciplina del 2019 ha abbassato notevolmente le soglie di
rilevanza penale, aventi oggetto il valore dell’imposta evasa e l’ammontare complessivo degli elementi
attivi sottratti all’imposizione.
Con il comma 1-ter dell’art. 4 che disciplina le valutazioni non punibili, non dando luogo “a fatti punibili le
valutazioni che differiscono in misura inferiore al10 per cento da quelle corrette, se considerate
complessivamente, e non più singolarmente”.
6. L’omessa dichiarazione
L’art. 5, d.lgs. n.74 del 2000, rappresenta l’unico reato “omissivo proprio”, punendo la condotta dei
contribuenti tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi,
all’imposta sul valore aggiunto o di sostituto d’imposta, i quali abbiano omesso tale adempimento al fine
di evadere il tributo.
Con la riforma del 2019, la pena edittale è stata elevata a 2 anni nel minimo e a cinque anni nel
massimo, nei confronti di chiunque “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non
presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte.
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Nel derogare in via generale all’art. 56 Codice penale in tema di tentativo, l’art. 6 del d.lgs. n.74/2000,
stabilisce che le condotte di utilizzazione di fatture o documenti per operazioni inesistenti definite dall’art.
2 “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” e le altre
condotte descritte dagli artt. 3 “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” e 4 “dichiarazione
infedele”, non sono punibili a titolo di tentativo. L’emittente di fatture o altri documenti per operazioni
inesistenti e
chi concorre con il medesimo non sono punibili, a titolo di concorso, con l’utilizzatore della medesima
documentazione fittizia e chi concorre con quest’ultimo non è punibile a titolo di concorso nel reato
previsto dall’art. 8 del medesimo decreto.
Inoltre, le fattispecie delittuose di cui agli artt. 2, 3, 4 e 5 “non sono punibili se i debiti tributari,
comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti”.
A seguito dell’ultima modifica normativa, l’estinzione del debito tributario esclude la punibilità non
soltanto dei reati di omesso versamento delle imposte e di quelli di infedele ed omessa dichiarazione, ma
anche dei reati dichiarativi fraudolenti.
Per quanto attiene al rapporto tra sanzione penale tributaria e sanzione amministrativa, va segnalato il
principio di specialità, che comporta l’abolizione di quello del cumulo. Invero, “quando uno stesso fatto è
punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione
amministrativa si applica la disposizione speciale”; la norma, non chiarisce quale sia la sanzione speciale,
né quella amministrativa. Sembra pertanto che la specialità va individuata caso per caso.
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accertamento. È necessario, in ogni caos, che il contribuente non abbia ricevuto la notifica di un atto di
liquidazione o di accertamento. L’omesso o insufficiente pagamento dei tributi “deve essere seguito
contestualmente alla regolarizzazione del pagamento del tributo o della differenza, quando dovuti,
nonché al pagamento degli interessi moratori calcolati al tasso legale con maturazione giorno per giorno”.
Quando la liquidazione deve essere eseguita, invece, dall’ufficio “il ravvedimento si perfeziona con
l’esecuzione dei pagamenti nel termine di 60 giorni dalla notificazione dell’avviso di liquidazione”. Possono
essere regolarizzate: le imposte dovute a titolo di acconto o di saldo in base alla dichiarazione dei redditi
(Irpef, Ires, Irap); le ritenute alla fonte operate dal sostituto d’imposta, l’imposta sul valore aggiunto
(IVA); l’imposta di registro, l’imposta ipotecaria, l’imposta catastale.
La sanzione è ridotta: ad un decimo del minimo nei casi di mancato pagamento del tributo o di un
acconto, se esso viene eseguito nel termine di 30 giorni dalla data della sua commissione, ad un nono del
minimo se la regolarizzazione degli errori avviene entro 90 giorni dalla data dell’omissione o dell’errore.
Per sanare gli omessi o tardivi versamenti dei tributi, i contribuenti dispongono di diversi tipi di “perdono”
che possono ridurre la sanzione del 30% che, per i versamenti fatti con ritardo non superiore a 90 giorni
è del 15%.
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CAPITOLO 5: IL PROCESSO TRIBUTARIO
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L’art. 12, comma 2 della l.28 dicembre 2001 n.448 ha esteso la sfera di cognizione delle Commissioni
tributarie a tutte le controversie aventi ad oggetto “i tributi di ogni genere e specie comunque
denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario
nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio”.
La giurisdizione della Commissioni tributarie tende così ad atteggiarsi come giurisdizione a carattere
generale ed esclusiva, comprendente qualunque rapporto di carattere tributario, con la sola esclusione
delle controversie relative agli atti dell’esecuzione forzata. Sono invece ricopribili davanti al giudice
amministrativo, a condizione che siano lesivi di un interesse legittimo di cui sia portatore il ricorrente, i
regolamenti e gli atti amministrativi generali in materia catastale, quali, ad esempio quelli recanti la
revisione delle stesse tariffe d’estimo, ovvero quelli adottati dalle Commissioni censuarie territoriali e
centrale.
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eventualmente ritenere opportuno avvalersi dei poteri istruttori di accesso, ispezione e verifica previsto
dalle leggi d’imposta (iva e redditi).
La fase decisoria si completa con l’adozione della sentenza, la quale viene resa pubblica, nel testo
integrale originale, mediante deposito nella segreteria della commissione tributaria entro 30 giorni dalla
deliberazione. l’art. 36 d.lgs. 546/1992, intitolato “contenuto della sentenza”, stabilisce, infatti, che essa
debba contenere l’indicazione della composizione del collegio, delle parti e dei loro difensori abilitati.
Tra le novità più significative del d.lgs. 546/1992 va segnalata la previsione dell’obbligo dell’assistenza
tecnica per le controversie di valore superiore a 3 mila euro.
Superando il principio della gratuità del processo che aveva caratterizzato il sistema precedente, la
riforma del 1992 introduce la condanna alle spese in caso di soccombenza o per responsabilità
processuale aggravata.
7. Reclamo e mediazione
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L’art. 39 comma 9 del d.l. 6 luglio 2011 ha introdotto l’art. 17 bis relativo all’istituto del reclamo
obbligatorio, con la finalità di rendere più spedite le controversie c.d. minori, vale a dire quelle di valore
non superiore a 50 mila euro. La norma pone quale condizione di procedibilità del ricorso, la
presentazione di un reclamo presso l’amministrazione finanziaria da cui promana l’accertamento da
impugnare.
Il reclamo va presentato entro il termine temporale previsto per la preposizione del ricorso giurisdizionale
presso la Direzione provinciale o la Direzione regionale che ha emanato l’atto. La fase successiva è
affidata ad apposite strutture diverse ed autonome. Anche per il reclamo la legge fissa gli elementi
basilari. Esso deve contenere le ragioni di fatto e di diritto per cui si ritiene che l’atto impositivo sia
illegittimo e, in via facoltativa, può contenere una motivata proposta di mediazione. La procedura del
reclamo si deve concludere entro il termine di 90 giorni dalla sua presentazione all’ufficio competente.
All’esito sono possibili diverse soluzioni: in primo luogo il reclamo può essere accolto, con conseguente
annullamento (totale o parziale) in autotutela dell’atto impositivo emesso o adesione alla proposta di
mediazione formulata dal contribuente. Nel caso in cui le pretese del contribuente siano reputate
infondate, non è necessario manifestare espresso provvedimento di diniego poiché il silenzio equivale al
rifiuto dell’istanza.
Col decorso del termine di 90 giorni senza alcun esito per l’instaurata procedura, il reclamo produce gli
effetti del ricorso.
Nelle controversie avanti ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il
versamento entro il termine di 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo tra le parti, delle somme
dovute; nelle controversi aventi ad oggetto la restituzione di somme, la mediazione si perfeziona con la
sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di
pagamento.
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