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Collana di Studi Aziendali Applicati

La Collana di Studi Aziendali Applicati intende perseguire l’obiettivo di rappresen-


tare, in chiave aziendalistica, il passaggio dalla conoscenza, acquisibile attraverso lo
studio e la ricerca teorica di base, alla competenza, generale e specifica, esprimibile
nei vari campi operativi oggetto di studio, di analisi e di approfondimento.
Non v’è dubbio che, nell’intento di superare l’alternativa tra “teoria” e “pratica”,
ogni acquisizione di elementi teorici presenti implicazioni di ordine pratico e che,
viceversa, ogni abilità pratica trovi la sua origine in un determinato contesto teorico,
agendo da esso e su di esso, revisionandolo e modificandolo.
Dalle conoscenze teoriche di base si passa, pertanto, alle competenze, che possono
essere generali, se si è in grado di assumere decisioni in vari contesti specifici por-
tando a soluzione problemi di ampia portata; specifiche, se le decisioni che si vanno
ad assumere sono settoriali e limitate ad un solo campo del più ampio oggetto da in-
dagare.
In ambito aziendale, le conoscenze teoriche di base consentono parimenti di espri-
mere competenze generali, sull’intero sistema oggetto di analisi, ovvero specifiche,
su singole parti (o particolari) di esso.
Ma la conoscenza approfondita, trasformabile in competenza specifica dei subsiste-
mi in cui si scompone l’unitario sistema aziendale, presuppone necessariamente la
conoscenza di base dell’intero sistema, di cui si suppone una data scomponibilità.
Tra la conoscenza e la competenza viene, quindi, ad instaurarsi un circuito virtuoso
che, partendo dal livello della prima, consente di pervenire alla seconda, a sua volta
influenzante e condizionante la prima, con un andamento circolare continuo (teoria-
pratica-teoria).
La valutazione delle competenze non va però limitata alla loro fruibilità in ambito ri-
stretto, ma va intesa nella logica sistemica (conoscenza-competenza delle parti in-
terrelate), implicando processi di sperimentazione, di comprensione, di valutazione,
di decisione e di azione (con un feedback per l’analisi revisionale).
Il connubio tra teoria e pratica – e quindi tra conoscenza e competenza – si presenta
inscindibile e reversibile, per cui il sapere scientifico separato dalle abilità pratiche,
pur costituendo un importante patrimonio culturale del singolo, non concorre, se
non in misura ridotta, allo sviluppo ed alla crescita di un sistema complesso, quale è
quello aziendale.
Da ciò si deduce che il sapere va affrontato partendo dalle abilità/competenze ed av-
viando così il menzionato percorso circolare che dovrà tendere a migliorare la qua-
lità dei due livelli che lo caratterizzano (teoria e pratica), determinando il successo
di qualsivoglia attività economica.
Assunti ed esplicitati i principi teorici di base, condivisi dalla comunità scientifica di
riferimento, i contributi dei vari studiosi e ricercatori, che intendono collaborare per
la migliore riuscita della Collana, saranno incentrati su tematiche operative che con-
sentiranno di reintervenire con il carattere della continuità su tali principi, proceden-
do così alla loro revisione, ed eventuale modifica, per aderire alle mutevoli situazio-
ni ambientali da cui il sistema-azienda trae vitalità e sviluppo.
La Collana presenta, pertanto, il pregio di trattare argomenti teorici di cultura azien-
dale che investono i vari ambiti (organizzativo, strategico, gestionale, informativo,
psicosociologico, linguistico, ecc.), e che si possono tradurre in atti operativi con-
frontabili con le variegate realtà che l’attività dell’impresa sottopone all’attenzione
di studiosi, ricercatori ed operatori del settore. Essa ha, altresì, il vantaggio di acco-
gliere contributi che rappresentino un agile strumento per l’attività didattica che
deve essere sempre più aderente ad una realtà in continua evoluzione.

Giuseppe Paolone
La riforma
del trasporto
pubblico locale
in Italia
nella prospettiva aziendale
Il difficile compromesso
tra economicità aziendale
ed efficacia sociale

a cura di
Armando Della Porta, Antonio Gitto

FrancoAngeli
Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Economia Aziendale
dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara.

Copyright © 2013 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

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INDICE

Introduzione pag. 9
1. Migliorare il servizio di trasporto pubblico locale: cosa
significa?, di Armando Della Porta » 13
1.1. Note introduttive » 13
1.2. Alla ricerca di un difficile compromesso tra economici-
tà aziendale ed efficacia sociale del servizio di trasporto
pubblico locale » 19
1.2.1. Ripartire dall’economicità aziendale » 21
1.2.2. Ripartire dall’efficacia sociale del servizio » 27
1.2.3. Alla ricerca di un compromesso ragionevole » 32
1.3. Il confuso percorso di miglioramento del servizio di
trasporto pubblico locale in Italia » 39
1.3.1. La fase del capitalismo municipale » 40
1.3.2. La fase della regionalizzazione » 40
1.3.3. La ri-centralizzazione » 44
1.4. Considerazioni conclusive » 47
Bibliografia » 50
2. Il trasporto pubblico locale (TPL): il quadro normativo
di riferimento, di Alceste Santuari » 57
2.1. Introduzione » 57
2.2. Il contesto europeo » 60
2.2.1. Il Regolamento (CE) 23 ottobre 2007, n. 1370 » 62
2.3. Il contesto italiano » 65
2.3.1. Legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante “Misu-
re di razionalizzazione della finanza pubblica”
(collegato alla l. finanziaria 1996) » 66

5
2.3.2. D.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, recante “Con-
ferimento alle Regioni ed agli enti locali di fun-
zioni e compiti in materia di trasporto pubblico
locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della l.
15 marzo 1997 n. 59” pag. 66
2.3.3. D.lgs. 20 settembre 1999 n. 400, “Modifiche ed
integrazioni al decreto legislativo 19 novembre
1997 n. 422, recante conferimento alle Regioni
ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia
di trasporto pubblico locale” » 70
2.3.4. La riforma del Titolo V, Parte II della Costitu-
zione » 71
2.3.5. L. 28 dicembre 2001, n. 448, “Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (l. finanziaria 2002)” » 73
2.3.6. L. 11 agosto 2003, n. 218, recante “Disciplina
dell’attività di trasporto di viaggiatori effettuato
mediante noleggio di autobus con conducente” » 74
2.3.7. Art. 14 d.l. 30 settembre 2003 n. 264 (collegato
alla legge finanziaria 2004) » 75
2.3.8. L. 15 dicembre 2004, n. 308, recante “Delega al
Governo per il riordino, il coordinamento e
l’integrazione della legislazione in materia am-
bientale e misure di diretta applicazione” » 75
2.3.9. Le disposizioni del c.d. “pacchetto Bersani” » 77
2.3.10. Le modalità di gestione del TPL a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 199 del
2012 » 77
2.4. L’Autorità di regolazione dei trasporti » 89
2.5. Brevi considerazioni finali » 95
Bibliografia » 96
3. La ricerca dell’efficienza attraverso le riforme, di Mas-
simo Procopio » 98
3.1. Premessa » 98
3.2. L’“evoluzione dell’efficienza” in oltre trent’anni di ri-
forme » 99
3.2.1. Il settore prima della riforma Bassanini-Burlando
(la legge quadro n. 151/1981) » 99

6
3.2.2. La riforma Burlando e l’efficientamento del set-
tore attraverso il superamento dei limiti della
legge n. 151/1981 pag. 104
3.3. La contribuzione pubblica come strumento di promo-
zione dell’efficienza » 112
3.4. L’evoluzione del settore nella sua struttura di mercato
con uno sguardo all’Europa » 114
3.4.1. L’offerta e la domanda di TPL in Italia » 114
3.4.2. Le performance di alcune grandi aziende italiane » 118
3.4.3. Il sistema del TPL italiano nel confronto interna-
zionale » 123
3.5. Considerazioni conclusive » 126
Bibliografia » 127
4. Profili evolutivi dell’imprenditorialità e della manage-
rialità nelle aziende di TPL, di Oddo Bucci e Massimo
Benedetti » 129
4.1. Premessa » 129
4.2. L’imprenditore privato e il manager pubblico: i caratte-
ri originari » 131
4.3. L’evoluzione normativa: cambia la prospettiva
dell’imprenditore e del manager » 137
4.4. Fare l’impresa-rete come obiettivo comune dell’im-
prenditore e del manager » 142
Bibliografia » 146
5. Governare il processo di miglioramento del servizio di tra-
sporto pubblico locale: quali indicazioni dall’esperienza di
deregulation del Regno Unito?, di Armando Della Porta » 147
5.1. Note introduttive » 147
5.2. Governare il processo di miglioramento del servizio di
trasporto pubblico locale: obiettivi e leve » 150
5.3. Governare l’integrazione tra Stato e Mercato nel traspor-
to pubblico locale. L’esperienza della Gran Bretagna » 151
5.3.1. Dal Mercato allo Stato e ritorno: un breve storia
del TPL britannico fino al 1985 » 151
5.3.2. Il Transport Act del 1985 » 154
5.3.3. Il Transport Act del 2000 » 156
5.3.4. Il Transport Act del 2008 » 158
5.4. Gli impatti delle riforme di liberalizzazione » 160
5.5. Conclusioni » 166
Bibliografia » 168

7
6. Oltre la deregulation: rivalutare il Network Planning
come strumento di riposizionamento del servizio di TPL,
di Armando Della Porta e Antonio Gitto pag. 172
6.1. Introduzione » 172
6.2. La tesi dell’inevitabilità del declino del TPL e le sue
conseguenze » 173
6.2.1. Il TPL come servizio sociale » 175
6.2.2. La superiorità dell’auto » 176
6.2.3. La dipendenza da fattori esterni e l’“utopia”
dell’integrazione » 179
6.3. Rivalutare il ruolo della pianificazione integrata come
strumento per riposizionare il servizio di trasporto pub-
blico locale » 180
6.4. Riflessioni conclusive » 191
Bibliografia » 193
7. Pianificare il miglioramento delle performance nelle
aziende di TPL in tempi di crisi: il caso Conerobus
S.p.A., di Antonio Gitto e Armando Della Porta » 197
7.1. Premessa » 197
7.2. Il trasporto pubblico locale analizzato nel suo contesto:
la situazione della Regione Marche » 199
7.3. Migliorare il servizio di TPL nella prospettiva del New
Public Management » 205
7.4. Il caso Conerobus » 207
7.5. L’analisi dei risultati del piano di miglioramento di
Conerobus S.p.A. » 215
7.6. Conclusioni » 220
Bibliografia » 224

8
INTRODUZIONE

Che cosa significa migliorare un servizio pubblico? La risposta non è af-


fatto semplice. La letteratura ci suggerisce che si tratta di un problema con-
troverso, discutibile ed eminentemente politico, la cui soluzione è interpre-
tabile come l’incessante tentativo di “conciliare gli opposti”, di trovare nel
tempo risposte sempre più adeguate a differenti e, spesso, conflittuali inte-
ressi. In tal senso, migliorare significa trovare un bilanciamento, un equili-
brio tra opposte esigenze.
In estrema sintesi, la tensione da comporre è quella tra economicità azien-
dale ed efficacia sociale del servizio, intesa, quest’ultima come idoneità a
soddisfare i bisogni effettivi dell’utenza. Se le aziende pubbliche fossero ca-
paci da sole di risolverla non ci sarebbe affatto bisogno di continue riforme.
Purtroppo non è così. Per una serie di note ragioni, non sono state all’altezza
delle sfide poste dai cambiamenti ambientali. Hanno pensato a massimizzare
la dimensione “sociale” piuttosto che a trovare un ragionevole compromesso
tra outcome e output. Ad essere sacrificata è stata proprio la dimensione
aziendale. L’assenza di pressioni concorrenziali, di meccanismi di perfor-
mance measurement e l’eccesso di controllo politico hanno contribuito ad af-
fievolire la tensione verso l’economicità aziendale. Stessa sorte è toccata al
servizio di trasporto pubblico locale. A differenza degli altri, come, ad esem-
pio, la sanità o l’istruzione, il servizio di TPL appare, però, più ostico da ri-
formare. Le divergenze e i conflitti di interesse sembrano più spiccati. La ra-
gione, sotto certi aspetti, non è così complicata da intuire. I benefici dell’auto
sono evidenti. La libertà di movimento che essa consente è senza pari. I be-
nefici percepiti dai possessori sono ritenuti, purtroppo, ancora maggiori dei
costi che provoca (congestione e inquinamento). Non è facile, quindi, trovare
una risposta al dilemma se sia meglio prendere atto di ciò e, di conseguenza,
ridimensionare il servizio di TPL, oppure riposizionarlo, rilanciarlo con nuo-

9
vi investimenti e con una rinnovata fiducia nella sua utilità. Altri paesi euro-
pei non hanno avuto dubbi e, con molto realismo e senso pratico, hanno scel-
to di “ridimensionarlo” o, meglio, di intraprendere un percorso di riforme
dando precedenza agli obiettivi di efficienza e di ripristino della sostenibilità
finanziaria del servizio. Non che gli obiettivi di outcome, di sostenibilità am-
bientale fossero meno importanti. Più semplicemente, hanno riconosciuto i
fallimenti del monopolio pubblico del servizio (alti sussidi, inefficienza, ec-
cesso di personale e bassa produttività) e, senza dubbi o esitazioni, hanno
tentato di porvi rimedio attraverso le leve della privatizzazione e della libera-
lizzazione per recuperare risorse da reinvestire nel miglioramento della sua
qualità. Sicuramente sono stati commessi degli errori. Per ridurre i sussidi
pubblici, per migliorare l’efficienza e la produttività si sono sacrificati i risul-
tati sociali. D’altronde, c’è sempre un prezzo da pagare. L’importante, però, è
porvi rimedio e non perseverare. Ciò è puntualmente avvenuto perché, a que-
sti “errori” sono seguite delle azioni correttive, con nuove riforme più outco-
me-oriented. Due sono i principali obiettivi di questo lavoro. Da un lato, mo-
strare le difficoltà nel trovare un ragionevole compromesso tra le esigenze di
miglioramento dell’economicità aziendale e le esigenze di miglioramento
dell’efficacia sociale del servizio di trasporto pubblico locale. Dall’altro, mo-
strare l’estrema resistenza mostrata dal nostro paese a sperimentare le riforme
che pure ha varato. Mentre negli altri paesi, una volta deliberate, le riforme si
applicano e si correggono alimentando, così, un ciclo di miglioramento, in
Italia si discutono, si rallentano, si fermano. L’Italia, a differenza degli altri
paesi, non ha, infatti, ancora sperimentato concretamente la deregulation,
non ha ancora recuperato l’enorme gap di efficienza e di produttività che la
distanzia dagli altri paesi. Non ha, purtroppo, intrapreso, un percorso di ap-
prendimento fatto di tentativi ed errori. Non è riuscita a trovare una sintesi
soddisfacente alle contrastanti pressioni sociali ed economiche, ed è rimasta,
per così dire “stuck in the middle”, resistendo in tutti i modi possibili
all’applicazione delle varie riforme che, a partire dal 1981, si sono susseguite
per rendere il servizio di trasporto pubblico locale più efficiente e più finan-
ziariamente sostenibile.
Il volume è organizzato in sette capitoli.
Il capitolo 1, a cura di Armando Della Porta, ha l’obiettivo di illustrare
sia la complessità del processo di miglioramento del servizio di trasporto
pubblico locale, sia l’estrema resistenza mostrata dal nostro paese a speri-
mentare le logiche del New Public Management.
Il capitolo 2, a cura di Alceste Santuari, ha come obiettivo quello di mo-
strare la tortuosa ed impervia via che il nostro legislatore ha scelto per pro-
vare a riformare il servizio di TPL.

10
Il capitolo 3, a cura di Massimo Procopio, ha come obiettivo quello di
provare a fare un bilancio delle varie riforme che si sono avvicendate. Un
bilancio non certamente positivo, fatto di ritardi, continui rinvii e modifiche
che non hanno fatto altro che peggiorare l’efficienza del servizio.
Il capitolo 4, a cura di Oddo Bucci e Massimo Benedetti, ha come obiet-
tivo quello di evidenziare, attraverso una efficace ricostruzione storica, i
contributi che gli imprenditori ed i manager possono dare al miglioramento
del servizio di TPL se solo le autorità politiche fossero più aperte al dialogo
e alla collaborazione.
Il capitolo 5, a cura di Armando Della Porta, ha l’obiettivo di mostrare
quali risultati si sono ottenuti con l’introduzione delle logiche di deregula-
tion, di privatizzazione e di liberalizzazione. Il caso prescelto è quello della
Gran Bretagna che, come è noto, non ha esitato ad implementare i principi
del New Public Management, ma neanche a riconoscerne gli errori e a ten-
tare di porvi rimedio con ulteriori riforme correttive.
Il capitolo 6, a cura di Armando Della Porta e Antonio Gitto, ha
l’obiettivo di mostrare un differente percorso di miglioramento del servizio
di TPL, un modo differente di bilanciare economicità ed efficacia sociale
basato sulla rivalutazione del planning pubblico del servizio e non sul suo
discredito attraverso la promozione a tutti i costi della deregulation e della
concorrenza. Mostreremo quali risultati sono stati raggiunti ponendo come
centrali i problemi dell’integrazione e della coordinazione del servizio ad
opera di un soggetto pubblico responsabilizzato sui risultati.
Il capitolo 7, a cura di Antonio Gitto e Armando Della Porta, mostra, in-
fine, come un’azienda italiana di trasporto pubblico locale, la Conerobus
spa, sta reagendo ai cambiamenti ambientali, come sta cambiando le sue
priorità in risposta alle pressioni esterne.
A conclusione di questa breve introduzione desideriamo ringraziare, ol-
tre i co-authors e i responsabili delle aziende di TPL con i quali abbiamo
avuto vivaci e proficui scambi di idee, i professori Giuseppe Paolone e
Massimo Sargiacomo per il costante incoraggiamento e per i preziosi sug-
gerimenti forniti durante la stesura del presente lavoro. Al professor Paolo-
ne, inoltre, vanno i nostri più affettuosi e sinceri ringraziamenti per averlo
accolto all’interno della Sua prestigiosa collana.

Armando Della Porta e Antonio Gitto

Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti Pescara


Dipartimento di Economia Aziendale
Pescara, settembre 2013

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1. MIGLIORARE IL SERVIZIO DI TRASPORTO
PUBBLICO LOCALE: COSA SIGNIFICA?

di Armando Della Porta

1.1. Note introduttive

Il miglioramento dei servizi pubblici è un tema complesso, in continua e


costante evoluzione. In Italia, in particolare, l’intero settore pubblico, da
oltre un ventennio ormai, appare sommerso da un’ondata riformatrice senza
precedenti (Anselmi, 1995; Sargiacomo, 2000; Meneguzzo, 2001; Anessi
Pessina, 2002; Borgonovi, 2004; Mulazzani, Pozzoli, 2005; Borgonovi,
Fattore, Longo, 2009). Escludendo l’ipotesi di una “schizofrenia” legislati-
va, non ci sarebbe affatto bisogno di continue riforme se i provider pubblici
si adeguassero, motu proprio, in modo efficiente ed efficace ai cambiamen-
ti richiesti (Boyne et al., 2003a). È allo stesso tempo un tema controverso
perché non è facile capire che cosa significa in concreto migliorare un ser-
vizio pubblico. Come sappiamo, i servizi pubblici possono essere migliorati
sotto vari profili (qualità, efficienza, efficacia sociale) e il rischio è quello
di privilegiarne uno (ad esempio l’efficienza) a scapito degli altri (Coda,
1988; Boyne, 2003b; Grossi, Monfardini, Mussari, 2005; Christensen,
Laegreid, 2007; Lonty, Gregory, 2007). In che direzione premono, allora,
tali riforme, allo scopo di vincere le inerzie e le resistenze dei provider
pubblici? La direzione è quella che la letteratura ha già da tempo descritto
come passaggio dal cosiddetto Public Admnistration al New Public Mana-
gement, locuzione, quest’ultima, che esprime l’esigenza di focalizzarsi più
sugli output che sugli input, di prestare attenzione più all’efficienza e alla
soddisfazione dell’utenza che alla conformità formale alle regole giuridi-
che, di affidarsi più agli strumenti di programmazione e controllo della ge-
stione che all’intermittente e variabile volontà politica e, non da ultimo, di
fidarsi meno del presunto ethos pubblico e più dei meccanismi meritocratici
di selezione di personale competente e di valutazione dei risultati ottenuti

13
(Hughes, 1994; Hood, 1991, 2000; Le Grand, 2003; Borgonovi, 2004;
Ashworth, Boyne, Entwistle, 2010).
Se le aziende pubbliche applicheranno tali principi, otterranno, secondo i
loro sostenitori, migliori risultati (Boyne, 2003a,b,c). Tale passaggio, inoltre,
non è che l’inevitabile conseguenza provocata dal venir meno della rigida se-
parazione tra discipline. L’economia e il management, infatti, stanno ormai
affiancando1, non senza problemi (Gray, Jenkins, 1995; Borgonovi, 2006), le
scienze politiche e quelle giuridiche per dare più spazio all’oggettività e al
calcolo rispetto alla soggettività ed all’arbitrio della politica ed all’eccessivo
formalismo delle norme, allo scopo di ridurre le distanze tra il settore pubbli-
co e quello privato solo allo stretto necessario (Boyne, 1996, 2002; Pollitt,
Bouckaert, 2000; Borgonovi, 2004; Borgonovi, Fattore, Longo, 2009).
Con molte difficoltà, soprattutto in Italia (Sargiacomo, 2013), nuovi
meccanismi quali la pressione competitiva e la misurazione dei risultati,
cominciano ad essere utilizzati al posto di quelli cosiddetti tradizionali, ba-
sati, per lo più, sulla fiducia riposta nelle capacità, nelle competenze e, so-
prattutto, nella dedizione e nel disinteresse dei pubblici servitori nel perse-
guire l’interesse generale (Le Grand, 2003). In tal senso, migliorare i servi-
zi pubblici significa, prima facie, provare a restituire maggiore centralità
alla dimensione più trascurata nel passato, ovvero alla dimensione azienda-
le (Paolone, D’Amico, 2001; Cavalieri, 2010), rafforzando, al tempo stesso,
la dimensione politica di indirizzo verso il bene comune attraverso una più
attenta e responsabile attività di regolazione basata più sulle risorse dispo-
nibili e sull’evidenza dei risultati raggiunti che su astratti desiderata (Hood,
2000; Boyne et al. 2003a). Migliorare i servizi pubblici in questa nuova di-
rezione significa, in ultima analisi, dare concreta attuazione ai principi car-
dine della separazione del governo dalla gestione del servizio e della valu-
tazione dei risultati ottenuti (Sargiacomo, 2000; Borgonovi, 2004; Grossi
Mussari, 2004). Ciò allo scopo ultimo di verificare più attentamente
l’equivalenza tra risorse pubbliche erogate e prestazioni ottenute attraverso
l’uso più intenso di meccanismi di feedback.
Il settore del trasporto pubblico locale2 non è sfuggito a tale impeto ri-
formatore (Pezzoli, 2000; Hensher, 2005;Van de Velde, 2008). Un’intensa
1
In Italia le discipline aziendali e manageriali incontrano maggiore difficoltà, rispetto agli
altri paesi europei, a modellare il modus operandi del settore pubblico dove vengono ancora
premiati comportamenti formalmente conformi alle regole giuridiche più che ai risultati decli-
nati in termini di efficienza, efficacia ed economicità (le famigerate 3E) (AA.VV., 2008).
2
Il trasporto pubblico locale è un servizio di trasporto collettivo dei passeggeri che, a
differenza dell’auto e dei taxi che consentono di effettuare spostamenti individualizzati, è
organizzato con orari e percorsi predefiniti in un’area più o meno estesa (bacino di traffico)

14
attività legislativa sia a livello di parlamento comunitario che a livello dei
parlamenti dei singoli paesi sta tentando di accogliere tali nuovi orienta-
menti, non senza esitazioni e resistenze, allo scopo di favorire la nascita di
forme organizzative3 (Van de Velde, 1999) del servizio più results-
oriented, più distaccate dall’ingerenza politica e più in grado di cogliere le
opportunità che il mercato del trasporto collettivo sembra presentare ora più
che in passato. Alcuni autori (Goodwin, 2012; Newman e Kenworthy,
2011), seppure in modo molto prudente, cominciano ad affermare che il
tasso di utilizzo dei mezzi privati, che la cosiddetta dipendenza dall’auto,
ha ormai raggiunto un picco, che è iniziata la discesa e che è finalmente ar-
rivato il momento in cui il trasporto pubblico può tornare ad essere prota-
gonista come lo era stato agli esordi, prima dell’avvento dell’auto di massa.
In molti paesi industrializzati, infatti, l’utilizzo dei mezzi di trasporto pub-

individuata, preferibilmente, non utilizzando criteri di giurisdizione legale (comune, provin-


cia, regione) ma funzionali (densità abitativa, tipologia di domanda). Il trasporto urbano è
progettato per soddisfare i bisogni di mobilità e di accessibilità all’interno della città. A dif-
ferenza del servizio di trasporto extraurbano che copre distanze più lunghe con frequenze
temporali distanziate, il trasporto pubblico urbano deve fare i conti con problemi di frequen-
za ravvicinata e di coordinamento delle corse per ridurre al minimo i tempi di spostamento
se vuole aspirare a competere con il mezzo privato e a risolvere i problemi della congestione
e dell’inquinamento da quest’ultimo provocati. Le difficoltà negli ultimi decenni sono au-
mentate anche in ragione dello sviluppo delle aree suburbane che, da un lato hanno ridotto la
densità abitativa delle aree urbane (spopolamento) e, dall’altro, hanno ampliato le dimensio-
ni del territorio da servire che è diventato, così, da urbano a metropolitano. È questo tipo di
trasporto “allargato” che ha conosciuto più degli altri il declino e che non ha saputo reggere
il confronto con l’auto privata. Inizialmente fornito da privati secondo le leggi del mercato è
stato successivamente considerato di pubblico interesse e, come tale, loro sottratto ed assog-
gettato a forte regolazione e, successivamente, al pieno passaggio nelle mani pubbliche. In
Italia il primo intervento legislativo organico in materia di pubblici servizi risale alla legge
Giolitti del 1903. Si vedano, tra gli altri, MAGGI (2001) e BUCCI (2006).
3
In senso ampio la forma organizzativa fa riferimento alla natura delle relazioni che si
instaurano tra tutti gli attori del network coinvolti nella produzione del servizio. Tali relazio-
ni possono essere di competizione, di cooperazione o gerarchiche. Nel TPL, VAN DE VELDE
(1999) fa una fondamentale distinzione tra Authority Initiative Forms e Market Initiative
Forms, ovvero, tra forme basate su meccanismi gerarchici e forme basate su meccanismi di
mercato. Non considera forme basate su meccanismi di partnership. Le prime, come rileva-
to, utilizzano prevalentemente meccanismi gerarchici. Qui l’iniziativa economica non è libe-
ra. I privati non possono liberamente decidere di offrire il servizio. Tale possibilità deve es-
sere loro concessa (regime concessorio). Le seconde, al contrario, prevedono che i privati
possano liberamente decidere di offrire il servizio di trasporto sulla base di calcoli di conve-
nienza personali e, di conseguenza, tale libertà viene loro riconosciuta attraverso il rilascio
di semplici autorizzazioni (regime autorizzatorio). Nel primo caso il miglioramento deriva
principalmente dalla qualità del disegno, del progetto di servizio elaborato dal soggetto pub-
blico. Nel secondo il miglioramento deriva dall’azione spontanea delle imprese e dalla loro
capacità di individuare e soddisfare i differenziati bisogni di mobilità.

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blico sta dando incoraggianti segnali di crescita. Ciò genera un lieve ottimi-
smo ed una ulteriore spinta ad affrontare con più decisione i complessi pro-
blemi di politica e di gestione del trasporto urbano e metropolitano.
La direzione delle riforme, come anticipato in apertura, è quella di pro-
vare a smantellare il monopolio pubblico del servizio, ritenuto non più ade-
guato ad affrontare le future sfide che attendono il settore del trasporto
pubblico locale (Pashigian, 1976; Lave, 1991; Hibbs, 2000; Beesley, 1997;
Hensher, 2005; Ponti, 2006).
La soluzione individuata è quella della specializzazione, ovvero di sepa-
rare il governo dalla gestione utilizzando meccanismi di mercato (privatiz-
zazione e competizione) e di valutazione delle performance (Demsetz,
1968). Il settore pubblico non potrà, infatti, continuare a fare tutto da solo,
ma dovrà limitare la sua sfera di intervento alla regolazione e al controllo,
rinunciando alla gestione (Shleifer, 1998).
Non è sbagliato qualificare tali riforme come tentativi perché il monopo-
lio pubblico del servizio di trasporto, per certi aspetti, si è rivelato, e si sta
rivelando tutt’ora, non solo difficile da esplorare (Sargiacomo, Gomes,
2011) ma più ostico e refrattario a tali nuovi indirizzi riformatori, rispetto
ad altri servizi, mostrando una più accentuata resistenza al cambiamento
(Cangiano, 2005; Piperata, 2011). Tale resistenza, in parte può apparire
giustificata. Come è noto, i benefici dell’auto privata percepiti dall’utente,
la libertà di movimento che la stessa consente sembrano, nonostante che
alcune ricerche inizino a suggerire il contrario, ancora largamente superiori
ai costi derivanti dal suo uso. Ubels et al. (2010), in particolare, osservano
che «the crux of the problem is that the benefits of car use are very evident
to individuals, whereas the problems are more diffuse, hit others rather than
car users, with some impinging on future rather than current generation».
Per tali ragioni il tema del miglioramento del trasporto pubblico locale «is
not […] favoured by politicians, certainly compared to, for example, educa-
tion and health. For things, to improve significantly, large sums of money
are required, and significant improvements take many years to achieve.
Transport projects can also be controversial and, even where they are gen-
erally accepted, schemes under construction tend to generate hostility at a
local level due to the disruption involved. This unequal conflict between
choosing immediate and tangible personal benefit over a delayed and far
less visible cost to society is behind many of the difficulties faced when
addressing the transport crisis».
Di conseguenza l’utilizzo di meccanismi di mercato non viene ancora
percepito, dagli utenti stessi prima che dai politici e dai provider pubblici,
come una soluzione al problema centrale, che è quello di migliorare la qua-

16
lità della mobilità urbana, ma viene interpretato come un’ulteriore peggio-
ramento della stessa attuato attraverso il mero spostamento delle risorse da-
gli (elevati) salari dei dipendenti (pubblici) e dagli utenti (con biglietti più
cari e con minori servizi) ai profitti delle imprese (Sclar, 2000; Mees, 2000,
2010). Di qui una difesa del monopolio pubblico del servizio non solo da
parte dei provider pubblici (difesa scontata) ma anche da parte degli utenti
che non avvertono come prioritaria l’esigenza di una sua riforma market-
oriented (Mees, 2010). Anche i più ferventi sostenitori della concorrenza
(Hibbs, 2000, 2009; Winston, 2000) non possono non riconoscere, infatti,
che i meccanismi di mercato possono fare ben poco per migliorare la com-
plessa performance del servizio di trasporto. Potranno ridurne i costi attra-
verso la riduzione degli eccessi di personale e di servizio ed introdurre una
maggiore attenzione all’efficienza e, magari, ai bisogni di una particolare
fascia di utenti situati in aree ad elevata intensità di domanda, ma difficil-
mente potranno risolvere da soli il problema della congestione,
dell’inquinamento o della piena copertura delle aree e degli orari a doman-
da debole (Goodwin, 1997). È più difficile, infatti, migliorare gli outcome
rispetto agli output, perché obiettivi ambiziosi come la lotta alla congestio-
ne e all’inquinamento richiedono un’azione concertata più complessa, di
neworking pubblico-privato (Pucher, 1996; Hull, 2005; Barter, 2008; Mees,
2010). Se è vero che gli obiettivi di output sono meno ambiziosi, ciò non
significa che debbano essere considerati come meno importanti o più sem-
plici da trattare (Lave, 1991; Liberatore, 2001). A differenza dei primi, pos-
sono, però, essere raggiunti in tempi più brevi, se affrontati con la giusta
determinazione, consentendo di recuperare non poche risorse che andrebbe-
ro reinvestite nel servizio stesso allo scopo di renderlo più attrattivo (Mele,
2003; Ponti, 2006; D’Amico, Palumbo, 2008).
Come è evidente da queste brevi e frammentarie note introduttive, non è
certo facile trovare una via d’uscita, un punto di equilibrio, per migliorare le
performance di questo particolare servizio. Altri paesi europei hanno evitato
l’inerzia e hanno fatto propria, in modo convinto, la direzione auspicata dai
sostenitori del NPM, che è quella di ripartire dall’efficienza (Savage, 1993).
Con più realismo e senso pratico hanno superato le esitazioni e hanno scelto
di intraprendere un percorso di riforme sulla base dei principi del New Public
Management, dando precedenza agli obiettivi di output, in particolare agli
obiettivi di riduzione dei costi (Buheler, Pucher, 2011) più che di riduzione
della congestione o dell’inquinamento, non perché meno importanti, ma per-
ché realisticamente fuori dalla sfera di influenza e di controllo delle imprese
di trasporto, ed affrontabili solo con il concorso di soggetti pubblici dotati dei
necessari poteri e, soprattutto, di un’autentica volontà di risolverli (Owens,

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1995; Hull, 2005). Hanno riconosciuto i fallimenti di natura economica (La-
ve, 1991; Hibbs, 2000; Winston, 2000) della gestione pubblica del servizio
(alti sussidi, inefficienza, eccesso di personale e bassa produttività) e hanno
tentato di porvi rimedio attraverso le leve della privatizzazione e della con-
correnza (libera o regolamentata) (Van de Velde, Beck, 2010). Sicuramente
sono stati commessi degli errori. Per ridurre i sussidi pubblici ed i costi, per
ripristinare gli equilibri di bilancio, le riforme di liberalizzazione e privatiz-
zazione non hanno fatto abbastanza per migliorare gli outcomes sociali o, ad-
dirittura, li hanno peggiorati (Lonti e Gregory, 2007; Mees, 2010), ma a que-
sti errori sono comunque seguite azioni correttive con nuove riforme più out-
come-oriented. I meccanismi di mercato e la concorrenza sono stati usati, ad
esempio, in modo meno dogmatico. Si pensi, a titolo di esempio, alla ri-
regolazione delle aree metropolitane inglesi, esclusa Londra (Van de Velde e
Wallis, 2013). Sono stati introdotti meccanismi di coordinamento e di part-
nership in grado di migliorare la qualità del servizio e non solo l’efficienza
(Sorensen e Longva, 2011; Hefetz, Warner, 2012). Si è scelto, in sintesi, di
fare un passo alla volta dando priorità al recupero dell’efficienza e
all’eliminazione degli sprechi senza precludere ulteriori possibilità di miglio-
ramento della qualità e della customer satisfaction. Infatti, mentre negli anni
Ottanta l’enfasi era posta prevalentemente sulla deregulation e sulla concor-
renza (Lave, 1991; Hibbs, 2000; Winston, 2000) come strumenti per recupe-
rare efficienza e produttività, ora, dopo anni di sperimentazioni più o meno
riuscite, stiamo assistendo al processo inverso, ovvero l’attenzione si è spo-
stata anche sui temi della qualità del servizio e della sua capacità di dissuade-
re le persone dall’utilizzo del mezzo privato. Solo dopo aver recuperato ac-
cettabili livelli di efficienza e di produttività si è posto il problema successivo
(soprattutto in Inghilterra e in Nuova Zelanda) (Van de Velde, Wallis, 2013)
di come migliorare la qualità e l’attrattività del servizio. Quali sono, allora, i
modi migliori per ri-regolamentare il settore del trasporto pubblico locale
senza, però, perdere i risultati di efficienza e di produttività conseguiti con la
deregulation (totale o parziale) e senza riattivare il famigerato pendolo pub-
blico-privato (Borgonovi e Mussari, 2010) o ciclo regolatorio (Gwilliam,
2008; van de Velde e Wallis, 2013)? È possibile ridurre al minimo il trade-
off tra efficienza e qualità del servizio? Con quali leve? Domande interessanti
come queste purtroppo non possiamo ancora porcele perché, a differenza di
altri paesi, l’Italia non ha ancora sperimentato concretamente la deregulation,
non ha ancora recuperato l’enorme gap di efficienza e di produttività che la
distanzia dagli altri paesi europei (Boitani e Cambini, 2004). Non ha, pur-
troppo, intrapreso un percorso di apprendimento fatto di tentativi ed errori.
Non è riuscita a trovare una sintesi soddisfacente alle contrastanti pressioni

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sociali ed economiche ed è rimasta, per così dire, “stuck in the middle”, resi-
stendo in tutti i modi all’applicazione delle varie riforme che si sono succe-
dute per rendere il servizio di trasporto più efficiente, pur essendo caratteriz-
zata da una difficile, se non disperata, situazione finanziaria (Boitani e Cam-
bini, 2004, 2006; Piperata, 2011). Ha esitato, non ha saputo gestire con deci-
sione, come gli altri paesi europei, la scala delle priorità fissate dai sostenitori
del NPM che, come sappiamo, mettono al primo posto il recupero di livelli
accettabili di efficienza e di produttività (Hood, 1991).
L’obiettivo di questo capitolo introduttivo è di illustrare innanzitutto
quanto sia complesso il processo di miglioramento del servizio di trasporto
pubblico locale e poi l’estrema resistenza mostrata dal nostro paese a spe-
rimentare le logiche del NPM. Il capitolo è strutturato come segue. Nel
prossimo paragrafo tenteremo di spiegare perché il processo di migliora-
mento del servizio di trasporto pubblico locale è così complesso, quali tra-
de-off è necessario affrontare e come provare a risolverli. Ci avvarremo, a
tal fine, delle principali conclusioni cui è giunta la letteratura nazionale ed
internazionale che ha approfondito tali problematiche anche dal punto di
vista empirico, descrivendo alla fine quale debba essere il compromesso
(Gwilliam, 2008; Borgonovi, Mussari, 2010), la sintesi ragionevole neces-
saria per migliorare la complessiva performance di un settore che, per certi
versi, è rimasto troppo a lungo insensibile all’accountability, all’obbligo di
rendere conto dei risultati ottenuti utilizzando risorse pubbliche. In quello
successivo descriveremo le incertezze e le indecisioni del processo di ri-
forma italiana del servizio di trasporto pubblico che hanno alimentato un
pendolo tra “centro” e “periferia”, un rimando e un rinvio di responsabilità
piuttosto che un autentico circolo virtuoso di apprendimento e di migliora-
mento. Alcune osservazioni conclusive chiuderanno il capitolo.

1.2. Alla ricerca di un difficile compromesso tra economicità


aziendale ed efficacia sociale del servizio di trasporto pub-
blico locale

Che cosa significa migliorare un servizio pubblico? Come abbiamo po-


tuto intuire dalle brevi note introduttive la risposta non è affatto semplice.
La letteratura (Boyne, 2003; Borgonovi e Mussari, 2010) ritiene che la so-
luzione vada interpretata come l’incessante tentativo di “conciliare gli op-
posti”, di trovare nel tempo risposte sempre più adeguate a differenti e
spesso conflittuali interessi. In tal senso migliorare significa trovare un bi-
lanciamento, un equilibrio tra opposte esigenze. Boyne (2003) in particola-

19
re, ci ricorda che il miglioramento del servizio alla fine è sempre il frutto di
un temporaneo compromesso tra dimensioni oggettive (costi, qualità, tem-
pi) e soggettive (equità, inclusione sociale e territoriale ecc.) alla luce di de-
terminate circostanze (sociali, economiche, culturali). La tensione da scio-
gliere, in buona sostanza, è quella tra organizational effectiveness (che ha
come oggetto il miglioramento delle performance economico-finanziarie
delle singole aziende, della loro economicità) e public service improvement
(che si concentra soprattutto sui meccanismi per migliorare il servizio in sé
in un’ottica di customer satisfaction).
A tal proposito l’autore osserva che (Boyne 2003b: 213):
• i modelli che esprimono l’idea di efficacia o di economicità aziendale,
che rappresenta il pilastro delle teorie organizzative e manageriali, ten-
dono a concentrarsi sul successo o sul fallimento di singole aziende;
• il servizio pubblico è, invece, un concetto più ampio e complesso che
include altri attori e, soprattutto, i contesti. I servizi sono, infatti, ero-
gati da un network di attori tra di loro connessi da sistemi di relazioni
di varia natura (gerarchici, di competizione, di collaborazione);
• i beneficiari delle azioni di miglioramento del servizio sono soprattutto
gli utenti. L’obiettivo generale è quello di innalzare, attraverso il mi-
glioramento del servizio, determinati standard di vivibilità (di salute,
di mobilità, di istruzione) anche se questo innalzamento potrebbe peg-
giorare l’economicità dei singoli provider anche a causa di variabili
esterne di contesto che sfuggono al loro controllo e che, per una serie
di motivi, sono costretti a subire, non potendo scegliere, come le im-
prese, di abbandonare tali ambienti sfavorevoli.
Ne segue che economicità aziendale ed efficacia sociale del servizio sono
due concetti distinti e non necessariamente procedono nella stessa direzione
(Borgonovi, 2004; Cavalieri, 2010; Borgonovi e Mussari, 2010). Alcune
aziende possono migliorare la loro economicità ma l’efficacia sociale del
servizio può peggiorare, come accennato sopra, a causa di numerosi problemi
(es. cattivo servizio derivante dall’assenza di coordinamento, di collabora-
zione, dall’elevata conflittualità tra gli stakeholder, dalle specifiche caratteri-
stiche di determinati contesti che potrebbero rivelarsi particolarmente ostili
sotto molteplici punti di vista – si pensi, ad esempio, alla difficile lotta contro
l’evasione tariffaria nel servizio di trasporto pubblico nel nostro paese). In
sintesi, il miglioramento del servizio pubblico è un concetto dinamico e va-
riabile nel tempo, ha a che fare con l’innalzamento di determinati standard,
pone problemi di equità ed, infine, tende ad esprimere la performance di net-
works di attori diversi piuttosto che di singole aziende (Boyne, 2003b). Se è
vero che economicità aziendale ed efficacia sociale sono concetti distinti, ciò

20
non può e non deve rappresentare comunque un alibi per aumentare le di-
stanze tra i due. Come sappiamo, gli obiettivi del NPM non sono quelli di di-
sconoscerne la distinzione ma di ridurne al minimo la distanza (Boyne, 2002;
Talbot, 2010). Nello specifico del trasporto pubblico locale le distanze da ri-
durre, le opposte esigenze da conciliare sono, da un lato, le ragioni aziendali
del miglioramento dell’economicità (miglioramento dell’efficienza, della
produttività e degli equilibri economico-finanziari delle singole aziende) e,
dall’altro, le ragioni politiche del miglioramento dell’efficacia sociale del
servizio e che vedono nel miglioramento degli outcomes socio-ambientali
(riduzione della congestione, incremento dell’accessibilità, riduzione dei
tempi di spostamento, riduzione dell’inquinamento), la principale ragione di
esistenza del servizio stesso (Van de Velde, 1999; Hensher, 2005; Ponti,
2006). Migliorare il servizio di trasporto pubblico significa, quindi, riuscire a
trovare una soluzione che riesca a conciliare output e outcome, ad individuare
un punto di equilibrio tra esigenze politiche di miglioramento degli standard
del servizio ed esigenze aziendali di rispetto degli equilibri economico-
finanziari, che riesca, in buona sostanza, ad eliminare tutti quei costi non ne-
cessari per raggiungere le finalità sociali che ne giustificano l’esistenza (Ca-
valieri, 2010).

1.2.1. Ripartire dall’economicità aziendale

Ripartire dall’economicità aziendale, dal miglioramento dell’efficienza,


della produttività e degli equilibri economico-finanziari significa restituire
libertà decisionale agli imprenditori togliendola ai decisori e manager pub-
blici attraverso la deregulation e l’introduzione di meccanismi di mercato
(Hood, 1991; Hibbs, 2000, 2009; Winston, 2000). Secondo i fautori del
New Public Management, organizational effectiveness e public service im-
provement, ovvero economicità aziendale ed efficacia sociale del servizio,
in determinate condizioni ambientali non necessariamente sono in contrasto
tra di loro perché attraverso i meccanismi di mercato, gli obiettivi persegui-
ti diventano più chiari, così come i rischi che si corrono se non si riesce a
centrarli. L’eliminazione di vincoli regolativi e la restituzione delle leve de-
cisionali alle imprese in merito alle tariffe, ai percorsi ed agli orari, in parti-
colare, diventano decisivi sia per la eliminazione dei costi non necessari
che per favorire l’innovazione e la crescita del mercato degli utilizzatori
(Jakee, Allen, 1998). Ciò perché il rischio connesso alla libertà d’intrapresa
spingerebbe le imprese a formulare in modo più realistico, chiaro e, soprat-
tutto più in sintonia con le esigenze e i variegati bisogni di mobilità degli

21
utenti, gli obiettivi da perseguire, pena l’esclusione e la perdita dei capitali
investiti. Attraverso la restituzione delle leve decisionali agli imprenditori a
migliorare non sarebbe solo l’efficienza ma, soprattutto, la capacità di indi-
viduare e soddisfare la domanda. Van de Velde (1999), infatti, ritiene cen-
trale mettere al centro non solo il problema di come ridurre i costi, sicura-
mente importante, ma anche quello di introdurre meccanismi in grado di
rivelare e far emergere la complessa domanda di mercato:

If route by route tendering systems as used in Scandinavia and London have


indeed shown their adequacy in improving productive efficiency, they have
however not led significantly more passengers, even if their performance in this
respect seems at a macro level to be better than of free competition as imple-
mented in the rest of Great Britain. Without refuting the importance of imple-
menting mechanism designed to tackle productive inefficiencies – which them-
selves often result from regulatory failure – we would like to put forward that
more attention should be paid to the implementation of mechanisms that will
reveal true market demand (1999: 147)

In termini più generali, alla luce delle precedenti considerazioni, pos-


siamo rilevare come il New Public Management (Hood, 1991) pur avendo
molti difetti, non ultimo quello di avere la pretesa di offrire una nuova one
best way per migliorare la performance dei servizi pubblici, in grado di
conciliare output e outcome attraverso i meccanismi di mercato e di scelta
(Le Grand, 2003), ha comunque il pregio di focalizzare l’attenzione sui
problemi gestionali delle singole aziende pubbliche. Queste ultime, infatti,
non possono più continuare ad essere considerate come meri strumenti di
perseguimento dell’interesse pubblico (outcome), come mere aziende di
erogazione, ma come aziende di produzione a tutti gli effetti (Cavalieri,
2010) che devono prendersi cura di sé stesse (output) adottando processi
decisionali più razionali per utilizzare al meglio le scarse risorse disponibili
(Borgonovi, 2004; Sargiacomo, 2005). Come possono, infatti, realistica-
mente conseguire obiettivi di outcome se non sono finanziariamente ed
economicamente sostenibili (Buheler e Pucher, 2010)? In questa prospetti-
va la soluzione, per certi versi drastica, suggerita dai sostenitori del NPM,
come visto, è quella di rompere con il passato, di “smantellare” il monopo-
lio pubblico, o addirittura di considerare il TPL non più come public utility
(Hibbs, 2009), e di restituire libertà decisionale alle imprese perché riten-
gono improbabile che le aziende pubbliche riescano a trasformarsi in
aziende di produzione attente all’efficienza e ai bisogni dell’utenza (Win-
ston, 2000). Il monopolio pubblico, si sostiene, è fonte di inefficienze, scar-
sa qualità e necessita di continue iniezioni di risorse pubbliche per ripianare

22
le perdite che esso stesso genera alimentando un circolo vizioso difficile da
interrompere e non più finanziariamente sostenibile, anche alla luce della
grave crisi economica che ha investito, soprattutto, l’occidente. Secondo
questa prospettiva l’origine di tutti i problemi sembrerebbe risiedere nella
proprietà pubblica. Da un punto di vista teorico è noto come gli economisti
da sempre fatichino a comprendere i vantaggi della proprietà e della gestio-
ne pubblica rispetto alla regolazione della produzione di servizi pubblici
affidata a privati (Pashigian, 1976). Shleifer (1998) sottolinea che quando il
governo sa quello che vuole può utilizzare un contratto. Se è preoccupato
per situazioni di monopolio e per problemi di prezzi può ricorrere alla rego-
lazione. Se il governo non è in grado di sapere esattamente ciò che vuole
(teoria dei contratti incompleti) deve capire quale assetto proprietario sia
più incentivante per la produzione di quegli elementi della performance non
conoscibili in anticipo (qualità, efficienza, innovazione). La proprietà pub-
blica, teoricamente, potrebbe rivelarsi un assetto non incentivante perché i
manager ottenendo solo una piccola frazione dei miglioramenti che produ-
cono non hanno gli incentivi adatti per innovare e per essere sempre più ef-
ficienti4. Nel corso degli anni, infatti, la quota di mercato del servizio di
trasporto pubblico si è ridotta drasticamente e l’aumento dei sussidi pubbli-
ci, sia in conto capitale che in conto esercizio, ha finito con il provocare so-
lo un aumento dei costi ed una caduta della produttività delle aziende pub-
bliche titolari esclusive del servizio (Lave, 1991; Viton, 1988; Obeng,
2011) piuttosto che stimolare la ricerca di soluzioni innovative in grado di
soddisfare le variegate esigenze di mobilità degli utenti. Numerose aziende
pubbliche di trasporto in tutto il mondo soffrono, infatti, di bassa produtti-
vità, di alti costi, di bassi ricavi tariffari e di ingenti sussidi pubblici.
L’ulteriore elemento che peggiorerebbe il già non florido quadro appena
descritto è stato unanimemente individuato nel meccanismo dell’in house
providing, ossia, nell’assegnazione diretta del servizio, priva di meccanismi
di incentivo e di controllo dei risultati (Boitani e Cambini, 2004; Ponti
2006; Van de Velde, 2008; Piperata, 2011). Se, come visto, la proprietà
pubblica di per sé non è un assetto incentivante, l’assenza di meccanismi di

4
Non vanno dimenticati però anche i maggiori costi di transazione legati all’opportunismo
che i privati potrebbero provocare. Più in generale il principio di fondo è quello di procedere ad
un rigorosa comparazione dei costi e dei benefici che si possono ritrarre dall’uso del mercato
senza escluderlo a priori. Ma per fare ciò occorre rimuovere legislativamente il monopolio
pubblico del servizio. Rimozione alle barriere all’ingresso (sia nella forma della concorrenza
nel mercato che in quella della concorrenza per il mercato), privatizzazione e regolazione pub-
blica sono, quindi, i tre punti principali che la teoria economica prevede come condizioni ne-
cessarie per attivare un processo di miglioramento.

23
valutazione dei risultati connessa all’assegnazione diretta del servizio rap-
presenterebbe la classica goccia che fa traboccare il vaso. L’in house provi-
ding, ha radici e motivazioni storiche ben precise (Laghi, 1919; Dall’Alpi,
1928) che ora, però, non sussistono più. Nel passato i privati, soprattutto in
Italia, non erano in grado, per ragioni di ridotta dimensione aziendale, di
garantire l’esistenza di un servizio di trasporto pubblico con determinate
caratteristiche e finalità (Grossi e Mussari, 2004). Le aziende pubbliche
municipalizzate (legge Giolitti del 1903) hanno rappresentato, quindi, un
passaggio obbligato, che ha dato per un lungo periodo di tempo risultati po-
sitivi. Ora le condizioni sono mutate. Il possesso diffuso dell’auto di massa
ha reso meno urgenti le finalità originarie di inclusione sociale e territoriale
e non ha più molto senso continuare a inseguire costosi ed inutili progetti di
piena copertura del territorio (Walker, 2008). Anche a causa della grave
crisi che stiamo attraversando, che ha ridotto la disponibilità di risorse pub-
bliche, diventa centrale recuperare e utilizzare le scarse risorse verso la so-
luzione dei nuovi problemi che si sono venuti a creare per effetto, questa
volta, dell’eccesso di auto private in circolazione (congestione) (Owens,
1995; Goodwin, 1997). Di conseguenza i temi dell’efficienza e della pro-
duttività non possono più passare in secondo piano e continuare ad essere
sacrificati sull’altare di obiettivi non più rilevanti. Il tema della sostenibilità
finanziaria del servizio (Golinelli, 1986; Pucher e Buheler, 2010) non può,
quindi, continuare ad essere ignorato ed occorre trovare soluzioni in grado
di ridurre il più possibile la dipendenza (patologica) dello stesso dai sussidi
pubblici (Obeng, 2011). Pertanto, bisogna prendere atto del fallimento del
settore pubblico nell’individuare e nel soddisfare, in modo efficiente, i
nuovi bisogni di mobilità (Winston, 2000) e trovare nuove vie d’uscita spe-
rimentando gli effetti derivanti dall’introduzione di meccanismi di mercato.
Ciò in quanto l’interesse pubblico nel servizio di trasporto, come detto, non
è più tanto quello dell’inclusione sociale e territoriale come era, invece, nel
passato, prima dell’affermazione dell’auto di massa. Ora il paradigma è
cambiato (Marletto, 2004). L’interesse pubblico è più legato ai problemi
della sostenibilità finanziaria e della lotta alla congestione e
all’inquinamento, attraverso l’adozione di misure di disincentivo all’uso del
mezzo proprio (Owens, 1995; Sargiacomo, 2004, 2005). L’interesse pub-
blico, in sostanza, è rivolto a sperimentare soluzioni in grado di convincere
gli utenti a non utilizzare le auto (Kenworthy e Laube, 1999; Banister,
2005). Da ciò deriva che le leve del miglioramento della produttività del
servizio, dell’incremento della frequenza delle corse, del potenziamento
della capacità di attrarre domanda attraverso una gestione più flessibile del
personale di guida e più innovativa da un punto di vista imprenditoriale, in

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grado di individuare e soddisfare con formule nuove i complessi e diversi-
ficati bisogni di mobilità, diventano centrali per conseguire tali obiettivi.
Per affrontarli e risolverli, i sostenitori del NPM nel settore del trasporto
(Hibbs, 2000; Winston, 2000; Boitani e Cambini, 2004; Ponti, 2006) riten-
gono, in via di principio, che solo imprenditori incentivati e più liberi di
utilizzare tali leve gestionali, unitamente a meccanismi di road pricing,
piuttosto che ambiziosi e, soprattutto, costosi (e mai concretamente realiz-
zati) piani integrati di trasporto da parte di decisori pubblici, siano una so-
luzione realisticamente praticabile in grado di conciliare le opposte esigen-
ze. Il trasporto pubblico teoricamente può soddisfare congiuntamente obiet-
tivi di sostenibilità finanziaria (output) e di lotta alla congestione (outcome)
solo se gli utenti lo utilizzano. Ciò può apparire come ovvio, ma in realtà, e
persino nei bacini ad alta densità di popolazione, dove il potenziale di uti-
lizzo del servizio è molto alto, i servizi di trasporto attuali sono progettati
più per rispondere ad esigenze di inclusione sociale di determinate catego-
rie di utenti (pendolari, anziani e studenti) che ad incrementare il numero di
passeggeri (Walker, 2008). La soluzione, pertanto, è quella di riconoscere
che esistono obiettivi differenti per contesti o bacini differenti. Gli obiettivi
di efficacia sociale che spesso si assegnano alle aziende di trasporto in real-
tà sono tra di loro differenti e non omogenei. Un cosa è la lotta alla conge-
stione e all’inquinamento e una cosa è la copertura di zone a bassa densità.
Fare chiarezza sugli obiettivi da assegnare al servizio contribuirebbe anche
a fare chiarezza circa i modi di copertura finanziaria più adeguati dello
stesso. Walker (2008) in particolare ha proposto di esprimere in modo più
chiaro gli obiettivi assegnabili alle aziende di trasporto ricorrendo ai con-
cetti di patronage e di coverage. L’obiettivo di patronage, ovvero
l’obiettivo di attrarre il maggior numero di utenti potrebbe rendere compa-
tibile la dimensione aziendale dell’equilibrio economico-finanziario con
quegli obiettivi sociali finalizzati a migliorare la vivibilità dei centri urbani.
Tali obiettivi più ambiziosi di patronage, ossia di incremento del numero di
passeggeri con la conseguente riduzione delle auto private, potrebbero esse-
re perseguiti direttamente dalle imprese attraverso il meccanismo della libe-
ra concorrenza (van de Velde e Beck, 2010). Laddove esistano le condizio-
ni (alta densità, elevata domanda e atteggiamento collaborativo delle istitu-
zione pubbliche) le imprese potrebbero offrire il servizio in concorrenza tra
di loro e a costi più bassi, soddisfacendo in modo più adeguato la comples-
sa domanda di mobilità. Gli obiettivi sociali di riduzione dell’inquinamento
e di lotta alla congestione e di riduzione del numero delle auto in circola-
zione si possono raggiungere, infatti, solo se le persone utilizzano in modo
massiccio il trasporto pubblico e, allo stesso tempo, sono dissuase dall’uso

25
del mezzo privato con apposite politiche pubbliche (road pricing, riduzione
dei parcheggi, compact cities). E le persone lo utilizzeranno solo se sarà un
servizio di alta qualità, con elevate frequenze e possibilità di scambi, con
corsie dedicate che le autorità pubbliche dovranno rendere disponibili. Li-
beralizzazione e partnership tra pubblico e privato potrebbero essere, quin-
di, la direzione da seguire per recuperare insieme efficienza e qualità del
servizio. Può apparire strano ma, lo ripetiamo, la maggior parte dei servizi
di trasporto esistenti assorbono enormi risorse per raggiungere finalità non
del tutto chiare e soprattutto differenti da quelle appena elencate.
In sintesi il rimedio offerto dai sostenitori del New Public Management
è quello di:
• far funzionare meglio i mercati e la concorrenza, lasciando ad im-
prenditori motivati, che rischiano il capitale proprio, il compito di far
emergere e soddisfare la vera domanda di mobilità e di eliminare le
inefficienze interne provocate dalla gestione pubblica (scarso con-
trollo dei costi, espansioni ingiustificate del servizio e del personale e
non adeguamento delle tariffe ai costi) che sono alla base degli ele-
vati sussidi pubblici, delle continue ricapitalizzazioni delle aziende di
trasporto pubblico locale e, non da ultimo, dell’insoddisfazione
dell’utenza. In tal modo si ridurrebbe drasticamente il bisogno di
sussidi pubblici rendendo il servizio più autosufficiente da un punto
di vista economico-finanziario;
• sollecitare il soggetto pubblico ad occuparsi meno di gestione e più
di regolazione e di collaborazione (“steering not rowing”, Barlow e
Rober, 1996) con le imprese private attraverso azioni decise di con-
tenimento dell’uso dell’auto privata (road pricing, riduzione dei par-
cheggi, blocco alla crescita delle aree suburbane, creazione di par-
cheggi esterni di scambio, divieti interni di circolazione, ZTL ecc.);
• utilizzare responsabilmente risorse pubbliche (attraverso meccanismi
trasparenti di selezione – gare – del best provider associati a perfor-
mance contracts) (Hensher, 2005), per perseguire obiettivi di cove-
rage, ovvero di offrire il servizio di trasporto nelle aree a più bassa
densità o negli orari cosiddetti “di morbida” dove la domanda è ri-
dotta, riducendo al minimo l’utilizzo di forme inefficienti e costose
come gli affidamenti diretti.

26
1.2.2. Ripartire dall’efficacia sociale del servizio

Rimettere al centro il miglioramento dell’efficacia sociale del servizio,


dell’innalzamento degli standard qualitativi dello stesso, significa afferma-
re, sostanzialmente, che il servizio di trasporto pubblico non diventerà più
attrattivo, non genererà più ricavi da traffico, non incrementerà il numero
dei passeggeri e non ridurrà il fabbisogno di sussidi solo perché sarà diven-
tato più efficiente attraverso i meccanismi della privatizzazione e della libe-
ralizzazione (Mees, 2000, 2010; Barter, 2008; Sclar, 2000).
I principali punti critici sono, in sintesi, i seguenti:
• l’efficienza rappresenta una priorità sbagliata per il servizio di traspor-
to pubblico e, in ogni caso, la questione non può essere impostata a li-
vello di singole aziende (organizational effectiveness) ma ad un livello
più elevato (service network) perché occorre tenere conto dei costi di
coordinamento e di integrazione della rete del servizio (Pucher, 1996;
Sclar, 2000);
• il coordinamento è necessario perché la differenza tra obiettivi di pa-
tronage e di coverage non è così netta come può sembrare a prima vi-
sta. Anche in aree ad alta densità di popolazione esistono problemi di
ridotta domanda di servizi di trasporto. Il rischio è quello di incremen-
tare l’efficienza riducendo il servizio eliminando, soprattutto, le linee a
bassa domanda e, con esse, il personale addetto ed i loro salari. Sman-
tellare una rete integrata riducendola ad una somma di linee redditizie
snaturerebbe la ragione principale di esistenza del servizio stesso che è
quella di consentire la mobilità delle persone in un’area e non tra una
singola origine ed una singola destinazione. Una mossa di tal genere
ridurrebbe l’attrattività complessiva del network aumentando la conge-
stione. Si ridurrebbero, ma solo in teoria, i costi di produzione del ser-
vizio (costi interni) ma aumenterebbero esponenzialmente i costi
esterni dello stesso (Mees, 2010; Sclar 2000; Barter, 2008);
• che gli elevati sussidi non sono tanto, o meglio non sono solo, da attri-
buire a fattori interni aziendali e politici (inefficienza delle aziende
pubbliche, tariffe non adeguate) ma a fattori esterni ambientali sfavo-
revoli che ampliano la dimensione del territorio da servire (suburba-
nizzazione), riducono la velocità commerciale dei mezzi pubblici e la
loro attrattività (congestione causata dall’incremento del reddito di-
sponibile per acquistare auto di proprietà, dal cambiamento negli stili
di vita ecc.) imponendo più alti costi di programmazione e gestione del
servizio (incremento del numero delle corse, degli autobus e degli au-
tisti). Si tratta, quindi, di costi interni di produzione più alti provocati

27
da avverse condizioni ambientali e finalizzati a ridurre e/o contenere i
costi esterni (Taylor et al., 2009; Marletto, 2004);
• che la trasformazione del servizio di trasporto da input a result-
oriented è molto più complessa e non può essere risolta solo guardan-
do in basso, verso le aziende mettendole in concorrenza le une con le
altre per ridurre i soli costi riducibili (quelli del lavoro), ma, semmai,
in alto, verso le istituzioni che ne hanno la responsabilità della pianifi-
cazione e del governo (Stanley e Smith, 2013). Come fa ad essere at-
trattivo e performante un servizio di trasporto non integrato e non
coordinato negli orari, nelle frequenze, nelle tariffe come è, appunto,
quello prodotto dalla mano invisibile del mercato?;
• che il trasporto pubblico dovrebbe essere considerato prioritariamente
come una risorsa, come un investimento per ridurre le esternalità nega-
tive prodotte dalle auto private e per aumentare l’efficienza e la com-
petitività dei territori e non solo come un costo interno da ridurre
(Owens, 1995; Goodwin, 1997; Sclar, 2000);
• che i meccanismi di mercato invocati alla lunga finiranno per ridurre la
qualità e la quantità dei servizi di trasporto, aumentarne i prezzi per
l’utenza senza risolvere i problemi di riduzione dei costi esterni pro-
dotti dalle auto. Non bisogna, infatti, dimenticare le leve
dell’opportunismo e del potere che il privato non esiterebbe ad aziona-
re (Sclar, 2000; Gomez-Lobo, 2007; Mees, 2010).
In sintesi i punti deboli dell’introduzione di logiche di libera concorren-
za nel settore del trasporto pubblico locale, così come auspicato dai sosteni-
tori del NPM, risiedono nel fatto che i bisogni di mobilità che le imprese
soddisfano non sarebbero più quelli della comunità ma dei singoli clienti
cui si rivolgono, quelli che, in buona sostanza, non hanno altre alternative
che prendere il mezzo pubblico (cosiddetti utenti captives) (Mees, 2010).
Le imprese non hanno la forza di far crescere la dimensione del mercato
degli utenti ma la loro, attraverso processi di fusione e incorporazione fi-
nendo per diventare monopoliste od oligopoliste e imporre altri prezzi. I
“giganti” sarebbero si in grado di servire un’utenza in crescita ma solo se lo
Stato li aiuta con politiche ambientali di restrizione dell’uso della macchina
(road pricing) e con scelte urbanistiche che riducono l’espansione delle
aree suburbane (compact city)5. Consapevoli di non possedere la forza ne-

5
È questa la tesi principale di quegli studiosi che ritengono inefficace la leva del miglio-
ramento della qualità del trasporto rispetto a quella della progettazione delle città in modo
compatto (compact city). È evidente la facile obiezione che nel breve termine è impossibile
cambiare l’assetto urbanistico, è impossibile svuotare le aree suburbane e ripopolare il cen-

28
cessaria a far crescere il mercato con la sola leva del servizio (Tas, 2010)
usano la leva del prezzo per fare profitti (una volta eliminata la concorrenza
attraverso processi di incorporazione), nei confronti di coloro che non pos-
sono farne a meno e comunque solo sulle linee più redditizie (cherry pic-
king) allo scopo di assicurare adeguati ritorni ai loro investimenti. Le im-
prese non hanno la forza di rimuovere i vincoli strutturali che impediscono
al TPL di essere pienamente utilizzato (Taylor et al., 2009) e di conseguen-
za sfruttano opportunisticamente l’esistente, attivando processi di crescita
dimensionale e aspettando che lo Stato, rivedendo le proprie scelte di poli-
tica urbana e ambientale, le favorisca in qualche modo (Mees, 2010).
Ripartire dall’efficacia sociale del servizio significa affermare, in genera-
le, che i requisiti del coordinamento e dell’integrazione del servizio di tra-
sporto sono determinanti per la sua funzionalità e di conseguenza le decisioni
sui prezzi, sugli orari e sulle frequenze non possono essere lasciate libera-
mente alle imprese. Fare affidamento sulla regolazione centralizzata signifi-
ca, quindi, aspettarsi che la qualità del servizio di trasporto e la conseguente
capacità di attrarre passeggeri non sia “emergente” dagli esiti di una competi-
zione tra imprese, più o meno dotate di “fiuto imprenditoriale” e di capacità
innovativa, ma che derivi invece da un “disegno”, da un progetto che solo il
soggetto pubblico è in grado di realizzare (Thompson, 1977; Sclar, 2000;
Marletto, 2004; Barter, 2008; Mees, 2010). Il privato, infatti, non lo realizze-
rebbe mai perché troppo complesso e pieno di incertezze scegliendo più pru-
dentemente di operare solo su linee sicure, ad alta domanda (Thompson,
1977). La bontà del progetto deriverà, sostanzialmente, dal rispetto della bon-
tà delle fasi dello stesso che vanno dalla definizione degli obiettivi fino al
controllo dei risultati. Solo l’implementazione del progetto potrà essere affi-
data alle imprese che diventerebbero così mere esecutrici e da cui ci si aspet-
terebbe principalmente un contributo di efficienza piuttosto che di innova-
zione. Seguendo la proposta elaborata da Van de Velde (1999) che a sua vol-
ta, si basa sulla classica tripartizione proposta da Anthony (1965) circa i li-
velli che caratterizzano l’attività di controllo, il complessivo processo di pro-
duzione del servizio di trasporto pubblico può essere articolato, appunto, se-
condo i livelli strategico, tattico e operativo (STO model).
Al livello strategico il soggetto politico fissa gli obiettivi generali relati-
vamente agli aspetti sociali (equità che deve essere garantita dal servizio),
agli aspetti ambientali (quota di riduzione delle vetture in circolazione, quota

tro urbano incrementandone in tal modo la densità, che è il principale driver di utilizzo dei
mezzi pubblici. La risposta è che le proposte sono per il lungo termine (MEES, 2010).

29
di incremento dell’uso del trasporto pubblico, percentuale di riduzione delle
emissioni inquinanti ecc.) e agli aspetti economici (livelli di sussidi da eroga-
re, investimenti infrastrutturali, percentuale di copertura dei costi operativi da
parte dei ricavi da traffico).
Il livello tattico (di responsabilità, preferibilmente di un’agenzia pubblica
separata dall’ente politico, altamente qualificata e composta da soggetti dotati
di specifiche competenze e non, come prevalentemente avviene in Italia, di
uffici di programmazione collocati all’interno delle Regioni con personale
non qualificato che, di fatto, si limita a ratificare le scelte di programmazione
del servizio fatte dalle singole aziende pubbliche di trasporto, che sono, a lo-
ro volta, il frutto di compromessi raggiunti con i sindacati) traduce gli obiet-
tivi strategici attraverso la progettazione di un servizio integrato e coordinato
dal punto di vista modale (bus, tram, metro), tariffario, delle frequenze e de-
gli orari e dei percorsi all’interno di un determinato bacino di traffico preven-
tivamente individuato secondo criteri funzionali e non amministrativi.
Il livello operativo (di responsabilità, preferibilmente, di un’impresa pri-
vata selezionata in modo trasparente con il meccanismo delle gare) a sua vol-
ta traduce il livello tattico provvedendo alla concreta organizzazione e ge-
stione del servizio in termini di assunzione del personale, coordinamento dei
turni di lavoro, manutenzione automezzi, eventuale incasso dei ricavi da traf-
fico, informazioni ecc.
Secondo questa concezione le decisioni chiave sono quelle tattiche
(Thompson, 1977; Barter, 2008; Mees, 2010) perché è da queste che dipende
il coordinamento del servizio di trasporto e, quindi, la sua attrattività da parte
dell’utenza. Nei regimi di concorrenza nel mercato, come visto, il soggetto
politico restituisce la libertà decisionale alle imprese e lascia che queste fissi-
no autonomamente gli obiettivi strategici (in specie, di patronage, nel rispet-
to delle norme poste a tutela della sicurezza e dell’ambiente), tattici ed opera-
tivi. Nei regimi di concorrenza per il mercato, invece, dove si fa uso delle ga-
re allo scopo di affidare al vincitore l’esclusiva del servizio di trasporto in un
dato bacino o per determinate linee (routes) per un periodo limitato di tempo
dietro un corrispettivo stabilito contrattualmente (del tipo net o gross cost), lo
Stato, di norma, mantiene il controllo strategico e tattico del servizio mentre
affida al vincitore della gara (impresa privata o azienda pubblica) il controllo
operativo (Liberatore, 2001; Mele, 2003; Popoli, 1998). Il mantenimento del
controllo tattico può avere però una differente intensità. Può limitarsi a fissa-
re standard minimi di copertura territoriale e massimi di prezzo che devono
essere garantiti lasciando libertà decisionale all’operatore su come raggiun-
gerli attraverso la leva del planning del servizio (percorsi, orari, frequenze).
Oppure può essere più pervasivo e lasciare pochi spazi discrezionali agli ope-

30
ratori che diventerebbero meri esecutori del planning pubblico del servizio. È
questa la tensione esistente tra un’attività regolativa formale ed una vera e
propria attività decisionale da parte del soggetto pubblico, una tensione tra
una regolazione di massima al livello tattico (e non solo strategico) e una
piena assunzione di responsabilità degli outcomes da parte del soggetto pub-
blico che decide in prima persona come coordinare e integrare il servizio
nell’interesse generale (Barter, 2008; Mees, 2010).
In sintesi, per evitare le conseguenze negative derivanti dall’assenza di un
disegno coordinato del servizio si propone di far funzionare meglio non i mer-
cati ma le politiche e di incentivare quelle innovazioni organizzative in grado
di rimuovere i vincoli strutturali rendendolo, appunto, più integrato e coordi-
nato (Marletto, 2004; Sorensen, 2011) e, quindi, più attrattivo rispetto al mez-
zo privato. I costi esterni (inquinamento e congestione) non sono solo il risul-
tato di un mercato malfunzionante che non fa pagare i danni ambientali a chi
li produce (es. tramite congestion charges) ma l’esito negativo di politiche del
trasporto che non hanno saputo (o voluto) sfruttare le economie di scala, di
densità e di specializzazione latenti nel territorio per offrire un servizio inte-
grato di elevata qualità (Di Giacomo e Ottoz, 2007). È l’alta qualità del tra-
sporto pubblico, in definitiva, la soluzione per ridurre la dipendenza dalle ri-
sorse pubbliche e per rimuovere i vincoli strutturali. È il disegno integrato e
coordinato a rappresentare l’innovazione di valore. È l’aumento dei ricavi de-
rivanti dall’alta qualità del servizio piuttosto che la riduzione dei costi che mi-
gliorerà la sostenibilità finanziaria e i bilanci delle aziende di trasporto. La li-
beralizzazione, al contrario, genererebbe solo profitti in capo alle imprese e
non servizi di qualità a beneficio della comunità tutta e dell’ambiente (Mees,
2010). Un disegno coordinato e integrato migliorerebbe, al contrario,
l’autosufficienza, finanziaria, riducendo al minimo i sussidi, senza ambizioni
di profitto (Thompson, 1977) che snaturerebbero, al contrario, la valenza stra-
tegica del servizio di TPL per il territorio. Ne segue che gli obiettivi del mi-
glioramento della sostenibilità finanziaria e della qualità, ovvero del conteni-
mento, allo stesso tempo, dei costi interni e di quelli esterni, possono essere
raggiunti non aumentando il grado di concorrenzialità del sistema, che favori-
rebbe solo l’economicità peggiorando la qualità, ma riducendo il deficit di in-
novazione organizzativa e tecnologica del servizio (Marletto, 2004), miglio-
rando i sistemi di incentivazione e di controllo della performance e sfruttando
meccanismi di collaborazione e di partnership pubblico-privato (Vigoda,
2002; Entwistle e Martin, 2005; Borgonovi e Mussari, 2011) nell’ottica
dell’integrazione e del coordinamento. Non è, quindi, facile recidere il legame
con la politica e lasciar fare tutto al mercato. Senza una ferma volontà politica
di investire risorse in soluzioni capaci di ridurre la congestione e

31
l’inquinamento provocati dalle auto private, difficilmente il mero migliora-
mento gestionale del servizio di trasporto pubblico potrà dare risultati (nel
senso di outcome), aumentando, ad esempio, la velocità commerciale dei bus
o dei tram per renderli più attrattivi rispetto alle auto private. In altri termini,
per migliorare gli outcome del servizio non è sufficiente focalizzare
l’attenzione sulle sole variabili di processo in senso stretto (miglior uso delle
risorse attraverso la maggiore flessibilità consentita non solo dai meccanismi
della privatizzazione e della liberalizzazione ma anche da una più rigorosa mi-
surazione e valutazione delle performance) ma, soprattutto, su quelle di input
(qualità del progetto di partenza e quantità di risorse pubbliche che si intendo-
no investire per realizzarlo, unita ad una regolazione del territorio più respon-
sabile e più inflessibile nei confronti dell’utilizzo delle auto all’interno delle
città). I sostenitori del riposizionamento qualitativo del servizio (Sclar, 2000;
Marletto, 2006; Barter, 2008; Mees, 2010) attraverso un planning integrato
della rete del servizio (network planning), piuttosto che un suo ridimensiona-
mento (Boyne, 2004) ad opera dei meccanismi di mercato, hanno ragione nel
sostenere che esiste un problema di mancata innovazione tecnologica e orga-
nizzativa dello stesso, prova ne è il successo raggiunto dal servizio in aree me-
tropolitane diversissime come Londra, Zurigo o Bogotà (Transmilenio) (Hi-
dalgo et al., 2013) dove il coordinamento dello stesso è affidato alla mano vi-
sibile del soggetto pubblico piuttosto che a quella invisibile del mercato.

1.2.3. Alla ricerca di un compromesso ragionevole

Come trovare una via d’uscita? Se adottiamo una prospettiva storica, il


processo di miglioramento dei servizi pubblici sembra essere regolato da un
ciclo6 (Troesken, 1997). La storia passata sembra mostrare processi di alter-

6
L’idea di ciclo regolatorio è legata ad una varietà di situazioni: alla natura dinamica dei
fenomeni oggetto di regolazione, al ruolo giocato dall’incertezza, all’esistenza di interessi in
conflitto e alla necessità di intervenire laddove i risultati originariamente previsti non si sono
realizzati (ciclo di feedback). Non ha, come tale, necessariamente connotati negativi ma espri-
me la continua ricerca degli elementi più idonei a raggiungere gli obiettivi di volta in volta sta-
biliti. In determinate fasi storiche il regolatore non “distratto”, ma vigile e attento, è costretto a
rafforzare il suo ruolo a causa dei comportamenti evasivi del regolato, così come in altre è co-
stretto ad allentare la morsa, perché eccessiva e potenzialmente dannosa e ad aprirsi a soluzioni
più permissive in risposta ai cambiamenti ambientali e tecnologici. La regolazione assume in
altri termini un fisiologico carattere ciclico e sperimentale per effetto dei cambiamenti tecnolo-
gici, ma anche ideologici o di moda, che alterano i regimi di monopolio precedenti (si pensi
all’elettricità e alle telecomunicazioni) e che inducono il legislatore a preferire e/o a trovare più
convenienti o più appropriate (Entwistle, 2011), a parità di condizioni, soluzioni di mercato

32
nanza mercato-Stato, alimentati dai rispettivi fallimenti. Ai fallimenti iniziali
del mercato hanno fatto seguito i fallimenti dello Stato, cui hanno fatto segui-
to gli appelli per un ritorno del mercato. È possibile sfuggire a tale ciclo? È
possibile evitare gli errori del passato, trovare soluzioni più stabili in grado di
«armonizzare gli opposti» (Borgonovi e Mussari, 2011)7? Il Trasporto pub-
blico locale non è sfuggito a questa logica di alternanza. Gwilliam (2008) ba-
sandosi sulle dinamiche regolative osservate nei paesi occidentali ricostruisce
un ciclo nel settore del TPL in cui privato e pubblico si avvicendano. Sulla
base di tali considerazioni abbiamo provato a costruire il seguente ciclo.

Fig. 1 – Il ciclo di regolazione del trasporto pubblico nei paesi occidentali8

Deregulation.
TPL (ri)nasce dall’iniziativa privata.
Concorrenza distruttiva.

Nazionalizazione e creazione di monopoli


pubblici . Fusioni e creazione di monopoli e
Eccesso di servizio e di personale, tariffe oligopoli privati. Alti prezzi e servizi
troppo basse, servizi scadenti e deficit non adeguati all’interesse generale.
crescenti.

Regolazione da parte dello Stato degli


oligopoli privati. Eccesso di regolazione che
annulla i profitti e costringe i privati a ritirarsi.

Fonte: ns. rielaborazione basata su GWILLIAM (2008)

rispetto a quelle pianificate. Ciò anche, e non è certo un motivo secondario, per il sopravvenire
di meccanismi di ossificazione istituzionale, in particolare di corruzione, che rallentano il pro-
gresso a causa dell’incremento di potere di determinati attori chiave che tendono a difendere i
privilegi acquisiti piuttosto che a promuovere l’innovazione ed il miglioramento. A volte può
accadere che situazioni del genere difficilmente possono essere sanate senza un vero e proprio
reset, senza una cesura netta col passato.
7
Recentemente Borgonovi e Mussari (2010) hanno riconosciuto l’insuccesso dei model-
li interpretativi basati sulla dicotomia e sulla polarizzazione pubblico-privato, che vedono in
modo semplificato lo Stato e il mercato come protagonisti principali a ruoli alterni a seconda
della gravità dei danni commessi dall’uno o dall’altro alla società, suggerendo di “armoniz-
zare gli opposti” e di «rifiutare la “logica del pendolo” e addivenire al reciproco riconosci-
mento fra componente privata e pubblica del sistema socio economico, alla compartecipa-
zione ai processi di definizione delle politiche pubbliche e alla produzione dei servizi pub-
blici con contestuale assunzione di responsabilità dei risultati conseguiti».
8
Gwilliam nel suo lavoro distingue e confronta un ciclo regolatorio occidentale ed un
ciclo regolatorio orientale del trasporto pubblico.

33
Nella Figura 1 è rappresentato in estrema sintesi il ciclo regolatorio che
ha caratterizzato, sia pure con varie sfumature, il servizio di trasporto pub-
blico locale nei paesi occidentali e che prova a riassumere i principali pro-
blemi connessi con la gestione privata e poi pubblica del servizio (Maggi,
2001; Gwilliam, 2008). Il servizio di trasporto locale nasce, infatti, per ini-
ziativa dei privati. Dopo una fase iniziale di libera concorrenza definita
come concorrenza distruttiva (wasteful competition), perché caratterizzata
da un eccesso di offerta di servizio solo nelle aree redditizie e dalla conse-
guente riduzione del tasso di profitto, il settore si concentra dando luogo a
monopoli ed oligopoli privati (in Italia, a differenza di altri paesi, non si è
riscontrato un processo di concentrazione delle imprese private che ha por-
tato alla creazione di “giganti”; gli operatori privati sono rimasti sostan-
zialmente piccoli o medi imprenditori e il settore estremamente frammenta-
to). Tale nuovo assetto elimina principalmente i problemi della caduta dei
profitti derivanti dalla concorrenza distruttiva attraverso l’innalzamento
delle tariffe, ma ne pone di nuovi, come l’eccesso di profitto ottenuto a sca-
pito degli utenti privi di alternative (captives), senza risolvere i vecchi, co-
me l’eccesso di concentrazione dell’offerta solo nelle aree ad alto ritorno.
Ciò non può che provocare l’intervento regolativo da parte dello Stato con
riferimento a tariffe, orari, frequenze allo scopo di distribuire meglio il ser-
vizio sul territorio cercando di bilanciare le esigenze di redditività delle im-
prese con le esigenze di equità e di inclusione sociale e territoriale. Lo Stato
finisce, però, con l’eccedere nella regolazione, sbilanciandola verso l’equità
e non rispettando l’economicità del servizio. Di conseguenza sottrae ai pri-
vati le leve che assicuravano loro l’equilibrio economico. Ciò, insieme con
la progressiva diffusione dell’auto privata, provoca il ridimensionamento
dell’iniziativa privata, la loro ritirata e la conseguente presa in carico del
servizio da parte del settore pubblico. Una volta diventato pubblico, il ser-
vizio di trasporto, libero dall’obbligo di trovare nei ricavi di mercato la fon-
te primaria della sua esistenza, finisce con l’inseguire irrealistici ideali di
espansione, di copertura universale e di accessibilità che travalicano i con-
fini municipali e urbani, dando luogo a veri e propri eccessi di servizio,
spesso non coordinati negli orari e non integrati da un punto di vista tariffa-
rio e modale (bus, metro, tram, treni ecc.), con duplicazioni modali, con si-
stemi tariffari non adeguati e disavanzi crescenti non più sostenibili. Nel
corso del tempo più che l’interesse pubblico, ad essere tutelato è stato piut-
tosto l’interesse corporativo dei sindacati dei dipendenti e dei politici che se
ne sono appropriati (il noto fenomeno della cattura) nella certezza di poter
contare su sussidi pubblici, non più solo in conto capitale ma anche in con-
to esercizio. Di qui l’idea, soprattutto da parte dei più accesi sostenitori del-

34
la concorrenza (Winston, 2000; Hibbs, 2000), di una cesura netta con tale
sistema di sussidiazione e il ritorno alla concorrenza e alla frammentazione
del servizio, ridimensionando le sue ambizioni di servizio sociale, per ri-
durre i costi e per ripartire dall’efficienza, lasciando consapevolmente da
parte la questione del coordinamento, dell’integrazione e della copertura
universale, o meglio lasciando all’utenza, che nel frattempo ha modificato i
suoi bisogni di mobilità, la prerogativa di invocarla, se ritenuta necessaria,
dal basso e non all’ente pubblico il dovere di imporla dall’alto a tutti i costi.
Da quanto esposto in precedenza, emerge che ad un’idea di servizio le-
gata alla capacità di sfruttare liberamente e senza vincoli i fattori critici di
successo esistenti (mercato) succede un’altra che concepisce il servizio di
trasporto come modello, come progetto pianificato e vincolante imposto
dall’alto (Stato) che il mercato da solo non riesce a produrre (fase iniziale
della concorrenza cosiddetta distruttiva) e che comunque offrirebbe a con-
dizioni eccessivamente onerose per l’utenza (fase successiva del consoli-
damento e della concentrazione). Nel primo caso, del servizio si enfatizza
la libertà e la flessibilità da parte dell’impresa di apportare innovazioni e
cambiamenti per soddisfare le varie e mutevoli esigenze di mobilità espres-
se dall’utenza rispetto alla rigidità regolativa imposta dallo Stato (Hibbs,
2000, 2009; Boitani e Cambini, 2004; Ponti, 2006). Nell’altro si enfatizza
l’idea di continuità e di stabilità che può realizzarsi solo in seguito ad un
piano coerente e integrato che necessita, però, di una perfetta ed efficiente
esecuzione per offrirlo nella qualità e nella quantità ritenuta necessaria, nel
rigoroso e attento rispetto dell’efficienza (Sclar, 2000; Barter, 2008; Mees,
2010). Alla luce di ciò abbiamo due nozioni in netto contrasto: un concetto
di servizio emergente dalla competizione ed un concetto di servizio pianifi-
cato, frutto di un attenta programmazione integrata da parte dell’ente pub-
blico e di una altrettanto attenta vigilanza sull’uso delle risorse, che si alter-
nano alimentando un ciclo. Come evitarne gli effetti negativi? Poiché non è
possibile, o è estremamente difficile, coniugare ambiziosi obiettivi sociali
con l’esigenza di rispetto dell’economicità occorre, più pragmaticamente
scegliere una soluzione di compromesso, soddisfacente più che ottimizzan-
te (Simon, 1957)9. A tal fine, fare maggiore chiarezza sul significato di in-
teresse generale nel servizio di trasporto pubblico, riconoscendone la natura

9
È noto come Simon (1957) abbia ritenuto pericoloso un comportamento decisionale ot-
timizzante (troppe variabili da analizzare, fuori dalla portata delle capacità di analisi indivi-
duali dei decisori, che incrementerebbero i costi, i tempi e la probabilità di insuccesso, se
non la stasi-paralisi per eccesso di analisi) suggerendo al suo posto un comportamento meno
ambizioso, denominato soddisfacente, ispirato all’idea dei miglioramenti incrementali.

35
dinamica e mutevole nel corso del tempo, e, di conseguenza, decidere quali
compiti sia meglio lasciare al decisore pubblico e quali ai privati, sarebbe
molto utile.
Come appare evidente non è facile trovare una via d’uscita. La stessa
legislazione europea (Reg. n. 1370/2007) (Van de Velde, 2008) ha trovato
nelle gare, nella competizione per il mercato, come peraltro suggerito da
quegli studiosi che potremmo definire più moderati (Demsetz, 1968), la so-
luzione di compromesso, consapevole dei problemi che derivano sia
dall’utilizzo del libero mercato (free competition) che dal persistere dei
monopoli pubblici e dei correlati meccanismi di affidamento diretto. Infatti,
pur prevedendo le gare (e non la libera concorrenza come invocato dagli
“estremisti” del NPM) come regola principale e l’affidamento diretto come
eccezione, il citato regolamento del 2007 ha lasciato la decisione di utiliz-
zarla o meno ai singoli paesi membri senza imporre obblighi, lasciando loro
il compito di definire concretamente il significato di servizio di interesse
generale, di estenderlo o restringerlo, a seconda delle specifiche circostan-
ze. Il punto centrale non è, infatti, tanto quello di imporre la libera concor-
renza nel delicato settore del TPL ma quello della equa compensazione de-
gli obblighi di servizio attraverso l’utilizzo di meccanismi in grado di sele-
zionare il provider più efficiente. Più pragmaticamente, ciò che conta alla
fine non è tanto stabilire se sia meglio avere un provider pubblico o privato
(i provider pubblici esistono e bisogna prenderne comunque atto), ma non
pagare più del dovuto (al provider pubblico) un obbligo di servizio. Non è,
infatti, ammissibile pagare sussidi che non riflettono una gestione impron-
tata a criteri di efficienza. Ogni eccedenza costituirebbe aiuto di Stato e non
un compenso per obbligo di servizio. In tal senso la concorrenza per il mer-
cato, il meccanismo delle gare (ma anche quello dei costi standard o dei
service performance contracts, invocati in particolare da studiosi come
Hensher (2005), qualora le gare, per una serie di problemi, fossero difficili
da organizzare e gestire), sarebbero prioritariamente finalizzati a risolvere
questioni di efficienza, di equo compenso, più che a rappresentare delle so-
luzioni per favorire l’incremento della quota di mercato del servizio di
TPL. In sintesi, la soluzione di compromesso al dilemma del “make”, ovve-
ro del monopolio pubblico, o del “buy”, ovvero della restituzione della li-
bertà di scelta (choice) ai cittadini che premierebbero loro stessi il miglior
provider attraverso il meccanismo della libera competizione, è stata trovata
nella formula che potremmo definire del “make and buy”, ovvero della di-
visione dei compiti. Non più la contrapposizione Stato o mercato, ma Stato
e mercato insieme (Borgonovi e Mussari, 2010), ciascuno impegnato nei
rispettivi compiti. Lo Stato, o meglio gli enti locali cui la responsabilità del

36
servizio è stata devoluta, non si limitano solo ad una regolazione di massi-
ma, ma elaborano (make) un realistico piano integrato e coordinato e ne af-
fidano (buy) la realizzazione alle imprese più efficienti, selezionate attra-
verso il meccanismo delle gare, senza pregiudizi nei confronti della loro na-
tura, pubblica o privata. La qualità, più o meno elevata, del piano dipende-
rà, poi, dalle specifiche circostanze. Un piano più ambizioso dovrebbe esse-
re valutato attentamente alla luce dei costi e dei benefici attesi. È questa la
soluzione invocata, ad esempio, da Barter (2008) che la denomina Proacti-
ve planning with business delivery a significare che, se si vogliono ridurre
allo stesso tempo i costi interni ed esterni, deve essere l’autorità pubblica
stessa a realizzare un progetto di servizio integrato e coordinato di alta qua-
lità e non di massima, assumendosi, così, la piena responsabilità degli out-
come. Gwilliam (2008) prova a trovare una sintesi più generale individuan-
do, al contrario, quali debbano essere, invece, le condizioni minime per as-
sicurare al servizio di trasporto pubblico locale, più semplicemente, la pos-
sibilità di continuare ad esistere.
1. Le aspettative devono essere realistiche. Le legittime aspirazioni ad avere
un sistema di trasporto di alta qualità, pienamente integrato e coordinato,
devono essere basate sulle risorse disponibili e sulle caratteristiche dei
contesti e non su astratti diritti (diritti senza risorse). Non si possono avere
aspettative eccessivamente ambiziose ignorando, allo stesso tempo, che
qualcuno il servizio lo dovrà pur pagare. La difficoltà sta nel trovare il
modo migliore per allineare tali aspettative con le risorse disponibili.
2. Gli incentivi contano. Non bisogna presumere che i provider pubblici e il
regolatore agiscano nell’esclusivo interesse della collettività e degli utenti.
Più realisticamente ciascuno perseguirà i propri interessi. Il difficile sta
nel trovare gli incentivi adatti per indirizzare tali interessi privati verso
l’ottenimento di risultati soddisfacenti per la collettività.
3. La pressione competitiva funziona. Le analisi empiriche mostrano che le
gare ed in generale la pressione competitiva (ad esempio nella forma della
yardstick competition) hanno contribuito a ridurre non solo i costi ma an-
che, se ben progettate e dotate di credibilità, a migliorare gli outcome (in-
cremento dei passeggeri e riduzione del numero delle auto) del servizio. Il
problema centrale è come mantenere alta tale pressione nel tempo evitan-
do i noti fenomeni di cattura da parte dei provider una volta insediatisi,
siano essi pubblici o privati.
4. Il coinvolgimento del settore pubblico è inevitabile. La libera competizio-
ne, senza alcun intervento da parte del settore pubblico, non è realistica-
mente praticabile a causa delle esternalità negative, dei costi esterni che
essa provoca. Non è possibile raggiungere finalità di interesse generale la-

37
sciando completamente le leve del servizio nelle mani dei privati. Il pro-
blema non è quello di chiedersi se il settore pubblico abbia o meno un
ruolo, ma quale sia quello che può svolgere al meglio.
5. La struttura dell’offerta è importante. La frammentazione del servizio,
che è il punto di forza dei sostenitori della libera concorrenza che invoca-
no la forza della distinzione, dell’unicità dell’offerta e dell’incremento
della sua varietà, non è inaccettabile di per sé, ma per il fatto che rende
poi più difficili altri compiti molto importanti quali il coordinamento, il
controllo ecc. Il problema di fondo è quello di cercare di non perdere le
economie di scopo e di scala mantenendo allo stesso tempo il mercato
contendibile.
6. Le istituzioni che governano il servizio devono essere adeguate ed effica-
ci. La cattiva progettazione delle gare, l’incapacità di controllare i feno-
meni di collusione finirà inevitabilmente con lo screditare il meccanismo
della competizione per il mercato. Alcuni governi hanno già sperimentato
o si sono convinti che la libera competizione nel trasporto pubblico locale
non funziona, ossia non produce gli outcome desiderati. Per tale ragione
sono molto più interessati a sperimentare in modo adeguato il meccani-
smo delle gare. Il punto chiave sta nel capire se le istituzioni pubbliche
abbiano le capacità e le competenze necessarie a progettare le gare in mo-
do da prevenire o ridurre al minimo gli effetti negativi (collusione da par-
te dei partecipanti, strategie difensive per mantenere lo status quo) asso-
ciati al cattivo uso di tale strumento, che è potenzialmente in grado di
conciliare output e outcome ma solo se usato nei modi appropriati.
Questo elenco non va interpretato come una ricetta, ma come un invito a
fare esprimenti responsabili con tali “ingredienti”. Attraverso la sperimen-
tazione continua, altri paesi hanno appreso come usare al meglio il mercato,
gli incentivi e le istituzioni non solo per ridurre i costi ma anche per miglio-
rare l’efficacia sociale del servizio. In buona sostanza hanno appreso che:
• è il mix che conta (Rhodes, 1997). È il sapiente mix delle leve di go-
verno (mercati, gerarchie e network) e non “l’ingrediente” singolo (la
libera concorrenza o un ambizioso, ma costoso, piano coordinato ed
integrato del servizio) a fare la differenza (Powell, 1997);
• tale mix dipende dalle variabili di contesto;
• può essere trovato solo dopo una convinta e responsabile sperimen-
tazione.
Il punto principale, in conclusione, è che i mercati e le imprese hanno il
potenziale per migliorare l’efficienza e la qualità del servizio ma molto dipen-
de dalle capacità e soprattutto dalla volontà delle autorità locali di porre fine al
monopolio pubblico e di avviare responsabilmente tale sperimentazione.

38
1.3. Il confuso percorso di miglioramento del servizio di traspor-
to pubblico locale in Italia

Che tipo di percorso è stato intrapreso in Italia per migliorare il servizio


di TPL e che esiti ha avuto? Dopo circa trent’anni dalle prime riforme poco
o nulla è cambiato. Lo stato di impasse del processo di miglioramento del
servizio di trasporto pubblico in Italia è dipeso sostanzialmente
dall’incapacità mostrata dal governo centrale e dalle regioni di dare effetti-
va implementazione alle riforme deliberate a partire, soprattutto, dal 1981.
La sperimentazione è stata fatta, ma solo sulla carta. Si è trattato, in altri
termini, di quello che Borgonovi (2004) definisce come un New Public
Management per legge.
Da un punto di vista generale possiamo identificare tre stadi di evolu-
zione del trasporto pubblico locale in Italia (Fig. 2). Li descriveremo in
modo sintetico. L’approfondimento verrà effettuato nel prossimo capitolo
dove le varie riforme saranno discusse ed analizzate più in dettaglio. In
questa sede l’obiettivo principale è quello di offrire un quadro generale del-
la situazione.

Fig. 2 – Il confuso percorso di miglioramento del servizio di trasporto pubblico in Italia

Regionalizzazione Centralizzazione
Municipalismo

Legge Giolitti 1903 Legge 151/81 Legge 422/97 Legge 228/2012


Discontinuità normativa. Obiettivi
Una soluzione semplice
durata più di 80 anni
Abolizione Fondo Nazionale imposti dal centro.
Dall’azienda municipalizzata 1) Ridimensionare il servizio
1) Trasporto Urbano: dei Trasporti
all’azienda speciale.
azienda Dalle aziende speciali alle 2) Migliorare la sostenibilità
Assegnazione diretta. finanziaria tramite Fondo
municipalizzata società per azioni.
Creazione Fondo Nazionale dei Nazionale dei Trasporti e costi
2) Trasporto Trasporti e costi standard. Dall’assegnazione diretta alle
extraurbano: gare con contratti di servizio. standard.
16 Anni di deficit crescenti. 3) Previsione di sanzioni.
Concessione ai privati 15 anni di resistenza e
Nessuna seria implementazione
L. 616/77 di strategie volte a confusa applicazione della
ridurre i costi riforma.

Devoluzione del
servizio di trasporto Devoluzione piena
pubblico alle Devoluzione parziale. Ricentralizzazione come nel
Dimensione verticale Dimensione verticale: Funzioni
Regioni strategiche, finanziarie e tattiche di 1981.
Controllo centrale con Fondo Ricostituzione Fondo Nazionale
Nazionale dei Trasporti e responsabilità delle Regioni
Dimensione: orizzontale dei trasporti e ri-previsione dei
costi standard. costi standard.
Dimensione orizzontale Funzioni operative svolte dalle
imprese selezionate dalle gare . Più poteri centrali, previsione di
Funzioni strategiche, tattiche commissari ad acta in caso di
I servizi di trasporto da erogare
ed operative svolta dalle mancato raggiungimento degli
vanno considerati in senso minimo
Regioni e dalle aziende obiettivi. Il servizio di trasporto
(servizi minimi).
pubbliche per creare un deve essere adeguato, tarato
network integrato su sulla domanda.
bacini di traffico più ampi
delle aree urbane

39
1.3.1. La fase del capitalismo municipale

La prima fase è focalizzata principalmente sulla dimensione urbana del


servizio e sulla sua funzione sociale. È durata quasi 80 anni (dalla legge
Giolitti del 1903 alla legge n. 151/1981) ed è più nota come fase del cosid-
detto capitalismo municipale. L’idea centrale che ha caratterizzato tale fase
è stata quella di eliminare gli effetti negativi della cosiddetta concorrenza
distruttiva ad opera dei privati attraverso l’intervento diretto del comune
per garantire il servizio di trasporto nei modi e nelle forme ritenute più
adatte a soddisfare l’interesse generale, ossia, un servizio più coordinato e
più equamente distribuito sul territorio e non solo su parti di esso, come
era, appunto, avvenuto in passato per effetto della libera iniziativa dei pri-
vati. Il trasporto extraurbano è stato, invece, affidato ai privati per il tramite
dell’istituto della concessione. Tale duplice soluzione, azienda municipaliz-
zata per il trasporto urbano e concessione ai privati per quello extraurbano,
si è dimostrata, alla luce delle specifiche circostanze socio-economiche, una
soluzione equilibrata che ha dato risultati positivi almeno fino agli anni Set-
tanta, dove il rapido declino della quota di mercato del TPL derivante
dall’ascesa dell’auto privata e l’incapacità da parte delle aziende pubbliche
di riconoscere i nuovi bisogni di mobilità hanno reso necessario un nuovo
intervento per contenere l’incremento esponenziale dei costi del servizio
(Maggi, 2001). Per migliorare le performance del servizio è stato necessa-
rio, infatti, rivedere il ruolo della regolazione per renderla più incentivante
e sensibile all’efficienza. L’idea è stata quella di applicare nuovi strumenti
e logiche (principalmente costi standard e apertura alla concorrenza) che
fossero in grado di far emergere e, possibilmente, eliminare le inefficienze
accumulatesi dopo quasi ottant’anni di incontrastato monopolio pubblico.

1.3.2. La fase della regionalizzazione

La seconda fase va dal 1981 al 2012. L’obiettivo principale è quello di


rendere il servizio di trasporto pubblico locale più efficiente e meno dipen-
dente dalle risorse pubbliche.
Due sono le principali riforme che hanno provato a realizzarlo.
La prima, più ambiziosa, è del 1981 (legge n. 151/1981). Si caratterizza
per il tentativo esplicito di provare a mantenere la funzione sociale del ser-
vizio, riducendone, però, i costi (Golinelli, 1984, 1986; Pavan, 1992). Di
fronte al drammatico declino del servizio di trasporto pubblico locale e
all’incremento dei costi si decide di provare allo stesso tempo una strategia

40
di rilancio, in continuità con la fase precedente, ma in chiave più ampia (dal
municipalismo, dalla dimensione urbana al regionalismo e ai bacini di traf-
fico), e una di razionalizzazione dei costi. Il rilancio del servizio, ovvero il
compito di renderlo più attrattivo, è affidato alle Regioni tramite lo stru-
mento del planning integrato, applicato su bacini di traffico più ampi rispet-
to a quello urbano (Bucci, 2006). Allo stesso modo le Regioni sono chia-
mate a razionalizzarne i costi dando loro la possibilità di ripianare le perdite
delle aziende di trasporto locali, attingendo le risorse, secondo, però, il cri-
terio dei costi standard, ad un apposito Fondo, il Fondo Nazionale dei Tra-
sporti, il cui ammontare è deciso centralmente dallo Stato. Si supera così,
almeno nelle intenzioni, il criterio della spesa storica e lo si sostituisce con
quello più incentivante dei costi standard, che, come sappiamo, esprime
quello che dovrebbe essere il valore dei costi secondo un desiderato livello
di efficienza attesa. Si tratta, in altri termini, di un costo determinato alla
luce di determinati obiettivi da raggiungere e fissati ex ante.
Da un punto di vista organizzativo, per raggiungere gli obiettivi previsti
dalla legge si prevede un’azione concertata e collaborativa tra governo cen-
trale e regioni (utilizzo combinato di meccanismi gerarchici e di network).
Il governo si impegna, attraverso l’istituzione del Fondo Nazionale dei Tra-
sporti, a pagare il servizio di trasporto pubblico locale non più secondo il
criterio della spesa storica ma, come anticipato, secondo quello più incenti-
vante dei costi standard. Le regioni si impegnano, a loro volta, a calcolare
correttamente i costi standard nel rispetto delle loro specificità (Popoli,
1998). Nel contempo la legge n. 151/1981 prevede anche il cambiamento
della forma giuridica, ossia il passaggio da azienda municipalizzata ad
azienda speciale, formalmente separata e più autonoma dall’organo politi-
co. La seconda riforma, meno ambiziosa e più realistica, è del 1997 (legge
n. 422/1997). È il frutto dei problemi venutisi a creare con la prima. È il
frutto della irresponsabile esecuzione della prima da parte delle regioni che
hanno finito con l’utilizzare il Fondo Nazionale dei Trasporti come un se-
gnale di copertura garantita dei costi delle aziende di trasporto vanificando,
in tal modo, lo strumento dei costi standard. Con il Fondo Nazionale dei
Trasporti si è finita per istituzionalizzare l’idea che il settore del trasporto
pubblico locale, (urbano and extraurbano), non fosse autosufficiente (Lave,
1991) e che, pertanto, doveva essere finanziato con risorse pubbliche anche
se con criteri nuovi (costi standard) e non più con quelli della spesa storica.
Se le intenzioni erano quelle di trovare un equo compromesso tra funzione
sociale del servizio ed efficienza, le prassi sono state ben altre. Le regioni e
le aziende di TPL hanno continuato a focalizzarsi sugli outcome sociali, e
non a contenere i costi del servizio all’interno degli standard che la norma-

41
tiva aveva previsto, peraltro mai calcolati seguendo le indicazioni di legge
ma semplicemente come medie storiche dei costi consuntivi, perdendo così
tutta la carica incentivante che ad essi era stata associata (Corte dei Conti,
2003). La L. 151/1981 non ha funzionato perché non ha avuto la forza di
modificare la concezione universalistica e sociale del servizio di trasporto,
ormai non più al passo con i tempi, e comunque malamente implementata.
Tale intervento non ha riconosciuto il cambiamento avvenuto nei bisogni di
mobilità, né la diversità di esigenze delle varie aree territoriali e ha provo-
cato, in generale, solo una maggiore copertura del territorio regionale più
che un potenziamento del servizio dove era necessario.
Con la legge n. 422/1997 e successive modificazioni si affida stavolta al
mercato, e in particolare al meccanismo delle gare e dei contratti di servi-
zio, il compito di individuare i provider più efficienti (Boitani, Cambini,
2004). Si elimina il Fondo Nazionale dei trasporti ed il complesso sistema
dei costi standard. Le Regioni sono pienamente responsabilizzate sia sugli
aspetti di pianificazione del servizio che su quelli finanziari attingendo a
risorse proprie (accisa sui carburanti) e non più al Fondo Nazionale dei
Trasporti che, come scritto, viene abolito. La nuova strategia per ridurre i
costi questa volta si basa sia sul ridimensionamento della funzione sociale
del servizio che sui ribassi attesi dall’applicazione delle gare. Si prevede,
infatti, che il servizio di trasporto finanziabile deve essere considerato in
modo più minimale rispetto al passato. Si introduce, a tal fine e per la prima
volta, il concetto di “servizi minimi”. Visti i problemi applicativi della leg-
ge n. 151/1981, con la legge n. 422/1997 si abbandona la via della coopera-
zione, si responsabilizzano completamente le regioni anche dal punto di vi-
sta finanziario, e non solo per la pianificazione del servizio, e si prevede di
affidare obbligatoriamente al mercato (dai meccanismi di network a quelli
di mercato), e ai contratti di servizio, il compito di individuare i provider
più efficienti, superando così il meccanismo del rinnovo automatico delle
concessioni alle aziende pubbliche che prescindevano dai risultati ottenuti.
Vista la difficoltà ad applicare i costi standard, il governo decide questa
volta di affidarsi alle gare per fare emergere le inefficienze nascoste dei
provider pubblici e alla piena responsabilizzazione delle regioni sul finan-
ziamento del servizio, eliminando vincoli di destinazione e obbligandole ad
utilizzare i trasferimenti statali secondo criteri ispirati a maggiore oculatez-
za e responsabilità. Altri meccanismi utilizzati a tal fine furono l’ulteriore
trasformazione da aziende speciali a società per azioni (rimaste però sem-
pre di proprietà pubblica), l’obbligo (generalmente mai rispettato e sanzio-
nato) di avere una copertura minima del 35% dei costi operativi con ricavi
da traffico, l’utilizzo di contratti di servizio (nella realtà privi di premi e

42
sanzioni). L’obbligo di gara, come era facile prevedere, non piacque alle
amministrazioni locali e ai provider pubblici che hanno fatto di tutto per
ostacolarne l’implementazione (Popoli, Botti, 2007), anche grazie ad una
confusa produzione legislativa che ha rinviato, ridimensionato e, sostan-
zialmente, annullato l’uso del mercato nel settore del TPL, almeno fino al
2019 (Cangiano, 2005).
In generale, più la normativa si apriva a logiche di controllo
dell’efficienza (costi standard e gare) improntate a maggiore rigore, più ri-
dimensionava la funzione sociale del servizio con l’introduzione del con-
cetto di servizi minimi, più le amministrazioni locali e le aziende pubbliche
di trasporto si arroccavano su posizioni di difesa del monopolio pubblico e
della piena funzione sociale del servizio, impedendo il cambiamento e peg-
giorando, così, la situazione finanziaria (Bucci, 2006). A tale resistenza ha
contribuito anche una confusa fase legislativa10 che ha ritardato, se non an-
nullato, ancora una volta, l’implementazione dei meccanismi programmati
(Cangiano, 2005). A differenza di altri paesi, l’Italia, non è riuscita a vince-
re le resistenze al cambiamento mostrate dai principali attori del servizio
(Regioni e Aziende di trasporto pubblico). Il governo centrale non ha avuto

10
Il discorso è molto complesso e proviamo a semplificarlo procedendo per punti: a) ad
una buona partenza, rappresentata dalla previsione del meccanismo delle gare obbligatorie
(d.lgs. n. 400/1999); b) ha fatto seguito una blanda e parziale applicazione dello stesso (non
tutte le regioni hanno bandito le gare e quelle poche bandite sono state vinte quasi sempre
dagli incumbent con ribassi insignificanti);c) di fronte a tali ritardi si è consentito per legge
un continuo rinvio delle gare stesse (dal termine ultimo del 31.12.2003 fissato dal d.lgs. n.
400/1999 si è passati al termine del 31.3.2011 consentito dal d.l. 29 dicembre 2010, n. 225,
fino alla scadenza del 2019 fissata nel regolamento UE n. 1370/2007) per consentire alle
imprese e ai governi locali di prepararsi adeguatamente; d) dai ritardi si passa ai ripensamen-
ti e si ammettono (legge n. 326/2003 e succ.) altre modalità di affidamento oltre alle gare (la
gara è solo uno dei modi, ce ne sono altri previsti dalla normativa generale sui servizi pub-
blici locali che prevale su quella speciale del trasporto pubblico); e)si ritorna, dopo un anno,
alle gare obbligatorie prima con la legge n. 308/2004 e poi, dopo varie vicissitudini, defini-
tivamente con l’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008; f) per impedire le gare obbligatorie nei servi-
zi pubblici locali (in specie nell’erogazione del servizio idrico), contenute nell’art. 23 bis del
d.l. n. 112/2008, si accoglie la richiesta di indire un referendum abrogativo dell’art. 23 bis;
g) il referendum abrogativo viene vinto nel 12 e 13 giugno 2011 e le logiche di mercato con-
tenute nell’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008 sono così sconfitte; h)il governo reagisce in modo
“disperato”, ignorando il referendum, e introducendo, con l’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n.
138 e succ. mod. addirittura l’obbligo di liberalizzazione completa di quei servizi pubblici
locali non ancora liberalizzati, tra cui il TPL, ad esclusione del solo servizio idrico (principa-
le vincitore del referendum); i) alcune regioni fanno ricorso alla corte costituzionale contro
l’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, che obbliga a liberalizzare i servizi pubblici locali; l)
il ricorso viene accolto da parte della Corte Costituzionale con sentenza n.199 del luglio
2012, che frena, per il momento, le istanze liberalizzatrici dei servizi pubblici locali in Italia,
incluso il servizio di trasporto pubblico locale.

43
la forza di imporre il cambiamento e di ridurre i gap di performance sia in-
terni, tra le varie regioni, sia esterni con gli altri paesi. Di fronte, però, al
peggioramento dei conti e al rischio di dissesto finanziario del servizio, non
ha potuto fare a meno di assumersi in modo più deciso la responsabilità di
implementare il cambiamento. Di fronte a tali fallimenti, dovuti per la
maggior parte alla ferma volontà dei governi locali di ostacolare il cambia-
mento e di non risolvere il conflitto di interessi che, tuttora, lega le regioni
con le aziende di trasporto pubblico locale (le prime sono proprietarie delle
seconde), il governo centrale ha reagito, in primis, praticando la via più
semplice, quella dei tagli lineari. Prima di dare avvio a quella che abbiamo
definito una terza fase del processo di riforma del servizio di trasporto pub-
blico locale che vede come regista il governo centrale, con il ritorno del
Fondo Nazionale dei Trasporti e dei costi standard, e come “mere esecutri-
ci” le Regioni, lo stesso governo centrale ha praticato nel triennio 2010-
2012 tagli al settore dei trasporti, con minori trasferimenti correnti, per una
percentuale media del 12% (dati ANAV-ASSTRA 2012). La reazione delle
Regioni e delle Aziende di trasporto pubblico locale ai tagli lineari è stata
quella di aumentare le tariffe, razionalizzare i costi aziendali, chiedere ai
Comuni di contribuire ad integrare le minori risorse trasferite dallo Stato,
incentivare i dipendenti all’esodo, bloccare il turnover, non riconfermare le
figure a contratto a tempo determinato, ricorrere alla cassa integrazione in
deroga, ridurre le spese per manutenzione e ammodernamento della flotta
(età media della flotta in Italia 12 anni contro i 7 medi in Europa). Ma la
politica dei tagli lineari non può proseguire all’infinito. Occorre riprendere
in modo più deciso la via delle riforme per dare nuove regole al settore del
TPL e per incamminarlo su un sentiero di miglioramento.

1.3.3. La ri-centralizzazione

Per combattere l’inerzia e le resistenze delle regioni ad eseguire le ri-


forme, nel 2012 il governo centrale decide, infatti, attraverso una disconti-
nuità normativa ai limiti della legittimità costituzionale (legge n.
228/2012), di riprendere in mano le redini del servizio di trasporto pubblico
locale. Attribuendosi maggiori poteri, elabora una road map per conseguire
gli obiettivi di riduzione degli eccessi di offerta di servizio e dei costi per
renderlo più “adeguato” alle esigenze di mobilità e meno dipendente dalle
risorse pubbliche. Gli strumenti all’uopo utilizzati sono gli stessi previsti
nel 1981, ossia il Fondo Nazionale dei Trasporti e i costi standard, ma in un
quadro che inverte le responsabilità di implementazione. È il Governo cen-

44
trale ora a dettare le deadlines dell’esecuzione del programma di risana-
mento, non più le Regioni, che “retrocedono” al ruolo di esecutrici, da pre-
miare o sanzionare. Pur mantenendo le funzioni di programmazione, per
accedere al Fondo Nazionale dei Trasporti dovranno dimostrare di avere
raggiunto dei precisi risultati. A partire dal 2013 il settore del trasporto
pubblico locale sarà assoggettato a nuove e più stringenti regole per ridurre
i gap territoriali e dimensionali di performance interni, tra le varie regioni,
ed esterni, con gli altri paesi europei derivanti dal prolungato immobilismo
e dalla ostinata resistenza al cambiamento da parte delle Regioni e delle
aziende di trasporto pubblico di loro proprietà. Per ridurre tali gap di per-
formance la legge n. 228/2012 prevede che le Regioni riprogrammino i ser-
vizi di TPL, sostituiscano «le modalità di trasporto ritenute diseconomiche»
e rivedano i contratti di servizio in essere. In caso di inattività il Governo
centrale provvederà a nominare commissari ad acta e a revocare i vertici
delle aziende in caso di squilibri finanziari nella gestione, secondo determi-
nati criteri stabiliti in un apposito decreto. Il meccanismo adottato è quello
che Le Grand (2003) denomina Command and Control.
I punti chiave del nuovo percorso di riforma del servizio di trasporto
pubblico locale previsti nella legge n. 228/2012 e nelle successive, sono i
seguenti:
1. riprogrammazione dei servizi di TPL da parte delle singole regioni per
cogliere le specificità del TPL in termini di obiettivi (es. patrona-
ge/coverage) da perseguire nelle differenti aree geografiche (bacini ot-
timali di traffico) da aziende con adeguate dimensioni, allo scopo di
ridurre gli eccessi e la frammentazione dell’offerta; in particolare do-
vrà essere raggiunto l’obiettivo, da annuale poi rimodulato a triennale,
di incrementare del 2,5% il numero dei passeggeri trasportati su base
regionale e di garantire “livelli occupazionali adeguati” anche attraver-
so azioni di razionalizzazione e blocco del turnover;
2. ricontrattazione e rideterminazione dei sussidi pubblici attraverso la
previsione di costi standard per orientare meglio la distribuzione delle
risorse (Fondo Nazionale dei Trasporti e Fondo Rotativo) alle aziende
secondo criteri di premialità; si dovrà inoltre garantire un progressivo
incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, assicu-
rando miglioramenti su base annua;
3. effettivo monitoraggio dei costi e delle informazioni analitiche di per-
formance delle aziende di trasporto pubblico da parte dell’Osservatorio
nazionale del Trasporto pubblico locale accompagnata da maggiori po-
teri di sanzionare la mancata produzione delle informazioni (blocco dei
sussidi) ed il mancato raggiungimento degli obiettivi posti dal governo

45
centrale (nomina di commissari ad acta e rimozione dei vertici delle
aziende di trasporto pubblico – direttori finanziari in primis – che non
raggiungono gli obiettivi assegnati).
In questa nuova fase, l’efficientamento del TPL riparte attraverso il po-
tenziamento delle informazioni analitiche di performance (efficienza, pro-
duttività, soddisfazione utenza, incremento passeggeri) e la previsione di
maggiori poteri sanzionatori al governo centrale piuttosto che dall’utilizzo
di meccanismi di mercato. La fragilità della base informativa di controllo
(si pensi, al riguardo, alla scarsa capacità informativa del Conto Nazionale
delle Infrastrutture e dei Trasporti) e la capacità spesso ridotta di fornire in-
formazioni utili ai decisori non possono costituire la ragione per cancellare
ogni tentativo di effettuare politiche di miglioramento ed affidare tutto al
mercato (come la convulsa fase normativa di questi ultimi anni ha dimo-
strato). In una recente audizione (23 maggio 2013) il Ministro dei Trasporti
e delle Infrastrutture Lupi ha ribadito la necessità di un «[…] potenziamen-
to dei dati trasportistici, senza i quali non si possono fare progressi reali
nell’efficienza dei servizi di trasporto locale […]».
Dopo più di trent’anni di inattività e di riforme mancate, le sfide che il
governo centrale dovrà affrontare in modo più deciso sono le seguenti
(OECD, 2009 su dati dati Earchimede, 2005; Bain & CO., 2012):
• ridurre l’eccesso di offerta. Il load factor in Italia (rapporto tra pas-
seggeri offerti e posti offerti) è appena del 22% contro una media eu-
ropea del 34% (con punte del 45% in Spagna e del 42% in Francia).
Alcune regioni italiane presentano eccessi, altre deficit. Rispetto ad
una media italiana di 2,5 migliaia di posti*km per abitante quattro
regioni sono sovradimensionate (Lazio, Molise, Liguria e Trentino
Alto-Adige) altre sottodimensionate (Campania, Calabria, Marche e
Sicilia). Particolarmente sovradimensionate nel trasporto extraurbano
sono Abruzzo e Molise;
• ridurre l’eccessiva concentrazione del servizio in mano pubblica.
Delle oltre 1.100 aziende che operano nel settore circa l’87% sono
private. Ma è il restante 13%, di proprietà pubblica ad erogare il 68%
della produzione chilometrica nazionale. In UK il 5% della produ-
zione chilometrica è pubblica mente il 95% è privato. In Germania il
rapporto pubblico/privato è 52/48, in Francia 36/64, in Svezia 24/76,
in Olanda 95/5, in Belgio 72/28. Media panel 47/53;
• ridurre l’eccessiva frammentazione del settore. In Italia ci sono oltre
1.100 aziende di dimensioni mediamente piccole e scarsamente inte-
grate. La produzione aggregata dei primi 5 operatori in Italia è del
30% a fronte di una media europea del 49%. Studi recenti tuttavia

46
suggeriscono che esistono gruppi informali di aziende che rappresen-
tano veri e propri cartelli e che rendono il settore più concentrato di
quanto le statistiche ufficiali sembrano suggerire (Mangia, 2005; Ot-
toz, 2010; Danovi e Karletsos, 2011);
• incrementare la produttività, l’efficienza e l’economicità del servizio.
Il TPL in Italia è un settore strutturalmente in perdita. I ricavi da traf-
fico coprono mediamente il 30% dei costi operativi (85% in UK,
60% in Germania, 40% in Francia, 55% in Svezia, 40% Olanda, 33%
Belgio, media panel 52,1%). Tale divario deriva sia dalla scarsa ca-
pacità di generare ricavi da traffico, circa 1 euro/km in Italia contro
1,50 in UK e 2,40 in Germania – media 1,34 – (in generale le tariffe
sono inferiori del 20-50% rispetto a quelle europee), sia dai maggiori
costi operativi (3,6 euro/km contro 1,8 UK e una media europea di
2,7). Un contributo negativo è dato anche dalla scarsa produttività
chilometrica per addetto (17.060 km/addetto in Italia, contro una
media europea di 19.763 km/addetto). Il risultato finale è quello di
un settore in perdita con un ebit negativo pari a 2,3% che è di circa 6
punti percentuali in meno rispetto ai principali paesi europei.
La sfida più grande sarà, però, quella di sconfiggere la mentalità cosiddet-
ta burocratica, di conformità alle regole giuridiche ancora imperante in Italia
e di trasformarla in una più orientata ai risultati. Se positiva appare la valuta-
zione in merito all’introduzione di logiche di performance management nel
settore del trasporto pubblico locale da parte della legge n. 228/2012, molti
sono, però, i dubbi circa l’effettiva capacità del governo centrale di esercitare
con successo i poteri sostitutivi con commissari ad acta e con manager in
grado di rimpiazzare coloro che non sono stati in grado di raggiungere i risul-
tati previsti. Costringere e forzare le aziende ad essere efficienti con misure
così rigide può essere opportuno per vincere le resistenze e le strategie difen-
sive. In futuro, però il miglioramento del servizio dipenderà dalla capacità
delle aziende di trasporto e dei governi locali di trasformare i loro orienta-
menti strategici (Coda, 1988, 2010) da reactor a prospector (Miles e Snow,
1978) e di intraprendere sentieri di crescita e di espansione simili a quelli in-
trapresi dai grandi gruppi inglesi (Tas, 2010) e francesi.

1.4. Considerazioni conclusive

L’idea centrale di questo capitolo introduttivo è che la crisi del trasporto


pubblico locale in Italia è dipesa sostanzialmente dalla non volontà di rico-
noscere la sua mutata natura (il TPL non è più solo un servizio per raggiun-

47
gere obiettivi di inclusione sociale e territoriali ma uno strumento centrale
per combattere la congestione e l’inquinamento e per incrementare gli stan-
dard di vivibilità all’interno delle città e delle aree metropolitane) e dalla
resistenza mostrata, soprattutto da parte delle regioni, di impedire
l’attuazione dei vari tentativi di riforma che si sono succeduti negli anni al-
lo scopo di renderlo più efficiente. In Italia i sussidi pubblici coprono, or-
mai, il 70% dei costi operativi (la media europea è del 50%). Se si pensa
che la Thatcher, negli anni Ottanta liberalizzò completamente il trasporto
pubblico locale (tranne che a Londra) perché i sussidi pubblici stavano rag-
giungendo la “pericolosa” soglia del 30% (Savage, 1993: 144) si compren-
de la differente sensibilità italiana, rispetto agli altri paesi europei, nel de-
terminare quale debba essere la soglia da non superare per qualificare una
determinata situazione come “finanziariamente insostenibile”. Altri paesi
con differenti tradizioni socio-economiche hanno avuto meno esitazioni
nell’avviare il processo di cambiamento. Hanno deciso di dare priorità alla
lotta agli sprechi e al recupero deciso dell’efficienza utilizzando la leva del-
la concorrenza, sia libera che regolata, e della privatizzazione. Come nel
classico ciclo di Deming (Plan, Do, Check, Act) hanno provato, commesso
degli errori ma anche appreso come evitarli di nuovo allo scopo di miglio-
rare. L’Italia, al contrario, è rimasta intrappolata nel primo stadio, in quello
della pianificazione, senza proseguire in quelli successivi. Pur avendo vara-
to riforme ispirate al miglioramento dell’efficienza, così come suggerito dai
sostenitori del NPM, non è stata capace di sciogliere il dilemma implemen-
tativo, ossia se attuare, seriamente o meno, il meccanismo dei costi stan-
dard prima e delle gare poi (Boitani, 2004). In altri paesi di solito accade
che, dopo averla approvata, una riforma viene implementata e con
l’implementazione parte il processo di apprendimento e di miglioramento
della stessa in relazione agli effetti che essa provoca. In Italia, al contrario,
dopo aver approvato una riforma, non si avvia la sua concreta attuazione e
sperimentazione, ma inizia una lunga discussione in merito alla sua oppor-
tunità, con l’effetto di ritardarne, se non bloccarne, l’effettiva applicazione.
Se altrove le riforme si eseguono, in Italia si discutono. Tale situazione ri-
corda molto la nozione gramsciana di Interregno: «La crisi consiste appun-
to nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo in-
terregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati» (Gramsci, 1991,
Q.3: 48, citato da Bauman, 2012: 49). Il vecchio che non muore e il nuovo
che non nasce. Le “vecchie” forme organizzative (Van de Velde, 1999) ba-
sate sull’iniziativa dell’autorità pubblica e sulla forma gestionale cosiddetta
“in house” o sull’affidamento diretto ad entità giuridicamente distinte (Tab.
1) ma senza controlli, sanzioni o premi, sono, per così dire, moribonde in

48
quanto inefficienti e improduttive, mentre le “nuove” forme organizzative
previste dalle leggi di riforma, che prevedono maggiore apertura ai privati,
ai meccanismi di competizione, ma anche di collaborazione, ed ai sistemi di
valutazione dei risultati, sono, di fatto, rimaste inattuate, non avendo avuto
la forza di affermarsi e di sconfiggere le logiche che dal 1903, dalla legge
Giolitti, hanno imposto in Italia il monopolio pubblico nei servizi locali.
Permane, quindi, uno stato di sospensione, di stallo, che non riesce a trova-
re una via d’uscita. L’insoddisfazione verso il vecchio non ha la forza suffi-
ciente per far nascere il nuovo.

Tab. 1 – Vecchie e nuove forme organizzative del servizio di trasporto pubblico: la


situazione di “interregno” in Italia

Il vecchio che non muore… …il nuovo che non nasce…


Iniziativa da parte delle Autorità Pubblica Iniziativa da parte delle Autorità Libera iniziativa da parte delle
Pubblica imprese
In house (ex- Regolazione non Regolazione incentivante Regolazione Libera
municipalizzate). incentivante minima e concorrenza
regime nel mercato.
Assegnazione diretta Assegnazione Gare autorizzatorio.
ad un’azienda di diretta con obbligatorie.
proprietà pubblica con contratti di servizio
distinta personalità incentivanti con
giudica (S.p.A.) senza premi e sanzioni.
però meccanismi di
controllo o di incentivo.

Fonte: ns. elaborazione da Van de Velde (1999)

Ancora molto resta, quindi, da fare prima di avviare il settore del tra-
sporto pubblico locale sul sentiero della sostenibilità economica. Ancora
ampi sono i divari territoriali e dimensionali da ridurre. Il regionalismo nel
trasporto pubblico locale, come visto, non ha funzionato. La devolution alle
regioni non ha ridotto i gap di efficienza interni ed esterni, tra l’Italia e gli
altri paesi. Sono state le regioni stesse a bloccare l’implementazione dei co-
sti standard (legge n. 151/1981) e delle gare (legge n. 422/1997) lasciando
inalterato lo status quo. Si ritorna, pertanto, alla logica centralista. È il go-
verno centrale, ora, con la legge n. 228/2012 e con quelle successive che si
è accollato l’onere di portare avanti il processo di miglioramento del servi-
zio attraverso le tre azioni:
• di ridimensionamento dell’offerta,
• di riallineamento dell’efficienza attraverso lo strumento dei costi
standard,

49
• di controllo più stretto dell’implementazione attraverso l’Osservatorio
nazionale dei Trasporti e la previsione di maggiori poteri di intervento
(sostituzione dei vertici delle aziende pubbliche e nomina di Commis-
sari ad acta).
Gli obiettivi sono chiari: ridurre prima i divari di performance per alli-
nearli a quelli internazionali e poi aprirsi alla competizione. Pare sia questa
la lezione appresa dopo circa trent’anni di inerzia da parte delle regioni. Il
futuro dirà se il governo centrale avrà la forza sufficiente di applicarla in
concreto. In conclusione, forse vale la pena di segnalare che il nuovo pre-
mier Enrico Letta, che ha sostituito Mario Monti, ha scelto la parola “fare”
per dare un significato più concreto alla sua azione di governo. Il suo pro-
gramma si chiama, infatti, Decreto del Fare, per rimarcare che è arrivato
finalmente il momento di eseguire, di fare appunto, ciò che è stato delibera-
to e non più di continuare a discutere se sia opportuno o meno.

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56
2. IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE (TPL):
IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO

di Alceste Santuari

2.1. Introduzione

Alla stregua di altri servizi di pubblica utilità, anche il trasporto pubbli-


co locale rappresenta quello che si può definire un «bene condizionale», os-
sia «un prerequisito[...] per la produzione di altri beni e in generale per lo
sviluppo del territorio»1 (Caron, 2007: 861). Infatti, il servizio di trasporto
di persone, si colloca in un contesto caratterizzato, inter alia, dai seguenti
elementi:
1. il servizio di trasporto di persone rappresenta una importante risposta
al «bisogno di mobilità» dei cittadini;
2. il servizio di trasporto di persone è, laddove adeguatamente sostenuto
e potenziato, anche in collaborazione con altre agenzie pubbliche e
imprese private, un veicolo strategico di promozione turistica2;
3. nel servizio di trasporto di persone, come in altri servizi pubblici, la
valutazione della qualità da parte dei cittadini è diventata oramai una
componente essenziale del processo di erogazione dei servizi;
4. il TPL costituisce un anello strategico per il servizio scolastico;
5. il TPL rappresenta un patrimonio radicato nei territori e nelle comu-
nità locali.

1
F. CARON, Trasporto pubblico locale: la sfida della deverticalizzazione, in Non Profit,
4/2007, p. 861.
2
Al riguardo, si consideri che, per quanto riguarda le modalità gestionali del servizio tu-
ristico, l’Antitrust, con provvedimento n. 23998/2012, ha evidenziato che il servizio di no-
leggio con conducente: a) va gestito con una società separata, atteso che esso non presenta le
caratteristiche di un servizio di interesse generale; b) si distingue nettamente dall’ordinario
servizio di trasporto pubblico, in quanto non sussistono specifici obblighi di servizio; c)
l’attività non è riservata dalla legge a un determinato soggetto.

57
Sia con riferimento al contesto nazionale, sia riguardo ai diversi contesti
regionali, il servizio di trasporto di persone è stato interessato, in specie,
negli ultimi anni, da profondi cambiamenti3 (Busti, 2011: 462) e fatto og-
getto di un interesse progressivamente crescente, in ragione, soprattutto,
della particolare funzione svolta4 (Pizzetti, 2002: 193 ss.; Chiti, Sciumè,

3
Autorevole dottrina ha segnalato che «[u]n’autentica, imponente cascata di provvedimenti
normativi ha investito il trasporto pubblico locale (t.p.l.) dopo la legge-quadro in materia 10
aprile 1981 n. 151, che ha fatto seguito a tutta una serie di precedenti leggi regionali al riguar-
do, giustificate anche dal trasferimento, ai sensi dei d.P.R. 14 gennaio 1972 n. 5 e 24 luglio
1977 n. 616 (art. 84 s.), alle Regioni a statuto ordinario delle competenze amministrative, tra
l’altro, su tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale, primario strumento di realiz-
zazione dei servizi in parola, mentre venivano lasciate alla competenza statale le linee automo-
bilistiche internazionali e interregionali colleganti regioni non finitime. Ancor prima i pubblici
autoservizi erano realizzati o da aziende municipalizzate, costituite da Comuni o Province inte-
ressati in base al r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578 (t.u. sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da
parte dei Comuni e delle Province), oppure venivano eseguiti da terzi concessionari per il tra-
sporto di persone su itinerari fissi […]». S. BUSTI, Profilo storico della disciplina del trasporto
pubblico locale, in Rivista dei Trasporti, 2/2011, p. 462.
4
Il servizio in parola integra, invero, un servizio di pubblica utilità, ossia un servizio ri-
volto alla comunità, indipendentemente dal soggetto gestore, il quale – a questo riguardo –
può anche essere un’impresa privata ovvero un’aggregazione di imprese private artigiane,
quale è, nel caso di specie, il CTA. La possibilità che un servizio avente una connotazione
pubblica sia gestito/erogato da un soggetto privato, sia esso imprenditoriale ovvero non pro-
fit, è da collocarsi all’interno del dibattito e dell’elaborazione dottrinale e normativa in tema
di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà, invero, «mette in discussione la stessa distinzio-
ne fra pubblico e privato giacché non solo supera il principio di matrice ottocentesca secon-
do il quale il «pubblico» e lo «Stato» sono la «dimensione di tutte le cose» e la fonte orga-
nizzante di tutti i rapporti, ma supera la stessa distinzione fra suddito e cittadino [...] Esso
diventa [...] il principio ordinatore di un sistema che, ponendo al centro il cittadino nella sua
dimensione singola e associata, organizza la distribuzione dei poteri, delle competenze e
delle risorse in modo che la soddisfazione delle necessità e dei bisogni possa avvenire dav-
vero nel modo «più vicino al cittadino»; e cioè nel modo che assicuri la maggiore soddisfa-
zione e il maggiore rispetto dei cittadini stessi»: così, F. PIZZETTI, Il principio di sussidiarie-
tà nell’Unione Europea e in Italia tra retorica e realtà: il rispetto del cittadino di fronte alle
nuove esigenze di democrazia, in V. ANGIOLINI, L. VIOLINI, N. ZANON (a cura di), Le tra-
sformazioni dello Stato regionale italiano. In ricordo di Gianfranco Mor, Milano, 2002, pp.
193 ss. Accanto all’evoluzione del principio di sussidiarietà giova richiamare in questa sede,
ancorché in modo sintetico, l’evoluzione del concetto di «servizio pubblico», indotta nel
nostro ordinamento soprattutto dalla necessità di adeguare lo stesso alle normative di matri-
ce europea. «Se infatti si dimostra un arretramento della dimensione soggettiva di tale con-
cetto a favore della dimensione oggettiva dello stesso, tale trasformazione comporta una
contrazione dell’attività degli enti pubblici, cui può agevolmente affiancarsi un’attività «pri-
vata» che persegua un interesse della collettività.[...] [L]a linea di demarcazione tra la di-
mensione pubblicistica e quella privatistica non corre più lungo la dorsale soggettiva. Fa-
cendo proprie le suggestioni europee, l’ordinamento oggi tende a concentrare l’attenzione
sull’efficienza che si otterrebbe in un regime di libero mercato anche per sevizi oggettiva-
mente pubblici e punta ad integrare modelli organizzativi formalmente privatistici (le società
di capitali come unici possibili gestori dei servizi pubblici a carattere imprenditoriale) con

58
Violini, 2002: 238 ss.; Mangiameli) e degli impatti che il servizio è in gra-
do di produrre. E ciò sia in termini di sostenibilità economico-finanziaria
sia in relazione alla domanda di mobilità «pubblica» che le comunità
esprimono. L’«ambiente» in cui il servizio di trasporto di persone è oggi
erogato, è definito da alcuni «concetti chiave», in larga parte di derivazione
comunitaria, che intendiamo richiamare all’attenzione del lettore:
• libertà di prestazione dei servizi;
• liberalizzazioni e privatizzazioni;
• competitività;
• concorrenza;
• ripartizione di competenze tra il livello comunitario, quello nazionale
e quello regionale.
Il trasporto pubblico locale si trova5 (Santarpia, 2013: 8-9), dunque, ad
essere collocato in un contesto socio-economico, culturale e giuridico-
istituzionale definito da aspettative elevate in capo ai cittadini-utenti e dalla

elementi procedurali e sostanziali[...] cui conferire il non sempre grato compito di tutelare la
dimensione pubblicistica degli interessi in gioco». M.P. CHITI, A. SCIUMÉ, L. VIOLINI, Pub-
blico e privato nei servizi di pubblica utilità alla persona, in G. VITTADINI (a cura di), Liberi
di scegliere. Dal welfare state alla welfare society, Milano, 2002, pp. 238 ss. E ancora sul
principio di sussidiarietà e i legami tra esso e i servizi pubblici locali, ci sembra degno di
nota che: «[…] In via di principio, la tendenza è che sotto questa etichetta delle privatizza-
zioni non si è ancora realizzata una sussidiarietà orizzontale. Questioni in parte analoghe
emergono nel caso dei beni e dei servizi pubblici locali (servizi sociali, luce, acqua, gas, ri-
fiuti, trasporti, ecc.). Infatti, anche in questo ambito, in cui le riforme non sono più procra-
stinabili, si oscilla fortemente tra la tendenza a mantenere gli assetti attuali, con ingenti oneri
a carico dei bilanci degli enti locali e una scarsa soddisfazione dell’utenza, e quella, opposta,
ad una liberalizzazione totale, senza una preventiva valutazione di merito in ordine alla natu-
ra del servizio, alla condizione dei beni e delle reti locali, alle politiche tariffarie e sociali e
alla salvaguardia dei diritti degli utenti. Anche in ambito locale il pericolo di dare vita a
forme di rendita e di potere privato è molto forte. Di qui l’aspra polemica che tocca il ddl
AS/772, presentato dal governo[si tratta del ddl «Lanzillotta» dal nome del ministro agli af-
fari regionali del Governo Prodi], per il riordino dei servizi pubblici locali, che ha visto la
stessa maggioranza parlamentare profondamente divisa. Anche in questo caso sussiste il
concreto pericolo che non si realizzi alcuna forma di sussidiarietà orizzontale»: S. MANGIA-
MELI, Sussidiarietà e servizi di interesse generale: le aporie della privatizzazione,
http://www.issirfa.cnr.it/4268,908.html, 4 di 7. Come noto, il principio di sussidiarietà oriz-
zontale pone il carattere sussidiario dell’intervento pubblico rispetto all’iniziativa privata,
giustificandosi tale intervento solo se il privato non sia in grado di realizzare interessi ed
esigenze degni di tutela. Il principio in parola trova conferma nell’art. 118.4 Cost., che im-
pone a Stato, Regioni ed altri enti territoriali di favorire l’autonoma iniziativa di cittadini,
anche associati, per attività di interesse generale, con conseguente privatizzazione e libera-
lizzazione delle stesse, attraverso la relativa deregolamentazione amministrativa.
5
Per una breve disamina critica della situazione in cui versa lo stato del TPL in Italia, si
veda V. SANTARPIA, La crisi della mobilità pubblica, Approfondimenti, in Corriere della
Sera, lunedì 29 luglio 2013, pp. 8-9.

59
necessità di coniugare adeguate politiche di intervento e impiego di formule
societarie, anche di natura pubblica6.

2.2. Il contesto europeo

Una moderna concezione di servizio pubblico locale e, quindi, di tra-


sporto pubblico locale, deve naturaliter confrontarsi con i principi elaborati
dal diritto comunitario. In primo luogo, poiché gli enti locali – in quanto
appartenenti allo Stato nazionale – sono responsabili dell’assunzione del
TPL e, conseguentemente, della modalità di affidamento degli stessi, essi
sono tenuti al rispetto degli obblighi imposti dall’appartenenza all’Unione
Europea. In secondo luogo, il quadro normativo comunitario influenza
l’erogazione dei TPL, in quanto è in ambito europeo che si è affermata la
libertà di concorrenza, principio che forse più di altri è evocato, sotteso ov-
vero compromesso nei casi di assunzione di un servizio pubblico.
Il diritto dell’Unione europea non si esprime in termini di servizi pub-
blici o simili, come il dibattito dottrinale, da un lato e la produzione norma-
tiva nazionali ci hanno abituato, ma di servizi di interesse (economico) ge-
nerale7 (Caranta, 2011: 1176-1192). I servizi di interesse generale costitui-
scono oggetto di dibattito fin dalla nascita della Comunità europea, epoca
in cui è, infatti, iniziato il braccio di ferro tra l’aspirazione tutta comunitaria
alla affermazione di sistemi autenticamente concorrenziali e la volontà de-
gli Stati Membri a salvaguardare la potestà dello Stato nazionale di garanti-
re ai propri cittadini servizi di qualità offerti a prezzi calmierati8 (Cintioli,
2012: 1-2).
6
A richiamare la necessità di adeguate politiche per il TPL è intervenuta la Conferenza
delle Regioni e delle Province che, nel corso dell’Audizione nell’ambito dell’indagine cono-
scitiva sul trasporto pubblico locale (Roma, 24 luglio 2013), si è così espressa: «Nell’ottica
di un discorso generale sul TPL, si evidenzia infine la necessità, anch’essa più volte rappre-
sentata, di escludere dai vincoli derivanti dal patto di stabilità interno anche tutte le risorse
destinate dalle Regioni a statuto speciale, dalle Province Autonome e dagli altri enti locali al
trasporto pubblico locale, con qualsiasi modalità effettuato» (p. 5).
7
In argomento, si veda R. CARANTA, Il diritto dell’UE sui servizi di interesse economico
generale e il riparto delle competenze tra Stato e Regioni, in Le Regioni, 6/2011, pp. 1176-
1192.
8
In dottrina, si è evidenziato che i servizi di interesse generale costituiscono «un istituto
europeo, con il proprio bagaglio di principi e regole, [che] è venuto a sovrapporsi ai rispetti-
vi regimi degli Stati membri, provocandone mutamenti e generando un forte effetto di ar-
monizzazione. Mutamenti ed armonizzazione sono infatti i precipitati di questa vicenda, a
forte “imprinting comunitario”». Così, F. CINTIOLI, La dimensione europea dei servizi di
interesse economico generale, in www.federalismi.it, n. 11/2012, pp. 1-2. L’A. ricorda altre-

60
I servizi di interesse generale identificano attività soggette ad obblighi
specifici di servizio pubblico proprio perché considerate di interesse gene-
rale dalle autorità pubbliche. Sotto questa voce si ritrovano sia attività di
servizio non economico (sistemi scolastici obbligatori, protezione sociale
ma anche le funzioni inerenti alla potestà pubblica come la sicurezza, giu-
stizia, la difesa ed altro) sia attività di servizio cosiddette di interesse eco-
nomico generale9 (Sorace, 1999: 371; 2010: 1). I servizi di interesse eco-
nomico generale sono, quindi, una specie del genus servizi di interesse ge-
nerale: si tratta di servizi resi nell’ambito di un mercato concorrenziale
all’interno del quale si trovano ad operare sia soggetti privati sia soggetti
pubblici.
In ragione delle loro caratteristiche, tali servizi si pongono in una sorta
di zona franca intermedia tra attività economiche, da gestire secondo i ca-
noni dell’efficienza e nell’ambito di un contesto competitivo e attività non
economiche, da gestire in funzione dell’interesse generale ed in vista di
obiettivi di coesione sociale o territoriale, di equità redistributiva, nonché di
qualità dei servizi erogati10.
Fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, alcuni settori che tradizio-
nalmente fornivano servizi di interesse economico generale, sotto la spinta
della Comunità europea, si sono progressivamente aperti alla concorrenza.

sì come tale armonizzazione sia stata raggiunta «nonostante il settore rimanga molto sensibi-
le sul piano “politico” (i contrasti originari all’epoca del Trattato di Roma tra visioni pubbli-
cistiche e “sociali” e visioni fortemente liberali non a caso si sono ripetuti nei lavori dedicati
al progetto di Costituzione europea) e nonostante quindi rimangano sul tappeto non poche
tensioni su come i SIEG debbano essere declinati sul territorio nazionale, su dove debba es-
ser fissata l’asticella che separa mercato ed intervento pubblico, su come essi possano esser
finanziati, specie negli anni della grande crisi». Ivi, p. 2.
9
Sulla variegata composizione e natura dei servizi di interesse generale, in dottrina si è se-
gnalato che «[è] in corso un mutamento della disciplina dei servizi pubblici che sembra tale da
coinvolgere anche le rappresentazioni giuridiche del fenomeno e le parole che lo designano».
Così, D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl., 1999,
p. 371. Dello stesso A. si veda I servizi “pubblici” economici nell’ordinamento nazionale ed
europeo alla fine del primo decennio del XXI secolo, in Dir. amm., 2010, 1.
10
Sull’argomento, si veda la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo,
al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni intitolata
“Una disciplina di qualità per i servizi di interesse generale in Europa”, Bruxelles, 20 di-
cembre 2011 COM(2011) 900 definitivo, laddove si può leggere che la Commissione inten-
de definire una “disciplina di qualità” fondata su tre linee d’azione: «In primo luogo, miglio-
rare la chiarezza e la certezza giuridica per quanto riguarda le norme dell’UE applicabili a
questi servizi; in secondo luogo, fornire gli strumenti che consentono agli Stati membri di
garantire ai cittadini l’accesso ai servizi essenziali e di rivedere la situazione periodicamen-
te; e in terzo luogo, promuovere iniziative relative alla qualità, in particolare per i servizi
sociali che soddisfano esigenze particolarmente importanti» (p. 6).

61
Gli esempi più evidenti sono le telecomunicazioni, i servizi postali, i tra-
sporti e l’energia. Invero, in questo senso, l’Unione Europea ha sempre
promosso una liberalizzazione graduale, accompagnata da misure di tutela
dell’interesse generale, in particolare volte a garantire l’accesso di ognuno,
indipendentemente dalla situazione economica, sociale o geografica, ad un
servizio di una certa qualità ad un prezzo ritenuto mediamente accessibile.
Si può, dunque, affermare che l’Unione Europea, alla luce di quanto so-
pra descritto, abbia sempre inteso assicurare la fruizione di servizi universa-
li, la cui organizzazione è, tuttavia, rimessa agli Stati membri. Conseguen-
temente, l’organizzazione dei SIG dipende dalle tradizioni culturali, dalla
storia, dalla conformazione geografica e dalla sviluppo del tecnologie che
caratterizzano ciascun Stato membro.

2.2.1. Il Regolamento (CE) 23 ottobre 2007, n. 1370

Il Regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento Europeo e del Consi-


glio del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeg-
geri su strada e per ferrovia (entrato in vigore il 3 dicembre 2009), tra
l’altro, dispone quanto segue:
• la sua applicazione è relativa ai contratti di servizio pubblico per la
fornitura e gestione di servizi di trasporto di passeggeri affidati con
la forma della concessione di servizi;
• i servizi di TPL, nella fattispecie sopra richiamata della concessione
di servizi, possono essere affidati in forma diretta o mediante gara;
• quando si ricorre alla gara, l’amministrazione pubblica si rivolge ad
un operatore privato (impresa o gruppo di imprese siano esse di dirit-
to pubblico ovvero di diritto privato) per l’affidamento dei servizi in
parola;
• le autorità locali competenti sono chiamate a perseguire il fine di ga-
rantire la prestazione di trasporto pubblico di passeggeri di interesse
economico «senza discriminazione e in maniera continuativa» (art. 2,
lett. a e c);
• gli obblighi di servizio pubblico che l’operatore deve assolvere e le
zone geografiche interessate devono essere definiti «con chiarezza»
nel «contratto di servizio» (art. 4, par. 1, lett. a);
• poiché gli obblighi di servizio pubblico sono quelli che un operatore,
ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumereb-
be nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso, il

62
Regolamento de quo prevede che a favore dell’operatore possono es-
sere riconosciute «compensazioni e diritti di esclusiva».
Premesso che dall’applicazione del Regolamento sono (art. 1.2) esclusi i
trasporti pubblici di persone prestati soprattutto per interesse storico o turi-
stico, le scelte sull’aggiudicazione di contratti di servizio pubblico11 me-
diante gara, o meno, appaiono rimesse ai vari ordinamenti dei paesi mem-
bri, sia pure con precise limitazioni.
L’autorità competente ad intervenire nei trasporti pubblici di persone su
strada o per ferrovia in una zona geografica determinata (art. 2, lett. b, Reg.
in parola) è sì chiamata in generale ad aggiudicare i contratti di servizio
pubblico (art. 2, lett. i dello stesso) mediante gara ad evidenza pubblica (art.
5.3 del Reg. in oggetto), ma con tutta una serie di eccezioni previste al ri-
guardo dalla stessa normativa comunitaria e valide sino a contrario avviso
dei legislatori nazionali in senso favorevole alla procedura competitiva.
Infatti, «a meno che sia vietato dalla legislazione nazionale», l’autorità
competente a livello locale può fornire essa stessa il servizio in questione,
od aggiudicare direttamente contratti di servizio pubblico ad un soggetto
giuridicamente distinto su cui la predetta autorità è chiamata ad esercitare
un controllo quanto meno analogo a quello esercitato sulle proprie strutture.
Tale soggetto, denominato «operatore interno» (art. 2, lett. j), e qualsiasi
altro soggetto su cui il primo abbia un influenza anche minima, potranno
esercitare attività di trasporto pubblico di passeggeri su strada e per ferrovia
solo all’interno del territorio di competenza dell’autorità affidante o su li-
nee in uscita verso territori vicini, restando conseguentemente esclusa una
loro partecipazione a gare per la prestazione del servizio in parola al di fuo-
ri del predetto territorio. L’operatore interno potrà partecipare ad una gara
per l’aggiudicazione dei servizi in parola non prima di due anni dalla sca-
denza del proprio contratto di affidamento diretto e a condizione che sia
stato deciso di sottoporre a gara l’aggiudicazione del servizio affidato al
predetto operatore, e che quest’ultimo non abbia concluso altri contratti di
servizio pubblico di trasporto di persone su strada o per ferrovia ad aggiu-
dicazione diretta (art. 5.2, Reg. in esame).

11
Si intende (art. 1, lett. g, Reg. in parola) per contratto di servizio pubblico di trasporto
l’accordo tra l’autorità investita del potere di intervenire nei trasporti di persone, offerti al
pubblico senza discriminazione e in maniera continuativa (art. 1, lett. a e b, Reg. in oggetto),
e l’operatore a cui è affidata la fornitura e gestione del servizio stesso. A tale accordo viene
equiparata una decisione della predetta autorità che assuma la forma di legge o regolamento
o che specifichi le condizioni alle quali la stessa autorità fornisce direttamente il servizio o
ne affida la prestazione ad un operatore interno.

63
Ancora con previsione derogabile, in senso contrario, dalle particolari
normative nazionali, il legislatore comunitario ammette l’affidamento diret-
to esterno del servizio il cui valore annuo medio sia stimato come inferiore
ad 1 milione di euro o che riguardi un movimento-passeggeri inferiore nel
complesso a 300.000 km l’anno: soglie entrambe raddoppiabili nel rapporto
con un’impresa operante con non più di 23 veicoli (art. 5.4).
Sempre con prevalenza d’una contraria disposizione nazionale, è am-
messo l’affidamento diretto, per una durata non superiore ai 10 anni, del
pubblico servizio ferroviario locale, fatta eccezione per altri servizi su ro-
taia, come metropolitane o tram (art. 5.6).
Il Regolamento comunitario in parola riprende invece tutto il proprio vi-
gore di disciplina imperativa (restandone la vigenza, e la conseguente abro-
gazione dei Reg. (CE) n. 1191/1969 e n. 1107/1970 nella stessa materia, pe-
raltro differite al 3 dicembre 2009, ex artt. 10 e 12) quando contempla prov-
vedimenti di emergenza per fronteggiare un’imminente o già sussistente in-
terruzione del servizio: provvedimenti da prendersi, per una durata non supe-
riore ai due anni, sotto forma di aggiudicazione diretta d’un contratto di ser-
vizio pubblico, o di proroga consensuale di quello in scadenza o di imposi-
zione (peraltro impugnabile dall’obbligato) dell’obbligo di effettuare i tra-
sporti, per ferrovia o su strada, richiesti dall’autorità competente (art. 5.5).
Le riferite disposizioni non si applicano (art. 5.1 Reg. in parola) ai con-
tratti aggiudicati secondo le dir. 17 e 18 del 31 marzo 2004 del Parlamento
europeo e Consiglio CE, recepite nel nostro ordinamento con d.lgs. 12 apri-
le 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e for-
niture). Si tratta di contratti di servizio pubblico che prevedono, a carico
dell’amministrazione pubblica, compensazioni per l’impresa affidataria tali
da coprire i costi dell’attività e garantire un ragionevole margine di profitto.
Tali contratti (c.d. gross cost) pongono il rischio dell’attività in parola a to-
tale carico dell’amministrazione e vanno pertanto aggiudicati necessaria-
mente con gara ad evidenza pubblica, per rendere trasparente e se possibile
contenere l’ammontare della compensazione.
La mancata effettuazione della gara è consentita dal legislatore comunita-
rio solo qualora chi intende assumere il trasporto pubblico ne accetti il rischio
d’impresa. Si tratta della fattispecie denominata «concessione di servizi» negli
artt. 3.32 e 30 del codice dei contratti pubblici e sottratta alle disposizioni so-
stanziali del codice stesso, e così alle formali procedure competitive ad evi-
denza pubblica. Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del
«concessionario» consiste unicamente nel diritto di gestire e sfruttare econo-
micamente il servizio in questione, con l’aggiunta eventuale d’un prezzo pat-
tuito in proposito a carico della pubblica amministrazione in sede di contratto

64
di servizio, qualora al concessionario venga imposto di praticare all’utenza
prezzi, della propria attività, inferiori a quelli corrispondenti alla somma del
costo del servizio e dell’ordinario utile d’impresa, ovvero qualora si tratti di
assicurare la qualità del servizio stesso. Il prezzo in parola non ha comunque
la funzione di «garantire» il concessionario dal rischio dell’operazione con-
trattualmente assunta, in particolare qualora i ricavi siano scarsi per l’esiguo
numero dei fruitori del servizio o nel caso di impreviste complicazioni e diffi-
coltà nella sua effettuazione.
Solo qualora non sia l’amministrazione competente a sopportare il ri-
schio della gestione e fornitura del pubblico servizio possono entrare in
gioco, salvo il contrario avviso del paese membro, le gestioni dirette o gli
affidamenti, cioè l’in house.
Proprio la ricorrente possibilità, per il legislatore nazionale, di scelte op-
poste a quelle suggerite dal Regolamento comunitario in parola comporta la
sostanziale incapacità di quest’ultimo a garantire un uniforme, e soprattutto
duraturo, trattamento del TPL, in funzione d’un suo risanamento.

2.3. Il contesto italiano

Il servizio di trasporto pubblico locale è stato interessato, nel corso degli


ultimi decenni, da numerosi interventi di carattere legislativo che, tuttavia,
non ne hanno sostanzialmente modificato l’impianto originario, basato
sull’organizzazione, gestione ed erogazione, in larga parte affidate agli enti
pubblici ovvero a società da questi ultimi controllate. Ciononostante, è de-
gno di nota il fatto che il comparto del TPL è andato progressivamente mo-
dificandosi in ragione:
a) della progressiva applicazione del principio della libera concorrenza
di matrice comunitaria;
b) delle numerose censure agli aiuti di Stato;
c) delle difficoltà di mantenere in equilibrio economico-finanziario le
strutture pubbliche deputate all’erogazione del servizio di trasporto
pubblico locale;
d) della richiesta di maggiore flessibilità e maggiore accesso ai servizi
da parte dell’utenza;
e) della individuazione del comparto dei TPL quale area in cui speri-
mentare nuove formule di PPPs (public-private partnerships).

65
2.3.1. L. 28 dicembre 1995, n. 549, recante “Misure di razionalizza-
zione della finanza pubblica” (collegato alla l. finanziaria
1996)

La legge in argomento (art. 2, comma 51) conteneva una specifica delega


al Governo per attuare la riforma del settore del trasporto pubblico. Le prin-
cipali novità introdotte dalla riforma in oggetto riguarda, sotto il profilo am-
ministrativo, l’unificazione delle responsabilità di programmazione e di fi-
nanziamento di tutti i servizi di trasporto locale presso le Regioni e trasferi-
mento agli enti locali territoriali di tutte le funzioni che non richiedano eser-
cizio unitario a livello regionale. Da segnalare, in particolare, la previsione,
avente carattere di assoluta novità rispetto alla precedente disciplina sui ser-
vizi pubblici locali (l. 8 giugno 1990 n. 142), secondo cui le funzioni di pro-
grammazione e regolazione, di competenza delle pubbliche amministrazioni,
devono essere separate nettamente dalle funzioni di gestione industriale, at-
tribuite alle precedenti aziende speciali trasformate in società di capitali o in
cooperative tra i dipendenti. Si aggiunga inoltre che la legge delega in parola
ha previsto l’introduzione di meccanismi concorrenziali per l’affidamento dei
servizi, allo scopo di accrescere l’efficienza dei soggetti gestori e, quindi, ri-
durre i costi di gestione, innalzando contestualmente lo standard qualitativo
dei servizi erogati. Coerentemente con un’impostazione che tendeva ad aprire
il “mercato” dei servizi di trasporto pubblico (locale), la normativa ha altresì
previsto in capo agli enti locali l’obbligo di stipulare contratti di servizio, con
le imprese produttrici, dotati di certezza e copertura finanziaria per tutto il pe-
riodo di validità dei contratti medesimi. Particolare menzione merita la defi-
nizione di criteri per l’istituzione, a livello regionale e locale, di specifici or-
ganismi preposti alla formazione e attuazione dei piani di trasporto e alla
preparazione e gestione dei contratti di servizio pubblico.

2.3.2. D.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, recante “Conferimento alle


Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di
trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4,
della l. 15 marzo 1997 n. 59”

La l. 15 marzo 1997 n. 59 (c.d. Bassanini uno) ha individuato tassativa-


mente le funzioni e i compiti da mantenere in capo alle amministrazioni

66
pubbliche statali e quelli da trasferire alle Regioni e agli enti locali12. Tale
legge ha conferito alle Regioni e agli enti locali le funzioni e i compiti in
materia di trasporto pubblico locale, ribadendo i principi di sussidiarietà,
economicità ed efficienza, quali linee guida che informano il settore dei tra-
sporti pubblici locali. Ai sensi della legge “Bassanini uno”, è stato approva-
to il d.lgs. 19 novembre 1997 n. 422, recante “Conferimento alle Regioni
ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico lo-
cale”. Il decreto in oggetto, tra l’altro, ribadisce il riparto delle competenze
tra Stato, Regioni ed enti locali, invertendo la tendenza rispetto al passato,
poiché le funzioni delegate agli enti territoriali riguardano l’intero comparto
del servizio di trasporto e le competenze conferite sono di carattere pro-
grammatorio, amministrativo e finanziario13; stabilisce l’organizzazione dei
servizi a livello territoriale14; individua i servizi minimi da erogare sul terri-
12
In tema di trasporti locali, la l. 15 marzo 1997 n. 59, demandando ad appositi decreti
legislativi, ha previsto che le Regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competen-
ze, regolino l’esercizio dei servizi con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affi-
dati. Inoltre, la legge in parola ha attribuito alle Regioni il compito di definire, d’intesa con
gli enti locali, il livello dei servizi minimi qualitativamente e quantitativamente sufficienti a
soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini, servizi i cui costi sono a carico dei bilanci
regionali, prevedendo che i costi dei servizi ulteriori rispetto a quelli minimi siano a carico
degli enti locali che ne programmino l’esercizio. Si aggiunga, inoltre, che la legge n.
59/1997 ha previsto che l’attuazione delle deleghe e l’attribuzione delle relative risorse alle
Regioni fossero precedute da appositi accordi di programma tra il ministero dei trasporti e
della navigazione e le Regioni medesime, sempreché gli stessi accordi fossero perfezionati
entro il 30 giugno 1997.
13
L’art. 5 del d.lgs. n. 422/1997 così dispone: «(Conferimento a regioni ed enti locali) 1.
Sono conferiti alle Regioni e agli enti locali […] tutti i compiti e le funzioni relativi al servi-
zio pubblico di trasporto di interesse regionale e locale, in atto esercitati da qualunque orga-
no o amministrazione dello Stato, centrale o periferica, anche tramite enti o altri soggetti
pubblici, tranne quelli espressamente mantenuti allo Stato dall’articolo 4 del presente decre-
to», come la realizzazione di grandi reti infrastrutturali, l’organizzazione dei servizi di tra-
sporto di interesse nazionale ed internazionale, le funzioni in materia di polizia, sicurezza e
regolarità circa l’esercizio del servizio, l’adozione di linee guida per la riduzione
dell’inquinamento, la stipula di accordi e convenzioni internazionali relativi ai servizi tran-
sfrontalieri per il trasporto di persone e merci. L’art. 6 del d.lg. n. 422/1997, inoltre, con par-
ticolare riferimento alle competenze regionali, recita: «1. Sono delegati alle Regioni i com-
piti di programmazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale di cui all’articolo
14, non già compresi nelle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione […]».
14
Al riguardo, così recita l’art. 14: «Programmazione dei trasporti locali. […] 2.
Nell’esercizio dei compiti di programmazione, le Regioni: a) definiscono gli indirizzi per la
pianificazione dei trasporti locali ed in particolare per i piani di bacino; b) redigono i piani
regionali dei trasporti e loro aggiornamenti tenendo conto della programmazione degli enti
locali ed in particolare dei piani di bacino predisposti dalle Province e, ove esistenti, dalle
Città metropolitane, in connessione con le previsioni di assetto territoriale e di sviluppo eco-
nomico e con il fine di assicurare una rete di trasporto che privilegi le integrazioni tra le va-
rie modalità favorendo in particolar modo quelle a minore impatto sotto il profilo ambienta-

67
torio15; stabilisce che l’organizzazione dei servizi di trasporto pubblico re-
gionale e locale deve garantire un assetto di concorrenzialità, derivante
dall’espletamento di procedure competitive per la scelta del gestore del ser-
vizio o dei soci privati delle società che gestiscono i servizi16; enfatizza il

le. […] 4. Per l’esercizio dei servizi pubblici di trasporto locale in territori a domanda debo-
le, al fine di garantire comunque il soddisfacimento delle esigenze di mobilità nei territori
stessi, le Regioni, sentiti gli enti locali interessati e le associazioni nazionali di categoria del
settore del trasporto di persone, possono individuare modalità particolari di espletamento dei
servizi di linea, da affidare, attraverso procedure concorsuali, alle imprese che hanno i requi-
siti per esercitare autoservizi pubblici non di linea o servizi di trasporto di persone su strada.
Nei comuni montani o nei territori in cui non vi è offerta dei servizi predetti possono essere
utilizzati veicoli adibiti ad uso proprio, fermo restando l’obbligo del possesso dei requisiti
professionali per l’esercizio del trasporto pubblico di persone. […]».
15
Art. 16. «Servizi minimi – 1. I servizi minimi, qualitativamente e quantitativamente
sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini e i cui costi sono a carico del
bilancio delle Regioni, sono definiti tenendo conto: a) dell’integrazione tra le reti di traspor-
to; b) del pendolarismo scolastico e lavorativo; c) della fruibilità dei servizi da parte degli
utenti per l’accesso ai vari servizi amministrativi, sociosanitari e culturali; d) delle esigenze
di riduzione della congestione e dell’inquinamento. 2. Nella determinazione del livello dei
servizi minimi, le Regioni definiscono, d’intesa con gli enti locali, secondo le modalità sta-
bilite dalla l. regionale, e adottando criteri di omogeneità fra regioni, quantità e standard di
qualità dei servizi di trasporto pubblico locale […]. 3. Le Province, i Comuni e le Comunità
montane, nel caso di esercizio associato di servizi comunali del trasporto locale di cui
all’articolo 11, comma 1, della l. 31 gennaio 1994, n. 97, possono istituire, d’intesa con la
Regione ai fini della compatibilità di rete, servizi di trasporto aggiuntivi a quelli definiti dal-
la Regione stessa ai sensi dei commi 1 e 2, con oneri a carico dei bilanci degli enti stessi. In
tal caso l’imposizione degli obblighi di servizio aggiuntivo e le corrispondenti compensa-
zioni finanziarie, da porre a carico dei bilanci degli enti stessi, sono fissate mediante i con-
tratti di servizio di cui all’articolo 19».
16
Art. 18. «Organizzazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale – 1.
L’esercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalità effet-
tuati e in qualsiasi forma affidati, è regolato, a norma dell’articolo 19, mediante contratti di
servizio di durata non superiore a nove anni. L’esercizio deve rispondere a principi di eco-
nomicità ed efficienza, da conseguirsi anche attraverso l’integrazione modale dei servizi
pubblici di trasporto. I servizi in economia sono disciplinati con regolamento dei competenti
enti locali. 2. Allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di intro-
durre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale, per
l’affidamento dei servizi le Regioni e gli enti locali si attengono ai principi dell’articolo 2
della legge 14 novembre 1995, n. 481, garantendo in particolare: a) il ricorso alle procedure
concorsuali per la scelta del gestore del servizio o dei soci privati delle società che gestisco-
no i servizi, sulla base degli elementi del contratto di servizio di cui all’articolo 19 e in con-
formità alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizi e sulla costi-
tuzione delle società miste; b) l’esclusione, in caso di gestione diretta o di affidamento diret-
to dei servizi da parte degli enti locali a propri consorzi o aziende speciali, dell’ampliamento
dei bacini di servizio rispetto a quelli già gestiti nelle predette forme; c) la previsione, nel
caso di cui alla lettera b), dell’obbligo di affidamento da parte degli enti locali tramite pro-
cedure concorsuali di quote di servizio o di servizi speciali, previa revisione dei contratti di

68
ricorso ai contratti di servizio, quale strumento di raccordo, verifica, moni-
toraggio e valutazione dei servizi erogati17. In argomento, si segnala che sia
la normativa comunitaria che quella nazionale considerano come elemento
centrale della riforma del trasporto pubblico locale la separazione tra re-
sponsabilità programmatoria e finanziamento dei servizi, riconosciuti in ca-
po alle amministrazioni pubbliche e responsabilità della produzione del
servizio, da riconoscere in capo a soggetti imprenditoriali. Il contratto di
servizio, in quest’ottica, interviene a regolare il rapporto che lega l’ente lo-
cale con l’impresa affidataria del servizio. Il contratto di servizio (pubblico)
previsto dalla legge n. 59/1997 e dal d.lgs. n. 422/1997 si applica ai servizi
pubblici con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati18.

servizio in essere; d) l’esclusione, in caso di mancato rinnovo del contratto alla scadenza o
di decadenza dal contratto medesimo, di indennizzo al gestore che cessa dal servizio […]»
17
Art. 19. «Contratti di servizio – 1. I contratti di servizio assicurano la completa corri-
spondenza fra oneri per servizi e risorse disponibili, al netto dei proventi tariffari e sono sti-
pulati prima dell’inizio del loro periodo di validità. […] 2. I contratti di servizio per i quali
non è assicurata, al momento della loro stipula, la corrispondenza tra gli importi di cui alla
lettera e) del comma 3 e le risorse effettivamente disponibili sono nulli. 3. I contratti di ser-
vizio […] definiscono: a) il periodo di validità; b) le caratteristiche dei servizi offerti ed il
programma di esercizio; c) gli standard qualitativi minimi del servizio, in termini di età, ma-
nutenzione, confortevolezza e pulizia dei veicoli, e di regolarità delle corse; d) la struttura
tariffaria adottata; e) l’importo eventualmente dovuto dall’ente pubblico all’azienda di tra-
sporto per le prestazioni oggetto del contratto e le modalità di pagamento, nonché eventuali
adeguamenti conseguenti a mutamenti della struttura tariffaria; f) le modalità di modifica-
zione del contratto successivamente alla conclusione; g) le garanzie che devono essere pre-
state dall’azienda di trasporto; h) le sanzioni in caso di mancata osservanza del contratto;
[…] 4. Gli importi di cui al comma 3, lettera e), possono essere soggetti a revisione annuale
con modalità determinate nel contratto stesso allo scopo di incentivare miglioramenti di effi-
cienza. I suddetti importi possono essere incrementati in misura non maggiore del tasso pro-
grammato di inflazione, salvo l’eventuale recupero delle differenze in caso di rilevante sco-
stamento dal tasso effettivo di inflazione, a parità di offerta di trasporto. 5. I contratti di ser-
vizio pubblico devono rispettare gli articoli 2 e 3 del Reg. (CEE) n. 1191/69 ed il Reg.
(CEE) n. 1893/91, [destinato, come detto, ad essere «sostituito» dal Reg. (CE) n. 1370/2007]
avere caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio e prevedere un progressi-
vo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, rapporto che, al netto dei
costi di infrastruttura, dovrà essere pari almeno allo 0,35 a partire dal 1° gennaio 2000. Tro-
vano applicazione ai trasporti regionali e locali, a tale fine, le norme della direttiva
91/440/CEE del Consiglio del 29 luglio 1991. […]».
18
Al riguardo, sono state elaborate varie tipologie di contratto, le quali, per quanto attie-
ne ai trasporti locali, si differenziano in funzione del rischio a carico dei contraenti: il rischio
industriale, legato ai costi di esercizio e di gestione dell’attività di impresa, e il rischio
commerciale, legato all’attività di vendita. Da detta suddivisione discendono le seguenti ti-
pologie di servizio: a) management contract: entrambi i rischi ricadono sull’ente affidante. Il
gestore riceve una remunerazione che è generalmente indipendente dal risultato raggiunto;
b) gross cost contract: il rischio industriale è a carico dell’erogatore del servizio, mentre
quello commerciale grava sull’ente affidante. Il gestore riceve un corrispettivo basato sui

69
2.3.3. D.lgs. 20 settembre 1999, n. 400, “Modifiche ed integrazioni
al decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 422, recante confe-
rimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in
materia di trasporto pubblico locale”

Tra le modifiche che riteniamo utili riportare ai fini del nostro inqua-
dramento si segnalano:
• il richiamo alla normativa comunitaria e alla disciplina sugli appalti
pubblici di servizio per l’affidamento dei TPL19;

costi, pattuito ex ante e pagato per la produzione di un ammontare prestabilito di servizio. In


questo caso, il gestore non deve fare previsioni sulle entrate del servizio offerto, così dimi-
nuendo il rischio imprenditoriale a suo carico. Tale tipo di contratto risulta incentivare
l’impresa solo dal lato dei costi e non da quello dei ricavi gestiti e incassati esclusivamente
dall’ente pubblico. Esso tuttavia sembra essere più incentivante del Management Contract;
c) net cost contract: entrambi i rischi sono carico del gestore del servizio. La società riceve
un corrispettivo ex ante pari alla differenza tra i costi di esercizio e i ricavi preventivati. Per-
tanto, con questa tipologia di contratto aumentano i rischi a carico del gestore del servizio,
mentre l’amministrazione affidante conosce a priori l’onere netto del servizio. Si tratta, con-
seguentemente, di un contratto altamente incentivante, poiché spinge sia a contenere i costi
che ad aumentare i ricavi. Si noti che la legislazione italiana sembra prediligere l’utilizzo dei
contratti net cost, ancorché il ricorso alle altre forme, in particolare al gross contract, non è
inibito. Si comprende come l’impiego ovvero la scelta dell’una o dell’altra forma contrattua-
le non sia priva di conseguenze: un’impresa soggetta ad un net contract è maggiormente
responsabilizzata sul fronte delle entrate ottenute dai servizi prestati. Ciò ragionevolmente la
induce a migliorare qualitativamente i servizi resi, al fine di accrescere gli introiti e anche a
controllare l’effettiva riscossione dei servizi erogati, impedendo per quanto possibile ogni
forma di trasgressione da parte dei viaggiatori. Se, al contrario, l’impresa affidataria del ser-
vizio fosse sottoposta ad un gross contract essa sarebbe responsabile solo dei costi di servi-
zio, senza alcun incentivo dal lato delle entrate.
19
L’art. 1, comma 6, d.lgs. n. 400/1999 così prevede: «All’articolo 18 [del d.lgs. n.
422/1997] sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 2, la lettera a) è sostituita
dalla seguente: “a) il ricorso alle procedure concorsuali per la scelta del gestore del servizio
sulla base degli elementi del contratto di servizio di cui all’articolo 19 e in conformità alla
normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizio. Alle gare possono par-
tecipare i soggetti in possesso dei requisiti di idoneità morale, finanziaria e professionale
richiesti, ai sensi della normativa vigente, per il conseguimento della prescritta abilitazione
all’autotrasporto di viaggiatori su strada, con esclusione delle società che, in Italia o
all’estero, gestiscono servizi in affidamento diretto o attraverso procedure non ad evidenza
pubblica, e delle società dalle stesse controllate. Tale esclusione non opera limitatamente
alle gare che hanno ad oggetto i servizi già espletati dai soggetti stessi. La gara è aggiudicata
sulla base delle migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, nonché dei
piani di sviluppo e potenziamento delle reti e degli impianti, oltre che della fissazione di un
coefficiente minimo di utilizzazione per la istituzione o il mantenimento delle singole linee
esercite”».

70
• la definizione del termine entro cui le Regioni e gli enti locali avreb-
bero dovuto procedere alla trasformazione delle esistenti aziende
speciali in società per azioni ovvero al frazionamento societario20;
• l’individuazione, nel nuovo comma 3 bis dell’art. 18, d.lgs. n.
422/1997, di un periodo transitorio, inizialmente fissato al 31 dicembre
2003 e successivamente prorogato (come si dirà), entro il quale le Re-
gioni avrebbero potuto (e possono) mantenere gli affidamenti diretti
agli attuali concessionari di servizio di trasporto pubblico locale, po-
nendo «l’obbligo», per tale periodo transitorio, «di affidamento di quo-
te di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali»;
• obbligo assoluto di affidare i servizi di TPL tramite procedure di ga-
ra, una volta scaduto il predetto termine.

2.3.4. La riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione

La l. cost. 18 ottobre 2001 n. 3, che è intervenuta a modificare il Titolo


V della parte seconda della Costituzione, dispone che le competenze in ma-
teria di trasporto pubblico locale, che già erano state trasferite alle Regioni
in forza di precedenti provvedimenti, vengano confermate in capo alle Re-
gioni21 (Vermiglio, 2004: 40). In particolare, intervenendo sull’assetto delle

20
L’art. 1, comma 6 sopra richiamato, al riguardo, dispone: «il comma 3 [dell’art. 18 del
d.lgs. n. 422/1997] è sostituito dal seguente: “3. Le Regioni e gli enti locali, nelle rispettive
competenze, incentivano il riassetto organizzativo e attuano, entro e non oltre il 31 dicembre
2000, la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi, anche con le procedure di cui
all’articolo 17, commi 51 e seguenti, della legge 15 maggio 1997, n. 127, in società di capi-
tali, ovvero in cooperative a responsabilità limitata, anche tra i dipendenti, o l’eventuale fra-
zionamento societario derivante da esigenze funzionali o di gestione. Di tali società, l’ente
titolare del servizio può restare socio unico per un periodo non superiore a due anni. Ove la
trasformazione di cui al presente comma non avvenga entro il termine indicato, provvede il
sindaco o il presidente della Provincia nei successivi tre mesi. In caso di ulteriore inerzia, la
Regione procede all’affidamento immediato del relativo servizio mediante le procedure con-
corsuali di cui al comma 2, lettera a)”».
21
In tema di riparto di competenze, autorevole dottrina ha segnalato che detta «redistri-
buzione» sia da collocare in un «ordinamento che adotta modelli neofederali e che pertanto
si preoccupa di affermare la generale e residuale potestà legislativa delle Regioni garantita
da un principio di sussidiarietà nei confronti dello Stato e tramite esso nei confronti della
Comunità [europea]. La materia del trasporto è uno di quei settori in cui questo processo di
passaggio al livello di governo europeo è più marcato per cui in questa prospettiva diacroni-
ca si risolve anche l’apparente contraddizione tra una ripartizione di potestà legislativa tra
Stato e Regioni formalmente rigida e sostanzialmente flessibile»: così G. VERMIGLIO, Il ri-
parto di competenze Stato-Regioni in materia di navigazione e trasporto nel Titolo V Cost.:

71
competenze definite nell’art. 117 Cost., la legge costituzionale in parola ha
ribadito e rafforzato la competenza delle Regioni e degli enti locali in mate-
ria di TPL22 (Filippi, 2007: 30 ss.). Competenza, questa, che tuttavia non
sembra corrispondere al finanziamento del TPL, che rimane, invero, ancora
in larga parte a carico del bilancio statale23.

criteri interpretativi desumibili dalla sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale, in Dir.
trasp., 2004, 40.
22
In dottrina, in tema, si è sottolineato che «la riforma costituzionale ha, infatti, definiti-
vamente sancito la fine del parallelismo tra le funzioni legislative e amministrative, attribui-
te rispettivamente allo Stato e alle Regioni, riducendo l’ambito della potestà legislativa dello
Stato a vantaggio della competenza legislativa riconosciuta alle Regioni in tutte le materie
non espressamente riservate allo Stato […] Con la riforma del titolo V della Costituzione, in
virtù del novellato art. 117, comma 4, secondo cui «spetta alle Regioni la potestà legislativa
in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato», la
competenza regionale in materia di trasporti pubblici locali si trasforma, quindi, da concor-
rente in residuale esclusiva […] Tale trasformazione del riparto delle competenze tra Stato e
Regioni in tema di trasporto pubblico locale non ha, tuttavia, inciso sulla validità dei principi
già definiti dalla regolazione nazionale disciplinata dal d.lg. 422/97, a tali criteri, infatti, do-
vranno, comunque, necessariamente uniformarsi le leggi regionali in materia di trasporto
pubblico locale». Così, G. FILIPPI, Legislazione nazionale del trasporto pubblico locale, in
Riv. dir. trasp., 1/07, pp. 30 ss. Trattasi di principi che in quanto finalizzati alla tutela della
concorrenza sono inderogabili in virtù del disposto dell’art. 117, comma 2, lett. m) cost. se-
condo cui lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essen-
ziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale».
23
Si veda, da ultimo, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 11 marzo
2013, recante “Definizione dei criteri e delle modalità con cui ripartire il Fondo nazionale
per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle
regioni a statuto ordinario”. In tema di finanziamenti al sistema del TPL si registra la presa
di posizione della Conferenza delle Regioni: «In conclusione, può affermarsi che, nonostan-
te il tentativo di stanziare risorse certe da destinare al settore del TPL, l’attuale disegno del
Governo in materia di trasporto pubblico locale non appare assolutamente idoneo a garantire
il regolare funzionamento del settore, pur in presenza di processi di efficientamento e razio-
nalizzazione che le regioni stanno intraprendendo, né l’espletamento dei servizi minimi es-
senziali […]. Quanto innanzi a conferma della segnalata incertezza del quadro finanziario
disegnato dalle norme attualmente in vigore e della loro contraddittorietà con la titolarità
delle competenze (e quindi delle risorse necessarie) in materia di trasporto pubblico locale in
capo alle Regioni e Province autonome». Documento della Conferenza delle Regioni e Pro-
vince Autonome, Roma, 24 luglio 2013, cit., p. 9.
In tema di finanziamento del TPL, si segnala altresì la sentenza Consiglio di Stato, sez.
V, 27 marzo 2013, n. 1799, con la quale i giudici amministrativi hanno ribadito che il finan-
ziamento regionale non costituisce un fattore esogeno, una variabile indipendente in grado
di mutare l’organizzazione e l’offerta del servizio. Al contrario, esso è la variabile dipenden-
te risultante dall’onere economico predeterminato e complessivamente riveniente dai con-
tratti di servizio stipulati in ambito regionale. Nello specifico, i giudici di Palazzo Spada
hanno ribadito che: a) la riduzione del finanziamento regionale ha incidenza diretta sui ser-
vizi minimi di trasporto; b) stante la correlazione biunivoca tra finanziamento ed organizza-
zione del servizio, non è consentito alla Regione di incidere sul volume del primo, perché

72
2.3.5. L. 28 dicembre 2001, n. 448, “Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (l. finanziaria
2002)”

Il processo di riforma, avviato con la legge delega n. 59/1997 e succes-


sivi decreti legislativi, che aveva, ancorché forse troppo timidamente, aper-
to alla competitività e alla concorrenzialità nei TPL, subisce una prima bat-
tuta d’arresto con la l. 28 dicembre 2001 n. 44824, che prevede ampie dero-
ghe al principio della gara, alle modalità di affidamento del servizio e alla
durata dei periodi transitori25. Talune disposizioni contenute nell’art. 35

con ciò si induce una riduzione dell’offerta, la quale può invece essere giustificata solo
dall’impossibilità, verificata a consuntivo, di assicurare la copertura finanziaria al privato
gestore, per le condizioni in cui esso si trova concretamente ad operare; c) tanto meno è con-
sentito sottrarsi al necessario confronto preventivo con gli enti locali affidanti ed eludere tale
obbligo con la raccomandazione di misure volte ad incrementare l’efficienza del servizio
[…] perché in tal modo si trasla su questi ultimi la responsabilità organizzativa e finanziaria
inerente la fornitura del servizio di trasporto, oltre che a rischi di contenziosi nei confronti
degli affidatari privati. Il Consiglio di Stato aggiunge che «nemmeno la riduzione dei trasfe-
rimenti statali costituisce, di per sé, giusta causa di riduzione del finanziamento dei servizi
minimi, laddove questa non si accompagni ad una preventiva rimodulazione degli stessi, da
adottare secondo le procedure concertative stabilite dalla legislazione nazionale e regionale
[…]». Ma i giudici amministrativi sottolineano altresì che, in specie in una congiuntura eco-
nomico-finanziaria negativa come quella attuale e al cospetto dell’obbligo costituzionale del
pareggio di bilancio, approvato con l. n. 243/2012, la riduzione dei trasferimenti statali non
può essere interpretato alla stregua di evento esonerativo di responsabilità per la regione.
Spetta, dunque, a quest’ultima l’onere di programmare una politica di bilancio in grado di
mantenere inalterato il finanziamento al trasporto pubblico locale e contemporaneamente
l’equilibrio strutturale dei propri conti. In argomento, si veda ancora Consiglio di Stato, sez.
V, sentenza 24 aprile 2013, n. 2268, nella quale i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto
legittimo il comportamento di un’amministrazione locale che ha in via unilaterale inciso sul
regime tariffario del servizio di TPL seguendo la via della rideterminazione degli obblighi di
servizio pubblico in correlazione con le tariffe massime per mezzo di un atto amministrativo
generale (art. 3, comma 3, Regolamento CE n. 1370/2007).
24
Con questa legge vengono apportate numerose e significative modifiche al d.lgs. n.
267/2000 (t.u. sugli enti locali), prevedendo, inter alia, un rafforzamento del ruolo degli enti
locali medesimi nell’erogazione dei TPL, utilizzando allo scopo l’estensione del periodo
transitorio entro il quale le Regioni avrebbero dovuto provvedere all’indizione di procedure
concorsuali.
25
Così recita l’art. 35, comma 9, legge n. 448/2001: «In attuazione delle disposizioni di
cui ai commi 2 e 13 dell’articolo 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del
presente articolo, gli enti locali che alla data di entrata in vigore della presente l. detengano
la maggioranza del capitale sociale delle società per la gestione di servizi pubblici locali, che
siano proprietarie anche delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l’esercizio di
servizi pubblici locali, provvedono ad effettuare, entro un anno dalla data di entrata in vigore
della presente legge, anche in deroga alle disposizioni delle discipline settoriali, lo scorporo
delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni. Contestualmente la proprietà delle reti, degli

73
della predetta legge furono oggetto di censura da parte della Commissione
Europea. In particolare, la Commissione espresse dubbi circa la legittimità
di affidare in via diretta la gestione delle reti/infrastrutture a società di capi-
tali con partecipazione maggioritaria degli enti locali e in merito alla durata
del periodo transitorio durante il quale erano stati fatti salvi gli affidamenti
diretti effettuati in passato26 (Ferrari, 2004; Sciullo, 2003).

2.3.6. L. 11 agosto 2003, n. 218, recante “Disciplina dell’attività di


trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di auto-
bus con conducente”

La legge n. 218 del 2003 si colloca nel solco delle normative sopra ri-
chiamate, sottolineando, in specie, che l’attività di trasporto di viaggiatori
rientra nella sfera della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost.27 Da
questo principio informatore discende che i vincoli all’iniziativa economica
privata si giustificano solo per esigenze sociali o per tutela della concorrenza.
Anticipando alcuni tratti del c.d. “pacchetto Bersani” e del disegno di legge
Lanzillotta presentato durante il Governo Prodi nel mese di luglio 2007, la
legge in argomento, richiamando espressamente i principi comunitari, intro-
duce il concetto della concorrenza “per” il mercato nel comparto del traspor-
to di viaggiatori su strada28, ribadendo la libertà di accesso all’attività sulla
base di criteri di onorabilità e capacità professionale e finanziaria.

impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, oppure l’intero ramo d’azienda, è conferita ad
una società avente le caratteristiche definite dal citato comma l3 dell’articolo 113 del mede-
simo testo unico».
26
Si tratta della Lettera di messa in mora del 26 giugno 2002. In argomento, si vedano
G.F. FERRARI, Servizi pubblici locali e forme miste di gestione pubblico-privati, in
www.giustamm.it, 10/2004 e G. SCIULLO, La procedura di affidamento di servizi pubblici
locali tra disciplina interna e principi comunitari, in www.lexitalia.it, 12/2003.
27
Così recita l’art. 1, comma 1: «L’esercizio dell’attività di trasporto di viaggiatori su
strada rientra nella sfera della libertà di iniziativa economica ai sensi dell’articolo 41 della
Costituzione, cui possono essere imposti esclusivamente vincoli per esigenze di carattere
sociale o prescrizioni finalizzate alla tutela della concorrenza secondo quanto previsto dalla
l. 10 ottobre 1990, n. 287».
28
La l. stabilisce i principi e le norme generali a tutela della concorrenza nell’ambito
dell’attività di trasporto effettuata mediante servizi di noleggio di autobus con conducente,
nel rispetto dei principi e dei contenuti normativi fissati dall’ordinamento comunitario. Ai
sensi della l. in parola, costituisce distorsione della concorrenza l’utilizzo di autobus acqui-
stati con sovvenzioni pubbliche di cui non possa beneficiare la totalità delle imprese nazio-
nali. Scopo della presente legge, nei limiti di cui al comma 1, è garantire in particolare:

74
2.3.7. Art. 14 d.l. 30 settembre 2003 n. 264 (collegato alla legge fi-
nanziaria 2004)

Una «vera e propria controriforma»29 (Filippi, 2007: 37) del comparto dei
TPL, con un rallentamento del piano di avvio delle gare, su cui erano state
elaborate le precedenti normative, viene recata dall’art. 14 d.l. 30 settembre
2003 n. 269 (collegato alla l. finanziaria 2004), convertito, con modificazioni,
nella l. 24 novembre 2003 n. 326. Tale disposizione, modificando l’art. 113
t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con d.lgs. 18
agosto 2000 n. 267, nel quale era confluita la normativa sul TPL:
1. fissava al 31 dicembre 2006 il termine entro il quale le concessioni af-
fidate senza gara potevano essere prorogate;
2. ha previsto l’affidamento della gestione delle reti, qualora separata dal-
la erogazione del servizio, a società di capitali prescrivendone, tutta-
via, la partecipazione pubblica totalitaria e non più soltanto maggiori-
taria;
3. con riferimento alla gestione del servizio, ha individuato tre modalità
di affidamento: a) a società di capitali scelte con procedure ad eviden-
za pubblica; b) a società miste pubblico-privato, nelle quali il socio
privato sia scelto con gara; c) a società a capitale interamente pubblico
(affidamento cosiddetto “in house”), a condizione che l’ente titolare
del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più impor-
tante della propria attività con l’ente pubblico che la controlla.

2.3.8. L. 15 dicembre 2004, n. 308, recante “Delega al Governo per


il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazio-
ne in materia ambientale e misure di diretta applicazione”

L’art. 1, comma 48, che modifica l’art. 113 del t.u. degli enti locali (il
ricordato d.lgs. n. 267/2000), dispone che il trasporto pubblico locale sia
escluso dall’applicazione della disciplina generale dei servizi pubblici, in

a) la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di accesso delle imprese al mer-


cato, nonché il libero esercizio dell’attività in riferimento alla libera circolazione delle
persone;
b) la sicurezza dei viaggiatori trasportati, l’omogeneità dei requisiti professionali, la tute-
la delle condizioni di lavoro.
29
Così, G. FILIPPI, op. cit., p. 37.

75
ispecie dall’art. 113 testé citato. Ne discende che i TPL rimangono esclusi-
vamente regolati dal d.lgs. n. 422/1997, e successive modifiche, indivi-
duandosi, quindi, nella procedura di gara ad evidenza pubblica l’unica mo-
dalità di affidamento dell’erogazione del servizio e reintroducendo
l’obbligo di indire gare per l’affidamento dei servizi di trasporto pubblico
locale a partire dalla fine del 200530.
Con provvedimenti normativi successivi, il periodo transitorio è stato
ancora una volta prorogato al 31 dicembre 2006, con la possibilità per le
Regioni, ricorrendo determinate condizioni, di prevedere ulteriori proroghe
per l’affidamento dei servizi, fino ad un massimo di altri due anni31. Peral-
tro, la fruizione di tale proroga esclude, per tutta la sua durata, le società
beneficiarie dalla partecipazione a procedure di gara attivate sul resto del
territorio nazionale per l’affidamento dello stesso tipo di servizio in que-
stione.
Da segnalare che sull’argomento è intervenuta anche la Corte Costitu-
zionale che, con sentenza n. 80 del 3 marzo 2006, ha affermato il principio
che il TPL deve ritenersi regolamentato esclusivamente dalla disciplina
speciale prevista nel d.lgs. n. 422/199732.

30
Così recita l’art. 1, comma 48: «All’articolo 113 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e suc-
cessive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) dopo il comma 1, è inserito
il seguente: “1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del tra-
sporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n.
422, e successive modificazioni”». Detta previsione normativa chiarisce che ai TPL si appli-
ca esclusivamente quanto disposto nel decreto “Burlando” del 1997. Il termine a quo per
l’affidamento col sistema delle gare, originariamente fissato al 31 dicembre 2003, dall’art.
18, comma 3 bis, d.lgs. n. 422/1997, è poi differito al 31 dicembre 2005 dall’art. 23 del d.l.
24 dicembre 2003 n. 355, convertito in l. n. 47 del 27 febbraio 2004.
31
Si veda la l. 23 dicembre 2005 n. 266 (“Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – l. finanziaria 2006”), art. 1, commi 393 e 394. Queste
ultime disposizioni (combinate con il comma 2 bis, aggiunto all’art. 3.2, d.l. 30 dicembre
2005, n. 273, dalla l. di conversione 23 febbraio 2006 n. 51) hanno consentito alle Regioni
di differire ulteriormente i termini per gli affidamenti diretti al 31 dicembre 2008, nel caso in
cui le aziende partecipate da Regioni o enti locali avessero ceduto, mediante procedure ad
evidenza pubblica, una quota di almeno il 20% del capitale sociale ovvero una quota di al-
meno 20% dei servizi esercitati a società di capitali, anche di natura consortile, nonché a
cooperative e consorzi, purché non partecipati da Regioni o da enti locali.
32
Con riferimento alle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 422/1997, in specie quelle che
definiscono il periodo transitorio nel quale sono autorizzati gli affidamenti diretti, i giudici
costituzionali evidenziano che il «conferimento di poteri a Regioni ed enti locali in tema di
affidamento dei servizi di trasporto locale è finalizzato, dall’art. 18, comma 2, del d.lgs. n.
422/1997, all’introduzione di regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto
regionale e locale. Alla luce di ciò, si comprende come la previsione di un termine massimo
entro cui deve concludersi la fase transitoria, assume un valore decisivo perché garantisce il

76
2.3.9. Le disposizioni del c.d. “pacchetto Bersani”

Il d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito, con modificazioni, dalla l. 4 ago-


sto 2006 n. 248, contiene alcune disposizioni che influenzano anche il set-
tore del trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus e
vetture con conducente. Invero, disciplinando la materia di circolazione dei
veicoli e di trasporto comunale e intercomunale (art. 12), il decreto:
a) si preoccupa di ribadire la necessità di «assicurare un assetto mag-
giormente concorrenziale delle […] attività economiche [di trasporto
pubblico locale] e di favorire il pieno esercizio del diritto dei cittadi-
ni alla mobilità»;
b) attribuisce ai Comuni la facoltà di prevedere che il trasporto di linea
di passeggeri accessibile al pubblico, in ambito comunale e interco-
munale, sia svolto, in tutto il territorio o in tratte e per tempi prede-
terminati, anche da privati in possesso dei necessari requisiti tecnico-
professionali, che non possono tuttavia beneficiare di finanziamenti
pubblici;
c) stabilisce che gli enti locali disciplinano secondo modalità non di-
scriminatorie tra gli operatori economici ed in conformità ai principi
di sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione, l’accesso, il
transito e la fermata nelle diverse aree dei centri abitati di ciascuna
categoria di veicoli, anche in relazione alle specifiche modalità di
utilizzo in particolari contesti urbani e di traffico.

2.3.10. Le modalità di gestione del TPL a seguito della sentenza del-


la Corte costituzionale n. 199 del 2012

Con la sentenza della Corte costituzionale del 20 luglio 2012, n. 19933,


(Greco, 2012, n. 199; Santuari, 2012) i giudici costituzionali, decidendo

raggiungimento, entro termini certi, dell’effettiva apertura alla concorrenza in questo parti-
colare settore, attraverso l’affidamento generalizzato mediante procedure concorsuali dei
relativi servizi di trasporto locale in perfetta armonia con la normativa europea in materia di
liberalizzazione dei servizi di trasporto locale».
33
Per i primi commenti sulla pronuncia v. M. GRECO, La Corte Costituzionale non guarda
in faccia nessuno... nemmeno lo spread, 3 agosto 2012, in www.dirittodeiservizipubblici.it;
nota ANCI, Prime osservazioni sull’affidamento dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza eco-
nomica alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale del 20 luglio 2012, n. 199, in
www.anci.it. Per una efficace disamina della sentenza in argomento, in specie sulla conseguen-
ze della stessa sull’azione degli enti locali, si veda M. NICO, Liberalizzazione dei servizi locali,

77
sulla base dei ricorsi proposti da sei Regioni italiane (Puglia, Lazio, Mar-
che, Emilia-Romagna, Umbria e Sardegna), hanno cancellato definitiva-
mente dall’ordinamento giuridico l’art. 4 del d.l. n. 138/2011 e successive
modificazioni ed integrazioni, ritenendo tale disposizione in contrasto con
la volontà popolare espressa in occasione della consultazione referendaria
del mese di giugno 2011. La Corte motiva l’incostituzionalità del relativo
disposto con il fatto che esso detta una disciplina dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica, la quale «non solo è contraddistinta dalla medesi-
ma ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle
ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa
comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di sva-
riate disposizioni dell’abrogato art. 23 bis e di molte disposizioni del rego-
lamento attuativo del medesimo art. 23 bis contenuto nel d.p.r. n. 168/2010.
Nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina
del servizio idrico integrato, risulta evidente l’analogia, talora la coinciden-
za, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art.
23 bis del d.l. n. 112/2008 e l’identità della ratio ispiratrice».
Pertanto, secondo i giudici costituzionali, l’art. 4 del d.l. n. 138/2011
viola il divieto di riproposizione della disciplina formale e sostanziale og-
getto di abrogazione referendaria, di cui all’art. 75 della Costituzione. In
altri termini, la Consulta boccia l’intervento legislativo che ha inteso ripri-
stinare nell’ordinamento la normativa abrogata dal corpo elettorale e, quin-
di, in ossequio alla previsione contenuta nell’articolo 136 della Costituzio-
ne, «quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di
legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione».
La pronuncia in esame conferma l’impianto (comunitario) della norma-
tiva italiana, secondo cui, conseguentemente, gli enti locali non sono (più)
obbligati ad “aprire al mercato” le proprie partecipate. Preme evidenziare
che l’art. 4, d.l. n. 138/2011, e successive modifiche ed integrazioni, stabi-
liva un iter che avrebbe dovuto traghettare la gestione dei servizi pubblici
locali dal radicato regime di monopolio alla concorrenza nel mercato, me-
diante un processo di liberalizzazione caratterizzato da un crono program-
ma stringente, nel quale gli enti locali, sulla base di un’analisi di mercato e
mediante l’adozione di un’apposita delibera quadro, avrebbero dovuto libe-
ralizzare le attività economiche, oppure, in alternativa, procedere

tutto da rifare, in Guida agli Enti Locali, 23 luglio 2012, nonché si permetta il rinvio al mio
C’era(no) una volta… i servizi pubblici locali liberalizzati – Corte Cost. n. 199/12, in
www.personaedanno.it, 30 luglio 2012.

78
all’attribuzione di diritti di gestione in esclusiva. In quest’ultimo caso, sa-
rebbe stato un preciso onere delle Amministrazioni indire gare a evidenza
pubblica per conferire la gestione dei servizi sul mercato, dopo aver co-
munque accertato, con la suddetta delibera quadro, che «la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai
bisogni della comunità» (art. 4, commi 1 e 8, d.l. n. 138/2011).
Di seguito, vorrei provare ad analizzare le ragioni che hanno mosso le
Regioni a ricorrere contro l’articolo in parola, in quanto – ad avviso di chi
scrive – contengono alcuni profili di indubbio interesse per quanto attiene
la disciplina riguardante i servizi pubblici locali e, in particolare, ruoli e
funzioni degli enti locali (Regioni e Comuni).
In particolare, preme evidenziare che la Regione Puglia nel ricorso ec-
cepisce che la disciplina contenuta nell’art. 4, d.l. n. 138/2011, oltre a rein-
trodurre disposizioni abrogate dal e con il referendum del giugno 2011, e
perciò riconosciuta costituzionalmente illegittima dalla Corte, violerebbe
l’art. 117 Cost. per contrasto con:
• gli artt. 14, 106 e 345 del TFUE (Trattato di funzionamento
dell’Unione Europea);
• l’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Si rammenti che la Puglia, in modo particolare rispetto alle altre Regioni
ricorrenti, è stata quella che ha dimostrato maggiore sensibilità nei confron-
ti del servizio idrico e forse questo è il motivo per il quale i suoi avvocati
hanno inteso richiamare espressamente le disposizioni di due atti extra or-
dinamento giuridico italiano, atteso il contenuto di bene collettivo sotteso
alla fruizione del “bene acqua”.
Anche qualora questa ricostruzione non dovesse rivelarsi accurata, ri-
mane il fatto che la Regione Puglia invoca la “protezione giuridica” di fonti
di rango europeo al fine di dimostrare che:
• i servizi pubblici locali (servizi di interesse economico generale se-
condo la definizione accolta in sede comunitaria) appartengono “ai
valori comuni dell’Unione” e che essi svolgono un importante “ruolo
nella promozione della coesione sociale e territoriale” (art. 14
TFUE);
• l’Unione e gli Stati membri, nel rispetto delle loro specifiche compe-
tenze, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e
condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano
loro di assolvere i propri compiti (art. 14 TFUE);
• le imprese incaricate della gestione dei SIEG (Servizi di interesse
economico generale) sono sottoposte alle norme dei trattati, e in par-
ticolare alle regole della concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione

79
di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto o di fatto,
della specifica missione loro affidata (art. 106, par. 2 TFUE);
• i trattati lasciano ampia libertà di scelta agli Stati membri circa la
forma di gestione (proprietà) opzionata (art. 345 TFUE);
• al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell’Unione,
questa riconosce e rispetto l’accesso ai SIEG così come previsto dal-
le legislazioni e prassi nazionali, conformemente al trattato che isti-
tuisce la Comunità europea (art. 36, Carta dei diritti fondamentali dei
cittadini europei).
Benché la Corte abbia dichiarato l’inammissibilità della questione posta
dalla Regione Puglia attesa l’«assoluta genericità ed indeterminatezza delle
censure proposte con riguardo alla pretesa violazione dei principi comunita-
ri, anch’essi genericamente invocati», le ragioni addotte dalla Regione Pu-
glia richiamano un aspetto “strategico” sotteso alla gestione dei servizi
pubblici locali, segnatamente, la competenza degli enti locali a definirne il
perimetro e, conseguentemente, le forme di gestione, espressione di una
specifica responsabilità istituzionale loro affidata dall’ordinamento.
In questo senso, anche la Regione Emilia-Romagna e la Regione Um-
bria, nei loro ricorsi, hanno stigmatizzato il contenuto dell’art. 4, d.l. n.
138/2011 in quanto – a loro dire –:
• escludono l’affidamento diretto in house dalle forme ordinarie di
conferimento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica al di sopra di una certa soglia (prima fissata in 900.000 e
successivamente in 200.000 euro);
• non contemplano tutte le modalità di PPPs (partenariato pubblico-
privato) ma solo una specifica modalità organizzativa (selezione del
socio privato che detenga non meno del 40% del capitale e conte-
stuale affidamento del servizio);
• determina una limitazione della capacità di scelta degli enti territoria-
li, suscettibile di incidere sull’autonomia loro riconosciuta in materia.
La sentenza n. 199/2012 ha dunque “tracciato” un discrimen netto e
chiaro: essa, invero, prima ancora che sotto il profilo strettamente giuridico
ed interpretativo, ha operato un decisivo riconoscimento delle autonomie
territoriali, in uno con la “valorizzazione” della disciplina comunitaria. E’,
conseguentemente, al quadro normativo europeo e all’autonomia decisiona-
le, istituzionale, gestionale e organizzativa degli enti locali che nel prossi-
mo futuro si dovrà fare riferimento per identificare un armonico e moderno
sviluppo dei SIEG. Un tale cammino non potrà essere comunque imple-
mentato senza un adeguato riconoscimento e (quindi, definizione) dei livel-
li essenziali dei diritti civili e delle prestazioni e, conseguentemente, di ac-

80
cesso ai servizi medesimi. Si tratta – come acutamente osservato da attenta
dottrina – di apprestare «un modello costituzionale dei diritti essenziali»34
(Cabiddu, 2005: 194). E questa, come è noto, è una espressa competenza
dello Stato centrale.
Muovendo dai servizi pubblici locali al proprium del TPL, si ritiene op-
portuno richiamare il contesto normativo del settore a seguito del referen-
dum del 201135 (Scura, 2011; Cabianca, 2011). In quel momento si doveva
fare riferimento:
a) all’art. 18, comma 3 bis, del d.lgs. n. 422/1997, fonte legale che at-
tribuiva agli enti locali la potestà di esternalizzare il servizio tramite
gara;
b) all’art. 61 della l. 23 luglio 2009, n. 99, che faceva un rinvio recetti-
zio agli artt. 5, par. 2, 4, 5 e 6, e 8, par. 2, del Reg. (CE) n.
1370/2007, consentendo alle autorità competenti all’aggiudicazione
dei servizi di TPL di avvalersi della disciplina dettata da tale atto
comunitario sugli affidamenti in house, su quelli diretti “sottosoglia”
e in caso d’emergenza;
c) all’art. 4 bis del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, introdotto dalla legge di
conversione n. 102 del 3 agosto 2009, che poneva l’obbligo per gli
enti che decidessero di effettuare un affidamento in house di mettere
a gara almeno il 10% dei servizi di TPL oggetto dell’affidamento
principale, in favore di soggetti diversi da quelli sui quali esercitava-
no il “controllo analogo”.
È nel contesto normativo sopra tratteggiato che si è inserito l’art. 4 del
d.l. n. 138/2011, il cui comma 34, originariamente, non conteneva alcuna
clausola di prevalenza della disciplina generale sui servizi pubblici su quel-
le di settore, per cui si può ritenere che per il TPL l’apparato normativo
poc’anzi illustrato doveva ritenersi sostanzialmente confermato36 (Cici,

34
M.A. CABIDDU, Universalità e livelli essenziali: i nuovi confini del servizio pubblico
fra diritto comunitario e diritto interno, in G.A. BENACCHIO, D. DE PRETIS, Appalti pubblici
e servizi di interesse generale, Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli studi di
Trento, 51, 2005, p. 194.
35
Sul punto v. F. SCURA, Effetti del referendum abrogativo sulla disciplina del tpl: pri-
me osservazioni, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 14 luglio 2011; A. CABIANCA, Il tra-
sporto pubblico travolto dall’acqua: considerazioni sull’assetto organizzativo del settore a
seguito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011, ibidem.
36
In argomento, si vedano, tra gli altri, L. CICI, La riforma del trasporto pubblico loca-
le, in Giornale dir. amm., 1998, p. 289; A. CLARONI, La regolamentazione del trasporto
pubblico locale in Italia, in ZUNARELLI S., Il diritto del Mercato del Trasporto, Cedam, Pa-
dova, 2008, pp. 141 e ss.; R. DAMONTE, Il D.Lg. 422/97, in materia di pubblici trasporti:
enti locali, committenti ed appaltatori allo stesso tempo?, in Foro Amm., 1999, 3, pp. 934 e

81
2008: 141 ss.; Damonte, 1999, 3: 934 ss.; D’Angelo, 2003: 91; Iaione,
2008; Mazzamuto, 2003; Ramella, 2002: 203 ss.; Rangone, 2003: 2272 ss.;
Sandulli, 2010).
Successivamente, l’art. 9, comma 2, lett. n), della l. 12 novembre 2011,
n. 183, ha stabilito che a decorrere dal 1° gennaio 2012, le disposizioni
dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 si sarebbero dovute applicare a tutti i servizi
pubblici locali e prevalere sulle relative discipline di settore con esse in-
compatibili, mentre l’art. 25, comma 1, lett. b), n. 9), del d.l. 24 gennaio
2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, ha
determinato l’applicazione anche al servizio di trasporto ferroviario regio-
nale della disciplina dei servizi pubblici locali, facendo salvi, fino alla sca-
denza naturale dei primi sei anni di validità, gli affidamenti diretti dei ser-
vizi ferroviari già deliberati. Anche per gli affidamenti diretti in materia di
TPL su gomma, già affidati ai sensi dell’art. 61 della l. 23 luglio 2009, n.
99 e in conformità all’articolo 8 del Reg. (CE) n. 1370/2007, l’articolo ri-
chiamato del d.l. n. 1/2012 ha sancito che essi cessassero alla scadenza pre-
vista nel contratto d’affidamento. Tali disposizioni hanno avuto un effetto
abrogativo di quelle settoriali incompatibili e, in particolare, tanto dell’art.
61 della l. n. 99/2009, che dell’art. 4 bis del d.l. n. 78/2009, che conteneva-
no disposizioni decisamente meno orientate alla concorrenza di quelle con-
tenute nell’art. 4 del d.l. n. 138/2011. A conferma di ciò si deve rilevare
l’attenzione che avuto il legislatore di fare salvi gli affidamenti già operati
nel rispetto della disciplina di settore implicitamente abrogata.
Preme evidenziare che nel caso del TPL, «la dichiarazione di illegittimi-
tà costituzionale dell’art. 4 del d.l. 138/2011 non ha creato un vuoto norma-
tivo. Infatti, parafrasando la sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2012,
si ritiene che la disciplina di settore possa trovare il proprio riferimento tan-
to nelle disposizioni non abrogate dall’art. 4 del d.l. 138/2011, quanto

ss; G. D’ANGELO, La riforma dei servizi pubblici locali, il trasporto pubblico locale, in Le
Nuove leggi civ. comm., 2003, p. 91; C. IAIONE, La regolazione del trasporto pubblico loca-
le, bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, Jovene, Napoli, 2008; M. MAZZAMUTO, Il
trasporto di linea locale e gli obblighi di servizio, in Liberalizzazione del trasporto terrestre
e servizi pubblici economici, a cura di Brancasi A., il Mulino, Bologna, 2003; F. RAMELLA,
Quale politica per il trasporto collettivo locale?, in Riv. Dir. Fin., 2002, pp. 203 e ss.; N.
RANGONE, I trasporti pubblici di linea, in Trattato amministrativo. Parte speciale, a cura di
Cassese S., Giuffrè, Milano, 2003, pp. 2272 e ss.; M.A. SANDULLI, Affidamento dei servizi
di trasporto pubblico locale su strada e riforma dei servizi pubblici locali, in
www.federalismi.it, 30 giugno 2010.

82
nell’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa co-
munitaria»37 (Cabianca, 2012: 9).
Con riguardo alle prime, si deve fare riferimento all’art. 18, comma 3 bis,
del d.lgs. n. 422/1997, che ponendo la gara come modalità d’affidamento del
servizio, si poneva in un rapporto di compatibilità con quanto disposto dal
comma 8 dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011.
Il riferimento alla disciplina comunitaria trova, invece, per il TPL un
suo riferimento specifico nel Reg. (CE) n. 1370/2007, che, come si è già
avuto modo di ribadire in precedenza, ha delineato un quadro normativo di
riferimento entro il quale le autorità possono intervenire nel settore dei tra-
sporti pubblici di passeggeri38.

37
Così, A. CABIANCA, Il trasporto pubblico locale ai tempi della crisi: il punto dopo la
sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012 ed il decreto c.d. spending review (d.l. n.
95/2012), in www.federalismi.it, n. 20/2012, p. 9.
38
Si consideri che il TPL contempla, contestualmente, la presenza di disposizioni di na-
tura pubblicistica e regole privatistiche. In questo senso, si veda la sentenza del T.A.R. To-
scana, Sez. I, 14 gennaio 2013, n. 36, con la quale i giudici amministrativi hanno affrontato
il ricorso presentato da un gestore del trasporto pubblico locale, urbano ed extra-urbano del-
la Provincia di Massa Carrara, in forza di un contratto di servizio stipulato, in esito allo
svolgimento di procedura di evidenza pubblica. Il suddetto contratto prevede la revisione del
corrispettivo contrattuale a partire dal secondo anno solare di vigenza del contratto. La so-
cietà lamenta il fatto che la Provincia di Massa Carrara ha sì riconosciuto l’adeguamento del
corrispettivo a decorrere dal gennaio 2010, ma in misura ritenuta insufficiente dalla ricorren-
te. Non essendo stato raggiunto un accordo tra le parti sul punto, la società di TPL ha pre-
sentato ricorso al Tribunale di Massa, il quale si è dichiarato incompetente per difetto di giu-
risdizione, così motivando la propria decisione:
– la giurisdizione spetta al giudice amministrativo atteso che l’art. 133, comma 1, lett. e)
n. 2 del c.p.a. attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le contro-
versie «relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo
nei contratti ad esecuzione continuata e periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del de-
creto legislativo 12 aprile 2006, n. 163»;
– un’analoga previsione era contenuta prima del codice del processo amministrativo
nell’art. 244 del d.lgs. n. 163 del 2006, che stabilisce che appartiene alla giurisdizione esclu-
siva del giudice amministrativo «qualunque questione concernente la revisione dei prezzi di
un contratto pubblico, anche nel caso in cui si tratti esclusivamente della misura del com-
penso revisionale rivendicato dall’impresa».
Conseguentemente, la società presentava ricorso dinanzi al T.A.R. Toscana. La società
ricorrente ha presentato le seguenti doglianze:
a) la determinazione dell’importo dell’adeguamento annuale del corrispettivo sulla base
della inflazione programmata è illegittima perché non prevista dal contratto di servizio e
comunque in contrasto con la disciplina di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163 del 2003 e con la
normativa comunitaria;
b) il Regolamento (CEE) n. 1370/2007 prevede l’obbligo dell’equilibrio sinallagmatico
delle prestazioni, equilibrio che deve mantenersi nel tempo, così che deve essere inserita nei
contratti di servizio una clausola di revisione dei prezzi, com’è nella specie avvenuto con
l’art. 5, comma 4, del contratto tra le parti;

83
c) il contratto ha previsto però una serie di clausole limitative le quali sono nulle per
contrasto con l’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 e con l’art. 117 del d.lgs. n. 267 del 2000;
d) il calcolo dell’inflazione di settore deve essere effettuato avendo riguardo all’indice
ISTAT 0702 “spese di esercizio dei mezzi di trasporto”;
e) la revisione deve essere effettuata prendendo a base la data di aggiudicazione del ser-
vizio e non alla data di stipula del contratto o di decorrenza del servizio.
Sulla scorta dei punti sopra esposti, la società dunque richiedeva l’incremento del corri-
spettivo contrattuale, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle
differenze. L’Amministrazione provinciale, per contro, evidenziava, per quanto di attinenza
al presente contributo:
a) che si è in presenza di una concessione di servizio cui, ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n.
163 del 2006, non si applica il Codice dei contratti pubblici e neppure l’art. 115, sicché non
si può sostenere sulla sua base la nullità di clausole contrattuali;
b) il richiamo a quello stesso articolo contenuto nel contratto di servizio attiene alla sola
commisurazione del dovuto;
c) l’art. 115 richiama i dati di cui all’art. 7 del Codice dei contratti pubblici; l’ISTAT
tuttavia non ha mai provveduto a rilevazione ed elaborazione dei costi dei principali beni e
servizi acquisiti dalla p.a. e la giurisprudenza ha colmato tale lacuna con richiamo all’indice
FOI, che è inferiore al tasso di inflazione programmata applicato dalla Provincia stessa;
c) l’art. 19 del d.lgs. n. 422 del 1997, richiamato dalla clausola contrattuale invocata,
contiene un esplicito riferimento al tasso di inflazione programmata quale limite massimo
all’incremento;
d) il codice ISTA 0702 si riferisce espressamente alla dinamica dei costi di carburante,
pneumatici, pezzi di ricambio, accessori ecc. e sarebbe come tale applicabile solo ai costi di
esercizio che rappresentano solo il 21,28% dei costi aziendali mentre il costo del personale,
che assomma al 53,49%, non ha avuto incrementi.
I giudici amministrativi (sez. I, sentenza 14 gennaio 2013, n. 36) hanno così statuito:
1. il caso in esame riguarda la materia di diritti soggettivi, poiché la società ricorrente ha
azionato la pretesa ad un adeguamento del compenso dovuto per l’esecuzione del servizio di
trasporto pubblico locale sulla base di una previsione contrattuale;
2. il contenuto di detta clausola contrattuale, benché complessa, è estranea «a valutazio-
ne di pubblici interessi e quindi alla dinamica propria dell’esercizio del pubblico potere»
(sul punto si veda Cons. di Stato n. 5350/12, con mio commento pubblicato su
www.personaedanno.it);
3. poiché si è in presenza di diritti soggettivi, l’attribuzione della loro cognizione alla
giurisdizione amministrativa potrebbe avvenire solo agganciando una previsione normativa
di giurisdizione esclusiva che – ad avviso dei giudici amministrativi – non ricorre nel caso di
specie; sostengono i giudici, in questo senso, che l’art. 133 citato non è applicabile alla pre-
sente fattispecie in quanto in essa si richiamano le previsioni di “revisione prezzi”
«nell’ipotesi di cui all’art. 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163»;
4. in altri termini, si correla la previsione di giurisdizione esclusiva alla applicabilità del
Codice dei contratti pubblici e alla previsione di revisione prezzi di cui all’art. 115 del Codi-
ce medesimo;
5. richiamando le Sezioni Unite della Cassazione (n. 397/2011), la previsione di revisio-
ne prezzi del Codice dei contratti pubblici (cioè l’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006) non si
applica al trasporto pubblico locale, in quanto l’art. 23 del d.lgs. n. 163/2006 stabilisce che il
suddetto Codice «non si applica agli appalti delle stazioni appaltanti relativi alla prestazione
di un servizio pubblico di autotrasporto mediante autobus»;

84
6. non deve indurre in inganno «il fatto che l’art. 5, comma 4, del contratto di servizio
richiami il più volte citato art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, essendo evidente che il richia-
mo presuppone proprio la non applicabilità per forza propria dell’art. 115 cit. alla presente
fattispecie e serve ad estendere, in parte, il suo meccanismo procedurale attraverso la sua
inclusione nella previsione negoziale».
In ultima analisi, dunque, il T.A.R. Toscana ha escluso la giurisdizione esclusiva di cui
all’art. 133, comma 1, lett. e) n. 2 del c.p.a., in quanto, nel caso di specie, si verte “pacifica-
mente in ambito di diritti soggettivi”, richiamando così la giurisdizione del giudice ordina-
rio. Ancora una volta, in presenza di soggetti giuridici che operano nell’ambito dei servizi
pubblici locali, si conferma il mix (naturaliter) tra norme di diritto pubblico e clausole con-
trattuali di diritto societario, le quali, nel caso di specie, si “impongono” sulle prime.
La Corte di Cassazione SS.UU, con sentenza 3 maggio 2013, n. 10299 (si vedano anche
le ordinanze della medesima Corte 11 gennaio 2011, n. 400 e 4 marzo 2011, n. 5168 in te-
ma), ha sottratto alla giurisdizione alla Corte dei Conti, per assegnarla a quella della giusti-
zia ordinaria, una controversia che aveva ad oggetto la responsabilità per mala gestio impu-
tabile ad amministratori di società a partecipazione pubblica, nel cui caso il danno che si
pretendeva ristorato era riferito al patrimonio sociale, ossia ad un patrimonio, diverso da
quello dei soci (pubblici), che appartiene – hanno sostenuto i giudici – alla società medesi-
ma, la quale, pertanto, non diviene essa stessa un ente pubblico per il solo fatto di essere par-
tecipata da un ente pubblico. La Corte di Cassazione ha inteso evidenziare il rapporto che
deve intercorrere tra società pubblica e i soci pubblici che la partecipano. Nel caso di specie,
a seguito di un’indagine condotta dalla Guardia di finanza, la Procura regionale della Sezio-
ne giurisdizionale della Corte dei Conti per il Veneto citò in giudizio, unitamente ad alcuni
amministratori del Comune di Verona, alcuni componenti del consiglio di amministrazione
della AMT-Azienda Municipalizzata Trasporti S.p.A., interamente partecipata dal Comune,
chiedendone la condanna al pagamento di oltre 1.094.000 euro, «quale danno pubblico ca-
gionato ad AMT spa o in subordine ed in via indiretta al Comune di Verona», in relazione
alla costituzione nell’aprile 2001, da parte di AMT e sotto le direttive del Comune, di una
società mista, la SI.TRA.M. S.r.l. (con prevalente capitale della AMT ed il residuo della so-
cietà privata francese R.A.T.P. International) per la realizzazione di compiti già affidati alla
società costituente. Invero, la progettazione e la realizzazione del trasporto tramviario urba-
no costituiva uno dei compiti affidati dal Comune alla municipalizzata AMT in base ad una
convenzione risalente a tre mesi prima della costituzione di SI.TRA.M.; costituzione con-
sentita in base alla menzionata convenzione, ma rivelatasi inutilmente costosa. SI.TRA.M.
venne posta in liquidazione volontaria nel 2004, dopo che nel marzo del 2003 il Comune
aveva deciso di procedere allo scioglimento del rapporto tra AMT e SI.TRA.M. a seguito
delle irregolarità di gestione rilevate dal collegio sindacale. La relazione della Guardia di
finanza ha evidenziato che SI.TRA.M. aveva svolto attività, direttamente o per il tramite di
AMT, esclusivamente per il Comune e solo per il progetto tramvia, con personale in parte
trasferito da AMT e in parte direttamente assunto, al pari di quanto avrebbe peraltro potuto
fare la società controllante, che aveva pagato le prestazioni di SI.TRA.M. con il ricarico ap-
plicato da quest’ultima in funzione del proprio obiettivo di profitto. La relazione della Guar-
dia di finanza ha messo in evidenza che si sarebbe così realizzato di fatto un sistema finaliz-
zato non già, come sostenuto dai convenuti, ad evitare consulenze esterne, bensì ad interme-
diarle, in quanto diretto esclusivamente ad erogare compensi a terzi, aggirando le regole di
evidenza pubblica ed eludendo le esigenze di trasparenza. Il tutto con l’ulteriore anomalia
della duplicazione degli incarichi e dei compensi a favore delle stesse persone fisiche chia-
mate a rivestire cariche direttive e gestionali in entrambe le società, pur a dispetto
dell’evidente conflitto di interessi. I convenuti hanno sostenuto che, trattandosi di presunto

85
danno cagionato direttamente alla privata società partecipata AMT, e solo indirettamente al
socio Comune, la relativa azione di responsabilità sarebbe stata soggetta alla giurisdizione
ordinaria e non a quella del giudice contabile, secondo il sistema desumibile dal complessi-
vo assetto ordinamentale, in particolare codicistico, non soggetto a deroghe espresse. Da un
lato, pertanto, siamo in presenza di una società pubblica partecipata da un comune e conces-
sionaria di un servizio di trasporto locale che ha “gemmato” una società ad hoc, la quale
svolgeva, de facto, i compiti che il contratto di servizio assegnava già alla società “madre”, a
favore del comune socio della medesima. Dall’altro, si è evidenziato che, per quanto riguar-
da la società gemmata, non era previsto alcun obbligo per la società “madre” di apporto fi-
nanziario volto a ripianare i debiti contratti e la stessa società gemmata non poteva essere
considerata in house providing atteso che non ricorreva alcun obbligo di partecipazione tota-
litaria. A contrariis, il Procuratore regionale presso la locale sezione giurisdizionale della
Corte dei conti ha osservato in contrario, con controricorso, che gli indici pubblicistici del
rapporto contrattuale societario possono coerentemente costituire base per una riqualifica-
zione pubblica di AMT e, in particolare, che il rapporto di affidamento del servizio pubblico
a detta società integra, in realtà, un rapporto sostanziale di concessione. Alla luce di quanto
sopra esposto, il Procuratore generale ha chiesto che fosse affermata la giurisdizione della
Corte dei conti. Per sostenere la carenza di giurisdizione della Corte dei conti e la sussisten-
za di quella del giudice ordinario i ricorrenti hanno invocato:
– le seguenti disposizioni normative: artt. 102 e 103 Cost., artt. 2393 e 2393 bis cod.
civ., R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 53 e L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1
– il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26906
(e dalla successiva conforme giurisprudenza: Cass., sez. un., nn. 519/2010, 4309/2010,
10063/2011, 14655/2011, 14957/2011, 20941/2011, 3692/2012).
In ossequio a questo orientamento giurisprudenziale, “spetta al giudice ordinario la giu-
risdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazio-
ne pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti (nella spe-
cie, consistenti nell’avere accettato indebite dazioni di denaro al fine di favorire determinate
imprese nell’aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti), non essendo in tal caso
configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un rappor-
to di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno diret-
tamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della
Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest’ultima quando l’azione di respon-
sabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente parteci-
pante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di
esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione,
ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione
stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finali-
tà pubbliche ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiu-
dizio al suo patrimonio”. Di questo orientamento il magistrato contabile ha chiesto la revi-
sione, poiché a giudizio della Corte dei conti esso rappresenterebbe il fatto che condiziona-
menti di carattere politico finiscono col rendere altamente improbabili iniziative degli organi
societari davanti al giudice ordinario, dando luogo ad un sostanziale esonero da responsabi-
lità di soggetti che arrecano danno a società sostanzialmente pubbliche, in quanto totalmente
partecipate dai Comuni, di cui costituiscono longa manus per l’attuazione delle relative de-
cisioni strategiche ed operative. A supporto della propria posizione, la magistratura contabi-
le ha richiamato tra l’altro:
– il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 25, comma 1, nn. 5 e 6, (convertito in legge, con
modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), il cui art. 1 prevede la responsabilità ammini-

86
strativa in caso di stipulazione, da parte di talune società a totale partecipazione pubblica, di
contratti conclusi in violazione delle previste modalità di approvvigionamento;
– il D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto
2012, n. 135, recante: “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica...”):
a) art. 4, comma 12, che stabilisce che “le amministrazioni vigilanti verificano sul rispet-
to dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di violazione dei suddetti vincoli gli am-
ministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a titolo di danno
erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati”;
b) art. 6, commi 3 e 4, che estende alle società a totale partecipazione pubblica il potere
ispettivo attribuito agli organi statali nei confronti delle amministrazioni pubbliche (comma
3) e prevede che comuni e province alleghino al rendiconto della gestione una nota informa-
tiva contenente la verifica dei crediti e dei debiti reciproci tra ente e società partecipate e, in
caso di discordanze, adottino senza indugio i provvedimenti necessari ai fini della riconci-
liazione delle partite debitorie e creditorie (comma 4);
– il d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 3 (convertito in legge dalla l. 7 dicembre 201, n.
213), che ha inserito l’art. 147 ter nel testo unico degli enti locali, prevedendo penetranti
controlli da parte dell’ente pubblico partecipante ed un bilancio consolidato riguardante le
«aziende non quotate partecipate».
Alla luce delle su richiamate disposizioni normative, nella memoria presentata dalla
Procura contabile si legge che sarebbe irragionevole sottoporre alla giurisdizione contabile
gli amministratori di un’azienda speciale, quelli di una società concessionaria, la giunta co-
munale ed i consiglieri comunali che approvano il conto consolidato e controllano la società
partecipata e non anche coloro che l’hanno gestita causando direttamente un danno erariale.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, in quanto, contrariamente alla tesi esposta
dalla Procura contabile, secondo la quale il caso presentava le “fattezze” di una c.d. società
in house providing, l’analisi dello statuto della AMT-Azienda Municipalizzata Trasporti
S.p.A., allegato agli atti di causa, non evidenzia – a giudizio della Corte di Cassazione – ca-
ratteristiche di tal genere. La Corte ha richiamato un orientamento da tempo affermatosi nel-
la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, ancorché a fini diversi da quelli della
disciplina del riparto tra giurisdizioni, e talora richiamato anche dalla Corte costituzionale
(sentenza n. 46 del 2013), secondo cui le società in house costituirebbero null’altro che una
longa manus dell’amministrazione, ma quando ricorrano contemporaneamente le tre seguen-
ti condizioni:
a) la società deve essere a totale partecipazione pubblica;
b) lo statuto deve indicare che la società opera in via esclusiva o prevalente in favore
dell’amministrazione pubblica partecipante;
c) l’esistenza del “controllo analogo”, ossia una forma di direzione e controllo sulla ge-
stione societaria, da parte della pubblica amministrazione partecipante, analoga a quella che
la medesima amministrazione eserciterebbe su una propria articolazione interna.
Il Collegio, dall’analisi dello statuto della società, evidenzia quanto segue:
– la partecipazione del Comune di Verona al capitale sociale non può essere inferiore al
51%, circostanza che esclude la previsione dell’obbligo di partecipazione totalitaria;
– l’oggetto sociale, pur facendo riferimento a “servizi pubblici”, non implica che
l’impresa possa operare solo nei confronti della pubblica amministrazione partecipante
(comprendendo invece, ad esempio, anche l’attività di trasporto turistico privato);
– i poteri di gestione dell’impresa, al pari di quelli di vigilanza sulla medesima gestione
e sulla contabilità, sono attribuiti ai competenti organi sociali secondo criteri del tutto corri-
spondenti a quelli di regola previsti nelle normali società azionarie di diritto privato, con la
sola previsione, quanto ai budgets, ai prezzi ed alle tariffe, di un generico riferimento ad un

87
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012, si può
dunque affermare che, anche in materia di TPL, Regioni ed enti locali go-
dano di una certa libertà di movimento nell’individuazione della modalità
organizzativa di gestione dei servizi di TPL. Tuttavia, il riespandersi della
discrezionalità amministrativa conseguente alla valorizzazione delle auto-
nomie locali operata dai giudici costituzionali appare fortemente condizio-
nato dal set di disposizioni che incentivano ovvero scoraggiano l’adozione
di una modalità gestionale anziché un’altra.
Invero, nel d.l. n. 138/2011, all’art. 3 bis – introdotto dall’art. 25, com-
ma 1, lett. a), del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 e successivamente modificato
dall’art. 53, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 – il legislatore
ha stabilito che:
1) a decorrere dal 2013, l’applicazione di procedura di affidamento dei
servizi a evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni o
degli enti di governo locali dell’ambito o del bacino costituisce ele-
mento di valutazione della virtuosità degli stessi ai sensi dell’articolo
20, comma 2, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modifica-
zioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 11139;

documento di indirizzo approvato dal Consiglio comunale di Verona. A giudizio della Corte,
non si tratta di riferimento sufficiente ad integrare gli estremi del “controllo analogo”.
La Corte di Cassazione ha ritenuto, in ultima analisi, che l’orientamento giurispruden-
ziale maturato sul punto non fosse da modificare come invece richiesto dalla Procura conta-
bile. La Suprema Corte, invece, ha ribadito che non sussistono dubbi circa la riconducibilità
alla giurisdizione del giudice contabile dell’azione proposta nei confronti del sindaco e
dell’assessore comunale, restando rimessa a quel medesimo giudice, in sede di merito, ogni
valutazione circa la possibilità d’individuare nel caso di specie un danno imputabile ad azio-
ni o omissioni di quei soggetti e riferibile (non già al patrimonio della società partecipata,
bensì) direttamente all’ente pubblico comunale.
39
La Regione Veneto ha proposto ricorso per veder dichiarata l’incostituzionalità di
molte disposizioni contenute nell’art. 3 bis in parola (sentenza Corte Costituzionale 20 mar-
zo 2013, n. 46). Secondo la Regione Veneto, l’articolo citato violerebbe l’art. 118 Cost., de-
terminando «una compressione dell’autonomia regionale nell’esercizio delle funzioni am-
ministrative […] sotto il profilo di gestire liberamente l’affidamento e il servizio magari te-
nendo in conto, alla luce dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, delle
specificità territoriali proprie». I giudici costituzionali, al contrario, hanno ritenuto legittimo
l’art. 3 bis, atteso che lo Stato ha legiferato nell’ambito della piena titolarità assegnata dalla
Costituzione allo Stato medesimo in materia della tutela della concorrenza. Conseguente-
mente, il giudice delle leggi ritiene legittima la disposizione stabilita nell’articolo in argo-
mento secondo il quale, in sede di affidamento del servizio mediante procedura a evidenza
pubblica, l’adozione di strumenti di tutela dell’occupazione costituisce elemento di valuta-
zione dell’offerta (art. 3 bis, comma 2). Preme evidenziare che tra le questioni respinte dalla
Consulta rientra il ricorso avverso la legittimità costituzionale dell’art. 3 bis, comma 5, affe-
rente l’assoggettamento delle società affidatarie in house al patto di stabilità interno secondo
le modalità definite dal decreto ministeriale previsto dall’art. 18, comma 2 bis, del d.l. n.

88
2) i finanziamenti derivanti da risorse pubbliche statali sono destinati, in
via prioritaria, agli enti di governo degli ambiti o bacini ottimali op-
pure ai gestori selezionati con gara o a quelli di cui l’Autorità di set-
tore abbia verificato la qualità e l’efficienza in base a specifici para-
metri dalla stessa definiti;
3) gli affidatari in house sono soggetti al patto di stabilità interno, se-
condo le modalità previste dall’art. 18 comma 2 bis d.l. n. 112/2008;
4) le società in house per l’acquisto di beni e servizi applicano le dispo-
sizioni di cui al d.lgs. n. 163/2006, mentre per il conferimento degli
incarichi ed il reclutamento del personale applicano propri provve-
dimenti nel rispetto dei principi del d.lgs. n. 165/2001.
Si tratta di vincoli e premialità che rendono di per sé non neutra la scelta
degli enti sulla modalità di gestione del servizio40.

2.4. L’Autorità di regolazione dei trasporti

Nel contesto normativo fin qui descritto, deve essere collocata


l’istituzione dell’Autorità di regolazione dei trasporti, disciplinata, origina-
riamente, dall’art. 37 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella l. n.
214/2011 e, successivamente, dall’art. 36 del d.l. n. 1/2012, convertito nella

112/2008, convertito in l. n. 133/2008. La Corte Costituzionale, coerentemente con il trend


normativo ed interpretativo sia della giurisprudenza contabile sia di quella amministrativa
recente, conferma la riconducibilità dei soggetti societari partecipati dalla P.A. nel perimetro
del Patto di stabilità interno, quanto meno sotto il profilo della sua compatibilità con il ripar-
to di competenze istituzionali previsto dalla Costituzione. In termini conclusivi, è opportuno
segnalare che benché la sentenza in argomento non contenga novità di rilievo in ordine al
processo di liberalizzazione dei servizi pubblici locali, essa conferma, invece, la “bontà”
organizzativa dei servizi pubblici a rete da erogarsi sul nostro territorio, da individuare negli
ambiti territoriali ottimali. E’ sulla definizione e la successiva gestione degli stessi che gli
enti locali, specie oggi chiamati a formulare nuovi scenari e assetti di gestione associata del-
le funzioni, sono costretti “a fare i conti”. E ciò in particolare, in quanto negli ambiti così
individuati i comuni e le unioni dei comuni debbono anche operare la ricognizione dei sog-
getti partecipati operanti per comprenderne il futuro ovvero ipotizzare nuovi strumenti e
modalità di intervento.
40
Per una attenta ricostruzione delle modalità di gestione dei servizi di TPL, si rinvia al
parere della Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Regione Lombardia, 6
marzo 2013, n. 71, nel quale i giudici contabili, con specifico riferimento alla definizione
delle gare per ambiti territoriali ottimali, hanno ribadito che “in sostanza, nel corso del 2012,
la volontà del legislatore nazionale di attribuire alle Regioni la disciplina, all’interno del
quadro dei bacini territoriali ottimali e omogenei su base, almeno, provinciale, si è progres-
sivamente rafforzata”.

89
l. n. 27/201241 (Tonetti, 2012: 589 e ss.). A questa Autorità indipendente è
attribuita una competenza generale nel settore dei trasporti e dell’accesso

41
In argomento, si veda TONETTI A., L’Autorità di regolazione dei trasporti, in Giornale
dir. amm., 6, 2012, p. 589 e ss. I primi progetti di istituzione di un’Autorità indipendente di
regolazione del settore dei trasporti risalgono alla metà degli anni Novanta quando anche in
Italia su impulso della Comunità europea ed in parallelo con l’avvio di un significativo pro-
cesso di privatizzazione si aprì il confronto sulla liberalizzazione delle Utilities.
Il legame con l’iniziativa della Comunità europea appare chiaro ad esempio per il settore
ferroviario, con riferimento al quale fin dai primi anni Novanta la Comunità aveva sposato
(ad esempio con la direttiva 1991/440/CEE) un modello di liberalizzazione del settore, a
partire dal trasporto internazionale merci, fondato sulla “separazione verticale” tra la gestio-
ne dell’infrastruttura (da mantenere in monopolio) e gestione dei servizi (da aprire progres-
sivamente alla concorrenza), il che implica la presenza di un’Autorità di regolazione indi-
pendente. Questo modello è stato poi confermato ed esteso agli altri ambiti del trasporto fer-
roviario da ultimo con i tre “pacchetti ferroviari” elaborati dall’Unione europea nel corso del
primo decennio del 2000. Il parallelo con il processo di privatizzazione emerge invece
dell’art. 1 bis del d.l. n. 332/1994 (recante Norme per l’accelerazione delle procedure di
dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in società per azioni), che sta-
bilisce che le dismissioni di partecipazioni azionarie pubbliche siano subordinate alla crea-
zione di organismi indipendenti per la regolazione delle tariffe e il controllo della qualità dei
servizi di rilevante interesse pubblico. In questo quadro, il progetto di legge originario di
quella che poi è divenuta la legge n. 481/1995 prevedeva l’istituzione di un’Agenzia di rego-
lazione indipendente che operasse nei settori dell’energia elettrica e del gas; delle poste e
telecomunicazioni; dei trasporti e dei servizi idrici (A.S. 359). All’esito dell’esame parla-
mentare, tuttavia, vennero istituite solo l’Autorità per l’energia elettrica e il gas e l’Autorità
delle comunicazioni (quest’ultima peraltro fu poi successivamente disciplinata dalla legge n.
249/1997). In luogo dell’Autorità si è avuta l’istituzione, per il settore ferroviario, con il
d.p.r. n. 184/2004, dell’Ufficio per la regolazione dei servizi ferroviari del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, struttura che, al fine di garantirne indipendenza ed autonomia di
carattere organizzativo, giuridico e decisionale, era posta alle dirette dipendenze del mini-
stro. Su questo assetto della regolazione la Commissione europea ha avviato nel 2008 la
procedura di infrazione n. 2008/2097 in cui si rileva la «non corretta trasposizione dell’art.
30 della direttiva 2001/14/CE in base al quale l’organismo di regolamentazione è indipen-
dente, sul piano organizzativo, giuridico, decisionale e della strategia finanziaria, dai gestori
dell’infrastruttura, dagli organi preposti alla determinazione dei diritti e da quelli preposti
all’assegnazione nonché dai richiedenti» (la procedura di infrazione risulta ancora aperta).
Nelle Legislature XV e XVI il Parlamento si è in più occasioni occupato del tema
dell’istituzione di un’Autorità indipendente dei trasporti.
L’elaborazione di un testo di riforma della materia ha impegnato il Governo nel corso
della XV Legislatura, con la presentazione del disegno di legge Disposizioni in materia di
regolazione e vigilanza sui mercati e di funzionamento delle Autorità indipendenti preposte
ai medesimi (A.S. 1366) approvato dal Consiglio dei ministri il 2 febbraio 2007 che preve-
deva, tra le altre cose, anche l’istituzione di un’Autorità dei trasporti. Nella medesima XV
Legislatura la IX Commissione trasporti della Camera, nella seduta del 31 maggio 2007, ha
avviato l’esame della proposta di legge C. 1977 recante Istituzione dell’Agenzia nazionale
dei trasporti terrestri. Nella XVI Legislatura la IX Commissione della Camera è tornata
sull’argomento esaminando, a partire già dal 2009, le due proposte di legge C. 1057 e C.
4337, recanti, rispettivamente, Istituzione dell’Autorità per i servizi e l’uso delle infrastrut-
ture di trasporto e Istituzione dell’Autorità per la regolazione della gestione di reti, infra-

90
alle relative infrastrutture e ai servizi accessori che spazia, dunque, dai ser-
vizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio, al trasporto
ferroviario, al settore autostradale, a quello aeroportuale, al servizio taxi42
(Vecere e Palumbo, 2012).
Nel comparto del TPL, l’Authority provvede a:
1) garantire, secondo metodologie che incentivino la concorrenza,
l’efficienza produttiva delle gestioni e il contenimento dei costi per
gli utenti, le imprese e i consumatori, condizioni di accesso eque e
non discriminatorie alle infrastrutture ferroviarie, nonché in relazione
alla mobilità dei passeggeri e delle merci in ambito locale e urbano
anche collegata a stazioni, aeroporti e porti (lett. a)
2) definire, se ritenuto necessario in relazione alle condizioni di concor-
renza effettivamente esistenti nei singoli mercati dei servizi dei tra-
sporti nazionali e locali, i criteri per la fissazione da parte dei sogget-
ti competenti delle tariffe, tenendo conto dell’esigenza di assicurare
l’equilibrio economico delle imprese regolate, l’efficienza produttiva
delle gestioni e il contenimento dei costi per gli utenti, le imprese, i
consumatori (lett. b);
3) verificare la corretta applicazione da parte dei soggetti interessati dei
criteri fissati ai sensi della lettera b) (lett. c);
4) stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto locali
connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratte-
ristiche territoriali di domanda e offerta (lett. d);
5) definire, in relazione ai diversi tipi di servizio e alle diverse infra-
strutture, il contenuto minimo degli specifici diritti, anche di natura
risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori
dei servizi e delle infrastrutture di trasporto; sono fatte salve le ulte-
riori garanzie che accrescano la protezione degli utenti che i gestori
dei servizi e delle infrastrutture possono inserire nelle proprie carte
dei servizi (lett. e);

strutture e servizi di pubblico trasporto ferroviari e stradali e il collegamento con le infra-


strutture nodali. Da ultimo, l’istituzione dell’Autorità è stata richiesta dal documento con-
clusivo dell’indagine conoscitiva sul settore del trasporto ferroviario di passeggeri e merci
approvato dalla IX Commissione trasporti della Camera nella seduta del 24 gennaio 2012.
42
Si tratta di un modello “multisettoriale” che rappresenta una scelta innovativa nel pa-
norama europeo all’interno del quale prevalgono organi tecnici che si occupano di singoli
ambiti trasportistici. In argomento, si veda L. VECERE, A. PALUMBO, Autorità dei trasporti,
privatizzazioni e liberalizzazioni, normativa d’indirizzo e regolamentazione comunitaria in
materia di trasporto e l’esperienza di alcune realtà europee, in Rivista giur. Circolazione e
trasporti, ACI, 2012.

91
6) definire gli schemi dei bandi delle gare per l’assegnazione dei servizi
di trasporto in esclusiva e delle convenzioni da inserire nei capitolati
delle medesime gare e a stabilire i criteri per la nomina delle commis-
sioni aggiudicatrici; con riferimento al trasporto ferroviario regionale,
l’Autorità verifica che nei relativi bandi di gara non sussistano condi-
zioni discriminatorie o che impediscano l’accesso al mercato a concor-
renti potenziali e specificamente che la disponibilità del materiale ro-
tabile già al momento della gara non costituisca un requisito per la par-
tecipazione ovvero un fattore di discriminazione tra le imprese parte-
cipanti. In questi casi, all’impresa aggiudicataria è concesso un tempo
massimo di diciotto mesi, decorrenti dall’aggiudicazione definitiva,
per l’acquisizione del materiale rotabile indispensabile per lo svolgi-
mento del servizio (lett. f);
7) con particolare riferimento all’accesso all’infrastruttura ferroviaria,
svolgere tutte le funzioni di organismo di regolazione di cui all’art. 37
del d.lgs. 8 luglio 2003, n. 188 e, in particolare, a definire i criteri per la
determinazione dei pedaggi da parte del gestore dell’infrastruttura e i
criteri di assegnazione delle tracce e della capacità e a vigilare sulla loro
corretta applicazione da parte del gestore dell’infrastruttura (lett. i).
L’elenco delle funzioni attribuite alla Autorità in parola evidenzia possibili
punti di sovrapposizione ed interferenza tra ambiti di competenza dell’Autorità
e quelli di Regioni o agenzie locali43 (Cabianca, 2012: 21, nota 47).
Sul riparto delle competenze in materia di TPL, preme ricordare come la
Corte costituzionale, già con la sentenza n. 222 del 2005, avesse ribadito

43
Attenta dottrina, in argomento, ha segnalato che «[l]e varie agenzie per la mobilità co-
stituiscono uno dei più originali strumenti di governance del TPL adottati dalla legislazione
regionale, la quale ha sperimentato una pluralità di modelli organizzativi, con differenze an-
che strutturali sulla forma giuridica adottata, sulle funzioni ad esse demandate e sul grado
d’indipendenza. Quanto al primo di questi aspetti, nelle leggi regionali di settore sussistono
agenzie sia nella forma dell’ente pubblico o consortile, che della società di capitali. Da un
punto di vista funzionale, poi, si possono avere agenzie c.d. “leggere”, a cui sono general-
mente affidate funzioni di regolazione, programmazione, affidamento e monitoraggio dei
servizi; agenzie “pesanti”, che oltre alle funzioni richiamate gestiscono anche gli assets ne-
cessari per l’erogazione del servizio; agenzie di mero supporto tecnico, che non svolgono
direttamente attività di regolazione ma che assistono l’amministrazione nei processi decisio-
nali. Quanto al problema della loro indipendenza, si riscontra una certa tendenza a demanda-
re agli esecutivi di regioni ed enti locali il compito di nominarne i principali organi, mentre
non è raro il caso in cui a tali enti siano imputate quote di partecipazione delle società affi-
datarie dei servizi di TPL. Risulta incerta, dunque, la stessa ontologia di tale enti che sem-
brano più avvicinarsi a strutture tecniche intermedie tra gli organi di rappresentanza politica
e imprese di trasporto, piuttosto che a vere e proprie autorità locali di regolazione del setto-
re» CABIANCA, Il trasporto pubblico locale…, cit., p. 21, nota 47.

92
che il TPL rientra nell’ambito delle competenze residuali delle Regioni di
cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., mentre l’intervento dello Stato, che
trova titolo nell’art. 117, comma 2, lett. e), m) e s) della Costituzione, risul-
ta legittimo se ed in quanto sia conforme ai criteri di proporzionalità e ra-
gionevolezza (Corte Cost., sentenza 13-27 luglio 2004, n. 272). In questo
senso, dunque, le attività di regolazione indirizzate alla fissazione di criteri
di determinazione delle tariffe, alla determinazione delle condizioni minime
di qualità dei servizi, alla definizione degli schemi dei bandi delle gare e
dei criteri per la nomina delle commissioni aggiudicatrici integrano materie
sulle quali le Regioni hanno legiferato in questi anni44. E forse proprio al
fine di evitare l’emergere di possibili contrasti tra le funzioni attribuite
all’Autorità nazionale e quelle svolte dalle agenzie a livello regionale, il le-
gislatore ha inteso sottolineare che l’Autorità di regolazione dei trasporti
deve agire nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle competenze del-
le Regioni e degli enti locali di cui al Titolo V della parte seconda della Co-
stituzione, sottendendo che essa debba instaurare rapporti di cooperazione
con gli enti locali, possibilmente tramite «forme di partecipazione qualifi-
cata alle procedure di definizione delle proprie determinazioni»45.

44
Il rischio di sovrapposizioni e interferenze non è astratto se si considera che la L.R. Puglia
20 agosto 2012, n. 24, recante “Rafforzamento delle pubbliche funzioni nell’organizzazione e
nel governo dei Servizi pubblici locali”, ha previsto l’istituzione di un’Autorità regionale per la
regolamentazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con l’attribuzione di compi-
ti che per il TPL in parte sembrano sovrapporsi a quelle dell’authority nazionale.
45
Con sentenza 11 marzo 2013, n. 41, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate
le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Regione Veneto, che aveva impugna-
to l’art. 36, comma 1, lettera a), del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni,
dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, concernente l’istituzione, la natura, la composizione e le fun-
zioni dell’Autorità indipendente di regolazione dei trasporti. In particolare, i giudici costitu-
zionali hanno ribadito quanto segue: «[…] Al fine di procedere all’esame nel merito delle
rimanenti questioni di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 1, lettera a), del decreto-
legge impugnato, proposte in riferimento all’art. 118 Cost. e al principio di leale collabora-
zione, appare opportuno ricordare che l’istituzione di una Autorità nazionale dei trasporti
s’inscrive nel sistema di regolazione indipendente dei servizi di pubblica utilità, avviato con
la legge 14 novembre 1995, n. 481 (Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di
pubblica utilità. Istituzione delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità) e,
come tale, è volta a realizzare un mercato concorrenziale nei servizi di trasporto. Il settore
dei trasporti appare resistente più di altri all’ingresso di operatori privati, a causa di alcune
peculiari caratteristiche, legate, tra l’altro, agli elevati costi, alla necessità di assicurare il
servizio anche in tratte non remunerative e alla consolidata presenza di soggetti pubblici tan-
to nella gestione delle reti quanto nell’offerta dei servizi. In questo contesto, è particolar-
mente avvertito il rischio che si creino o si consolidino posizioni dominanti e, pertanto, è
opportuno che il passaggio a un sistema liberalizzato sia accompagnato, come già è avvenu-
to per altri pubblici servizi, da una regolazione affidata ad un’Autorità indipendente, che
garantisca pari opportunità a tutti gli operatori del settore. In particolare, per quanto rileva

93
Avuto riguardo alla forma collaborativa di esercizio del potere, il com-
ma 3 dell’art. 37, d.l. n. 201/2011 stabiliva che all’Autorità è attribuita la

nel presente giudizio, l’istituzione di un’Autorità indipendente è tesa a ridurre le criticità che
potrebbero derivare dalla commistione, in capo alle medesime amministrazioni, di ruoli tra
loro incompatibili, introducendo una distinzione tra soggetti regolatori e soggetti regolati.
Alla luce delle considerazioni che precedono, risulta chiaro che le disposizioni impugnate,
pur avendo attinenza con la materia del trasporto pubblico locale, perseguono precipuamente
una finalità di promozione della concorrenza e quindi afferiscono alla competenza esclusiva
dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. (ex plurimis, sentenza n.
325 del 2010), dato che l’istituzione dell’Autorità indipendente è, come si è visto, funzionale
alla liberalizzazione dei pubblici servizi in tutti i comparti del trasporto, da quello ferroviario
a quello aereo, da quello marittimo a quello autostradale. La Corte ha più volte affermato
che l’esercizio della competenza esclusiva e trasversale per la «tutela della concorrenza»
può intersecare qualsivoglia titolo di potestà regionale, seppur nei limiti necessari ad assicu-
rare gli interessi cui essa è preposta, secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità (ex
plurimis, sentenze n. 325 del 2010, n. 452 del 2007, n. 80 e n. 29 del 2006, n. 222 del 2005).
Nel caso in esame, le funzioni conferite all’Autorità di regolazione dei trasporti, se intese
correttamente alla luce della ratio che ne ha ispirato l’istituzione, non assorbono le compe-
tenze spettanti alle amministrazioni regionali in materia di trasporto pubblico locale, ma le
presuppongono e le supportano. Valgono anche in questo caso i principi affermati dalla Cor-
te in una fattispecie analoga: «le attribuzioni dell’Autorità non sostituiscono né surrogano
alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo; esse esprimono una funzione di
garanzia, in ragione della quale è configurata l’indipendenza dell’organo» (sentenza n. 482
del 1995). Compito dell’Autorità dei trasporti è, infatti, dettare una cornice di regolazione
economica, all’interno della quale Governo, Regioni e enti locali sviluppano le politiche
pubbliche in materia di trasporti, ciascuno nel rispettivo ambito. Del resto la stessa disposi-
zione censurata prevede, al comma 1 dell’art. 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, che
l’Autorità di regolazione dei trasporti sia tenuta al rispetto delle competenze delle Regioni e
degli enti locali di cui al Titolo V della parte seconda della Costituzione. Infatti, in relazione
alle disposizioni sottoposte all’esame della Corte, per quanto riguarda le tariffe, i canoni e i
pedaggi, le disposizioni impugnate (lettera b del comma 2 dell’art. 37 del decreto-legge n.
201 del 2011) attribuiscono all’Autorità il compito di stabilire solo i criteri, mentre resta im-
pregiudicata in capo ai soggetti competenti la determinazione in concreto dei corrispettivi
per i servizi erogati. Analogamente, riguardo ai bandi di gara, l’Autorità è investita della
competenza a definire gli schemi, senza sostituirsi alle amministrazioni competenti
nell’elaborazione in dettaglio dei bandi, delle convenzioni da inserire nei capitolati delle
medesime gare e delle concessioni (lettera f del comma 2 dello stesso articolo). Ciò vale an-
che con specifico riferimento al settore autostradale (lettera g del citato comma 2 dell’art.
37). Ancora, con riguardo alla nomina delle commissioni giudicatrici, secondo la normativa
in esame, l’Autorità indipendente è dotata del potere di stabilire solo i criteri per la nomina,
salve restando le competenze delle amministrazioni locali su ogni ulteriore decisione in or-
dine alla composizione delle commissioni giudicatrici o alle modalità di scelta dei suoi
componenti, decisioni che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rientrano invece nella
materia dell’organizzazione amministrativa, spettante alle Regioni ex art. 117, comma 4,
Cost. (sentenze n. 43 del 2011 e n. 401 del 2007). In sintesi, come questa Corte ha già af-
fermato a proposito di altre Autorità di regolazione, «non vi è ragione di ritenere che le Au-
torità di tale natura […] possano produrre alterazioni dei criteri costituzionali in base ai quali
viene ripartito l’esercizio delle competenze amministrative tra Stato, Regioni ed enti locali»
(sentenza n. 88 del 2009)».

94
potestà di “sollecitare e coadiuvare” le amministrazioni all’individuazione
degli ambiti di servizio pubblico e dei metodi più efficienti per finanziarli
(lett. a) e di “proporre” all’amministrazione competente la sospensione, la
decadenza o la revoca degli atti di concessione, delle convenzioni, dei con-
tratti di servizio pubblico, dei contratti di programma (lett. c), ma si ritiene
che tali disposizioni costituiscano soltanto un indice di un metodo da adot-
tare per evitare che la complessità istituzionale si traduca in conflitto.

2.5. Brevi considerazioni finali

Negli ultimi anni, sia in Europa che in Italia, è andata progressivamente


aumentando la domanda di mobilità, intesa come possibilità di effettuare
spostamenti da e verso le città in termini efficienti, economici ed efficaci. Il
trasporto pubblico, in specie locale, è un diritto esigibile da parte dei citta-
dini e, conseguentemente, richiede di essere, benché mantenendo inalterata
la sua funzione, flessibile e adattabile ai bisogni dei singoli.
Questo non significa che l’intervento pubblico sia destinato ad assumere
una funzione “residuale” rispetto al mercato. La libertà di prestazione dei
servizi, la contendibilità del mercato e la richiesta di competitività possono
rappresentare fattori che impongono la ricerca di nuovi assetti e di nuove
modalità di organizzazione e gestione del trasporto pubblico locale. In que-
sto scenario, comune a tutti i paesi europei, l’ente pubblico è chiamato a
svolgere un ruolo fondamentale e insostituibile, ossia quello di regolatore,
di coordinare gli interventi integrati, nonché di valutare gli interventi e i
servizi realizzati.
Si tratta pertanto di introdurre in un settore ad altissima vocazione pub-
blica, nel senso di collettiva, con la cautela e l’attenzione che il tema ri-
chiede, forme di integrazione e di partnership che implementino il principio
di sussidiarietà orizzontale e che contribuiscano a superare la rigida e stori-
ca contrapposizione tra pubblico e privato.
In Italia e in molte Regioni, per vero, il contesto normativo non è sfavo-
revole in termini generali a questa impostazione. Infatti, in alcuni territori,
la storia e la tradizione locale hanno permesso di avviare processi di con-
fronto e di valutazione di nuove formule di integrazione tra strutture pub-
bliche ed esperienze private, al fine di:
• innalzare il livello qualitativo delle prestazioni;
• ridurre i costi e, conseguentemente,
• contribuire ad una complessiva efficienza del sistema.

95
In questo modo, si possono immaginare e progettare interventi e colla-
borazioni pubblico-privato (for profit e non profit), anche in un settore,
quello del trasporto pubblico locale, normalmente concepito quale “riserva
indiana” dell’intervento degli enti pubblici. Al contrario, anche questo
comparto, come altri, potrebbe divenire un interessante laboratorio in cui
sviluppare – come richiamato anche recentemente dall’Unione Europea –
affidabili PPPI, ossia partnership pubblico-privato istituzionalizzate.

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97
3. LA RICERCA DELL’EFFICIENZA
ATTRAVERSO LE RIFORME

di Massimo Procopio

3.1 Premessa

Non sono molti i settori, anche in Italia, che possono vantare un numero
smisurato di riforme annunciate, solo accennate, fallite o nei migliori dei casi
solo in parte realizzate, come quello del Trasporto Pubblico Locale (TPL).
Delle riforme e delle loro vicende, tuttavia, si è già discusso all’interno
del secondo capitolo, qui si vuole “semplicemente” riprendere i passaggi più
importanti della ormai lunga evoluzione normativa del TPL per affiancarla ad
un’analisi dei principali indicatori di produttività ed efficienza economica,
allo scopo di far emergere come il settore ha risposto alle indicazioni del le-
gislatore.
I risultati che si otterranno da questa analisi non saranno incoraggianti. Si
osserveranno i ritardi accumulati negli ultimi 30 anni, le sacche di inefficien-
za che portano alcune stime a valutare in circa 2 miliardi di euro i maggiori
contributi pubblici al TPL italiano rispetto alla media europea (l’intero setto-
re nel nostro paese vale poco meno di 13 miliardi di euro)1 (Bain & Compa-
ny, 2012), si valuterà, in altri termini, come in Italia il riassetto del settore è
rimasto sostanzialmente “al palo” determinando una struttura del mercato che
sconta profondi deficit di efficienza e di produttività.
Per meglio approfondire questi aspetti nelle pagine che seguono viene da-
to spazio anche ad una fotografia dei principali fattori dell’efficienza operati-
va di alcune grandi imprese italiane, ovvero dei nostri “campioni nazionali”
che già oggi, e sempre di più nei prossimi anni, si troveranno nella stessa

1
BAIN & COMPANY, Position paper: Il settore del Trasporto Pubblico Locale in Italia –
Contesto di riferimento e priorità di sviluppo del settore, Execitive summary, 2012.

98
arena competitiva con imprese straniere ormai divenute veri e propri operato-
ri multinazionali.
Il capitolo, infine, si chiude con un confronto del nostro sistema del TPL e
delle nostre aziende con i principali paesi e operatori europei, al fine ultimo di
dimostrare, da un lato, come in altre realtà, tra loro anche profondamente diffe-
renti, il fattore di successo che stabilisce le condizioni di crescita delle imprese
non è rintracciabile esclusivamente nel modello di regolamentazione, ma anche
nella determinazione del decisore pubblico di percorrere le riforme, nonché
nelle strategie delle imprese e nel passaggio da una visione assistenziale ad una
imprenditoriale in cui si concorre per i servizi e non per i sussidi, dall’altro lato,
di offrire al lettore elementi di riflessione utili a delineare credibili percorsi di
risanamento, rilancio e di rafforzamento del settore.

3.2. L’“evoluzione dell’efficienza” in oltre trent’anni di riforme

3.2.1. Il settore prima della riforma Bassanini-Burlando (la legge


quadro n. 151/1981)

Opportuno punto di partenza per questa analisi è legge quadro n. 151 del
10 aprile 1981, che ha introdotto in Italia, sulla scia di quanto già avveniva
in diversi Paesi europei, un corpus normativo organico e completo finaliz-
zato al rilancio di un settore, quello del TPL, attanagliato da una profonda
crisi dovuta al processo di pubblicizzazione dei servizi, iniziato intorno agli
anni Settanta, che ha portato ad un utilizzo “sociale” delle aziende del TPL
e, di conseguenza, alla creazione di profondi deficit nei bilanci aziendali2.
Qualche numero è sufficiente per intuire lo stato in cui il settore si tro-
vava all’avvio della legge n. 151/1981: se all’inizio degli anni Sessanta le
imprese riuscivano a coprire i propri costi di gestione attraverso i ricavi da
mercato per circa l’80%, nel 1982 questa stessa percentuale si attestava po-
co sopra il 20%3 (Baldassarri, 1998).

2
È tuttavia necessario ricordare anche altri eventi, esogeni al sistema del TPL, che han-
no avuto un impatto significativo sul settore, tra cui le crisi energetiche del 1973 e del 1979
che hanno, tra l’altro, determinato decisi aumenti dei prezzi del carburante, la costituzione
delle Regioni a statuto ordinario nel 1970 e, quindi, il passaggio di alcune competenza in
tema di TPL dallo Stato alle Regioni, nonché il processo di riforma del sistema tributario
degli anni Settanta che determinò la centralizzazione del gettito fiscale.
3
Più in generale: BALDASSARRI G., La riforma del trasporto pubblico locale, in Riv.
Proteo, n. 1998-3.

99
Entrando nel merito della riforma, fondamentale per il tema affrontato nel
presente capitolo è il passaggio delle legge che, da un lato vincolava
l’erogazione dei contributi di esercizio a principi e procedure in grado di perse-
guire l’obiettivo dell’equilibrio economico dei bilanci dei servizi di trasporto,
dall’altro lato stabiliva che i contributi dovessero essere definiti considerando4:
• il costo economico standardizzato del servizio con riferimento a cri-
teri e parametri di rigorosa ed efficiente gestione;
• i ricavi del traffico presunti derivanti dall’applicazione di tariffe mi-
nime stabilite dalla Regione;
• parametri obiettivi per coprire la differenza tra costi standard e ricavi
presunti.
La legge n. 151/1981 è stata quindi introdotta allo scopo di far uscire il
settore dallo stato di crisi ed aprire una nuova fase di sviluppo, fase che tut-
tavia non è mai entrata in pieno regime per effetto di una serie di limiti5
nell’applicazione della legge stessa, tra cui:
1) Differenziazioni nei meccanismi di calcolo del costo standard nelle
diverse Regioni e generale allineamento verso i costi storici
Uno degli elementi più innovativi della legge n. 151/1981 era
l’introduzione del costo economico standardizzato, necessario per la defini-
zione, da parte di ciascuna Regione, dei livelli di finanziamento alle imprese
sulla base di criteri di gestione aziendale efficienti, nonché sulle caratteristi-
che tecnico-ambientali di ciascuna realtà (ad esempio, velocità media
d’esercizio, la densità dell’utenza per chilometro di rete servita e l’estensione
del network6) (Cambini, 2005), abbandonando quindi la logica del costo sto-
rico e stimolando le imprese a migliorare la propria produttività ed efficienza.
Le libertà di definizione del costo standard che la legge n. 151/1981 at-
tribuiva alle Regioni ben presto si è rilavata come principale punto debole
del meccanismo, la mancanza di una metodologia unica e di criteri generali
valevoli per l’intero territorio nazionale7 ha determinato forti differenzia-
4
Art. 7, legge n. 151 del 10 dicembre 1983.
5
Pur se in questo documento si vogliono trattare essenzialmente i limiti dei vari processi
di riforma, o per meglio dire della loro applicazione, per comprendere le motivazioni alla
base delle attuali difficoltà del TPL italiano, appare tuttavia opportuno evidenziare anche
alcuni aspetti positivi della riforma del 1981, in particolare: introduzione del costo economi-
co standardizzato, chiara definizione di uno schema di bilancio per le imprese concessiona-
rie, previsione di un fondo dedicato ai soli investimenti.
6
Sull’argomento, tra gli altri, si veda CAMBINI C., Struttura di costo e rendimenti di sca-
la nelle imprese di trasporto pubblico locale di medie-grandi dimensioni, in Ceris-Cnr,
W.P. n. 16/2005.
7
A questo limite il decreto legge n. 77/1989 (art. 1, comma 2) ha tentato di dare una ri-
sposta, prevedendo l’emanazione di un decreto del Ministero dei trasporti con cui definire

100
zioni tra le Regioni stesse, alcune hanno adottato meccanismi basati sulla
spesa storica, oltretutto considerando le aziende meno efficienti (per puri
scopi protezionistici), altre hanno allineato il costo standard in considera-
zione delle risorse disponibili, solo poche hanno realmente individuato e
poi attuato meccanismi per promuovere miglioramenti nella gestione delle
imprese8 (Buzzo Margari e Piacenza, 2005).
2) Perdurare della commistione tra ente pubblico e aziende di gestione
Altro fattore che ha contribuito al mancato recupero di efficienza è stata
la mancata separazione tra a le funzioni di regolazione (a capo dell’ente
pubblico) e le funzioni di gestione dei servizi (a capo dell’azienda).
L’assenza di norme in grado di limitare i rischi di un trade on-trade off
tra ente regolatore ed ente proprietario dell’impresa ha nei fatti prodotto, da
un lato, l’assunzione da parte di molte imprese del ruolo di programmatore
dei servizi e quindi di definizione dei servizi stessi non basata sulle esigen-
ze degli utenti, bensì sulle opportunità per l’azienda (cattura del regolatore),
dall’altro lato, l’assenza di un soggetto pubblico capace di controllare i li-
velli di efficienza raggiunti nella gestione dell’azienda, oltre che la qualità e
la quantità dei servizi erogati.
3) Fallimento dei meccanismi premiali nella ripartizione di parte del
Fondo Nazionale Trasporti (FNT)
L’istituzione del Fondo Nazionale Trasporti è stato uno degli elementi
più caratterizzanti della riforma introdotta con la legge n. 151/1981.
Il FNT si distingueva in due componenti, una per le spese in conto eser-
cizio (per il ripiano dei disavanzi di esercizio), l’altra per gli investimenti, e
più nello specifico per l’acquisto di materiale rotabile, per la realizzazione e
l’ammodernamento delle infrastrutture (impianti fissi, impianti di controllo,
depositi, officine, e così via).
Il FNT presentava un nuovo meccanismo di incentivazione al recupero
di efficienza del settore: il 10% della sua dotazione veniva distribuito tra le
aziende premiando quelle che riuscivano a migliorare i propri indici gestio-
nali. Così, ad esempio, la legge finanziaria del 1984 prevedeva che alle
aziende del trasporto pubblico che avessero conseguito gli incrementi di
produttività previsti dal contratto nazionale del lavoro, e che avessero pre-
sentato alla chiusura dell’esercizio una perdita di gestione non coperta dalla

analiticamente i meccanismi e i criteri generali di calcolo del costo standard. Il decreto tut-
tavia non è mai stato emanato.
8
A tal riguardo: BUZZO MARGARI B. E PIACENZA M., I sussidi al trasporto pubblico lo-
cale: esperienze di regolamentazione a confronto e implicazioni di efficienza produttiva,
Working Paper HERMES, 2005.

101
quota regionale derivante dal FNT, potesse essere corrisposto un contributo
integrativo9. Tuttavia, la resistenza di diversi operatori al cambiamento, in
parte giustificati dalla scelta di un meccanismo che per certi versi andava a
premiare le aziende più inefficienti, determinò la decisione di basare la ri-
partizione del FNT sulla spesa storica rilavata nel 1983.
Altri fattori, inoltre, hanno determinato il fallimento della legge n.
151/1981 nella sua parte relativa al recupero di efficienza e produttività: la
bassa dotazione del FNT, e delle risorse in generale, legata all’adozione di
meccanismi di ripiano “a piè di lista”.
Partendo dal primo, l’analisi dell’evoluzione delle risorse, sintetizzata
nel grafico che segue, dimostra chiaramente come nel corso degli anni di
vigenza del FNT (dal 1981 al 1995) e negli anni successivi, l’incremento
della contribuzione pubblica al settore del TPL si è costantemente attestata
sotto il tasso di crescita medio dei prezzi e del prodotto interno lordo, de-
terminando quindi una diminuzione delle risorse in termini reali10.
Graf. 1 – Evoluzione delle risorse per il TPL dal 1981 al 2001 (numeri indice 1981 = 100)

Fonte: STRUSI A., Riforma del finanziamento dei servizi pubblici locali: i casi del trasporto
pubblico locale e del servizio idrico, 2006, p. 8.

Particolarmente significativo è il periodo 1995-2001, caratterizzato da un


incremento dei contributi medio annuo dello 0,6%, mentre considerando

9
Art. 7, legge n. 730 del 27 dicembre 1983.
10
Nel decennio che va dal 1990 al 2000 l’offerta di TPL, settore autolinee, misurata in
termini di autobus-km è diminuita del 3,5%, mentre la domanda (passeggeri-km) del 2,9%.
Più in generale: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (2013), Conto Nazionale delle
Infrastrutture e dei Trasporti, Istituto Poligrafico e Zecca di Stato, Roma.

102
l’intero arco temporale 1981-2001 il tasso medio annuo si attesta sul 3,3%11
(Strusi, 2006: 9).
I bassi livelli di dotazione del FNT e, in generale, la scarsità di risorse12
per il TPL hanno determinato, accanto a processi di efficientamento endogeni
del settore mai nei fatti avviati, la necessità di interventi straordinari di finan-
za pubblica a ripiano dei disavanzi di gestione, che hanno prodotto un ulte-
riore “rilassamento” nella gestione delle imprese13 nella quasi certezza che
questi interventi sarebbero stati reiterati nel tempo14.
Infatti, ad un primo intervento, la legge n. 204/1995, ne sono seguite altri
due, la legge n. 195/1998 e la legge n. 472/1999, tutte emanate allo scopo di
risanare le aziende ed avviare processi gestionali virtuosi15. Con la prima legge
si è provveduto alla copertura di parte dei disavanzi certificati relativi alle
aziende operanti nelle Regioni a statuto ordinario per il periodo 1987-95, vale a
dire oltre 6 miliardi di euro (è utile ricordare che l’intero sistema del TPL in
Italia oggi produce un volume d’affari annuo di circa 13 miliardi), mentre con
le successive due al ripiano dei disavanzi relativi agli anni 1994-1996 (le perdi-
te certificate si attestavano sopra 2,7 miliardi di euro) e all’anno 1997.
Tab. 1 – Finanziamenti statali alle Regioni a ripiano dei disavanzi 1987-1997 (milioni
di euro)
Disavanzi 1987-93 (l. n. Disavanzi 1994-96 (l. n. Disavanzi 1997 (l. n.
204/1995) 194/1998) 472/1999)
Disavanzi certificati 6.050 2.709 n.d.
Disavanzi massimi
ammissibili 3.630 813 n.d.
Contributo annuo statale 377 83 18
Contributi statali
attualizzati 2.088 419 271
Fonte: STRUSI A., Riforma del finanziamento dei servizi pubblici locali: i casi del trasporto
pubblico locale e del servizio idrico, 2006, p. 16

11
Strusi A. (2006), Riforma del finanziamento dei servizi pubblici locali: i casi del tra-
sporto pubblico locale e del servizio idrico, p. 9.
12
La definizione delle risorse non è di per sé sinonimo di trasferimento delle stesse ri-
sorse dallo Stato alle Regioni e da queste ultime agli Enti locali e poi alle imprese. Non sono
rari i casi di mancati trasferimenti.
13
Un sistema che si basa sul ripiano “a piè di lista” di qualsiasi perdita gestionale, de-
termina, paradossalmente, un danno per le aziende che avviano comportamenti virtuosi.
14
Tutto ciò nonostante che la stessa legge n. 151/81 all’art. 7 stabiliva che le eventuali
perdite non coperti dai contributi regionali restassero a carico delle singole imprese.
15
La norma subordinava l’erogazione dei contributi alla presentazione da parte delle
imprese di piani finanziari di riassorbimento dei disavanzi, di un rapporto tra ricavi di eser-
cizio e costi gestionali non inferiore allo 0,15 (al 31/12/1995) e al progressivo miglioramen-
to dei risultati economici.

103
In termini generali l’insuccesso della riforma avviata dalla legge n.
151/1981 è da attribuire in buona parte alla sua incompleta applicazione,
come del resto si osserverà anche per la riforma introdotta con il c.d. decre-
to “Burlando”, e per capirne la profondità di tale insuccesso è sufficiente
riprendere un passaggio della relazione della Corte dei Conti sulla gestione
del TPL16 (Corte dei Conti, 2003: 4.): «Il sistema disegnato dalla legge n.
151/1981 […] basato sul ripiano “piè di lista” del differenziale fra costi di
esercizio sostenuti dalle aziende gerenti e ricavi tariffari introitati, ha pro-
dotto la crescita incontrollata della spesa pubblica inerente al trasporto lo-
cale, determinando nel tempo la necessità di onerosi interventi straordinari
finalizzati a garantire il ripiano dei disavanzi maturati a livello aziendale».

3.2.2. La riforma Burlando e l’efficientamento del settore attraverso


il superamento dei limiti della legge n. 151/1981

Come è noto, il TPL ha conosciuto negli ultimi 15 anni un periodo di


forte e significativa revisione normativa, a partire dalla riforma organica
della disciplina di settore introdotta dal d.lgs. n. 422/199717 (Carminucci e
Procopio, 2006, 2011; Asstra, 2013) (cosiddetto “Burlando”, emanato in
attuazione della legge delega n. 59/1997, rivisto ed integrato dal d.lgs. n.

16
CORTE DEI CONTI, La gestione del trasporto pubblico locale e lo stato di attuazione
della riforma a livello regionale – Relazione comparativa e di sintesi sull’andamento dei tra-
sporti locali, Roma, 2003, p. 4.
17
In questo paragrafo non saranno considerate tutte le novità legislative che hanno inte-
ressato il TPL negli ultimi anni, bensì solo gli aspetti più significati, e ciò per facilitare la
lettura e la comprensione dei fattori che hanno impedito lo sviluppo del settore. Occorre tut-
tavia sottolineare che la stessa iperproduzione di norme è essa stessa fattore di debolezza e,
allo stesso tempo, sintomo delle resistenze, vere e proprie correnti protezionistiche, che in
questi anni hanno nella pratica affondato qualsiasi tentativo di riforma. Volendo fornire un
numero in grado di rendere manifesto l’intervento quasi “schizofrenico” del legislatore, è
sufficiente evidenziare come in poco più di 10 anni sia intervenuto più di 20 volte (una me-
dia superiore a due interventi all’anno). A ciò si aggiunge un referendum abrogativo
(dell’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008) e diverse sentenza della Corte costituzionale chiamata a
dirimere controversie tra Stato e Regioni (ad esempio la sentenza n. 80 del 22 febbraio 2006
che ha sancito la supremazia della legislazione statale su quella regionale in tema di tutela e
promozione della concorrenza), nonché sulle norme introdotte dal Governo a seguito del
referendum. Sull’argomento, tra gli altri, si vedano: CARMINUCCI C., PROCOPIO M., Lo stato
di attuazione della Riforma del TPL nelle Regioni italiane, 2006, Isfort, Roma; CARMINUCCI
C., PROCOPIO M., Il lungo percorso della riforma del Trasporto pubblico locale. Alla ricerca
di una disciplina di settore, 2011, Isfort, Roma; ASSTRA, Indagine conoscitiva sul traspor-
to pubblico locale – Audizione del Presidente di ASSTRA presso la IX Commissione traspor-
ti, poste e telecomunicazioni della Camera dei Deputati, 2013, Roma.

104
400/1999 e successive modifiche), il cui obiettivo principale era quello di
superare i limiti emersi dalla legge n. 151/1981 e, quindi, promuovere una
modernizzazione del settore ponendo fine ai ripetuti interventi per la coper-
tura dei disavanzi aziendali. Ciò facendo leva su alcuni punti qualificanti:
• il decentramento delle funzioni dallo Stato alle Regioni (e da queste
agli enti locali in una logica di sussidiarietà);
• il recupero della programmazione territoriale (dai Piani regionali dei
trasporti, ai Piani di bacino, alla definizione dei servizi minimi);
• l’efficientamento del settore;
• la liberalizzazione del settore attraverso l’affidamento dei servizi con
procedure concorsuali18 (Carminucci, Malgieri, Procopio, 2007).
In questa parte si concentrerà l’attenzione sugli ultimi due aspetti, veri-
ficando i pochi reali passi in avanti fatti in questi anni.
Una prima innovazione del d.lgs. n. 422/1997 era la previsione della tra-
sformazione delle aziende speciali e dei consorzi in società per azioni ovve-
ro in cooperative a responsabilità limitata; ciò è sostanzialmente avvenuto
già all’interno del periodo transitorio stabilito dal d.lgs. n. 400/1999 (31 di-
cembre 2000) e rappresenta uno dei non molti interventi realizzati per la
promozione della crescita industriale del TPL.
Le novità in tema di organizzazione dei servizi più importati erano tut-
tavia altre, ma poche di queste hanno realmente inciso sui livelli di produt-
tività ed efficienza del settore, e ciò non per difetti inerenti alla loro capaci-
tà intrinseca di apportare miglioramenti, ma piuttosto per effetto di un con-
tinuo loro indebolimento nel corso degli anni (dall’introduzione di “peren-
ni” periodi di transizione, alle numerose modifiche dell’impianto del decre-
to “Burlando”), nonché della mancanza di meccanismi sanzionatori19.
Significativo è stato il tentativo di porre fine alla questione della commi-
stione tra ente regolatore e società gerente attraverso, da un lato, la chiara de-
finizione dei ruoli e delle competenze, dall’altro lato con l’introduzione del

18
CARMINUCCI C., MALGIERI P., PROCOPIO M., TPL in Italia e in Europa. Il processo di
liberalizzazione: bilancio di una riforma, Quaderno RT, 2007, n. 12.
19
Solo negli ultimi anni sono stati introdotti, anche per il settore del TPL, strumenti di
controllo e sanzionatori, tra cui potenziamento dei poteri dell’Antitrust (art. 35 del d.l. n.
201/2006), legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regola-
menti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela
della concorrenza e del mercato, nonché la possibilità per il Consiglio dei Ministri di eserci-
tare poteri sostitutivi (art. 8 della legge n. 131/ 2003) in caso di inadempienza delle Regioni
sulla definizione bacini territoriali ottimali (art. 3 bis del d.l. n. 138/2011). Il settore del
TPL, tuttavia, rimane ancora in attesa che l’Autorità di regolazione dei trasporti, istituita con
d.l. n. 201/2011 (art. 37), diventi operativa.

105
contratto di servizio. Inoltre, con il contratto di servizio, per effetto
dell’assicurazione della «completa corrispondenza fra oneri per servizi e ri-
sorse disponibili20», il legislatore ha introdotto il principio della certezza fi-
nanziaria e della copertura di bilancio, con l’obiettivo di porre fine al mecca-
nismo del ripiano a piè di lista21. Elemento fondamentale dei contratti, tra gli
altri, era la previsione di un «progressivo incremento del rapporto tra ricavi
da traffico e costi operativi, rapporto che, al netto dei costi di infrastruttura,
dovrà esser pari almeno allo 0,35 a partire dal 1 gennaio 2000»22.
Ebbene nel grafico che segue, riferito al solo ambito urbano, è esposta
l’evoluzione temporale dell’indicatore23 (Asstra, Hermes e Isfort, 2012; As-
stra, Hermes, Anav e Isfort, 2013). È facile notare come in 10 anni sia ri-
masto costantemente sotto l’obiettivo del 35%, con variazioni che solo in
due occasioni hanno intrapreso sentieri di reale recupero di efficienza, negli
anni fino al 2003 (in coincidenza con la fine del primo periodo di transizio-
ne per l’avvio delle gare per l’affidamento dei servizi), a cui ha fatto segui-

20
Art. 19 del d.lgs. n. 422 del 19 novembre 1997.
21
Previsione che tuttavia non si è poi pienamente realizzata. Infatti, volendo già qui antici-
pare un elemento in grado di rendere manifesti i scarsi risultati raggiunti dalla riforma “Bur-
lando” è sufficiente considerare l’attuale possibilità, per le Regioni Campania, Piemonte e Ca-
labria (recentemente estesa anche alle altre Regioni a seguito della conversione in legge del
decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013), di destinare una quota delle risorse del Fondo per lo
sviluppo e la coesione alla copertura dei piani di ristrutturazione dei debiti pregressi relativi al
trasporto pubblico locale su gomma e ferroviario allo scopo di avviare «le necessarie azioni di
razionalizzazione e di incremento dell’efficienza», così come è più volte accaduto nel periodo
di vigenza della legge n. 151/81. Tale situazione, però, non è da attribuire alla sola non appli-
cazione della riforma “Burlando”, ma anche ai consistenti tagli dei trasferimenti statali alle Re-
gioni per il settore di questi ultimi 3 anni.
22
Art. 19, comma 5, del d.lgs. n. 422/1997.
23
I dati si riferiscono alle indagini Asstra effettuate nel 2012 e nel 2013, entrambe basate
sull’analisi dei bilanci di esercizio delle aziende-unità campionarie. La prima si riferisce ad un
campione di 41 aziende operanti in ambito urbano o prevalentemente urbano e in grado di co-
prire il 59,8% dell’universo in termini di valore della produzione (l’indagine è pubblicata in:
ASSTRA, HERMES E ISFORT, All’ombra della crisi, 9° rapporto sulla mobilità urbana in Italia,
Desenzano del Garda, 2012). La seconda si riferisce ad un campione di 63 aziende operanti in
ambito sia urbano che extraurbano e in grado di coprire il 65,5% dell’universo sempre in ter-
mini di valore della produzione (l’indagine è pubblicata in: ASSTRA, HERMES, ANAV E ISFORT,
Una leva per la ripresa, 10° rapporto sulla mobilità in Italia, Bologna, 2013). La scelta di uti-
lizzo dei dati Asstra nell’analisi dei principali indicatori economici e di produttività è dovuta
alla non sempre accertata attendibilità dei dati pubblicati nel Conto Nazionale delle Infrastrut-
ture e dei Trasporti, secondo cui, ad esempio, il rapporto tra ricavi da traffico e costi totali in
ambito urbano si attesterebbe sul 40,4% (anno 2011), vale a dire ben oltre l’obiettivo del 35%
(calcolato oltretutto con riferimento ai soli costi operativi), obiettivo che il legislatore ha di fat-
to individuato come parametro di riferimento per la valutazione dell’efficacia-efficienza degli
operatori. Si veda CARMINUCCI C., FERMI F., FIORELLO D., MAFFII S., PIERALICE E., PROCOPIO
M. (2007), La domanda di mobilità delle persone, Quaderno RT n. 11.

106
to un periodo di “rilassamento”, e negli ultimi 3 anni, per effetto delle re-
centi misure di austerità della finanza pubblica che hanno investito anche il
settore del TPL. Nel considerare poi i dati che comprendono non solo
l’urbano ma anche l’extraurbano l’indicatore tende ad assumere dimensioni
ancora più preoccupanti, passando dal 28,7% del 2009 al 29,9% del 201124
(Asstra, Hermes, Anav e Isfort, 2013: 79 ss.).
Tra i fattori che hanno contribuito a questa evoluzione, oltre a quelli già
commentati, occorre includere anche la crescita dei costi della produzione
non direttamente controllabili dalle aziende, oltretutto penalizzate dalle po-
che leve gestionali in tema di offerta tariffaria.
Considerando in primo luogo i costi appaiono evidenti le difficoltà che
le aziende hanno incontrato negli ultimi anni, il prezzo delle materie prime
dal 2002 al 2009 è cresciuto di oltre 40 punti, valori addirittura superiori si
registrano per i servizi e gli ammortamenti, mentre il costo del personale ha
subito variazioni meno marcate per effetto del decremento del numero di
addetti complessivi (come si vedrà nel paragrafo 4.2.1.).

Graf. 2 – Ricavi da traffico su costi operativi (ambito urbano o prevalentemente urba-


no, anni 2002-2011; percentuali)

Fonte: ASSTRA, HERMES, ANAV E ISFORT, Una leva per la ripresa, 10° rapporto sulla mobi-
lità in Italia, Bologna, 2013, p. XI

Tab. 2 – Evoluzione dei costi di produzione (ambito urbano o prevalentemente urba-


no, anni 2002-2010; numeri indice e percentuali)
2002 2009 2010 Var. % 2009-2010
Materie prime 100 135 143 +6
Servizi 100 180 165 -8
Ammortamenti 100 142 187 +31
Costi operativi 100 130 129 -1
Costo del personale 100 119 118 -1
Fonte: ASSTRA, HERMES E ISFORT, All’ombra della crisi, 9° rapporto sulla mobilità urbana
in Italia, Desenzano del Garda, 2012, p. 78

24
ASSTRA, HERMES, ANAV E ISFORT, Una leva…, cit., pp. 79 ss.

107
Sul fronte delle tariffe, dal grafico che segue si osserva come solo negli
ultimi anni, anche in questo caso per effetto dei tagli al settore, si registri
una crescita del costo del biglietto e dell’abbonamento mensile. La scelta
del legislatore nazionale di lasciare tra le sfere di competenza delle Regioni
la definizione delle politiche tariffarie, senza prevedere l’obbligo di inseri-
mento nelle singole legislazioni regionali di meccanismi di regolazione dei
prezzi in grado di seguire le dinamiche del mercato (price cup), ha di fatto
determinato un blocco delle tariffe per molti anni.
In questo contesto, come è logico attendersi, la ripartizione dei ricavi nel
corso del tempo è rimasta sostanzialmente stabile, con un peso preponde-
rante dei sussidi pubblici (nell’ordine del 60% del totale), anche se gli ulti-
mi dati disponibili segnalano una riduzione della quota delle compensazioni
pubbliche25 (Asstra, Hermes, Anav e Isfort, 2013: 79 ss.).

Graf. 3 – Evoluzione delle tariffe (ambito urbano o prevalentemente urbano, anni


2002-2012; numeri indice)

Biglietto a tempo Abbonamento mensile 151


137
127 128
121 123
118
114 114 115
122 124
115 117 115 117 117
100 111 111
103
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Fonte: ASSTRA, HERMES E ISFORT, All’ombra…, cit., p. 81

Graf. 4 – Evoluzione della ripartizione dei ricavi (solo ambito urbano o prevalentemente
urbano, anni 2002-2010; percentuale su totale valore della produzione)

Contributi pubblici Ricavi da traffico Altri ricavi

59,2 57,4 58,0 57,6 59,1 58,4 58,7 59,3 60,0

26,8 26,8 26,4 26,5 25,7 26 24,6 24,2 25,5


16,4 16,3 16,5 15,7 16,2 17,3 17,1 15,3
14,6

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Fonte: ASSTRA, HERMES E ISFORT, All’ombra…, cit., p. 78

25
ASSTRA, HERMES, ANAV E ISFORT, Una leva…, cit., pp. 79 ss.

108
Un settore, quello del trasporto pubblico locale, che ha quindi subito po-
che modifiche dall’avvio delle riforma “Burlando”, così come dimostrano
gli indicatori di performance economico-produttiva delle aziende riassunti
nelle due tabelle di seguito esposte, che pur riferendosi a due campioni ed a
due archi temporali diversi, consentono di raggiungere conclusioni del tutto
simili e non certo positive.
Nel corso degli anni i costi, rapportati sia alle vetture-km (quindi
all’offerta), sia ai passeggeri (quindi alla domanda), tendono a crescere in
misura maggiore rispetto ai ricavi da traffico (oltre 4 punti percentuali in
più), allontanandosi da quei obiettivi di efficienza voluti dal legislatore e
già più volte richiamati.

Tab. 3 – Indicatori di performance economico-produttiva delle aziende del trasporto


pubblico urbano (anni 2002-2007)

2002 2006 2007 Var. % 2002/2007


Costi operativi per vettura-km (euro) 3,71 4,18 4,24 +14,3
Costi operativi per passeggero (euro) 0,96 1,07 1,09 +14,0
Ricavi da traffico per vettura-km (euro) 1,15 1,26 1,27 +9,9
Ricavi da traffico per passeggero (euro) 0,30 0,32 0,33 +9,6
Ricavi totali per addetto (euro) 61.639 74.174 76.844 +24,7

Fonte: ASSTRA, HERMES E ISFORT, Alla ricerca di un punto di svolta,6° rapporto sulla mobi-
lità urbana in Italia (sintesi), Napoli, 2009, p. 21

Tab. 4 – Indicatori di performance economico-produttiva delle aziende del trasporto


pubblico urbano ed extraurbano (anni 2006-2010)

2006 2009 2010 Var. % 2006/2010


Costi operativi per vettura-km (euro) 4,35 4,71 4,67 +7,3
Costi operativi per passeggero (euro) 1,08 1,22 1,19 +10,2
Ricavi da traffico per vettura-km (euro) 1,20 1,24 1,27 +5,7
Ricavi da traffico per passeggero (euro) 0,31 0,32 0,32 +3,6
Ricavi totali per addetto (euro) 73.639 81.740 80.334 +9,1

Fonte: ASSTRA, HERMES E ISFORT, All’ombra…, cit., p. 68

109
Tav. 1 – Modalità di affidamento del servizio di TPL urbano nei comuni capoluogo di
provincia (percentuali)

TIPOLOGIA DI AFFIDAMENTO DEI SERVIZI

Affidamento
Gara Affidamento diretto
in-house
46,4 25,8 27,8
MODALITÀ DI ATTRIBUZIONE DEI RICAVI TARIFFARI(1)

All’ente pubblico
Al gestore (net cost) Totale
(gross cost)
85,6 14,4 100,0
IN CASO DI GARA, PRESENZA DEL GESTORE PRECEDENTE TRA GLI
AGGIUDICATARI(2)

Sì, in ATI, consorzi


Sì, totalmente Totale
ecc.
58,5 19,5 100,0
GARE PER AREA GEOGRAFICA(3)

Nord Centro Sud e Isole


58,7 66,6 11,1
GARE PER PERIODO(3)(4)

Dopo il
Tra il 1998 e il 2001 Tra il 2002 e il 2004
2004
18,6 69,8 11,6

(1)
Dati riferiti ai comuni capoluogo di provincia che hanno fornito risposte. Le frequenze si riferiscono al totale delle
risposte raccolte. Per 6 comuni non sono disponibili le informazioni. (2)Il totale comprende anche i casi in cui
l’aggiudicatario è risultato diverso dall’incumbent. (3)Le frequenze si riferiscono al totale delle risposte raccolte. (4)I dati si
riferiscono alla distribuzione temporale rispetto alle gare bandite dal 1998. È considerata la data di pubblicazione del
bando.

Fonte: BENTIVOGLI C., CULLINO R., DEL COLLE D.M., Regolamentazione ed efficienza del
trasporto pubblico locale: i divari regionali, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finan-
za, n. 20/2008, p. 15

La chiave d’arco della riforma “Burlando” era, tuttavia, il ricorso obbli-


gatorio alle procedure concorsuali per la scelta dei gestori, fatto salvo un
periodo transitorio la cui scadenza è stata costantemente spostata in avanti
al punto che ancora oggi il comparto opera all’interno di una fase di transa-
zione26 (Carminucci, Procopio, 2007: 14 ss.), terminata la quale la gara sarà

26
Sul punto: CARMINUCCI C., PROCOPIO M., Il trasporto…, cit., pp. 14 ss.

110
solo una delle varie possibili tipologie di affidamento dei servizi27(Carmi-
nucci e Procopio, 2011).
La gara, quindi, come passaggio da un modello chiuso ad un modello di
governance ispirato a logiche di mercato (concorrenza per il mercato)28
(Cabianca, 2010) e a criteri di efficienza gestionale, in grado di incidere sul
sistema del TPL dove la legge n. 151/1981 aveva fallito. Ciò nonostante i
risultati raggiunti appaiono tutt’altro che positivi. In termini di liberalizza-
zione del settore, ma come già visto anche facendo riferimento alla riduzio-
ne dei costi e alla crescita della produttività, l’Italia è rimasta sostanzial-
mente al palo.
Non sono molti gli enti che hanno fatto ricorso alla gara per assegnare i
servizi29 (Asstra, 2012), l’affidamento diretto rimane prevalente, e laddove
si è deciso di aprire al mercato spesso l’aggiudicatario del servizio è risulta-
to il gestore precedente, il numero dei partecipanti è stato frequentemente
basso, quasi nulla è stata la presenza di operatori esteri e i risparmi per
l’ente in termini di ribassi d’asta sono stati generalmente di entità irrilevan-
te30 (Bentivogli, Cullino, Del Colle, 2008).

Tav. 2 – Alcune caratteristiche delle gare per l’affidamento del servizio di TPL urba-
no nei comuni capoluogo di provincia (percentuali)

NUMERO DI PARTECIPANTI ALLA GARA

Meno di 3 Pari a 3 Oltre 3


69,6 15,2 15,2
(continua)

27
Le recenti modifiche normative hanno ampliato le tipologie di affidamento dei servizi
introducendo le alternative previste dal Regolamento europeo n. 1370/2007. Più in generale:
CARMINUCCI C., PROCOPIO M., Il lungo percorso della riforma del Trasporto pubblico loca-
le. Alla ricerca di una disciplina di settore, 2011, Isfort, Roma.
28
Sull’argomento: CABIANCA A., Profili evolutivi delle modalità di gestione del traspor-
to pubblico locale: verso un mutamento di paradigma?, Istituzioni del Federalismo, 2010.
29
In questo documento non si è mai distinto il comparto della gomma da quello del fer-
ro, seguendo quello che il legislatore aveva deciso con la riforma introdotta con il d.lgs. n.
422/1997, ovvero di coordinare e integrare i servizi di trasporto su gomma con i servizi fer-
roviari. In termini generali occorre, tuttavia, sottolineare che le resistenze al cambiamento
sinora commentate assumono connotazioni ancora più marcate se si esamina il solo trasporto
ferroviario locale e regionale. Per approfondimenti si veda: ASSTRA, Il Trasporto Ferrovia-
rio regionale in Italia, 2012.
30
Più in generale: BENTIVOGLI C., CULLINO R., DEL COLLE D.M., Regolamentazione ed
efficienza del trasporto pubblico locale: i divari regionali, Banca d’Italia, Questioni di Eco-
nomia e Finanza, n. 20/2008.

111
(segue)
NUMERO DI PARTECIPANTI ESTERI ALLA GARA

Nessun partecipante 1 partecipante Almeno 2 partecipanti


86,1 11,1 2,8
ENTITÀ DEL RIBASSO

Meno dell’1% Tra 1% e meno del 5% Almeno il 5%


65,4 30,8 3,8
TIPOLOGIA DI CONTRATTO ADOTTATO

Net cost Gross cost Totale


86,4 13,6 100,0

Fonte: BENTIVOGLI C., CULLINO R., DEL COLLE D.M., Regolamentazione…, cit., p. 16

3.3. La contribuzione pubblica come strumento di promozione


dell’efficienza

Negli ultimi anni il legislatore ha in parte abbandonato i tentativi di riforma


organica del settore, creando oltretutto una situazione di policentrismo norma-
tivo per effetto delle continue modifiche ai meccanismi di affidamento dei ser-
vizi, preferendo avviare tentativi di rilancio della produttività e dell’efficienza
attraverso la leva dei contributi pubblici o previsioni particolari.
Tra queste significativo rilievo riveste il comma 301 della legge n. 228 del
24 dicembre 2012 (legge di stabilità 2013), che nell’istituire il Fondo nazio-
nale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico
locale, anche ferroviario, stabilisce, per le Regioni a statuto ordinario, che il
10% del fondo stesso debba essere ripartito secondo criteri, da definire nel
dettaglio all’interno di un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, in
grado di incentivare le Regioni e gli enti locali a razionalizzare e rendere ef-
ficiente la programmazione e la gestione dei servizi mediante:
• un’offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il
soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico (nel primo trien-
nio di applicazione l’obiettivo è verificato attraverso l’incremento del
2,5% del numero di passeggeri trasportati su base regionale);
• la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla
domanda e il corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei
servizi a domanda elevata;
• il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi
operativi (miglioramento su base annua di almeno lo 0,03 per rappor-

112
ti di partenza inferiori o uguali allo 0,20 ovvero 0,02 per rapporti di
partenza superiori allo 0,20 fino alla concorrenza del rapporto dello
0,35, ovvero mantenimento o incremento del medesimo rapporto per
rapporti superiori);
• la definizione di livelli occupazionali appropriati (mantenimento o
incremento dei livelli occupazionali di settore, ovvero, se necessario,
mediante la riduzione degli stessi).
In altri termini si vuole avviare una nuova fase di riprogrammazione dei
servizi rivolta alla definizione di un’offerta improntata all’economicità e al
soddisfacimento della domanda31 e, allo stesso tempo, stimolare gli opera-
tori e le autorità competenti a minimizzare i costi unitari di produzione (ef-
ficienza) e ad aumentare i ricavi, attraverso l’incremento della domanda
(efficacia) e l’adeguamento delle tariffe alle dinamiche inflattive.
Previsioni importanti, ma purtroppo disordinate e che in buona parte,
verosimilmente, rimarranno sulla carta per effetto delle già manifeste forti
resistenze da parte non solo degli incumbents ma anche dei soggetti che in-
sieme allo Stato dovrebbero puntare al rilancio del comparto, ovvero le va-
rie autorità competenti (Regioni in primo luogo), o quanto meno alcune di
esse, preoccupate più dalla perdita delle risorse che dall’attuale stato in cui
versa il settore32. I passi in avanti che si registreranno nei prossimi anni sa-
ranno frutto non tanto del successo delle norme, bensì delle restrizioni de-
terminate dalla carenza di risorse pubbliche, e quindi dalla necessità di
convivere con i vari tagli dei trasferimenti statali alle Regioni e da queste
alle aziende33 (Asstra, 2013: 6 ss.)

31
Altre previsioni ancora sono indirizzate al recupero di efficienza, in buona parte di
dubbia reale applicazione: obbligo per le regioni di presentare di un piano di riprogramma-
zione dei servizi di trasporto pubblico locale e ferroviario regionale per avere accesso alle
risorse statali, decadenza dei direttori generali degli enti e delle società regionali che gesti-
scono il trasporto pubblico locale nell’ipotesi di squilibrio economico, trasmissione da parte
delle aziende dei dati gestionali all’Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pub-
blico locale, a cui spetta il compito di assicurare la verifica dell’andamento del settore e del
completamento del processo di riforma, nonché di stimolo al miglioramento attraverso atti-
vità di benchmarking.
32
Ad es. nel febbraio 2013 la Conferenza delle Regioni in sede di Conferenza Unificata
Stato Regioni, si era posto come obiettivo quello di adottare nel breve un nuovo criterio di ri-
partizione delle risorse basato su principi di efficienza e virtuosità delle Amministrazioni,
obiettivo fallito già a distanza di pochi mesi (agosto) quando la Conferenza delle Regioni nel
ripartire parte del fondo nazionale ha nuovamente adottato il criterio della spesa storica. Per
approfondimenti si veda: verbale della Conferenza Unificata Stato Regioni del 7 febbraio 2013
e verbale della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome del 1° agosto 2013.
33
Dal 2010 al 2012 il settore del TPL ha visto ridursi i finanziamenti pubblici per i ser-
vizi di circa 600 milioni di euro, vale a dire il 12% circa del totale, e ciò ha costretto diverse

113
3.4. L’evoluzione del settore nella sua struttura di mercato con
uno sguardo all’Europa

3.4.1. L’offerta e la domanda di TPL in Italia

In Italia nel solo settore autolinee si contano, nel 2011, oltre 1.000
aziende, in buona parte concentrate nel sud del paese (50% circa), poco
meno rispetto a quelle che si contavano nel 1995 (da 1.194 operatori a
1.069, vale a dire il 10,5% in meno) e di dimensioni particolarmente mode-
ste: il 62% delle aziende non ha più di 10 addetti, e il 63,6% opera con me-
no di 11 autobus. Le aziende di maggiore dimensione, quelle con più di 100
addetti, al contrario rappresentano solo il 12,2% del totale, percentuale che
si riduce ulteriormente se si considerano gli operatori che offrono i propri
servizi con più 100 di autobus (10,9% per l’esattezza).

Tav. 3 – Distribuzione geografica delle aziende di TPL (settore autolinee)

NUMERO DI AZIENDE

Anno 1995 2000 2005 2011*


Nord 383 384 355 355
Centro 191 203 236 178
Sud e Isole 620 643 609 536
Totale 1.194 1.230 1.200 1.069
NUMERO DI AZIENDE PER ADDETTI (2011*)

Classi 1-5 6-10 11-20 21-50 51-100 oltre 100


Nord 169 54 20 26 21 65
Centro 75 27 27 23 7 19
Sud e Isole 250 87 74 57 22 46
Totale 494 168 121 106 50 130
(continua)

aziende a «dure manovre di efficientamento, bloccando il mercato del lavoro, aumentando le


tariffe e le loro esposizioni debitorie». La riduzione delle risorse appare quasi drammatica
dal lato degli investimenti (rinnovo del parco rotabile, nuove infrastrutture ecc.); ad esem-
pio, dai 2,3 miliardi di euro per l’acquisto di nuovi autobus per il quadriennio 1997-2001, si
è passati a 110 milioni per il periodo 2012-2015. Ciò non può che contribuire in modo rile-
vante ad un ulteriore peggioramento dei livelli di efficienza del comparto (l’età media del
parco autobus in Italia sfiora ormai i 12 anni). Per ulteriori approfondimenti si veda ASSTRA,
Indagine…, cit., pp. 6 ss.

114
(segue)
NUMERO DI AZIENDE PER AUTOBUS UTILIZZATI (2011*)
Classi 1-5 6-10 11-20 21-50 51-100 oltre 100
Nord 155 64 26 31 21 58
Centro 81 31 25 21 3 17
Sud e Isole 239 110 75 57 14 41
Totale 475 205 126 109 38 116
*
Dati non definitivi
Fonte: MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, Conto Nazionale delle Infra-
strutture e dei Trasporti, Istituto Poligrafico e Zecca di Stato, 2013, Roma

Un mercato, quello del TPL su gomma, contraddistinto quindi da una


struttura industriale particolarmente frammentata e parcellizzata, tale da
non consentire quelle economie di scala in grado di garantire al settore in-
vestimenti per migliorare il servizio offerto ai cittadini e, allo stesso tempo,
adeguati profitti per le aziende.
Su quest’ultimo aspetto è utile anticipare un primo confronto tra il sistema
del TPL italiano e quello di altri paesi europei. In particolare dalla figura che
segue, anche se estratta da uno studio ormai datato realizzato dalla società
Earchimede34 (Earchimede Strategy Consultants, 2005) le cui conclusioni
tuttavia sono ancora molto attuali, è facile intuire che nei mercati dominati da
grandi operatori, in Francia le prime quattro aziende offrono il 65% dei servi-
zi, si osservano margini operativi più elevati rispetto ai mercati contraddistin-
si dal nanismo delle imprese (Italia ma anche Germania).
Fig. 1 – Matrice grado di concentrazione/Ebitda margin***

Fonte: EARCHIMEDE STRATEGY CONSULTANTS, La resa dei conti, Rapporto sul trasporto
pubblico locale: situazione attuale e prospettive evolutive, 2005.

34
Earchimede Strategy Consultants, La resa dei conti, Rapporto sul trasporto pubblico
locale: situazione attuale e prospettive evolutive, 2005.

115
Occorre avviare percorsi di recupero di efficienza affrontando anche il tema
dell’aggregazione. Le possibili iniziative sono varie, alcune già preposte dallo
studio prima citato (ad es. maggiori contributi per gli investimenti, aumento dei
limiti di subappalto dei servizi e così via), alcune fatte proprie dal legislatore
(temporanea chiusura dei mercati dove operano le aziende che si fondono35), in
buona parte tuttavia mai realmente attivate e perseguite36 (Baraggioli, 2011: 68
ss.), tant’è che i numeri precedentemente esposti disegnano bene un settore che
nella sua struttura è rimasto negli anni sostanzialmente fermo.
Numeri che diventano ancora più preoccupanti se affiancati a quelli di al-
cuni big player internazionali, così come fatto nel grafico che segue. Società
come First Group e Transdev presentano dimensioni oggi solo lontanamente
pensabili per le aziende italiane, operano non solo sul mercato domestico ma
in più continenti, occupano decine di migliaia di addetti ed offrono servizi
integrati (gomma, ferro, urbano, extraurbano, corto/medio/lungo ecc.).

Graf. 5 – Valore della produzione di alcune aziende europee (miliardi di euro)

First Group (GB) 8,2

Transdev (F) 7,9

RAPT (F) 5,0

Keolis (F) 4,9

Arriva (GB) 3,9


0,9 0,3 ATAC ATM
"Italia" 2,9 GTT COTRAL
1,0 0,5 0,2 ATC

National Express (GB) 2,2

Valori relativi al 2012 per First Group, Transdev, Keolis e National Express, al 2011 per RAPT e le aziende
italiane, al 2009 per Arriva.

Fonte: ns. elaborazioni su fonti varie

35
La legge n. 266/2005 (Finanziaria 2006) offriva la possibilità di prorogare di due anni
il periodo transitorio entro cui è possibile mantenere gli affidamenti diretti nei casi in cui: a)
sono ceduti mediante gara a privati almeno il 20% del capitale sociale delle aziende parteci-
pate da Regioni o enti locali, ovvero almeno il 20% dei servizi; b) nasce un nuovo soggetto
societario mediante fusione di almeno due società che offrono servizi in bacini caratterizzati
da contiguità territoriale.
36
Esemplificativo è il caso della mancata fusione tra ATM (Milano) e GTT (Torino),
che avrebbe portato alla nascita di una società con un valore della produzione superiore a 1,3
miliardi di euro e quasi 15.000 addetti, dovuta essenzialmente alle resistenze (di natura poli-
tica) delle due Amministrazioni comunali, proprietarie delle aziende. Per maggiori appro-
fondimenti si veda: Baraggioli S. (2011), Dinamiche di trasformazione delle public Utilies a
Torino, Ledizioni, Milano, p. 68 e segg.

116
Uno dei pochi aspetti che negli ultimi anni hanno consentito alle nostre
aziende di avviare un timido tentativo di recupero di efficienza è rappresenta-
to dalla riorganizzazione della forza lavoro verso livelli di produttività più in
linea agli “standard europei”. Ciò ha determinato una progressiva diminuzio-
ne del numero degli addetti, sia in termini assoluti che rapportati alla popola-
zione residente, nonché una crescita delle vetture-km garantite da ciascun di-
pendente: da circa 18.900 vett-km del 1995 ad oltre 21.200 del 2011.
A crescere negli anni è stata anche l’offerta, se misurata in numero di
autobus e vetture-km, mentre se osservata attraverso i posti-km si nota una
diminuzione che verosimilmente proseguirà nei prossimi anni per effetto
dei recenti tagli al settore già più volte commentati.

Tav. 4 – Gli addetti e gli autobus utilizzati delle aziende di TPL (settore autolinee)

ADDETTI

Anno 1995 2000 2005 2011*


Totale 94.196 89.139 87.514 86.305
Ogni 1.000 abitanti 1,64 1,55 1,50 1,42
AUTOBUS

Anno 1995 2000 2005 2011*


Totale 41.309 43.865 45.691 45.974
Ogni 10.000 abitanti 7,21 7,60 7,82 7,58
*
Dati non definitivi

Fonte: MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, Conto…, cit.

Tav. 5 – Principali dati di traffico delle aziende di TPL (settore autolinee)

AUTOBUS-KM

Anno 1995 2000 2005 2011*


Totale (milioni) 1.780,29 1.767,95 1.831,81 1.838,05
Per addetto 18.905 19.834 20.932 21.297
POSTI-KM OFFERTI (MILIONI)

1995 2000 2005 2011 *

134.366,64 136.038,68 142.018,83 13766746


*
Dati non definitivi

Fonte: ns. elaborazioni su MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, Conto…, cit.

117
Considerando, infine e per completezza, alcuni indicatori di domanda di
TPL occorre rilevare l’incremento dei passeggeri trasporti, così come dei
passeggeri-km, crescita che è divenuta importante negli ultimi anni per ef-
fetto dell’aumento dei prezzi del carburante e, più in generale, della crisi
finanziaria ed economica iniziata nel 2008, che ha spinto un numero sem-
pre maggiore di persone verso sistemi di mobilità meno costosi.
Ciò nonostante non si può parlare di vero e proprio consolidamento del-
la domanda di trasporto pubblico, di effettivo e strutturale cambio delle abi-
tudini degli italiani, le incognite sono ancora molte, dai pesanti tagli ai fi-
nanziamenti operati dal Governo per nuovi investimenti (rinnovo dei mate-
riali rotabili, nuove infrastrutture ecc.), ad una qualità complessiva del ser-
vizio che necessita di importati miglioramenti (impossibili se si continuano
a diminuire le risorse), al perdurare della crisi. Cosa succederà nel momen-
to in cui si uscirà da questa lunga e profonda crisi economica? Si registrerà
un ritorno al modello di mobilità interamente “auto-centrato”? È probabile
se il trasporto pubblico perde la scommessa della “qualità”, che significa un
servizio non solo più confortevole nel viaggio, ma soprattutto più aderente
ai bisogni della domanda e quindi capillare, accessibile, rapido, certo nei
tempi di percorrenza37 (Asstra, Hermes e Isfort, 2012: 24 ss.).
Tav. 6 – La domanda di TPL (settore autolinee)
PASSEGGERI (MILIONI)

1995 2000 2005 2011* 2012*


3.508,9 3.719,3 3.837,2 3.826,6 3.921,0
PASSEGGERI-KM (MILIARDI)

1995 2000 2005 2011* 2012*


27,179 28,271 29,489 28,923 29,257
*
Dati non definitivi
Fonte: MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, Conto…, cit.

3.4.2. Le performance di alcune grandi aziende italiane


Nel paragrafo precedente sono stati anticipati alcuni dati economici del-
le più grandi aziende italiane del trasporto pubblico allo scopo di fare
emergere le distanze oggi esistenti tra i nostri campioni nazionali e alcuni
operatori esteri, in questo paragrafo invece si vuole realizzare un “sempli-

37
Per ulteriori approfondimenti si veda ASSTRA, HERMES E ISFORT, All’ombra…, cit., p.
24 ss.

118
ce” benchmark per meglio rappresentare la realtà italiana, anche nelle sue
articolazioni territoriali.
I dati sono estratti dai bilanci aziendali riferiti all’anno 2011 e riguarda-
no nove tra le più grandi aziende del paese38; buona parte di queste offrono
servizi prevalentemente urbani (l’ATC di Bologna, l’ATM di Milano,
l’ATAC di Roma ecc.), altre servizi extraurbani (COTRAL e ARST).
Punto di partenza dell’analisi sono i dati produttivi delle aziende presen-
tati nella tabella che segue e che testimoniano le dimensioni delle nostre
aziende, la più grande, ovvero l’ATAC di Roma, produce circa 170 milioni
di km all’anno, utilizzando quasi 3.500 mezzi, impiegando poco più di
12.200 addetti e trasporta oltre 1,5 miliardi di passeggeri ogni anno.
L’azienda che opera prevalentemente a Milano, l’ATM, di passeggeri ne
trasporta molti di meno (poco più di 680 milioni) pur disponendo di quasi
3.000 mezzi, di oltre 9.300 addetti e producendo circa 144 milioni di
km/anno. Considerando l’extraurbano, la principale azienda italiana su
gomma, ovvero la COTRAL, possiede dimensioni non certo eccezionali:
1.642 mezzi, 3.565 dipendenti, 80,2 milioni di km erogati e 104 milioni di
passeggeri trasportati.
Tab. 5 – Dati produttivi di alcune grandi aziende italiane del TPL urbano ed extraur-
bano (anno 2011)
Mezzi Addetti Km percorsi (mln) Passeggeri (mln)
ATC – Bologna 1.251 2.159 37,2 108,4
AMT – Genova 748 2.447 29,6 154,6
ATM – Milano 2.995 9.379 144,7 682,0
ANM – Napoli 873 2.490 23,4 116,0
AMAT – Palermo 522 1.816 17,6 74,0
ATAC – Roma 3.481 12.212 171,7 1.515,0
GTT – Torino 1.548 5.338 80,3 211,2
ARST – Cagliari 1.075 2.122 38,4 21,5
COTRAL – Roma 1.642 3.565 80,2 104,0
Fonte: ns. elaborazioni su bilanci aziendali

38
Tra i maggiori operatori in Italia occorre considerare anche Arriva Holding Italy, con-
trollata dal gruppo Deutsche Bahn, e che a sua volta controlla: S.A.B. Autoservizi (Bergamo);
SIA (Brescia); SAIA Trasporti (Brescia); SAL Servizi Automobilistici Lecchesi (Lecco); Au-
toservizi F.V.G. SAF (Udine); RTL (Imperia); SADEM (Torino); SAPAV (Pinerolo). Inoltre
detiene quote di minoranza in KM (Cremona), Trieste Trasporti (Trieste) e ASF (Como). Le
aziende nel loro complesso operano con 2.417 mezzi e 3.490 addetti, producono oltre 106 mi-
lioni di km/anno e un fatturato di circa 304 milioni di euro (dati al 31 dicembre 2008).

119
Il rapporto tra i km percorsi e gli addetti fornisce un primo indicatore di
produttività, che se confrontato tra le varie aziende restituisce alcune inte-
ressanti informazioni: escludendo le aziende che gestiscono linee extraur-
bane, si nota che l’azienda con il miglior indice è l’ATC di Bologna (oltre
17.000 km per addetto all’anno), seguita dall’ATM di Milano e dalla GTT
di Torino, in fondo alla “classifica” le due aziende del Meridione, l’ANM
di Napoli e l’AMAT di Palermo, entrambe con un indicatore che si attesta
abbondantemente sotto i 10.000 km annui.
Se si osservano poi il costo operativo per chilometro (4,6 euro per
l’ATC e 7,2 euro per l’ANM), così come i costi ed i ricavi per addetto, è
facile intuire che in una situazione, quale è quella italiana, di profonda crisi,
bassa produttività e competitività, alcune “aree” del Paese sono ormai
sull’orlo del fallimento39 (Santarpia, 2012; Spirito, 2012) e che non è più
possibile rimandare serie politiche di ristrutturazione del settore.

Tab. 6 – Indicatori di produttività ed efficienza economica di alcune grandi aziende


italiane del TPL urbano ed extraurbano (anno 2011)

Km percorsi per Costi operativi per Costi operativi per ad- Ricavi da traffico per
addetto km (€) detto (€) addetto (€)
ATC – Bologna 17.239 4,6 78.482 26.681
AMT – Genova 12.105 5,9 71.595 24.973
ATM – Milano 15.423 5,0 77.181 35.082
ANM – Napoli 9.398 7,2 67.535 12.770
AMAT –
Palermo 9.697 5,8 56.295 6.772
ATAC – Roma 14.063 5,6 78.883 20.921
GTT – Torino 15.043 5,5 82.429 18.895
ARST –
Cagliari 18.082 3,7 66.081 9.873
COTRAL –
Roma 22.482 4,1 91.500 14.247

Fonte: ns. elaborazioni su bilanci aziendali

39
Non a caso in Campania sono già fallite l’ACMS di Caserta e la Eavbus, società che
offriva servizi di trasporto extraurbano su gomma, mentre è in fase di liquidazione la CSTP,
l’azienda della mobilità di Salerno e provincia. Sull’argomento, tra gli altri, si vedano: SAN-
TARPIA V., Conti in rosso, tagli e fallimenti : il dissesto del trasporto locale, in Corriere del-
la Sera, 29 luglio 2013; SPIRITO P., Il trasporto locale tra fallimento e privatizzazione: le
storie di EavBus e GTT, in L’Huffington Post, 2012.

120
Graf. 6 – Costi totali e costi operativi di alcune grandi aziende italiane del TPL urbano
ed extraurbano (milioni di euro, anno 2011)

Costi totali Costi operativi 1.173,9

963,3
910,2
723,9

468,0
440,0
343,5
326,2
187,6 189,5 176,9
169,4 175,2 168,2 142,3
108,7 102,2 140,2

ATC AMT ATM ANM AMAT ATAC GTT ARST COTRAL

Fonte: ns. elaborazioni su bilanci aziendali

I corrispettivi per obblighi di servizio sono la voce principale di ricavi


per tutte le aziende del TPL, non solo per quelle qui considerate. Il loro pe-
so tuttavia varia notevolmente, se nel caso dell’ATM rappresenta il 40,6%
del totale, per l’ANM raggiunge il 74,9%, il 76,1% con riferimento a CO-
TRAL e il 78,2% considerando l’AMAT.
I ricavi da traffico, al contrario, solo in pochi casi superano la soglia del
30%, mentre gli “altri ricavi” si diversificano, essenzialmente, in conside-
razione dei servizi “accessori” che gli Enti pubblici affidano alle aziende
(gestione della sosta tariffata, dei parcheggi di interscambio, car sharing,
ecc.), nonché delle attività di vendita pubblicitaria, servizi per il turismo,
eventi e così via.
Appare evidente, quindi, l’elevato grado di dipendenza di molte aziende
verso le risorse pubbliche che, tra l’altro, ha permesso alle stesse aziende di
rimandare nel tempo seri interventi di riorganizzazione e ristrutturazione
industriale, ma che oggi, per effetto delle politiche di risanamento della fi-
nanza pubblica nazionale e i conseguenti tagli al TPL, non può che rappre-
sentare un ulteriore aggravante della crisi del settore, con il rischio di avvia-
re un circolo vizioso di razionalizzazioni dei servizi senza ristrutturazioni
delle aziende.

121
Graf. 7 – Ricavi da traffico, compensazioni pubbliche e altri ricavi di alcune grandi
aziende italiane del TPL urbano ed extraurbano (milioni di euro, anno 2011)

Compensazioni pubbliche Ricavi da traffico Altri ricavi 629,3

371,3
329,0
255,5 267,6
213,7 232,7

113,3 116,9 139,2 101,3 99,5


93,0
80,8 12,3 100,9
57,6 61,1 21,0 50,8
31,8
34,5 18,4 7,3 10,3 18,6 22,4

ATC AMT ATM ANM AMAT ATAC GTT ARST COTRAL

Fonte: ns. elaborazioni su bilanci aziendali

Infine l’indicatore di efficienza gestionale più volte richiamato, vale a


dire il rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi.
Tra le nove aziende considerate solo l’ATM40 supera la soglia del 35%,
poco sotto si attestano l’AMT e l’ATC, mentre negli altri casi l’indicatore
disegna realtà particolarmente critiche, con valori spesso inferiori al 20%,
in particolare facendo riferimento alle aziende che gestiscono il TPL urba-
no nelle due città del sud Italia (Napoli e Palermo) e a quelle che offrono
servizi di natura prevalentemente extraurbani.

Graf. 8 – Quota dei ricavi da traffico sul totale dei costi e sui costi operativi di alcune
grandi aziende italiane del TPL urbano ed extraurbano (anno 2011)

45,5 % ricavi da traffico su costi totali % ricavi da traffico su costi operativi

34,9 36,1
34,0 32,2
30,7
26,5
21,8 21,622,9
18,018,9
14,714,9 14,815,6
11,312,0

ATC AMT ATM ANM AMAT ATAC GTT ARST COTRAL

Fonte: ns. elaborazioni su bilanci aziendali

40
L’ATM è tra le poche aziende italiane ad aver varcato i confini del mercato domesti-
co: attualmente gestisce le metropolitane di Copenaghen e Riyadh.

122
3.4.3. Il sistema del TPL italiano nel confronto internazionale
La Commissione europea nel decidere di affrontare il tema del trasporto
pubblico locale41 ha considerato una realtà in profondo cambiamento, pren-
dendo atto che nel corso degli anni nei vari Stati membri il mercato del
TPL era notevolmente cresciuto e che diversi operatori erano ormai presen-
ti su più mercati in vari Stati42.
All’interno di questo contesto il sistema del TPL italiano, come già più
volte affermato, appare in ritardo, non a caso i dati esposti nei grafici che
seguono43 testimoniano una organizzazione del mercato ancora essenzial-
mente protetta e frammentata, nonché indicatori di produttività ed efficien-
za economica lontani da quelli degli altri Paesi europei.
Partendo dall’offerta, in Italia le prime 5 aziende possiedono una quota
di mercato che si attesta sul 30%, meglio dei primi 5 operatori spagnoli
(21%), ma molto meno di quanto si registra nel mercato francese (65%
considerando solo le prime 4 aziende), in quello tedesco (55%) e, in gene-
rale, nella media esclusa l’Italia (49%). Un’offerta, quella italiana, che pre-
senta squilibri anche in termini di quantità di servizi offerti e domandati.
Infatti, se in Italia per ogni abitante si contano 2,8 posti-km e una domanda
pari a 0,6 passeggeri-km (con un coefficiente di riempimento dei mezzi del
22%), in Francia, ad esempio, questi stessi indicatori si posizionano su 1,9
posti-km/abitanti e 0,8 pass.-km/abitanti (42% di load factor).
Graf. 9 – Grado di frammentazione e assetto competitivo nel TPL nei principali paesi
europei (quota % di mercato dei primi 5 operatori nazionali)
Posti-km/abitanti (000) Pass.-km/abitanti (000)
2,8 2,7
2,3
1,9 1,8

1,2
0,8
0,6 0,6
0,4

Italia Spagna UK Francia Germania

(1) (2) (3)


ATAC, ATM, Arriva Italia, GTT, COTRAL. TMB, Alsa, EMT, Avanza, Vectalia. First Group, Stagecoach, Arriva,
Go-Ahead, National Express. (4) RAPT, Veolia Transdev, Keolis, Vectalia. (5) DB Urban, BVG, MVV, HVV, KBB.
Fonte: BAIN & COMPANY, Il trasporto pubblico locale in Italia ed in Europa, 2012

41
Dalla prima proposta di regolamento del 2000 (COM (2000) 7 definitivo) al Regola-
mento europeo 1370/07.
42
All’inizio del 2000 erano almeno 9 le società di trasporti, tra pubbliche e private, che
operavano nel settore del trasporto pubblico in più di uno Stato membro.
43
I dati sono tratti da: BAIN & COMPANY, Il trasporto pubblico locale in Italia e in Eu-
ropa, 2012

123
Graf. 10 – Offerta e domanda di trasporto pubblico nei principali paesi europei
45
42

29
22
20

Italia Spagna UK Francia Germania

Fonte: BAIN & COMPANY, Il trasporto…, cit.

Graf. 11 – Coefficiente di riempimento del trasporto pubblico nei principali Paesi


europei (percentuali)

65
54 55
49

30
21

Italia(1) Spagna(2) UK(3) Francia(4) Germania(5) Media (senza Italia)

Fonte: BAIN & COMPANY, Il trasporto…, cit.

Sul versante dell’efficienza economica il confronto con gli altri sistemi


europei non consente di certo di raggiungere risultati più incoraggianti: i
costi operativi per chilometro sono tra i più alti (3,3 euro contro, ad esem-
pio, i 2,8 euro registrati in Germania), al contrario dei ricavi da traffico che
attestandosi su 1,4 euro per km rappresentano il valor più basso (ben 2,4
euro in Germania), ad ulteriore testimonianza di un modello di tariffazione,
quello italiano, particolarmente obsoleto.

124
Graf. 12 – Costi operativi e ricavi da traffico nel trasporto pubblico nei principali paesi
europei (euro)

Costi operativi/km Ricavi da traffico/km

3,3 3,2 3,3


2,8
2,4
2,2
1,8
1,5 1,6
1,4

Italia Spagna UK Francia Germania

Fonte: BAIN & COMPANY, Il trasporto…, cit.

Alti costi e bassi ricavi da mercato non possono che tradursi in elevata
dipendenza dalla contribuzione pubblica. I grafici che seguono disegnano
in modo piuttosto chiaro la distanza che ci separa dai principali Paesi euro-
pei, infatti se in Italia in media il 38% dei costi operativi è coperto dalle en-
trate tariffarie (si è già visto, tuttavia, che in questo valore si nascondono
realtà profondamente diverse e spesso caratterizzate da un indicatore lar-
gamente inferiore al 20%), in Spagna si raggiunge il 58%, il 64% nel Re-
gno Unito e ben l’83% in Germania.

Graf. 13 Grado di copertura dei costi operativi con i ricavi da traffico nel trasporto
locale nei principali paesi europei (percentuali)

83

64
58

46
38

Italia Spagna UK Francia Germania

Fonte: BAIN & COMPANY, Il trasporto…, cit.

125
Graf. 14 – Contributi pubblici in conto esercizio/km per il trasporto locale nei princi-
pali paesi europei (euro)

2,4
2,2

1,7

0,9
0,8

Italia Spagna UK Francia Germania

Fonte: BAIN & COMPANY, Il trasporto…, cit.

3.5. Considerazioni conclusive

Nelle pagine precedenti si è potuto osservare un sistema, quello del Tra-


sporto Pubblico Locale italiano, che da ormai 30 anni «staziona sulla soglia
delle riforme senza mai entrarvi pienamente». Un concetto forse già più volte
ripetuto ma che ben sintetizza l’analisi realizzata, e che consente di intuire il
perché le distanze con il resto dell’Europa in termini di efficienza e produtti-
vità sono via via cresciute.
Un concetto che se esploso permette anche di individuare le principali
cause che hanno prodotto un’organizzazione industriale inefficiente e, allo
stesso tempo, le azioni da intraprendere per permettere al TPL italiano un si-
gnificativo recupero di capacità competitiva. In primo luogo emerge la ne-
cessità di riportare il TPL all’interno di una disciplina normativa organica e
certa nei tempi, nonché allargare l’attenzione dalle modalità di affidamento
dei servizi a diversi altri ambiti, quali:
• la delimitazione dei ruoli e delle competenze tra Stato e Regioni (pro-
mozione della concorrenza, definizione dei punti qualificanti dei bandi
di gara con particolare attenzione ai meccanismi di incentivazione
all’efficienza produttiva ecc.);
• l’organizzazione e la programmazione del settore (meccanismi di defi-
nizione dei bacini ottimali di traffico, e così via);
• l’adozione di strumenti di pianificazione da parte delle Regioni (Piano
Regionale dei Trasporti ecc.) e delle Amministrazioni locali (Piani Ur-
bani della Mobilità ecc.);

126
• la definizione di un meccanismo stabile per quantificare le risorse
(contributi pubblici e tariffe) utili non solo a garantire la gestione ordi-
naria dei servizi ma anche per affrontare investimenti in infrastrutture
e parco rotabile.
A tutto ciò si deve affiancare, tuttavia, un radicale cambiamento delle
strategie aziendali con l’abbandono delle posizioni assistenziali e protezioni-
stiche, e l’avvio di un processo di recupero di produttività, in particolare in
termini di razionalizzazione dei costi, ottimizzazione dei fattori della produ-
zione (del personale in primo luogo), riequilibrio tra domanda e offerta di
servizi, maggiore attenzione ai ricavi da traffico e minore frammentazione
del mercato con la nascita di alcuni grandi operatori internazionali.

Bibliografia

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trasporto pubblico locale e del servizio idrico, p. 9

128
4. PROFILI EVOLUTIVI
DELL’IMPRENDITORIALITÀ
E DELLA MANAGERIALITÀ
NELLE AZIENDE DI TPL

di Oddo Bucci e Massimo Benedetti

4.1. Premessa

Preso nelle spire di una crisi dai tempi lunghi con le caratteristiche,
dunque, di un fenomeno strutturale, per il trasporto pubblico locale la sfida
della sopravvivenza ad un buon livello di qualità rischia di risultare partico-
larmente difficile. È un vero paradosso: da un lato un settore che viene col-
pito da manovre che ne riducono risorse e dimensione operativa e dall’altro
la consapevolezza della sua indispensabilità per ragioni sociali, ambientali,
di contenimento del traffico e della incidentalità. Ora non si intravvede chi
– la politica, le istituzioni – possa porvi rimedio; la regressione
dell’economia e la conseguente contrazione delle risorse sembrano aver ri-
dotto all’impotenza l’insieme dei poteri decisori. Tutte le volte in cui, re-
centemente, il legislatore ha preso in esame la condizione del trasporto
pubblico locale, nell’ambito dei servizi pubblici, ha prodotto interventi tan-
to numerosi da determinare “uno stallo applicativo per il difficile quadro di
riferimento”, come si esprime FederMobilità il 2 luglio 2013 di fronte alla
IX Commissione della Camera dei deputati.
E così, in assenza di provvedimenti in positivo, di caduta delle certezze,
si è venuto creando uno stato di fibrillazione e di tensioni tale da far regi-
strare, nei primi sei mesi di quest’anno, 155 scioperi e 19 astensioni “sel-
vagge” motivate da inadempimenti, da parte delle aziende, dell’obbligo re-
tributivo, dal mancato rinnovo del contratto di lavoro, dalle riduzioni occu-
pazionali o a causa delle ristrutturazioni aziendali o a causa della riduzione
dei servizi (cfr. Relazione per l’anno 2012 del Presidente della Commissio-
ne di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici
essenziali).

129
Anche la progettualità messa in campo nella forma di norme legislative
intesa a sollevare e a dare soluzione al problema delle “società municipaliz-
zate” con il fine di una effettiva separazione tra il ruolo di ente concedente
e impresa affidataria, è rimasta senza risonanza pratica. Gli enti locali, in-
fatti, hanno scarsamente reagito alle disposizioni riguardanti cessioni di
partecipazione, liquidazioni e cessazioni societarie malgrado il legislatore,
dilazionando le scadenze, abbia concesso tempo alla loro operatività. Con-
siderando insieme i trasporti, le costruzioni, le attività professionali e quelle
artistico-sportive, la percentuale delle dismissioni e cessioni societarie rag-
giunge appena il 7% (cfr. Rapporto 2013 della Corte dei Conti sul coordi-
namento della finanza pubblica).
C’è poi tra le scelte di questo nostro tempo, da cui si immagina di rica-
vare il risanamento, l’innovazione, la rinascita del settore, la gara, la com-
petizione ad evidenza pubblica per l’affidamento dei servizi. Ora, di fronte
alle attuali ristrettezze, pensare che le aziende siano in grado di formulare il
pacchetto di partecipazione contenente il ribasso sulla cifra di gara, un in-
cremento dei servizi non coperti da corrispettivo per la parte economica e
per la parte tecnica il rinnovo del materiale rotabile e l’accrescimento della
strumentazione tecnologica, appare una ipotesi forzata più che il frutto di
una attenta analisi economico-finanziaria. Il regolamento europeo n.
1370/2007 dispone che le compensazioni siano calcolate nella misura tale
da coprire i costi netti originati dall’assolvimento degli obblighi di servizio
pubblico tenendo conto dei ricavi generati da questi obblighi e di un con-
gruo utile per l’azienda. In sostanza il regolamento prescrive che ci si di-
sponga ad un calcolo effettivo, fatto di numeri verificabili in modo tale che
sia oggettiva la misura del corrispettivo. Con ciò il regolamento europeo
vuole tenere l’ente concedente immune di fronte ad un evento di dissesto
aziendale che deve restare nell’ambito di imputabilità della conduzione
aziendale, lasciando indenne l’ente che ha ben calcolato l’entità del corri-
spettivo a compenso degli obblighi di servizio pubblico. Ma l’affacciarsi di
questa volontà di vero mutamento da parte delle Regioni che genererebbe,
tra l’altro, un’abitudine alla trasparenza ed alla correttezza, proseguirà ad
urtare nella continuità burocratica che è ancora ben lontana dall’estinguersi.
Ma se il tema è quello dell’incertezza sul destino industriale delle azien-
de del trasporto pubblico locale, si accentua l’esigenza di toccare un territo-
rio poco praticato e oggi in qualche modo contaminato e impoverito dalla
crisi anche se sopravvive, sicuramente, una fedeltà al proprio ruolo sentito
come base della propria identità. Si tratta dell’imprenditore e del manager
operanti nel trasporto pubblico locale, figure che hanno poteri di intervento
diretto all’interno delle aziende e possibilità interlocutorie con le istituzioni

130
di riferimento e che si trovano a registrare giorno per giorno le storture e le
carenze che la crisi porta con sé. Sono soggetti capaci di assumere decisioni
in nome dell’azienda e di farlo in armonia con le istanze degli enti conce-
denti e gli orientamenti che si profilano nel mondo degli utenti. C’è in loro
come un’abitudine alla innovazione, ad immaginare, ipotizzare nuovi modi
che riconfigurino l’azienda per adattarla a condizioni che mutano, si evol-
vono, portano ad evidenza inedite vie di sviluppo. Ora come primo passo,
nell’intento di approfondire il tema, può essere utile un breve ritorno a ri-
considerare il passato che ha introdotto e plasmato queste soggettività e che
risulta evocativo di una esigenza mai sopita di conquistare ulteriori posi-
zioni e di cimentarsi in nuovi esperimenti.

4.2. L’imprenditore privato e il manager pubblico: i caratteri


originari

Occorre risalire all’Ottocento per incontrare, nella sua fase pionieristica,


l’imprenditore del trasporto pubblico a trazione animale. È proprio nel XIX
sec. che ha inizio la progressiva acquisizione di una coscienza di sé da parte
di questo soggetto sulla base di un compito, che rispetto alle esperienze
precedenti si presentava con una trama decisamente più complessa. Se pro-
viamo a rileggere i primi avvenimenti di questa storia come simbolo dello
stretto legame che si viene costruendo tra un gestore di carrozze e cavalli ed
una dimensione imprenditoriale nel senso della capacità di far nascere e or-
ganizzare un’impresa con tutte le sue implicazioni, incontriamo subito il
quadro delle regole dettate dall’autorità pubblica. È dunque questo un pri-
mo dato originario: il momento nativo di questa tipologia d’impresa si situa
nel contesto di una disciplina pubblica. Molte sono le ragioni che sovrin-
tendono a questa scelta. Bisogna intanto distinguere tra la mobilità come
una priorità del potere politico che pensa ai suoi bisogni di relazione e di
scambio che veniva da lungo tempo esercitata dal corriere a cavallo e la
mobilità dei primi piccoli gruppi che, mossi dall’interesse privato, necessi-
tano di un trasporto pubblico rispettoso dei criteri di scelta collettiva. Di qui
la indispensabilità di un processo decisionale di natura pubblica che ha an-
che una motivazione d’ordine in quanto tende a ridurre e contenere i rischi
e l’incertezza del viaggio sia per la difficile transitabilità delle strade sia per
i possibili assalti da parte di malavitosi.
Ci fermiamo ora a due esempi tratti da normative ottocentesche emanate
da due Stati preunitari. Nel Regno sabaudo, il Regio Editto n. 810 dell’agosto
del 1818 riorganizza l’Amministrazione delle Poste e ne approva il regola-

131
mento. È evidente un esercizio di razionalizzazione quando, come si dispone,
si misura il numero dei cavalli da attaccare ai “legni” sulla base delle merci e
dei passeggeri da trasportare tenendo anche conto della qualità del territorio
da attraversare, se in pianura o in montagna. Vengono poi stabilite le formali-
tà per la scelta dei cavalli, vengono fissati i prezzi delle corse calcolati sul
numero dei cavalli impiegati e sul numero delle poste, vale a dire sul numero
delle stazioni attraversate (qui la posta è la distanza da stazione a stazione
calcolata in ottomila metri). Le figure di maggior peso coinvolte in questa at-
tività – i vetturali, i maestri di posta, i postiglioni – trovano nel regolamento,
ben individuati, diritti e doveri; altrettanto precisamente elencati sono i dove-
ri dei viaggiatori (cfr. Forzoni, Peyretti, 2011: 213-214). Tutto ciò equivale a
dire che le scelte qualificanti sono di natura pubblica, essendo in gioco re-
sponsabilità collettive; ne deriva che la sfera delle scelte gestionali risulta ab-
bastanza ristretta e per lo più rivolta all’esercizio di capacità soggettive o di
attitudini individuali legate all’esperienza.
I tempi cambiano e con loro si modificano anche le regole che il trasporto
pubblico per posta e persone si trova a dover rispettare. Il soggetto che prov-
vede alla disciplina è inserito al vertice del potere politico. Nello Stato Ponti-
ficio il servizio di posta e passeggeri è posto in capo al Cardinale camerlen-
go, i cui collaboratori predispongono un capitolato che consiste in un insieme
di regole che sovrintendono alla dinamica degli interessi in gioco. In partico-
lare il riferimento, ai fini di un utile confronto, è rivolto al capitolato per po-
ste-cavalli, approvato il 26 novembre 1844. La motivazione giustificativa di
una regolamentazione che si presenta particolarmente complessa (ben 55 ar-
ticoli) è quella di garantire il «vantaggio del servizio pubblico» che diventa il
valore dominante del sistema organizzativo che viene istituito. Il titolare della
produzione del servizio, scelto attraverso una procedura di appalto, è il Mae-
stro di Posta che nell’offerta indica la «corrisposta» che promette di pagare o
le «sovvenzioni» che pretende secondo i vari casi: dovrà rilasciare, infine, la
cauzione in contanti o in «consolidati» secondo l’importanza della «stazio-
ne». Avviene poi la stipula del contratto (con 18 anni di durata ma rescindibi-
le di triennio in triennio con preavviso di 3 mesi) in cui il Maestro di Posta
promette e si obbliga ad «osservare fedelmente ed esattamente tutte e singole
leggi, regolamenti, disposizioni, prescrizioni e discipline vigenti, comprese le
Tariffe dei cavalli con quelle variazioni che risultano dal presente capitola-
to». Il Maestro di Posta assume un profilo imprenditoriale chiamato a con-
frontarsi con l’organizzazione propria di un iniziale sistema di mercato. Egli
è il proprietario dei suoi strumenti di lavoro; di proprietà sono i «legni», i ca-
valli, gli attrezzi, biade e fieno; a proprie spese dovrà provvedere alla «casa
ad uso della posta» da scegliere in «sito comodo e centrale». Durante la vi-

132
genza del contratto dovrà mantenere il numero di cavalli e di legni previsti
per la stazione che ha in gestione, cui deve provvedere «direttamente e per-
sonalmente». Alle sue dipendenze dovrà lavorare un numero di «postiglioni»
corrispondente al numero delle «gubbie» (la gubbia equivale a tre cavalli at-
taccati ad un legno) assegnate alla stazione. Tra gli altri obblighi vi sono:
quello di non alterare il prezzo delle corse stabilito nella «tariffa», quello di
non danneggiare qualunque altro Maestro di Posta deviando il percorso del
servizio, quello di riservare due camere pulite e con buoni letti per il riposo
dei viaggiatori. Un compito importante, questa volta di natura burocratica, è
quello di fornire ogni legno del «foglio di cavalcata» dove, a cura del posti-
glione, riportare nome e cognome dei viaggiatori insieme alla indicazione del
luogo di salita e discesa da consegnare, nelle città principali, all’Officio della
Posta. Incluse in questo sistema di regole sono previste altre due fattispecie.
Il decesso del Maestro di Posta in corso di contratto è la prima fattispecie,
chiama in causa gli eredi dopo avviso al Soprintendente generale delle Poste;
questi, entro un mese, debbono presentare al Tesoriere generale il soggetto
ritenuto abile alla prosecuzione dell’attività; quest’ultimo approva la scelta e
richiede una fidejussione di cui stabilisce l’entità da aggiungere a quella pre-
sentata, a suo tempo, dal defunto. Invece il passaggio del servizio da un Mae-
stro di Posta all’altro è organizzato nella forma della compravendita ed è la
seconda fattispecie. Il subentrante dovrà acquistare dall’antecessore tutto
quanto serve al «bisogno della Posta» sulla base della stima di due periti, cia-
scuno per parte; in caso di disaccordo, il Consiglio postale designerà un terzo
perito il cui giudizio dovrà essere accettato dalle parti «rimosso ogni reclamo
e revisione».
Questa tipologia contrattuale – quasi il prototipo di un moderno contrat-
to di servizio – riflette una tappa di passaggio che evidenzia la prima fase
dell’imprenditoria privata impegnata nella gestione del trasporto pubblico.
Del resto il Maestro di Posta ha in proprietà la materia prima impiegata nel-
lo svolgimento di questo servizio, ha alle sue dipendenze un determinato
numero di lavoratori, è dunque nelle condizioni di ricercare, contando sul
suo talento organizzativo, un rendimento allo scopo di compensare
l’assunzione del rischio connesso al capitale investito. Sta cambiando velo-
cemente la società; la motivazione dell’iniziativa a fare impresa non è più
la sussistenza ma, appunto, il guadagno, come nel nostro caso.
Il sistema di trasporto viaggiatori con diligenza si viene dilatando;
l’apertura di nuove strade e il miglioramento di quelle esistenti permettono
un ampliamento e un’accelerazione dei viaggi. Si moltiplicano anche i tra-
sportatori-imprenditori che si trovano a gestire linee che uniscono tramite
coincidenze più Stati, garantendo soprattutto i collegamenti tra le capitali e i

133
centri più importanti, mentre continuano a mancare le connessioni tra le prin-
cipali città del paese e il loro territorio, una mancanza che nemmeno dopo
l’Unità si riuscirà rapidamente a superare. Qualche nome da segnalare:
l’impresa del barone Giuseppe Maria Franchetti con servizi in tutta Italia, la
ditta Luigi Orcesi che collegava «con le proprie carrozze Piacenza con Firen-
ze, Roma e Napoli» (cfr. Maggi, 2001: 79), l’«Intrapresa delle diligenze pon-
tificie» che gestiva la linea Roma-Ferrara in coincidenza con quelle del
Lombardo-Veneto, dell’Impero austriaco, del Ducato di Parma e Piacenza,
del Piemonte, dei Regni di Francia, d’Inghilterra e dei Paesi Bassi.
Dopo l’unificazione nazionale, il comparto del trasporto pubblico viag-
giatori, in ragione di uno sviluppo che continua e si incrementa, si viene
qualificando come un settore produttivo che coinvolge ampi segmenti del
lavoro: le fabbriche dei veicoli, il commercio dei pezzi di ricambio, le offi-
cine per le riparazioni, le attrezzature per la sosta. Così il trasporto pubblico
diventa un fattore importante nella sfera della vita industriale e commercia-
le. Con il passaggio poi dai veicoli a trazione animale alle macchine a va-
pore e, a fine secolo, ai mezzi con motori a combustione interna e quelli a
energia elettrica, i collegamenti vengono resi più rapidi mentre sale la do-
manda di mobilità. A Roma, ad esempio, il trasporto pubblico urbano de-
butta nel 1845 con una linea a trazione animale; per la messa in circolazio-
ne della prima motrice elettrica si dovrà attendere il luglio del 1890; a Tori-
no il servizio su binari con vetture a cavalli si inaugura nel 1872, mentre le
linee con mezzi elettrici iniziano nel febbraio del 1897; a Trieste la prima
tipologia di servizio risale al 1876 mentre il primo tram elettrico entra in
servizio nell’ottobre del 1900; a fine Ottocento sono numerose le città ita-
liane con tram elettrici per il trasporto pubblico urbano.
Si evidenzia così immediatamente che un altro elemento cui ricondurre
il divenire della società è l’urbanizzazione, cioè l’aumento della popolazio-
ne nelle grandi città che provoca fenomeni qualitativamente nuovi, in primo
luogo mette in risalto il problema dei servizi pubblici tra i quali, innanzitut-
to, i servizi di trasporto pubblico urbani ed extraurbani. Con il mutamento
dei mezzi di locomozione l’entità dei capitali da impiegare per lo svolgi-
mento di questi servizi è tale da allontanare l’imprenditore-Maestro di Po-
sta o l’imprenditore-vetturale con la diligenza a traino animale che appar-
tiene ormai a un mondo in via di superamento. E tuttavia l’apertura al capi-
tale privato in questo settore rimane. A Roma, dalla riunione di vari gestori
nasce nel marzo del 1880 la “Società Romana Omnibus” che diventerà nel
1885 la “Società Romana Tramways-Omnibus”, la quale dispiegherà una
intensa attività nei suoi 44 anni di presenza nel settore. Negli ultimi decenni
dell’Ottocento si intensifica l’espansione del trasporto pubblico viaggiatori;

134
si effettuano «importanti investimenti in trasporti sia urbani che extraurba-
ni» con il risultato che l’Italia possiede «la rete tramviaria più estesa
d’Europa» di cui una altissima percentuale viene controllata da imprese con
capitali esteri di provenienza per lo più belga (cfr. Scarpa, Bianchi, Borto-
lotti e Pellizzola, 2009: 14).
A fine secolo, in modo ancora più vivace e consistente, si impossessa del-
lo spirito pubblico sino a veri e propri fenomeni di mobilitazione sociale la
questione del miglioramento delle condizioni del lavoro e della dignità dei
lavoratori: le forze politiche interessate non si muovono solo sul piano della
tutela del mondo del lavoro per il superamento di forme di emarginazione,
per la difesa da vessazioni, per l’incremento dell’occupazione, in una parola
per un cambiamento in positivo della vita concreta di quel mondo ma insi-
stono, si prodigano perché si affermi nel concreto la gestione pubblica dei
servizi pubblici. La situazione della legislazione italiana in materia era per la
verità poco penetrata da istanze riformiste. Ai Comuni spettava la realizza-
zione e la manutenzione delle strade, la tutela dell’igiene e la difesa della sa-
lute pubblica, con riguardo ai trasporti funebri, ai macelli, ai mercati: «La ge-
stione diretta delle tramvie e delle ferrovie era addirittura vietata» (cfr. Scar-
pa, Bianchi, Bortolotti e Pellizzola, 2009: 17). Ma, appunto, si viene ormai
aprendo una nuova stagione di scelte. Al centro la legge Giolitti n. 103/1903
integrata dal regolamento n. 108/1904. Le motivazioni che la suggeriscono e
il commento che segue dopo la sua entrata in vigore sono utili per capire i ca-
ratteri originari che assume la nuova tipologia di impresa che si immette nel
settore del trasporto pubblico di persone. La relazione della Commissione
parlamentare che presenta il disegno di legge non è improntata a ragionevoli
previsioni, ma sottolinea l’adeguatezza dell’intervento indicando presunte
certezze quali prezzi più contenuti per i cittadini e nuove risorse per le casse
degli enti locali. Il dibattito parlamentare dalla parte dei contrari al disegno di
legge si concentra sull’accusa al Governo di «utilizzare la municipalizzazio-
ne e i proventi derivanti da questa per evitare di sanare la situazione delle fi-
nanze locali» (cfr. Scarpa, Bianchi, Bortolotti e Pellizzola, 2009: 25) mentre
si avanzano espressioni di diffidenza sulle capacità gestionali dei Comuni.
Infine la legge passa lasciando agli enti locali libertà di scelta tra gestione di-
retta e gestione in concessione a privati. Ma come si presenta il profilo orga-
nizzativo di questa impresa pubblica? Il Comune in caso di rinuncia alla ge-
stione in economia, deve costituire un’«azienda speciale» che non gode della
personalità giuridica; responsabili della conduzione aziendale sono il Diretto-
re e la Commissione amministrativa nominati dal Consiglio comunale al di
fuori dei suoi membri; i bilanci e le delibere debbono essere discusse ed ap-
provate dal Consiglio comunale; la cassa aziendale è gestita dal tesoriere co-

135
munale; le assunzioni e i licenziamenti debbono esser trasmessi ai sotto-
prefetti (cfr. Scarpa, Bianchi, Bortolotti e Pellizzola, 2009: 23). La procedura
istitutiva dell’azienda speciale si svolge così: delibera del Consiglio comuna-
le successivamente confermata dalla Giunta provinciale amministrativa che
giunge poi al Prefetto il quale la correda delle sue osservazioni e la trasmette
alla Commissione Reale che aveva in mano la decisione finale: approvazione
o richiesta di approfondimenti o apposizione del veto.
Ora ci poniamo il problema di vedere un po’ come questa impresa pub-
blica si colloca rispetto alle forme dell’economia. Qui i mezzi di produzio-
ne appartengono alle casse pubbliche mentre è il Consiglio comunale ad
esprimere tutti i giudizi di valore. Il tema dei costi non viene affrontato nel
senso di prevedere formalmente almeno la parità di valore tra ricavi della
produzione e costo dei mezzi di produzione. In breve non sembra che il ri-
sultato di bilancio venga assunto a coscienza della nascente impresa pub-
blica. Si può anche capire se si pensa che la nascita dell’impresa pubblica
risponde in modo esclusivo al bene pubblico, al bene comune, vuol rappre-
sentare un vantaggio a favore dell’intera comunità. Allora bisogna ricordare
quel che diceva un giurista inglese (cfr. Commons, 1981: 409) e cioè che il
bene comune è «un cavallo molto indocile» che si muove nel campo dei
sentimenti e disdegna quello della logica economica, corre nel mondo dei
valori ma è inadatto al calcolo.
Un altro aspetto innovativo è quello che introduce la figura del Direttore
che è chiamato alla responsabilità per l’organizzazione del servizio, per
l’impiego dei beni, per la gestione del personale; non sembra però che ab-
bia una influenza diretta sul risultato economico perché non appartiene
all’essenza del suo compito. Poiché anche nel settore del trasporto pubblico
locale c’è necessità di attività tecniche, si pone il problema di come inqua-
drare il personale addetto. Ricordiamo che a risolvere la questione del posto
da assegnare all’attività tecnica e all’attività amministrativa, individuando i
loro diversi valori e caratteri e infine decidendo sui loro rapporti, fu il prof.
Oreste Ranelletti in un suo lavoro del 1911. L’insigne giurista concluse che
quando l’attività tecnica è svolta da organi comunali, diventa, al pari
dell’attività amministrativa, attività propria dell’ente; i principi che reggono
l’una reggono anche l’altra senza che si introduca alcun elemento distinti-
vo. Tale impostazione diventa preminente e con una rilevanza di lunga du-
rata. Così con la figura del Direttore entra nel settore del trasporto pubblico
di persone il manager; egli ha questa origine sulla cui base si costruisce nel
tempo un orizzonte professionale con fatica, essendo connessa la sua attivi-
tà alla sfera del potere politico-istituzionale più attento al proprio bacino di
consenso che all’applicazione di criteri economici di gestione. Ma con lo

136
scorrere della storia la figura del manager solidifica la sua presenza gestio-
nale per la cura posta alle condizioni tecniche dell’impresa, al miglioramen-
to degli strumenti operativi, all’affinamento dell’organizzazione. Se queste
capacità fossero mancate, l’impresa pubblica avrebbe rapidamente imboc-
cato la via dell’estinzione.

4.3. L’evoluzione normativa: cambia la prospettiva dell’impren-


ditore e del manager

All’inizio del secolo, sotto l’impulso di molteplici forze si punta al con-


solidamento dell’economia secondo un disegno strategico che non esclude
– anzi per alcuni settori favorisce – la creazione e la messa in attività delle
imprese di Stato. In questo senso si è indirizzata, nel 1905, la regolazione
del nuovo regime ferroviario, preceduta come si è visto dalla nascita delle
imprese municipalizzate per il trasporto pubblico di persone con la legge
del 1903. Ma prima di procedere nella nostra analisi pare necessaria una
puntualizzazione di natura semantica, una volta che il paese viene aperto
all’attività oltre che dell’impresa privata anche dell’impresa pubblica. Oc-
corre cominciare dal significato di pubblico. Nel nostro settore la parola
pubblico, in primo luogo, fa riferimento agli utenti del servizio; qui pubbli-
co equivale a universale nel senso che tutte le persone, assolto l’obbligo
dell’acquisto del titolo di viaggio, hanno diritto ad usufruire del servizio.
Quando invece il termine pubblico è usato come aggettivo di impresa ne
indica la proprietà pubblica, chiama in causa l’ente o gli enti locali che ne
detengono la proprietà e in quanto tali hanno impegnata la loro responsabi-
lità nell’assicurare continuità alla operatività dell’impresa, assegnando le
opportune risorse, attendendo alla rispondenza del programma di esercizio,
intervenendo nella scelta dei quadri direttivi. Nell’impresa privata è
l’imprenditore il protagonista che impiega i propri capitali e la organizza in
vista dell’ottenimento della necessaria remunerazione e però, nel caso del
trasporto pubblico di persone, l’imprenditore si muove dentro un circuito
diretto con l’ente pubblico che, attraverso lo strumento della concessione,
lo abilita allo svolgimento del servizio. Tale strumento contiene le regole e
le condizioni di esercizio dell’attività trasportistica. Si ripropone così, in
tutti gli aspetti di condizionamento esterno, la stessa logica che presiede
all’agire concreto dell’impresa pubblica. L’interesse pubblico è dunque, per
le due tipologie di impresa, giuridicamente predeterminato. L’interesse pri-
vato dell’imprenditore è il risultato di una gestione che tende ad un costo
minore raggiungibile attraverso un numeroso insieme di interventi e di

137
condizioni, dalla razionalità organizzativa all’assoggettamento ad un severo
vaglio di ogni progetto di spesa, dalla correttezza e sobrietà amministrativa
alla pulizia e trasparenza in operazioni che coinvolgono il denaro pubblico.
Nell’impresa pubblica, invece, sin dall’inizio, forse anche a causa dello
stretto rapporto con le figure politiche preposte alle istituzioni proprietarie,
si è più portati verso una gestione prevalentemente sociale dei servizi resi
senza che venga assegnato il giusto peso al risultato economico. Questi, in
definitiva e in sintesi, in termini oggettivi, i caratteri originari dell’impresa
privata e dell’impresa pubblica.
Ma il tutto già all’epoca diventa oggetto di polemica politico-sindacale al-
lo scopo di acquisire consenso nel sostenere un modello contro l’altro dando
vita ad uno scontro di lunga durata. Nelle parole dei critici dell’impresa pri-
vata si interpreta la figura dell’imprenditore come totalmente estranea ad
ogni interesse sociale, chiusa nel suo egoismo e ispirata al criterio del massi-
mo profitto che provoca costi sociali più o meno rilevanti. La polemica con-
tro l’impresa pubblica ruota attorno all’accusa di disavanzo facile, di lassi-
smo gestionale, di eccesso di burocrazia. Insomma vengono enfatizzati e
idealizzati i tratti patologici dell’uno e dell’altro modello sino a innescare un
impeto polemico che in alcuni momenti è riuscito a mettere in difficoltà il
percorso di una politica legislativa pragmatica che, attenendosi ai dati
dell’esperienza e alla dimensione pratica dell’accrescimento e della diffusio-
ne dei servizi, ha creato l’ossatura bipolare della mobilità con mezzi pubblici.
Dunque quanto più crescono gli interventi legislativi in materia tanto più
il diritto alla mobilità acquista in solidità ed in sicurezza. È significativo, ad
esempio, l’art. 5 della legge n. 293/1904 dove si legge: «Per l’impianto e
l’esercizio di linee di automobili in servizio pubblico fra località non con-
giunte da ferrovie o da tramvie, lo Stato può accordare sussidi alle Provincie,
ai Comuni ed ai privati concessionari secondo norme da stabilirsi con specia-
le regolamento da approvare con decreto reale sentiti il Consiglio Superiore
dei Lavori Pubblici ed il Consiglio di Stato». Con leggi successive, queste
disposizioni sono estese ad altre forme di trazione meccanica, senza rotaie, su
strade ordinarie per servizio di viaggiatori e merci. Con il richiamo poi alla
legge n. 444/1908 in cui viene fissato in 600 lire annue a chilometro. il sussi-
dio dello Stato per i servizi pubblici di trasporto con automobili o con altri
mezzi di trazione meccanica per un termine non maggiore di nove anni ma
con possibilità di riconferma per un altro novennio nel caso le località servite
siano prive di ferrovie o tramvie, si dimostra come lo Stato risulti attento al
divenire rapido delle necessità socio-economiche con considerazione per il
diffondersi dell’esercizio del trasporto pubblico e della sua effettività. Si
espande su questi presupposti l’esperienza di una imprenditoria privata so-

138
prattutto a carattere famigliare, magari inizialmente legata all’esercizio di una
sola linea. È il momento eroico e creativo dell’imprenditore che stimola altri
Comuni non ancora collegati dal servizio pubblico con la stazione ferroviaria
più vicina ad attivarsi per essere alla pari con la variazione dei tempi nel se-
gno della modernità. Ma anche le imprese municipalizzate estendono l’area
della loro presenza con il piglio nuovo di chi sa di percorrere un itinerario di
sempre maggior definizione. La funzione manageriale continua ad essere
racchiusa dentro il cerchio delle forme organizzative e gestionali, comincian-
do a cogliere i primi risultati di un sapere sistematico pur restando nel cono
d’ombra dell’apparato politico-amministrativo dell’ente di appartenenza.
Già a partire dal primo governo fascista ci sono alcuni interventi da se-
gnalare: con una circolare del maggio del 1923, su sollecitazione del Ministe-
ro degli Interni i prefetti sono chiamati a vigilare sulla gestione delle aziende
municipalizzate e a valutare l’opportunità di favorire l’imprenditoria privata;
con il regio decreto n. 3047/1923 si semplifica la procedura della municipa-
lizzazione ed è riconosciuta agli organi di gestione una maggiore autonomia;
l’art. 4, in particolare, è dedicato al direttore dell’azienda che viene nominato
in seguito a pubblico concorso da una Commissione istituita dal Consiglio
comunale per tre anni e può essere confermato di triennio in triennio, non
può essere licenziato prima del termine previsto senza deliberazione motiva-
ta, rappresenta l’azienda di fronte ai terzi e può stare in giudizio quando si
tratta della riscossione dei crediti derivati dal normale esercizio dell’azienda,
per qualsiasi altra lite necessita di autorizzazione. Non si tratta di provvedi-
menti che promuovono nuove costruzioni ma sostanzialmente giungono a
conferma dell’impianto d’inizio secolo e ne mantengono il respiro culturale.
Con la crisi del 1929 l’intervento pubblico riprende vigore, si realizzano
nuove municipalizzazioni nei trasporti urbani ma anche le linee extraurbane
conoscono un notevole sviluppo in numero e in chilometri percorsi. È pro-
prio sulla base di questa intensa attività imprenditoriale nel campo del tra-
sporto pubblico di persone bisognosa di una regolamentazione a sé stante
che viene emanata la legge n. 1822/1939 contenente la disciplina degli au-
toservizi di linea per viaggiatori, bagagli e pacchi agricoli in regime di con-
cessione all’industria privata. Lo strumento giuridico è ancora la conces-
sione, il provvedimento amministrativo con cui la pubblica amministrazio-
ne attribuisce al destinatario, di comprovata idoneità morale, tecnica e fi-
nanziaria, il diritto all’esercizio del pubblico servizio non lesivo di quello di
altri operatori e dietro accettazione delle condizioni tecniche, amministrati-
ve, economiche e programmatiche e con pagamento di una cauzione a ga-
ranzia degli obblighi posti a suo carico. Lo Stato può concedere sussidi sia
per gli impianti sia per l’esercizio, esercita la vigilanza sui servizi stessi e

139
sull’assolvimento degli obblighi da parte del concessionario. Sul fronte
dell’imprenditoria privata è questa la legge che ha avuto ascolto con profit-
to anche a distanza di anni e dopo tante mutate vicende. Sarà necessario at-
tendere sino al 1997 per incontrare la legge n. 422/1997 portatrice di una
profonda riforma di natura giuridica che si proietta al di là della contingen-
za proponendosi come un duraturo edificio teorico-giuridico.
Accenniamo ora ad alcuni elementi che ci sembrano più rilevanti e che
segnano l’itinerario storico-giuridico delle aziende municipalizzate entro
cui si muovono i manager in un ambiente impegnativo e alle prese con un
lavoro che è da edificare su nuove basi ma che è in definitiva frenato, atte-
nuato, opacizzato in nome della fedeltà a consueti modelli di comportamen-
to gestionale.
Negli anni Cinquanta, il 90% dei servizi di trasporto urbano risultano mu-
nicipalizzati; nel 1955 con d.p.r. n. 771 ai Comuni viene restituita l’autorità
di istituire aziende municipalizzate per il servizio di trasporto urbano. Ma il
tema delle municipalizzate si vivacizza al punto da assumere l’aspetto di una
svolta nel momento in cui, proprio a causa degli insorgenti problemi di fi-
nanza pubblica locale, viene in luce il settore dei trasporti come quello “cro-
nicamente deficitario” (cfr. Scarpa, Bianchi, Bortolotti e Pellizzola, 2009:
42) da ripianare per legge dai Comuni e dalle Province: «Nel 1962, il deficit
delle municipalizzate costituisce l’8% del deficit dei Comuni non capoluogo
e sale al 34% nei grandi Comuni fino ad arrivare al 51% per Napoli e Ro-
ma». Va registrato un inevitabile incremento d’attenzione su questa questio-
ne. L’immagine dell’azienda municipalizzata si attenua, diventa fonte di
preoccupazione, sembra incapace di coniugare socialità ed economicità, sog-
getta al ruolo invadente dell’ente pubblico, è percepita sempre più distante,
obbiettivo di discussione e di analisi critica. Ma intanto il ritmo della storia si
fa sempre più intenso. Con la fine del comunismo sovietico, insieme alle
grandi sfide ideologiche, tutto un mondo finisce nel museo delle rovine la-
sciando campo aperto al capitalismo globale che si presenta come un nuovo
soggetto collettivo destinato a far evolvere velocemente le regole delle istitu-
zioni economiche e politiche. Anche in Italia si cominciano ad introiettare
temi e miti dell’area culturale che viene prendendo piede e che ruota attorno
ad un postulato centrale; si ritiene che sia il mercato concorrenziale a dover
essere il motore di una organizzazione economica in cui sia ridotto il peso e il
ruolo dello Stato. In particolare, nel campo del trasporto pubblico di persone,
oneroso per le istituzioni pubbliche sul piano dei corrispettivi, dei contributi
per investimento, si comincia a pensare a come alleggerire un tale carico. Si
parte dalle aziende pubbliche. Il primo intervento è quello riferibile alla legge
n. 142/1990 che introduce la possibilità della loro trasformazione in Società

140
per azioni a prevalente capitale pubblico locale, separando così la componen-
te politica da quella gestionale ed inoltre riconosce l’attribuzione della perso-
nalità giuridica all’Azienda speciale la quale, sulla base della propria auto-
nomia imprenditoriale, deve indirizzarsi a rispettare i criteri di efficienza, ef-
ficacia ed economicità. Siamo di fronte ad una sfida e insieme ad una esalta-
zione; impresa pubblica ed impresa privata diventano entrambe regolate dal
diritto privato, adottano lo stesso modello della società di capitali, sono den-
tro una realtà che non si esprime più a livelli diversi. Imprenditorialità e ma-
nagerialità sono chiamate a ricercare i perni su cui dovrà muoversi la dinami-
ca dei nuovi modelli gestionali. A completare il disegno riformatore, finaliz-
zato allo scopo di introdurre la concorrenza per il mercato, sopraggiunge il
d.lgs. n. 422/1997. Sono queste le più significative articolazioni interne: ven-
gono conferiti alle Regioni ed agli enti locali tutti i compiti e le funzioni rela-
tivi al servizio pubblico di trasporto di interesse regionale e locale; l’esercizio
dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale è regolato mediante con-
tratti di servizio che prevedono le corrispondenti compensazioni economiche;
l’esercizio deve rispondere a principi di economicità da conseguirsi anche
attraverso l’integrazione modale dei servizi pubblici di trasporto; allo scopo
di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole
di concorrenzialità, per l’affidamento dei servizi le Regioni e gli enti locali
garantiscono il ricorso alle procedure concorsuali. A trarre le somme di un
cambio così radicale, sembra proprio che la disciplina del trasporto pubblico
locale abbia assunto un significato di modernità, come emblema di un tempo
nuovo. La gara diventa la figurazione magica del risanamento del settore, di
una crescita organica a costi più bassi; l’idea scorre e si consolida anche se
presto si opacizza, resa meno brillante da risultati lacunosi e da una certa ri-
trosia nel porla in atto. E però bisogna riconoscere che la discontinuità tra il
regime concessorio e la recente disciplina ha comunque dato vita ad un capi-
tolo nuovo nella storia della cultura trasportistica. Cambia proprio il concetto
di impresa sotto diversi aspetti. Prendiamo ad esempio l’impresa privata al
tempo della concessione; si tratta per lo più di un’impresa famigliare con in
testa l’imprenditore-proprietario, un modello dove domina la proprietà per-
cepita come sovranità sull’azienda e sul suo esercizio; la concessione tendeva
a rafforzare questa impostazione perché, di fronte ad un tentativo concorren-
ziale teso a mettere in discussione il pacchetto concessorio, era predisposto
un meccanismo giuridico di difesa della titolarità della concessione. Lo stes-
so effetto si verificava per l’impresa pubblica concessionaria che aveva così
modo di rendere sicuro il proprio spazio operativo. Le imprese erano dunque
portate a chiudersi in una sfera personalistica, a diventare tante isole di produ-
zione senza dialogo; se si levava una voce non c’era risposta, era una voce che

141
tornava su sé stessa. Ebbene questo mondo finisce con la concessione,
l’azienda non poggia più, non fa più leva su un nucleo di concessioni ma è
chiamata, oltre le sue dimensioni, a gestire un bacino di traffico affidato attra-
verso una gara con regole europee. Da chiusa, concentrata su sé stessa,
l’impresa pubblica o privata che sia diventa una realtà dialogante in cerca di
sinergie condivise e modalità di convivenza. Cambia il ruolo dell’im-
prenditore che non è più in grado di appoggiarsi sul sistema famigliare come
sistema di potere, cambia il ruolo del manager per un inderogabile riconosci-
mento del primato dell’economia nella gestione aziendale. E tuttavia il pro-
blema è lo stesso; da una parte si deve superare la proiezione personale del
soggetto economico, dall’altra si deve accettare che gli scopi oggettivi e so-
cialmente rilevanti dell’impresa siano ben immersi nelle regole dell’economia.

4.4. Fare l’impresa-rete come obiettivo comune dell’imprendi-


tore e del manager

Ora in questo mondo di fermenti e di speranze diventa indispensabile


assicurare la centralità del modello-impresa in modo che le due polarità,
azienda pubblica e privata, si trovino allo stesso livello, condividano il me-
desimo slancio per liberarsi dal peso delle rispettive tradizioni. Del resto un
sistema di simmetrie e di corrispondenze avvia queste aziende sulla strada
della coesistenza in un’unica impresa. La linea ideologica della sostituibili-
tà dell’una con l’altra, dello scontro, della contrapposizione, della reciproca
delegittimazione resta al di sotto di una aggiornata dimensione culturale
dell’impresa, presenta ormai caratteri di artificialità, è, in sostanza, una
realtà da passare in archivio. La divaricazione degli interessi appartiene
anch’essa al passato. La tesi, invece, della complementarietà nasce da un
processo vitale di cambiamento dove entra a forza il concetto e la realtà
dell’impresa come fatto organizzativo che ingloba un processo di ristruttu-
razione socio-economica fondato sull’utilizzo della tecnologia
dell’informazione. La proprietà pubblica e privata restano una struttura rea-
le di base che, però, evolve verso una situazione più statica e passiva sia
con riferimento alla figura dell’imprenditore e/o proprietario, sia con rife-
rimento all’ente o enti pubblici proprietari, gli uni e gli altri non in grado di
tenere il passo con la molla propulsiva che lega impresa e mercato. Un vero
linguaggio trasportistico con pretesa di modernità, reso attuale dall’impeto
con cui scorre la storia, non distingue più tra azienda pubblica e azienda
privata, parla di impresa, del suo avvento irreversibile; il segno eloquente di

142
questo passaggio si trova nel Regolamento europeo n. 1370/2007, che defi-
nisce neutra la questione proprietaria.
Le fertili premesse di un tale movimento innovatore sono riscontrabili in
quella molteplicità di forze che lavorano al superamento della società indu-
striale ed alla transizione alla società in rete. Si tratta della tecnologia e della
competitività, fattori ormai affermati che preparano una trasfigurazione del
mondo socio-economico. Come sostiene Castells: «La logica prevalente del
lavoro e della produzione in rete trasforma tutti i campi della vita sociale ed
economica» (cfr. Castells, 2006: 405). Da questo ragionamento e dalla con-
clusione che ne deriva emerge la centralità del problema organizzativo
dell’impresa; in che modo, quali sono i criteri in grado di assicurare
un’organizzazione del sistema in cui far coesistere la gestione di azienda
pubblica e azienda privata, la condivisione di saperi e di informazioni insie-
me ad una uniforme produzione del servizio. Ricorriamo ancora a Castells il
quale ai fini della nuova funzione di produzione postula l’esigenza che «un
nuovo tipo di organizzazione e di management, mirante all’adattabilità e al
coordinamento simultanei, diventi la base del sistema di gestione operativa
più efficace» esemplificata da ciò che egli chiama «l’impresa a rete» (cfr. Ca-
stells, 2006: 409). La costruzione di un’impresa-rete, dunque, si afferma co-
me la nuova frontiera suscettibile di dare concretezza a tutte le tessere che
compongono il mosaico del nuovo sistema di produzione e che sono la fles-
sibilità, l’innovazione, la competitività, l’efficienza e la produttività. Essa
rappresenta la rottura concettuale ed organizzativa con il taylor-fordismo del-
la grande impresa organizzata a burocrazia verticale. L’alternativa proposta si
basa, invece, sulla straordinaria diffusione della tecnologia, sul bisogno di
specializzazione e di scambio funzionale, sul coordinamento del lavoro, sulla
«simultanea concentrazione e decentralizzazione delle funzioni decisionali».
Ora questa prospettiva non va letta come un insieme di formule convenziona-
li ma deve essere resa concreta ponendo a stretto contatto produttività, eco-
nomia e competitività. È il compito della nuova imprenditoria e della nuova
managerialità; azienda pubblica e azienda privata non scompaiono ma diven-
tano unità di produzione dei servizi entro un’impresa che va costruita e spe-
rimentata, gestita in flessibilità, come un insieme vocato a sussistere in mez-
zo all’attuale traffico economico-giuridico. Occorre riscoprire dunque
l’inventiva aziendale dell’imprenditore e del manager che è anch’essa un po-
tere che, attivato, può innescare nella realtà concreta un nuovo sistema di
forme organizzative, di capacità operativa, di innovazione tecnologica che
viene a dare profilo e figura ad un’impresa del trasporto di persone in grado
di rispondere all’assalto di tutte le sfide. Ciò che viene a bussare alla porta
dell’imprenditore, ciò che si fa vivo e chiede di essere riagganciato è la sua

143
predisposizione all’organizzazione: il coordinamento sistematico e funziona-
le di uomini, beni e mezzi, la scelta dello strumento giuridico più opportuno,
il lavorio cauto e costante nel tenere coeso l’insieme degli altri partecipanti
all’impresa, la sensibilità al divenire storico sono i caratteri che soddisfano e
completano quel concetto di organizzazione con cui l’imprenditore ha fami-
liarità. Ciò che oggi gli si chiede è di lasciare la presa sulla propria azienda
non certo come proprietario ma semplicemente per essere più libero ad aprir-
si ad una logica di raccordo con altre aziende sino alla formazione di una plu-
ralità delle stesse, private o pubbliche che siano, secondo una scala geografi-
ca che assicuri sinergie ed interoperabilità. In questo contesto, l’imprenditore
dovrà rinunciare alla sua volontà imperiosa sulla propria azienda ma otterrà
altri livelli di compensazione: in primo luogo, a livello personale, partecipan-
do alla gestione strategica della nuova “casa”; in secondo luogo rendendo più
sicura la continuità aziendale entro una dimensione d’impresa più difficil-
mente aggredibile; infine incrementandone il valore tramite l’inserimento in
una struttura produttiva e competitiva. Dunque, una molteplicità di aziende
come unità operative a struttura minima che presidiano una quota del territo-
rio e che sono riunite in una struttura societaria che detiene la governance, un
ruolo unico di regia e di governo sia delle strutture di interconnessione in-
formatica, sia dell’amministrazione, sia dei rapporti con gli enti e sia degli
altri uffici necessari al funzionamento di un campo così vasto. Ciò che si ri-
chiede al manager è l’affrancamento dalle prescrizioni rituali che derivano
dal contatto ravvicinato con il mondo istituzional-politico, è il fare i conti con
quel sottofondo, rispetto alla logica aziendale, impropriamente condizionan-
te. Oggi questa relazione di immediatezza sembra del tutto superata, vuoi da
un punto di vista economico – gli enti non hanno più risorse da destinare al
ripiano dei bilanci delle partecipate – vuoi da un punto di vista concettuale; il
rapporto, infatti, tra socialità ed economicità, viene letto da Onida in modo as-
solutamente nuovo: «Pertanto, l’economicità nell’amministrazione d’impresa,
in quanto favorisce la diffusione del benessere economico, è fondamentalmen-
te conforme al bene comune. Amministrare trascurando la buona economia,
porre in atto processi d’impresa che sistematicamente distruggono ricchezza,
anziché produrne, è di regola opera socialmente dannosa» (citazione da Baro-
ni, 2004: 34). È vero che i cambiamenti fondamentali sono rari. Ma la versio-
ne attuale della modernità ha modificato in confini che separano la pressione
su una conduzione aziendale con criteri extraeconomici da ciò che viene ac-
cettato dalla società nel discorso sulla gestione d’impresa più efficace.
Ecco che allora il manager arriva sulla scia dell’imprenditore per legge-
re insieme il far impresa in modo assolutamente nuovo.

144
La crescente difficoltà per gli enti pubblici soci delle società partecipate
a coprire le perdite di esercizio ha quindi, da una decina di anni a questa
parte, spinto il management aziendale ad introdurre in azienda processi
orientati alla ricerca del raggiungimento di obbiettivi e performance che, al
pari di qualsiasi altra tipologia di impresa, devono essere individuati come
«utili ai fini della misurazione di alcune performance» e necessariamente
oggettivamente misurabili.
Da qui i primi timidi tentativi, nelle aziende di TPL, di individuazione
delle singole aree di business e i primi modelli di controllo di gestione.
Nel tempo, infatti, le aziende di trasporto pubblico locale hanno esteso i
loro servizi nell’ambito di un concetto di mobilità più “allargato” gestendo
in primis alcuni servizi da noleggio con conducente, servizi scuolabus, ge-
stione della sosta ed in alcuni casi anche gestione della segnaletica e manu-
tenzione stradale, di solito per conto delle amministrazioni socie della stes-
sa società.
La molteplicità dei servizi gestiti dalle aziende di trasporto pubblico lo-
cale, fino a qualche anno fa, rendeva particolarmente difficoltosa la realiz-
zazione di un efficace controllo di gestione con l’empiricità della stima di
ripartizione dei costi su alcune funzioni comuni e la difficoltà in genere di
reperire i dati necessari per costruire, al contempo, un valido sistema di
controllo di gestione a supporto delle decisioni aziendali.
La disponibilità, anche a basso costo, di tecnologie che una volta erano
appannaggio solo di aziende molto grandi e con disponibilità economiche
notevoli, come ad esempio i sistemi AVM (automatic vehicle monitoring),
sistemi contapasseggeri, sistemi di pianificazione ecc., hanno permesso la
realizzazione di sistemi spinti di controllo di gestione con la possibilità di
individuare aree di business non solo per macrosettori, come ad esempio il
servizio urbano, il servizio per la gestione della sosta, il servizio scuolabus
ecc., ma spingendosi fino alla singola linea o addirittura alla singola corsa.
In genere tutti i dati rilevati sono disponibili quasi in tempo reale, per cui
aggregarli ed elaborarli è in realtà un’operazione relativamente semplice.
Creare un valido sistema di controllo di gestione a supporto delle deci-
sioni diventa quindi fondamentale al punto che sono disponibili applicazio-
ni che simulano un cruscotto di un’auto con molti indicatori soprattutto di
tipo economico come il ROI, ROE, indici di liquidità ecc., oltre a tutta una
serie di dati afferenti la gestione vera e propria. Avere a disposizione questi
dati in maniera semplice e soprattutto continuativa permette al management
di apportare correzioni nella “conduzione aziendale” nel momento in cui
inizia a manifestarsi il problema e non, invece, accorgersi solo a fine anno e

145
magari solo in sede di chiusura di bilancio di eventuali “anomalie” che po-
trebbero rivelarsi in alcuni casi anche economicamente “irreparabili”.
Dai semplici concetti appena sopra richiamati emerge come, nel corso di
quest’ultimi anni, la figura del manager di un’azienda di TPL abbia acquisi-
to competenze trasversali che una volta non sarebbero state necessarie per
ricoprire ruoli apicali nella concezione delle aziende erogatrici di servizi di
trasporto pubblico di un tempo.
Il confronto del manager con la tecnologia e i sistemi informatici com-
plessi non si ferma però solo a quanto sopra sinteticamente riportato: sicu-
ramente il sistema AVM con la sua strumentazione di rilevamento satellita-
re rimane senza dubbio quello potenzialmente più utile ai fini del controllo
del servizio e strumento indispensabile per inviare messaggi previsionali di
arrivo alle fermate, telecamere a bordo dei mezzi, telecamere per memoriz-
zare immagini in caso di sinistro, obliteratrici per la bigliettazione elettroni-
ca, strumenti per la diagnostica dei mezzi anche da remoto ecc., ma oggi
l’utilizzo si è spinto fino ai social network Facebook e Twitter quali stru-
menti di comunicazione.
Questa impostazione manageriale finisce per valorizzare e far crescere il si-
stema trasportistico che verrebbe reso ancor più produttivo con l’immissione
delle singole unità produttive nell’impresa a rete.
È questo copione, questa prefigurazione che ci viene imposta dalle ne-
cessità di oggi. L’impresa-rete, come l’abbiamo sommariamente descritta,
può essere una delle risposte più stimolanti degna d’essere messa in opera
da imprenditori e manager rigorosi che possiedono una libertà di cambia-
mento e di previsione dinamica e appropriata.

Bibliografia

BARONI D. (2004), Enti locali e aziende di servizi pubblici, Giuffrè, Milano.


CASTELLS M. (2006), Volgere di millennio, Università Bocconi Editore, Milano.
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SCARPA C., BIANCHI P., BORTOLOTTI B., Pellizzola L. (2009), Comuni Spa: il capi-
talismo municipale in Italia, il Mulino, Bologna.

146
5. GOVERNARE IL PROCESSO DI MIGLIORAMENTO
DEL SERVIZIO DI TRASPORTO PUBBLICO LOCALE.
QUALI INDICAZIONI DALL’ESPERIENZA
DI DEREGULATION DEL REGNO UNITO?

di Armando Della Porta

5.1. Note introduttive

Da un punto di vista generale possiamo affermare che il miglioramento


di un servizio pubblico dipende da come esso è governato (Pierre, 1999), ne
rappresenta il risultato finale. Governare un servizio pubblico significa, so-
stanzialmente, scegliere in modo chiaro, attraverso un sistema di regole
condivise, quali obiettivi raggiungere e quali leve azionare per raggiungerli
(Coda, 1988; Rhodes, 1997; Borgonovi, 2004; Christensen, Laegreid, 2007;
Lonti, Gregory, 2007). Il tema della governance, come sappiamo, è diven-
tato centrale nell’attuale dibattito sul miglioramento delle performance del
settore pubblico diventandone il più importante antecedente. È uscito
dall’ambito ristretto dei consigli di amministrazione delle imprese private
per rappresentare, da un punto di vista scientifico, quella sintesi tra regole
giuridiche ed economiche a lungo tempo cercata al duplice scopo di coniu-
gare risultati economico-finanziari ed esigenze di tutela degli interessi degli
stakeholder.
Con riferimento al Trasporto Pubblico Locale, i sostenitori del NPM
(Jakee, Allen, 1998; Hibbs 2000, 2008; Winston, 2000), come è noto, han-
no suggerito di migliorare il servizio ripartendo dal rispetto
dell’economicità aziendale, dall’output, inteso come prerequisito per mi-
gliorare l’outcome, utilizzando come leva principale la deregulation. Tali
posizioni, come è noto si inseriscono nel più ampio fenomeno della crisi
del settore pubblico, della crisi dei suoi sistemi di gestione e di controllo
(Shleifer, 1998), rappresentandone, per certi versi, la soluzione: troppe re-
gole ostacolano il raggiungimento dei risultati economico-finanziari. In tal
senso se l’obiettivo condiviso è quello di recuperare l’economicità azienda-
le allora, secondo i sostenitori del NPM, governare il servizio di tpl signifi-
ca deregolamentare, ovvero, eliminare le regole pubbliche che fissano in

147
modo fisso e inderogabile orari, tariffe e frequenze del servizio e consentire
a coloro che sono più incentivati dal fatto che rischiano capitale proprio (le
imprese private), di fissarle in modo da soddisfare i bisogni dell’utenza
all’interno di un regime di libera concorrenza.
L’idea centrale è che il servizio di TPL potrà essere meglio riposiziona-
to agli occhi dell’utenza solo facendo leva (Hibbs, 2000):
• sulla varietà e sulla differenziazione dell’offerta emergente dal basso,
dalla capacità innovativa delle imprese in concorrenza tra di loro
piuttosto che dal coordinamento del servizio imposto dall’alto da de-
cisori pubblici tramite meccanismi gerarchici di planning (ritenuti
inefficienti e inefficaci) (Hibbs, 2000; Le Grand, 2003);
• sulla decentralizzazione dei poteri tattici ed operativi alle imprese la-
sciando alle autorità i soli poteri di indirizzo strategico e di controllo
(Van de Velde, 1999);
• sulla disaggregazione delle grandi aziende pubbliche in piccole unità
più flessibili e più in grado di rispondere ai differenti e mutevoli bi-
sogni di mobilità (Boyne et al., 2003a).
Il tratto principale delle riforme del servizio di trasporto pubblico ispira-
te a tali principi, in sintesi, è quello di aver restituito fiducia al mercato e
alla libera competizione screditando l’efficacia dei piani imposti dall’alto.
Tali riforme, nonostante le dichiarazioni dei loro sostenitori, hanno prodot-
to, però, solo organizational effectiveness o anche public service improve-
ment? (Boyne, 2003b). L’efficienza, l’innovazione e la differenziazione che
si dovrebbero sprigionare dalla libera concorrenza e dalla deregulation han-
no migliorato l’economicità, facendo crescere solo i profitti delle imprese
(output) o hanno fatto crescere anche il mercato degli utenti contribuendo a
ridurre la congestione e l’inquinamento (outcome) (Mees, 2010)? Da queste
brevi note si intuisce l’importanza di trovare un punto di equilibrio tra
l’esigenza di rendere il servizio di trasporto più attrattivo e l’esigenza di ri-
durne il costo per la collettività (Borgonovi, Mussari, 2011). Scopo del pre-
sente capitolo è quello di capire se, attraverso la deregulation, si è riusciti
concretamente a governare e comporre le tensioni tra economicità aziendale
ed efficacia sociale del servizio di trasporto pubblico locale. Abbiamo scel-
to il Regno Unito (esclusa Londra) come caso esemplificativo perché in
nessun paese la deregulation e le logiche della libera concorrenza, anche
contro i suggerimenti della teoria (Demsetz, 1968) che ritenevano essenzia-
le la regolazione delle utilities, hanno assunto un ruolo così preponderante
nel governo dei servizi pubblici e, di conseguenza, abbiamo voluto verifica-
re quali sono stati gli effetti provocati dall’applicazione dei principi del
New Public Management (Aucoin, 1990; Hood, 1991, 1995). Il servizio di

148
trasporto pubblico liberalizzato, ad esclusione di Londra, è migliorato, nel
senso che ha attratto maggiore utenza o è stato reso solo più efficiente e
redditizio per le imprese? Che effetti ha prodotto l’introduzione della libera
concorrenza? Ci troviamo di fronte ad un ciclo che si ripete in cui si alter-
nano irrimediabilmente fallimenti dello stato e fallimenti del mercato
(Gwilliam, 2008), oppure ci troviamo in una nuova fase in cui l’interesse a
trovare un compromesso tra economicità ed efficacia sociale del servizio
hanno alimentato il bisogno di trovare una terza via, in cui sia il mercato
che lo stato non vengono solo demonizzati, rispettivamente, come creatori
di iniquità e di inefficienza, ma come attori che solo collaborando insieme
possono contribuire a ridurle? L’Italia, come visto nei precedenti capitoli, si
trova ancora immersa in quella che possiamo definire come fase di denun-
cia del monopolio pubblico (Grossi, Mussari, 2004; OECD, 2009; Sargia-
como, 2013), che perdura, però, da troppo tempo (più di 15 anni sono pas-
sati dal 1997 e dall’introduzione dell’obbligo di gara e di apertura al merca-
to del servizio di TPL contenuto nella cosiddetta Legge Burlando) (Oscula-
ti, Zatti, 2008). Una fase che abbiamo definito, nel primo capitolo, di “in-
terregno” in cui il monopolio pubblico, sebbene screditato perché ineffi-
ciente, è ancora forte e le logiche di mercato, sebbene invocate, non sono
ancora entrate in azione. Un interregno caratterizzato dal fatto che il “vec-
chio” non muore e il “nuovo” non nasce. Un interregno dove tutto è rimasto
fermo, a differenza di altri paesi come, ad esempio, il Regno Unito (oggetto
del presente lavoro) o come la Francia (Yvrande-Billon, 2006) o l’Olanda
(Van de Velde et al., 2008), dove, le riforme market-oriented sono state
implementate e non solo varate, rendendo, così possibile l’accumulo di co-
noscenze relative ai vantaggi ed agli svantaggi derivanti dall’uso delle logi-
che di mercato.
In questi paesi l’esigenza di trovare modi sempre più adeguati per com-
porre le contrapposte tensioni che caratterizzano il servizio di tpl non si è mai
arrestata. La normativa italiana, per certi versi, è stata all’avanguardia. Non
ha esitato a rompere con la tradizione e a schierarsi apertamente su posizioni
pro-mercato per recuperare efficienza interrompendo, così, la lunghissima
esperienza di “servizio pubblico” e di affidamenti diretti avviatasi a partire
dalla Legge Giolitti del 1903, ma senza, però, applicarle concretamente, sen-
za avviare la sperimentazione che avrebbe consentito l’acquisizione di pre-
zioso know-how. Si pensi al Decreto Burlando del 1997 che prevedeva il ri-
corso esclusivo alle gare poi attenuato e/o continuamente rinviato, o all’art. 4
della l. 14 settembre 2011 n. 138 ancora più restrittivo che prevedeva addirit-
tura la concorrenza nel mercato come regola ed il sistema delle gare o
dell’affidamento in house come eccezioni da giustificare, poi dichiarato ille-

149
gittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 199 del 2012 che ha reso
di fatto inapplicabile in Italia la libera concorrenza nel TPL. Quali lezioni
trarre, invece, dall’esperienza del Regno Unito che, a differenza dell’Italia
(Meneguzzo, 2001), ha attuato, senza esitazioni e senza lunghe battaglie le-
gali o controriforme, la libera concorrenza nel delicato settore del trasporto
pubblico locale? Il capitolo è organizzato nel modo seguente. Nel prossimo
paragrafo descriveremo l’approccio seguito per descrivere il governo del
processo di miglioramento del servizio di trasporto pubblico locale. Nel suc-
cessivo presenteremo il caso del Regno Unito evidenziando come sono cam-
biati nel corso del tempo gli approcci al governo del servizio attraverso le va-
rie riforme che si sono succedute. Dopo averle descritte nei tratti principali
analizzeremo in modo più approfondito gli impatti che hanno avuto, cercan-
do di capire se le tensioni tra l’efficienza e l’efficacia sociale del servizio
hanno avuto o meno un’equilibrata composizione. Infine, proveremo a trarre
qualche conclusione.

5.2. Governare il processo di miglioramento del servizio di tra-


sporto pubblico locale: obiettivi e leve

Governare un servizio pubblico è un complesso processo per trovare modi


sempre più adeguati per armonizzare i differenti interessi che su di esso con-
vergono (Coda, 1988; Meneguzzo, 1997; Pollitt e Bouckaert, 2000; Borgo-
novi e Mussari, 2011). Con riferimento al TPL, un passo molto importante,
secondo i sostenitori del NPM è quello di fare chiarezza innanzitutto sugli
obiettivi che deve raggiungere (Walker, 2008). A tale fine suggeriscono che
gli obiettivi di incremento dei passeggeri, di riduzione delle auto in circola-
zione, in determinati contesti territoriali, i cosiddetti obiettivi di patronage,
sono perfettamente compatibili con gli obiettivi di miglioramento
dell’economicità, dell’efficienza e dell’efficacia dei provider e di conseguen-
za possono essere raggiunti tramite l’impiego di logiche di mercato piuttosto
che gerarchiche (planning pubblico), riducendo, così, al minimo l’uso di sus-
sidi (Hibbs, 2000; Winston, 2000). Le risorse pubbliche risparmiate grazie
all’utilizzo di meccanismi di mercato potranno essere più proficuamente im-
piegate, invece, per raggiungere obiettivi di natura più sociale, ovvero di co-
pertura dei territori (cosiddetti obiettivi di coverage) a bassa densità abitativa
e a bassa domanda. Le riforme ispirate al NPM, hanno, di conseguenza, fatto
maggiore chiarezza sia sugli obiettivi che sulle leve che meglio possono con-
tribuire a raggiungerli. In particolare, hanno spostato l’attenzione dalle gerar-
chie ai mercati, o meglio ne hanno ridefinito il mix (Rhodes, 1997; Hefetz,

150
Warner, 2012) allo scopo di individuarne le dosi ottimali con riferimento agli
specifici contesti territoriali (bacini di traffico). In breve, più mercato e libertà
di iniziativa nei bacini di traffico ad alta densità abitativa e una migliore e più
efficiente gerarchia nei bacini a bassa domanda (Walker, 2008). Concentre-
remo la nostra attenzione soprattutto sulle aree ad alta densità abitativa, dove
è stata attuata la libera concorrenza allo scopo di capire quali risultati sono
stati ottenuti. Per comprendere meglio come le leve della gerarchia e del
mercato sono state usate per trovare un ragionevole compromesso tra obietti-
vi di rispetto dell’economicità aziendale (ovvero di riduzione di sussidi pub-
blici) e obiettivi di efficacia sociale (ovvero di incremento del numero di pas-
seggeri e di riduzione delle auto in circolazione) distingueremo una dimen-
sione orizzontale da quella verticale (Savage, 1993; White, 1995). La dimen-
sione verticale fa riferimento ai rapporti tra autorità centrale ed autorità loca-
li. In tal senso, vedremo che tipi di cambiamenti sono intercorsi nel corso del
tempo nelle relazioni gerarchiche tra centro e periferia. La dimensione oriz-
zontale fa riferimento, invece, ai rapporti tra le autorità locali di regolazione e
le imprese erogatrici del servizio di trasporto. Anche in questo caso vedremo
quali cambiamenti sono intercorsi nel tempo, in che modo le logiche di mer-
cato si sono integrate con quelle gerarchiche allo scopo di migliorare la per-
formance del servizio di trasporto. L’essenza del processo di governo risiede
proprio nei continui cambiamenti, nella continua sperimentazione effettuata
allo scopo di trovare la soluzione più adeguata in grado di soddisfare le sud-
dette contrapposte esigenze (Pierre, 1999; Hansson, 2013). Nel caso che se-
gue la nostra attenzione sarà focalizzata sulle tre principali riforme che hanno
caratterizzato il servizio di TPL in Gran Bretagna negli ultimi decenni: la ri-
forma del 1985, quella più fedele ai principi del NPM, che ha inserito la libe-
ra concorrenza come leva principale, e quelle del 2000 e del 2008 che hanno
apportato quelle correzioni e quelle modifiche si sono rese necessarie per ri-
solvere i problemi derivanti da un’applicazione troppo dogmatica dei principi
della concorrenza.

5.3. Governare l’integrazione tra Stato e Mercato nel trasporto


pubblico locale. L’esperienza della Gran Bretagna

5.3.1. Dal Mercato allo Stato e ritorno: un breve storia del TPL bri-
tannico fino al 1985

La Gran Bretagna ha già sperimentato nel passato un passaggio dal mer-


cato allo stato. Fino al 1947 il trasporto pubblico è stato gestito in modo re-

151
golato, con il sistema delle licenze, da monopoli privati. Dopo è avvenuta la
nazionalizzazione che è durata fino al 1985. Di seguito descriveremo le
tappe più significative della storia del TPL britannico prima della liberaliz-
zazione (Hibbs, 2005).
L’iniziativa privata nel trasporto collettivo delle persone nasce in Gran
Bretagna grazie all’idea di riconvertire, dopo la prima guerra mondiale,
veicoli militari in mezzi di trasporto collettivo, meno costosi e più flessibili
rispetto ai tram su sede fissa rendendo così possibile l’estensione del servi-
zio su tutto il territorio. Come reazione alle disfunzioni dell’iniziativa pri-
vata gli enti locali costituiscono proprie aziende municipali. Il London
Traffic Act del 1924 rappresenta il primo intervento legislativo effettuato
allo scopo di regolare la concorrenza tra 500 differenti operatori nell’area di
Londra e, soprattutto, proteggere le aziende tramviarie, mettendole al riparo
dalla concorrenza dei bus. Con il Transport Act del 1930 si introduce in tut-
to il paese il sistema delle licenze gestite da apposite autorità, i Traffic
Commissioners, per ridurre gli effetti di una concorrenza distruttiva, non
necessaria, su tratte già servite. Tale sistema costituirà una barriera
all’ingresso per i nuovi entranti fino agli inizi degli anni Ottanta, favorendo
la creazione di big players privati che monopolizzeranno il trasporto ex-
traurbano. Il processo di nazionalizzazione inizia con il Transport Act del
1947 e con l’acquisizione delle imprese private da parte della British Tran-
sport Commission. Nonostante la nazionalizzazione, il continuo declino
della domanda, ascrivibile principalmente all’affermazione del mezzo pri-
vato e alle politiche pubbliche che ne hanno agevolato l’uso attraverso la
costruzione di strade e di piani di sviluppo delle zone suburbane (spraw-
ling), oltre che ad una regolazione non rispettosa dell’economicità azienda-
le ed orientata solo a tutelare l’efficacia sociale del servizio, determina un
nuovo intervento nel 1968 finalizzato a riorganizzare il sistema, accentran-
do tutte le attività di trasporto extraurbano in due grandi aziende statali, la
National Bus Company e lo Scottish Transport Group, operanti sul territo-
rio attraverso delle subsidiaries locali, sotto la vigilanza delle Public Tran-
sport Authorities appositamente costituite per programmare in modo inte-
grato il servizio di trasporto sul territorio allo scopo di renderlo più attratti-
vo. Il servizio urbano nelle aree metropolitane e nelle città più grandi conti-
nua ad essere erogato da aziende municipalizzate di proprietà degli enti lo-
cali (Hibbs, 1989). Alla vigilia della riforma del 1985 in Gran Bretagna il
trasporto pubblico locale è caratterizzato, in un contesto di domanda decli-
nante, dalla presenza di big players pubblici che hanno preso il posto di
quelli privati ma con costi notevolmente più alti (principalmente il costo del
lavoro) ed una bassa produttività (per effetto di una rigida regolamentazio-

152
ne del lavoro da parte delle organizzazioni sindacali) e da un sistema di
municipalizzate altrettanto inefficienti. L’esigenza di ridurre la crescita dei
costi e fermare il declino dell’utenza del servizio è alla base dei processi di
riforma che prendono avvio agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso
ed è alla base delle prime scelte di riaffidare il servizio di trasporto pubbli-
co locale al mercato. Consapevole del fallimento implementativo dell’idea
di rendere più attrattivo il servizio attraverso la previsione della program-
mazione affidata alle Public Transport Authorities istituite nel 1968, la
Gran Bretagna decise con il Transport Act del 1985 (ad eccezione di Lon-
dra dove fu applicato il regime di concorrenza per il mercato) di privatizza-
re le aziende pubbliche, abolire le PTA e liberalizzare completamente il
mercato rinunciando definitivamente all’idea di programmazione del servi-
zio ad opera della mano pubblica (Savage, 1985). La riforma del 1985
prende corpo proprio per tentare di porre un freno sia alla crescita dei costi
del servizio, sia alla caduta, apparentemente inarrestabile, dell’utenza. Le
giustificazioni per ritornare di nuovo a regimi di mercato e alla concorrenza
sono contenute nel Libro Bianco del 1984 (Hibbs, 1989; Savage, 1985,
1993; White, 1995) e appaiono come una presa d’atto:
• dell’esistenza di ampi divari nell’efficienza e nei costi tra aziende
pubbliche e private;
• dell’assenza di opportunità concesse ad operatori più efficienti di en-
trare nel mercato per prendere il posto dei meno efficienti;
• del fallimento della programmazione e della politica dei sussidi in-
crociati tra segmenti redditizi e segmenti in perdita (a bassa doman-
da) finalizzati a mantenere in vita una rete che doveva attrarre utenza
ma che in realtà ha fatto crescere solo i costi del servizio e ridotto la
produttività del personale.
Il ritorno a regimi di concorrenza nel mercato (esclusa Londra), secondo
i sostenitori del NPM, avrebbe determinato una riduzione dei costi, un au-
mento dell’efficienza, della produttività e dell’innovazione, una riduzione
dei sussidi, una riduzione dei prezzi e, per tale via, un incremento del nu-
mero di utilizzatori (Hibbs, 2000). Argomenti simili sono usati da Jakee,
Allen (1998) per criticare le inefficienze e gli sprechi prodotti dal monopo-
lio pubblico del trasporto locale in Irlanda: più che alla concorrenza distrut-
tiva si è assistito, grazie al monopolio pubblico e alla chiusura al mercato,
alla distruzione della concorrenza.

153
5.3.2. Il Transport Act del 1985

La riforma del 1985 ha introdotto, come è noto, la deregulation nel set-


tore del TPL rappresentando un momento di forte rottura rispetto ad una
legislazione che era rimasta sostanzialmente ferma all’idea, maturata a par-
tire dagli anni Trenta, della distruttività della concorrenza e del bisogno di
un intervento pubblico attuato sia attraverso una forte regolazione che at-
traverso la gestione diretta con aziende di proprietà pubblica (le aziende
municipalizzate).
Tale riforma ha operato i seguenti radicali cambiamenti (Savage, 1993;
White, 1995; TAS, 2010; Van de Velde, Wallis, 2013):
• ha eliminato il sistema delle licenze garantendo a tutti gli operatori la
libertà di ingresso e di uscita (concorrenza nel mercato) attraverso un
mero atto di registrazione, stante la conformità a determinati standard
di qualità;
• ha dato agli operatori la possibilità di erogare il servizio in concor-
renza tra di loro su quelle linee ritenute più appetibili liberandole
dall’obbligo di offrire servizi a rete per coprire aree più vaste;
• ha previsto norme molto rigide per sanzionare i comportamenti anti-
concorrenziali allo scopo di prevenire fenomeni di collusione tra gli
operatori, specialmente per quanto riguarda le tariffe, le linee e la
frequenza del servizio;
• ha previsto un regime di concorrenza per il mercato attraverso le gare
solo per i servizi ritenuti socialmente necessari dalle autorità locali e
non offerti dai privati, eliminando così i sussidi incrociati1, ritenuti la
fonte principale dei problemi in quanto, in passato, costringevano le

1
I sussidi incrociati possono essere visti sostanzialmente in due modi: uno positivo ed
uno negativo. Sono visti in modo positivo nel senso che sono una caratteristica naturale e
non un difetto di settori che offrono servizi a rete, e il TPL è uno di questi. In tal caso sono
considerati positivi per via dell’effetto che hanno nel rafforzare l’attrattività, il valore di un
determinato territorio per via dei collegamenti resi possibili, senza distinguere tra segmenti
redditizi e segmenti in perdita. In sintesi, i sussidi incrociati dando alla rete la possibilità di
esistere creano esternalità positive (effetto mohring) per l’ambiente e per gli utenti (riduzio-
ne della congestione e dei costi individuali totali di spostamento, sia monetari che non mo-
netari). I sussidi incrociati sono visti in modo negativo nel momento in cui sono usati dalla
politica in modo improprio, per ragioni diverse da quelle del miglioramento del servizio,
vanificando così le esternalità positive della rete, rendendo i costi superiori ai benefici e fa-
cendo sì che l’idea di rete, valida in teoria, non lo sia poi nella pratica a causa di fattori di
ostacolo difficili da rimuovere (opportunismo e irresponsabilità da parte della politica, scar-
sa professionalità dei planners, resistenze da parte degli utenti che preferiscono la libertà
dell’auto alle restrizioni poste da una rete integrata ecc.). Al riguardo si veda HEALD (1997).

154
imprese concessionarie a fornire un servizio a rete anche se questa
rete di fatto non attraeva utenti ma incrementava solo i costi. Liberate
da tale obbligo, le imprese avrebbero potuto offrire, a costi e a prezzi
più bassi i servizi di trasporto, solo dove c’era domanda, ragionando
finalmente per linee e non più per reti;
• ha previsto rimborsi alle imprese per i servizi gratuiti offerti a parti-
colari categorie di utenti e l’accollo delle spese per migliorare
l’accesso, ai disabili.
• ha scisso le aziende statali in aziende più piccole e le ha poste in
vendita sul mercato, ha trasformato le municipalizzate in società di
capitali provvedendo alla loro privatizzazione. Nel 1983 le aziende di
proprietà pubblica erano responsabili del 92% delle miglia percorse e
del 97% dei passeggeri trasportati.
• ha lasciato inalterato il potere centrale obbligando le autorità locali a
rendere conto a quelle centrali della qualità del TPL locale rispetto
agli obiettivi stabiliti in sede nazionale svuotandole però del potere
decisionale, affidato interamente alle imprese.
Tali cambiamenti rispecchiano fedelmente i punti programmatici sinte-
tizzati da Hood (1991, 1995) per migliorare le performance dei servizi pub-
blici:
1. scissione della PA in aziende organizzate per prodotto;
2. uso di meccanismi contrattuali a termine e del mercato;
3. uso degli stili manageriali tipici del settore privato;
4. enfasi sulla disciplina e sulla frugalità nell’uso delle risorse;
5. enfasi sul ruolo del top management;
6. formalizzazione delle misure di performance;
7. maggiore enfasi sul controllo degli output.
L’obiettivo è quello di rendere tutti gli elementi della «formula gestiona-
le del servizio di trasporto pubblico» più coerenti al loro interno e
all’esterno, rispetto ai bisogni di un cittadino assimilato ad un cliente (Vi-
goda, 2002).
Il Transport Act del 1985 può essere visto come una reazione
all’inefficienza della gestione pubblica delle PTA, le autorità di coordina-
mento del servizio. Il ricorso alla deregulation, alla distruzione della rete e
alla riaffermazione delle linee, avviene principalmente perché il governo
britannico non crede più né che le agenzie pubbliche siano le uniche in gra-
do di progettare dall’alto un servizio integrato e coordinato di alta qualità,
né che la rete integrata in sé sia la soluzione in grado di arrestare il declino
della domanda. Al contrario, ritiene che sia la libertà di iniziativa imprendi-
toriale la chiave per soddisfare i complessi bisogni di mobilità degli utenti

155
che le autorità pubbliche non avevano saputo decodificare. D’altronde se
gli utenti valutano positivamente un servizio a rete, integrato e coordinato,
e sono disposti a pagare per averlo perché le imprese non dovrebbero of-
frirglielo? (Hibbs, 2000). Di conseguenza la riforma del 1985 toglie alle
PTA i poteri di planning del servizio (il livello tattico) e lo affida alle im-
prese. Elimina gli oneri derivanti dall’erogazione dei sussidi incrociati e si
affida ai meccanismi competitivi e ad una concezione del servizio emergen-
te e non più pianificata. Rafforza i poteri delle autorità di controllo e vigi-
lanza della concorrenza (Office of Fair Trade), conservando il controllo
strategico in capo alle autorità centrali attraverso la fissazione di obiettivi di
riduzione delle auto in circolazione e di incremento nell’uso dei mezzi pub-
blici. Separando il controllo strategico, affidato al potere centrale, da quello
tattico ed operativo, affidato alle imprese, tale riforma rende, però, difficile
il coordinamento tra i tre livelli (Van de Velde, 1999; Van de Velde, Wal-
lis, 2013). Infatti, la responsabilità per il raggiungimento degli obiettivi di
riduzione delle auto in circolazione e della congestione è affidata alle auto-
rità locali che vengono finanziate a tal fine, le quali, non hanno poteri effet-
tivi in merito, perché le decisioni tattiche ed operative sono affidate alle
imprese. Tale riforma finisce con il creare uno squilibrio tra responsabilità
e poteri in capo alle autorità pubbliche, non riesce a creare un mix armoni-
co tra gerarchia e mercato che convivono in isolamento, senza punti di con-
tatto (NERA, 2006; Sorensen, Longva, 2011; Stanley, Smith, 2013).

5.3.3. Il Transport Act del 2000

Allo scopo di rendere più armoniche le leve di governo del servizio il


parlamento inglese vara una nuova riforma nel 2000 prevedendo di attivare
delle forme di collaborazione (Bus Partnerships e Quality Contracts) tra
autorità locali ed imprese, tra gerarchia e mercato, allo scopo di rallentare il
declino dei passeggeri nell’uso dei bus. Ciò perché, la riforma del 1985,
purtroppo, non ha dato gli effetti sperati (Mackie et al., 1995; White, 2005;
NERA, 2006; Van de Velde Wallis, 2013) sul fronte dell’efficacia sociale.
Positivi sono stati, invece, i risultati in termini di efficienza e di riduzione
dei costi (White, 2005). Tale riforma ha, per certi versi, sopravvalutato la
forza delle imprese (del mercato) nell’individuare e nel soddisfare meglio i
bisogni di mobilità degli utenti e sottovalutato, o forse eccessivamente cri-
ticato, l’efficacia degli interventi di programmazione e di coordinamento da
parte delle autorità pubbliche (la gerarchia) (Sclar, 2000; Mees, 2010). Tale
nuova riforma si rende necessaria per via del forte calo di passeggeri regi-

156
stratosi in seguito alla liberalizzazione (NERA, 2006). L’idea nuova è quel-
la di responsabilizzare meglio le autorità locali rispetto all’obiettivo di in-
crementare il volume dei passeggeri sui bus tramite la previsione di Piani
locali di trasporto di più ampio respiro (quinquennali piuttosto che annuali
che instaurano il cosiddetto Local Transport Plan Regime) (Marsden, Bon-
sall, 2006; Marsden, Kelly, Nellthorp, 2008) e di allentare la rigidità delle
norme che sanzionavano i comportamenti anticompetitivi. Con tale riforma
le autorità hanno i poteri di avviare progetti di integrazione tariffaria e di
miglioramento dell’informazione all’utenza attraverso l’uso delle partner-
ship (Powell, 1997; Davison, Knowles, 2006). Le autorità si impegnano a
facilitare il lavoro delle imprese di trasporto attraverso la previsione, ad
esempio di corsie dedicate, e le imprese in concorrenza, da parte loro, si
impegnano a rendere più coordinati i loro orari nell’ottica di migliorare la
customer satisfaction. Tale coordinamento che prima veniva sanzionato
dall’Office of Fair Trade, perché in odore di collusione, adesso viene inco-
raggiato perché ritenuto importante rispetto all’obiettivo di incrementare il
numero di passeggeri.
Se dal punto di vista dei rapporti orizzontali alla competizione comin-
ciano ad affiancarsi relazioni di collaborazione tra le imprese stesse e con le
autorità locali, dal punto di vista verticale dei rapporti tra il potere centrale
e quello locale si instaura un vero e proprio meccanismo che ricorda il ma-
nagement by objectives con tutti i pro e i contro che tale meccanismo com-
porta (De Brujin, 2002; Moynihan, 2006; Hood, 2006; Bevan, Hood, 2006).
Le risorse centrali sono erogate alle autorità locali sulla base
dell’ambizione dei piani quinquennali e della verifica dei risultati prefissati
tramite un apposito sistema di indicatori di performance (Marsden, Bonsall,
2006). I piani devono essere in armonia con le politiche e le priorità fissate
dal centro, devono prevedere l’integrazione di tutti i modi di trasporto ed in
particolare devono elaborare una apposita strategia per i bus (bus strategy).
La liberalizzazione del mercato ha dato alle imprese il potere di decidere se
e come offrire il servizio in una data area e lo ha tolto alle autorità pubbli-
che, le quali, però, conservano il controllo sugli investimenti nelle infra-
strutture (con risorse trasferite dal centro), sulla regolazione del traffico e
sull’uso delle strade. Di conseguenza sembra emergere un naturale interes-
se alla collaborazione tra imprese ed autorità locali visto che entrambe pos-
sono beneficiarne (Christensen, Laegreid, 2007; Borgonovi, Mussari,
2011). Le imprese possono migliorare la redditività se le autorità locali
concedono, come accennato, corsie riservate agli autobus o realizzano, ad
esempio, parcheggi di scambio. Le autorità locali possono ottenere maggio-
ri finanziamenti dal centro se, attraverso questi interventi, migliorano la

157
qualità del trasporto pubblico e riducono la congestione. In cambio, le im-
prese si impegnano a migliorare gli standard di qualità degli autobus e a
coordinarsi nell’ottica di favorire la crescita del mercato. Infatti, più cresce
il mercato degli utenti e più sono alte le possibilità di garantire adeguati ri-
torni agli investimenti (Davison, Knowles, 2007). Pur confermando la scel-
ta della liberalizzazione del servizio, la riforma del 2000, scopre la leva del-
la partnership, della collaborazione volontaria all’interno delle relazioni di
mercato e delle relazioni gerarchiche tra il governo centrale e le autorità lo-
cali, sottolineando così l’interdipendenza e la complementarietà dei singoli
attori e i vantaggi derivanti dal “fare sistema”, in modo collaborativo e fles-
sibile, evitando rigidità ed inutili contrapposizioni (Vigoda, 2002; Longo,
Cristofoli, 2007).
Le autorità centrali hanno finanziato una settantina di progetti tesi a mi-
gliorare le infrastrutture del traffico. Poiché si tratta di accordi volontari bi-
laterali e poiché l’impegno dell’autorità pubblica è maggiore in termini di
investimenti rispetto a quello delle imprese, il rischio di comportamenti op-
portunistici è elevato. In altri termini, in mancanza di norme vincolanti, il
rischio che i miglioramenti stradali possano essere sfruttati da imprese che
non hanno effettuato alcun miglioramento nella qualità dei bus è molto alto.
Il giudizio finale su tali accordi non è stato, infatti, pienamente soddisfacen-
te (NERA, 2006; TAS, 2010,), ma ha comunque contribuito a rompere
l’isolamento tra autorità locali, imprese e governo e ad avviare forme di
collaborazione che hanno rivalutato l’esigenza del coordinamento (Soren-
sen, Longva, 2011) come fattore critico di successo per favorire la crescita
degli utenti e del mercato del servizio di TPL.

5.3.4. Il Transport Act del 2008

La rivalutazione del ruolo giocato dai rapporti di collaborazione, rispetto


alla competizione e alla rigidità e inflessibilità dei controlli gerarchici, che
hanno rappresentato l’ossatura della riforma del 1985, ha risvegliato
l’interesse da parte del governo centrale nei confronti della regolazione e del-
la sua utilità (Van de Velde, Wallis, 2013) rispetto al dogma della deregula-
tion. Ha contribuito, in altri termini a far maturare l’idea che una regolazione
di qualità possa fare la differenza. Ad ogni modo, dopo il drastico calo dei
passeggeri le autorità inglesi cominciano a guardare con interesse ai cosiddet-
ti Quality Contracts. Si tratta di veri e propri contratti di servizio stipulati tra
l’autorità locale ed un’impresa che acquisisce il diritto di esclusiva su un’area
o su una linea in cambio del rispetto di alcuni standard minimi oltre che, na-

158
turalmente di un sussidio necessario a ri-costruire la rete, smantellata dalle
riforme del 1985. Il quality contract rappresenterebbe l’equivalente del si-
stema delle gare, assicurando al vincitore il monopolio del servizio in cambio
di risultati, un vero e proprio contratto incentivante, peraltro suggerito da au-
torevole dottrina (Hensher, Stanley, 2008) come soluzione più equilibrata ri-
spetto a quella della libera concorrenza. Non tutti, ovviamente, sono
d’accordo, temendo una ri-regolazione del servizio che re-insedierebbe la po-
litica nella cabina di comando del servizio con tutte le conseguenze negative
che la storia passata ha evidenziato, alimentando così il ciclo di alternanza
basato sui rispettivi fallimenti (Hibbs, 2005; Gwilliam, 2008). Nella riforma
del 2000, va detto, tali contratti erano considerati solo come un rimedio di
ultima istanza. Nella Riforma del 2008 gli orientamenti cambiano ed il potere
di intervento delle autorità pubblica aumenta. A differenza di quanto previsto
nella precedente riforma, gli accordi di partnership (Statutory Quality Part-
nerships), secondo la nuova riforma del 2008 prevedono, infatti, che le auto-
rità pubbliche, possano specificare frequenze, orari ed, anche, un tetto mas-
simo di tariffe da applicare. Appare evidente la tendenza alla riappropriazio-
ne da parte dell’autorità locale del controllo del livello tattico del servizio. Si
tratta di una tendenza che alcuni autori riscontrano su scala più ampia, come
soluzione ragionevole al duplice problema del miglioramento dell’efficienza
e della qualità del servizio (Barter, 2008). Tale processo si avvia in modo
blando con il Transport Act del 2000, dove si comincia a prendere gradual-
mente le distanze dalla logica, fino ad allora dominante, della contrapposi-
zione e dell’alternanza stato-mercato. Il Local Transport Plan Regime segna
proprio l’inizio di questa ricerca di punti di convergenza, di integrazione tra
gli interessi delle imprese e quelli della comunità. Gli effetti, però, sono mo-
desti e concentrati solo in quelle aree in cui la domanda è particolarmente so-
stenuta e dove è più facile trovare tali convergenze (Van de Velde, Wallis,
2013). Con il Transport Act del 2008 si prosegue e si intensifica tale percorso
di ricerca dell’integrazione attraverso il ripristino di autorità pubbliche di
coordinamento del servizio, ma questa volta non come era avvenuto con la
riforma del 1968 con l’istituzione delle Public Transport Authorities (Hibbs,
1989). Questa volta, se si riflette sulla denominazione utilizzata, Integrated
Transport Authorities, appare piuttosto evidente la volontà di porre al centro
dell’attenzione, in modo più serio e responsabile rispetto a quanto fatto in
passato, il tema dell’integrazione del servizio e dell’importanza di un plan-
ning integrato (Owens, 1995; Hull, 2005; O’Sullivan, Patel, 2004; Mees,
2010; Sorensen, Longva, 2011; Stanley, Smith, 2013, da porre alla base dei
cosiddetti Quality Contracts, veri e propri contratti di servizio che specifica-
no in dettaglio le modalità di prestazione del servizio di trasporto. Sembre-

159
rebbe questa la naturale evoluzione del sistema. D’altronde che senso avreb-
be consentire alle imprese di avere campo libero, di permettere loro di appro-
priarsi di profitti che potrebbero essere utilizzati diversamente per migliorare
la qualità del servizio a favore dell’utenza? Se la concorrenza, purtroppo, non
produce effetti positivi (Gomez-Lobo, 2007), non fa crescere il mercato degli
utilizzatori tanto vale allora passare al monopolio regolato della concorrenza
per il mercato (Demsetz, 1968), dei quality contracts, rivalutando così i sus-
sidi incrociati (Heald, 1997) rendendoli questa volta funzionali alla creazione
di un servizio integrato di alta qualità piuttosto che alla mera copertura del
territorio (Walker, 2008). Se non a chiuderlo, tale nuova opzione contribuirà
a renderà il ciclo certamente più stabile (Gwilliam, 2008). Non a caso
l’Europa, anche sulla base dell’esperienza inglese della deregulation, ha op-
tato nel Reg. n 1370/2007 per la concorrenza regolata come soluzione di rife-
rimento per migliorare allo stesso tempo l’efficienza e la qualità del servizio.

5.4. Gli impatti delle riforme di liberalizzazione

Che impatti hanno avuto le riforme di liberalizzazione del servizio di


trasporto pubblico locale? Proviamo ad esaminarli un po’ più da vicino uti-
lizzando le statistiche disponibili (NERA, 2006; Dft, 2009; Lek Report,
2010). In generale hanno migliorato solo l’efficienza ma non la qualità del
servizio. Ad eccezione di alcune realtà (ad es. Oxford, Van de Velde, Wal-
lis, 2013) dove l’incremento dei passeggeri ad opera della concorrenza è
stato evidente, così come il miglioramento della qualità del servizio, la libe-
ralizzazione ha prodotto, in genere, concorrenza distruttiva, concentrazione
del settore, alte tariffe, servizio non coordinato e declino della domanda.
Ma procediamo con ordine.

Tab. 1 – Numero di passeggeri che utilizzano il bus nelle città inglesi (in milioni)

Periodi Londra Aree metropolitane


1985/1986 1.152 2.068
1995/1996 1.205 1.292
2005/2006 1.881 1.111
2007/2008 2.090 1.121
Var. % 1986-1996 + 4,6 -37,5
Var. % 1986-2008 + 81,4 -45,8

Fonte: TRANSPORT STATISTICS DFT (2009)

160
La Tab. 1 mette a confronto i risultati della liberalizzazione del servizio
di TPL (attuata nelle aree metropolitane) con quelli ottenuti dal regime di
concorrenza regolata (attuata a Londra).
Come appare evidente dalla Tabella 1 a Londra l’incremento nel numero
di passeggeri è stato dell’81,4% nel periodo 1986-2008. Qui, come accen-
nato sopra, il servizio è offerto, in regime di concorrenza per il mercato, da
operatori privati gestiti da un’agenzia pubblica indipendente dal potere po-
litico (Transport for London) e fortemente responsabilizzata sulla pianifi-
cazione del servizio e sugli outcome (Barter, 2008). Il regime di concorren-
za nel mercato, applicato in tutte le altre aree metropolitane inglesi ha, in-
vece, dimostrato che le imprese sopravvivono e offrono il servizio solo do-
ve lo trovano conveniente, dove c’è domanda, con la conseguenza che lo
interrompono, creando dei vuoti, dove tale convenienza viene a mancare.
La tabella mostra, infatti, che nello stesso periodo il calo dei passeggeri è
stato del 45,8%. Nelle aree metropolitane il calo è stato più forte rispetto
alle previsioni perché in queste aree le imprese hanno selezionato solo i
segmenti più redditizi frantumando la rete preesistente. Gli iniziali vantaggi
di costo, legati alle più basse retribuzioni e all’utilizzo di bus più piccoli e
meno costosi, sono pian piano sfumati. Sono stati eliminati servizi in quelle
tratte ritenute non più convenienti e sono aumentate le tariffe. Ciò ha provo-
cato un drastico calo nel numero dei passeggeri (NERA, 2006). Prima della
deregulation, i bus londinesi producevano circa un terzo del totale volume
passeggeri dell’intera Inghilterra, nonostante Londra avesse una popolazione
di 7 milioni di abitanti rispetto ai 12 milioni delle altre aree metropolitane
messe insieme. Ora i numeri sono invertiti. Londra produce i due terzi del
volume passeggeri contro un terzo prodotto dalle aree metropolitane.
Il drastico calo dell’utenza mostrato dalla tabella è stato causato princi-
palmente dalla forma assunta dalla competizione che si è instaurata dopo la
riforma. Quest’ultima ha provocato un risultato apparentemente contraddit-
torio: crescita dell’offerta in termini di km percorsi e riduzione dei viaggi
da parte degli utenti. La contraddizione è, però, solo apparente ed ha delle
giustificazioni di tipo strategico. La riduzione dei viaggi è da mettersi in
relazione all’aumento delle tariffe. L’aumento2 delle tariffe, a sua volta, è
2
In termini più generali l’attenzione costante al mantenimento di una certa soglia di
redditività ha portato gli operatori ad incrementare le tariffe principalmente in risposta ad un
incremento dei costi degli input (carburante, lavoro, assicurazioni) per raggiungere i target
prefissati. Il report NERA (1996, p. 22) riferisce come esempio che un operatore era dispo-
nibile a mantenere il servizio solo se poteva contare su un margine del 15% e comunque non
al di sotto dell’8%. In presenza di un costante declino della domanda e di un declino della
redditività per effetto della crescita dei costi l’unica soluzione è stata quella di aumentare i

161
da mettersi in relazione all’incremento dei costi per effetto dell’aumento
del servizio, e infine, l’aumento del servizio si è reso necessario per proteg-
gere l’impresa dai concorrenti più che a soddisfare gli utenti. È questo, in
sintesi, il circolo vizioso della concorrenza distruttiva. La ragione principa-
le della distruttività della concorrenza risiede nel fatto che nel trasporto
pubblico non è possibile fidelizzare i clienti, i quali prendono il primo mez-
zo utile che li porti velocemente a destinazione (Klein e Moore, 1997). Da
questo punto di vista le imprese che hanno investito in flotta e personale
rischiavano di vedere compromessi i loro investimenti dai concorrenti che
prelevavano clienti alle fermate solo perché registravano il loro servizio
con qualche minuto di anticipo. Questa tecnica chiamata schedule joc-
keying consiste nell’interporsi tra gli orari del concorrente per prelevarne il
frutto dell’investimento, ossia il gruppo di persone che attende alla fermata.
Per proteggersi da questa forma di concorrenza le imprese sono costrette ad
incrementare la frequenza dei loro servizi vanificando ogni tentativo di in-
terposizione da parte dei concorrenti. In tal modo sono costrette a proteg-
gersi offrendo un eccesso di servizio anche se non richiesto, denominato
route swamping, per tutta l’area, con conseguente aumento dei costi e,
quindi, delle tariffe. Tale costosa risposta funge da deterrente per impedire
ai concorrenti di entrare nel territorio. La concentrazione del mercato av-
viene, quindi, anche come risposta all’esigenza di proteggere gli investi-
menti dal particolare tipo di concorrenza che si è sviluppata.
Secondo il rapporto TAS (2010: 97) a partire dal 1985, quando i giganti
pubblici sono stati “spezzettati” in imprese di piccole dimensioni, privatiz-
zate e vendute sul mercato (e riacquistati anche da ex manager pubblici), il
mercato si è progressivamente concentrato. Il posto dei due giganti pubblici
(National Bus Company e Scottish Transport Group) è stato preso da cin-

prezzi. Le imprese hanno calcolato che l’aumento delle tariffe generava solo una perdita mi-
nima di utenti e di conseguenza solo una perdita minima dei corrispondenti ricavi. In altri
termini il valore economico della perdita dei clienti era notevolmente inferiore al valore
economico della perdita derivante dal non incremento delle tariffe (bassa elasticità domanda
rispetto al prezzo). In conclusione le imprese subendo il doppio effetto dell’incremento dei
costi degli input e della bassa produttività del lavoro per effetto della bassa velocità com-
merciale (legata alla congestione e, più in generale a scelte politiche di non intervento per
migliorare la fluidità del traffico) non hanno altra scelta che aumentare i prezzi. Bassa velo-
cità commerciale significa incremento dei costi per maggiore personale e maggiori bus. Una
morsa da cui non riescono ad uscire se non rivalendosi nei confronti di coloro i quali sono
costretti a prendere il mezzo pubblico perché privi di alternativa. Di qui la bassa crescita del
mercato reale ma anche l’elevato potenziale di utenti segnalato dal rapporto TAS che addos-
sa le responsabilità del declino del mercato all’inerzia e alle scelte sbagliate da parte
dell’autorità pubblica.

162
que giganti privati (Go-Ahead, Arriva, First Group, Stagecoach, National
Express) che, ad oggi, controllano circa il 64,1% del mercato. La tabella
successiva mostra che nel periodo 2000/2001-2007/2008 le cosiddette big
five companies, oltretutto quotate in borsa, hanno visto incrementare i pro-
pri profitti del 33% a fronte di un calo medio dei passeggeri del 7% e un
incremento delle tariffe del 10,6%.

Tab. 2 – Passeggeri, tariffe, sussidi e profitti dei principali operatori

Anni Bus Indice Sussidi Sussidi Profitti 5


Patronage Tariffe Pubblici UK Pubblici principali
Londra operatori
2000/01 1.204 100 415 585 329
2001/02 1.197 104 616 595 316
2002/03 1.181 106 818 620 327
2003/04 1.160 107 1.006 665 345
2004/05 1.128 109 1.025 647 368
2005/06 1.111 115 1.113 684 327
2006/07 1.140 112 1.111 1.001 375
2007/08 1.121 111 1.142 1.064 437
Var. per. -7% + 10,6% + 175% + 82% + 33%

Fonte: Transport Statistics Dft (2009), Lek Report 2010

La Tabella 2 dimostra che la deregulation ha prodotto un mercato in cui


cinque operatori, dopo aver eliminato i costi della concorrenza distruttiva
attraverso processi di concentrazione, sono in grado di guadagnare profitti
elevati facendo leva sull’incremento delle tariffe e sui viaggiatori che non
hanno alternative. Il Lek Report (Review of Bus Profitability in England, 27
luglio 2010) commissionato nel 2010 dal Dipartimento dei Trasporti mostra
che questi cinque gruppi guadagnano in media profitti doppi rispetto a
quanto ci si dovrebbe aspettare da un regime di concorrenza e conferma le
risultanze di un analogo rapporto del 1996 sul declino del settore in seguito
alla liberalizzazione (NERA, 1996). Il settore del TPL deregolamentato è
diventato un fonte di profitto per i gruppi che guadagnano oltre che dai pas-
seggeri anche dai sussidi per i servizi sociali o per la copertura di determi-
nate aree. Questi ultimi sono infatti aumentati del 175% dal 2000 al 2008
rispetto all’aumento dell’82% registratosi a Londra. Uno degli stratagemmi
utilizzati per costringere le autorità locali a mettere a gara un servizio con
risorse pubbliche è quello della cancellazione del servizio su determinate

163
linee da parte delle imprese che prima lo offrivano in regime di pieno ri-
schio. L’annullamento del servizio, generando reclami da parte degli utenti,
costringe le autorità a immettere risorse pubbliche per ripristinarlo. Per
quanto riguarda la qualità del servizio e la sua coordinazione, le imprese
cercano segmenti redditizi e non si curano della coerenza del sistema. La
coordinazione del network non è una priorità delle imprese che cercano di
attrarre passeggeri sottraendoli alla concorrenza o ad altre modalità (tram,
metro) piuttosto che alle auto private. Le imprese non perseguono
l’obiettivo di ridurre il numero di mezzi in circolazione o di combattere la
congestione. In teoria non esistono ragioni per non desiderare la riduzione
delle auto in circolazione da parte delle imprese. Anzi il rapporto TAS
(2010) ha quantificato che l’incremento delle quote di mercato dei bus nel
caso di un decremento dell’1% dell’uso dell’automobile sarebbe di circa il
13%. In tal caso le imprese sarebbero orientate naturalmente all’obiettivo di
lungo termine del trasporto sostenibile ma non hanno la forza per far cre-
scere il mercato da sole e, pertanto, chiedono aiuto alle autorità pubbliche
per facilitarle nell’erogazione del servizio. In termini più generali, a parte
alcune realtà, lo sforzo innovativo è stato minimo perché il costo è stato ri-
tenuto troppo alto o perché nelle specifiche realtà territoriali, per ragioni
geografiche, sociali ed istituzionali, il potenziale di crescita è stato conside-
rato nullo o molto basso. Inoltre, le imprese si sono mostrate restie ad in-
traprendere percorsi innovativi rischiosi perché consapevoli che gli sforzi
sarebbero stati vanificati da scelte urbanistiche non in armonia con
l’obiettivo di ridurre le auto in circolazione e la congestione. Incentivare la
dispersione territoriale, il decentramento, riducendo così la densità, che è
uno dei fattori determinanti la crescita del mercato, è esattamente l’opposto
di quello che le imprese si aspettano dalle autorità locali per dare il loro
contributo alla riduzione della congestione. Allo stesso modo le scelte poli-
tiche che privilegiano la costruzione di strade rispetto al potenziamento del
servizio di trasporto vanno nella direzione opposta a quella desiderata. Di
conseguenza se è lo Stato, insieme con le autorità locali, il primo a pro-
muovere politiche non incentivanti e a non credere nel TPL perché dovreb-
bero farlo le imprese? Di conseguenza, non avvertendo un atteggiamento
favorevole da parte delle istituzioni locali e centrali, si limitano a sfruttare
l’esistente senza curarsi più di tanto della coordinazione e dell’incremento
del numero dei passeggeri, perché obiettivi di tal genere non sono realisti-
camente conseguibili se non a costi proibitivi. Paradossalmente, almeno
nelle fasi iniziali in cui la difesa della concorrenza in sé era assurta a ruolo
di dogma, è stata la legge stessa che, proibendo e punendo cartelli ed ac-
cordi, ha finito con l’ostacolare la ricerca di un coordinamento tariffario od

164
orario da parte delle imprese. La logica del mercato, come sappiamo, non
opera a favore della coordinazione. L’antitrust la vede come una violazione
delle leggi della concorrenza.
Le imprese, in conclusione, in un regime di libera concorrenza non sono
incentivate ad offrire un servizio coordinato per due ragioni fondamentali.
La prima ha a che fare, come visto, con l’esigenza di proteggere i propri in-
vestimenti dalla concorrenza distruttiva, tramite la produzione di un ecces-
so di servizio, inutile, che serve da deterrente contro l’ingresso di potenziali
entranti (Klein e Moore, 1997). La seconda e più importante è che
l’impresa deve preoccuparsi di creare una formula rispettosa del principio
di economicità3, ossia deve essere coerente al suo interno e con lo specifico
mercato che ha selezionato e non con tutto l’ambiente. Crea sì un modello
di servizio coerente, ma a misura di cliente e non di comunità più ampia,
come può esserla un’intera area metropolitana. Non è un caso che proprio
in queste aree si è avuto il calo di domanda più forte. Ciò perché l’impresa
è attratta non dall’area ma dai suoi segmenti più redditizi, lasciando scoper-
ti gli altri. Non è attratta da realtà più piccole perché la densità abitativa, il
numero di utenti per km quadrato, non è sufficientemente alta da garantire
un adeguato ritorno degli investimenti. L’impresa, dunque, pone in essere
un comportamento altamente selettivo e non coordinato con le altre. La fig.
1 sintetizza come è stato governato il processo di miglioramento del servi-
zio di trasporto pubblico locale in Gran Bretagna. Dalle evoluzioni in atto
sembrerebbe che anche la Gran Bretagna, dopo quasi trent’anni di speri-
mentazione della libera concorrenza nel trasporto pubblico locale si stia al-
lineando alla soluzione prescelta in Europa, che è quella della competizione
per il mercato e che sembra l’unica (anche se non tutti sono d’accordo) in
grado di offrire un ragionevole compromesso tra esigenze di tutela

3
Le imprese cercano l’integrazione tra gli elementi della formula imprenditoriale che
hanno scelto, cercano una coerenza interna che sia in grado di esaltare la loro specificità.
Cercano una coerenza interna e non una meta-coerenza di sistema. La deregulation ha creato
in tal modo un arcipelago di formule imprenditoriali coerenti o quasi al loro interno ma non
tra di loro. La strategia d’impresa, come è noto, non è la ricerca della coerenza tra la formula
di un’impresa e quella di un’altra. Al contrario, è la ricerca della differenziazione, della di-
stinzione, dell’unicità e non del coordinamento. L’impresa è alla continua ricerca della coe-
renza interna tra i sub-sistemi di cui è composta ed esterna con la porzione di ambiente con
cui ha scelto di relazionarsi (Coda, 1988; Paolone, D’Amico, 2001). Il mercato è lo strumen-
to ideale per la ricerca della distinzione. È nato per questo fine ed è per questo che viene
protetto dalle autorità regolatrici della concorrenza che vigilano affinché le imprese non
formino cartelli, accordi, che non trovino in qualche modo una forma di coordinamento con-
traria all’esigenza superiore di far emergere, attraverso un’autentica lotta competitiva, solu-
zioni sempre più innovative.

165
dell’economicità aziendale e quelle analoghe di tutela dell’efficacia sociale
dello stesso.

Fig. 1 – Il governo del servizio di TPL in Gran Bretagna dal 1985 ad oggi

1985 - Privatizzazione
Liberalizzazione ed eliminazione dei sussidi incrociati
Dalla rete alle linee
Eliminazione delle autorità di programmazione del
servizio (PTA)
Rafforzamento norme anti-trust

2008 - Creazione delle Integrated


Transport Authorities. Concorrenza distruttiva
Quality Contracts Concentrazione del settore (fusioni e
(monopolio in cambio di miglioramenti acquisizioni)
nella qualità del servizio) Alti profitti e simultaneo declino dell’utenza
Maggiori poteri alle autorità locali per (sfruttamento degli utenti captives)
ricostruire la rete(fine del ciclo?)

2000 - Quality partnership volontarie


Allentamento delle norme antitrust e
attivazione di forme di networking
Maggiori responsabilità alle autorità
locali
(Local Transport Plan Regime)

5.5. Conclusioni

Negli anni Ottanta del secolo scorso in Gran Bretagna prevalse la convin-
zione che i problemi sorti nel passato per effetto del mercato e dell’iniziativa
privata non si sarebbero riproposti e che era giusto dare al mercato e alle im-
prese una nuova possibilità. All’irrealismo dell’espansione universale del
servizio di trasporto irrispettoso dei principi che danno alle aziende la possi-
bilità di continuare a vivere e all’opportunismo mostrato dalla politica e dei
sindacati, si oppose il realismo del meccanismo di mercato ed il pragmatismo
dell’imprenditore che offriva quanto il mercato richiedeva evitando sprechi
ed inefficienze. L’esperienza della Gran Bretagna mostra, però, come la
troppa attenzione al realismo politico, ad un’idea di servizio che faccia i conti
esclusivamente con l’esigenza di salvaguardare l’economicità aziendale ha
distolto l’attenzione da altre due fondamentali dimensione di analisi. La pri-

166
ma è quella dell’opportunismo degli operatori, i quali, per inseguire il profitto
hanno creato dei veri e propri monopoli peggiorando la qualità del servizio,
del network, del coordinamento. La seconda può essere considerata la causa
della prima, ossia la sopravvalutazione della forza delle imprese e della con-
correnza nel far crescere il mercato attraverso formule più innovative rispetto
a quelle offerte dal pubblico. In realtà le imprese non hanno tale forza. Da so-
le non ce la possono fare se non sono coadiuvate da scelte politiche che di-
sincentivino l’uso del mezzo privato. L’aver trascurato tali dimensioni è, in
parte, alla base dei risultati deludenti in termini di qualità del servizio e di
crescita dell’utenza. È più difficile sconfiggere l’irrealismo e l’opportunismo
se si parte da logiche di contrapposizione perché si rischia di rimanerne pri-
gionieri. La Germania (Buheler e Pucher, 2011), ad esempio, ha evitato la
contrapposizione stato-mercato e ha ridotto da sola gli sprechi, eliminato le
duplicazioni e reso più efficienti gli affidamenti diretti, trovando un accordo
con i lavoratori ed i sindacati, senza applicare “destabilizzanti” riforme mar-
ket-oriented come quelle applicate nelle aree metropolitane inglesi. Si veda al
riguardo la Tabella 3.

Tab. 3 – Sintesi delle misure prese dalla Germania per ridurre i costi ed incrementare
i ricavi del TPL evitando di ricorrere al mercato (Buheler, Pucher, 2011, p. 130)

Cost Reduction Measures


• Organizational restructuring
• Outsourcng to newly founded subsidiaries
• Cutting of employeee benefit
• Increased work hours
• Salary freezes and early retirement programs
• Cooperation agreements with other agencies to share employees, rolling stock, ad
facilities
• Cutting underutilized routes and shifting resources to ehe most profitable services
• Evaluating long term operating and maintenance costing resulting from any planned
investmenst.

Revenue enhancement measures


• Fare increases
• Regional coordination of timetables, fares and polcies in metropolitan areas
• Region-wide monthly or annual tickets that provide discounts compared to single trip
fares
• Full integration of public transport with walking and cycling
• Cost increases for automobile use
• Clustering of new development around transit stop.

L’esperienza della Gran Bretagna mostra, però, un percorso di graduale


distacco da logiche di contrapposizione e di alternanza stato-mercato nel

167
momento in cui alla rigida e dogmatica applicazione dei principi della con-
correnza si comincia a preferire il ricorso all’utilizzo di strumenti di coopera-
zione tra imprese ed autorità locali (Quality partnerships). Ciò a dimostra-
zione del fatto che l’autorità pubblica riacquista la consapevolezza che la for-
za necessaria a far crescere il mercato degli utenti è principalmente nelle sue
mani piuttosto che in quelle delle imprese. La riforma del 2008, nel prevede-
re come approdo finale l’utilizzo di Quality Contracts da parte di una autorità
pubblica rilegittimata (Integrated Transport Authority) e pronta ad assumersi
la responsabilità del servizio di trasporto avviando rapporti di collaborazione
con le imprese per sconfiggere la congestione e restituire, in tal modo, le città
ai cittadini, segna un importante punto di rottura rispetto alle logiche pure di
deregulation dell’epoca thatcheriana degli anni Ottanta.

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171
6. OLTRE LA DEREGULATION: RIVALUTARE
IL NETWORK PLANNING COME STRUMENTO
DI RIPOSIZIONAMENTO DEL SERVIZIO DI TPL∗

di Armando Della Porta e Antonio Gitto

6.1. Introduzione

Da anni ormai si discute della necessità di migliorare la qualità della vita


delle città attraverso un ridimensionamento del traffico privato e della conge-
stione (Goodwin, 1997; Vuchic, 1999; Katz, Puentes, 2005). I cittadini si in-
terrogano sulle ragioni per le quali in Italia non si possa avere un trasporto
pubblico di qualità comparabile a quella osservata in altri paesi (Censis,
2010). Gli studiosi, specialmente gli economisti, spostano l’attenzione sul li-
vello gestionale, sulla riduzione dei costi del monopolio pubblico,
sull’introduzione di meccanismi concorrenziali, sull’ingresso dei privati e sul
loro “fiuto” imprenditoriale per recuperare sia l’efficienza che la qualità del
servizio (Hibbs, 2000; Boitani, Cambini, 2004; Ponti, 2006; Yvrande-Billon,
2006). Considerano il TPL non come un investimento strategico ma come un
costo da ridurre (Sclar, 2000). Il tema del miglioramento della qualità dei
servizi pubblici è, però, un tema complesso che va oltre l’assetto proprietario
e le logiche concorrenziali. La letteratura generale sul miglioramento dei ser-
vizi pubblici (Boyne, 2003; Pollitt Bouckaert, 2000) suggerisce, infatti, che la
qualità degli stessi dipende da quali obiettivi si intendono perseguire e, alla
luce di questi, da quali leve si intendono azionare. E infine, sottolinea che
non esistono ricette “stabili” nel tempo e che occorre una continua e respon-
sabile sperimentazione. Nel caso dei trasporti pubblici il concetto che gli stu-
diosi utilizzano per sintetizzare l’allineamento tra obiettivi e leve è quello più
ampio di “forma organizzativa” del servizio (Van de velde, 1999). È la forma


Pur essendo il lavoro da intendersi unitario e non divisibile, poiché frutto del comune
agire degli Autori, i paragrafi 6.1 e 6.2 sono stati predisposti da Antonio Gitto, mentre i pa-
ragrafi 6.3 e 6.4 da Armando Della Porta.

172
organizzativa del servizio il riferimento più appropriato ad esprimere quel
mix di componenti (mercato, gerarchia, network) necessario per arrestare il
declino del TPL ed ottenere risultati accettabili sia dal punto di vista
dell’efficienza che da quello della qualità (Gwilliam, 2008). Le numerose ri-
forme del TPL testimoniano principalmente l’esigenza di sperimentare, di
ricercare una forma organizzativa più soddisfacente del monopolio pubblico
e della libera concorrenza tra privati, attraverso un attento “dosaggio” delle
varie componenti pubbliche e private, senza pregiudizi ideologici di sorta
(Borgonovi, Mussari, 2011). A differenza di quello che accade in Italia dove
la riforma del TPL si è arenata per i motivi ampiamente discussi nei prece-
denti capitoli (Boitani, Cambini, 2004; Ponti, 2006; Popoli, Botti, 2007), nei
paesi (non solo europei) dove il problema del miglioramento del servizio di
TPL è avvertito come prioritario, tale sperimentazione continua (Sorensen,
Longva, 2011; Van de Velde, Wallis, 2013) e non è vissuta in modo così
drammatico come da noi. In tal senso sono cominciate ad emergere anche al-
cune best practices (Sargiacomo, 2005) che hanno saputo coniugare pubblico
e privato, efficienza e qualità evitando sterili contrapposizioni (Borgonovi,
Mussari, 2011). L’elemento che hanno in comune è dato dalla rivalutazione
del planning, della coordinazione ed integrazione del servizio (Thompson,
1977; Pucher, 1996; Nash, Sylvia, 2001; Nielsen, 2005; Thompson et al.,
2006; Gilbert, 2008; Barter, 2008; Mees, 2010) dopo anni di denuncia di
inefficienza del monopolio pubblico (Lave, 1991) e di esaltazione
dell’innovazione attesa dall’introduzione delle logiche di privatizzazione e di
liberalizzazione (Hibbs 2000, 2009). Tali best practices sono variamente de-
nominate in letteratura. Barter (2008) utilizza l’espressione Proactive Plan-
ning with Business Delivery, Mees (2010) quella di Network Planning,
Brown e Thompson (2008) preferiscono, invece, denominare tale soluzione
come Multidestination Approach.
Il presente capitolo si pone, pertanto, l’obiettivo di descrivere tali “best
practices”, che hanno provato a rivalutare il planning pubblico al posto della
liberalizzazione. Prima di esaminarle discuteremo criticamente nel prossimo
paragrafo la tesi della cosiddetta inevitabilità del declino del TPL che è alla
base delle logiche di privatizzazione e liberalizzazione del servizio di TPL.

6.2. La tesi dell’inevitabilità del declino del TPL e le sue conse-


guenze

Il declino del TPL si inserisce indubbiamente nell’ambito della più ge-


nerale crisi del welfare state che, a partire dagli anni Ottanta, ha caratteriz-

173
zato i paesi occidentali costringendoli a migliorare i servizi pubblici con
minori risorse disponibili (Moore, 2003).
La tesi principale che ha avviato i processi di efficientamento del settore
afferma che a fronte del calo degli utenti del TPL per effetto di mutate condi-
zioni esterne favorevoli all’auto privata, non avrebbe fatto seguito una logica
contrazione e/o razionalizzazione dell’offerta del servizio (Lave, 1991;
Hibbs, 2000, 2009). Il settore del TPL soffrirebbe, pertanto, di un eccesso di
capacità non necessaria rispetto alla domanda. Di qui l’esigenza di lasciare
più spazio a meccanismi di mercato per riallineare la domanda e l’offerta, per
ridurre il peso della sussidiazione pubblica e per porre un freno al declino
dell’efficienza e della produttività delle aziende pubbliche di TPL che ne
avrebbero approfittato “catturando” i regolatori (Golinelli, 1986; Ponti,
2006). Come in una reazione a catena, fattori esterni sfavorevoli quali
l’incremento dell’auto privata, la suburbanizzazione delle città, lo svuota-
mento dei centri urbani e la riduzione delle densità abitative e lavorative,
avrebbero contribuito, nel corso del tempo, oltre che a ridurne la domanda,
ad innalzare vere e proprie barriere, culturali e sociali nei confronti del servi-
zio di TPL culminate, appunto, nella tesi dominante dell’inevitabilità del de-
clino del servizio, dell’inutilità e, soprattutto, dell’onerosità della sua pro-
grammazione e gestione da parte del soggetto pubblico e dell’imperativo del
suo ridimensionamento da raggiungere tramite l’adozione di logiche di priva-
tizzazione e liberalizzazione (Taylor et al., 2009).
In generale le barriere sono credenze, convinzioni che, modellando il
comportamento delle istituzioni e delle persone, ne fondano l’attività deci-
sionale. Alcuni autori (Low, Glees, Rush, 2003) individuano due macro ti-
pologie di barriere (Institutional e discursive barriers) allo sviluppo di poli-
tiche di trasporto attive, in grado, cioè, di riposizionarlo piuttosto che ridi-
mensionarlo (cosiddette politiche di trasporto sostenibile) e sottolineano
che tali barriere generano regole e routines fondative dell’attività decisiona-
le. Le barriere istituzionali fanno riferimento principalmente agli aspetti so-
ciali, ovvero ai modi con i quali il trasporto pubblico viene percepito e va-
lutato dalla società nel suo complesso. Le barriere discorsive sono rappre-
sentate da ideologie, da miti e da credenze che si sono tradotte in giustifica-
zioni adottate dalle istituzioni per deliberare in materia di trasporto. Ad
alimentare tali barriere istituzionali e discorsive abbiamo, infine, quei cam-
biamenti esterni cui prima abbiamo fatto cenno che la teoria economica
considera come fattori critici di successo del servizio di TPL, ovvero quelli
da cui dipende, in definitiva, la domanda da parte degli utenti (Taylor et al.,
2009). Tali barriere, naturalmente, sono tra di loro interdipendenti e si raf-
forzano a vicenda. Esaminiamole brevemente.

174
6.2.1. Il TPL come servizio sociale

L’idea che, per effetto delle mutate condizioni ambientali, il TPL rap-
presenti un servizio sociale ad uso esclusivo di coloro che non possono
permettersi l’auto, ridimensiona notevolmente le sue ambizioni di investi-
mento necessario a rendere il territorio più attrattivo.
Infatti, l’immagine che il trasporto pubblico ha sulla società non è certo
tra le migliori. Negli USA, ad esempio, a differenza dell’Europa, il traspor-
to pubblico viene percepito, quasi esclusivamente, come uno strumento di
welfare rivolto a coloro che si trovano in condizioni di disagio, un bene in-
feriore di cui si farebbe volentieri a meno se ce ne fosse la possibilità
(Bottles, 1987)1.
Tale percezione costituisce una barriera evidente al miglioramento per-
ché relega lo stesso in una nicchia che riguarda la popolazione più povera
ed alimenta forti resistenze da parte della popolazione più agiata che vive
nei ricchi sobborghi e che non vuole collegamenti con il centro dove vivo-
no i meno fortunati (es. Beverly Hills che non vuole collegamenti con Los
Angeles)2.
Sono gli utenti stessi ad opporsi al potenziamento del trasporto pubblico
ed alla sua diffusione nei ricchi quartieri suburbani per proteggere status
sociale e sicurezza. La sicurezza è uno dei principali fattori frenanti perché,
le metropolitane e i treni sono diventati, in alcune realtà, il riparo perma-
nente di senzatetto e emarginati. Ciò riduce fortemente il loro appeal e di-
sincentiva le autorità stesse dall’intraprendere progetti di miglioramento.
Oltre alla contrapposizione ricchi/poveri esiste anche un’altra, più profon-
da, contrapposizione che chiama in causa la questione razziale ancora mol-
to avvertita negli USA3.
Superare tale barriera sociale, fare uscire il servizio di trasporto pubbli-
co dalle nicchie del welfare che si presentano in modi e forme diverse, sicu-
ramente meno eclatanti di quelle appena descritte, ma non per questo meno
incisive, non è affatto facile.

1
Ciò traspare dalla seguente frase di George Bush: «What will I do for public transport?
I will improve the economy so you can find good enough work to be able to afford a car».
2
A tal proposito in un articolo dell’8 maggio 2008 dal titolo America’s Public Tran-
sportation Failure, Ari Rutemberg, un giornalista del sito The Daily Banter, scriveva: «In
Los Angeles, for example, there is a clean, efficient new metro. However it does not serve
80% of the metropolitan area, and so its use is limited. Instead of allowing Beverly Hills to
interfere with expansion of the metro, the needs of the other 20 million residents of Southern
California should outweigh those of the 40,000 in Beverly Hills».
3
«Racial Fears still hinder mass transit» titolava l’Atlanta Journal del 14 luglio 1999.

175
6.2.2. La superiorità dell’auto

Le politiche del trasporto pubblico non sono state indebolite dalla forza
delle lobbies dei petrolieri, dei costruttori di automobili e di strade contro la
volontà dei cittadini e della società. La centralità dell’auto privata nella nostra
società non è il frutto di un complotto4, ma la realizzazione di un’intima aspi-
razione alla libertà da parte della società stessa e la premessa del suo svilup-
po. Di conseguenza la promozione, la costruzione e l’espansione delle infra-
strutture stradali rispetto al potenziamento di reti di trasporto pubblico non
sono altro che la logica conseguenza di tale aspirazione. Il trasporto pubblico
deve prendere atto del suo inevitabile declino, ritirarsi nelle nicchie sociali
che ne rappresentano l’unica giustificazione e liberare risorse per la costru-
zione di infrastrutture stradali.
Matthews e Imran (2010) analizzando le delibere relative alla pianifica-
zione del territorio ed alla costruzione delle infrastrutture di trasporto della
città di Auckland (Australia) hanno rilevato quattro differenti tipologie di
giustificazioni utilizzate per privilegiare la costruzione di strade rispetto al
potenziamento del trasporto pubblico5: maggiore sviluppo economico,
maggiore mobilità, maggiore sicurezza, maggiore vicinanza alle preferenze
degli utenti.
1) Sviluppo economico. L’argomento secondo il quale la costruzione delle
strade rappresenterebbe un prerequisito indispensabile per lo sviluppo e
la crescita dell’industria e per il movimento delle merci e dei passeggeri
comincia ad apparire nei documenti di pianificazione dei trasporti nel
1965. Tale giustificazione è stata riutilizzata nel 1983 e nel 1986 per un
secondo round di espansione della rete stradale. Nel 2007 e 2008 si uti-
lizza, infine, l’argomento dell’accresciuto traffico di merci su strada per
giustificare la necessità di incrementare la rete stradale stessa.
2) Maggiore mobilità per gli utenti. L’argomento della maggiore mobilità
consentita dalle strade si appoggia sulla debolezza della rete tramviaria e

4
L’idea del complotto è stata ripresa da Steven Spielberg e Robert Zemeckis nel film
Chi ha incastrato Roger Rabbit? basandosi sulla condanna inflitta alla General Motors per
abuso di posizione dominante in merito allo smantellamento della rete tramviaria di Los
Angeles e la sua sostituzione con autobus prodotti dalla General Motors stessa. Di qui l’idea
del complotto (The GM Conspiracy) contro il trasporto pubblico attraverso l’eliminazione
della sede dedicata che avevano i tram per far spazio ai bus, ma soprattutto alle auto che ne
venivano ostacolate.
5
MATTHEWS L., IMRAN M., Discoursive barriers to sustainable urban transport in Auck-
land, paper presented at the International Planning Conference, Planning Pathways to the
Future, Christchurch Convention Center, New Zealand, 2010.

176
sulla necessità di smantellarla. Poiché quest’ultima non è in grado di
competere con la velocità e flessibilità dei mezzi privati ne segue che la
soluzione di trasporto pubblico più idonea è quella dei bus e non invece,
quella dei tram su sede fissa. Lo smantellamento della modalità ferro-
tranviaria in Auckland a favore dei bus, a sua volta, viene addotto come
giustificazione per espandere ulteriormente la rete stradale per consenti-
re ai bus una maggiore copertura del territorio.
3) Maggiore sicurezza. Tale argomento è utilizzato in modo sottile nei do-
cumenti di pianificazione del 1965, del 1983 e del 1986 dove si afferma
che la costruzione di strade migliora la sicurezza in quanto un network
stradale potenziato rende più facili, lineari, veloci (e quindi sicuri) i colle-
gamenti. Ciò si rende necessario perché i cittadini di Auckland non riten-
gono ancora sufficientemente sicuri i modi alternativi di spostamento co-
me l’andare a piedi, in bicicletta o utilizzare i mezzi pubblici. Nel 2003 si
lega la sicurezza alla costruzione di nuove strade con l’argomento secon-
do cui incrementando l’offerta stradale si sarebbe ridotta la congestione
nella città e, quindi, la concentrazione di polveri sottili a tutto vantaggio
della salute pubblica. Nei piani del 2006, del 2007 e del 2008, infine,
l’ultimo argomento addotto per raddoppiare o triplicare le corsie è che tale
soluzione avrebbe aumentato la sicurezza impedendo ai guidatori di fare
sorpassi azzardati per placare la frustrazione dell’attesa derivata dalla ri-
dotta portata della strada.
4) Maggiore vicinanza alle preferenze degli utenti. Si costruiscono le stra-
de perché è ciò che il pubblico vuole, appare come giustificazione nei
piani del 1955. Nel 1965 la si riutilizza per richiedere un ampliamento
della rete stradale. Nel 1983 si giustifica la costruzione di strade sulla
base del fatto che le persone amano spostarsi con la propria auto e non
con i mezzi pubblici e che, quindi, hanno bisogno di strade e parcheggi.
Nei documenti del 2008 e del 2009 infine, si afferma che i progetti di
trasporto sostenibile potranno essere attivati solo se esiste una chiara e
forte manifestazione di volontà in tal senso da parte dei cittadini.
Appare evidente come il destinatario principale di tali deliberazioni sia
l’utente/automobilista6. Appare, inoltre, evidente il disimpegno delle istitu-
6
«Anche la classifica delle ragioni del mancato utilizzo è rimasta pressoché costante
nell’ultimo triennio. Emerge con percentuale più elevata (34,8%) ed invariata rispetto al 2007
(34,9%) la questione dell’assenza di collegamenti diretti e di coincidenze non buone; a seguire,
in netta crescita rispetto a 3 anni fa, lo scarso comfort del viaggio (+ 10% rispetto al 2007).
Diminuisce ulteriormente la percentuale di chi ritiene il mezzo pubblico un’alternativa
non valida in termini di economicità e risparmio (-1,5% nel 2010 rispetto al 2007); diminui-
sce nettamente, invece, la motivazione legata alla fermata distante dall’abitazione e/o dalla

177
zioni nei confronti del trasporto pubblico e la prosecuzione della politica
del Predict e Provide (Owens, 2008), ovvero della passiva costruzione di
strade di fronte alla previsione di aumentati flussi di traffico, fondata sulle
ragioni della crescita, rispetto ad una più attiva e responsabile politica del
Predict e Prevent, volta a ridurre le esternalità negative e fondata sulle ra-
gioni della sostenibilità. Gli effetti provocati dalla credenza della superiori-
tà e desiderabilità sociale dell’auto rispetto al trasporto pubblico incidono
anche sulle forme organizzative assunte dagli enti che governano il traspor-
to. Low e Astle (2009) ce ne danno una dimostrazione fornendo un reso-
conto delle trasformazioni organizzative avvenute a Melbourne, rispettiva-
mente, nelle istituzioni preposte alla regolazione e gestione delle strade e
del traffico ed in quelle preposte alla regolazione e gestione del trasporto
pubblico.
Le prime si sono progressivamente consolidate e potenziate, assorbendo
funzioni svolte precedentemente, in modo separato, da enti differenti.
Le seconde, dopo un precedente accorpamento, si sono “disintegrate” e
“frammentate” soprattutto per effetto dei processi di privatizzazione e di
liberalizzazione, privilegiando anche qui l’efficienza al coordinamento e
all’integrazione.
Nel caso del trasporto pubblico, al contrario, dopo una iniziale concen-
trazione delle competenze sui tram, sui treni (passeggeri e merci) in una
singola agenzia la PTC, Public Transport Corporation, nel 1993, in occa-
sione della privatizzazione imminente, le sezioni operative della PTC furo-
no riorganizzate in distinte business units, ripristinando la precedente divi-
sione modale tra treni e tram (i bus erano già stati privatizzati e quindi,
scorporati) e annullando tutti i benefici di integrazione delle competenze
che gradualmente cominciavano a manifestarsi. Fu creata una divisione, la
PTD, Public Transport Division, per predisporre i contratti di servizio con i
gestori privati, monitorare la performance e pianificare l’integrazione ma
senza averne, però, le necessarie competenze. I risultati sono stati negativi
sia in termini economici che di servizio. Con ciò non vogliamo affermare
che il privato non possa avere un ruolo nel TPL. Come vedremo successi-
vamente il problema è capire quale sia quello più appropriato.

sede di lavoro/studio (23,7% nel 2007, 15,2% nel 2010)». CENSIS, Sintesi stampa del rap-
porto XVIII ACI-Censis 2010.

178
6.2.3. La dipendenza da fattori esterni e l’”utopia” dell’integrazione

Con la cosiddetta utopia dell’integrazione (Hibbs, 2000) si tende, infine, a


ribadire che la domanda di TPL dipende non tanto dall’abilità dei planners di
offrire un servizio coordinato ed integrato di alta qualità, ma da fattori esterni
e da politiche (impopolari) dissuasive del traffico e che, di conseguenza, in
assenza di queste ultime ed in assenza di istituzioni “sincronizzate” e di cam-
biamenti culturali da parte degli utenti le politiche di integrazione e di coor-
dinamento sono di difficile attuazione e generano solo costi. Qualificare
l’integrazione come un’utopia porta, in definitiva, ad un’accettazione quasi
incondizionata del paradigma classico settoriale (Bain, 1968) Struttura-
Performance che descrive il settore del TPL quasi in completa dipendenza
dei fattori esterni (determinismo settoriale) con ridotte o eccessivamente co-
stose possibilità di migliorarne la qualità e di incidere sulla domanda, se non
in modo indiretto con impopolari leggi dissuasive (ZTL, blocco della circola-
zione, targhe alterne, congestion tax, mobility management, compact cities
ecc.). “L’unica” possibilità interna concessa rimane quella di agire
sull’efficienza e di ridurre i costi di produzione del servizio con il ricorso, ad
esempio, a forme di concorrenza nel e per il mercato (TCRP, 1998)7. Per il
resto è molto difficile stimolare la domanda in modo diretto facendo ricorso
alla leva manageriale ed organizzativa del servizio (coordinamento ed inte-
grazione) (Savage, 2004; Taylor et al., 2009).
La conseguenza più evidente che emerge da questa impostazione è che
la domanda e l’offerta appaiono separate: la prima dipende soprattutto dalla
presenza di fattori favorevoli esterni (elevate densità abitative e lavorative,
bassi redditi pro-capite, misure restrittive contro la congestione) più che
dalla bravura degli operatori, siano essi privati o pubblici. Quest’ultima è,
invece, richiesta per controllare l’efficienza. È soprattutto dall’abilità ma-
nageriale degli operatori e dalla fermezza dei regolatori8 nel tenere sotto
7
Uno studio del Transit Research Board ribadiva, infatti, che (p. 1): «External forces
continue to have a potentially greater effect on ridership than system and service design ini-
tiatives. The most important of these external factors during 1994 through 1996 have been: –
the resurgence of local and regional economies, which has spurred ridership growth; – re-
ductions in federal transit operating assistance, which have suppressed ridership growth, and
integration of public transportation with other public policy initiatives and program areas
(welfare-to-work, education, and social service delivery) which has spurred ridership and
eased some funding constraints».
8
Secondo questa tesi i deficit elevati delle aziende del TPL dipenderebbero, quindi, più dagli
elevati costi di gestione determinati da fattori sfavorevoli esterni che dall’incapacità/opportunismo
degli operatori di generare nuovi ricavi ed incrementare la quota di mercato rendendo più attratti-
vo per la collettività il servizio. Si veda SAVAGE (2004).

179
controllo la dinamica dei costi e dei sussidi che dipende, in definitiva, la
continuità del servizio. In assenza di condizioni esterne favorevoli, gli inve-
stimenti nella qualità del TPL non sarebbero giustificati e, soprattutto, non
avrebbero ritorni.
Ciò costituisce una ulteriore barriera, rispetto a quelle appena discusse,
in due sensi. In primo luogo, perché alimenta un atteggiamento passivo, ri-
nunciatario9 (Ravazzi et al., 2006) e per certi versi di sfiducia da parte delle
istituzioni pubbliche che non credono realmente che investimenti pubblici
in sistemi di trasporto di migliore qualità (integrati e coordinati) possano
influenzare la domanda (sfiducia nella leva della qualità) e dissuadere, così,
i cittadini dall’uso dell’auto. In secondo luogo, perché rafforzano la con-
vinzione che il privato, poiché rischia capitale proprio, sia più incentivato
rispetto al soggetto pubblico ad individuare e a sfruttare le potenzialità esi-
stenti nello specifico contesto territoriale, con costi notevolmente più bassi.

6.3. Rivalutare il ruolo della pianificazione integrata come stru-


mento per riposizionare il servizio di trasporto pubblico lo-
cale

Non si può negare che i fattori esterni (Savage, 2004; Taylor et al., 2009)
incidano in maniera significativa sulla domanda di servizio così come le poli-
tiche restrittive all’uso dell’auto, ma questo argomento non può essere usato
strumentalmente per impedire o sperimentare miglioramenti organizzativi e
gestionali del servizio o, peggio, relegarli alla sola sfera dell’efficienza e non,
invece, anche a quella della qualità (Thompson, 1977). Numerosi studi con-
dotti negli ultimi anni hanno cominciato a mettere in discussione la tesi do-
minante dell’inevitabilità del declino del servizio, della sua ritirata nelle nic-
chie del welfare e del bisogno impellente di recuperare solo l’efficienza dan-
do priorità a meccanismi di mercato (Thompson, 1977; Thompson e Brown,
1986; Pucher, 1996; Nash e Sylvia, 2001; Thompson e Matoff, 2003;
O’Sullivan e Patel, 2004; Nielsen, 2005; Thompson et al., 2006; Gilbert,
2008; Barter, 2008; Brown e Thompson, 2008; Mees, 2000, 2010; Sorensen

9
Ciò vale in parte anche per i cittadini che non credono realmente che il trasporto pub-
blico possa risolvere i loro problemi di mobilità. Sono stati svolti interessanti esperimenti
sociali sul tema in Italia utilizzando il metodo delle giurie di cittadini a Torino e Bologna
principalmente. Gli esiti sono stati minimi. I cambiamenti proposti sono stati trascurabili. Il
primo fattore inibitorio è stato quello del budget disponibile. Con cifre irrisorie i cittadini
hanno, di fatto, semplicemente preso atto della situazione.

180
e Longva, 2011). La premessa da cui tali studi partono è che l’essenza del
servizio di trasporto pubblico è riflessa nel suo nome, ovvero trasportare per-
sone, con differenti origini e differenti destinazioni, insieme nello stesso vei-
colo (Mees, 2010). È il modo migliore per utilizzare la strada e per ridurre i
costi ambientali. È questo il suo punto di forza ma, allo stesso tempo, è il suo
punto di debolezza nel momento in cui le persone non condividono più le
stesse origini e le stesse destinazioni. Ed è ciò che è accaduto per effetto della
suburbanizzazione delle città, della modificazione degli stili di vita e
dell’incremento del possesso di auto di proprietà (Bottles, 1987; Katz e Puen-
tes, 2005). Da questa prospettiva, il declino del trasporto pubblico locale non
deve essere letto, come visto in precedenza, solo come un fatto inevitabile,
causato da circostanze esterne di cui non si vuole prendere atto, ma anche
come l’effetto della rinuncia/incapacità, per una serie di motivi, a pianificare
un servizio in grado di far fronte alla moltiplicazione delle origini e delle de-
stinazioni dei viaggi da parte delle persone (Thompson, 1977; Thompson e
Matoff, 2003). Pianificare un servizio di TPL significa, in primis, risolvere
problemi di efficacia e non solo di efficienza, di riposizionamento più che di
ridimensionamento (Boyne, 2004). Significa focalizzare l’attenzione sui bi-
sogni di mobilità e di accessibilità delle persone con riferimento ad una data
area piuttosto che a una singola origine ed una singola destinazione. Rivalu-
tare il ruolo della pianificazione del servizio come leva per incrementare la
domanda significa ripartire da quella che all’inizio del paragrafo abbiamo de-
finito l’essenza del servizio: ovvero trasportare in un unico mezzo persone
con origini e destinazioni differenti. Interpretare il declino del TPL come in-
capacità di innovare l’organizzazione del servizio significa, sostanzialmente,
avere utilizzato in modo passivo il marketing per segmentare i bisogni di
mobilità e accessibilità di specifici clienti, trascurando quelli più generali del-
le persone che si muovono su una determinata area (Thompson, 1977; Mees,
2010). Le esigenze e i comportamenti di mobilità degli individui sono, infatti,
cambiati nel corso degli anni. È aumentato considerevolmente l’uso del mez-
zo privato a scapito del mezzo pubblico per effetto della moltiplicazione delle
origini e delle destinazioni derivanti da scelte localizzative che hanno privile-
giato il decentramento territoriale rispetto alla concentrazione (compact city).
Se le scelte di mobilità delle persone sono cambiate ciò vuol dire che
possono cambiare (Goodwin, 1997).
Il servizio di Trasporto pubblico locale, invece, non è affatto cambiato.
È rimasto sostanzialmente legato ad una concezione focalizzata sul pendo-
larismo nelle ore di punta e sulla concentrazione nelle aree più densamente
popolate lasciando scoperte aree suburbane ed esigenze di mobilità nuove

181
(svago, shopping, turismo) (Thompson e Matoff, 2003; Brown e Thomp-
son, 2008; Mees, 2010).
Più in generale, ad essere messo in discussione è il modello di pianifica-
zione del servizio che non si sarebbe adeguato a tali nuovi bisogni di mobi-
lità ma sarebbe rimasto prigioniero di una visione non più valida, quella di
concepire il servizio di trasporto in senso radiale, come un servizio che
dall’esterno deve portare l’utente al centro della città e viceversa, solo in
determinati momenti della giornata. Tale modello, cosiddetto Central Busi-
ness District-oriented (Brown e Thompson, 2008) secondo la visione tradi-
zionale sarebbe quello più efficace ad esprimere la domanda di mobilità
trovando anche supporto empirico (Mierzejewski e Ball, 1990). La caduta
della domanda sarebbe, pertanto, da attribuire all’indebolimento del centro
urbano, alla perdita di posti di lavoro che ivi si svolgevano e al declino del-
le residenze. Gomez-Ibanez (1996) trovò che ad una perdita dell’1% nei
posti di lavoro al centro corrispondeva un declino tra l,24% e l’1,75% dei
passeggeri, a parità di altre condizioni. Studi più recenti hanno però comin-
ciato a mettere in discussione tale modello. Brown e Thompson (2006) non
hanno trovato una relazione così forte tra forza attrattiva del centro urbano
e intensità della domanda. Piuttosto hanno individuato una correlazione tra
caratteristiche del servizio (tariffe, frequenze) e domanda. I fattori esterni al
controllo manageriale, rimangono sempre importanti (Savage, 2004; Taylor
et al., 2009), ma quelli interni, legati all’organizzazione del servizio comin-
ciano ad acquisire una certa rilevanza che non va sottovalutata (Thompson
e Matoff, 2003). Le tariffe e la qualità del servizio (frequenze, accessibilità,
puntualità, affidabilità, stabilità) cominciano ad assumere rilievo (Thomp-
son e Brown, 2006; Mees, 2000, 2010; Barter, 2008). In altri termini, torna
ad assumere rilevanza e a trovare prime evidenze empiriche l’idea che una
buona pianificazione del servizio (nel senso di integrato e coordinato), in
date circostanze, possa contrastare efficacemente i fattori esterni sfavorevo-
li. In tal senso pianificare un servizio di TPL che abbia l’ambizione di in-
crementare il numero di utenti, (il cosiddetto obiettivo di patronage (Wal-
ker, 2008) significa creare una rete integrata (di metro, tram e bus) che con-
senta a tutti gli utenti di accedere con minimi costi di trasferimento da una
modalità all’altra a tutte le potenziali destinazioni presenti nell’area durante
tutta la giornata (Multidestination Approach, Network Planning model,
Proactive Planning with Business Delivery) (Brown e Thompson, 2008;
Barter, 2008; Mees, 2000, 2010). Nel passato la logica radiale di conver-
genza verso il centro della città intercettava la stragrande maggioranza dei
bisogni di mobilità. Oggi non è più valida perché la mobilità è cambiata,
non ha più un solo centro di attrazione ma innumerevoli, sparsi su un terri-

182
torio metropolitano più ampio. Il tema non è certo nuovo. È stato già am-
piamente discusso in letteratura (Thompson, 1977), ma poi accantonato per
far posto alle logiche concorrenziali e all’urgenza di recuperare efficienza e
produttività (Hibbs, 2000). Da questo angolo visuale, il declino del TPL
può essere interpretato, piuttosto, come l’esito della rinuncia a sperimentare
un’innovazione organizzativa (Marletto, 2004) potenzialmente in grado di
creare valore pubblico (Moore, 2003), come l’esito della resa di fronte alla
presunta superiorità del mezzo privato. Le conseguenze odierne di questa
scelta sono note: disintegrazione del servizio, drastico calo della quota di
mercato (ritirata nelle nicchie sociali), incremento esponenziale dei deficit
degli operatori. Nella Tabella 1 Mees mette a confronto i due modelli di
servizio, uno cosiddetto demand-oriented e uno supply-oriented.
Tab. 1 – TPL: un confronto tra modelli demand-oriented e supply-oriented

Demand-Oriented Supply-Oriented
Bangkok Model Zurich Model
Il modo ideale di L’auto. Il TPL, negli spazi rimastigli, deve Tram, bus, biciclette, andare a piedi. Il TPL
trasporto assomigliarle il più possibile. deve integrarsi e sfruttarne le sinergie.
Domanda e offerta Domanda crea offerta. Deregulation e Offerta crea domanda. Centralità del planning
Concorrenza. I servizi di TPL devono pubblico.
essere differenziati per segmenti. Le Standardizzazione e semplificazione dei servizi
imprese sanno cogliere meglio tali di TPL. Modello ideale: la chiarezza delle
bisogni differenti. mappe stradali. L’utente costruisce in
autonomia il suo percorso.
Ruolo del TPL Può competere solo per viaggi da e Un TPL integrato e coordinato può competere
verso il centro e solo in poche aree con l’auto per qualsiasi tipo di viaggio e non
densamente popolate. L’auto provvede al solo in aree densamente popolate.
resto.
Dimensioni dei Minima per consentire flessibilità e Veicoli di grandi dimensioni su sede dedicata
veicoli del TPL ridurre i costi del sottoutilizzo. Minibus. (corsie preferenziali) gestiti in modo stabile.
Copertura del Vuoti di copertura sono inevitabili. Massima attenzione alla copertura del territorio
territorio con la creazione di un network integrato.
Linee e modi È corretto operare con linee parallele e Le linee parallele sono duplicazioni e quindi
paralleli mettere in competizione sulla stessa sprechi. Treni e bus hanno ruoli diversi e
linea treni e bus. Non sono duplicazioni devono operare su linee separate ma integrate.
ma servizi differenti per utenti differenti.
Caratteristiche Enfasi sulla fornitura del servizio nelle Alte frequenze per la maggior parte delle ore
principali del ore di punta. Gli orari di servizio devono del giorno, della settimana e dell’anno. Non è
servizio di TPL essere calibrati sugli orari di lavoro. I solo il luogo di lavoro a generare domanda. Non
principali generatori di domanda sono i si possono ignorare altre esigenze di mobilità.
luoghi di lavoro.
(continua)

183
(segue)
Interscambi Progettare pochi grandi nodi di interscambio (es. Progettare il più alto numero possibile di piccoli
park and ride) con navette frequenti da e verso il nodi di interscambio con car and bike parking.
centro.
Marketing Enfatizzare la differenza di servizio di TPL Promuovere la rete integrata e non i singoli
offerta dai singoli operatori ai singoli segmenti di operatori o segmenti. Gli operatori non sono i
mercato. Gli operatori ed il loro nome vengono protagonisti ma gli esecutori di un disegno. Il
prima, garantiscono la qualità e l’affidabilità del valore è nel disegno integrato.
servizio.
Informazione L’informazione è specializzata per segmenti ed L’informazione enfatizza i servizi e la copertura
aree. di una vasta area territoriale enfatizzando tutti i
collegamenti disponibili tra i differenti segmenti
di viaggio
Tariffe Singolarmente fissate dagli operatori in un Tariffe integrate per muoversi in un territorio a
regime di concorrenza per segmenti di viaggio. prescindere dal numero di trasferimenti
effettuati tra modi o gestori diversi.

Fonte: adattato da MEES, 2000

L’aver rinunciato a stimolare la domanda con una superiore concezione


del servizio (Barter, 2008; Mees, 2010), principalmente a causa delle bar-
riere discusse in precedenza, e l’aver perseguito strategie passive di adatta-
mento, di mera gestione del declino, ha accelerato la marginalità del TPL.
In altri termini, più il TPL ha cercato di capire quali erano i segmenti la-
sciati scoperti dall’auto fornendo servizi a misura di cliente, più ha perso
clienti perché da questo punto di vista ben pochi sono gli spazi che l’auto
può lasciare al TPL. Gli studiosi di transport management and planning
(Mees, 2000, 2010; Brown e Thompson, 2008; Nielsen, 2005) cominciano
a essere consapevoli dei problemi creati da approcci ispirati alla differen-
ziazione, fatti a misura di cliente (tailor made) rispetto ad approcci capaci
di soddisfare esigenze più ampie ed indifferenziate di mobilità sul territorio
(ready made) e, quindi, dei difetti di un demand approach al TPL. Mees
(2000) illustra sinteticamente nella tabella 1 le differenze tra un modello
orientato alla domanda ed uno orientato all’offerta.
L’idea principale che c’è dietro i modelli supply-oriented è che un si-
stema di trasporto integrato induce le persone ad utilizzare meglio i limitati
spazi disponibili (strade). Goodwin (1997) rende con estrema chiarezza il
punto quando afferma, in modo paradossale, che per andare più veloci oc-
corre che tutti utilizzino il mezzo più lento (il mezzo pubblico) accettando i
trasferimenti (ready made service) da un nodo ad un altro. Da questa pro-
spettiva, il peggioramento dell’economicità delle aziende di trasporto nel
corso degli anni appare anche come la conseguenza derivante dal disimpe-
gno a progettare un servizio di trasporto innovativo in grado di rispondere

184
ai mutati bisogni di mobilità. Ciò perché non si è creduto nel ruolo svolto
da una regia pubblica (Barter, 2008) e nel valore di una pianificazione inte-
grata e coordinata del servizio (Hibbs, 2000). Di conseguenza, il TPL è sta-
to costretto a ridurre le sue ambizioni strategiche e si è dovuto rifugiare in
una nicchia sociale, finendo con il trovare in questa la ragione principale
della sua esistenza. Ha perso così la sua essenza di servizio di trasporto col-
lettivo, si è disintegrato come rete ed ha finito con il soccombere di fronte
alla superiorità dell’auto privata10. Sono rimaste solo le aziende di TPL,
scollegate tra di loro e considerate nella loro singolarità e nelle loro nicchie
sociali, ridotte, utilizzando una felice espressione di Meyer e Zucker
(1989), allo stato di Permanently Failing Organizations, in perenne biso-
gno di contribuzione pubblica per coprire i crescenti costi di gestione.
Per rispondere in modo più efficace ai nuovi bisogni di mobilità nume-
rosi studiosi, come visto, hanno cominciato a rivalutare il ruolo della piani-
ficazione del servizio nel ridurre le esternalità negative e nel migliorare
l’economicità dello stesso (Barter, 2008; Mees, 2010) e non solo, come af-
fermato dai detrattori (Hibbs, 2000), per consentire ulteriori posizioni di
rendita alla politica. Un esempio (rielaborato e adattato da Mees, 2010) ser-
virà a chiarire meglio le potenzialità di una rete integrata.

Fig. 1 Fig. 2
a b c d e aa bb cc dd ee

10
“Nonostante il ricorso a bus e metro sia notevolmente incrementato, permane una per-
centuale molto alta (49,8% in crescita rispetto al 44,0% del 2007) di automobilisti che non
sarebbe indotta da nessun tipo di iniziativa a servirsi dei mezzi pubblici. Tra le azioni che
potrebbero invertire questa linea di tendenza emergono: corse più frequenti (24,5%), orari
migliori (12,0%); maggior numero dei parcheggi di scambio (7,1%) contributi su biglietti
e/o abbonamenti (5,1%).
Rispetto alle diverse fasce d’età i giovani (18-29 anni) sono i più interessati ad iniziative
che alleggeriscano costo del viaggio (9,9%; la media è 5,1%) e all’incremento del numero
dei parcheggi di scambio (9,4%; media = 7,1%).
Tra i 30-44enni emerge la necessità di un miglioramento negli orari del servizio (13,7%;
media è 12,0%). Il segmento dei 45-69enni, verosimilmente in relazione all’avanzare
dell’età, chiede, invece, un incremento nella frequenza delle corse (27,6%; la media è
24,5%)”. CENSIS, Sintesi stampa del rapporto XVIII ACI-Censis 2010.

185
Immaginiamo (Fig. 1) un territorio che abbia una copertura limitata alle
seguenti cinque linee di autobus in direzione nord-sud. Ciascuna linea ha
solo cinque fermate. Un persona potenzialmente sarebbe interessata a rag-
giungere ciascuna delle 25 destinazioni in cui è diviso il territorio. Ne segue
che, sempre potenzialmente, il territorio esprime una domanda di (25 – 1) *
25 ovvero 600 viaggi. Ogni residente, però, può raggiungere con il bus solo
4 delle 5 fermate previste per ogni linea (esclusa ovviamente quella di par-
tenza). Se vuole andare da est a ovest o viceversa lo deve fare a piedi o in
macchina (es. da A verso E). Di conseguenza una pianificazione del servi-
zio del genere può coprire solo 4*25=100 viaggi dei 600 potenziali. Suppo-
niamo inoltre che il trasporto pubblico riesca ad attrarre solo 1/3 dei viaggi
che è in grado di offrire. Ciò riduce a 33 il numero dei viaggi effettivi con
una quota di mercato pari a 33/600 ovvero il 5% del mercato totale. Suppo-
niamo ora (Fig. 2) che l’ente locale voglia incrementare la quota di mercato
del TPL raddoppiando le frequenze di servizio con altri 5 bus e passando
così da 100 a 200 viaggi. Se ipotizziamo una elasticità della domanda pari a
0.5 i viaggi effettivi passeranno da 33 a 50 circa (33 iniziali + incremento
dello 0.5*33=16.5 per un totale di 49.5). La quota di mercato del TPL pas-
serà dal 5% all’8% circa. Ad un raddoppio del servizio operato in questo
modo non ha fatto seguito un raddoppio della domanda. Il TPL rimane an-
cora marginale oltre che ancora più inefficiente. Se invece utilizziamo i 5
bus aggiuntivi per coprire il territorio in direzione est-ovest le cose cambia-
no radicalmente (Fig. 3). Il numero dei viaggi diretti raddoppia come
nell’ipotesi precedente passando da 100 a 200. Ciò che cambia radicalmen-
te è la possibilità di coprire l’intero territorio utilizzando il trasferimento tra
bus ad ogni intersezione. In tal modo ciascun residente può raggiungere
ciascuna delle 25 destinazioni possibili. Anche assumendo che la prospetti-
va del trasferimento dissuada (Hensher e Reyes, 2000) le persone dal pren-
dere i mezzi pubblici e, quindi, anche supponendo che la percentuale di
persone disposte ad effettuare trasferimenti sia la metà (1/6) di quelle di-
sposte ad effettuare viaggi diretti (1/3) avremmo comunque un totale di
1/3* 200 + 1/6 (600-200) = 133 viaggi circa con una quota di mercato del
22% (133/600). Ciò migliorerà, indubbiamente, l’occupazione dei mezzi
oltre che l’economicità del servizio.

186
Fig. 3 – Effetto rete

Uno schema di questo tipo è rinvenibile nelle città dove il TPL gode di
ottima salute (ad esempio, Barcellona, Seul, Curitiba, Monaco, Stoccolma,
Toronto, Vancouver, Zurigo e, naturalmente, Londra) (Thompson, 1977;
Thompson e Brown, 1986; Pucher, 1996; Nash e Sylvia, 2001; Thompson e
Matoff, 2003; O’Sullivan e Patel, 2004; Nielsen, 2005; Thompson et al.,
2006; Gilbert, 2008; Barter, 2008; Brown e Thompson, 2008; Mees, 2000,
2010; Sorensen e Longva, 2011). Il punto di forza dell’effetto rete è che
non è più necessario inseguire il cliente per capire i suoi bisogni di mobili-
tà. Più si è cercato di soddisfare il cliente con servizi simili a quelli offerti
dall’auto come, ad esempio, treni e bus diretti per pendolari, servizi a chia-
mata ecc. più si sono persi i vantaggi economici, ambientali e sociali del
servizio collettivo (Mees, 2010). Cercare di offrire un servizio che leghi in
modo diretto l’origine con la destinazione significa accettare basse frequen-
ze, ridotta occupazione dei mezzi ed elevati costi di gestione, oltre che ele-
vate emissioni nocive. I taxi offrono già servizi del genere ma non sono af-
fatto economici e non eliminano il problema della congestione. Con la pro-
gettazione di un network sarà lo stesso cliente a tracciare personalmente il
suo percorso utilizzando i nodi di trasferimento (Nielsen, 2005). Per realiz-
zare tali vantaggi è però necessario che sia l’ente pubblico a progettare la
rete (Mees, 2000; Barter, 2008). Non tutti i segmenti della rete hanno, infat-
ti, lo stesso valore commerciale ed i privati, inevitabilmente finirebbero per
servire quelli più redditizi. Di conseguenza, solo l’ente pubblico può prov-
vedere ad effettuare i sovvenzionamenti incrociati tra i differenti operatori
dei segmenti in utile e dei segmenti in perdita. Il focus di questo approccio
non è l’azienda (organizational effectiveness) ma il servizio integrato di
TPL (public service improvement) (Boyne, 2003). Non è possibile trasferire
agli operatori la responsabilità di un planning integrato. Assumersi la re-

187
sponsabilità degli outcome significa assumersi anche la responsabilità della
copertura dei costi della rete (Elefanti, 2003; Barter, 2008).
Da questo punto di vista le città che hanno implementato il network ef-
fect hanno un coefficiente di copertura di molto superiore a quelle caratte-
rizzate da una scarsa integrazione.
La rete migliora il coefficiente di copertura ma non porta certamente
all’autosufficienza. Sono comunque necessarie risorse pubbliche per finan-
ziarla.
Le uniche realtà ad essere autosufficienti (dati costantemente aggiornati
su Wikipedia alla voce Farebox Recovery Ratio, ricavi da traffico/costi
operativi) sono, principalmente, quelle dotate di una rete metropolitana in-
tegrata come: Hong Kong (186%), Osaka (123%), Taipei (119%), Tokio
(170%), Singapore (125%). In Europa la media del FRR è del 52% circa
rispetto al 30% circa dell’Italia (Fonte Earchimede, 2005; Bain, 2012). In-
fatti, anche Zurigo, che è considerata una realtà di eccellenza non è autosuf-
ficiente ed ha bisogno di sussidi che oscillano intorno al 56%. Berlino è la
realtà europea che ha il più alto coefficiente di copetura (70,3%) insieme ad
Helsinki (49%), Vienna (50%) e Copenhagen (52%). Si tratta comunque di
valori superiori a quelli mostrati dai sistemi di TPL non integrati (i valori
peggiori sono in media quelli dei sistemi di TPL americani (9% Austin,
16% Miami, 13,9% Detroit, 12,8% San Antonio) ma non mancano ecce-
zioni negli Usa e, soprattutto, in Canada: San Francisco (64,5%), Vancou-
ver (51,9%), Washington (62,1%), Winnipeg (60%), Toronto (63,2%), Phi-
ladelphia, (61,4%), Ottawa, 52%), New Jersey (56%), Montreal (57,1%),
Las Vegas (56%), Chicago (55,2%), Calgary(50%).
Il caso inglese, discusso nel capitolo precedente è esemplare al riguardo
perché, senza averne l’intenzione, avvia un confronto privato-pubblico, tra
le aree metropolitane deregolamentate e Londra, fortemente regolata, dal
quale emerge che si può far leva anche sull’efficacia e non solo
sull’efficienza, che i fattori esterni sfavorevoli possono essere vinti ricor-
rendo ad un planning del servizio innovativo e, soprattutto, ad opera del
soggetto pubblico.
Nel precedente capitolo abbiamo evidenziato che a Londra l’incremento
nel numero di passeggeri è stato dell’81,4% nel periodo 86-08 mentre nelle
aree metropolitane si è registrato un calo dei passeggeri del 45,8%. A Lon-
dra, a differenza della aree metropolitane, il servizio è offerto, in regime di
concorrenza per il mercato, da operatori privati gestiti da un’agenzia pub-
blica indipendente dal potere politico (Transport for London) il cui valore
aggiunto risiede proprio nella pianificazione integrata e coordinata degli
orari e delle frequenze. I privati sono dei meri esecutori e non interferisco-

188
no con la regolazione dello stesso e offrono, grazie al meccanismo delle ga-
re, un contributo in termini di efficienza. In breve, dopo la deregulation av-
venuta nel 1985, ci sono stati evidenti benefici, soprattutto nella riduzione
dei costi operativi, sia a Londra che nelle altre città. Nelle aree metropolita-
ne deregolamentate gli iniziali vantaggi di costo, legati alle più basse retri-
buzioni e all’utilizzo di bus più piccoli e meno costosi (minibus), sono pian
piano sfumati. Sono stati eliminati servizi in quelle tratte ritenute non più
convenienti e sono aumentate le tariffe. Ciò ha provocato, come visto, un
drastico calo nel numero dei passeggeri (Nera, 2006). A Londra l’eccellente
lavoro di coordinamento del servizio svolto dall’agenzia TfL, unitamente
ad altre politiche dissuasive (es. congestion tax) ha prodotto, invece, un in-
cremento nel numero di passeggeri ed una riduzione nel numero di auto in
circolazione. Ci teniamo a precisarlo perché, curiosamente, il successo lon-
dinese tende ad essere attribuito più alla congestion tax (fattore esterno dis-
suasivo) che al management tramite il planning integrato. La congestion tax
è stata introdotta nel febbraio 2003 e, come si evince chiaramente dalla ta-
bella, il fenomeno dell’incremento nel numero di passeggeri era già in atto
(Mees, 2010).

Tab. 2 – Numero di passeggeri che utilizzano il Bus nelle città inglesi (in milioni)

Periodi Londra Aree metropolitane


1985/1986 1.152 2.068
1995/1996 1.205 1.292
2005/2006 1.881 1.111
2007/2008 2.090 1.121
Var. % 1986-1996 + 4,6 - 37,5
Var. % 1986-2008 + 81,4 - 45,8

Fonte: TRANSPORT STATISTICS DFT (2009)

Inoltre, le aree deregolamentate assorbono circa i due terzi dei sussidi


che il governo inglese eroga agli operatori privati per le categorie di pas-
seggeri socialmente protette, pur trasportando solo un terzo dei passeggeri.
Quali conseguenze si possono trarre da tutto ciò? Riteniamo che alla fine
sia il giusto mix a fare la differenza (Gwilliam, 2008), ovvero una regola-
zione attiva e responsabile del servizio di tpl da parte dell’ente pubblico
unita a meccanismi di pressione concorrenziali e ad atteggiamenti collabo-
rativi. Non è possibile delegare tutto al mercato e non è immaginabile che il
soggetto pubblico debba avere solo un ruolo minimale (Gwilliam, 2008;

189
Stanley e Smith, 2013). La concorrenza nel mercato, per definizione, rifiuta
l’idea stessa di planning centralizzato, con i risultati visti. La concorrenza
per il mercato potrebbe, invece, dare risultati positivi anche in termini di
outcome e non solo di efficienza a patto, però, che si riconosca come cen-
trale il ruolo dell’ente pubblico e del planning integrato (Pucher, 1996; Gil-
bert, 2006; Barter, 2008; Brown e Thompson, 2008; Mees, 2010). Ai fini
dell’efficacia sociale del servizio ciò che, fa la differenza è una regolazione
attiva e responsabile del TPL rispetto ad una passiva, dove il discrimine è
dato dal fatto che l’ente pubblico si assume o non si assume le responsabili-
tà dell’outcome del servizio. Assumersi la responsabilità dell’outcome si-
gnifica principalmente, nei casi più ambiziosi, pianificare un servizio a rete
integrato, ma può significare, più semplicemente collaborare con il privato
per facilitargli il compito attivando partnership. Tale responsabilità, come
visto nel caso della Gran Bretagna, è lo stesso privato ad invocarla nelle
aree deregolamentate perché è da questa presa di responsabilità che si
aspetta un incremento dei passeggeri e del mercato. In ogni caso il ruolo
dell’ente locale deve rimanere centrale. Dello stesso avviso è Vuchic
(1999) nel momento in cui sostiene che l’operatore pubblico ha tre possibi-
lità di scelta: l’in house, la gara o un miglior servizio in house (possibil-
mente integrato e coordinato). Uno studio di Yvrande-Billon (2006) sui ri-
sultati dell’applicazione della concorrenza per il mercato nel TPL in Fran-
cia concludeva: «What we intended to highlight in this paper is that compe-
titive tendering cannot be beneficial if certain conditions are not respected.
More particularly, as long the French local authorities will not have a real
capacity of expertise and control, it is illusory to think that franchising
UPT services in France could result in improved performance». In assenza
di autentiche competenze di pianificazione del servizio e di controllo co-
stante delle performance da parte delle autorità pubbliche non sarà realisti-
camente possibile aspettarsi dei miglioramenti del servizio. A tal fine, em-
blematica è la domanda che Eerdmans et al. (2010) si pongono per fare del-
le riflessioni più ampie sulle forze che hanno spinto le autorità locali olan-
desi a riprendere in mano le leve della progettazione del servizio di TPL: ci
aspettiamo troppo dalla capacità delle imprese di far crescere il mercato de-
gli utenti o abbiamo sbagliato a sottovalutare l’importanza della pianifica-
zione del servizio?

190
6.4. Riflessioni conclusive

In conclusione le credenze che abbiamo esaminato in precedenza costitui-


scono una vera e propria barriera allo sviluppo del cosiddetto trasporto soste-
nibile, alla rivalutazione del planning integrato del servizio, rendendo più dif-
ficile11 nel TPL quell’alleanza tra “forze buone” richiamata da Borgonovi e
Mussari (2011)12 e Vigoda (2002). Anzi, alimentano, come abbiamo tentato
di mostrare, quella che lo stesso Borgonovi chiama la falsa partita, ovvero la
contrapposizione tra privato e pubblico (il Regno Unito è una dimostrazione
di come questa falsa partita continui ancora a giocarsi tra Londra ed il resto
delle aree metropolitane inglesi). Inoltre, rendono più difficile non solo la
collaborazione tra settori dell’economia, ma anche la cooperazione tra gover-
ni (differenti enti locali che dovrebbero cooperare per assicurare un servizio
integrato sul territorio) e la collaborazione tra funzioni all’interno delle stesse
istituzioni pubbliche (ad esempio, all’interno dell’ente Regione tra funzioni
diverse – territorio, trasporti, infrastrutture, sicurezza). Ma ancor prima di
chiamare in causa governi, settori e funzioni, l’idea di libertà di movimento
declinata in termini lineari, di una retta che collega l’origine con la destina-
zione finisce con l’alimentare la concorrenza tra le stesse aziende di TPL e
non contro le auto, in una improbabile gara volta a consentire all’utente di
arrivare prima a destinazione, con evidenti sprechi in termini di duplicazioni
di linee e di disintegrazione della rete del servizio e delle istituzioni preposte
a governarla. Ancora poche sono, fino ad ora, le città e i territori che hanno
capito che la storia del trasporto pubblico non è solo la storia (tecnologica) di
come un mezzo più lento sia stato progressivamente sostituito da uno più ve-
loce ma è, anche, la storia (manageriale e organizzativa) di come tanti mezzi,
anche lenti come i tram (vedi Zurigo, Toronto, Vancouver), abbiano imparato
a coordinarsi in una rete allo scopo di generare sia esternalità positive (ridu-
zione della congestione) che miglioramenti delle condizioni di equilibrio
economico e finanziario del servizio e non solo profitti a vantaggio esclusivo
delle imprese, come è avvenuto con i grandi gruppi nelle aree deregolamenta-
te nella Gran Bretagna.

11
Il TPL, almeno per ora, non riesce ancora ad essere un tema in grado di aggregare
ampi consensi. In Italia, ad esempio, da una recente indagine del CENSIS (2009), Servizi
Pubblici Locali: cosa è indispensabile alle famiglie, il trasporto pubblico locale appare col-
locato all’8° posto (45,8%) su 10.
12
«Pubblico motivato e funzionante + privato imprenditoriale + non profit professionale
contro pubblico clientelare + privato assistito e speculatore + non profit ideologico e perso-
nalistico».

191
In conclusione, sulla base delle best practices esaminate nel presente
capitolo, alcune proposte concrete per riposizionare il servizio di TPL in
Italia e per renderlo più efficiente, sono:
Ridefinire piani regionali di trasporto in chiave integrata con il supporto
di veri esperti di planning e non di funzionari con dubbie competenze e ca-
pacità.
Creare organi di supporto13, tramite la nascita di Agenzie regionali per
la mobilità ed osservatori regionali dei trasporti in grado di fornire dati utili,
continuamente aggiornati, per la presa di decisioni più consapevoli.
Favorire l’integrazione funzionale tra le singole modalità, ovvero rende-
re i singoli servizi reciprocamente accessibili attraverso:
• la creazione di nodi di interscambio;
• il coordinamento degli orari/frequenze;
• l’eliminazione delle sovrapposizioni (più le linee sono mutuamente
integrate, sia dal punto di vista spaziale che degli orari, più si genera
l’effetto rete discusso in precedenza).
Favorire l’integrazione tariffaria. Poiché le tariffe rappresentano il prez-
zo pagato all’utente per accedere al servizio di trasporto pubblico locale, la
competitività del trasporto pubblico è, in parte, dovuta all’assetto del siste-
ma tariffario. Una rete di trasporto pubblico è tale nel momento in cui esiste
l’integrazione tariffaria tra tutti i vettori14.
Dimensionare adeguatamente i bacini di gara in chiave funzionale e non
solo giurisdizionale.
E infine, una riorganizzazione del sistema di trasporto, anche tramite
processi aggregativi (fusioni, acquisizioni ecc.) volti a favorire un adeguato

13
In Emilia Romagna si registrano diverse Agenzie provinciali per i servizi su gomma,
mentre l’Agenzia regionale per i servizi ferroviari precedentemente costituita è stata sop-
pressa e le funzioni trasferite alla Direzione Generale regionale “Reti infrastrutturali, logisti-
ca e sistemi di mobilità”. In Sardegna è stata recentemente costituita un’Agenzia per la mo-
bilità ma ad oggi non è ancora pienamente operativa. In Lombardia l’Autorità garante per i
servizi di trasporto pubblico prevista dalla originaria l.r. n. 22/1998 è stata sostituita
dall’Organo di garanzia del trasporto pubblico secondo quanto previsto dalla l.r. n. 1/2002.
In Umbria e in Abruzzo si ipotizza la costituzione di una holding che raggruppi le aziende
regionali.
14
L’integrazione tariffaria consiste in accordi tra più aziende per introdurre un unico bi-
glietto, rafforzando l’effetto – rete. L’integrazione tariffaria non è spontanea:
– deve essere programmata da una authority indipendente;
– esistono dei costi di integrazione.
Essa ha un costo (assimilabile ad un costo di transazione) e quindi è necessario un attore
che favorisca l’accordo:
– accordi per la spartizione dei profitti;
– accordi per la gestione del sistema di bigliettazione.

192
dimensionamento15, che riduca i problemi derivanti dall’eccessiva fram-
mentazione dell’offerta (in Italia operano quasi 1.200 operatori nel compar-
to del TPL) (Earchimede, 2005; Bain & Co., 2012).

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Wikipedia.org voce Farebox Recovery Ratio.

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7. PIANIFICARE IL MIGLIORAMENTO
DELLE PERFORMANCE NELLE AZIENDE DI TPL
IN TEMPI DI CRISI. IL CASO CONEROBUS S.P.A.∗

di Antonio Gitto e Armando Della Porta

7.1. Premessa

Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva contrazione delle ri-


sorse destinate al trasporto pubblico locale (Anselmi, 2005; Borgonovi,
2004; Boyne, 2003). Ciò ha comportato, da un lato una riorganizzazione
aziendale da parte delle imprese esercenti il servizio, dall’altro una rivisita-
zione dell’erogazione del servizio stesso: con riduzione delle linee e delle
percorrenze, tagli del personale, aumenti del costo dei titoli di viaggio (Ear-
chimede, 2005).
Tutto ciò ha richiesto, e continuerà a richiedere, un cambiamento della
cultura gestionale nel “sistema del trasporto pubblico locale”, poiché si sta
passando dal criterio della spesa storica a favore del costo e del fabbisogno
standard (Osservatorio, 2006).
Una rivoluzione culturale per le Regioni italiane e per le nostre aziende
di trasporto, completamente sprovvisti di strumenti di controllo di gestione,
che hanno dovuto compiere degli sforzi notevoli, soprattutto in termini or-
ganizzativi e di formazione e riqualificazione delle risorse umane disponi-
bili per sensibilizzarle sull’importanza dell’informazione economico-
finanziaria e sul rispetto dei correlati equilibri.
In effetti, il processo di riforma che ha interessato la pubblica ammini-
strazione italiana negli ultimi anni ha condizionato profondamente le moda-


Pur essendo il lavoro da intendersi unitario e non divisibile, poiché frutto del comune
agire degli Autori, i paragrafi 7.1, 7.2 e 7.4 sono stati predisposti da Antonio Gitto, mentre i
paragrafi 7.3, 7.5 e 7.6 da Armando Della Porta. Gli autori ringraziano il dott. Maurizio
Cionfrini (Presidente del Consiglio di Amministrazione di Conerobus), l’ing. Alfredo Frata-
locchi (Direttore generale di Conerobus) e il dott. Sergio Strali (Dirigente – P. F. Trasporto
Pubblico Locale – Regione Marche).

197
lità di gestione dei servizi pubblici (Anselmi, 2005; Borgonovi, 2004; Far-
neti, 2004) e, conseguentemente, delle aziende pubbliche che erogano tali
servizi.
Secondo un importante studio, i livelli essenziali di prestazioni per i ser-
vizi fondamentali dovrebbero essere completamente coperti dallo Stato,
mentre le risorse per gli altri servizi dovrebbero essere parzialmente uni-
formate mediante la perequazione fiscale (Osservatorio, 2006). Altri so-
stengono che i livelli essenziali di prestazione dovrebbero essere collegati
ai costi standard di produzione, finanziati integralmente dallo Stato (Wein-
gast, 2009).
Pertanto, la problematica più urgente che deve essere affrontata per
l’introduzione di un sistema federale è la definizione degli standard di co-
sto, ovvero la determinazione di misure uniformi interpretabili come para-
metri significativi per la gestione strategica dei costi stessi (Anthony et al.,
2008; Ter-Minassian, 1997).
In particolare, la Conerobus, l’azienda di trasporto pubblico della Pro-
vincia di Ancona, già nell’approvare il piano industriale 2008-20121, ha in-
trapreso un percorso per arrivare, se non proprio alla definizione di un co-
sto-standard, che è di per sé molto complesso, a definire il costo dei princi-
pali servizi erogati sul territorio, traendo le informazioni dai sistemi conta-
bili disponibili (principalmente contabilità economico-finanziaria integrata
da informazioni settoriali), aiutata in ciò da esperti consulenti aziendali.
Del resto, tra i principi e i criteri cui le aziende dovranno attenersi per
ottenere i finanziamenti pubblici, si individuano la determinazione del co-
sto e del fabbisogno standard quali elementi obiettivi che valorizzino, per
l’appunto, l’efficienza e l’efficacia e che costituiranno l’indicatore rispetto
a cui comparare e valutare l’azione imprenditoriale.
In relazione agli obiettivi specifici del presente lavoro, si è deciso di fare
ricorso alla metodologia del “case study” (Eisenhardt, 1989; Eisenhardt e
Graebner, 2007). Questa metodologia è, infatti, considerata adatta quando
si vuole studiare un fenomeno nuovo nel suo contesto reale (Yin, 2008).
Tale metodologia può consentire, tra gli altri, di sviluppare nuove teorie od
estendere teorie preesistenti, può porre alla base dell’analisi l’esame di un
singolo caso oppure di più casi. Nel presente lavoro si è deciso di analizza-
re il caso della Conerobus S.p.A.
L’intera ricerca si è basata su fonti di ricerca distinte e, con larga ap-
prossimazione, inquadrabili in:

1
Approvato in Consiglio di Amministrazione il 26 maggio 2008.

198
• ricerca bibliografica, storiografica e più in generale testuale, per la
quale si rimanda alla bibliografia di settore citata;
• ricerca empirica attraverso analisi dei documenti contabili, reports,
somministrazione di questionari ed approfondimenti a mezzo intervi-
ste2.
La sostanziale carenza nella letteratura italiana di ricerche che descriva-
no i percorsi di miglioramento seguiti, in particolare, dalle aziende di TPL e
la mancanza dei relativi dati empirici che siano in grado di dare una misura
quantitativa dei risultati ottenuti, sia in termini di generale miglioramento
degli equilibri economico-finanziari, sia in termini di aumento del grado di
soddisfazione dei cittadini/utenti hanno portato a fondare il presente lavoro
prevalentemente su materiali/documenti primari elaborati dall’azienda stes-
sa o da consulenti e sulle interviste a manager ed operatori che hanno vissu-
to direttamente i processi di cambiamento.
Tale scelta metodologica è condivisa anche a livello internazionale negli
studi sugli impatti delle riforme pubbliche (Humphrey, Miller, Scapens,
1993; Schick, 1996; Pollitt, Bouckaert, 2004; Andrews, Moynihan, 2002).
Pertanto, lo studio del caso della Conerobus, incentrato, principalmente,
sulla ricostruzione del percorso di miglioramento delle performance eco-
nomico-finanziaria non consente in alcun modo di fare generalizzazioni
ma, semmai, di fornire riscontri empirici a quanto sostenuto e argomentato
sul piano teorico (Yin, 2003).

7.2. Il trasporto pubblico locale analizzato nel suo contesto: la si-


tuazione della Regione Marche

Prima di analizzare i dati che descrivono il contesto di riferimento in cui


opera la Conerobus S.p.A., ossia la regione Marche, esaminiamo i dati che
esprimono il trend della domanda del servizio.
Nella sottostante tabella è evidenziato, regione per regione, il totale
“passeggeri-km trasporti pubblici (TPL Urbano ed Extraurbano, Tranvie
urbane ed extraurbane, Metropolitane, Funicolare, Imprese ferroviarie pic-
cole e medie)” negli anni 2007-20113.

2
In particolare, si è proceduto ad intervistare, con registrazione del colloquio, il Direttore
generale di Conerobus, ing. Alfredo Fratalocchi, e il Presidente del Consiglio di Amministra-
zione di Conerobus, dott. Maurizio Cionfrini, nel periodo maggio-luglio 2013.
3
Non sono compresi i dati del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane e, per il 2011, neanche
quelli delle altre Grandi Imprese Ferroviarie (cfr. definizione Regolamento CE n. 91/2003).

199
Tab. 1 – Passeggeri-km trasporti pubblici (TPL Urbano ed Extraurbano, Tranvie ur-
bane ed extraurbane, Metropolitane, Funicolare, Imprese ferroviarie piccole e medie)
– valori in milioni di Euro

Regione/ Prov. Aut. 2007 2008 2009 2010 2011 Differenze 2007/2011 Var. %
Piemonte 2.024 1.995 2.080 2.076 2.160 135 6,66
Valle d’Aosta 44 43 46 47 47 3 6,11
Lombardia 7.961 7.847 7.723 7.933 6.746 -1.215 -15,26
Prov. Auton. Bolzano 357 344 226 239 239 -118 -33,11
Prov. Auton. Trento 367 362 417 431 437 70 19,10
Veneto 2.338 2.314 2.306 2.319 2.370 32 1,37
Friuli Venezia Giulia 753 786 821 844 831 78 10,30
Liguria 1.068 1.054 1.062 935 946 - 123 -11,50
Emilia Romagna 1.830 1.717 1.746 1.789 1.741 -90 -4,93
Toscana 1.538 1.505 1.513 1.462 1.456 - 82 -5,31
Umbria 588 565 562 569 566 - 22 -3,74
Marche 497 474 474 541 580 83 16,79
Lazio 10.948 11.232 11.338 12.087 10.736 -212 -1,93
Abruzzo 738 706 689 716 659 - 79 -10,68
Molise 313 277 273 261 254 -59 -18,94
Campania 2.747 2.688 2.713 2.693 1.946 - 801 -29,15
Puglia 1.538 1.498 1.575 1.479 1.479 -60 -3,92
Basilicata 483 498 491 427 433 -50 -10,35
Calabria 481 662 686 732 708 227 47,10
Sicilia 2.140 1.975 1.910 1.702 2.060 -80 -3,76
Sardegna 853 822 636 625 618 -235 -27,57
Totale 39.606 39.364 39.287 39.907 37.012 -2.598 -6,56

Fonte: elaborazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti su dati di fonti diverse

Dalla Tabella 1 si evince che nell’arco di tempo considerato vi è stata


una diminuzione complessiva dei passeggeri trasportati (-2.598, pari al
-6,56%). Tuttavia, un’analisi disaggregata consente di verificare che vi so-
no state realtà regionali in cui il trasporto pubblico ha avuto un incremento.
Spiccano l’area del triveneto e del Trentino (Friuli Venezia Giulia, Veneto
e Provincia Autonoma di Trento), il Piemonte e la Valle d’Aosta, la Cala-
bria e le Marche, ossia la nostra regione di riferimento che ha fatto registra-
re un incremento di domanda del 17% circa.

200
Da notare anche la pesante flessione, in valore assoluto, della Lombar-
dia (-1.215, pari al -15.26%) e della Campania (-801, pari al -29,15%) ed in
termini percentuali della Provincia Autonoma di Bolzano (-33,11%) e della
Sardegna (-27,57%).
Il calo della domanda del servizio di TPL non è però legato direttamente
o correlato ad un incremento del trasporto privato. In effetti, dalla sottostan-
te tabella, nella quale si evidenzia, regione per regione, il totale “passegge-
ri-km su trasporti individuali motorizzati”, ossia il numero dei passeggeri
che hanno preferito optare per l’autoproduzione del servizio4, per gli anni
2007-2011, si può trovare la conferma di questa affermazione.
Tab. 2 – Passeggeri-km su trasporti individuali motorizzati – valori in milioni di Euro
Regione/ Prov. Aut. 2007 2008 2009 2010 2011 Differenze 2007/2011 Var. %
Piemonte 51.959 51.889 56.565 47.407 46.327 - 5.632 -10,84
Valle d’Aosta 2.661 2.753 2.679 2.541 2.769 108 4,05
Lombardia 113.427 115.168 117.016 107.974 112.960 - 467 -0,41
Prov. Auton. Bolzano 4.272 5.640 5.381 5.145 5.031 760 17,78
Prov. Auton. Trento 4.913 6.476 6.159 5.867 5.848 935 19,04
Veneto 56.810 57.432 58.651 51.779 57.129 319 0,56
Friuli Venezia Giulia 15.511 16.563 16.836 17.699 13.450 - 2.061 -13,29
Liguria 17.515 16.257 16.097 17.958 14.501 -3.014 -17,21
Emilia Romagna 50.681 50.582 57.751 52.147 50.938 258 0,51
Toscana 47.021 46.911 48.193 44.806 46.078 - 942 -2,00
Umbria 11.791 13.384 12.553 13.027 13.813 2.022 17,15
Marche 18.366 19.936 18.882 21.349 20.104 1.738 9,47
Lazio 76.383 75.761 83.936 83.515 74.027 - 2.356 -3,08
Abruzzo 16.032 18.074 20.144 19.816 21.251 5.218 32,55
Molise 3.223 4.254 4.174 3.994 4.608 1.385 42,97
Campania 65.671 72.061 69.705 75.481 68.026 2.355 3,59
Puglia 49.167 45.753 49.878 48.570 47.595 -1.571 -3,20
Basilicata 7.364 8.164 7.129 8.388 6.644 -719 -9,77
Calabria 25.239 23.694 29.347 30.451 20.909 -4.330 -17,15
Sicilia 61.980 49.698 58.376 61.931 55.586 -6.393 -10,32
Sardegna 20.221 21.379 22.869 20.024 20.657 436 2,16
Totale 720.207 721.829 762.321 739.869 708.251 -11.951 -1,66
Fonte: elaborazione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti su dati di fonti diverse

4
Comprendono autoveicoli, motocicli e ciclomotori.

201
Dalla Tabella 2 si nota che nell’arco di tempo considerato vi è stata una
diminuzione complessiva dei passeggeri (-11.951, pari al -1,66%). L’analisi
disaggregata consente di verificare che in alcune realtà regionali in cui il tra-
sporto pubblico ha avuto un incremento, contemporaneamente vi è stato un
decremento di quello privato (Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Calabria). In
altre realtà si nota invece un doppio incremento a vantaggio sia del TPL che
del mezzo privato. Ci riferiamo in particolare al Veneto, alla Valle d’Aosta,
alla Provincia Autonoma di Trento e, alle Marche. In tali realtà il bisogno di
mobilità è cresciuto e gli indicatori lo testimoniano. Da notare, infine, il forte
incremento della mobilità privata in Abruzzo (+32,55%) e in Molise
(+42,97%) correlato, invece, ad un calo dei passeggeri pari, rispettivamente,
al -10,68% e al -18,94%.
Tale premessa ci è servita per inquadrare meglio il contesto del nostro ca-
se study. Le Marche, in sintesi, hanno espresso negli ultimi anni un incre-
mento negli indicatori di mobilità.
A fronte di tali indicatori analizziamo brevemente quali trend hanno carat-
terizzato, invece, le risorse pubbliche che la Regione Marche ha destinato al
servizio di TPL, che, lo ricordiamo, ha registrato un incremento di circa il
17% dei passeggeri. Riteniamo utile tale analisi5, poiché Conerobus opera
all’interno di questa regione e nel suo piano industriale si fa riferimento ai
corrispettivi del contratto di servizio.
In particolare, nella Tabella 3 sono evidenziati gli indicatori finanziari di
base e i cosiddetti indicatori trasportistici.

Tab. 3 – Indicatori finanziari di base e indicatori trasportistici


DATI AUTOLINEE

INDICATORI FINANZIARI DI BASE

Valore Unità di
Cod. Indicatore Note
2010 2011 misura

Tutte le risorse finanziarie correnti che


Corrispettivi
A1 65.379.299,71 66.879.299,71 € escono dalla Regione e destinate a
regionali
Contratti di Servizio
Corrispettivi Altri corrispettivi erogati alle Aziende che
A2 2.989.426,38 2.779.396,38 €
Enti Locali non transitano dai bilanci regionali
(continua)

5
I dati che la Regione Marche ha messo a disposizione sono soltanto quelli degli anni
2010 e 2011, mentre non sono stati diffusi i dati relativi al periodo 2007-2009.

202
(segue)
Altre risorse Rimborso agevolazioni tariffarie +
A3 3.036.493,69 4.870.412,26 €
erogate per il TPL integrazioni tariffarie studenti
A4 Contributi CCNL 11.760.889,42 11.712.582,01 € Totale consuntivato dalle aziende

INDICATORI TRASPORTISTICI

A5 Ricavi da traffico 34.001.478,36 35.427.915,12 €


Solo quelli del Contratto
A6 Addetti 1.727 1.702 n.
Autoferrotranvieri
In caso di modi diversi da “bus” (es.
Metro) precisare se sono stati applicati
A7 Bus km urbani 12.593.364 12.593.364 km parametri correttivi (es. coefficienti
moltiplicativi per tener conto della
maggiore capienza)
Bus km
A8 31.026.178 31.026.178 km
interurbani
Dato stimato in funzione dei titoli di
viaggio venduti (viaggiatori equivalenti),
A9 Viaggiatori/anno 47.402.542 47.288.911 Viagg/anno
applicando i coefficienti moltiplicatori
ministeriali

Fonte: elaborazione della Regione Marche

Dalla lettura della Tabella 3 emerge come ci sia stato un lieve incremen-
to delle risorse finanziarie correnti che la Regione destina ai Contratti di
Servizio compensato da una diminuzione degli altri corrispettivi erogati alle
Aziende dagli enti locali (fortemente condizionati dal patto di stabilità);
inoltre, si nota un lieve incremento dei ricavi da traffico, che potrebbe esse-
re ulteriormente migliorato con una più decisa lotta all’evasione tariffaria
(in tal senso la Regione Marche ha recentemente deliberato6); infine, sono
decisamente aumentati i rimborsi, le agevolazioni tariffarie e le integrazioni
tariffarie agli studenti.
Nella Tabella 4, invece, è indicata la ripartizione dei corrispettivi regio-
nali tra le cinque province marchigiane.

6
Delibera della Giunta Regionale n. 721 del 13 maggio 2013.

203
Tab. 4 – Ripartizione dei corrispettivi regionali tra le cinque province marchigiane
Servizi Extraurbani Km €/Km Euro
Pesaro e Urbino 7.248.212 1,554 11.263.721,45
Ancona 7.684.723 1,418 10.896.937,21
Macerata 6.665.842 1,554 10.358.718,47
Fermo 2.385.579 1,470 3.506.801,13
Ascoli Piceno 4.163.053 1,512 6.294.536,14
Totale 28.147.409 42.320.714,40
Fonte: deliberazione della Giunta Regione Marche n. 1812/2012

Giova evidenziare che ai sensi della delibera di Giunta della Provincia di


Ancona n. 377 del 12 settembre 2007, avente ad oggetto “Contratto di servizio
del TPL extraurbano nel bacino di traffico della Provincia di Ancona per il pe-
riodo 01/07/2007-30/06/2013 – aggiornamento corrispettivo”, si dispone che:
1. il corrispettivo complessivo ed omnicomprensivo spettante alla Società
affidataria (ATMA), a fronte della piena e corretta esecuzione delle pre-
stazioni oggetto del contratto di servizio, ammonta ad Euro annui
10.443.292,61 (oltre IVA) per km-annui 8.370.895, salvo importi ag-
giuntivi riconosciuti ed erogati dalla Regione Marche;
2. il corrispettivo chilometrico unitario è determinato in Euro 1,25, salvo
nuovo corrispettivo determinato dagli importi aggiuntivi riconosciuti ed
erogati dalla Regione Marche.
Nella Tabella 5, invece, è indicata la ripartizione dei corrispettivi regionali
destinati al trasporto urbano per la Provincia di Ancona.
Tab. 5 – Ripartizione dei corrispettivi regionali destinati al trasporto urbano per la
Provincia di Ancona
Servizi Urbani Km €/Km Euro
Senigallia 245.627 1,623 398.652,62
Sassoferrato 144.070 2,468 355.564,76
Jesi 521.275 1,553 809.540,08
Fabriano 351.278 1,481 520.242,72
Castelfidardo 71.236 1,481 105.500,52
Ancona 1 3.197.890 2,262 7.233.627,18
Ancona 2 30.640 1,964 60.176,96
Ancona 3 19.949 2,262 45.124,64
Falconara Marittima 33.412 1,699 56.766,99
Osimo 113.512 1,699 192.856,89
Totale 4.728.889 9.778.053,34
Fonte: deliberazione della Giunta Regione Marche n. 1812/2012

204
7.3. Migliorare il servizio di TPL nella prospettiva del New Pu-
blic Management

Il caso che presenteremo in seguito utilizza la prospettiva di migliora-


mento suggerita dai sostenitori del NPM, ossia quella di ripartire dagli out-
put, dal rispetto dell’economicità aziendale (Paolone e D’Amico, 2001)
come precondizione per migliorare gli outcome, gli impatti esterni, la co-
siddetta efficacia sociale. Il New Public Management (Aucoin, 1990; Hood,
1991, 1995; Gruening, 2001), può essere considerato un framework teorico
che ha accolto concetti e strumenti da differenti discipline, integrandole tra
loro in modo originale e coerente, con l’ambizione di superare il cosiddetto
vecchio paradigma del Public Administration, al fine ultimo di attivare pro-
cessi per ridurre la spesa pubblica complessiva ed aumentare la qualità dei
servizi pubblici. Gli elementi raccolti, come anticipato, non sono nuovi,
poiché riprendono logiche e strumenti già presenti in altri contesti discipli-
nari (in particolare nel filone cosiddetto Public Choice e nel Management)
(Aucoin, 1990; Hood, 1991, 1995; Gruening, 2001).
Il NPM si fonda su un’ipotesi di fondo molto semplice: l’efficienza e
l’efficacia dell’azione aziendale risultano determinate dal rapporto tra risor-
se impiegate nella gestione e capacità di queste ultime di creare valore per
il cliente/utente. Le leve centrali per recuperarle sono, da un lato, l’impiego
di logiche di mercato (come suggerito dal filone cosiddetto Public Choice)
e, dall’altro, l’utilizzo di strumenti di performance management (come
suggerito dalle discipline di Management). In altri termini, il NPM recupera
la dimensione dell’utilizzo delle risorse indirizzando su di essa i benefici
effetti della pressione concorrenziale e dell’uso di strumenti informativi
(dal budget al reporting), necessari a rendere più visibile e trasparente tale
utilizzo. L’imperativo di migliorare la performance per certi aspetti ha reso
ormai sterili le contrapposizioni tra pubblico e privato, tra utilizzo o meno
del mercato (Borgonovi e Mussari, 2011). Dopo la recente crisi economica
globale e i danni provocati dall’opportunismo, infatti, l’assunto che il “pri-
vato” o che il mercato fossero superiori al “pubblico” e al monopolio, nella
gestione delle risorse, è apparso quanto meno discutibile, rendendo ancora
più importante la questione di come “spendere in modo più responsabile” le
risorse pubbliche. Tutte le aziende, pubbliche e private, sono aziende di
produzione e, pertanto, tutte devono creare valore (Cavalieri, 2010). Alla
luce di ciò non possono essere messi in discussione i benefici, sia delle lo-
giche di mercato (pressione concorrenziale) sia delle logiche di collabora-
zione responsabile e rispettosa della scarsità delle risorse disponibili (Vigo-

205
da, 2002). Alla fine è il giusto mix tra pubblico e privato, tra gerarchie,
mercati e network che conta nel processo di creazione di valore.
Rispetto al Public Administration il New Public Management enfatizza
che creare valore significa sostanzialmente responsabilizzare la Pubblica
amministrazione verso l’implementazione di sistemi in grado di legare la
gestione ai risultati (o performance) piuttosto che al mero rispetto di regole
formali (De Bruijn, 2002; Holzer e Yang, 2004; Hood, 1991; Pollitt e
Bouckaert, 2004). Tuttavia, si ravvisano alcuni fondamentali aspetti critici,
poiché i principi guida della “misurazione” sono applicabili in modo relati-
vamente semplice rispetto agli output, ma non altrettanto rispetto agli out-
come, per i quali i problemi di misurazione risultano notevoli (Liguori e Si-
cilia, 2006). D’altronde, è questo il sacrificio richiesto se è vera la massima
You get what you measure. Nel passato è stata data eccessiva attenzione, da
parte delle aziende pubbliche, agli outcome, alla cosiddetta efficacia sociale
del servizio, sacrificando irresponsabilmente la dimensione aziendale
dell’economicità. Si è dato troppo spazio alla misurazione della performan-
ce sociale e meno a quella aziendale, con il risultato che si è ottenuto, ap-
punto, ciò che si è misurato, ovvero un eccesso di performance sociale
(Pollitt e Bouckaert, 2000; Mussari, 2005; Mulazzani e Pozzoli, 2005). Il
NPM suggerisce di restituire il giusto spazio anche alla performance azien-
dale senza però cadere nell’errore opposto, ossia quello di sacrificare gli
impatti sociali del servizio, che rappresentano in definitiva la ragion
d’essere del servizio, sull’altare del risultato economico (Grossi, Monfardni
e Mussari, 2005; Borgonovi, 2004; Boyne, 2003). Il problema in definitiva
è quello di trovare, come si diceva in precedenza, un giusto ed equilibrato
mix tra efficienza, qualità ed efficacia sociale del servizio (Anselmi, 2005;
Borgonovi, 2004).
Quello di performance è un concetto multidimensionale: efficienza, ef-
ficacia, qualità, soddisfazione dell’utente, economicità, equità non sono che
delle dimensioni, sebbene principali, che lo esprimono (Pollitt e Bockaert,
2000; Boyne, 2003). Per trovare un equilibrio è necessario, infine, che il
management, tanto riguardo gli esiti della valutazione quanto in riferimento
agli elementi sui quali essa si fonda, cioè il sistema di misurazione stesso,
assicuri la massima trasparenza e confrontabilità delle informazioni (Sar-
giacomo, 2005). Nel caso che segue vedremo come il management della
Conerobus, a seguito dei cambiamenti esterni, legati principalmente, da un
lato, alla minore munificità del soggetto pubblico ad erogare risorse per ef-
fetto del rispetto dei vincoli di finanza pubblica e della futura introduzione
dei costi standard, che premieranno solo le gestioni più efficienti, e,
dall’altro dall’esigenza di combattere l’evasione tariffaria, in un contesto di

206
incrementata domanda cui non ha fatto seguito, però, un proporzionale in-
cremento dei ricavi, abbia reagito e si sia adattato ad essi, pianificando un
percorso di miglioramento ispirato ai principi del NPM, ossia, decidendo di
ripartire dall’analisi delle performance economico-finanziare allo scopo di
trovare utili indicazioni per ripristinare e per rendere più stabili nel tempo
gli equilibri economico-finanziari, minacciati dal venir meno della piena
contribuzione pubblica.

7
7.4. Il caso di Conerobus

La Conerobus – Società per la mobilità intercomunale – si costituisce


nel giugno del 1999 dalla fusione di due aziende di trasporto della città di
Ancona, l’ATMA per il servizio di collegamento urbano della città di An-
cona, e il COTRAN per quello extraurbano.
Il progetto, nato fra il Comune di Ancona e la Provincia di Ancona in-
sieme a ventuno Comuni8, fonda le proprie basi su una necessità di diffu-
sione e collegamento intercomunale.
È l’ultimo traguardo di una storia che si è snodata e articolata attraverso
vari periodi, differenti tappe d’arrivo, nuovi capolinea dai quali ripartire.
Particolarmente interessante è la storia del trasporto pubblico ad Ancona.
La città inizia a manifestare il proprio desiderio di movimento già dal lon-
tano 1878, allorché l’Amministrazione Comunale approvò il progetto di co-
struzione di una linea tramviaria a cavalli. Tuttavia si dovrà aspettare il lu-
glio 1881 perché il Comune conferisca all’imprenditore Giovan Battista
Marotti, la concessione del servizio tramviario, che verrà inaugurato nel di-
cembre del 1881 e si articolerà lungo due linee.
Da quella data, i passi avanti, in termini di conquiste e progressi, saran-
no pressoché inarrestabili. Nell’ottobre del 1909 s’inaugurerà il tram elet-
trico. Le vetture, costruite dalle officine meccaniche di Reggio Emilia, at-
traversarono rapide le vie e le piazze animandole di quei suoni e fragori e
squilli fino allora sconosciuti.
Nell’ottobre 1943 il crepitio dei tram lascerà il posto al fragore delle
bombe. L’impianto filoviario risulterà gravemente colpito e il 26 aprile

7
Le informazioni riguardanti la storia della Conerobus sono state gentilmente fornite
dall’azienda stessa alla quale vanno i nostri ringraziamenti.
8
Agugliano, Belvedere Ostrense, Camerano, Camerata Picena, Castelfidardo, Chiaraval-
le, Falconara, Filottrano, Loreto, Montemarciano, Monte San Vito, Morro d’Alba, Numana,
Offagna, Osimo, Ostra, Polverigi, Recanati, San Marcello, Santa Maria Nuova, Sirolo.

207
1944, a causa delle 169 incursioni aeree che colpirono la città, venne inter-
rotto in maniera definitiva.
Dopo due anni di lavori, il 5 giugno 1946, la prima vettura tramviaria
restaurata riprese a circolare sulla linea n.1. Si continuava a lavorare per ri-
dare alla popolazione un efficiente sistema di trasporto pubblico. Nacquero
le prime camionette militari adattate a servizio pubblico che, in pochi mesi,
si trasformarono in autobus.
L’ATMA inaugurò l’impianto filoviario nel marzo 1949 con
l’istituzione di quattro linee portate, poco tempo dopo, a cinque e che inte-
ressavano oltre al centro della città, anche le frazioni periferiche collinari di
Pinocchio, Posatora e Tavernelle.
Parte delle linee sono state soppresse negli anni Settanta. Oggi è rimasta
soltanto la linea 1/4, prolungata verso il quartiere di Tavernelle, come asse
principale del trasporto cittadino.
Nel 1998 l’ATMA confluirà nel COTRAN e, l’anno dopo, anche CO-
TRAN scomparirà per dare vita alla Conerobus S.p.A.
Alla fine del 2006, con l’acquisizione della società CIPA e dei relativi
impianti, mezzi, personale ed esperienze professionali, la Conerobus ha
esteso il proprio raggio d’azione anche alla città di Jesi, gestendone il servi-
zio di trasporto pubblico. Infine, nel luglio del 2007, la Conerobus, quale
socio di maggioranza, ha partecipato a costituire, assieme alla Società con-
sortile Tran che riuniva le ditte private operanti nel bacino di Ancona,
l’A.T.M.A. – Azienda Trasporti e Mobilità di Ancona e provincia –,
un’unica società che gestisce larghissima parte del servizio di trasporto
pubblico, sia urbano che extraurbano, ricadente nel territorio della Provin-
cia di Ancona.
Le strategie e i progetti di Conerobus S.p.A. sono volti a rendere il tra-
sporto pubblico sempre più competitivo, “capitalizzando” le esperienze del
passato e adeguando il servizio alle sempre più complesse richieste di clien-
ti effettivi e potenziali.
Conerobus è impegnata a incrementare non soltanto i trasferimenti in-
terni alla città, ma anche il notevole aumento degli spostamenti con i co-
muni dell’hinterland, che negli ultimi anni hanno visto aumentare conside-
revolmente il numero di abitanti.
Per rendere preferibile l’utilizzo del mezzo pubblico rispetto a quello
privato, nel prossimo futuro Conerobus ha in progetto di introdurre mezzi
più confortevoli, veloci e non inquinanti, che andranno ad ampliare il parco
veicoli già rinnovato da qualche anno.
La Conerobus S.p.A. è oggi un’azienda che conta circa 458 dipendenti,
con un fatturato annuo di 32 milioni di euro.

208
Il numero degli autobus ammonta a 244 (di cui 9 filobus), più 12 auto-
bus Gran Turismo, per un totale di 256. In servizio nella città di Ancona
sono 123, nella città di Jesi sono 16, mentre 105 sono in servizio nel territo-
rio.
I Km annui percorsi sono 9.137.750, de quali 3.951.927 nel servizio ur-
bano di Ancona, 664.254 nel servizio urbano di Jesi, 82.703 nel servizio
urbano di Falconara e 4.438.866 nel servizio extraurbano. I passeggeri tra-
sportati 18.000.000 circa.
La Conerobus effettua la propria attività nei seguenti settori :
Erogazione di servizi di Trasporto Pubblico Locale – TPL (Urbano ed
Extraurbano) – intesi sia come servizi ordinari di linea che come servizi
speciali o straordinari, utilizzando autobus, filobus ed impianti fissi quali
ascensori e scale mobili (ascensore del Passetto ad Ancona, ascensore par-
cheggio Zannoni e scale mobili di Palazzo Battaglia a Jesi).
Servizio di noleggio turistico autobus, con conducente.
L’attività TPL viene svolta nel Bacino Territoriale di Ancona, coinci-
dente in linea di massima con il territorio della Provincia, sulla base del
contratto di servizio stipulato con l’ente locale committente.
Per esercitare tali attività, l’azienda è dotata di una struttura organizzati-
va tale da poter attuare tutti i processi gestionali e realizzativi necessari per
conseguire il soddisfacimento dei requisiti della clientela-utenza e dei re-
quisiti imposti dal Contratto di Servizio.
Dall’unione di Conerobus e della società consortile Tran nasce ATMA
Soc. Cons. per Azioni.
Un’unica società per il trasporto su strada per la provincia di Ancona:
questa la novità rappresentata da Atma, che gestisce i servizi di trasporto
urbano nei Comuni di Ancona, Senigallia, Jesi, Falconara, Castelfidardo e
Sassoferrato, con una maggiore integrazione tra il trasporto urbano e quello
extraurbano, anche in termini di biglietti e tariffe.
La prima novità per gli utenti è il biglietto unico, targato ATMA, acqui-
stabile in qualsiasi rivendita, con cui poter viaggiare su tutte le tratte del
territorio provinciale.
L’obiettivo di Atma è infatti ottimizzare le risorse per garantire ai pas-
seggeri un servizio ancora più efficiente.
Le società consortile Atma è così composta:

209
Fig. 1 – Composizione della società consortile ATMA

Il 26 maggio 2008 il Consiglio di amministrazione di Conerobus appro-


va il piano industriale per il periodo 2008-2012.
Esso si fonda sull’identificazione ed implementazione di una serie di in-
terventi che consentano di:
1. garantire un miglioramento quali-quantitativo dell’offerta di servizio
alla cittadinanza;
2. preservare l’equilibrio economico dell’Azienda;
3. migliorare la competitività dei costi in capo agli enti locali.
Il suddetto piano industriale partiva da un’analisi dei risultati conseguiti
nel triennio 2005-2007.
In particolare:
1. organizzazione: ridisegno ruoli e responsabilità organizzative, con
rafforzamento del presidio di alcune attività “core” (es. logistica di
rete, pianificazione esercizio, attività commerciale);
2. strategia commerciale: introduzione di politiche commerciali “evolu-
te” (schemi tariffari innovativi, con ricadute positive sull’andamento
dei ricavi da traffico);
3. rete di vendita: graduale informatizzazione della rete di vendita (al
2008, circa 50 rivendite coinvolte), con conseguente maggiore “ca-
pillarità” nella distribuzione degli abbonamenti;
4. esercizio: avvio ridefinizione del programma di esercizio, nella logi-
ca di un’offerta maggiormente orientata alle esigenze dell’utenza, e
incremento dell’attenzione sulla qualità del servizio;

210
5. parco mezzi: avvio del rinnovo della flotta autobus, accompagnato da
un aumento molto consistente dei bus a metano (+30% dal 2005 al
2007);
6. logistica di rete: avvio di un importante piano di razionalizzazione e
ammodernamento della rete di pensiline e paline di fermata;
7. tecnologia: avvio fase progettuale AVM e paline elettroniche;
8. manutenzione: rafforzamento attività di manutenzione mezzi, con
creazione di un polo centralizzato per la gestione di tutte le tipologie
di interventi e di presidi manutentivi periferici;
9. attività extra-TPL: significativo sviluppo dei ricavi “collaterali” al
TPL, con particolare riferimento ai servizi di noleggio (da 600.000
Euro di fatturato nel 2005 a 1,2 milioni nel 2007).
La struttura organizzativa di Conerobus è stata profondamente rivista
nel triennio 2005/2007, nella logica di prevedere un più spiccato presidio
delle attività core, anche in ragione del ruolo “centrale” dell’azienda rispet-
to allo scenario provinciale derivante dal nuovo assetto dei servizi.
I punti di attenzione su cui si concentrò il management furono essen-
zialmente economici, quali il posizionamento lato costi, poiché esisteva un
gap rispetto ad altre aziende italiane confrontabili nell’ordine del 4% in
termini di costo complessivo per unità di prodotto. Da qui, la necessità di
consolidare e migliorare la competitività della struttura di costo di Conero-
bus, al fine di evitare un aggravio degli oneri a carico della collettività o in
alternativa “esternalizzazioni” di parte dei servizi.
Altri punti di attenzione furono:
1. contenimento delle dinamiche di aumento dei costi del carburante;
2. sostenibilità dei corrispettivi9;
3. stabilizzazione dei volumi di produzione10;
4. incremento produttività del personale, poiché l’analisi della produtti-
vità complessiva di Conerobus (chilometri per addetto) evidenziava
un divario nell’ordine del 4% rispetto ad altre realtà confrontabili del
settore. Le ragioni del “gap” erano sintetizzabili:
• nella significativa incidenza dei tempi “non di guida”;
• nell’elevato numero di riposi;

9
Il livello dei corrispettivi era ed è significativamente inferiore rispetto alla media di al-
tre aziende del settore confrontabili.
10
La struttura dei costi di Conerobus, caratterizzata da un elevato livello di “costi fissi”,
rende tale aspetto particolarmente critico, stanti le difficoltà ad adeguare i costi dell’azienda
ad una eventuale riduzione dell’offerta → rischio di contrazione dei costi fissi in caso di di-
minuzione della produzione chilometrica.

211
• nel trattamento delle “soste inoperose” disallineato rispetto alla
normativa extraurbana;
• nella mancata applicazione dell’”orario normale di lavoro”;
• nel peso consistente dei km. “fuori linea” sui servizi extraurbani;
5. aumento integrazione della rete e dei servizi, poiché la rete logistica
di Conerobus era dislocata su sei depositi, cinque dedicati ai servizi
extraurbani e uno (Ancona) in prevalenza ai servizi urbani nel capo-
luogo provinciale. Stante la dislocazione dei depositi, i servizi ex-
traurbani si caratterizzavano per una significativa incidenza di pro-
duzione chilometrica “fuori linea” non remunerata nel contratto di
servizio e particolarmente concentrata nel deposito di Marina di
Montemarciano.
I punti di forza di Conerobus, all’epoca erano rappresentati:
• da una rete di vendita capillare sul territorio;
• da una strategia commerciale “evoluta”;
• da un parco mezzi all’avanguardia, con significativo know-how ma-
nutentivo;
• da una buona capacità di innovazione tecnologica;
• da un’attività extra-TPL in costante sviluppo negli anni.
Le aree di miglioramento erano rappresentate:
• dalla produttività del personale viaggiante;
• dall’articolazione territoriale depositi e officine, con elevata inciden-
za di chilometri a basso impatto per la collettività.
Le opportunità erano rappresentate invece:
• da spazi per un ulteriore miglioramento quali-quantitativo
dell’offerta di servizio attraverso una maggiore integrazione offerta-
domanda;
• ulteriore sviluppo dei ricavi extra-TPL (es. ammodernamento rete fi-
loviaria);
• valorizzazione del patrimonio immobiliare.
Infine, le minacce erano rappresentate:
• da incertezze esogene legate alla dinamica dei corrispettivi ed effet-
tiva capacità di riassorbire l’andamento dei costi e dai volumi di ser-
vizio (servizi aggiuntivi);
• dal rischio di contrazione dell’offerta, con conseguente necessità di
abbattimento dei costi fissi, anche attraverso “esternalizzazioni”.
Nel piano industriale, per il periodo 2008-2012, si prevedevano «[…] un
significativo incremento dei costi di tutti i principali fattori produttivi (co-
sto del lavoro, energia elettrica, carburanti ecc.), quantificabile, a parità di
chilometri 2007 e al netto degli adeguamenti inflattivi previsti nei contratti

212
di servizio urbani, in circa 3,2 milioni di Euro su base annua al 2012; la di-
namica inerziale dei costi determina la necessità di un incremento dei corri-
spettivi contrattuali a carico degli enti affidanti sufficiente a coprire tali di-
namiche o, in alternativa, una contrazione molto significativa dell’offerta,
al di sotto dei servizi minimi».
Esso mirava:
1. a valorizzare i punti di forza:
• messa a regime delle iniziative di innovazione tecnologica (AVM,
paline elettroniche);
• sfruttamento della rete di vendita e del patrimonio informativo
sull’utenza ai fini di una evoluzione delle politiche commerciali e
di marketing;
• valorizzazione dell’area manutenzione mezzi, in termini di svi-
luppo “esterno” e verso ATMA.
2. a indirizzare le aree di miglioramento:
• della produttività del personale viaggiante, anche attraverso una
revisione delle regole d’impiego, al fine di migliorare l’efficienza
e la qualità dei servizi erogati;
• ottimizzazione dell’articolazione territoriale dei depositi, al fine
di ridurre la produzione chilometrica scarsamente utile per
l’utenza ed incrementare l’offerta di servizio;
3. a cogliere le opportunità:
• miglioramento quali-quantitativo dell’offerta di servizio attraver-
so una maggiore integrazione offerta-domanda;
4. fronteggiare le minacce:
• revisione dei meccanismi di remunerazione dei servizi da parte
degli enti pubblici di riferimento;
• stabilizzazione dell’offerta nel bacino urbano di Ancona;
• miglioramento della competitività della struttura di costo, per evi-
tare il rischio abbattimento costi fissi/“esternalizzazioni”.
Il Piano Industriale 2008-2012 di Conerobus si fonda sull’identificazione
ed implementazione di una serie di interventi che consentano di:
• garantire un miglioramento quali-quantitativo dell’offerta di servizio
alla cittadinanza;
• preservare l’equilibrio economico dell’Azienda;
• migliorare la competitività dei costi in capo agli enti locali.
Il raggiungimento degli obiettivi del Piano Industriale passa attraverso il
coinvolgimento di tutti gli stakeholder rilevanti (Azienda, sindacati, Comu-
ne e Provincia di Ancona).

213
Tab. 6

Interventi previsti Impatti


Utilizzo turni spezzati nel servizio ex- Riduzione dei tempi non di guida
traurbano
Riduzione numero di riposi Incremento della produttività (13 giornate di lavoro in più per autista)
al netto dei maggiori straordinari
Allineamento trattamento “soste inopero- Riduzione del lavoro straordinario (minori soste computate nell’orario
se” alla normativa nazionale extraurbana di lavoro)
Introduzione dell’orario normale di lavoro Riduzione del lavoro straordinario
Istituzione di “residenze secondarie” Riduzione incidenza produzione chilometrica fuori linea (incremento
tempi di guida “produttivi” con conseguente aumento quali-
quantitativo dei servizi)

Fonte: Piano industriale Conerobus 2008/2012

Inoltre, l’efficientamento di Conerobus, nel piano industriale, passava


attraverso una riorganizzazione che avrebbe dovuto riguardare:
1. la rete dei servizi, con una riarticolazione della rete di depositi sul
territorio, con conseguente riduzione delle percorrenze a basso im-
patto per l’utenza e istituzione di servizi “sociali” nelle “ore di mor-
bida”, remunerati ad un corrispettivo più basso;
2. la strategia commerciale, con un ampliamento della “gamma di offer-
ta”, attraverso l’introduzione di nuovi schemi tariffari “appetibili”
per l’utenza ed a copertura di esigenze oggi non presidiate (es. bi-
glietto integrato urbano-extraurbano);
3. le politiche di approvvigionamento, con il proseguimento dell’attività
di “metanizzazione” del parco mezzi e conseguente riassorbimento
delle dinamiche inerziali dei costi del gasolio;
4. lo sviluppo di ricavi extra TPL, quali:
• noleggio dei mezzi, attraverso un maggior presidio dei canali ad
elevato potenziale ed un’evoluzione dell’approccio al mercato;
• gestione dei parcheggi;
• gestione del servizio di scuolabus per conto dei Comuni, a comin-
ciare da quelli più rilevanti (Ancona e Jesi);
• capitalizzazione del know-how maturato attraverso lo sviluppo di
attività di progettazione e consulenza per progetto filoviari sul ter-
ritorio nazionale;
5. la massimizzazione di sinergie interne ad Atma, quali:
• integrazione della rete dei servizi nell’ottica di una ottimizzazione
complessiva dei costi del servizio;
• adeguamento della rete logistica in logica di “network”;

214
• la centralizzazione di attività sinergizzabili (acquisti, investimenti
ecc.);
• partnership commerciali sul business dei noleggi;
• evoluzione del modello manutentivo degli operatori più piccoli.

7.5. L’analisi dei risultati del piano di miglioramento della Cone-


robus S.p.A.

La nostra analisi si è concentrata sulla verifica del raggiungimento degli


obiettivi fissati nel piano industriale 2008-2012 da parte di Conerobus, de-
scritto nel precedente paragrafo. Diciamo subito che non tutti gli obiettivi
sono stati raggiunti.
Gli obiettivi fissati nel piano industriale erano i seguenti e riguardavano
principalmente l’incremento della produttività del personale che, come sap-
piamo, rappresenta uno dei punti di debolezza del servizio di TPL italiano:
1. utilizzo turni spezzati nel servizio extraurbano;
2. riduzione numero di riposi;
3. allineamento trattamento “soste inoperose” alla normativa nazionale
extraurbana;
4. introduzione dell’orario normale di lavoro;
5. istituzione di “residenze secondarie”.
L’obiettivo di riduzione del numero di riposi, è stato parzialmente rag-
giunto, poiché tutte le assunzioni del personale avvenute dal 2008 in poi
hanno previsto un regime di 52 riposi rispetto ai 65 precedenti. Tale nuovo
regime si applicherà, sostanzialmente, solo ad 1/3 della forza lavoro della
Conerobus.
Gli altri obiettivi hanno ricevuto attenzione solo a partire dal 2012 e do-
po un accordo sottoscritto con la RSU aziendale.
A seguito di questo accordo sono stati aumentati in maniera considere-
vole i turni spezzati nel servizio extraurbano; sono stati introdotti i turni a
sosta inoperosa, ovvero i turni in cui l’autista si trova fuori residenza in so-
sta e gli viene riconosciuto solo il 12% dell’orario in sosta effettuato; vi è
stata, inoltre, una considerevole riduzione dell’incidenza della produzione
chilometrica fuori linea.

215
Sul piano dei numeri invece, come si può notare dalla Tabella 711,
emergono le seguenti considerazioni:
1. i ricavi di vendita sono sempre migliorati tra quanto preventivato e
quanto effettivamente conseguito;
2. i costi del personale, che rappresentano una delle poste più significa-
tive nelle aziende di TPL, nell’anno 2008 sono stati più bassi di
quanto preventivato, così come nel 2012, ma negli anni 2009-2011
sono stati più elevati;
3. gli altri costi di gestione, a consuntivo, sono stati sempre più elevati
rispetto a quanto preventivato;
4. il margine operativo lordo è stato migliore negli anni 2008-2009, ma
peggiore negli anni 2010-2012, seppure sia stato sempre positivo;
5. il risultato operativo netto, parimenti, è stato migliore negli anni
2008-2009, ma peggiore negli anni 2010-2012, seppure sia stato
sempre positivo ad eccezione dell’anno 2011;
6. la gestione extra caratteristica ha un peso estremamente relativo sul
risultato complessivo, ma quasi sempre vi è stato un peggioramento
della gestione finanziaria rispetto alle previsioni (soltanto il 2010 fa
eccezione), mentre la gestione straordinaria ha prodotto risultati mi-
gliori rispetto alle aspettative, con l’eccezione dell’esercizio 2009.

Tab. 7 – valori espressi in milioni di Euro

2008 2009 2010 2011 2012

P. C. V. P. C. V. P. C. V. P. C. V. P. C. V.

Ricavi di vendita 24,5 27,3 2,87 24,8 27,8 3,08 25,0 27,8 2,86 25,2 28,6 3,46 25,3 27,7 2,49

Altri Ricavi 8,9 7,81 -1,1 9,0 8,38 -0,6 9,2 7,89 -1,3 9,3 7,79 -1,5 9,4 8,88 -0,5

Valore della produzione 33,5 35,1 1,68 34,2 36,2 2,05 34,8 35,7 0,95 35,4 36,4 1,04 35,9 36,6 0,78

Costi del personale 19,9 19,4 - 0,5 20,2 20,7 0,50 20,6 21,0 0,45 20,9 21,0 0,15 21,2 19,9 -1,3

Altri costi 8,9 10,1 1,23 9,2 9,58 0,38 9,4 10,3 0,97 9,5 11,1 1,68 9,7 11,7 2,00

Costi operativi 28,8 29,6 0,80 29,4 30,2 0,87 29,9 31,4 1,53 30,4 32,2 1,83 30,8 31,6 0,87

M. O. L. 4,6 5,58 0,98 4,8 5,98 1,18 4,8 4,3 -0,5 5,0 4,21 - 0,8 5,1 5,0 -0,1

Ammortamenti e acc.ti 3,4 3,56 0,16 3,5 3,89 0,39 3,6 4,18 0,58 3,7 4,54 0,84 3,7 3,86 0,16

Risultato operativo netto 1,2 2,02 0,82 1,3 2,09 0,79 1,3 0,14 -1,2 1,3 -0,3 -1,6 1,4 1,1 -0,3

(continua)

11
Nella Tabella 7 viene effettuato un raffronto, nei cinque anni presi in considerazione
(2008/2012), tra gli obiettivi numerici fissati nel piano industriale (P) ed i valori realizzati a
consuntivo (C), evidenziandone la variazione (V).

216
(segue)
Gestione finanziaria -0,2 -0,3 - 0,1 - 0,2 - 0,2 -0,0 -0,2 -0,2 0,0 - 0,2 -0,2 -0,0 - 0,2 -0,2 -0,0

Gestione straordinaria 0,0 -0,2 -0,2 0,0 0,05 0,05 0,0 0,63 0,63 0,0 0,64 0,64 0,0 0,25 0,25

Imposte -1,0 -0,9 0,1 - 1,1 -0,9 0,2 - 1,1 -0,7 0,4 - 1,2 -0,36 0,84 -1,2 - 0,5 0,7

Risultato dì Esercizio 0,00 0,84 0,84 0,00 0,94 0,94 0,00 -0,7 - 0,7 -0,1 -0,9 - 0,8 0,00 0,39 0,39

Tuttavia, la prima riflessione che è opportuno fare riguarda il costo del


personale, dove si può constatare che risultati concreti si sono ottenuti
nell’anno 2012, a seguito della sottoscrizione dell’accordo con le forze so-
ciali, che hanno visto scendere questo costo ai livelli del 2009 e molto al di
sotto (-1,23) rispetto alle previsioni.
Pertanto, i numeri sembrerebbero confortare l’idea che la Conerobus sia
stata abbastanza efficace nel raggiungere gli obiettivi di riduzione dei costi
che si era data. In particolare, si sono ridotti i costi del personale e allo stes-
so tempo si è parzialmente incrementata la sua produttività.
Non sono stati raggiunti, invece gli obiettivi di incremento dei ricavi ex-
tra TPL, come la gestione dei parcheggi o la gestione del servizio di scuo-
labus per conto dei Comuni, attualmente in fase di avvio. Neppure la capi-
talizzazione del know-how maturato attraverso lo sviluppo di attività di
progettazione e consulenza per progetto filoviari sul territorio nazionale è
riuscita. Peraltro, la stessa massimizzazione di sinergie interne ad Atma non
ha ancora sviluppato pienamente le sue potenzialità, poiché l’integrazione
della rete dei servizi è in fase di avvio, mentre l’adeguamento della rete lo-
gistica in ottica integrata, di “network”, la centralizzazione delle attività si-
nergizzabili, le partnership commerciali sul business dei noleggi e
l’evoluzione del modello manutentivo degli operatori più piccoli, sono ri-
masti soltanto obiettivi non raggiunti.
Inoltre, si può evidenziare che, per quanto attiene alla rilocalizzazione del-
la rete di depositi sul territorio, con conseguente riduzione delle percorrenze
fuori servizio e all’istituzione di servizi “sociali” nelle ore di morbida, remu-
nerati ad un corrispettivo più basso, ciò è parzialmente avvenuto a seguito
della riorganizzazione del servizio disciplinata con Delibera della Giunta
Provinciale di Ancona n. 14 del 24 gennaio 2012, con la quale è stato appro-
vato un Progetto complessivo di ristrutturazione dei servizi di Trasporto Pub-
blico Locale Extraurbano del bacino di Ancona, introducendo una riduzione
delle percorrenze e dei corrispettivi per i servizi di TPL extraurbano su

217
gomma nella misura del 5%, su base annua, così come stabilito dalla Regione
Marche con la Delibera della Giunta Regionale n. 1752/201112.
Infine, l’attività di “metanizzazione” del parco mezzi è stata proficua ed
ha portato alla riduzione dei costi del gasolio, oltre che ad un rinnovo del
parco mezzi che ha ridotto i costi di manutenzione.
Tendenzialmente, si potrebbe concludere che gli effetti del piano di mi-
glioramento, sul bilancio di Conerobus, sugli output, siano stati positivi.
Tuttavia, essi non sono stati altrettanto buoni ove si considerino gli outco-
me, gli impatti sociali. Ciò emerge chiaramente da un’indagine commissio-
nata dalla Regione Marche e presentata il 15 novembre 2011.
Essa si prefiggeva l’obiettivo di misurare il livello di soddisfazione degli
utenti del trasporto pubblico locale extraurbano in merito alla qualità del
servizio fruito. Essendo l’oggetto della rilevazione la misurazione della
qualità percepita dai cittadini, essa si configurava come una indagine di cu-
stomer satisfaction.
L’unità di rilevazione era l’utente del trasporto pubblico locale, mentre il
campo di osservazione era rappresentato dall’insieme degli utenti effettivi degli
autobus percorrenti le linee di cui è dotato il territorio della regione Marche.
Il modello concettuale dell’indagine aveva il suo cardine nella gerarchia

12
Si è inoltre stabilita la decorrenza dell’introduzione dei primi interventi di modifica
del programma di esercizio dal 12 febbraio 2012 e 13 febbraio 2012.
Con Determinazione del Dirigente del II Settore- Sviluppo Economico n. 52 del 2 feb-
braio 2012, sono state approvate le modifiche al programma di esercizio in attuazione della
DGP n. 14/2012.
Tale progetto tiene conto delle disposizioni di cui alla Delibera della Giunta Regionale
n. 1752/2011 che prevede la riduzione dei km autorizzati (da 8.406.965 km/anno a
7.986.617 km/anno).
Il progetto stesso, inoltre, è basato sul nuovo sistema tariffario unico di bacino, che con-
sente all’utente di cambiare uno o più mezzi extraurbani senza costi aggiuntivi.
Esso prevede che le linee e i servizi sono distinti in:
– linee veloci (express) di collegamento veloce tra i principali centri dell’area (in parti-
colare Ancona-Jesi-Senigallia) e che costituiscono l’ossatura principale dei servizi;
– linee extraurbane tradizionali;
– linee suburbane.
L’adozione di servizi cadenzati va effettuata sulle linee dove è maggiore l’utenza, con
effettuazione di un notevole numero di corse effettuate con frequenza medio-alta.
Il servizio scolastico, effettuato nelle ore a maggior frequentazione e in generale nell’ora
di punta mattutina viene mantenuto e potenziato.
Riduzione sovrapposizioni, unificazione e semplificazione dei percorsi, poiché le ferma-
te delle linee veloci sono state “unificate” e razionalizzate, garantendo, così, tempi di percor-
renza ottimali e la distinzione dalle linee “suburbane”.
Infine, esso ha previsto l’introduzione rotture di carico su percorsi a bassa frequentazio-
ne e su linee e/o corse di adduzione alle principali.

218
dei parametri che rappresentano gli aspetti su cui l’utente valuta le presta-
zioni del servizio. La gerarchia dei parametri è articolata su due differenti
livelli di analisi: un primo livello costituito da quattro macrofattori o aspetti
e un secondo livello costituito da 16 fattori di dettaglio o microfattori.

Fig. 2

La qualità percepita è stata misurata attraverso la tecnica della “valutazio-


ne della soddisfazione ponderata”. Con questa metodologia, si chiede al ri-
spondente di associare ad ogni valore di soddisfazione il relativo livello di
importanza.
La valutazione della soddisfazione riguarda specificamente i microfattori,
mentre il livello di importanza va definito sia tra i microfattori sia, separata-
mente, tra gli aspetti. In tal modo, la valutazione finale della soddisfazione
relativa a ciascun microfattore e a ciascun macrofattore risulta ponderata con
il livello di importanza assegnato.
L’arco temporale di riferimento è il 2009-2011.
Nella Tabella 8 emerge come il bacino di Ancona sia gradualmente peg-
giorato nella percezione dei suoi utenti.

Tab. 8
Valori di sintesi per bacino
Bacino-Gestore 2009 2010 Variazione 2009/2011 2011 Variazione 2010/2011
Pesaro e Urbino - Adriabus 6,8 6,9 0,1 7,3 0,4
Ancona - ATMA 7,4 6,9 -0,5 6,8 -0,1
Macerata -Contram 6,7 7 0,3 7 0
Fermo - Trasfer 7,1 6,9 -0,2 7,1 0,2
Ascoli Piceno - Start Plus 7,1 6,7 -0,4 6,6 -0,1
Marche 7,0 6,9 -0,14 7,0 0,08

219
7.6. Conclusioni

Come ha reagito la Conerobus ai cambiamenti ambientali? Come ha ri-


definito le scala delle sue priorità? Il piano attuato da Conerobus possiamo
considerarlo più come una risposta data dal management per fronteggiare le
minacce prospettiche derivanti da una riduzione di fondi pubblici che come
un piano di vero e proprio miglioramento del servizio di TPL, deciso spon-
taneamente nell’ottica del miglioramento continuo e della soddisfazione
dell’utente.
In effetti, è indubbio che l’equilibrio economico-finanziario delle azien-
de di TPL è stretto in una morsa che vede:
• dal lato dei componenti positivi, una forte dipendenza dai corrispetti-
vi riconosciuti dalle Regioni, anche a causa di un elevato tasso di
evasione tariffaria,
e
• dal lato dei componenti negativi, la rigidità dei costi di un personale
fortemente sindacalizzato, la crescente insostenibilità del costo dei
carburanti, il continuo aumento del costo delle assicurazioni che
l’antitrust, a causa degli accordi di cartello delle compagnie assicura-
tive, non riesce a controllare ed infine, la costante crescita del costo
delle manutenzioni (causata dalla vetustà dei mezzi, ma anche dal
peggiorare dei manti stradali)13.
Appare evidente come sia difficile sottrarsi a tale morsa, come la strada
del contenimento dei costi sia sempre più limitata e come non sia facile
mantenere il controllo della situazione. È molto difficile migliorare le per-
formance economico-finanziarie facendo leva solo sui costi. Per far leva
anche sui ricavi, per riposizionare il servizio e non solo ridimensionarlo,
sarebbero necessari altri interventi. Si potrebbe incrementare la velocità
commerciale, si potrebbero incrementare le frequenze, si potrebbe provare
a percorrere la strada dell’integrazione. In altri termini, occorrerebbe fare
maggiore chiarezza sugli obiettivi da assegnare al servizio TPL e, allo stes-
so tempo, promuovere politiche tese a dissuadere le persone dall’uso
dell’auto e a favorire logiche di networking, così come sta avvenendo nelle
aree metropolitane inglesi deregolamentate: le autorità pubbliche e le im-
prese private collaborano insieme nell’interesse comune di far crescere il
mercato degli utenti. Con accorti interventi sulle politiche della viabilità da
13
Invero, la qualità delle strade italiane, specie quelle comunali e provinciali, tende a
peggiorare per via dei vincoli di bilancio degli enti locali (carenze di risorse da destinare agli
investimenti e patto di stabilità).

220
parte dei Comuni (corsie preferenziali, riduzione dei parcheggi centrali,
ZTL ecc.), unitamente a strategie di integrazione del servizio si potrebbero
coniugare più facilmente gli obiettivi di economicità, di sostenibilità finan-
ziaria con quelli di efficacia sociale. Il caso Conerobus mostra che nella
Regione Marche il processo di miglioramento è in fase di attuazione, che è
aumentata la sensibilità ai risultati economico-finanziari e all’efficienza,
anche a costo di sacrificare in parte, almeno in questa prima fase di “ristrut-
turazione”, l’efficacia sociale. Si tratta di un costo necessario per mantenere
in vita il servizio e per instradarlo su un sentiero di sostenibilità finanziaria.
A tal fine, nonostante la Conerobus abbia rimesso al centro la prospetti-
va aziendale, individuando i centri di responsabilità ed i centri di costo, ed
abbia cominciato ad usare le misure e gli indicatori finanziari nell’attività
decisionale, tuttavia non ha ancora quantificato i costi standard. Non è
l’unica azienda di trasporto pubblico che ha questo problema in Italia. Re-
centemente sono state avanzate delle proposte di costo standard da parte dei
rappresentanti delle associazioni che rappresentano gli operatori pubblici e
privati degli operatori del trasporto pubblico locale (Asstra, 2013 e Anav,
2013), ma i valori proposti sono ancora distanti dalle medie europee, essen-
do calcolati su una realtà ancora tutta da razionalizzare.
La proposta di Anav, che rappresenta gli operatori privati e che include
un ragionevole margine di utile si è concretizzata in due valori per l’urbano
e l’interurbano, rispettivamente di 4,25 euro/km per l’urbano e 3,29 euro
per l’extraurbano da applicare in tutto il territorio nazionale.

Tab. 9 – Calcolo del costo standard riferimento Anav

Costo Standard chilometrico (€/Km) 2011


Extraurbano Urbano
3,29 4,25

L’Asstra, che rappresenta gli operatori pubblici e che non ha come


obiettivo quello di conseguire un ragionevole margine di utile, ma
l’equilibrio necessario a rigenerare tutti fattori produttivi impiegati, ha pro-
posto per l’urbano un intervallo di valori “realistico” che vanno da 2,62 eu-
ro/km a 3,76 euro/km e per l’extraurbano un intervallo che va da 2,28 eu-
ro/km a 2,63 euro/km. L’intervallo si è reso necessario a causa delle diffe-
renti velocità commerciali che caratterizzano le specifiche aree di traffico.
Più alta è la velocità commerciale, più basso è il costo chilometrico. I valori
italiani sono ancora, però, molto distanti rispetto a quelli medi europei che,

221
per quanto riguarda il trasporto urbano, ammontano a 2,70 euro/km (Ear-
chimede, 2005; Bain & Co. 2012).

Tab. 10 – Calcolo del costo standard riferimento Asstra servizio Urbano

Urbano-Efficienza 13Km/h 14Km/h 15Km/h 16Km/h 17Km/h 18Km/h 19Km/h 20Km/h


realisticamente raggiungibile
Costo standard 5,12 4,89 4,69 4,51 4,36 4,22 4,09 3,98
Ricavo standard 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36
Fabbisogno standard 3,76 3,53 3,33 3,15 3,00 2,86 2,73 2,62
Produttività autista 17.063 18.375 19.688 21.000 22.313 23.625 24.938 26.250
Costo personale per addetto 41.948 41.920 41.892 41.865 41.838 41.811 41.785 41.759
Autisti su personale totale 78% 77% 77% 76% 76% 75% 74% 74%
Costo del personale sul totale
costi della produzione 62% 61% 60% 59% 58% 57% 56% 55%

Urbano-Efficienza obiettivo 13Km/h 14Km/h 15Km/h 16Km/h 17Km/h 18Km/h 19Km/h 20Km/h
Costo standard 4,57 4,37 4,20 4,05 3,92 3,80 3,70 3,60
Ricavo standard 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36 1,36
Fabbisogno standard 3,21 3,01 2,84 2,69 2,56 2,44 2,34 2,24
Produttività autista 18.448 19.867 21.286 22.705 24.121 25.543 26.962 28.382
Costo personale per addetto 40.172 40.143 40.115 40.087 40.059 40.032 40.005 39.979
Autisti su personale totale 77% 77% 76% 75% 75% 74% 74% 73%
Costo del personale sul totale
costi della produzione 63% 61% 60% 59% 58% 57% 56% 55%

Tab. 11 – Calcolo del costo standard riferimento ASSTRA servizio Extraurbano

Extraurbano-Efficienza 13Km/h 14Km/h 15Km/h 16Km/h 17Km/h 18Km/h 19Km/h 20Km/h


realisticamente raggiungibile
Costo standard 3,68 3,62 3,56 3,51 3,46 3,41 3,37 3,33
Ricavo standard 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05
Fabbisogno standard 2,63 2,57 2,51 2,46 2,41 2,36 2,32 2,28
Produttività autista 31.500 32.625 33.750 34.875 36.000 37.125 38.250 39.375
Costo personale per addetto 41.556 41.532 41.508 41.484 41.461 41.439 41.416 41.394
Autisti su personale totale 67% 66% 66% 65% 65% 65% 64% 64%
Costo del personale sul totale
costi della produzione 53% 52% 52% 51% 50% 50% 49% 49%
(continua)

222
(segue)
Extraurbano -Efficienza 13Km/h 14Km/h 15Km/h 16Km/h 17Km/h 18Km/h 19Km/h 20Km/h
obiettivo
Costo standard 3,39 3,34 3,29 3,25 3,20 3,16 3,13 3,09
Ricavo standard 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05 1,05
Fabbisogno standard 2,34 2,29 2,24 2,20 2,15 2,11 2,08 2,04
Produttività autista 34.272 35.496 36.720 37.944 39.168 40.392 41.616 42.840
Costo personale per addetto 39.768 39.744 39.720 39.696 39.673 39.650 39.628 39.605
Autisti su personale totale 66% 65% 65% 64% 64% 63% 63% 62%
Costo del personale sul totale
costi della produzione 52% 52% 51% 51% 50% 49% 49% 48%

L’imperativo dell’efficienza è dettato, tra gli altri, dall’emanazione del


Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2013 “De-
finizione dei criteri e delle modalità con cui ripartire il Fondo nazionale per
il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferro-
viario, nelle regioni a statuto ordinario”, che impone alle Regioni di razio-
nalizzare e rendere più efficiente la programmazione e la gestione dei ser-
vizi relativi al Trasporto Pubblico Locale, anche ferroviario, per poter ac-
cedere alle risorse pubbliche stanziate nel Fondo Nazionale, che è stato ri-
proposto dal governo centrale per rimediare all’inerzia delle Regioni, nono-
stante la materia del TPL fosse di loro esclusiva competenza.
In Italia, sebbene si sia spinto e si stia spingendo verso processi di azien-
dalizzazione attraverso il decentramento e l’autonomia amministrativa (fede-
ralismo fiscale) è innegabile che le ultime manovre finanziarie imposte
dall’alto abbiano prodotto tagli consistenti nei trasferimenti costituendo sti-
moli molto forti per accelerare i processi di efficientamento dei servizi pub-
blici. In conclusione, possiamo affermare che la cultura della misurazione e
dell’efficienza, sebbene imposta per legge e non, invece, spontaneamente
adottata da parte delle aziende pubbliche, rappresenta sicuramente un primo
fondamentale passo per introdurre la cultura dei risultati che è alla base degli
autentici processi di miglioramento, ma la strada è ancora lunga e, purtroppo,
siamo solo agli inizi.

223
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226
Collana di Studi Aziendali Applicati
diretta da Giuseppe Paolone
 
1. Giuseppe Paolone, L’economia aziendale e la ragioneria nella teoria e nelle
specializzazioni
2. Giuseppe Paolone, Francesco De Luca, Le rilevazioni sistematiche in contabi-
lità generale
3. Giuseppe Paolone, Francesco De Luca, Il bilancio di esercizio, principi, pro-
cedure e valutazioni
4. Claudia Salvatore, Il sistema degli strumenti integrati di rilevazione aziendale
5. Michele Borgia, L’economia delle aziende operanti nell’ambito della formazione
6. Giuseppe Paolone, Gaetano Aita (a cura di), Governance, adeguatezza e fun-
zionamento organizzativo delle imprese. I doveri degli organi delegati e del
Collegio sindacale
7. Galliano Cocco, La comunicazione interna. Strategie e strumenti psicosocio-
logici per le organizzazioni motivanti
8. Giuseppe Paolone, Gli istituti della cessazione aziendale. Cause originatrici e
forme di manifestazione
9. Manuel De Nicola, La responsabilità sociale dell’azienda. Strategie, processi,
modelli
10. Luca Ianni, Profili economico-aziendali e contabili nel nuovo sistema informati-
vo sanitario (NSIS)
11. Daniela Di Berardino, La gestione del capitale intellettuale nell’impresa al-
berghiera
12. Michelina Venditti, Social Housing. Logica sociale e approccio economicoa-
ziendale
13. Giuseppe Paolone, Gli istituti societari riferibili ai vari tipi di imprese in fun-
zionamento
14. Silvia Angeloni, L’aziendabilità. Il valore delle risorse disabili per l’azienda e il
valore dell’azienda per le risorse disabili
15. Ciro Esposito, La gestione concorsuale della crisi d’impresa
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luppo delle persone
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dell’informativa contabile
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bile e gestionale nelle aziende pubbliche
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blico locale in Italia nella prospettiva aziendale. Il difficile compromesso tra
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