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Giuseppe Paolone
La riforma
del trasporto
pubblico locale
in Italia
nella prospettiva aziendale
Il difficile compromesso
tra economicità aziendale
ed efficacia sociale
a cura di
Armando Della Porta, Antonio Gitto
FrancoAngeli
Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Economia Aziendale
dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara.
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INDICE
Introduzione pag. 9
1. Migliorare il servizio di trasporto pubblico locale: cosa
significa?, di Armando Della Porta » 13
1.1. Note introduttive » 13
1.2. Alla ricerca di un difficile compromesso tra economici-
tà aziendale ed efficacia sociale del servizio di trasporto
pubblico locale » 19
1.2.1. Ripartire dall’economicità aziendale » 21
1.2.2. Ripartire dall’efficacia sociale del servizio » 27
1.2.3. Alla ricerca di un compromesso ragionevole » 32
1.3. Il confuso percorso di miglioramento del servizio di
trasporto pubblico locale in Italia » 39
1.3.1. La fase del capitalismo municipale » 40
1.3.2. La fase della regionalizzazione » 40
1.3.3. La ri-centralizzazione » 44
1.4. Considerazioni conclusive » 47
Bibliografia » 50
2. Il trasporto pubblico locale (TPL): il quadro normativo
di riferimento, di Alceste Santuari » 57
2.1. Introduzione » 57
2.2. Il contesto europeo » 60
2.2.1. Il Regolamento (CE) 23 ottobre 2007, n. 1370 » 62
2.3. Il contesto italiano » 65
2.3.1. Legge 28 dicembre 1995, n. 549, recante “Misu-
re di razionalizzazione della finanza pubblica”
(collegato alla l. finanziaria 1996) » 66
5
2.3.2. D.lgs. 19 novembre 1997, n. 422, recante “Con-
ferimento alle Regioni ed agli enti locali di fun-
zioni e compiti in materia di trasporto pubblico
locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della l.
15 marzo 1997 n. 59” pag. 66
2.3.3. D.lgs. 20 settembre 1999 n. 400, “Modifiche ed
integrazioni al decreto legislativo 19 novembre
1997 n. 422, recante conferimento alle Regioni
ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia
di trasporto pubblico locale” » 70
2.3.4. La riforma del Titolo V, Parte II della Costitu-
zione » 71
2.3.5. L. 28 dicembre 2001, n. 448, “Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (l. finanziaria 2002)” » 73
2.3.6. L. 11 agosto 2003, n. 218, recante “Disciplina
dell’attività di trasporto di viaggiatori effettuato
mediante noleggio di autobus con conducente” » 74
2.3.7. Art. 14 d.l. 30 settembre 2003 n. 264 (collegato
alla legge finanziaria 2004) » 75
2.3.8. L. 15 dicembre 2004, n. 308, recante “Delega al
Governo per il riordino, il coordinamento e
l’integrazione della legislazione in materia am-
bientale e misure di diretta applicazione” » 75
2.3.9. Le disposizioni del c.d. “pacchetto Bersani” » 77
2.3.10. Le modalità di gestione del TPL a seguito della
sentenza della Corte costituzionale n. 199 del
2012 » 77
2.4. L’Autorità di regolazione dei trasporti » 89
2.5. Brevi considerazioni finali » 95
Bibliografia » 96
3. La ricerca dell’efficienza attraverso le riforme, di Mas-
simo Procopio » 98
3.1. Premessa » 98
3.2. L’“evoluzione dell’efficienza” in oltre trent’anni di ri-
forme » 99
3.2.1. Il settore prima della riforma Bassanini-Burlando
(la legge quadro n. 151/1981) » 99
6
3.2.2. La riforma Burlando e l’efficientamento del set-
tore attraverso il superamento dei limiti della
legge n. 151/1981 pag. 104
3.3. La contribuzione pubblica come strumento di promo-
zione dell’efficienza » 112
3.4. L’evoluzione del settore nella sua struttura di mercato
con uno sguardo all’Europa » 114
3.4.1. L’offerta e la domanda di TPL in Italia » 114
3.4.2. Le performance di alcune grandi aziende italiane » 118
3.4.3. Il sistema del TPL italiano nel confronto interna-
zionale » 123
3.5. Considerazioni conclusive » 126
Bibliografia » 127
4. Profili evolutivi dell’imprenditorialità e della manage-
rialità nelle aziende di TPL, di Oddo Bucci e Massimo
Benedetti » 129
4.1. Premessa » 129
4.2. L’imprenditore privato e il manager pubblico: i caratte-
ri originari » 131
4.3. L’evoluzione normativa: cambia la prospettiva
dell’imprenditore e del manager » 137
4.4. Fare l’impresa-rete come obiettivo comune dell’im-
prenditore e del manager » 142
Bibliografia » 146
5. Governare il processo di miglioramento del servizio di tra-
sporto pubblico locale: quali indicazioni dall’esperienza di
deregulation del Regno Unito?, di Armando Della Porta » 147
5.1. Note introduttive » 147
5.2. Governare il processo di miglioramento del servizio di
trasporto pubblico locale: obiettivi e leve » 150
5.3. Governare l’integrazione tra Stato e Mercato nel traspor-
to pubblico locale. L’esperienza della Gran Bretagna » 151
5.3.1. Dal Mercato allo Stato e ritorno: un breve storia
del TPL britannico fino al 1985 » 151
5.3.2. Il Transport Act del 1985 » 154
5.3.3. Il Transport Act del 2000 » 156
5.3.4. Il Transport Act del 2008 » 158
5.4. Gli impatti delle riforme di liberalizzazione » 160
5.5. Conclusioni » 166
Bibliografia » 168
7
6. Oltre la deregulation: rivalutare il Network Planning
come strumento di riposizionamento del servizio di TPL,
di Armando Della Porta e Antonio Gitto pag. 172
6.1. Introduzione » 172
6.2. La tesi dell’inevitabilità del declino del TPL e le sue
conseguenze » 173
6.2.1. Il TPL come servizio sociale » 175
6.2.2. La superiorità dell’auto » 176
6.2.3. La dipendenza da fattori esterni e l’“utopia”
dell’integrazione » 179
6.3. Rivalutare il ruolo della pianificazione integrata come
strumento per riposizionare il servizio di trasporto pub-
blico locale » 180
6.4. Riflessioni conclusive » 191
Bibliografia » 193
7. Pianificare il miglioramento delle performance nelle
aziende di TPL in tempi di crisi: il caso Conerobus
S.p.A., di Antonio Gitto e Armando Della Porta » 197
7.1. Premessa » 197
7.2. Il trasporto pubblico locale analizzato nel suo contesto:
la situazione della Regione Marche » 199
7.3. Migliorare il servizio di TPL nella prospettiva del New
Public Management » 205
7.4. Il caso Conerobus » 207
7.5. L’analisi dei risultati del piano di miglioramento di
Conerobus S.p.A. » 215
7.6. Conclusioni » 220
Bibliografia » 224
8
INTRODUZIONE
9
vi investimenti e con una rinnovata fiducia nella sua utilità. Altri paesi euro-
pei non hanno avuto dubbi e, con molto realismo e senso pratico, hanno scel-
to di “ridimensionarlo” o, meglio, di intraprendere un percorso di riforme
dando precedenza agli obiettivi di efficienza e di ripristino della sostenibilità
finanziaria del servizio. Non che gli obiettivi di outcome, di sostenibilità am-
bientale fossero meno importanti. Più semplicemente, hanno riconosciuto i
fallimenti del monopolio pubblico del servizio (alti sussidi, inefficienza, ec-
cesso di personale e bassa produttività) e, senza dubbi o esitazioni, hanno
tentato di porvi rimedio attraverso le leve della privatizzazione e della libera-
lizzazione per recuperare risorse da reinvestire nel miglioramento della sua
qualità. Sicuramente sono stati commessi degli errori. Per ridurre i sussidi
pubblici, per migliorare l’efficienza e la produttività si sono sacrificati i risul-
tati sociali. D’altronde, c’è sempre un prezzo da pagare. L’importante, però, è
porvi rimedio e non perseverare. Ciò è puntualmente avvenuto perché, a que-
sti “errori” sono seguite delle azioni correttive, con nuove riforme più outco-
me-oriented. Due sono i principali obiettivi di questo lavoro. Da un lato, mo-
strare le difficoltà nel trovare un ragionevole compromesso tra le esigenze di
miglioramento dell’economicità aziendale e le esigenze di miglioramento
dell’efficacia sociale del servizio di trasporto pubblico locale. Dall’altro, mo-
strare l’estrema resistenza mostrata dal nostro paese a sperimentare le riforme
che pure ha varato. Mentre negli altri paesi, una volta deliberate, le riforme si
applicano e si correggono alimentando, così, un ciclo di miglioramento, in
Italia si discutono, si rallentano, si fermano. L’Italia, a differenza degli altri
paesi, non ha, infatti, ancora sperimentato concretamente la deregulation,
non ha ancora recuperato l’enorme gap di efficienza e di produttività che la
distanzia dagli altri paesi. Non ha, purtroppo, intrapreso, un percorso di ap-
prendimento fatto di tentativi ed errori. Non è riuscita a trovare una sintesi
soddisfacente alle contrastanti pressioni sociali ed economiche, ed è rimasta,
per così dire “stuck in the middle”, resistendo in tutti i modi possibili
all’applicazione delle varie riforme che, a partire dal 1981, si sono susseguite
per rendere il servizio di trasporto pubblico locale più efficiente e più finan-
ziariamente sostenibile.
Il volume è organizzato in sette capitoli.
Il capitolo 1, a cura di Armando Della Porta, ha l’obiettivo di illustrare
sia la complessità del processo di miglioramento del servizio di trasporto
pubblico locale, sia l’estrema resistenza mostrata dal nostro paese a speri-
mentare le logiche del New Public Management.
Il capitolo 2, a cura di Alceste Santuari, ha come obiettivo quello di mo-
strare la tortuosa ed impervia via che il nostro legislatore ha scelto per pro-
vare a riformare il servizio di TPL.
10
Il capitolo 3, a cura di Massimo Procopio, ha come obiettivo quello di
provare a fare un bilancio delle varie riforme che si sono avvicendate. Un
bilancio non certamente positivo, fatto di ritardi, continui rinvii e modifiche
che non hanno fatto altro che peggiorare l’efficienza del servizio.
Il capitolo 4, a cura di Oddo Bucci e Massimo Benedetti, ha come obiet-
tivo quello di evidenziare, attraverso una efficace ricostruzione storica, i
contributi che gli imprenditori ed i manager possono dare al miglioramento
del servizio di TPL se solo le autorità politiche fossero più aperte al dialogo
e alla collaborazione.
Il capitolo 5, a cura di Armando Della Porta, ha l’obiettivo di mostrare
quali risultati si sono ottenuti con l’introduzione delle logiche di deregula-
tion, di privatizzazione e di liberalizzazione. Il caso prescelto è quello della
Gran Bretagna che, come è noto, non ha esitato ad implementare i principi
del New Public Management, ma neanche a riconoscerne gli errori e a ten-
tare di porvi rimedio con ulteriori riforme correttive.
Il capitolo 6, a cura di Armando Della Porta e Antonio Gitto, ha
l’obiettivo di mostrare un differente percorso di miglioramento del servizio
di TPL, un modo differente di bilanciare economicità ed efficacia sociale
basato sulla rivalutazione del planning pubblico del servizio e non sul suo
discredito attraverso la promozione a tutti i costi della deregulation e della
concorrenza. Mostreremo quali risultati sono stati raggiunti ponendo come
centrali i problemi dell’integrazione e della coordinazione del servizio ad
opera di un soggetto pubblico responsabilizzato sui risultati.
Il capitolo 7, a cura di Antonio Gitto e Armando Della Porta, mostra, in-
fine, come un’azienda italiana di trasporto pubblico locale, la Conerobus
spa, sta reagendo ai cambiamenti ambientali, come sta cambiando le sue
priorità in risposta alle pressioni esterne.
A conclusione di questa breve introduzione desideriamo ringraziare, ol-
tre i co-authors e i responsabili delle aziende di TPL con i quali abbiamo
avuto vivaci e proficui scambi di idee, i professori Giuseppe Paolone e
Massimo Sargiacomo per il costante incoraggiamento e per i preziosi sug-
gerimenti forniti durante la stesura del presente lavoro. Al professor Paolo-
ne, inoltre, vanno i nostri più affettuosi e sinceri ringraziamenti per averlo
accolto all’interno della Sua prestigiosa collana.
11
1. MIGLIORARE IL SERVIZIO DI TRASPORTO
PUBBLICO LOCALE: COSA SIGNIFICA?
13
(Hughes, 1994; Hood, 1991, 2000; Le Grand, 2003; Borgonovi, 2004;
Ashworth, Boyne, Entwistle, 2010).
Se le aziende pubbliche applicheranno tali principi, otterranno, secondo i
loro sostenitori, migliori risultati (Boyne, 2003a,b,c). Tale passaggio, inoltre,
non è che l’inevitabile conseguenza provocata dal venir meno della rigida se-
parazione tra discipline. L’economia e il management, infatti, stanno ormai
affiancando1, non senza problemi (Gray, Jenkins, 1995; Borgonovi, 2006), le
scienze politiche e quelle giuridiche per dare più spazio all’oggettività e al
calcolo rispetto alla soggettività ed all’arbitrio della politica ed all’eccessivo
formalismo delle norme, allo scopo di ridurre le distanze tra il settore pubbli-
co e quello privato solo allo stretto necessario (Boyne, 1996, 2002; Pollitt,
Bouckaert, 2000; Borgonovi, 2004; Borgonovi, Fattore, Longo, 2009).
Con molte difficoltà, soprattutto in Italia (Sargiacomo, 2013), nuovi
meccanismi quali la pressione competitiva e la misurazione dei risultati,
cominciano ad essere utilizzati al posto di quelli cosiddetti tradizionali, ba-
sati, per lo più, sulla fiducia riposta nelle capacità, nelle competenze e, so-
prattutto, nella dedizione e nel disinteresse dei pubblici servitori nel perse-
guire l’interesse generale (Le Grand, 2003). In tal senso, migliorare i servi-
zi pubblici significa, prima facie, provare a restituire maggiore centralità
alla dimensione più trascurata nel passato, ovvero alla dimensione azienda-
le (Paolone, D’Amico, 2001; Cavalieri, 2010), rafforzando, al tempo stesso,
la dimensione politica di indirizzo verso il bene comune attraverso una più
attenta e responsabile attività di regolazione basata più sulle risorse dispo-
nibili e sull’evidenza dei risultati raggiunti che su astratti desiderata (Hood,
2000; Boyne et al. 2003a). Migliorare i servizi pubblici in questa nuova di-
rezione significa, in ultima analisi, dare concreta attuazione ai principi car-
dine della separazione del governo dalla gestione del servizio e della valu-
tazione dei risultati ottenuti (Sargiacomo, 2000; Borgonovi, 2004; Grossi
Mussari, 2004). Ciò allo scopo ultimo di verificare più attentamente
l’equivalenza tra risorse pubbliche erogate e prestazioni ottenute attraverso
l’uso più intenso di meccanismi di feedback.
Il settore del trasporto pubblico locale2 non è sfuggito a tale impeto ri-
formatore (Pezzoli, 2000; Hensher, 2005;Van de Velde, 2008). Un’intensa
1
In Italia le discipline aziendali e manageriali incontrano maggiore difficoltà, rispetto agli
altri paesi europei, a modellare il modus operandi del settore pubblico dove vengono ancora
premiati comportamenti formalmente conformi alle regole giuridiche più che ai risultati decli-
nati in termini di efficienza, efficacia ed economicità (le famigerate 3E) (AA.VV., 2008).
2
Il trasporto pubblico locale è un servizio di trasporto collettivo dei passeggeri che, a
differenza dell’auto e dei taxi che consentono di effettuare spostamenti individualizzati, è
organizzato con orari e percorsi predefiniti in un’area più o meno estesa (bacino di traffico)
14
attività legislativa sia a livello di parlamento comunitario che a livello dei
parlamenti dei singoli paesi sta tentando di accogliere tali nuovi orienta-
menti, non senza esitazioni e resistenze, allo scopo di favorire la nascita di
forme organizzative3 (Van de Velde, 1999) del servizio più results-
oriented, più distaccate dall’ingerenza politica e più in grado di cogliere le
opportunità che il mercato del trasporto collettivo sembra presentare ora più
che in passato. Alcuni autori (Goodwin, 2012; Newman e Kenworthy,
2011), seppure in modo molto prudente, cominciano ad affermare che il
tasso di utilizzo dei mezzi privati, che la cosiddetta dipendenza dall’auto,
ha ormai raggiunto un picco, che è iniziata la discesa e che è finalmente ar-
rivato il momento in cui il trasporto pubblico può tornare ad essere prota-
gonista come lo era stato agli esordi, prima dell’avvento dell’auto di massa.
In molti paesi industrializzati, infatti, l’utilizzo dei mezzi di trasporto pub-
15
blico sta dando incoraggianti segnali di crescita. Ciò genera un lieve ottimi-
smo ed una ulteriore spinta ad affrontare con più decisione i complessi pro-
blemi di politica e di gestione del trasporto urbano e metropolitano.
La direzione delle riforme, come anticipato in apertura, è quella di pro-
vare a smantellare il monopolio pubblico del servizio, ritenuto non più ade-
guato ad affrontare le future sfide che attendono il settore del trasporto
pubblico locale (Pashigian, 1976; Lave, 1991; Hibbs, 2000; Beesley, 1997;
Hensher, 2005; Ponti, 2006).
La soluzione individuata è quella della specializzazione, ovvero di sepa-
rare il governo dalla gestione utilizzando meccanismi di mercato (privatiz-
zazione e competizione) e di valutazione delle performance (Demsetz,
1968). Il settore pubblico non potrà, infatti, continuare a fare tutto da solo,
ma dovrà limitare la sua sfera di intervento alla regolazione e al controllo,
rinunciando alla gestione (Shleifer, 1998).
Non è sbagliato qualificare tali riforme come tentativi perché il monopo-
lio pubblico del servizio di trasporto, per certi aspetti, si è rivelato, e si sta
rivelando tutt’ora, non solo difficile da esplorare (Sargiacomo, Gomes,
2011) ma più ostico e refrattario a tali nuovi indirizzi riformatori, rispetto
ad altri servizi, mostrando una più accentuata resistenza al cambiamento
(Cangiano, 2005; Piperata, 2011). Tale resistenza, in parte può apparire
giustificata. Come è noto, i benefici dell’auto privata percepiti dall’utente,
la libertà di movimento che la stessa consente sembrano, nonostante che
alcune ricerche inizino a suggerire il contrario, ancora largamente superiori
ai costi derivanti dal suo uso. Ubels et al. (2010), in particolare, osservano
che «the crux of the problem is that the benefits of car use are very evident
to individuals, whereas the problems are more diffuse, hit others rather than
car users, with some impinging on future rather than current generation».
Per tali ragioni il tema del miglioramento del trasporto pubblico locale «is
not […] favoured by politicians, certainly compared to, for example, educa-
tion and health. For things, to improve significantly, large sums of money
are required, and significant improvements take many years to achieve.
Transport projects can also be controversial and, even where they are gen-
erally accepted, schemes under construction tend to generate hostility at a
local level due to the disruption involved. This unequal conflict between
choosing immediate and tangible personal benefit over a delayed and far
less visible cost to society is behind many of the difficulties faced when
addressing the transport crisis».
Di conseguenza l’utilizzo di meccanismi di mercato non viene ancora
percepito, dagli utenti stessi prima che dai politici e dai provider pubblici,
come una soluzione al problema centrale, che è quello di migliorare la qua-
16
lità della mobilità urbana, ma viene interpretato come un’ulteriore peggio-
ramento della stessa attuato attraverso il mero spostamento delle risorse da-
gli (elevati) salari dei dipendenti (pubblici) e dagli utenti (con biglietti più
cari e con minori servizi) ai profitti delle imprese (Sclar, 2000; Mees, 2000,
2010). Di qui una difesa del monopolio pubblico del servizio non solo da
parte dei provider pubblici (difesa scontata) ma anche da parte degli utenti
che non avvertono come prioritaria l’esigenza di una sua riforma market-
oriented (Mees, 2010). Anche i più ferventi sostenitori della concorrenza
(Hibbs, 2000, 2009; Winston, 2000) non possono non riconoscere, infatti,
che i meccanismi di mercato possono fare ben poco per migliorare la com-
plessa performance del servizio di trasporto. Potranno ridurne i costi attra-
verso la riduzione degli eccessi di personale e di servizio ed introdurre una
maggiore attenzione all’efficienza e, magari, ai bisogni di una particolare
fascia di utenti situati in aree ad elevata intensità di domanda, ma difficil-
mente potranno risolvere da soli il problema della congestione,
dell’inquinamento o della piena copertura delle aree e degli orari a doman-
da debole (Goodwin, 1997). È più difficile, infatti, migliorare gli outcome
rispetto agli output, perché obiettivi ambiziosi come la lotta alla congestio-
ne e all’inquinamento richiedono un’azione concertata più complessa, di
neworking pubblico-privato (Pucher, 1996; Hull, 2005; Barter, 2008; Mees,
2010). Se è vero che gli obiettivi di output sono meno ambiziosi, ciò non
significa che debbano essere considerati come meno importanti o più sem-
plici da trattare (Lave, 1991; Liberatore, 2001). A differenza dei primi, pos-
sono, però, essere raggiunti in tempi più brevi, se affrontati con la giusta
determinazione, consentendo di recuperare non poche risorse che andrebbe-
ro reinvestite nel servizio stesso allo scopo di renderlo più attrattivo (Mele,
2003; Ponti, 2006; D’Amico, Palumbo, 2008).
Come è evidente da queste brevi e frammentarie note introduttive, non è
certo facile trovare una via d’uscita, un punto di equilibrio, per migliorare le
performance di questo particolare servizio. Altri paesi europei hanno evitato
l’inerzia e hanno fatto propria, in modo convinto, la direzione auspicata dai
sostenitori del NPM, che è quella di ripartire dall’efficienza (Savage, 1993).
Con più realismo e senso pratico hanno superato le esitazioni e hanno scelto
di intraprendere un percorso di riforme sulla base dei principi del New Public
Management, dando precedenza agli obiettivi di output, in particolare agli
obiettivi di riduzione dei costi (Buheler, Pucher, 2011) più che di riduzione
della congestione o dell’inquinamento, non perché meno importanti, ma per-
ché realisticamente fuori dalla sfera di influenza e di controllo delle imprese
di trasporto, ed affrontabili solo con il concorso di soggetti pubblici dotati dei
necessari poteri e, soprattutto, di un’autentica volontà di risolverli (Owens,
17
1995; Hull, 2005). Hanno riconosciuto i fallimenti di natura economica (La-
ve, 1991; Hibbs, 2000; Winston, 2000) della gestione pubblica del servizio
(alti sussidi, inefficienza, eccesso di personale e bassa produttività) e hanno
tentato di porvi rimedio attraverso le leve della privatizzazione e della con-
correnza (libera o regolamentata) (Van de Velde, Beck, 2010). Sicuramente
sono stati commessi degli errori. Per ridurre i sussidi pubblici ed i costi, per
ripristinare gli equilibri di bilancio, le riforme di liberalizzazione e privatiz-
zazione non hanno fatto abbastanza per migliorare gli outcomes sociali o, ad-
dirittura, li hanno peggiorati (Lonti e Gregory, 2007; Mees, 2010), ma a que-
sti errori sono comunque seguite azioni correttive con nuove riforme più out-
come-oriented. I meccanismi di mercato e la concorrenza sono stati usati, ad
esempio, in modo meno dogmatico. Si pensi, a titolo di esempio, alla ri-
regolazione delle aree metropolitane inglesi, esclusa Londra (Van de Velde e
Wallis, 2013). Sono stati introdotti meccanismi di coordinamento e di part-
nership in grado di migliorare la qualità del servizio e non solo l’efficienza
(Sorensen e Longva, 2011; Hefetz, Warner, 2012). Si è scelto, in sintesi, di
fare un passo alla volta dando priorità al recupero dell’efficienza e
all’eliminazione degli sprechi senza precludere ulteriori possibilità di miglio-
ramento della qualità e della customer satisfaction. Infatti, mentre negli anni
Ottanta l’enfasi era posta prevalentemente sulla deregulation e sulla concor-
renza (Lave, 1991; Hibbs, 2000; Winston, 2000) come strumenti per recupe-
rare efficienza e produttività, ora, dopo anni di sperimentazioni più o meno
riuscite, stiamo assistendo al processo inverso, ovvero l’attenzione si è spo-
stata anche sui temi della qualità del servizio e della sua capacità di dissuade-
re le persone dall’utilizzo del mezzo privato. Solo dopo aver recuperato ac-
cettabili livelli di efficienza e di produttività si è posto il problema successivo
(soprattutto in Inghilterra e in Nuova Zelanda) (Van de Velde, Wallis, 2013)
di come migliorare la qualità e l’attrattività del servizio. Quali sono, allora, i
modi migliori per ri-regolamentare il settore del trasporto pubblico locale
senza, però, perdere i risultati di efficienza e di produttività conseguiti con la
deregulation (totale o parziale) e senza riattivare il famigerato pendolo pub-
blico-privato (Borgonovi e Mussari, 2010) o ciclo regolatorio (Gwilliam,
2008; van de Velde e Wallis, 2013)? È possibile ridurre al minimo il trade-
off tra efficienza e qualità del servizio? Con quali leve? Domande interessanti
come queste purtroppo non possiamo ancora porcele perché, a differenza di
altri paesi, l’Italia non ha ancora sperimentato concretamente la deregulation,
non ha ancora recuperato l’enorme gap di efficienza e di produttività che la
distanzia dagli altri paesi europei (Boitani e Cambini, 2004). Non ha, pur-
troppo, intrapreso un percorso di apprendimento fatto di tentativi ed errori.
Non è riuscita a trovare una sintesi soddisfacente alle contrastanti pressioni
18
sociali ed economiche ed è rimasta, per così dire, “stuck in the middle”, resi-
stendo in tutti i modi all’applicazione delle varie riforme che si sono succe-
dute per rendere il servizio di trasporto più efficiente, pur essendo caratteriz-
zata da una difficile, se non disperata, situazione finanziaria (Boitani e Cam-
bini, 2004, 2006; Piperata, 2011). Ha esitato, non ha saputo gestire con deci-
sione, come gli altri paesi europei, la scala delle priorità fissate dai sostenitori
del NPM che, come sappiamo, mettono al primo posto il recupero di livelli
accettabili di efficienza e di produttività (Hood, 1991).
L’obiettivo di questo capitolo introduttivo è di illustrare innanzitutto
quanto sia complesso il processo di miglioramento del servizio di trasporto
pubblico locale e poi l’estrema resistenza mostrata dal nostro paese a spe-
rimentare le logiche del NPM. Il capitolo è strutturato come segue. Nel
prossimo paragrafo tenteremo di spiegare perché il processo di migliora-
mento del servizio di trasporto pubblico locale è così complesso, quali tra-
de-off è necessario affrontare e come provare a risolverli. Ci avvarremo, a
tal fine, delle principali conclusioni cui è giunta la letteratura nazionale ed
internazionale che ha approfondito tali problematiche anche dal punto di
vista empirico, descrivendo alla fine quale debba essere il compromesso
(Gwilliam, 2008; Borgonovi, Mussari, 2010), la sintesi ragionevole neces-
saria per migliorare la complessiva performance di un settore che, per certi
versi, è rimasto troppo a lungo insensibile all’accountability, all’obbligo di
rendere conto dei risultati ottenuti utilizzando risorse pubbliche. In quello
successivo descriveremo le incertezze e le indecisioni del processo di ri-
forma italiana del servizio di trasporto pubblico che hanno alimentato un
pendolo tra “centro” e “periferia”, un rimando e un rinvio di responsabilità
piuttosto che un autentico circolo virtuoso di apprendimento e di migliora-
mento. Alcune osservazioni conclusive chiuderanno il capitolo.
19
re, ci ricorda che il miglioramento del servizio alla fine è sempre il frutto di
un temporaneo compromesso tra dimensioni oggettive (costi, qualità, tem-
pi) e soggettive (equità, inclusione sociale e territoriale ecc.) alla luce di de-
terminate circostanze (sociali, economiche, culturali). La tensione da scio-
gliere, in buona sostanza, è quella tra organizational effectiveness (che ha
come oggetto il miglioramento delle performance economico-finanziarie
delle singole aziende, della loro economicità) e public service improvement
(che si concentra soprattutto sui meccanismi per migliorare il servizio in sé
in un’ottica di customer satisfaction).
A tal proposito l’autore osserva che (Boyne 2003b: 213):
• i modelli che esprimono l’idea di efficacia o di economicità aziendale,
che rappresenta il pilastro delle teorie organizzative e manageriali, ten-
dono a concentrarsi sul successo o sul fallimento di singole aziende;
• il servizio pubblico è, invece, un concetto più ampio e complesso che
include altri attori e, soprattutto, i contesti. I servizi sono, infatti, ero-
gati da un network di attori tra di loro connessi da sistemi di relazioni
di varia natura (gerarchici, di competizione, di collaborazione);
• i beneficiari delle azioni di miglioramento del servizio sono soprattutto
gli utenti. L’obiettivo generale è quello di innalzare, attraverso il mi-
glioramento del servizio, determinati standard di vivibilità (di salute,
di mobilità, di istruzione) anche se questo innalzamento potrebbe peg-
giorare l’economicità dei singoli provider anche a causa di variabili
esterne di contesto che sfuggono al loro controllo e che, per una serie
di motivi, sono costretti a subire, non potendo scegliere, come le im-
prese, di abbandonare tali ambienti sfavorevoli.
Ne segue che economicità aziendale ed efficacia sociale del servizio sono
due concetti distinti e non necessariamente procedono nella stessa direzione
(Borgonovi, 2004; Cavalieri, 2010; Borgonovi e Mussari, 2010). Alcune
aziende possono migliorare la loro economicità ma l’efficacia sociale del
servizio può peggiorare, come accennato sopra, a causa di numerosi problemi
(es. cattivo servizio derivante dall’assenza di coordinamento, di collabora-
zione, dall’elevata conflittualità tra gli stakeholder, dalle specifiche caratteri-
stiche di determinati contesti che potrebbero rivelarsi particolarmente ostili
sotto molteplici punti di vista – si pensi, ad esempio, alla difficile lotta contro
l’evasione tariffaria nel servizio di trasporto pubblico nel nostro paese). In
sintesi, il miglioramento del servizio pubblico è un concetto dinamico e va-
riabile nel tempo, ha a che fare con l’innalzamento di determinati standard,
pone problemi di equità ed, infine, tende ad esprimere la performance di net-
works di attori diversi piuttosto che di singole aziende (Boyne, 2003b). Se è
vero che economicità aziendale ed efficacia sociale sono concetti distinti, ciò
20
non può e non deve rappresentare comunque un alibi per aumentare le di-
stanze tra i due. Come sappiamo, gli obiettivi del NPM non sono quelli di di-
sconoscerne la distinzione ma di ridurne al minimo la distanza (Boyne, 2002;
Talbot, 2010). Nello specifico del trasporto pubblico locale le distanze da ri-
durre, le opposte esigenze da conciliare sono, da un lato, le ragioni aziendali
del miglioramento dell’economicità (miglioramento dell’efficienza, della
produttività e degli equilibri economico-finanziari delle singole aziende) e,
dall’altro, le ragioni politiche del miglioramento dell’efficacia sociale del
servizio e che vedono nel miglioramento degli outcomes socio-ambientali
(riduzione della congestione, incremento dell’accessibilità, riduzione dei
tempi di spostamento, riduzione dell’inquinamento), la principale ragione di
esistenza del servizio stesso (Van de Velde, 1999; Hensher, 2005; Ponti,
2006). Migliorare il servizio di trasporto pubblico significa, quindi, riuscire a
trovare una soluzione che riesca a conciliare output e outcome, ad individuare
un punto di equilibrio tra esigenze politiche di miglioramento degli standard
del servizio ed esigenze aziendali di rispetto degli equilibri economico-
finanziari, che riesca, in buona sostanza, ad eliminare tutti quei costi non ne-
cessari per raggiungere le finalità sociali che ne giustificano l’esistenza (Ca-
valieri, 2010).
21
utenti, gli obiettivi da perseguire, pena l’esclusione e la perdita dei capitali
investiti. Attraverso la restituzione delle leve decisionali agli imprenditori a
migliorare non sarebbe solo l’efficienza ma, soprattutto, la capacità di indi-
viduare e soddisfare la domanda. Van de Velde (1999), infatti, ritiene cen-
trale mettere al centro non solo il problema di come ridurre i costi, sicura-
mente importante, ma anche quello di introdurre meccanismi in grado di
rivelare e far emergere la complessa domanda di mercato:
22
le perdite che esso stesso genera alimentando un circolo vizioso difficile da
interrompere e non più finanziariamente sostenibile, anche alla luce della
grave crisi economica che ha investito, soprattutto, l’occidente. Secondo
questa prospettiva l’origine di tutti i problemi sembrerebbe risiedere nella
proprietà pubblica. Da un punto di vista teorico è noto come gli economisti
da sempre fatichino a comprendere i vantaggi della proprietà e della gestio-
ne pubblica rispetto alla regolazione della produzione di servizi pubblici
affidata a privati (Pashigian, 1976). Shleifer (1998) sottolinea che quando il
governo sa quello che vuole può utilizzare un contratto. Se è preoccupato
per situazioni di monopolio e per problemi di prezzi può ricorrere alla rego-
lazione. Se il governo non è in grado di sapere esattamente ciò che vuole
(teoria dei contratti incompleti) deve capire quale assetto proprietario sia
più incentivante per la produzione di quegli elementi della performance non
conoscibili in anticipo (qualità, efficienza, innovazione). La proprietà pub-
blica, teoricamente, potrebbe rivelarsi un assetto non incentivante perché i
manager ottenendo solo una piccola frazione dei miglioramenti che produ-
cono non hanno gli incentivi adatti per innovare e per essere sempre più ef-
ficienti4. Nel corso degli anni, infatti, la quota di mercato del servizio di
trasporto pubblico si è ridotta drasticamente e l’aumento dei sussidi pubbli-
ci, sia in conto capitale che in conto esercizio, ha finito con il provocare so-
lo un aumento dei costi ed una caduta della produttività delle aziende pub-
bliche titolari esclusive del servizio (Lave, 1991; Viton, 1988; Obeng,
2011) piuttosto che stimolare la ricerca di soluzioni innovative in grado di
soddisfare le variegate esigenze di mobilità degli utenti. Numerose aziende
pubbliche di trasporto in tutto il mondo soffrono, infatti, di bassa produtti-
vità, di alti costi, di bassi ricavi tariffari e di ingenti sussidi pubblici.
L’ulteriore elemento che peggiorerebbe il già non florido quadro appena
descritto è stato unanimemente individuato nel meccanismo dell’in house
providing, ossia, nell’assegnazione diretta del servizio, priva di meccanismi
di incentivo e di controllo dei risultati (Boitani e Cambini, 2004; Ponti
2006; Van de Velde, 2008; Piperata, 2011). Se, come visto, la proprietà
pubblica di per sé non è un assetto incentivante, l’assenza di meccanismi di
4
Non vanno dimenticati però anche i maggiori costi di transazione legati all’opportunismo
che i privati potrebbero provocare. Più in generale il principio di fondo è quello di procedere ad
un rigorosa comparazione dei costi e dei benefici che si possono ritrarre dall’uso del mercato
senza escluderlo a priori. Ma per fare ciò occorre rimuovere legislativamente il monopolio
pubblico del servizio. Rimozione alle barriere all’ingresso (sia nella forma della concorrenza
nel mercato che in quella della concorrenza per il mercato), privatizzazione e regolazione pub-
blica sono, quindi, i tre punti principali che la teoria economica prevede come condizioni ne-
cessarie per attivare un processo di miglioramento.
23
valutazione dei risultati connessa all’assegnazione diretta del servizio rap-
presenterebbe la classica goccia che fa traboccare il vaso. L’in house provi-
ding, ha radici e motivazioni storiche ben precise (Laghi, 1919; Dall’Alpi,
1928) che ora, però, non sussistono più. Nel passato i privati, soprattutto in
Italia, non erano in grado, per ragioni di ridotta dimensione aziendale, di
garantire l’esistenza di un servizio di trasporto pubblico con determinate
caratteristiche e finalità (Grossi e Mussari, 2004). Le aziende pubbliche
municipalizzate (legge Giolitti del 1903) hanno rappresentato, quindi, un
passaggio obbligato, che ha dato per un lungo periodo di tempo risultati po-
sitivi. Ora le condizioni sono mutate. Il possesso diffuso dell’auto di massa
ha reso meno urgenti le finalità originarie di inclusione sociale e territoriale
e non ha più molto senso continuare a inseguire costosi ed inutili progetti di
piena copertura del territorio (Walker, 2008). Anche a causa della grave
crisi che stiamo attraversando, che ha ridotto la disponibilità di risorse pub-
bliche, diventa centrale recuperare e utilizzare le scarse risorse verso la so-
luzione dei nuovi problemi che si sono venuti a creare per effetto, questa
volta, dell’eccesso di auto private in circolazione (congestione) (Owens,
1995; Goodwin, 1997). Di conseguenza i temi dell’efficienza e della pro-
duttività non possono più passare in secondo piano e continuare ad essere
sacrificati sull’altare di obiettivi non più rilevanti. Il tema della sostenibilità
finanziaria del servizio (Golinelli, 1986; Pucher e Buheler, 2010) non può,
quindi, continuare ad essere ignorato ed occorre trovare soluzioni in grado
di ridurre il più possibile la dipendenza (patologica) dello stesso dai sussidi
pubblici (Obeng, 2011). Pertanto, bisogna prendere atto del fallimento del
settore pubblico nell’individuare e nel soddisfare, in modo efficiente, i
nuovi bisogni di mobilità (Winston, 2000) e trovare nuove vie d’uscita spe-
rimentando gli effetti derivanti dall’introduzione di meccanismi di mercato.
Ciò in quanto l’interesse pubblico nel servizio di trasporto, come detto, non
è più tanto quello dell’inclusione sociale e territoriale come era, invece, nel
passato, prima dell’affermazione dell’auto di massa. Ora il paradigma è
cambiato (Marletto, 2004). L’interesse pubblico è più legato ai problemi
della sostenibilità finanziaria e della lotta alla congestione e
all’inquinamento, attraverso l’adozione di misure di disincentivo all’uso del
mezzo proprio (Owens, 1995; Sargiacomo, 2004, 2005). L’interesse pub-
blico, in sostanza, è rivolto a sperimentare soluzioni in grado di convincere
gli utenti a non utilizzare le auto (Kenworthy e Laube, 1999; Banister,
2005). Da ciò deriva che le leve del miglioramento della produttività del
servizio, dell’incremento della frequenza delle corse, del potenziamento
della capacità di attrarre domanda attraverso una gestione più flessibile del
personale di guida e più innovativa da un punto di vista imprenditoriale, in
24
grado di individuare e soddisfare con formule nuove i complessi e diversi-
ficati bisogni di mobilità, diventano centrali per conseguire tali obiettivi.
Per affrontarli e risolverli, i sostenitori del NPM nel settore del trasporto
(Hibbs, 2000; Winston, 2000; Boitani e Cambini, 2004; Ponti, 2006) riten-
gono, in via di principio, che solo imprenditori incentivati e più liberi di
utilizzare tali leve gestionali, unitamente a meccanismi di road pricing,
piuttosto che ambiziosi e, soprattutto, costosi (e mai concretamente realiz-
zati) piani integrati di trasporto da parte di decisori pubblici, siano una so-
luzione realisticamente praticabile in grado di conciliare le opposte esigen-
ze. Il trasporto pubblico teoricamente può soddisfare congiuntamente obiet-
tivi di sostenibilità finanziaria (output) e di lotta alla congestione (outcome)
solo se gli utenti lo utilizzano. Ciò può apparire come ovvio, ma in realtà, e
persino nei bacini ad alta densità di popolazione, dove il potenziale di uti-
lizzo del servizio è molto alto, i servizi di trasporto attuali sono progettati
più per rispondere ad esigenze di inclusione sociale di determinate catego-
rie di utenti (pendolari, anziani e studenti) che ad incrementare il numero di
passeggeri (Walker, 2008). La soluzione, pertanto, è quella di riconoscere
che esistono obiettivi differenti per contesti o bacini differenti. Gli obiettivi
di efficacia sociale che spesso si assegnano alle aziende di trasporto in real-
tà sono tra di loro differenti e non omogenei. Un cosa è la lotta alla conge-
stione e all’inquinamento e una cosa è la copertura di zone a bassa densità.
Fare chiarezza sugli obiettivi da assegnare al servizio contribuirebbe anche
a fare chiarezza circa i modi di copertura finanziaria più adeguati dello
stesso. Walker (2008) in particolare ha proposto di esprimere in modo più
chiaro gli obiettivi assegnabili alle aziende di trasporto ricorrendo ai con-
cetti di patronage e di coverage. L’obiettivo di patronage, ovvero
l’obiettivo di attrarre il maggior numero di utenti potrebbe rendere compa-
tibile la dimensione aziendale dell’equilibrio economico-finanziario con
quegli obiettivi sociali finalizzati a migliorare la vivibilità dei centri urbani.
Tali obiettivi più ambiziosi di patronage, ossia di incremento del numero di
passeggeri con la conseguente riduzione delle auto private, potrebbero esse-
re perseguiti direttamente dalle imprese attraverso il meccanismo della libe-
ra concorrenza (van de Velde e Beck, 2010). Laddove esistano le condizio-
ni (alta densità, elevata domanda e atteggiamento collaborativo delle istitu-
zione pubbliche) le imprese potrebbero offrire il servizio in concorrenza tra
di loro e a costi più bassi, soddisfacendo in modo più adeguato la comples-
sa domanda di mobilità. Gli obiettivi sociali di riduzione dell’inquinamento
e di lotta alla congestione e di riduzione del numero delle auto in circola-
zione si possono raggiungere, infatti, solo se le persone utilizzano in modo
massiccio il trasporto pubblico e, allo stesso tempo, sono dissuase dall’uso
25
del mezzo privato con apposite politiche pubbliche (road pricing, riduzione
dei parcheggi, compact cities). E le persone lo utilizzeranno solo se sarà un
servizio di alta qualità, con elevate frequenze e possibilità di scambi, con
corsie dedicate che le autorità pubbliche dovranno rendere disponibili. Li-
beralizzazione e partnership tra pubblico e privato potrebbero essere, quin-
di, la direzione da seguire per recuperare insieme efficienza e qualità del
servizio. Può apparire strano ma, lo ripetiamo, la maggior parte dei servizi
di trasporto esistenti assorbono enormi risorse per raggiungere finalità non
del tutto chiare e soprattutto differenti da quelle appena elencate.
In sintesi il rimedio offerto dai sostenitori del New Public Management
è quello di:
• far funzionare meglio i mercati e la concorrenza, lasciando ad im-
prenditori motivati, che rischiano il capitale proprio, il compito di far
emergere e soddisfare la vera domanda di mobilità e di eliminare le
inefficienze interne provocate dalla gestione pubblica (scarso con-
trollo dei costi, espansioni ingiustificate del servizio e del personale e
non adeguamento delle tariffe ai costi) che sono alla base degli ele-
vati sussidi pubblici, delle continue ricapitalizzazioni delle aziende di
trasporto pubblico locale e, non da ultimo, dell’insoddisfazione
dell’utenza. In tal modo si ridurrebbe drasticamente il bisogno di
sussidi pubblici rendendo il servizio più autosufficiente da un punto
di vista economico-finanziario;
• sollecitare il soggetto pubblico ad occuparsi meno di gestione e più
di regolazione e di collaborazione (“steering not rowing”, Barlow e
Rober, 1996) con le imprese private attraverso azioni decise di con-
tenimento dell’uso dell’auto privata (road pricing, riduzione dei par-
cheggi, blocco alla crescita delle aree suburbane, creazione di par-
cheggi esterni di scambio, divieti interni di circolazione, ZTL ecc.);
• utilizzare responsabilmente risorse pubbliche (attraverso meccanismi
trasparenti di selezione – gare – del best provider associati a perfor-
mance contracts) (Hensher, 2005), per perseguire obiettivi di cove-
rage, ovvero di offrire il servizio di trasporto nelle aree a più bassa
densità o negli orari cosiddetti “di morbida” dove la domanda è ri-
dotta, riducendo al minimo l’utilizzo di forme inefficienti e costose
come gli affidamenti diretti.
26
1.2.2. Ripartire dall’efficacia sociale del servizio
27
da avverse condizioni ambientali e finalizzati a ridurre e/o contenere i
costi esterni (Taylor et al., 2009; Marletto, 2004);
• che la trasformazione del servizio di trasporto da input a result-
oriented è molto più complessa e non può essere risolta solo guardan-
do in basso, verso le aziende mettendole in concorrenza le une con le
altre per ridurre i soli costi riducibili (quelli del lavoro), ma, semmai,
in alto, verso le istituzioni che ne hanno la responsabilità della pianifi-
cazione e del governo (Stanley e Smith, 2013). Come fa ad essere at-
trattivo e performante un servizio di trasporto non integrato e non
coordinato negli orari, nelle frequenze, nelle tariffe come è, appunto,
quello prodotto dalla mano invisibile del mercato?;
• che il trasporto pubblico dovrebbe essere considerato prioritariamente
come una risorsa, come un investimento per ridurre le esternalità nega-
tive prodotte dalle auto private e per aumentare l’efficienza e la com-
petitività dei territori e non solo come un costo interno da ridurre
(Owens, 1995; Goodwin, 1997; Sclar, 2000);
• che i meccanismi di mercato invocati alla lunga finiranno per ridurre la
qualità e la quantità dei servizi di trasporto, aumentarne i prezzi per
l’utenza senza risolvere i problemi di riduzione dei costi esterni pro-
dotti dalle auto. Non bisogna, infatti, dimenticare le leve
dell’opportunismo e del potere che il privato non esiterebbe ad aziona-
re (Sclar, 2000; Gomez-Lobo, 2007; Mees, 2010).
In sintesi i punti deboli dell’introduzione di logiche di libera concorren-
za nel settore del trasporto pubblico locale, così come auspicato dai sosteni-
tori del NPM, risiedono nel fatto che i bisogni di mobilità che le imprese
soddisfano non sarebbero più quelli della comunità ma dei singoli clienti
cui si rivolgono, quelli che, in buona sostanza, non hanno altre alternative
che prendere il mezzo pubblico (cosiddetti utenti captives) (Mees, 2010).
Le imprese non hanno la forza di far crescere la dimensione del mercato
degli utenti ma la loro, attraverso processi di fusione e incorporazione fi-
nendo per diventare monopoliste od oligopoliste e imporre altri prezzi. I
“giganti” sarebbero si in grado di servire un’utenza in crescita ma solo se lo
Stato li aiuta con politiche ambientali di restrizione dell’uso della macchina
(road pricing) e con scelte urbanistiche che riducono l’espansione delle
aree suburbane (compact city)5. Consapevoli di non possedere la forza ne-
5
È questa la tesi principale di quegli studiosi che ritengono inefficace la leva del miglio-
ramento della qualità del trasporto rispetto a quella della progettazione delle città in modo
compatto (compact city). È evidente la facile obiezione che nel breve termine è impossibile
cambiare l’assetto urbanistico, è impossibile svuotare le aree suburbane e ripopolare il cen-
28
cessaria a far crescere il mercato con la sola leva del servizio (Tas, 2010)
usano la leva del prezzo per fare profitti (una volta eliminata la concorrenza
attraverso processi di incorporazione), nei confronti di coloro che non pos-
sono farne a meno e comunque solo sulle linee più redditizie (cherry pic-
king) allo scopo di assicurare adeguati ritorni ai loro investimenti. Le im-
prese non hanno la forza di rimuovere i vincoli strutturali che impediscono
al TPL di essere pienamente utilizzato (Taylor et al., 2009) e di conseguen-
za sfruttano opportunisticamente l’esistente, attivando processi di crescita
dimensionale e aspettando che lo Stato, rivedendo le proprie scelte di poli-
tica urbana e ambientale, le favorisca in qualche modo (Mees, 2010).
Ripartire dall’efficacia sociale del servizio significa affermare, in genera-
le, che i requisiti del coordinamento e dell’integrazione del servizio di tra-
sporto sono determinanti per la sua funzionalità e di conseguenza le decisioni
sui prezzi, sugli orari e sulle frequenze non possono essere lasciate libera-
mente alle imprese. Fare affidamento sulla regolazione centralizzata signifi-
ca, quindi, aspettarsi che la qualità del servizio di trasporto e la conseguente
capacità di attrarre passeggeri non sia “emergente” dagli esiti di una competi-
zione tra imprese, più o meno dotate di “fiuto imprenditoriale” e di capacità
innovativa, ma che derivi invece da un “disegno”, da un progetto che solo il
soggetto pubblico è in grado di realizzare (Thompson, 1977; Sclar, 2000;
Marletto, 2004; Barter, 2008; Mees, 2010). Il privato, infatti, non lo realizze-
rebbe mai perché troppo complesso e pieno di incertezze scegliendo più pru-
dentemente di operare solo su linee sicure, ad alta domanda (Thompson,
1977). La bontà del progetto deriverà, sostanzialmente, dal rispetto della bon-
tà delle fasi dello stesso che vanno dalla definizione degli obiettivi fino al
controllo dei risultati. Solo l’implementazione del progetto potrà essere affi-
data alle imprese che diventerebbero così mere esecutrici e da cui ci si aspet-
terebbe principalmente un contributo di efficienza piuttosto che di innova-
zione. Seguendo la proposta elaborata da Van de Velde (1999) che a sua vol-
ta, si basa sulla classica tripartizione proposta da Anthony (1965) circa i li-
velli che caratterizzano l’attività di controllo, il complessivo processo di pro-
duzione del servizio di trasporto pubblico può essere articolato, appunto, se-
condo i livelli strategico, tattico e operativo (STO model).
Al livello strategico il soggetto politico fissa gli obiettivi generali relati-
vamente agli aspetti sociali (equità che deve essere garantita dal servizio),
agli aspetti ambientali (quota di riduzione delle vetture in circolazione, quota
tro urbano incrementandone in tal modo la densità, che è il principale driver di utilizzo dei
mezzi pubblici. La risposta è che le proposte sono per il lungo termine (MEES, 2010).
29
di incremento dell’uso del trasporto pubblico, percentuale di riduzione delle
emissioni inquinanti ecc.) e agli aspetti economici (livelli di sussidi da eroga-
re, investimenti infrastrutturali, percentuale di copertura dei costi operativi da
parte dei ricavi da traffico).
Il livello tattico (di responsabilità, preferibilmente di un’agenzia pubblica
separata dall’ente politico, altamente qualificata e composta da soggetti dotati
di specifiche competenze e non, come prevalentemente avviene in Italia, di
uffici di programmazione collocati all’interno delle Regioni con personale
non qualificato che, di fatto, si limita a ratificare le scelte di programmazione
del servizio fatte dalle singole aziende pubbliche di trasporto, che sono, a lo-
ro volta, il frutto di compromessi raggiunti con i sindacati) traduce gli obiet-
tivi strategici attraverso la progettazione di un servizio integrato e coordinato
dal punto di vista modale (bus, tram, metro), tariffario, delle frequenze e de-
gli orari e dei percorsi all’interno di un determinato bacino di traffico preven-
tivamente individuato secondo criteri funzionali e non amministrativi.
Il livello operativo (di responsabilità, preferibilmente, di un’impresa pri-
vata selezionata in modo trasparente con il meccanismo delle gare) a sua vol-
ta traduce il livello tattico provvedendo alla concreta organizzazione e ge-
stione del servizio in termini di assunzione del personale, coordinamento dei
turni di lavoro, manutenzione automezzi, eventuale incasso dei ricavi da traf-
fico, informazioni ecc.
Secondo questa concezione le decisioni chiave sono quelle tattiche
(Thompson, 1977; Barter, 2008; Mees, 2010) perché è da queste che dipende
il coordinamento del servizio di trasporto e, quindi, la sua attrattività da parte
dell’utenza. Nei regimi di concorrenza nel mercato, come visto, il soggetto
politico restituisce la libertà decisionale alle imprese e lascia che queste fissi-
no autonomamente gli obiettivi strategici (in specie, di patronage, nel rispet-
to delle norme poste a tutela della sicurezza e dell’ambiente), tattici ed opera-
tivi. Nei regimi di concorrenza per il mercato, invece, dove si fa uso delle ga-
re allo scopo di affidare al vincitore l’esclusiva del servizio di trasporto in un
dato bacino o per determinate linee (routes) per un periodo limitato di tempo
dietro un corrispettivo stabilito contrattualmente (del tipo net o gross cost), lo
Stato, di norma, mantiene il controllo strategico e tattico del servizio mentre
affida al vincitore della gara (impresa privata o azienda pubblica) il controllo
operativo (Liberatore, 2001; Mele, 2003; Popoli, 1998). Il mantenimento del
controllo tattico può avere però una differente intensità. Può limitarsi a fissa-
re standard minimi di copertura territoriale e massimi di prezzo che devono
essere garantiti lasciando libertà decisionale all’operatore su come raggiun-
gerli attraverso la leva del planning del servizio (percorsi, orari, frequenze).
Oppure può essere più pervasivo e lasciare pochi spazi discrezionali agli ope-
30
ratori che diventerebbero meri esecutori del planning pubblico del servizio. È
questa la tensione esistente tra un’attività regolativa formale ed una vera e
propria attività decisionale da parte del soggetto pubblico, una tensione tra
una regolazione di massima al livello tattico (e non solo strategico) e una
piena assunzione di responsabilità degli outcomes da parte del soggetto pub-
blico che decide in prima persona come coordinare e integrare il servizio
nell’interesse generale (Barter, 2008; Mees, 2010).
In sintesi, per evitare le conseguenze negative derivanti dall’assenza di un
disegno coordinato del servizio si propone di far funzionare meglio non i mer-
cati ma le politiche e di incentivare quelle innovazioni organizzative in grado
di rimuovere i vincoli strutturali rendendolo, appunto, più integrato e coordi-
nato (Marletto, 2004; Sorensen, 2011) e, quindi, più attrattivo rispetto al mez-
zo privato. I costi esterni (inquinamento e congestione) non sono solo il risul-
tato di un mercato malfunzionante che non fa pagare i danni ambientali a chi
li produce (es. tramite congestion charges) ma l’esito negativo di politiche del
trasporto che non hanno saputo (o voluto) sfruttare le economie di scala, di
densità e di specializzazione latenti nel territorio per offrire un servizio inte-
grato di elevata qualità (Di Giacomo e Ottoz, 2007). È l’alta qualità del tra-
sporto pubblico, in definitiva, la soluzione per ridurre la dipendenza dalle ri-
sorse pubbliche e per rimuovere i vincoli strutturali. È il disegno integrato e
coordinato a rappresentare l’innovazione di valore. È l’aumento dei ricavi de-
rivanti dall’alta qualità del servizio piuttosto che la riduzione dei costi che mi-
gliorerà la sostenibilità finanziaria e i bilanci delle aziende di trasporto. La li-
beralizzazione, al contrario, genererebbe solo profitti in capo alle imprese e
non servizi di qualità a beneficio della comunità tutta e dell’ambiente (Mees,
2010). Un disegno coordinato e integrato migliorerebbe, al contrario,
l’autosufficienza, finanziaria, riducendo al minimo i sussidi, senza ambizioni
di profitto (Thompson, 1977) che snaturerebbero, al contrario, la valenza stra-
tegica del servizio di TPL per il territorio. Ne segue che gli obiettivi del mi-
glioramento della sostenibilità finanziaria e della qualità, ovvero del conteni-
mento, allo stesso tempo, dei costi interni e di quelli esterni, possono essere
raggiunti non aumentando il grado di concorrenzialità del sistema, che favori-
rebbe solo l’economicità peggiorando la qualità, ma riducendo il deficit di in-
novazione organizzativa e tecnologica del servizio (Marletto, 2004), miglio-
rando i sistemi di incentivazione e di controllo della performance e sfruttando
meccanismi di collaborazione e di partnership pubblico-privato (Vigoda,
2002; Entwistle e Martin, 2005; Borgonovi e Mussari, 2011) nell’ottica
dell’integrazione e del coordinamento. Non è, quindi, facile recidere il legame
con la politica e lasciar fare tutto al mercato. Senza una ferma volontà politica
di investire risorse in soluzioni capaci di ridurre la congestione e
31
l’inquinamento provocati dalle auto private, difficilmente il mero migliora-
mento gestionale del servizio di trasporto pubblico potrà dare risultati (nel
senso di outcome), aumentando, ad esempio, la velocità commerciale dei bus
o dei tram per renderli più attrattivi rispetto alle auto private. In altri termini,
per migliorare gli outcome del servizio non è sufficiente focalizzare
l’attenzione sulle sole variabili di processo in senso stretto (miglior uso delle
risorse attraverso la maggiore flessibilità consentita non solo dai meccanismi
della privatizzazione e della liberalizzazione ma anche da una più rigorosa mi-
surazione e valutazione delle performance) ma, soprattutto, su quelle di input
(qualità del progetto di partenza e quantità di risorse pubbliche che si intendo-
no investire per realizzarlo, unita ad una regolazione del territorio più respon-
sabile e più inflessibile nei confronti dell’utilizzo delle auto all’interno delle
città). I sostenitori del riposizionamento qualitativo del servizio (Sclar, 2000;
Marletto, 2006; Barter, 2008; Mees, 2010) attraverso un planning integrato
della rete del servizio (network planning), piuttosto che un suo ridimensiona-
mento (Boyne, 2004) ad opera dei meccanismi di mercato, hanno ragione nel
sostenere che esiste un problema di mancata innovazione tecnologica e orga-
nizzativa dello stesso, prova ne è il successo raggiunto dal servizio in aree me-
tropolitane diversissime come Londra, Zurigo o Bogotà (Transmilenio) (Hi-
dalgo et al., 2013) dove il coordinamento dello stesso è affidato alla mano vi-
sibile del soggetto pubblico piuttosto che a quella invisibile del mercato.
6
L’idea di ciclo regolatorio è legata ad una varietà di situazioni: alla natura dinamica dei
fenomeni oggetto di regolazione, al ruolo giocato dall’incertezza, all’esistenza di interessi in
conflitto e alla necessità di intervenire laddove i risultati originariamente previsti non si sono
realizzati (ciclo di feedback). Non ha, come tale, necessariamente connotati negativi ma espri-
me la continua ricerca degli elementi più idonei a raggiungere gli obiettivi di volta in volta sta-
biliti. In determinate fasi storiche il regolatore non “distratto”, ma vigile e attento, è costretto a
rafforzare il suo ruolo a causa dei comportamenti evasivi del regolato, così come in altre è co-
stretto ad allentare la morsa, perché eccessiva e potenzialmente dannosa e ad aprirsi a soluzioni
più permissive in risposta ai cambiamenti ambientali e tecnologici. La regolazione assume in
altri termini un fisiologico carattere ciclico e sperimentale per effetto dei cambiamenti tecnolo-
gici, ma anche ideologici o di moda, che alterano i regimi di monopolio precedenti (si pensi
all’elettricità e alle telecomunicazioni) e che inducono il legislatore a preferire e/o a trovare più
convenienti o più appropriate (Entwistle, 2011), a parità di condizioni, soluzioni di mercato
32
nanza mercato-Stato, alimentati dai rispettivi fallimenti. Ai fallimenti iniziali
del mercato hanno fatto seguito i fallimenti dello Stato, cui hanno fatto segui-
to gli appelli per un ritorno del mercato. È possibile sfuggire a tale ciclo? È
possibile evitare gli errori del passato, trovare soluzioni più stabili in grado di
«armonizzare gli opposti» (Borgonovi e Mussari, 2011)7? Il Trasporto pub-
blico locale non è sfuggito a questa logica di alternanza. Gwilliam (2008) ba-
sandosi sulle dinamiche regolative osservate nei paesi occidentali ricostruisce
un ciclo nel settore del TPL in cui privato e pubblico si avvicendano. Sulla
base di tali considerazioni abbiamo provato a costruire il seguente ciclo.
Deregulation.
TPL (ri)nasce dall’iniziativa privata.
Concorrenza distruttiva.
rispetto a quelle pianificate. Ciò anche, e non è certo un motivo secondario, per il sopravvenire
di meccanismi di ossificazione istituzionale, in particolare di corruzione, che rallentano il pro-
gresso a causa dell’incremento di potere di determinati attori chiave che tendono a difendere i
privilegi acquisiti piuttosto che a promuovere l’innovazione ed il miglioramento. A volte può
accadere che situazioni del genere difficilmente possono essere sanate senza un vero e proprio
reset, senza una cesura netta col passato.
7
Recentemente Borgonovi e Mussari (2010) hanno riconosciuto l’insuccesso dei model-
li interpretativi basati sulla dicotomia e sulla polarizzazione pubblico-privato, che vedono in
modo semplificato lo Stato e il mercato come protagonisti principali a ruoli alterni a seconda
della gravità dei danni commessi dall’uno o dall’altro alla società, suggerendo di “armoniz-
zare gli opposti” e di «rifiutare la “logica del pendolo” e addivenire al reciproco riconosci-
mento fra componente privata e pubblica del sistema socio economico, alla compartecipa-
zione ai processi di definizione delle politiche pubbliche e alla produzione dei servizi pub-
blici con contestuale assunzione di responsabilità dei risultati conseguiti».
8
Gwilliam nel suo lavoro distingue e confronta un ciclo regolatorio occidentale ed un
ciclo regolatorio orientale del trasporto pubblico.
33
Nella Figura 1 è rappresentato in estrema sintesi il ciclo regolatorio che
ha caratterizzato, sia pure con varie sfumature, il servizio di trasporto pub-
blico locale nei paesi occidentali e che prova a riassumere i principali pro-
blemi connessi con la gestione privata e poi pubblica del servizio (Maggi,
2001; Gwilliam, 2008). Il servizio di trasporto locale nasce, infatti, per ini-
ziativa dei privati. Dopo una fase iniziale di libera concorrenza definita
come concorrenza distruttiva (wasteful competition), perché caratterizzata
da un eccesso di offerta di servizio solo nelle aree redditizie e dalla conse-
guente riduzione del tasso di profitto, il settore si concentra dando luogo a
monopoli ed oligopoli privati (in Italia, a differenza di altri paesi, non si è
riscontrato un processo di concentrazione delle imprese private che ha por-
tato alla creazione di “giganti”; gli operatori privati sono rimasti sostan-
zialmente piccoli o medi imprenditori e il settore estremamente frammenta-
to). Tale nuovo assetto elimina principalmente i problemi della caduta dei
profitti derivanti dalla concorrenza distruttiva attraverso l’innalzamento
delle tariffe, ma ne pone di nuovi, come l’eccesso di profitto ottenuto a sca-
pito degli utenti privi di alternative (captives), senza risolvere i vecchi, co-
me l’eccesso di concentrazione dell’offerta solo nelle aree ad alto ritorno.
Ciò non può che provocare l’intervento regolativo da parte dello Stato con
riferimento a tariffe, orari, frequenze allo scopo di distribuire meglio il ser-
vizio sul territorio cercando di bilanciare le esigenze di redditività delle im-
prese con le esigenze di equità e di inclusione sociale e territoriale. Lo Stato
finisce, però, con l’eccedere nella regolazione, sbilanciandola verso l’equità
e non rispettando l’economicità del servizio. Di conseguenza sottrae ai pri-
vati le leve che assicuravano loro l’equilibrio economico. Ciò, insieme con
la progressiva diffusione dell’auto privata, provoca il ridimensionamento
dell’iniziativa privata, la loro ritirata e la conseguente presa in carico del
servizio da parte del settore pubblico. Una volta diventato pubblico, il ser-
vizio di trasporto, libero dall’obbligo di trovare nei ricavi di mercato la fon-
te primaria della sua esistenza, finisce con l’inseguire irrealistici ideali di
espansione, di copertura universale e di accessibilità che travalicano i con-
fini municipali e urbani, dando luogo a veri e propri eccessi di servizio,
spesso non coordinati negli orari e non integrati da un punto di vista tariffa-
rio e modale (bus, metro, tram, treni ecc.), con duplicazioni modali, con si-
stemi tariffari non adeguati e disavanzi crescenti non più sostenibili. Nel
corso del tempo più che l’interesse pubblico, ad essere tutelato è stato piut-
tosto l’interesse corporativo dei sindacati dei dipendenti e dei politici che se
ne sono appropriati (il noto fenomeno della cattura) nella certezza di poter
contare su sussidi pubblici, non più solo in conto capitale ma anche in con-
to esercizio. Di qui l’idea, soprattutto da parte dei più accesi sostenitori del-
34
la concorrenza (Winston, 2000; Hibbs, 2000), di una cesura netta con tale
sistema di sussidiazione e il ritorno alla concorrenza e alla frammentazione
del servizio, ridimensionando le sue ambizioni di servizio sociale, per ri-
durre i costi e per ripartire dall’efficienza, lasciando consapevolmente da
parte la questione del coordinamento, dell’integrazione e della copertura
universale, o meglio lasciando all’utenza, che nel frattempo ha modificato i
suoi bisogni di mobilità, la prerogativa di invocarla, se ritenuta necessaria,
dal basso e non all’ente pubblico il dovere di imporla dall’alto a tutti i costi.
Da quanto esposto in precedenza, emerge che ad un’idea di servizio le-
gata alla capacità di sfruttare liberamente e senza vincoli i fattori critici di
successo esistenti (mercato) succede un’altra che concepisce il servizio di
trasporto come modello, come progetto pianificato e vincolante imposto
dall’alto (Stato) che il mercato da solo non riesce a produrre (fase iniziale
della concorrenza cosiddetta distruttiva) e che comunque offrirebbe a con-
dizioni eccessivamente onerose per l’utenza (fase successiva del consoli-
damento e della concentrazione). Nel primo caso, del servizio si enfatizza
la libertà e la flessibilità da parte dell’impresa di apportare innovazioni e
cambiamenti per soddisfare le varie e mutevoli esigenze di mobilità espres-
se dall’utenza rispetto alla rigidità regolativa imposta dallo Stato (Hibbs,
2000, 2009; Boitani e Cambini, 2004; Ponti, 2006). Nell’altro si enfatizza
l’idea di continuità e di stabilità che può realizzarsi solo in seguito ad un
piano coerente e integrato che necessita, però, di una perfetta ed efficiente
esecuzione per offrirlo nella qualità e nella quantità ritenuta necessaria, nel
rigoroso e attento rispetto dell’efficienza (Sclar, 2000; Barter, 2008; Mees,
2010). Alla luce di ciò abbiamo due nozioni in netto contrasto: un concetto
di servizio emergente dalla competizione ed un concetto di servizio pianifi-
cato, frutto di un attenta programmazione integrata da parte dell’ente pub-
blico e di una altrettanto attenta vigilanza sull’uso delle risorse, che si alter-
nano alimentando un ciclo. Come evitarne gli effetti negativi? Poiché non è
possibile, o è estremamente difficile, coniugare ambiziosi obiettivi sociali
con l’esigenza di rispetto dell’economicità occorre, più pragmaticamente
scegliere una soluzione di compromesso, soddisfacente più che ottimizzan-
te (Simon, 1957)9. A tal fine, fare maggiore chiarezza sul significato di in-
teresse generale nel servizio di trasporto pubblico, riconoscendone la natura
9
È noto come Simon (1957) abbia ritenuto pericoloso un comportamento decisionale ot-
timizzante (troppe variabili da analizzare, fuori dalla portata delle capacità di analisi indivi-
duali dei decisori, che incrementerebbero i costi, i tempi e la probabilità di insuccesso, se
non la stasi-paralisi per eccesso di analisi) suggerendo al suo posto un comportamento meno
ambizioso, denominato soddisfacente, ispirato all’idea dei miglioramenti incrementali.
35
dinamica e mutevole nel corso del tempo, e, di conseguenza, decidere quali
compiti sia meglio lasciare al decisore pubblico e quali ai privati, sarebbe
molto utile.
Come appare evidente non è facile trovare una via d’uscita. La stessa
legislazione europea (Reg. n. 1370/2007) (Van de Velde, 2008) ha trovato
nelle gare, nella competizione per il mercato, come peraltro suggerito da
quegli studiosi che potremmo definire più moderati (Demsetz, 1968), la so-
luzione di compromesso, consapevole dei problemi che derivano sia
dall’utilizzo del libero mercato (free competition) che dal persistere dei
monopoli pubblici e dei correlati meccanismi di affidamento diretto. Infatti,
pur prevedendo le gare (e non la libera concorrenza come invocato dagli
“estremisti” del NPM) come regola principale e l’affidamento diretto come
eccezione, il citato regolamento del 2007 ha lasciato la decisione di utiliz-
zarla o meno ai singoli paesi membri senza imporre obblighi, lasciando loro
il compito di definire concretamente il significato di servizio di interesse
generale, di estenderlo o restringerlo, a seconda delle specifiche circostan-
ze. Il punto centrale non è, infatti, tanto quello di imporre la libera concor-
renza nel delicato settore del TPL ma quello della equa compensazione de-
gli obblighi di servizio attraverso l’utilizzo di meccanismi in grado di sele-
zionare il provider più efficiente. Più pragmaticamente, ciò che conta alla
fine non è tanto stabilire se sia meglio avere un provider pubblico o privato
(i provider pubblici esistono e bisogna prenderne comunque atto), ma non
pagare più del dovuto (al provider pubblico) un obbligo di servizio. Non è,
infatti, ammissibile pagare sussidi che non riflettono una gestione impron-
tata a criteri di efficienza. Ogni eccedenza costituirebbe aiuto di Stato e non
un compenso per obbligo di servizio. In tal senso la concorrenza per il mer-
cato, il meccanismo delle gare (ma anche quello dei costi standard o dei
service performance contracts, invocati in particolare da studiosi come
Hensher (2005), qualora le gare, per una serie di problemi, fossero difficili
da organizzare e gestire), sarebbero prioritariamente finalizzati a risolvere
questioni di efficienza, di equo compenso, più che a rappresentare delle so-
luzioni per favorire l’incremento della quota di mercato del servizio di
TPL. In sintesi, la soluzione di compromesso al dilemma del “make”, ovve-
ro del monopolio pubblico, o del “buy”, ovvero della restituzione della li-
bertà di scelta (choice) ai cittadini che premierebbero loro stessi il miglior
provider attraverso il meccanismo della libera competizione, è stata trovata
nella formula che potremmo definire del “make and buy”, ovvero della di-
visione dei compiti. Non più la contrapposizione Stato o mercato, ma Stato
e mercato insieme (Borgonovi e Mussari, 2010), ciascuno impegnato nei
rispettivi compiti. Lo Stato, o meglio gli enti locali cui la responsabilità del
36
servizio è stata devoluta, non si limitano solo ad una regolazione di massi-
ma, ma elaborano (make) un realistico piano integrato e coordinato e ne af-
fidano (buy) la realizzazione alle imprese più efficienti, selezionate attra-
verso il meccanismo delle gare, senza pregiudizi nei confronti della loro na-
tura, pubblica o privata. La qualità, più o meno elevata, del piano dipende-
rà, poi, dalle specifiche circostanze. Un piano più ambizioso dovrebbe esse-
re valutato attentamente alla luce dei costi e dei benefici attesi. È questa la
soluzione invocata, ad esempio, da Barter (2008) che la denomina Proacti-
ve planning with business delivery a significare che, se si vogliono ridurre
allo stesso tempo i costi interni ed esterni, deve essere l’autorità pubblica
stessa a realizzare un progetto di servizio integrato e coordinato di alta qua-
lità e non di massima, assumendosi, così, la piena responsabilità degli out-
come. Gwilliam (2008) prova a trovare una sintesi più generale individuan-
do, al contrario, quali debbano essere, invece, le condizioni minime per as-
sicurare al servizio di trasporto pubblico locale, più semplicemente, la pos-
sibilità di continuare ad esistere.
1. Le aspettative devono essere realistiche. Le legittime aspirazioni ad avere
un sistema di trasporto di alta qualità, pienamente integrato e coordinato,
devono essere basate sulle risorse disponibili e sulle caratteristiche dei
contesti e non su astratti diritti (diritti senza risorse). Non si possono avere
aspettative eccessivamente ambiziose ignorando, allo stesso tempo, che
qualcuno il servizio lo dovrà pur pagare. La difficoltà sta nel trovare il
modo migliore per allineare tali aspettative con le risorse disponibili.
2. Gli incentivi contano. Non bisogna presumere che i provider pubblici e il
regolatore agiscano nell’esclusivo interesse della collettività e degli utenti.
Più realisticamente ciascuno perseguirà i propri interessi. Il difficile sta
nel trovare gli incentivi adatti per indirizzare tali interessi privati verso
l’ottenimento di risultati soddisfacenti per la collettività.
3. La pressione competitiva funziona. Le analisi empiriche mostrano che le
gare ed in generale la pressione competitiva (ad esempio nella forma della
yardstick competition) hanno contribuito a ridurre non solo i costi ma an-
che, se ben progettate e dotate di credibilità, a migliorare gli outcome (in-
cremento dei passeggeri e riduzione del numero delle auto) del servizio. Il
problema centrale è come mantenere alta tale pressione nel tempo evitan-
do i noti fenomeni di cattura da parte dei provider una volta insediatisi,
siano essi pubblici o privati.
4. Il coinvolgimento del settore pubblico è inevitabile. La libera competizio-
ne, senza alcun intervento da parte del settore pubblico, non è realistica-
mente praticabile a causa delle esternalità negative, dei costi esterni che
essa provoca. Non è possibile raggiungere finalità di interesse generale la-
37
sciando completamente le leve del servizio nelle mani dei privati. Il pro-
blema non è quello di chiedersi se il settore pubblico abbia o meno un
ruolo, ma quale sia quello che può svolgere al meglio.
5. La struttura dell’offerta è importante. La frammentazione del servizio,
che è il punto di forza dei sostenitori della libera concorrenza che invoca-
no la forza della distinzione, dell’unicità dell’offerta e dell’incremento
della sua varietà, non è inaccettabile di per sé, ma per il fatto che rende
poi più difficili altri compiti molto importanti quali il coordinamento, il
controllo ecc. Il problema di fondo è quello di cercare di non perdere le
economie di scopo e di scala mantenendo allo stesso tempo il mercato
contendibile.
6. Le istituzioni che governano il servizio devono essere adeguate ed effica-
ci. La cattiva progettazione delle gare, l’incapacità di controllare i feno-
meni di collusione finirà inevitabilmente con lo screditare il meccanismo
della competizione per il mercato. Alcuni governi hanno già sperimentato
o si sono convinti che la libera competizione nel trasporto pubblico locale
non funziona, ossia non produce gli outcome desiderati. Per tale ragione
sono molto più interessati a sperimentare in modo adeguato il meccani-
smo delle gare. Il punto chiave sta nel capire se le istituzioni pubbliche
abbiano le capacità e le competenze necessarie a progettare le gare in mo-
do da prevenire o ridurre al minimo gli effetti negativi (collusione da par-
te dei partecipanti, strategie difensive per mantenere lo status quo) asso-
ciati al cattivo uso di tale strumento, che è potenzialmente in grado di
conciliare output e outcome ma solo se usato nei modi appropriati.
Questo elenco non va interpretato come una ricetta, ma come un invito a
fare esprimenti responsabili con tali “ingredienti”. Attraverso la sperimen-
tazione continua, altri paesi hanno appreso come usare al meglio il mercato,
gli incentivi e le istituzioni non solo per ridurre i costi ma anche per miglio-
rare l’efficacia sociale del servizio. In buona sostanza hanno appreso che:
• è il mix che conta (Rhodes, 1997). È il sapiente mix delle leve di go-
verno (mercati, gerarchie e network) e non “l’ingrediente” singolo (la
libera concorrenza o un ambizioso, ma costoso, piano coordinato ed
integrato del servizio) a fare la differenza (Powell, 1997);
• tale mix dipende dalle variabili di contesto;
• può essere trovato solo dopo una convinta e responsabile sperimen-
tazione.
Il punto principale, in conclusione, è che i mercati e le imprese hanno il
potenziale per migliorare l’efficienza e la qualità del servizio ma molto dipen-
de dalle capacità e soprattutto dalla volontà delle autorità locali di porre fine al
monopolio pubblico e di avviare responsabilmente tale sperimentazione.
38
1.3. Il confuso percorso di miglioramento del servizio di traspor-
to pubblico locale in Italia
Regionalizzazione Centralizzazione
Municipalismo
Devoluzione del
servizio di trasporto Devoluzione piena
pubblico alle Devoluzione parziale. Ricentralizzazione come nel
Dimensione verticale Dimensione verticale: Funzioni
Regioni strategiche, finanziarie e tattiche di 1981.
Controllo centrale con Fondo Ricostituzione Fondo Nazionale
Nazionale dei Trasporti e responsabilità delle Regioni
Dimensione: orizzontale dei trasporti e ri-previsione dei
costi standard. costi standard.
Dimensione orizzontale Funzioni operative svolte dalle
imprese selezionate dalle gare . Più poteri centrali, previsione di
Funzioni strategiche, tattiche commissari ad acta in caso di
I servizi di trasporto da erogare
ed operative svolta dalle mancato raggiungimento degli
vanno considerati in senso minimo
Regioni e dalle aziende obiettivi. Il servizio di trasporto
(servizi minimi).
pubbliche per creare un deve essere adeguato, tarato
network integrato su sulla domanda.
bacini di traffico più ampi
delle aree urbane
39
1.3.1. La fase del capitalismo municipale
40
di rilancio, in continuità con la fase precedente, ma in chiave più ampia (dal
municipalismo, dalla dimensione urbana al regionalismo e ai bacini di traf-
fico), e una di razionalizzazione dei costi. Il rilancio del servizio, ovvero il
compito di renderlo più attrattivo, è affidato alle Regioni tramite lo stru-
mento del planning integrato, applicato su bacini di traffico più ampi rispet-
to a quello urbano (Bucci, 2006). Allo stesso modo le Regioni sono chia-
mate a razionalizzarne i costi dando loro la possibilità di ripianare le perdite
delle aziende di trasporto locali, attingendo le risorse, secondo, però, il cri-
terio dei costi standard, ad un apposito Fondo, il Fondo Nazionale dei Tra-
sporti, il cui ammontare è deciso centralmente dallo Stato. Si supera così,
almeno nelle intenzioni, il criterio della spesa storica e lo si sostituisce con
quello più incentivante dei costi standard, che, come sappiamo, esprime
quello che dovrebbe essere il valore dei costi secondo un desiderato livello
di efficienza attesa. Si tratta, in altri termini, di un costo determinato alla
luce di determinati obiettivi da raggiungere e fissati ex ante.
Da un punto di vista organizzativo, per raggiungere gli obiettivi previsti
dalla legge si prevede un’azione concertata e collaborativa tra governo cen-
trale e regioni (utilizzo combinato di meccanismi gerarchici e di network).
Il governo si impegna, attraverso l’istituzione del Fondo Nazionale dei Tra-
sporti, a pagare il servizio di trasporto pubblico locale non più secondo il
criterio della spesa storica ma, come anticipato, secondo quello più incenti-
vante dei costi standard. Le regioni si impegnano, a loro volta, a calcolare
correttamente i costi standard nel rispetto delle loro specificità (Popoli,
1998). Nel contempo la legge n. 151/1981 prevede anche il cambiamento
della forma giuridica, ossia il passaggio da azienda municipalizzata ad
azienda speciale, formalmente separata e più autonoma dall’organo politi-
co. La seconda riforma, meno ambiziosa e più realistica, è del 1997 (legge
n. 422/1997). È il frutto dei problemi venutisi a creare con la prima. È il
frutto della irresponsabile esecuzione della prima da parte delle regioni che
hanno finito con l’utilizzare il Fondo Nazionale dei Trasporti come un se-
gnale di copertura garantita dei costi delle aziende di trasporto vanificando,
in tal modo, lo strumento dei costi standard. Con il Fondo Nazionale dei
Trasporti si è finita per istituzionalizzare l’idea che il settore del trasporto
pubblico locale, (urbano and extraurbano), non fosse autosufficiente (Lave,
1991) e che, pertanto, doveva essere finanziato con risorse pubbliche anche
se con criteri nuovi (costi standard) e non più con quelli della spesa storica.
Se le intenzioni erano quelle di trovare un equo compromesso tra funzione
sociale del servizio ed efficienza, le prassi sono state ben altre. Le regioni e
le aziende di TPL hanno continuato a focalizzarsi sugli outcome sociali, e
non a contenere i costi del servizio all’interno degli standard che la norma-
41
tiva aveva previsto, peraltro mai calcolati seguendo le indicazioni di legge
ma semplicemente come medie storiche dei costi consuntivi, perdendo così
tutta la carica incentivante che ad essi era stata associata (Corte dei Conti,
2003). La L. 151/1981 non ha funzionato perché non ha avuto la forza di
modificare la concezione universalistica e sociale del servizio di trasporto,
ormai non più al passo con i tempi, e comunque malamente implementata.
Tale intervento non ha riconosciuto il cambiamento avvenuto nei bisogni di
mobilità, né la diversità di esigenze delle varie aree territoriali e ha provo-
cato, in generale, solo una maggiore copertura del territorio regionale più
che un potenziamento del servizio dove era necessario.
Con la legge n. 422/1997 e successive modificazioni si affida stavolta al
mercato, e in particolare al meccanismo delle gare e dei contratti di servi-
zio, il compito di individuare i provider più efficienti (Boitani, Cambini,
2004). Si elimina il Fondo Nazionale dei trasporti ed il complesso sistema
dei costi standard. Le Regioni sono pienamente responsabilizzate sia sugli
aspetti di pianificazione del servizio che su quelli finanziari attingendo a
risorse proprie (accisa sui carburanti) e non più al Fondo Nazionale dei
Trasporti che, come scritto, viene abolito. La nuova strategia per ridurre i
costi questa volta si basa sia sul ridimensionamento della funzione sociale
del servizio che sui ribassi attesi dall’applicazione delle gare. Si prevede,
infatti, che il servizio di trasporto finanziabile deve essere considerato in
modo più minimale rispetto al passato. Si introduce, a tal fine e per la prima
volta, il concetto di “servizi minimi”. Visti i problemi applicativi della leg-
ge n. 151/1981, con la legge n. 422/1997 si abbandona la via della coopera-
zione, si responsabilizzano completamente le regioni anche dal punto di vi-
sta finanziario, e non solo per la pianificazione del servizio, e si prevede di
affidare obbligatoriamente al mercato (dai meccanismi di network a quelli
di mercato), e ai contratti di servizio, il compito di individuare i provider
più efficienti, superando così il meccanismo del rinnovo automatico delle
concessioni alle aziende pubbliche che prescindevano dai risultati ottenuti.
Vista la difficoltà ad applicare i costi standard, il governo decide questa
volta di affidarsi alle gare per fare emergere le inefficienze nascoste dei
provider pubblici e alla piena responsabilizzazione delle regioni sul finan-
ziamento del servizio, eliminando vincoli di destinazione e obbligandole ad
utilizzare i trasferimenti statali secondo criteri ispirati a maggiore oculatez-
za e responsabilità. Altri meccanismi utilizzati a tal fine furono l’ulteriore
trasformazione da aziende speciali a società per azioni (rimaste però sem-
pre di proprietà pubblica), l’obbligo (generalmente mai rispettato e sanzio-
nato) di avere una copertura minima del 35% dei costi operativi con ricavi
da traffico, l’utilizzo di contratti di servizio (nella realtà privi di premi e
42
sanzioni). L’obbligo di gara, come era facile prevedere, non piacque alle
amministrazioni locali e ai provider pubblici che hanno fatto di tutto per
ostacolarne l’implementazione (Popoli, Botti, 2007), anche grazie ad una
confusa produzione legislativa che ha rinviato, ridimensionato e, sostan-
zialmente, annullato l’uso del mercato nel settore del TPL, almeno fino al
2019 (Cangiano, 2005).
In generale, più la normativa si apriva a logiche di controllo
dell’efficienza (costi standard e gare) improntate a maggiore rigore, più ri-
dimensionava la funzione sociale del servizio con l’introduzione del con-
cetto di servizi minimi, più le amministrazioni locali e le aziende pubbliche
di trasporto si arroccavano su posizioni di difesa del monopolio pubblico e
della piena funzione sociale del servizio, impedendo il cambiamento e peg-
giorando, così, la situazione finanziaria (Bucci, 2006). A tale resistenza ha
contribuito anche una confusa fase legislativa10 che ha ritardato, se non an-
nullato, ancora una volta, l’implementazione dei meccanismi programmati
(Cangiano, 2005). A differenza di altri paesi, l’Italia, non è riuscita a vince-
re le resistenze al cambiamento mostrate dai principali attori del servizio
(Regioni e Aziende di trasporto pubblico). Il governo centrale non ha avuto
10
Il discorso è molto complesso e proviamo a semplificarlo procedendo per punti: a) ad
una buona partenza, rappresentata dalla previsione del meccanismo delle gare obbligatorie
(d.lgs. n. 400/1999); b) ha fatto seguito una blanda e parziale applicazione dello stesso (non
tutte le regioni hanno bandito le gare e quelle poche bandite sono state vinte quasi sempre
dagli incumbent con ribassi insignificanti);c) di fronte a tali ritardi si è consentito per legge
un continuo rinvio delle gare stesse (dal termine ultimo del 31.12.2003 fissato dal d.lgs. n.
400/1999 si è passati al termine del 31.3.2011 consentito dal d.l. 29 dicembre 2010, n. 225,
fino alla scadenza del 2019 fissata nel regolamento UE n. 1370/2007) per consentire alle
imprese e ai governi locali di prepararsi adeguatamente; d) dai ritardi si passa ai ripensamen-
ti e si ammettono (legge n. 326/2003 e succ.) altre modalità di affidamento oltre alle gare (la
gara è solo uno dei modi, ce ne sono altri previsti dalla normativa generale sui servizi pub-
blici locali che prevale su quella speciale del trasporto pubblico); e)si ritorna, dopo un anno,
alle gare obbligatorie prima con la legge n. 308/2004 e poi, dopo varie vicissitudini, defini-
tivamente con l’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008; f) per impedire le gare obbligatorie nei servi-
zi pubblici locali (in specie nell’erogazione del servizio idrico), contenute nell’art. 23 bis del
d.l. n. 112/2008, si accoglie la richiesta di indire un referendum abrogativo dell’art. 23 bis;
g) il referendum abrogativo viene vinto nel 12 e 13 giugno 2011 e le logiche di mercato con-
tenute nell’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008 sono così sconfitte; h)il governo reagisce in modo
“disperato”, ignorando il referendum, e introducendo, con l’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n.
138 e succ. mod. addirittura l’obbligo di liberalizzazione completa di quei servizi pubblici
locali non ancora liberalizzati, tra cui il TPL, ad esclusione del solo servizio idrico (principa-
le vincitore del referendum); i) alcune regioni fanno ricorso alla corte costituzionale contro
l’art. 4 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, che obbliga a liberalizzare i servizi pubblici locali; l)
il ricorso viene accolto da parte della Corte Costituzionale con sentenza n.199 del luglio
2012, che frena, per il momento, le istanze liberalizzatrici dei servizi pubblici locali in Italia,
incluso il servizio di trasporto pubblico locale.
43
la forza di imporre il cambiamento e di ridurre i gap di performance sia in-
terni, tra le varie regioni, sia esterni con gli altri paesi. Di fronte, però, al
peggioramento dei conti e al rischio di dissesto finanziario del servizio, non
ha potuto fare a meno di assumersi in modo più deciso la responsabilità di
implementare il cambiamento. Di fronte a tali fallimenti, dovuti per la
maggior parte alla ferma volontà dei governi locali di ostacolare il cambia-
mento e di non risolvere il conflitto di interessi che, tuttora, lega le regioni
con le aziende di trasporto pubblico locale (le prime sono proprietarie delle
seconde), il governo centrale ha reagito, in primis, praticando la via più
semplice, quella dei tagli lineari. Prima di dare avvio a quella che abbiamo
definito una terza fase del processo di riforma del servizio di trasporto pub-
blico locale che vede come regista il governo centrale, con il ritorno del
Fondo Nazionale dei Trasporti e dei costi standard, e come “mere esecutri-
ci” le Regioni, lo stesso governo centrale ha praticato nel triennio 2010-
2012 tagli al settore dei trasporti, con minori trasferimenti correnti, per una
percentuale media del 12% (dati ANAV-ASSTRA 2012). La reazione delle
Regioni e delle Aziende di trasporto pubblico locale ai tagli lineari è stata
quella di aumentare le tariffe, razionalizzare i costi aziendali, chiedere ai
Comuni di contribuire ad integrare le minori risorse trasferite dallo Stato,
incentivare i dipendenti all’esodo, bloccare il turnover, non riconfermare le
figure a contratto a tempo determinato, ricorrere alla cassa integrazione in
deroga, ridurre le spese per manutenzione e ammodernamento della flotta
(età media della flotta in Italia 12 anni contro i 7 medi in Europa). Ma la
politica dei tagli lineari non può proseguire all’infinito. Occorre riprendere
in modo più deciso la via delle riforme per dare nuove regole al settore del
TPL e per incamminarlo su un sentiero di miglioramento.
1.3.3. La ri-centralizzazione
44
trale ora a dettare le deadlines dell’esecuzione del programma di risana-
mento, non più le Regioni, che “retrocedono” al ruolo di esecutrici, da pre-
miare o sanzionare. Pur mantenendo le funzioni di programmazione, per
accedere al Fondo Nazionale dei Trasporti dovranno dimostrare di avere
raggiunto dei precisi risultati. A partire dal 2013 il settore del trasporto
pubblico locale sarà assoggettato a nuove e più stringenti regole per ridurre
i gap territoriali e dimensionali di performance interni, tra le varie regioni,
ed esterni, con gli altri paesi europei derivanti dal prolungato immobilismo
e dalla ostinata resistenza al cambiamento da parte delle Regioni e delle
aziende di trasporto pubblico di loro proprietà. Per ridurre tali gap di per-
formance la legge n. 228/2012 prevede che le Regioni riprogrammino i ser-
vizi di TPL, sostituiscano «le modalità di trasporto ritenute diseconomiche»
e rivedano i contratti di servizio in essere. In caso di inattività il Governo
centrale provvederà a nominare commissari ad acta e a revocare i vertici
delle aziende in caso di squilibri finanziari nella gestione, secondo determi-
nati criteri stabiliti in un apposito decreto. Il meccanismo adottato è quello
che Le Grand (2003) denomina Command and Control.
I punti chiave del nuovo percorso di riforma del servizio di trasporto
pubblico locale previsti nella legge n. 228/2012 e nelle successive, sono i
seguenti:
1. riprogrammazione dei servizi di TPL da parte delle singole regioni per
cogliere le specificità del TPL in termini di obiettivi (es. patrona-
ge/coverage) da perseguire nelle differenti aree geografiche (bacini ot-
timali di traffico) da aziende con adeguate dimensioni, allo scopo di
ridurre gli eccessi e la frammentazione dell’offerta; in particolare do-
vrà essere raggiunto l’obiettivo, da annuale poi rimodulato a triennale,
di incrementare del 2,5% il numero dei passeggeri trasportati su base
regionale e di garantire “livelli occupazionali adeguati” anche attraver-
so azioni di razionalizzazione e blocco del turnover;
2. ricontrattazione e rideterminazione dei sussidi pubblici attraverso la
previsione di costi standard per orientare meglio la distribuzione delle
risorse (Fondo Nazionale dei Trasporti e Fondo Rotativo) alle aziende
secondo criteri di premialità; si dovrà inoltre garantire un progressivo
incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, assicu-
rando miglioramenti su base annua;
3. effettivo monitoraggio dei costi e delle informazioni analitiche di per-
formance delle aziende di trasporto pubblico da parte dell’Osservatorio
nazionale del Trasporto pubblico locale accompagnata da maggiori po-
teri di sanzionare la mancata produzione delle informazioni (blocco dei
sussidi) ed il mancato raggiungimento degli obiettivi posti dal governo
45
centrale (nomina di commissari ad acta e rimozione dei vertici delle
aziende di trasporto pubblico – direttori finanziari in primis – che non
raggiungono gli obiettivi assegnati).
In questa nuova fase, l’efficientamento del TPL riparte attraverso il po-
tenziamento delle informazioni analitiche di performance (efficienza, pro-
duttività, soddisfazione utenza, incremento passeggeri) e la previsione di
maggiori poteri sanzionatori al governo centrale piuttosto che dall’utilizzo
di meccanismi di mercato. La fragilità della base informativa di controllo
(si pensi, al riguardo, alla scarsa capacità informativa del Conto Nazionale
delle Infrastrutture e dei Trasporti) e la capacità spesso ridotta di fornire in-
formazioni utili ai decisori non possono costituire la ragione per cancellare
ogni tentativo di effettuare politiche di miglioramento ed affidare tutto al
mercato (come la convulsa fase normativa di questi ultimi anni ha dimo-
strato). In una recente audizione (23 maggio 2013) il Ministro dei Trasporti
e delle Infrastrutture Lupi ha ribadito la necessità di un «[…] potenziamen-
to dei dati trasportistici, senza i quali non si possono fare progressi reali
nell’efficienza dei servizi di trasporto locale […]».
Dopo più di trent’anni di inattività e di riforme mancate, le sfide che il
governo centrale dovrà affrontare in modo più deciso sono le seguenti
(OECD, 2009 su dati dati Earchimede, 2005; Bain & CO., 2012):
• ridurre l’eccesso di offerta. Il load factor in Italia (rapporto tra pas-
seggeri offerti e posti offerti) è appena del 22% contro una media eu-
ropea del 34% (con punte del 45% in Spagna e del 42% in Francia).
Alcune regioni italiane presentano eccessi, altre deficit. Rispetto ad
una media italiana di 2,5 migliaia di posti*km per abitante quattro
regioni sono sovradimensionate (Lazio, Molise, Liguria e Trentino
Alto-Adige) altre sottodimensionate (Campania, Calabria, Marche e
Sicilia). Particolarmente sovradimensionate nel trasporto extraurbano
sono Abruzzo e Molise;
• ridurre l’eccessiva concentrazione del servizio in mano pubblica.
Delle oltre 1.100 aziende che operano nel settore circa l’87% sono
private. Ma è il restante 13%, di proprietà pubblica ad erogare il 68%
della produzione chilometrica nazionale. In UK il 5% della produ-
zione chilometrica è pubblica mente il 95% è privato. In Germania il
rapporto pubblico/privato è 52/48, in Francia 36/64, in Svezia 24/76,
in Olanda 95/5, in Belgio 72/28. Media panel 47/53;
• ridurre l’eccessiva frammentazione del settore. In Italia ci sono oltre
1.100 aziende di dimensioni mediamente piccole e scarsamente inte-
grate. La produzione aggregata dei primi 5 operatori in Italia è del
30% a fronte di una media europea del 49%. Studi recenti tuttavia
46
suggeriscono che esistono gruppi informali di aziende che rappresen-
tano veri e propri cartelli e che rendono il settore più concentrato di
quanto le statistiche ufficiali sembrano suggerire (Mangia, 2005; Ot-
toz, 2010; Danovi e Karletsos, 2011);
• incrementare la produttività, l’efficienza e l’economicità del servizio.
Il TPL in Italia è un settore strutturalmente in perdita. I ricavi da traf-
fico coprono mediamente il 30% dei costi operativi (85% in UK,
60% in Germania, 40% in Francia, 55% in Svezia, 40% Olanda, 33%
Belgio, media panel 52,1%). Tale divario deriva sia dalla scarsa ca-
pacità di generare ricavi da traffico, circa 1 euro/km in Italia contro
1,50 in UK e 2,40 in Germania – media 1,34 – (in generale le tariffe
sono inferiori del 20-50% rispetto a quelle europee), sia dai maggiori
costi operativi (3,6 euro/km contro 1,8 UK e una media europea di
2,7). Un contributo negativo è dato anche dalla scarsa produttività
chilometrica per addetto (17.060 km/addetto in Italia, contro una
media europea di 19.763 km/addetto). Il risultato finale è quello di
un settore in perdita con un ebit negativo pari a 2,3% che è di circa 6
punti percentuali in meno rispetto ai principali paesi europei.
La sfida più grande sarà, però, quella di sconfiggere la mentalità cosiddet-
ta burocratica, di conformità alle regole giuridiche ancora imperante in Italia
e di trasformarla in una più orientata ai risultati. Se positiva appare la valuta-
zione in merito all’introduzione di logiche di performance management nel
settore del trasporto pubblico locale da parte della legge n. 228/2012, molti
sono, però, i dubbi circa l’effettiva capacità del governo centrale di esercitare
con successo i poteri sostitutivi con commissari ad acta e con manager in
grado di rimpiazzare coloro che non sono stati in grado di raggiungere i risul-
tati previsti. Costringere e forzare le aziende ad essere efficienti con misure
così rigide può essere opportuno per vincere le resistenze e le strategie difen-
sive. In futuro, però il miglioramento del servizio dipenderà dalla capacità
delle aziende di trasporto e dei governi locali di trasformare i loro orienta-
menti strategici (Coda, 1988, 2010) da reactor a prospector (Miles e Snow,
1978) e di intraprendere sentieri di crescita e di espansione simili a quelli in-
trapresi dai grandi gruppi inglesi (Tas, 2010) e francesi.
47
gere obiettivi di inclusione sociale e territoriali ma uno strumento centrale
per combattere la congestione e l’inquinamento e per incrementare gli stan-
dard di vivibilità all’interno delle città e delle aree metropolitane) e dalla
resistenza mostrata, soprattutto da parte delle regioni, di impedire
l’attuazione dei vari tentativi di riforma che si sono succeduti negli anni al-
lo scopo di renderlo più efficiente. In Italia i sussidi pubblici coprono, or-
mai, il 70% dei costi operativi (la media europea è del 50%). Se si pensa
che la Thatcher, negli anni Ottanta liberalizzò completamente il trasporto
pubblico locale (tranne che a Londra) perché i sussidi pubblici stavano rag-
giungendo la “pericolosa” soglia del 30% (Savage, 1993: 144) si compren-
de la differente sensibilità italiana, rispetto agli altri paesi europei, nel de-
terminare quale debba essere la soglia da non superare per qualificare una
determinata situazione come “finanziariamente insostenibile”. Altri paesi
con differenti tradizioni socio-economiche hanno avuto meno esitazioni
nell’avviare il processo di cambiamento. Hanno deciso di dare priorità alla
lotta agli sprechi e al recupero deciso dell’efficienza utilizzando la leva del-
la concorrenza, sia libera che regolata, e della privatizzazione. Come nel
classico ciclo di Deming (Plan, Do, Check, Act) hanno provato, commesso
degli errori ma anche appreso come evitarli di nuovo allo scopo di miglio-
rare. L’Italia, al contrario, è rimasta intrappolata nel primo stadio, in quello
della pianificazione, senza proseguire in quelli successivi. Pur avendo vara-
to riforme ispirate al miglioramento dell’efficienza, così come suggerito dai
sostenitori del NPM, non è stata capace di sciogliere il dilemma implemen-
tativo, ossia se attuare, seriamente o meno, il meccanismo dei costi stan-
dard prima e delle gare poi (Boitani, 2004). In altri paesi di solito accade
che, dopo averla approvata, una riforma viene implementata e con
l’implementazione parte il processo di apprendimento e di miglioramento
della stessa in relazione agli effetti che essa provoca. In Italia, al contrario,
dopo aver approvato una riforma, non si avvia la sua concreta attuazione e
sperimentazione, ma inizia una lunga discussione in merito alla sua oppor-
tunità, con l’effetto di ritardarne, se non bloccarne, l’effettiva applicazione.
Se altrove le riforme si eseguono, in Italia si discutono. Tale situazione ri-
corda molto la nozione gramsciana di Interregno: «La crisi consiste appun-
to nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo in-
terregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati» (Gramsci, 1991,
Q.3: 48, citato da Bauman, 2012: 49). Il vecchio che non muore e il nuovo
che non nasce. Le “vecchie” forme organizzative (Van de Velde, 1999) ba-
sate sull’iniziativa dell’autorità pubblica e sulla forma gestionale cosiddetta
“in house” o sull’affidamento diretto ad entità giuridicamente distinte (Tab.
1) ma senza controlli, sanzioni o premi, sono, per così dire, moribonde in
48
quanto inefficienti e improduttive, mentre le “nuove” forme organizzative
previste dalle leggi di riforma, che prevedono maggiore apertura ai privati,
ai meccanismi di competizione, ma anche di collaborazione, ed ai sistemi di
valutazione dei risultati, sono, di fatto, rimaste inattuate, non avendo avuto
la forza di affermarsi e di sconfiggere le logiche che dal 1903, dalla legge
Giolitti, hanno imposto in Italia il monopolio pubblico nei servizi locali.
Permane, quindi, uno stato di sospensione, di stallo, che non riesce a trova-
re una via d’uscita. L’insoddisfazione verso il vecchio non ha la forza suffi-
ciente per far nascere il nuovo.
Ancora molto resta, quindi, da fare prima di avviare il settore del tra-
sporto pubblico locale sul sentiero della sostenibilità economica. Ancora
ampi sono i divari territoriali e dimensionali da ridurre. Il regionalismo nel
trasporto pubblico locale, come visto, non ha funzionato. La devolution alle
regioni non ha ridotto i gap di efficienza interni ed esterni, tra l’Italia e gli
altri paesi. Sono state le regioni stesse a bloccare l’implementazione dei co-
sti standard (legge n. 151/1981) e delle gare (legge n. 422/1997) lasciando
inalterato lo status quo. Si ritorna, pertanto, alla logica centralista. È il go-
verno centrale, ora, con la legge n. 228/2012 e con quelle successive che si
è accollato l’onere di portare avanti il processo di miglioramento del servi-
zio attraverso le tre azioni:
• di ridimensionamento dell’offerta,
• di riallineamento dell’efficienza attraverso lo strumento dei costi
standard,
49
• di controllo più stretto dell’implementazione attraverso l’Osservatorio
nazionale dei Trasporti e la previsione di maggiori poteri di intervento
(sostituzione dei vertici delle aziende pubbliche e nomina di Commis-
sari ad acta).
Gli obiettivi sono chiari: ridurre prima i divari di performance per alli-
nearli a quelli internazionali e poi aprirsi alla competizione. Pare sia questa
la lezione appresa dopo circa trent’anni di inerzia da parte delle regioni. Il
futuro dirà se il governo centrale avrà la forza sufficiente di applicarla in
concreto. In conclusione, forse vale la pena di segnalare che il nuovo pre-
mier Enrico Letta, che ha sostituito Mario Monti, ha scelto la parola “fare”
per dare un significato più concreto alla sua azione di governo. Il suo pro-
gramma si chiama, infatti, Decreto del Fare, per rimarcare che è arrivato
finalmente il momento di eseguire, di fare appunto, ciò che è stato delibera-
to e non più di continuare a discutere se sia opportuno o meno.
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2. IL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE (TPL):
IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO
di Alceste Santuari
2.1. Introduzione
1
F. CARON, Trasporto pubblico locale: la sfida della deverticalizzazione, in Non Profit,
4/2007, p. 861.
2
Al riguardo, si consideri che, per quanto riguarda le modalità gestionali del servizio tu-
ristico, l’Antitrust, con provvedimento n. 23998/2012, ha evidenziato che il servizio di no-
leggio con conducente: a) va gestito con una società separata, atteso che esso non presenta le
caratteristiche di un servizio di interesse generale; b) si distingue nettamente dall’ordinario
servizio di trasporto pubblico, in quanto non sussistono specifici obblighi di servizio; c)
l’attività non è riservata dalla legge a un determinato soggetto.
57
Sia con riferimento al contesto nazionale, sia riguardo ai diversi contesti
regionali, il servizio di trasporto di persone è stato interessato, in specie,
negli ultimi anni, da profondi cambiamenti3 (Busti, 2011: 462) e fatto og-
getto di un interesse progressivamente crescente, in ragione, soprattutto,
della particolare funzione svolta4 (Pizzetti, 2002: 193 ss.; Chiti, Sciumè,
3
Autorevole dottrina ha segnalato che «[u]n’autentica, imponente cascata di provvedimenti
normativi ha investito il trasporto pubblico locale (t.p.l.) dopo la legge-quadro in materia 10
aprile 1981 n. 151, che ha fatto seguito a tutta una serie di precedenti leggi regionali al riguar-
do, giustificate anche dal trasferimento, ai sensi dei d.P.R. 14 gennaio 1972 n. 5 e 24 luglio
1977 n. 616 (art. 84 s.), alle Regioni a statuto ordinario delle competenze amministrative, tra
l’altro, su tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale, primario strumento di realiz-
zazione dei servizi in parola, mentre venivano lasciate alla competenza statale le linee automo-
bilistiche internazionali e interregionali colleganti regioni non finitime. Ancor prima i pubblici
autoservizi erano realizzati o da aziende municipalizzate, costituite da Comuni o Province inte-
ressati in base al r.d. 15 ottobre 1925 n. 2578 (t.u. sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da
parte dei Comuni e delle Province), oppure venivano eseguiti da terzi concessionari per il tra-
sporto di persone su itinerari fissi […]». S. BUSTI, Profilo storico della disciplina del trasporto
pubblico locale, in Rivista dei Trasporti, 2/2011, p. 462.
4
Il servizio in parola integra, invero, un servizio di pubblica utilità, ossia un servizio ri-
volto alla comunità, indipendentemente dal soggetto gestore, il quale – a questo riguardo –
può anche essere un’impresa privata ovvero un’aggregazione di imprese private artigiane,
quale è, nel caso di specie, il CTA. La possibilità che un servizio avente una connotazione
pubblica sia gestito/erogato da un soggetto privato, sia esso imprenditoriale ovvero non pro-
fit, è da collocarsi all’interno del dibattito e dell’elaborazione dottrinale e normativa in tema
di sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà, invero, «mette in discussione la stessa distinzio-
ne fra pubblico e privato giacché non solo supera il principio di matrice ottocentesca secon-
do il quale il «pubblico» e lo «Stato» sono la «dimensione di tutte le cose» e la fonte orga-
nizzante di tutti i rapporti, ma supera la stessa distinzione fra suddito e cittadino [...] Esso
diventa [...] il principio ordinatore di un sistema che, ponendo al centro il cittadino nella sua
dimensione singola e associata, organizza la distribuzione dei poteri, delle competenze e
delle risorse in modo che la soddisfazione delle necessità e dei bisogni possa avvenire dav-
vero nel modo «più vicino al cittadino»; e cioè nel modo che assicuri la maggiore soddisfa-
zione e il maggiore rispetto dei cittadini stessi»: così, F. PIZZETTI, Il principio di sussidiarie-
tà nell’Unione Europea e in Italia tra retorica e realtà: il rispetto del cittadino di fronte alle
nuove esigenze di democrazia, in V. ANGIOLINI, L. VIOLINI, N. ZANON (a cura di), Le tra-
sformazioni dello Stato regionale italiano. In ricordo di Gianfranco Mor, Milano, 2002, pp.
193 ss. Accanto all’evoluzione del principio di sussidiarietà giova richiamare in questa sede,
ancorché in modo sintetico, l’evoluzione del concetto di «servizio pubblico», indotta nel
nostro ordinamento soprattutto dalla necessità di adeguare lo stesso alle normative di matri-
ce europea. «Se infatti si dimostra un arretramento della dimensione soggettiva di tale con-
cetto a favore della dimensione oggettiva dello stesso, tale trasformazione comporta una
contrazione dell’attività degli enti pubblici, cui può agevolmente affiancarsi un’attività «pri-
vata» che persegua un interesse della collettività.[...] [L]a linea di demarcazione tra la di-
mensione pubblicistica e quella privatistica non corre più lungo la dorsale soggettiva. Fa-
cendo proprie le suggestioni europee, l’ordinamento oggi tende a concentrare l’attenzione
sull’efficienza che si otterrebbe in un regime di libero mercato anche per sevizi oggettiva-
mente pubblici e punta ad integrare modelli organizzativi formalmente privatistici (le società
di capitali come unici possibili gestori dei servizi pubblici a carattere imprenditoriale) con
58
Violini, 2002: 238 ss.; Mangiameli) e degli impatti che il servizio è in gra-
do di produrre. E ciò sia in termini di sostenibilità economico-finanziaria
sia in relazione alla domanda di mobilità «pubblica» che le comunità
esprimono. L’«ambiente» in cui il servizio di trasporto di persone è oggi
erogato, è definito da alcuni «concetti chiave», in larga parte di derivazione
comunitaria, che intendiamo richiamare all’attenzione del lettore:
• libertà di prestazione dei servizi;
• liberalizzazioni e privatizzazioni;
• competitività;
• concorrenza;
• ripartizione di competenze tra il livello comunitario, quello nazionale
e quello regionale.
Il trasporto pubblico locale si trova5 (Santarpia, 2013: 8-9), dunque, ad
essere collocato in un contesto socio-economico, culturale e giuridico-
istituzionale definito da aspettative elevate in capo ai cittadini-utenti e dalla
elementi procedurali e sostanziali[...] cui conferire il non sempre grato compito di tutelare la
dimensione pubblicistica degli interessi in gioco». M.P. CHITI, A. SCIUMÉ, L. VIOLINI, Pub-
blico e privato nei servizi di pubblica utilità alla persona, in G. VITTADINI (a cura di), Liberi
di scegliere. Dal welfare state alla welfare society, Milano, 2002, pp. 238 ss. E ancora sul
principio di sussidiarietà e i legami tra esso e i servizi pubblici locali, ci sembra degno di
nota che: «[…] In via di principio, la tendenza è che sotto questa etichetta delle privatizza-
zioni non si è ancora realizzata una sussidiarietà orizzontale. Questioni in parte analoghe
emergono nel caso dei beni e dei servizi pubblici locali (servizi sociali, luce, acqua, gas, ri-
fiuti, trasporti, ecc.). Infatti, anche in questo ambito, in cui le riforme non sono più procra-
stinabili, si oscilla fortemente tra la tendenza a mantenere gli assetti attuali, con ingenti oneri
a carico dei bilanci degli enti locali e una scarsa soddisfazione dell’utenza, e quella, opposta,
ad una liberalizzazione totale, senza una preventiva valutazione di merito in ordine alla natu-
ra del servizio, alla condizione dei beni e delle reti locali, alle politiche tariffarie e sociali e
alla salvaguardia dei diritti degli utenti. Anche in ambito locale il pericolo di dare vita a
forme di rendita e di potere privato è molto forte. Di qui l’aspra polemica che tocca il ddl
AS/772, presentato dal governo[si tratta del ddl «Lanzillotta» dal nome del ministro agli af-
fari regionali del Governo Prodi], per il riordino dei servizi pubblici locali, che ha visto la
stessa maggioranza parlamentare profondamente divisa. Anche in questo caso sussiste il
concreto pericolo che non si realizzi alcuna forma di sussidiarietà orizzontale»: S. MANGIA-
MELI, Sussidiarietà e servizi di interesse generale: le aporie della privatizzazione,
http://www.issirfa.cnr.it/4268,908.html, 4 di 7. Come noto, il principio di sussidiarietà oriz-
zontale pone il carattere sussidiario dell’intervento pubblico rispetto all’iniziativa privata,
giustificandosi tale intervento solo se il privato non sia in grado di realizzare interessi ed
esigenze degni di tutela. Il principio in parola trova conferma nell’art. 118.4 Cost., che im-
pone a Stato, Regioni ed altri enti territoriali di favorire l’autonoma iniziativa di cittadini,
anche associati, per attività di interesse generale, con conseguente privatizzazione e libera-
lizzazione delle stesse, attraverso la relativa deregolamentazione amministrativa.
5
Per una breve disamina critica della situazione in cui versa lo stato del TPL in Italia, si
veda V. SANTARPIA, La crisi della mobilità pubblica, Approfondimenti, in Corriere della
Sera, lunedì 29 luglio 2013, pp. 8-9.
59
necessità di coniugare adeguate politiche di intervento e impiego di formule
societarie, anche di natura pubblica6.
60
I servizi di interesse generale identificano attività soggette ad obblighi
specifici di servizio pubblico proprio perché considerate di interesse gene-
rale dalle autorità pubbliche. Sotto questa voce si ritrovano sia attività di
servizio non economico (sistemi scolastici obbligatori, protezione sociale
ma anche le funzioni inerenti alla potestà pubblica come la sicurezza, giu-
stizia, la difesa ed altro) sia attività di servizio cosiddette di interesse eco-
nomico generale9 (Sorace, 1999: 371; 2010: 1). I servizi di interesse eco-
nomico generale sono, quindi, una specie del genus servizi di interesse ge-
nerale: si tratta di servizi resi nell’ambito di un mercato concorrenziale
all’interno del quale si trovano ad operare sia soggetti privati sia soggetti
pubblici.
In ragione delle loro caratteristiche, tali servizi si pongono in una sorta
di zona franca intermedia tra attività economiche, da gestire secondo i ca-
noni dell’efficienza e nell’ambito di un contesto competitivo e attività non
economiche, da gestire in funzione dell’interesse generale ed in vista di
obiettivi di coesione sociale o territoriale, di equità redistributiva, nonché di
qualità dei servizi erogati10.
Fin dalla seconda metà degli anni Ottanta, alcuni settori che tradizio-
nalmente fornivano servizi di interesse economico generale, sotto la spinta
della Comunità europea, si sono progressivamente aperti alla concorrenza.
sì come tale armonizzazione sia stata raggiunta «nonostante il settore rimanga molto sensibi-
le sul piano “politico” (i contrasti originari all’epoca del Trattato di Roma tra visioni pubbli-
cistiche e “sociali” e visioni fortemente liberali non a caso si sono ripetuti nei lavori dedicati
al progetto di Costituzione europea) e nonostante quindi rimangano sul tappeto non poche
tensioni su come i SIEG debbano essere declinati sul territorio nazionale, su dove debba es-
ser fissata l’asticella che separa mercato ed intervento pubblico, su come essi possano esser
finanziati, specie negli anni della grande crisi». Ivi, p. 2.
9
Sulla variegata composizione e natura dei servizi di interesse generale, in dottrina si è se-
gnalato che «[è] in corso un mutamento della disciplina dei servizi pubblici che sembra tale da
coinvolgere anche le rappresentazioni giuridiche del fenomeno e le parole che lo designano».
Così, D. SORACE, Servizi pubblici e servizi (economici) di pubblica utilità, in Dir. pubbl., 1999,
p. 371. Dello stesso A. si veda I servizi “pubblici” economici nell’ordinamento nazionale ed
europeo alla fine del primo decennio del XXI secolo, in Dir. amm., 2010, 1.
10
Sull’argomento, si veda la Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo,
al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni intitolata
“Una disciplina di qualità per i servizi di interesse generale in Europa”, Bruxelles, 20 di-
cembre 2011 COM(2011) 900 definitivo, laddove si può leggere che la Commissione inten-
de definire una “disciplina di qualità” fondata su tre linee d’azione: «In primo luogo, miglio-
rare la chiarezza e la certezza giuridica per quanto riguarda le norme dell’UE applicabili a
questi servizi; in secondo luogo, fornire gli strumenti che consentono agli Stati membri di
garantire ai cittadini l’accesso ai servizi essenziali e di rivedere la situazione periodicamen-
te; e in terzo luogo, promuovere iniziative relative alla qualità, in particolare per i servizi
sociali che soddisfano esigenze particolarmente importanti» (p. 6).
61
Gli esempi più evidenti sono le telecomunicazioni, i servizi postali, i tra-
sporti e l’energia. Invero, in questo senso, l’Unione Europea ha sempre
promosso una liberalizzazione graduale, accompagnata da misure di tutela
dell’interesse generale, in particolare volte a garantire l’accesso di ognuno,
indipendentemente dalla situazione economica, sociale o geografica, ad un
servizio di una certa qualità ad un prezzo ritenuto mediamente accessibile.
Si può, dunque, affermare che l’Unione Europea, alla luce di quanto so-
pra descritto, abbia sempre inteso assicurare la fruizione di servizi universa-
li, la cui organizzazione è, tuttavia, rimessa agli Stati membri. Conseguen-
temente, l’organizzazione dei SIG dipende dalle tradizioni culturali, dalla
storia, dalla conformazione geografica e dalla sviluppo del tecnologie che
caratterizzano ciascun Stato membro.
62
Regolamento de quo prevede che a favore dell’operatore possono es-
sere riconosciute «compensazioni e diritti di esclusiva».
Premesso che dall’applicazione del Regolamento sono (art. 1.2) esclusi i
trasporti pubblici di persone prestati soprattutto per interesse storico o turi-
stico, le scelte sull’aggiudicazione di contratti di servizio pubblico11 me-
diante gara, o meno, appaiono rimesse ai vari ordinamenti dei paesi mem-
bri, sia pure con precise limitazioni.
L’autorità competente ad intervenire nei trasporti pubblici di persone su
strada o per ferrovia in una zona geografica determinata (art. 2, lett. b, Reg.
in parola) è sì chiamata in generale ad aggiudicare i contratti di servizio
pubblico (art. 2, lett. i dello stesso) mediante gara ad evidenza pubblica (art.
5.3 del Reg. in oggetto), ma con tutta una serie di eccezioni previste al ri-
guardo dalla stessa normativa comunitaria e valide sino a contrario avviso
dei legislatori nazionali in senso favorevole alla procedura competitiva.
Infatti, «a meno che sia vietato dalla legislazione nazionale», l’autorità
competente a livello locale può fornire essa stessa il servizio in questione,
od aggiudicare direttamente contratti di servizio pubblico ad un soggetto
giuridicamente distinto su cui la predetta autorità è chiamata ad esercitare
un controllo quanto meno analogo a quello esercitato sulle proprie strutture.
Tale soggetto, denominato «operatore interno» (art. 2, lett. j), e qualsiasi
altro soggetto su cui il primo abbia un influenza anche minima, potranno
esercitare attività di trasporto pubblico di passeggeri su strada e per ferrovia
solo all’interno del territorio di competenza dell’autorità affidante o su li-
nee in uscita verso territori vicini, restando conseguentemente esclusa una
loro partecipazione a gare per la prestazione del servizio in parola al di fuo-
ri del predetto territorio. L’operatore interno potrà partecipare ad una gara
per l’aggiudicazione dei servizi in parola non prima di due anni dalla sca-
denza del proprio contratto di affidamento diretto e a condizione che sia
stato deciso di sottoporre a gara l’aggiudicazione del servizio affidato al
predetto operatore, e che quest’ultimo non abbia concluso altri contratti di
servizio pubblico di trasporto di persone su strada o per ferrovia ad aggiu-
dicazione diretta (art. 5.2, Reg. in esame).
11
Si intende (art. 1, lett. g, Reg. in parola) per contratto di servizio pubblico di trasporto
l’accordo tra l’autorità investita del potere di intervenire nei trasporti di persone, offerti al
pubblico senza discriminazione e in maniera continuativa (art. 1, lett. a e b, Reg. in oggetto),
e l’operatore a cui è affidata la fornitura e gestione del servizio stesso. A tale accordo viene
equiparata una decisione della predetta autorità che assuma la forma di legge o regolamento
o che specifichi le condizioni alle quali la stessa autorità fornisce direttamente il servizio o
ne affida la prestazione ad un operatore interno.
63
Ancora con previsione derogabile, in senso contrario, dalle particolari
normative nazionali, il legislatore comunitario ammette l’affidamento diret-
to esterno del servizio il cui valore annuo medio sia stimato come inferiore
ad 1 milione di euro o che riguardi un movimento-passeggeri inferiore nel
complesso a 300.000 km l’anno: soglie entrambe raddoppiabili nel rapporto
con un’impresa operante con non più di 23 veicoli (art. 5.4).
Sempre con prevalenza d’una contraria disposizione nazionale, è am-
messo l’affidamento diretto, per una durata non superiore ai 10 anni, del
pubblico servizio ferroviario locale, fatta eccezione per altri servizi su ro-
taia, come metropolitane o tram (art. 5.6).
Il Regolamento comunitario in parola riprende invece tutto il proprio vi-
gore di disciplina imperativa (restandone la vigenza, e la conseguente abro-
gazione dei Reg. (CE) n. 1191/1969 e n. 1107/1970 nella stessa materia, pe-
raltro differite al 3 dicembre 2009, ex artt. 10 e 12) quando contempla prov-
vedimenti di emergenza per fronteggiare un’imminente o già sussistente in-
terruzione del servizio: provvedimenti da prendersi, per una durata non supe-
riore ai due anni, sotto forma di aggiudicazione diretta d’un contratto di ser-
vizio pubblico, o di proroga consensuale di quello in scadenza o di imposi-
zione (peraltro impugnabile dall’obbligato) dell’obbligo di effettuare i tra-
sporti, per ferrovia o su strada, richiesti dall’autorità competente (art. 5.5).
Le riferite disposizioni non si applicano (art. 5.1 Reg. in parola) ai con-
tratti aggiudicati secondo le dir. 17 e 18 del 31 marzo 2004 del Parlamento
europeo e Consiglio CE, recepite nel nostro ordinamento con d.lgs. 12 apri-
le 2006 n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e for-
niture). Si tratta di contratti di servizio pubblico che prevedono, a carico
dell’amministrazione pubblica, compensazioni per l’impresa affidataria tali
da coprire i costi dell’attività e garantire un ragionevole margine di profitto.
Tali contratti (c.d. gross cost) pongono il rischio dell’attività in parola a to-
tale carico dell’amministrazione e vanno pertanto aggiudicati necessaria-
mente con gara ad evidenza pubblica, per rendere trasparente e se possibile
contenere l’ammontare della compensazione.
La mancata effettuazione della gara è consentita dal legislatore comunita-
rio solo qualora chi intende assumere il trasporto pubblico ne accetti il rischio
d’impresa. Si tratta della fattispecie denominata «concessione di servizi» negli
artt. 3.32 e 30 del codice dei contratti pubblici e sottratta alle disposizioni so-
stanziali del codice stesso, e così alle formali procedure competitive ad evi-
denza pubblica. Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del
«concessionario» consiste unicamente nel diritto di gestire e sfruttare econo-
micamente il servizio in questione, con l’aggiunta eventuale d’un prezzo pat-
tuito in proposito a carico della pubblica amministrazione in sede di contratto
64
di servizio, qualora al concessionario venga imposto di praticare all’utenza
prezzi, della propria attività, inferiori a quelli corrispondenti alla somma del
costo del servizio e dell’ordinario utile d’impresa, ovvero qualora si tratti di
assicurare la qualità del servizio stesso. Il prezzo in parola non ha comunque
la funzione di «garantire» il concessionario dal rischio dell’operazione con-
trattualmente assunta, in particolare qualora i ricavi siano scarsi per l’esiguo
numero dei fruitori del servizio o nel caso di impreviste complicazioni e diffi-
coltà nella sua effettuazione.
Solo qualora non sia l’amministrazione competente a sopportare il ri-
schio della gestione e fornitura del pubblico servizio possono entrare in
gioco, salvo il contrario avviso del paese membro, le gestioni dirette o gli
affidamenti, cioè l’in house.
Proprio la ricorrente possibilità, per il legislatore nazionale, di scelte op-
poste a quelle suggerite dal Regolamento comunitario in parola comporta la
sostanziale incapacità di quest’ultimo a garantire un uniforme, e soprattutto
duraturo, trattamento del TPL, in funzione d’un suo risanamento.
65
2.3.1. L. 28 dicembre 1995, n. 549, recante “Misure di razionalizza-
zione della finanza pubblica” (collegato alla l. finanziaria
1996)
66
pubbliche statali e quelli da trasferire alle Regioni e agli enti locali12. Tale
legge ha conferito alle Regioni e agli enti locali le funzioni e i compiti in
materia di trasporto pubblico locale, ribadendo i principi di sussidiarietà,
economicità ed efficienza, quali linee guida che informano il settore dei tra-
sporti pubblici locali. Ai sensi della legge “Bassanini uno”, è stato approva-
to il d.lgs. 19 novembre 1997 n. 422, recante “Conferimento alle Regioni
ed agli enti locali di funzioni e compiti in materia di trasporto pubblico lo-
cale”. Il decreto in oggetto, tra l’altro, ribadisce il riparto delle competenze
tra Stato, Regioni ed enti locali, invertendo la tendenza rispetto al passato,
poiché le funzioni delegate agli enti territoriali riguardano l’intero comparto
del servizio di trasporto e le competenze conferite sono di carattere pro-
grammatorio, amministrativo e finanziario13; stabilisce l’organizzazione dei
servizi a livello territoriale14; individua i servizi minimi da erogare sul terri-
12
In tema di trasporti locali, la l. 15 marzo 1997 n. 59, demandando ad appositi decreti
legislativi, ha previsto che le Regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competen-
ze, regolino l’esercizio dei servizi con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affi-
dati. Inoltre, la legge in parola ha attribuito alle Regioni il compito di definire, d’intesa con
gli enti locali, il livello dei servizi minimi qualitativamente e quantitativamente sufficienti a
soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini, servizi i cui costi sono a carico dei bilanci
regionali, prevedendo che i costi dei servizi ulteriori rispetto a quelli minimi siano a carico
degli enti locali che ne programmino l’esercizio. Si aggiunga, inoltre, che la legge n.
59/1997 ha previsto che l’attuazione delle deleghe e l’attribuzione delle relative risorse alle
Regioni fossero precedute da appositi accordi di programma tra il ministero dei trasporti e
della navigazione e le Regioni medesime, sempreché gli stessi accordi fossero perfezionati
entro il 30 giugno 1997.
13
L’art. 5 del d.lgs. n. 422/1997 così dispone: «(Conferimento a regioni ed enti locali) 1.
Sono conferiti alle Regioni e agli enti locali […] tutti i compiti e le funzioni relativi al servi-
zio pubblico di trasporto di interesse regionale e locale, in atto esercitati da qualunque orga-
no o amministrazione dello Stato, centrale o periferica, anche tramite enti o altri soggetti
pubblici, tranne quelli espressamente mantenuti allo Stato dall’articolo 4 del presente decre-
to», come la realizzazione di grandi reti infrastrutturali, l’organizzazione dei servizi di tra-
sporto di interesse nazionale ed internazionale, le funzioni in materia di polizia, sicurezza e
regolarità circa l’esercizio del servizio, l’adozione di linee guida per la riduzione
dell’inquinamento, la stipula di accordi e convenzioni internazionali relativi ai servizi tran-
sfrontalieri per il trasporto di persone e merci. L’art. 6 del d.lg. n. 422/1997, inoltre, con par-
ticolare riferimento alle competenze regionali, recita: «1. Sono delegati alle Regioni i com-
piti di programmazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale di cui all’articolo
14, non già compresi nelle materie di cui all’articolo 117 della Costituzione […]».
14
Al riguardo, così recita l’art. 14: «Programmazione dei trasporti locali. […] 2.
Nell’esercizio dei compiti di programmazione, le Regioni: a) definiscono gli indirizzi per la
pianificazione dei trasporti locali ed in particolare per i piani di bacino; b) redigono i piani
regionali dei trasporti e loro aggiornamenti tenendo conto della programmazione degli enti
locali ed in particolare dei piani di bacino predisposti dalle Province e, ove esistenti, dalle
Città metropolitane, in connessione con le previsioni di assetto territoriale e di sviluppo eco-
nomico e con il fine di assicurare una rete di trasporto che privilegi le integrazioni tra le va-
rie modalità favorendo in particolar modo quelle a minore impatto sotto il profilo ambienta-
67
torio15; stabilisce che l’organizzazione dei servizi di trasporto pubblico re-
gionale e locale deve garantire un assetto di concorrenzialità, derivante
dall’espletamento di procedure competitive per la scelta del gestore del ser-
vizio o dei soci privati delle società che gestiscono i servizi16; enfatizza il
le. […] 4. Per l’esercizio dei servizi pubblici di trasporto locale in territori a domanda debo-
le, al fine di garantire comunque il soddisfacimento delle esigenze di mobilità nei territori
stessi, le Regioni, sentiti gli enti locali interessati e le associazioni nazionali di categoria del
settore del trasporto di persone, possono individuare modalità particolari di espletamento dei
servizi di linea, da affidare, attraverso procedure concorsuali, alle imprese che hanno i requi-
siti per esercitare autoservizi pubblici non di linea o servizi di trasporto di persone su strada.
Nei comuni montani o nei territori in cui non vi è offerta dei servizi predetti possono essere
utilizzati veicoli adibiti ad uso proprio, fermo restando l’obbligo del possesso dei requisiti
professionali per l’esercizio del trasporto pubblico di persone. […]».
15
Art. 16. «Servizi minimi – 1. I servizi minimi, qualitativamente e quantitativamente
sufficienti a soddisfare la domanda di mobilità dei cittadini e i cui costi sono a carico del
bilancio delle Regioni, sono definiti tenendo conto: a) dell’integrazione tra le reti di traspor-
to; b) del pendolarismo scolastico e lavorativo; c) della fruibilità dei servizi da parte degli
utenti per l’accesso ai vari servizi amministrativi, sociosanitari e culturali; d) delle esigenze
di riduzione della congestione e dell’inquinamento. 2. Nella determinazione del livello dei
servizi minimi, le Regioni definiscono, d’intesa con gli enti locali, secondo le modalità sta-
bilite dalla l. regionale, e adottando criteri di omogeneità fra regioni, quantità e standard di
qualità dei servizi di trasporto pubblico locale […]. 3. Le Province, i Comuni e le Comunità
montane, nel caso di esercizio associato di servizi comunali del trasporto locale di cui
all’articolo 11, comma 1, della l. 31 gennaio 1994, n. 97, possono istituire, d’intesa con la
Regione ai fini della compatibilità di rete, servizi di trasporto aggiuntivi a quelli definiti dal-
la Regione stessa ai sensi dei commi 1 e 2, con oneri a carico dei bilanci degli enti stessi. In
tal caso l’imposizione degli obblighi di servizio aggiuntivo e le corrispondenti compensa-
zioni finanziarie, da porre a carico dei bilanci degli enti stessi, sono fissate mediante i con-
tratti di servizio di cui all’articolo 19».
16
Art. 18. «Organizzazione dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale – 1.
L’esercizio dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale, con qualsiasi modalità effet-
tuati e in qualsiasi forma affidati, è regolato, a norma dell’articolo 19, mediante contratti di
servizio di durata non superiore a nove anni. L’esercizio deve rispondere a principi di eco-
nomicità ed efficienza, da conseguirsi anche attraverso l’integrazione modale dei servizi
pubblici di trasporto. I servizi in economia sono disciplinati con regolamento dei competenti
enti locali. 2. Allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di intro-
durre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale, per
l’affidamento dei servizi le Regioni e gli enti locali si attengono ai principi dell’articolo 2
della legge 14 novembre 1995, n. 481, garantendo in particolare: a) il ricorso alle procedure
concorsuali per la scelta del gestore del servizio o dei soci privati delle società che gestisco-
no i servizi, sulla base degli elementi del contratto di servizio di cui all’articolo 19 e in con-
formità alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizi e sulla costi-
tuzione delle società miste; b) l’esclusione, in caso di gestione diretta o di affidamento diret-
to dei servizi da parte degli enti locali a propri consorzi o aziende speciali, dell’ampliamento
dei bacini di servizio rispetto a quelli già gestiti nelle predette forme; c) la previsione, nel
caso di cui alla lettera b), dell’obbligo di affidamento da parte degli enti locali tramite pro-
cedure concorsuali di quote di servizio o di servizi speciali, previa revisione dei contratti di
68
ricorso ai contratti di servizio, quale strumento di raccordo, verifica, moni-
toraggio e valutazione dei servizi erogati17. In argomento, si segnala che sia
la normativa comunitaria che quella nazionale considerano come elemento
centrale della riforma del trasporto pubblico locale la separazione tra re-
sponsabilità programmatoria e finanziamento dei servizi, riconosciuti in ca-
po alle amministrazioni pubbliche e responsabilità della produzione del
servizio, da riconoscere in capo a soggetti imprenditoriali. Il contratto di
servizio, in quest’ottica, interviene a regolare il rapporto che lega l’ente lo-
cale con l’impresa affidataria del servizio. Il contratto di servizio (pubblico)
previsto dalla legge n. 59/1997 e dal d.lgs. n. 422/1997 si applica ai servizi
pubblici con qualsiasi modalità effettuati e in qualsiasi forma affidati18.
servizio in essere; d) l’esclusione, in caso di mancato rinnovo del contratto alla scadenza o
di decadenza dal contratto medesimo, di indennizzo al gestore che cessa dal servizio […]»
17
Art. 19. «Contratti di servizio – 1. I contratti di servizio assicurano la completa corri-
spondenza fra oneri per servizi e risorse disponibili, al netto dei proventi tariffari e sono sti-
pulati prima dell’inizio del loro periodo di validità. […] 2. I contratti di servizio per i quali
non è assicurata, al momento della loro stipula, la corrispondenza tra gli importi di cui alla
lettera e) del comma 3 e le risorse effettivamente disponibili sono nulli. 3. I contratti di ser-
vizio […] definiscono: a) il periodo di validità; b) le caratteristiche dei servizi offerti ed il
programma di esercizio; c) gli standard qualitativi minimi del servizio, in termini di età, ma-
nutenzione, confortevolezza e pulizia dei veicoli, e di regolarità delle corse; d) la struttura
tariffaria adottata; e) l’importo eventualmente dovuto dall’ente pubblico all’azienda di tra-
sporto per le prestazioni oggetto del contratto e le modalità di pagamento, nonché eventuali
adeguamenti conseguenti a mutamenti della struttura tariffaria; f) le modalità di modifica-
zione del contratto successivamente alla conclusione; g) le garanzie che devono essere pre-
state dall’azienda di trasporto; h) le sanzioni in caso di mancata osservanza del contratto;
[…] 4. Gli importi di cui al comma 3, lettera e), possono essere soggetti a revisione annuale
con modalità determinate nel contratto stesso allo scopo di incentivare miglioramenti di effi-
cienza. I suddetti importi possono essere incrementati in misura non maggiore del tasso pro-
grammato di inflazione, salvo l’eventuale recupero delle differenze in caso di rilevante sco-
stamento dal tasso effettivo di inflazione, a parità di offerta di trasporto. 5. I contratti di ser-
vizio pubblico devono rispettare gli articoli 2 e 3 del Reg. (CEE) n. 1191/69 ed il Reg.
(CEE) n. 1893/91, [destinato, come detto, ad essere «sostituito» dal Reg. (CE) n. 1370/2007]
avere caratteristiche di certezza finanziaria e copertura di bilancio e prevedere un progressi-
vo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi, rapporto che, al netto dei
costi di infrastruttura, dovrà essere pari almeno allo 0,35 a partire dal 1° gennaio 2000. Tro-
vano applicazione ai trasporti regionali e locali, a tale fine, le norme della direttiva
91/440/CEE del Consiglio del 29 luglio 1991. […]».
18
Al riguardo, sono state elaborate varie tipologie di contratto, le quali, per quanto attie-
ne ai trasporti locali, si differenziano in funzione del rischio a carico dei contraenti: il rischio
industriale, legato ai costi di esercizio e di gestione dell’attività di impresa, e il rischio
commerciale, legato all’attività di vendita. Da detta suddivisione discendono le seguenti ti-
pologie di servizio: a) management contract: entrambi i rischi ricadono sull’ente affidante. Il
gestore riceve una remunerazione che è generalmente indipendente dal risultato raggiunto;
b) gross cost contract: il rischio industriale è a carico dell’erogatore del servizio, mentre
quello commerciale grava sull’ente affidante. Il gestore riceve un corrispettivo basato sui
69
2.3.3. D.lgs. 20 settembre 1999, n. 400, “Modifiche ed integrazioni
al decreto legislativo 19 novembre 1997 n. 422, recante confe-
rimento alle Regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in
materia di trasporto pubblico locale”
Tra le modifiche che riteniamo utili riportare ai fini del nostro inqua-
dramento si segnalano:
• il richiamo alla normativa comunitaria e alla disciplina sugli appalti
pubblici di servizio per l’affidamento dei TPL19;
70
• la definizione del termine entro cui le Regioni e gli enti locali avreb-
bero dovuto procedere alla trasformazione delle esistenti aziende
speciali in società per azioni ovvero al frazionamento societario20;
• l’individuazione, nel nuovo comma 3 bis dell’art. 18, d.lgs. n.
422/1997, di un periodo transitorio, inizialmente fissato al 31 dicembre
2003 e successivamente prorogato (come si dirà), entro il quale le Re-
gioni avrebbero potuto (e possono) mantenere gli affidamenti diretti
agli attuali concessionari di servizio di trasporto pubblico locale, po-
nendo «l’obbligo», per tale periodo transitorio, «di affidamento di quo-
te di servizio o di servizi speciali mediante procedure concorsuali»;
• obbligo assoluto di affidare i servizi di TPL tramite procedure di ga-
ra, una volta scaduto il predetto termine.
20
L’art. 1, comma 6 sopra richiamato, al riguardo, dispone: «il comma 3 [dell’art. 18 del
d.lgs. n. 422/1997] è sostituito dal seguente: “3. Le Regioni e gli enti locali, nelle rispettive
competenze, incentivano il riassetto organizzativo e attuano, entro e non oltre il 31 dicembre
2000, la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi, anche con le procedure di cui
all’articolo 17, commi 51 e seguenti, della legge 15 maggio 1997, n. 127, in società di capi-
tali, ovvero in cooperative a responsabilità limitata, anche tra i dipendenti, o l’eventuale fra-
zionamento societario derivante da esigenze funzionali o di gestione. Di tali società, l’ente
titolare del servizio può restare socio unico per un periodo non superiore a due anni. Ove la
trasformazione di cui al presente comma non avvenga entro il termine indicato, provvede il
sindaco o il presidente della Provincia nei successivi tre mesi. In caso di ulteriore inerzia, la
Regione procede all’affidamento immediato del relativo servizio mediante le procedure con-
corsuali di cui al comma 2, lettera a)”».
21
In tema di riparto di competenze, autorevole dottrina ha segnalato che detta «redistri-
buzione» sia da collocare in un «ordinamento che adotta modelli neofederali e che pertanto
si preoccupa di affermare la generale e residuale potestà legislativa delle Regioni garantita
da un principio di sussidiarietà nei confronti dello Stato e tramite esso nei confronti della
Comunità [europea]. La materia del trasporto è uno di quei settori in cui questo processo di
passaggio al livello di governo europeo è più marcato per cui in questa prospettiva diacroni-
ca si risolve anche l’apparente contraddizione tra una ripartizione di potestà legislativa tra
Stato e Regioni formalmente rigida e sostanzialmente flessibile»: così G. VERMIGLIO, Il ri-
parto di competenze Stato-Regioni in materia di navigazione e trasporto nel Titolo V Cost.:
71
competenze definite nell’art. 117 Cost., la legge costituzionale in parola ha
ribadito e rafforzato la competenza delle Regioni e degli enti locali in mate-
ria di TPL22 (Filippi, 2007: 30 ss.). Competenza, questa, che tuttavia non
sembra corrispondere al finanziamento del TPL, che rimane, invero, ancora
in larga parte a carico del bilancio statale23.
criteri interpretativi desumibili dalla sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale, in Dir.
trasp., 2004, 40.
22
In dottrina, in tema, si è sottolineato che «la riforma costituzionale ha, infatti, definiti-
vamente sancito la fine del parallelismo tra le funzioni legislative e amministrative, attribui-
te rispettivamente allo Stato e alle Regioni, riducendo l’ambito della potestà legislativa dello
Stato a vantaggio della competenza legislativa riconosciuta alle Regioni in tutte le materie
non espressamente riservate allo Stato […] Con la riforma del titolo V della Costituzione, in
virtù del novellato art. 117, comma 4, secondo cui «spetta alle Regioni la potestà legislativa
in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato», la
competenza regionale in materia di trasporti pubblici locali si trasforma, quindi, da concor-
rente in residuale esclusiva […] Tale trasformazione del riparto delle competenze tra Stato e
Regioni in tema di trasporto pubblico locale non ha, tuttavia, inciso sulla validità dei principi
già definiti dalla regolazione nazionale disciplinata dal d.lg. 422/97, a tali criteri, infatti, do-
vranno, comunque, necessariamente uniformarsi le leggi regionali in materia di trasporto
pubblico locale». Così, G. FILIPPI, Legislazione nazionale del trasporto pubblico locale, in
Riv. dir. trasp., 1/07, pp. 30 ss. Trattasi di principi che in quanto finalizzati alla tutela della
concorrenza sono inderogabili in virtù del disposto dell’art. 117, comma 2, lett. m) cost. se-
condo cui lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di «determinazione dei livelli essen-
ziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto
il territorio nazionale».
23
Si veda, da ultimo, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, 11 marzo
2013, recante “Definizione dei criteri e delle modalità con cui ripartire il Fondo nazionale
per il concorso dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle
regioni a statuto ordinario”. In tema di finanziamenti al sistema del TPL si registra la presa
di posizione della Conferenza delle Regioni: «In conclusione, può affermarsi che, nonostan-
te il tentativo di stanziare risorse certe da destinare al settore del TPL, l’attuale disegno del
Governo in materia di trasporto pubblico locale non appare assolutamente idoneo a garantire
il regolare funzionamento del settore, pur in presenza di processi di efficientamento e razio-
nalizzazione che le regioni stanno intraprendendo, né l’espletamento dei servizi minimi es-
senziali […]. Quanto innanzi a conferma della segnalata incertezza del quadro finanziario
disegnato dalle norme attualmente in vigore e della loro contraddittorietà con la titolarità
delle competenze (e quindi delle risorse necessarie) in materia di trasporto pubblico locale in
capo alle Regioni e Province autonome». Documento della Conferenza delle Regioni e Pro-
vince Autonome, Roma, 24 luglio 2013, cit., p. 9.
In tema di finanziamento del TPL, si segnala altresì la sentenza Consiglio di Stato, sez.
V, 27 marzo 2013, n. 1799, con la quale i giudici amministrativi hanno ribadito che il finan-
ziamento regionale non costituisce un fattore esogeno, una variabile indipendente in grado
di mutare l’organizzazione e l’offerta del servizio. Al contrario, esso è la variabile dipenden-
te risultante dall’onere economico predeterminato e complessivamente riveniente dai con-
tratti di servizio stipulati in ambito regionale. Nello specifico, i giudici di Palazzo Spada
hanno ribadito che: a) la riduzione del finanziamento regionale ha incidenza diretta sui ser-
vizi minimi di trasporto; b) stante la correlazione biunivoca tra finanziamento ed organizza-
zione del servizio, non è consentito alla Regione di incidere sul volume del primo, perché
72
2.3.5. L. 28 dicembre 2001, n. 448, “Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (l. finanziaria
2002)”
con ciò si induce una riduzione dell’offerta, la quale può invece essere giustificata solo
dall’impossibilità, verificata a consuntivo, di assicurare la copertura finanziaria al privato
gestore, per le condizioni in cui esso si trova concretamente ad operare; c) tanto meno è con-
sentito sottrarsi al necessario confronto preventivo con gli enti locali affidanti ed eludere tale
obbligo con la raccomandazione di misure volte ad incrementare l’efficienza del servizio
[…] perché in tal modo si trasla su questi ultimi la responsabilità organizzativa e finanziaria
inerente la fornitura del servizio di trasporto, oltre che a rischi di contenziosi nei confronti
degli affidatari privati. Il Consiglio di Stato aggiunge che «nemmeno la riduzione dei trasfe-
rimenti statali costituisce, di per sé, giusta causa di riduzione del finanziamento dei servizi
minimi, laddove questa non si accompagni ad una preventiva rimodulazione degli stessi, da
adottare secondo le procedure concertative stabilite dalla legislazione nazionale e regionale
[…]». Ma i giudici amministrativi sottolineano altresì che, in specie in una congiuntura eco-
nomico-finanziaria negativa come quella attuale e al cospetto dell’obbligo costituzionale del
pareggio di bilancio, approvato con l. n. 243/2012, la riduzione dei trasferimenti statali non
può essere interpretato alla stregua di evento esonerativo di responsabilità per la regione.
Spetta, dunque, a quest’ultima l’onere di programmare una politica di bilancio in grado di
mantenere inalterato il finanziamento al trasporto pubblico locale e contemporaneamente
l’equilibrio strutturale dei propri conti. In argomento, si veda ancora Consiglio di Stato, sez.
V, sentenza 24 aprile 2013, n. 2268, nella quale i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto
legittimo il comportamento di un’amministrazione locale che ha in via unilaterale inciso sul
regime tariffario del servizio di TPL seguendo la via della rideterminazione degli obblighi di
servizio pubblico in correlazione con le tariffe massime per mezzo di un atto amministrativo
generale (art. 3, comma 3, Regolamento CE n. 1370/2007).
24
Con questa legge vengono apportate numerose e significative modifiche al d.lgs. n.
267/2000 (t.u. sugli enti locali), prevedendo, inter alia, un rafforzamento del ruolo degli enti
locali medesimi nell’erogazione dei TPL, utilizzando allo scopo l’estensione del periodo
transitorio entro il quale le Regioni avrebbero dovuto provvedere all’indizione di procedure
concorsuali.
25
Così recita l’art. 35, comma 9, legge n. 448/2001: «In attuazione delle disposizioni di
cui ai commi 2 e 13 dell’articolo 113 del citato testo unico, come sostituito dal comma 1 del
presente articolo, gli enti locali che alla data di entrata in vigore della presente l. detengano
la maggioranza del capitale sociale delle società per la gestione di servizi pubblici locali, che
siano proprietarie anche delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni per l’esercizio di
servizi pubblici locali, provvedono ad effettuare, entro un anno dalla data di entrata in vigore
della presente legge, anche in deroga alle disposizioni delle discipline settoriali, lo scorporo
delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni. Contestualmente la proprietà delle reti, degli
73
della predetta legge furono oggetto di censura da parte della Commissione
Europea. In particolare, la Commissione espresse dubbi circa la legittimità
di affidare in via diretta la gestione delle reti/infrastrutture a società di capi-
tali con partecipazione maggioritaria degli enti locali e in merito alla durata
del periodo transitorio durante il quale erano stati fatti salvi gli affidamenti
diretti effettuati in passato26 (Ferrari, 2004; Sciullo, 2003).
La legge n. 218 del 2003 si colloca nel solco delle normative sopra ri-
chiamate, sottolineando, in specie, che l’attività di trasporto di viaggiatori
rientra nella sfera della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost.27 Da
questo principio informatore discende che i vincoli all’iniziativa economica
privata si giustificano solo per esigenze sociali o per tutela della concorrenza.
Anticipando alcuni tratti del c.d. “pacchetto Bersani” e del disegno di legge
Lanzillotta presentato durante il Governo Prodi nel mese di luglio 2007, la
legge in argomento, richiamando espressamente i principi comunitari, intro-
duce il concetto della concorrenza “per” il mercato nel comparto del traspor-
to di viaggiatori su strada28, ribadendo la libertà di accesso all’attività sulla
base di criteri di onorabilità e capacità professionale e finanziaria.
impianti e delle altre dotazioni patrimoniali, oppure l’intero ramo d’azienda, è conferita ad
una società avente le caratteristiche definite dal citato comma l3 dell’articolo 113 del mede-
simo testo unico».
26
Si tratta della Lettera di messa in mora del 26 giugno 2002. In argomento, si vedano
G.F. FERRARI, Servizi pubblici locali e forme miste di gestione pubblico-privati, in
www.giustamm.it, 10/2004 e G. SCIULLO, La procedura di affidamento di servizi pubblici
locali tra disciplina interna e principi comunitari, in www.lexitalia.it, 12/2003.
27
Così recita l’art. 1, comma 1: «L’esercizio dell’attività di trasporto di viaggiatori su
strada rientra nella sfera della libertà di iniziativa economica ai sensi dell’articolo 41 della
Costituzione, cui possono essere imposti esclusivamente vincoli per esigenze di carattere
sociale o prescrizioni finalizzate alla tutela della concorrenza secondo quanto previsto dalla
l. 10 ottobre 1990, n. 287».
28
La l. stabilisce i principi e le norme generali a tutela della concorrenza nell’ambito
dell’attività di trasporto effettuata mediante servizi di noleggio di autobus con conducente,
nel rispetto dei principi e dei contenuti normativi fissati dall’ordinamento comunitario. Ai
sensi della l. in parola, costituisce distorsione della concorrenza l’utilizzo di autobus acqui-
stati con sovvenzioni pubbliche di cui non possa beneficiare la totalità delle imprese nazio-
nali. Scopo della presente legge, nei limiti di cui al comma 1, è garantire in particolare:
74
2.3.7. Art. 14 d.l. 30 settembre 2003 n. 264 (collegato alla legge fi-
nanziaria 2004)
Una «vera e propria controriforma»29 (Filippi, 2007: 37) del comparto dei
TPL, con un rallentamento del piano di avvio delle gare, su cui erano state
elaborate le precedenti normative, viene recata dall’art. 14 d.l. 30 settembre
2003 n. 269 (collegato alla l. finanziaria 2004), convertito, con modificazioni,
nella l. 24 novembre 2003 n. 326. Tale disposizione, modificando l’art. 113
t.u. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con d.lgs. 18
agosto 2000 n. 267, nel quale era confluita la normativa sul TPL:
1. fissava al 31 dicembre 2006 il termine entro il quale le concessioni af-
fidate senza gara potevano essere prorogate;
2. ha previsto l’affidamento della gestione delle reti, qualora separata dal-
la erogazione del servizio, a società di capitali prescrivendone, tutta-
via, la partecipazione pubblica totalitaria e non più soltanto maggiori-
taria;
3. con riferimento alla gestione del servizio, ha individuato tre modalità
di affidamento: a) a società di capitali scelte con procedure ad eviden-
za pubblica; b) a società miste pubblico-privato, nelle quali il socio
privato sia scelto con gara; c) a società a capitale interamente pubblico
(affidamento cosiddetto “in house”), a condizione che l’ente titolare
del capitale sociale eserciti sulla società un controllo analogo a quello
esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più impor-
tante della propria attività con l’ente pubblico che la controlla.
L’art. 1, comma 48, che modifica l’art. 113 del t.u. degli enti locali (il
ricordato d.lgs. n. 267/2000), dispone che il trasporto pubblico locale sia
escluso dall’applicazione della disciplina generale dei servizi pubblici, in
75
ispecie dall’art. 113 testé citato. Ne discende che i TPL rimangono esclusi-
vamente regolati dal d.lgs. n. 422/1997, e successive modifiche, indivi-
duandosi, quindi, nella procedura di gara ad evidenza pubblica l’unica mo-
dalità di affidamento dell’erogazione del servizio e reintroducendo
l’obbligo di indire gare per l’affidamento dei servizi di trasporto pubblico
locale a partire dalla fine del 200530.
Con provvedimenti normativi successivi, il periodo transitorio è stato
ancora una volta prorogato al 31 dicembre 2006, con la possibilità per le
Regioni, ricorrendo determinate condizioni, di prevedere ulteriori proroghe
per l’affidamento dei servizi, fino ad un massimo di altri due anni31. Peral-
tro, la fruizione di tale proroga esclude, per tutta la sua durata, le società
beneficiarie dalla partecipazione a procedure di gara attivate sul resto del
territorio nazionale per l’affidamento dello stesso tipo di servizio in que-
stione.
Da segnalare che sull’argomento è intervenuta anche la Corte Costitu-
zionale che, con sentenza n. 80 del 3 marzo 2006, ha affermato il principio
che il TPL deve ritenersi regolamentato esclusivamente dalla disciplina
speciale prevista nel d.lgs. n. 422/199732.
30
Così recita l’art. 1, comma 48: «All’articolo 113 del testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e suc-
cessive modificazioni, sono apportate le seguenti modifiche: a) dopo il comma 1, è inserito
il seguente: “1-bis. Le disposizioni del presente articolo non si applicano al settore del tra-
sporto pubblico locale che resta disciplinato dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n.
422, e successive modificazioni”». Detta previsione normativa chiarisce che ai TPL si appli-
ca esclusivamente quanto disposto nel decreto “Burlando” del 1997. Il termine a quo per
l’affidamento col sistema delle gare, originariamente fissato al 31 dicembre 2003, dall’art.
18, comma 3 bis, d.lgs. n. 422/1997, è poi differito al 31 dicembre 2005 dall’art. 23 del d.l.
24 dicembre 2003 n. 355, convertito in l. n. 47 del 27 febbraio 2004.
31
Si veda la l. 23 dicembre 2005 n. 266 (“Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – l. finanziaria 2006”), art. 1, commi 393 e 394. Queste
ultime disposizioni (combinate con il comma 2 bis, aggiunto all’art. 3.2, d.l. 30 dicembre
2005, n. 273, dalla l. di conversione 23 febbraio 2006 n. 51) hanno consentito alle Regioni
di differire ulteriormente i termini per gli affidamenti diretti al 31 dicembre 2008, nel caso in
cui le aziende partecipate da Regioni o enti locali avessero ceduto, mediante procedure ad
evidenza pubblica, una quota di almeno il 20% del capitale sociale ovvero una quota di al-
meno 20% dei servizi esercitati a società di capitali, anche di natura consortile, nonché a
cooperative e consorzi, purché non partecipati da Regioni o da enti locali.
32
Con riferimento alle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 422/1997, in specie quelle che
definiscono il periodo transitorio nel quale sono autorizzati gli affidamenti diretti, i giudici
costituzionali evidenziano che il «conferimento di poteri a Regioni ed enti locali in tema di
affidamento dei servizi di trasporto locale è finalizzato, dall’art. 18, comma 2, del d.lgs. n.
422/1997, all’introduzione di regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto
regionale e locale. Alla luce di ciò, si comprende come la previsione di un termine massimo
entro cui deve concludersi la fase transitoria, assume un valore decisivo perché garantisce il
76
2.3.9. Le disposizioni del c.d. “pacchetto Bersani”
raggiungimento, entro termini certi, dell’effettiva apertura alla concorrenza in questo parti-
colare settore, attraverso l’affidamento generalizzato mediante procedure concorsuali dei
relativi servizi di trasporto locale in perfetta armonia con la normativa europea in materia di
liberalizzazione dei servizi di trasporto locale».
33
Per i primi commenti sulla pronuncia v. M. GRECO, La Corte Costituzionale non guarda
in faccia nessuno... nemmeno lo spread, 3 agosto 2012, in www.dirittodeiservizipubblici.it;
nota ANCI, Prime osservazioni sull’affidamento dei Servizi Pubblici Locali di rilevanza eco-
nomica alla luce della Sentenza della Corte Costituzionale del 20 luglio 2012, n. 199, in
www.anci.it. Per una efficace disamina della sentenza in argomento, in specie sulla conseguen-
ze della stessa sull’azione degli enti locali, si veda M. NICO, Liberalizzazione dei servizi locali,
77
sulla base dei ricorsi proposti da sei Regioni italiane (Puglia, Lazio, Mar-
che, Emilia-Romagna, Umbria e Sardegna), hanno cancellato definitiva-
mente dall’ordinamento giuridico l’art. 4 del d.l. n. 138/2011 e successive
modificazioni ed integrazioni, ritenendo tale disposizione in contrasto con
la volontà popolare espressa in occasione della consultazione referendaria
del mese di giugno 2011. La Corte motiva l’incostituzionalità del relativo
disposto con il fatto che esso detta una disciplina dei servizi pubblici locali
di rilevanza economica, la quale «non solo è contraddistinta dalla medesi-
ma ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle
ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa
comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di sva-
riate disposizioni dell’abrogato art. 23 bis e di molte disposizioni del rego-
lamento attuativo del medesimo art. 23 bis contenuto nel d.p.r. n. 168/2010.
Nonostante l’esclusione dall’ambito di applicazione della nuova disciplina
del servizio idrico integrato, risulta evidente l’analogia, talora la coinciden-
za, della disciplina contenuta nell’art. 4 rispetto a quella dell’abrogato art.
23 bis del d.l. n. 112/2008 e l’identità della ratio ispiratrice».
Pertanto, secondo i giudici costituzionali, l’art. 4 del d.l. n. 138/2011
viola il divieto di riproposizione della disciplina formale e sostanziale og-
getto di abrogazione referendaria, di cui all’art. 75 della Costituzione. In
altri termini, la Consulta boccia l’intervento legislativo che ha inteso ripri-
stinare nell’ordinamento la normativa abrogata dal corpo elettorale e, quin-
di, in ossequio alla previsione contenuta nell’articolo 136 della Costituzio-
ne, «quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di
legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal
giorno successivo alla pubblicazione della decisione».
La pronuncia in esame conferma l’impianto (comunitario) della norma-
tiva italiana, secondo cui, conseguentemente, gli enti locali non sono (più)
obbligati ad “aprire al mercato” le proprie partecipate. Preme evidenziare
che l’art. 4, d.l. n. 138/2011, e successive modifiche ed integrazioni, stabi-
liva un iter che avrebbe dovuto traghettare la gestione dei servizi pubblici
locali dal radicato regime di monopolio alla concorrenza nel mercato, me-
diante un processo di liberalizzazione caratterizzato da un crono program-
ma stringente, nel quale gli enti locali, sulla base di un’analisi di mercato e
mediante l’adozione di un’apposita delibera quadro, avrebbero dovuto libe-
ralizzare le attività economiche, oppure, in alternativa, procedere
tutto da rifare, in Guida agli Enti Locali, 23 luglio 2012, nonché si permetta il rinvio al mio
C’era(no) una volta… i servizi pubblici locali liberalizzati – Corte Cost. n. 199/12, in
www.personaedanno.it, 30 luglio 2012.
78
all’attribuzione di diritti di gestione in esclusiva. In quest’ultimo caso, sa-
rebbe stato un preciso onere delle Amministrazioni indire gare a evidenza
pubblica per conferire la gestione dei servizi sul mercato, dopo aver co-
munque accertato, con la suddetta delibera quadro, che «la libera iniziativa
economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai
bisogni della comunità» (art. 4, commi 1 e 8, d.l. n. 138/2011).
Di seguito, vorrei provare ad analizzare le ragioni che hanno mosso le
Regioni a ricorrere contro l’articolo in parola, in quanto – ad avviso di chi
scrive – contengono alcuni profili di indubbio interesse per quanto attiene
la disciplina riguardante i servizi pubblici locali e, in particolare, ruoli e
funzioni degli enti locali (Regioni e Comuni).
In particolare, preme evidenziare che la Regione Puglia nel ricorso ec-
cepisce che la disciplina contenuta nell’art. 4, d.l. n. 138/2011, oltre a rein-
trodurre disposizioni abrogate dal e con il referendum del giugno 2011, e
perciò riconosciuta costituzionalmente illegittima dalla Corte, violerebbe
l’art. 117 Cost. per contrasto con:
• gli artt. 14, 106 e 345 del TFUE (Trattato di funzionamento
dell’Unione Europea);
• l’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
Si rammenti che la Puglia, in modo particolare rispetto alle altre Regioni
ricorrenti, è stata quella che ha dimostrato maggiore sensibilità nei confron-
ti del servizio idrico e forse questo è il motivo per il quale i suoi avvocati
hanno inteso richiamare espressamente le disposizioni di due atti extra or-
dinamento giuridico italiano, atteso il contenuto di bene collettivo sotteso
alla fruizione del “bene acqua”.
Anche qualora questa ricostruzione non dovesse rivelarsi accurata, ri-
mane il fatto che la Regione Puglia invoca la “protezione giuridica” di fonti
di rango europeo al fine di dimostrare che:
• i servizi pubblici locali (servizi di interesse economico generale se-
condo la definizione accolta in sede comunitaria) appartengono “ai
valori comuni dell’Unione” e che essi svolgono un importante “ruolo
nella promozione della coesione sociale e territoriale” (art. 14
TFUE);
• l’Unione e gli Stati membri, nel rispetto delle loro specifiche compe-
tenze, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e
condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che consentano
loro di assolvere i propri compiti (art. 14 TFUE);
• le imprese incaricate della gestione dei SIEG (Servizi di interesse
economico generale) sono sottoposte alle norme dei trattati, e in par-
ticolare alle regole della concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione
79
di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto o di fatto,
della specifica missione loro affidata (art. 106, par. 2 TFUE);
• i trattati lasciano ampia libertà di scelta agli Stati membri circa la
forma di gestione (proprietà) opzionata (art. 345 TFUE);
• al fine di promuovere la coesione sociale e territoriale dell’Unione,
questa riconosce e rispetto l’accesso ai SIEG così come previsto dal-
le legislazioni e prassi nazionali, conformemente al trattato che isti-
tuisce la Comunità europea (art. 36, Carta dei diritti fondamentali dei
cittadini europei).
Benché la Corte abbia dichiarato l’inammissibilità della questione posta
dalla Regione Puglia attesa l’«assoluta genericità ed indeterminatezza delle
censure proposte con riguardo alla pretesa violazione dei principi comunita-
ri, anch’essi genericamente invocati», le ragioni addotte dalla Regione Pu-
glia richiamano un aspetto “strategico” sotteso alla gestione dei servizi
pubblici locali, segnatamente, la competenza degli enti locali a definirne il
perimetro e, conseguentemente, le forme di gestione, espressione di una
specifica responsabilità istituzionale loro affidata dall’ordinamento.
In questo senso, anche la Regione Emilia-Romagna e la Regione Um-
bria, nei loro ricorsi, hanno stigmatizzato il contenuto dell’art. 4, d.l. n.
138/2011 in quanto – a loro dire –:
• escludono l’affidamento diretto in house dalle forme ordinarie di
conferimento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica al di sopra di una certa soglia (prima fissata in 900.000 e
successivamente in 200.000 euro);
• non contemplano tutte le modalità di PPPs (partenariato pubblico-
privato) ma solo una specifica modalità organizzativa (selezione del
socio privato che detenga non meno del 40% del capitale e conte-
stuale affidamento del servizio);
• determina una limitazione della capacità di scelta degli enti territoria-
li, suscettibile di incidere sull’autonomia loro riconosciuta in materia.
La sentenza n. 199/2012 ha dunque “tracciato” un discrimen netto e
chiaro: essa, invero, prima ancora che sotto il profilo strettamente giuridico
ed interpretativo, ha operato un decisivo riconoscimento delle autonomie
territoriali, in uno con la “valorizzazione” della disciplina comunitaria. E’,
conseguentemente, al quadro normativo europeo e all’autonomia decisiona-
le, istituzionale, gestionale e organizzativa degli enti locali che nel prossi-
mo futuro si dovrà fare riferimento per identificare un armonico e moderno
sviluppo dei SIEG. Un tale cammino non potrà essere comunque imple-
mentato senza un adeguato riconoscimento e (quindi, definizione) dei livel-
li essenziali dei diritti civili e delle prestazioni e, conseguentemente, di ac-
80
cesso ai servizi medesimi. Si tratta – come acutamente osservato da attenta
dottrina – di apprestare «un modello costituzionale dei diritti essenziali»34
(Cabiddu, 2005: 194). E questa, come è noto, è una espressa competenza
dello Stato centrale.
Muovendo dai servizi pubblici locali al proprium del TPL, si ritiene op-
portuno richiamare il contesto normativo del settore a seguito del referen-
dum del 201135 (Scura, 2011; Cabianca, 2011). In quel momento si doveva
fare riferimento:
a) all’art. 18, comma 3 bis, del d.lgs. n. 422/1997, fonte legale che at-
tribuiva agli enti locali la potestà di esternalizzare il servizio tramite
gara;
b) all’art. 61 della l. 23 luglio 2009, n. 99, che faceva un rinvio recetti-
zio agli artt. 5, par. 2, 4, 5 e 6, e 8, par. 2, del Reg. (CE) n.
1370/2007, consentendo alle autorità competenti all’aggiudicazione
dei servizi di TPL di avvalersi della disciplina dettata da tale atto
comunitario sugli affidamenti in house, su quelli diretti “sottosoglia”
e in caso d’emergenza;
c) all’art. 4 bis del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, introdotto dalla legge di
conversione n. 102 del 3 agosto 2009, che poneva l’obbligo per gli
enti che decidessero di effettuare un affidamento in house di mettere
a gara almeno il 10% dei servizi di TPL oggetto dell’affidamento
principale, in favore di soggetti diversi da quelli sui quali esercitava-
no il “controllo analogo”.
È nel contesto normativo sopra tratteggiato che si è inserito l’art. 4 del
d.l. n. 138/2011, il cui comma 34, originariamente, non conteneva alcuna
clausola di prevalenza della disciplina generale sui servizi pubblici su quel-
le di settore, per cui si può ritenere che per il TPL l’apparato normativo
poc’anzi illustrato doveva ritenersi sostanzialmente confermato36 (Cici,
34
M.A. CABIDDU, Universalità e livelli essenziali: i nuovi confini del servizio pubblico
fra diritto comunitario e diritto interno, in G.A. BENACCHIO, D. DE PRETIS, Appalti pubblici
e servizi di interesse generale, Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli studi di
Trento, 51, 2005, p. 194.
35
Sul punto v. F. SCURA, Effetti del referendum abrogativo sulla disciplina del tpl: pri-
me osservazioni, in www.dirittodeiservizipubblici.it, 14 luglio 2011; A. CABIANCA, Il tra-
sporto pubblico travolto dall’acqua: considerazioni sull’assetto organizzativo del settore a
seguito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011, ibidem.
36
In argomento, si vedano, tra gli altri, L. CICI, La riforma del trasporto pubblico loca-
le, in Giornale dir. amm., 1998, p. 289; A. CLARONI, La regolamentazione del trasporto
pubblico locale in Italia, in ZUNARELLI S., Il diritto del Mercato del Trasporto, Cedam, Pa-
dova, 2008, pp. 141 e ss.; R. DAMONTE, Il D.Lg. 422/97, in materia di pubblici trasporti:
enti locali, committenti ed appaltatori allo stesso tempo?, in Foro Amm., 1999, 3, pp. 934 e
81
2008: 141 ss.; Damonte, 1999, 3: 934 ss.; D’Angelo, 2003: 91; Iaione,
2008; Mazzamuto, 2003; Ramella, 2002: 203 ss.; Rangone, 2003: 2272 ss.;
Sandulli, 2010).
Successivamente, l’art. 9, comma 2, lett. n), della l. 12 novembre 2011,
n. 183, ha stabilito che a decorrere dal 1° gennaio 2012, le disposizioni
dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 si sarebbero dovute applicare a tutti i servizi
pubblici locali e prevalere sulle relative discipline di settore con esse in-
compatibili, mentre l’art. 25, comma 1, lett. b), n. 9), del d.l. 24 gennaio
2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 marzo 2012, n. 27, ha
determinato l’applicazione anche al servizio di trasporto ferroviario regio-
nale della disciplina dei servizi pubblici locali, facendo salvi, fino alla sca-
denza naturale dei primi sei anni di validità, gli affidamenti diretti dei ser-
vizi ferroviari già deliberati. Anche per gli affidamenti diretti in materia di
TPL su gomma, già affidati ai sensi dell’art. 61 della l. 23 luglio 2009, n.
99 e in conformità all’articolo 8 del Reg. (CE) n. 1370/2007, l’articolo ri-
chiamato del d.l. n. 1/2012 ha sancito che essi cessassero alla scadenza pre-
vista nel contratto d’affidamento. Tali disposizioni hanno avuto un effetto
abrogativo di quelle settoriali incompatibili e, in particolare, tanto dell’art.
61 della l. n. 99/2009, che dell’art. 4 bis del d.l. n. 78/2009, che conteneva-
no disposizioni decisamente meno orientate alla concorrenza di quelle con-
tenute nell’art. 4 del d.l. n. 138/2011. A conferma di ciò si deve rilevare
l’attenzione che avuto il legislatore di fare salvi gli affidamenti già operati
nel rispetto della disciplina di settore implicitamente abrogata.
Preme evidenziare che nel caso del TPL, «la dichiarazione di illegittimi-
tà costituzionale dell’art. 4 del d.l. 138/2011 non ha creato un vuoto norma-
tivo. Infatti, parafrasando la sentenza della Corte Costituzionale n. 24/2012,
si ritiene che la disciplina di settore possa trovare il proprio riferimento tan-
to nelle disposizioni non abrogate dall’art. 4 del d.l. 138/2011, quanto
ss; G. D’ANGELO, La riforma dei servizi pubblici locali, il trasporto pubblico locale, in Le
Nuove leggi civ. comm., 2003, p. 91; C. IAIONE, La regolazione del trasporto pubblico loca-
le, bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, Jovene, Napoli, 2008; M. MAZZAMUTO, Il
trasporto di linea locale e gli obblighi di servizio, in Liberalizzazione del trasporto terrestre
e servizi pubblici economici, a cura di Brancasi A., il Mulino, Bologna, 2003; F. RAMELLA,
Quale politica per il trasporto collettivo locale?, in Riv. Dir. Fin., 2002, pp. 203 e ss.; N.
RANGONE, I trasporti pubblici di linea, in Trattato amministrativo. Parte speciale, a cura di
Cassese S., Giuffrè, Milano, 2003, pp. 2272 e ss.; M.A. SANDULLI, Affidamento dei servizi
di trasporto pubblico locale su strada e riforma dei servizi pubblici locali, in
www.federalismi.it, 30 giugno 2010.
82
nell’applicazione immediata nell’ordinamento italiano della normativa co-
munitaria»37 (Cabianca, 2012: 9).
Con riguardo alle prime, si deve fare riferimento all’art. 18, comma 3 bis,
del d.lgs. n. 422/1997, che ponendo la gara come modalità d’affidamento del
servizio, si poneva in un rapporto di compatibilità con quanto disposto dal
comma 8 dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011.
Il riferimento alla disciplina comunitaria trova, invece, per il TPL un
suo riferimento specifico nel Reg. (CE) n. 1370/2007, che, come si è già
avuto modo di ribadire in precedenza, ha delineato un quadro normativo di
riferimento entro il quale le autorità possono intervenire nel settore dei tra-
sporti pubblici di passeggeri38.
37
Così, A. CABIANCA, Il trasporto pubblico locale ai tempi della crisi: il punto dopo la
sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012 ed il decreto c.d. spending review (d.l. n.
95/2012), in www.federalismi.it, n. 20/2012, p. 9.
38
Si consideri che il TPL contempla, contestualmente, la presenza di disposizioni di na-
tura pubblicistica e regole privatistiche. In questo senso, si veda la sentenza del T.A.R. To-
scana, Sez. I, 14 gennaio 2013, n. 36, con la quale i giudici amministrativi hanno affrontato
il ricorso presentato da un gestore del trasporto pubblico locale, urbano ed extra-urbano del-
la Provincia di Massa Carrara, in forza di un contratto di servizio stipulato, in esito allo
svolgimento di procedura di evidenza pubblica. Il suddetto contratto prevede la revisione del
corrispettivo contrattuale a partire dal secondo anno solare di vigenza del contratto. La so-
cietà lamenta il fatto che la Provincia di Massa Carrara ha sì riconosciuto l’adeguamento del
corrispettivo a decorrere dal gennaio 2010, ma in misura ritenuta insufficiente dalla ricorren-
te. Non essendo stato raggiunto un accordo tra le parti sul punto, la società di TPL ha pre-
sentato ricorso al Tribunale di Massa, il quale si è dichiarato incompetente per difetto di giu-
risdizione, così motivando la propria decisione:
– la giurisdizione spetta al giudice amministrativo atteso che l’art. 133, comma 1, lett. e)
n. 2 del c.p.a. attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le contro-
versie «relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo
nei contratti ad esecuzione continuata e periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del de-
creto legislativo 12 aprile 2006, n. 163»;
– un’analoga previsione era contenuta prima del codice del processo amministrativo
nell’art. 244 del d.lgs. n. 163 del 2006, che stabilisce che appartiene alla giurisdizione esclu-
siva del giudice amministrativo «qualunque questione concernente la revisione dei prezzi di
un contratto pubblico, anche nel caso in cui si tratti esclusivamente della misura del com-
penso revisionale rivendicato dall’impresa».
Conseguentemente, la società presentava ricorso dinanzi al T.A.R. Toscana. La società
ricorrente ha presentato le seguenti doglianze:
a) la determinazione dell’importo dell’adeguamento annuale del corrispettivo sulla base
della inflazione programmata è illegittima perché non prevista dal contratto di servizio e
comunque in contrasto con la disciplina di cui all’art. 115 d.lgs. n. 163 del 2003 e con la
normativa comunitaria;
b) il Regolamento (CEE) n. 1370/2007 prevede l’obbligo dell’equilibrio sinallagmatico
delle prestazioni, equilibrio che deve mantenersi nel tempo, così che deve essere inserita nei
contratti di servizio una clausola di revisione dei prezzi, com’è nella specie avvenuto con
l’art. 5, comma 4, del contratto tra le parti;
83
c) il contratto ha previsto però una serie di clausole limitative le quali sono nulle per
contrasto con l’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 e con l’art. 117 del d.lgs. n. 267 del 2000;
d) il calcolo dell’inflazione di settore deve essere effettuato avendo riguardo all’indice
ISTAT 0702 “spese di esercizio dei mezzi di trasporto”;
e) la revisione deve essere effettuata prendendo a base la data di aggiudicazione del ser-
vizio e non alla data di stipula del contratto o di decorrenza del servizio.
Sulla scorta dei punti sopra esposti, la società dunque richiedeva l’incremento del corri-
spettivo contrattuale, con conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle
differenze. L’Amministrazione provinciale, per contro, evidenziava, per quanto di attinenza
al presente contributo:
a) che si è in presenza di una concessione di servizio cui, ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n.
163 del 2006, non si applica il Codice dei contratti pubblici e neppure l’art. 115, sicché non
si può sostenere sulla sua base la nullità di clausole contrattuali;
b) il richiamo a quello stesso articolo contenuto nel contratto di servizio attiene alla sola
commisurazione del dovuto;
c) l’art. 115 richiama i dati di cui all’art. 7 del Codice dei contratti pubblici; l’ISTAT
tuttavia non ha mai provveduto a rilevazione ed elaborazione dei costi dei principali beni e
servizi acquisiti dalla p.a. e la giurisprudenza ha colmato tale lacuna con richiamo all’indice
FOI, che è inferiore al tasso di inflazione programmata applicato dalla Provincia stessa;
c) l’art. 19 del d.lgs. n. 422 del 1997, richiamato dalla clausola contrattuale invocata,
contiene un esplicito riferimento al tasso di inflazione programmata quale limite massimo
all’incremento;
d) il codice ISTA 0702 si riferisce espressamente alla dinamica dei costi di carburante,
pneumatici, pezzi di ricambio, accessori ecc. e sarebbe come tale applicabile solo ai costi di
esercizio che rappresentano solo il 21,28% dei costi aziendali mentre il costo del personale,
che assomma al 53,49%, non ha avuto incrementi.
I giudici amministrativi (sez. I, sentenza 14 gennaio 2013, n. 36) hanno così statuito:
1. il caso in esame riguarda la materia di diritti soggettivi, poiché la società ricorrente ha
azionato la pretesa ad un adeguamento del compenso dovuto per l’esecuzione del servizio di
trasporto pubblico locale sulla base di una previsione contrattuale;
2. il contenuto di detta clausola contrattuale, benché complessa, è estranea «a valutazio-
ne di pubblici interessi e quindi alla dinamica propria dell’esercizio del pubblico potere»
(sul punto si veda Cons. di Stato n. 5350/12, con mio commento pubblicato su
www.personaedanno.it);
3. poiché si è in presenza di diritti soggettivi, l’attribuzione della loro cognizione alla
giurisdizione amministrativa potrebbe avvenire solo agganciando una previsione normativa
di giurisdizione esclusiva che – ad avviso dei giudici amministrativi – non ricorre nel caso di
specie; sostengono i giudici, in questo senso, che l’art. 133 citato non è applicabile alla pre-
sente fattispecie in quanto in essa si richiamano le previsioni di “revisione prezzi”
«nell’ipotesi di cui all’art. 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163»;
4. in altri termini, si correla la previsione di giurisdizione esclusiva alla applicabilità del
Codice dei contratti pubblici e alla previsione di revisione prezzi di cui all’art. 115 del Codi-
ce medesimo;
5. richiamando le Sezioni Unite della Cassazione (n. 397/2011), la previsione di revisio-
ne prezzi del Codice dei contratti pubblici (cioè l’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006) non si
applica al trasporto pubblico locale, in quanto l’art. 23 del d.lgs. n. 163/2006 stabilisce che il
suddetto Codice «non si applica agli appalti delle stazioni appaltanti relativi alla prestazione
di un servizio pubblico di autotrasporto mediante autobus»;
84
6. non deve indurre in inganno «il fatto che l’art. 5, comma 4, del contratto di servizio
richiami il più volte citato art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006, essendo evidente che il richia-
mo presuppone proprio la non applicabilità per forza propria dell’art. 115 cit. alla presente
fattispecie e serve ad estendere, in parte, il suo meccanismo procedurale attraverso la sua
inclusione nella previsione negoziale».
In ultima analisi, dunque, il T.A.R. Toscana ha escluso la giurisdizione esclusiva di cui
all’art. 133, comma 1, lett. e) n. 2 del c.p.a., in quanto, nel caso di specie, si verte “pacifica-
mente in ambito di diritti soggettivi”, richiamando così la giurisdizione del giudice ordina-
rio. Ancora una volta, in presenza di soggetti giuridici che operano nell’ambito dei servizi
pubblici locali, si conferma il mix (naturaliter) tra norme di diritto pubblico e clausole con-
trattuali di diritto societario, le quali, nel caso di specie, si “impongono” sulle prime.
La Corte di Cassazione SS.UU, con sentenza 3 maggio 2013, n. 10299 (si vedano anche
le ordinanze della medesima Corte 11 gennaio 2011, n. 400 e 4 marzo 2011, n. 5168 in te-
ma), ha sottratto alla giurisdizione alla Corte dei Conti, per assegnarla a quella della giusti-
zia ordinaria, una controversia che aveva ad oggetto la responsabilità per mala gestio impu-
tabile ad amministratori di società a partecipazione pubblica, nel cui caso il danno che si
pretendeva ristorato era riferito al patrimonio sociale, ossia ad un patrimonio, diverso da
quello dei soci (pubblici), che appartiene – hanno sostenuto i giudici – alla società medesi-
ma, la quale, pertanto, non diviene essa stessa un ente pubblico per il solo fatto di essere par-
tecipata da un ente pubblico. La Corte di Cassazione ha inteso evidenziare il rapporto che
deve intercorrere tra società pubblica e i soci pubblici che la partecipano. Nel caso di specie,
a seguito di un’indagine condotta dalla Guardia di finanza, la Procura regionale della Sezio-
ne giurisdizionale della Corte dei Conti per il Veneto citò in giudizio, unitamente ad alcuni
amministratori del Comune di Verona, alcuni componenti del consiglio di amministrazione
della AMT-Azienda Municipalizzata Trasporti S.p.A., interamente partecipata dal Comune,
chiedendone la condanna al pagamento di oltre 1.094.000 euro, «quale danno pubblico ca-
gionato ad AMT spa o in subordine ed in via indiretta al Comune di Verona», in relazione
alla costituzione nell’aprile 2001, da parte di AMT e sotto le direttive del Comune, di una
società mista, la SI.TRA.M. S.r.l. (con prevalente capitale della AMT ed il residuo della so-
cietà privata francese R.A.T.P. International) per la realizzazione di compiti già affidati alla
società costituente. Invero, la progettazione e la realizzazione del trasporto tramviario urba-
no costituiva uno dei compiti affidati dal Comune alla municipalizzata AMT in base ad una
convenzione risalente a tre mesi prima della costituzione di SI.TRA.M.; costituzione con-
sentita in base alla menzionata convenzione, ma rivelatasi inutilmente costosa. SI.TRA.M.
venne posta in liquidazione volontaria nel 2004, dopo che nel marzo del 2003 il Comune
aveva deciso di procedere allo scioglimento del rapporto tra AMT e SI.TRA.M. a seguito
delle irregolarità di gestione rilevate dal collegio sindacale. La relazione della Guardia di
finanza ha evidenziato che SI.TRA.M. aveva svolto attività, direttamente o per il tramite di
AMT, esclusivamente per il Comune e solo per il progetto tramvia, con personale in parte
trasferito da AMT e in parte direttamente assunto, al pari di quanto avrebbe peraltro potuto
fare la società controllante, che aveva pagato le prestazioni di SI.TRA.M. con il ricarico ap-
plicato da quest’ultima in funzione del proprio obiettivo di profitto. La relazione della Guar-
dia di finanza ha messo in evidenza che si sarebbe così realizzato di fatto un sistema finaliz-
zato non già, come sostenuto dai convenuti, ad evitare consulenze esterne, bensì ad interme-
diarle, in quanto diretto esclusivamente ad erogare compensi a terzi, aggirando le regole di
evidenza pubblica ed eludendo le esigenze di trasparenza. Il tutto con l’ulteriore anomalia
della duplicazione degli incarichi e dei compensi a favore delle stesse persone fisiche chia-
mate a rivestire cariche direttive e gestionali in entrambe le società, pur a dispetto
dell’evidente conflitto di interessi. I convenuti hanno sostenuto che, trattandosi di presunto
85
danno cagionato direttamente alla privata società partecipata AMT, e solo indirettamente al
socio Comune, la relativa azione di responsabilità sarebbe stata soggetta alla giurisdizione
ordinaria e non a quella del giudice contabile, secondo il sistema desumibile dal complessi-
vo assetto ordinamentale, in particolare codicistico, non soggetto a deroghe espresse. Da un
lato, pertanto, siamo in presenza di una società pubblica partecipata da un comune e conces-
sionaria di un servizio di trasporto locale che ha “gemmato” una società ad hoc, la quale
svolgeva, de facto, i compiti che il contratto di servizio assegnava già alla società “madre”, a
favore del comune socio della medesima. Dall’altro, si è evidenziato che, per quanto riguar-
da la società gemmata, non era previsto alcun obbligo per la società “madre” di apporto fi-
nanziario volto a ripianare i debiti contratti e la stessa società gemmata non poteva essere
considerata in house providing atteso che non ricorreva alcun obbligo di partecipazione tota-
litaria. A contrariis, il Procuratore regionale presso la locale sezione giurisdizionale della
Corte dei conti ha osservato in contrario, con controricorso, che gli indici pubblicistici del
rapporto contrattuale societario possono coerentemente costituire base per una riqualifica-
zione pubblica di AMT e, in particolare, che il rapporto di affidamento del servizio pubblico
a detta società integra, in realtà, un rapporto sostanziale di concessione. Alla luce di quanto
sopra esposto, il Procuratore generale ha chiesto che fosse affermata la giurisdizione della
Corte dei conti. Per sostenere la carenza di giurisdizione della Corte dei conti e la sussisten-
za di quella del giudice ordinario i ricorrenti hanno invocato:
– le seguenti disposizioni normative: artt. 102 e 103 Cost., artt. 2393 e 2393 bis cod.
civ., R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 53 e L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1
– il principio enunciato dalla Corte di Cassazione, sez. un., 19 dicembre 2009, n. 26906
(e dalla successiva conforme giurisprudenza: Cass., sez. un., nn. 519/2010, 4309/2010,
10063/2011, 14655/2011, 14957/2011, 20941/2011, 3692/2012).
In ossequio a questo orientamento giurisprudenziale, “spetta al giudice ordinario la giu-
risdizione in ordine all’azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazio-
ne pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti (nella spe-
cie, consistenti nell’avere accettato indebite dazioni di denaro al fine di favorire determinate
imprese nell’aggiudicazione e nella successiva gestione di appalti), non essendo in tal caso
configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità giuridica della società, né un rappor-
to di servizio tra l’agente e l’ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno diret-
tamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della
Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest’ultima quando l’azione di respon-
sabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell’ente parteci-
pante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di
esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione,
ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione
stessa della partecipazione sociale dell’ente pubblico, strumentale al perseguimento di finali-
tà pubbliche ed implicante l’impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiu-
dizio al suo patrimonio”. Di questo orientamento il magistrato contabile ha chiesto la revi-
sione, poiché a giudizio della Corte dei conti esso rappresenterebbe il fatto che condiziona-
menti di carattere politico finiscono col rendere altamente improbabili iniziative degli organi
societari davanti al giudice ordinario, dando luogo ad un sostanziale esonero da responsabi-
lità di soggetti che arrecano danno a società sostanzialmente pubbliche, in quanto totalmente
partecipate dai Comuni, di cui costituiscono longa manus per l’attuazione delle relative de-
cisioni strategiche ed operative. A supporto della propria posizione, la magistratura contabi-
le ha richiamato tra l’altro:
– il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 25, comma 1, nn. 5 e 6, (convertito in legge, con
modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), il cui art. 1 prevede la responsabilità ammini-
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strativa in caso di stipulazione, da parte di talune società a totale partecipazione pubblica, di
contratti conclusi in violazione delle previste modalità di approvvigionamento;
– il D.L. 6 luglio 2012, n. 95 (convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 agosto
2012, n. 135, recante: “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica...”):
a) art. 4, comma 12, che stabilisce che “le amministrazioni vigilanti verificano sul rispet-
to dei vincoli di cui ai commi precedenti; in caso di violazione dei suddetti vincoli gli am-
ministratori esecutivi e i dirigenti responsabili della società rispondono, a titolo di danno
erariale, per le retribuzioni ed i compensi erogati in virtù dei contratti stipulati”;
b) art. 6, commi 3 e 4, che estende alle società a totale partecipazione pubblica il potere
ispettivo attribuito agli organi statali nei confronti delle amministrazioni pubbliche (comma
3) e prevede che comuni e province alleghino al rendiconto della gestione una nota informa-
tiva contenente la verifica dei crediti e dei debiti reciproci tra ente e società partecipate e, in
caso di discordanze, adottino senza indugio i provvedimenti necessari ai fini della riconci-
liazione delle partite debitorie e creditorie (comma 4);
– il d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 3 (convertito in legge dalla l. 7 dicembre 201, n.
213), che ha inserito l’art. 147 ter nel testo unico degli enti locali, prevedendo penetranti
controlli da parte dell’ente pubblico partecipante ed un bilancio consolidato riguardante le
«aziende non quotate partecipate».
Alla luce delle su richiamate disposizioni normative, nella memoria presentata dalla
Procura contabile si legge che sarebbe irragionevole sottoporre alla giurisdizione contabile
gli amministratori di un’azienda speciale, quelli di una società concessionaria, la giunta co-
munale ed i consiglieri comunali che approvano il conto consolidato e controllano la società
partecipata e non anche coloro che l’hanno gestita causando direttamente un danno erariale.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso, in quanto, contrariamente alla tesi esposta
dalla Procura contabile, secondo la quale il caso presentava le “fattezze” di una c.d. società
in house providing, l’analisi dello statuto della AMT-Azienda Municipalizzata Trasporti
S.p.A., allegato agli atti di causa, non evidenzia – a giudizio della Corte di Cassazione – ca-
ratteristiche di tal genere. La Corte ha richiamato un orientamento da tempo affermatosi nel-
la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, ancorché a fini diversi da quelli della
disciplina del riparto tra giurisdizioni, e talora richiamato anche dalla Corte costituzionale
(sentenza n. 46 del 2013), secondo cui le società in house costituirebbero null’altro che una
longa manus dell’amministrazione, ma quando ricorrano contemporaneamente le tre seguen-
ti condizioni:
a) la società deve essere a totale partecipazione pubblica;
b) lo statuto deve indicare che la società opera in via esclusiva o prevalente in favore
dell’amministrazione pubblica partecipante;
c) l’esistenza del “controllo analogo”, ossia una forma di direzione e controllo sulla ge-
stione societaria, da parte della pubblica amministrazione partecipante, analoga a quella che
la medesima amministrazione eserciterebbe su una propria articolazione interna.
Il Collegio, dall’analisi dello statuto della società, evidenzia quanto segue:
– la partecipazione del Comune di Verona al capitale sociale non può essere inferiore al
51%, circostanza che esclude la previsione dell’obbligo di partecipazione totalitaria;
– l’oggetto sociale, pur facendo riferimento a “servizi pubblici”, non implica che
l’impresa possa operare solo nei confronti della pubblica amministrazione partecipante
(comprendendo invece, ad esempio, anche l’attività di trasporto turistico privato);
– i poteri di gestione dell’impresa, al pari di quelli di vigilanza sulla medesima gestione
e sulla contabilità, sono attribuiti ai competenti organi sociali secondo criteri del tutto corri-
spondenti a quelli di regola previsti nelle normali società azionarie di diritto privato, con la
sola previsione, quanto ai budgets, ai prezzi ed alle tariffe, di un generico riferimento ad un
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A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 199/2012, si può
dunque affermare che, anche in materia di TPL, Regioni ed enti locali go-
dano di una certa libertà di movimento nell’individuazione della modalità
organizzativa di gestione dei servizi di TPL. Tuttavia, il riespandersi della
discrezionalità amministrativa conseguente alla valorizzazione delle auto-
nomie locali operata dai giudici costituzionali appare fortemente condizio-
nato dal set di disposizioni che incentivano ovvero scoraggiano l’adozione
di una modalità gestionale anziché un’altra.
Invero, nel d.l. n. 138/2011, all’art. 3 bis – introdotto dall’art. 25, com-
ma 1, lett. a), del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1 e successivamente modificato
dall’art. 53, comma 1, lett. a), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 – il legislatore
ha stabilito che:
1) a decorrere dal 2013, l’applicazione di procedura di affidamento dei
servizi a evidenza pubblica da parte di Regioni, Province e Comuni o
degli enti di governo locali dell’ambito o del bacino costituisce ele-
mento di valutazione della virtuosità degli stessi ai sensi dell’articolo
20, comma 2, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modifica-
zioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 11139;
documento di indirizzo approvato dal Consiglio comunale di Verona. A giudizio della Corte,
non si tratta di riferimento sufficiente ad integrare gli estremi del “controllo analogo”.
La Corte di Cassazione ha ritenuto, in ultima analisi, che l’orien