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Costruzione Macchine Appunti

Costruzione di macchine (Università degli Studi di Firenze)

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f COSTRUZIONE MACCHINE APPUNTI

PROGETTAZIONE A CARICHI STATICI


𝑟𝑒𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑎𝑡𝑒𝑟𝑖𝑎𝑙𝑒
Si introduce il coefficiente di sicurezza come 𝑐𝑠 = 𝑡𝑒𝑛𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑒𝑟𝑐𝑖𝑧𝑖𝑜
>1

La scelta di questo coefficiente dipende principalmente da:


probabilità che si verifichino sovraccarichi accidentali, tipo di carico e
accuratezza con qui è stato trovato, inaccuratezze di montaggio
costruzione o manutenzione, qualità delle lavorazioni, variazione nel
tempo di proprietà del materiale o il suo deterioramento, se mi aspetto
cedimenti graduali o istantanei e conseguenze del cedimento (sicurezza
delle persone)
CRITERI DI RESISTENZA si usano per ridurre un generico stato di
tensione 3d ad un equivalente (detto ideale) stato di tensione
monocasiale in modo che sia confrontabile con i risultati derivanti da una
semplice prova di trazione statica. Si assume che qualsiasi sia la causa
del cedimento nella prova di trazione sarà causa anche del cedimento in
altre possibili condizioni di carico statico.
Criterio di tresca
‘’Data una qualsiasi struttura soggetta a un generico stato di tensione
multi-assiale lo snervamento ha inizio quando la massima tensione
inziale uguaglia la massima tensione tangenziale presente in un provino
a trazione (realizzato nello stesso materiale) nel momento in cui inizia lo
snervamento.’’ Si usa per materiali duttili.
𝜎1 𝜎𝑠𝑛
Nella prova di trazione (1d) si avrà che 𝜏𝑚𝑎𝑥 = = , mentre nel caso
2 2
generico sarà

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𝜎1 −𝜎3 𝜎𝑠𝑛
𝜏𝑚𝑎𝑥 = = . Seguendo il criterio ho che 𝜎𝑖𝑑 = 𝜎1 − 𝜎3 = 𝜎𝑠𝑛
2 2
𝜎𝑠𝑛
quindi 𝜏𝑠𝑛 = per un generico cerchio di Mohr si ha che
2
𝜎𝑥 2 2 𝜎𝑠𝑛
𝜏𝑚𝑎𝑥 = √( ) + (𝜏𝑥𝑦 ) = quindi in conclusione si ottiene
2 2

𝜎𝑚𝑎𝑥 = 𝜎𝑖𝑑 = √𝜎𝑥2 + 4𝜏𝑥𝑦


2

Criterio di Von Mises


Data una struttura soggetta ad un generico campo di tensione, lo
snervamento ha luogo quando l'energia di distorsione immagazzinata
uguaglia l'energia di distorsioni immagazzinata in un provino soggetto a
semplice trazione, nel momento in cui ha inizio lo snervamento.
(materiali duttili)
𝜎1 +𝜎2 +𝜎3
(nota: tensore idrostatico 𝜎𝑚 = )
3
1
𝜎𝑖𝑑 = √(𝜎1 − 𝜎2 )2 + (𝜎2 − 𝜎3 )2 + (𝜎3 − 𝜎1 )2
√2
Criterio di Mohr
PER MATERIALI FRAGILI
Prevede due prove: prova di trazione, prova di
compressione. (saltato)

Blu poligono di Tresca e rosso ellisse di Von Mises;


se sono al loro interno sono in campo elastico, sui
bordi sono a snervamento e fori in campo plastico.
Per i materiali duttili Von Mises è migliore.
Generalmente invece Tresca è più semplice e
cautelativo.

FATTORE DI CONCENTRAZIONE DELLE TENSIONI

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In presenza di irregolarità nel pezzo (fori intagli gole…) lo stato


tensionale nel suo intorno risulta alterat0 e maggiorato.

a
Non posso più
riferirmi a De Seint
Venant perché
otterrei uno stato di
sollecitazione
sottostimato (non ho
più una trave ma una
piastra).
In questo caso non
ho una dimensione
predominante come
per le travi. Prova di trazione e ottengo uno stato di tensione 𝜎𝑦 . Se uso
una piastra identica ma con un foro ellittico al centro (cerchio caso
particolare), ripeto la prova inizialmente ho 𝜎𝑦 come prima ma vedo che
avvicinandomi al foro la tensione cresce e diventa molto più grande,
inoltre nasce anche una 𝜎𝑥 quindi con una sollecitazione monoassiale si
origina uno stato pluriassiale ma si noti che comunque arrivati sull’ellisse
𝜎𝑥 torna a zero.
Se vado a fare il confronto tra i due
casi nel punto blu ottengo in forma
2𝑏
analitica 𝜎𝑚𝑎𝑥 = 𝜎𝑛𝑜𝑚 (1 + )
𝑎

Dal punto di vista fisico:


(similitudine idrodinamica) il
liquido deve variare le linee di
flusso per passare attorno

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all’ostacolo, stessa considerazione per le linee di forza. Nota: con due


fori si ha una variazione meno repentina e si riduce lo stato di tensione.
Quindi se il difetto è stretto e allungato in direzione della sollecitazione
la variazione di percorso che fanno le linee di forza sarà minima.
Si ottiene una famiglia di curve al variare della geometria dell’albero.
𝑘𝑡 ⇒
𝑐𝑜𝑒𝑓𝑓. 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑡𝑎𝑔𝑙𝑖𝑜
(teorico). Le varie
curve sono al variare
del rapporto tra
diametro maggiore
D e minore d.
r/d raggio di
raccordo/d.
Entrando con r/d e
D/d si trova Kt. Se io
calcolo con S.V. la
sollecitazione
nominale nel punto
di variazione di sezione (con d piccolo) ottengo che la sollecitazione
reale sarà quella ottenuta moltiplicata per Kt. Noto che più vado su
raccordi piccoli il Kt diventa sempre più grande, però non posso sempre
fare raccordi grandi perché deve potersi accoppiare (ad esempio con un
cuscinetto).
PROGETTAZIONE A CARICHI AFFATICANTI
Fatica; fenomeno dovuto all’applicazione di carichi che variano nel
tempo che causa un cambiamento strutturale del materiale e può
portare alla nascita di fessure e poi a rottura dopo un certo numero di
cicli. La fatica è un fenomeno irreversibile, progressivo (ogni
applicazione di carico aumenta il danneggiamento), localizzato (zona
limitata di azione).

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La maggior parte delle rotture avvengono per fatica. La rottura a fatica


avviene repentinamente anche per materiali duttili e per carichi inferiori
a quelli di cedimento statico. Il cedimento è causato dall’accumulo di
danni localizzati causati da ripetute deformazioni cicliche, e solitamente
in punti ad alta concentrazione di tensione o sulla superficie esterna. (è
importante il numero di cicli e non la frequenza)
I. Formazione di piccole fessure generalmente in punti dove sono
presenti difetti in superficie o subito sotto di essa
II. Creazione di una fessura (CRICCA) macroscopica e suo
avanzamento durante le fasi di trazione
III. Rottura finale
Dal punto di vista microscopico abbiamo
• Nucleazione: scorrimento a causa delle tensioni di taglio di grani
orientati in modo favorevole, andando a formare una fessura
macroscopica.
• Propagazione: la fessura si estende avanzando sempre di più nel
materiale.
• Collasso finale: si ha rottura senza apprezzabili deformazioni
plastiche, anche per materiali duttili.

La velocità di propagazione
della cricca dipenderà
dall’ampiezza del carico
ciclico. Ad ogni ciclo
corrisponde una striatura che
indica l’avanzamento della
cricca nel ciclo.

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CURVA DI WOHLER (per l’acciaio)


Alti materiali hanno comportamenti diversi (nel caso delle lege leggere
non si riesce a
definire un limite
di rottura a
fatica.
Run out: il pezzo
non si è ancora
rotto e ho deciso
di interrompere
la prova.
Si distinguono
due zone una in
cui all’aumentare del carico diminuiscono i cicli che possono essere
sopportati, poi si arriva a dei valori al di sotto dei quali sostanzialmente
non si ha più rottura. Ci dice che esiste un limite sotto il quale il pezzo
non è soggetto a fatica (vita infinita).
Fatica nelle sue
varie zone
Finora ho visto la
zona grigia. Si
distinguono tre
zone:
▪ Fatica oligociclica:
fatica a basso
numero di cicli; zona
di rottura per fatica
ma caratterizzato
da carichi superiori
alla tensione di

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snervamento (causo una def plastica)


▪ Fatica a alto numero di cicli (grigia) progettazione a vita finita
▪ Zona di transizione dove non si sa bene che succede
▪ Zona a vita infinta
Le prove di fatica danno risultati con forte variabilità, quando
tracciamo i grafici come la curva di Wohler ciò che tracciamo è la
curva di probabilità 50% cioè il numero di cicli che ottengo
rappresenta il numero di cicli
al quale il 50% dei provini si
sono rotti. Si ottengono
quindi delle curve con varie
probabilità e si nota che più
aumento la probabilità più
cresce il numero di giri. Se
però ragiono in termini di
probabilità se voglio ridurre la
probabilità di rottura mi devo
fermare prima (esempio se
voglio meno dello 0.1 vado verso sinistra). Nota: le curve NON sono
parallele cioè si parte con dispersione minore per alti carichi e poi
aumenta abbassando il carico, cioè la distribuzione Gaussiana si
allarga. Sulla vita infinita invece la dispersione tende a ridursi un po’.
Criterio di Fuchs (basato su dati
sperimentali)
Vogliamo ricavarci queste curve senza fare
le prove a fatica.

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Dice che per materiali con 𝜎𝑟 < 1400 𝑁/𝑚𝑚2 vale 𝜎𝑎𝑓 =
0.5𝜎𝑟 (sigma a fatica) mentre per valori maggiori di 1400
N/mm2 𝜎𝑎𝑓 = 700 𝑁/𝑚𝑚2 . E’ un metodo più approssimato,
se possibile meglio usare i dati sperimentali. Per diversi
materiali varia il coefficiente della retta.
Nota; per acciai si nota sperimentalmente che 𝜎𝑎 = 0,9𝜎𝑟 a
1000 cicli ( sigma alternata)
Si parte da 0.9 per 1000
cicli. Poi sappiamo che il
ginocchio è piu o meno a
106 cicli, quindi se so il
corrispondente carico a
fatica posso tracciare il
grafico, e lo trov da Fuchs.

Voglio ora passare a studiare la fatica sui componenti e non piu sui
provini. I pezzi sono influenzati da un'altra serie di fattori come:
Finitura superficiale (Ka), Dimensione del pezzo (Kd), Trattamenti
superficiali (meccanici, termici e/o chimici, rivestimenti),Tensioni
residue, Geometria (effetto
d'intaglio), Tipo di carico (KL ),
Temperatura di esercizio, Ambiente
corrosivo.

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<- Finitura superficiaòe molto


importante perche da li parte
l’innesto della cricca. Nota
dipende anche dalla resistenza
del materiale (varia la sensibilità
)
Sul coefficiente dimensionale si
nota che la resistenza cala al crescere del
diametro;
esempio:
A parità di sollecitazioni nominali (stessa
tensione max.) poiché vale
𝑀1 𝑀2
= (ho supposto uguali i moduli di
𝑤1 𝑤2
resistenza a flessione). Se li faccio girare
quello più grosso si rompa prima
(dovuto al maggiore gradiente di
tensione, cioè alla minor ripidità cioè più
è grande più è favorita la velocità di propagazione della cricca)

Le alte temperature favoriscono lo


scorrimento viscoso e quindi il
creep. Questo fa sì che la fatica
diventi anche dipendente dalla
temperatura in particolare la vita a
fatica aumenta all’aumentare della
frequenza

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la corrosione ha l’effetto di ridurre la


resistenza a fatica.

TRATTAMENTI
I principali trattamenti sono
trattamenti meccanici, i trattamenti di rivestimento, e quelli termici. Tutti
i trattamenti che inducono uno stato di tensione residua di
compressione sulla superficie hanno un effetto benefico; Durante la
compressione le cricche non si espandono quindi la posso trascurare,
quindi se ho tensione residua di compressione mi migliora la resistenza

T RAZIONE
C OMPRESSIONE
Stampaggio, imbutitura, saldatura
Rullatura pallinatura, lavorazioni plastiche a
INIZIALE freddo

COEFFICIENTI DI INTAGLIO
Questa volta si usa il coeff sperimentale di intaglio. (Si determina
facendo una prova comparativa tra un provino liscio e uno intagliato

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Però trovarlo cosi è lunghissimo per


questo si introduce una grandezza q che
rappresenta la sensibilità all’intaglio
𝐾𝑠−1
𝑞= quindi si può ricavare ks. Se si
𝑘𝑡 −1
conosce q posso ricavare Ks

con r
raggio
di

intaglio del pezzo. Note: per valori grandi di r q tende a 1 quindi 𝑘𝑠 → 𝑘𝑡


per r piccoli 𝑘𝑠 < 𝑘𝑡 cioè la situazione mi migliora.
Nota coeff di intaglio al denominatore
perché un intaglio va a diminuire la
resistenza a fatica. Quindi per vedere
se il pezzo resiste faccio
semplicemente il confronto
𝜎𝑁 𝑒 𝜎𝑎𝑚𝑚 .
Nota poiché variano i coefficienti per
ogni sezione ho diverse tensioni
ammissibili.

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La
sollecitazione
che abbiamo
analizzato fino
a ora è
sinusoidale con
valor medio
nullo. Nel caso
con valor
medio non
nullo si usa un
diagramma sperimentale. Caso in cui ho tensione media sommata a
quella alternata. Il diagramma è fatto fissando il numero di cicli a
rottura. Nota che per un po’ di valori negativi quella alternata si
mantiene costante e questo dà ragione al fatto che una tensione
residua di compressione è buona.
-Diagramma di Smith
Per tracciarlo servono solo
resistenza statica a rottura e a
snervamento e limite a fatica
alternata con R=-1. Riporto sopra
e sotto la sigma a fatica, poi
riporto le sigma a rottura e traccio
delle rette che incontrano quella a
45° (Nel caso di sigma R
corrispondente attenzione media,
con Tensioni alternate nulla, il
provino si rompe allo stesso modo
con tensione media nulla e a
tensione alternata pari a quella di rottura sia la rottura al primo ciclo ) si
unisce poi il punto trovato con i due di 𝜎𝑓 . MI direbbe che nell’area
compresa tra i segmenti trovati non ho rottura per fatica, però per

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tensioni maggiori della sigma di snervamento sono in campo plastico e


quindi fatica oligociclica, per non considerare questa zona traccio due
nuovi segmenti in corrispondeza delle 𝜎𝑠 . Però se mi limito qua avrei che
il segmento sopra e quello sotto alla retta media sono diversi e quindi
non avrei più andamento sinusoidale (rosso) e quindi si fa la costruzione
tratteggiata per aggiustare la situazione. Quindi nell’area gialla non ho
ne rottura ne snervamento.
-Diagramma di Haigh
E’ un alternativa a quello di smith. Per tracciarlo riporto nelle ascisse la
sigma alternata che porta a rottura con quello specifico numero di cicli e
in ordinate la tensione di rottura e uniamo i due punti . Nella parte delle
𝜎𝑚 negative abbiamo visto che la presenza della sigma media non
peggiora il comportamento
a fatica e quindi si traccia
una retta orizzontalre. Per
garantirci di non superare il
limite di snervamento
vengono riportate altre due
rette che collegano le 𝜎𝑠 in
ascisse e ordinate e anche
dalla parte dei negativi.
Dall’intersezione dei 4
segmenti rossi si ha il
poligono.

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Da qua si può
definire il coeff di
sicurezza, più
sono lontano
dalle linee rosse
più sono in
sicurezza. Sarà
dato dalla linea
blu fratto quella
verde se
considero la retta 𝜎𝑚 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 (ad esempio una gru con un peso proprio
piuttosto grande che non varia, al quale si sommano dei carichi che io
devo sollevare che sono variabili). Scelgo una di quelle rette in base alle
mie situazioni. R=cost i carichi medi e alternati variano in modo uguale.
Stesse considerazioni per smith.
(Carichi combinati sulle slides).
Carichi con sollecitazione con ampiezza
variabile nel tempo.
Si valuta la porzione di vita del
componente definita dal singolo ciclo o
da un blocco di cicli.
Si usa il metodo di Miner:
si prende il diagramma di
wohler per un materiale
supponiamo di applicare un
sigma 1 e so che a un N1 si
rompe il pezzo. Suppongo
poi di applicare sempre
sigma1 ma di fermarmi a un
numero di cicli minore n1, il
provino non si rompe ma
avrà subito un certo

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dannggiamento dovuto al fatto che per un po ha lavorato. Posso dire


che se applico n1 la vita residua sarà N1-n1. Suppongo ora di andare a
tensione minore 𝜎2 e avrò un nuovo N2 e n2 e come prima. Ma se io
prendo un solo provino lo sollecito inizialmente con 𝜎1 per un numero di
cicli n1 poi lo stesso provino lo sottopongo pe n2 a 𝜎2 che succede? Il
provino con l’applicazione di 𝜎2 continua il suo dannegiamento . Miner
definisce il ‘’danneggiamento D1 e D2 ( se applicassi solo 𝜎1 quando D1=1
il pezzo si è rotto N=n ) e ha ipotizzato che il danneggiamento si
accumula e si somma. Quindi il danneggiamento complessivo sarà 𝐷 =
𝛴𝑛𝑖
𝛴𝐷𝑖 = quando D=1 si ha il danneggiamento. Limite; non tiene conto
𝛴𝑁𝑖
dell’ordine di applicazione dei carichi, in realtà se s applica prima il carico
piu grande per poi andare a diminuire è piu probabile che si sarrivi a
rottura.
E molto raro che un componente meccanico sia sollecitata fatica da un
carico ciclico ad ampiezza costante esistono però molti metodi per
trasformare un diagramma di carico random in una successione di
pacchetti di cicli regolari.
RECIPIENTI IN PRESSIONE
Si studiano recipienti assialsimmetrici con spessore costante senza
discontinuità e con comportamento elastico.
-Recipienti di piccolo spessore
solitamente si hanno fondi semisferici o pseudosferici, ma in alcuni casi si
mette un fondo piano (se mi serve un tappo). Nota lo spessore del
tappo è maggiore.

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si dice che il recipiente è di


piccolo spessore quando lo
spessore è circa 2 ordini di
grandezza piu
piccolo rispetto
al diametro del
cilindro. Se
metto un asse
cincidente con
quello del
cilindro e gli altri
duo arbitrati
purche
perpemdicolari
sono sicuro di
essere in una
terna principale.
Uso un sistema
cilindrico.
Ipotesi: la tensione radiale nulla e quella circonferenziale costante nello
spessore. Suppongo di tagliare in due la sezione ne tolgo una parte e
vado a studiare l’equilibrio. Se l’intero è in equilibrio lo sarà anche la
metà con l’aggionta delle forze che si scambia con l’altra parte. In A e C
si avrà la tensione circonferenzale, quindi la forza che agisce sulla
sezione sarà data da 𝜎𝐶 ⋅ 𝐴 = 𝜎𝐶 ⋅ 𝑡 ⋅ 1 supposta la lunghezza unitaria.
Sulla superficie interna del colindro invece agisce ovunque p, che può
sempre essere scomposta in due componenti una verticale sempre
presente e una orizzontale che si annulla con quella simmetrica.

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Svolgend0 l’integrale si ottiene quindi

Oppure in modo piu da ingegnere ma meno rigoroso:

𝜎𝑎 (assiale):

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La forza nasce per equilibrare la pressione sui fondi

𝑝𝑟
𝜎𝑒𝑞 = − 0 (la minima è la radiale che ho assunto nulla) Si vede che al
𝑡
crescere di pressione e raggio sale e decresce al decrescere della
pressione in modo lineare.
Sul fondo semisferico: La tensione assiale è la stessa del caso di prima.

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La forza risultante si trova ancora come la pressione per la proiezione sul

piano della superficie su cui agisce


Nota: per simmetria sferica in realtà doveva per forza venire che 𝜎𝑎 = 𝜎𝑐
Si ottiene quindi alla fine una tensione equivalente che è la metà di
quella di prima.
Se la pressione e esterna recipiente si usano le stesse formule ma si
considera il raggio esterno e si cambia il segno delle pressioni Se ho
pressione sia interna che esterna studio con la loro differenza
considerando quella maggiore
Fondo piatto:
in seguito alla pressione si inflette e quindi comincia a lavorare a
flessione e sfrutto meno la resistenza delle fibre e quindi gli devo dare
spessore maggiore.
Si va a aumentare lo spessore per dare rigidità in quanto il
tappo che si flette ci si va a scaricare sopra e non voglio che
anche il cilindro vada a flessione.
Sotto le hp di temperatura ambiente noi useremo come
tensione ammissibile 1,5 ⋅ 𝜎𝑠𝑛𝑒𝑟𝑣𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜

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-Recipienti con spessore rilevante .


Non posso più usare le ipotesi di prima e quindi ipotizzare nulla la
tensione radiale ne che
quella circonferenziale sia
costante in tutto lo
spessore. Per analizzare le
sollecitazioni si prende uno
spessore infinitesimo
(rosso) con raggio interno
pari a r e esterno pari a
r+dr. Vado a scrivere le
equazioni di equilibrio per
questa striscia. Sulla
circonferenza non sarà piu presente la pressione che agisce sulla
superficie interna al cilindro, i cui effetti si riversano sulla tensione
radiale. Quindi la σr è la tensione che il materiale interno esercita sulla
mia corona circolare rossa. Allo stesso modo il materiale che sta fuori
eserciterà una certa sollecitazione sulla parte in alto. Possiamo quindi
scrivere l’equilibrio lungo la verticale.

*si fa per analogia con il caso di prima sostituendo a p σr. Allo stesso
modo nella parte sopra sostituendo σr+dσr e r+dr.

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Quando metto il fluido dentro il cilindro tenderà a


dilatarsi, ciò vuol dire che un suo qualsiasi punto si sposta
da una posizione iniziale verso l’esterno in direzione
radiale. Se indico con u tale spostamento posso
esprimere le 𝜀𝑟 𝜀𝑐 . La prima sarà data dal rapporto tra lo
𝑑𝑢
spostamento e la condizione iniziale e quindi ho 𝜀𝑟 = .
𝑑𝑟
la seconda invece: se il punto iniziale era a r quello finale sarà a r+u

quindi ho
Per un comportamento elastico si ha sempre:
𝐸 𝐸
𝜎𝑟 = (
2 𝜀𝑟 + 𝜈𝜀𝑐 + 𝜈𝜀𝑎
) 𝜎𝑐 = (𝜀𝑐 + 𝜈𝜀𝑟 + 𝜕𝜀𝑎 )
1−𝜈 1−𝜈2

Sostituendo 𝜀𝑟 𝜀𝑐 con dei passaggi,


𝐸 𝑑𝑢 𝑢 𝑑𝑢 𝐸 𝑢
𝜎𝑟 = 2 ( + 𝜈 + 𝜈𝜀𝑎 ) e 𝜎𝑐 = 2 ( + 𝜈𝑑𝑟
̅̅̅̅ + 𝜈𝜀𝑎 )
1−𝜈 𝑑𝑟 𝑟 1−𝜈 𝑟
𝑑𝜎𝑟 𝑑𝑢2
calcolando dσr/dr e sostituendo in 𝜎𝑐 − 𝜎𝑟 − 𝑟 = 0 si ottiene ; +
𝑑𝑟 𝑑𝑟 2
1 𝑑𝑢 𝑢 𝐵
− = 0 che ha soluzione del tipo 𝑢 = 𝐴𝑟 +
𝑟 𝑑𝑅 𝑟2 𝑟

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Nell’unica incognita u. Con condizioni al


contorno

sostituendo in σr e σc e buttando 𝜈𝜀𝑎 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 in A.


Imponendo le condizioni al contorno si può trovare A e B

La σa sarà quella che


contrasta le pressioni che
tendono a allungare
assialmente il cilindro. La

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forza che agisce sul fondo sa p*Acil mentre la tensione assiale sarà
riferita all’area su cui agisce.

Nota se lo spessore è molto piccolo sono giustificate le ipotesi fatte nel


caso precedente.
2𝑝⋅𝑟𝑖 2 𝑟𝑒 2
La σeq massima sarà 𝜎𝑖𝑑 = ( ) con r=ri e si ottiene
𝑟𝑒2 −𝑟𝑖2 𝑟𝑖

𝑟𝑒2
𝜎𝑖𝑑 (𝑚𝑎𝑥 ) = 2𝑝 ⋅
𝑟𝑒2 −𝑟𝑖2

Solitamentè re è quello che devo trovare.


Se p=0.5*σamm si ha che re tende a
infinito e quindi il recipiente non può
reggere quindi deve sempre valere 𝑃 <
1
σ𝑎𝑚𝑚
2

Quindi nel limite del possibile bisogna


contenere il più possibile il rapporto tra
p/σamm.

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Nel caso di pressione


esterna si ha:

𝑟𝑒 2 𝑟𝑖 2 𝑟𝑒 2
𝜎𝑖𝑑 (𝑀𝐴𝑋) = 2𝑝 2 ⋅ = 2𝑝 2
𝑟𝑒 − 𝑟𝑖2 𝑟 2 𝑟𝑒 − 𝑟𝑖2
-Cilindri forzati:
Per riuscire a sopportare tensioni molto alte si
usano più cilindri forzati uno nell’altro.
(forzatura scaldando) si usano spesso anche
per ridurre lo spessore. L’interferenza fa sì che
il cilindro esterno eserciti una forza che tende
a comprimere quello interno mentre quello
interno una forza contraria. Si usa il principio
di sovrapposizione degli effetti, si studia come se fosse un unico cilindro
e si trova la sollecitazione e si sovrappone il risultato all’effetto
dell’interferenza. Si studia singolarmente i due pezzi come se fossero
soggetti a una pressione e lo sforzo che si scambia con l’altro. (si può
usare la sovrapposizione degli effetti finché siamo in campo lineare
elastico).
Assumo come delle pressioni gli sforzi dell’interferenza, con le equazioni
che avevamo ottenuto ho

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Caso cilindro con pressione interna


′( 𝑝 1 2 𝑟22 𝑟32
𝑢 𝑟) = 2 [(1 − 𝜈 )𝑟2 𝑟 + (1 + 𝜈 ) ]
𝐸 𝑟32 −𝑟2 𝑟

Caso cilindro con pressione esterna

′′ (
𝑝 1 2
𝑟12 𝑟22
𝑢 𝑟) = − [(1 − 𝜈 )𝑟2 𝑟 + (1 + 𝜈 ) ]
𝐸 𝑟22 − 𝑟12 𝑟
Chiamo 𝛥 l’interferenza cioè la differenza sui raggi
𝛥 = 𝑟2 − 𝑟1 = 𝑢′ (𝑟2 ) − 𝑢′′ (𝑟2 )
Una volta che ho incastrato i pezzi e si sono raffreddati avrò che i due
raggi coincidono e quindi ho che globalmente uno si è dilatato uno si è
compresso ma lo spostamento complessivo non può che essere uguale
al delta. (c’è il meno davanti a u’’ perché voglio somare i valori assoluti.
𝑝𝛥 2𝑟23 (𝑟32 −𝑟𝑦2 )
Per cilindri dello stesso materiale si arriva a 𝛥 = da cui si
𝐸 (𝑟22 −𝑟12 )(𝑟32 −𝑟22 )
ottiene poi Pressione che si scambiano
i due cilindri.

Nel forzamento gli andamenti sui due cilindri


sono gli stessi del caso con pressione interna
e della pressione esterna. Si sommano punto
per punto gli sforzi di forzamento e di
pressione int e si ottengono le curve blu
che sono la combinazione.
Nota c’è una discontinuità nella sigma c nel
contatto tra i due cilindri.
Il vantaggio è quindi che la sigma
equivalente (data dalla distanza tra le due
curve) diminuisce globalmente.

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Variando l’interferenza aumenta il 𝑝𝛥 e quindi si


spostano le sigma. Se si aumenta troppo a un
certo punto il punto critico diventa
nell’interferenza (inteso come interno del cilindro
piu grande). Limite; portare a essere uguali le
tensioni interne al cilindro piccolo e quello grande.
Un altro limite è su dove metto il raggio
intermedio e la soluzione ottimale si ottiene scegliendo i raggi in
𝑟 𝑟
progressione geometrica cioè in modo che valga 1 = 2 (stesso
𝑟2 𝑟3
materiale).

ELEMENTI ROTANTI DELLE MACCHINE


Si studiano con metodologia analoga ai recipienti in pressione.
-anello sottile rotante.
Ogni pezzo di materiale è soggetto a
forza centrifuga. Stesse considerazioni
e ipotesi dei recipienti di piccolo
spessore. La differenza è che essendo
un disco non c’è nulla che lo sollecita
assialmente. Rimane quindi solo la
circonferenziale data dal fatto che ogni pezzettino di maetiale viene
spinto verso l’esterno dalla propria massa.

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Come per i recipienti in pressione la forza centrifuga avrà una


componente verticale e una orizzontale che si annulla. Se guardiamo la
relazione 𝜎𝑎𝑚𝑚 ≥ 𝜌𝜔2 𝑅 2 si nota che una volta scelto il materiale e nota
la geometria si può trovare la massima velocità di rotazione che può
essere sopportata.
-Dischi di spessore uniforme:
sempre stessa trattazione dei recipienti:
si immagina di fare
l’equilibrio di una parte
però questa volta si
aggiunge la componente
dovuta alla forza
centrifuga. Ancora una
volta l’equazione ha due
incognite e non si può risolvere e quindi si passa attraverso lo
𝑑2 𝑢 1 𝑑𝑢 𝑢 2 1−𝜈2
spostamento u e si arriva a scrivere
𝑑𝑟 2 + 𝑟 𝑑𝑟

𝑟 2 + 𝑟𝜌𝜔 𝐸
= 0 che
assomiglia a quella dei recipienti in pressione con l’aggiunta dell’ultimo
termine. Si integra conoscendo le condizioni al contorno:
1−𝜈 2 𝑟3 𝐵
avremo soluzione generale 𝑢 = −𝜌𝜔2 ⋅ + 𝐴𝑟 +
𝐸 8 𝑟

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ottenendo quindi

Per ricavare A e B ho due casi disco pieno o disco forato


Dischi fortati: 𝜎𝑟 (𝑟 = 𝑟𝑒 ) = 𝜎𝑟 (𝑟 = 𝑟𝑖 ) = 0
Dischi pieni: 𝜎𝑟 (𝑟 = 𝑟𝑒 ) = 0 al centro non posso fare ipotesi ma posso
farlo sullo spostamento cioè il centro è fermo 𝑢𝑟 (𝑟 = 0) = 0
Ripetendo il procedimento fatto per i recipienti si ottiene

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Nota nel pieno


la c non si
annulla mai e
sarà sempre
positiva. E
quando r=0
segmac e sigma
r sono uguali.
Nota
l’equivalente
max è al raggio interno perche c’è
sempre anche la sigma assiale
costantemente nulla.

Nota il foro mi fa nascere una


sorta di discontinuità.

Nota: suppongo di avere una pala di una rutbina


schematizzata dritta e di voler trovare il punto
di massima sollecitazione. Inizialmente
considero solo gli effetti centrifughi; ho forza
centrifughe radiali e quindi mi nasce una
sollecitazione di trazione. Per la sollecitazione
massima devo prendere una sezione generica e
avrò che la forza centrifuga sarà uguale alla

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sigma di trazione che agisce la porzione di materiale moltiplicata per


l’area su cui agisce. Posso esprimere tutto in funzione del raggio medio e
trovare il massimo (alla base).
Nel caso ci sia anche il fluido nasce una sollecitazione di
flessione che sarà anch’essa massima alla base.
Quindi nella sezione si avrà la massima sollecitazione e
sarà il più sollecitato il punto a destra.

->Non l’ha
fatta (?)

ASSI ALBERI PERNI


Hanno la funzione di supporto e o trasmissuone di elementi meccanici e
di moto o forze.

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Perni: elementi corti (fissi o oscillanti) che lavorano prevalentemente a


taglio o taglio e flessione.
Assi: elementi fissi, scorrevoli o rotanti che NON trasmettono coppia
torcente.
Alberi: elementi destinati a trasmettere il moto e soggetti a torsione o
flesso-torsione-
-Perni:
come si vede sono corti e solitamente lavorano a taglio perché essendo
corti la flessione sarà trascurabile.
Il perno serve a tener inisieme i pezzi e permettere
la rotazione relativa (potrebbe essere un
collegamento tra biella e pistone). La spina serve a
collegare il perno alla biella. Questo garantisce che il
perno non si muova, cioè che non si sfili e che non ci
sia rotazione relativa biella perno (li rendo solidali).
La bronzina sarà forzata nel pistone e avra un po di
gioco con il perno (sennò non gira).
Questa soluzione ha la stessa funzione ma la bronzina è montata
sulla biella e la spina è inserita nel pistone. Nota: questa soluzione
visto che il perno non ruota rispetto al riferimento fisso e quindi la
biella non se lo deve trascinare e quindi ho un’inerzia minore,
inoltre la rotazione permessa in direzione orizzontale permessa è
maggiore in questo caso e quindi ho moto meno stabile.
Se aumenta l la rotazione diminuisce e viceversa.

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La spianatura serve per inserire una chiave a


forchetta che serve per stringere la ghiera. La
rosetta viene montata solidale al perno e poi
un dentino della rosetta viene
piegato dentro una cava della ghiera
e quindi anch’essa diventa solidale al
perno, quindi è antisvitamento. La
traslazione è impedita dallo
spallamento e dalla ghiera, per far ciò però è necessario che lo
spessore della forca sia maggiore del tratto di perno dopo lo
spallamento sennò non riesco a sfruttare l’attrito sulla
rosetta e bloccare la rotazione e non riesco a bloccare la
traslazione.
Nota se lo avessi fatto così quando vado a stringere avrei
piegato i breccetti della forcella e rischio di stringere le staffe
sulla biella e quindi bloccarne la rotazione.

In questo caso il perno è spianato per farlo battere su una


piastrina che impedisce di rotare, mentre la traslazione è
bloccata da un anello seeger montato sulla testa del
perno.
-Assi:
soluzione per movimentare il manicotto mobile;

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tra l’asse e i supporti co sono degli


spallamenti e quindi non può traslare, quindi
trasla il manicotto, la lunghezza del
manicotto come prima impedsce la

rotazione. Le bronzine sono due per questione di tolleranze, se ne


faccio una lunga devo tenere cilindiricità strette. Senno non si sa piu
dove è il contatto mentre con le piccole mi assicuro il contatto in una
piccola porzione di superficie. Inoltre un altro motivo è il rischio
impuntamento, cioè la coppia data dalle due forze può far si che il
movimento risulti impedito. La coppia darà origine a delle reazioni R e il
movimento a delle reazioni P sulle bronzine.
Si vede che se faccio l piccolo R diventa piu grande e quindi cresce anche
P finchè le forze di attrito non diventano troppo elevate e non ho piu
movimento.

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Questa volta è tutto l’asse che trasla e il manicotto gli è solidale


attraverso la spina. Questa volta il
manicotto è molto piu corto perché è
montato motlto preciso(a volte
anche con piccola interfernza ) e poi è
bloccato assialmente. Lo scorrimento
è sui supporti che sono ancora piu
lontani di prima e quindi più difficile
da impuntare. Visto che devo
spostare piu massa avrò un’inerzia
maggiore dell’altro.

-Alberi
Alberi sostenuti da cuscinetti che sostengono e permettono la
rotazione. La forma dell’albero primariamente è dettata dalle esigenze
di montaggio. I cuscinetti sono montati piu vivini nel secondo perche nel
b voglio ridurre al minimo l’inflessione dell’albero. Minore sarà il braccio
tra il carrello e la forza minore sarà il momento flettente e quindi la
sollecitazione e minore sarà l’inflessione e quindi la freccia. Un
inflessione minore garntisce un miglior funzionamento in termini di
ingranamento e
posizione. In a la
forza è in un
estremo e quindi
allontandando i
cuscinetti la
reazione sul
cusinetto piu
lontano è minore-
Quindi devo cercare
di rendere a piu
piccolo possibile e b

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abbastanza distante da rendere sufficientemente piccola R2 (e quindi


anche R1 poiché 𝑅1 = 𝑅2 + 𝐹). Nota siccome il secondo cuscinetto è piu
scarico gli si fa tenere anche la spinta assiale.

Nota nessuna delle due


schematizzazioni è corretta ma la
prima assume la risultante delle
pressioni nel centro della zona di
azioni la seconda rappresenta un caso ideale con distribuzione di
pressioni di contatto uniforme. Sia freccia f e sigma la sollecitazione
massima e ponendo ugauale a 1 i risultati dei primi casi si ha che in realtà
stanno in mezzo ai due valori. In un dimensionamento di massima
conviene il primo caso perché è più cautelativa in quanto porta a
sovrastimare freccia e sollecitazione.
Sollecitazioni su
due piani: Si usa la
sovrapposizione
degli effetti e si
somma con
pitagora i risultati,
oppure mi metto
in un piano
intermedio e
trovo la
proiezione delle
forze .

COLLEGAMENTI PER CHIODATURA

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Il vantaggio principale della chiodatuta riguarda il comportamento a


fatica, cioè poiché dal punto di vista di materiale i due pezzi una cricca
non passa da una parte all’altra, motivo per cui si usa in campo
areonautico. Un altro
vantaggio è che consente
di unire pezzi di materiali
diversi.
Il chiodo quando si
prende ha la forma della
prima immagine.
Vengono realizzati i fori
nelle parti si inserisce il
chiodo e poi per
deformazione plastica
(semmai scaldandolo) si
fa la seconda testa. Il ribattino ha due parti una forata e una piena, si
inseriscono una nell’altra e poi comprimendole la punta di quello che
entra si deforma e si serrano. Il rivetto invece ha un gambo di acciaio e
una parte cilindirca con testa in lega leggera, una volta inerito si una un
utensile apposta per titare il gambo cosi da deformare il cilindro in lega
leggera poi quando non si riesce piu a deformare si ha la rottura del
gambo dove c’è l’invito alla rottura. (restrindimento di diametro). Nota
la terminologia è confusa ad esempio in ambito aereodinamico si
chiamano rivetti i chiodi.
Rispetto alle bullonature si hanno vantaggi di rapidità di esecuzione,
costi, versatilità, e non sono soggetti a allentamenti, tuttavia presentano
gli svantaggi di minore resistenza statica e a fatica, smontaggio
permesso solo per vie distruttive maggiore dispersione dal punto di vista
tecnologico.

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Funzionamento: Si deve distinguere tra chiodi a freddo e chiodi a caldo.


Il chiodo a caldo viene riscaldato è piu facile da deformare, ma
raffreddandosi tende a restringersi e quindi il chiodo non toccherà piu
sul foro (lateralmente) mentre tenderà a comprimere tra loro le pistre
visto che si restringe anche assialmente; la
compressione sarà massima in corrispondenza delle
teste e anfra poi via via a diminuire. Se ora applico le
forze f sulle lamiere; il chiodo fa si che sulle lamiere si
generino delle forze di attrito nella superficie di
contatto dove c’è la pressione. Il chiodo quindi in questo caso lavora a
sforzo normale dato dal suo raffreddamento.
Il chiodo a freddo invece non ha restringimenti, anzi avrò un
lieve allungamento del chiodo dovuto al rilascio elastico,
quindi le due lamiere non riescono a avere attrito per reagitr
alle forze e quindi il chiodo sostiene lavorando a taglio, nasce
una pressione di contatto sulla sua superficie laterale. La
sezione di massima sollecitazione sarà quindi nell’interfaccia tra le due
lamiere.
Sforzo su un chiodo a CALDO: P trazione
che nasce durante il raffreddamento
fratto l’area del chiodo si ottiene lo sforzo
di trazione. Se chiamo f il coefficiente di
attrito tra le lastre.
Il problema è che non si sa a priori quanto
è σ (o quanto è p) e la variabilità del
processo tecnologico fa sì che se monto
10 chiodi e misuro le p troverò tutti valori
differenti. Per questo motivo questa formula non si usa.

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Sforzo su chiodo a FREDDO; Stesso


procedimento di prima ma posso
confrontare direttamente con una tau
ammissibile nota una volta scelto il
materiale e quindi questa volta si può
facilmente usare la formula.
Anche il dimensionamento di quello a
caldo si farà con una formula su questo
stile.

Nota: anche
se per quelli a
caldo sarebbe
sbagliato la
norma è
comunque
cautelativa
quindi va
bene.

Le due forze danno origine a una coppia poiché


non sono sulla stessa retta d’azione e quindi
fanno ruotare il giunto e quindi si
sovrasollecitazione (va a lavorare a trazione e
taglio. Questa coppia rimane seppur più live nella
soluzione con il coprigiunto dove si origina con le

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reazioni sui giunti, mentre si annulla nella soluzione con doppio


coprigiunto.
Se io avessi un solo chiodo la forza di taglio sarà data dalla forza diviso
l’area. Se io invece ho il doppio coprigiunto la forza T si ripartisce metà
su ogni coprigiunto e quindi avrò due sezioni di lavoro (interfacce tra
𝑇⁄
2
giunto e coprigiunto) e quindi avrò 𝜏 = e quindi sarà la meta del
𝐴
1
primo caso. Se invece ho due chiodi avrò 𝜏 = 𝑇 ⋅ perché la T si deve
2𝐴
dividere su due aree (si assume che lo sforzo si ripartisca in modo
uniforme).
Nella realtà nel giunto si potrebbe rompere il chiodo cosi come si
potrebbe rompere la lamiera, inoltre io ho realizzato dei fori e quindi ho
ulteriori preoccupazioni.

1. Rottura a taglio del chiodo: (a taglio perché ho detto che lo


dimensiono sempre a taglio)
2. Rottura a trazione della lamiera: Nella sezione minima cioè dove
abbiamo fatto i fori (scarsa distanza tra i chiodi o dal bordo)
3. Ovalizzazione del foro: se la pressione tra chiodo e lamiera è
troppo elevata il chiodo poggiando sul foro lo può deformare
plasticamente. (lamiere con spessore troppo piccolo)
4. Rottura a taglio della lamiera: soprattutto se lascio troppo poco
materiale tra foro e fine della lamiera
5. Lacerazione del bordo. Il bordo del foro si apre per la stessa
ragione del punto prima, e si risolve come prima lasciando più
spazio tra foro e bordo.

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Nota bisogna trovare il giusto numero d chiodi poiché se ne metto


troppi, rischio lo strappamento delle lamiere presso i fori, mentre se ne
metto pochi, rischio il tranciamento dei chiodi.
Per la spaziatura si ricorre alla normativa

Si deve progettare in base ai passi P1 e P2, alle distanze dai bordi e1, e2 e
lo spessore t delle lamiere t. (1 in asse con il carico)

Come si ripartisce il carico tra i vari chiodi?


I chiodi esternu sono i piu sollecitati fino a quello centrale. La forza
diminuisce fa A a D. Quando arrivo sul primo chiodo una parte della forza
si scarica sul chiodo e poi poiché tenderà a deformare il chiodo si
scaricherà anche su quelli successivi. Se io tiro con una forza T sul primo
chiodo si origina i A una forza minore di T che poi tenderà a tagliare il
secondo chiodo e cosi via. Guardando le deformazioni se la trave è a

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spessore costante il tratto A tenderà ad allungarsi di più, il B un po meno


visto che è soggetto a trazione minore, e cosi via fino al D.
Si vede le line dei fori che si sono distanziate e dove la distanza è
maggiore c’è la maggior deformazione e quindi la forza sul chiodo.
Nota: se il giunto è soggetto a carichi statici si tende a trascurare la
differenza di sforzo che nasce sui chiodi perché sebbene gli esterni si
caricano di piu. Se arrivano a snervamento non riescono piu a
incrementare la reazione prodotta e quello che non riesce a prendersi lo
scarica su quello dopo finchè anche lui non arriverà a fatica e scaricherà
sul successivo e cosi via. Quindi finche tutti i chiodi non vanno in campo
plastico il pezzo regge. Se invece la sollecitazione è affaticante il
materiale non riesce a plasticizzare e quindi il chiodo che è più caricato
ha maggior probabilità di rottura a fatica e quindi bisogna conoscere la
distribuzione della forza applicata.
𝐿−15𝑑
Fattore di riduzione; 𝛽𝐿𝑓 = 1 − ( ) indica di quanto deve essere
200𝑑
ridotta la forza che il chiodo può sopportare se lo sforzo fosse ripartito
uniformenente tra i chiodi.
Travi composte chiodate:
le chiodature si possono usare per formare delle travi composte, che si
usano per realizzare grandi travi.
Trave a doppio T, usata
per la sua resistenza alla
flessione (nel piano del
gambo) e travi a cassone
che regge bene a flessione
ma poiché è chiusa anche
a torsione. La trave
composta a doppio t è
fatta da tre elementi
principali, i due elementi superiore e inferiore (piattabande) e l’anima. Si
cerca di tenere la massa il piu possibile lontana dall’asse neutro cosi da

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massimizzare il momento di inerzia e quindi la resistenza a flessione. Gli


elementi sono collegati tramite squadrette a L che presentano dei fori
dove si montano i chiodi. Analoga la trave a cassone.

Nota comei
fori per i chiodi sull’anima e sulle piattabande sono distanziati tra loro di
mezzo passo, questo per evitare di inserire tutti i chiodi nella stessa
sezione. Suppongo sia una trave cerniera carrello con un carico.

* prendo una piccola porzione di trave a cavallo tra due chiodi di p/2 a
destra e a sinistra e vado a vedere che succede. In questa sezioncina
avrò che il momento flettente a destra e a sinistra sono diversi quindi ho
che le sigma a destra saranno maggiori di quelle a sinistra.
(le ho ripaltate)

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Suppongo ora di togliere i chiodi e staccare la


piattabanda. A qualsiasi distanza dall’asse neutro vado le
sigma a destra rimangono sempre maggiori di quelle a
sinistra, se faccio l’integrale degli sforzi sull’area trovo la
forza agente a destra e a sinistra dove la prima ancora
sarà maggiore. Quindi quella porzione di piattabande è
come se venisse tirata verso destra, il chiodo sarà ciò che
bilancia questa differenza tra le due forze applicando una reazione verso
sinistra, quindi è soggetto a taglio. Ho due ciodi che esercitano la forza
che suppongo uguale per simmetria e quindi ho 2F

Sigma generica tensione a una genrica distanza dall’asse neutro, A è la


sezione della piattabanda. 𝛥𝜎 rappresenta di quanto è piu grande sigma
𝑀
a destre ripetto a sinistra ma so che in generale 𝜎 = 𝑦 con y distanza
𝐼
dall’asse neutro. Il momento però è la forza, che è uguale al taglio per la
distanza.

Nota i chiodi a destra del carico sono piu sollecitati perché il taglio a
destra è maggiore di quelli a sinistra.
Nota in un caso come questo non c’è sforzo sui chiodi
(non c’è taglio e il momento è costante e le sigma sono le stesse a
destra e sinistra e quindi il chiodo non deve lavorare).

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Collegamento squadrette-anima: stesso procedimento ma


adesso la sezione si farà a cavallo del chiodo orizzontale. Avrò
gli stessi andamenti delle sigma però questa volta quanto sfilo
il chiodo ho anche le squadrette attaccate alla piattabanda.
Inoltre ho un solo chiodo e quindi non ho 2F ma F. Quinsi si
arriva a una formula con due differenze:
è circa il doppio e che il
momento statico
rappresenta
piattabande piu squadrette (che
però hanno piccola sezione,
trascurabile in prima
approssimazione).
Le sollecitazioni saranno però
circa le stesse perché perché quelli sull’anima hanno due sezioni in

parallelo su cui agisce il taglio (come caso doppia copribanda).

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SALDATURE
Si può schematizzare con un incastro. Rispetto ai collegamenti fatti con
viti è più rigido, Produce un alterazione termica del materiale nelle zone
limitrofe che genera uno stato di trazione resido.
Inoltre nel cordone si possono generare delle cricche
che interessano poi tutti e due i pezzi saldati.
Tipi di saldature:

nell’eterogena si apporta un meteriale che fonde a temperatura piu


bassa sui oezzi da unire. Questa soluzione però garantisce una
resistenza minore dell’autogena. Si usa la
saldobrasatura per materiali diversi.
1. Giunto saldato: zona di unione tra i
due pezzi.
2. Metallo base : materiale di cui sono
fatti i pezzi da saldare

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3. Metallo di apporto: materiale che contribuisce alla formazione del


giunto
4. Cordone di saldaura: costituito da metallo base e/o da quello di
apporto solidificati dopo la fusione
5. Lembi superfici esterne dei pezzi interessati alla saldatura
6. Energia termica: calore necessario per realizzare la giunzione
In una saldatura ben
fatta dovrebbe
spuntare un po di
saldatura da sotto
perché in questo modo
vuol dire che ho coinvolto tutta la sezione nella fusione. La zona
termicamente alterara è quella piu pericolosa per la rottura a fatica.
Per ovviare alle tensioni residue si fanno trattamenti termici post
saldatura, solitamente di distensione.
Difetti nel cordone:
• Cricche trasversali o longitudinali
• Incursioni di scorie: il metallo fuso è
molto sensibile all’ossidazione e per
evitare questo si usa rivestire
lìelettrodo con un materiale che
una volta fuso il metallo si deposita
sopra, una volta preddato si
procede a rimuovere questo rivestimento che ha bassisstima
resistenza. A volte però parte di questo materiale simane
all’interno e è come se la saldatura avesse un foro.
• Fusione incompleta o parziale
• Deformazione del giunto: poiché riscaldo e poi raffreddo durante
il raffreddamento il materiale si restringe e tira.

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C’è una norma che fissa dei livelli di accettabilità dei difetti della
saldatura. I giunti quindi devono passare dei test fatti con vari metodi (
radiogrfia raggi x ultrasuoni..)
1. Giunto testa a testa
2. Giunto a T a completa penetrazione i due cordoni si
compenetrano cioè vanno a sovrapporsi.
3. Giunto a T con cordone d’angolo per saldature di parti con grosse
spessore
4. Giunto a croce con cordoni d’angolo
raddoppio del precedente a T
5. Giunto di spigolo
6. Giunto di sovrapposizione
Cianfrinature (modo in cui si preparano i lembi) nei
disegni si
indicano:

Nel giunto a piena


penetrazione si crea un
continuo tra le parti per cui la
resistenza del giunto è uguale
alla resistenza della parte con
spessore minore, nel caso
invece non è piu un continuo e
lo spessore minore è probabile
sia sul cordone, inoltre la
mancanza di prenetrazione rappresenta anchr un rischio in termini di
fatica perché è un punto dove può nascere una cricca.

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Nota in realtà i disegni sono sbagliati perché non si può saldare pezzi di
spessori troppo diversi, questo per problemi di inerzie termiche, cioè il
calore che si fornisce si distribuisce in
modo sbilanciato tra i pezzi. Per
saldare pezzi con spessori diversi si
fanno dei restringimenti di sezione di
quella grande. Evitare di fare saldature nelle zone più sollecitate e di
terminerla in spigoli o variazioni di sezioni!!!

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Evitare incroci di cordoni, presenza di eccentricità (in particolare in


presenza di trazione al vertice di saldatura). Cercare d fare saldature di

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testa invece che di sovrapposizione.

(normative slides..)

come prendere lo
spessore della
saldatura a seconda
della sua forma.

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Dimensionamento della saldatura: (non a piene penetrazione)

cordone

la norma mi dice di prendere 𝐴𝑤 = 𝐿 ⋅ 𝑎 (area del cordone di saldatura)


A volte si prende un L un po piu piccola perché si
considera che le zone laterali della saldatura
vengono peggio.
In generale sul cordone possono esserci 4
sollecitazioni ma una di queste si trascura, cioè la
perché il pezzo la reggerebbe anche senza la
saldatura.
Immagino di far scorrere i due pezzi uno sull’altro come in
figura a; nascerà lo sforzo 𝜏
Immagino poi di tirare come nella figura b e ottengo la
Nota: ci sono tre metodi con delle differenze ma si può scegliere quello
che si vuole.
Per non piena penetrazione
-Metodo direzionale:

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(per acciai) la normativa prevede due formule che devono essere


entrambe verificate. La prima è circa l’applicazione di von mises

Si intende ancora il materiale meno resistente da saldare.


(leghe leggere)

Questo metodo
è il più preciso ma anche il più complicato.
-Metodo semplificato:

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si fa un confronto diretto tra le forze. Si prende la forza per unità di


lunghezza del cordone

-Ribaltamento della sezione di gola:


è una sorta di semplificazione del direzionale ma anziché di farlo sulla
sezione di gola lo fa su una sezione ribaltata. Ho il mio triangolo con a e
dovrei calcolarmi le tre sollecitazioni viste prima. La norma mi dice di
ribaltare la sezione di gola o sul piano orizzontale o sul vierticale. Dopo

di che di calcolare su questa sezione altre tre sollecitazioni; τ// che è


sempre la stessa e un 𝑛⊥ e 𝑡⊥ che sono ancora σ e τ perpendicolari al

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cordone di saldatura che mi offrono il vantaggio di essere calcolate su


piani piu comodi. Nota spesso ne nasce solo una.
Esempio:
nell’esercizio prima avre avuto solo una σ
perpendicolare.Anche questa volta devono
essere simultaneamento verificate due
relazioni.
Nota in questo caso si fa riferimento alla

tensione di snervamento.
Nota poiché se ribalto in orizzontale e in verticale ottengo una σ o τ che
in realtà hanno lo stesso valore ed è per questo che hanno lo stesso
peso.
Con piena penetrazione
La norma ci dice che la resistenza del giunto è pari a
quella della lamiera piu debole. Quindi si ha che
La norma ci dice che la resistenza del giunto è pari a
quella della lamiera piu debole. Quindi si ha che
𝐹 𝑇 𝜎𝑎𝑚
𝜎= ≤ 𝜎𝑎𝑚 (per monoassiale) 𝜏 = ≤
𝑏⋅𝑡 𝑏⋅𝑡 √3

Nel caso pluriassiale si usa invece il criterio di von mises.

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VERIFICHE A FATICA
Ci sono problematiche di difetti che danno origine a cricche e di
alterazione termica. Quindi dipend dai trattamenti che gli facciamo.
Sono preferibili saldature a piena penetrazione.
La verifica si fa andando a calcolare la resistenza a fatica, e si ricorre
spesso a prove su giunti saldati e non provini per costruire la curva di
waler. Alla fine si usa la legge di Miner per calcolare il danno cumulato.
ESEMPI CASI REALI:

INCOLLAGGI
Poiché sono collegamenti distribuiti garantiscono una buona
distribuzione di sollecitazioni. Non produce stress termico-strutturale.
Permettono di fare pezzi con complesse geometrie, posso unire
materiali diversi, poiché i pezzi sono separati non produce corrosione
galvanica. Infine può avere capacità smorzanti.

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Gli svantaggi sono che richiede una accurata preparazione della


superficie di applicazione e ha elevati tempi di messa in opera lunghi.

La seconda è una proprietà propria del collante e per massimizzarla si


tiene più sottile possibile lo strato di collante, mentre l’adesione ai
substrati dipende molto dalla conpatibilità parte collante ma anche da
pulizia della superficie e preparazione. Nota una rugosità più elevata
migliora le propietà di incollaggio.
Possibili cedimenti:
Carichi di trazione, se ho previsto una buona superficie di incollaggio la
superficie lavoro uniformenìmente e hp una buona resistenza; a
compressione ancora di piu.

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Carico disassato rispetto


al baricentro del collante
(spaccatura pelatura).
Sono molto più gravose
perché si creano zone
nelle quali si hanno
massimi e non è
uniforme. Massimizzo la
sollecitazione nel punto
esterno e il collante cede
e inizia a staccarsi e trasla
il punto di massima sollecitazione e cosi via.
Carico di taglio più gravosa ristetto a quella normale ma comunque
meno critica di quello disassato .
La sollecitazione è uniforme ma
massima agli estremi per poi
diminuire verso il centro.
Il dimensionamento si fa da
catalogo dei costruttori che ti
dicono come fare il calcolo in
base alle sollecitazioni. In
generale bisogna cercare di
avere piu possibile grande
l’area di contatto e avere
geometria favorevolo, come
negli esempi.

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Cerco sempre di aumentare la


superfifice di contatto.
Per cause di sollecitazioni invece
Nel

primo caso ho un carico di pelatura e la


seconda soluzione è meglio perché invece
di tirare mette in comoressione.
Nel secondo caso invece ho un carico di
spaccatura, e mettendo un coprigiunto
realizzo un'altra superficie di contatto e riesco a tenerli uniti.
Collegamento di elementi
circolari;
Si deve incollare sempre con
sovrapposizione cosi da avere
una superficie di incollaggio
molto piu alto. Anche
nell’incollaggio a T discorso
analogo.

COLLEGAMENTI FORZATI

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Accoppiamenti (solitamente stra un albero e un mozzo) attraverso


l’incastro di uno nell’altro. Nasce una pressione di contatto che
permette la trasmissione di una forza o
una coppia.
Esempio accoppiamento albero mozzo
ad esempio tra albero e ruota dentata.
Nota come l’abero ha un diametro piu
grande nella parte di collegamento con il
mozzo e una lunghezza maggiore questo
per facilità di montaggio e poi perché nei
punti in cui finisce il forzamento nasce
uno sforzo di trazione che si va poi a
sommare alle tensioni di lavoro e quindi per la fatica non è buono. Per lo
stesso motivo allungo l’albero perche cosi allontano il punto dove nasce
la trazione dal cambio di sezione con intaglio maggiore.
Stessa cosa dei cilindri forzati:

In questo caso però ho anche il


caso di cilindro inteno pieno
(r1=0) si ottine :
𝛥𝐸
𝑝𝛥 = ( 2 2)
2 ⋅ 𝑟3 − 𝑟2
2𝑟2 𝑟3

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Una volta che ho la pressione posso trovere la forza o coppia max


trasmissibile. Supponiamo di avere un albero e un mozzo montati con
interferenza e sappiamo calcolarci il 𝑃𝛥 .
Supponiamo di spingere l’albero e valutare la
forza massima che posso applicare senza che
ci sia movimento reciproco;
Se invece applico la
coppia e voglio
calcolare la coppia
max prima che
slittino ho:
ACCOPPIAMENTI FILETTATI
Tipiche funzoni: strutturali, cioè di collegare pezzi meccanici con
possibilità di frequenti smontaggi, poi impiego di trasformazione di
moto attraverso viti di manovra.
Tipologie di filettature :
metriche ISO a profilo triangolare, gas, whithworth, metriche
trapezoidale ISO..
Metriche:

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Passo distanza tra due posizioni omologhe di due filetti successivi.


Tutte queste dimensioni sono unificate.
Bullone: Vite + dado + rosette.
Normalmente per fare un collegamento con
un bullone, cioè con una vite passante, cioè
si fora entrambi i pezzi e non si filettano. Il
foro viene fatto piu grande del diametro
della vite. La conseguenza è che nella
stragrande maggioranza dei casi vengono
fatte lavorare a trazione (devono impedire la separazione
dei pezzi e qualora ci sia uno sforzo che tende a tirare via
i pezzi la vite si oppone grazie alle forze di attrito che
nascono tra i pezzi. Questo perché dal punto di vista
tecnologico, ci sono problemi legati a tolleranze e
precisione nella realizzazione dei fori, come posizioni, interassi.. dovrei
quindi mettere tolleranza strettissima negli interassi e diventerebbe
molto costoso. Si preferisce quindi fare i fori un po piu grandi.
In alcuni casi però si usano le viti perno; (sollecitate anche a taglio)
quando devo garantire il buon centraggio tra i due componenti.
Tipi di viti:

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La vite mordente è inserita in una madrevita nel secondo pezzo da


collegare. Tutti i pezzi tranne l’ultimo avranno un foro con gioco, mentre
l’ultimo una madrevite. Nota: per fare una madrevita (esempio M10) si
parte dal foro di diametro un po più piccolo e si usa un maschio con tre
punte diverse che creano i solchi in tre fasi. Con la punta si fa sempre un
foro più lungo della parte filettata della vite, inoltre la filettatura non
arriverà in fondo al foro perché sennò rompo il maschio.
La prigioniera è simile nel pezzo però ha una forma diversa perché ha un
tratto centrale non filettato mentre gli estremi lo sono.
Un tratto viene piantato nella madrevite (cioè avvitato
fino a forzare la fine della filettatura nel primo filetto della
madrevite), per avvitare si usa dado e controdado, cioè
prendo un dado e lo avvito sulla parte superiore, poi ne
prendo un secondo e lo avvito mandandolo a battere con
il primo, prendo due chiavi a forchetta li stringo uno
contro l’altro, cioè fermo quello sotto e avvito quello
sopra. In questo modo mando in trazione la vite in quel
tratto e li comprimo insieme e per la forza di
compressione che nasce e quindi per l’attritoche si genera tra i dadi è
come se avessi creato una testa. In questo modo posso girare uno dei
due dadi e mi gira anche il priginiero. Una volta piantato il pigioniero
svito il dado di sopra termando quello sotto e cosi libero i dadi e li posso
togliere. A questo punto sono a una situazione come in figura e posso
inserire i pezzi di sopra e stringere.
Generalmente il bullone è da preferire perché è più economico e se si
danneggia il filetto di bullone o vite posso sostituirli a basso prezzo.
Mentre se si rovine la filettatura nei pezzi è piu un problema. Quindi ogni
volta che si ha accesso da entrambi i lati è preferibile il bullone.
Le viti prigionirere si usano quando c’è riscio di danneggire la madrevite
smontando, ad esempio quando sto usando lega leggera che è meno
dura dell’acciaio e quindi sarebbe abbastanza facile che si danneggi
rispetto all’acciaio. Si fa il piantaggio in modo da essere sicuri che

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quando si va a smontare siamo sicuri che si sviti il dado (l’attrito è piu


bsso sul dado).
Si può usare per risolvere
quando si rovina la
mdrevite. Cioè si allarga il
foro e ci si inserisce
questo che all’interno
avrà filettatura originale.
Nota; si possono avere
anche rosette non piane.

1; norma di
riferimento 2;
diametro 3:
lunghezza 4:
classe di
resistenza
(sempre
indicata da due numeri separati da un punto, il primo moltiplicato per
100 da la resistenza a rottura del materiale della vite. Il secondo
moltiplicato per il primo e per 10 da la tensione di snervamento del
materiale della vite) 5: eventuali trattamenti superficiali.
Le nuove norme UNI EN 14399 (dalla 1 alla 10) sulla bulloneria a
serraggio controllato prescrivono la fornitura di assiemi in lotti
omogenei (questo vale per le viti, per i dadi e per le rondelle ) i
quali devono superare anche prove attitudinali aggiuntive, quando i

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singoli elementi vengono assemblati.

(Per montare una vite si applica una coppia)


Serraggi;

Il più evoluto èl’hrc. Se devo fare un sistema a precarico controllato


devo comprare tutto il bullone.

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Il sistema hrc si usa per evitare di far andare in trosione la vite. Si blocca il
codolo, si stringe il dado con il mandirno esterno, in questo mododo si
rilega la tosione alla sola parte esterna dalla vite. Poi si estrae i mandrini
e l’interno spezza il codolo.
Serraggio viti:
Vediamo ina vite, due pezzi che devono essere serrati
e un dado. Nel disegno a destra si vede una ezione
ortogonale alla vite e di sviluppatre in piano dado e
vite. La vite che ha un filetto che si avvolge diverrà un
piano inclinato e lo stesso il dado. Quando si serra la

vite si

gira in senso orario il dado tenendo ferma la vite. Mentre gira il dado tira
la vite mettendola in trazione e per il principio di azione e reazione su
dado e pezzi avrà una pressione di compressione. Nel secondo disegno
serrare il dado cossisponde a spingere il cuneo verso sinistra.
Spingendolo si originerà una forza perpendicolare alla superficie inclinata
N , ma che mi da una componente che spinge in su P. Ma se conosciamo
la vite (passo e diametro) possiamo conoscere l’angolo di inclinazione α
(teoricamente). L’attrito mi fa inclinare N di un angolo φ. Però io in
realtà ho una coppia e non una forza. Tra le due ho una relazione lineare,
ioè posso vedere la coppia come una forza applicata sul diametro medio
𝐷𝑚
del dado 𝑀 = 𝐹 ⋅
2

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Ho trovato quindi una relazione che leda la coppia alla forza che
esecitiamo sulla vite (di tipo lineare). Nota: questa coppia è quella
necessaria a vincere la resistenza tra vite e dado, ma in realtà il dado
striscia anche sul piano di appoggio. Si deve quindi aggiungere un
𝑑′
termine pari a 𝑀′′ = 𝑓 ′ 𝑃 ( ) con f coefficiente di attrito. Se li sommo
2
ottengo :
𝑑𝑚 ′
′ 𝑑
𝑀 = 𝑃 [𝑡𝑔(𝛼 + 𝜑) + 𝑓 ( )]
2 2
Ma è una formula complicata e quindi per vie sperimentali siamo giunti
2 1 3 𝑑𝑚
alla relazione; 𝑀′ ≈ 𝑀 𝑒 𝑀′′ ≈ 𝑀 da cui: 𝑀 = 𝑝 𝑡𝑔(𝛼 + 𝜑)
3 3 2 2
Poiché solitamente si hanno α di 2°/5° e coefficienti di attrito di 0.15/0.20
Si ottene 𝑀 = 0,2𝑝 ⋅ 𝑑 con d diametro nominale della vite.
Noto il precarico che vogliamo dare alla vite e conoscendo d si trova la
coppia da applicare.
Se si lubrifica bene le parti e si sta attenti che la filettatura sia fatta bene
si ottine 𝑀 ≈ (0,1 ∕ 0,16) ⋅ 𝑝 ⋅ 𝑑
Nota quello che si muove è il dado quindi quando
considerò l’attrito ho una cosa fatta cosi, nel disegno
le riporta sulla vite.
La normativa dice che il precarico deve essere al
massimo.
𝑃0 = 0,7 ⋅ 𝜎𝑠𝑁 ⋅ 𝐴
Deve lavorare al massimo al 70% del carico massimo applicabile. La
normativa ci dice anche come calcolare l’area resistente: poiché i filetti
contribuiscono poco alla resistenza a trazione ma un po si dice di
prendere il diametro medio tra quello di nocciolo e il diametro medio

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della vite. (in sicurezza va bene prendere semplicemente quello di


nocciolo).

La tabella (presa dall’eurocodice) analizza due casi possibili. Il primo


riguarda un giunto con bullone che unisce tre pezzi ai quali è applicata

una forza che tende a farli scorrere gli uni sugli altri, serrando il bullone si
applica un carico che è lungo l’asse della vite ma poi ho un carico
ortogonale. Nell’altro caso invece ho un carico che tende a separare i
pezzi e quindi è diretto parallelamente al precarico. Nel primo caso si
deve verificare che non ci sia scorrimento, nel secondo invece bisogna
vedere che succede se si tira ulteriormente la vite. (nota non precaricato
vuol dire che sono in condizioni di precarico non controllato). Nel c non
si vuole scorrimento nemmeno in presenza di carichi eccezionali.
𝑛⋅𝜇
Primo caso; per la norma: 𝑇𝑀𝐴𝑥 = ⋅ 𝑃0
𝜈

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Con n numero di bulloni che costituiscono il giunto, μ è il coefficiente di


attrito che si prende da tabella, ν è un coefficiente di sicurezza di 1.25

Caso combinazione delle due:


Una forza che tende a separare i pezzi tenderà a ridurre la pressione e
𝑛⋅𝜇
quindi l’attrito, si ottiene quindi: 𝑇𝑀𝐴𝑋 = (𝑝0 − 0,8𝐹 ) con F forza che
𝜈
tende a separare i pezzi.
Casi giunto con carico che tira:
Se si tira con una forza esterna F tendo a scaricare i pezzi dal precarico
iniziale e la vite sarà ancora piu in trazione. Se la forza fosse al contrario
comprimerei i pezzi diminuendo il precarico sulla vite.
Voglio capire come si ripartisce la forza tra vite e pezzi. Tirando la vita la
allungo. Chiamo δ il generico allungamento e kv la rigidezza della vite.
Quindi l’allungamento della vite
sarà direttamente proporzionale
alla forza applicata alla vite fratto
la rigidezza .
Analogamente si può fare per i
pezzi e ottenere δp dei pezzi. Ma
visto che la forza F si scarica
sull’insieme pezzo piu vite deve
essere
𝐹 = 𝐹𝑝 + 𝐹𝜈 Però finche
non c’è separazione
l’allungamento della vite
e dei pezzi sarà lo stesso
perché sono attaccati.

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Quindi se conosco le rigidezze so quanta forza si scarica sui pezzi e


quanta sulla vite. Se io però ho applicato un precarico posso valutare
anche la forza risultante su pezzo e su vite. Sulla vite mi aumenta la
trazione e quindi si sommeranno ottenendo: 𝑝𝑣 = 𝑝0 + 𝐹𝑣 (in modulo)
Sul pezzo invece si allenta la forza di compressione 𝑝𝑝 = 𝑃0 − 𝐹𝜌
Nota se ho una forza esterna di compressione cambio i segni delle forze
esterne.
𝑘𝑝
Nota: è importante mentenere un elevato rapporto cosi da scaricare
𝑘𝑣
la maggior parte della forza sui pezzi, il che è importante perché la forza
esterna va a sommarsi al precarico che non può superare un certo livello
e quind se la parte che va sulla vite ho meno problemi.
𝐸⋅𝐴
Per calcolare le rigidezze: per la vite ho 𝑘𝑣 = con A area resistente
𝑙
della vite (nocciolo circa) e l lunghezza utile della vite cioè la distanza tra
la testa e il primo dente in presa. Quindi se metto rosette o distanziali
aumenta l e quindi diminuisce la rigidezza.
Sul pezzo; Si tracciano due tronchi di cono che hanno come base minore
la testa della vite e la rosetta o il dado, inclinati di 45°. I due tronchi si
𝐸⋅𝑆 𝐷⋅𝑑0 ⋅𝜋
incrociano a metà. 𝑘𝑝 = con E e l come prima e 𝑠 = con D
𝑙 4
diametro maggiore e d0 diametro inferiore del tronco di cono. Nota se i
d0 sono diversi sopra e sotto i due tronchi non si incontrano a metà.

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Nel caso della mordente si traccia il solito cono a partire dalla testa o
dalla rosetta, poi si prende una lunghezza della vite pari a metà della
parte in presa o a volte pari al raggio (non si supera mai il diametro) e si
prende un d0 tracciano l’altro tronco di cono. Una volta fatto ciò si
procede come sopra.
Nota; solitamente per i valori che si usano comunemento si ha
𝐹𝑝 ≈ 0,9𝐹
Se si mette una rosetta di elevato diametro quindi aumento la S e quindi
kp. Però è inutile se metto una rosetta larghissima e di piccolo sspessore
perché a quel punto non avrebbe lei stessa rigidezza.
Diagramma triangolare:
nel grafico di sinistra è rappresentato cosa
succede quando applico un precarico a una vite
e a un pezzo. Siccome la rigidezza lega il carico
all’allungamento si può
esprimere come arctgkv
l’angolo in figura. Per
quanto riguarda il pezzo
si vede che c’è una
rigidezza maggiore, retta
piu pendente ma è nella parte negativa perché
ho compressione. Posso ora unire i due
diagrammi e si incontrano in corrispondenza di
Po. Se ora ci applico un carico F e la trasliamo
finchè non incontra la retta di rigidezza del pezzo
e poi quella della vite trovando A e B. A e B
rappresentano sull’asse delle ordinate il carico complessivo che
agiscono su pezzo e vite. (Nota, carico a trazione verso il basso a
compressione verso l’alto). L’rdinata di A non dovrà mai superare il 70%
del carico di snervamento e la B non dovrà mai diventare nulla, sennò
avrei annullato il precarico.
Elementi contro lo svitamento:

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Effetto di
una rosetta elastica visto nel diagramma triangolare.
Mettendo la rosetta aumento un po la base del
tronco di cono e quindi la rigidezza (*). Però ho
un cambio di pendenza, che avviene quando i
pezzi si iniziano a staccarsi e la rosetta visto che è
elastica si allunda in direzone verticale, e facendo
ciò continua a mantenere in contatto i pezzi ma la
sua rigidezza è bassissima rispetto a quella dei
pezzi e si ottiene una retta molto più piatta.
Questa cosa però ci aiuta perché la forza senza
rosetta sarebbe F1 mentre con il sitema pezzo piu rosetta con la stessa
f1 non si arriva a annullare il precarico perché cambia la pendenza. La
forza che questa volta mi annulla è F2. Inoltre poiché è maggiore mi
fornisce anche un ulteriore garanzia contro lo svitamento (perché serve
una forza maggiore per portare al completo annullamento del
precarico).
Resistenza a fatica:

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Essenzialmente in tre punti; sul raccordo alla testa (15%),


sul filetto più vicino alla testa (20%) e sul ptimo filetto in
presa (65%). Sono infatti zone con effetti di intaglio. E il
primo filetto in presa che è quello che si prende il carico
più alto. Per migliorare la
situzione. Nella figura 1 si può notare
l’andamento delle tensioni su in dado
classico. In alcuni casi come si usano dei
dadi diversi alleggeriti come in figura 2 o in
figura 3. Nella tre si vede che il dado ha
una sezione che va a rastremarsi e quindi essendo
più sottile. Quindi nella zona della vite dove
andrebbe a caricarsi di più trova la madrevite più
cedevole, ma se il dado cede scarica la
sollecitazionesu quello dietro e quindi si
ridistribuise meglio la tensione, discorso analogo
ma più economico per la figura 2 (poco usati).
Nota: anche dal puntodi vista della fatica piu si
riesce a ridurre il carico che va sulla vite meglio è.
Se ho viti con grandi carichi ortogonali al loro asse e l’attrito non è
sufficiente a tenerlo si possono aggiungere altri elementi che lavorando
a taglio garantiscono la tenuta. Ad esempio spine o simil-lingette.

Se ho un certo numero di viti con


queste formule si può trovare il
baricentro. Nota; solitamente in
realtà sono sempre su una
circonferenza o ai vertici di
quadrati/rettangoli quindi
raramente servono.
La ripartizione dei carichi invece ci
dice che il momento risultante è la somma dei vari momenti sulle viti

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𝑀 = 𝑇1 𝑟1 + 𝑇2 𝑟2 + ⋯
Viti di manovra:

Nel secondo se blocco


in qualche modo la
madrevite faccio
traslare il sistema.

Dimensionamento: Si usa la pressione specifica. Suppone che più filetti


si prendono il caso ma circa 1/3 del carico se lo prende il primo in presa e
poi si considera che so distribuisce uiformemente sul filetto.
𝑝∕3
𝑃𝑠 = 𝜋 ≤ 𝑝𝑎𝑚𝑚 Nota che al denominatore c’è l’area del filetto.
(𝑑𝑒2 −𝑑𝑖2 )
4
(ps pressione specifica) solitamente pamm si aggira intorno ai 5/10 Mpa.

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Questa verifica che è di tipp statico si affianca ad uun altra di tipo


dinamico che si utilizza in casi di viti di manovra che si spostano con
continuità e elevate frequenze. 𝑝𝑠 ⋅ 𝑣 ≤ (𝑝 ⋅ 𝑣)𝑎𝑚𝑚
Voglio ora calcolare la coppia per far girare la vite e far scorrese la
madrevite. Ipotizziamo che tutta la forza agisca su in filetto. Sviluppo
nuovcamente il filetto e ottengo il triangolo in figura. Applicare la coppia
equivale a spingere il triangolo lungo l’orizzontale. Tra vite e madrevite si
eserciterà una forza N e quindi anche l’attrito. Si prende l’asse x
orizzontale e l’asse y verticale nel punto considerato e scrivo l’equilibrio.

Mi interessa trovare il legame tra Tab e R.

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MOLLE

Sono elementi
meccanici
caratterizzati da
un’ampia capacità di
deformarsi
elasticamente.

Le molle solitamente si classificano in base alla sollexitazione a cui sono


soggette e non al carico esterno applicato, (nota che solitamente si ha
una sollecitazione prevalente ma non ce ne è una sola) si ha quindi:

il materiale più utilizzato è l’acciaio ad alta resitenza (acciaio armonico).

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Si può notare come ci sia molto più altro il comportamento


in campo elastico però si nota anche che in cmpo plastico
regge poco. Quindi devo stare attento se si raggiunge lo
snervamento.

Gi acciai che si usano sono quelli in tabella.

La caratteristica essenziale di una molla è la sua


rigidezza; che lega la forza alla freccia
𝑑𝐹
𝑘= con f freccia.
𝑑𝑓
Se invece sto considerando una molla
𝑑𝑀
che lavora con momento avrò 𝑘 =
𝑑𝜃
Se la molla ha comportamento lineare le derivate si
trasformano in semplici differenze.
La molla in generale può avere tre comportamenti;

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Quelle linerari hanno che forza e freccia crescono insieme, quelle a


rigidezza crescente hanno che via via che aumenta la forza aumenta la
rigidezza (esempio molle in gomma), infine ci sono quelle a rigidezza
decrescente, che rappresentano il caso della molla a tazza.
Nota l’area sottesa dal grafico rappresenta l’energia immagazzinata.
Molle in PARALLELO
Sono molle messe una dentro l’altra in modo concentrico e con eliche al
contrario (ad esempio una ha elica verso ‘alto e l’altra verso il basso.
Quando sono in parallelo la forza di ripartisce per la maggior parte sulla
molla più rigide. Io applico una forza che si ripartisce tra le due molle ma
la freccia sarà la stessa (le muovo insieme). Poiché hanno
comportamento linere possi dire che; 𝐹 = 𝑓𝑘
Si vede quindi che la
rigidezza complessiva è la
somma delle singole
rigidezze.
𝑁

𝑘 = ∑ 𝑘𝑖
𝑖=1
Molle in serie:
Quando si va a applicare la forza
fF è evidente che questa forza
attraversa entrambe le molle
perché; se ho la F esterna dovrò
per il principio di azione e

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reazione avere una forza sul piano di appoggio (dove si scarica) ma se


ho f su e giù vuol dire che la forza F agisce su entrambe le molle. Segue
che la freccia sarà diversa, infatti la molla più cedevole si deformera di
più di quella più rigida.
Quindi il reciproco della rigidezza totale sarà la somma dei reciproci delle
𝑁
1 1
singole rigidezze. =∑ .
𝑘 𝑖=1 𝑘𝑖
Nella maggior parte dei casi la molla non lavora direttamente, cioè non
ho carico applicato direttamente sulla molla ma in altri punti e poi
riportato alla molla attraverso una leva. (esempio forcella della moto)
Esempio: vediamo la relazione tra rigidezza della molla e rigidezza del
punto di applicazione della forza.

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Barra di torsione:
Trave che lavora prevalentemente a torsione. Si ha una trave alla quale è
applicata una leva che serve per applicare una coppia. Per evitare che la
barra sia soggetta anche a flessione si usa un supporto per contrastare
la spinta che si genera per il teorema del trasporto (nota: la torsione è
costante su tutta la barra).

Le barre di torsione finiscono generalmente con teste di varia forma,


tale testa dovrà avere una lunghezza lk compresa in un certo intervallo.
Esiste inoltre un legame tra dimensione dela testa e raccordo, questo
perché la testa costituisce una
variazione di sezione e quindi un
intaglio, si usano infatti ampi
raggi. Il diametro della testa
andrà maggiorato perché
comunque ci sono effetti di
intagli visto che la geometria non
è regolare e
si vuole
ripristinare una
resistenza simile a quella
della parte ‘’liscia’’.
Per quanto riguarda la
lunghezza utile si considera anche una parte della
barra. Per capire quanto ne devo considerare si usa
un grafico.
Sollecitazioni:

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Si può notare come la rigidezza è inversamente proporsionale alla


lunghezza della barra. Questo mi dice che più faccio lunga la barra meno

sarà rigida!!
Nota attenzione a prendere diametri troppo grossi perché poi nella
relazione della rigidezza si ha il diametro alla quarta e cresce molto la
rigidezza costringendomi a fare la barra lunghissima per ottenere il k
voluto.
Nota: Poiché a me basta non entrare in campo plastico
molte volte nelle progettazioni delle molle si mettono dei
fine corsa in modo da porre un fermo mezzanico sulla
deformazione della molla e essere sicuri (cosi facendo si
possono prendere dei coefficienti di sicurezza molto piccoli, anche 1.1).
Si possono anche usare barre tubolari cave, poiché l’andamento della
torsione è a farfalla io la parte centrale la posso togliere perché
contribuisce poco e quindi risparmiare moltissimo in peso. Però è più
difficile da fare perché necessita lavorazioni più complesse ed essendo
soggetta a fatica dobbiamo garantire una buona finitura superficiale sul
foro.
Molla a elica cilindrica:
La più usata ed economica. Un filo di acciaio che viene avvolto a caldo o
a freddo. Possono essere di compressione o trazione.

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Passo distanza tra posizoni analoghe di spire consecutive.


Il fattore di avvolgimento ci dice quanto la spira è curva o
2𝜋𝑅
non curva. Vale 𝐶 = 𝐷⁄𝑑 𝐼𝑒𝑞 = 𝑖 ≈ 𝜋𝐷𝑖
𝑐𝑜𝑠 𝛼
Sollecitazioni: Ho una forza che agisce sull’asse della molla.
Se voglio sapere cosa succede sulla molla me la devo
riportare sul baricentro della spira con il teorema del
trasporto. Queste forze mi danno origine a uno stato di
sollecitazione di flessione, taglio, sforzo normale e torsione. Si può
dimostrare che la sollecitazione predominante è la torsione. È come s
svolvessi una spira e la incastrassi in un estremo e applicassi la forza F.
La freccia inoltre sarà equivalente allo spostamento dell’estremità della
trave.

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Dalla prima mi posso ricavare il diametro della spira o il raggio della


molla e dalla seconda per ottenere un k desiderato si deve scegliere un
giusto numero di spire e quindi una giusta lunghezza della molla. Nota
solitamente si imponono carico massimo, tensione massima e rigidezza,
determinando gli altri parametri, anche in base a esigenze di spazio etc..
Si deve però contare anche un fattore moltiplicativo maggiore di 1. Nella
trattazione infatti abbiamo
trascurato le sollecitazioni
dovute al taflio, le
sovrasollecitazioni dovute
all’effetto trave curva (no
s.v.). Si ottengono quindi
due coefficienti λ’ e λ’’ che
si trovano empiricamente.
4𝐶−1 0,61𝑠
𝜆′ = + con c
4𝐶−4 𝐶
coefficiente di
avvolgimento e 𝜆′′ ≈ 1 per
valori di c>4. Si può notare
come per per fattori di
avvolgimento molto piccoli,
il coefficiente λ’ cresce
molto e quindi porta a sollecitazioni molto grandi. Si sconsiglia di
prendere c<4 e se possibile di stare sopra il 6. Solitamente visto che si
deve andare iterativamente poiché non si conosce il c si pone λ’=4 cosi
da svrastimere leggermente la tensione e poi con il c che si trova si va a
prendere il λ’ giusto.

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Le molle sono solitamente fatte come nella 4 cioè sono al termine


ravvicinate e molate
(spianate). La
lunghezza libera della
molla rappresenta la
lunghezza della molla
scarica, mentre la
lunghezza a pacco
indica la lunghezza
quando la molla è al
massimo di
compressione.
Per quanto riguarda il passo, lo devo scegliere il più piccolo posibile in
modo che le spire non si tocchiono con la compressione massima. Nota
se definisco luce la distanza tra le spire ho che per la freccia che mi serve
devo avere almeno la freccia uguale alla luce per il numero di spire. Poi
per non arrivare a pacco maggioro un po la distanza. Nota non voglio
mai arrivare a pacco perché sennò la molla non è più un elemento
elastico.
Una mollo non guidata
appoggiata su un piano e
con un carico di
compressione presenta una
freccia critica (che poi da
origine a un carico critico).
Bisogna verificare cioè che la
freccia che ho non superi la
freccia critica. Se la supera bisogna cambiare molla o scegliere di guidarla
con un perno interno o un bicchiere esterno.
(Risonanza saltata)
Molladi trazione:
Le relazioni sono le stesse del caso a compressione però non sono
soggette a stabilità (proprio perché a trazione). Vengono avvolte in

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modo che le spire stiano in contatto tra loro cosi che si abbiano ridotti
ingombri e in modo che abbiano un precarico iniziale inferiore al carico a
cui poi sarà soggetta (se non lo facessi avrei allungamenti anche per
carichi molto inferiori a quelli di lavoro e quindi dovrei allngare
notevolmente la molla).
Ganci per le
estremità: le
soluzioni in
figura sono
tutte molto
economiche
perché si
fanno
direttamente
con il filo della
molla ma la
parte
all’attaccatura dove si piega sarà critica e soggetta a rotture. Infatti se si
hanno carichi molto elevati si usano soluzioni con gancio esterno.
Nota nell’ultima riducendo il diametro si aumenta la resistenza della

molla però variando il diametro si finisc per variare anche la rigidezza


della molla e diventa più complicato progettualmente. Nota i valori del
fattore di avvolgimento sono gli stessi di quelli del caso compressione.
Il precarico F, è la forza che deve essere applicata alla molla al fine di
superare la forza che tiene serrate le spire le une contro le altre.É
introdotto al momento della realizzazione della molla avvolgendo le
spire in modo che esse esercitino una certa pressione fra di loro. Le

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molle di trazione avvolte a caldo, o quelle avvolte afreddo che devono


subire un successivo trattamentotermico a caldo, non possono essere
ottenute con il precarico. Nelle formule si deve sostituire la forza F con la
differenza F-Fo.

Nota la resitenza del materiale dipende dal diametro.


La τ ammissibile dipende dalla resitenza a rottura poiché il campo
plastico è molto limitato è è più difficile trovare la resistenza di
snervamento. Se si calcolano i
valori dei coefficienti con
valori di coefficienti di
sicurezza non molto maggiori
di 1 si ottiene che
𝜏𝑎𝑚𝑚 ≤ 0,56𝜎𝑅
(per molle a freddo)

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Per qunto riguarda la fatica; Si calcolerà allo stesso modo le


sollecitazioni ma
troveremo una τ
massima e una minima, e
poi si usano dei
diagrammi che (Whaler)
che dipendono però
anche dal diametro da
cui verificare la molla.
Si possono avere però molle con passo o diametro variabile; Si fanno
molle a passo variaile perché se io le comprimo avendo tutte la stessa
rigidezza si avvicinano della stessa quantità, ma poiché la luce è diversa
le spire più vicine arrivano a pacco. In questo momento è come se avessi
una molla con minor numero di spire e quindi aumenta la rigidezza. Si ha
quindi un comportamento biliniare. Se io infatti faccio una molla con
molti passi diversi ottengo un grafico che può essere approssimato a
una parabola (si usa nelle sospensioni). Stessa cosa si ottiene con la
variazione del diametro perché la rigidezza dipende anche dal diametro;
quelle più grandi saranno meno rigide e quindi andranno a pacco pirma

(se il passo è costante). -


Molle di flessione:
Quelle a baestra sono
a volte usate per
elementi sospensivi. Le
molle a tazza hanno
elevata rigidezza e per

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questo solitamente se ne usa un certo numero messe in serie.


Si introduce un “coefficiente di utilizzazione” che rappresenta il
rapporto tra l’energia accumulata e quella che verrebbe accumulata se
tutto il volume della molla sosse
soggetto alla massima
sollecitazione riscontrata.
Rappresenta quanto sto
veramente sfruttando il
materiale. Nel primo caso si ha
trazione e il coefficiente è
unitario perché tuttoil materiale
è soggetto alla stessa σ e posso far lavorare tutto il pezzo alla tensione
ammissibile. Se invece come nella second applico torsione si ha che in
tutte le sezioni ho la stessa sollecitazione ma all’interno della sezione la
sollecitazione cala via via che ci si avvicina all’asse (Farfalla). Poiché
parto da un massimo e vado linearmente a zero si deduce che ne sfrutto
la metà. Nella flessione il fenomeno è ancora più marcato perché si ha
andamento a farfalla ma il momento flettente varia anche da punto
punto e quindi la sollecitazione massima si ha solo in due punti in
corrispondenza della τ massima.
Mi immagino una trave a balestra rappresentabile come cerniera carrello
con una forza in mezzo e tracciare il momento flettente. Se faccio una
trave a sezione costante avrò che anche la σ avrà un andamento

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𝑀𝑓
analogo poiché 𝜎𝑀𝐴𝑥 = ma se la sezione è costante lo è anche il
𝑤𝑓
modulo di resistenza w. Voglio quindi provare a variare la sezione in
modo da avere una sollecitazione costante. Si potrebbe fare una trave a
spessore parabolico ma è complicato, oppure farla a sezione triangolare.
Voglio vedere che succede in una sezione a distanza x dal punto A. Se
l’andamento è triangolare posso dire che esisterà una proporzionalità
tra x e b. Analizzando σmax si vede che la x va via e quindi che non
dipende più dalla distanza da A. Qundi si vede che se gli do una forma
triangolare la trave ha un uniforme sollecitazione. Quindi se prendo una
trave con la stessa h di prima ma con sezione rettagolare e di aver scelto
b e n in modo che la 𝜎𝑚𝑎𝑥 ≤ 𝜏𝑎𝑚𝑚 . Poiché però il momento nelle sezioni
adiacenti è minore ottengo che la sezione considerata sarà
sovradimensionata (dalla regione colorara) e la posso togliere perché è
inutile. Mi conviene anche toglierlo perché dal punto di vista delle molle
il materiale in eccesso contribuisce a irrigidirmi la molla. La balestra si fa
proprio così però si fa in più fette una centrale detta madre e poi ci si
mettono affianco altre fette pari alla metà della madre.
Si può notare come
l’inviluppo della
trave in basso sia
circa una parabola.
Le balestre si
usavano come
sospensioni perche
faceva sia da
elemento elastico
che da elemento
smorzante
(attraverso l’attrito
tra le stringhe).

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Molla a spirale piana:


La lamina poiché la avvolgo sempre di più (la curvo sempre più)
𝑐 6𝑐
è soggetta a flessione e quindi 𝜎 = = con c coppia.
𝑤 𝑏ℎ2
La rotazione di un estremo rispetto all’altro sarà la stessa delle
𝐶𝐿 𝑏ℎ3
molle di prima 𝜃 = (𝐼 = ) dove per lunghezza si
𝐸𝐼 12
indende la lunghezza di tutta la spirale svolta.
Molla ad elica a flessione:
(Quella delle mollette dei panni) Stesso concetto del caso di prima ma la
sezione non è più piana ma è circolare e quindi varia il Wf.

Il μ è un po l’equivalende del λ che avevo per le elicoidali a torsione.


𝐶𝐿 𝑐 𝐸𝐼
𝜃= 𝑘= =
𝐸𝐼 𝜎 𝑙
Molla a tazza:

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Non sono altro che dischi conici e di solito si tende poi a spianare gli
appoggi per garantire un miglior appoggio. L’altezza h si riferisce a
quella indeformata. Sono molle che devono essere per forza guidate
internamente o esternamente
sennò scivolano. Attraverso
combinazioni di serie e parallelo si
arriva alle rigidezze che si
desiderano. Fh forza che si deve
fare per portare la molla a pacco.
Si vede che per molle con rapporti
tr h/t piccoli il comportamento
della molla è crirca lineare, però
quando cresce si ha una rigidezza
decrescente. Si nota però che ad
un certo punto si ragginge un
massimo della forza per poi avere
un suo calo questo è interessante
perché mi dice che la rigidezza
diventa negativa. Queste molle
vengono infatti utilizzate nella
zona vicina al massimo perché
così ho una forza circa costante al
variare della deformazione della
molla (per piccoli intervalli di frecce).
Esempio della frizione antislittamento; voglio una coppia costante sulla
frizione anche dopo che il materiale di attrito si è usurato.

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TRASMISSIONI CON CINGHIE


Solitamente la scelta delle cinghie si basa sull’uso dei cataloghi e
raramente andranno usate le formle.
Sono elementi elastici che sono utilizzati per trasmettere il moto tra due
o più assi. Le cinghie sono fatte di gomma nella quale sono inserite delle
fibre di materiali molto più resistenti per garantire resistenza,
soprattutto a trazione.
Le più diffuse sono le
cinghie per attrito, cioè
si trasmette il moto
grazie all’attrito che si
genera tra cinghia e
puleggia grazie al
tensionamento che c’è
tra le due.
1. Cinghia piana; si avvolge su una puleggia che è un po bombata per
garantirne la stabilità. La cinghia ondeggia verso destra e sinistra e
la bombatura genera delle forze che la riportano verso il centro.
2. Cinghia trapezoidale; Sezione a trapezio e viene inserita in una
puleggia che ha pareti inclinate come un trapezio. Si viene a
generare una sorta di attrito virtuale tra le facce e questo consente
di trasmettere la stessa coppia con un tensionamento minore.
3. Poly-v: è un po un misto tra quella piana e quella trapezoidale
perché sfrutta l’inclinazione delle superfici per originare l’attrito
virtuale ma ha uno spessore più basso di quelle trapezoidali e
quindi ha più potere flessionale e quindi si può avvolgere su
pulegge più piccole.
4. Cinghie tonde: Hanno la caratteristica di adatttersi a percorsi molto
complessi tra assi anche sghembi. Sono però usate più per
trasmissione di movimento che per trasmettere coppie elevate.
Poi ci sono le cinghie sincrone cioè che garantiscono il sincronismo delle
parti in movimento
5. Cinghie dentate: sono le sincrone più importanti

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6. Cinghie perforate ci sono dei piolini che ingranano sulla cinghia


7. Cinghie con profili Insieme alle perforate sono molto rare.
Uno dei vantaggi è poter trasmettere il moto anche tra elementi a
distanze elevate, e quindi mi permette flessisbilità nella loro
disposizione. Non necessitano elevate tolleranze (sono elastiche), non
richiedono lubrificazione, ma richiedono regolare manutenzione. Se ci
sono sovraccarichi slittano e costano meno di catene e ruote dentate
(sono anche più silenziose), però trasmettono coppie più basse.
Permettono però
più alti rapporti di
compressione.
D1 e D2 sono i
diametri delle
pulegge, n1 e n2 il
loro numero di giri, I
l’interasse. Θ sono
gli angoli di
avvolgimento, L la
𝐷2 𝑛1
lunghezza della cinghia e v la velocità periferica. Si ha 𝜏 = =
𝐷1 𝑛2
rapporto di trasmissione.
Gli angoli di avvolgimento sono gli archi lungo il quale si ha contatto.
Si vede che l’angolo θ si divide in due zone; una, β in cui la cinghia
aderisce perfettamente alla puleggia, e una α in cui si ha strisciamento.
Immagino di montare la cinghia sulle pulegge tirando la cinghia o
spostando una puleggia. Inizialmente quando è tutto fermo sui due rami
abbiamo la stessa tensione. Quando mettiamo in rotazione però si ha
che la tensione nel ramo di sotto sarà maggiore e su quello di sopra
minore di quello iniziale. Questo si può vedere se immaginiamo di tenere
ferma la condotta e iniziare a far ruotare la motrice. Però se la tensione
varia tra sopra e sotto ci dovrà essere un transitorio che mi fa variare la
tensione; questo avviene proprio nel tratto dove c’è slittamento, cioè

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ogni trattino della cinghia slitta un po e quindi nacono delle


forzettine che tendono a contrastare lo slittamento e
quindi fanno abbassare la tensione. Immagino di inziare a
applicare una coppia piccola piccola; la differenza tra le due
tensioni sarà molto piccola e quindi l’arco dove c’è
strisciamento sarà piccolo. Ora aumento la coppia, l’arco
aumenterà di conseguenza, e continuerà ad aumentare via via che
cresce la coppia. Ad un certo punto si arriva alla condizione di α=θ e
quindi la cinghia sta slittando su tutto l’arco di abbracciamento, se si
aumenta ancora la coppia la puleggia gira e la cinghia slitta. Lo
slittamento inizia generalmente sulla puleggia più piccola (angolo di
abbracciamento più piccolo). Nota gli angoli α sono uguali perché in uno
dovrà avere passaggio da σc a σt e nell’altra da σt a σc. Aumentare la
coppia crea un allontanamento della tensione sui due rami ma di ugual
misura. Quando la tensione nel ramo lente si annulla (momento in cui β
diventa 0). Quindi se voglio rvitare lo slittamento mi conviene tendere di
più cosi da partite da tensioni più alte. Tuttavia tendere molto la cinghia
vuol dire aumentare le forze che si scaricano sui supporti e quindi non
posso aumentarla all’infinito.

𝑇𝑇
Le due forze T sono legate dalla legge = 𝑒 (𝑓𝛼) con f coefficiente di
𝑇𝐿
attrito cinghia puleggia.
La F dovrà generalmente essere circa 1/3 della forze di precarico.

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Conviene quindi utilizzare materiali hce


hanno alti coefficienti di attrito, tendere il
puù possibile la cinghia e poi aumentare il
più possibile l’angolo di avvolgimenti
(usando ad esempio dei tendicinghia). E SEMPIO DI TENDICINGHIA PER GRAVITÀ
Nota: i tendicinghia a gravtà o a molla
hanno il rischio di spostamento in caso di improvvise accelerazioni.
La cinghia con il tempo essendo elastica si può allungare plasticamente
e quindi si allenta. Le cinghie assorbono meglio i sovraccarichi ma di
contro rendono più irregolari le variazioni di rapporto di trasmissione nei
transitori (vale anche per le sincrone). Sui cataloghi dei costruttori sono
indicati i diametri mini delle pulegge su cui si possono avvolgere.
Durante l’avvolgimento le cinghie sono soggette a forze centrifughe.
Poiche si può considerare costante la velocità della cinghia le forze
centrifughe sono costanti e quindi su quella di diametro maggiore
saranno maggiori. Il loro effetto è di tendere a allontanare le cinghie
dalle pulegge e quindi di ridurre la forza con la quale sono schiacciate e
quindi le forze trasmissibili e inoltre in quella zona la cinghia è tesa , è
piegata ed è soggetta a forza centrifuga e quindi si ha la massima
sollecitazione. La forza centrifuga è inizialmente trascurabile, poi a un
certo punto diventa rilevante e poi per alti numeri di giri diventa
predominante. Poiché la forza centrifuga dipende dalla massa cinghie
più grosse devono lavorare a n minori. Se si aggiunge l’effetto della forza
𝑇1 −𝑞𝑣 2
centrifuga si ha ≥ 𝑒 𝑓𝑎 con q=massa per unità di lungezza.
𝑇2 −𝑞𝑣 2
(Sollecitazioni/dimensionamento slides, lo fa superficiale perché si usano
le indicazioni del costruttore).

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Il grafico mostra come crescendo il diametro


aumenta la potenza ma non posso spingermi
a alti numeri di giri e quindi la puleggia più
piccola recuperà un po con la possibilità di
spingersi a velocità più grandi.
Cinghie piane:
Hanno generalmente coefficienti i attrito tra 0.5 e 0.8.
Sono vendute in nastro e quindi si le chiudiamo noi alla
giusta lunghezza. La giunzione è consigliata fatta non
di testa ma vengono sovrapposte con vari metodi
come quello in figura, cercando di mantenere costante il diametro.
Cinghie trapezoidali:
Sono unificate. Hanno una sezione a v o trapezoidale.
Il contatto avviene sui fianchi e NON deve avvenire
sul fondo. Se toccasse sul fondo e quindi non spinge
bene sui fianchi e lavora come una cinghia piana.
La forza veriticale rappresenta la forza con la quale la
cinghia è spinta sulla puleggia in seguito al
tensionamento. Se la cinghia fosse piana la forza ma massima
trasmissibile sarebbe N*μ. Visto che nel mio caso il contatto non avviene

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sul fondo ma sui bordi si avrà che la forza si distribuirà metà a destra e
metà a sinistra e quindi che la forza tangenziale trasmissibile sarà μ*N/2.
Ma il fatto che ho l’inclinazione mi da origine anche a una reazione
orizzontale che poi va a sommarsi vettorialmente con quella orizzontale
𝑁
che sarà pari a ⋅ 𝑠𝑖𝑛 𝛽. In particolare visto che ho che la forza risltante
2
𝑁
𝑅= la forza tangenziale sarà poiché ho la reazione da entrambi i
2 𝑠𝑖𝑛 𝛽
2𝑁 𝑁 𝜇 𝜇
lati: 𝑇 = 2𝑅𝜇 = 𝜇= 𝜇=𝑁 . Ma se indico con 𝜇1 =
2 𝑠𝑖𝑛 𝛽 𝑠𝑖𝑛 𝛽 𝑠𝑖𝑛 𝛽 𝑠𝑖𝑛 𝛽
ottengo una formula analoga alle cinghie piane in cui riesco a sfruttare
una specie di coefficiente di attrito maggiore visto che il sinβ sarà
sempre minore di 1. (solitamente si prende β=18°)
Nota a volte si fanno delle scanalature per orizzontale per aumentare la
flessibilità. A volte si fanno lavorare anche in parallelo su puleggie con
più solchi cosi da poter trasmettere coppie piu alte (in prima
approssimazione si trasmette n volte la coppia). In questo caso è
importante mantenere gli assi ben paralleli.
Cinghie tonde:
lavorano su pulegge di forma opportuna e anche loro devono lavorare
toccando sul bordo. Sono generalmente molto elastiche e quindi non
sono in grado di trasmettere grandi coppie.
Poli-v: lavorano sullo stesso principo delle cinghie in parallelo. Possono
avere velocità molto elevate e rendimenti piuttorto buoni (0.9/0.95).
Cinghie dentate:
Rappresenta l’anello di collegamento tra la cinghia e la catena, cioè h i
vantaggi delle cinghie ma garantisce il sincronismo delle catene. Le
puleggie sono dentate e hanno dei bordi che contengono la cinghia.
Possono avere velocità alte ma minori delle piane e delle poly-v, ma
comunque più elevate delle catene. Inoltre hanno bisogno di molta
meno manutenzione. Nota oltre all’allineamento degli assi è molto
importante anche l’allineamento delle pulegge.

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CUSCINETTI VOLVENTI
Hanno lo scopo di permettere la rotazione relativa di
un componente rispetto ad un altro, evitando che ci
sia strisciamento, grazie al rotolamento di elementi
volventi. Sono costituiti da due anelli, uno solidale al
mozzo e uno all’albero, tra i quali sono ineterposti gli
elementi volventi. Sono formati da due anelli solidali
agli alloggi, una o più corone di corpi volventi che
rotolano su delle piste scavate sugli anellli, una
gabbia rotante che mantiene in posizione i corpi
volventi e infine eventueli guarnizioni o protezioni.
Richiedono di essere lubrificati.
Vantaggi: bassi coefficienti di attrito e quasi
indipendenti dalle velocità di rotazione, resitenza
all’avviamento molto bassa, non richiedono rodaggio, lubrificazione
semplice e quasi senza manutenzione , minore ingombro assiale e
maggior capacità di carico per unità di larghezza.
Svantaggi: il rumore, assorbono peggio le vibrazioni o gli urti, maggiore
ingombro radiale, montaggio più difficile , costosi rispetto alle bronzine
e non sono adatti a alte velocità di
rotazione. Per scegliere il cuscinetto si
deve considerare l’ingombro e gli spazi
che si hanno a disposizione poi il carico
(quanto è grande e la sua direzione). Ci
sono cuscinetti che reggono solo una
determinara spinta prevalente e altri
che posssono reggere cerichi combinati
(componente radiale + assiale). Posso
avere cuscinetti rigidi, cioè che non
permettono la rotazione relativa in
direzione dello spessore, e cuscinetti
orientabili che si usano principalmente
quando le sedi non sono allineate (o quando in casi particolari si hanno

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alberi flessibili). * nota mi serve una


tenuta perché la risultante delle forze mi
tenderebbe a spostare il rullo in
direzione dello spessore. Per carichi che
danno momento si deve usare
cuscinetti capaci di reggere anche le
coppie, come quelli in figura. Quando si
sceglie il cuscinetto si deve anche tenere conto del possibile
disallineamento dell’albero che può essere causato da difetti di
lavorazione delle sedi o da carichi di lavoro. Per quanto riguarda le
velocità di rotazione sono determinate da fattori termici, infatti
cuscinetti con attriti più bassi possono raggiungere velocità più alte
(principalente i radiali con carico puramente radiale gli obliqui a sfere con
carico combinato). Si considera infine la silenziosità (maggiore per quelli
a sfera) e la rigidezza (pi§ rigidi a rulli cilindri o conici.
Nota i cuscinetti orientabili a sfere non esistono a singola corona perché
rischiano l’impuntamento.
Cedimento del cuscinetto:
Principalemente si ha cedimento per fatica; le tensioni di contatto che si
sviluppano tra corpo e piste portano alla nascita di cricche nel sottopelle
della piste che poi si propagano e arrivano in superficie rendendo il
cuscinetto rumoroso. Poi i lubrificante che sono soggetti a pressioni
rilevanti ci si introduconoe facilitano i crearsi di crateri. Inoltre i detriti
possono portare al grippaggio. Nota; raramente si fanno verifiche
statiche sui cuscinetti. Si può avere poi cedimenti per insufficiente
lubrificazione (cricche superficiali), per disallineamento ( quando i
carichi il disallineamento tra gli anelli supera un certo limite e si ha un
contatto scorretto che aumenta le sollecitazioni e i rumore, per poi in
certi casi portare allo sgabbiamento del cuscinetto), per usura nella zona
tra anello e sede causata da interferenze insufficienti, o infine per
sovraccarichi statici (urti, inceppamenti… possono provocare
deformazioni permenenti dei corpi volventi e delle piste che provocano

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vibrazioni, rumorosità, aumento di attrito. Si ammettono deformazioni


fino a 1/10000 della dimensione del corpo volvente).
Dimensionamento:
Si dimensona per funzionamento dinamico o per funzionamento statico
(efferi e carichi dovuti alla velocità trascurbili). Il dimensionamento
statico viene comunque affiancato a quello dinamico quando siamo in
presenza di forti carichi d’urto.
Durata: numero di giri (o ore di funzionamento a una certa velocità
costante) prima che si verifichi il primo segno di fatica.
Poiché la durata di cuscinetti uguali non sarà sempre la stessa ci si
riferisce ad un ottica statistica, cioè si vede come la durata raggiunta o
superata (ad esempio) dal 90% dei cuscinetti di una campionatura
sufficientemente ampia. Questa durata statistica viene definita durata di
base. ( se considere il 90% l10 se considero 95% ho l5..). Nota: la formula
per determinare la durata base non considera la presenza di un limite a
fatica.
𝐶 𝑝
Da sapere a memoria: 𝐿10 = ( ) con
𝑃
• L10 è la durata vase in milioni di cicli
• C è il coefficiente di carico dinamico
• P è il carico dinamico equivalente agente sul cusinetto ( si trova
attraverso relazioni che fornisce il costruttore)
• P è l’esponent della formula della durata (fornito dal costruttore) .
3 per cuscinetti a sfere, 10/3 per cuscinetti a rulli.
1000000
La formula può essere trasformata in ore: 𝐿10ℎ = ⋅ 𝐿10 con n
60⋅𝑛
giri/minuto.
𝜋⋅𝐷
Oppure si può esprimere in km percorsi: 𝐿10𝑠 = ⋅ 𝐿10 con D
1000
diametro ruota (m).
180
Nel caso di movimenti oscillatori: 𝐿10𝑜𝑠𝑐 = ⋅ 𝐿10 con γ ampiezza
2𝛾
dell’oscillazione espressa in gradi.
La ISO 281-2007 prevede che in realtà la durata base va corretta con dei
coeffcienti; 𝐿10𝑚 = 𝑎1 ⋅ 𝑎𝑖𝑠𝑜 ⋅ 𝐿10 con:

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a1 fattore correttivo della durata relativo


all’affidabilità scelta (è 1 se voglio un L10,
minore di 1 se voglio ad esempio un L5), aiso fattore correttivo relativo
alle condizioni di funzionamento (soprattutto dalla lubrificazione). Tiene
conto della presenza di un limite a fatica.
𝑐𝑢
𝑎𝑖𝑠𝑜 = 𝑓 (𝑒𝑐 ; 𝑘)
𝑝
Il fattore k è definito come il rapporto tra la viscosità cinematica del
lubrificante usato e quella del lubrificante che servirebbe per avere una
corretta lubrificazione alla temperatura di lavoro.

Il termine ec tiene conto del


grado di pulizia ( e
contaminazione/impurità) delle
condizioni di lavoro.
Carico equivalente:
Se il carico F sul cuscinetto è;
costante in dirazione, verso e
modulo e agente radialmente su
un cuscinetto radiale o centralmente su uno assiale, si ah che P=F. In
caso contrario è necessario arrivare a un carico equivalente, che soddisfi
le condizioni precedenti.
In un cuscinetto radale se nasce anche un carico assiale esso influenza il
carico equivalente solo se il rapporto Fa/Fr supera un certo valore noto
una volta noto il tipo di cuscinetto. Stessa cosa per cuscinetti assiali che
possono sopportare carichi radiali.

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Nel caso ci siano sia carichi assiali che radili entambi rilevanti
si definisce: 𝑃𝑒𝑞 = 𝑋 ⋅ 𝐹𝑟 + 𝑌 ⋅ 𝐹𝑎 con X fattore relativo al
carico radiale e Y fattore relativo a quello assiale.
Se ho un certo numero di forze che rimangono costanti per
un certo numero di giri, ma che sono di ampiezze diverse, si
𝑝 𝑝 𝑝
𝐹1 ⋅𝑢1 …+𝐹𝑛 ⋅𝑢𝑛
ha carico medio approssimato 𝑃𝑞 = √ con u
𝑈
numero di giri in cui la forza è costante e U il numero di giri
complessivo (si può usare anche per carichi che variano in modo
coninuo ma che si possono approssimare costanti in certi intervalli).
Il dimensionamento statico viene effettuato quando il
cuscinetto: non ruota ed è soggetto a carichi continuativi od
intermittenti (per
urto), compie movimenti lenti di oscillazione o di allineamento, in
presenza di carichi, ruota, sotto carico, a velocità molto bassa e si
richiede solo una breve
durata, ruota e deve reggere, oltre ai normali carichi di lavoro, forti
carichi d’urto che agiscono nel corso di una frazione di giro. In tutti
questi casi il carico ammissibile su
un cuscinetto viene
determinato non
dall’affaticamento del materiale
ma dalle
deformazioni permanenti
provocate in corrispondenza della
zona di contatto fra corpo volvente e pista.
Durante il funzionamento un cuscinetto dovrà essere sempre soggetto
a un carico minimo che evita slittamenti corpi volventi-piste, che
comporterebbero una diminuzione della durata.
La resistenza al moto è causata da alcuni fattori;
▪ Attrito di strisciamento tra corpi volventi e piste
▪ Attrito di strisciamento tra corpi volventi e contatti sulla gabbia
▪ Attrito di strisciamento lungo le guide di corpi volventi e gabbia
▪ Attrito nel lubrificante
▪ Eventuale attrito in guarnizioni striscianti

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Tutte queste componenti danno luogo a un momento di attrito M


valutato sperimentalmente. Il coefficiente di attrito virtuale sarà quindi
2⋅𝑀
𝜇=
𝐹⋅𝑑
Per corpi volventi e piste si usano acciai induriti per avere alta resistenza
a usura e fatica (tempre, cementazione). Per le gabbie acciaio,
poliammide, ottone).
Protezioni:
Bisogna impedire che entrino impurità solide e umidità. Devono avere il
minore attrito possibile e incidere al minimo sull’usura. Si tiene conto di;
tipo di lubrificante, velocità periferica in corrispondenza della tenuta,
disposizione dell’albero e possibili disassamenti, attriti.
Si usano protezioni esterne non striscianti e quindi non soggette a
attrito e usura (adatte a alte velocità e alte temperature), oppure quelle
striscianti la cui azione dipende dalla pressione esercitata in
corrispondenza della superficie di strisciamento (si usano soprattutto
con oli). Si possono usare sennò protezioni incorporate, non striscianti
quando ci sono poche impurità e non c’è rischio di infiltrazioni di acqua,
vapore o altro, mentre si usano quelle striscianti se non sono previste
protezioni esterne per motivi di spazio o costi.
La lubrificazione si può fare con grasso o con olio, quella con grasso ha
come vantaggio che non servono controlli frequenti e inoltre viene
trattenuto anche quando l’albero è in verticale. Tuttavia, la lubrificazione
con grasso tende a far aumentare la temperatura specialmente se le
temperature sono elevate. Quindi generalmente si usa la lubrificazione
con olio se le velocità salgono troppo. La lubrificazione con grasso non
prevede il completo riempimento del cuscinetto ma solo meno del 30%.
Si può avere lubrificazione a bagno d’olio, cioè all’interno del carter nella
parte bassa ci deve essere un quantitativo d’olio (non deve raggiungere
un’altezza troppo elevata) e i corpi in rotazione quando passano
attraverso l’olio si bagnano e portano a giro il lubrificante. Non
garantisce però che l’olio arrivi nei punti più delicati della macchina. In
casi di necessità di lubrificazione più precisa si deve ricorrere alla
lubrificazione forzata che prevede un serbatoio (a valle di un filtro) dal
quale viene poi pompato il lubrificante nelle zone desiderate.
Solitamente poi il lubrificante viene convogliato nuovamente verso il
filtro e riutilizzato.

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Montaggio:
il modo più comune è quello detto “isostatico” che prevede che l’albero
sia sostenuto da due cuscinetti; uno costituisce un vincolo radiale e
assiale mentre l’altro solamente un vincolo radiale. In figura due esempi
che rappresentano
uno schema cerniera
carrello. In entrambi i
casi abbiamo che
quello di sinistra
funziona da cerniera e
quello di destra da
carrello. Si vede perché quello di sinistra è completamente bloccato.
Analizzando i cuscinetti a destra; quello a sfere si vede che l’anello
interno è bloccato mentre l’esterno è libero, così che il cuscinetto risulta
libero sulla cassa e bloccato sull’albero. Questo montaggio permette di
compensare eventuali imprecisioni di lavorazione e di tollerare delle
dilatazioni termiche del cuscinetto. Nella figura a destra è montato un
cuscinetto a rulli (del tipo che permette movimenti assiali tra gli anelli)
questa volta entrambi gli anelli sono fissati su cassa e albero e quindi
non si possono muovere, ma sarà il cuscinetto internamente che
permette questo scorrimento. Segue quindi che le due configurazioni da
un punto di vista vincolari sono identiche, anche se non lo sono in
termini di capacità di carico perché a parità di dimensioni un cuscinetto a
rulli ha maggior capacità di carico di quello a sfere. Gli anelli che sono
soggetti a carico rotante devono sempre essere forzati nella sede
mentre quelli che sono sulla parte fissa possono essere montati con
accoppiamento incerto, ed è per questo che nei disegni di prima si è
bloccato l’interno e non l’esterno. Invece per quanto riguarda il
cuscinetto che vincola anche assialmente è necessario bloccare
completamente gli anelli. In alcune configurazioni di cuscinetti obliqui si
blocco solo su un lato. Nota il solo montaggio con interferenza NON
garantisce il bloccaggio assiale.
In caso si sedi non allineate non possiamo usare cuscinetti rigidi. Nel
caso dei cuscinetti a sfere nasce una coppia che lo danneggia

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precocemente e se è molto grande a sgabbiarlo. Nel


caso di un cuscinetto assiale come nella figura 2 si ha
che tutto il carico si scarica su un solo cuscinetto. Nel
caso dei conici (fig 3) anziché avere il contatto sulla
generatrice di tutti i coni si ha contatto solo su alcuni
coni e non su tutta la generatrice e quindi si
sviluppano pressioni molto alte (stesso per la 4).
Nota le sedi dove si va a montare il cuscinetto NON
dev0no presentare discontinuità (scanalature, giochi
tra le metà delle tenute, albero che termina prima
della fine del cuscinetto, poggiarlo metà su cassa e metà su
tappo...). In caso di montaggi su materiali più teneri non si fa
battere direttamente il cuscinetto sul pezzo ma si usano delle
bussole. Gli spallamenti su cui va a battere il cuscinetto non
devono essere né troppo grande né troppo basso (se si supera gli
anelli interni posso arrivare a contatto con i corpi volventi o con le
gabbie). Gli spallamenti consigliati sono indicati nei manuali dei
cuscinetti. Se il diametro dell’albero è troppo piccolo si usano
degli anelli di spalleggiamento.
Si prevedono degli scarichi sull’albero così da far scorrere più
facilmente i cuscinetti durante il montaggio.
Anche i raccordi devono essere adeguati, i raggi di raccordo su cassa e
albero devono essere minori di quelli sui cuscinetti. Nota questo
comporta la crescita dei coefficienti di intaglio.
Questo è un montaggio a x; si vede infatti che
le linee di forza agenti sui rulli si incontrno in un
punto più interno di quello dei cuscinetti stessi.
Questa soluzione permette di spostare
l’azione delle forze, è l’equivalente di avere un
cuscinetto in asse con il punto P. Nota come
gli anelli esterni poggiano sugli spallamenti
verso l’esterno e quelli interni poggiano verso
l’nterno. Rispetto al montaggio a o ha il vantaggio che non necessita
spallamenti sulla cassa. Nota il montaggio ghiera controghera è
l’equivalente del dado-controdado. Il precarico nel montaggio dei
cuscinetti deve essere tale che nessuno si scarichi mai completamente.

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Ad esempio in questo caso se ho una forza verso sinistra il cuscinetto di


sinistra si caricherà maggiormante, quello di destra tende a scaricarsi ma
non si deve mai scaricare completamente.
A volte invece di fare gli spallamenti si usa cuscinetti con
anelli interni conici, sotto i quali si inserisce una bussola
conica e dall’altra parte si inserisce una ghiera che si va
ad avvitare sulla bussola. Avvitando la chiera si
tira la bussola sotto il cuscinetto così che
faccia da cuneo. Si genera una spint radiale
verso l’esterno che tende a bloccare il
cusinetto. Esiste anche la bullola di
compressione che invece di venir tirata sotto il
cuscinetto ci si spinge sotto.
Cuscinetti assiali:
Il montaggio è più corretto nella prima
immagine perché un cuscinetto assiale
non deve tenere carichi radiali (anche
perché non ne è in grado) e quindi va
montato lasciando gioco in senso radiale.
Inolte in questo modo eventuali errori di disallineamento
vengono compensati dall’anello che può spostarsi.
Come già detto il cuscinetto assiale va
precaricato in modo che nessun cuscinetto sia
mai scarico.
Quando si usano cuscinetto orientabile radiale
e in aggiunta un cuscinetto assiale orientabile
a rulli è necessario studiare le distanze in modo che

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convergono nello stesso punto. Se non


coincidessero il sistema non è più libero di
ruotare.
Il montaggio in tandem raddoppia la
capacità di tenere carichi assiali da una
direzione ( in figura verso sinistra). Il
montaggio a X e a O garantiscono una
tenuta in entrambi i versi ma con capacità
minori di quello a tandem. Il montaggio a
o consente di allontanare l’applicazione
delle forze dei cuscinetti. Se suppongo
che i due cuscinetti debbano reggere una
coppia le reazioni che si oppongono
saranno più lontane e quindi genereranno
una reazione più grande. Al contrario
quello a X mi diminuisce il braccio.
Se al contratio però se voglio un
montaggio con due cuscinetti che
però funzioni da carrello e non da
incastro se li monto a x porto al
minimo la sua capacità di resistere
al momento, e in alcuni casi se i due
vertici coincidono la porto a zero.
Cuscinetti
obliqui:
quelli a sfere sono l’equivalente di due cuscinetti
a sfere accoppiati a o che però hanno un solo
anello. Il vantaggio è guadagnare spazio
assialmente e quindi un cuscinetto più contatto.
Sono in grado di tenere carichi assiali in entrambi i
versi, il carico radiale e anche coppie.
Nota se l’abero è molto lungo il guadagno cìdi distanza che si ha
scegliendo il montaggio a O rispetto a quello a X diventa molto molto
meno marcato. Il precarico si controlla con la coppia di serraggio delle
ghiere che stringono.

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CUSCINETTI DI STRISCIAMENTO
Permettono la rotazione relativa tra albero e mozzo. Si ha rotazione tra
il cuscinetto e la superficie dell’albero. Possono essere fatti con due
principali modalità; o come elementi unici o in due metà. Molte volte
infatti il cuscinetto se è intero non può essere intero. I cuscinetti di
strisciamento si montano con un mandrino(cioè un alberio che si
inserice dentro la boccola e poi si inserisce nel foro). Si capisce quindi
che viene bloccato nel foro e deve possedere gioco rispetto all’albero (si
lasciano giochi intorno ai 1-5/1000 d dell’albero). Si usano quando le
velocià (tangenziali) sono piuttosto elevate, cioè con alte velocità di
rotazione o alti diametri (i volventi sono molto deboli alle velocità
tangenziali per le forze centrifughe che nascono), non avendo corpi
volventi sono silenziosi, e sono più leggeri. Infine sono economici e facili
da montare.
Lubrificazione:
serve ad asportare il calore, sopportare il carico e ridurre l’usura. Può
essere idrodinamica, mista, limite o idrostatica.
Lubrificazione idrodinamica: le superfici a contatto
sono separate da un meato di fluido e non si ha mai
contatto tra le creste delle superfici. Corrisponde alla
condizione di funzionamento ideale perché
garantisce il minimo attrito e si ottengono coefficienti di attrito tra gli
0.002/0.01 che sono comparabili con quelli volventi. Questa condizione
si può ottenere quando un albero che ruota in un foro come in figura.
Suppongo di avere inizialmente l’albero fermo, toccherà sulla bronzina
in un punto sulla verticale. Se ora inizia a ruotare, perché abbiamo
applicatp una coppia, inizailmente a bassa velocità c’è l’albero ched
cerca di salire sul foro (come una ruota che cerca di salire su una
superficie curva), questo fa si che il punto di contatto si sposta e quindi
nasce una coppia resistente. Piu grande sarà l’attrito più la forza si
allontanerà dal punto iniziale. Se questa rotazione la faccio lenta il
contatto continua a strisciare, ma se l’aumento inizia un flusso dell’olio

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che per trascinamento si inserisce sotto e ad un certo punto


l’albero si solleva perché si inserisce sotto un meato fluido e
da questo punto in poi non ho più contatto diretto. La
reazione sarà comunque un po spostata ma di poco. Il
coefficiente di attrito dipenderà dalla viscosita, la velocità
dell’albero e dal carico. Si vede come l’attrito inizia abbastanza
alto (valori tipici di metallo su metallo) rimane per un po costante, poi
raggiuge un minimo e poi ricresce. Nota: ad un certo punto attrito crece
nuovamente perché a velocità alte il fluidio ha anche lui un attrito
viscoso.
𝐹
Si definisce una pressione specifica convenzionale 𝑝 = rapporto fra la
𝐴𝑃
forza e l’area proiettara
d*l. Se la pressione
trovata è minore di una
certa pressione indicata
dal costruttore ha fatto
una sorta di verifica
statica.
Semilubrificazione (o
mista): quando si è
creato il meato ma non
è sufficientemente
spesso da impedire il
contatto su tutte le
creste, e le più alte si
possono toccare. (f tra
0.05/0.1). Nota che
queste condizioni si
vengono sempre a
creare, soprattutto in
fase di avvio e di fermata
della macchina.
Condizione limite:
quando non c’è
abbastanza olio la velocità è troppo bassa per la viscosità dell’olio e

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quindi c’è un po di lubrificante ma non si crea il meato e quindi si ha


contatto diretto ( f 0.1/0.2).
Idorstaatica: la stessa condizione che si viene a generare in quella
idrodinamica ma con la differenza che il meato fluido viene generato
non solo dal movimento ma ci viene pompato dentro.
Alcuni cuscinetti presentano dei solchi che sevono per convogliare l’olio
e quindi che venga verso l’interno e poi venga buttato fuori.
I materili per i cuscinetti di strisciamento devono avere bassi coefficienti
di attrito buona resistenza a compressione, buona durezza superficiali,
caratteristiche meccaniche costanti con la temperatura e buona
conducibilità termica per trasmettere il calore ai corpo che lo devono
smaltire, e devonono essere resistenti alla corrosione visto che stanno
comunque a contatto con il lubrificante.
I cuscinetti possono
essere composti da più
strati in diverso
materiale ad esempio;
strato di acciaio che fa
da struttura, e poi una
zona a basso attrito.
Poi sulla superficie ci
può essere un
rivestimento
autolubrificante che via via che si consuma lubrifica. In quello nella

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seconda immagine ci sono anche dei solchi lubrificanti dove al


montaggio si mette del grasso e poi non necessita più manutenzione.
Nella A si ha una semplice boccola che costituisce solo un vincolo
radiale, nella B invece si ha una boccola flangiata per reggere anche la
spinta assiale . Nota: il raccordo sulla boccola deve essere più piccolo di
quello sul foro. In alternativa come nella C si può montare la boccola
semplice più una ralla. La ralla si può montare come a sinistra
incassandola nella cassa e così si può mettere semplicemente una spina
elastica per renderle solidale, in quella a destra invece si avvita la ralla
(viti a testa incassata per non avere strisciamento sulla vite.
In figura ci sono degli esempi di montaggo. Nel

primo ad esempio la
flangia non deve essere di
diametro maggiore dello
spallamento perché sennò
, col tempo, lo spallamento piano piano mangia la
bronzina e si incunea dentro finendo per
dimanerci bloccato. Nella terza ci fa vedere che è meglio fare le
scanalature per trattenere l’olio nella bronzina e non nell’albero (piu che
altro per resistenza a fatica). Nella 5 stessa considerazione della 1 ma
radiale cioè anche in questo caso si rischia di mangiare la bronzina e
creare uno scalino. Per quanto riguarda il gioco non deve essere ne
troppo piccolo ne troppo grande, se è troppo grande si rischia che
l’albero cominci a oscillare nella bronzina che comporta urti, fenomeni
vibratori etc. Se non c’è abbastanza gioco si rischia il grippaggio.

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Anche questi cuscinetti possono necessitare delle protezioni che


vengono specificate sui cataloghi.
La prima rappresenta
un cerniera carrello
mentre il secondo un
ibrido, infstti per una
spinta verso destra il
cuscinetto a destra fa da cerniera e quello a sinistra da carrello, mentre
se la spinta è verso sinistra il contrario. Nel primo in generale si ha un0
schema di carico non simmetrco. Quello di sinistra una dilatazone
dell’albero spinge le boccoline verso fuori e tende anche a disassarlo.
Hanno un proporzionamento di tipo modulare e rapporto
𝑙 ∕ 𝑑 < 1,5 ∕ 2. È opportuno evitare di fare le boccole ne troppo lunghe
ne troppo corte (se la faccio troppo lunga la pressione non sarà mai
distribuita su tutta la lunghezza ma in realtà si scarica solo su una piccola
parte ).
Verifica a riscaldamento: oltre alla verifica di tipo statico, sulla pressione
specifica bisogna fare anche una verifica di tipo dinamco. Consiste
nell’andare a verificare che il prodotto pressione per velocità tangenziale
non superi un certo limite. Solitamente si ha statica 𝑝 < 𝑝𝑎𝑚 ≈
10⁄30𝑁 /𝑚𝑚2
e dinamica 𝑝𝑣 < (𝑝 ⋅ 𝑣)𝑎𝑚 ≈ 100 ∕ 300𝑁 ∕ 𝑚𝑚2 ⋅ 𝑚 ∕ 𝑠
Nei cataloghi si trovano grafici come in figura. Sono generalmente in
scala logaritmica e ci sono due zone la I in cui si fa solitamente lavorare il
cuscinetto e la II dove generalmente è sconsigliato falo lavorare, o
meglio si può stare li
solo sotto specifiche
condizioni. Nota c’è
una prima zzona limite
che limita la pressione e
qundi in sostanza si ha
la verifica statica, una
seconda in cui si ha
pv=cost e una terza
che limita la velocità.

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Ogni costuttore fornisce dati sulla verifica.

TRASMISSIONE CON CATENE


Si pone a metà strada tra ruote dentate e cinghie. Rispeto a ruote
dentate hanno in vantaggio nella trasmissione il moto tra assi lontane.
Se ben tenute e lubrificate hanno rendimenti molto elevati (95/98%).
Rispetto alle cinghie NON richiedono il precarico e quindi sollecitano
meno gli assi, hanno però bisogno di più manutenzione soprattutto per
lubrificarla. Sono più resitenti delle cinghie. Richiedono assi paralleli e
che le ruote siano sufficientemente allineate. Essendo una trasmissione
sincrona il rapporto di trasmissione non ha le fluttuazioni tipiche delle
cinghie. Essendo più pesanti sentono di più la forza centrifuga e quindi
hanno velocità più limitate. La maglia interna è costituita da due
piastrine , due bussole
che sono piantate nella
piastrina. Quindi le due
bussele non le piastrine
una volta montate sono
un pezzo unico. Poi nelle
bussole sono calettati
dei rulli (roller) che sono
invece folli. La maglia
esterna ha due perni
(generalmente pieni che
sono montati per
interferenza nelle
piastrine. Il movimento
relativo avviene tra il
perno e la bussola. In più
c’è il rullo che ha gioco
assiale e un po di gioco

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radiale e quindi si ha anche movimento tra


rullo e bussola. Il rullo serve ad aderire al
dente e a rotolarci sopra e lo strisciamento si
ha tra rullo e bussola, in questo modo si
salvaguarda i denti della corona. La catena
per sua natura comporta una certa
irregolarità del moto, questo perché la catena
se inizialmente si trova a una distanza rc
dall’asse dopo aver percorso un angolo pari a
metà del passo la distanza diviene r. quindi se
osserviamo il rullo si vede che fa su e giù. La
distanza tra i due raggi si chiama escursione.
Questa escursione fa si che cambi la coppia
trasmessa poiché cambia il braccio. Questa
irregolarità è si su pignone che sulla cotona.
Questa irregolarità decresce col crescere dei
𝛥𝑣 𝛥𝑟 𝜋
denti. = = 1 − 𝑐𝑜𝑠 .
𝑣 𝑅 𝑧
(Nella maggior parte dei casi non causa problemi). Scelta e
dimensionamento si fanno da catalogo.
Deve essere scelta e calcolata in modo
che non si rompa a trazione ma è
principalemte ncentrata sulla durata, un
po come per i cuscinetto. Si può notare
che p circa una curva di fatica. La linea s
è il limite di rottura della catena.
Generalmente viene consigliato di non
superare un limite dato dalla linea sotto.
Se si lavora sotto si ha un primo tratto

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che è un comportamento a fatica e poi per carichi molto bassi si lavora


sostanzialmente a vita infinita (se tenuta bene). Normalmente si lavora
nella zona intermedia. Per vedere se la catena è da cambiare si tira e si
vede di quanto si stacca il rullo (l’usura tende a allungre la catena). Se la
catena è usurata può saltare e può danneggiare i denti andando a
toccare in dei punti sbagliati.

RUOTE DENTATE
Sono l’evoluzione delle ruote di frizione, quando non si riesce più a
lavorare con il solo attrito si lavora con la pressione. Riescono a
trasmettere coppie molto più elevate. Hanno rendimenti molto elevti,
soprattutto se c’è adeguata lubrificazione.
Ingranaggio: meccanismo composto da due ruote dentate.
Rotismo: sistema composto da piu ingranaggi.
Treno planetario: rotismo in cui almeno uno degli assi ruota attorno a un
altro.
𝜔
Indice di riduzione 𝜏 = 1 con la 1 motrice o comunque quella in
𝜔2
ingresso. Si nota che se τ è positvo si ha riduzione del moto, sennò si ha
una accelerazione. Si può usare anche il rapporto di trasmissione che è il
reciproco di quello di riduzione.
𝑑 𝑝
La progettazione è modulare. 𝑚 = = ci dice sostanzalmente quanto
𝑧 𝜋
è grande il modulo. Nota in temini circonferenzali si vede che passo e
modulo sono proporzionali. Anche la
grandezza sarà proporzionale al modulo.
Anche l’altezza poiché solitamente
h=2.25d.
I moduli sono unificati (ISO 54) visto che
le ruote ingranano se hanno lo stesso
modulo. Angolo di pressione θ è la
direzione lungo la quale si scambiano le
forze. Si capisce che la forza si può
scomporre in due componenti; una utile e
una radiale che ha l’effetto di spingere le
due ruote. Entrambe queste forze

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tendono a far flettere l’albero e reazione sui supporti. Si vede che nei

due piani ho sforzi di trazione e quindi poi se faccio pitagora trovo la σ


complessiva (ho usato la sovrapposizione degli effetti). Nota che se ho
motore a sinistra la torsione si ha solo nella prima parte fino alla forza.
Si possono avere trasmissioni ad alberi paralleli coincidenti o sgembe. Si
hanno denti dritti se lo sviluppo dei denti è lungo l’asse, se è obliquo ho i
denti elicoidali. Le elicoidali soffrono di un ulteriore spinta lungo l’asse
che poi si scarica sui cuscinetti, per compensare questa spinta assiale si
usano le bielicoidali, Il ventaggio delle coniche è un ingranamento più
graduale (meno urti).
La trasissione vite senza fine- ruota conica ha il vantaggio di poter
ottenere indici di riduzione molto alti, poiché l’indice di riduzione è
anche il rapporto dei denti, la vite senza fine ha pochi principi ( principi,
cioè filetti indipendenti, sono cinemeticamente equivalenti ai denti). Ad
esempio se ho vita con un principio, e
ruota con 30 denti ho indice di riduzione
pari a 30. Nota nelle ruote non posso
avere indici di riduzione grandi perche il
numero dei denti minimo della minore è
limitato a 17 , e quindi per aumentare
devo fare riduttori multistadio. Il
problema di questi meccanismo è che il
rendimento è maggiore perché la

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trasmissione non avviene con rotolamento ma c’è tanto strisciamento


perché non ruotanp gli uni sugli altri. Inoltre non ammettono
generalmente moto retrogrado, proprio a causa del basso rrendimento.
Quindi non si usano mai per grandi potenze e per macchinari che
lavorano in continuo. Si usa quando ho necessità che impedisca il moto
retrogrado (esempio sollevatore) e si hanno usi brevi e pochi frequenti.
Anche l’elicoide si usa solo con basse potenze perché il contatto avviene
solo in un punto.
I materiali per ruote dentate devono essere resistenti
all’usura, alla fatica (herziana), deve resistere alla
flessione sui denti, deve essere lavorabile per
asportazione di truciolo, e deve essere compatibile
con trattamenti termici come cementazione, o
comnque trattamenti per indurire superficialmente il
dento ma mandenendo la tenacità dell’interno.
Le ruote dentate si fanno con, creatori, frese
strozzature, brocciatura, con dentiere utensili, ingenerale con utensili di
forma (che danno la forma al dente) o metodi per inviluppo in cui lo
stesso utensile si può usare per fare diverse ruote purchè abbiano lo
stesso modulo.
Il numero dei denti è limitato dall’interferenza e dal fatto che durante la
lavorazione se il numero dei denti è troppo piccolo si crea una zona di
sottotaglio che riduce la resistenza dei denti e può dare problemi di
ingranamento. Per θ di 20° si ha solitamente numero minimo pari a 17
2
(𝑧 ≥ 2 ).
𝑠𝑖𝑛 𝜃

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Se si vuole
fare un
numero di
denti minore
si può
ricorrere alla
correzione,
che consiste nello spostare verso l’esterno
o verso l’interno lo strumento che
utilizziamo per il taglio (se lo allontano
correzione positiva, se lo avvicino
negativa). Correzione si quantifica come
𝑥 = 𝛥 ∕ 𝑚.
Prendo ad esempio la ruota a 35 denti. Si
vede che una correzione positiva mi da un
dente più tozzo alla base ma più
appuntito, se invece la faccio negativa il
dente è più largo sull’esterno e più scavato
alla base. Quindi quando ho ruote con bassi numeri di denti posso
riuscire a eliminare il sottotaglio. Solitamente si fa una correzione
positiva di un certo valore sulla più piccola e si fa la steessa ma negativa
sull’altra cosi da mantenere l’interasse invariato. A volte si fa correzione
positiva su entrambe cosi da allontanarle e ottenere un po di gioco.
Il problema principale è l’usura più facile della rotuura del dente.

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Per la verifica a flessione si usa il metodo di Lewis che consiste nello


schematizzare il dente come una trave incastrata e si ha flessione
composta. Il carico durante l’ingranamento non è costante sulla
generatrice del dente. Anche la forza che ci si ripartiscono con i denti
non è costante. Formula di lewis:
𝐹𝑡𝑎𝑚 = 𝜎𝑎𝑚 ⋅ 𝑚 ⋅ 𝑏 ⋅ 𝑦 ⋅ 𝜂𝑑
La Ftam rappresenta la massima forza tangenziale trasmissibile. Il σ
ammissibile rappresenta lo sforzo ammissibile a fatica, si determina o sui
diagrammi di waler o sperimentalmente.
Con b lunghezza assiale del dente, cioè l’altezza dell ruota, y il fattore di
forma (puramente geometrico), che è funzione del numero di denti e
dell’angolo di pressione e ηd coefficiente di velocità che tiene conto dei
sovraccarichi dinamici.
In casi estremi si può rucavare la σ ammissibile senza dati sperimentali si
può usare quella a rottura divisa per coefficienti di sicurezza molto grossi
(3-6).
2,87
Per θ=20° vale 𝑦 = 0,48 − ci dice che se z è più piccolo y viene più
𝑧
piccolo e quindi l’y per la più piccola è più grande e quindi la ruota più
piccola è la più debole.
𝐴
𝜂𝑑 = con A parametro che dipende dal livello di preisione della ruota
𝐴+𝑉
e V è la velocità della ruota in m/s.
Nota l’altezza della rouota è anche funzione di m (perché siamo a
progettazione modulare) si prende b=10m o anche più in base alla
precisione dell’ingranaggio, questo perché se la lavorazione non è
precisa anche se faccio il dente più largo lavora su una parte ridotta del
dento. Se ho quindi lavorazioni poco precise conviene prendere ruote
non troppo spesse per umentare la probabilità che si lvori su tutto il
dente. Nota se la σ ammissibile l’ho presa sperimentalmente comprende
anche ηd e quindi non va messo nella formula di Lewis.
Verifica a usura:
si può avere pitting o spalling.
La verifica a usura si fa tramite una formula simile a quella della flessioe.
2
𝐹𝑡𝑎𝑚𝑚 = 𝑝𝑎𝑚 ⋅ 𝑚 ⋅ 𝑏 ⋅ 𝑓 ⋅ 𝜂𝑑
Al posto della σ si ha p e vale quanto detto prima sulla sperimentazione
2
𝑠𝑖𝑛 2𝜃 𝑧1 𝑧2 𝐸1 +𝐸2
e ηd. 𝑓 = ⋅ ⋅ ed è quindi funzione dei numeri di denti
1,4 𝑧1 +𝑧2 𝐸1 𝐸2

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delle ruote e dei moduli di elasticità. Per quanto riguarda gli altri dati
sono gli stessi di prima.
Se non si dispone di dati sperimentali si può trovare la pressione
5⋅𝐻𝐵
ammissibile come 𝑝𝑎𝑚 = 1⁄ con HB la durezza Brinell del materiale
𝑔 6
(con il trattamento superficiale). E g laa durata di funzionamento
prevista in milioni di cicli.
Questa forza ammissibile ci serve per calcolare la potenza ammissibile.
𝑃𝑎𝑚 = 𝐹𝑎𝑚 ⋅ 𝑉 se la potenza da trasmettere è inferiore a quella
ammissibile ok!
RUOTE A DENTI ELICOIDALI.
Si ottengono pensando di affettare la ruota in fettine di
spessori infinitesimi e di ruotarle poi diu un certo angolo.
Nota il dente rimane dritto ma è inclinato rispetto
all’asse della ruota. Modifica più importante si ha dal
punto di vista funzionale nell’introduzione di una forza
assiale. Si ha la Fn che poi si scompoe in tre componenti.
Per forti spinte assiali si deve usare le bi-elicoidali.
Vantaggi: ruote più silenziose, visto che l’ingranamento
è più graduale e quindi anche minor vibrazioni. L’angolo
β di inclinazione delle eliche è generalmente compresp
tra 10° e 20°, e al suo aumentare aumenta la spinta
assiale. Fattore di ricoprimanto del dente deve essere sempre verificato,
𝑏⋅𝑠𝑖𝑛 𝛽
cioè deve valere ≥ 1 in particolare per
𝑚𝑛 ⋅𝜋
avere più di un dente in presa. Per un
funzionamento più possibile umiforme è
opportuno avere un numero maggiore di 5
denti in presa contemporaneamente. Il passo e
il modulo si definiscon in modo diverso su si
guarda dall’altro o se si guarda normale al
dente. Il modulo unificato è quello normale al
dente perché in realtà si può fare con lo stsso
utensile dei dnti dritti inclinando la tuota di β.
La forza tangenziale è ancora la coppia sul
raggio e a partire da essa si può trovare quella radiale.
Verifica a flessione 𝐹𝑡𝑎𝑚 = 𝜎𝑎𝑚 ⋅ 𝑚𝑛 ⋅ 𝑏 ⋅ 𝑦 ⋅ 𝜂𝑑 ⋅ 𝑐𝑜𝑠 𝛽

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Il fattore di forma è calcolato considerando un numero di denti fittizio


𝐿⋅𝑓
trovato come z/cosβ. Lo spessore 𝑏 = 𝑟 dove fr è il fattore di
𝑐𝑜𝑠 𝛽
ricoprimento, e L’altezza della ruota.
Analogamente per la verifica a usura:
2
𝐹𝑡𝑎𝑚𝑚 = 𝑝𝑎𝑚 ⋅ 𝑚𝑛 ⋅ cos 𝛽 ⋅ 𝑏 ⋅ 𝑓 ⋅ 𝜂𝑑
Con f calcolato come in quelle a denti dritti ma facendo attenzione ad
utilizzare l’angolo di pressione normale.
Nota un β più alt0 comporta maggiori spinte assiali ma ingranamento
più omogeneo.
2 𝑐𝑜𝑠 𝛽
Il numero minimo di denti vale 𝑧𝑚𝑖𝑛 ≥ ma è comunque maglio che
⋅ 𝑠𝑖𝑛2 𝜃𝑓
ci si sta un po sopra soprattutto con ingranaggi veloci, vale comunque il
discorso sul numero corretto.
RUOTE CONICHE.
Le ruote coniche hanno i profili coniugati
che sono individuati su delle sfere.
Supponiamo di dover trasmettere il
moto tra due assi incdenti e in
particolare che siano ortogonali. Si
prende come centro della sfera
l’intersezione dei due assi, si traccia la
sfera e sulla sua superficie si tracciano gli
evolventi. Poi da queste curve si
mandano le generatrici uscendo dal
centro ottenendo la forma del dente.
Non si può definire un diametro primitivo
di riferimento perché ne ho due, quind ci
si riferisce a quello medio. Quindi in
pratica si divide a metà il dente e si
prende il raggio medio. Nota se si hanno coppie di ruote ortogonali si
ottiene che l’indice di riduzione viene 𝑖 = 1⁄𝑡𝑔 𝛼 con α angolo di
semiapertur della ruota motrice. Anche in questo caso, anche denti dritti
nescoo tutte e tre le componenti e la componente assiale sarà ancora
più grande.
Per quanto riguarda le forze si usano partendo dalla tangenziale e
ricavandole i funzione di essa. Nota la forza tangenziale si trasferisce

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all’altra ruota mentre le altre due si scambiano, cioè la forza assiale della
motrice diventa la radiale della condotta e viceversa.

𝑟
Per i calcoli di resistenza ci si riferisce ad un 𝑟 ∗ = 𝑚 cioè si considera
𝑐𝑜𝑠 𝛼
una suota cilindrica equivalente. Il fattore di forma si valuta novamente
𝑧 (𝑟 −𝑟 )
con un 𝑧 ∗ = e anche la lunghezza 𝑏 = 𝑚𝑎𝑥 𝑚𝑖𝑛 .
𝑐𝑜𝑠 𝛼 𝑠𝑖𝑛 𝛼
Nella trasmissione vite-ruota dentata il rendimento della cosppia è
datoda 𝜂 = 𝑡𝑔𝛼 ∕ 𝑡𝑔(𝛼 + 𝜑) con α inclinazione media della vite e φ
coefficiente di attrito (arctg f).
Segue che se voglio
mantenere alti tendimenti
devo abbassare l’attrito ma
soprattutto devo scegliere alti
angoli di inclinazione dell’elica.
In figura si vede il confronto
con un riduttore a ingranaggi.
Si vede che se voglio fare una
riduzione di 100 mi servono
tre stadi (0.97*0.97*0.97
viene un rendimento
comunque di circa 0.92). Con la vite si vede che via via che sale l’indice di
riduzione l’attrito cala notevolmente e butto via energia in calore e
quindi il meccanismo si scalda!

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Il corretto funzionamento di una trasmissione con ruote dentate


dipende da tutto il sistema, cioè dalla qualità di ruote, alberi, strutture di
supporto o contenimento (come cuscinetti, carter…), i materiali e
trattamenti, lavorazioni, tolleranze,lubrificazione.
Nota nelle tolleranze sull’interasse se tra le ruote si ha un minimo di
gioco, se il meccanismo non prevede cambi di moto, è accettabile
mentre se sono troppo vicini non va bene. Importante è anche il buon
parallelismo tra gli assi, errori comportano maggiori sollecitazioni sui
denti e usura, causati da uno scorretto ingranamento (si lavorano i
carter con un singolo piazzamento). I carter si ottengono per fusione, si
deve prevedere del sovrametallo in tutte le zone dove devo andare a
rilavorare, cioè tutte quelle dove si deve avere acoppiamento (circa il
2%), poi si devono fare i fori (nota le spine di centraggio si mettono il più
lontane possibile perché essendo
che si montano con un po gi gioco
o un po di forzamento più sono
lontane più è impedito il
movimento relativo tra le due
metà). Nell’ordine si spiana la
superficie di contatto tra le due
semimetà, si fanno i fori e si
filettano, poi si mettono le due
semimetà una sull’altra in modo
abbastanza preciso, si monta le viti
e si fa i fori per le spine e ce le pianto in questo modo se smonto e
rimonto sono sicuro di tornare sempre nella stessa posizione. A questo
punto posso andare a lavorare le sedi per le ruote dentate (con il
bareno), una volta lavorato posso montare gl alberi. Nota i fori per le viti
non garantiscono il centraggio (su uno il foro ha gioco!). Nota le
guarnizioni sono forzate nel foro e striscia sull’albero perché conviene
farle strisciare dal lato dove la velocità è più bassa, inoltre visto che serve
una buona finitura superficiale, conviene lavorare l’albero che il foro.
Nota quando la ruota è poco più grande dell’albero può essere
conveniente fare la ruota di pezzo con l’albero. Se è un riduttore si nota
subito che il moto entra dall’albero più piccolo.

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Per il giusto precarico sui cuscinetti devo dare le tolleranze tra i due
tappi, tra le superfici del carter tra gli spallamenti sugli alberi e sulla
lunghezza del dentino (celeste).

Collegamenti albero-mozzo
Il loro compito è trasmettere la coppia tra organi coassiali. Si deve
garantire il montaggio e lo smontaggio. In alcuni casi si richiede che ci sia
movimento relativo tra le due parti in altri casi devono essere fissate. Si
possono avere accoppiamenti di forma o geometrici (linguette, alberi
scanalati...), accoppiamenti geometrici precaricati (chiavette, bielle,
spine coniche), o accoppiamenti forzati.
Accoppiamenti di forma: Ci sono tre tipologie Albero scanalato,
linguetta incassata, linguetta a disco. Si può notare come nell’A ci sia
contatto solamente tra fianchi e base e ci sia gioco con la testa del
dente, e lo stesso anche nelle altre tipologie.

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Nell’albero in alto si
vedono tre tipologie
distinte di chiavetta.
La prima è una
chiavetta che ha la
sezione a trapezio
rettangolo in cui un
lato ha una certa
inclinazione, e si
sfrutta l’effetto
cuneo, cioè l’attrito
che si genera grazie
all’incuneamento tra
mozzo e albero.
Nota la chiavetta è
bloccata nella sede e
non ci può scorrere e
che tra linguetta
mozzo e albero
questa volta non c’è
più gioco. Nelle
chiavette con nasello
si può notare come
la cava sull’albero sia
molto più lunga perché solitamente (durante il montaggio) si fa scorrere
la chiavetta invece del mozzo. Il nasello serve principalmente per
l’estrazione. Le chiavette tangenziali sono montare in sezioni tangenziali
e non più radiali come prima. Se ne montano due contrapposte con
inclinazioni uguali. Questo offre il vantaggio di non dover fare lavorazioni
oblique (l’inclinazione si ha tra le due chiavette). La bietta è una sorta di
spina a sezione ellittica. Le spine coniche sfruttano ancora la conicità ma
richiedendo di fare un foro conico che è più difficile. L’accoppiamento
conico favorisce montaggi e smontaggi.

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Tutti i collegamenti albero mozzo sono soggetti a effetto di intaglio.


Linguette-chiavette: sono regolate da tre norme una per il tipo, una per
le dimensioni e una per le esecuzioni. Si vede che una linguetta necessita
una cava sia sull’albero che sulla cassa. Necessita un leggero forzamento
sui fianchi e gioco radiale. La A è a sezione rettangolare con raccordi di
metà dell’altezza b e ha una cava che è uguale in negativo, la cava sul
mozzo invece sarà una cava tutta lunga. Come tutte le linguette è
caratterizzata da tre parametri; la larghezza, l’altezza e una lunghezza
che poi avranno i loro effetti sulla resistenza. La tipologia B invece è
dritta ed analoga alla A ma viene usata su cave lunghe. L norme ci

indicano i dettagli.
Le cave per linguetta A è necessario usare una fresa a bottone o a
candela che deve avere esattamente il diametro desiderato. Per la
tipologia B si può invece usare una semplice fresa a disco.
In tabella si può notare che le dimensioni delle linguette sono
proporzionali alle dimensioni dell’albero e si può vedere che come
possono essere rettangolari o al massimo quadrate. Il parametro più
importante è b che si vede ha una serie di tolleranze h9 (ora si sta più
sull’h7) quindi siamo a una situazione di foro base. Per il foro si usa ℎ7 ∕
𝑁9 che è un accoppiamento incerto. Ci sarebbe anche l’H9, se si vuole
andare verso maggiori interferenze. Solitamente si usa P9 nell’albero e
J9 su mozzo.
Linguetta tipo x larghezza x altezza x lunghezza e poi la norma di
riferimento.

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Ci sono delle linguette con dei fori per montare viti incassate.
Richiedono un foro filettato sull’albero e con gioco sulla linguetta. Si
usano quando non
si vuole usare
tolleranze troppo
strette e quando
l’albero gira troppo
velocemente e
tende a farla andare
via. Il foro nel
mezzo è per
estrarre la linguetta
inserendoci una
vite.

Si deve fare una verifica sella pressione sui fianchi e di taglio sulla sezione
di confine.

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2𝑏 𝑝𝑎𝑚
Se uguaglio i due membri ottengo = quindi se la linguetta è
ℎ 𝜏𝑎𝑚
quadrata si ha resistenza uguale a tagli o pressioni specifiche. E quindi
generalmente stiamo tra 1 e 2. Nella realtà le pressioni non saranno
costanti ma saranno decrescenti a partire da dove arriva il moto. Si
usano materiali in modo che l’elemento debole sia la linguetta (che è

molto economica).
In realtà si fa così; se ad esempio abbiamo un albero di d=20mm
possiamo ad esempio prendere una linguetta 6x5 e lunghezza linguetta
30mm.
Si possono avere tre casi di montaggio; mozzo
che può scorrere assialmente, con bloccata una
direzione o completamente bloccato.
In caso di mozzi piccoli o alberi cavi si possono
usare linguette ribassate che sono anch’esse
normate che hanno larghezza pari al doppio
dello spessore. Se si hanno spessori del mozzo
particolarmente sottile è sconsigliabile realizzare
la cava e quindi si fa la linguetta di pezzo con
l’albero.
Linguette a disco o americane: sono facili da realizzare perché si
possono fare tagliando i dischi interi, e anche la cava è semplice. Si
usano principalmente per accoppiamenti conici quando non basta il

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forzamento poiché è più facile da realizzare. Il difetto è che si scava


molto e quindi si hanno alti effetti di intaglio.
Profili scanalati:
Il sistema che permette di trasmettere le
coppie più elevate e garantisce il
centraggio. Però richiede lavorazioni
costose (brocciatura). I denti possono
avere profili con fianchi paralleli o con
evolvente di cerchio. Generalmente i denti
si cementano. Quelli ad evolvente riescono
a trasmettere forze più elevate. I diritti per
fresatura evolvente per inviluppo mozzo
brocciatura. Si definisce l’appoggio il
rapporto tra la lunghezza radiale totale di appoggio dell’appoggio
dell’accoppiamento (altezza*ndenti) e il diametro dell’albero. Piu
questo parametro è grande maggiore è la capacità di carico del profilo.
Si ha appoggio stretto (il momento trasmissibile dello scanalato è
minore di quello dell’albero) medio (momenti circa uguali) in cui che

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consente lo scorrimento di mozzo su albero sono in assenza di carico e


poi quello ampio che permette lo scorrimento anche sotto carico.

Il coefficiente di utilizzazione delle linguette tiene conto del fatto che il


profilo scanalato è assimilabile a una serie di linguette poste sulla
circonferenza. Chiaramente a causa delle inevitabili impefezioni
geometriche non tutti i denti sono caricati omogeneamente e quindi ho
meno che n volte la forza trasmissibile dalla linguetta.

Noto m, Ω, k e scelto il diametro si trova l. Poi si dovrà verificare la


congruenza geometrica (l/d non troppo elevati, generalmente è 3-4
volte).

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Chiavette:
oggi si usano meno. Funzionano per forzamento a freddo tra mozzo e
albero. Sono inclinate con angolo standardizzato (1/100). Il fatto che
sono inclinate ci costringe a fare anche le cave sul mozzo inclinate, a
meno che non si usi la doppia linguetta come nelle tangenziali. Lavorano
a sforzo normale, cioè sono schiacciate. La trasmissione avviene per
attrito che si viene a generare sulle superfici superiori e inferiori. Il loro
problema è che il forzamento tende a spingere il mozzo verso l’esterno
rispetto all’albero che tende a generare disassamenti che per macchine
che ruotano veloci provocano vibrazioni. Sono tuttavia interessanti per
applicazioni a basse velocità in presenza di inversioni di moto (è
forzata). Il dimensionamento si fa in modo geometrico i=1.5d con d
diametro dell’albero. Le ribassate possono trasmettere circa la metà
della coppia e le concave 1/3.
Le biette si dimensionano a taglio.
Spine:
possono essere cilindriche o coniche. Le spine elastiche sono realizzato
con acciai armonici. Si infila nel foro e tendendo ad allargarsi.

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