Sei sulla pagina 1di 392

LA FORMAZIONE DI BASE DEL DOCENTE

DI ITALIANO A STRANIERI

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
ci
c
na
Bo
©
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
PROGETTO ITALS
CA’ FOSCARI

LA FORMAZIONE DI BASE
DEL DOCENTE
DI ITALIANO A STRANIERI

ti.
va
er
ris
tti
iri
a cura di
id

Roberto Dolci e Paola Celentin


ti
ut
.T
re
ito

2a edizione riveduta e aggiornata


ed
ci
c
na
Bo
©

Bonacci editore
ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi
mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i paesi.

Printed in Italy

Bonacci editore
Via Paolo Mercuri, 8
00193 ROMA (Italia)
tel: (++39) 06.68.30.00.04
fax: (++39) 06.68.80.63.82
e-mail: info@bonacci.it
http:// www.bonacci.it

© Bonacci editore, Roma 2000


ISBN 88-7573-369-4
indiCe

Introduzione ................................................................................................ 9

Parte Prima.
Coordinate teoriChe ............................................................... 11
Capitolo 1
PER UNA DIDATTICA UMANISTICO-AFFETTIVA
DELL’ITALIANO ....................................................................................... 13
Paolo E. Balboni

ti.
Capitolo 2

va
LA FIGURA E LA FORMAZIONE DELL’INSEGNANTE

er
DI ITALIANO LS ...................................................................................... 20

ris
Roberto Dolci

Parte seConda. tti


iri
aPPorti interdisCiPLinari
id

aLL’insegnamento deLL’itaLiano a stranieri ................ 31


ti
ut

Capitolo 3
.T

GLOTTODIDATTICA SOCIO-VARIAZIONALE DELL’ITALIANO


re

COME LS. L’APPROCCIO SOCIO-GLOTTODIDATTICO .............. 33


ito

Matteo Santipolo
ed

Capitolo 4
TEORIA LIGUISTICA E INSEGNAMENTO
c ci

DELLA GRAMMATICA .......................................................................... 42


na

Laura Brugè
Bo

Capitolo 5
©

LA FONETICA DELL’ITALIANO E IL SUO INSEGNAMENTO ..... 62


Luciano Canepari, María Emilia Pandolfi
Capitolo 6
LA CULTURA E LA CIVILTÀ ITALIANE E IL LORO
INSEGNAMENTO IN UNA PROSPETTIVA INTERCULTURALE ... 77
Elisabetta Pavan

5
Capitolo 7
IL LEXICAL-APPROACH E I PROCESSI DELLA MEMORIA.
ALCUNE CONVERGENZE ..................................................................... 87
Mario Cardona

Parte terZa.
metodi e teCniChe .................................................................... 101
Capitolo 8
INSEGNARE ITALIANO ALL’ESTERO: CENNI PER UNA
GLOTTODIDATTICA A MISURA DI BAMBINO .............................. 103
Maria Cecilia Luise
Capitolo 9

ti.
va
ITALIANO COME LS PER ADULTI:
COORDINATE DIDATTICHE DI RIFERIMENTO ........................... 117

er
ris
Chiara Zamborlin
Capitolo 10
tti
iri
L’UTILIZZO DEI MATERIALI AUTENTICI
id

NELL’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO COME LS .................... 133


Barbara Spinelli
ti
ut

Capitolo 11
.T

LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ PRODUTTIVE .............................. 148


re

Maddalena Angelino
ito
ed

Capitolo 12
LO SVILUPPO DELLE ABILITÀ RICETTIVE ................................... 168
ci

Elena Ballarin
c
na

Capitolo 13
Bo

LA VALUTAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI LINGUISTICI ..... 180


Rita Minello
©

Capitolo 14
LA RICERCA-AZIONE ........................................................................... 196
Maria De Luchi
Capitolo 15
LA LETTERATURA NELLA CLASSE DI LINGUA .......................... 211
Giovanna Pellizza

6
Capitolo 16
LA DIDATTICA DELLE MICROLINGUE .......................................... 227
Paola Begotti
Capitolo 17
L’ITALIANO COME LINGUA VEICOLARE:
INSEGNARE UNA DISCIPLINA ATTRAVERSO L’ITALIANO ....... 241
Graziano Serragiotto

Parte QUarta.
strUmenti e sUPPorti Per L’insegnamento ...................... 255
Capitolo 18
INDICAZIONI PER L’ANALISI DI MANUALI

ti.
va
PER L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO LS ................................ 257
Marina Biral

er
ris
Capitolo 19
L’UTILIZZO DEL VIDEO NELLA DIDATTICA
tti
iri
DELL’ITALIANO LS ............................................................................... 266
id
Paolo Torresan
ti

Capitolo 20
ut

SOFTWARE NELLA DIDATTICA DELL’ITALIANO LS .................. 278


.T

Paola Celentin
re

Capitolo 21
ito

INTERNET PER LA DIDATTICA DELL’ITALIANO LS .................. 289


ed

Marco Mezzadri
c ci

Parte QUinta.
na

La formaZione ContinUa ....................................................... 301


Bo

Capitolo 22
©

L’IMPORTANZA DELLA FORMAZIONE PERMANENTE .............. 303


Paola Celentin
Capitolo 23
L’OFFERTA FORMATIVA PER I DOCENTI DI ITALIANO LS ....... 310
Maria Angela Rapacciuolo
Capitolo 24
L’OFFERTA EDITORIALE PER I DOCENTI DI ITALIANO LS ...... 322
Mara Salvalaggio

7
Parte sesta.
Le istitUZioni e i Casi ............................................................. 335
Capitolo 25
LE ISTITUZIONI E LE LEGGI. LA FIGURA
DELL’INSEGNANTE DI ITALIANO ALL’ESTERO ........................ 337
Silvana Vassilli
Capitolo 26
ITALIANO LS ALL’UNIVERSITÀ:
LA KOÇ UNIVERSITY DI ISTANBUL ............................................. 348
Cinzia Ciulli, Stefania Ciurli
Capitolo 27

ti.
CORSI DI LINGUA E CULTURA. ABC OVVERO

va
ISTRUZIONI PER L’USO (LIVELLO MEDIO, SVIZZERA) ............ 352

er
Anna Maria Marzorati

ris
Capitolo 28
tti
LA SCUOLA STATALE ITALIANA DI BARCELLONA .................... 357
iri
Silvio Santagati
id

Capitolo 29
ti
ut

L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO LS
.T

NELLE SCUOLE TEDESCHE .............................................................. 362


Nives Winkler
re
ito

Capitolo 30
ed

ITALIANO LS ALL’INSTITUTO SUPERIOR DEL PROFESORADO


“JOAQUÍN V. GONZÁLEZ” DI BUENOS AIRES .............................. 375
ci

María Emilia Pandolfi


c
na

Capitolo 31
Bo

L’INSEGNAMENTO DELL’ITALIANO LS
ALL’ISTITUTO ITALIANO DI CUTURA DI MADRID:
©

INSIEME PER MIGLIORARE ............................................................... 379


Marilena Da Rold

8
introdUZione
Questo volume rappresenta la seconda edizione del precedente “La for-
mazione di base del docente di italiano a stranieri”. Questa edizione non è
stata solamente completamente riveduta e corretta, ma lo stesso impianto è
stato in parte modificato e sono stati introdotti molti aspetti del tutto nuovi.
Le premesse epistemologiche e metodologiche sono rimaste le stesse, rivi-
ste solo alla luce dell’avanzamento della ricerca glottodidattica. Queste pre-
messe vengono esplicitate dal contributo di Paolo E. Balboni, direttore del
Laboratorio Itals dell'Università Ca’ Foscari di Venezia.
Il libro è stato suddiviso in sei parti: nella prima vengono presentate le
basi epistemologiche e l'idea di insegnante di lingua italiana di qualità; nella

ti.
seconda, si affrontano gli aspetti linguistici e culturali di una didattica dell’i-

va
taliano LS; nella terza vengono analizzati in dettaglio metodi e tecniche; nella

er
quarta gli strumenti e i supporti per l’insegnamento, nella quinta le proposte

ris
per una formazione continua, e nella sesta e ultima vengono presentati solo
alcuni casi che, lungi dall’essere esaustivi, sono comunque rappresentativi
tti
della realtà dell’insegnamento dell’italiano nel mondo.
iri
Molti degli studiosi che hanno contribuito all’edizione precedente sono
id

qui presenti e molti se ne sono aggiunti. Ciò ci fa particolarmente piacere in


ti

quanto dimostra da un lato quanto sia valida e approfondita la ricerca sull’i-


ut

taliano come Lingua Straniera, e dall’altro quanto sia importante dare visibi-
.T

lità agli studi sull’argomento; inoltre, molti dei contributi vengono da perso-
re

ne che durante il loro percorso di studi, di formazione e di ricerca hanno


ito

voluto affiancarsi al Laboratorio Itals e percorrere insieme un tratto di cam-


ed

mino. Questo libro è la dimostrazione che studiosi, ricercatori, docenti di ita-


liano come lingua straniera possono riuscire a formare una comunità che
ci

condivide un linguaggio comune e che vuole mettere a disposizione di tutti


c
na

il proprio lavoro. Noi ci impegneremo affinché tale comunità continui ad


allargarsi e a condividere e collaborare con chi è in prima linea: gli insegnanti
Bo

di italiano in tutto il mondo. Una delle attività volte a tal fine è la redazione
©

di un bollettino elettronico, a contenuto informativo e scientifico, a distribu-


zione gratuita tramite registrazione nel sito www.itals.it.
Desideriamo ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a questo libro,
ma soprattutto coloro, e sono alcune migliaia, che in questi anni hanno segui-
to i nostri corsi di formazione: senza il confronto con loro, le loro idee, le cri-
tiche e i suggerimenti, questo libro non sarebbe stato possibile.

Roberto Dolci
Paola Celentin

9
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
Parte Prima

iri
tti
ris
Coordinate teoriChe

er
va
ti.
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
Capitolo 1
Per Una didattiCa
UmanistiCo-affettiVa deLL’itaLiano
Paolo E. Balboni

Di didattica dell’italiano come lingua sia seconda, sia straniera, sia etnica1 si
è scritto molto, negli ultimi dieci anni, come si vedrà dalle bibliografie dei vari
saggi che compongono questo volume; anche di glottodidattica umanistico-
affettiva, sebbene con accezioni variegate, per non dire disparate, si è scritto
molto: ma raramente questi due ambiti sono stati esplicitamente fusi.
Non intendiamo fare un saggio sulla filosofia della glottodidattica umani-

ti.
stico-affettiva: nel suo complesso, tutto il volume si situa in questo alveo.

va
Intendiamo semplicemente offrire, con estrema sintesi, alcune coordinate di

er
fondo (rimandando per approfondimento al nostro volume del 2002 che è

ris
basato sull’approccio umanistico-affettivo).
tti
iri
id
1. La glottodidattica umanistica: una tendenza mondiale
Sotto l’influenza dell’umanesimo psicologico di studiosi come Allport,
ti
ut

Maslow, Fromm, Nuttin e altri, molti approcci dagli anni Ottanta in poi
.T

hanno messo al centro dell’attenzione l’io unico ed irripetibile di ogni allie-


re

vo, della sua personalità come interrelazione dinamica tra “io” e “mondo”.
ito

Questa impostazione ha portato al superamento della nozione di glottodi-


ed

dattica come “linguistica applicata”, introducendovi una fortissima compo-


nente psicologica.
c ci
na

1
Lingua straniera: una lingua che viene studiata in una zona in cui essa non è presente se non nella
Bo

scuola, come ad esempio l’italiano studiato in Marocco: l’input in lingua straniera è fornito (direttamente
o con tecnologia didattica) dall’insegnante, che quindi sa cosa è stato presentato agli studenti e a che livello
di profondità.
©

Lingua seconda: è quella che lo studente può trovare anche fuori della scuola, come nel caso
dell’italiano studiato in Italia. A differenza della lingua straniera, la situazione di lingua seconda prevede
che molto dell’input linguistico su cui si lavora provenga direttamente dall’esterno, dal mondo
extrascolastico, e che sia spesso portato a scuola dagli stessi studenti; inoltre nella situazione di lingua
seconda la motivazione è di solito immediata, strumentale, quotidiana, mirante all’integrazione nel paese
in cui la lingua è parlata.
Lingua etnica: l’italiano della comunità d’origine di un’emigrante, ad esempio, di seconda o terza
generazione: essa non è la sua lingua materna, ma è comunque presente nell’ambiente i cui è cresciuto e
spesso vive ancora. In America si tende a stabilire un’ulteriore differenza, per cui la lingua etnica può
essere family language, se si tratta di famiglie immigrate e stanziate in zone in cui non ci sono altri
immigrati di origine italiana (“bilingui isolati”, secondo la definizione di Francescato), e community
language, quando c’è una comunità italiana e quindi la nostra lingua è usata anche fuori di casa.

13
In America le tendenze di questo tipo sono state tradotte in metodi glot-
todidattici da Curran (la cui scuola è nota come community language learning
e si situa nell’alveo del counseling, cioè di una forma di didattica che ricalca
quella dello psicologo-terapeuta-consigliere), Asher (il creatore della Total
Physical Response, che vuole rispettare la difficoltà di un apprendente di
buttarsi immediatamente nel mare della comunicazione per nuotarvi con la
lingua che sta apprendendo), Gattegno (la cui silent way evita ogni azione
“repressiva” dell’insegnante riducendolo, in pratica, al silenzio); una glotto-
didatta americana che ha avuto grande influenza in Italia è Mary Finocchiaro
(il cui motto era You must love your student. If you love them, they’ll follow
you) che fu tra le ispiratrici e responsabili del Progetto Speciale Lingue
Straniere degli anni Ottanta2; tuttavia, il nome più noto è quello di S.D.

ti.
Krashen, anche al di là del suo effettivo valore scientifico (per una visione

va
complessiva di questa temperie, cfr. Stevick 1980 e 1989).

er
Contemporaneamente e in modo parallelo, non ancillare, alla glottodi-

ris
dattica umanistico-affettiva americana, in Europa è maturata dagli anni
Settanta-Ottanta una concezione dell’insegnamento linguistico come proces-
tti
iri
so cognitivo e affettivo assolutamente originale ed unico per ogni discente,
id

che vi impegna tutto il suo io, sia quello razionale sia quello emotivo: nel
mondo slavo si è diffusa la suggestopedia ad opera di G. Lozanov, in Francia
ti
ut

ricordiamo M. Candelier ed il suo concetto di éveil au langage, in Germania


.T

il nome di punta è quello di H. Piepho. In Italia i due padri nobili della glot-
re

todidattica umanistico-affettiva sono Renzo Titone e Giovanni Freddi, insie-


ito

me ai loro allievi Gianfranco Porcelli e Bona Cambiaghi. La scuola glottodi-


ed

dattica veneziana – cui fanno riferimento gli autori di questo volume – è for-
temente segnata da Titone e Freddi, che hanno tenuto a Ca’ Foscari la catte-
ci

dra di glottodidattica (la prima a nascere, in Italia, nel 1969; cfr. Porcelli,
c
na

Balboni, 1991) prima di chi scrive.


Bo

Abbiamo dato questa serie di riferimenti senza specificare rimandi biblio-


grafici in quanto le indicazioni dirette avrebbero significato isolare qualche
©

opera singola enucleandola da intere operae omniae che hanno il filo con-
duttore umanistico-affettivo – complessi di studi e volumi che per Freddi e

2
Tra il 1978 e i primi anni Novanta centinaia di insegnanti italiani sono stati inviati dal ministero della
Pubblica Istruzione per lunghi stage all’UCLA e a Harvard per divenire poi formatori dei loro colleghi
italiani, in corsi della durata di un anno con possibili follow up negli anni successivi. L’ispiratrice
glottodidattica di tutto questo progetto fu Mary Finocchiaro, e la realizzazione operativa fu opera di altri
glottodidatti umanistico-affettivi come Diane Larsen Freeman, Rebecca Oxford ed Elite Olshtein; la
formazione includeva interventi di Krashen, Schumann e Cohen, anche loro legati allo stesso approccio.

14
Titone include decine e decine di titoli. Ogni insegnante può comunque,
nelle biblioteche della sua area di lavoro, trovare i testi di questi maestri.

2. La dimensione affettiva
Se ogni studente è un unicum sul piano umano, dunque è originale ed
irripetibile nel suo progetto di sé, delle sue aspirazioni, nelle sue motivazio-
ni, nelle strategie cognitive che mette in campo, nei suoi stili d’apprendi-
mento, nella sua personale combinazione dei vari tipi di intelligenza secon-
do la logica di Gardner (1993) – unicità da cui deriva l’aggettivo umanistico
– ciascuno studente condivide con gli altri membri della specie homo loquens
alcuni meccanismi e processi per l’acquisizione linguistica – meccanismi che

ti.
un insegnamento affettivo, centrato sullo studente, non può ignorare.

va
Sul piano neurolinguistico e cognitivo, questi approcci sono caratterizzati

er
dal tentativo di coinvolgere la persona dell’allievo nella sua completezza

ris
focalizzando non solo l’aspetto razionale, cioè la modalità propria dell’emi-
sfero sinistro del cervello (quella su cui si fondano tutti gli approcci formali-
tti
stici, grammaticali, strutturalistici), ma anche quelli dell’emisfero destro, che
iri
id
ha una percezione globale, simultanea della realtà e dell’input che da questa
gli viene.
ti
ut

Danesi (1988 e 1998) ha riportato ad una logica glottodidattica le nozioni di:


.T

a.bimodalità: si riferisce, appunto, alle due modalità di percezione e riela-


re

borazione della realtà da parte del cervello: quella destra (globale, ana-
ito

logica, simultanea, visiva) e sinistra (analitica, logica, sequenziale, ver-


ed

bale); entrambe le modalità sono coinvolte nel processo di acquisizione


della lingua, non solo quella razionale ed analitica (anche se le due aree
ci

corticali dedicate alla lingua si trovano nell’emisfero sinistro);


c
na

b.direzionalità: il percorso delle informazioni nel cervello, quindi la loro


Bo

elaborazione percettiva e cognitiva, coinvolge prima l’emisfero destro,


globale, e poi quello sinistro, analitico. Quindi un approccio che preve-
©

da prima la formalizzazione grammaticale e poi il contatto con i testi va


“contro natura”.
Queste due osservazioni in questo volume stanno alla base dei saggi di
Luise, Spinelli, Angelino, Ballarin, Minello, per indicare solo quelli in cui il
percorso è più evidente.
Sul piano psicolinguistico e acquisizionale l’approccio umanistico-affettivo
si basa sul rispetto dei processi secondo i quali si pensa che operi il LAD
(Language Acquisition Device) e che sono stati tradotti in teoria glottodidat-

15
tica da Krashen (1981, 1983, 1985) che è partito dall’ipotesi chomskyana per
elaborare l’opposizione tra acquisition e learning, che riprende in sostanza
quella tra knowing e cognising.
Vediamo più da vicino queste ipotesi.
a. acquisizione e apprendimento: l’acquisizione è un processo inconscio
che sfrutta le strategie globali dell’emisfero destro del cervello insieme
a quelle analitiche dell’emisfero sinistro; quanto viene acquisito entra a
fare parte stabile della competenza della persona, entra nella sua memo-
ria a lungo termine. Di converso l’apprendimento è un processo razio-
nale, governato dall’emisfero sinistro e basato sulla memoria a medio
termine: la competenza “appresa”, in altre parole, è una competenza a
termine, non è definitiva. Inoltre, essa viene attivata molto più lenta-

ti.
va
mente della competenza “acquisita”, per cui nella comunicazione reale
non si ha tempo di farvi ricorso se non come monitor, come controllo

er
ris
grammaticale, in senso lato. L’insegnante deve dunque lavorare per pro-
durre acquisizione; quando si produce apprendimento si può avere la
tti
sensazione di aver ottenuto un risultato positivo, ma in realtà si tratta di
iri
un fatto temporaneo che non genera un comportamento linguistico
id

autonomo. Questa dicotomia risulta quindi una cartina di tornasole per


ti

osservare del materiale didattico o l’operare di un insegnante;


ut
.T

b. input comprensibile: l’acquisizione avviene quando l’allievo concentra


re

l’attenzione sul significato di un input comprensibile e non sulla sua


ito

forma (fonologica, morfo-sintattica, testuale ecc.). Se a una persona si


fornisce input reso comprensibile (dall’insegnante, dal compagno di
ed

lavoro, dalla madre nei confronti del bambino, ecc.), se cioè si fornisce
ci

quello che Bruner chiama Language Acquisition Support System, allora


c
na

il Language Acquisition Device si mette autonomamente in moto e pro-


cede all’acquisizione — purché si verifichino le condizioni delle due
Bo

ipotesi che seguono;


©

- ordine naturale, “area di sviluppo potenziale”, interlingua: la prima delle


condizioni perché l’input venga acquisito è che esso sia collocato al gra-
dino dell’ordine naturale (che definiremo sotto) immediatamente suc-
cessivo all’input finora acquisito. Si tratta dell’applicazione krasheniana
di una nozione psicologica che Vygotsky chiama “area di sviluppo
potenziale” e che in Bruner troviamo come zone of proximal develop-
ment: è la distanza tra la parte di un compito che una persona è già in
grado di eseguire e il livello potenziale cui può giungere nel tentativo di

16
compiere la parte restante del compito, distanza che può percorrere da
solo o sotto la guida di una persona più esperta. Anche se Krashen non
ne parla, questa ipotesi rimanda alla nozione di interlingua: la lingua
viene appresa secondo un procedimento a spirale che procede per
approssimazioni successive alla lingua-obiettivo. All’inizio si attua un
processo di pidginizzazione, di ipersemplificazione che permette una
comunicazione rudimentale, poi piano piano si procede a risistemare
quanto si sa e a incrementarlo in quantità e qualità: non si può dire che
si sa o non si sa una lingua, si può solo dire che l’interlingua di una per-
sona oggi è configurata in un certo modo, che è unico ed originale nei
suoi pregi e difetti (per approfondimento: Schumann 1978 e Selinker
1992);

ti.
- filtro affettivo: l’ipotesi afferma che affinché l’input reso comprensibile

va
sia acquisito è necessario che non sia inserito il filtro affettivo, cioè un

er
blocco di autodifesa di chi studia di fronte a stress, paura di perdere la

ris
faccia, ansia da prestazione (Schumann 1992). La metafora del filtro,
tti
utile per comprendere, non deve far credere che la nozione sia una mera
iri
creazione intuitiva: in realtà il “filtro affettivo” corrisponde a stimoli
id

chimici ben precisi: in stato di serenità l’adrenalina si trasforma in nora-


ti

drenalina, un neurotrasmettitore che facilita la memorizzazione, mentre


ut

in stati di paura e stress si produce uno steroide che blocca la noradre-


.T

nalina e fa andare in conflitto l’amigdala (ghiandola “emotiva” che


re

vuole difendere la mente da eventi spiacevoli) e l’ippocampo, la ghian-


ito

dola che invece ha un ruolo attivo nell’attivare i lobi frontali e iniziare


ed

la memorizzazione (Cardona 2001): il filtro affettivo è dunque un pre-


ciso meccanismo di cui tener conto in una logica affettiva.
c ci
na

L’elemento affettivo dell’approccio che stiamo tratteggiando prende poi


Bo

in considerazione alcune variabili di natura psicologica, quali quelle motiva-


zionali, le caratteristiche della personalità, il ruolo della cosiddetta “intelli-
©

genza emotiva”, in cui l’attribuzione dell’aggettivo “emotiva” al nome “intel-


ligenza” realizza quello che fino a pochi decenni fa poteva essere considera-
to un ossimoro vero e proprio.

3. Un approccio umanistico-affettivo alla formazione dei docenti


Finora abbiamo parlato di “studente”, e certo l’interpretazione del letto-
re è stata quella di “persona impegnata nello studio di una lingua straniera in

17
contesto didattico”.
Ma anche il docente che partecipa ad un processo di formazione è uno
“studente”, anche se sui generis.
Anzitutto è uno studente che ha una formazione precedente, compiuta in
alcuni casi in corsi specifici, sia iniziali sia in servizio, in altri casi in maniera
autonoma o con colleghi in associazioni e gruppi di lavoro. È uno studente
che deve riflettere su quello che fa, se è già in servizio, o che paragona quel-
lo che scopre con il tipo di insegnamento che ha ricevuto quando era stu-
dente nel senso diffuso del termine. È uno studente adulto, con tutti i pro-
blemi economici (in senso ampio: rapporto tra impegno, tempo e denaro
investito e risultati ottenuti), sociali (ruolo sociale di insegnante e collega, ma
anche di marito/moglie, di padre/madre: un insegnante in formazione sot-

ti.
trae tempo alla propria famiglia), affettivi (immagine di sé, una “faccia” da

va
salvare) ed acquisizionali propri di un adulto.

er
Gli interventi di Dolci, Celentin, De Luchi vanno in una direzione uma-

ris
nistico-affettiva della formazione: insegnanti che collaborano tra loro piutto-
sto che ascoltare lezioni e leggere libri (come questo…), insegnanti che sono
tti
iri
anche ricercatori sul proprio operare, insegnanti che sanno che la formazio-
id

ne è continua, che un volume come questo o un corso occasionale sono solo


il punto di partenza di un processo continuo che va condotto in una “comu-
ti
ut

nità di pratica” che sia insieme anche “comunità d’apprendimento”, gestita


.T

sostanzialmente da coloro che vi partecipano, anche se con qualche inter-


re

vento o qualche input dall’esterno.


ito

Mentre l’approccio umanistico-affettivo all’insegnamento delle lingue a


ed

studenti in senso proprio ha avuto negli anni una sua elaborazione precisa ed
organica, e solo da pochi anni le prassi ed i materiali didattici stanno ponen-
ci

dolo in pratica, l’approccio umanistico-affettivo alla formazione degli inse-


c
na

gnanti (di lingue, ma non solo) è per ora tutto da costruire: è il compito in
Bo

cui è impegnato il Laboratorio ITALS che, per tentativi ed errori, cerca una
strada in questa nuova ed affascinante dimensione della formazione.
©

riferimenti bibliografici
(Come spiegato nel testo, non presentiamo indicazioni specifiche per
opere dei padri fondatori della psicologia umanistico-affettiva né per gli stu-
diosi italiani che le hanno dato corpo nella nostra glottodidattica: non avreb-
be avuto senso enucleare un titolo o due in operae omniae estese per una vita
intera. Diamo solo alcuni riferimenti necessari per approfondire aspetti
appena accennati nel testo, oppure per opere di sintesi in cui approfondire

18
l’approccio umanistico-affettivo nel suo complesso)
BALBONI P. E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società
complesse, Torino, UTET Libreria.
CARDONA M. (2001), Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue,
Torino, UTET Libreria.
DANESI M. (1988), Neurolinguistica e glottodidattica, Padova, Liviana.
DANESI M. (1998), Il cervello in aula, Perugia, Guerra.
GARDNER H. (1993), Multiple Intelligences: The Theory in Practice, New
York, Harper & Collins.
KRASHEN S. D. (1981), Second Language Acquisition and Second Language
Learning, Oxford, Pergamon.
KRASHEN S. D. (1983), Principles and Practice in Second Language

ti.
Acquisition, Oxford, Pergamon.

va
KRASHEN S. D. (1985), The Input Hypothesis, New York, Longman.

er
PORCELLI G. e P. E. BALBONI (cur.) (1991), Glottodidattica e università. La

ris
formazione del Professore di Lingue, Torino, Liviana-Petrini.
SCHUMANN J. (1978), The Pidginization Process: A Model for Second
tti
iri
Language Acquisition, Rowley, Newbury House.
id

SCHUMANN J. (1999), The Neurobiology of Affect in Language, Oxford,


Blackwell.
ti
ut

SELINKER L. (1992), Rediscovering Interlanguage, Londra, Longman.


.T

STEVICK E. (1980), Teaching Languages: A Way and Ways, Rowley, Newbury


re

House.
ito

STEVICK E. (1989), Success with Foreign Languages, New York, Prentice Hall.
ed
c ci
na
Bo
©

19
Capitolo 2
La figUra e La formaZione
deLL’insegnante di itaLiano Ls
Roberto Dolci

1. L’insegnante di italiano nel mondo


Le ultime ricerche e analisi dicono che l’interesse per la lingua italiana è
in costante aumento e con questo il numero di studenti che frequentano i
corsi di italiano nel mondo. Le cause di questo successo sono state indivi-
duate non solamente nel fatto che l’italiano è lingua di cultura o del tempo

ti.
libero, come tradizionalmente ritenuto, e quindi legata all’arte, alla musica,

va
ecc. ma anche lingua del lavoro, del commercio, dell’economia, del turismo,

er
professionale, in sintesi. Questi dati provengono dall’ultima analisi effettua-

ris
ta che rappresenta una fotografia dettagliata dello stato della richiesta e

tti
offerta di lingua italiana nel mondo, seppur parziale in quanto limitata alla
iri
situazione negli Istituti Italiani di Cultura. L’analisi, denominata Italiano
id

2000,1 rileva che dal 1995 al 2000 sono aumentati notevolmente gli iscritti ai
corsi di italiano negli IIC e che questa tendenza sembra essere costante.
ti
ut

Inoltre rileva che le motivazioni allo studio dell’italiano sono cambiate, e che
.T

accanto alla tradizionale motivazione culturale (32,8%) emergono fattori


re

quali “Motivi Personali” (25,8%), il lavoro (22,4) e lo studio (19%)2. I dati


ito

che emergono dalla ricerca testimoniano che “il “sistema Italia” sembra fun-
ed

zionare presso gli stranieri, nel senso che diventa sempre più forte negli altri
paesi” (pag.7). Infatti, alla variegata lista di motivazioni che sottostanno alla
ci

richiesta di italiano corrisponde un’altrettanto variegata provenienza dei sog-


c
na

getti e dell’offerta formativa. Come riportano i dati di Italiano 2000, circa la


Bo

metà degli studenti dei corsi di italiano degli IIC all’estero è di origine italia-
na e affianca alla lingua del paese ospite il dialetto o l’italiano in una percen-
©

tuale differenziata per valori generazionali. Ma l’offerta formativa dell’italia-


no è molto diversificata: agli IIC si affiancano, e in molti casi con numeri ben
più consistenti, i corsi offerti da Università Straniere, società come la Dante
Alighieri, le scuole italiane all’estero, e soprattutto attraverso le comunità ita-
liane nel mondo. Inoltre, l’italiano è sempre più integrato nei sistemi scola-
stici stranieri di ogni ordine e grado. Da questa panoramica emerge che l’i-

1
De Mauro, T. (cur), (2002) Italiano 2000, MAE.
2
De Mauro, T. (cur), (2002) Italiano 2000, MAE pag. 13-14.

20
taliano all’estero sembra quindi avere i tratti di quel fenomeno che Balboni
definisce “insegnare e apprendere le lingue in una società complessa”3.
L’interesse sempre maggiore nei confronti dell’italiano e gli sforzi in que-
sto senso prodotti dalle varie istituzioni nazionali e locali possono rappre-
sentare una vera tendenza positiva se sosteniamo e investiamo risorse anche
e soprattutto su chi di fatto è in prima linea e quindi rappresenta il punto di
riferimento per tutti gli studenti: gli insegnanti di lingua italiana. È indubbio
che la formazione e le competenze didattiche degli insegnanti di lingua ita-
liana nel mondo siano sempre meglio definite teoricamente e metodologica-
mente. Per mantenere il trend positivo dell’aumento di richiesta di lingua ita-
liana è necessario che venga mantenuto e migliorato questo livello per dare
una risposta sempre più accurata ai bisogni, alle richieste, alle motivazioni

ti.
degli studenti, altrimenti il successo avrà respiro corto e poco futuro.

va
Non è solamente un problema quantitativo, nel senso che alla maggiore

er
richiesta di italiano deve necessariamente corrispondere un aumento dei

ris
docenti, ma anche e soprattutto un problema qualitativo: “La qualità del-
l’insegnamento è il requisito essenziale per assicurare l’efficacia dell’inter-
tti
iri
vento linguistico-culturale nel tempo.”4
id

Le ricerche riguardanti la formazione dell’insegnante di italiano mostra-


no un quadro a tinte molto diverse. L’analisi di Italiano 2000, limitata, ricor-
ti
ut

diamo, agli IIC, riporta che in questo contesto il 14% degli insegnanti non è
.T

laureato e di quelli laureati la maggior parte ha ricevuto una “formazione


re

genericamente linguistica” (pag. 34) mentre circa un terzo del totale dei
ito

docenti laureati ha ricevuto una formazione glottodidattica specialistica. Dati


ed

leggermente diversi ma su un campione che comprende tutti gli insegnanti di


italiano nelle diverse realtà in cui operano, rilevati dall’indagine Italiano nel
ci

Mondo5 riportano che il 90% dei docenti ha una laurea e di questi l’81% ha
c
na

una laurea di tipo umanistico. Ma il dato più significativo e su cui riflettere è


Bo

che solo il 42% del totale dei docenti dichiara di avere avuto una formazio-
ne specifica in didattica dell’italiano a stranieri. La formazione specifica varia
©

molto in durata e approfondimento, ma è stata fatta nella stragrande mag-


gioranza dei casi solamente durante il servizio6. C’è quindi ancora molto su
cui investire per fare in modo che la formazione dei docenti sia frutto di un

3
Balboni P.E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Utet Libreria.
4
Ventriglia L. (2002), “Strumenti e strategie per la promozione linguistica e culturale”, in Balboni,
P.E., Santipolo M. (2002), L’italiano nel mondo, Roma, Bonacci.
5
Balboni P., Santipolo M. (2002), L’italiano nel mondo, Roma, Bonacci.
6
Dolci R. (2002), “La formazione degli insegnanti”, in Balboni, P., Santipolo, M. (2002), L’italiano
nel mondo, Roma, Bonacci.

21
progetto organico che dia gli strumenti per agire nella società complessa di
cui la lingua e la cultura italiane fanno parte.

2. L’insegnante di qualità
Ci può essere d’aiuto il dibattito su quali sono i cambiamenti che deve
affrontare nel suo complesso la scuola e i suoi attori per affrontare le sfide
della globalizzazione e della società complessa che va ormai avanti da parec-
chio tempo in campo pedagogico. Si veda a questo proposito Margiotta
(1999)7. Egli afferma che “il successo definito in termini di padronanza dei
contenuti disciplinari tipici della scuola tradizionale non assicurerà più anco-
ra per molto tempo alcuna garanzia di successo sul mercato del lavoro”

ti.
(pag.15), e più avanti elenca tre caratteristiche dell’educazione che sembra-

va
no essenziali per il futuro della coesione e della stabilità delle società con-

er
temporanee:

ris
- un appropriato bilanciamento di conoscenze ed abilità, adeguatamente
personalizzato dai singoli e in forma tale da consentire loro di sentirsi
tti
iri
realizzati nei loro personali talenti [e, indirettamente, di veder ricono-
id

sciuto a livello generale il personale contributo alla crescita della cono-


scenza e dell’equilibrio sociale];
ti
ut

- l’individuazione dei modi migliori per realizzare tali sistemi di padro-


.T

nanza in situazioni topiche della vita;


re

- la promozione di un diffuso senso di solidarietà per gli altri, sensibilità,


ito

coraggio, ed alti valori sociali e morali.


ed

La professionalità degli insegnanti non si misura pertanto solo nella cono-


ci

scenza dei contenuti disciplinari, ma anche negli aspetti relazionali e comu-


c

nicativi ed è quindi composta anche di competenze che provengono dalle


na

scienze dell’educazione, dalla psicologia dell’apprendimento, dalle metodo-


Bo

logie formative e che sappia quindi affrontare tutte le variabili che compon-
©

gono il sistema insegnamento-apprendimento e quindi dell’offerta formativa.


Queste competenze possono essere riassunte nel concetto di qualità dell’in-
segnamento.
Non si deve fare l’errore di trasferire il concetto di qualità dalle certifica-
zioni di qualità dall’ambito economico in cui è nato, il concetto cioè di un
insieme di procedure e di indicatori che permettono di analizzare e quindi
migliorare il proprio lavoro e il suo risultato, a quello educativo. Non voglia-

7
Margiotta U. (1999), L’insegnante di qualità, Roma, Armando.

22
mo qui dare una visione “economica” o manageriale dell’insegnante di lin-
gua italiana, o trasferire pedissequamente il concetto di qualità così come è
stato elaborato in ambito economico alla realtà dell’insegnamento, errore che
è stato fatto da molti con il rischio di snaturare o perlomeno non compren-
dere appieno l’enorme complessità e le diverse sfaccettature del lavoro di un
insegnante, e non solo di lingue, costringendolo in una struttura di indici e
descrittori che non riescono a dare conto del suo operato, quanto cercare di
tracciare un profilo di insegnante che riesce a svolgere in maniera adeguata
e valida il proprio lavoro all’interno di quella che, come abbiamo ormai più
volte detto, è una società complessa.
Uno degli aspetti principali che emerge dalla letteratura e da studi, anali-
si e ricerche sull’insegnante di qualità è che ci si sta focalizzando su una figu-

ti.
ra di insegnante educatore, rispetto al modello di insegnante disciplinarista.

va
L’insegnante, quindi “deve stabilire una sinergia tra istruzione ed educazio-

er
ne” (Xodo: (2001)); “Non terapeuta, non confessore, non genitore sostituto,

ris
l’insegnante educa e forma i sentimenti con la cultura e grazie ad essa. Non
trasmette solo conoscenze, ma di queste fornisce senso, collocazione critica
tti
iri
e spessore” (Margiotta: (1999), pag. 37) e nel caso specifico dell’insegnante
id

di lingua, egli “è un tecnico non solo della lingua e della cultura ma, sempre
più, anche della possibilità di “connettersi” con la lingua e cultura straniera.
ti
ut

(Balboni: (2002), pag. 15).


.T

Da una ricerca fatta dal CERI (Centre for Educational Research and
re

Innovation) e dal OEDC (Organization for Economic Cooperation and


ito

Development) nel 1992 in 11 paesi riguardante la qualità nell’insegnamento


ed

è emersa una definizione operativa dell’insegnante di qualità composta di


cinque coordinate professionali: competenze disciplinari, didattiche, gestio-
ci

nali, di autovalutazione critica, di empatia comunicazionale, che sono forte-


c
na

mente dinamiche, “in grado di modularsi e trasformarsi in una continua evo-


Bo

luzione” (Picco: (1999), pag.43).8


Le cinque coordinate o dimensioni dell’insegnante di qualità sono, come
©

riportato da Margiotta (1999):


- conoscenza degli specifici settori disciplinari e del contenuto dei pro-
grammi;
- competenze didattiche, cioè la padronanza di un repertorio di strategie
didattiche e la capacità di applicarle;

8
Si veda Picco R. (2002), “La struttura del rapporto di ricerca OCSE/CERI” in Margiotta U.
(cur.), L’insegnante di qualità, Roma, Armando, pag. 43.

23
- capacità di riflessione e di autocritica, vista come carattere distintivo
della professionalità dell’insegnante;
- empatia, o capacità di identificarsi negli altri (allievi, genitori, colleghi),
e di riconoscere la loro dignità, allo scopo di raggiungere risultati affet-
tivi oltre che cognitivi;
- competenze gestionale, dato che gli insegnanti ormai assumono varie
responsabilità del genere dentro e fuori l’aula.

Allo stesso modo, il Codice deontologico dei docenti elaborato dalla


Associazione Docenti Italiani parla di “[…]profilo esplicito della professio-
ne docente, fatto di competenze teoriche (cultura generale di base, specifico
disciplinare, tecnologie di comunicazione, didattica generale e disciplinare,

ti.
teorie della conoscenza dei processi comunicativo-relazionali), operative

va
(progettazione e pratica didattica, attività di valutazione, uso degli strumen-

er
ti di verifica, uso delle tecnologie didattiche, organizzazione dei gruppi) e

ris
sociali (relazione e comunicazione)[…]”9.
tti
Il National Board for Professional Teaching Standards degli Stati Uniti
iri
definisce cinque coordinate di base per esprimere la missione, le competen-
id

ze, le abilità dell’insegnante certificato:10


ti

- Teachers are committed to students and their learning.


ut
.T

- Teachers know the subjects they teach and how to teach those subjects
re

to students.
ito

- Teachers are responsible for managing and monitoring student


ed

learning.
- Teachers think systematically about their practice and learn from
c ci

experience.
na

- Teachers are members of learning communities.11


Bo

Da una ricerca fatta in Europa dai Membri dell’ENTEP, (European


©

Network on Teacher Education Policies)12 sui documenti che nei rispettivi


9
www.bdp.it/adi/CodeEtic/codetint.htm Visitato il 10.02.03
10
www.ypepth.gr/entep/ Visitato il 10.02.03
11
- gli insegnanti sono preposti agli studenti e al loro apprendimento;
- gli insegnanti conoscono le materie che insegnano e il modo in cui queste materie devono essere
insegnate agli studenti;
- gli insegnanti sono responsabili della gestione e del monitoraggio dell’apprendimento degli
studenti;
- gli insegnanti riflettono sistematicamente sul loro operato e imparano dall’esperienza;
- gli insegnanti sono membri di comunità di apprendimento. (trad. it. del curatore)
12
www.nbpts.org Visitato il 10.02.03

24
paesi definiscono le competenze degli insegnanti, si possono trovare conver-
genze tra i profili specifici dei 7 diversi paesi e comunità partecipanti al pro-
getto. Tali convergenze sono:13
- La dimensione sociale della professione insegnante; in cui l’insegnante
è visto come partner del mondo esterno, membro della comunità, atto-
re culturale.
- La dimensione della ricerca, legata all’appropriazione di un approccio
scientifico e all’assunzione di inclinazioni alla ricerca. L’insegnante deve
sviluppare anche una dimensione di innovatore e ricercatore, per met-
tere costantemente in discussione la propria pratica didattica.
- La dimensione legata alle materie insegnate, intesa come competenza
disciplinare e didattica, competenze di comunicazione, sfruttamento

ti.
va
delle tecnologie informatiche e telematiche.

er
- La dimensione relazionale, con gli allievi e con i colleghi, come parte di

ris
un team.

tti
- La dimensione pedagogica, intesa come creare un clima di apprendi-
iri
mento adeguato, rispettando il ritmo di apprendimento e le caratteristi-
id

che degli allievi e fornendo le giuste strategie; gestire la valutazione,


saper pianificare.
ti
ut

- La dimensione della pratica riflessiva sapendo adattarsi alle situazioni e


.T

mettendosi in discussione.
re
ito

3. La glottodidattica e l’insegnante di qualità


ed

Dall’esame seppur sommario delle ricerche sulla professionalità del


ci

docente e sul suo profilo di qualità, per un approfondimento delle quali si


c
na

rimanda alla bibliografia, emergono alcuni dati salienti e convergenti parti-


Bo

colarmente interessanti per cercare di definire un profilo dell’insegnante di


lingua e ancora più specificamente, di lingua italiana, che ovviamente coin-
©

ciderà per molti aspetti con quello dell’insegnante in generale, ma che avrà
poi alcune sue particolarità.
La glottodidattica ha affrontato il sistema allievo-docente-disciplina, cioè
la lingua, sempre in un’ottica integrata; dal punto di vista epistemologico, si
pone come scienza pratica che ha per oggetto l’insegnamento-apprendimen-
to delle lingue si trova all’incrocio di varie scienze: scienze del linguaggio e
13
Si veda: “Le competenze degli insegnanti nell’Unione Europea. Seminario di Bruxelles 29.09.01”,
in Bonetta G., Luzzato G., Michelini M., Pieri M.T. (cur.) (2002), Università e Formazione degli inseg-
nanti: non si parte da zero, Udine, Forum.

25
della comunicazione, scienze dell’educazione e della formazione, scienze psi-
cologiche, scienze della cultura e della società. La glottodidattica è quindi
scienza interdisciplinare e “le quattro grandi aree di conoscenza […] diven-
gono glottodidattica nel momento in cui vengono integrate e non giustappo-
ste” (Balboni: (2002), pag. 25). Balboni inoltre afferma che: “la formazione
del glottodidatta (sia questi un ricercatore o un insegnante di lingua) è neces-
sariamente interdisciplinare, integra le quattro aree in un sapere che non è
semplicemente la somma di nozioni provenienti dai vari ambiti di ricerca, ma
costituisce una conoscenza nuova ed autonoma” (pag. 23). Possiamo quindi
affermare che un insegnante di lingua ha già fatto sua una delle prerogative
fondamentali del docente di qualità, cioè il concetto di insegnante educato-
re contrapposto all’insegnante disciplinarista. Possiamo affermare inoltre

ti.
che l’insegnante di lingua con una buona formazione glottodidattica ha molti

va
dei tratti dell’insegnante di qualità così come è stato delineato sopra.

er
Nella letteratura glottodidattica molte delle coordinate che compongono

ris
il profilo di un insegnante di qualità sono state elaborate all’interno dei vari
approcci e metodi e in particolare nell’approccio umanistico affettivo. Solo
tti
iri
per citare i punti di contatto più evidenti, possiamo ricordare il ruolo fonda-
id

mentale dato alla motivazione, dal modello egodinamico di Titone a quello


trifasico “dovere, bisogno, piacere” di Balboni, al filtro affettivo, e alla diffe-
ti
ut

renza tra acquisizione e apprendimento di Krashen, al modello di Unità


.T

Didattica elaborato da Freddi, sintesi di programmazione e adattabilità alle


re

diverse personalità e intelligenze degli allievi, al ruolo dell’insegnante, che


ito

diventa facilitatore, consigliere, maieuta, tutore, regista, pedagogus, a secon-


ed

da delle prospettive e degli studiosi, ma sicuramente non è più il maestro,


nella concezione di “superiore” (Balboni, (2002), pag. 49). Vengono indivi-
ci

duate inoltre altre figure o componenti della stessa figura, le cui competenze
c
na

sono fondamentali: il progettista del curricolo, e quindi lo specialista di pro-


Bo

grammazione, e l’autore di materiale didattico, ovvero l’esperto di contenu-


ti, tecniche e metodologie. Per quanto riguarda l’oggetto di insegnamento, la
©

lingua, parafrasando ciò che afferma Balboni (2002), possiamo dire che per
insegnare le lingue in una società complessa, la glottodidattica e di conse-
guenza l’insegnante di lingue, non si trova più di fronte il solo compito di
creare cittadini in grado di intendersi “ma quello ben più importante di con-
sentire a tutti […] di scegliere, liberi da ostacoli linguistici, nuove “masse”
cui appartenere per poter nutrire, condividendoli, i propri interessi cultura-
li, economici, sessuali, musicali, religiosi ecc.” (pag.11). L’oggetto lingua stes-
so quindi, per le sue particolarità e per la sua peculiarità come espressione

26
dell’umanità ci “costringe” ad essere educatori nel senso più largo del temi-
ne. Nello specifico, possiamo quindi azzardarci a dire che le cinque coordi-
nate o dimensioni individuate da Margiotta e dagli altri studi sull’insegnante
di qualità sono bagaglio fondamentale e imprescindibile nella formazione di
ogni insegnante di lingua e non si può distinguere o scindere il sostantivo -
insegnante- dalla specificazione -di lingua.

4. L’insegnante di qualità di Lingua italiana per stranieri


Quali sono quindi le competenze richieste ad un insegnante di lingue e
nello specifico ad un insegnante di italiano per stranieri? Abbiamo visto nelle
ricerche effettuate che numerosissime sono le realtà e le situazioni in cui

ti.
viene effettuato l’insegnamento dell’italiano all’estero e che si trova ad

va
affrontare un insegnante, congiuntamente alle diverse origini, bisogni e moti-

er
vazioni degli studenti. Pertanto un qualunque modello di insegnante di lin-

ris
gua italiana di qualità deve essere fortemente dinamico, adattabile alle per-
sonalità e al contesto in cui viene applicato.
tti
L’impegno del Laboratorio Itals in questi anni è stato proprio nella dire-
iri
id
zione di cercare di formare un insegnante di lingua italiana di qualità e le
esperienze di formazione del Laboratorio Itals, l’analisi di questionari distri-
ti
ut

buiti alle persone che hanno frequentato i corsi di formazione proposti dal
.T

Laboratorio stesso, le ricerche fatte, ci permettono di affermare che la dire-


zione intrapresa è giusta. È interessante infatti notare come gli insegnanti di
re

lingua italiana in parte abbiano e in parte richiedano un tipo di formazione


ito

che li fa essere o li porti ad essere insegnanti di qualità. E ciò testimonia


ed

anche della loro capacità di autovalutarsi e riflettere sul proprio operato14.


ci

Dai dati emerge una realtà che mostra come anche i docenti concordino
c
na

nel definire un insegnante di qualità secondo queste direttrici e che richie-


dano, quando non ne sono in possesso, un tipo di formazione che permetta
Bo

loro di diventarlo.
©

- conoscenza dell’oggetto, cioè la lingua e la cultura italiane. Quindi


conoscenza disciplinare. Non solamente e ovviamente intesa come
conoscenza della lingua, ma sulla lingua, sul suo funzionamento e sui

14
In un periodo di circa 6 anni sono stati distribuiti più di 3000 questionari valutativi dell’efficacia
del corso che avevano seguito chiedendo tra le altre cose se aveva soddisfatto le loro richieste e quali
erano le aree che avrebbero voluto approfondire o invece lasciare in secondo piano.
A questi dati si aggiungono anche quelli derivanti dall’analisi del questionario che mirava a traccia-
re un ritratto dell’insegnante di italiano e che sono stati pubblicati nel 2002 in Balboni, P.E., Santipolo,
M (2002), L’italiano nel mondo, Roma, Bonacci.

27
suoi meccanismi. Per affermare con sempre più forza che non basta
sapere una lingua per poterla insegnare. Nel caso di molti insegnanti di
italiano all’estero ciò ha una doppia valenza: come abbiamo visto, la
stragrande maggioranza degli insegnanti di italiano all’estero è di origi-
ne italiana, e quindi possiamo definirli di madrelingua, ma ci sono situa-
zioni in cui la lontananza dall’Italia e il vissuto personale richiedono un
costante aggiornamento sull’uso della lingua e sull’Italia; a maggior
ragione questo è necessario per chi non è di madrelingua, come sta in
molti casi accadendo e come speriamo avvenga sempre più. Ma a ciò si
deve affiancare anche come, richiesto dagli stessi insegnanti, un
approfondimento delle conoscenze linguistiche formali. Le competenze
vengono dalle scienze del linguaggio e della comunicazione e dalle

ti.
scienze della cultura e della civiltà;

va
- competenze didattiche, cioè la padronanza di un repertorio di strategie

er
e tecniche e la capacità di applicarle. Di questo si occupa la glottodi-

ris
dattica come disciplina operativa, con il suo sforzo di teorizzare e pro-
tti
porre approcci fondati, metodi adeguati e coerenti al loro interno e tec-
iri
niche glottodidattiche che siano coerenti con l’approccio ed il metodo
id

e efficaci nel raggiungere l’obiettivo. La glottodidattica e le scienze di


ti

cui è integrazione: dell’educazione, della comunicazione, psicologiche,


ut

forniscono approcci e metodi perché l’insegnante di italiano possa


.T

padroneggiare diversi modelli di insegnamento e di apprendimento. Le


re

situazioni in cui si trova ad operare un insegnante di lingua italiana sono


ito

le più diverse e anche in una stessa giornata si trova ad affrontare corsi


ed

a vari livelli e con varie tipologie di allievi, dai bambini ad adulti, anche
all’interno della stessa classe. In cui poi si trovano, come sappiamo,
c ci

bisogni e motivazioni a cui dare una risposta. L’insegnante dovrà quin-


na

di essere in grado di saper valutare e riconoscere gli stili e le strategie


Bo

degli studenti; dovrà quindi cercare di presentare materiali e argomen-


ti in situazioni quanto più possibile reali, motivando l’allievo con atti-
©

vità interessanti e coinvolgenti, in maniera flessibile rispetto alle attività


proposte. Tra le competenze didattiche, diventa fondamentale poi saper
gestire i gruppi e la classe. Gli insegnanti di lingua italiana si sono resi
conto che bisogna scendere dalla cattedra e gestire la classe in un’ottica
cooperativa e collaborativa; integrando anche le nuove tecnologie15;

15
Fondamentale è a questo punto la formazione, dato che la grande maggioranza dei docenti viene
da una formazione umanistica e conosciamo tutti come in molti paesi e nello specifico in Italia, umanisti-
co e tecnologie siano stati molte volte termini in contrapposizione.

28
saper redigere attività didattiche valide e pertinenti. Sappiamo tutti
come il rapporto tra gli insegnanti e il libro di testo, accompagnato dalla
cassetta, o da altri sussidi, sia molto conflittuale. Lo usano ma non lo
amano;
- capacità di riflessione e di autocritica, vista come carattere distintivo
della professionalità dell’insegnante. Questa capacità deve essere intesa
come il cercare continuamente di mettersi in discussione, utilizzando in
modo adeguato gli strumenti messi a disposizione. Ad esempio, seguire
costantemente un percorso di ricerca azione, dove l’osservazione e la
riflessione danno spunti per una ridefinizione del proprio operato.
Inoltre, la formazione di base deve essere seguita da una formazione che
sia fatta di momenti discreti, ma che sia soprattutto continua, cioè asso-

ti.
ciata al proprio operare. Gli insegnanti di lingua italiana debbono

va
soprattutto sentirsi parte di una comunità di apprendimento e di prati-

er
ca, che permetta loro di condividere e scambiare esperienze, idee,

ris
dubbi. Data la differenza di provenienze formative, è indispensabile
tti
oltretutto che gli insegnanti di italiano sviluppino un linguaggio glotto-
iri
didattico comune;
id

- per quanto riguarda l’aspetto più affettivo e “umano”, molti insegnanti


ti

di italiano nei vari questionari analizzati mettano in risalto come un


ut

bravo insegnante debba “voler bene agli studenti” stabilendo con loro
.T

un rapporto affettivo che va anche al di là e al di fuori dello specifico


re

della disciplina insegnata. Ciò si differenzia dall’empatia intesa come


ito

capacità di vedere le cose dalla prospettiva dell’altro, con i suoi occhi.


ed

Essenziale, comunque è il rapporto umano con lo studente, diretto ad


ci

incidere positivamente sulla motivazione e soprattutto a mantenerla ad


c

un alto livello.
na

- competenze gestionale, dato che gli insegnanti ormai assumono varie


Bo

responsabilità del genere dentro e fuori l’aula. Per gli insegnanti di lin-
©

gua italiana questo aspetto organizzativo e gestionale riveste una impor-


tanza particolare, in quanto nelle diverse realtà in cui si trovano ad ope-
rare essi non sono solamente insegnanti di lingua e cultura, ma piutto-
sto promotori del “sistema Italia”.

5. Conclusione
I punti segnalati non debbono far pensare comunque, che l’insegnante di
lingua italiana debba essere un “tuttologo”, in quanto dovrà essere compito

29
del glottodidatta, nella sua dimensione scientifica e di ricercatore, quello di
interfacciarsi con le varie discipline che ne compongono l’universo episte-
mologico e selezionare e proporre le metodologie per lo sviluppo delle com-
petenze linguistiche e comunicative.
La breve presentazione della nostra definizione delle competenze dell’in-
segnante di italiano di qualità, che vengono poi trattate e approfondite
durante tutto il libro provengono dalla ricerca, ma riflettono anche alcune
delle indicazioni che vengono dagli insegnanti e alle quali si deve cercare di
dare una risposta se vogliamo che il successo della lingua italiana di cui par-
lavamo all’inizio possa poggiare su basi solide che gli garantiscano un futuro
in una società complessa quale l’attuale.

ti.
riferimenti bibliografici

va
BALBONI P. E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-

er
ris
plesse, Torino, UTET Libreria.
BALBONI P.E., SANTIPOLO M. (cur.) (2003), L’italiano nel mondo, Roma,
Bonacci tti
iri
MARGIOTTA U. (cur.) (2002), L’insegnante di qualità, Roma, Armando
id

BONETTA G., LUZZATO G., MICHELINI M., PIERI M.T. (cur.) 2002, Università
ti

e Formazione degli insegnanti: non si parte da zero, Udine, Forum.


ut
.T

FREDDI G. (1994), Glottodidattica, Torino, UTET Libreria.


PORCELLI G., BALBONI P. E. (cur.) (1991), Glottodidattica e università. La for-
re

mazione del Professore di Lingue, Torino, Liviana-Petrini


ito

DE MAURO T. (cur) (2002), Italiano 2000, Roma, M.A.E.


ed

ENTEP, (European Network on Teacher Education Policies)


ci

www.ypepth.gr/entep/ Visitato il 10.02.03


c

NBPTS, (National Board for Professional Teaching Standards),


na

www.nbpts.org Visitato il 10.02.03


Bo

XODO C. (2001), “Competenze senza conoscenze”, in Nuova Secondaria, 7.


©

30
Parte seConda

ti.
va
er
aPProCCio aLL’insegnamento

ris
deLL’itaLiano a stranieri
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
ci
c
na
Bo
©
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
Capitolo 3
gLottodidattiCa soCio-VariaZionaLe
deLL’itaLiano Come Ls.
L’aPProCCio soCio-gLottodidattiCo
Matteo Santipolo

Insegnare una lingua straniera significa fornire a chi la studia gli strumenti
migliori per comunicare con i parlanti di tale lingua, siano essi nativi o non.
Affinché ciò possa aver luogo è necessario che la competenza comunica-
tiva, obiettivo ultimo da perseguire nell’attività glottodidattica, sia quanto

ti.
più completa e variegata possibile. In considerazione del fatto che la lingua,

va
qualsiasi lingua, rappresenta un complesso fenomeno sociale e che essa subi-

er
sce continue variazioni a seconda dei diversi contesti d’uso, solo tenendo

ris
presente anche didatticamente della sua variabilità si potrà rendere conto del
più ampio numero possibile di sfaccettature che la caratterizzano e che ne
tti
iri
garantiscono l’efficacia e l’adeguatezza sociolinguistica.
id

Il presente capitolo è diviso in due parti: nella prima tracceremo un sinteti-


co profilo del repertorio linguistico degli italiani e delle principali tipologie di
ti
ut

variazione cui è soggetta la lingua; nella seconda accenneremo a come gli aspet-
.T

ti sociolinguistici (ossia quelli che costituiscono la competenza sociolinguistica,


re

sottocompetenza di quella comunicativa) possano e, a nostro avviso, dovreb-


ito

bero, costituire parte integrante di un curriculum di italiano come lingua stra-


ed

niera. Definiamo questo particolare ambito di studi glottodidattica socio-variai-


zonale e l’approccio che persegue socio-glottodidattico (cfr. Santipolo 2000)
ci

Le tematiche qui proposte in sintesi vengono trattate nella loro interezza


c
na

in Santipolo 2002 e Santipolo (2003), cui si rimanda per approfondimenti.


Bo

1. La variazione e il repertorio linguistico degli italiani


©

Per repertorio linguistico s’intende l’insieme dei segni verbali condiviso


dai membri di una certa comunità che rappresenti la totalità delle varietà e
dei codici linguistici ad essa disponibili, includendo quindi anche differenti
stili, dialetti, o addirittura lingue, nel caso di comunità plurilingui.

1.1 Tipologie di variazione


La lingua, ogni lingua, varia nel tempo. L’italiano di Dante non è certo
uguale a quello che parliamo oggi. Ma è facilmente ipotizzabile che lo stesso

33
Dante non parlasse come scriveva, esattamente come accade a ciascuno di
noi (anche se la posta elettronica sembra avere avvicinato molto il parlato e
lo scritto). È inoltre noto a tutti che, pur senza pensare ai dialetti, l’italiano
che si parla in Piemonte è molto differente da quello parlato in Campania:
per pronuncia, per scelte lessicali e morfosintattiche, ecc.
Allo stesso modo è esperienza comune quella di imbattersi in qualche
Azzeccagarbugli che parla per non farsi capire. Anche senza arrivare agli
estremi di manzoniana memoria è naturale che ognuno di noi presenti alcu-
ne caratteristiche locutorie che lo identificano come appartenente ad un
certo gruppo. Analogamente il nostro modo di parlare si modifica a seconda
dell’interlocutore con cui interagiamo, ad esempio, a seconda del grado di
familiarità o formalità.

ti.
In sintesi e con qualche semplificazione, possiamo affermare che la lingua

va
è caratterizzata dai seguenti tipi di variazione:

er
1. diacronica: cioè nel tempo

ris
2. diamesica: cioè a seconda del mezzo con cui viene veicolata
3. diatopica: cioè geografica
tti
iri
4. diastratica: cioè a seconda dei gruppi sociali (per età, per professione,
id

per sesso, per livello d’istruzione, ecc.)


ti

5. diafasica: cioè a seconda dei registri.


ut
.T

1.2 Il repertorio
re
ito

Nel repertorio linguistico degli italiani è possibile individuare tre tipolo-


ed

gie di codici:
ci

- italiano
c
na

- dialetti italo-romanzi
Bo

- lingue minoritarie
©

L’italiano
La struttura sociolinguistica della lingua nazionale è rappresentabile
mediante un continuum polarizzato cioè orientato ed ordinato dal più al
meno prestigioso, e costituito come segue:
a.italiano standard
b.italiano semistandard
c. italiani regionali
d.italiani popolari

34
All’estremo più alto di questo continuum troviamo il cosiddetto italiano
standard, cioè una varietà di lingua che s’ispira ai modelli dell’italiano scrit-
to colto e letterario. Di fatto questa varietà è d’uso alquanto raro nel parlato
quotidiano e sembra essere esclusiva solo di alcune categorie di persone
(attori, qualche annunciatore radio e TV, ecc.), mentre, per il resto, è preva-
lentemente di uso scritto e formale (ad esempio di rado compare nei mes-
saggi di posta elettronica). Si tratta di una varietà che, in quanto non marca-
ta geograficamente, gode comunque d’una posizione di prestigio tale da
sovrapporsi alle altre varietà che convergono verso di questa.
La seconda varietà presente in questo continuum è l’italiano semistan-
dard. Si tratta di una varietà i cui confini sono difficilmente delimitabili ma
che pare comprendere aspetti dello standard assieme ad altri propri delle

ti.
diverse varietà, soprattutto diafasiche. La variazione diatopica è evidente a

va
livello fonetico con effetti di sostrato che possono riguardare ad esempio la

er
realizzazione delle vocali (come la perdita dell’opposizione tra pèsca (frutto)

ris
e pésca (attività sportiva), in alcune varietà settentrionali), relitti linguistici
dei diversi dialetti italo-romanzi locali. Non si tratta quindi d’una varietà
tti
iri
compatta ed unitaria, seppure presenti tratti comuni a tutto il territorio
id

nazionale, e tanto meno, di un vero e proprio dialetto.


Proseguendo si trovano i cosiddetti italiani regionali, coi quali ci si riferi-
ti
ut

sce alla vasta gamma di fenomeni posti tra l’italiano della tradizione lettera-
.T

ria e il dialetto. Ciò significa che sull’italiano standard vengono innestati, qua
re

e là, tratti di chiara provenienza dialettale che varieranno, appunto, da regio-


ito

ne a regione. Per questo motivo riteniamo sia opportuno riferirsi a questa


ed

varietà del continuum al plurale, cioè appunto italiani regionali, prodotti dal-
l’effetto di sostrato dei dialetti sui quali si sovraimpone l’italiano standard.
ci

All’estremo più basso del continuum si collocano i diversi italiani popola-


c
na

ri propri degli strati sociali bassi, incolti e semicolti, ossia con basso livello di
Bo

scolarizzazione, e caratterizzati da numerosi tratti di derivazione dialettale


(assai più numerosi che negli italiani regionali) e da fenomeni d’ipercorretti-
©

smo, entrambi diffusi a tutti i livelli strutturali (fonologico, morfosintattico,


lessicale, ecc.). Anche per questa varietà, riteniamo più opportuno l’impiego
del plurale (italiani popolari), in quanto pur condividendo gran parte dei
macrofenomeni (semplificazioni, ipergeneralizzazioni, ecc.), diverse saranno
le loro realizzazioni a seconda del sostrato che li genera.
In breve, si osserva che, a mano a mano che ci si sposta dall’estremo alto
del continuum, rappresentato dall’italiano standard, verso l’estremo più
basso, occupato dagli italiani popolari, le “infiltrazioni” dai dialetti italo-
romanzi si fanno sempre più consistenti e intaccano un numero sempre cre-

35
scente di livelli strutturali della lingua. Dall’italiano semistandard in giù si
tratta, in altri termini, di varietà di contatto con un ruolo sempre più forte del
sostrato dialettale a mano a mano che si discende nel continuum.

I dialetti italo-romanzi
Un dialetto non è mai una lingua “parlata male”. Si tratta, al contrario, di
un sistema di comunicazione verbale completo e complesso, con una morfo-
sintassi ed un lessico specifici, anche se talvolta apparentemente meno stabi-
li, in quanto meno o per nulla descritti – e perciò meno prescrittivi – che non
quelli delle lingue standard.
I dialetti italo-romanzi sono una filiazione diretta del latino, esattamente
come lo sono l’italiano, il francese, lo spagnolo, ecc. Se oggi affermiamo che

ti.
queste ultime sono delle lingue, non è in quanto sono più ricche, più effica-

va
ci o meglio organizzate strutturalmente del siciliano, del bergamasco o del

er
napoletano, ma piuttosto in quanto hanno acquisito maggiore prestigio dive-

ris
nendo così le lingue letterarie ed ufficiali di Stati costituiti.
tti
La diffusione della dialettofonia (cioè il parlare un dialetto) non è affatto
iri
omogenea in tutte le regioni d’Italia. Così, se la media degli italiani esclusi-
id

vamente dialettofoni nell’intero territorio nazionale, per quanto approssima-


ti

tiva, pare aggirarsi intorno al 12-13%, tale dato aumenta in modo conside-
ut

revole nelle regioni del nord-est e dell’estremo sud della Penisola. In queste
.T

aree si può probabilmente parlare di una sorta di forma debole di bilingui-


re

smo italiano / dialetto, in cui il ruolo dominante a livello di competenza pro-


ito

duttiva e ricettiva è svolto dalla lingua nazionale, ma in cui entrambi i codi-


ed

ci possono venire impiegati, se non in tutte, per lo meno in un gran numero


di situazioni comunicative.
c ci
na

Le lingue minoritarie
Bo

L’Articolo 6 della Costituzione italiana recita: “La Repubblica tutela con


©

apposite norme le minoranze linguistiche.”


La Legge n. 482 del 15 Dicembre 1999 “Norme in materia di tutela delle
minoranze linguistiche storiche” ha come scopo principale quello della
“valorizzazione delle lingue e delle culture tutelate dalla presente legge”
(Articolo 1 Punto 2), e cioè quelle
“delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di
quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano
e il sardo.” (Articolo 2)

36
Il testo della legge si riferisce alle minoranze linguistiche storiche, cioè a
quelle che da secoli sono presenti nel territorio1.
Negli ultimi dieci anni, tuttavia, l’Italia, sotto l’impulso dello sviluppo
economico, si è trasformata da paese di emigranti a paese di attrazione immi-
gratoria. Una delle conseguenze dell’immigrazione, a livello sociolinguistico,
è la formazione di nuove minoranze linguistiche, talvolta anche numerica-
mente assai consistenti. La comunità più vasta è rappresentata dagli ara-
bofoni che, pur con le numerose differenze dialettali che l’arabo presenta al
suo interno, raggiungono circa i 210.000 parlanti, prevalentemente maroc-
chini e tunisini. Altre comunità numericamente significative sono quelle
degli albanesi (da non confondere con quelli storicamente presenti nel terri-
torio) e degli slavi di varia provenienza. Oltre che allo sviluppo di nuove

ti.
minoranze linguistiche, l’immigrazione produce situazioni di contatto tra ita-

va
liano, dialetti e le diverse LM degli immigrati. Si tratta di varietà di italiano

er
di stranieri di cui, data la loro crescente diffusione, si dovrà sempre più tener

ris
conto come parte integrante del repertorio linguistico degli italiani, o meglio
ancora, dei nuovi italiani.
tti
iri
Proprio la variabilità della lingua e suo modificarsi, come visto, in più
id

direzioni, e la vasta ed articolata struttura del repertorio linguistico degli ita-


liani rendono indispensabile una riflessione attenta su quale debba essere il
ti
ut

modello didattico di riferimento.


.T
re

2. alcune considerazioni glottodidattiche


ito

È evidente che di fronte alla complessità del quadro, seppure sintetica-


ed

mente, appena tracciato, non tenerne conto didatticamente significa non


ci

offrire agli studenti una visione verosimile della realtà italiana, compromet-
c
na

tendo di fatto le loro possibilità di una sua comprensione, e non esclusiva-


mente in senso linguistico.
Bo

D’altro canto, è pur vero che una scelta deve necessariamente essere fatta,
©

anche per evitare di ingenerare confusione negli studenti stessi. Se per quan-
to riguarda la lingua scritta il modello di riferimento dovrebbe essere sicura-
mente l’italiano standard, per quanto riguarda la lingua parlata, il modello
dovrebbe, a nostro avviso, attestarsi sull’italiano semistandard, già a partire
dai livelli più elementari di acquisizione.

1
Per una descrizione dettagliata di ciascuna minoranza e del suo quadro sociolinguistico si rimanda
a Santipolo 2002, capitolo 3.

37
Ciò detto, nel caso dell’italiano come lingua straniera il rischio che la
complessità del repertorio costituisca un fattore demotivante è reale, ma l’in-
segnante potrà invece sfruttarla a proprio vantaggio come strumento per
destare la curiosità degli studenti. In questa situazione sarà di fondamentale
importanza il fatto che l’input sia quanto più autentico e variegato possibile,
pur entro i limiti della sua comprensibilità. La mediazione dell’insegnante
non riguarda solo gli aspetti più strettamente linguistici, ma pure quelli
socioculturali: la complessità del repertorio linguistico è infatti insieme causa
ed effetto della complessità socioculturale.
In considerazione di quanto fin qui esposto e della scarsa o nulla autenti-
cità pragmatica della lingua come LS, l’insegnamento delle diverse varietà
del repertorio andrà inserito solo a livelli medio-alti di studio. Esso dovrà

ti.
inoltre avere come obiettivo la sola competenza ricettiva per quanto concer-

va
ne gli italiani popolari e regionali (intesa comunque in termini di samples),

er
mentre i dialetti potranno essere presi in considerazione solo in termini di

ris
consapevolezza della loro esistenza e distanza dalla lingua nazionale.
Relativamente alle diverse tipologie di variazione (diamesica, diatonica,
tti
iri
diastratica, e diafasica) in LM la competenza sociolinguistica è ovviamente
id

sempre sia ricettiva sia produttiva (nel senso che riguarda sia le abilità ricet-
tive che quelle produttive).
ti
ut

In LS, invece, è necessario compiere una distinzione: in linea di massima,


.T

possiamo affermare che la competenza sociolinguistica da perseguire come


re

obiettivo dovrebbe essere sia produttiva sia ricettiva per quanto riguarda la
ito

variazione diafasica, diamesica e diastratica, ma può essere anche solo ricet-


ed

tiva per quanto riguarda la variazione diatopica2. In altre parole, si deve por-
tare lo studente ad una piena coscienza di tutte le tipologie di variazione pre-
ci

senti nella LS, ma senza richiedere che sappia reimpiegare produttivamente


c
na

quella diatopica. Non avrebbe infatti senso insegnare intenzionalmente ad


Bo

uno studente tedesco di italiano a parlare con un accento diverso da quello


neutro; mentre è certamente importante farlo pervenire, ad esempio, alla
©

comprensione delle diverse regole che governano la lingua scritta rispetto a


quelle della lingua parlata.
L’insegnamento degli aspetti sociolinguistici potrà comunque avvenire già
nelle fasi iniziali di acquisizione della lingua, almeno per quanto riguarda
certe caratteristiche elementari (soprattutto relative alla variazione diafasica

2
Si tralascia qui intenzionalmente la variazione diacronica in quanto meno significativa dal punto di
vista comunicativo. Essa potrà in ogni caso costituire materia di studio in corsi specializzati di linguistica,
filologia e letteratura.

38
– ad esempio la distinzione tra formale e informale – e diamesica), mentre
sarà bene proporre gli aspetti più complessi (variazione diastratica – ad
esempio aspetti substandard, gerghi, microlingue, ecc. – e diatopica) solo a
livelli più avanzati.
La competenza sociolinguistica, come del resto qualunque altra compo-
nente della competenza comunicativa, deve essere perseguita induttivamen-
te, a partire cioè dall’emisfero destro del cervello per giungere solo in segui-
to a quello sinistro. Ciò implica seguire un percorso che partendo dal com-
portamento perviene alla regola che lo governa. Ma gli aspetti sociolinguisti-
ci, data la loro natura socio-convenzionale non facilmente percepibile a colo-
ro che non sono membri della comunità dei parlanti, potranno essere inse-
gnati anche ampliando lo spazio deduttivo, specie quando si abbia a che fare

ti.
con studenti adulti.

va
Nel caso in cui gli allievi siano dei bambini, esattamente come per quan-

er
to accade con l’insegnamento della grammatica, anche lo sviluppo della com-

ris
petenza sociolinguistica dovrà tenere in debita considerazione ed asseconda-
re le fasi dell’evoluzione meta- e psicocognitiva degli apprendenti. Infatti, il
tti
iri
bambino non raggiunge un pieno controllo delle norme sociolinguistiche
id

nella propria lingua materna prima della pubertà. Voler quindi imporre l’ac-
quisizione di queste norme in una lingua straniera, non solo è controprodu-
ti
ut

cente, ma, in termini acquisizionali, è pure errato, in quanto il bambino non


.T

possiede ancora gli strumenti psicologici per poter far proprie tali strutture.
re
ito

2.1 La scelta delle varietà


ed

Considerando la complessità del repertorio descritto sopra è difficile non


tener conto almeno di parte delle sue sfaccettature. Il problema, a questo
c ci

punto, è stabilire quale tipo di lingua debba essere fatto oggetto principale
na

della didattica.
Bo

Se da un lato, come detto, pare opportuno che la varietà semistandard sia


l’oggetto della didassi, d’altro canto, per evitare che gli apprendenti com-
©

mettano “errori” sociolinguistici (ad esempio, usare una parolaccia può esse-
re accettabile e talvolta persino opportuno, ma lo si può fare solo se si ha
pieno possesso del suo significato sociolinguistico), è necessario che vi siano
riferimenti sia all’estremo più alto del continuum che a quello più basso,
senza, peraltro, trascurare i dialetti, quando se ne presenti l’opportunità e
comunque, avendo sempre ben presente la distinzione tra competenza ricet-
tiva e produttiva nella valutazione degli obiettivi da perseguire. Un modello
dunque deve essere presente, ma non si dovrebbero ignorare le altre varietà

39
e variazioni che costituiscono il repertorio linguistico dei parlanti nativi.
Un’altra questione sulla quale è bene soffermarsi è quella relativa all’idio-
letto3 dell’insegnante. Nel caso dell’italiano come lingua seconda il problema
è relativo, data la sovrabbondanza di input e la conseguente pluralità di
modelli di riferimento cui è sottoposto lo studente. Nel caso dell’insegna-
mento dell’italiano come lingua straniera, invece, due sono le tipologie di
situazioni che si possono incontrare: a. l’insegnante è madrelingua; b. l’inse-
gnante non è madrelingua. Nell’ipotesi dell’insegnante madrelingua, presu-
mibilmente un parlante di italiano semistandard, sarà molto importante che
egli / ella abbia piena coscienza del proprio modus loquendi, in particolare
dei tratti principali della propria pronuncia. Solo così facendo sarà in grado
di porre in evidenza agli studenti le eventuali differenze tra il suo personale

ti.
modo di parlare e quello target. Nell’ipotesi dell’insegnante non madrelingua

va
sarà ancor più fondamentale il ricorso a numerosi realia.

er
Riteniamo, in ogni caso, che solo l’insegnante in possesso di una solida

ris
formazione, sia teorica che operativa, relativa agli aspetti qui presentati,
possa essere in grado di rispondere adeguatamente all’esigenza di fornire agli
tti
iri
studenti di italiano come LS un’immagine nitida e quanto più completa ed
id

aggiornata possibile dell’italiano lingua viva.


ti
ut

riferimenti bibliografici
.T

BALBONI P. E. (2002), Le sfide di Babele, Torino, Utet Libreria.


re

BERRUTO G. (1987), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, La


ito

Nuova Italia Scientifica.


ed

BERRUTO G. (1995), Fondamenti di sociolinguistica, Roma-Bari, Laterza.


ci

CANEPARI L. (19992), Manuale di pronuncia italiana, Bologna, Zanichelli.


c

CANEPARI L. (1999), Dizionario di pronuncia italiana, Bologna, Zanichelli.


na

CORTELAZZO M. A. (2000), Italiano d’oggi, Padova, Esedra.


Bo

CORTELAZZO M. A. (2001), “L’italiano e le sue varietà: una situazione in


©

movimento”, in Lingua e Stile, Anno XXXVI, n. 3, dicembre, pp. 417-31.


COVERI L,. BENUCCI A., DIADORI P. (1998), Le varietà dell’italiano, Roma,
Bonacci.
DAL NEGRO S., MOLINELLI P. (2002), (cur.), Comunicare nella torre di
Babele. Repertori plurilingui in Italia oggi, Roma, Carocci.
SANTIPOLO M. (2000), “Socio-glottodidattica dell’italiano a stranieri” in

3
Per idioletto s’intende la varietà personale di un codice linguistico propria di un singolo individuo,
la somma delle sue caratteristiche linguistiche.

40
Dolci, R. e Celentin, P. (cur.), La formazione di base del docente di italiano a
stranieri, Roma, Bonacci, pp. 81-99.
SANTIPOLO M. (2002), Dalla sociolinguistica alla glottodidattica, Torino, Utet
Libreria.
SANTIPOLO M. (2003), “Per una ridefinizione del repertorio linguistico degli
italiani: dalla descrizione sociolinguistica alla selezione glottodidattica” in
Itals, A. 1, N. 1, pp. 75-92.
SOBRERO A. A. (1996), (cur.), Introduzione all’italiano contemporaneo. Le
strutture, Roma-Bari, Laterza.
SOBRERO A. A. (1997), (cur.), Introduzione all’italiano contemporaneo. La
variazione e gli usi, Roma-Bari, Laterza.

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

41
Capitolo 4
teoria LingUistiCa e insegnamento
deLLa grammatiCa
Laura Brugè

Quando si cerca di determinare che cosa s’intende per conoscere una lin-
gua, questione su cui ognuno, come studente prima e come docente di lin-
gua (straniera) poi, si è sorpreso certamente a riflettere, ci si rende immedia-
tamente conto della complessità che ciò comporta. Ogni lingua naturale,
infatti, può considerarsi come l’espressione concreta della facoltà del lin-
guaggio, vale a dire della capacità cognitiva, comune a tutti gli individui, di

ti.
sviluppare un sistema di comunicazione. Questo sistema è caratterizzato da

va
proprietà specifiche che lo rendono sensibilmente differente da tutti gli altri

er
sistemi di comunicazione, o linguaggi, che si presentano in natura o che ven-

ris
gono elaborati artificialmente. Il linguaggio umano è discreto, ricorsivo e
tti
dipendente dalla struttura.1 A queste proprietà, inoltre, si affianca la com-
iri
plessità interna che caratterizza le lingue naturali. Ogni lingua naturale, infat-
id

ti, si configura come un sistema articolato che integra più livelli: il livello dei
ti

suoni (descritto dalla fonetica e dalla fonologia), il livello delle parole


ut

(descritto dalla morfologia) il livello delle frasi (descritto dalla sintassi) e il


.T

livello dei significati (descritto dalla semantica). Ognuno di questi livelli è


re

governato da principi e regole specifici, ma al tempo stesso strettamente vin-


ito

colati ai principi e alle regole che sono inclusi in ognuno degli altri livelli.
ed

Concentrando l’interesse sul sistema lingua come forma e/o struttura,


questo lavoro intende difendere l’imprescindibilità della conoscenza della
c ci

teoria linguistica formale nella formazione del docente d’italiano come lingua
na
Bo
©

1
La proprietà della discretezza, vale a dire la possibilità di distinguere ognuna delle unità che
appartengono alle lingue naturali mediante caratteristiche intrinseche proprie, e la proprietà della
ricorsività, che permette, mediante il meccanismo della subordinazione, di costruire frasi sempre nuove e
di lunghezza teoricamente illimitata, differenziano il linguaggio umano dai linguaggi degli animali. La
proprietà della dipendenza dalla struttura, distingue, invece, il linguaggio umano dai linguaggi artificiali.
Essa consiste nella facoltà, da parte delle unità della lingua, di potersi organizzare in sequenze fortemente
vincolate tra loro da relazioni di dipendenza (semantica e sintattica) interna. Queste sequenze, a loro volta,
si comportano come un “oggetto” compatto (costituente) rispetto all’applicazione delle regole della
grammatica. Per tali ragioni, le regole della grammatica non possono essere formulate facendo unicamente
ricorso al requisito dell’adiacenza. Nell’ambito della grammatica generativa elaborata da Chomsky, questa
proprietà viene descritta mediante un principio universale: il principio della dipendenza dalla struttura
sintagmatica (cfr. Chomsky, 1981).

42
straniera.2 Non deve essere considerato, pertanto, come un intervento di
carattere pratico nel significato usuale del termine, bensì come un contribu-
to per orientare la pratica didattica del docente, riflesso di un percorso for-
mativo che includa la teoria linguistica intesa come studio scientifico del lin-
guaggio, ed evitare, così, soluzioni meramente intuitive nell’affrontare e svi-
luppare il “modulo” della grammatica nell’insegnamento dell’italiano come
lingua straniera.3

1. La teoria linguistica e gli studi sull’insegnamento della lingua


straniera

ti.
1.1. Il rapporto tra linguistica e glottodidattica

va
Risulta intuitivamente chiaro che la conoscenza di una lingua non può

er
essere elaborata in maniera parziale o non integrata. Saper pronunciare cor-

ris
rettamente i suoni di una lingua non equivale a conoscere una lingua, così
come non si può affermare di poter dominare una lingua basandosi esclusi-
tti
iri
vamente sul fatto di essere riusciti a memorizzare un numero, anche molto
id

elevato, di parole che costituiscono il lessico di quella lingua. Questo perché


la lingua, come è stato affermato, è un sistema complesso costituito da diver-
ti
ut

si sottosistemi, ognuno dei quali governato sì da principi e regole specifici,


.T

ma comunque interdipendenti tra loro ed interagenti l’uno con l’altro.


re

La conoscenza interiorizzata dei principi e delle regole che sottendono ai


ito

livelli del suono, della parola, della frase e del significato costituiscono quel-
ed

la che viene denominata Competenza (grammaticale) di una lingua. Essa si


manifesta concretamente mediante la capacità, da parte dell’individuo, di
ci

saper costruire frasi che vengono giudicate come appartenenti alla gramma-
c
na

tica di quella lingua particolare. Il repertorio, peraltro infinito, di frasi gram-


Bo

maticali di una lingua non si trova né nei dizionari né nei manuali, e presup-
pone, pertanto, un atto costante di creazione individuale.
©

La conoscenza globale di una lingua, inoltre, include anche la capacità di


saper produrre frasi ed enunciati appropriati al contesto, vale a dire d’accor-
do con i parametri che regolano la comunicazione in tutti i suoi aspetti. E
questa conoscenza può essere definita come Competenza pragmatica.

2
Questa proposta non vuole escludere dalla formazione del docente la conoscenza di più teorie
linguistiche, come verrà esposto nel paragrafo 1.1 di questo lavoro. Riguardo, inoltre, al rapporto tra teorie
linguistiche e insegnamento delle lingue, si rimanda il lettore a Chomsky (1988, pp.179-82).
3
Per un commento sui diversi obiettivi che ispirano la linguistica intesa come disciplina scientifica
del linguaggio, da un lato, e la grammatica normativa dall’altro, si rimanda il lettore a Brugè (1999, 2003).

43
I principi e le regole che formano parte della competenza grammaticale e
quelli che vengono integrati nella competenza pragmatica dovrebbero esse-
re ben assimilati dal docente di italiano come lingua straniera, come pure l’a-
spetto metodologico, il quale si prefigge il compito di studiare i criteri più
idonei per un insegnamento efficace delle lingue straniere.4
Sulla base di queste considerazioni, risulta abbastanza sorprendente l’al-
lontanamento che negli ultimi trent’anni si è venuto a creare tra teoria lin-
guistica e insegnamento delle lingue (straniere). Infatti, dopo un lungo perio-
do in cui l’insegnamento delle lingue era centrato quasi esclusivamente sulla
grammatica, adottando le proposte avanzate nell’ambito della grammatica
tradizionale e normativa prima, e della teoria linguistica dello strutturalismo
poi,5 gli studi rivolti all’insegnamento delle lingue decidono di intraprendere

ti.
un percorso differente, che si concretizza in un maggior interesse per l’a-

va
spetto metodologico e, contemporaneamente, in un potenziamento consi-

er
stente dell’aspetto comunicativo e pragmatico della lingua a scapito di quel-

ris
lo formale o grammaticale.6
Le ragioni che hanno dato luogo a questa netta separazione tra linguisti-
tti
iri
ca e glottodidattica sono, naturalmente, molteplici. In primo luogo, si
id

potrebbe menzionare la differenza negli obiettivi che entrambe le discipline


si propongono (cfr. Brugè, 1999, 2003). La teoria linguistica si propone,
ti
ut

infatti, di descrivere, nel modo più appropriato possibile dal punto di vista
.T

formale, la capacità che ogni individuo possiede di costruire e comprendere


re

unità linguistiche provviste di significato. Il suo compito, quindi, è quello di


ito

formulare ipotesi, o principi generali, sul funzionamento del linguaggio


ed

umano, e quindi sulla struttura delle lingue. Diversamente, la glottodidatti-


ca, disciplina che “ha per oggetto l’insegnamento-apprendimento delle lin-
ci

gue” (Freddi, 1994, p.1), si propone come obiettivo primario quello di fare
c
na

in modo che un parlante non nativo giunga ad esprimersi con correttezza e


Bo

fluidità in una lingua straniera. Per raggiungere questo scopo, studia e svi-
luppa metodi per attivare o migliorare la conoscenza di una lingua straniera.
©

4
Nell’ insegnamento delle lingue straniere, al “modulo” grammaticale, a quello pragmatico e a quello
metodologico deve affiancarsi, inoltre, anche il “modulo” di cultura/civiltà, come viene proposto in Brugè
(2002), di cui, però, non tratteremo nelle pagine seguenti.
5
Il metodo audio-orale, diffuso nell’insegnamento delle lingue straniere fino agli anni settanta del
secolo scorso, applicava, infatti, i fondamenti concettuali dello strutturalismo, in particolare del
conduttivismo americano.
6
L’approccio ‘naturale’ elaborato da Krashen e Terrel (1983), che traduce in metodo didattico le
ipotesi cognitiviste di Krashen (1981, 1985) sull’acquisizione/apprendimento delle lingue, e gli altri
approcci comunicativi che lo hanno preceduto e seguito considerano inadeguato ricorrere ad una
riflessione (esplicita) sull’aspetto formale della lingua nell’insegnamento delle lingue straniere.

44
Un’altra ragione della separazione tra teoria linguistica e glottodidattica
deve ricercarsi, d’accordo con quanto afferma Liceras (1996, p.185), nell’al-
to grado di astrazione, e quindi di complessità, a cui è giunta la teoria lin-
guistica stessa.
A queste due motivazioni, inoltre, possiamo aggiungerne una terza, vale a
dire l’accusa lanciata alla teoria linguistica di trascurare l’aspetto semantico e
pragmatico del linguaggio per concentrarsi esclusivamente su quello forma-
le. Questa scelta entrerebbe in conflitto con la possibilità, da parte della teo-
ria linguistica, di rappresentare una guida per l’insegnamento delle lingue
straniere: in effetti, l’accesso immediato per un individuo che vuole appren-
dere una lingua straniera si concretizza nel significato.7
Nonostante queste motivazioni, di cui, come vedremo, la seconda può

ti.
essere abbastanza facilmente superata, mentre la terza non sembra potersi

va
considerare fondata allo stato attuale, ogni docente che si accinge ad inse-

er
gnare una lingua straniera si rende immediatamente conto che l’aspetto

ris
grammaticale, nella sua accezione formale, ricopre una grande importanza
nell’insegnamento di una lingua straniera, e che pertanto non può essere tra-
tti
iri
scurato e neppure sempre subordinato agli aspetti funzionali della lingua.
id

1.2. L’importanza della teoria linguistica


ti
ut

Negli ultimi vent’anni il formalismo della teoria linguistica ha subito


.T

sostanziali cambiamenti come verrà illustrato di seguito. Il modello a princi-


re

pi e parametri, elaborato da Chomsky all’inizio degli anni ottanta nell’ambi-


ito

to della teoria linguistica della grammatica generativa, segna una sostanziale


ed

svolta in tale senso. Infatti, per raggiungere una maggiore adeguatezza espli-
cativa nella formulazione dei principi generali che sottendono al funziona-
c ci

mento del linguaggio umano, la grammatica generativa introduce all’interno


na

della teoria, da un lato, l’aspetto semantico, dall’altro, l’analisi di più lingue,


Bo

potenziando, in questo modo, lo studio della comparazione linguistica.


Data l’importanza che, come abbiamo già affermato, riveste la grammati-
©

ca nell’insegnamento delle lingue straniere, questi cambiamenti nell’ambito


della teoria linguistica sono a nostro avviso sufficienti per sostenere che il

7
Questa accusa rivolta alla teoria linguistica potrebbe risultare fondata se si esamina l’impianto
formale dello strutturalismo, in particolare quello americano (cfr. Bloomfield, 1933), e se si esamina il
formalismo adottato dalla grammatica generativa fino alla fine degli anni settanta. Tuttavia, come verrà
discusso nelle pagine successive, la semantica, e anche per certi versi la pragmatica, ha acquisito un peso
determinante nei modelli formali più recenti elaborati dalla grammatica generativa. Ed è proprio negli
sviluppi più recenti di questa teoria che diventa naturale istaurare un dialogo tra teoria linguistica e
glottodidattica, produttivo per lo sviluppo di entrambe le discipline.

45
docente di lingua straniera, oltre a possedere una profonda conoscenza di
tutti gli aspetti della grammatica della lingua che va ad insegnare, nel caso
specifico, l’italiano, dovrebbe costruirsi anche una solida formazione nella
teoria grammaticale.
Naturalmente, formarsi nella teoria linguistica non equivale a sostenere
che il docente di lingua straniera debba trasformarsi in un linguista, così come
non equivale ad affermare che si debbano applicare direttamente ed esplici-
tamente le ipotesi avanzate dalla teoria linguistica in classe, durante, cioè, la
pratica didattica interattiva. Significa, invece, assimilare i risultati raggiunti
dalla teoria linguistica per coglierne le implicazioni, le quali verranno a costi-
tuire una solida base su cui sviluppare la pratica didattica in senso esteso.
Una formazione nella teoria grammaticale, pertanto, si prospetta come una

ti.
condizione fondamentale per fare propria una terminologia più attuale e

va
senz’altro più adeguata alla descrizione dei fenomeni linguistici e, in particola-

er
re, per acquisire consapevolezza sulla struttura della lingua che si insegna.8

ris
Acquisire consapevolezza sul sistema della grammatica dell’italiano risul-
ta vantaggioso poiché fornisce al docente gli strumenti indispensabili per la
tti
iri
programmazione coerente (con le diverse necessità del gruppo discente) ed
id

efficace (nel momento di ‘riflettere’ sui diversi aspetti grammaticali che ven-
gono mano a mano affrontati) del corso. Tutto ciò, naturalmente, ha come
ti
ut

scopo primario quello di favorire e facilitare sensibilmente il processo di


.T

acquisizione della lingua straniera.


re

Se ci si concentra sulle descrizioni generali che la teoria linguistica si pro-


ito

pone di elaborare per rendere conto delle proprietà grammaticali delle diver-
ed

se lingue naturali, si può riuscire ad interpretare in modo appropriato le pro-


duzioni degli apprendenti, individuarne, in prospettiva comparativa, le
ci

carenze, e quindi intervenire mediante materiali di rinforzo appropriati.


c
na

Inoltre, si potrebbe intuire in anticipo i problemi che gli apprendenti potreb-


Bo

bero avere nell’acquisire alcuni aspetti grammaticali dell’italiano, e mettere a


punto, così, percorsi didattici specifici che li conducano alla corretta costru-
©

zione delle ipotesi sul sistema della lingua d’arrivo. Interventi operativi di
questo tipo saranno in grado di indirizzare gli studenti verso un apprendi-

8
Per quanto concerne la terminologia, e quindi le impostazioni teoriche che la motivano, essa può
rappresentare un valido aiuto nell’eventuale scelta dei libri di testo e delle grammatiche di supporto da
adottare nei diversi corsi. Inoltre, nelle occasioni metalinguistiche, permette di esplicitare adeguatamente
agli studenti i termini che compaiono nei testi in adozione; oppure permette di intervenire in modo
adeguato nel caso in cui i termini linguistici adottati dai testi per la trattazione di qualche fenomeno
grammaticale non vengano usati in maniera appropriata o non vengano affrontati in modo esaustivo.

46
mento più rapido ma soprattutto più stabile.
Tendere ad individuare, e formalizzare, le descrizioni generali che possa-
no rendere conto, da un lato, delle proprietà del sistema grammaticale di una
lingua particolare (come, ad esempio, l’italiano) e, dall’altro delle proprietà
che differenziano il sistema grammaticale di una lingua particolare dai siste-
mi grammaticali delle altre lingue naturali, equivale a ricondurre a un minor
numero di ipotesi manifestazioni linguistiche a prima vista indipendenti le
une dalle altre sia nell’ambito di una stessa lingua, sia nel dominio più ampio
di lingue diverse.
Dalla parte del docente d’italiano come lingua straniera, quindi, adottare,
per la pratica didattica, queste ipotesi generali che rendono conto di più
comportamenti linguistici, ed abbandonare l’analisi dei singoli comporta-

ti.
menti linguistici, a cui non potrebbero che corrispondere in modo univoco

va
regole diverse, consentirebbe di agevolare notevolmente il processo di

er
apprendimento dei discenti.

ris
Questa diversa prospettiva conferma, in modo deciso, l’importanza delle
nozioni di unità e variazione nell’insegnamento delle lingue straniere. E per
tti
iri
comprendere che cosa s’intende con questi due termini, i due poli, cioè, che
id

sottendono al processo di acquisizione delle lingue, ci viene in aiuto la teoria


linguistica.9
ti
ut
.T
re

Per tradurre queste riflessioni in ambito didattico-operativo, si prenda in esame il caso del
ito

possessivo in italiano. In italiano il possessivo, pur possedendo proprietà di natura pronominale, può
ed

essere incluso nella categoria grammaticale Aggettivo: deve essere preceduto da una forma di
determinante se la natura del nome lo richiede, può essere preceduto da un quantificatore non universale
ci

(es. alcuni, molti, pochi, ecc.), può comparire anche in posizione postnominale, può comparire come
c

attributo nelle costruzioni copulative e può comparire in isolamento. Lo stesso non si può affermare per
na

il possessivo prenominale in lingue, ad esempio, come il francese, l’inglese, il tedesco e lo spagnolo. In


queste lingue, infatti, il possessivo prenominale, non mostrando la stessa distribuzione del possessivo
Bo

prenominale in italiano, deve essere considerato come una forma di Determinante. Lavorare, in ambito
didattico, fin da subito su questa proprietà più generale, vale a dire sullo statuto categoriale Aggettivo, in
©

italiano, vs. Determinante, nelle altre lingue menzionate, porterebbe con più facilità a discenti di L1
francese, inglese, ecc., ad ipotizzare la regola corretta che descrive il comportamento del possessivo in
italiano. Se invece il possessivo prenominale viene presentato solo nel contesto in cui è preceduto
dall’articolo definito (come riportano, in generale, i testi), la regola che verrà ipotizzata dal discente farà
riferimento al solo contesto articolo-possessivo prenominale. Pertanto, nei momenti di produzione
spontanea, il discente potrebbe produrre, comportamento linguistico peraltro attestato, solo costruzioni
come un libro mio o questo libro mio, senza associare ad esse il valore di rilievo che in italiano il possessivo
possiede in tali contesti. La correzione, in questi casi, implicherebbe, da parte dell’apprendente, una prima
fase in cui dedurrebbe altre due regole, indipendenti tra loro, e che andrebbero a sommarsi con quella
previamente ipotizzata sulla cooccorrenza articolo definito-posessivo. Un approccio didattico che si ispiri
a motivazioni di ordine più generale risulterebbe, pertanto, più adeguato ed economico ai fini
dell’apprendimento.

47
2. L’unità e la variazione nella teoria linguistica
Nell’ambito del modello a principi e parametri della grammatica generati-
va, il tentativo di dare risposta al problema di conciliare l’unità e la variazio-
ne che si osserva nelle diverse manifestazioni del linguaggio umano si con-
cretizza mediante la nozione di parametro.
Con il concetto di parametro s’intende quelle variabili aperte, associate ai
principi generali che costituiscono la Grammatica Universale (o il Language
Acquisition Device), il cui valore (positivo o negativo, ad esempio, rispetto a
possibili scelte), dovrà essere fissato dall’Esperienza, cioè dai dati della lin-
gua a cui un individuo viene esposto fin dai primi anni di età. Fissando il
valore dei parametri, si chiuderà il sistema aperto della Grammatica
Universale, e da tale processo si otterrà, come risultato, una grammatica, la

ti.
grammatica, cioè, di una lingua particolare. Fissare il parametro di un prin-

va
cipio universale rende conto, inoltre, della variazione, coerente e solidale, tra

er
una lingua ed un’altra di una serie di proprietà che a prima vista sembrereb-

ris
bero del tutto indipendenti le une dalle altre. Di conseguenza, alla nozione
tti
di parametro verrebbe ricondotta la variazione interlinguistica. Inoltre, dal
iri
punto di vista intralinguistico, vale a dire nell’ambito di una stessa lingua, il
id

valore che verrà assegnato ad uno specifico parametro sarà anche responsa-
ti

bile di manifestazioni sintattiche differenti.


ut

Tra i vari esempi di parametro proposti dalla teoria, tra cui, si potrebbe
.T

citare, quello della direzionalità nell’assegnazione del caso, che descrive la


re

diversa posizione con cui gli argomenti si dispongono rispetto alle teste les-
ito

sicali che li selezionano, quello della relativizzazione, che descrive l’esistenza


ed

di pronomi relativi in alcune lingue contro l’assenza di questi elementi in


ci

altre a favore del complementatore, quello dell’estrazione di elementi inter-


c

rogativi, obbligatoria in certe lingue ma impossibile in altre, e quello dell’o-


na

missione del soggetto pronominale, prendiamo in esame, come caso esempli-


Bo

ficativo, quest’ultimo.
La possibilità di poter non esprimere lessicalmente un soggetto pronomi-
©

nale, che è una proprietà condivisa anche dalla grammatica dell’italiano,


viene descritta da quello che in ambito teorico è denominato parametro del
soggetto nullo.

48
Questo parametro, che discende dal principio di proiezione esteso, appar-
tenente alla Grammatica Universale, può essere esplicitato formalmente nel
modo seguente:10

(1) Parametro del soggetto nullo


Il soggetto pronominale può essere foneticamente nullo
/ \
SÌ NO
‚ ‚
(italiano, spagnolo, (inglese, francese,
russo, ecc.) tedesco ecc.)

ti.
va
D’accordo con quanto espresso in (1), un individuo che apprende una lin-

er
gua come l’italiano, a contatto fin dai primi anni di vita con i dati di questa

ris
lingua, sceglierà l’opzione SÍ del parametro, assegnando, pertanto, questo
tti
valore alla variabile aperta. Invece, se la lingua con cui entra in contatto è, ad
iri
esempio, l’inglese, sceglierà l’opzione NO dello stesso parametro. In entram-
id

bi i casi determinerà la “chiusura” del sistema aperto della Grammatica


ti

Universale, e darà luogo a due grammatiche differenti: quella dell’italiano e


ut

quella dell’inglese.
.T

La variazione tra lingue che assegnano un valore differente al parametro


re

del soggetto nullo, come ad esempio l’italiano e l’inglese, e le diverse pro-


ito

prietà sintattiche riconducibili, all’interno di una stessa lingua, ad ognuna


ed

delle due scelte, vengono espresse in (2):


ci

(2) italiano inglese


c
na

a. __ è arrivato. *(he) arrived.


b. __ è arrivato Gianni. *___ arrived John.
Bo

c. __ piove / *(it) is raining /


©

__ sembra che verrà. *(it) seems that he will come.


10
Il contenuto del principio di proiezione esteso (cfr. Chomsky, 1986, p.116) può essere parafrasato
nel modo seguente: “Le rappresentazioni ad ogni livello sintattico (Forma Logica, Struttura profonda e
Struttura superficiale) sono proiettate dal Lessico, e tutte le frasi devono possedere un soggetto”. Il
parametro del soggetto nullo, (1), è associato alla seconda parte del principio di proiezione esteso, nella
quale si stabilisce che ogni costruzione frasale deve essere provvista di una posizione strutturale di
soggetto. La prima parte dello stesso principio, invece, stabilisce essenzialmente che tutte le informazioni
che vengono specificate nel Lessico, come, ad esempio, le diverse proprietà di selezione semantica delle
unità lessicali, così come le loro proprietà categoriali, devono restare costanti ad ogni livello della
derivazione della frase, devono, cioè, essere rispettate sia in sintassi sia nei livelli interpretativo e
fonologico.

49
Nei casi in (2a) si può osservare che la scelta positiva assegnata al para-
metro permette, in italiano, di omettere il soggetto pronominale. In inglese,
invece, l’opzione negativa impone la realizzazione dello stesso elemento. La
stessa scelta positiva, inoltre, dà la possibilità, a lingue come l’italiano, di
esprimere il soggetto in posizione postverbale, mentre ciò non può verificar-
si sistematicamente in lingue come l’inglese, come mostrano i contrasti in
(2b).11 Infine, come si può osservare in (2c), la scelta positiva al parametro
impedisce ai verbi “impersonali” di realizzare un soggetto. In inglese, inve-
ce, con la stessa classe di verbi la posizione di soggetto strutturale deve esse-
re sempre segnalata da una forma di espletivo, it nei casi proposti. 12,13
Il presupposto concettuale su cui si fonda la nozione di parametro è che
in alcuni di essi una delle opzioni costituisca la scelta non marcata, o neutra,

ti.
cioè l’opzione direttamente derivabile da quanto stabilito dal principio uni-

va
versale a cui il parametro stesso è associato. L’altra opzione costituirebbe,

er
invece, l’opzione marcata rispetto allo stesso principio universale.

ris
11

tti
Si noti che in inglese con alcune classi verbali, in particolare la classe degli inaccusativi e quella degli
iri
esistenziali, è possibile realizzare il soggetto in posizione postnominale quando indefinito, come mostrano
id
i seguenti esempi:
(i) There arrived three men / There is a man in the street
ti

‘arrivarono tre uomini’ ‘C’é un unomo per strada’


ut

Come si può osservare, però, anche in questi casi particolari la posizione di soggetto strutturale è
.T

sempre occupata da un elemento espletivo (there), come viene stabilito dalla seconda parte del principio
di proiezione esteso (cfr. nota 10).
re

12
Le diverse proprietà che distinguono le lingue a soggetto nullo dalle lingue non a soggetto nullo
ito

(cfr. (1)) devono essere ricondotte all’accordo verbale. Si potrebbe affermare, infatti, che nelle lingue in
cui la flessione verbale è sufficientemente ricca da poter distinguere le varie persone grammaticali (come
ed

accade in italiano, spagnolo, russo, ecc.), il soggetto pronominale può essere omesso: i tratti di accordo del
verbo ne recuperano il contenuto. Invece, nelle lingue dove la morfologia del verbo è povera (come accade
ci

in inglese, francese, ecc.) il soggetto pronominale deve avere realizzazione fonetica: il suo contenuto non
c

può essere recuperato dai tratti di accordo stessi del verbo.


na

13
Nell’ambito del modello a principi e parametri il parametro costituisce una condizione necessaria
Bo

ma non in tutti i casi obbligatoria. Infatti, per quanto concerne il parametro del soggetto nullo, è
importante precisare che nelle lingue che scelgono l’opzione SÌ il soggetto pronominale in certi casi può
©

o deve comparire lessicalmente espresso, come mostrano i seguenti esempi dell’italiano:


(i) a. Gianni ha detto che lui non firmerà la petizione (gli altri lo faranno senz’altro).
b. Questo lo affermi tu.
c. Credo che tu non abbia ragione.
Nel caso (i.a) la realizzazione del soggetto pronominale è determinata dalla volontà, da parte
dell’emittente, di porre in rilievo questo elemento all’interno della struttura frasale. In (i.b) la realizzazione
del soggetto pronominale in posizione postverbale deve attribuirsi al fatto che in questa costruzione il
pronome stesso costituisce l’informazione nuova (cfr. nota 25). Per questa ragione non può essere omesso:
*Questo lo affermi. Infine, in (i.c) la presenza del pronome personale di 2° persona singolare è richiesta
poiché il verbo compare al congiuntivo. Il presente del congiuntivo, infatti, non distingue, nel paradigma
flessivo del verbo, le prime tre persone singolari. Pertanto, se nel caso in esame il soggetto venisse omesso,
l’interpretazione coinciderebbe con la 3° persona del singolare. Per i casi in (i.b) e in (i.c) si rimanda il
lettore al paragrafo 4 di questo lavoro.

50
All’opzione marcata si accederebbe solo attraverso il contatto diretto con i
dati della lingua.14
Se si adotta, per l’acquisizione delle lingue straniere, l’ipotesi della mar-
catezza nelle opzioni parametriche, diventa plausibile elaborare una griglia di
possibilità che metta in relazione le diverse scelte parametriche adottate dalla
grammatica della lingua materna dell’apprendente con quelle adottate dalla
grammatica della lingua straniera (cfr. Brucart, 1999). Questa griglia, d’ac-
cordo con le predizioni del modello a principi e parametri, sarà in grado di
prevedere il maggiore o minore grado di difficoltà che l’apprendente potreb-
be incontrare nell’acquisire fenomeni linguistici che caratterizzano la lingua
d’arrivo. Nei due casi in cui le scelte parametriche tra lingua d’arrivo e lin-
gua di partenza non divergono, perché entrambe scelgono o l’opzione mar-

ti.
cata o l’opzione non marcata per lo stesso parametro, il grado di difficoltà

va
sarà basso, al di là, naturalmente, delle tendenze generali (universali) che gui-

er
dano il processo di acquisizione in sé.15

ris
Maggiori difficoltà nell’acquisizione, invece, si avranno quando la lingua
materna dell’apprendente e la lingua straniera divergono in quanto a scelte
tti
iri
parametriche. In questi casi, il maggior grado di difficoltà verrebbe riscon-
id

trato nel caso in cui la lingua materna sceglie l’opzione non marcata per un
determinato parametro, mentre la lingua straniera sceglie l’opzione marcata
ti
ut

per lo stesso parametro. Invece, se si realizza il caso contrario, cioè l’opzione


.T

marcata viene scelta dalla lingua materna e quella non marcata dalla lingua
re

straniera, allora le difficoltà di apprendimento risulterebbero minori.16


ito

L’ipotesi appena illustrata è stata corroborata nell’ambito degli studi sul-


ed

l’acquisizione delle lingue straniere. Liceras (1996) ha investigato sui proble-


mi di acquisizione relativi al parametro del soggetto nullo in gruppi di
ci

anglofoni che apprendevano lo spagnolo come lingua straniera e, allo stesso


c
na

tempo, in gruppi di ispanofoni che apprendevano l’inglese come lingua stra-


Bo

niera. Il risultato dell’indagine effettuata dalla studiosa ha dimostrato che gli


ispanofoni incontrano abbastanza difficoltà a dominare l’obbligatorietà della
©

realizzazione di un pronominale (referenziale o espletivo) in posizione di

14
In Chomsky (1986), questa ipotesi viene espressa nel modo seguente: “The distinction between
core [language] and periphery leaves us with three notions of markedness: core versus periphery, internal
to the core and internal to the periphery. The second has to do with the way parameters are set in the
absence of evidence.” (p.147).
15
L’idea che nel processo di apprendimento delle lingue straniere si progredisca per schemi
sequenziali universali sta alla base della nozione stessa di interlingua.
16
Si noti che questa ipotesi non si accorda con i presupposti teorici della grammatica contrastiva,
secondo la quale ogni variazione interlinguistica presuppone lo stesso grado di difficoltà nel processo di
acquisizione delle lingue straniere.

51
soggetto strutturale. Gli anglofoni, invece, individuano con maggiore facilità
i contesti in cui in spagnolo il pronominale soggetto può essere omesso, e rie-
scono, così, a riprodurli correttamente.17
Nell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera, quindi, appare
naturale l’importanza che riveste l’individuazione, da parte del docente, delle
opzioni parametriche che caratterizzano la grammatica della lingua, e al
tempo stesso, il confronto di queste con le scelte parametriche che interessa-
no la lingua materna, o le lingue materne, degli apprendenti. Come si è potu-
to osservare, infatti, nelle variazioni connesse alle diverse opzioni parametri-
che sembrano risiedere le maggiori difficoltà di acquisizione.
In relazione agli effetti sintattici determinati dalla scelta positiva al parame-
tro del soggetto nullo, (2a-c), e alla proposta, presentata in precedenza e ispi-

ti.
rata alla nozione stessa di parametro, secondo la quale risulterebbe più effica-

va
ce ed adeguato permettere agli apprendenti di accedere ad una descrizione più

er
generale anziché presentare loro una serie di regole indipendenti (cfr. §1.2), si

ris
potrebbe suggerire che durante l’attività didattica le proprietà sintattiche quali
l’omissione del soggetto pronominale, la possibilità dell’espressione del sog-
tti
iri
getto (pronominale e non) in posizione postverbale, e la possibilità di realizza-
id

re un soggetto pronominale con valore di rilievo vengano presentate congiun-


tamente agli apprendenti, mediante, ad esempio, la costruzione di esercizi spe-
ti
ut

cifici. Queste diverse scelte formali, intimamente vincolate tra loro, potranno
.T

poi essere approfondite durante la fase della riflessione grammaticale.


re

Lavorando sugli stessi esercizi, inoltre, si potrebbe indurre gli apprendenti a


ito

dedurre le ragioni che permettono l’omissione del soggetto pronominale e una


ed

maggiore libertà nella posizione del soggetto all’interno della frase in italiano,
vale a dire la presenza di unità morfologiche differenziate, di natura nominale
ci

(persona e numero), nella flessione verbale. 18


c
na
Bo

17
Questi risultati avvalorano l’ipotesi proposta da Hyams ((1986), p.63 e segg.) secondo la quale
l’omissione del soggetto pronominale corrisponderebbe all’opzione non marcata del parametro del
©

soggetto nullo. Hyams basa la sua ipotesi sul fatto che i bambini che apprendono l’inglese come lingua
materna prima di fissare l’opzione del parametro che corrisponde alla grammatica della loro lingua
passano per una fase in cui omettono sistematicamente il soggetto (pronominale).
18
Alle manifestazioni sintattiche presentate in (2), riconducibili alle diverse scelte assegnate al
parametro del soggetto nullo, se ne deve aggiungere un’altra che riguarda le costruzioni interrogative. Se
nell’ambito di frasi subordinate dichiarative il soggetto viene interessato dalla regola di formazione di
interrogative, nelle lingue a soggetto nullo il complementatore della frase subordinata stessa deve/può
comparire; nelle lingue non a soggetto nullo, invece, lo stesso elemento non può realizzarsi, come
mostrano i casi seguenti:
(i) a. Chi credi che __ sia arrivato? italiano
b. Who do you think (*that) __ arrived? inglese
Data la complessità della struttura, questa variazione potrà essere affrontata didatticamente solo
quando i discenti avranno raggiunto una conoscenza abbastanza approfondita della grammatica
dell’italiano.

52
3. L’aspetto semantico nella teoria linguistica
A partire dagli anni ‘80 del secolo scorso, l’aspetto semantico acquisisce
grande rilievo nell’ambito della grammatica generativa. Questa profonda
innovazione, che interessa il piano formale della teoria, senza naturalmente
pregiudicarne i fondamenti concettuali, si concretizza mediante l’introduzio-
ne della nozione di ruolo tematico (semantico) e mediante la conseguente
importanza che viene attribuita al Lessico (Componente lessicale), come
mostra il modello della Grammatica che Chomsky (1981, 1986) formalizza
per la derivazione delle frasi.19
L’introduzione dei ruoli tematici e il potenziamento del Lessico sancisco-
no, come conseguenza immediata, il superamento del valore assiomatico fino
a quel momento assegnato alla frase. Nel modello precedente al modello a

ti.
principi e parametri, infatti, la frase, concepita come il nodo in cui conver-

va
gono le proiezioni massimali delle categorie lessicali Nome e Verbo, veniva

er
considerata come l’unità massima di analisi della grammatica.20 Di conse-

ris
guenza, i fenomeni linguistici di portata più ampia, e che hanno implicazio-
tti
ni nel discorso, non potevano essere descritti, poiché al di fuori dei confini,
iri
abbastanza ristretti, della frase stessa.
id

All’assunto formale concernente la struttura della frase deve attribuirsi la


ti

maggior parte delle critiche rivolte alla teoria linguistica dagli studi nell’am-
ut

bito della didattica delle lingue straniere; dati gli obiettivi di questa discipli-
.T

na, che rivolge la sua attenzione sul componente dell’Esecuzione, gli aspetti
re

comunicativi e pragmatici della lingua non possono, infatti, essere ignorati.


ito

Tuttavia, critiche di questo tipo alla teoria linguistica perdono consisten-


ed

za alla luce delle sostanziali innovazioni che sono state menzionate. Nel
ci

modello a principi e parametri, infatti, la frase viene concepita non già come
c

l’unità massima di analisi, bensì come l’espressione delle combinazioni sin-


na

tattiche delle diverse unità linguistiche, le quali si ottengono partendo dalle


Bo

informazioni contenute nel Lessico e mediante un percorso che procede dal


©

19
Nel modello a principi e parametri il potenziamento del Lessico si rende esplicito attraverso
l’ipotesi che il modello della Grammatica sia costituito da due componenti principali: il Lessico e il
Sistema Computazionale. Il Lessico contiene l’insieme delle parole di una lingua, ognuna delle quali
include le proprietà categoriali, semantiche, fonologiche e morfologiche che la caratterizzano (cfr. nota
10). Il sistema computazionale è costituito, invece, da regole e principi che assegnano alla combinazione
di elementi lessicali una rappresentazione strutturale a ogni livello della Grammatica: Struttura-
p(rofonda), Struttura-s(uperficiale), Forma Fonetica e Forma Logica. Nel recente modello minimalista,
Chomsky (1995) apporta ulteriori modifiche al modello della Grammatica appena descritto, senza però
alterare il ruolo fondamentale svolto dal Lessico per la costruzione delle frasi di una lingua.
20
La regola per la struttura della frase, concepita come assioma iniziale di tutto il sistema di regole,
aveva la forma seguente: F Æ SN SV.

53
basso e si proietta verso l’alto, un percorso, cioè, che inizia dalla parola e arri-
va al sintagma. Parafrasando quanto espresso dallo stesso Chomsky (1981,
1986), nel modello a principi e parametri la sintassi viene concepita come la
proiezione delle dipendenze lessicali. Questa ipotesi viene chiaramente sus-
sunta dal principio di proiezione esteso (cfr. nota 10).
La nuova prospettiva di indagine viene ad acquisire un potere esplicativo
superiore nello studio del funzionamento del linguaggio, e permette, tra le
altre proprietà, di descrivere la buona formazione di costruzioni linguistiche
non frasali (frammenti) e di determinarne l’adeguatezza in contesti superio-
ri alla frase stessa.
A tale proposito, si osservi l’esempio seguente:
(3) a. Che cosa teme Maria?

ti.
b. La reazione di suo padre.

va
Dal punto di vista sintattico, l’espressione nominale in (3b) risulta ben

er
ris
formata: il nome deverbale reazione esprime il suo argomento esterno, l’a-
gente, mediante il sintagma preposizionale di suo padre. Inoltre, la proiezio-
tti
ne del nome viene correttamente completata, o “delimitata”, dall’articolo
iri
definito la: in italiano un nome contabile e al singolare ha bisogno della pre-
id

senza di una forma di determinante che ne espliciti la referenza.


ti

Il frammento in (3b), inoltre, che nel discorso è interpretabile come rispo-


ut
.T

sta alla domanda in (3a), è legittimato dalla presenza, in questa costruzione,


dell’interrogativo che cosa. L’elemento che cosa assume nella frase lo statuto
re

di operatore e, superando i limiti della costruzione in cui compare, trasmet-


ito

te il ruolo tematico di tema, assegnato dal verbo temere, all’espressione in


ed

(3b). Gli interrogativi, pertanto, vengono ad assumere, nel discorso, il valo-


ci

re di elementi cataforici che fungono da unità ponte per la trasmissione dei


c

ruoli semantici, e quindi per la coesione nel discorso.21


na

Dal punto di vista didattico, inoltre, la nozione di ruolo tematico viene a


Bo

rappresentare un valido aiuto per comprendere errori di produzione del tipo


©

seguente, frequenti negli apprendenti di italiano come lingua straniera:


(4) a. *Basta pochi euro.
b. *Succede cose strane.
c. *Mi piace i gruppi rock.
21
Si osservi che un frammento come “Della reazione di suo padre” non può essere interpretato come
risposta alla domanda in (3a). Il ruolo tematico trasmesso dall’interrogativo “che cosa” non troverebbe in
esso adeguata realizzazione sintattica. È importante aggiungere, inoltre, che le innovazioni formali
espresse nel modello a principi e parametri permettono di trattare anche fenomeni quali le relazioni
anaforiche e i casi di ellissi.

54
Errori di questo tipo non devono essere attribuiti alla posizione che l’e-
spressione nominale occupa nella struttura, la realizzazione del nominale
soggetto in posizione postverbale non deve considerarsi responsabile del
mancato accordo tra soggetto e tratti di flessione del verbo. Questa afferma-
zione è giustificata dal fatto che gli stessi apprendenti non commettono, in
generale, errori del tipo: *Ha telefonato Maria e Piero.
La ragione dell’agrammaticalità dei casi in (4) deve invece attribuirsi al
fatto che verbi come bastare, succedere e piacere possiedono un tratto in
comune, sono, cioè, verbi inaccusativi.
Nella tradizione grammaticale verbi di questo tipo vengono trattati come
verbi intransitivi. Tuttavia, presentano comportamenti sensibilmente diffe-
renti da verbi come lavorare, dormire, ecc., anch’essi inclusi nella classe dei

ti.
verbi intransitivi.

va
Una distinzione terminologica tra verbi inaccusativi (come arrivare, entra-

er
re, rompersi, ecc., e i predicati in (4)) e verbi inergativi (come telefonare, lavo-

ris
rare, dormire, ridere, ecc.) può cogliere le proprietà sintattiche che differen-
ziano il primo gruppo dal secondo. Queste proprietà devono essere ricon-
tti
iri
dotte alla diversa natura del ruolo tematico che il predicato assegna all’e-
id

spressione nominale soggetto.22 Sia i verbi inergativi che i verbi inaccusativi


selezionano un solo argomento. Tuttavia, mentre i verbi inergativi assegnano
ti
ut

ad esso il ruolo tematico di agente o di esperiente, gli inaccusativi assegnano


.T

al loro unico argomento il ruolo tematico di tema o paziente, che di norma è


re

il ruolo tematico assegnato all’argomento interno (l’oggetto diretto) nei pre-


ito

dicati transitivi. La grammatica generativa, per rendere conto del comporta-


ed

mento sintattico dei verbi inaccusativi, e basandosi sulle relazioni semantiche


tra argomento e predicato, propone che l’unico argomento selezionato da
ci

questa classe di predicati corrisponda all’argomento interno (associato alla


c
na

funzione grammaticale di oggetto diretto), il quale, però, viene “promosso”


Bo

a soggetto grammaticale, operazione che motiva l’accordo, alla stregua di


quanto accade all’oggetto logico nelle costruzioni passive.
©

Se si adotta questa ipotesi di analisi per valutare il processo di


22
In italiano, i verbi inaccusativi si differenziano dai verbi inergativi per le seguenti proprietà: a) nelle
forme composte scelgono l’ausiliare essere e richiedono accordo in persona e numero tra il participio
passato e il soggetto grammaticale (cfr. I ragazzi sono arrivati / I ragazzi hanno dormito); b) nel caso in cui
il soggetto compare in posizione postverbale ed è modificato da un quantificatore non universale, esso può
essere ripreso dal clitico partitivo ne (cfr. Ne sono arrivati molti vs. *Ne hanno dormito molti); c) nelle
costruzioni participiali assolute, il soggetto grammaticale può realizzarsi lessicalmente (cfr. Arrivati gli
amici, si iniziò a mangiare vs. *Dormiti i bambini, si poté accendere la televisione). Come si può osservare
dai contrasti appena visti, l’espressione nominale soggetto dei verbi inaccusativi presenta gli stessi
comportamenti sintattici dell’oggetto diretto dei predicati transitivi e del soggetto grammaticale nelle
costruzioni passive.

55
apprendimento dell’italiano come lingua straniera, è possibile far luce su
errori del tipo di (4). Gli apprendenti, nella loro interlingua, ipotizzano una
regola che si basa sulle relazioni semantiche tra argomento e predicato per
realizzare l’accordo tra soggetto e verbo.23 Nel caso degli inaccusativi, quindi,
non attuerebbero l’accordo poiché riconoscono, nell’unico argomento, un
tema e non un agente o esperiente.24

4. funzione e forma nella lingua


Gli studi rivolti a sviluppare metodi sempre più efficaci per l’apprendi-
mento delle lingue straniere sostengono che l’insegnamento della grammati-
ca debba essere affrontato partendo dal significato.

ti.
Questa linea di condotta, coerente con i presupposti cognitivisti, non

va
entra in conflitto con la proposta, che vogliamo difendere in queste pagine,

er
di adottare le ipotesi sviluppate da teorie formali quali la grammatica gene-

ris
rativa per l’insegnamento della grammatica dell’italiano. Come abbiamo pre-
sentato nei capitoli precedenti, infatti, la grammatica generativa, nei suoi svi-
tti
luppi più recenti, assegna grande importanza al significato, e al tempo stesso
iri
id
riconosce un ruolo importante alle funzioni della lingua. In relazione alle
funzioni della lingua, l’ipotesi che le differenze nella forma possono essere
ti
ut

associate a differenze nel significato viene accettata dalla grammatica gene-


.T

rativa. Ciò che essa respinge, naturalmente, è l’ipotesi “forte” secondo la


quale forma e significato siano sempre in relazione biunivoca tra loro, assun-
re

zione, peraltro, facilmente falsificabile dal punto di vista empirico.


ito

A tale proposito, si potrebbe menzionare l’ordine con cui le parole si


ed

dispongono all’interno della frase. Rispetto alla disposizione degli elementi


ci

maggiori all’interno della frase, l’italiano risponde all’ordine S(oggetto)


c
na

V(erbo) O(ggetto). Quest’ordine, però, può essere alterato per esprimere


contenuti informativi differenti.
Bo

Se prendiamo in esame le costruzioni in (5), si può osservare che, nono-


©

stante il loro contenuto proposizionale sia lo stesso, esse non possono essere
prodotte indistintamente in tutti i contesti:
(5) a. Regalerò un libro a Maria.
23
La stessa proposta viene avanzata da Brucart (1999) per rendere conto di problemi di
apprendimento dello spagnolo come lingua straniera.
24
In relazione ai dati presentati nel testo, è interessante osservare che anche molti parlanti
dell’italiano, in particolare adolescenti, commettono errori del tipo di (4). Inoltre, di fronte a costruzioni
come Gli piace il teatro non tutti riescono ad individuare correttamente il soggetto grammaticale. Se
interrogati a riguardo, o propongono l’esistenza di un “soggetto sottinteso”, oppure assegnano al clitico
gli la funzione di soggetto.

56
b. A Maria(,) le regalerò un libro.
c. A MARIA, regalerò un libro.
Nei casi in (5b) e (5c) l’anteposizione dell’oggetto indiretto deve attri-
buirsi alla distinzione informazione conosciuta (dato) e informazione nuova
(nuovo) con cui, dal punto di vista informativo si divide, in generale, la
frase.25 In (5b) l’oggetto indiretto viene espresso in posizione iniziale perché
rappresenta l’informazione conosciuta, rispetto all’informazione nuova vei-
colata dal resto della frase. (5b) è compatibile come risposta a una domanda
del tipo: Che cosa hai deciso per Maria?
In (5c), invece, l’oggetto indiretto anteposto, enunciato con forte enfasi
melodica, costituisce l’informazione nuova, in contrasto con il contesto. (5c)
è compatibile come risposta ad un enunciato del tipo: Potresti regalare un

ti.
va
libro a Francesca.
Queste costruzioni, marcate in quanto all’ordine degli elementi, e che nel-

er
l’ambito della grammatica generativa vengono denominate, rispettivamente,

ris
dislocazione a sinistra e topicalizzazione, mostrano che forma e contenuto
comunicativo sono vincolati tra loro. tti
iri
Tuttavia, se si esaminano le lingue naturali, non sembra appropriato affer-
id

mare che il contenuto e la forma siano sempre associati tra loro, tesi, questa,
ti

difesa dalle teorie funzionaliste, le quali sostengono che dalla funzione comu-
ut

nicativa derivi la forma stessa della lingua.


.T

Se si considera, infatti, la frase in (5b), si deve ammettere che, oltre all’or-


re

dine alterato delle parole, che, come si è detto segue il paradigma funziona-
ito

le dato-nuovo, esiste comunque un requisito formale indipendente che deve


ed

essere rispettato per la buona formazione stessa della costruzione, e cioè che,
ci

all’interno della frase si realizzi un pronome clitico (le) associato al costi-


c

tuente dislocato (a Maria). Lo stesso requisito non può essere soddisfatto nel
na

caso della costruzione in (5c), la quale, però, a sua volta, richiede, come scel-
Bo

ta formale indipendente dal contenuto, che il soggetto, se si realizza lessical-


mente, occupi la posizione postverbale (cfr. UNA MACCHINA NUOVA, vuole
©

Gianni vs. ?*UNA MACCHINA NUOVA, Gianni vuole).


25
Le nozioni di dato e nuovo appartengono alla grammatica del discorso. Adottando questa
dicotomia, si afferma che le frasi (o enunciati) si compongono, in generale, di una parte data (ciò che
l’emittente presuppone sia conosciuto dal ricevente al momento dell’enunciazione) e di una parte nuova
(ciò che si suppone come non conosciuto dal ricevente). D’accordo con il principio che nella
comunicazione si tende a partire dal dato per giungere al nuovo, nella frase la parte data precede sempre,
nell’ordine, la parte nuova. Secondo questa ipotesi, in (5b) il costituente dativo si realizza ad inizio di frase
poiché rappresenta la parte nuova della costruzione. L’emittente, comunque, sempre per ragioni
informative, può alterare quest’ordine “oggettivo” e realizzare l’ordine nuovo-dato. E’ ciò che accade nel
caso in (5c), dove il costituente dativo A MARIA rappresenta la parte nuova dell’enunciato.

57
Un altro argomento, che invalida la tesi funzionalista nella sua versione
“forte”, ci viene offerto, sempre nell’ambito dell’ordine delle parole nella
frase, da costruzioni del tipo seguente:
(6) a. La musica classica piace a Maria.
b. A Maria piace la musica classica.
In (6b) non sembra possibile sostenere che il costituente oggetto indiret-
to venga espresso in posizione iniziale (dislocata) per soddisfare obbligato-
riamente il paradigma funzionale dato-nuovo, come accade, invece, nel caso
in (5b), e neppure il paradigma funzionale nuovo-dato espresso dal caso in
(5c). Infatti, la frase in (6b) può essere considerata, dal punto di vista infor-
mativo, come tutta nuova, alla stregua di (5a) e (6a): può essere emessa, ad
esempio, come inizio di discorso.

ti.
va
Adottando quanto proposto da Cardinaletti (2002), l’oggetto indiretto
rappresenterebbe, in casi di questo tipo, il soggetto della predicazione, e non

er
ris
equivarrebbe ad un elemento dislocato per precisi scopi funzionali. Non ci
sarebbe, pertanto, coincidenza tra forma e funzione comunicativa.26,27
tti
Come ulteriore osservazione sull’inadeguatezza di assumere, nell’insegna-
iri
mento della grammatica, l’ipotesi che dal contenuto comunicativo derivi
id

necessariamente la forma, possiamo addurre il fatto che, se esaminate in


ti

un’ottica comparativa, le lingue molto spesso codificano stessi contenuti


ut
.T

mediante scelte formali differenti. A tale proposito, si prenda in considera-


zione il parametro del soggetto nullo (cfr. §2). Nelle lingue a soggetto nullo,
re

come ad esempio l’italiano, il soggetto pronominale si realizza, in generale,


ito

quando si vuole assegnare a questo elemento un valore di rilievo; oppure, la


ed
c ci

26
Come osserva Cardinaletti (p.10 e segg.), l’oggetto indiretto che compare in costruzioni del tipo di
na

(5b) non può essere trattato come l’oggetto indiretto anteposto che troviamo in costruzioni del tipo di
(6b). Infatti, mentre i costituenti dislocati a sinistra (cfr. (5b)) non possono comparire né in costruzioni
Bo

gerundive in cui l’ausiliare si realizza in posizione iniziale, (i.a), né in subordinate completive con
complementatore non espresso, (ii.a):
©

(i). a. *Avendo(le) a Maria regalato un libro,….


b. ?*Credevo a Maria (le) avessero regalato un libro.
un ausiliare al gerundio in posizione iniziale, così come la non realizzazione del complementatore che, sono
compatibili con un costituente dativo anteposto in costruzioni del tipo di (6b):
(ii). a. Essendo a Maria piaciuta la musica classica,….
b. Credevo a Maria piacesse la musica classica.
Pertanto, nonostante l’ordine degli elementi sia lo stesso e il contenuto informativo veicolato dalle
costruzioni in (5b) e (6b) possa essere lo stesso, per rendere conto dei contrasti in (i) e (ii) è necessario
ipotizzare strutture formali differenti.
27
Per costruzioni del tipo di (6b) sembra, quindi, intervenire un fenomeno più generale, vale a dire
la tendenza a scegliere come soggetto della predicazione l’argomento del verbo a cui viene assegnato il
ruolo tematico più prominente.

58
sua realizzazione è obbligatoria in quei contesti in cui si darebbe luogo ad
ambiguità nella determinazione del referente, indipendentemente dal conte-
nuto comunicativo (es. Spero che (lui) possa farcela vs. Spero che #(tu) possa
farcela) (cfr. nota 13). Nelle lingue non a soggetto nullo, come ad esempio
l’inglese, non è invece possibile ricorrere alla scelta formale presenza/omis-
sione del soggetto pronominale per veicolare lo stesso contenuto informati-
vo che si ottiene in italiano; nelle lingue non a soggetto nullo la posizione di
soggetto strutturale deve essere sempre occupata lessicalmente.
Infine, un ultimo esempio che si potrebbe citare è rappresentato dal feno-
meno dell’accordo nei tratti di persona, numero e genere. Questa proprietà
grammaticale, di natura esclusivamente formale, permette di esprimere i vin-
coli che all’interno di una struttura si vengono a stabilire tra due o più ele-

ti.
menti linguistici solo in quelle lingue che possiedono morfemi flessivi di

va
accordo. La mancanza di morfemi di flessione in altre lingue permette di

er
determinare variazioni quali a nice girl dell’inglese e una ragazza simpatica

ris
dell’italiano.
Se si esamina la grammatica di una lingua, e delle lingue in generale, per-
tti
iri
tanto, non si può negare l’esistenza di principi formali che non possono esse-
id

re derivati direttamente da principi funzionali.


ti
ut

5. Conclusioni
.T

In questo lavoro siamo partiti dall’ipotesi che nell’insegnamento/appren-


re

dimento delle lingue straniere la grammatica riveste un ruolo importante.


ito

Abbiamo poi cercato di mostrare che molti dei problemi che possono sorge-
ed

re durante la pratica didattica devono attribuirsi a questioni di natura gram-


ci

maticale. Dal momento che i libri di testo adottati per l’insegnamento dell’i-
c
na

taliano come lingua straniera non si organizzano intorno alla grammatica,


d’accordo con i modelli comunicativi dell’ultima generazione, diventa fon-
Bo

damentale, per il docente, acquisire una solida formazione nella teoria lin-
©

guistica, la quale deve costituire uno degli aspetti della formazione comples-
siva e integrata del docente di lingua straniera.
La grammatica generativa può rappresentare un valido candidato a tale
scopo. Fondandosi sul cognitivismo, difendendo lo studio comparativo e,
negli sviluppi più recenti, sostenendo l’aspetto semantico e, nella misura
vista, quello funzionale della lingua, può combinarsi senza difficoltà con le
ipotesi difese in ambito glottodidattico.
Una solida formazione nella teoria linguistica permetterà al docente di

59
strutturare il corso di lingua d’accordo con le caratteristiche e le esigenze del
gruppo discente oltre che con gli obiettivi che il corso stesso si propone.
Possedere una formazione nella teoria linguistica gli permetterà, inoltre, di
scegliere testi di supporto più idonei ai fini dell’apprendimento della gram-
matica, di interpretare adeguatamente le produzioni degli apprendenti e di
intervenire, dove necessario, con strumenti appropriati, come, ad esempio,
materiali di rinforzo o adeguate riflessioni esplicite da sviluppare, dove pos-
sibile, durante le occasioni metalinguistiche. Questi interventi, impliciti e/o
espliciti, offriranno agli apprendenti i mezzi necessari per facilitare ed acce-
lerare il processo di acquisizione, vale a dire, saranno in grado di attivare in
modo efficace la costruzione di ipotesi sul sistema della lingua italiana.

ti.
riferimenti bibliografici

va
BLOOMFIELD L. (1933), Language, New York (trad. it. Il linguaggio, Milano,

er
ris
Il Saggiatore, 1974).
BRUCART J.M., (1999), "La gramática en E/LE y la teoría lingüística: coinci-
tti
dencias y discrepancias", in L. Miguel y N. Sans (coords.), Didáctica del
iri
español como lengua extranjera, Madrid, Fundación Actilibre, pp.27-46.
id

BRUGÈ L. (1999), "Linguistica e glottodidattica", in P.E. Balboni, (cur.),


ti

Master in didattica della lingua e cultura italiane a stranieri, Università di


ut
.T

Venezia, pubblicato in Internet nel sito www.unive.it/masteritals, pp.50.


Versione rivista ed ampliata: febbraio 2003.
re

BRUGÈ L. (2000), "La grammatica e il suo insegnamento", in R. Dolci, e P.


ito

Celentin (a cura di), La formazione di base del docente di italiano per stranie-
ed

ri, Roma, Bonacci, pp. 52-80.


ci

BRUGÈ L. (2002), "Cultura e civiltà nell'insegnamento dello spagnolo come


c

lingua straniera", in Scuola e Lingue Moderne, anno XL, n.9, Milano,


na

Garzanti Scuola, pp.16-20.


Bo

CARDINALETTI A. (2002), "Towards a Cartography of Subject Positions",


©

manoscritto, Università di Venezia. In corso di pubblicazione in: L. Rizzi


(cur.), The Structure of CP and IP - The Cartography of Syntactic Structures,
vol. 3, New York, OUP.
CHOMSKY N., (1981), Lectures on Government and Binding, Dordrecht,
Foris.
CHOMSKY N. (1986), Knowledge of Language. Its Nature, Origin, and Use,
New York, Praeger (trad. it. La conoscenza del linguaggio, Milano, Il
Saggiatore, 1989).
CHOMSKY N. (1988), Language and Problems of Knowledge. The Managua

60
Lectures, Cambridge, Mass., MIT Press (trad. it. Linguaggio e problemi della
conoscenza, Bologna, Il Mulino, 1991).
CHOMSKY N. (1995), The Minimalist Program, Cambridge, Mass., The MIT
Press.
FREDDI G. (1994), Glottodidattica. Fondamenti, metodi e tecniche, UTET
Libreria, Torino.
HYAMS N. (1986), Language Acquisition and the Theory of Parameters,
Dordrecht, Reidel.
KRASHEN S.D. (1981), Second Language Acquisition and Second Language
Learning, Oxford, Pergamon.
KRASHEN S.D. (1985), The Input Hypothesis, New York, Longman.
KRASHEN S.D., TERRELL T. (1983), The Natural Approach: Language

ti.
Acquisition in the Classroom, Hayward, Alemany Press.

va
LICERAS J.M. (1996), La adquisición de las lenguas segundas y la gramática

er
universal, Madrid, Editorial Síntesis.

ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

61
Capitolo 5
La fonetiCa deLL’itaLiano
e iL sUo insegnamento
Luciano Canepàri, María Emilia Pandolfi1

La fonetica è utile, anzi fondamentale, nell’insegnamento delle LS, perché


aiuta a separare i due diversi livelli della scrittura e della pronuncia, comune-
mente confusi in una sola “realtà” fittizia.

ti.
1. ogni livello al suo posto

va
Ancora troppo spesso, le grammatiche dell’italiano presentano una sinte-

er
tica parte (di solito, posta all’inizio, più raramente alla fine, e generalmente

ris
definita “Fonologia”), in cui presentano l’alfabeto, cercando di farlo corri-
spondere a dei valori fonici. tti
iri
Questo modo di procedere poteva forse essere sufficiente quando l’insegna-
id

mento delle lingue era indirizzato quasi esclusivamente alla lettura di testi – let-
ti

terari, commerciali o tecnici – per la semplice comprensione (e per un’eventua-


ut

le traduzione in LM). Oggi però la grande importanza della lingua parlata, per
.T

lavoro o per turismo, è più che evidente; perciò, l’insegnamento dell’italiano LS


re

deve tener conto in modo adeguato e soddisfacente anche della fonetica.


ito

Coloro che intendono la padronanza linguistica slegata dalla competenza


ed

fonologica, rischiano spesso di ridurre la loro didassi alla grammatica e al les-


ci

sico. L’informazione che un parlante intende trasmettere non è data sola-


c

mente dal contenuto del messaggio organizzato sintatticamente e testual-


na

mente, ma anche dalle strutture prosodiche che si mettono in atto nel


Bo

momento della codificazione del testo oltre che, naturalmente, da una ade-
guata articolazione di ognuno dei suoni che formano la catena fonica attra-
©

verso cui viene emesso il messaggio.

1.1. La pronuncia come livello a sé, diverso dalla scrittura


Ogni lingua è, prima di tutto, oralità. Solo in seguito diventa – anche –
scrittura, sebbene ormai siamo abituati, dalla scuola e dalla società, a consi-

1
Pur se concepito insieme dai due autori, la stesura del paragrafo 1 è opera di Luciano Canepari, la
stesura dei restanti paragrafi è opera di María Emilia Pandolfi.

62
derare le lingue come costituite da: scrittura, grammatica e vocabolario.
Invece, la stragrande maggioranza delle lingue del mondo, che sono
attualmente stimate intorno alle 6.000 entità, non sono scritte. Quindi, alme-
no il 90% delle lingue non ha neppure un sistema ortografico; eppure, fun-
ziona perfettamente, per tutti gli usi comunicativi, sia quotidiani (e, magari,
banali), sia particolari (come rituali religiosi o sociali).
Pensiamo alle ricche tradizioni orali d’un tempo (o, ancora oggi, nei con-
tinenti extraeuropei), tramandate dagli anziani ai giovani, di generazione in
generazione. Oppure, consideriamo i vari dialetti, anche d’Italia, e alle loro
filastrocche e canzoni popolari, che ricordano usi e costumi.

1.2 Quali sono i limiti oggettivi delle varie ortografie?

ti.
L’ortografia d’ogni lingua scritta sembra, ai propri parlanti nativi (accul-

va
turati), una specie d’indissolubile e soddisfacente connubio fra lettere e

er
suoni, tanto che un italofono trova “logico” associare, al valore fonico di sh

ris
inglese o di ch francese, il digramma sc. Ma si tratta, invece, d’un’ingenuità
tti
dannosa e ambigua. Infatti, in italiano, sc vale /S/ solo davanti a vocali ante-
iri
riori, come in: scimmia, scena, oppure quando c’è un’i diacritica, davanti a
id

vocali posteriori, come in: sciarpa, sciocco. In parole come: scarpa, scocco,
ti

ovviamente, sc non vale /S/, ma /sk/.


ut

È molto importante capire bene la differenza fra l’impiego dei grafemi,


.T

come in scimmia, scena, sciarpa, sciocco e in scarpa, scocco, e l’impiego dei


re

fonemi, nelle stesse parole: /’Simmja, ‘SEna, ‘Sarpa, ‘SOkko/ e /s’karpa, s’kOkko/.
ito

A quale pronuncia corrisponde una grafia come scienza? Semplicemente


ed

a /’SEnqa/, come se fosse scritto *scenza. D’altra parte, per sciare, che pro-
ci

nuncia abbiamo? Unicamente /Si’are/, perché deriva da scia /’Sia/.


c

Ugualmente, abbiamo viale /vi’ale/, derivando da via /’via/; ma fiale /’fjale/ e


na

sciame /’Same/. Queste grandi differenze fra scrittura e pronuncia non si


Bo

potrebbero mostrare, inequivocabilmente se non grazie alla trascrizione fone-


©

tica. A dire il vero, qui si tratta di trascrizione fonemica (con -m-), perché i
simboli messi tra barre oblique indicano i fonèmi, ossia i suoni distintivi
d’una lingua, quelli che riescono a far cambiare il significato di parole ugua-
li graficamente, come pesca per esempio.

1.3 C’è uniformità nella pronuncia?


Nel Centro Italia, si parla l’italiano derivato direttamente dal latino, senza
interferenze da parte di altre parlate molto differenti (tant’è vero che anche

63
i dialetti centrali sono strutturalmente simili alla lingua italiana). Al Nord e
al Sud la situazione è piuttosto diversa; infatti, generalmente, per le due
pesche viste sopra, si ha un’unica pronuncia, che può essere con la vocale
chiusa, [e], oppure quella aperta, [E], o ancora con una realizzazione inter-
media fra le due neutre: [W].

1.4. L’insegnante d’italiano LS


Chi insegna all’estero (dove può essere l’unico “modello” per studenti e
insegnanti stranieri) ha il dovere d’avvertire studenti e colleghi stranieri che
la sua personale pronuncia non è neutra, ma presenta caratteristiche della
tale regione, zona, o città. Dovrebbe, inoltre, richiamare l’attenzione sulle
differenze di pronuncia per le stesse parole e frasi, dette nel proprio accento

ti.
e in altri accenti.

va
er
1.5 Le lettere non sono suoni

ris
Le lettere dell’alfabeto non sono suoni: sono solo dei mezzi per scrivere la
tti
lingua. Infatti, non sono le lettere che si pronunciano; al contrario, è la pro-
iri
id
nuncia che si scrive, o tramite l’ortografia tradizionale, diversa da lingua a
lingua, oppure (e meglio) tramite le “trascrizioni fonetiche”.
ti
ut

Se si usa la trascrizione fonetica internazionale, nota come trascrizione


.T

IPA (International Phonetic Alphabet), lo stesso simbolo vale per tutte le lin-
gue, per indicare suoni simili, al di là delle differenze ortografiche delle varie
re

lingue, come abbiamo visto per /S/, cui corrisponde sh in inglese (ship), ch in
ito

francese (chapeau), sch in tedesco (schön), anche x in portoghese (xícara)...


ed

Conoscere i principali simboli e i principi dell’Associazione Fonetica


ci

Internazionale è oggi una necessità per chi insegna o studia LS


c
na

1.6 L’importanza dei simboli fonetici


Bo

I simboli fonetici rappresentano il miglior passaggio graduale da una lin-


©

gua orale a un’altra lingua orale diversa, senza indebite interferenze causate
dall’ortografia, ovviamente differente e con regole diverse da una lingua
all’altra.
Il metodo fonetico è l’unico modo per tenere davvero separati il livello
grafico (ortografia) da quello sonoro (trascrizione fonetica), aiutando a riflet-
tere meglio sulle strutture linguistiche (non solo foniche), perché apre la
mente a possibilità imprevedibili e insospettate.

64
1.7 Idee chiare sulla pronuncia migliorano anche la scrittura
Una buona pronuncia, basata su elementi sicuri, grazie alle trascrizioni
fonetiche, aiuta anche a evitare errori di scrittura, giacché i due livelli (foni-
co e grafico) sono le due facce del significante linguistico, cioè della manife-
stazione d’una lingua percepibile coi sensi uditivo e visivo.
Le trascrizioni fonetiche riescono a mostrare chiaramente le differenze fra
la pronuncia e la capricciosa ortografia. Oltre a quanto abbiamo già indica-
to al paragrafo 1.2, solo la trascrizione fa capire, al di là d’ogni possibile dub-
bio, che il sostantivo cielo si pronuncia esattamente come il verbo celo (cela-
re), cioè: /’cElo/, senza nessuna traccia di /i/ o /j/. Ugualmente, la trascrizio-
ne toglie qualsiasi dubbio su forme ambigue come: ancora, principi, capito,
conservatori, giacché non può fare a meno di segnare l’accento e anche i tim-

ti.
bri dei fonemi: /’ankora/ (della nave), /an’kora/ (avverbio); /’principi/ (plura-

va
le di principe), /prin’cipi/ (plurale di principio); /’kapito/ (io capito), /ka’pi-

er
ris
to/ (ho capito); /konserva’tOri/ (musicali), /konserva’tori/ (politici).

1.8 L’uso del dizionario di pronuncia tti


iri
id

Non per tutte le lingue esiste ancora un dizionario di pronuncia cui si


possa far riferimento per risolvere definitivamente i dubbi di pronuncia,
ti
ut

come l’accentazione di parole, o il timbro di e, o, s, z, o la pronuncia o meno


.T

di certe lettere, come in scienza, cielo, gli uomini. Questi ultimi esempi sono:
re

/’SEnqa, ‘cElo, ‘LwOmini/, non: */’SjEnqa, Si’Enqa/ (né */’Senqa, ‘SEnQa/),


ito

*/’cjElo, ci’Elo/, */Li’wOmini/.


ed

Per l’italiano c’è il dizionario della Zanichelli (Dizionario di pronuncia ita-


liana, 2000, preparato da chi scrive queste osservazioni), che è un lavoro di
c ci

completo rifacimento rispetto a quanto detto finora dalle grammatiche e dai


na

dizionari d’italiano.
Bo

1.9 Altri strumenti per la pronuncia


©

Ovviamente, non basta imitare la pronuncia del modello offerto dall’in-


segnante, è necessario anche sapere ciò che si deve fare per produrre i suoni
giusti e per metterli al posto giusto.
Quindi, un altro strumento indispensabile per l’insegnante d’italiano LS
(ma anche per gli studenti che hanno capito l’importanza della pronuncia), è
una trattazione adeguata dei suoni e dell’intonazione, con molti diagrammi,
sia per le vocali e le consonanti, sia per l’intonazione stessa. Infatti, vedere
come si devono porre la lingua e le labbra è fondamentale per capire come

65
produrre un suono vocalico o consonantico, compresa l’attività delle pliche
vocali (o “corde vocali”), che è l’unico elemento che distingua, per esempio,
faro da varo: /’faro, ‘varo/; o quanto da quando: /’kwanto, ‘kwando/; o razza
(umana, canina) /’raqqa/ da razza (pesce) /’raQQa/. Ugualmente, i diagram-
mi fonetici sono fondamentali per orientarsi nell’intricata realtà dell’intona-
zione, e per arrivare anche all’esatta esecuzione delle altezze tonali relative
tipiche d’ogni lingua.
In tutti questi casi, sarà importantissimo arrivare a confrontare i dia-
grammi vocalici, consonantici e intonativi di LM e di LS. Per la pronuncia
italiana, sempre della Zanichelli (dello scrivente) c’è la seconda edizione del
Manuale di pronuncia italiana (1999), che tratta tutti questi argomenti.

ti.
1.10 Necessità di conoscere la struttura fonica della LS e della LM

va
Potrebbe sembrare poco importante, ma, invece, è basilare conoscere

er
anche il sistema fonetico, fonologico e intonativo della propria LM. In que-

ris
sto modo, si riesce a fare dei confronti fra la pronuncia delle due lingue. Se
tti
in italiano non si rispettano le consonanti geminate, si confondono, per
iri
esempio, pala e palla, sano e sanno, moto e motto. Lo stesso avviene se si usa
id

un’accentazione non regolare, come può avvenire per retina, fra /’rEtina/
ti

(dell’occhio) e /re’tina/ (piccola rete).


ut
.T

Ci sono senz’altro anche problemi d’ordine fonetico che denunciano subi-


to un accento straniero, che può complicare anche la comprensione di ciò
re

che si vuol dire. Possono avvenire anche scambi fra i fonemi /e, E; o, O; s, z;
ito

q, Q/, in casi in cui non si abbiano coppie minime, come pesca /’peska/ (frut-
ed

to) e /’pEska/ (in mare), o fosse /’fosse/ (se fosse) e /’fOsse/ (le fosse). Se dicia-
ci

mo */’mOska/ o */dotto’rEssa/, per mosca, dottoressa, /’moska, dotto’ressa/,


c
na

non confondiamo concetti diversi, possiamo confondere l’ascoltatore, come


Bo

d’altra parte avviene in certe pronunce regionali italiane.


I problemi non mancano nemmeno al livello intonativo, con la possibilità
©

di confusione, per esempio, fra affermazione e domanda, con ripercussioni


sul buon andamento d’una conversazione; oppure, col disagio (o anche fasti-
dio) da parte di chi ascolta, che può arrivare pure a impedire la normale
comunicazione.

2. Come l’insegnante di lingua può insegnare la pronuncia


È quindi importante che l’insegnante, sin dalla prima lezione, si impegni
a far sì che la produzione del discente sia appropriata e completa. Non ci si

66
può accontentare dei messaggi che “si capiscono”.
Naturalmente questa impostazione del lavoro comporta da parte dell’in-
segnante una convinzione dell’importanza dello spazio che deve avere la pro-
nuncia nell’insegnamento della lingua tale – direbbe L. Costamagna – da
“sensibilizzare gli studenti perché curino la pronuncia della lingua che stan-
no apprendendo e dimostrare, attraverso esercitazioni appropriate, quanto
essa sia importante per una comunicazione senza difficoltà”.2
L’esercitazione fonetica deve sempre accompagnare la lezione di lingua. A
questo scopo sarà dunque necessario prevedere un momento, all’interno
della lezione di lingua, per poter fare un intervento, anche brevissimo, nel-
l’ambito della fonetica.
Può trattarsi di un intervento occasionale oppure programmato:

ti.
- è occasionale ogni volta che l’insegnante interviene per correggere una

va
pronuncia sbagliata, per evidenziare una struttura prosodica, per dimo-

er
strare la giusta articolazione di un suono;

ris
- è programmato quando l’insegnante prevede una parte della sua lezione
tti
per la fonetica da abbinare e integrare ai contenuti di lingua che inten-
iri
de insegnare.
id

Prevedere il momento della fonetica in ogni lezione di lingua comporta


ti
ut

come conseguenza per l’insegnante:


.T

- il bisogno di rivedere l’articolazione del piano di lavoro


re

- il bisogno di approfondire la propria competenza fonologica.


ito
ed

2.1 La fonetica nel piano di lavoro


ci

L’insegnante avrà il compito di didattizzare l’input previsto per la lezione


c

di lingua anche a scopo fonetico.


na

Come per ogni piano della lingua, i contenuti fonologici appaiono tutti
Bo

insieme in qualsiasi testo che si vorrà sfruttare. Occorrerà allora seguire una
©

progressione che si distribuisce ogni volta su due filoni simultanei:


- il filone dei singoli suoni del sistema;
- il filone prosodico.
In questo modo si può pensare a interventi finalizzati a:
- acquisire la consapevolezza della propria cinestesia;
- all’ identificazione e discriminazione di suoni;
2
Costamagna, L. (2000), p. 78.

67
- alla produzione e interpretazione dei suoni;
- alla riflessione metalinguistica.
Devono essere anche previsti i criteri di valutazione della produzione
orale dell’allievo dal punto di vista fonologico.

2.2 Approfondire la competenza fonologica dell’insegnante


La competenza fonologica dell’insegnante ha tre componenti basilari sui
cui poggia:
- la conoscenza del sistema fonologico dell’italiano LS;
- la conoscenza del sistema fonologico della LM dello studente e delle
eventuali zone di conflitto che possono emergere dal contatto delle due

ti.
lingue;

va
- la chiarezza riguardo ai criteri che reggono la selezione dei modelli.

er
ris
Ci interessa, in questa sede, accennare al problema del modello fonologi-
co, che è analogo al problema che si pone per l’insegnamento dell’italiano in
tti
iri
generale.
id

In ogni contesto didattico, sono perlomeno tre i modelli che si avvicen-


dano durante la lezione:
ti
ut

- il modello di cui l’insegnante è portatore;


.T

- il modello (o i modelli) che l’insegnante seleziona nel suo intervento


re

didattico;
ito

- il modello al quale si tende.


ed

Il primo modello porta con sé grandi responsabilità, in quanto è il model-


ci

lo che configuererà la prima immagine di “italiano” che si formerà l’allievo.


c
na

È quindi opportuno evitare coloriture regionali spiccate.


Bo

Come detto in 1.4 sarà doveroso per l’insegnante chiarire che la sua par-
lata è solo uno fra i molti modelli di italiano. Dovrà, quindi, presentare con-
©

tinuamente altri modelli che consentano all’allievo di avere una visione com-
plessiva dell’ampia gamma di modelli possibili. È solo in questo modo che
l’allievo potrà operare una scelta e costruire il proprio modello, sempre
all’interno di varianti che non vadano oltre i limiti dell’accettabile.
Si tratta comunque di un percorso guidato, con indicazioni precise, e allo
stesso tempo duttile in quanto viene negoziato un prodotto a partire dai
punti di riferimento forniti lungo detto percorso a partire dal modello che
Canepari definisce “variante moderna”3, che deve essere decisamente preva-

68
lente nelle prime fasi dell’apprendimento. Esso ha delle caratteristiche rite-
nute socialmente prestigiose e ovunque valorizzate; è la variante “più consi-
gliabile oggi, per scopi normali, in quanto largamente accettata, pur senza
connotazioni di toscanismo”.
È opportuno citare in questa sede la riflessione di Santipolo a proposito
della “variante didattica”4 dell’italiano da insegnare. Questa variante “lungi
dall’avere un significato riduttivo (...) e dall’essere una semplificazione della
lingua oggetto dell’insegnamento, costituirebbe invece la migliore rappre-
sentazione, dovutamente calibrata, del reale repertorio linguistico degli ita-
liani inteso come la somma degli strumenti linguistici (o linguistic tools) a
disposizione degli italiani per comunicare”.
Sarà certamente opportuno, nella fase della riflessione metalinguistica e

ti.
metacognitiva, che l’allievo possa giungere a definire con chiarezza il model-

va
lo verso il quale vorrebbe tendere e possa giudicare a che punto ritiene di

er
trovarsi, nonché esplicitare come sta affrontando il percorso della costruzio-

ris
ne del modello fonologico, in modo che, a partire da queste esplicitazioni,
l’insegnante possa “calibrare” la selezione dei modelli da proporre.
tti
iri
Quando si tratta di un percorso fatto all’estero, il problema del modello
id

ha delle caratteristiche proprie. Il modello di cui è portatore l’insegnante può


subire contaminazioni fonologiche notevoli in quanto è fortemente esposto
ti
ut

all’influsso della lingua locale. L’insegnante dovrà quindi impegnarsi a cura-


.T

re e mantenere il proprio modello e la propria pronuncia.5


re

All’estero si presenta anche il problema della selezione dei modelli, in


ito

quanto la possibilità di scelta è molto più limitata. Nella maggior parte dei casi
ed

vengono selezionate varianti mediatiche (dalla televisione soprattutto) che


sono solo una rappresentazione parziale dell’intera realtà fonologica italiana,
ci

non solo dal punto di vista diatopico, ma soprattutto per quanto riguarda le
c
na

caratteristiche prosodiche di un modello (ritmo, pause, volume, velocità, ecc).


Bo

L’italiano trasmesso, preferito perché motivante e vario, finisce per essere più
“autorevole” per l’allievo se la riflessione non è sufficientemente guidata e se
©

non si è alquanto informati sia dei criteri più validi per la scelta dei modelli,
sia delle caratteristiche dell’italiano, in questo caso, televisivo6.

4
Canepari L. (1999a) p. 23.
Santipolo M. (2002).
5
L'insegnante dovrebbe usare particolare cura nella scelta dei materiali da utilizzare, dato che sul
mercato esistono corsi di fonetica per stranieri con problemi di trascrizione o con grossi problemi di
registrazione
6
delle voci e quindi poco validi dal punto di vista didattico.
Per le caratteristiche dell’italiano televisivo rimandiamo a Diadori P. (1994).

69
3. Lo scetticismo fonetico
In questo non facile cammino verso un modello ottimale, non di rado si
presenta un nemico con il quale occorre contendere il campo di azione: lo
“scetticismo fonetico”, cioè, da una parte, l’atteggiamento di incredulità da
parte del discente di poter ottenere una pronuncia migliore e dall’altra l’e-
sperienza di disappunto e scoraggiamento da parte dell’insegnante che trova
che la sua didassi e la sua insistenza in materia di pronuncia non produce i
frutti che vorrebbe.
Condizione indispensabile per vincere lo scetticismo dell’insegnante è
innanzi tutto credere nelle potenzialità dello studente. Non si tratta di una
fiducia ingenua ma strategica e cioè capace di non esaurire mai l’intervento
didattico che, attraverso uno svariato ventaglio di tecniche, trova sempre il

ti.
modo opportuno di aiutare l’allievo a controllare la sua articolazione e a evi-

va
denziare i progressi, anche quelli meno appariscenti.

er
A titolo di esempio, si potrebbe dire che ci sono sempre esercizi con cui

ris
l’allievo si sente più rilassato perché gli riescono più facili. Saper alternare
tti
opportunamente gli esercizi, in modo che l’allievo non provi né stanchezza
iri
né scoraggiamento e possa verificare il suo parziale successo, è un’auspicabi-
id

le strategia da parte dell’insegnante che propone l’attività da svolgere in


ti

laboratorio.
ut

Da parte dell’allievo lo scetticismo deriva da mancanza di convinzione nei


.T

riguardi dell’importanza di una buona pronuncia e da calo della motivazio-


re

ne. Fattori intrinseci o attitudinali e fattori estrinseci o motivazionali posso-


ito

no condizionare il successo dell’apprendimento. Il ruolo della motivazione è


ed

indiscusso, sia quella strumentale che quella integrativa7. Tra i fattori psi-
ci

coattitudinali che possono particolarmente influire, Costamagna accenna


c

all’ansia e all’autostima.
na

L’età può essere una variante d’importanza relativa. L’adulto che appren-
Bo

de prova spesso imbarazzo e insicurezza ma attraverso un percorso adegua-


te anche persone in età avanzata sono riuscite a fare enormi progressi e a
©

modificare sostanzialmente gravi problemi di fossilizzazione.


Contano anche le esperienze precedenti sostenute dall’allievo in sede di
apprendimento linguistico sia della LM che di altre L2/LS.
Infine è importante considerare anche l’interesse che ogni apprendente
ha nel voler raggiungere una pronuncia da nativo. Quanto la pronuncia sia
legata all’identità del parlante è noto e quindi non tutti gli apprendenti sono

7
Cfr. Costamagna L. (2000), p. 81.

70
disposti a assumere un’identità che può essere “poco compatibile” con la
propria.
È compito dell’insegnante suscitare l’entusiasmo nei confronti delle pos-
sibilità di pronunciare meglio e mantenerlo vivo. La motivazione si mantie-
ne quando l’allievo si diverte, quando c’è un buon rapporto insegnante-
discente, quando gli errori sono corretti in modo opportuno e rispettoso
della personalità dell’allievo, quando il discente può visualizzare i suoi pro-
gressi e sentire che vengono potenziate le sue capacità.

4. L’analisi delle differenze individuali


Ogni allievo ha un modo di comportarsi e di reagire in sede di apprendi-

ti.
mento fonologico che non sempre coincide con il modo di apprendere altri

va
tipi di contenuti linguistici. Inoltre, ogni allievo ha delle capacità specifiche

er
e preferenze davanti a una proposta di lavoro relativa alla pronuncia, le quali

ris
possono essere colte e appositamente sfruttate attraverso l’attività nel labo-
ratorio linguistico.
tti
In materia di pronuncia, l’invito della psicolinguistica ad effettuare un’a-
iri
id
nalisi delle differenze individuali è particolarmente valido. Prevedere oltre a
un’esercitazione di gruppo d’accordo agli obiettivi generali, anche un’eserci-
ti
ut

tazione per gruppi o livelli, nonché specifiche proposte addirittura persona-


.T

lizzate, possono essere l’antidoto per lo “scetticismo”.


Preparare esercizi di gruppo, di livello e personalizzati non è semplice e
re

richiede che l’insegnante segua, attraverso un registro più o meno particola-


ito

reggiato, la situazione dei singoli allievi. Le varianti che potrebbero essere


ed

prese in considerazione sono parecchie. Può essere di valido aiuto confezio-


ci

nare griglie di analisi o questionari dai quali possano emergere punti indica-
c
na

tivi per la preparazione dell’esercitazione, da riversare in seguito su singole


schede. Ecco alcune proposte:
Bo

In base all’atteggiamento del discente


©

- Dimostra interesse a migliorare la pronuncia?


- È interessato a conoscere altri modelli?
- Accetta di buon grado le correzioni?
- Prova disagio se viene corretto davanti ai compagni?
- Prova disagio se viene corretto da un compagno?
- Preferisce le prestazioni individuali o a coppie (o in gruppo)?
- Con quali tipi di esercizi si dimostra più rilassato?

71
- Quali input lo motivano maggiormente? (canzoni, registrazioni, testi
televisivi...)
- Si dimostra teso di fronte a registri molto veloci o con interferenze di
rumori o sovrapposizione di voci?

In base ai contenuti fonologici


Si prendono in considerazione le componenti basilari del sistema fonolo-
gico, per le quali proponiamo una griglia di partenza.

Vocalismo
Consonantismo

ti.
Gruppi consonantici e varianti contestuali

va
Prosodia Accento

er
Durata
Intonazione

ris
Espressione
tti
iri
Per ogni voce poi si scenderà nel dettaglio, tenendo conto della LM. Ad
id

esempio, per degli studenti ispanofoni, si potrebbe proporre la seguente sud-


ti

divisione:
ut
.T
re

Vocalismo sì non molto no


ito

Le vocali sono definite?


Hanno la distribuzione giusta?
ed

L’allievo conosce le principali regole ortoepiche?


c ci
na

Consonantismo sì non molto no


Bo

Realizza la /s/ non sonora nei contesti che lo richiedono?


Distribuisce adeguatamente la /s/ sonora e non sonora?
©

Realizza le occlusive sonore in modo adeguato?


Realizza /q/ e /Q/ adeguatamente o le scambia per /s/ e /z/?
Dà la lunghezza giusta a /Q, N, L, S/?
Intervengono adeguatamente le labbra in /S/, /c/, /G/?
Realizza la /G/ come affricata o occlucostrittiva?
Realizza la /v/ come labiodentale?
Realizza la /N/ come palatale o la scambia per [nj]?
Realizza la /r/ polivibrante nei contesti giusti?

72 72
Gruppi consonantici e varianti contestuali sì non molto no
Realizza C + r dando alla r la lunghezza adeguata?
Realizza /n/ + /v/ come [Mv] o scambia per [mb]?
Realizza /n/ o /l/ + /q/ o /Q/ rispettando
l’occlucostrizione di /q, Q/?
Rispetta i gruppi formati da occlusiva non sonora
+ C senza sonorizzare l’occlusiva?

Prosodia sì non molto no


Conosce le principali regole accentuali?
Rispetta la sede dell’accento nella singola parola?
Differenzia accenti primari e secondari e
li distribuisce adeguatamente?

ti.
Rispetta le doppie?

va
Rispetta i raddoppiamenti sintattici più prestigiosi?

er
Dà la durata adeguata alle scempie?

ris
Allunga il segmento finale delle sillabe toniche finenti
in consonante?
tti
iri
Allunga la vocale tonica di sillaba aperta?
id
Rispetta l’intonazione discendente delle conclusive?
Rispetta l’intonazione ascendente delle interrogative totali?
ti

Fa la differenza tra interrogative totali e parziali?


ut

Fa la differenza tra interrogative parziali formali e informali?


.T

Usa adeguatamente la tonia sospensiva?


re

Rispetta l’intonazione di incisi e citazioni?


ito
ed

Ritmo, pause, espressione sì non molto no


Dà agli enunciati il ritmo adeguato distribuendo
c ci

appropriatamente gli accenti?


na

Inserisce le pause laddove occorrono?


Bo

Dà la velocità consona alla semantica


e alla pragmatica del testo?
©

Usa le componenti parafoniche giuste?

In base alla ricorrenza e la posizione dell’errore


La ricorrenza e la posizione dell’errore sono indicative dello stadio nel
quale l’allievo si trova, del grado di automatizzazione di determinate struttu-
re ed evidenziano in parte il tipo di esercitazione che occorre prevedere.
L’insegnante deve fare molta attenzione all’errore ripetuto più volte.
Spesso, dinanzi a una difficoltà di articolazione, l’allievo riesce a produrre la

73
prestazione come gli si propone, ma, nelle successive produzioni, l’errore
ricompare o sistematicamente o saltuariamente.
Nemmeno la posizione dell’errore all’interno del testo è un dato secon-
dario. Consideriamo a questo proposito, e partendo sempre dalla nostra
esperienza, tre situazioni che possono presentarsi:
a. l’errore ricorre lungo tutta la prestazione
b. l’errore appare solo all’inizio del testo, poi viene autocorretto e la strut-
tura viene realizzata adeguatamente fino alla fine
c. l’errore appare nel segmento finale della prestazione.
Nel primo caso l’errore è l’evidenza della zona lacunosa che, individuata
dall’insegnante, dovrà essere colmata con un opportuno intervento didattico.

ti.
Nel secondo caso possiamo fare un paragone tra la pronuncia e l’attività

va
fisica. Entrambe costituiscono un allenamento, entrambe hanno una parteci-

er
pazione forte del corpo, in entrambe occorre l’automatizzazione e precisio-

ris
ne dei movimenti e il superamento delle devianze spesso radicate (in foneti-

tti
ca, diremmo fossilizzate). L’insegnante di fonetica assume spesso il ruolo del-
iri
l’istruttore che mostra il modello e insiste sull’esercitazione di determinate
id

strutture. Quindi, come per l’attività fisica, una prestazione, soprattutto se


libera, richiede una fase di “riscaldamento”. L’intervento dell’insegnante,
ti
ut

allora, dovrà creare le condizioni (“riscaldare”) per agevolare la produzione


.T

dell’allievo che dovrà “assumersi” (nell’atletica, prendere posizione) come


re

italofono. In questo caso, l’insegnante deve capire che l’allievo ha già fatto un
ito

percorso soddisfacente ed è in grado di pronunciare bene. Ha solo bisogno


ed

di una adeguata ambientazione ed esposizione alla lingua.


Nel terzo caso, il paragone con l’attività fisica può esserci ancora d’aiuto.
ci

L’allievo che cerca di controllare la sua produzione affronta un momento di


c
na

alta tensione soprattutto nelle fasi iniziali del suo iter. È normale che, verso
Bo

la fine della prestazione, provi stanchezza. I suoi errori, quindi, sono il risul-
tato dell’affaticamento e la conseguente rilassatezza articolatoria. In quei
©

casi, l’insegnante dovrà regolare l’estensione della prestazione e la comples-


sità della consegna.

In base al tipo di prestazione richiesta


L’ostacolo può essere aggirato dall’allievo quando si tratta di un esercizio
di imitazione; nella produzione libera invece sbaglia nuovamente. Un modo
per far emergere le differenze individuali potrebbe essere chiedersi:

74
- Com’è nella produzione guidata?
- Com’è quando legge?
- Com’è la pronuncia dell’allievo nella produzione libera?
Queste domande sono fondamentali per capire se gli esercizi di discri-
minazione e identificazione sono stati esaurienti e se l’allievo possiede,
almeno parzialmente, il sistema fonologico. Quando legge, i contenuti les-
sicali, grammaticali, ecc. vengono già dati e quindi non costituiscono una
difficoltà. L’allievo deve solo badare alla corretta articolazione dei suoni e
assegnare al testo opportune strutture prosodiche. Subentra comunque
un’altra difficoltà legata all’associazione grafia–pronuncia che non sarà
affrontata in questa sede.

ti.
La produzione libera sarà sicuramente quella più complessa per l’allievo

va
perché la difficoltà della pronuncia sarà aggiunta a quelle degli altri piani

er
della lingua. In questi casi, conviene sempre suggerire di partire da una sca-

ris
letta che dia all’allievo la sicurezza dei contenuti e orienti invece tutto il suo
sforzo verso la pronuncia e l’espressione. Nella produzione libera, si metto-
tti
no in evidenza le strutture che sono state già automatizzate. È la fase più
iri
id
avanzata nell’iter fonologico. Molti allievi superano senza difficoltà i primi
due momenti. Ma trovano degli intoppi nel terzo: gli errori fossilizzati ricom-
ti
ut

paiono e non c’è ancora un controllo autonomo delle strutture.


.T

In questo caso, il passaggio dall’esercitazione guidata a quella meno gui-


re

data deve essere più lento, gli errori che ricorrono con maggiore frequenza
ito

devono essere affrontati singolarmente in base alle difficoltà che ognuno ha.
Occorrerà rinforzare il momento della lettura, la quale andrà realizzata con
ed

velocità diverse in modo che le strutture siano sempre più stabili.


c ci
na

5. Conclusione
Bo

L’insegnante di italiano LS insegna anche a pronunciare, tutela il model-


©

lo di pronuncia e ne segue il percorso di costruzione. È inoltre colui che


cura il rapporto docente–discente all’interno di una didattica umanistico-
affettiva credendo nelle potenzialità dell’allievo e progettando opportuni
interventi affinché questi possa superare le difficoltà e avvicinarsi al model-
lo desiderato.
Infine, è colui che intende la padronanza linguistica nella sua completez-
za e concepisce la comunicazione in tutti i suoi piani, compreso quello fono-
logico, perché la lingua è innanzi tutto oralità.

75
riferimenti bibliografici
BALBONI P.E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse,
Torino, UTET Libreria.
BERRUTO G. (1988), Sociolinguistica dell’Italiano contemporaneo, Roma, La Nuova
Italia.
BERTINETTO P., MAGNO CALDOGNETTO E. (1993), “Ritmo e intonazione”, in Sobre-
ro A. (cur.), Introduzione all’italiano contemporaneo, Roma-Bari, Laterza.
BORZONE DE MANRIQUE A. M. (1980), Manual de Fonética Acústica, Buenos Aires,
Hachette.
CANEPARI L. (2ª ed. ampliata 1999a), Manuale di pronuncia italiana, Bologna,
Zanichelli (con due audiocassette).
CANEPARI L. (1999b) (ristampa emendata 2000), Dizionario di pronuncia italiana,
Bologna, Zanichelli.

ti.
CANEPARI L. (2003a), Manuale di fonetica, Torino, Einaudi.

va
CANEPARI L. (2003b), Manuale di pronuncia, Torino, Einaudi.

er
CERINO M., FERRARI F., PANDOLFI M.E, VALSECCHI R. (2001), Analisi degli errori in

ris
allievi ispanofoni, tesi MasterItals - Università Ca’ Foscari - Venezia.
COSTAMAGNA L. (1996), Pronunciare l’italiano. Manuale di pronuncia italiana per
tti
stranieri, Perugia, Edizioni Guerra (con 4 audiocassette, un CD e un «mazzo di carte
iri
id
fonetiche»).
COSTAMAGNA L. (2000), Insegnare e imparare la fonetica, Torino, Paravia (con un’au-
ti

diocassetta).
ut

COVERI L., BENUCCI A., DIADORI P. (1998), Le varietà dell’Italiano. Manuale di


.T

Sociolinguistica italiana, Roma, Bonacci.


re

DIADORI P. (1994), L’italiano televisivo, Roma, Bonacci.


ito

MARTÍNEZ CELDRÁN E. (1996), El sonido en la comunicación humana. Introducción a


ed

la Fonética, Barcellona, Octaedro.


MASSONE M., BORZONE DE MANRIQUE A. M. (1985), Principios de transcripción foné-
ci

tica, Buenos Aires, Macchi.


c
na

MIONI A. (1993), “Fonetica e fonologia”, in Sobrero A. (cur.), Introduzione all’ita-


liano contemporaneo, Roma-Bari, Laterza.
Bo

NESPOR M. (1993), Fonologia, Bologna, Il Mulino.


©

SANTIPOLO M. (2002), “Insegnare l’italiano o la pluralità dell’italiano?”, In.it nº 3,


Perugia, Guerra.
SIMONE R. (1998), Fondamenti di linguistica, Roma-Bari, Laterza.
RAMORINO N. (1991), Corso di Dizione, Milano, De Vecchi.
TITONE R. (1983), Psicolinguistica applicata, Roma, Armando.
TITONE R. (1993), Avamposti della glottodidattica contemporanea, Perugia, Guerra.

76
Capitolo 6
La CULtUra e La CiViLtÀ itaLiane
e iL Loro insegnamento
in Una ProsPettiVa interCULtUraLe
Elisabetta Pavan

Insegnare cultura e civiltà italiane in una classe di italiano lingua stranie-


ra è un compito basilare che il docente del terzo millennio deve sempre tener
presente, anche per i motivi legati al rinnovato e pressante interesse per la
lingua italiana nel mondo: non solo l’opera e la moda ma anche il design, la

ti.
tecnologia, la dieta mediterranea, il modello economico del Nordest...

va
I processi di interazione tra persone di culture diverse necessitano la

er
conoscenza reciproca, quindi la competenza linguistica deve sempre inte-

ris
grarsi con la competenza comunicativa interculturale. Lo studente deve esse-
re edotto sin dall’inizio che oltre agli aspetti linguistici esistono anche delle
tti
dimensioni culturali che emergono prepotentemente nel corso di eventi
iri
id
comunicativi.
Nella classe di italiano LS molte sono le novità sia sul fronte del docente
ti
ut

che dello studente, si annoverano nuovi strumenti e si moltiplicano le occa-


.T

sioni di contatto con l’Italia, sia reali che virtuali. Le conoscenze complesse
del docente si devono tradurre in pratiche operative e tra le competenze da
re

insegnare va sempre ricordata la competenza comunicativa interculturale,


ito

competenza da definirsi in maniera precisa per poter pianificare, sviluppare


ed

ed infine aiutare a valutare i progressi dello studente.


ci

L’insegnamento dell’italiano come lingua straniera, quindi, deve andare al


c
na

di là dell’acquisizione del sistema morfologico e sintattico “lingua italiana”, i


docenti di italiano LS devono insegnare anche la cultura italiana, perché la
Bo

cultura è qualcosa di onnipresente, invisibile, ma soprattutto, che si impara.


©

1. il nuovo ruolo del docente, della materia e del discente


Il fatto che lo studente stia imparando l’italiano lo espone, creando un
inevitabile contatto, a modelli culturali tipici della cultura italiana. Insegnare
cultura e civiltà implica delle scelte strategiche da parte del docente, il quale
deve saper creare un giusto mix di competenze e materia, avvicinando gli
studenti alla lingua e alla cultura senza creare in loro false aspettative ed ansie
derivanti da differenze culturali o paure dovute agli imprevisti.

77
A tal fine vanno padroneggiate tutte le competenze che competono al
docente di lingua, e lo scenario da cui si traggono gli strumenti per operare
comprende tutte le scienze del linguaggio (linguistica, sociolinguistica, prag-
malinguistica, linguistica applicata, ecc.).
L’obiettivo dell’insegnamento ha subito un cambiamento di focus che si è
spostato dalla lingua come sistema alla lingua in atto, per cui anche sul ver-
sante di chi apprende vanno conosciute e utilizzate le conoscenze che deri-
vano dagli studi sulla neuro e psico-linguistica, quelli di programmazione
neurolinguistica, le teorie umanistico-affettive, in un continuum che prende
in considerazione l’intera gamma delle potenzialità umane nonché le diverse
nature dell’intelligenza analitica e di quella emotiva (Balboni, 2002).

ti.
1.1 Alcune definizioni

va
Può essere utile riportare qui di seguito le definizioni di cultura e civiltà,

er
nonché di modello culturale (Balboni, 1999b, 2002):

ris
- cultura: secondo la definizione di Lévy-Strauss è “cultura” tutto ciò che
tti
non è “natura”: la natura pone il bisogno di nutrirsi, coprirsi, procrea-
iri
re, ecc., e le varie culture offrono modelli culturali quali il modo di pro-
id

curarsi, preparare e distribuire il cibo, il modo di creare abitazioni e


ti

vestiti, le regole di corteggiamento, la struttura familiare, e così via;


ut
.T

- civiltà: alcuni modelli possono risultare più produttivi di altri, e costi-


tuiscono la civiltà di un popolo, ma per il resto tutte le culture sono
re

egualmente degne. Questo atteggiamento di rispetto e, possibilmente,


ito

interesse per la diversità culturale, rappresenta una meta educativa


ed

essenziale della glottodidattica e viene definita relativismo culturale;


ci

- modello culturale: è l’unità minima di analisi della cultura. Un modello


c
na

culturale è la risposta ad un problema: ad esempio, il modo in cui una


Bo

cultura risponde al bisogno di nutrirsi nell’arco della giornata; il modo


in cui si risponde alla necessità di organizzare il movimento nelle stra-
©

de; il modo in cui si organizza la vita scolastica degli adolescenti, ecc.

1.2 L’insegnamento della cultura


Le definizioni del termine cultura sono innumerevoli e suscettibili di
variazioni da disciplina a disciplina. A seconda che si tratti di antropologia,
psicologia, sociologia, linguistica, si tende a privilegiare un aspetto piuttosto
che un altro; per il docente di lingua straniera restano comunque fondamen-
tali due aspetti:

78
- cultura è tutto ciò che non è natura, quindi le diverse risposte che un
gruppo dà a dei bisogni di natura;
- la cultura è invisibile, onnipresente e si impara.

La cultura, quindi, comprende e influenza tutte le attività umane ed in


primis le attività legate alla comunicazione, sia essa verbale o non verbale.
Secondo Hall (1959), “la cultura è comunicazione e la comunicazione è cul-
tura”, e ben il 60% della nostra comunicazione avviene attraverso codici non
verbali. In linea di massima le definizioni di cultura utilizzate in ambito glot-
todidattico si rifanno al concetto di cultura come way of life (Lado, 1957), i
modi di vita che si identificano con i modelli tipici di una cultura (Pavan,
2002).

ti.
L’interesse per l’insegnamento della cultura, tuttavia, non è una novità di

va
questi ultimi anni: già dopo la Seconda Guerra Mondiale il passaggio dal-

er
l’approccio strutturalistico all’approccio comunicativo portò ad una riconsi-

ris
derazione del ruolo della cultura, in quanto si raggiunse la consapevolezza
tti
che in una situazione comunicativa l’errore culturale è grave così come può
iri
esserlo l’errore linguistico. Ciononostante permaneva la tendenza a separare
id

l’apprendimento della lingua, vista ancora come un sistema prettamente


ti

grammaticale, dall’utilizzo di nozioni culturali relative al Paese in cui la lin-


ut

gua è parlata: il focus dell’insegnamento restava la lingua, inserita in uno


.T

sfondo che si identificava con le sezioni di solito definite di “civiltà”.


re

È con lo sviluppo dell’approccio comunicativo nozionale-funzionale che


ito

l’insegnamento della cultura diventa davvero rilevante, in quanto emerge la


ed

consapevolezza che non si può comunicare efficacemente se non si ha una


solida competenza socio-culturale. Se la comunicazione mira ad un esito
c ci

positivo, “vincente”, le persone coinvolte nello scambio comunicativo devo-


na

no condividere i significati legati alla lingua che hanno imparato e stanno uti-
Bo

lizzando: questo è relativamente semplice quando il medium è scritto, ma


quando l’interazione avviene in presenza diventa evidente che la comunica-
©

zione non si limita ad uno scambio di parole e significati condivisi. Le per-


sone coinvolte nello scambio comunicativo sono portatrici di una loro iden-
tità culturale, e può essere utile ricordare che in ognuno di noi ci possono
essere molteplici identità, legate ai vari gruppi sociali a cui si appartiene e alle
diverse abitudini: ecco che oltre ai significati vanno condivisi anche valori e
usanze.
In questo senso diventa importante sottolineare che la lingua non è mai un
mezzo espressivo oggettivo, in quanto proprio perché culturalmente conno-

79
tata porta in sé molteplici implicazioni legate sia a chi la parla che alla cultu-
ra in cui viene utilizzata. La lingua inglese mal si presta a questo tipo di inter-
pretazione: lingua franca per eccellenza, lingua internazionale legata al busi-
ness, può risultare priva di riferimenti culturali, mentre l’italiano può preve-
dere un’approfondita conoscenza linguistica e soprattutto culturale dell’Italia.

1.3 L’insegnamento di lingua e cultura


Insegnare l’italiano come lingua straniera deve implicare il superamento
del concetto di istruzione (legato soprattutto alla dimensione strumentale
della lingua) assumendo una funzione educativa in cui, al di là di obiettivi
immediati si perseguono delle mete educative. Nella letteratura glottodidat-
tica italiana sull’educazione linguistica si identificano di solito tre mete edu-

ti.
cative che, in ordine di acquisizione, sono: culturizzazione (io e il mondo),

va
socializzazione (io e te) e autopromozione (io) (Balboni, 2002). Spostando

er
l’attenzione all’insegnamento della cultura, si potrebbero identificare tre

ris
aspetti che costituiscono la culturizzazione: l’inculturazione (la lingua e i
tti
modelli culturali acquisiti nel paese in cui si nasce), l’acculturazione (i model-
iri
li culturali del paese in cui si parla la lingua che si studia), il relativismo cul-
id

turale (aspetto che può essere considerato una sintesi dei precedenti, viene
ti

raggiunto quando si riesce a guardare ai modelli altrui astenendosi da qual-


ut

siasi giudizio e rispettando risposte ai bisogni di natura diverse da quelle


.T

della propria cultura). Va ricordato che la competenza culturale è la condi-


re

zione necessaria per la socializzazione.


ito

Quando due persone interagiscono attraverso una lingua straniera i signi-


ed

ficati linguistici e culturali che vengono veicolati non possono essere dati per
scontati come potrebbe succedere nello scambio che avviene tra due madre-
c ci

lingua: il contesto culturale implicito nella personalità di chi parla può


na

influenzare fortemente la comunicazione, così come il contesto culturale in


Bo

cui avviene la comunicazione.


Imparare una lingua così come viene parlata in un determinato Paese
©

significa imparare anche i significati condivisi, sottintesi, in relazione ai valo-


ri e alle usanze di quella cultura, i modelli e le regole culturali, essere consa-
pevoli del modo in cui essi sono veicolati in maniera implicita quando si fa
“comunicazione”. È palese come questa sia la parte più difficile nel proces-
so di insegnamento di una lingua: proprio perché questi significati sono con-
divisi, essi sono dati per scontati, spesso vengono definiti naturali quando
invece sono essenzialmente culturali, e, dato che emergono esplicitamente
solo quando ci sono difficoltà d’interazione o quando lo scambio comunica-

80
tivo si interrompe, gli studenti hanno difficoltà a riconoscerli e a capire il loro
significato. Un esempio potrebbe essere il tono della voce di un italiano in
una conversazione normale, in cui i rumori di fondo non sono eccessivi e il
numero di persone coinvolte è limitato: se confrontato con il tono di un
gruppo di anglosassoni o di orientali si noterà immediatamente come il volu-
me degli italiani sia più alto. Analizzando il volume secondo i parametri, ad
esempio, degli anglosassoni risulterà che la percezione di un inglese nei con-
fronti dell’italiano sarà di una persona irritata e aggressiva, mentre in realtà
gli italiani coinvolti non stavano discutendo di calcio o di politica, ma sem-
plicemente confrontandosi con estrema serenità su argomenti del tutto
“innocui”.
Va sottolineato che studiare una lingua in un’ottica di questo tipo aiuta i

ti.
discenti a riflettere sui propri modelli culturali e a sviluppare lo strumento

va
senza il quale non potrebbe essere capito fino in fondo uno scambio comu-

er
nicativo: la consapevolezza culturale. Senza una corretta comprensione della

ris
dimensione culturale, infatti, anche le frasi più semplici possono creare dei
problemi: il “ci vediamo stasera” di un italiano implica quasi sempre un
tti
iri
incontro che avviene nel dopocena, per un inglese la traduzione di sera con
id

evening potrebbe far perdere questa connotazione. La percezione legata alle


diverse parti del giorno, infatti, è profondamente legata alle diverse culture:
ti
ut

per un italiano è ovvio che la giornata inizi all’alba, mentre per molte popo-
.T

lazioni asiatiche ed africane è ovvio pensare che la giornata finisca con il tra-
re

monto e che quindi l’inizio della giornata successiva coincida con l’inizio
ito

della notte (Balboni, 1999a). Per esempio le due di notte italiane sono two in
ed

the morning per gli inglesi. Altre espressioni che possono creare dei proble-
mi sono: “Si può andare più piano?” o “Non si può andare più piano?”, che
ci

al di là di essere viste come un esercizio grammaticale sulla forma interroga-


c
na

tiva e interro-negativa, sottendono la stessa finalità pragmatica: ottenere che


Bo

chi sta al volante rallenti.


©

1.4 L’insegnamento del relativismo culturale e l’importanza dei materiali


autentici
Insegnare consapevolezza culturale implica la comprensione che oltre alla
cultura in cui si è nati e cresciuti esiste una cultura altra, che appartiene a
persone e popoli diversi. Questa consapevolezza è più facilmente ottenuta se
si ragiona in termini di differenze, riflettendo cioè su modelli diversi e lavo-
rando per comparazioni, facendo confronti.
È indispensabile riflettere sul contesto, sull’ambiente in cui la cultura ita-

81
liana si esprime e si sviluppa; a tal fine è necessario attingere per le attività di
classe da materiali autentici e da una pluralità di fonti (cfr. Spinelli in questo
volume), ma soprattutto fare in modo che lo studente diventi autonomo nel
reperire tali materiali in quanto in alcuni aspetti la cultura di un Paese può
variare con enorme rapidità. I motivi di questi repentini cambiamenti posso-
no essere i più disparati: emigrazioni ed immigrazioni, mezzi di comunica-
zione di massa, turismo di italiani che sono stati all’estero e di stranieri in
Italia, ecc.; conseguentemente una volta insegnati i modelli standard di base
della cultura, indispensabili alla comunicazione quando gli studenti verran-
no in Italia, è bene fare un passo in avanti ed educare alla differenza, alla
variabilità delle culture, ma soprattutto ad osservare una cultura, per fornire
così quegli strumenti indispensabili ed universali che sono alla base del rela-

ti.
tivismo culturale.

va
A questo proposito Internet è una fonte inesauribile, anche se per l’ope-

er
ratore impreparato può risultare altamente inaffidabile. In Internet, infatti, si

ris
possono trovare le maggiori testate giornalistiche, testi di letteratura e di can-
zoni, si possono scaricare brani musicali e recensioni di film, si possono visi-
tti
iri
tare i siti di aziende importanti e meno importanti, di associazioni e chat-line.
id

Restano molto importanti anche i mezzi canonici: i giornali cartacei non solo
per motivi “sentimentali” legati alla carta stampata ma anche per facilità di
ti
ut

archivio e catalogazione, la TV per la possibilità di fruire e di videoregistra-


.T

re programmi, la pubblicità come mezzo di comunicazione trasversale ai


re

mezzi di comunicazione. La pubblicità è uno strumento comunicativo molto


ito

utile per il docente di italiano all’estero: consente di tenersi aggiornati su


ed

modi e mode, sia linguistiche che legate al costume. Dalle pubblicità possia-
mo trarre importantissime e aggiornatissime informazioni, ad esempio, sulle
ci

attitudini legate al cibo, ai mezzi di trasporto, al ruolo dell’uomo e della


c
na

donna in seno alla famiglia, alle aspettative dei giovani legate al mondo della
Bo

scuola e del lavoro.


Conseguentemente il confronto tra i modelli culturali propri del discente
©

e quelli che caratterizzano la cultura italiana diventa un mezzo fondamentale


per migliorare la comprensione di entrambi. Nel processo di comparazione lo
studente impara a riconoscere le differenze e a far fronte a quelle situazioni in
cui dare per scontato somiglianze può portare a sonori malintesi e quindi a
fallimenti sul piano comunicativo. In questo modo si riuscirà a controllare il
filtro affettivo e ad evitare che il timore per l’incertezza (uno dei valori fon-
damentali individuati da Hofstede per l’analisi delle diverse culture) possa
inficiare la performance comunicativa, per cui lo scambio non si limita alle
informazioni ma opera in una scena più complessa: quella culturale.

82
Si potrebbe contestare che per non alzare il filtro affettivo sarebbe meglio
riflettere sulle somiglianze invece che sulle differenze: questa procedura,
invece, potrebbe essere altrettanto pericolosa, perché non aiuta a sviluppare
delle strategie in caso di difficoltà d’esecuzione ma soprattutto di interazio-
ne, confondendo così ancora una volta sovrastrutture culturali per azioni
naturali.
Un percorso di formazione interculturale che risponde alla necessità di
creare e sviluppare il relativismo culturale è quello che prevede la formazio-
ne di una prospettiva interculturale quale preludio all’ingresso in una logica
interculturale. Dal contatto con gli altri emerge la conoscenza di un proble-
ma o di un’opportunità, ne segue la tolleranza delle differenze e immediata-
mente dopo il rispetto per le stesse; passaggio successivo è l’accettazione del

ti.
fatto che alcuni dei modelli culturali altrui possono essere migliori dei nostri

va
e perciò ci può essere una serena messa in discussione dei modelli in cui si è

er
cresciuti. Entrare in una logica interculturale è una cosa ben diversa dal mel-

ris
ting pot perpetrato negli Stati Uniti nel secolo passato: il melting pot preve-
deva una transitoria fase multiculturale che doveva dare adito ad una nuova
tti
iri
società in cui ogni differenza culturale si fonde in una nuova realtà.
id

L’interculturalità, al contrario, è un atteggiamento costante, che prende atto


della ricchezza insita nella varietà, che non si propone l’omogeneizzazione e
ti
ut

mira solo a permettere l’interazione più piena e fluida possibile tra le diver-
.T

se culture (Balboni, 1999a). Quindi dal contatto con la nuova cultura si passa
re

alla consapevolezza dell’esistenza di somiglianze e differenze, all’apprezza-


ito

mento di eventuali modelli diversi e alla loro assunzione, assumendo così una
ed

visione più oggettiva anche nei confronti della propria cultura.


c ci

2. La competenza comunicativa interculturale


na

Superato il concetto canonico di competenza comunicativa e delle abilità


Bo

che essa presuppone, per competenza comunicativa interculturale si intende


©

l’abilità di sapersi comportare in maniera adeguata in uno scambio intercul-


turale, la capacità affettiva e cognitiva di stabilire e mantenere una relazione
che implica la comunicazione interculturale, e la capacità di conservare e
riconoscere la propria identità culturale durante tali scambi

2.1 La comunicazione interculturale


Per definire la comunicazione interculturale è importante rifarsi ai con-
cetti di identità e di scambio comunicativo: ogni volta che si comunica con
qualcuno percepiamo e siamo percepiti come componenti di una determina-

83
ta cultura, portiamo con noi un’identità etnica. È in questa fase che un non
ancora sviluppato relativismo culturale potrebbe portare all’utilizzo di ste-
reotipi e conseguentemente facilitare il sorgere di pregiudizi nei confronti
degli italiani. Il docente di italiano lingua straniera deve saper anticipare que-
sta fase, facendo riflettere i suoi studenti sulla figura del sociotipo, dando
quindi delle generalizzazioni che siano legate a valori intrinseci nella cultura
italiana. Ad esempio lo stereotipo del trentenne italiano, eterno studente a
carico dei genitori, può essere spiegato con un ciclo universitario che preve-
de la possibilità per gli studenti di non rispettare scadenze per l’esecuzione
degli esami, la stesura di una tesi che può tranquillamente coprire il periodo
di un anno accademico, la difficoltà di conciliare studio e lavoro e soprattut-
to l’impossibilità di mantenersi fuori casa con un lavoro part-time e senza

ti.
l’aiuto economico dei genitori.

va
Tuttavia un attento sguardo ai mass media nell’arco di qualche anno

er
potrebbe modificare alcune di queste spiegazioni, sulla scorta della riforma

ris
della scuola e del sistema universitario. Il docente non potrà mai insegnare
tutti gli aspetti tipici di una cultura, l’enfasi del suo insegnamento andrà
tti
iri
quindi posta sullo sviluppo di una concreta consapevolezza in relazione alle
id

interazioni interculturali e dei risvolti che le stesse possono creare, svilup-


pando abilità e competenze che possano aiutare nella gestione di incontri
ti
ut

interculturali.
.T
re

2.2 Il bravo comunicatore interculturale


ito

Quando le differenze all’interno dello scambio comunicativo si fanno


ed

importanti, è necessario che lo studente, data per presupposta una buona


competenza linguistica, approfondisca le sue conoscenze in relazione alla
c ci

cultura italiana, e a questo proposito sarà stato importante averlo fornito


na

degli strumenti atti a reperire notizie e materiali autentici, in relazione alle


Bo

sue necessità.Tuttavia lo studente non dovrà mai assumere in maniera acriti-


ca modelli tipici della cultura italiana, l’assunzione di modelli deve necessa-
©

riamente seguire il percorso illustrato in 1.4.


Una comunicazione interculturale efficace prevede qualcosa in più della
mera conoscenza delle norme di un gruppo; ci sono stati vari tentativi di defi-
nizione delle abilità necessarie a dei validi comunicatori interculturali e sono
emersi alcuni fattori: un bravo comunicatore interculturale ha una persona-
lità ben definita, aperta, rilassata, ha molto autocontrollo; possiede abilità
verbali e non verbali; si sa adattare a situazioni nuove e ha una buona consa-
pevolezza culturale, sia nei confronti della sua cultura che di quella straniera

84
(Chen , 1990). Va ricordato che quando si parla di consapevolezza culturale
in relazione al fatto di essere competenti comunicatori interculturali, ci si
riferisce al fatto che si sanno riconoscere e capire le usanze e la struttura
sociale della cultura straniera: capire come le persone pensano e si compor-
tano è essenziale per comunicare efficacemente con loro. Sebbene la lingua
sia considerata come una delle principali differenze tra individui e barriera
alla comunicazione, non vanno dimenticate le abilità legate alla comunica-
zione non verbale i gesti, la mimica, il contatto oculare, la distanza tra gli
interlocutori, la qualità e la quantità del contatto fisico; inoltre vanno ricor-
dati gli aspetti legati alla competenza linguistica, quali il concetto di formale
e informale, la struttura conversazionale, gli stili del parlato.
Le regole che sottostanno a situazioni sociali, la conoscenza dei modelli

ti.
relativi alle relazioni sociali e i valori di fondo che possono identificarsi in

va
una cultura costituiscono i principali aspetti necessari al bravo comunicato-

er
re interculturale nell’ottica dello sviluppo di una più adeguata competenza

ris
comunicativa interculturale. L’enfasi è posta sull’operatività, sulla capacità di
interazione anche in situazioni culturalmente difficili, in altre parole sull’ap-
tti
iri
propriatezza e sull’efficacia dello scambio comunicativo.
id

Come già definito in 1.4 la consapevolezza culturale si raggiunge attra-


verso un percorso le cui tappe sono ben definite e conseguenti l’una all’altra,
ti
ut

come ben illustrato nella tabella che segue (Sandhaas, 1989):


.T
re

etnocentrismo
ito

consapevolezza
comprensione
ed

accettazione/rispetto
ci

apprezzamento/valutazione
c

adozione selettiva
na

assimilazione adattamento biculturalismo multiculturalismo


Bo

Quando si impara l’italiano come lingua straniera molti dei valori, delle
©

credenze e dei comportamenti che si sono acquisiti nella più tenera età, ven-
gono messi in discussione, vengono confrontati con diverse interpretazioni,
implicite nella cultura italiana ma non sempre condivise nella cultura dello
studente. Il riposo domenicale, gli orari dei negozi, il ruolo degli insegnanti
e quello degli anziani, il concetto di pulizia e di igiene personale, sono tutte
attitudini che nella cultura italiana e in quella degli studenti non sempre tro-
vano uguale riscontro.
Il bravo comunicatore interculturale, quindi, deve affiancare alla compe-

85
tenza comunicativa anche l’aggettivo interculturale, sottintendendo le abilità
legate all’interagire con contraddizioni e differenze, diversi sistemi simbolici
e comunicativi.

3. Conclusioni
L’insegnamento dell’italiano LS è un compito estremamente complesso,
non solo da un punto di vista morfologico e sintattico, ma anche e soprat-
tutto per quanto riguarda le situazioni comunicative che vengono a crearsi
quando lo studente straniero entra in contatto con italiani.
Alla luce di quanto espresso emerge prepotentemente la necessità che
l’apprendimento dell’italiano preveda lo sviluppo di una parallela consape-

ti.
volezza nei riguardi della cultura e della società italiane, ma anche della cul-

va
tura materna dello studente. Questa nuova consapevolezza, il relativismo

er
culturale, potrà contribuire al superamento delle barriere che possono erger-

ris
si durante una scambio comunicativo, sia esso verbale o non verbale, in un
continuum in cui potranno essere assunti modelli che appartengono alla cul-
tura altra, quella italiana. tti
iri
id

riferimenti bibliografici
ti
ut

BALBONI P. E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-


.T

plesse, Torino, Utet Libreria.


re

BALBONI P. E. (1999a), Parole comuni culture diverse. Guida alla comunica-


ito

zione interculturale, Venezia, Marsilio.


ed

BALBONI P. E. (1999b), Dizionario di glottodidattica, Perugia, Guerra.


CHEN G. M. (1990), “Intercultural Communication Competence: Some
c ci

Persectives of Research”, in Howard Journal od Communication, 2, pp. 243-


na

261.
Bo

HALL E. T. (1959), The Silent Language, Garden City NY, Doubleday.


HOFSTEDE G. (1991), Cultures and Organizations: Software of the Mind, New
©

York, McGraw-Hill.
LADO R. (1957), Linguistics Across Cultures, Ann Arbor, The University of
Michigan Press.
PAVAN E. (2002), “Cultura e comunicazione non verbale nell’insegnamento
delle lingue straniere”, in SELM, Scuola e Lingue Moderne, Anno XL, N. 4.
SANHAAS B. (1989), “Models, Methods and Basic Elements of Intercultural
Learning: An Educational Approach”, in FUNKE, P. (cur.), Understanding the
USA: a Cross Cultural Perspective, Tübingen, Narr Verlag.

86
Capitolo 7
iL LEXICAL APPROACH
e i ProCessi deLLa memoria.
aLCUne ConVergenZe
Mario Cardona

“Without grammar very little can be


conveyed, without vocabulary
nothing can be convoyed.”1
(Wilkins, 1972)

ti.
“Il linguaggio è un medium

va
attraverso il quale i pensieri
appartenenti ad una memoria

er
vengono trasmessi ad un’altra.”

ris
(Schank, 1982)

tti
iri
In questo contributo ci proponiamo di definire le caratteristiche del
id

Lexical Approach in ordine alle funzioni cognitive della memoria.


L’importanza dei chunk lessicali, che Lewis pone al centro della struttura della
ti
ut

lingua, trova una serie di riscontri in determinate caratteristiche dei processi


.T

mnestici, quali lo span della memoria a breve termine, la profondità di codifi-


re

ca semantica e i livelli di elaborazione. Nella prima parte del presente saggio


ito

descriveremo le principali caratteristiche del Lexical Approach e dei chunk les-


ed

sicali; quindi prenderemo in esame alcune caratteristiche dell’architettura


della memoria per infine trarne delle conclusioni metodologiche.
c ci
na

1. ridefinire il lessico
Bo

Il Lexical Approach di M. Lewis (1993) è certamente tra le proposte meto-


©

dologiche più interessanti della ricerca glottodidattica dell’ultimo decen-


nio. Il dibattito scientifico attorno all’approccio lessicale si è sviluppato nel
quadro di un nuovo interesse per il lessico, la sua natura ed il suo insegna-
mento. Di fatto, sia gli approcci ispirati allo strutturalismo bloomfieldiano
degli anni Cinquanta-Sessanta, come il metodo audio-orale, sia gli approc-
ci più recenti influenzati dalla teoria chomskiana, attenta ai fenomeni sin-

1
“Senza la grammatica si può veicolare molto poco, senza vocabolario non si può veicolare nulla.”
(trad. it. del curatore)

87
tattici, hanno costantemente trascurato il lessico, considerandolo, in certo
qual modo, il ricettacolo delle irregolarità della lingua. Tutto questo si è
tradotto in sede glottodidattica in una metodologia ampiamente, quando
non totalmente, rivolta agli aspetti morfosintattici ed all’insegnamento
della grammatica, quasi quest’ultima fosse la struttura portante della lin-
gua, la struttura in cemento armato sulla quale edificare la competenza lin-
guistica, mentre il lessico, che di tale struttura costituirebbe i singoli mat-
toni, veniva lasciato a se stesso. In definitiva, mentre grande attenzione
veniva (e spesso ancora viene) data alla grammatica ed al suo insegnamen-
to, sia esso di carattere deduttivo e prescrittivo nell’approccio strutturali-
sta, sia di tipo induttivo e funzionale negli approcci di tipo comunicativo,
il lessico era destinato ad essere appreso “da solo”, le parole venivano

ti.
imparate un po’ per volta, man mano che si imparavano le strutture della

va
lingua. A dimostrazione di ciò, i materiali didattici raramente presentano

er
una sezione dedicata allo sviluppo della competenza lessicale e sono prati-

ris
camente assenti sezioni dedicate alla sua valutazione.
Solo recentemente dunque si è affermato un interessante filone di ricerca
tti
iri
che tenta di superare la tradizionale dicotomia tra la grammatica ed il lessi-
id

co. Questo conduce ad una ridefinizione di quanto debba essere riconduci-


bile alla grammaticalizzazione e quanto non appartenga, di fatto, alla com-
ti
ut

plessa natura del lessico. L’informatica rappresenta in questo campo una


.T

struttura di supporto imprescindibile. Si pensi ad esempio al progetto ingle-


re

se COBUILD (Collins-Birmingham-University-International-Language-
ito

Database) che prevede l’analisi computerizzata di venti milioni di parole.


ed

Chiaramente avere una banca dati che permette di raccogliere corpora di


unità lessicali ci dice molto sulla frequenza d’uso di un determinato lemma,
ci

sulle sue occorrenze e co-occorrenze, sulle sue collocazioni, espressioni fisse


c
na

ed idiomatiche ecc. Questo permette di riorientare la metodologia didattica


Bo

introducendo il concetto di lingua come lessico-grammatica, superando la


tradizionale divisione tra le parole e le regole. Un punto fondamentale del-
©

l’approccio lessicale (che non a caso Lewis pone in apertura di The Lexical
Approach) stabilisce infatti che: “Language consists of grammaticalised lexis,
not lexicalised grammar”2 (1993, p. vi).

2
“Il linguaggio è costituito da lessico grammaticalizzato e non da grammatica lessicalizzata.” (trad.
it. del curatore)

88
1.1 I chunk lessicali
Come definire allora il lessico alla luce di questo nuovo orientamento?
L’analisi dei corpora e la linguistica computazionale suggeriscono l’esistenza
di chunk lessicali, di unità lessicali composite (lexical items) e di frasi lessica-
li (lexical prhases). La competenza pragmatica risiederebbe dunque nell’abi-
lità di riconoscere e produrre in contesti significativi chunk prestrutturati
appresi e custoditi nella memoria a lungo termine. L’idea che la lingua sia in
gran parte costituita da chunk che vengono via via memorizzati non è nuova;
già Harold Palmer (1917) suggerisce l’ipotesi che ogni enunciato prodotto,
sia esso orale o scritto, è stato precedentemente memorizzato come un ele-
mento unico, una singola unità, o composto da unità più piccole apprese pre-
cedentemente. Palmer definisce queste unità assunte in blocco (proposizio-

ti.
ni, brevi dialoghi) come “materia prima” (primary matter), mentre le unità

va
non apprese in questo modo costituiscono la “materia secondaria” (secon-

er
dary matter). Il problema glottodidattico si pone quando si deve adottare la

ris
metodologia adeguata per mettere gli allievi in condizione di produrre nuove
tti
unità (secondary matter) a partire dai chunk di lingua memorizzati.
iri
Su queste basi si impongono due osservazioni: la centralità dell’item les-
id

sicale nella metodologia didattica, e dunque un ruolo non più privilegiato


ti

attribuito alla grammatica da un lato, dall’altro la necessità di adottare tecni-


ut

che didattiche e materiali finalizzati a creare negli allievi la competenza


.T

necessaria e la consapevolezza metalinguistica rispetto ai chunk lessicali.


re

Questi sono gli obiettivi fondamentali del Lexical Approach. In sostanza esso
ito

propone il superamento della visione dicotomica tra lessico e grammatica


ed

come entità separate della lingua, considerando quest’ultima in gran parte


ci

costituita da insiemi di parole che si organizzano fra loro attraverso i princi-


c

pi di coesione e coerenza dell’enunciato. Lewis individua quattro categorie


na

principali di chunk a partire dalle quali si costituiscono le unità lessicali di


Bo

ogni lingua.
©

Tipologie di chunk lessicali.


1. a) word (parola)
b) polyword (locuzioni composte da più di una parola)
2. collocation (collocazione)
3. institutionalised utterances (frasi istituzionalizzate)
4. sentence frames or heads (espressioni per strutturare il testo).

89
Come si può osservare le prime due categorie riguardano il significato
referenziale, mentre le altre due il significato pragmatico.

Le parole
Si tratta degli item lessicali tradizionalmente presenti nella consuetudine
didattica. Sono parole assunte come unità indipendenti. Cambiando tali
unità cambia il senso della frase, come nell’esempio seguente: “Scusa, mi pre-
steresti la matita/la penna/il disco/il libro ecc..”
È evidente che cambiando il lemma in funzione oggettiva il senso cambia.
In genere, quando si pensa all’insegnamento del lessico negli approcci tradi-
zionali si pensa all’insegnamento di queste singole parole. La competenza
lessicale coincideva dunque con la memorizzazione del maggior numero di

ti.
lemmi possibile.

va
Altre unità indipendenti sono, inoltre, parole singole come “basta, certo,

er
prego, volentieri ecc.”

ris
In questa prima tipologia rientrano anche locuzioni composte da più di
tti
una parola che possiedono un certo grado di idiomaticità, come ad esempio
iri
le espressioni “a proposito, d’altra parte, comunque sia, ad ogni modo, né
id

più né meno, ecc.”


ti

Si tratta di locuzioni polifunzionali fisse, composte da più parole, ma che


ut

possono essere considerate singole unità lessicali. Esse costituiscono espres-


.T

sioni fisse che possono svolgere diverse funzioni all’interno del discorso. Si
re

pensi a locuzioni avverbiali come “alla rinfusa” o “quasi quasi”, oppure a


ito

locuzioni preposizionali come “dal punto di vista di, a seconda di, in pro-
ed

porzione a”; oppure locuzioni con valore congiuntivo come “in modo che, di
tal sorta che ecc.” Si tratta spesso di espressioni e locuzioni che non sono di
c ci

facile identificazione da parte di chi apprende una lingua straniera, ma che


na

ricorrono con certa frequenza. In genere la didattica tradizionale, fortemen-


Bo

te orientata a presentare i fenomeni linguistici attraverso una spiegazione del-


l’insegnante basata su una regola prescrittiva desunta dalla grammatica nor-
©

mativa, non ha preso in considerazione in modo sistematico queste strutture


le quali, costituendo un unico item lessicale, possono essere facilmente
memorizzate dagli allievi.

Le collocazioni
La seconda tipologia indicata da Lewis è costituita dalle collocazioni. In
ogni lingua esse rappresentano co-occorrenze di alta frequenza che si
dispongono sul piano sintagmatico senza specifiche relazioni sintattiche. Si

90
tratta dunque di lemmi che ricorrono spesso insieme all’interno della catena
discorsiva e che si attraggono in modo particolare. Per esempio, l’aggettivo
castano si riferisce sempre al colore dei capelli e di conseguenza nella lingua
italiana si dice che una persona “ha i capelli castani”, ma mai che ha i capel-
li marroni. L’aggettivo rancido si riferisce con alta frequenza al sostantivo
burro, così come aspro a limone ecc. È da tener presente che le parole che
formano questa tipologia di co-occorrenze non si attraggono nello stesso
modo. L’aggettivo castano attrae con maggior forza il sostantivo capelli di
quanto non accada nel caso contrario, e lo stesso vale per gli altri esempi cita-
ti. Questo porta alla possibilità di individuare all’interno di una determinata
collocazione una “parola chiave” sulla quale essa si regge. Riflettere su que-
sto aspetto è molto importante perché porta da un lato a creare una certa

ti.
metacompetenza linguistica e dall’altro consente di apprendere allo stesso

va
tempo sia il lemma chiave che quello a lui strettamente correlato, creando

er
chunk che facilitano la memorizzazione ed in seguito il recupero nell’atto

ris
comunicativo. Di fatto, le collocazioni rappresentano un ostacolo rilevante
per l’apprendente. Esse si reggono su legami di tipo semantico spesso deter-
tti
iri
minato dal valore connotativo del significato; in altri casi possono essere
id

legami di tipo sintagmatico o pragmatico, più che altro determinati dall’uso.


Tali collocazioni sono patrimonio di una stessa comunità linguistica che ne
ti
ut

condivide il significato, ma possono essere differenti in altre lingue. Esse


.T

risultano dunque di difficile riconoscimento per l’allievo. Può accadere infat-


re

ti che si creino fenomeni di transfer negativo, in quanto l’apprendente è spes-


ito

so portato a riprodurre nella lingua target le co-occorrenze presenti nella sua


ed

lingua madre. Nel Lexical Approach le collocazioni assumono un ruolo


importante e di fatto l’insegnante dovrebbe far prendere coscienza della loro
ci

struttura all’interno della lingua, dedicando un certo tempo ad attività che


c
na

favoriscano la memorizzazione, in modo tale da poter essere assunte come


Bo

singole unità nelle reti semantiche della memoria.


©

Frasi istituzionalizzate
Rientrano in questa categoria tutti i chunk di uso pragmatico che appar-
tengono principalmente al codice orale e che vengono assunti come singole
unità. La lingua parlata è ricca di tali espressioni. Tali chunk possono essere
costituiti anche da intere frasi, identificabili all’interno di un determinato
contesto. Espressioni come “c’è una telefonata per te, apro io, non ha nien-
te a che fare con me”, sono espressioni che possiamo assumere come singo-
le unità all’interno di un discorso ed essere apprese come tali. In realtà, in

91
questa categoria rientrano molte formule e routine linguistiche che si utiliz-
zano molto spesso nella lingua e che pur avendo un certo grado di idiomati-
cità possiedono comunque un alto grado di trasparenza, a differenza ad
esempio dei modi di dire che per uno straniero possono essere difficili da
comprendere, in quanto spesso la somma dei significati che le compongono
non le rendono in nessun modo comprensibili se non se ne conosce il signi-
ficato traslato o metaforico che esse veicolano (si pensi ad espressioni come
“essere in gamba” e simili)
In questa tipologia rientrano anche espressioni come “se fossi in te, se
fossi al tuo posto, ecc.” Si tratta di espressioni molto frequenti nella comu-
nicazione che spesso però vengono insegnate quando si affronta il tema del
periodo ipotetico. Ancora una volta alcune strutture vengono insegnante

ti.
non in base alla loro frequenza d’uso, ma in base al grado di difficoltà gram-

va
maticale che esse implicano. Tradizionalmente sarebbe impensabile appren-

er
dere l’espressione “se fossi in te” se non dopo la spiegazione grammaticale

ris
del modo congiuntivo e condizionale e quindi della relazione tra modi e
tempi all’interno del periodo ipotetico. In realtà è possibile apprendere que-
tti
iri
sti chunk all’interno dei contesti in cui essi si presentano senza necessaria-
id

mente partire dalla spiegazione grammaticale. Si tratta di realizzare in pieno


quello spostamento di enfasi suggerito da Lewis. La spiegazione grammati-
ti
ut

cale avviene in un secondo momento e non può costituire la base dell’ap-


.T

prendimento che invece è di tipo lessicale:


re

“…those sentences that are fully institutionalised utterances can be learned


ito

and used as wholes, without analysis, thereby forming the basis, not the pro-
ed

duct, of grammatical competence” (Lewis, 1997, p. 259)


“quelle frasi che sono frasi completamente istituzionalizzate possono
ci

essere apprese e utilizzate come delle unità a se stanti, per cui costituiscono
c
na

la base, non il prodotto, della competenza grammaticale” (trad. it. del cura-
Bo

tore).
È evidente che focalizzare l’attenzione su questo tipo di routine e formule
©

linguistiche che si traducono in item lessicali costituiti da intere frasi gram-


maticalizzate, è in chiara antitesi con il tradizionale insegnamento del lessico,
soprattutto di matrice strutturalista, basata sull’atomizzazione della lingua.

Espressioni per strutturare il testo


Si tratta in sostanza delle forme istituzionalizzate che però rientrano nel
codice scritto della lingua e che sono estremamente utili per decodificare
testi di una certa lunghezza. Si tratta di espressioni come “in primo luogo…

92
in secondo luogo… infine”, oppure “passeremo ora ad analizzare una serie
di punti…”. Si tratta prevalentemente di espressioni che strutturano lunghi
passaggi scritti, ma possono essere presenti anche nella lingua parlata, se per
esempio ci troviamo nel campo del linguaggio accademico. Lo studio di que-
ste strutture dipende in gran parte dall’obiettivo che si propone il corso. Nel
caso di studenti stranieri che devono accedere a corsi accademici o a lingue
settoriali scientifico professionali, la conoscenza di questa tipologia di chunk
lessicali può essere di grande utilità, sia per codificare il discorso in fase ricet-
tiva, sia per organizzare la propria produzione scritta ed in alcuni casi orale.

L’apprendimento del lessico dovrebbe dunque focalizzarsi sulle quattro


tipologie descritte, tenendo presente che spostare l’enfasi più su una che sul-

ti.
l’altra dipende interamente dal tipo di corso e dall’obiettivo che esso si pone.

va
In The Natural Approach Krashen e Terrell (1983) sostengono che si

er
impara lingua attraverso input purché esso sia reso comprensibile.

ris
Comprendere un testo, e dunque comprenderne il contenuto, è la condizio-
ne necessaria per accedere alla sua struttura, cioè alla forma. Porre il lessico
tti
iri
al centro della metodologia didattica attribuendo alla grammatica un ruolo
id

importante, ma subalterno, crea di fatto le condizioni per realizzare quanto


sostenuto da Krashen e Terrell. Tuttavia, osserva Lewis (1997), è molto
ti
ut

importante creare consapevolezza metalinguistica; saper riconoscere i chunk


.T

lessicali di una lingua, conoscerne la loro struttura e formazione può essere


re

di molto aiuto. Si tratta di un processo di apprendimento consapevole che


ito

può favorire l’acquisizione linguistica. In questo senso la posizione di Lewis


ed

rispetto alla dicotomia acquisizione/apprendimento di Krashen è più sfuma-


ta, in quanto attribuisce all’apprendimento conscio e strutturato un ruolo
ci

più significativo di quanto non preveda l’approccio di Krashen.


c
na
Bo

2. La memoria a breve termine


©

Vediamo ora di descrivere brevemente le caratteristiche della memoria a


breve termine per trarne alcune implicazioni glottodidattiche utili per l’ap-
prendimento del lessico.
Le principali caratteristiche della memoria a breve termine sono:

a. Una capacità e durata limitate. Lo span di memoria


Questo significa che se non interviene una ulteriore elaborazione dell’in-
put, esso può essere rapidamente dimenticato, sia per interferenza, ossia per

93
l’arrivo di un input ulteriore, oppure per normale decadimento della traccia,
ossia a causa della caducità del ricordo che caratterizza questo tipo di memo-
ria (fino a 30 secondi). Inoltre, la sua capienza è piuttosto limitata. Numerose
ricerche confermano che la memoria a breve termine ha una capacità calco-
lata in 7 +/- due elementi. Tuttavia, è fondamentale tener presente che i sette
elementi che occupano lo span di memoria (ossia la sua capienza) non devo-
no essere considerati come singoli elementi discreti, assunti in modo isolato,
come singoli item che si sommano in modo additivo uno all’altro fino a riem-
pire lo spazio disponibile. Se così fosse, la capienza della memoria a breve
termine sarebbe veramente estremamente limitata. In realtà essa è in grado
di raggruppare gli elementi in entrata in unità superiori di significato o
chunk. Questa possibilità aumenta sensibilmente la sua capacità: è ovvio,

ti.
inoltre, che a maggior possibilità di chunking, corrisponde maggior disponi-

va
bilità di spazio per ulteriori item in entrata. Siamo allora in grado di ricorda-

er
re sette fonemi se assunti in modo isolato; come ad esempio la stringa e, a, i,

ris
o, m, r, m; ma se queste singole lettere assumono l’ordine che forma la paro-
la memoria, che viene riconosciuta dalla memoria lessicale come una parola
tti
iri
con significato del lessico italiano, allora essa diviene una singola unità che
id

occuperà nella memoria a breve termine un unico spazio. Le lettere dunque


si organizzano in parole, e le parole si organizzano in frasi di senso compiu-
ti
ut

to che attraverso il chunking occuperanno sempre meno spazio. In sostanza,


.T

la memoria a breve termine ha una limitata capacità di conservare dei chunk,


re

ma la quantità di informazione è in relazione alla possibilità di organizzare


ito

l’input in entrata. Dunque, la memorizzazione di enunciati non dipende


ed

tanto dal numero di parole che li compongono, ma piuttosto dalla struttura


morfosintattattica e semantica.
ci

Questa caratteristica della memoria a breve termine suggerisce un’osser-


c
na

vazione importante per l’insegnamento delle lingue straniere. Se infatti l’in-


Bo

segnante propone agli allievi liste di parole non collegate semanticamente fra
loro, e dunque non raggruppabili, i nostri allievi avranno grosse difficoltà ad
©

apprenderne più di un certo numero. È evidente che se non vi è possibilità


di attivare il chunking, l’acquisizione delle parole diviene lenta e difficoltosa,
con gravi conseguenze sull’atteggiamento con cui gli allievi affrontano l’ap-
prendimento.

b. Una codifica prevalentemente fonologica


La memoria a breve termine, o di lavoro come viene preferibilmente defi-
nita oggi, svolge un ruolo centrale in tutti i nostri processi cognitivi, inclusi

94
ovviamente tutti i processi coinvolti nell’apprendimento scolastico. Oltre alla
memorizzazione temporanea, la memoria a breve termine ha anche la fun-
zione di elaborare l’input in entrata in rapporto alle conoscenze acquisite e
depositate nella memoria semantica. Infatti, il sistema operativo a breve ter-
mine codifica a livello fonologico l’input lessicale, ma coopera all’elabora-
zione profonda dell’input con la memoria a lungo termine, che codifica
l’informazione a livello semantico. Questo è uno degli aspetti che maggior-
mente ci interessano per la nostra riflessione glottodidattica.
L’input lessicale in entrata viene riconosciuto come parola in base alla sua
forma ed alla codifica fonologica, tuttavia, il suo significato viene elaborato a
livello semantico e confrontato con il lessico mentale a livello astratto (i con-
cetti) nella memoria semantica. Ora, per un’acquisizione stabile nella memo-

ti.
ria a lungo termine, è fondamentale che vi sia codifica a livello semantico.

va
er
2.1 La profondità di codifica

ris
Diviene dunque importante stabilire come avvenga il passaggio del-
tti
l’informazione dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine. Un
iri
modello elaborato negli anni Sessanta (Atkinson e Shiffrin, 1968) ipotizza
id

che l’informazione elaborata temporaneamente dalla memoria a breve ter-


ti

mine venga trasferita attraverso la ripetizione (il rehearsal) nella memoria a


ut

lungo termine. Tuttavia, questo modello si basa su una visione strutturale che
.T

prevede un procedimento in fasi successive, in cui il trasferimento dalla


re

memoria a breve termine a quella a lungo termine è soprattutto in funzione


ito

del rehearsal, e dunque della sua permanenza nella memoria a breve termi-
ed

ne. In altre parole, più l’item permane nella memoria a breve termine e più
vi sono garanzie di un suo trasferimento nella memoria a lungo termine.
c ci

In seguito, Craick e Lockart (1972) hanno proposto un modello diverso


na

basato su una visione funzionale, avanzando l’ipotesi della profondità di codi-


Bo

fica. In questa prospettiva, i processi di elaborazione dell’informazione avven-


gono lungo un continuum, più che attraverso una serie di tappe discrete, e
©

sarebbero distribuiti secondo un percorso dai livelli più superficiali di codifi-


ca, caratterizzati dall’analisi dei tratti sensoriali e fisici, verso una elaborazio-
ne profonda dell’input a livello semantico ed a più alto grado associativo.
In base al principio della profondità di codifica la ripetizione dunque non
è più sufficiente a garantire il formarsi di una traccia stabile, ma il fattore
centrale diviene il livello della sua profondità di codifica. Un’elaborazione
più profonda dà origine ad un ricordo più stabile, perché più connesso a
livello semantico.

95
2.2 Ripasso di mantenimento e ripasso di elaborazione
Un secondo punto fondamentale del modello di Craik e Lockart riguar-
da il processo di conservazione dell’informazione. Se infatti l’acquisizione
profonda dipende dal livello di elaborazione, sarà solamente un ripasso ela-
borativo che ne consente una sua permanenza e non un ripasso di manteni-
mento, in cui il l’informazione viene riciclata senza ulteriore elaborazione.
Il primo consente l’accesso a livelli di elaborazione profonda rinforzando
le associazioni semantiche, mentre il secondo consente una sua permanenza
a breve termine durante il processo di conservazione.
In altri termini la ripetizione di mantenimento è un sistema di conserva-
zione, ma non presenta le caratteristiche dell’apprendimento.
In base a quanto detto si deve supporre che tanto più un certo compito

ti.
assegnato riguarda le caratteristiche semantiche dell’item, tanto più dovreb-

va
bero aumentare le possibilità di ritenzione.

er
Sembra dunque evidente che la traccia mnestica è un prodotto dell’anali-

ris
si percettiva, ma la sua permanenza ed il suo recupero dipendono dalla
profondità di analisi semantica. tti
iri
Da un punto di vista glottodidattico questo implica che tanto maggiore
id

sarà l’attenzione alle caratteristiche semantiche del materiale linguistico da


ti

apprendere, tanto maggiore e stabile sarà il suo apprendimento. Ciò si coniu-


ut

ga con l’assunto glottodidattico secondo il quale tanto più ci si concentra sul


.T

contenuto di un enunciato, tanto meglio se ne può comprendere la sua strut-


re

tura. Perché ciò avvenga diviene fondamentale assumere il testo come unità
ito

minima di significato. Solo nel testo sono infatti presenti tutti gli elementi lin-
ed

guistici ed extralinguistici che consentono i processi di inferenza e predicibi-


ci

lità necessari ad una comprensione profonda del significato.


c

Mentre il ripasso di mantenimento ha solo la funzione di attivare una rap-


na

presentazione già esistente in memoria, il ripasso elaborativo presiede dun-


Bo

que alla riorganizzazione del sapere.


©

3. Conclusioni
Da quanto detto finora emergono dunque alcuni punti di convergenza tra
la proposta metodologica del Lexical Approach e i processi della memoria.

a. L’ipotesi del chunking


Come abbiamo osservato il Lexical Approach pone al centro della meto-
dologia didattica i chunk lessicali. Ora, tali chunk sembrano essere perfetta-

96
mente coerenti con l’attività di chunking della memoria a breve termine.
Predisporre attività didattiche che favoriscano l’apprendimento di questo
tipo di unità lessicali rappresenta una metodologia ecologica in quanto
rispetta il normale funzionamento della memoria umana.

b. Lo span di memoria e la lunghezza dei chunk lessicali


Osserva Lewis:
“Several linguists who have studied and classified expressions have come to
the conclusion that they consist of between two and seven words and, most
interestingly, they do not normally exceed seven words […] Research on short
term memory bears out this limit, which remains speculative, on the length of
individual lexical items.” (1997, p. 33-34)

ti.
“Numerosi linguisti che hanno studiato e classificato espressioni sono

va
giunti alla conclusione che esse consistono di un numero di parole che va da

er
due a sette e, ancora più interessante, che esse normalmente non superano le

ris
sette parole [...]. Le ricerche sulla memoria a breve termine confermano que-
tti
sto limite della lunghezza dei singoli item lessicali, lunghezza che rimane spe-
iri
culativa. (Trad. it. del curatore).
id

È evidente dunque la relazione tra la struttura dei chunk lessicali e lo span


ti

della memoria a breve termine. Questo conferma la bontà di una metodolo-


ut

gia didattica basata sul Lexical Approach, in quanto i nuovi chunk che gli
.T

allievi formano a partire dalle unità lessicali già acquisite e memorizzate pos-
re

siedono una struttura linguistica perfettamente coerente con l’ampiezza


ito

dello span di memoria a breve termine e di conseguenza possono essere


ed

memorizzati in modo naturale.


c ci

c. La profondità di codifica, i livelli di elaborazione e il concetto di riflessione


na

sulla lingua
Bo

Nei punti-chiave posti in apertura di The Lexical Approach, Lewis sotto-


linea che:
©

“The Present-Practice-Produce paradigm is rejected, in favour of a paradigm


based on the Observe-Hypothesise-Experiment cycle.” (1993, p. vii).
“Il paradigma Esposizione-Pratica-Produzione è rinnegato a favore di un
paradigma basato sul ciclo Osservazione-Ipotesi-Sperimentazione”. (Trad. it.
del curatore).
Il primo paradigma enfatizza di fatto il ruolo del ripasso di mantenimen-
to, ma non di elaborazione. Si tratta della classica metodologia, tipica degli
approcci di matrice strutturalista, basata sulla formazione di nuove abitudi-

97
ni linguistiche attraverso la modalità stimolo/risposta/rinforzo desunto dal
condizionamento operante. Considerando il soggetto una mente passiva che
apprende attraverso la ripetizione, tale metodologia non favorisce di fatto
un’elaborazione dell’input a livello profondo, ossia semantico.
Negli anni Settanta, spostando l’interesse verso i processi cognitivi che
soggiacciono all’apprendimento e non solo ai prodotti, si pongono le basi per
un concetto portante della glottodidattica odierna: il concetto di riflessione
sulla lingua, come processo in grado di sviluppare non solo le capacità meta-
cognitive e di autonomia di apprendimento del discente, ma anche di favori-
re l’organizzazione delle conoscenze a livello della memoria semantica, pro-
prio attraverso un processo di progressiva profondità di codifica. Una meto-
dologia dunque basata sull’osservazione e la formulazione di ipotesi sul fun-

ti.
zionamento del sistema lingua consente da un lato una maggior facilità di

va
memorizzazione stabile dell’input, dall’altro rappresenta la strategia più ido-

er
nea per comprendere la formazione e la struttura dei chunk lessicali.

ris
riferimenti bibliografici
tti
iri
BADDELEY A. (1982), Your Memory. A User’s Guide, Londra, Multimedia.
id

Publications Ltd., trad. it. La memoria, Come funziona e come usarla, Bari,
ti

Laterza, 1993.
ut
.T

BADDELEY A. (1990), Human Memory, Theories and Practice, Hove,


Lawrence Eribaum Associates, tr. it. La memoria umana, Bologna, Il Mulino,
re

1992.
ito

BALBONI P.E. (1998), Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino,


ed

UTET Libreria.
ci

BETTONI C. (2001), Imparare un’altra lingua, Bari, Laterza.


c

CARDONA M. (2001), Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue.


na

Una prospettiva glottodidattica, Torino, UTET.


Bo

CARDONA M. (2000), “Memoria e lessico”, in Dolci, R., Celentin, P. (a cura


©

di), La formazione di base del docente di italiano per stranieri, Roma, Bonacci.
COLLINS COBUILD Dictionary (1987), London, Collins Publishers.
CORNOLDI C. (1986), Apprendimento e memoria nell’uomo, Torino, Utet.
CRAIK F. I. M. – LOCKHART, R. S. (1972), “Levels of Processing: A framework
for memory research”, in Journal of verbal learning and Verbal Behavior, 11,
pp. 671-684.
KRASHEN S., TERREL T. (1983), The Natural Approach: Language Acquisition
in the Classroom, Oxford, Oxford University Press.

98
LEWIS, M. (1993), The Lexical Approach, Hove, England, Language
Teaching Publication.
LEWIS M. (1997), Implementing the Lexical Approach, Hove, England,
Language Teaching Publication.
LEWIS M. (1997), “Pedagogical Implications of the lexical approach”, in
COADY J. – HUCKIN, T. (cur.) Second Language Vocabulary Acquisition,
Cambridge, Cambridge University Press.
MAZZOTTA P. (1996), Strategie di apprendimento linguistico e autonomia dello
studente, Bari, Adriatica.
NATION I. S. P. (2001), Learning Vocabulary in Another Language,
Cambridge, Cambridge University Press.
NATION I. S. P. – WARING, R. (1997), “Vocabulary Size,Text Coverage and

ti.
Word List”, in Schmitt, N. - McCarthy (cur.) Vocabulary: Description,

va
Acquisition and Pedagogy, Cambridge, Cambridge University Press.

er
NATTINGER J., DE CARRICO J. (1992), Lexical phrases in language teaching,

ris
Oxford, Oxford University Press.
WILKINS D. (1972), Linguistics in Language Teaching, London, Edward
tti
iri
Arnold.
id

WILLIS D., The Lexical Syllabus: A new Approach to Language Teaching,


London, Collins, ELT.
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

99
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
Parte terZa

iri
tti
metodi e teCniChe

ris
er
va
ti.
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
Capitolo 8
insegnare itaLiano aLL’estero:
Cenni Per Una gLottodidattiCa a misUra
di BamBino
Maria Cecilia Luise

Con “insegnamento dell’italiano come lingua straniera ai bambini”, ci si


riferisce in genere a studenti nell’età che copre più o meno la scuola prima-
ria: dai 4/5 anni agli 11 anni.
Anche se l’insegnamento precoce di una lingua straniera non è un’iniziati-

ti.
va recente, basti pensare allo studio di una lingua straniera impartito da pre-

va
cettori privati ai figli dell’aristocrazia o delle famiglie più benestanti nei seco-

er
li scorsi, è recente quello istituzionalizzato, quello impartito nelle scuole, che

ris
costituisce una delle materie del curricolo di un corso scolastico elementare.
Infatti l’insegnamento delle lingue straniere in età precoce è un terreno in
tti
questi anni molto vivo, molto fertile, estremamente ricco di spunti e di
iri
id
novità: non sono moltissimi anni che l’insegnamento delle lingue straniere ai
bambini ha assunto piena dignità, che è uscito dal campo delle sperimenta-
ti
ut

zioni per entrare a pieno titolo nella glottodidattica, sono pochi anni che
.T

hanno cominciato davvero a cedere le resistenze di chi vedeva la mente del


bambino non ancora pronta per un insegnamento di una lingua straniera che
re

non fosse informale (in famiglia o all’interno di una comunità), ma struttu-


ito

rato, scientifico, in molti casi istituzionalizzato.


ed

Ciò è dimostrato anche dal fatto che negli ultimi anni si stanno diffon-
ci

dendo sempre più gli insegnamenti di lingua straniera nelle scuole primarie
c
na

statali di vari paesi, primo fra tutti l’Italia, dove dal 1992 l’inglese, o il fran-
cese, o il tedesco, o lo spagnolo sono una delle materie curricolari della scuo-
Bo

la elementare statale.
©

È quindi sempre più una reale possibilità insegnare l’italiano LS a bam-


bini all’estero, ed è importante conoscere le principali linee della glottodi-
dattica di una LS per bambini.

1. diverse condizioni nelle quali si realizza l’insegnamento


dell’italiano a bambini
L’insegnamento dell’italiano come lingua straniera per i bambini può
assumere diverse modalità: vediamole brevemente.

103
Italiano come lingua straniera all’estero: qui ci si può trovare ad insegnare
italiano come lingua straniera (l’italiano è una delle possibili materie currico-
lari nelle scuole primarie statali di diversi paesi, quali per esempio la Scozia,
dal 1990 e la Francia, dal 1994), o come lingua etnica, cioè italiano insegna-
to a figli, nipoti o pronipoti di emigranti. In questa ultima situazione, il fatto
che nella maggior parte dei casi l’emigrazione italiana all’estero è ormai data-
ta e spesso si ha a che fare con famiglie che vivono all’estero da tre o quattro
generazioni, si assiste a due fenomeni: la difficoltà dei bambini a riconoscer-
si in un’identità italiana sempre più labile anche in famiglia; l’estrema diver-
sificazione nella conoscenza della lingua italiana che questi bambini portano
a scuola, che rende il confine tra italiano come lingua etnica e italiano come
lingua straniera molto sottile.

ti.
L’italiano ai bambini può essere insegnato in una situazione istituzionale,

va
quindi in scuole pubbliche, statali, o comunque riconosciute dalla

er
Amministrazione pubblica. All’estero si trovano per esempio scuole elemen-

ris
tari italiane e i cosiddetti “Corsi di lingua e cultura italiana”. L’italiano può
essere insegnato in situazioni che possiamo definire non istituzionali: scuole
tti
iri
private, corsi ad hoc, finanziati da Enti pubblici o da privati.
id

Quindi ci possono essere molteplici possibilità di insegnare italiano come


lingua straniera a bambini: diventa perciò importante compiere una rifles-
ti
ut

sione articolata sul tema.


.T
re

2. motivazioni per l’insegnamento precoce delle lingue


ito

Consideriamo più da vicino questo tipo di insegnamento; prima di tutto:


ed

perché insegnare una lingua straniera ai bambini?


ci

Ormai da più parti sono state riconosciute molteplici ragioni per comin-
c
na

ciare questo tipo di studio in età precoce1:


- motivazioni di carattere neurofisiologico: il cervello dei bambini fino a 10
Bo

anni è caratterizzato da una notevole plasticità, che si dimostra particolarmen-


©

te importante per esempio per l’acquisizione degli aspetti fonetici, di accento,


pronuncia e intonazione; la lateralizzazione degli emisferi cerebrali non è anco-
ra fissata: viene con ciò favorita e facilitata l’acquisizione linguistica;
- motivazioni di carattere psicologico: il bambino ha una diversa disposi-
zione verso l’apprendimento linguistico rispetto agli adulti: ha meno paura

1
In particolare Renzo Titone ha dimostrato in numerosi scritti i vantaggi del bilinguismo precoce (si
veda Titone, 1989 e il suo contributo in Balboni, (1999) (cur.), Educazione bilingue, Perugia, Guerra).

104
di sbagliare, ha meno inibizioni, è più disponibile a “mettersi in gioco”, ad
esporsi anche di fronte agli altri;
- motivazioni di carattere formativo: lo studio di una lingua straniera con-
tribuisce ad un più armonico sviluppo del bambino, in quanto: contribuisce
al suo sviluppo cognitivo offrendogli un diverso modello di organizzazione
delle conoscenze; gli fornisce un nuovo strumento di espressione e di comu-
nicazione; gli permette di sviluppare una competenza e una consapevolezza
culturale e interculturale, che sono alla base del superamento dell’etnocen-
trismo2.
Si può quindi concludere che l’insegnamento delle lingue straniere ai
bambini non solo è fattibile, ma è anche auspicabile: la sua attuazione impli-
ca solo l’uso di una didattica e di materiali adatti all’età dei discenti.

ti.
va
3. aspetti peculiari di una glottodidattica per bambini

er
ris
Sicuramente la glottodidattica rivolta a bambini si deve situare all’interno
di un approccio3 che:
tti
iri
- ruota intorno al concetto di comunicazione: ha quindi come principale
id

obiettivo il raggiungimento della competenza comunicativa4, ha un forte


impianto funzionale, considera la lingua e la cultura che essa veicola come un
ti
ut

tutto inscindibile;
.T

- mette al centro del processo educativo e didattico l’intera persona del


re

discente, nei suoi aspetti cognitivi, ma anche affettivi, fisici, emozionali, con
ito

una particolare attenzione per tutto ciò che può limitare i processi generato-
ed

ri d’ansia5.
ci

Questi principi, qui sommariamente descritti, ma che sono oggi i nuclei


c
na

fondanti di ogni glottodidattica, sia per bambini sia per discenti adulti, non
Bo

bastano a delineare le caratteristiche di una metodologia di insegnamento


precoce delle lingue straniere.
©

Isoleremo quindi nei paragrafi seguenti alcuni aspetti, alcuni principi,


2
Per un confronto con le caratteristiche del discente adulto si rimanda al saggio di C. Zamborlin in
questo testo.
3
Non è questa la sede per una trattazione approfondita del concetto di approccio glottodidattico,
né per una analisi diacronica dei principali approcci glottodidattici; per questi temi si rimanda al saggio di
M.C. Luise consultabile nel sito www.unive.it/progettoalias
4
La competenza comunicativa è intesa come la capacità di esprimersi usando una lingua in modo
corretto, appropriato al contesto di situazione, coerente con i significati culturali veicolati dalla lingua,
efficace, e quindi in grado di raggiungere gli scopi che il parlante si prefigge di raggiungere; per un
approfondimento del concetto di competenza comunicativa si veda Balboni (1994).
5
Sono questi principi alla base dei cosiddetti approcci umanistico-affettivi.

105
alcuni metodi didattici e glottodidattici che possono contribuire a delineare
una glottodidattica a misura di bambino.

3.1 La dimensione affettiva e formativa


Lavorare con i bambini significa avere un’attenzione particolare per la
dimensione affettiva, per i bisogni non solo comunicativi, per le caratteristi-
che di personalità degli allievi: l’approccio comunicativo, alla base della mag-
gior parte dei materiali e dei libri di testo disponibili per insegnare l’italiano
a bambini stranieri, ha una forte valenza strumentale, prevede un curricolo
steso in base ai bisogni reali, pratici, legati all’uso di una lingua straniera per
sopravvivere nel paese nel quale la si parla.
Questi sono bisogni che non hanno molto significato per un bambino che

ti.
deve studiare una lingua straniera, una lingua quindi che non viene usata nel-

va
l’ambiente nel quale lo studente vive come strumento di comunicazione,

er
ambiente dove invece nella maggior parte dei casi si usa la sua madrelingua;

ris
nello stesso tempo, un bambino non è in grado di proiettarsi nel futuro per
tti
vedere e prendere in considerazione futuri scenari della sua vita nei quali il
iri
possesso di quella lingua straniera è importante.
id

La valenza strumentale della lingua straniera va quindi ridimensionata


ti

quando si lavora con studenti molto giovani per fare spazio agli aspetti for-
ut

mativi e alla dimensione espressiva.


.T

Questo vale in modo particolare per lo studio dell’italiano come lingua


re

straniera, che, per lo più, non prevede fini strumentali o immediatamente uti-
ito

litaristici, è una lingua cosiddetta “inutile”6.


ed

3.2 La didattica ludica


c ci

Tutta la metodologia glottodidattica diretta ai bambini deve essere basa-


na

ta sul gioco.
Bo

Ciò non va inteso come l’identificazione del tempo della didattica con
©

svago e divertimento, con attività poco impegnative o con l’uso di giocattoli


e giochi strutturati, ma come la principale modalità attraverso la quale viene
presentato il materiale linguistico e viene fatta esercitare la lingua, attraverso
la quale il bambino può osservare, sperimentare, manipolare, impossessarsi
di una lingua.
Il gioco è infatti la modalità privilegiata attraverso la quale un bambino fa
esperienza del mondo: la metodologia ludica gli permette di affrontare in un

6
Per il concetto di italiano come lingua inutile, si veda Balboni (1994).

106
modo naturale e familiare lo studio di una lingua e di coinvolgere nel pro-
cesso di apprendimento tutte le sue capacità cognitive, affettive, sociali e sen-
somotorie.
La metodologia ludica permette di
- creare un contesto nel quale lavorare con una lingua per impararla sia
significativo, anche laddove non ci sono evidenti fini strumentali o utilitari-
stici per lo studio della lingua italiana, autentico, in quanto la realtà del gioco
può rendere autentico l’usare la lingua in contesti che non sono autentici,
come quello scolastico, e motivante, in quanto alimenta una motivazione di
tipo intrinseco, basata sul piacere;
- coinvolgere tutte le capacità e le abilità del bambino: un gioco non coin-
volge solo le capacità cognitive di un soggetto; anche le caratteristiche affet-

ti.
tive e di personalità, le capacità linguistiche, le abilità sensomotorie vengono

va
chiamate a collaborare. In questo modo il bambino è in grado di utilizzare

er
tutte le sue risorse per lo svolgimento del gioco, e quindi, nel nostro caso,

ris
nell’apprendimento di una lingua;
- “fare delle cose”: i giochi servono a “fare” nel senso più materiale del
tti
iri
termine. La dimensione della manipolazione, della costruzione, della realiz-
id

zazione pratica di un progetto, è una delle modalità privilegiate per percepi-


re, e quindi apprendere, per i bambini;
ti
ut

- vincere delle sfide: in tutti i giochi c’è la presenza del fattore sfida, infat-
.T

ti uno dei principali aspetti del divertimento che danno i giochi risiede nel
re

confrontarsi con altre persone o con un compito, nel mettersi di fronte ad


ito

una sfida; il gioco in contesto didattico deve e può attivare il piacere della
ed

sfida senza necessariamente stimolare sentimenti troppo forti, e spesso ansio-


geni, di competizione tra i bambini;
ci

- incoraggiare le interazioni tra pari: i giochi possono infine incoraggiare


c
na

le interazioni di cooperazione tra i bambini, non solo la competizione tra


Bo

bambini o tra gruppi di bambini: molti giochi possono essere usati per inse-
gnare ai bambini la cooperazione tra pari, la collaborazione, l’importanza del
©

supportarsi a vicenda.
Il capitolo relativo alla didattica ludica nell’insegnamento delle lingue è
complesso e ricco di risvolti: per ulteriori approfondimenti e per una tratta-
zione precisa di quali giochi sono utili in glottodidattica, si rimanda ai testi
citati in bibliografia di Freddi e di Caon, Rutka.

3.3 Il Total Physical Response


Nella comunicazione quotidiana l’ascolto è l’abilità che, in percentuale,

107
usiamo più spesso, con un’incidenza di circa il 45%; la comprensione orale
è alla base di una reale competenza linguistica.
Le abilità di comprensione orale hanno un ruolo privilegiato nell’inse-
gnamento di una lingua, soprattutto all’inizio del percorso di apprendimen-
to, anche alla luce di altre considerazioni.
Ogni persona, esposta ad una lingua nuova, inizia a comprenderla senza
essere ancora in grado, o senza essere ancora abbastanza sicura di sé, per par-
larla: è quindi in quella che si chiama “fase del silenzio”, attraverso la quale
si passa anche quando si impara la lingua materna e che ha una durata varia-
bile da persona a persona.
È un periodo importante non solo dal punto di vista psicologico, ma
anche da quello cognitivo: è infatti il periodo nel quale il soggetto è impe-

ti.
gnato ad identificare, nel flusso di suoni al quale è esposto, parole ed espres-

va
sioni, e a dare loro un significato: solo quando ha identificato, riconosciuto,

er
compreso e messo insieme una serie di espressioni potrà sintetizzarle in una

ris
produzione linguistica autonoma.
Rispettare la fase del silenzio, non richiedere innaturali, forzate e prema-
tti
iri
ture produzioni linguistiche significa rispettare i processi di apprendimento
id

del discente e non porre le condizioni per l’innalzamento del filtro affettivo,
per la perdita della motivazione, per l’instaurarsi di un sentimento di inade-
ti
ut

guatezza verso la lingua che si sta andando ad imparare, significa valorizzare


.T

i processi di comprensione, che tanta parte hanno in qualsiasi acquisizione


re

linguistica.
ito

Spesso invece gli insegnanti provano un senso di disagio verso la man-


ed

canza di feedback nella relazione con un parlante nella fase del silenzio, disa-
gio che va superato e aggirato con tecniche glottodidattiche specifiche, che
ci

permettono di lavorare attivamente con l’allievo, da una parte senza forzarlo


c
na

a produrre lingua, dall’altra educandolo ad essere un “buon ascoltatore”.


Bo

Un metodo glottodidattico che risulta essere molto utile per lo sviluppo


delle abilità di comprensione orale con allievi molto giovani va sotto il nome
©

di Total Physical Response, spesso abbreviato con T.P.R. e tradotto con


Risposta Fisica Totale.
Il T.P.R., infatti è un metodo che non richiede risposte verbali: è stato
ideato da J. Asher7, uno psicologo americano, negli anni ’60: partendo dalle
osservazioni fatte sui problemi di apprendimento dei bambini, Asher elabo-
ra un metodo glottodidattico che si rifà e al processo di acquisizione della lin-
gua materna: per lui l’apprendimento è un processo lento, basato principal-
mente su esperienze ricettive, facilmente bloccato da avvenimenti frustranti

108
e ansiogeni, che va basato sul coinvolgimento di tutte le modalità esperien-
ziali dell’individuo: audio-orali, affettive, motorie, visive.
Nel Total Physical Response l’allievo è al centro del processo di insegna-
mento, viene motivato, protetto dagli insuccessi e guidato all’autorealizza-
zione.
Il metodo è basato su un input verbale, fornito dal docente, costituito da
comandi ai quali gli studenti rispondono fisicamente, con comportamenti
non verbali, in pratica eseguendo i comandi dati: il fine è favorire le espe-
rienze ricettive di comprensione della lingua, non forzare gli allievi a produ-
zioni linguistiche se non sono ancora pronti a parlare, se sono ancora nel
periodo silenzioso, coinvolgere le abilità di espressione non verbali; nello
stesso tempo l’insegnante ha un feedback dell’avvenuta comprensione del

ti.
messaggio dato e si dà la possibilità agli studenti, quando si sentiranno pron-

va
ti, ad utilizzare la lingua per dare essi stessi comandi agli altri.

er
I comandi proposti vanno da semplici ordini del genere “apri la porta” a

ris
lunghe sequenze di azioni e comportamenti diversi e sono integrati da gesti,
disegni, oggetti, immagini: i comandi possono essere in sequenza, contenere
tti
iri
tempi verbali diversi, forme negative, sinonimi o contrari, espansioni più o
id

meno lunghe e complesse, per proporre un input linguistico ricco e variato.


ti
ut

3.4 La dimensione metacognitiva


.T

Riguardo al tema della riflessione linguistica e della dimensione metaco-


re

gnitiva gli insegnanti in genere prendono due posizioni antitetiche, qui di


ito

seguito semplificate.
ed

C’è chi da una parte non ritiene la mente del bambino pronta a compie-
re le operazioni mentali necessarie per riflettere sulla lingua e sui suoi mec-
c ci

canismi di funzionamento, dall’altra vede come unico obiettivo dell’insegna-


na

mento il comunicare con la lingua, privilegiando così solo gli aspetti stru-
Bo

mentali: in questa ottica non c’è posto per lo sviluppo delle competenze sul-
l’uso della lingua, ma solo per le competenze d’uso della lingua.
©

Altri insegnanti invece applicano la metodologia ben conosciuta e speri-


mentata nell’insegnamento della lingua materna anche quando si trovano ad
insegnare una lingua straniera: in questo modo vengono proposti ad allievi
stranieri che non hanno ancora una sufficiente e sviluppata competenza
comunicativa in lingua straniera percorsi di riflessione linguistica normal-

7
J.J. Asher, (1977), Learning Another Language Through Actions: the Complete Teacher’s Book, Sky
Oaks, Los Gatos.

109
mente affrontati da un allievo coetaneo madrelingua, che quindi ha alle spal-
le anni di esposizione e pratica linguistica e comunicativa con l’italiano; spes-
so poi questi percorsi vengono finalizzati ad insegnare la microlingua della
nomenclatura grammaticale, a dare precise etichette alle diverse parti del
discorso, limitandosi agli aspetti morfosintattici e lessicali.
Oggi invece è accertato che anche con i bambini non si può basare un
curricolo di lingua straniera solo sulle abilità di usa della lingua, ma che
vanno considerate anche quelle sull’uso della lingua: bisogna quindi muo-
vere verso una riflessione, guidata dall’insegnante, ma condotta dagli alunni,
sulla logica che regge il materiale linguistico presentato, materiale sul quale
si è fatto pratica e che è già stato assimilato come comportamento comuni-
cativo8.

ti.
Ciò è fondamentale soprattutto per:

va
- correggere le ipotesi errate che il bambino può essersi fatto circa i mec-

er
canismi ricorrenti di funzionamento della lingua: un bambino esposto ad una

ris
lingua si crea comunque delle ipotesi sul suo funzionamento, e si costruisce
una grammatica spontanea basata non solo sugli esempi di lingua straniera ai
tti
iri
quali è esposto, ma anche costruita attraverso processi di generalizzazione e
id

di transfer, di trasferimento di quanto ha già “regolarizzato”, scoperto della


sua lingua materna;
ti
ut

- fornire una griglia strutturante nella quale inserire le informazioni sem-


.T

pre più numerose e complesse che il bambino riceve sulla lingua straniera,
re

senza costringerlo ad affidarsi solo alla memoria;


ito

- dargli gli strumenti per iniziare a creare un meccanismo razionale, per


ed

quanto elementare, per controllare la lingua che viene prodotta: è la funzio-


ne di monitoring di Krashen.
ci

Tralasciando la grammatica prescrittiva, normativa, in favore di una rifles-


c
na

sione sulla lingua vista come codice e come strumento di comunicazione,


Bo

quando si insegna una lingua ai bambini il carattere di queste riflessioni lin-


guistiche dovrà essere:
©

- induttivo e concreto: è il bambino che, seguendo un processo di indu-


zione, scopre la regola, attraverso la manipolazione della lingua, attraverso
attività concrete, non attraverso esercizi sul libro o sul quaderno, ma per
esempio attraverso giochi con cartellini, o costruzioni di insiemi di parole;
- proposto sotto forma di gioco o di problema, in grado cioè di stimolare

8
Per una panoramica delle tecniche glottodidattiche per la riflessione linguistica si veda Balboni
(1998) e, per quanto riguarda la glottodidattica per bambini, il contributo di M.C. Luise “Metodologia
glottodidattica per bambini” in AA.VV. (2000).

110
il bambino ad applicare le sue capacità di osservazione in un contesto moti-
vante e stimolante.

3.5 L’interdisciplinarità
Il valore formativo dell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera a
studenti molto giovani si realizza anche attraverso la valorizzazione e la rea-
lizzazione sistematica di percorsi interdisciplinari: dato che non è possibile
che uno studente in età di scuola primaria o di scuola di base stia studiando
solo italiano come lingua straniera, non si può prescindere dal fatto che non
si può insegnare una lingua senza coordinare ed integrare la programmazio-
ne e la metodologia di tutti gli insegnanti che lavorano con gli stessi bambi-
ni, primi fra tutti gli insegnanti che si occupano di Educazione Linguistica9.

ti.
I criteri da individuare e da seguire per impostare un programma di inse-

va
gnamento interdisciplinare sono vari; di seguito se ne elencano cinque fra i

er
più comunemente applicati:

ris
- raccordo a livello di contenuti: si sceglie un tema, un argomento, e le
tti
varie materie del curricolo lo esplorano dal loro particolare punto di vista;
iri
- un secondo criterio opera invece a livello di epistemologia delle disci-
id

pline: i raccordi si basano su alcuni principi comuni che legano le materie tra
ti

loro, per esempio la stessa metodologia di indagine: è particolarmente facile


ut

usarlo per raccordare tra loro lingua materna e lingue straniere, in quanto la
.T

metodologia di indagine della scienza linguistica può essere applicata ad


re

un’analisi di più lingue;


ito

- un terzo criterio è più generale e riguarda il livello pedagogico: il rac-


ed

cordo si realizza tramite comuni finalità e obiettivi educativi fra le diverse


discipline;
c ci

- il quarto criterio riguarda il raccordo a livello didattico e consiste nello


na

stabilire un comune approccio metodologico d’insegnamento: è un criterio


Bo

fondamentale sopratutto quando si opera sulla riflessione linguistica in senso


contrastivo: si applica lo stesso approccio metodologico, la stessa terminolo-
©

gia, a due lingue per poterle confrontare e per poter generalizzare;


- il quinto criterio invece è di natura diversa rispetto agli altri, più legati
alla specificità delle discipline: a questo livello si opera evidenziando i pro-
cessi psicologici e cognitivi comuni che caratterizzano l’apprendimento, qua-

9
Si aggiunge solo che le indicazioni della Comunità Europea in materia di politica linguistica degli
stati membri prevedono che uno studente esca dalla scuola di base con il possesso di almeno due lingue
straniere: ecco allora che non è assolutamente pensabile che non ci siano collegamenti tra le lingue che si
stanno contemporaneamente studiando.

111
lunque sia la disciplina insegnata, e si propongono raccordi tra materie che
attivano gli stessi processi cognitivi: ecco allora che i processi cognitivi alla
base della comprensione orale, per esempio, sono gli stessi sia nella com-
prensione di un racconto in lingua materna, sia di un problema di matema-
tica, sia di un dialogo in lingua straniera; si può così decidere di lavorare
insieme, nello stesso momento, sulle stesse abilità10.

4. Un modello di Unità didattica per bambini


Spostandoci su un piano più pratico, più didattico, riprendiamo il classi-
co modello operativo dell’Unità Didattica11 nelle sue principali fasi: motiva-
zione, accostamento al testo, lavoro sul testo, controllo per vedere come esso

ti.
vada adattato, integrato da tecniche specifiche quando si ha a che fare con

va
discenti molto giovani. Naturalmente, il modello, qui proposto nella sua

er
forma più semplice e conosciuta dagli insegnanti per semplicità di esposizio-

ris
ne, verrà adattato, integrato, collegato ad altre unità in un progetto didattico
di carattere modulare12 da ogni insegnante sulla base delle esigenze di ogni
realtà scolastica. tti
iri
id

4.1 Prima fase di una U.D.: motivazione


ti
ut

Essendo la condizione indispensabile per ogni acquisizione, prerequisito


.T

fondamentale, la motivazione va continuamente stimolata e sostenuta,


re

soprattutto quando non ci sono immediate motivazioni strumentali o utilita-


ito

ristiche per imparare una lingua, come nel caso dell’italiano come lingua stra-
ed

niera.
ci

In genere, quando si lavora con bambini, ci si trova di fronte ad una forte


c
na

motivazione iniziale, sostenuta dalla naturale curiosità infantile: non bisogna


Bo

però fermarsi a qui, in quanto questa forma di motivazione rischia di sparire


alle prime difficoltà: ecco allora che essa va sostenuta e stimolata in modo
©

particolare all’inizio di una U.D., ma poi deve essere alimentata in tutte le sue
fasi, attraverso:
- una grandissima varietà di tecniche utilizzate durante le lezioni;
- il coinvolgimento totale dei bambini, di tutte le loro modalità sensoria-

10
Per un approfondimento del concetto di interdisciplinarità si rimanda a Balboni, Luise (1994).
11
Per ulteriori approfondimenti sul modello dell’Unità Didattica nell’insegnamento di una lingua
straniera per bambini, si rimanda a Freddi (1994).
12
Per il modello di modulo e di costruzione di un progetto didattico flessibile basato
sull’organizzazione reticolare di diverse Unità Didattiche, si veda Balboni (2002).

112
li, motorie, cognitive.
Per quanto riguarda la motivazione più specificamente legata all’inizio di
ogni U.D., si possono usare diverse tecniche che in genere durano pochi
minuti e possono essere svolte anche nella lingua materna dei bambini, fina-
lizzate a risvegliare la curiosità e l’attenzione degli allievi e fornire loro un
contesto che permetta di mettere in atto le strategie di anticipazione e previ-
sione, molto importanti nei processi di apprendimento e di comprensione
linguistica.

4.2 Seconda fase dell’U.D.: accostamento al testo (globalità)


È la prima fase di ogni apprendimento, che passa attraverso la percezio-
ne globale dell’evento e coinvolge principalmente l’emisfero destro del cer-

ti.
vello: essa prevede una successione di attività di ascolto e\o comprensione

va
scritta di un testo linguistico presentato nella sua interezza, ogni volta carat-

er
terizzata da un compito nuovo, da un nuovo elemento da comprendere; l’im-

ris
portante è segmentare il lavoro di comprensione globale in una serie di com-
piti semplici, alla portata dei bambini.
tti
iri
Cosa è importante quando si ha a che fare con i bambini:
id

- la fase della globalità va accentuata e prolungata, soprattutto nei suoi


ti

aspetti di comprensione del testo in lingua straniera; ci sono varie motiva-


ut

zioni: - in un curricolo di lingua straniera per bambini devono essere prese


.T

in considerazione tutte le 4 abilità linguistiche primarie: comprensione orale,


re

produzione orale, lettura e scrittura, ma devono essere fortemente gerar-


ito

chizzate: quelle orali hanno la precedenza su quelle scritte, quelle ricettive


ed

vengono prima di quelle produttive, in una sequenza ideale che diventa:


comprendere ➝ parlare ➝ leggere ➝ scrivere: quindi le attività per la com-
c ci

prensione sono le prime che vanno affrontate; -chiunque, messo di fronte ad


na

una lingua nuova, anche il bambino che impara la lingua materna, passa per
Bo

un periodo detto “fase del silenzio” (cfr. paragrafo 3.3); nei bambini questa
fase può durare molto a lungo, anche per interi mesi, nei quali vanno svilup-
©

pate e potenziate le abilità di comprensione del testo, accanto a semplici atti-


vità di ripetizione, che non implichino produzioni linguistiche autonome;
- i materiali e i contenuti da presentare devono essere selezionati accurata-
mente: vanno scelte le situazioni comunicative da presentare agli allievi, e il
registro linguistico: non ha senso insegnare ad un bambino di 6 anni come
comperare un biglietto aereo per Roma o proporre a bambini molto piccoli
ad un livello linguistico elementare forme del registro formale come l’uso del
“lei”; vanno invece presi in considerazione tutti quei tipi di testo che posso-

113
no essere vicini al mondo dei bambini, che rispondono alla funzione poeti-
co-immaginativa, espressiva, narrativa, creativa, che permettono di usare la
lingua per il puro piacere di usarla, per creare mondi fantastici, per giocare
con essa. Ecco allora le poesie e le filastrocche, per scoprire rime e assonan-
ze; le canzoni: quelle tradizionali, per esempio, veicolano anche aspetti cul-
turali, ma non solo: cantare in coro permette al bambino di usare e ripro-
durre la lingua in una situazione di gruppo non ansiogena; inoltre le canzo-
ni permettono di praticare una lingua straniera rispettando la velocità d’elo-
quio data dal ritmo musicale, e l’uso dei ritornelli permette di ripetere e fis-
sare in modo non noioso una struttura linguistica; ancora, in un curricolo di
lingua per bambini devono trovare un posto privilegiato le storie, le favole,
le fiabe, i testi narrativi; l’ascoltare storie fa parte del loro vissuto quotidiano:

ti.
attraverso le storie si può così dare un carattere di autenticità e realismo ad

va
una lingua che non sempre ha immediate funzioni utilitaristiche13.

er
ris
4.3 Terza fase dell’U.D.: lavoro sul testo (analisi, sintesi, riflessione)

tti
In questa fase si prevede un lavoro di analisi e successiva sintesi del mate-
iri
riale proposto attraverso attività che coinvolgono anche l’emisfero sinistro
id

del cervello; in genere si propongono esercizi per favorire la padronanza a


ti

livello comunicativo orale e\o scritto dei contenuti e delle forme linguistiche
ut

presentati.
.T

Le tecniche per favorire l’uso sempre più autonomo della lingua ruotano
re

con i bambini intorno a due assi principali: i giochi, dei quali abbiamo già
ito

parlato, e la drammatizzazione, in tutte le sue varianti e forme; molto utile è


ed

anche una diversa forma di drammatizzazione, cioè l’utilizzo di pupazzi o


marionette con i quali i bambini possono dialogare o ai quali possono pre-
c ci

stare la voce; questa tecnica è utilissima in quanto il pupazzo fa da filtro tra


na

alunno e lingua straniera, con conseguente diminuzione dell’ansia da presta-


Bo

zione.
Le tecniche sopra descritte sono per lo più legate alle abilità orali, ma va
©

sottolineato che non è certo corretto limitarsi solo a questa dimensione della
lingua, anche le abilità scritte devono rientrare in un curricolo di lingua stra-
niera per bambini: gerarchizzare le abilità non significa trascurarne alcune;
anche per le abilità scritte vale quanto già detto: gradualità nell’accostamen-
to, far precedere la lettura alla scrittura, avere un approccio:
- ludico, utilizzando tecniche quali per esempio i giochi di parole e i
13
Per l’uso didattico delle storie e delle fiabe pere l’insegnamento delle lingue ai bambini, si veda
anche M.C. Luise, “Favole e insegnamento delle lingue ai bambini”, in In.IT (2000), anno I, n. 1.

114
fumetti;
- comunicativo, organizzando per esempio una corrispondenza scritta
con altri bambini;
- pratico, proponendo per esempio attività di “ritaglia e incolla”, o di pre-
parazione di cartellini da attaccare agli oggetti.
In questa fase si ritrovano anche le attività di riflessione sulla lingua: come
detto nel paragrafo 3.4, il carattere di tutte queste riflessioni sarà induttivo e
concreto, saranno proposte sotto forma di gioco o di problema o di scoper-
ta, verrà stimolata la riflessione all’interno di gruppi di bambini ai quali l’in-
segnante fornisce solo una guida o un supporto.

4.4 Quarta fase dell’U.D.: controllo

ti.
Questa fase è finalizzata ad attività di controllo, recupero e rinforzo: qui

va
è particolarmente importante l’atteggiamento dell’insegnante nei confronti

er
dell’errore: laddove l’obiettivo principale è la competenza comunicativa, non

ris
solo quella linguistica, le produzioni degli alunni vanno valutate in base a tre
parametri principali:
tti
iri
- correttezza linguistica;
id

- efficacia rispetto allo scopo della comunicazione;


ti

- appropriatezza alla situazione comunicativa.


ut

Ecco allora che non ci si può concentrare solo sull’aspetto morfo-sintatti-


.T

co o fonologico, ma che si può anche valutare positivamente una produzio-


re

ne in parte non corretta, se sono garantite efficacia, appropriatezza e com-


ito

prensibilità del messaggio.


ed
ci

5. Conclusioni
c
na

Come si è visto sopra, l’insegnamento di una lingua straniera, in questo


Bo

caso dell’italiano, ad allievi molto giovani, ha delle motivazioni sia legate ad


aspetti sociali e culturali, sia delle motivazioni scientifiche, legate alla ricerca
©

psicologica e pedagogica.
Nello stesso tempo, si fa sempre più indispensabile affidare questo tipo di
insegnamento a docenti che abbiano una preparazione specifica nel campo
della glottodidattica precoce, in quanto non è sufficiente spostare ai bambi-
ni i principi e le tecniche utilizzate per insegnare lingue a studenti adulti.
Solo se si usano precisi accorgimenti e una glottodidattica specifica si pos-
sono mettere le basi affinché i bambini non solo imparino una o più lingue,
ma abbiano un più armonico sviluppo intellettuale e un atteggiamento posi-

115
tivo, basato sull’interesse e sulla curiosità, verso chi è diverso, per lingua o
per razza o per cultura, da loro.

riferimenti bibliografici
AA.VV. (2000), Alias, Torino,Theorema.
CAON F., RUTKA, S. (2002), “Metodologia ludica e lingua seconda”, in Luise,
M. C. (cur.), Italiano lingua seconda: fondamenti e metodi, Perugia, Guerra.
BALBONI P.E. (1994), Didattica dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci.
BALBONI P.E., LUISE M.C. (1994), Interdisciplinarità e continuità nella
Educazione linguistica, Roma, Armando editore.
BALBONI P. E. (1998), Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino,
UTET Libreria.

ti.
va
BALBONI P. E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-
plesse, Torino, UTET Libreria.

er
ris
FREDDI G. (1991), Azione, gioco, lingua. Fondamenti di una glottodidattica
per bambini, Padova, Liviana.
tti
FREDDI G. (1992), Il bambino e la lingua. Psicolinguistica e glottodidattica,
iri
Padova, Liviana.
id

FREDDI G. (1994), (cur.), La lingua straniera alle elementari, IRRSAE-Veneto.


ti

LUISE M.C. (2002), (cur.), Italiano lingua seconda: fondamenti e metodi,


ut
.T

Perugia, Guerra.
TITONE R. (1989), (cur.), On the bilingual person, Ottawa, Canadian Society
re

for Italian studies.


ito
ed
c ci
na
Bo
©

116
Capitolo 9
itaLiano Come Ls Per adULti:
Coordinate didattiChe di riferimento
Chiara Zamborlin

In questo capitolo rifletteremo su alcune variabili cognitive, psicologiche


e socio-culturali che intervengono nell’insegnamento dell’italiano come LS
ad apprendenti adulti. Considerato che non è possibile fornire coordinate
metodologiche applicabili indistintamente ad ogni situazione operativa, il
proposito fondamentale di questo contributo è di offrire alcuni punti di rife-
rimento generali che possano consentire di orientare l’attività didattica in

ti.
prospettiva andragogica.

va
er
ris
1. Una definizione del concetto di adulto: l’andragogia

tti
In glottodidattica lo status d’adulto è definito secondo tre parametri
iri
interdipendenti, ovvero dal punto di vista biologico, psicologico e socio-cul-
id

turale. In termini generali possiamo quindi ritenere adulta una persona che
ha superato la pubertà, che è capace di compiere scelte autonome e che pos-
ti
ut

siede, o è in grado di esercitare, un ruolo professionale (impiegato, operaio,


.T

ecc.) oppure un’occupazione (studente universitario, casalinga, ecc.). Un


re

tratto aggiuntivo che ci aiuta a definire meglio questa figura d’apprendente,


ito

è rappresentato dal fatto che ogni adulto è provvisto di un patrimonio di


ed

conoscenze enciclopediche che è molto importante riuscire a valorizzare ai


fini didattici (si pensi in particolare all’ambito dello studio microlinguistico).
ci

La descrizione fin qui tracciata, per quanto vaga, ci consente già di mettere
c
na

a fuoco il problema e di comprendere che l’insegnamento agli adulti richie-


Bo

de una programmazione basata su postulati psico-pedagogici diversi da quel-


li che regolano la didattica agli adolescenti o ai bambini.
©

Le condizioni in cui all’estero si realizza l’insegnamento della lingua ita-


liana ad adulti sono molto diversificate. Qui possiamo solo accennare che a
livello istituzionale corsi di lingua e letteratura italiana sono spesso offerti in
università, in accademie di Belle Arti e in conservatori musicali di molti paesi
d’Europa, dell’America Latina, in Nord America e in Australia. A partire
dagli anni ottanta lo studio dell’italiano ha guadagnato anche un rapido
incremento in Asia (soprattutto Giappone, Corea e Cina), dove l’utenza è
esclusivamente adulta. Al di fuori delle istituzioni accademiche, l’italiano nel

117
mondo è appreso da adulti negli Istituti Italiani di Cultura, in Enti finanziati
da organismi pubblici o privati e in istituti quali scuole di lingue o associa-
zioni culturali di vario genere. Indipendentemente dalle strutture e dal con-
testo geografico in cui ci si trovi ad operare, ai fini di un’adeguata progetta-
zione didattica è tuttavia importante tenere presente che all’estero gli adulti
si accostano allo studio dell’italiano motivati da interessi e bisogni spesso
molto differenziati. L’italiano può, ad esempio, essere appreso per il sempli-
ce piacere di conoscere una nuova lingua e una nuova cultura, per interessi
legati al campo di studio, per ragioni affettive (es. l’italiano come lingua etni-
ca), per esigenze professionali, ecc.
Per quanto non sia possibile fornire indicazioni operative applicabili ad
ogni situazione, nell’ambito di cui trattiamo possiamo individuare per lo

ti.
meno un punto di riferimento stabile nell’approccio didattico da seguire. Ci

va
riferiamo all’andragogia, termine usato dallo psicologo Malcolm Knowles per

er
designare la teoria dell’apprendimento negli adulti, che si differenzia dalla

ris
pedagogia, ovvero l’arte di educare i fanciulli1. Per una didattica linguistica
condotta secondo principi umanistico-affettivi appare adeguato mantenere
tti
iri
un distinguo tra queste due scienze dell’educazione. Pertanto, in classi d’a-
id

dulti, un accorgimento da seguire sarà quello di evitare un approccio “peda-


gogico” nel senso etimologico, vale a dire basato su attività che di norma fun-
ti
ut

zionano nell’insegnamento precoce, ma che possono dimostrarsi inadatte, o


.T

essere addirittura poco gradite, ad allievi che non sono più bambini o ragaz-
re

zi molto giovani. È inoltre importante ridefinire in senso andragogico anche


ito

il rapporto tra allievo e docente, dal momento che insegnare agli adulti signi-
ed

fica interagire con individui per i quali l’apprendimento di una lingua stra-
niera può costituire un impegno abbastanza faticoso e che, soprattutto, non
ci

sono sempre disposti a mettere in discussione, oltre un certo limite, la pro-


c
na

pria visione del mondo. È quindi indispensabile che il rapporto tra inse-
Bo

gnante e apprendente assuma la configurazione e la dinamica di una relazio-


ne tra pari. Quest’ultima nota di cautela, come discuteremo, riguarda non
©

solo il modo di affrontare gli argomenti di carattere morfosintattico, ma


soprattutto quelli di natura socio-culturale.

1
“Andragogia” deriva dal greco anèr-andròs (uomo) + ágein (condurre). La radice etimologica è la
stessa per “pedagogia” (da pais-paidòs = bambino). Per un approfondimento sul tema si rimanda in
particolare a Demetrio (1990; 1995) e a Knowles (1997).

118
2. Variabili associate alla didattica dell’italiano come Ls agli adulti
I fattori coinvolti nell’apprendimento di una lingua straniera sono molte-
plici. È dunque impossibile pensare di offrirne una tassonomia esauriente.
Di seguito discutiamo in prospettiva andragogica alcune variabili che inter-
vengono nella didattica dell’italiano come LS, classificandole su tre piani cor-
relati: cognitivo, psicologico e socio-culturale. Naturalmente non dobbiamo
dimenticare che la situazione in cui ogni insegnante si troverà ad operare pre-
senterà sempre caratteristiche d’unicità, di conseguenza le riflessioni che
proponiamo non costituiscono altro che un percorso orientativo strutturato
in una griglia di punti di riferimento molto generali.

2.1 Fattori cognitivi

ti.
va
Da un punto di vista cognitivo, l’insegnamento di una lingua straniera a

er
adulti presuppone che si tengano presente alcune considerazioni di caratte-

ris
re neurologico. A partire da Lennemberg (1967) molte ricerche in questo
campo hanno permesso di comprendere che con il raggiungimento della
tti
pubertà il cervello umano completa la lateralizzazione, assegnando certe fun-
iri
id
zioni cognitive all’uno o all’altro dei due emisferi. Dato che le operazioni lin-
guistiche sembrano essere controllate in gran parte dall’emisfero sinistro –
ti
ut

per quanto oggi sappiamo che anche l’emisfero destro interviene in modo
.T

rilevante nelle funzioni del linguaggio2 – fino a tempi non lontani si riteneva
che il superamento della pubertà segnasse un punto di non ritorno per la
re

possibilità di apprendere con successo le LS. Il che significava postulare l’e-


ito

sistenza di un periodo critico anche per l’acquisizione di una lingua che non
ed

fosse quella materna3. La questione, in realtà, appare molto più complessa di


ci

quanto si sospettasse e allo stato attuale sembra più adeguato parlare non di
c
na

periodo critico ma di periodo sensibile. La distinzione è importante dal


momento che la prima ipotesi interpreta le potenzialità di successo nell’ap-
Bo

prendimento di una LS come limitate ad un solo periodo della vita, mentre


©

la seconda considera l’infanzia come il periodo in cui l’apprendimento è sem-


plicemente più agevolato (Ellis, 1994: 493).
Non è in ogni caso indispensabile possedere nozioni di neurolinguistica
per capire che gli adulti, tanto in ambienti di LS quanto di L2, imparano

2
Ad esempio nella comprensione degli elementi creativi della comunicazione linguistica, come le
metafore, l’ironia, l’umorismo, ecc.
3
La nozione di periodo critico è usata normalmente a proposito dell’apprendimento della LM e si
riferisce all’infanzia, “il periodo in cui è possibile sviluppare il linguaggio anche in seguito ad un danno ai
centri linguistici” (Danesi, 1988: 113).

119
facendo più fatica dei bambini. Rispetto ai giovani in età prepuberale gli
adulti sono indubbiamente avvantaggiati in partenza, da un punto di vista
quantitativo, e specialmente nell’apprendimento delle regole grammaticali,
ma in un secondo tempo sono sempre superati dai bambini o dai ragazzi (a
patto che ricevano un’adeguata esposizione alla lingua d’arrivo, cfr. Scovel,
1999: 284). Solo i bambini inoltre sono normalmente in grado di acquisire la
pronuncia di una seconda lingua ai livelli dei madrelingua, e questo può esse-
re spiegato con argomentazioni di carattere psicomotorio che sosterrebbero
l’ipotesi di un periodo critico ma relazionato, più che alla lateralizzazione,
alla plasticità del sistema neuromuscolare infantile che consente di usare con
agilità i muscoli dell’apparato articolatorio (Brown, 1994: 53). Le potenzia-
lità d’apprendimento di morfologia e sintassi a livelli nativi, o quasi nativi,

ti.
sembrano infine diminuire sensibilmente dopo i quindici anni, mentre si

va
ritiene che il lessico possa essere agevolmente appreso a qualsiasi età4.

er
Bisogna però tener presente che nelle persone anziane si assiste spesso ad

ris
una diminuzione della memoria dichiarativa (la capacità di ricordare nomi,
date, fatti, ecc.), anche se la perdita può essere relativamente minima in con-
tti
iri
dizioni di buona salute (Scovel, 1999: 248).
id

Gli adulti, nondimeno, possono fruire di preziose risorse, come la capa-


cità d’astrazione e di sistematizzazione delle conoscenze – di cui i bambini
ti
ut

non sono ancora in condizioni di avvalersi – che consentono all’apprenden-


.T

te di oltrepassare la dimensione dell’esperienza concreta e della percezione


re

diretta (Brown, 1994: 57). A questo riguardo già alcuni decenni fa Ausubel
ito

(1964) faceva notare che nell’apprendimento linguistico le spiegazioni gram-


ed

maticali esplicite e i ragionamenti deduttivi sono indispensabili agli adulti,


mentre in gran parte dei casi si dimostrerebbero inutili o addirittura svan-
ci

taggiosi nell’insegnamento precoce. Varie esperienze che abbiamo raccolto


c
na

ascoltando insegnanti d’italiano che operano dall’Asia al continente ameri-


Bo

cano, dal nord Europa al nord Africa, confermano quest’osservazione.


Infatti, indipendentemente dalla distanza effettiva tra italiano e LM, e dalle
©

diverse abitudini d’apprendimento, gli adulti – e già in larga misura gli ado-
lescenti – sollecitano costantemente riflessioni esplicite sui meccanismi di
funzionamento della lingua straniera. Disattendere queste esigenze metalin-
guistiche sarebbe certamente sbagliato, dal momento che derivano da un

4
Anche sotto quest’aspetto siamo tuttavia lontani dal poter fare affidamento su dati certi. Ellis (1994:
492) ad esempio puntualizza che, con l’assistenza di un intervento istruttivo adeguato, agli adulti non è
affatto preclusa la possibilità di acquisire una pronuncia nativa in una LS/L2, e ricorda che, in una
qualsiasi lingua target, molti adulti riescono a raggiungere livelli di competenza grammaticale d’estrema
accuratezza.

120
bisogno di contare su regole generali di riferimento, e tale bisogno costitui-
sce un attributo peculiare della mente adulta (cfr. Brugé, in questo volume).
Un altro elemento che contraddistingue la didattica andragogica da quel-
la precoce, riguarda il fatto che gli adulti mostrano di possedere degli stili
d’apprendimento abbastanza definiti. Con il termine “stile” ci riferiamo qui
ad una tendenza cognitiva, quindi ad un fattore interno, che riguarda il
modo in cui si apprende e che varia da individuo a individuo. Ci sono ad
esempio persone portate all’uso della memoria visiva, mentre altre sono più
inclini a riflettere e ad analizzare. Alcune persone mostrano un livello di tol-
leranza dell’ambiguità molto elevato (che consente loro di adattarsi a conte-
sti comunicativi opachi e di sostenere una conversazione in LS senza preten-
dere di capire tutto), quando altre non riescono affatto a tollerarla. Gli stili

ti.
d’apprendimento identificati e studiati dagli psicologi della cognizione sono

va
molteplici e fornirne un inventario esulerebbe dall’ambito di questo lavoro.

er
Per quanto riguarda lo studio delle LS, ricordiamo solo che sono spesso por-

ris
tati ad esempio due paradigmi: quello di “indipendenza” e quello di “dipen-
denza dal campo”. Il primo concetto definisce l’abilità di percepire partico-
tti
iri
lari rilevanti isolandoli dall’insieme (ovvero dal “campo”, che nel nostro caso
id

può essere tanto un testo quanto o una situazione comunicativa). Il secondo


indica invece la tendenza a percepire e ad assimilare le informazioni conte-
ti
ut

stualmente, senza elaborarle in modo analitico e sequenziale. È stato rileva-


.T

to che nella cultura occidentale gli uomini tendono ad essere più “indipen-
re

denti dal campo” rispetto alle donne, ma che nelle società agrarie o autorita-
ito

rie prevalgono in media gli individui del secondo tipo5. Anche se crediamo
ed

che queste generalizzazioni non debbano essere interpretate come degli


schemi preconfezionati entro cui inquadrare i nostri allievi, dobbiamo
ci

comunque considerare che le differenze negli stili d’apprendimento sono un


c
na

fatto accertato, che non ne esiste uno preferibile ad un altro e che ogni stile
Bo

dovrebbe essere valorizzato o, quantomeno, assecondato.


©

2.2 Fattori psicologici


Alcuni allievi apprendono rapidamente mentre altri, in varia misura, pos-
5
Come spiega Brown, (1994: 106) il motivo sembra strettamente connesso al tipo di sistema
educativo in cui un individuo cresce. Nelle società capitalistiche, industrializzate e altamente competitive,
l’educazione si fonda, ad esempio, su modelli che favoriscono l’indipendenza anche sotto l’aspetto
cognitivo. Non dobbiamo inoltre dimenticare che nella cultura occidentale il mondo dell’educazione
tende a valutare positivamente la capacità di analizzare e di spiegare dettagli, specialmente in ambito
scientifico. Anche a livello affettivo le persone “indipendenti dal campo” tenderebbero all’autonomia e
allo sviluppo della fiducia in se stessi, mentre gli individui “dipendenti” sarebbero più inclini a socializzare
e a percepire i sentimenti degli altri. Nella seconda categoria sono fatti rientrare anche i bambini.

121
sono incontrare delle difficoltà. La predisposizione naturale all’acquisizione
delle LS è un fattore interno all’individuo, probabilmente immutabile, quin-
di innato e quasi certamente indipendente dall’intelligenza (cfr. Carroll,
1981; Skehan 1990). Tra i fattori variabili che caratterizzano la personalità di
un adulto, e che possono determinare il successo o l’insuccesso nell’appren-
dimento, sono invece solitamente elencati tratti caratteriali quali l’introver-
sione, l’estroversione e la predisposizione all’ansia. Si tratta di fattori che in
una classe di LS dovrebbero essere considerati con attenzione, al fine di
gestire nel miglior modo possibile l’interazione del gruppo e calibrare la
distribuzione delle attività. In tal senso sarà quindi consigliabile incoraggia-
re tutti gli allievi a prendere la parola o a contribuire con le proprie risposte
alle risoluzioni dei vari task, facendo però attenzione a non forzare chi appa-

ti.
re esitante o chi sembra non accettare di buon grado la possibilità di sba-

va
gliare di fronte agli altri. A differenza dei bambini, infatti, gli adulti possono

er
essere molto sensibili alla propria immagine e al rischio di perdere la faccia,

ris
cui si trovano particolarmente esposti nei giochi di ruolo o nelle drammatiz-
zazioni. Nelle attività di coppia o di gruppo sarà inoltre opportuno invitare
tti
iri
chi appare fiducioso a lavorare con chi si mostra insicuro e, richiamandoci ai
id

principi del cooperative learning, sarà importante far presente che tutti, seb-
bene in diversa proporzione, possono essere utili agli altri, se non altro per il
ti
ut

patrimonio di conoscenze enciclopediche cui gli adulti, all’occorrenza, sono


.T

sempre in grado di attingere.


re

Un’altra variabile psicologica degna di menzione è rappresentata dalle


ito

credenze riguardanti il modo di imparare. Gli adulti, diversamente dai bam-


ed

bini, hanno una spiccata consapevolezza glottomatetica che può manifestar-


si in una vasta gamma di varianti e spaziare dalle convinzioni concernenti il
ci

metodo, a quelle sullo stile didattico dell’insegnante, dal feedback che si rice-
c
na

ve nella correzione degli errori, alle abitudini d’apprendimento che ognuno


Bo

porta con sé. Le differenze di punti di vista riguardo a come imparare e a


cosa imparare riflettono naturalmente le esperienze di studio passate e sono
©

intimamente congiunte agli stili cognitivi e alla personalità d’ogni appren-


dente. Va anche osservato che il retroterra culturale pedagogico da cui gli
allievi provengono può inibire o incoraggiare determinati atteggiamenti e
convinzioni. Riteniamo altresì importante far notare che, per quanto tali
punti di vista possano essere in contrasto con la filosofia glottodidattica di
chi insegna, il tentativo di eradicarli o di modificarli all’improvviso potrebbe
dimostrarsi controproducente. Confrontiamo, a titolo d’esempio, due diver-
si territori operativi. Negli USA, dove fino a pochi anni fa il Natural

122
Approach aveva un consenso molto ampio e dove gli studenti sono, per tra-
dizione, abituati a metodi come la TPR, il Silent Way, o a tecniche di didat-
tica ludica, gli approcci diretti non trovano comunemente resistenza tra gli
adulti. Tuttavia, con allievi provenienti da un sistema educativo che privile-
gia uno studio normativo e strutturalista (com’è il caso di molti paesi asiati-
ci), non sarà evidentemente indicato adottare – almeno non fin dal primo
giorno – un percorso all’americana. Sarà casomai più prudente fare riferi-
mento a coordinate teoriche generalmente applicabili, conducendo gli allie-
vi a comprendere che nell’apprendimento di una seconda lingua il cervello
funziona in forma bimodale6, e invitandoli a studiare sì la grammatica ma
attraverso una riflessione sulla lingua a spirale (cfr. Balboni, 1998: 104), con-
dotta sempre dall’implicito all’esplicito (non viceversa) e supportata da atti-

ti.
vità sullo sviluppo delle abilità che quella tipologia d’allievo sente la neces-

va
sità di potenziare.

er
Tra le variabili psicologiche di questa griglia includiamo la motivazione

ris
che, com’è noto, rappresenta una condizione vincolante per l’apprendimen-
to. Gli studi sul tema sono numerosissimi e numerose sono state le defini-
tti
iri
zioni proposte per cercare di spiegare i meccanismi che stimolano e sosten-
id

gono una persona nello studio di un’altra lingua. Tra le etichette classiche
ricordiamo quelle di integrativa e di strumentale, che si riferiscono alla natu-
ti
ut

ra della motivazione. Motivazione integrativa potrebbe, ad esempio, essere


.T

quella di chi nel proprio paese studia l’italiano perché intenzionato a trasfe-
re

rirsi in Italia (anche temporaneamente) e ad integrarsi nella sua società. La


ito

motivazione strumentale è originata invece dalla necessità di usare l’italiano


ed

per scopi “utilitaristici”: pensiamo, ad esempio, ai tanti cantanti lirici stra-


nieri ai quali una corretta dizione italiana serve per esigenze di lavoro. Il
ci

binomio motivazione intrinseca-estrinseca descrive ulteriori meccanismi. Nel


c
na

primo caso la motivazione appare generata da un desiderio interno che si


Bo

rileva tra chi studia la nostra lingua per ragioni culturali (ad esempio turisti
appassionati delle bellezze artistiche dell’Italia) o per cause affettive (come
©

nel caso dei discendenti d’italiani, soprattutto in America Latina). La moti-


vazione estrinseca, al contrario, è quella indotta da appagamenti materiali e
può essere riscontrata, per esempio, nei dipendenti di un’azienda che
apprendono l’italiano in vista di un trasferimento di lavoro, o tra studenti

6
Se riconosciamo la validità del principio di bimodalità l’osservazione vale, ovviamente, anche per i
metodi diretti e soprattutto per il Natural Approach. Se, infatti, il metodo grammatico-traduttivo risulta in
ogni caso innaturale, dal momento che avvantaggia l’uso esclusivo dell’emisfero cerebrale sinistro, nella
didattica agli adulti il Natural Approach è inadeguato in senso opposto, poiché sbilanciato verso un uso
quasi esclusivo dell’emisfero destro (cfr. Danesi, 1988).

123
universitari che scelgono un corso di letteratura italiana come requisito di
seconda o terza lingua straniera per ottenere un credito. Un’altra opposizio-
ne è infine quella di motivazione causativa e risultativa. Le due categorie anti-
tetiche interpretano la motivazione rispettivamente come un fattore psicolo-
gico che esercita un effetto sull’apprendimento, e come una variabile influen-
zata dal livello di successo. Ancora una volta precisiamo che queste classifi-
cazioni sono indicative e non sono mai a tenuta stagna. È infatti chiaro che
le varie categorie possono fondersi o intersecarsi tra loro. In ogni caso è
importante tener presente che la motivazione in un adulto costituisce un fat-
tore complesso, mutabile nel tempo e influenzabile, in senso positivo o nega-
tivo, da cause sia interne che esterne.
Un ultimo elemento che ci sembra opportuno menzionare riguarda il fat-

ti.
tore psicotipologico. La nozione di “psicotipologia” è stata proposta da

va
Kellerman (1977)7 per indicare il modo in cui gli apprendenti percepiscono

er
la distanza tra la LM e la lingua d’arrivo. Da un punto di vista strettamente

ris
linguistico, la distanza tra le lingue è comparativamente descritta assegnando
ogni lingua al tipo che le corrisponde: ad esempio, a livello morfologico, una
tti
iri
lingua può appartenere al tipo agglutinante (es. il turco), isolante (es. il viet-
id

namita), flessivo (es. le lingue indoeuropee), ecc.8 Ai fini glottodidattici tut-


tavia, è interessante non solo stabilire la distanza effettiva tra italiano e LM
ti
ut

ma anche capire come gli allievi avvertano psicologicamente tale distanza. In


.T

una lunga serie di ricerche, Kellerman ha fornito prove abbastanza convin-


re

centi che gli apprendenti adulti di una LS hanno una percezione innata rela-
ito

tiva al funzionamento del proprio sistema linguistico, la quale consente loro


ed

di riconoscere determinate strutture della lingua materna come potenzial-


mente trasferibili nella lingua d’arrivo e altre come non trasferibili. Sarebbe
ci

dunque questa capacità percettiva innata, e non il grado di vicinanza-lonta-


c
na

nanza effettivo tra le lingue, a favorire o ad inibire i transfer9. Tale percezio-


Bo

ne inoltre non è fissa e immutabile ma rielaborabile man mano che l’allievo


acquista un maggior livello di competenza nella lingua target. Attraverso
©

scambi d’idee con docenti che insegnano italiano in paesi di lingua romanza,

7
Gli studi sui transfer di Kellerman sono collegati a quelli sulla marcatezza differenziale di Eckman
(1977).
8
Attribuire una lingua a un determinato tipo è comunque un’operazione astratta che prende voluta-
mente in considerazione la maggiore o minore presenza di alcuni tratti anziché di altri. In realtà in ogni lin-
gua si riscontra molto spesso la compresenza di elementi assegnabili all’una o all’altra categoria tipologica
(cfr. Beccaria, 1994: 306). Anche da questo punto di vista quindi, le classificazioni non sono mai ermetiche.
9
Il termine transfer è abbastanza generico e include diversi tipi d’influenze esercitate sulla lingua
d’arrivo dalla LM o da altre lingue straniere che l’allievo può avere appreso in precedenza. Lo studio dei
transfer include l’analisi degli errori (transfer negativi), delle facilitazioni (transfer positivi), e quello
dell’elusione oppure dell’uso sovraesteso o indiscriminato di determinate strutture.

124
abbiamo avuto un’interessante conferma di questo mutamento di percezio-
ne. In quei casi, ad esempio, gli allievi percepiscono inizialmente l’italiano
come una lingua “facile” perché molto vicina alla lingua materna ma, pro-
gredendo nello studio, modificano regolarmente la loro impressione.
A questo punto ci sembra pertinente anche un collegamento tra fattore
tipologico, psicotipologico e materiali didattici. Molti insegnanti all’estero si
rendono presto conto che un qualsiasi testo d’italiano per stranieri non è uti-
lizzabile allo stesso modo in ogni parte del mondo. La situazione può essere
ulteriormente complicata dal fatto che in molti paesi è ancora abbastanza dif-
ficile poter contare su testi d’italiano (realizzati per soddisfare i bisogni di
quel particolare tipo d’apprendenti) che si possano considerare qualitativa-
mente validi. In tali circostanze l’insegnante si troverà a svolgere un attento

ti.
lavoro di didattizzazione del materiale disponibile, oppure dovrà dedicarsi

va
alla produzione di materiale che si adatti, innanzi tutto, alla distanza effetti-

er
va tra italiano e LM. Per graduare gli argomenti grammaticali sarebbe inol-

ris
tre importante riuscire a sfruttare quel “senso della lingua” che gli allievi pos-
seggono e le conoscenze su cui sono in grado di fare affidamento10, cercando
tti
iri
di individuare quei punti che consentono di trasferire nella lingua d’arrivo
id

strutture della LM, oppure dando sempre una priorità a quegli elementi che
sono percepiti senza ambiguità come psicologicamente meno distanti.
ti
ut
.T

2.3 Fattori socio-culturali


re

Nelle sezioni precedenti ci siamo soffermati su aspetti di carattere neuro


ito

e psico-linguistico, portando l’attenzione solo su una faccia della competen-


ed

za comunicativa11: la competenza linguistica. È tuttavia chiaro che, soprat-


tutto in ambiti di LS in cui le occasioni d’esposizione alla lingua target pos-
c ci

sono essere molto limitate, sul piano comunicativo gli allievi adulti potranno
na

arrivare ad appropriarsi del lessico e della grammatica della LS ma conser-


Bo

veranno i propri codici extralinguistici (gestualità, distanza interpersonale,


ecc.) e, a livello concettuale, continueranno a ragionare secondo i parametri
©

speculativi della loro cultura (cfr. Balboni, 1999a). Indipendentemente dal


fatto che non sia stato ancora accertato se esista una connessione tra compe-
tenza linguistica e abilità cognitiva di acquisire i modelli e le costruzioni con-
cettuali di una cultura straniera (cfr. Hinkel, 1999: 11), nella didattica agli

10
Pensiamo anche all’eventualità, in contesti di LM molto distanti, di fare appoggio su una lingua
ponte, come ad esempio può essere una buona conoscenza del francese per molti studenti arabofoni, o
dell’inglese a Hong Kong o in India.
11
Per un modello essenziale di competenza comunicativa si veda ad esempio Freddi (1999).

125
adulti appare chiaro che il successo nell’apprendimento di una LS può esse-
re compromesso nel caso in cui l’allievo percepisca la cultura da essa veico-
lata come una minaccia alla propria identità etnica.
A questo riguardo un utile parametro interpretativo può essere indivi-
duato nella nozione di dominanza sociale che recuperiamo dal modello del-
l’acculturazione di Schumann (1976).12 Secondo questo quadro teorico l’ap-
prendente straniero può percepire la comunità linguistica che utilizza la lin-
gua d’arrivo come lingua materna, secondo tre differenti punti di vista: come
dominante, subordinata, o non-dominante. Il grado relativo di questa perce-
zione può riguardare vari aspetti di civilizzazione (politico, economico,
morale, ecc.). Se, ad esempio, la comunità della lingua d’arrivo (gli italiani,
nel nostro caso) è avvertita come dominante – o come convinta di esserlo –

ti.
le ripercussioni sull’apprendimento potranno essere negative. Anche la situa-

va
zione opposta, per esempio nel caso in cui l’allievo appartenga ad una società

er
fortemente etnocentrica, non sembra favorire un apprendimento linguistico

ris
e culturale equilibrato. D’accordo con Schumann (1976) possiamo quindi
arguire che la dimensione ideale debba essere quella di non-dominanza, che
tti
iri
si raggiunge solo quando la CM (cultura materna) e la C2/S (cultura secon-
id

da o straniera) sono percepite come diverse ma su un piano di pari dignità.


Questo livello di percezione rappresenta altresì la condizione indispensabile
ti
ut

per poter aspirare all’acculturazione, vale a dire per imparare a funzionare in


.T

una cultura straniera senza mettere a repentaglio la propria identità e la pro-


re

pria visione del mondo (cfr. Byram & Morgan, 1994; Balboni 1996).
ito

Riteniamo che il modello dell’acculturazione rappresenti un punto di riferi-


ed

mento adeguato soprattutto al momento di condurre degli adulti stranieri a


riflettere su aspetti della LS che vanno oltre la dimensione grammaticale. Ci
ci

riferiamo in particolare agli esiti di natura sociopragmatica, all’uso dei codi-


c
na

ci extralinguistici e alla vasta gamma d’argomenti che stimolano un dibattito


Bo

in prospettiva transculturale13 ai quali è importantissimo dedicare ampio spa-


zio. Tuttavia, non dobbiamo mai dimenticare che, se non adeguatamente
©

gestite, le occasioni metaculturali possono indurre negli apprendenti una


percezione della CS troppo inclinata verso uno dei poli estremi dell’asse
della dominanza (Schumann, 1976). Al fine di ridurre al minimo tali rischi,

12
Il modello di Schumann (1976) è applicato a contesti di L2 ma, almeno parzialmente, può essere
rilevante anche nell’insegnamento delle LS.
13
Traduciamo con transculturale il termine inglese crosscultural che indica le modalità secondo cui
la comunicazione varia in culture diverse. Lo studio di una cultura straniera in un contesto di LS è quindi
molto spesso condotto in prospettiva transculturale. Con interculturale ci si riferisce invece propriamente
all’interazione comunicativa tra membri appartenenti a differenti culture (cfr. anche Pallotti, 2000: 136).

126
proponiamo di seguito alcune riflessioni che, come sempre, dovranno esse-
re poi rapportate alla situazione individuale di chi legge.14 A questo riguardo
dobbiamo mettere subito in chiaro che se gli adulti apprezzano e interpreta-
no come feedback il fatto che l’insegnante corregga15 i loro errori fonologici,
grammaticali, sociolinguistici o pragmalinguistici, di norma è raro che accol-
gano di buon grado anche la correzione di “errori” sociopragmatici.
Cerchiamo di discutere quest’importante punto definendo con esempi le
varie categorie d’errore.
Le nozioni d’errore fonologico e grammaticale sono generalmente chiare,
dal momento che si riferiscono rispettivamente ad un esito fonologico poco
intelligibile e ad un’ipotesi errata sul piano morfosintattico. Un errore socio-
linguistico può riguardare la scelta di un registro non appropriato al conte-

ti.
sto (l’esempio classico è l’uso del “Lei” al posto del “tu” o viceversa), men-

va
tre un errore pragmalinguistico riguarda il trasferimento dalla LM di lessico

er
o di strutture che nella lingua d’arrivo non riescono a svolgere la stessa fun-

ris
zione comunicativa. Un esempio può essere quello di un allievo giapponese
il quale, ogni volta che intendeva esprimere meraviglia, soleva dire “bugia!”,
tti
iri
traducendo dalla sua lingua il termine “uso”, che significa sì “bugia” ma che
id

in LM svolge anche la funzione di un segnale discorsivo corrispondente all’i-


taliano “Incredibile!”, “Davvero?”. L’“errore”16 sociopragmatico si differen-
ti
ut

zia da quello pragmalinguistico perché deriva da valutazioni di natura socio-


.T

culturale e, in termini generali, si riferisce al trasferimento in una LS/L2 di


re

modalità che traggono origine da un diverso modo di interpretare i principi


ito

dell’etichetta linguistica.17 Ad esempio, tra i nord americani d’origine anglo-


ed

sassone è molto diffuso l’uso di complimenti come apertura di discorso, che


hanno la funzione di iniziare uno scambio di battute dal tono piacevole ma
ci

che possono essere interpretati come caricati o non sinceri da persone di


c
na

un’altra etnia. Molti esiti dispreferiti di natura sociopragmatica sono nor-


Bo

malmente generati anche dal fatto che i parametri che regolano l’uso della
cortesia variano da cultura a cultura. Gli israeliani, per esempio, tendono ad
©

essere molto diretti nelle loro richieste e a mostrare una certa intolleranza

14
Per un approfondimento sulla didattica dell’italiano LS in prospettiva transculturale rimandiamo
al capitolo di Pavan in questo volume.
15
Sulla correzione degli errori si veda anche Mezzadri (2002).
16
Sarebbe più appropriato classificarlo come esito dispreferito. Thomas (1983) ricorre infatti al
termine sociopragmatic failure, dove failure non presenta la connotazione negativa che presenterebbero
error o mistake.
17
“Il termine etichetta linguistica si riferisce alla pratica peculiare d’ogni comunità linguistica di
organizzare l’azione verbale in modo tale che sia considerata appropriata all’evento comunicativo in
corso” (Kasper, 1997: 374). (Trad. it. dell’autore)

127
verso i giri di parole. Un altro esempio può riguardare la percezione del
grado di severità di un’offesa e il conseguente obbligo di scusarsi, che sem-
bra essere molto alto tra i giapponesi, alto tra gli anglosassoni ma, rispetto a
questi ultimi, relativamente basso tra i tailandesi.18 Sia a livello produttivo
che ricettivo, molti “errori” sociopragmatici, riguardano soprattutto l’uso
dell’umorismo o dell’ironia che vengono codificati in modo variabilissimo a
seconda della cultura.
Gli adulti, quando parlano una lingua straniera, sono generalmente con-
sapevoli di poter commettere errori nell’effettuare una determinata scelta
morfosintattica, lessicale, o sociolinguistica, ma si ritengono anche persone
capaci di compiere decisioni di carattere sociopragmatico che sono appunto
scelte socio-culturali ancor prima che linguistiche (Thomas, 1983: 104). Per

ti.
esempio, in un role play potremmo classificare come “errore” sociopragma-

va
tico l’enunciato di un allievo (adulto), che entra in un negozio per chiedere

er
dove si trova l’ufficio postale più vicino, senza ricorrere ad espressioni miti-

ris
ganti (“Scusi…”, “Potrebbe dirmi…”, “Grazie…”, ecc.) quando, in quel
particolare contesto, un italiano madrelingua le riterrebbe molto probabil-
tti
iri
mente d’obbligo. Naturalmente lo stesso tipo di “errore” può occorrere
id

anche nella situazione opposta, in cui, ad esempio, il parlante dovesse fare un


uso eccessivo della cortesia per richiedere un free good (es. un cliente che
ti
ut

chiede al portiere dell’albergo di dargli la chiave della stanza, uno studente


.T

che chiede al compagno di prestargli la penna, ecc.). In casi simili non è inso-
re

lito che la correzione sia recepita come l’intenzione di mettere in discussio-


ito

ne le convinzioni socio-culturali dell’apprendente e di insegnargli il modo


ed

appropriato di comportarsi. Questo naturalmente non significa che esiti di


tale natura non debbano essere esplicitamente messi in luce. Optare infatti
ci

per un metodo induttivo di scoperta della regola come si fa in grammatica,


c
na

in questi casi sembra non funzionare (cfr. Zamborlin, i.c.s.), probabilmente


Bo

perché le norme sociopragmatiche non sono mai governate da regole, ma da


principi molto generali (cfr. Thomas, 1995). Appare piuttosto preferibile
©

informare gli allievi, ricorrendo ad una riflessione esplicita (condotta possi-


bilmente anche in LM), senza tuttavia dar loro l’impressione di volergli inse-
gnare quello che “si deve” e quello che “non si deve” dire o fare (l’adulto
dovrebbe essere lasciato libero di valutarlo da sé). Pertanto, il concetto che

18
Studi di pragmatica inter e transculturale che trattano temi come quelli qui menzionati en passant
sono numerosi, molti dei quali basati su dati particolarmente accurati, anche se si tratta per lo più di
ricerche che hanno come punto di riferimento l’inglese L2/LS. Per una rassegna commentata si veda
Bardovi-Harlig (2001).

128
in questo caso ci sembra utile adottare è quello che nell’ambito degli studi di
comunicazione interculturale è definito consciousness raising (cfr. Hinkel,
1999: 133), ovvero “innalzamento della presa di coscienza”.19
Quando si discutono le variabili socio-culturali nella didattica dell’italia-
no come LS, non è nemmeno lontanamente ipotizzabile pretendere di poter
fornire una casistica esaustiva. Ogni situazione è caratterizzata da infiniti fat-
tori (tra cui la distanza culturale, il grado d’estroversione-introversione della
classe, la motivazione degli apprendenti, ma anche i loro problemi quotidia-
ni, il tempo che hanno a disposizione, ecc.) che possono mutare completa-
mente a seconda del gruppo. In linea di principio, riteniamo tuttavia che
sotto quest’aspetto sia importante curare attentamente la dimensione ricetti-
va, mettendo gli allievi sempre al corrente delle norme sociopragmatiche,

ti.
dell’uso dei codici extralinguistici e dei vari aspetti culturali che governano i

va
principi dell’etichetta linguistica degli italiani. Sarà però opportuno lasciare

er
all’apprendente libera scelta sul piano produttivo. Potrebbe infatti rivelarsi

ris
controproducente invitare uno straniero a gesticolare come un italiano, a
produrre enunciati umoristici all’italiana o ad esprimere con disinvoltura la
tti
iri
propria opinione su argomenti che in Italia vengono tranquillamente affron-
id

tati ma che possono turbare una persona di un’altra cultura. A meno che,
naturalmente, non sia l’allievo stesso a richiedere un training specifico in
ti
ut

questa direzione. Va comunque tenuto presente che, soprattutto a livello


.T

sociopragmatico ed extralinguistico, gli adulti possono scegliere volontaria-


re

mente di non adeguarsi in modo totale alle modalità dei madrelingua, per
ito

una ragione psicologica del tutto individuale che spesso coincide con il sem-
ed

plice desiderio di mantenere la propria identità di straniero (cfr. Judd, 1999:


160; Rose & Kasper 2001: 3).
c ci
na

3. Conclusioni: un modello di unità didattica a misura di adulto?


Bo

Parlare di didattica a bambini e ad adulti, come abbiamo visto, significa


©

muoversi su due terreni epistemologici molto differenti. Se offrire alcune


linee guida generali per un’UD a misura di bambino si può (cfr. Luise, in
questo volume), cercare di fornire in senso speculare indicazioni per un’UD
a misura di adulto può apparire un’aspirazione contestabile. Se inoltre tutti
i bambini del mondo, per la plasticità della loro mente e per i loro bisogni
peculiari, finiscono per assomigliarsi e sono raggruppabili in un’unica cate-
goria d’apprendente, quella di adulto è al contrario una categoria sfuggente

19
Trad. it. dell’autore.

129
definibile solo per differenziazione. Vale a dire, ogni allievo adulto, (o grup-
po di allievi adulti) è classificabile in base al vissuto, alle motivazioni, agli stili
di apprendimento e alle esigenze che lo caratterizzano. Possiamo pertanto
affermare che non esiste un modello di UD di lingua italiana come LS per
apprendenti adulti. Esistono modelli differenziati (es. UD di letteratura, di
intercultura, di microlingua, ecc.), come appare negli esempi di questo volu-
me a cui rimandiamo, i quali si conformano al modello di scansione dell’u-
nità didattica classico (cfr. Balboni, 1994; Freddi, 1994) e ai principi dell’ap-
proccio umanistico-affettivo. Se, quindi, gli apprendenti a cui si insegna non
sono bambini, per la pianificazione delle attività e la preparazione dei mate-
riali possiamo individuare dei punti di riferimento generali nelle variabili su
cui si è riflettuto nei precedenti paragrafi. A livello d’approccio riteniamo

ti.
altresì che quello umanistico-affettivo rappresenti un contenitore abbastan-

va
za capiente da riuscire a comprendere le esigenze di ciascuno, dal momento

er
che si fonda su principi che, allo stato attuale, possiamo ritenere universal-

ris
mente applicabili. In particolare il principio di insegnare ad una persona (cfr.
Balboni, in questo volume), ci invita a non sottovalutare che un adulto è una
tti
iri
persona con bisogni molto diversi da quelli di un bambino, con una mente
id

che funziona in un modo differente da quella di un ragazzo, e che porta sem-


pre con sé in classe una visione del mondo molto articolata. Se l’insegnante,
ti
ut

orientandosi con i parametri discussi, sarà in grado di valutare attentamente


.T

questi aspetti, sarà anche capace di programmare e gestire l’attività didattica


re

scegliendo, innanzi tutto, un metodo che si adatti ai bisogni del suo partico-
ito

lare gruppo, che – nei limiti del fattibile – sia in sintonia con il suo stile
ed

didattico, e che, in prospettiva andragogica, consenta di trasformare il corso


d’italiano in un’esperienza formativa, in termini di Lifelong Learning.
c ci
na

riferimenti bibliografici
Bo

AUSUBEL D.A. (1964), “Adults vs. children in second language learning:


©

Psychological considerations”, Modern Language Journal, 48, pp. 420-424


BALBONI P.E. (1994), Didattica dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci.
BALBONI P.E. (1996), “La cultura straniera: modelli di osservazione nel paese
straniero e nelle classi di lingua”, in Wringe C. (cur.), Formation Autonome.
A European Self-Study Professional Development. Project for Language
Teachers, Parigi, FIPLV, pp. 32-35, Vol. I, e pp. 103-124, Vol. II.
BALBONI P.E. (1998), Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino,
Utet.
BALBONI P.E. (19991), “Problemi di comunicazione interculturale con allie-

130
vi stranieri adulti”, IRRSAE Veneto.
BALBONI P.E. (19992), Parole comuni, culture diverse. Guida alla comunica-
zione interculturale, Venezia, Marsilio.
BARDOVI-HARLIG K. (2001), “Evaluating the empirical evidence: Grounds
for instructions in pragmatics?”, in Rose K. R. e Kasper G. (cur.), Pragmatics
in Language Teaching, Cambridge, Cambridge University Press.
BECCARIA G.L. (1994), Dizionario di Linguistica, Torino, Einaudi.
BROWN D. H. (1994), Principles of Language Learning and Teaching,
Englewood Cliffs, NJ, Prentice Hall Regents.
BYRAM M., MORGAN C. (1994), Teaching-and-learning Language-and-culture,
Clevedon, UK, Multilingual Matters.
CARROLL J. (1981), “Twenty-five years of research on foreign language apti-

ti.
tude”, in Diller K. (cur.), Individual Differences and Universals in Language

va
Learning Aptitude, Rowley, Mass., Newbury House.

er
DANESI M. (1988), Neurolinguistica e glottodidattica, Padova, Liviana.

ris
DEMETRIO D. (1990), L’età adulta. Teorie dell’identità e pedagogie dello svi-
luppo, Roma, La Nuova Italia Scientifica.
tti
iri
DEMETRIO D. (1995), L’educazione nella vita adulta. Per una teoria fenome-
id

nologia dei vissuti e delle origini, Roma, La Nuova Italia Scientifica.


ECKMAN F. (1977), “Markedness and the contrastive analysis hypothesis”,
ti
ut

Language Learning, 27, pp. 315-330.


.T

ELLIS R. (1994), The Study of Second Language Acquisition, Oxford, Oxford


re

University Press.
ito

FREDDI G. (1994), Glottodidattica. Fondamenti, metodo e tecniche, Torino,


ed

UTET.
FREDDI G. (1999), Psicolinguistica, sociolinguistica, glottodidattica, Torino,
ci

UTET.
c
na

HINKEL H. (1999), Culture in Second Language Teaching and Learning,


Bo

Cambridge, Cambridge University Press.


JUDD E. L. (1999), “Some issues on the teaching of pragmatic competence”,
©

in Hinkel, E. (cur.), Culture in Second Language Teaching and Learning,


Cambridge, Cambridge University Press.
KASPER G. (1997), “Linguistic Etiquette”, in Coulmas, F. (cur.), The
Handbook of Sociolinguistics, Oxford, Blackwell.
KELLERMAN E. (1977), “Towards a characterization of the strategies of tran-
sfer in second language learning”, Interlanguage Studies Bulletin, 2, pp. 58-
145.
KNOWLES M. (1997), Quando l’adulto impara, pedagogia e andragogia,

131
Milano, Franco Angeli.
LENNEMBERG E. (1967), Biological Foundations of Language, New York,
Wiley and Sons.
MEZZADRI M. (2002), “La correzione degli errori”, In.IT, 3,1, pp. 4-9.
PALLOTTI G. (1998), La seconda lingua, Milano, Bompiani.
ROSE K.R., KASPER G. (2001), (cur.), Pragmatics in Language Teaching,
Cambridge, Cambridge University Press.
SCHUMANN J.C. (1976), “Social distance as a factor in second language acqui-
sition”, Language Learning, 26, pp. 135-143.
SCOVEL T. (1999), “Second Language Processing: Age in Second Language
Learning”, in Spolsky B., Asher R.A. (cur.), Concise Encyclopedia of
Educational Linguistics, Amsterdam, Elsevier.

ti.
SKEHAN P. (1990), “The relationship between native and foreign language

va
learning ability: educational and linguistic factors”, in Dechert H. (cur.),

er
Current Trends in European Second Language Acquisition Research,

ris
Clevedon, Multilingual Matters.
THOMAS J. (1983), “Cross-cultural pragmatic failure”, Applied Linguistic, 4,
tti
iri
pp. 91-112.
id

THOMAS J. (1995), Meaning in interaction: An introduction to pragmatics,


London, Longman.
ti
ut

ZAMBORLIN C. (in corso di stampa), “Abilità di comprensione come inferen-


.T

za guidata e metacompetenza sociopragmatica. L’uso di interviste del TG1


re

Rai in un contesto di LS culturalmente distante”, Tesi Master Itals.


ito
ed
c ci
na
Bo
©

132
Capitolo 10
L’UtiLiZZo dei materiaLi aUtentiCi
neLL’insegnamento deLL’itaLiano Come
Ls
Barbara Spinelli

L’attenzione verso gli aspetti funzionali e socio-pragmatici della lingua,


sostenuta dall’Approccio Comunicativo, ha alimentato intorno agli anni
Ottanta un’attenta analisi dei contesti d’uso linguistico e un vivace dibattito
nella definizione del concetto stesso di autenticità applicabile alla realtà del-

ti.
l’insegnamento, dei materiali e delle tecniche utilizzati nella classe di lingua.

va
In questo capitolo si tenterà di esaminare le diverse prospettive che ne sono

er
scaturite in rapporto alla selezione e all’utilizzo di materiali autentici che pos-

ris
sono integrare la realtà circoscritta dell’ambiente scolastico e dei manuali
adottati per l’insegnamento della lingua. Tra le risorse verranno analizzate le
tti
ulteriori opportunità fornite dalle tecnologie interattive che propongono
iri
id
nuove realtà di apprendimento.
ti
ut

1. La realtà di una classe di lingua straniera


.T

L’ambiente di apprendimento ricreato nella classe di lingua è influenzato


re

da una serie di fattori. Il contesto socio-culturale e la tipologia linguistica ita-


ito

liana vengono esemplificati in primis dall’insegnante, dal manuale di testo


ed

utilizzato e dalle interazioni sociali che vengono a crearsi tra i vari membri
ci

del gruppo di studio. In una situazione d’insegnamento dell’italiano come


c

LS, rispetto a quella di italiano L2, la concentrazione su tali modelli di rife-


na

rimento è enfatizzata dalla mancanza di contatto dei parlanti nativi con la


Bo

realtà extrascolastica. Tali limiti definiscono l’artificialità del contesto didat-


tico e sottolineano l’impossibilità di ricreare le stesse condizioni di uso natu-
©

rale di una lingua straniera con tutte le varianti socio-culturali, regionali ed


inviduali di un’autentica comunicazione (Valdam 1992). Nella classe i turni
di parola vengono gestiti principalmente dall’insegnante che si propone
come primo esempio linguistico e culturale.
Le interazioni sociali e comunicative che vi convengono non rispecchiano
le autentiche risposte dei comportamenti sociolinguistici dei parlanti nativi.
Gli insegnanti, che spesso non sono madrelingua o conservano deboli lega-
mi con l’italiano, non possono integrare in maniera esaustiva questo limitato

133
ambiente scolastico né rispondere in maniera ugualmente qualificata a tutte
le esigenze didattiche del contesto. Non è auspicabile pensare che gli stru-
menti di cui gli insegnanti si avvalgono per sostenere il loro percorso didat-
tico, ovvero i libri di testo, anche nei casi in cui risultino ben strutturati ed
articolati, riflettano appieno la complessa realtà dell’italiano e incontrino gli
eterogenei interessi degli studenti.
Il dialogo che s’instaura mediante un manuale è quello tra il suo autore che
modella e “distorce” la realtà proposta dal suo libro nella selezione del mate-
riale in base ad obiettivi grammaticali e lessicali e lo studente che ne è il rice-
vente (Rings 1986). I testi che vi si trovano, scritti e orali, possono essere prin-
cipalmente di due tipi: 1) quelli che propongono un discorso autentico che si
riferisce ad una comunicazione naturale, 2) e quelli che simulano un discorso

ti.
autentico (Omaggio 1986). In quest’ultimo caso i testi vengono realizzati per

va
specifici scopi didattici e le regole stilistiche che seguono sono diverse da

er
quelle del materiale strutturato per un’audience madrelingua. Un esempio è

ris
fornito dai dialoghi orali presenti nei libri di testo che, basandosi perlopiù su
testi scritti, perdono la spontaneità del discorso non pianificato. Anche nel
tti
iri
caso in cui si adottino materiali autentici, lo scopo del loro utilizzo, per esem-
id

pio di tipo grammaticale, può contraddirne i reali propositi comunicativi.


La struttura generale di un libro di testo avanza per unità discrete dal
ti
ut

brano introduttivo a varie attività per la comprensione orale e scritta o per lo


.T

sviluppo di competenze lessicali e grammaticali. La dimensione che ne con-


re

segue è di natura normativa (Kramsch 1987, Omaggio 1986), vale a dire non
ito

prevede attività che promuovano nell’apprendente un atteggiamento critico


ed

verso i contenuti che il manuale presenta. La cultura viene “incapsulata” in


sezioni separate quasi a suggerire che lo sviluppo di competenze ad essa rela-
ci

tive rappresentino una quinta abilità. Spesso le attività non prevedono un


c
na

esplicito confronto né stimolano una metariflessione sul proprio sistema cul-


Bo

turale CM a contatto con le diverse informazioni offerte dalla CS o trascura-


no l’analisi di certe componenti sociali implicite in dati fattori culturali.
©

Kramsch (1993) suggerisce, ad esempio, come l’utilizzo di un menu stranie-


ro per scopi lessicali escluda l’attenzione da certe convenzioni socio-cultura-
li come il valore della mancia o i diversi script comportamentali propri di
quell’evento comunicativo in contesti culturali diversi.
L’uso di materiale autentico, per quanto caotico possa risultare dal punto
di vista strutturale e lessicale, integra, senza dubbio, i riduttivi confini del-
l’ambiente scolastico ed amplifica le opportunità per lo sviluppo di ulteriori
abilità cognitive ed analitiche del discente. Inoltre, il vasto ventaglio di risor-

134
se di materiali può essere ulteriormente integrato se viene reinterpretato il
concetto stesso di “autenticità”.

2. Come definire il concetto di “autenticità”


Sulla scia dell’interesse verso il contesto d’uso linguistico alimentato
dall’Approccio Comunicativo e in reazione alla lingua e alla realtà artificiali
proposte da certi libri di testo si sviluppa intorno agli anni Ottanta un inte-
ressante dibattito relativo all’interpretazione del concetto di autenticità,
associato non solo ai materiali utilizzabili in classe, ma anche alle altre com-
ponenti di un evento didattico, quali le tecniche adottate, le interpretazioni
degli studenti rispetto ai testi presentati e le interazioni sociali che occorro-

ti.
no in tale contesto. In questa sede ci si concentrerà in maniera specifica sul-

va
l’utilizzo di materiali definiti autentici.

er
Generalmente per materiali autentici s’intendono quelli prodotti per un

ris
pubblico di parlanti nativi che possono decodificare le intenzioni dell’auto-
re grazie alla condivisione di convenzioni stilistiche e culturali comuni. Chi
tti
entra in contatto con tali materiali deve, dunque, essere partecipe di tale
iri
id
conoscenza per elaborarne un’interpretazione appropriata.
ti
ut

2.1 Autenticità per chi?


.T

Con questa domanda Kramsch (1993) sottolinea un aspetto fondamenta-


re

le dei materiali definiti autentici che non deve essere trascurato in un conte-
ito

sto di apprendimento di italiano LS. Ogni testo rappresenta il punto di vista


ed

del suo autore che filtra, seleziona e rielabora la sua realtà. All’interno di una
stessa comunità culturale si delineano diverse tipologie di autenticità deter-
ci

minate da differenze di razza, genere, etnia, sesso, posizioni politiche


c
na

(Kramsch 1998). L’autenticità di una notizia proposta, ad esempio, dal tele-


Bo

giornale di Canale 5 può differire da quella relativa allo stesso argomento


presentato dal telegiornale di RAI 3. I materiali a disposizione, articoli, pro-
©

grammi televisivi, film, risorse in rete adottano linguaggi mediatici e strategie


narrative o filmiche specifiche per trasmettere la loro individuale autenticità.
Se non si abitua lo studente di LS a sviluppare abilità analitiche nell’intera-
zione con tali realtà, si rischia di promuovere un’assunzione passiva ed auto-
ritaria del concetto di autenticità culturale oltre che una visione univoca,
quindi stereotipata, del diverso mondo linguistico e sociale che si appresta a
conoscere. Ne consegue che esporre lo studente semplicemente a testi auten-
tici non è sufficiente, occorre invece prepararlo ad affrontarli sviluppando

135
abilità interpretative.
La didattica relazionale
Widdowson (1979) sostiene che l’autenticità non viene riassunta nel signi-
ficato del testo in sé, ma si realizza attraverso il rapporto dialogico che s’in-
staura tra il lettore-spettatore e l’autore di quel testo. Ne consegue un incon-
tro tra ciò che non è conosciuto e ciò che è familiare (Widdowson 1990), nel
quale lo studente reinterpreta e valuta i nuovi contenuti collocandoli e adat-
tandoli “geograficamente” nel mondo ideologico e culturale che già possie-
de. In questo caso non si tratta dell’acquisizione di una nuova conoscenza,
ma dell’estensione della propria (Swaffar 1985) che determina un processo
di appropriazione (Kramsch 1998) tanto più agevolato quanto più estese
risultino la qualità e la quantità delle conoscenze pregresse dell’individuo. Il

ti.
testo non ha più un significato fisso poiché lo studente se ne appropria e lo

va
utilizza per dare un significato al suo mondo e per costruire le sue azioni

er
sociali. Lo scopo di tale processo non è quello di simulare certi atti comuni-

ris
cativi in lingua straniera o di assistere ad eventi culturali, ma d’interagirvi
attraverso un atteggiamento analitico. In tal modo s’interpreta la lingua non
tti
iri
solo come strumento di comunicazione, ma come segno rappresentativo di
id

un mondo individuale generato dallo scambio. La didattica relazionale nasce


proprio dall’esigenza di sviluppare tale atteggiamento nella “lettura” di
ti
ut

materiale autentico, lettura che include il sé e l’altro rifiutandone un’accetta-


.T

zione acritica con lo scopo di potersi gestire all’interno di più realtà


re

(Kramsch 1993). L’importanza di una simile didattica può giustificare l’uti-


ito

lizzo della LM in classe laddove se ne riveli la necessità, vale a dire a livelli


ed

base di studio dell’italiano LS.


ci

2.2 Autenticità e testi semplificati


c
na

Benché sia diffusa la convinzione che i testi fin qui definiti autentici
Bo

rispetto a quelli inventati, ampiamente utilizzati nei libri di testo, possano


sostenere più saldamente i processi d’acquisizione di un apprendente di ita-
©

liano LS e promuoverne l’autonomia di giudizio in alternativa a quella del-


l’insegnante e dell’autore, si evidenzia un problema più pratico: quello di
comprensibilità. Questi materiali presentano strutture discorsive e linguisti-
che complesse per studenti di italiano, soprattutto ai primi livelli di cono-
scenza di una lingua, che possono complicarne l’usabilità ed attivare il filtro
affettivo del singolo. La profonda demotivazione che ne può conseguire si
pone come prima barriera al processo di acquisizione. Tuttavia, il problema
non consiste più in se utilizzare i materiali autentici, ma quando introdurli

136
nell’iter didattico. Da qui si delineano due tendenze ideologiche che perse-
guono convinzioni e cammini pedagogici differenti.
Da un lato, secondo approcci di tipo umanistico-affettivo, un testo è inte-
ressante se risulta comprensibile, per questo si suggerisce di seguire un per-
corso graduale di lettura che accompagni lo studente nella comprensione
progressiva di testi semplificati o inventati verso quelli autentici più “legge-
ri” per approdare alla decodifica del linguaggio accademico dei materiali
autentici complessi (Krashen 1997). Se si considera, inoltre, che un testo è
autentico per la comunità per la quale è stato creato (Little, Devitt e
Singleton 1988) e s’individua questa comunità in un pubblico di studenti
stranieri, anche quello ideato o semplificato per scopi didattici può essere
ritenuto autentico (Pallotti 2002). In tal caso la motivazione è alimentata

ti.
dalla facilità di lettura o di comprensione orale.

va
D’altro canto, tuttavia, si pensa che la risorsa principale di fattori affetti-

er
vi positivi sia alimentata nell’apprendente proprio dal piacere di agire nello

ris
stesso contesto socio-culturale dell’italiano LS che funge da ponte di con-
nessione tra la costretta conoscenza della classe e il mondo reale (Wilkins
tti
iri
1976). Fattori estrinseci al testo, quale una forte motivazione generata dal-
id

l’interesse, possono, in realtà, influenzare i fattori intrinseci legati alla com-


prensione linguistica. Se lo studente è emotivamente coinvolto dai contenu-
ti
ut

ti che quest’ultimo presenta può più facilmente superarne le difficoltà di


.T

comprensione. In alcuni casi, peraltro, la semplificazione di materiali auten-


re

tici può paradossalmente complicare la comprensione poiché vengono meno


ito

gli elementi di ridondanza, di ripetizione e gli indicatori discorsivi peculiari


ed

dello stile dell’autore e di specifici generi comunicativi (Swaffar 1985,


Guariento e Morley 2001).
ci

Talvolta, la demotivazione può scaturire non tanto dalla complessità


c
na

oggettiva di intelligibilità di un testo quanto dalle attività che vi vengono


Bo

associate. Molti materiali sono integrati da un apparato di compendi didatti-


ci, ad esempio i glossari con traduzioni o con attività quali domande refe-
©

renziali, che limitano le capacità intuitive degli studenti abituandoli a ricer-


care elementi discreti piuttosto che a cogliere il significato globale o infierir-
lo dal contesto (Swaffar 1985, Omaggio 1986).
L’accessibilità a certo materiale autentico può essere agevolata da tecniche
didattiche che mirano all’estrazione di informazioni principali per una com-
prensione parziale garantendo, in tal caso, l’utilizzo di testi formalmente più
complessi anche a partire dai primi livelli di studio una lingua.
Si può asserire, in conclusione, che integrare materiali autentici in un cur-

137
ricolo può essere produttivo principalmente per tre motivi:
1. offrono un terreno significativo per la struttura cognitiva degli appren-
denti
2. sviluppano abilità intuitive ed analitiche creando connessioni con il
microcosmo ideologico e socio-culturale del singolo
3. se didattizzati attraverso tecniche adeguate e se incontrano l’interesse
degli studenti, favoriscono l’abbassamento del filtro affettivo grazie alla
forte motivazione che agevola la comprensione.
L’insegnante, in realtà, non si trova a adoperare una scelta binaria tra
materiali autentici e non autentici, ma può sfruttarne l’estrema varietà ed
integrarli in base agli obiettivi che si è prefisso e alle esigenze degli studenti

ti.
con cui si trova a collaborare nel suo iter didattico a partire dai primi stadi

va
di conoscenza dell’italiano.

er
ris
3. risorse di materiale autentico

tti
Le fonti da cui attingere per recuperare materiale autentico sono nume-
iri
rose. Le nuove tecnologie hanno ampliato il ventaglio di opportunità sia di
id

risorse oggettive che di manipolazione del materiale e di ricreazione di spazi


ti

virtuali come luoghi d’incontro interculturale con i parlanti nativi. La TV


ut
.T

satellitare, il mondo telematico, le biblioteche, i media sottolineano come la


nozione stessa di “testo”non sia più confinata nella parola scritta, ma si arti-
re

coli in codici orali, visivi e grafici che devono essere inclusi nella valutazione
ito

della comunicazione.
ed
ci

3.1 I materiali orali e scritti


c
na

La stampa e i giornali rappresentano sempre la risorsa più facilmente uti-


lizzabile nella classe di italiano, ma esiste anche un’altra grande varietà di
Bo

materiali disponibili, quali i moduli amministrativi e burocratici, i dépliant


©

informativi e turistici, i volantini commerciali, ecc. L’utilizzo di questi mate-


riali dipende dalla complessità degli obiettivi per i quali sono stati progetta-
ti, ad esempio per lavoro, per assicurazioni sanitarie o personali, per scopi
educativi o turistici e dalle convenzioni stilistiche e linguistiche adoperate.
Tuttavia a causa della loro brevità e del supporto di altri codici (grafici,
vignette, tabelle), che spesso li accompagnano, tali risorse possono rivelarsi
efficaci per condurre lo studente alla lettura graduale di testi più lunghi ed
articolati (Swaffar 1985).

138
La stessa economia di messaggio può essere ritrovata negli spot pubblici-
tari, scritti o videoregistrati, di cui si può usufruire a vari livelli di studio del-
l’italiano sia in base alle tecniche didattiche ad essi applicate che agli scopi
prefissi. La motivazione dello studente ad affrontare tali materiali può esse-
re alimentata dal riconoscimento del genere “pubblicità” ampiamente diffu-
so in molti paesi attraverso tecniche discorsive e commerciali simili, quindi
prevedibili, e laddove questo non si verifichi la mancata conformità può for-
nire terreno propizio di discussione per una didattica relazionale. Le stesse
anticipazioni possono realizzarsi per altri generi di testi scritti, orali e video
(previsioni del tempo, oroscopi, gialli televisivi, telegiornali, trasmissioni
radiofoniche, ecc.).
Nell’analisi di elementi sociolinguistici e sociopragmatci un supporto può

ti.
essere fornito da interviste in cui vengono richieste opinioni personali o da

va
sequenze di film che possono offrire un ampio spettro d’informazioni relati-

er
ve a varietà di registro in base al background socio-culturale degli intervista-

ris
ti riscontrabili nel lessico, negli indicatori discorsivi e nelle prese di posizio-
ne rispetto all’argomento trattato oltre che negli elementi extralinguistici da
tti
iri
loro utilizzati.
id

3.2 I materiali video


ti
ut

Come viene sottolineato in altri capitoli di questo volume (cfr. Torresan),


.T

l’utilizzo di materiali video autentici fornisce un terreno d’analisi intercultu-


re

rale fondamentale. Il ricorso ad altri codici come quello delle immagini in


ito

movimento offre allo studente l’opportunità di consultare una sorta di dizio-


ed

nario visivo del contesto socio-culturale dell’italiano. Grazie alle informazio-


ni visive si possono integrare le osservazioni su aspetti sociolinguistici e
c ci

sociopragmatici della comunicazione, accennati precedentemente, con un’a-


na

nalisi comparativa su aspetti extralinguistici, quali la gestualità, le movenze


Bo

facciali, la distanza tra i parlanti in diversi eventi comunicativi. Il video offre,


inoltre, l’opportunità di una “lettura” semiotica degli spazi fisici in cui inte-
©

ragiscono i parlanti (ad esempio la casa), dei luoghi e dei momenti di socia-
lizzazione (ad esempio il bar o la piazza in Italia), dei mezzi e degli strumen-
ti utilizzati dalla comunità in rapporto al loro valore nell’interazione sociale
(ad esempio, le dimensioni fisiche e le convenzioni civili che caratterizzano il
“traffico dei mezzi di trasporto” in situazioni culturali diverse). Come si è già
accennato a proposito della didattica relazionale tali occasioni di metarifles-
sione vanno ricreate in classe sia per contestualizzare i significati di cui una
lingua si fa portatrice, sia per sensibilizzare lo studente all’idea che lo scopo

139
principale del suo apprendimento non si limita alla comunicazione in sé,
oltre la quale ciò che resta determinante è la sua univoca visione del mondo,
ma nel saperlo osservare attraverso la “lente di un caleidoscopio” (Kramsch
1993).

4. L’autenticità e il contesto multimediale


Un discorso a parte va fatto a proposito della ricerca di autenticità nel
mondo multimediale che ha apportato una radicale trasformazione nella
comunicazione e nel concetto di alfabetizzazione intesa come capacità di
saper fare attraverso ciò che si è appreso. Video interattivi, CD Rom,
Internet, la posta elettronica, le Chat, sono strumenti utilissimi per calare l’i-

ti.
taliano in un ambiente più autentico rispetto lo spazio delimitato della clas-

va
se e per sviluppare competenze socio-culturali. La dimensione pluridimen-

er
sionale della cultura multimediale crea una connessione bilaterale tra “la lin-

ris
gua nella cultura e la cultura nella lingua” che può integrare le informazioni
fattuali fornite in unità discrete dal libro di testo (Kramsch 1999). Le risorse
tti
offerte dal mondo in rete, in più, compensano la fugacità annuale dei mate-
iri
id
riali cartacei, poiché sono soggette ad un aggiornamento costante sulla cul-
tura contemporanea e sulla vita quotidiana del paese straniero. Il nuovo con-
ti
ut

testo elettronico del CAI (computer-assisted instruction) e del CMC (com-


.T

puter-mediated communication) contribuisce a creare un ambiente di


apprendimento multiforme che adopera una decentralizzazione del ruolo
re

dell’insegnante e del libro di testo e agevola l’autonomia dello studente nella


ito

selezione e nella manipolazione delle informazioni mediatiche.


ed
ci

4.1 I materiali digitali ed elettronici


c
na

Widdowson (1992) sottolinea come l’autenticità di un testo risenta del-


Bo

l’autorità dell’istituzione che l’ha prodotto, monopolizzando l’interpretazio-


ne di chi vi si accosta. Si è già accennato nel paragrafo 2.1 all’importanza di
©

considerare tale aspetto nell’utilizzo di materiale autentico. L’ambiente inte-


rattivo del mondo digitale ed elettronico offre nuove opportunità allo stu-
dente nella decodificazione di questa interpretazione autoritaria attraverso la
propria autorità di giudizio. Ciò può determinarsi nell’utilizzo di materiali
autentici per la ricostruzione di nuovi testi quali quelli di un ipertesto o di un
Cd Rom. Lo studente diventa autore del proprio materiale e voce alternati-
va a quella dell’insegnante (Kramsch, A’Ness e Lam 2000). In questo pro-
cesso impara a riflettere, gestire, selezionare e riutilizzare per scopi persona-

140
li testi mediatici e di comunicazione autentica. Uno di questi obiettivi può
essere, ad esempio, la costruzione di un Cd Rom o un di ipertesto che illu-
stri la cultura dell’Italia. Lo studente può ricorrere in questo progetto all’u-
tilizzo di un’estrema varietà di materiali (video, musica, immagini, grafici,
ecc.) attraverso i quali si esprimono più “voci”. L’apprendimento della lin-
gua, in tal caso, non si riassume nella “parola”, ma nell’utilizzo della stessa
come “segno” rappresentativo della realtà dello studente. In questo proces-
so avviene una trasformazione reciproca tra l’oggetto usato (lo strumento
elettronico) e il soggetto (l’apprendente) per esprimere il suo modo di vede-
re il mondo e di rappresentarlo attraverso l’italiano (Latour 1999). Nella
costruzione di un progetto come quello sopraccitato, i discenti non si limita-
no ad archiviare materiale autentico, ma a ricontestualizzarlo per creare il

ti.
loro nuovo testo multimediale. Durante il loro lavoro selezionano informa-

va
zioni utili, le manipolano, scelgono immagini informative, decidono quale

er
musica usare o quali parole chiave rendere cliccabili, imparano, quindi, attra-

ris
verso l’utilizzo diretto, le strategie comunicative dei linguaggi mediatici. Il
computer potenzia in questo modo l’autonomia e l’autorità dello studente
tti
iri
permettendogli di sfruttare una globale autenticità di plurimi codici. Si deli-
id

nea la possibilità di creare del materiale interattivo in cui viene meno il rap-
porto monodirezionale tra autore e lettore proprio dei testi scritti, poiché il
ti
ut

percorso di lettura di un Cd-Rom o di un ipertesto segue le personali tracce


.T

di chi lo vuole esplorare. Alcune ricerche testimoniano che gli studenti defi-
re

niscono più autentici i materiali multimediali da loro costruiti rispetto quel-


ito

li scritti poiché “potenziano la loro autorità sia di creatori che di consuma-


ed

tori”(Kramsch, A’Ness e Lam 2000).


ci

4.2 Classe virtuale versus classe in presenza


c
na

Breen (1985) sostiene che tutto quello che avviene in una classe è auten-
Bo

tico. Ciò assume un valore se si pensa ai contesti che si possono ricreare attra-
verso piattaforme elettroniche in cui studenti di italiano LS possono intera-
©

gire e costruire progetti comuni con i parlanti nativi attraverso e-mail o Chat.
Queste occasioni generano una diversa concezione di apprendimento dell’i-
taliano poiché tra i partecipanti non avviene esclusivamente una negoziazio-
ne d’informazioni, ma una nuova definizione dei significati e della rappre-
sentazione di sé e dell’altro che nasce dall’incontro di diverse visioni del
mondo. Il computer offre così un ulteriore spazio d’interazione che può inte-
grare l’artificialità della classe in presenza creando un ponte di connessione
con il mondo esterno.

141
5. Criteri di selezione del materiale autentico
Chi si appresta ad integrare la propria classe di italiano LS con materiale
autentico adopera una selezione che risulta comunque soggettiva e delimita-
ta. Ne consegue che ricreare un ambiente interamente autentico è un’impre-
sa poco probabile per due motivi principali:
1. i materiali creati per i madrelingua una volta trasportati nella classe
vengono decontestualizzati,
2. non è possibile includere tutte le varianti linguistiche regionali, indivi-
duali, sociali o riprodurre le reazioni socio-pragmatiche di un parlan-

ti.
te nativo a certi eventi comunicativi.

va
Tuttavia, l’utilizzo di varie tipologie di testi, la diversificazione dei conte-

er
sti e dei mezzi d’insegnamento possono fornire una visione più articolata

ris
della cultura italiana ed agevolare il processo di apprendimento coinvolgen-
tti
do diverse operazioni cognitive. Lo studente di italiano possiede già un suo
iri
vissuto, una sua conoscenza che si basa su un tessuto di credo, valori, abitu-
id

dini socio-comportamentali riferibili all’insieme d’esperienze educative pre-


ti

gresse e alla comunità culturale d’appartenenza. L’insegnante che seleziona i


ut

materiali autentici deve considerare come punto di partenza proprio i diver-


.T

si mondi che gli studenti rappresentano.


re

Breen (1985) suggerisce la prima domanda che ci si dovrebbe porre nella


ito

scelta di un testo: “La conoscenza a priori, l’interesse e la curiosità dello stu-


ed

dente possono essere coinvolti in questo testo?... Come tale conoscenza a


priori, interesse e curiosità ...possono essere attivate da questo testo?”.
c ci

Esistono tre tipi di conoscenza pregressa a cui fare riferimento:


na

1. la conoscenza del codice linguistico italiano


Bo

2. il sapere relativo al mondo


©

3. la competenza discorsiva relativa alle strategie stilistiche, linguistiche e


comunicative delle diverse tipologie testuali orali e scritte (articoli di
cronaca, favole, monologhi politici, pubblicità, ecc.) (Omaggio 1986).
A tali componenti si aggiunge l’idea di “comunità immaginata” (Norton
2001) che ogni singolo ha del mondo linguistico che si appresta a conoscere.
In questo nuovo contesto socio-culturale il discente proietta la costruzione
immaginaria del proprio futuro in base ad aspettative dettate dalle sue esi-
genze e dal tipo d’impegno sociale e educativo che è pronto ad investirvi. Se

142
l’insegnante riesce a prevedere quali materiali autentici incontrano gli inte-
ressi dei suoi studenti e a capire ciò che questi rievocano nelle loro menti, il
processo di apprendimento viene incrementato produttivamente.
Nella selezione dei materiali deve essere considerato anche il ruolo che lo
studente di italiano assume nella comunità culturale italiana, ovvero quello
di outsider. Ciò che lo differenzia rispetto ad un insider è la sua attitudine
contrastiva. Gli insider di una cultura tendono ad analizzare ciò che hanno
già sperimentato, gli outsider, al contrario, notano ciò che è estraneo alla loro
esperienza (Nostrand 1989). Tale attitudine è proficua per lo sviluppo di abi-
lità analitiche e per una didattica relazionale, ma potrebbe rivelarsi un limi-
te ai primi stadi di conoscenza dell’italiano.
A livelli intermedi ed avanzati la scelta di testi complessi è agevolata dalla

ti.
più solida competenza linguistica degli apprendenti. Il problema si pone ai

va
primi livelli di studio dove, anche se è presente una buona conoscenza del

er
mondo, il limite linguistico può presentarsi come barriera. Il rischio di man-

ris
cata comprensione di un testo e il senso di frustrazione e di demotivazione
che ne possono conseguire è più alto. Tuttavia, se i criteri di selezione del
tti
iri
materiale autentico esulano dalla semplicità lessicale e sintattica che questo
id

presenta, la comprensione può essere favorita, come si è anticipato nel para-


grafo 2.2, da attività semplici che richiedano allo studente una comprensio-
ti
ut

ne generale dei significati.


.T

Un altro fattore che può motivare lo studente di questo livello e abbas-


re

sarne il filtro affettivo è il grado di familiarità e di prevedibilità dei contenu-


ito

ti che un qualsiasi testo propone. Maggiori sono le potenzialità di connes-


ed

sione tra il testo e la sfera emotiva e culturale precostituita del discente,


migliore è la qualità d’interpretazione dei suoi significati.
cci
na

5.1 Testi orali


Bo

Wilkins (1979) evidenzia le difficoltà di comprensione orale che uno stu-


dente straniero incontra quando viene a contatto con un madrelingua. Lo
©

studente può esprimersi adeguatamente, ma spesso può capire difficilmente


ciò che il parlante nativo gli comunica. La ragione di tale incomprensione è
riferita alla scarsa familiarità del discente con testi orali autentici.
Byrnes (1984) sottolinea l’esigenza di sensibilizzare il discente alla diffe-
renza che intercorre tra la lingua orale e la lingua scritta. Queste due osser-
vazioni possono essere importanti per la selezione di materiale orale autenti-
co a vari livelli di studio. Poiché l’autenticità di un testo dipende dall’auten-
ticità del contesto in cui la lingua viene utilizzata, Rings (1986) suggerisce

143
cinque stadi dal maggior al minore grado di autenticità di una lingua orale,
utili per la selezione del materiale:
1. un testo genuinamente autentico è quello che si ha quando i due parlanti
nativi non hanno la consapevolezza di essere registrati per scopi didatti-
ci (messaggi di segreteria telefonica, trasmissioni radiofoniche, ecc.),
2. meno autentico si può considerare lo scambio orale in cui solo uno dei
due partecipanti alla comunicazione sa di essere registrato,
3. di grado successivo è la registrazione di roleplay in cui ai due parteci-
panti viene assegnata solo la situazione da improvvisare,
4. più strutturato è il contesto in cui ai parlanti vengono affidati ruoli
precisi,

ti.
5. ultimo degli stadi è quello in cui i due parlanti recitano un testo scritto.

va
Al primo stadio di questa scala, possono occorrere anche errori d’esposi-

er
zione da parte dei parlanti nativi in quanto questi si esprimono spontanea-

ris
mente senza porre attenzione alla struttura dell’italiano in sé. Secondo Rings
tti
(1986) quest’elemento deve essere incluso nella più ampia conoscenza dello
iri
studente poiché fa parte del discorso non pianificato e perché non sempre
id

ciò che può essere considerato scorretto nella lingua scritta lo è altrettanto in
ti

quella parlata.
ut
.T

5.2 Testi scritti


re

La vasta disponibilità di testi scritti è già stata presa in esame nel para-
ito

grafo 3.1. I criteri per la selezione di questo tipo di materiali variano, come
ed

accennato, in base agli obiettivi che l’insegnante si prefigge (per un corso di


ci

Italiano Commerciale, di Cultura, di Letteratura, ecc.). In ogni contesto, tut-


c

tavia, non devono essere trascurati i fattori menzionati nel paragrafo 5.


na

Qualunque sia la tipologia dei materiali selezionati (testi poetici, articoli di


Bo

giornale, relazioni scientifiche, documenti commerciali, ecc.) essi devono


©

presentare contenuti che coinvolgono la sfera affettiva e diversi processi


cognitivi del discente, quindi essere sufficientemente significativi da essere
ricordati (Stevick 1983).
Il piacere della lettura può essere alimentato anche da percorsi alternati-
vi. Swaffar (1985) e Krashen (1997) suggeriscono la selezione individualizza-
ta che il singolo o gruppi di studenti possono realizzare in base ai loro inte-
ressi specifici. Questi itinerari alternativi stimolano nei discenti il “piacere
della lettura” perché nascono da motivazioni personali. Nel caso in cui si
prevedano gruppi di lettura fuori della classe, la comprensione del testo può

144
essere facilitata dalle diverse interpretazioni dei compagni. Un siffatto lavo-
ro può integrare il lavoro di classe, attraverso:
1. la realizzazione di progetti per gruppi d’interesse,
2. uno studio individuale ed indipendente,
3. fasi di tutoraggio.

5.3 Testi multimediali


Internet è senza dubbio la fonte primaria di materiale autentico più facil-
mente raggiungibile senza limiti di tempo o di spazio. La selezione, in que-
sto caso, non deve tener conto solo dei fattori più volte ripetuti sin qui, ma
anche misurarsi con altre componenti caratteristiche del mondo in rete. Le

ti.
infinità d’informazioni e di pagine Web a disposizione richiedono un’atten-

va
ta analisi del materiale e dei siti da proporre per poter aiutare lo studente

er
nella ricerca.

ris
Queste scelte possono seguire criteri di valutazione quali:

tti
- accuratezza dei contenuti (chiunque può pubblicare in rete e talvolta le
iri
informazioni non sono controllate da editori specifici);
id

- autorità (non è sempre facile ricevere abbastanza informazioni sull’au-


ti

tore del materiale);


ut
.T

- oggettività (possono essere poco chiari gli obiettivi degli autori dei
materiali);
re
ito

- circolazione delle risorse (quando non è visibile la data di pubblicazio-


ne non si è in grado di valutare l’aggiornamento delle pagine Web);
ed

- estensione delle risorse (è difficile stabilire quali argomenti siano inclusi


ci

e se vengano trattati sufficientemente data la mancata linearità di lettura


c
na

degli ipertesti che può condurre il lettore a seguire percorsi diversi).


Bo

Considerando tali direttive l’insegnante può strutturare una traccia d’iti-


nerari percorribili per i suoi studenti in base agli obiettivi che si è prefisso.
©

Può, inoltre, agevolare la ricerca del discente attraverso la creazione di mappe


concettuali (Petrucco 2001). Gli studenti insieme all’insegnante selezionano,
raggruppano e integrano parole chiave riguardanti l’argomento scelto che
possono essere utilizzate nella ricerca online.

6. Conclusione
Sebbene il limite dell’ambiente didattico rappresenti un dato oggettivo,

145
l’infinita varietà di risorse, di tecniche didattiche e di mezzi tecnologici che
sono ora utilizzabili, possono facilitare le connessioni con la realtà extrasco-
lastica e i contatti con il mondo socio-culturale di una lingua straniera. Da un
lato queste infinite disponibilità agevolano la didassi, dall’altro, però, evi-
denziano il problema della pluralità di competenze che l’insegnante dovreb-
be sviluppare, richiamandolo ad una riqualificazione continua.
Concludendo si può dedurre che, al di là delle diverse scelte metodologi-
che adottate dall’insegnante e di ciò che lui interpreta come “autenticità”
nella selezione del materiale utilizzabile, resta sempre valida l’osservazione
con la quale Corder (1976) sottolinea che: “Un efficace insegnamento della
lingua straniera lavora con anziché contro i processi naturali, facilita e non
impedisce l’apprendimento. L’insegnante e i materiali di cui si serve devono

ti.
adattarsi all’apprendente e non viceversa.”

va
er
riferimenti bibliografici

ris
BYRNES H. (1984), “The Role of Listening Comprehension: A Theoretical
Base”, in Foreign Language Annals, 17. tti
iri
BREEN M. (1985), “Authenticity in the language classroom’, in Applied
id

Linguistics, 6/1.
ti

CORDER P. (1976), “The Study of Interlanguage”, Proceedings of the Fourth


ut

International Conference of Applied Linguistics, Munich, Hochschulverlag.


.T

GUARIENTO W., MORLEY J. (2001), “Text and authenticity in the EFL clas-
re

sroom”, in ELT Journal, No. 4.


ito

LATOUR B. (1999), Pandora’s hope. Essay on the readlity of sciences studies,


Cambridge, MA, Harvard University Press.
ed

KRAMSCH C. (1987), “Foreign language textbooks: construction of foreign


ci

reality”, in Canadian Modern Language Review, 44/1.


c

KRAMSCH C. (1993), Context and Culture in Language Teaching, Oxford,


na

Oxford University Press.


Bo

KRAMSCH C. (1998), Language and Culture, Oxford, Oxford University Press


KRAMSCH C., ANDERSEN R. W. (1999), “Teaching Text and Context Trough
©

Multimedia”, in Language Learning & Technology, Vol. 2, No. 2.


KRAMSCH C., A’NESS F., LAM W. S. E. (2000), “Authenticity and Authorship
in the Computer-Mediated Acquisition of L2 Literacy”, in Language
Learning & Technology, Vol. 4, No. 2.
KRASHEN S.D. (1997), Foreign Language Education: The Easy Way, Culver
City, CA, Language Education Associates.
LITTLE D. G. e SINGLETON D. M. (1988), “Authentic materials and the role
of fixed support in language teaching: Towards a manual for language lear-
ners”, in CLCS Occasional Paper, No. 20, Dublin, Trinity College Centre for

146
Language and Communication Studies.

NORTON B. (2001), “Non participation, imagined communities, and the lan-


guage classroom”, in Breen, M. (cur.), Learner contribution to language lear-
ning: New directions in research, Harlow, England, Pearson Education.
NOSTRAND H.L. (1989), “Authentic texts-cultural authenticity: An edito-
rial”, in Modern Language Journal, 73/1.
OMAGGIO A. C. (1986), Teaching Language in Context, Boston, Heinle &
Heinle.
PALLOTTI G. (2002), Studiare nella L2: il problema della comprensione,
Master Itals.
PETRUCCO C. (2001), The Sewcom Method, http://cidoc.iuav.it/%7
Econrad/sewcom/metodo0.htm .

ti.
RINGS L. (1986), “Authentic Language and Authentic Conversational

va
Texts”, in Foreign Language Annals, 19, No.3.
STEVICK E. W. (1983), Teaching and Learning Languages, Cambridge,

er
Cambridge University Press.

ris
SWAFFAR J. K. (1985), “Reading Authentic Texts in a Foreign Language: A
tti
Cognitive Model”, in The Modern Language Journal, 69.
iri
VALDAM A. (1992), “Authenticity and communication in the foreign langua-
id

ge classroom”, in Kramsch C., McConnel-Ginet S. (cur.), Text and Context:


Cross-Disciplinary Perspectives on Language Study, Lexington, MA D.C.
ti
ut

Heath.
.T

WIDDOWSON H. G. (1979), Explorations in Applied Linguistics, Oxford,


re

Oxford University Press.


WIDDOWSON H. G. (1990), Aspects of Language Teaching, Oxford, Oxford
ito

University Press.
ed

WIDDOWSON H. G. (1992), Pratical Stylistics, Oxford, Oxford University


ci

Press.
c

WILKINS D.A. (1976), Notional Syllabuses, London, Oxfrod University Press.


na

WILKINS D. A. (1979), Notional Syllabuses: A Taxonomy and its Relevance to


Bo

Foreign Language Curriculum Development, Oxford, Oxford University


Press.
©

147
Capitolo 11
Lo sViLUPPo deLLe aBiLitÀ ProdUttiVe
Maddalena Angelino

In questo lavoro cercheremo di approfondire il ruolo delle abilità di


produzione e illustreremo i processi e le tecniche didattiche che possono
portare allo sviluppo e all’acquisizione di queste abilità.
La nozione delle “quattro abilità” – ascoltare, parlare, leggere, scrivere – è
da tempo riconosciuta dalla letteratura scientifica, tanto che la maggior parte
dei materiali didattici presenta le attività didattiche divise secondo questa
ripartizione. Il modello tradizionale per la definizione delle quattro abilità

ti.
primarie si basa sull’interrelazione tra due assi: da un lato l’opposizione

va
orale-scritto, dall’altro quella ricettivo-produttivo. Nella comunicazione,

er
però, raramente viene utilizzata separatamente una sola abilità alla volta e il

ris
loro uso può essere simultaneo o integrato. Le abilità sono quindi molte di
più se si considerano accanto alle quattro primarie tradizionali quelle che
tti
iri
richiedono un’integrazione di più abilità: l’abilità di interazione (saper
id

dialogare) e le abilità di trasformazione e manipolazione di testi (saper


riassumere, saper prendere appunti, saper parafrasare, saper scrivere sotto
ti
ut

dettatura e tradurre). Nella classe di lingua è importante che l’insegnante,


.T

oltre al lavoro sulle singole abilità, crei situazioni e attività che


re

presuppongano l’uso integrato e simultaneo di quest’ultime, per preparare


ito

gli studenti ad affrontare la realtà extrascolastica. Già nell’89 Nunan


ed

definendo il task “un tipo di attività che spinge l’apprendente a


comprendere, manipolare, produrre e interagire nella lingua target, mentre
ci

la sua attenzione è focalizzata più sul significato che sulla forma” (Nunan
c
na

1989), dava indicazioni di percorso in questa direzione.


Bo

1. Parlare
©

Parlare è senza dubbio un’abilità di primaria importanza nel mondo


contemporaneo ed è l’abilità alla quale ha dato maggior enfasi l’approccio
comunicativo. Vediamo in primo luogo quali sono le caratteristiche più
rilevanti del parlato.
Nella maggior parte dei casi il parlato viene prodotto e recepito in tempo
reale. Solitamente è scarsamente pianificato ed è prodotto sotto la pressione
del tempo a disposizione dei parlanti. Chi parla può contare sul feedback

148
immediato dell’interlocutore e utilizzare la ridondanza come facilitatore di
comprensione. L’impossibilità di ‘cancellare’ quanto è stato detto porta
spesso i parlanti ad autocorreggere e riformulare gli enunciati. Ricorrenti
sono i segnali discorsivi, le interruzioni e le false partenze, le ellissi,
l’implicitezza e gli accenni alle conoscenze condivise. L’intonazione e il
ricorso a mezzi paralinguistici diventano nel parlato parte integrante della
comunicazione. Il fatto che i parlanti si trovino quasi sempre nello stesso
luogo e nello stesso tempo rende possibile il ricorso alla deissi e coinvolge nel
processo anche i codici extralinguistici.
Nonostante le differenze, la ricerca attuale non individua più
un’opposizione fra parlato e scritto, tanto che alcuni studiosi considerano il
parlato come una variante di lingua legata al mezzo fonico-uditivo

ti.
(Bazzanella 1994). Molti tratti che caratterizzano l’italiano parlato oggi in

va
Italia spesso sono condivisi anche dallo scritto informale: alta frequenza dei

er
connettivi polifunzionali, riduzione delle congiunzioni coordinanti e

ris
subordinanti molto specifiche a favore di sinonimi di tipo polifunzionale,
presenza di colloquialismi, semplificazione dell’apparato morfosintattico del
tti
iri
verbo (uso dell’indicativo in luogo del futuro o del congiuntivo),
id

dislocazione a sinistra, che polivalente.


ti
ut

1.1 L’interazione orale


.T

Per interagire in lingua straniera non è sufficiente raggiungere una


re

competenza linguistica che permetta di comprendere e produrre testi il più


ito

possibile corretti sotto l’aspetto morfosintattico, lessicale, fonologico e di


ed

coerenza e coesione. Lo studente dovrà anche sviluppare una competenza


socio-pragmatica che gli consenta di selezionare le forme che considera più
c ci

appropriate al contesto socio-culturale dell’evento comunicativo (secondo il


na

modello rappresentato dall’acronimo SPEAKING di Hymes, ripreso in


Bo

Balboni 2002) e inoltre di organizzare il discorso nel modo più efficace per
raggiungere i suoi fini pragmatici.
©

Il parlare è un evento fondato sulla cooperazione, un processo in cui ogni


partecipante all’interazione interviene e contribuisce alla costruzione di un
unico prodotto. La premessa, quasi ovvia, che sta alla base della
cooperazione è che i parlanti desiderano essere capiti e interpretati
correttamente e gli ascoltatori desiderano decodificare efficacemente i
messaggi che ricevono. Ciò quindi significa anche rivalutare il ruolo
dell’ascoltatore rendendolo co-partecipe, fornendogli gli strumenti non solo
perché possa assentire o dissentire, ma anche intervenire con le sue

149
conoscenze sull’argomento, con le sue opinioni, con le sue richieste di
chiarimento o i suoi dubbi nella costruzione del discorso. E non solo:
l’ascoltatore poi dovrà poter disporre degli strumenti linguistici per prendere
a sua volta la parola e condurre il gioco (Zorzi Calò 1991).
I partecipanti ad una conversazione devono dunque di continuo negoziare
i contenuti del loro scambio comunicativo. I parlanti nativi utilizzano, molto
spesso inconsapevolmente, strategie discorsive con cui esplicitano le loro
intenzioni comunicative negoziando l’un con l’altro lo svolgimento della
comunicazione. Alcuni dei mezzi linguistici più frequenti del parlato italiano
si possono così raggruppare:
- per interrompere la comunicazione per inserirvisi e organizzare il
cambio di turno: appunto, infatti, anzi, scusa ma, prima che mi

ti.
dimentichi;

va
- per sollecitare la reazione dell’ascoltatore: chiaro?, no?, mi sono

er
spiegato?, vero?, mi stai seguendo?;

ris
- per mettere il proprio enunciato in relazione a quello che è stato detto
tti
prima e segnalare all’attenzione i punti di snodo del discorso: allora,
iri
id
insomma, ecco, quindi, cioè, voglio dire;
- per fornire all’interlocutore elementi di controllo sull’andamento della
ti
ut

comunicazione e segnalare la reazione: ho capito, è vero, già, eh, hmm,


.T

dimmi, addirittura, davvero;


re

- per attenuare o rinforzare affermazioni o richieste: in un certo senso, si


ito

può dire, oserei dire, figurati, altroché;


ed

- per introdurre un nuovo argomento o per concludere: a proposito,


ci

volevo chiederti, allora siamo d’accordo.


c

I parlanti non nativi difficilmente riescono ad riconoscere e ad usare


na

spontaneamente questi segnali discorsivi se non si propongono in classe


Bo

input autentici seguiti da un lavoro di analisi delle formule che marcano


©

l’andamento della conversazione. Le attività d’ascolto di testi autentici


possono gradualmente portare lo studente alla consapevolezza di come i
parlanti nativi gestiscono la conversazione, che in molti casi è regolata da
norme che variano di cultura in cultura. A questo proposito è utile ricordare
che nella comunicazione tra parlante non nativo e interlocutori nativi questi
ultimi tollerano con più facilità errori linguistici, dovuti all’imperfetta
conoscenza del codice, che errori pragmatici, che violano le regole sociali di
contatto verbale. Gli errori grammaticali, fonologici o lessicali vengono
immediatamente e più facilmente percepiti, ma gli errori pragmatici sono

150
quelli che disturbano di più, anche se inconsapevolmente, il nativo e
addirittura giungono in alcuni casi a bloccare la comunicazione (cfr.
Zamborlin e Pavan in questo volume).
Il parlante non nativo tuttavia durante il processo di apprendimento di
una lingua straniera mette in atto strategie per sopperire alla difficoltà di
espressione e alle lacune di tipo linguistico che gli impediscono una
comunicazione efficace. Nell’interazione orale è importante non
interrompere la comunicazione, si cerca quindi di superare le difficoltà con
opportune strategie, alcune delle quali possono anche essere sviluppate
didatticamente. Se ne può tentare una classificazione (Bygate M. 1984):
- strategie di conseguimento: sono strategie di approssimazione come
l’adattamento di una parola della lingua madre, il prestito dalla lingua

ti.
madre, la traduzione letterale, il conio di nuove parole, l’uso di

va
perifrasi. Sono anche strategie cooperative come la richiesta di

er
traduzione, la richiesta di chiarimento, la mimica, la costruzione con

ris
l’aiuto dell’interlocutore di una frase.
tti
- strategie di riduzione: strategie di elusione delle difficoltà fonologiche,
iri
l’elusione della complessità grammaticale, l’abbandono del tema, la
id

semplificazione del messaggio. È la reazione più immediata, una sorta


ti

di fuga dalle difficoltà.


ut
.T

Alcune strategie come la perifrasi, la sostituzione lessicale e la richiesta di


chiarimento sono utilizzate anche dai parlanti nativi e si rivelano molto utili
re

per lo sviluppo dell’abilità del parlato. Esse andrebbero rafforzate


ito

didatticamente attirando su di esse l’attenzione degli studenti e prevedendo


ed

attività in cui sia necessario farvi ricorso.


c ci

1.2 Lo sviluppo dell’abilità di dialogo


na
Bo

Nei dialoghi della comunicazione quotidiana occorre distinguere tra


parlato transazionale, finalizzato essenzialmente al passaggio di informazione,
©

e parlato interazionale finalizzato essenzialmente allo stabilire e mantenere


buoni rapporti interpersonali (Brown, Yule 1983). In realtà, nessuno
scambio verbale può essere considerato completamente transazionale o
interazionale: anche gli scambi che hanno come scopo la richiesta di beni o
di servizi presentano spesso una componenente interazionale (forme
amichevoli, brevi racconti personali, scherzi e piccole battute). D’altro canto
anche una semplice conversazione può presentare una componente
transazionale perché durante lo scambio comunicativo vengono modificate

151
le conoscenze reciproche e si ha un passaggio di informazioni. Le attività
proposte in classe dovrebbero avere come oggetto entrambe le tipologie di
parlato (Zorzi Calò 1991).
Nel primo caso il dialogo da realizzare sarà molto più standardizzato e
potrà essere di grande aiuto la conoscenza degli script o copioni situazionali,
cioè delle sequenze prevedibili e abbastanza fisse di atti e mosse
comunicative nei quali presumibilmente comparirà anche il lessico tematico
relativo (ad esempio: al bar: cliente e cameriere – alla stazione: turista e
bigliettaio) e delle formule di routine, formule fisse e codificate (saluti,
ringraziamenti, commiati e altre espressioni frequenti).
Nel secondo caso non sarà facile creare in classe le condizioni della
conversazione casuale, certo meno prevedibile, più spontanea e creativa di

ti.
conversazioni più codificate.

va
Prima di passare ad analizzare alcune tecniche ed attività didattiche utili

er
a tal fine, è opportuno ribadire come premessa, sempre più condivisa, che la

ris
realizzazione di scambi autentici in classe può avvenire solamente con la
presentazione di testi di ascolto autentici e con lo svolgimento di attività
tti
iri
coinvolgenti dal punto di vista comunicativo che permettano agli studenti di
id

esprimersi e imparare a negoziare significati (Ciliberti 1994).


Per comprendere l’importanza della produzione orale, in particolare la
ti
ut

produzione libera, occorre accennare brevemente al concetto di interlingua:


.T

quando lo studente parla liberamente il testo che produce è la manifestazio-


re

ne dell’esistenza della sua interlingua, il sistema linguistico in continua evo-


ito

luzione che egli costruisce a partire dall’input al quale è esposto. L’interlingua


ed

è un meccanismo interno soggetto a continui processi di sistematizzazione.


Condizione fondamentale affinché essa si sviluppi è che lo studente abbia
ci

occasione di usarla e che, per raggiungere i suoi scopi comunicativi, proceda


c
na

per ipotesi e tentativi sforzandosi di colmare il divario tra ciò che riesce a dire
Bo

e ciò che cerca di dire.


©

1.3 Le tecniche e le attività


Raggruppiamo per chiarezza in tre categorie alcune delle tecniche che
comunemente si possono utilizzare in classe per lo sviluppo del parlato:

a) Tecniche esercitative
Drills strutturali
Sono attività di tipo meccanico che hanno lo scopo di fissare strutture e
espressioni, rafforzando con la pratica gli automatismi necessari affinché

152
avvenga produzione orale. Queste esercitazioni possono riguardare le
strutture grammaticali, le funzioni o il lessico. Sono state recentemente
rivalutate perché essendo il parlare un’abilità cognitiva complessa che
implica l’uso parallelo e coordinato di molte sotto-procedure e, non essendo
possibile attivarne più di due o tre in parallelo, l’automatismo di alcune di
queste permetterà al parlante di concentrarsi via via sulle altre o di far fronte
a elementi nuovi o imprevisti migliorando la sua esecuzione (Pallotti 1999).
I drill anche se privi di reali scopi comunicativi, hanno il vantaggio di
richiedere poco tempo per lo svolgimento in classe e sono scarsamente
ansiogeni. Con alcuni accorgimenti (uso di immagini o di realia, giochi basati
sulla ripetizione o sul movimento) risultano piacevoli e possono essere
considerate esercitazioni “pseudo-comunicative”.

ti.
Drammatizzazione

va
Anche la drammatizzazione non ha alcun elemento creativo, ma consente

er
di fissare con la recitazione le espressioni che realizzano i principali atti

ris
comunicativi e soprattutto di esercitare gli aspetti fonologici e paralinguistici.
tti
È importante che l’insegnante fornisca come modello testi autentici per
iri
poter lavorare sull’ intonazione, il ritmo, la velocità di eloquio e il tono della
id

voce. Molto motivante risulta l’uso di sequenze filmiche nelle quali è facile
ti

osservare e interiorizzare anche le componenti extralinguistiche e che,


ut

durante la drammatizzazione, possono essere mostrate nella modalità sound


.T

off (senza audio).


re

Role taking
ito

Inseriamo nella categoria delle esercitazioni il role taking perché si tratta


ed

di una simulazione molto guidata in cui, sulla base di un dialogo già noto, gli
ci

studenti che interagiscono devono variare solo alcuni elementi. In una


c

situazione al bar, ad esempio, chi assume il ruolo del cliente può inserire
na

alcune variazioni su ciò che ordina, sulle caratteristiche che deve avere,
Bo

mentre chi assume il ruolo del barista varierà di conseguenza il prezzo e altri
particolari.
©

b) Tecniche di simulazione
Role play
Usiamo questo termine per indicare una simulazione che lascia gli
studenti interagire liberamente sulla base di informazioni riguardanti i
partecipanti e la situazione. Le simulazioni possono essere reali, cioè partire
da situazioni comuni nella realtà extrascolastica, o immaginarie, cioè
situazioni irrealizzabili, di fantasia.

153
Nel role play di tipo reale lo studente può anche interpretare sé stesso
variando il setting o i rapporti di ruolo tra i partecipanti: in questo caso lo
sforzo comunicativo è sostenuto dal coinvolgimento della sfera affettiva ed
emotiva. L’insegnante farà poi attenzione a rispettare la privacy dei singoli
studenti non esponendoli troppo di fronte al gruppo con la richiesta di
rielaborare quanto è stato detto o ponendo domande dirette.
Negli altri casi per contare su uno scarto comunicativo, un vuoto di
informazione, che metta in moto un’interazione molto simile a quella reale
bisognerà fare in modo che ogni partecipante abbia informazioni accessorie
che l’altro non ha. Seguendo queste modalità ci si avvicina allo scenario
proposto da Di Pietro nell’approccio dell’interazione strategica. Nello
scenario l’intera classe partecipa alla fase di preparazione anche se poi solo

ti.
alcuni membri procedono alla messa in scena. I protagonisti, ognuno

va
all’insaputa dell’altro, dovranno cercare di fare valere le proprie opposte

er
esigenze e risolvere situazioni di difficoltà facendo un uso strategico della

ris
lingua. L’analisi della performance verrà svolta da tutto il gruppo guidato
dall’insegnante. Nelle attività di simulazione l’insegnante avrà un ruolo
tti
iri
centrale di “regista” nella fase iniziale e conclusiva, mentre durante
id

l’interazione tra gli studenti resterà a loro disposizione solo come


“consulente” nel caso di problemi linguistici (Di Pietro 1987).
ti
ut

Telefonata e dialogo su chatline


.T

In queste varianti del role play cambiano gli strumenti fisici di


re

trasmissione. Per simulare una telefonata si dovrà fare in modo che gli
ito

studenti non si guardino, si diano le spalle o vengano divisi da un tramezzo:


ed

la comunicazione sarà più difficile perché gli studenti, come in una vera
telefonata, non potranno così far ricorso agli elementi extralinguistici. Anche
c ci

il dialogo su chatline pur utilizzando il codice scritto va, a nostro parere,


na

inserito in questa categoria, poiché nelle chat si utilizza un parlato-scritto in


Bo

cui sono tra l’altro ammessi errori di ortografia, battitura e morfosintassi e


l’interazione avviene in tempo reale, anche se ovviamente mancheranno tutte
©

le componenti paralinguistiche.

c) Attività di interazione in classe


Giochi
Si tratta di attività ludiche di vario tipo, games, che coinvolgono nel loro
svolgimento tutta la classe divisa in squadre o piccoli gruppi. Gli obiettivi dei
giochi possono essere di tipo morfosintattico, funzionale o lessicale. La
lingua oggetto di studio diventa “il mezzo per giocare” e l’insegnante può

154
diventare ‘l’arbitro’del gioco. Le tecniche ludiche sono ben accette anche
dagli adulti a patto che gli scopi glottodidattici siano esplicitati e l’attività
proposta sia motivante. L’atmosfera giocosa contribuisce ad abbassare il
filtro affettivo favorendo così l’acquisizione. L’insegnante dovrà selezionare e
dosare le tipologie di giochi da svolgere in classe in modo che la
competizione alla lunga non prevalga sulla cooperazione.
Soluzione cooperativa di problemi
Sono compiti che richiedono un’interazione comunicativa tra i
partecipanti per raggiungere una soluzione unica al problema. I gruppi di
lavoro usano materiali diversi ma complementari distribuiti dall’insegnante
(orari, mappe e cartine, fotografie, testi orali o scritti) e interagiscono tra di
loro scambiando informazioni e opinioni usando la lingua oggetto di studio.

ti.
Un compito, ad esempio, potrebbe essere: risolvere un giallo in base ad

va
indizi e informazioni di vario genere fornite dell’insegnante.

er
Compiti più complessi, che richiedono anche interazioni con il mondo

ris
reale fuori dalla classe e giungono alla realizzazione di un prodotto o
tti
un’esperienza, rientrano nel project work (cfr. Ridarelli 1998). Nelle fasi di
iri
realizzazione l’italiano LS è il mezzo per preparare, sviluppare e portare a
id

termine un progetto, attraverso un insieme di compiti che mettono in gioco


ti

molteplici abilità. Progetti possono essere ad esempio la produzione di un


ut

dépliant turistico o informativo, la realizzazione di un reportage,


.T

l’organizzazione di una mostra o di un evento.


re

Discussione
ito

Si basa sullo scambio di opinioni riguardanti un tema prestabilito e si


ed

svolge in plenum, può essere informale o più simile ad un dibattito.


ci

L’insegnante dovrebbe in questo caso fungere da moderatore. È un’attività


c

spesso difficile da gestire, tuttavia è utile per rendere consapevoli gli studenti
na

delle differenti modalità di presa di parola, di uso del tempo e di gestione dei
Bo

turni, fattori che dipendono da variabili legate al contesto e alla cultura.


Soprattutto a livello avanzato la capacità di inserirsi in una conversazione è
©

considerata da molti apprendenti una componente decisiva della


comunicazione, ma difficile da acquisire se non viene esercitata in apposite
attività.
Monologo
Ad un’attenta analisi il parlato monologico in senso stretto si realizza in
casi assai rari. Chi parla in pubblico, infatti, non sempre interloquisce, ma in
qualche modo interagisce con i suoi destinatari. Gli ascoltatori dispongono
di codici non-verbali con i quali possono interagire, più o meno

155
volontariamente, per indicare che sono d’accordo, si annoiano, sono
interessati, si divertono, sono infastiditi.
In classe spesso il monologo coincide con un turno esteso interrotto da
brevi domande da parte degli altri studenti o dell’insegnante e può rientrare
in generi diversi: narrazione, descrizione, relazione, persuasione. Il
monologo può essere preparato in precedenza, per potere organizzare i
contenuti e avere a disposizione una “scaletta”, o improvvisato. Nel secondo
caso l’insegnante dovrà tener presente che saper improvvisare su un dato
soggetto davanti ad un gruppo di ascoltatori è una capacità utilissima che
però non si consegue spontaneamente e richiede uno specifico
addestramento. Nella fase preparatoria può essere opportuno segnalare la
possibilità di ricorrere a segnali discorsivi del tipo “in primo luogo”, “in

ti.
secondo luogo”, “inoltre”, “infine”, oppure anche più chiari come “vedremo

va
anzitutto…”, “abbiamo visto… e ora passiamo a…”: si tratta di strumenti di

er
coerenza testuale per organizzare il discorso e nello stesso tempo aiutare la

ris
comprensione di chi ascolta testi (per approfondimenti cfr. Balboni 1998 e
Brighetti, Minuz 2001).
tti
iri
La gestione dello spazio in classe durante le attività comunicative riveste
id

un’importanza fondamentale per la riuscita delle stesse e per l’efficacia della


comunicazione. Lo spazio dovrebbe favorire al massimo l’interazione: gli
ti
ut

studenti dovrebbero potersi disporre a coppie e in piccoli gruppi a seconda


.T

delle attività seguendo diverse modalità. Ad esempio nelle attività in cui


re

esprimono contenuti personali è preferibile che gli studenti si siedano uno di


ito

fronte all’altro, in situazioni di tipo concreto (in un’agenzia di viaggi, in


ed

segreteria, alla posta) si possono utilizzare i tavoli come desk di lavoro. Si


dovrebbe cercare di organizzare il setting nel modo più vicino alla realtà
ci

(immaginiamo persone che parlano in autobus, ad una festa, in un talk show,


c
na

in una conferenza, nel corso di un gioco a squadre). Durante le attività di


Bo

produzione orale l’insegnante sarà fuori dallo spazio dello scambio


comunicativo per non inibire o bloccare i parlanti, ma resterà a disposizione
©

come consulente. Nelle fasi preparatorie o conclusive delle attività la


disposizione ideale è solitamente quella che favorisce l’interazione tra
insegnante/studenti e studenti/studenti: il gruppo di studenti in semicerchio
e l’ insegnante di fronte a loro nello spazio che resta libero oppure i tavoli
disposti ad “U” che consentono all’insegnante di occupare lo spazio centrale
e di muoversi liberamente.

156
2. scrivere
Il lavoro sull’abilità di scrittura non va confuso con lo svolgimento degli
esercizi scritti, che sono in realtà tecniche di manipolazione centrate su
strutture morfosintattiche, attività puramente esercitative prive di scopi
comunicativi. Con scrivere come abilità primaria si intende la produzione di
testi scritti, che può essere più o meno guidata oppure libera. Scrivere fa
parte integrante della competenza comunicativa, spesso però nei livelli più
bassi ha un ruolo secondario rispetto alle altre abilità, mentre nei livelli più
alti viene richiesta la produzione scritta per diverse finalità trascurando il
lavoro sui processi che facilitano questo tipo di produzione.
Indubbiamente la produzione di un testo scritto presenta difficoltà, a tutti
i livelli di apprendimento e talvolta anche in LM. Per scrivere un testo

ti.
efficace lo studente dovrebbe possedere il controllo lessicale, strutturale,

va
testuale e stilistico della lingua oggetto di studio, adatto al testo che intende

er
scrivere e all’evento comunicativo in cui si inserisce. I destinatari dovrebbero

ris
poi poter decodificare con chiarezza i contenuti comunicativi del testo
tti
prodotto. Il testo scritto risulta solitamente più “corretto” rispetto al parlato,
iri
più esplicito, proprio perché non è possibile fare ricorso a mezzi prosodici,
id

né alla mimica o ai gesti e non si può tener conto del feedback immediato
ti

dell’ interlocutore. Nello scritto si cerca di evitare le ripetizioni e le


ut

riformulazioni, che al contrario nel parlato sono funzionali ad una maggiore


.T

comprensibilità, spesso la sintassi è più complicata e di solito viene richiesta


re

maggiore precisione lessicale: diventa quindi importante un lavoro di


ito

pianificazione perché il prodotto finale non dovrebbe presentare incertezze


ed

nell’organizzazione del discorso (Lavinio 1994).


ci

Nelle attività di scrittura possiamo fare ricorso alla funzione del monitor
c

(la funzione di controllo che l’apprendimento esercita sulla lingua secondo la


na

Second Language Acquisition Theory di Krashen): grazie alla permanenza del


Bo

prodotto scritto è possibile attivare il controllo sulla lingua da parte dell’


apprendimento razionale. Lo scrivere offre il tempo di riflettere e di
©

apportare modifiche o di considerare alternative. Nel parlato invece un


eccessivo controllo razionale è controproducente, perché la ricerca di
correttezza formale può andare a discapito della fluenza della produzione
linguistica.
Non sono da trascurare altri vantaggi offerti dall’ attività di scrittura,
anche nei livelli più bassi di apprendimento, dove per anni si è evitata la
richiesta di produzione di testi scritti. L’enfasi data alla lingua orale dal
metodo diretto e dall’approccio audio-orale, come reazione all’approccio

157
formalistico, negli ultimi tempi si sta riequilibrando nella prassi didattica a
favore della lingua scritta. Lo scrivere in realtà consente allo studente di
esprimere le proprie opinioni ed emozioni, la propria creatività, di
raccontare la sua storia e i suoi progetti personali, insomma “di farsi sentire”,
anche se non fin da subito in modo appropriato ed efficace. Questi sono i
presupposti fondamentali perché si realizzino, sia nell’orale che nello scritto,
gli obiettivi di un approccio di tipo comunicativo. Un uso dell’italiano
centrato sui contenuti che si vogliono comunicare, inoltre, favorisce
l’acquisizione della lingua oggetto di studio. Ribaltando le convinzioni del
metodo grammaticale-traduttivo, si può parlare allora di un uso della lingua
per imparare quella lingua e non di imparare una lingua per usarla. Quando,
nelle fasi iniziali dell’apprendimento, risulta molto più difficile esprimere

ti.
opinioni o raccontare avvenimenti oralmente, l’espressione scritta - pagine di

va
diario, lettere, brevi commenti - può evitare il senso di frustrazione che

er
alcuni studenti, soprattutto adulti, inevitabilmente provano. Lo scrivere può

ris
essere visto come un’utile palestra che può dare allo studente sicurezza anche
nella produzione orale o abituare ad un uso più creativo della lingua, se
tti
iri
l’attenzione non è posta esclusivamente sul prodotto finito e corretto ma sui
id

contenuti.
ti
ut

2.1 Lo sviluppo dell’abilità di scrittura


.T

Per certe categorie di studenti, in particolare gli studenti degli scambi


re

universitari o dei corsi di formazione professionale, le attività che implicano


ito

la scrittura sono essenziali. In questi casi l’insegnante, in fase di


ed

programmazione del corso, darà ampio spazio alle attività mirate allo
sviluppo delle abilità che consentono di saper stendere relazioni e progetti,
c ci

scrivere lettere formali, prendere appunti, sostenere esami scritti ed


na

elaborare tesine.
Bo

Al di là di questi casi, in cui l’utilità è legata ai bisogni dei singoli studenti,


è evidente che la frequenza d’uso e il ruolo pragmatico dello scrivere
©

nell’attività linguistica di un parlante medio sono inferiori rispetto a quelli


delle altre abilità, poiché si dedica di solito più tempo ad ascoltare, parlare e
dialogare, leggere. Lo scrivere è di fatto riservato a gruppi limitati: giornalisti,
scrittori, studiosi, si tratta quindi di scrittura professionale. Negli ambienti di
lavoro non si può parlare di necessità di una vera abilità di scrittura, poiché
si utilizzano di solito modelli da compilare o testi su traccia predisposta,
mentre la corrispondenza scritta è stata sostituita dal telefono, poi dal fax ed
ora dalla posta elettronica che presenta caratteristiche particolari e si

158
potrebbe definire uno scritto molto vicino al parlato (Spina 1996).
Tradizionalmente nella didattica l’attenzione era posta sul prodotto finito,
sul risultato della scrittura, mentre ora si tende a considerare la scrittura
soprattutto come processo, in cui si possono identificare alcune fasi.
Vediamo come impostare alcune attività per lavorare sul processo:

a) analisi del contesto situazionale: gli scopi di chi produce quel dato testo
e quelli del destinatario, il rapporto di ruolo che intercorre fra i due, il luogo
fisico e culturale in cui si trovano. È utile abituare gli studenti ad individuare
in testi autentici proposti dall’insegnante, ad esempio alcuni tipi di lettere, lo
scopo, il rapporto tra l’emittente e il destinatario ed il registro usato;
b) la definizione del tipo di testo che si intende produrre (argomentativo,

ti.
istruttivo o altri) e del genere testuale (ad esempio relazione, lettera, articolo).

va
Per riflettere sui generi comunicativi si possono analizzare, sempre in gruppi,

er
testi appartenenti a generi comunicativi diversi: ad esempio una lettera

ris
ufficiale, un curriculum vitae, una descrizione. Le ipotesi e i risultati possono
tti
poi essere messi a confronto e discussi collettivamente. Lo scopo dell’analisi
iri
è riuscire a scoprire quali regole li caratterizzino, regole che possono variare
id

da lingua a lingua (come le formule di apertura e chiusura di una lettera) o


ti

essere basate su azioni fondamentali, ad esempio narrare, descrivere e così


ut

via, che regolano in tutte le lingue la formazione di testi e la loro possibilità


.T

di inserirsi in generi precisi. Alcune di esse, infatti, sono universali: ad


re

esempio in una relazione la concordanza dei tempi è fondamentale, mentre


ito

in una descrizione è importante la denotazione lessicale, i sinonimi, la scelta


ed

degli aggettivi. L’ idea di base è quella di portare gradualmente gli studenti a


padroneggiare i meccanismi e i procedimenti compositivi della scrittura con
c ci

attività che vadano dall’analisi, alla manipolazione e in seguito alla


na

elaborazione autonoma. Progettando materiali o unità di apprendimento di


Bo

questo tipo sarà utile, dove è possibile, evitare proposte troppo schematiche,
perché potrebbero risultare demotivanti, e presentare allo studente la
©

classica pagina bianca da riempire solo quando il compito non risulterà


troppo difficile;
c) la definizione della linea concettuale che darà coerenza al testo, la
“scaletta”. È un obiettivo di tipo cognitivo: si tratta della progettazione del
testo. Rappresenta il momento dell’individuazione delle idee e della loro
organizzazione, in cui il lavoro di scrittura viene osservato nel suo farsi. È la
fase più importante anche se spesso è stata trascurata nella lingua madre,
seguendo la prassi corrente di iniziare subito a scrivere una volta ricevuta la

159
consegna. A questo livello le informazioni possono mantenere il loro aspetto
sintetico, vengono solo messi in evidenza i concetti e i legami fra di essi.
Questa fase dovrebbe essere completamente libera e basarsi sulla espressione
delle idee: eliminando l’ansia legata alla scrittura dovrebbero venir attivate le
conoscenze inconsce. Si può lavorare sulla progettazione decidendo ad
esempio di variare la disposizione del materiale tematico o dei fatti, di
eliminare o di aggiungere alcune parti. Nella fase della progettazione di testi
si possono utilizzare tecniche di brainstorming e costellazioni (per
approfondimenti sulle tecniche cfr. Balboni 1998);
d) la stesura di un testo coerente e coeso. Una volta decisa la scaletta le
fasi di espansione, stesura e poi di revisione possono essere condotte
individualmente o a gruppi. In questa fase prevalgono le decisioni che

ti.
riguardano la sfera linguistica, ad esempio l’uso di determinati costrutti

va
sintattici, le concordanze, i connettivi. La stesura del testo scritto può

er
risultare piuttosto complessa se i processi ai livelli più bassi (ortografico,

ris
morfologico, sintattico) non sono ancora automatizzati. Tutte le tecniche
tti
adatte a rinforzare la competenza morfosintattica e grafemica possono
iri
gradatamente portare all’automatizzazione di alcuni processi e abbassare il
id

livello d’ansia che il dover scrivere spesso causa. La programmazione da


ti

parte dell’ insegnante dovrà tenere conto di una graduazione dei compiti, in
ut

modo che chi scrive possa concentrarsi sulle scelte via via necessarie a livello
.T

testuale, semantico e pragmatico.


re

Questa fase comprende anche due momenti da non trascurare: la


ito

revisione e, eventualmente, la riscrittura. Durante la rilettura si controllano


ed

gli aspetti ortografici e sintattici, la coesione e la coerenza, l’adeguatezza al


genere testuale e al destinatario prescelti, le scelte lessicali e sintattiche
c ci

effettuate. Per riuscire a sviluppare un senso critico negli studenti è


na

necessario aver lavorato nelle fasi precedenti su testi autentici o su testi


Bo

prodotti da altri studenti. Il lavoro di revisione può essere svolto tra pari dagli
studenti, tenendo presente che chi ha scritto il testo è pur sempre l’autore e
©

può decidere di tenere conto o meno dei suggerimenti del collega.


L’insegnante, oltre ad essere consulente per problemi linguistici, può fornire
una griglia che sia di aiuto nella valutazione dei vari aspetti da controllare.
Più in generale l’intervento dell’insegnante si attua direttamente sul
processo di scrittura e non, come spesso avveniva, sul prodotto scritto e
finito, tramite correzioni a penna rossa. L’intervento è quindi più efficace e
sostiene e il lavoro degli studenti nelle fasi di progettazione, di stesura e di
revisione.

160
Il ricorso al lavoro di gruppo in alcune fasi del processo di scrittura è
supportato dalla considerazione che solitamente le prestazioni del gruppo
sono migliori di quelle di un unico componente. Inoltre interagire può
significare per gli studenti scoprire debolezze o punti forti, porsi domande e
trovare risposte, avere più occasioni di pratica e negoziazione, creare un
clima disteso e rilassato che consenta di sopportare eventuali fallimenti e di
abbassare il filtro affettivo (Ciliberti 1994).

2.2 La scrittura in classe


Fino a poco tempo fa quando si parlava di produzione scritta si pensava
al “tema” tradizionale che ha costituito per decenni l’unica prova di verifica
dell’abilità di scrittura in LM e talvolta in LS. Nella forma tradizionale era un

ti.
puro esercizio scolastico di sviluppo di un argomento o amplificazione di

va
una tesi in cui l’allievo doveva scrivere un testo disponendo unicamente di

er
sintetiche indicazioni. I dati riguardanti il destinatario, il rapporto di ruolo

ris
tra il destinatario e l’emittente, lo scopo per cui si scriveva un “tema” non
tti
erano mai resi espliciti, il testo prodotto era quindi privo di bisogni
iri
comunicativi reali e di coordinate che potessero regolarlo. Il tema
id

tradizionale si avvicina per tipologia ad un saggio, che però resta generico se


ti

lo studente non ha la possibilità di prepararsi e se non dispone di indicazioni


ut

per quanto riguarda il destinatario e lo scopo della composizione.


.T

È invece di fondamentale importanza rendere espliciti il genere dello


re

scritto che si chiede di produrre, lo scopo - che può essere quello di


ito

informare, disquisire, speculare, persuadere, contrastare, dimostrare e così


ed

via - e il destinatario o i destinatari. Nella vita di tutti i giorni esiste un’ampia


gamma di testi che si devono scrivere o abitualmente si scrivono, testi che in
c ci

italiano LS richiedono un lavoro preparatorio perché possiedono


na

caratteristiche specifiche: narrazioni - dove hanno importanza i fatti, la


Bo

successione temporale, le nozioni di tempo; lettere formali e non - che


richiedono attenzione al registro, al lessico specifico, ai modi verbali;
©

relazioni su eventi - che accentuano la funzione dei verbi e della struttura


temporale, con caratteristiche del testo descrittivo; testi istruttivi - dove è
fondamentale l’ordine delle operazioni, la chiarezza e la precisione, le forme
verbali: imperativo, infinito; descrizioni - che richiedono particolare
attenzione alla precisione lessicale e alle nozioni spaziali e possono essere
oggettive o soggettive; testi prescrittivi - caratterizzati dall’uso del “si” e di
forme impersonali, dall’imperativo, passivo e futuro; testi argomentativi, che
hanno come fine la persuasione e richiedono una costruzione adatta agli

161
scopi che ci si prefigge, con una notevole attenzione ai meccanismi di
coesione e agli usi del congiuntivo.
Il lavoro sull’abilità di scrittura si può cominciare già nei livelli più bassi,
seguendo alcuni accorgimenti:
- fornire sempre esempi semplici e autentici con cui gli studenti possano
familiarizzarsi e da cui possano partire per la loro produzione;
- cominciare con testi brevi e aumentare gradualmente la lunghezza dei
testi che si richiede di produrre;
- in un primo tempo facilitare il processo di scrittura, fornendo una
struttura graficamente attraente da completare o una serie di domande
che impostino un testo già dotato di coerenza;

ti.
- indicare sempre l’evento comunicativo in cui si colloca la produzione

va
scritta;

er
- variare e diversificare le tipologie dei testi;

ris
- prevedere, se necessario, un lavoro preliminare sul vocabolario
tematico;
tti
iri
- collegare e inserire le attività di scrittura alle funzioni e al vocabolario
id

dell’unità di apprendimento in corso.


ti
ut

- evitare le correzioni a penna rossa, per la connotazione negativa che di


.T

solito le accompagna;
re

- includere commenti positivi sulle parti ben riuscite del testo (Cicogna e
ito

Nuessel, 1993).
ed

I testi con cui si possono confrontare gli allievi già dalle prime lezioni
ci

sono quelli che riguardano la comunicazione personale. Possono essere brevi


c
na

messaggi personali, come quelli lasciati sui post-it o inviti informali. Anche le
Bo

cartoline non presentano particolari difficoltà, data la sinteticità del formato.


Può venire chiesto agli studenti di scrivere seguendo una scaletta decisa in
©

precedenza, oppure, utilizzando cartoline provenienti da luoghi diversi,


offrire spunti per commenti sul luogo, indicazioni riguardanti il motivo del
viaggio o il clima e così via. Anche per le prime lettere informali una struttura
da completare o una scaletta possono essere di aiuto. Più avanti l’insegnante
può distribuire in classe lettere a cui gli studenti cercheranno, anche con
lavoro collaborativo, di rispondere. Nei livelli intermedi si può lavorare
anche alla stesura di curricula, lettere formali e risposte ad annunci.
La fase di scrittura può naturalmente essere inserita in attività più

162
complesse e articolate che richiedono l’uso di più abilità. Nonostante
l’utilizzo di materiali autentici e ricorrendo a simulazioni il più possibile
vicine alla realtà extrascolastica sappiamo che il lavoro resta molto spesso
artificiale. In questo caso per rendere lo scrivere in classe realmente
comunicativo e interattivo la soluzione, con l’aiuto delle nuove tecnologie,
potrebbe essere quella di impostare uno scambio di e-mail con studenti
italiani (Besnard, Elkabas, Rosienski-Pellerin 1996) o organizzare la
partecipazione a chat.
La pagina di diario ha per definizione un suo scopo comunicativo: si scrive
per se stessi. Un suggerimento per fare diventare questo tipo di attività
ancora più interessante è quello di rendere il diario personale accessibile ad
altri studenti o allo stesso insegnante, in modo da stimolare reazioni

ti.
personali e commenti a quanto scritto (Brodine 1990). Facilmente

va
realizzabile è anche un diario di classe alla stesura del quale a turno

er
collaborano tutti gli studenti.

ris
Le descrizioni di tutti i tipi - di persone, di luoghi, di immagini - si
prestano a diverse attività di solito ben accette dagli studenti e adatte a tutti
tti
iri
i livelli a seconda del tipo di descrizione che si vuole realizzare. Anche con i
id

testi narrativi gli studenti si possono cimentare fin da subito, cominciando ad


esempio con storie per immagini o sequenze di suoni da trasformare in un
ti
ut

racconto scritto, inventando storie utilizzando parole date dall’insegnante o


.T

dagli altri studenti oppure creando insieme una storia seguendo diverse
re

tecniche e spunti (numerosissimi sono i percorsi di scrittura creativa,


ito

utilizzabili anche nell’insegnamento della lingua straniera, cfr. Calzetti e


ed

Donaggio 1995). Generi solitamente considerati complessi come la poesia


possono essere introdotti in classe proficuamente seguendo le “ricette” di
ci

Mollica per lavori a coppie o in gruppi (Mollica 1995, Luzi Catione 1995).
c
na

Per quanto riguarda i testi istruttivi, le ricette di cucina offrono


Bo

numerosissimi spunti di lavoro: incastro di paragrafi dati in ordine sparso,


riempimento con i vocaboli indicanti gli ingredienti o i verbi specifici,
©

stesura di una ricetta tipica del proprio paese. Coinvolgente è anche la


proposta di fare preparare agli studenti una mappa, ad esempio dalla scuola
alla casa di chi organizza una festa, con tutte le informazioni e le istruzioni
necessarie per raggiungere il luogo indicato.
Il confronto con un testo interpretativo-valutativo come il commento
risulta particolarmente motivante, perché il punto di partenza non è un
argomento, spesso generico, come nel tema tradizionale, ma un testo o un
film, una mostra, un concerto (recensione) che rientra nell’esperienza diretta

163
dello studente. Esprimere le proprie reazioni e il proprio giudizio costituisce,
infatti, uno scopo comunicativo valido. Nei livelli avanzati, se si intende dare
maggior spazio alla scrittura, si potrà lavorare, a seconda dei bisogni
linguistici degli studenti, alla stesura di tesine, relazioni, verbali, lettere
formali con diversi scopi, articoli di cronaca o di costume, magari all’interno
di un progetto per un giornale della scuola.

3. La verifica delle abilità di produzione


La verifica delle abilità produttive ci pone di fronte al non semplice
compito di raccogliere dati ed elaborare ipotesi sul livello di competenza
comunicativa di uno studente. La verificabilità della competenza

ti.
comunicativa è limitata infatti dalla natura ciò di cui può disporre

va
l’insegnante: i prodotti linguistici, le esecuzioni comunicative degli studenti,

er
che possono essere frutto di apprendimento razionale e non di acquisizione

ris
duratura e non ci informano con attendibilità sui processi e sulla
competenza. La nostra riflessione toccherà qui per ovvi motivi solo alcuni
punti fondamentali sul piano metodologico. tti
iri
id
La verifica può essere condotta secondo due modalità complementari:
- il testing diffuso, i cui i dati vengono registrati in una scheda durante le
ti
ut

normali attività didattiche;


.T

- il testing formale periodico, durante lo svolgimento del quale gli


re

studenti sanno di essere sottoposti a verifica e i cui risultati potranno


ito

dunque influenzati dallo stress e dall’innalzamento del filtro affettivo.


ed

Il testing formale si può effettuare alla fine di una o più unità, alla fine di
un modulo o come test conclusivo di un corso. Oggetto della verifica dovrà
c ci

essere ciò che è stato presentato ed esercitato in classe, in termini di abilità,


na

di padronanza degli atti comunicativi, di acquisizione delle regole verbali e


Bo

non verbali. Per ottenere dati affidabili le tecniche utilizzate per la verifica
dovranno essere già note e familiari agli studenti per il fatto che sono state
©

d’abitudine usate per lo sviluppo delle abilità.


Nella valutazione dell’abilità di interazione orale è necessario considerare
che se l’interazione è tra insegnante e studente, il valutatore è impegnato
nello scambio e non può essere un testimone attendibile. D’altro canto una
coppia di studenti che interagiscono può essere squilibrata perché il più
bravo sovrasta l’altro nella gestione della comunicazione. Per ovviare a
questo problema il dialogo tra insegnante e studente potrebbe essere
registrato e valutato successivamente. In questo caso l’insegnante dovrà

164
cercare di non guidare eccessivamente la conversazione e favorire con
spontaneità la produzione da parte dello studente.
A maggior ragione il monologo dovrebbe essere valutato solo in presenza
di una registrazione. I risultati di questa prova possono essere considerati
significativi solo se i parametri sono stati chiaramente definiti in precedenza.
Se si intende verificare l’abilità di scrittura è necessario fornire sempre
chiarimenti riguardo al genere, allo scopo e al destinatario del testo scritto.
Sarebbe consigliabile dare anche indicazioni sulla lunghezza minima e
massima del testo da produrre per una comparazione più uniforme delle
produzioni scritte degli studenti del gruppo. Anche in questo caso il
parametri dovranno essere chiari e, essendo unicamente gli aspetti linguistici
oggetto di verifica, non comprenderanno aspetti di tipo cognitivo e

ti.
nozionistico.

va
Suggeriamo di seguito un agile strumento per la verifica delle abilità di

er
produzione, una scheda utilizzabile sia per il testing diffuso che per il testing

ris
formale, nella quale per ogni voce si inseriranno giudizi o punteggi numerici:

tti
iri
nome efficacia scorrevolezza precisione accuratezza coerenza
id

studente pragmatica lessicale formale e coesione testuale


ti
ut
.T
re
ito
ed
ci

riferimenti bibliografici
c
na

BALBONI P.E. (1994), Didattica dell’ italiano a stranieri, Roma, Bonacci.


Bo

BALBONI P.E. (1998), Tecniche didattiche per l’ educazione linguistica, Torino,


UTET Libreria.
©

BALBONI P.E. (2002) Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società


complesse, Torino, UTET Libreria.
BAZZANELLA C. (1994), Le facce del parlare, Firenze, La Nuova Italia.
BESNARD, C. ELKABAS, C., ROSIENSKI-PELLERIN, S. (1996), “Students’
Empowerment: E-mail Exchange and the Development of Writing Skills”, in
Mosaic, 2.
B RIGHETTI C., MINUZ F. (2001), Abilità del parlato, Torino, Paravia
Scriptorium.

165
BRODINE R. (1990), “Writing for Yourself and Others”, in Lingua e Nuova
Didattica, 1-2.
BROWN G., YULE G. (1984), Teaching the spoken languag, Cambridge,
Cambridge University Press.
BYGATE M. (1987), Speaking, Oxford, Oxford University Press.
CALZETTI M.T., PANZERI DONAGGIO, L. (cur.), Educare alla scrittura. Processi
cognitivi e didattica, Firenze, La Nuova Italia.
CANDELI A.C. (1989), “Dalla scaletta all’ indice via outliner”, in Italiano &
Oltre, 5.
CELCE-MURCIA M., OLSHTAIN ELITE (2000), Discorse and Context in
Language Teaching, Cambridge, Cambridge University Press.
CICOGNA C., NUESSEL, F. (1993), “Teaching Writing in Elementary and

ti.
Intermediate Language Classes: Suggestions and Activities”, in Mosaic, 2.

va
CILIBERTI A. (1994), Manuale di glottodidattica, Firenze, La Nuova Italia.

er
CORNO D. (1987), Lingua scritta, Torino, Paravia.

ris
DE MAURO T. (cur.) (1994), Come parlano gli italiani, Firenze, La Nuova
Italia.
tti
iri
DI PIETRO R.J. (1987), Strategic Interaction. Learning Languages Through
id

Scenarios, New York, Cambridge University Press.


FERRERI S. (1989, “Andar per gradi nei testi”, in Italiano & Oltre, 4.
ti
ut

GALATOLO R., Pallotti, G. (cur.) (1999), La conversazione. Un introduzione


.T

allo studio dell’interazione verbale, Milano, Raffaello Cortina.


re

HOWE M.G.A. (1974), “The utility of Taking Notes as Aid to Learning”, in


ito

Educational Research, 16.


ed

K RASHEN S.D. (1984), Writing: Research, Theory and Applications,


Pergamon, Oxford.
ci

K UHLHAVY R.W. et alii (1975), “The effect of Notetaking and Text


c
na

Expectancy on the Learning of Text Material”, in Journal of Educational


Bo

Research, 68.
LAVINIO C. (1994), Le abilità di scrittura, MILIA IRSSAE Liguria.
©

LONGOBARDI M. (1997), “Il piacere della scrittura”, in Lingua e Nuova


Didattica, 5.
MARIANI L. (1990), “Rielaborare e sintetizzare prendendo appunti”, in
Lingua e Nuova Didattica, 3.
LUZI CATIZONE R. (1995),”Scrivere una poesia” in Scrivere. Atti del 7°
Seminario Internazionale DILIT, Roma, Edizioni DILIT.
MOLLICA A. (1995), “Creative Writing: Poetry in the Language Classroom”,
in Mosaic, 1.

166
MORRI, S. (1983), “Dictation: A Tecnique in Need of Reappraisal”, in ELT
Journal, 2.
NUNAN D. (1989), Designing Tasks for the Communicative Classroom,
Cambridge, Cambridge University Press.
PALLOTTI G. (1998), La seconda lingua, Milano, Bompiani.
PIAZZA R. (cur.) (1995), Dietro il parlato. Conversazione e interazione verbale
nella classe di lingua, Firenze, La Nuova Italia.
POZZO G. (1990), “L’apprendista scrittore”, in Lingua e Nuova Didattica, 3
RIDARELLA G. (1998) “Projekt work” in Serra Borneto, C. (a cura di) (1998),
C’era una volta il metodo, Roma, Carocci.
SERRA BORNETO C. (cur.) (1998), C’era una volta il metodo, Roma, Carocci.
SAMEK LUDOVICI P. (cur.) (1995), Laboratorio di scrittura, Firenze, La Nuova

ti.
Italia.

va
SPINA S. (1996), “L’ italiano nella ragnatela”, in Italiano & Oltre, 6

er
TIXI M. (1994), Le abilità orali, MILIA IRRSAE - Liguria.

ris
TRIBBLE C. (1996), Writing, Londra, Oxford University Press.
ZORZI CALÒ D. (1991), “La pedagogia del parlato: principi teorici e
tti
iri
applicazione didattica” in La formazione dei dirigenti scolastici italiani
id

all’estero, IRRSAE - Abruzzo.


ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

167
Capitolo 12
Lo sViLUPPo deLLe aBiLitÀ riCettiVe
Elena Ballarin

Secondo il modello quadripolare delle abilità linguistiche le abilità ricet-


tive consistono nella capacità di ascoltare e nella capacità di leggere una lin-
gua straniera. Tuttavia, entrambe queste abilità richiamano un unico proces-
so, il processo di comprensione. In questo capitolo verrà affrontato il suo svi-
luppo e verranno successivamente analizzate alcune tecniche didattiche utili
a sviluppare le due abilità esaminate.

ti.
1. La comprensione

va
er
Il processo di comprensione si mette in moto in conseguenza all’intera-

ris
zione di alcuni fattori: la competenza comunicativa, la conoscenza del
mondo e il complesso dei processi cognitivi che presiedono alla definizione
tti
dei nessi temporali o causali. Questa interrelazione attiva la Expectancy
iri
id
Grammar, la quale opera sulla base della consapevolezza situazionale e in
base alla ridondanza (ottenendo informazioni supplementari nel contesto,
ti
ut

nel cotesto e nel paratesto) (Balboni 1994).


.T

1.1 La Expectancy Grammar


re
ito

La Expectancy Grammar (Oller 1979) è la capacità di prevedere che cosa


ed

può essere detto o scritto in una determinata situazione, usando un certo les-
sico quando si parla o si scrive di determinati argomenti (contesto), quando
ci

si usa un certo tipo di testo, un determinato genere comunicativo (barzellet-


c
na

ta, lezione, ecc.) e un certo tipo di sintassi (cotesto).


Bo

Il contesto, dunque, è dato dall’argomento, dal luogo, dal momento in cui


avviene lo scambio comunicativo. Parimenti, il ruolo psicologico e sociale dei
©

soggetti viene determinato dai loro scopi comunicativi, dalle norme sociali
che regolano la comunicazione, dalla ridondanza contestuale (il fatto che lo
stesso messaggio possa essere ripetuto in codici diversi da quello verbale).
Il cotesto è definito dal genere comunicativo cui l’evento comunicativo
appartiene e di cui si conoscono le norme costitutive, è delineato dalla testu-
ra, da quei meccanismi che definiscono la coesione dell’atto comunicativo,
dagli indicatori metacomunicativi, perché definiscono la coerenza del mes-
saggio, infine i reticoli morfosintattico e semantico offrono esempi di ridon-

168
danza che facilitano la comprensione.
Il paratesto è definito dai titoli, dalle figure che accompagnano un testo,.
Da tutti quegli elementi che, attorno al testo, aggiungono informazioni sup-
plementari e ridondanti.
La comprensione non viene vista, quindi, come un processo lineare, ma
come un processo globale e simultaneo, perché l’expectancy grammar per-
mette di creare un’ipotesi globale e simultanea1 di quanto può essere detto o
scritto e questa ipotesi viene, poi, confermata, modificata o smentita da ciò
che successivamente si ascolterà o si leggerà. Se l’ipotesi è corretta, sarà pos-
sibile comprendere anche un messaggio disturbato come un annuncio alla
stazione ferroviaria o un messaggio stampato male.

ti.
1.2 L’enciclopedia

va
Con questo termine si indica la conoscenza del mondo condivisa tra chi

er
parla e chi ascolta. Questa conoscenza permette di creare ipotesi su quanto

ris
può essere detto o scritto e, allo stesso tempo, consente di disambiguare gli
elementi polisemici.
tti
iri
Esistono dei copioni di comportamento tipici di molte situazioni: una
id

persona saluta un’altra persona conosciuta, le chiede come sta, come sta la
ti

famiglia, l’altra persona ricambia i saluti e, probabilmente, dopo aver rispo-


ut

sto, rivolge all’interlocutore le stesse domande, poi i due si salutano e se ne


.T

vanno. Esistono, poi, dei campi semantici prevedibili che includono le


re

varianti su un preciso tema (Balboni 2002): una persona entra in un negozio


ito

di abbigliamento per comprare una maglia. La maglia può essere di lana, di


ed

cotone, può essere larga o stretta, può essere in vari colori, in tinta unita o in
fantasia.
c ci

Anche la conoscenza del mondo favorisce, perciò, la comprensione,


na

quando il messaggio che arriva non è completo o è fortemente disturbato. La


Bo

conoscenza di quel tipo di situazione in quel dato Paese, dunque, fa intuire


quanto può essere detto o scritto.
©

1.3 La competenza comunicativa


Quando si impara una lingua straniera, la competenza comunicativa è
ancora in fieri: in questa fase dell’apprendimento si possiede una interlingua
su cui si fa affidamento per poter comunicare e che è indispensabile per
1
Che la comprensione sia un processo globale e simultaneo piuttosto che un processo lineare è
confermato da studi di neurolinguistica. Cfr. M. Danesi (1988), Neurolinguistica e Glottodidattica, Padova,
Liviana e G. Freddi (1999), Psicolinguistica, sociolinguistica, glottodidattica, Torino, Utet.

169
poter comprendere. Se l’interlingua è limitata, la capacità di comprendere è
parimenti ridotta.
Insegnare a comprendere una lingua comporta, dunque, l’affinamento, il
potenziamento e l’attivazione costante di tutte le strategie di comprensione e
dei processi cognitivi che sottostanno alla expectancy grammar e che sono
inconsci. Perciò, le strategie didattiche dell’insegnante devono essere tese a
mettere in moto la capacità di creare ipotesi adeguate, non a colmare ipote-
tiche carenze linguistiche.
Inoltre, a seconda degli scopi, la comprensione si distingue in compren-
sione intensiva (parola per parola), comprensione estensiva (globale) e com-
prensione mirata (tesa all’identificazione di qualche dettaglio). Perciò è asso-
lutamente funzionale all’insegnamento della comprensione della lingua

ti.
anche la scelta appropriata di quale strategia convenga utilizzare.

va
er
1.4 Obiettivi

ris
Ai fini dell’educazione linguistica in riferimento specifico alle abilità di
tti
ricezione, si può, dunque, dire che bisogna insegnare a cogliere il contesto
iri
situazionale per poter creare ipotesi attendibili, a cogliere il cotesto e il para-
id

testo, infine, a scegliere e poi a utilizzare la strategia adeguata per poter com-
ti

prendere un evento comunicativo.


ut

Tuttavia, è opportuno tenere bene presenti gli scopi di chi si accinge a


.T

imparare una lingua per poter attivare le strategie più adeguate: se, infatti, in
re

un aeroporto pieno di rumori interessa comprendere l’annuncio del numero


ito

del cancello da cui parte un determinato volo, sarà opportuno attivare una
ed

strategia di ascolto estensivo e mirato (scanning); se, invece, l’oggetto della


comprensione è costituito dal piacere della lettura tout court, sarà opportu-
c ci

no attivare una lettura di tipo intensivo.


na

Quindi, a seconda degli scopi per cui si intende comprendere un evento


Bo

comunicativo (piacere, informazione, studio, ecc.) vengono attivate strategie


diverse, perché si creano ipotesi differenti.
©

2. il ruolo glottodidattico delle abilità di comprensione


Dal punto di vista glottodidattico insegnare a comprendere significa inse-
gnare ad attivare nel modo più efficace la expectancy grammar (Balboni
1991).
Questo processo cognitivo è fondamentale per giungere all’intelligenza
dell’evento comunicativo, per poter entrare dentro l’evento (coglierne il livel-

170
lo semantico e pragmatico) e per poter collegare e cogliere il filo logico che
lega il discorso.
La glottodidattica non solo definisce le mete e gli obiettivi dell’educazio-
ne linguistica, ma indica anche i percorsi in cui le mete e gli obiettivi sono
disposti gerarchicamente

2.1 Priorità delle abilità ricettive


Sulla base dell’osservazione di quanto avviene nell’acquisizione della lin-
gua materna2, si può sostenere che le abilità ricettive ricoprono un ruolo
prioritario rispetto alle abilità produttive: l’approccio umanistico affettivo
allo studio di una lingua straniera si propone, infatti, di non generare nel
discente uno stato di ansia e stress. Quindi, l’accostamento alla lingua si basa

ti.
inizialmente sull’abilità di ascolto lasciando che lo studente produca lingua

va
soltanto quando si sente psicologicamente e affettivamente sicuro.

er
ris
2.2 Priorità dell’abilità ricettive orale sull’abilità ricettiva scritta
tti
La scrittura è un codice derivato dalla lingua orale e la sequenza “dall’o-
iri
rale allo scritto” viene confermata dal Direct Method, dall’approccio struttu-
id

ralistico3, dall’approccio comunicativo (nelle versioni situazionale e nozio-


ti

funzionale)4. Infatti, il ruolo di un metodo funzionale è quello di portare alla


ut
.T

padronanza della lingua viva, soprattutto nella sua forma parlata; tuttavia,
questo obiettivo è subordinato al fatto che lo studente, prima di tutto, deve
re

essere a diretto contatto con la lingua parlata. Tra lo studente e la lingua stra-
ito

niera vi deve, quindi, essere un contatto diretto, senza ricorrere alla lingua
ed

madre e senza l’intermediazione della teoria.


c ci
na

3. tecniche per lo sviluppo delle abilità di comprensione


Bo

Una tecnica è un’attività di classe attraverso cui il materiale linguistico


viene presentato agli studenti e da questi analizzato, elaborato, prodotto
©

(Balboni 1999). Questa affermazione prevede, dunque, la necessità di tenere


sempre presente che l’atto didattico non può fare a meno del discente, che
l’insegnante si presenta come guida all’interno del gruppo classe, che all’in-
terno della classe deve essere presente uno spirito di collaborazione e coo-
perazione.

2
Cfr. G. Freddi (1999), Op. cit., capp. 1-2
3
Che viene anche chiamato audio-lingual in inglese.
4
Cfr. anche R. Titone (1993), Psicopedagogia e glottodidattica, Padova, Liviana.

171
Verranno qui analizzate alcune tecniche volte allo sviluppo delle due abi-
lità primarie della comprensione, ascoltare e leggere.

3.1 Ascolto plurilingue e ascolto selettivo


L’ascolto plurilingue è una tecnica legata alla diffusione della televisione
via satellite e consiste nell’ascolto di un programma televisivo spostando l’au-
dio della rete che si sta seguendo nell’audio della rete della lingua che si sta
imparando. L’immagine è la stessa, ma cambia il commento verbale che la
accompagna. Questa tecnica costringe lo studente a legare la sua compren-
sione al contesto e alla conoscenza del mondo.
Nell’ascolto selettivo si devono riconoscere solo alcune parole o espres-
sioni. L’evento comunicativo viene proposto senza alcuna attività propedeu-

ti.
tica e il compito è solo quello di cogliere il maggior numero possibile di dati.

va
Alla fine dell’ascolto i dati vengono controllati a gruppi o a coppie, si proce-

er
de a un’attività di anticipazione e poi a un secondo ascolto. L’oggetto di que-

ris
sta tecnica è la capacità di cogliere frammenti e di servirsene per creare ipo-
tti
tesi contestuali (comprendere il luogo, dove ci si trova; comprendere la situa-
iri
zione, cosa sta avvenendo).
id
ti

3.2 Accoppiamento lingua-immagine e parola-definizione


ut
.T

Questa tecnica si realizza presentando delle immagini (disegni, fotocopie,


lucidi, diapositive, fotografie) contrassegnate da una lettera. Gli studenti
re

esplorano le immagini, poi ascoltano (o leggono) brevi testi, descrittivi o dia-


ito

logici, numerati che si riferiscono alle immagini e devono accoppiare il


ed

numero del testo alla lettera dell’immagine (es. A2, B5, ecc.). Questa tecnica
ci

consente di lavorare sulla comprensione senza dover ricorrere alla produzio-


c

ne; è, inoltre, utile se usata nella fase di verifica della comprensione e può
na

essere impostata su computer, fornendo materiale per l’autoapprendimento


Bo

e il recupero.
©

La tecnica che prevede l’accoppiamento della parola alla sua definizione


sviluppa in particolare modo la funzione metalinguistica: si fornisce una lista
di parole e, in ordine diverso, una lista delle loro definizioni. L’allievo dovrà
procedere all’accoppiamento.

3.3 Elicitazione
Tecnica didattica che consiste nell’estrarre, attraverso domande, suggeri-
menti, brainstorming, ecc. informazioni o frammenti di informazioni che i

172
vari allievi possiedono ma che, essendo distribuiti in maniera casuale e
incompleta nella classe, non appaiono significativi se non dopo che, elicitan-
doli, l’insegnanti li ha collegati fra loro. Questa tecnica è fondamentale per
sviluppare il processo di anticipazione, quindi, per l’attività iniziale del pro-
cesso di comprensione. Attraverso l’elicitazione, infatti, l’insegnante riesce a
rendere consapevoli gli studenti di quello che già sanno e su cui possono
innestare nuovo input. Inoltre, questo tipo di tecnica favorisce la collabora-
zione in classe e questo elemento permette di tenere sempre sotto controllo
il meccanismo del filtro affettivo. È noto infatti che, soprattutto nella didat-
tica ad adulti, la generazione di ansia e stress blocca il processo di acquisi-
zione linguistica.

ti.
3.4 Cloze

va
Il cloze consiste nell’eliminazione di una parola ogni x. Di solito viene eli-

er
minata ogni “settima” parola, perché questa corrisponde a quel 15% della

ris
comunicazione che, statisticamente, viene perso a causa di rumori o disturbi
tti
della codifica, trasmissione o decodifica dei messaggi.
iri
L’allievo deve inserire nel vuoto la parola mancante o, almeno, una paro-
id

la accettabile in quel contesto. Per consentire la creazione di un cotesto suf-


ti

ficiente a garantire la comprensione, di solito vengono lasciate intere le prime


ut

righe del testo. Mano a mano che il testo si definisce meglio, si passa a eli-
.T

minare una parola ogni sei e poi una ogni cinque, ma sotto la soglia della
re

quinta parola il testo non è più ricostruibile, quindi, non sarà proponibile un
ito

cloze che riporti vuoti troppo frequenti e scenda oltre la soglia del cinque.
ed

Questo appena descritto è il cloze “a crescere”, vi è poi il cloze “facilitato”,


che elenca in calce le parole da inserire o che presenta nei vuoti un disegno
c ci

corrispondente alla parola eliminata.


na

Alcune varianti prevedono che vengano cancellate solo le parole temati-


Bo

che (che si riferiscono a informazioni già presenti nel testo) o solo le parole
rematiche (portano informazioni nuove rispetto a quanto già espresso nel
©

testo). Quest’ultima variante accentua il ruolo dell’emisfero destro del cer-


vello che è preposto all’elaborazione di informazioni nuove e risulta più dif-
ficile, perché mette in gioco sia la competenza testuale sia i processi che pre-
vedono la conoscenza del mondo.
Nel cloze in LS il discente può inserire le parole mancanti anche nella LM,
in quanto deve dimostrare di comprendere le parole che precedono e che
seguono, piuttosto che la conoscenza della specifica parola che è stata tolta.
Questa tecnica può essere usata anche per l’ascolto: l’insegnante presen-

173
ta un testo orale (un nastro registrato) interrompendosi in più punti; l’allie-
vo avrà qualche secondo per formulare un’ipotesi sulla parola (o sulla frase)
che segue basandosi sulla sua expectancy grammar.
Questa tecnica, di solito, viene accettata dagli allievi senza troppi proble-
mi di filtro affettivo, in quanto l’allievo è solo di fronte al testo e non c’è l’in-
segnante-inquisitore che lo intimorisce. Inoltre, l’elemento della sfida favori-
sce la motivazione e mette, quindi, in moto il processo di acquisizione lin-
guistica.
Il cloze è un’ottima tecnica per sviluppare la capacità di una persona di
considerare il testo nella sua globalità: per individuare la parola mancante o
un suo sinonimo, bisogna cogliere ogni ridondanza contestuale e cotestuale
e non fissarsi sulla singola frase.

ti.
Inoltre, per la sua precisione essa viene usata molto spesso nella fase di

va
verifica e anche nel language testing e per il suo carattere di sfida è uno stru-

er
mento ideale per il recupero individualizzato di quegli allievi che presentano

ris
una expectancy grammar inadeguata.

tti
iri
3.5 Attività di accoppiamento e incastro
id

Queste tecniche riguardano attività che chiedono all’allievo di restaura-


ti

re l’ordine in una sequenza che è stata scompigliata. Per svolgere il compi-


ut

to di incastro l’allievo deve attivare i processi di temporalità, causalità,


.T

inclusione, esclusione, che sono essenziali nel processo di comprensione.


re

Anche in questo caso queste attività sono molto bene accettate dagli allievi
ito

che da un lato colgono l’elemento della sfida, dall’altro si trovano a com-


ed

porre una specie di puzzle.


L’incastro può avvenire a diversi livelli:
c ci

- incastro di parole. Gli allievi devono rimettere in ordine parole scompi-


na

gliate di una frase. In questo caso si attivano i meccanismi sintattici e


Bo

anche la dimensione semantica gioca un ruolo importante;


©

- incastro di frammenti di frase. Si devono ricomporre le frasi che sono


state spezzate e disposte su due colonne, di cui una con un ordine diver-
so dall’altra. In alcuni casi il meccanismo attivato può essere di tipo
semantico e di conoscenza del mondo, in altri casi può essere morfo-
sintattico;
- incastro delle frasi che compongono un periodo/incastro dei paragrafi
che compongono un testo. In queste due varianti la rapidità dell’esecu-
zione si unisce a un’impostazione giocosa all’attivazione dei meccanismi
di testualità;

174
- incastro delle battute di un dialogo. In una colonna si dispongono, nel-
l’ordine corretto, le battute di un personaggio, nell’altra colonna si tro-
vano scompigliate le battute dell’altro personaggio. Questa variante
attiva la competenza pragmatica: l’allievo deve identificare gli scopi dei
parlanti e poi individuare le battute con cui tali scopi vengono perse-
guiti;
- incastro di battute nelle vignette di un fumetto. Le vignette sono ripro-
dotte nella successione originale, mentre le battute, numerate, sono in
ordine casuale. L’allievo deve scrivere nella “nuvoletta” di ogni scena il
numero della battuta appropriata. Questa attività stimola la competen-
za pragmatica e anche la competenza semiotica, perché prevede l’inte-
razione tra due codici;

ti.
- incastro di vignette. Le vignette, ciascuna complete di disegno e battu-

va
ta, vengono presentate in ordine sparso. In questo caso si verifica l’in-

er
terazione funzionale dei codici visivo e verbale;

ris
- incastro di testi. Si presenta agli allievi una serie interrelata di testi come
tti
accade, ad esempio, in una transazione commerciale. Gli allievi devono
iri
leggere i testi e poi indicare quale di essi è il primo, quale il secondo e
id

così via. Questa tecnica mette in gioco il complesso delle conoscenze


ti

enciclopediche, ma è anche importante per potenziare la lettura mirata,


ut
.T

perché si deve prestare attenzione ai dettagli che possono guidare alla


soluzione del problema.
re
ito

Queste tecniche possono essere usate tanto per la comprensione scritta,


quanto per la comprensione orale e, parimenti, è anche possibile interrelare
ed

lettura e ascolto.
c ci
na

3.6 Domanda, scelta multipla, griglia


Bo

La domanda è la tecnica più scontata per guidare, ma anche per verifica-


re la comprensione. Tuttavia, è anche la tecnica meno motivante, perché è la
©

tecnica “scolastica” per eccellenza e poi perché è basata su un falso di natu-


ra pragmatica: l’insegnante, infatti, chiede una risposta che già conosce. Si
verifica, inoltre, il problema della lingua in cui porre la domanda: se la
domanda viene fatta in lingua straniera, si aggiunge difficoltà a difficoltà; se
la domanda viene posta nella lingua materna, diventa un suggerimento per la
comprensione. Lo stesso vale per la risposta che deve dare lo studente.
La griglia è una variante che può ovviare ai problemi della domanda diret-
ta. Non si verifica, infatti, demotivazione: l’allievo non ha davanti un inse-

175
gnante-inquisitore che pone domande di cui già conosce le risposte; l’allievo
ha un testo come controparte e può misurare da sé la propria competenza;
non si verifica il problema della scelta della lingua in cui porre la domanda e
fornire la risposta; la correzione, che può essere anche collettiva, è, inoltre,
rapida e oggettiva.
La scelta multipla è essa pure una variante della domanda e può presen-
tarsi come una frase con tre o più conclusioni possibili, come una serie di
affermazioni che possono essere vere o false, come frasi o testi al cui interno
si trovano parole poste in alternativa ad altre parole. Questa tecnica è molto
adatta per la guida alla comprensione, perché presenta chiaramente gli ele-
menti su cui l’allievo deve focalizzare l’attenzione e, inoltre, la correzione
può essere effettuata in tempo reale, durante l’ascolto. Nella variante del

ti.
vero/falso si può, infine, stimolare una discussione per giustificare la scelta

va
della risposta.

er
ris
3.7 Trascodificazione

tti
Questa tecnica prevede che lo studente trasformi il messaggio in un codi-
iri
ce diverso da quello originale: il messaggio linguistico può essere transcodi-
id

ficato nel codice cinesico (quando si chiede di mimare, di eseguire ordini, di


ti

montare apparecchiature) o nel codice grafico (quando si chiede di seguire


ut

un itinerario su una piantina o quando si chiede di eseguire o completare un


.T

disegno). È certamente possibile eseguire questa tecnica anche all’inverso:


re

passando, cioè, dal codice cinesico o grafico a quello linguistico.


ito

I vantaggi offerti da questa tecnica sono diversi, ma, tra questi, i più note-
ed

voli sono costituiti dalla mancata contrapposizione allievo-insegnante, da


un’atmosfera giocosa e dalla rapidità della correzione, che avviene a opera
c ci

dei compagni e non a opera dell’insegnante.


na
Bo

3.8 Dettato
©

La tecnica del dettato prevede la trascrizione di un testo che viene letto a


voce alta dall’insegnante o riprodotto da un registratore. Questa tecnica, in
realtà, non sviluppa soltanto l’abilità di comprensione, ma anche l’abilità di
produzione e varia da lingua a lingua: nelle lingue italiana, spagnola e latina
il dettato riguarda la mera competenza grafemica, perché il problema orto-
grafico è minimo; nella lingua francesce il dettato implica una notevole ana-
lisi morfosintattica, perché molte desinenze (maschili, femminili, verbali)
compaiono nello scritto, ma non nell’orale; in inglese il dettato costituisce
una prova soprattutto ortografica; in russo o in greco il dettato sviluppa

176
anche la padronanza alfabetica.
Particolarmente efficace nello sviluppo della comprensione appaiono,
dunque, la variante del dettato-cloze in cui l’allievo deve scrivere solo le parti
mancanti del testo e la dicto-composition, in cui l’allievo trova le parti delle
frasi che compongono un riassunto e deve completarle sotto dettatura.
Tuttavia, perché il dettato produca acquisizione, è necessario che non crei
ansia. Dunque, per limitare l’effetto ansiogeno, è necessario che la correzio-
ne avvenga tra compagni o in autocorrezione e, perciò, sarà cura dell’inse-
gnante fornire a ciascuno studente, alla fine del dettato, il testo completo e
corretto. Particolarmente efficace, ai fini di ridurre l’ansia e lo stress, appare
la variante del dettato-disegno, in cui il disegno viene realizzato dall’allievo
che ne ascolta le caratteristiche dettate dall’insegnante. L’allievo deve, dun-

ti.
que, dimostrare di comprendere il messaggio ascoltato, ma il tutto avviene in

va
un’atmosfera giocosa e distensiva.

er
ris
4. La verifica delle abilità di comprensione
tti
Le tecniche descritte precedentemente servono anche per la verifica delle
iri
id
abilità ricettive. Per alcune è possibile procedere all’attribuzione del punteg-
gio secondo una scala del tipo: tot risposte corrette, tot punti, come nel caso
ti
ut

delle scelte multiple. Altre tecniche, invece, come il cloze o certi tipi di inca-
.T

stri prevedono l’attribuzione del punteggio “a scalare”: si stabilisce, cioè,


quanti punti attribuire a un cloze eseguito correttamente e si toglie un punto
re

per ogni errore, calcolando che, oltre una certa soglia, il punteggio è zero.
ito

Può essere utile per una verifica in itinere una scheda di questo tipo:
ed
ci

NOME COMPRENSIONE INDIVIDUAZIONE SCOPI COMPRENSIONE COMPRENSIONE ELEMENTI


c

ALLIEVO STRUTTURALE DI COESIONE DEL TESTO


na

Refer. Infer. Dichiar. Implic. DEL TESTO


Bo
©

Questa griglia permette di valutare alcune voci della comprensione come


la comprensione sia referenziale, che inferenziale dell’argomento; l’indivi-
duazione non solo degli scopi dichiarati, ma anche di quelli impliciti; la com-
prensione della strutturazione e della coerenza logica di un testo; l’indivi-
duazione e la comprensione dei meccanismi di coesione (anafora, catafora,

177
referenze, ecc.) che regolano un testo.
Uno strumento di questo tipo è altamente flessibile e adattabile a secon-
da degli elementi che si intendono valutare: possono essere oggetto della
verifica, ad esempio, anche l’analisi dei ruoli sociali di un testo o il registro
di una conversazione.

5. La comprensione dei testi letterari


Alcune tecniche permettono di lavorare alla comprensione della lettera-
rietà dei testi e consentono di guidare l’allievo alla scoperta delle caratteri-
stiche che distinguono i testi letterari da quelli privi di scopo estetico.

ti.
5.1 Individuazione della letterarietà

va
Questa tecnica aiuta a scoprire testi scritti con intenti letterari distin-

er
guendoli da testi scritti con altri scopi. Si presenta all’allievo un testo lettera-

ris
rio accanto alla sua parafrasi: viene richiesto allo studente di individuare il
testo letterario e di motivare la sua scelta presentando le “prove” della lette-
tti
iri
rarietà. Una variante di questa tecnica può essere la presentazione di testi che
id

descrivono un paesaggio: un testo può essere tratto da una guida turistica, un


testo da un libro di geografia, un ultimo dalla pagina di un romanzo.
ti
ut

Attraverso il confronto e l’analisi testuale dei tre brani viene richiesta all’al-
.T

lievo la motivazione della letterarietà.


re

Lo scopo principale di questa tecnica non è tanto l’individuazione cor-


ito

retta della letterarietà, quanto piuttosto la motivazione di tale scelta che può
ed

avvenire soltanto attraverso un’accurata analisi testuale e un confronto-


discussione all’interno del gruppo classe.
c ci
na

5.2 Manipolazione della letterarietà


Bo

Si chiede all’allievo di modificare alcune delle caratteristiche che defini-


scono la letterarietà di un testo per verificare se, dopo le modifiche, il testo
©

può ancora definirsi letterario. Tutti gli elementi possono essere modificati:
si possono eliminare gli “a capo” alla fine di ogni verso, il dialogo può esse-
re trasformato in discorso indiretto, il punto di vista può essere spostato da
un personaggio all’altro, le digressioni possono essere poste in nota, ecc.
Anche in questo caso lo scopo di questa tecnica non si esaurisce nella
modifica del testo, ma nella discussione che giustifica ogni singola modifica
e che permette all’allievo di acquisire gli elementi che caratterizzano un testo
come letterario.

178
5.3 Apprezzamento critico
Una tecnica che può aiutare l’allievo a riflettere sul valore di un testo è il
ranking: l’allievo riceve una serie di giudizi relativi a un testo e deve creare
una graduatoria, indicando qual è il giudizio che meglio definisce il testo.
Un’altra tecnica utile è la scelta multipla in cui tutte le varianti proposte
possono essere valide: in questo caso ogni scelta va motivata e spiegata alla
classe e all’insegnante.
Entrambe queste tecniche, come pure le tecniche proposte precedente-
mente, prevedono una presa di coscienza degli elementi costitutivi la lettera-
rietà e il valore estetico del testo: proporne una discussione collettiva favori-
sce il processo di acquisizione e avvantaggia notevolmente il processo di
comprensione.

ti.
va
er
ris
riferimenti bibliografici

tti
BALBONI P.E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-
iri
plesse, Torino, Utet Libreria.
id

BALBONI P.E. (1999), Dizionario di Glottodidattica, Perugia, Guerra.


BALBONI P.E. (1998), Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino,
ti
ut

Utet.
.T

BALBONI P.E. (1994), Didattica dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci.


re

DANESI M. (1988), Neurolinguistica e glottodidattica, Padova, Liviana.


ito

FREDDI G. (1999), Psicolinguistica, sociolinguistica, glottodidattica, Torino,


ed

Utet.
OLLER J.W. (1979), Language Tests, Londra, Longman.
ci

TITONE R. (1993), Psicopedagogia e glottodidattica, Padova, Liviana.


c
na
Bo
©

179
Capitolo 13
La VaLUtaZione degLi
aPPrendimenti LingUistiCi
Rita Minello

Nella molteplicità delle funzioni valutative l’azione del valutare viene


spesso definita come attività che consiste nell’emettere un giudizio in vista di
una decisione. In realtà ciò si traduce in una vera e propria operazione di
attribuzione di valore a fatti, eventi, oggetti, persone in relazione agli scopi
che colui che valuta intende perseguire. Assumiamo dunque il termine valo-
rizzare nella sua piena accezione positiva, anche come ricerca di ciò che è for-

ti.
malmente utile.

va
Accanto all’interpretazione valoriale, vi sono diverse altre funzioni valu-

er
tative, fra cui quella esplicativa, progettuale, decisionale e orientativa, for-

ris
mativa e sommativa, certificativa. In pieno approccio umanistico, possiamo,
tti
infine, identificare uno scopo sociale della valutazione e della sua cultura:
iri
favorire e promuovere la padronanza allargata delle trasformazioni e delle
id

complessità che alimentano un sistema “aperto” come la scuola, la forma-


ti

zione, l’istruzione.
ut

Una valutazione che si qualifica come significativa cerca soprattutto il


.T

valore formativo dei processi attivati, perciò il suo compito è di interpretare


re

e comprendere il senso e il significato delle trasformazioni dell’apprendi-


ito

mento degli allievi. In caso contrario, ci troviamo di fronte ad un’indagine


ed

che non mira a produrre informazioni significative, ma solo informazioni.


Il risultato della valutazione è una congettura dotata di senso (Margiotta),
c ci

il cui senso viene attribuito da chi la effettua e da chi la interpreta (Lakatos:


na

condivisione dei criteri). La valutazione non è mai assoluta o definitiva.


Bo

L’incertezza è sempre presente, ed è perciò necessario assumere un atteggia-


mento scientifico (di ricerca) riservando alla valutazione il ruolo di convalida
©

delle ipotesi di riuscita che ci si pone in sede di progettazione. Per superare


la soggettività della valutazione è opportuna la massima trasparenza comuni-
cativa negli scopi, nei criteri e nei metodi tra coloro che valutano.

1. La competenza del valutare


La valutazione presuppone la disponibilità di un sistema di discriminazio-
ne della qualità e della quantità degli “oggetti” da valutare, un sistema capa-

180
ce di consentire una “classificazione” e un’interpretazione che vada oltre le
loro caratteristiche intrinseche. Un evento ritenuto positivo in rapporto a
certi scopi o in determinati contesti, può infatti rivelarsi negativo in relazio-
ne ad altri scopi ed altri contesti. Il giudizio può essere formulato solo in base
al sistema di discriminazione elaborato o prescelto perché, se è importante
valutare i successi, è altrettanto decisivo determinare la natura e la frequen-
za degli scarti tra ciò che ci si aspetta e ciò che si verifica. Base di partenza
del processo valutativo sarà dunque una raccolta d’informazioni utili per
facilitare le scelte.
Vi è una sostanziale differenza tra verifica e valutazione, che possiamo
così sintetizzare:
Verificare: registrare in forma quantitativa il livello dei singoli risultati

ti.
raggiunti in base agli obiettivi posti inizialmente; in tal caso, più che di

va
“misurazione”, preferiamo parlare di “accertamento”, ovvero di analisi

er
ponderata (misurazione) di ciò che è possibile osservare e misurare

ris
mediante strumenti che differenziano e discriminano le caratteristiche
dei fenomeni sottoposti a controllo.
tti
iri
Valutare: giudicare in forma qualitativa i cambiamenti e i progressi fatti
id

rispetto alla situazione iniziale, sulla base di numerose e differenti veri-


ti

fiche.
ut
.T

Secondo quest’ottica le verifiche degli apprendimenti sono gli strumenti


della valutazione, concorrono a formare la valutazione, ma non la esaurisco-
re

no.
ito

In particolare nella scuola di base – che deve favorire lo sviluppo perso-


ed

nale, sociale e culturale degli alunni, nella prospettiva di un percorso forma-


ci

tivo – la valutazione non può riferirsi esclusivamente ai risultati conseguiti


c

nelle verifiche e non deve limitarsi ad un aspetto sommativo delle abilità e


na

delle competenze apprese. Le verifiche periodiche sui singoli apprendimen-


Bo

ti sono solo una “fotografia” dell’alunno durante un percorso formativo in


©

divenire, non una “foto segnaletica” punitiva con giudizio di valore annesso.
Se ci si limitasse a misurare la comprensione, le conoscenze già possedute, le
capacità innate, allora la valutazione sarebbe davvero un giudizio di valore,
per cui il bambino più fortunato per provenienza socioculturale o per intel-
ligenza innata, sarebbe da premiare con una lista di “Ottimo”, mentre il
bambino svantaggiato o in difficoltà sarebbe spesso “punito” da valutazioni
minime o insufficienti.
Ciò non significa che la “misurazione” degli apprendimenti sia un’opera-
zione secondaria: anzi, è necessario sperimentare e saper costruire prove di

181
verifica ben strutturate per garantire una rilevazione corretta delle compe-
tenze e delle abilità.
Secondo Tessaro (1997) le principali azioni di valutazione consistono nel
- reperire informazioni sulla quantità e la qualità dell’acquisizione di un
allievo (testing)
- definire dei parametri (operazione detta anche scaling) da applicare ai
dati del test per ottenere un punteggio (operazione detta anche scoring);
- elaborazione
a. di un giudizio statistico sul rapporto tra un allievo e il suo gruppo
b. di un giudizio di merito sull’acquisizione avvenuta
c. di un giudizio rapportato alla personalità del singolo: i suoi punti di

ti.
partenza, i suoi progressi, le sue capacità. Quest’ultima fase è quella

va
che spesso porta a definire la valutazione come un atto politico, in

er
quanto mette in gioco una serie di valori ideologici da parte dell’in-

ris
segnante;
tti
- espressione del giudizio, che può essere un voto in numeri o in lettere
iri
oppure può avere la forma di un giudizio, in cui si fa una diagnosi e, se
id

necessario, si suggerisce una terapia di recupero (certificazione).


ti
ut

Tra i principali requisiti del processo di valutazione va sottolineato il pro-


.T

cesso di decentramento. Decentrarsi significa fare una separazione da sé per


situarsi sull’altro e sulla situazione. Questo diventa possibile solo se colui che
re

valuta riesce a tenere sotto controllo le proprie strutture egoiche. L’altro, l’al-
ito

lievo, ha i propri schemi personali e il valutatore deve cercare di conoscerli e


ed

comprenderli.
c ci
na

2. La dimensione valutativa
Bo

Perché valutare? Sostanzialmente, perché è impossibile non valutare.


Sempre noi valutiamo, spontaneamente o intenzionalmente. La valutazione
©

intenzionale rientra a pieno titolo nel progetto formativo, pur nella consape-
volezza dei limiti costituiti dai fattori soggettivi e personali che in essa inter-
vengono.
E, tuttavia, nel processo d’apprendimento, è impossibile valutare sempre e
tutto: il controllo totale è antiformativo proprio come la stessa assenza di
controllo. Le attività di valutazione vanno dosate, calibrate, centrate su quei
nodi che si considerano cruciali per l’apprendimento.
La valutazione punta alla consapevolezza: si apprende davvero quando si è

182
consapevoli di ciò che si è appreso e del perché lo si è appreso.

Attribuire valore a qualcosa non può che condurre ad un prodotto sog-


gettivo, personale. La soggettività della valutazione sta a significare che le
interpretazioni non possono che essere personali sulla base dei giudizi pre-
gressi, dei vissuti e delle esperienze individuali (H.G. Gadamer),
La soggettività non deve tuttavia costituire un alibi alla mancata ricerca
del massimo grado possibile di obiettività. L’individualismo si supera con la
consapevolezza dei vincoli e dei limiti personali, professionali e culturali, ma
anche con il riconoscimento dei preconcetti e delle stereotipie presenti in
ciascuno. In pratica l’unica strada percorribile sta nella triangolazione dei
punti di vista e delle metodologie (Huberman, Stake).

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito

Il principio di triangolazione nella valutazione (Tessaro 1997)


ed

Da tempo la valutazione non è più considerata come un momento finale


ci

del processo di insegnamento/apprendimento, né come semplice alternanza


c
na

di momenti intermedi, bensì come il feedback delle varie fasi della progetta-
Bo

zione. Di particolare rilevanza, soprattutto in un contesto di curricolo flessi-


bile, è l’impostazione da parte dell’insegnante di un approccio valutativo che
©

consenta all’alunno di maturare una consapevolezza del proprio percorso


apprenditivo in modo tale che la valutazione sia soprattutto un’auto-valuta-
zione.
Bisogna porre particolare attenzione a non creare un sistema di testing
chiuso rigido e avvertito come “gerarchico”. Nel curricolo flessibile si coniu-
ga l’attenzione al processo in rispondenza alle diverse situazioni di ogni alun-
no, con la cultura del risultato perseguita da un accertamento di ciò che l’a-
lunno ha conseguito attraverso il suo particolare itinerario formativo.

183
3. Le tipologie della valutazione
Fra le tante distinzioni degli esperti, limitiamoci a considerare la valuta-
zione formativa e sommativa. Due tipologie di valutazione i cui termini sono
stati coniati da Michael Scriven (1980) e tradotti in italiano in modo appa-
rentemente letterale, ma di fatto non corrispondente: nel nostro sistema sco-
lastico spesso la valutazione formativa viene associata a tecniche qualitative,
interpretata come attenta alle esigenze e bisogni degli allievi; mentre la valu-
tazione sommativa viene impropriamente associata a tecniche quantitative,
alla docimologia, interpretata in funzione certificativa.
La valutazione formativa – che sarebbe più opportuno denominare
“costruttiva” - è la valutazione di un programma di intervento durante la sua
fase di attuazione, allo scopo di apporvi parziali adattamenti e verificare il

ti.
reale contributo delle attività messe in opera.

va
Accogliamo pertanto i due termini con la seguente accezione:

er
Valutazione sommativa (raccolta, ponderazione, misurazione di punteggi

ris
e bilancio amministrativo):
tti
- Prima dell’apprendimento - diagnostica: nel caso si operi una valutazio-
iri
ne per stabilire una soglia, un livello di partenza dove situare le attitu-
id

dini presenti o i bisogni diretti di un individuo o di un gruppo.


ti

Marc-André Nadeau (1978, 34) specifica il campo di applicazione della


ut
.T

valutazione diagnostica:
re

a. per determinare la presenza o l’assenza di abilità giudicate necessarie


ito

all’apprendimento di nuove sequenze (prerequisiti), oppure


ed

b. per determinare il livello di conoscenza degli obiettivi di un corso, per


situare l’allievo al punto di partenza a lui più appropriato, oppure
c ci

c. per raggruppare gli allievi all’interno di gruppi distinti, secondo carat-


na

teristiche quali l’interesse, la personalità, l’atteggiamento, o qualsiasi


Bo

altra variabile legata ad una particolare strategia di insegnamento o ad


un particolare tipo di apprendimento.
©

- Prima dell’apprendimento - prognostica (orientamento, predizione); il


problema dell’efficacia della valutazione risulta strettamente legato a
quello relativo all’esplicitazione delle pre-comprensioni operanti negli
attori coinvolti dal processo di valutazione; tali pre-comprensioni, come
è noto, rappresentano l’unico materiale su cui è possibile lavorare per
esplicitare gli obiettivi reali di un intervento. E, tuttavia, tale prospetti-
va di valutazione rivela un limite: non si sa mai come reagiranno le per-
sone se non dopo averle viste reagire. È possibile prevedere un’azione

184
ulteriore e valutare i risultati solo “a termine”, dopo aver operato una
serie di osservazioni su questo momento futuro. Per tale motivo è pre-
feribile un metodo di valutazione distribuito longitudinalmente nel
tempo, basato su tecniche cronologiche di relazione che permettono di
collegare gli osservatori a momenti precisi. A ben guardare, questo
obiettivo di previsione comprende gli obiettivi di comunicazione, di
descrizione e di comprensione tipici della valutazione formativa.
- Dopo l’apprendimento - validazione (attestazione, certificazione, quali-
ficazione); momenti particolarmente delicati e significativi per l’inse-
gnante di lingua, soprattutto oggi, visto che la più recente normativa ha
introdotto i concetti di competenza e di valutazione delle competenze
nella pratica scolastica. Occorre modificare la prospettiva della valuta-

ti.
zione e della certificazione. Ci occuperemo più avanti di tali risvolti.

va
Numerosi studi criticano l’eccessiva importanza accordata in ambito sco-

er
lastico alla valutazione sommativa e ne smascherano il carattere fintamente

ris
terminale. Osserva Guy Berger (1977, 13): “non esiste valutazione compiu-
tti
ta, ovvero reticolo di significati, che non possa essere completato e, proprio
iri
per questo, privato della sua validità. La valutazione sommativa perciò è
id

poco più di una pia illusione, oppure è un modo per delimitare artificial-
ti

mente un processo continuo. Ogni tipo di valutazione, in realtà, ha carattere


ut

regolatore, e determina all’infinito delle decisioni che allo stesso tempo le


.T

negano significato.”
re

Valutazione formativa (sistema di operazioni, capace di spiegare il perché


ito

ed il come del processo di apprendimento, e capace di orientare lo sviluppo


ed

successivo). Ha il compito di assicurare gli equilibri formativi e rendere pos-


ci

sibile un adeguato orientamento. Si colloca durante l’apprendimento e si


c

configura come:
na

- oggettivazione dei criteri elaborati dall’insegnante, istituzione degli


Bo

indicatori proposte a chi apprende


©

- elaborazione e adattamento dei criteri per chi apprende e autovaluta-


zione con l’iniziativa e sotto controllo dell’insegnante.

Secondo Margiotta (1999) valutare significa costruire. E per far questo è


indispensabile mettere in atto un certo numero di norme che vanno necessa-
riamente dichiarate, non devono essere intangibili, bensì variare. Nell’ottica
formativa dell’apprendimento linguistico la valutazione va posta in collega-
mento privilegiato con alcuni obiettivi:

185
- Comunicazione. Innanzitutto, la valutazione deve darsi come obiettivo
quello di comunicare. Si valuta per comunicare, in modo sintetico, un
giudizio di valori a qualcuno diverso da sé. Questo obiettivo implica
due aspetti: quello della comunicazione tra valutatore e valutato, basa-
to essenzialmente sulla fiducia reciproca, e quello della comunicazione
tra valutatori che, sebbene meno complicata (di tipo intellettuale, impli-
ca la comprensione dello stesso codice) non sempre viene ben realizza-
ta, spesso a causa della povertà del codice di mediazione. L’obiettivo di
comunicazione - prioritario per ciascun insegnante - si prospetta come
vera e propria emergenza per l’insegnante di lingua. Dal momento che
si opera con diversi tipi di attori (in ambito educativo, sono presenti
almeno tre/quattro diversi interlocutori: discente, docente, amministra-

ti.
zione e, a volte, genitori) è necessario conoscere in che modo il messag-

va
gio circola all’interno del gruppo di riferimento ed in che modo opera-

er
re una traduzione in termini ed elementi sintattici differenti. Questo

ris
procedimento a volte esige l’utilizzo di un mediatore in grado di com-
prendere entrambi i codici.
tti
iri
- Comprensione. Utilizziamo il termine “comprensione” in luogo di
id

“descrizione” nella consapevolezza che in ambito pedagogico molto di


ti

rado ci si accontenta di descrivere una situazione, di affermare che uno


ut

studente sa o non sa, può o non può, è o non è. La valutazione priva del-
.T

l’obiettivo di comprensione del fenomeno è un meccanismo morto.


re

Un’esigenza di questo tipo impone la descrizione della situazione ini-


ito

ziale in modo diverso, analoga a quella di un pittore, che si pone di fron-


ed

te ad una tela e lascia agire la propria sensibilità.


ci

- Processo sociale. Qui il nostro modello di riferimento è l’osservazione


c

ecologica che è una narrazione attraverso un protocollo di osservazione


na

all’interno della quale hanno particolare rilievo il clima e l’igiene della


Bo

valutazione, la registrazione del contesto, cioè della organizzazione del-


l’ambiente, la frequenza e la durata dell’attività, la grandezza del grup-
©

po, il rapporto numerico adulti/bambini, e la qualità e quantità dei


materiali disponibili. Non si osserva soltanto quello che fanno gli stu-
denti, ma anche come e con quali interazioni con il contesto lo fanno,
in modo da avere un quadro totale di riferimento. Osservare è un pro-
cesso, situato al di là della percezione, che non solo rende coscienti le
sensazioni, ma le organizza. L’osservazione, quindi, implica tutta una
serie di operazioni di sensibilizzazione e di focalizzazione dell’attenzio-
ne, di confronto, di giudizio, il tutto guidato da un’intenzione.

186
L’osservazione è un processo intellettuale, spinto da disposizioni di ordine
cognitivo e affettivo allo stesso tempo.
- Autovalutazione nel processo d’autonomia dei soggetti conoscenti/
coscienti. Obiettivo raggiungibile tramite azioni di co-valutazione o
valutazione mediante consultazione. La caratteristica della valutazione
mediante consultazione è quella di seguire una negoziazione, una ricer-
ca comune tra valutatore e valutato; si tratta di un incontro interperso-
nale, un dialogo dallo schema ben definito, e che unisce valutatore e
valutati nell’accertamento di una situazione o di prodotti di apprendi-
mento a seguito di un’azione didattico-educativa o di formazione. Si
rende indispensabile l’esatta e puntuale definizione dell’obiettivo della
valutazione stessa, a beneficio del valutatore e del valutato. È anche

ti.
importante esprimere chiaramente le aspettative di ruolo, sia da una

va
parte che dall’altra, e precisare se la richiesta di accertamento proviene

er
dal valutato, dal valutatore, o di comune accordo.

ris
- Modello sistemico inteso come prospettiva globale. L’osservazione siste-
tti
matica è una metodologia rigorosa che porta alla produzione di una
iri
documentazione utile sia ai fini autovalutativi (lo studente può acceder-
id

vi e monitorare i propri progressi), sia come testimonianza del lavoro


ti

svolto all’interno della scuola. L’oggetto dell’analisi è il comportamento


ut

dei soggetti che apprendono osservato nello svolgimento delle attività


.T

didattiche, la valutazione entra perciò nel processo di insegnamento-


re

apprendimento, smette di essere la parte conclusiva del percorso didat-


ito

tico e si inserisce nella costruzione e nella applicazione degli interventi


ed

formativi. La valutazione sistemica, che è quella che garantisce, meglio


ci

di ogni altra, la convergenza delle diverse modalità di valutazione.


c
na

4. insegnamento della lingua e valutazione: il quadro attuale e le


Bo

prospettive
©

Abbiamo fin qui sostenuto che le tecniche di misurazione e di valutazio-


ne non sono limitate alle prove orali, scritte e pratiche tradizionali. Il mini-
mo indizio che aiuti un insegnante a comprendere meglio un allievo e che
aiuti l’allievo a capire meglio se stesso va considerato come valido. Quindi
bisogna sforzarsi di ottenere tutti gli indizi con tutti i mezzi appropriati, poi-
ché la natura delle tecniche di misurazione e valutazione usate influiscono sul
modo di apprendere. Eppure ci sentiamo di rilevare l’aspetto limitato di que-
ste pratiche nel settore linguistico, dove non mancano insegnanti che si limi-

187
tano all’uso di testi e strutture monotoni e/o sorpassati, si affidano alle pra-
tiche non chiare ed ormai abitudinarie della correzione dei compiti o dello
spoglio dei test ed alla conseguente redazione di banali osservazioni; la valu-
tazione così diventa fine a se stessa e non è affatto critica.
Càpita non di rado, nelle attività d’apprendimento linguistico, che i diver-
si comportamenti pedagogici, quali l’assegnazione di voti, la classificazione,
l’orientamento, la selezione, la formazione, il controllo e la valutazione, ven-
gano compressi all’interno di una sola attività.
Manca ancora, a nostro avviso, un uso consapevole degli strumenti valu-
tativi dei processi linguistici, particolarmente nella prima fase, di raccolta
dati in preparazione della valutazione. La precisione della valutazione è
indubbiamente legata alla qualità degli strumenti di approccio - griglie di

ti.
osservazione, protocollo d’osservazione nel tempo, ecc. Manca però uno

va
strumento unico che consenta di avere una visione globale di tutte le sfac-

er
cettature. Si rende dunque necessario assumere l’atteggiamento mentale tipi-

ris
co di quando si fa un’analisi dei sistemi, e ricordare che il risultato che descri-
ve le conoscenze ad un certo momento assume significato solo se completa-
tti
iri
to da un risultato che descrive il comportamento.
id
ti

Quali strumenti dovrà preferire l’insegnante di italiano a stranieri?


ut

Generalmente si tratta di strumenti riconducibili a due approcci: quello


.T

quantitativo e quello qualitativo.


re

L’approccio quantitativo, teso a una misurazione stretta delle competenze


ito

e delle abilità nonché dei comportamenti, usa prevalentemente strumenti


ed

omogenei, quali:
ci

1. Test standardizzati messi a punto da apposite équipe di esperti; con-


c

sentono di classificare le prestazioni degli studenti rapportandole alla


na

norma, cioè alla prestazione media.


Bo

2. Prove oggettive costruite direttamente dagli insegnanti e mirate ad


©

accertare il raggiungimento degli obiettivi definiti nella progettazione


dell’intervento didattico.
3. L’osservazione sistematica e intenzionale dei comportamenti, effettua-
ta sulla base di un preciso progetto di indagine e di schemi di riferi-
mento per classificare i fenomeni osservati.
Questi strumenti danno comunque una visione frammentaria degli stu-
denti, fatta attraverso indicatori di abilità, competenze e comportamenti. È
certamente utile conoscere e prendere in considerazione griglie, schede e

188
ogni altro possibile strumento di verifica e documentazione, ma la valutazio-
ne deve poggiare su basi di realtà. Strumenti conosciuti e ritenuti validi dal
docente (o dal gruppo di docenti) che decide di usarli, possono offrire il
punto di partenza e di riferimento, essere un esempio, ma è necessario riela-
borarli contestualizzandoli.
L’approccio qualitativo nasce dalla presa di coscienza della limitatezza del
pensiero umano, della sua impossibilità a descrivere e spiegare la realtà in
modo completo, e dalla considerazione che nel processo di osservazione,
descrizione e valutazione della realtà si inserisce anche il valutatore come
condizionante della valutazione. Strumento fondamentale dell’approccio
qualitativo è l’analisi dei prodotti, l’esame dei materiali verbali, grafici, pla-
stici realizzati dagli studenti spontaneamente o a seguito di sollecitazioni, per

ti.
ricavarne informazioni sulle conoscenze, sulle capacità cognitive.

va
Nell’approccio qualitativo la valutazione si basa sull’interpretazione dei

er
risultati e sull’attribuzione ad essi di un significato.

ris
Da quanto sostenuto sin qui, si evince con chiarezza un’indicazione pri-
tti
vilegiata per l’insegnante di lingua: osservare per valutare.
iri
Si tratta di definire il campo della nostra osservazione, i comportamenti
id

da osservare, e le operazioni che come educatori dobbiamo compiere nella


ti

rilevazione dei dati e nella loro sistemazione e decodifica. In questo modo si


ut

riducono gli interventi educativi affidati soltanto al caso, a favore di inter-


.T

venti realmente finalizzati, progettati ed efficaci rispetto alla situazione.


re

Qualsiasi osservazione richiede la realizzazione di tre fasi:


ito

1. selezione della situazione che l’insegnante ritiene utile osservare (cosa


ed

osservare?)
ci

2. registrazione dei dati relativi alla situazione osservata (cosa ho osser-


c
na

vato?)
Bo

3. decodifica del materiale e dei dati (cosa mi dicono i dati?)


Per comprendere le strutture linguistiche nei bambini della materna e
©

delle elementari esistono prove oggettive di lettura che consentono di verifi-


care le capacità di comprensione di strutture linguistiche semplici e com-
plesse. Gli obiettivi sono quelli di ottenere un livello di comprensione ver-
bale del soggetto in esame, di identificare il tipo di strategia utilizzata nella
risoluzione del compito, di fornire dati normativi sull’evoluzione processua-
le del linguaggio, di ottenere una valutazione diagnostica attendibile e di
estrarre dai risultati le necessarie indicazioni operative.
I programmi didattici della scuola elementare italiana precisano che: “Il

189
fanciullo deve saper leggere, cioè capire il significato di testi scritti a fini
diversi; deve saper ricercare e raccogliere informazioni da testi scritti; segui-
re la descrizione, il resoconto, il racconto e saperne cogliere l’essenziale;
[deve saper] leggere facili testi di tipo anche letterario, che attivino processi
interpretativi”. Cogliamo questi suggerimenti, validi anche nelle situazioni
d’acquisizione dell’extra-scuola e nell’acquisizione di una lingua straniera.
Può essere utile presentare in sintesi gli obiettivi di lettura e comprensione
che vengono messi a fuoco dai vari item delle prove oggettive.

Obiettivi come capacità di…


- riconoscere un testo e un non testo (scorretto o privo di coerenza)
- riconoscere l’elemento centrale di un testo

ti.
- comprendere un breve testo narrativo

va
- ricostruire un testo

er
- trarre conclusioni

ris
- operare inferenze
- comprendere un testo argomentativo
tti
iri
- comprendere un dialogo
id

- comprendere un testo regolativo


- riconoscere un testo e un non testo (scorretto o privo di coerenza)
ti
ut

- cercare nel testo le informazioni essenziali per sintetizzarlo


.T

- riferire correttamente le informazioni individuando il referente testuale


re

degli aggettivi possessivi


ito

- saper leggere un testo pubblicitario


ed

- saper leggere un breve testo argomentativo (sotto forma di dialogo


- riconoscere il significato di parole in base al contesto
ci

- saper leggere un testo regolativo


c
na

- trarre conclusioni
Bo

- operare inferenze.
©

5. La valutazione delle competenze


Secondo Pellerey, è stata la definizione stessa di “competenza” a determi-
nare la crisi di tutti i tradizionali modelli di valutazione. E questo, perché,
per descrivere una competenza, è necessario riferirsi a:
1. la tipologia di situazioni per le quali essa fornisce una certa padronanza
2. le risorse che mobilita
3. gli schemi di pensiero che consentono di situarsi in situazioni com-

190
plesse e in tempi reali con tutte le proprie risorse.
Da ciò consegue la necessità di modificare anche la prospettiva assunta
nel contesto della valutazione e della certificazione. In ambito linguistico,
risulta, infatti, ben difficile l’impegno di documentare e certificare le compe-
tenze effettivamente acquisite, basandosi solo sui tradizionali modelli di
valutazione.

Nell’ottica dell’evoluzione dal concetto di “modularità”, che si trasforma


in “modulazione” degli apprendimenti, si passa ora dalla competenza intesa
come prestazione – con la conseguenza di un’impostazione derivata da un
comportamentismo sommario, basata su una frammentazione esasperata
degli obiettivi e su una organizzazione, del pari frammentata, dello stesso

ti.
percorso formativo – alla competenza come mobilizzazione e orchestrazione di

va
risorse cognitive, affettive e operative interne secondo tipologie specifiche: non

er
è più possibile l’equazione: competenza = prestazione = comportamento;

ris
come, d’altra parte, non è più accettabile l’altra equazione: compito = pro-
tti
cedura esecutiva = algoritmo comportamentale. (Pellerey, 2000)
iri
id

Nel campo linguistico Chomsky, aveva già identificato la competenza


ti

come disposizione interna astratta e distinto in maniera precisa tra prestazio-


ut

ne e competenza, come riassume Bara: “Con il termine competenza intendo


.T

l’insieme delle capacità astratte possedute da un sistema, indipendentemen-


re

te da come tali capacità sono effettivamente utilizzate. Con il termine presta-


ito

zione mi riferisco alle capacità effettivamente dimostrate da un sistema in


ed

azione, desumibili direttamente dal suo comportamento in una specifica


situazione. La differenza è cruciale per discriminare cosa un sistema è in
c ci

grado di fare in linea di principio, da quello che effettivamente fa in una


na

situazione concreta” (Bara 1999, p. 239).


Bo

La concezione di competenza che deriva da questa impostazione consi-


dera, quindi, le diverse prestazioni che il soggetto è in grado di mostrare o
©

portare a termine in un ambito particolare del sapere, del saper fare, del
saper essere o del sapere stare insieme con gli altri, solo come indicatori di
competenza. Questa, per sua natura è invisibile, ma può essere individuata
attraverso una famiglia di prestazioni che permettano di inferirla presente nel
soggetto. Tale famiglia è tanto più vasta e differenziata, quanto la competen-
za appare più complessa e flessibile.
Seguendo questa impostazione, siamo in grado di identificare gli obietti-
vi di apprendimento essenziali per la valutazione linguistica:

191
- Saperi (competenze relative ai contenuti linguistici).
- Abilità (competenze strumentali e abilità di esecuzione legati all’uso
della lingua italiana).
- Capacità trasversali (insieme completo dei saperi e delle abilità transdi-
sciplinari utilizzate tramite l’esercizio della lingua italiana, per esempio:
informarsi).
- Saper essere (disposizione alla vita collettiva in relazione alla comunità
culturale di cui si studia la lingua, accettazione interculturale della
civiltà italiana, per esempio: partecipazione, ascolto, responsabilità,
cooperazione).
Benché vada specificato che le competenze non sono esse stesse dei sape-

ti.
ri, dei saper fare o degli atteggiamenti, ma quelle che mobilitano, integrano,

va
orchestrano tali risorse in ogni situazione singolare, che può essere trattata

er
solo per analogia con altre già incontrate. L’esercizio della competenza passa

ris
per operazioni mentali complesse, sottese da schemi di pensiero, quelli che
permettono di determinare (più o meno coscientemente e rapidamente) e di
tti
realizzare (più o meno efficacemente) un’azione relativamente adattata alla
iri
id
situazione. (Perrenoud)
ti
ut

6. Come valutare lo sviluppo delle competenze: il Portfolio


.T

Per l’insegnante di lingua, appare funzionale alle esigenze sopra descritte


re

il metodo del portafoglio formativo progressivo. Sono i termini con i quali


ito

Pellerey definisce una raccolta di documentazione sistematica attestante ciò


ed

che lo studente sa, sa fare, sa essere o come sa stare con gli altri:
ci

Prestazioni finali puntuali + strategie messe in opera + progressi compiuti.


c

Secondo l’autore, questo dispositivo favorisce una valutazione longitudi-


na

nale comparativa realizzata sia da parte dell’insegnante sia dello studente,


Bo

mediante il confronto tra quanto manifestato all’inizio di un percorso for-


©

mativo e quanto è stato via via evidenziato nel tempo. Con questo non solo
si permette un’autentica valutazione formativa, che aiuta il docente ad aggiu-
stare il tiro sulla base dei risultati progressivamente conseguiti, ma anche
l’autovalutazione da parte dell’allievo e la collaborazione e la negoziazione
degli obiettivi da raggiungere tra insegnante e studente.
L’aggettivo “formativo” evidenzia il fatto che questo tipo di portfolio ha
finalità specifiche nell’ambito dei processi e delle situazioni di ordine educa-
tivo e formativo. Non solo, ma accentua anche il fatto che la sua valorizza-
zione si colloca nella corrente di pensiero che sottolinea nell’ambito delle

192
pratiche valutative l’aspetto longitudinale: si mira, cioè, a seguire gli effetti
dei processi formativi nel loro svolgersi temporale dalla valutazione iniziale,
a quella continua, a quella finale o sommativa. Ciò è accentuato ulterior-
mente dal secondo aggettivo “progressivo”. Il portfolio così concepito ha
quindi un ruolo di documentazione o testimonianza dei progressi che il
discente compie verso l’acquisizione delle competenze intese dal programma
formativo.
Una valutazione autentica (portfolio) deve rispondere ad almeno quattro
esigenze:
a. avere a disposizione testimonianze provenienti da una molteplicità di
attività e di prestazioni;
b. sostenere e dirigere sia l’insegnamento che l’apprendimento in manie-

ti.
ra più incisiva e motivata;

va
c. rispondere alle esigenze poste dagli obiettivi formativi espressi in ter-

er
ris
mini di competenze;
d. fornire un quadro che permetta un’analisi e interpretazione sia di tipo
tti
longitudinale, o progressiva, sia di tipo conclusivo, o sommativo.
iri
id

Il portafoglio formativo progressivo appare proprio come uno strumento


ti
ut

ideale per rispondere a queste esigenze. Si colloca senza dubbio in quest’ot-


.T

tica il portfolio, tutto italiano, di Luciano Mariani (Mariani L. (2002),


re

Portfolio. Strumenti per documentare cosa si impara e come si impara,


ito

Bologna, Zanichelli). Se utilizzato per l’italiano lingua straniera, richiede un


livello almeno intermedio.
ed
ci

Nel completare questo breve capitolo, nato senza pretese di esaustività,


c
na

siamo consapevoli di aver introdotto questioni di valutazione linguistica


destinate a rimanere aperte:
Bo

- Come affrontare la questione degli standard di apprendimento?


©

- Esiste il rischio di livellare tutto?


- E poi, ogni tipo di apprendimento è verificabile?
- Quali strumenti e criteri utilizzare?
- Come valutare competenze più complesse?
- E come affrontare il problema delle difficoltà di apprendimento lingui-
stico?
- Inoltre, quali sono le modalità migliori di comunicare gli esiti della valu-
tazione (schede, pagelle, profili, ecc.)?

193
- Quali sono le esigenze in materia di valutazione del nuovo curricolo di
italiano come lingua straniera strutturato per “obiettivi formativi e com-
petenze” e come si costruisce un sistema “interno” di valutazione del
curricolo?
- Infine, quali sono le esigenze dei sistemi scolastici in materia di nuove
certificazioni?

riferimenti bibliografici
BALBONI P. E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-
plesse, Torino, UTET Libreria.
BELAIR L.M. (1999), L’évaluation dans l’école. Nouvelles pratiques, Paris, ESF
BERGER G. (1977), “Evaluation”, in Revue pour “sur “l’évaluation, n. 35.

ti.
va
BOURDIEU P. (1972), Esquisse d’une théorie de la pratique, Genève, Droz.
DAZZI D. (1999), La personalizzazione dell’insegnamento, Novara, De

er
ris
Agostini.
GIOVANNINI M. L. (1995), La valutazione: Ovvero oltre il giudizio sull’alun-
no, Milano, Ethel Mondadori. tti
iri
HUGHES A. (1989), Testing for Language Teachers, Cambridge, CUP.
id

LIPARINI L. et alii (2000), Guida alla programmazione didattica, vol. 1,


ti

Palermo, Palumbo.
ut
.T

MARGIOTTA U. (1997), Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Roma,


Armando.
re

MARGIOTTA U. (1999), L’insegnante di qualità. Valutazione e Performance,


ito

Roma, Armando.
ed

MESSANA C. (1999), Valutazione formativa e personalità. Prospettive di svi-


ci

luppo della motivazione scolastica e della stima di sé, Roma, Carocci.


c

NADEAU M. A (1978), “Objectives de l’évaluation”, in Revue des Sciences de


na

l’Education, Montreal, vol. IV, n. 2, primavera.


Bo

PAMIETTA P. L., AMIETTA F. (cur.) (1989), Valutare la formazione, Milano,


©

Unicopli.
PAVONE M., (1997) Valutare gli alunni in situazione di handicap, Trento,
Erickson.
PELLEREY M. (2000), “Il portafoglio progressivo come strumento di valuta-
zione delle competenze”, in ISRE, n. 2.
PORCELLI G. (2000), Principi di glottodidattica, Brescia, La Scuola.
TESSARO F. (1997), La valutazione dei processi formativi, Roma, Armando.
TESSARO F. (2002), Metodologia e didattica dell’insegnamento secondario,
Roma, Armando.

194
TYLER R.W., GAGNÉ R.M., SCRIVEN M. (1967), Prospectives of curriculum
Evaluation, Chicago, Rand McNally.
VERGANI A. (cur.), Vale - guida per la valutazione, I.R.R.S.A.E. Friuli-Venezia
Giulia.
WEIR C. (1993), Understanding and Developing Language Tests, London,
Prentice Hall.

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

195
Capitolo 14
La riCerCa-aZione
Maria De Luchi

Tutti gli insegnanti devono spesso confrontarsi con domande cui non
sanno dare una risposta, riguardanti contesti problematici di classi o di sin-
goli studenti e sono costretti a cercare delle soluzioni da soli. In questo con-
testo, la Ricerca-azione può rivelarsi un’efficace modalità di indagine e di
lavoro che, avvalendosi della collaborazione dei soggetti coinvolti nel pro-
cesso educativo, rende possibile la messa a fuoco del problema da risolvere,
la pianificazione razionale del piano di intervento che si andrà a realizzare in

ti.
classe e la successiva analisi degli esiti raggiunti.

va
In questo capitolo, illustreremo i principi base su cui si fonda la Ricerca-

er
azione e daremo alcune indicazioni relative al come organizzare un percorso

ris
di questo tipo.

tti
iri
1. La ricerca-azione e la “pratica riflessiva”
id

La Ricerca-azione nasce come metodologia applicata alle scienze sociali


ti
ut

negli Stati Uniti degli anni ’40, ma è nell’ambito della ricerca didattica che
.T

questo tipo di approccio ha trovato ampie possibilità di sviluppo, special-


mente in ambiente britannico, statunitense ed australiano a partire dagli anni
re

’80 (Coonan 2000).


ito

La Ricerca-azione per la sua stessa natura si presta in modo particolare ad


ed

essere utilizzata in ambienti formativi per l’esplorazione di particolare ambi-


ci

ti d’interesse o per la soluzione di problemi pratici. Gli insegnanti sono,


c
na

infatti, quotidianamente chiamati ad assumere decisioni relative, ad esempio,


alle modalità di conduzione della lezione; devono rispondere ad esigenze
Bo

contestuali e non previste; spesso si trovano a gestire situazioni difficili di


©

vario genere. “L’insegnante è sempre in prima posizione, in trincea” (Pozzo,


Zappi 1993) e sembra non ci sia molto spazio per riflettere, né per verificare
se quanto realizzato corrisponda effettivamente a quanto programmato in
precedenza.
In questo contesto operativo così complesso, che richiede grandi capacità
di adattamento alle situazioni che via via si presentano, oltre a doti di intui-
zione e velocità di reazione agli innumerevoli stimoli provenienti dagli stu-
denti e dall’ambiente, la Ricerca-azione offre l’opportunità di “riflettere, lon-

196
tano dall’ondata dell’accadimento, e di rivisitare la propria routine e com-
portamenti in momenti di assenza di bisogno di soluzioni immediate: uno
spazio in cui ci si attrezzi per poter meglio far fronte all’urto dell’ondata
quando questa arriverà” (ibidem).
L’insegnante che deve gestire una classe molto vivace, oppure in cui gli
allievi hanno molta difficoltà ad esprimersi, si interrogherà innanzitutto sulla
propria pratica didattica, al fine di chiarire la natura del problema.
Presupposto essenziale per l’avvio di un percorso adeguato è, quindi, l’as-
sunzione di un atteggiamento critico da parte del docente coinvolto. Nel suo
Training Foreign Language Teachers. A Reflective Approach, Michael Wallace
afferma che la pratica didattica è in grado di produrre crescita professionale
solo a condizione che diventi “pratica riflessiva”. Ciò significa che il docente,

ti.
rinunciando a comodi assunti dettati da conoscenze ed esperienze acquisite,

va
deve continuamente porsi domande sul cosa fare e perché, rendendosi

er
disponibile a mettersi in causa e ad analizzare con distacco il proprio opera-

ris
to; per evitare l’auto-referenzialità, tuttavia, non può che aprirsi al confron-
to con gli altri attori del processo educativo (colleghi ed allievi).
tti
iri
Nel caso in cui, ad esempio, si sia registrata una certa riluttanza da parte
id

degli studenti ad esprimersi in lingua italiana in classe, ci si chiederà innan-


zitutto quanto spazio-parlato il docente conceda agli studenti, oppure se
ti
ut

questi siano inibiti dal prevalere della lezione frontale; si potrà poi sondare
.T

quanto la correzione dell’errore possa influire negativamente sulla produzio-


re

ne spontanea. Successivamente si considereranno le strategie utili a creare un


ito

clima sereno di gruppo e si verificherà l’efficacia delle varie attività proposte.


ed

L’insegnante avrà modo di riflettere in itinere sulle proprie convinzioni


profonde, sia di ordine pedagogico che didattico, mettendole, se necessario,
ci

in discussione ed in ogni caso ponendosi in una posizione critica rispetto ad


c
na

idee precostituite e modalità di lavoro consolidate dall’esperienza, a volte


Bo

troppo rigide e schematizzate per poter produrre un cambiamento.


In tal modo la “pratica riflessiva” così avviata rende possibile per il
©

docente unire il “sapere acquisito” durante la propria formazione scolastica


e le varie forme di aggiornamento in servizio, al “sapere esperienziale”,
costruito giorno per giorno. Di conseguenza viene superata la dicotomia tra
quanto viene spesso percepito come astratto o, comunque, lontano dall’e-
sperienza e le necessità concrete del lavoro quotidiano in classe.
La Ricerca-azione, meglio definita da Kemmis e McTaggart (1982), come
“idee-in-azione” vuole quindi gettare un ponte tra teoria e pratica didattica,
diventando allo stesso tempo un valido metodo di ricerca ed uno strumento

197
utile alla crescita professionale (Wallace 1991; Nunan 1993). Vediamo ora
perché.

1.1. La Ricerca-azione è radicata nella pratica didattica


Ciascun insegnante, specie dopo alcuni anni di esperienza, rifugge da teo-
rie ed approcci astratti che, pur se validi od accattivanti, risultano lontani
dalla pratica didattica. La Ricerca-azione, invece, si occupa in modo specifi-
co del “qui ed ora”. È un strumento esplorativo ed interpretativo che “con-
sente ai ricercatori di accettare interpretazioni motivate dai dati anziché da
puri costrutti teorici” (Burns and Wood 1995).
I suoi effetti sono – e devono essere – di tipo pratico. Non esiste Ricerca
se questa non è in grado di tradursi in “Azione”, ossia in un piano di lavoro

ti.
ben strutturato da realizzare in classe, il cui svolgersi ed i cui effetti siano

va
chiaramente sottoposti al monitoraggio, all’analisi ed alla riflessione condivi-

er
sa sugli esiti raggiunti.

ris
Si tratta di un tipo di approccio “radicato all’interno di un reale contesto
tti
sociale”, che può prendere in considerazione “i molteplici fattori che deter-
iri
minano le azioni, le interazioni e le relazioni interpersonali all’interno di con-
id

testi specifici”(Burns and Wood 1995) e ben si adatta, quindi, all’applicazio-


ti

ne in ambito didattico. Grazie alla natura flessibile del processo di ricerca,


ut

questo “è in grado di rispondere celermente a questioni emergenti di ordine


.T

politico, sociale ed educativo” (ibidem).


re
ito

1.2 Chi sono i ricercatori?


ed

Nell’ambito della ricerca di tipo “tradizionale” i ricercatori sono esperti


ci

della materia, ovvero studiosi che, sulla base di una determinata teoria, defi-
c

niscono un problema di natura astratta, formulano un’ipotesi, attuano un


na

esperimento per verificare quell’ipotesi e ne traggono conseguenze che soli-


Bo

tamente portano ad un cambiamento della teoria iniziale (Elliott in Scurati,


©

Zappi 1993). In ambito educativo, la ricerca può avvalersi della collabora-


zione di docenti ed alunni che forniscono dati utili alla verifica di una deter-
minata ipotesi, poi sottoposta al vaglio dello studioso; ipotesi che, quindi,
nasce e si sviluppa all’esterno della realtà scolastica, ma che di questa si serve
soltanto come oggetto di ricerca e fonte di informazioni.
Come abbiamo visto in precedenza, la Ricerca-azione nasce invece dalla
necessità di risolvere uno specifico problema pratico all’interno della realtà
scolastica. In questo contesto, il docente della classe è il vero esperto in grado
di esplorare la natura del problema, progettare un piano di intervento, rea-

198
lizzarlo e valutarne gli esiti.
L’insegnante assume dunque il ruolo di “ricercatore” (Coonan 2000) e
diventa soggetto attivo del processo. Quale esperto professionista, abile nel
coniugare teoria e pratica didattica, può assumere decisioni operative in
grado di apportare dei cambiamenti efficaci, agendo in prima persona nella
propria classe; nel contempo, in quanto capace di “pratica riflessiva”, saprà
predisporre strumenti di osservazione utili al monitoraggio del processo in
corso, si renderà disponibile ad operare con colleghi e studenti in un’ottica
collaborativa e sarà in grado di analizzare i dati raccolti, riflettendo critica-
mente sul percorso realizzato.

1.3 La dimensione collaborativa della Ricerca-azione

ti.
Ogni insegnante pianifica il proprio intervento o ciclo di interventi sulla

va
base di una programmazione predeterminata, fissando gli obiettivi che vuole

er
raggiungere e scegliendo materiali ed attività utili al raggiungimento di tali

ris
obiettivi. Nel corso della lezione sarà pronto a cogliere sia i segnali positivi
tti
che negativi che gli studenti gli inviano e, a lezione conclusa, rifletterà sul
iri
raggiungimento o meno di quanto stabilito. Si interrogherà su un problema
id

emerso o su un non ben identificato senso di disagio percepito in classe.


ti

Durante la lezione successiva tenterà di risolvere il problema con le risorse a


ut

sua disposizione. Questo processo è già un esempio di “pratica riflessiva”,


.T

ma non rientra nell’ambito della Ricerca-azione per tre motivi essenziali:


re

a. il docente si affida a sensazioni di tipo soggettivo ed impressionistico


ito

(gli studenti appaiono distratti, oppure poco interessati all’argomento


ed

presentato);
ci

b. il docente opera le sue deduzioni da solo; manca quindi il confronto


c
na

con studenti, colleghi, oppure docenti “osservatori” che permettano


di analizzare la situazione assumendo una pluralità di punti di vista;
Bo

c. l’analisi del problema e il tentativo di soluzione non sono conformi al


©

processo rigoroso di Ricerca Azione.


Di conseguenza la Ricerca-azione non va confusa con la normale prassi
quotidiana (Henry & Kemmis 1985), né con il problem solving, né con pro-
getti di lavoro pianificati, condotti e valutati su base individuale. Al contra-
rio, condizione irrinunciabile per l’ideazione e sviluppo di un progetto di
Ricerca-azione è l’adozione di una modalità di lavoro di tipo collaborativo
che preveda sempre, anche se in forme che possono variare da caso a caso,
la possibilità di raccogliere dati provenienti da fonti diverse (colleghi, docen-

199
ti “osservatori”, studenti ed eventualmente esperti del campo, genitori,
Preside) e non riferibili unicamente al docente di classe. I dati verranno poi
posti in relazione tra loro ed analizzati in modo tale da fornire un quadro
“realistico e fedele” della situazione. La cosiddetta “triangolazione” delle
informazioni, raccolte da più punti di vista e tra loro correlate, caratterizza
l’intero piano d’azione, ossia la fase operativa da realizzare in classe.
In quest’ottica la Ricerca-azione non può che essere una modalità di lavo-
ro di tipo cooperativo, improntata al dialogo ed al confronto con le persone
coinvolte a vari livelli nel percorso di insegnamento/apprendimento. Il pro-
cesso non può essere condotto in forma occasionale, né si può basare sul-
l’improvvisazione: esiste infatti un protocollo preciso che andiamo ad illu-
strare e le cui fasi vanno rispettate, pur nella specificità della situazione di

ti.
riferimento.

va
er
2. Le fasi della ricerca-azione

ris
La Ricerca Azione è un “processo di analisi sistematica” che consiste di
tre componenti essenziali: tti
iri
id

a. una domanda, un problema, un’ipotesi di lavoro;


ti

b. la raccolta dati;
ut

c. l’analisi ed interpretazione dei dati (Nunan 1993).


.T

Il percorso ha un andamento ciclico o “a spirale” ed è costituito da quat-


re

tro fasi fondamentali, precedute da un momento di prima esplorazione, chia-


ito

mato “ricognizione” ed è stato così schematizzato da Kemmis e McTaggart


ed

(1982):
c ci

RICOGNIZIONE
na
Bo

1. PIANIFICARE
©

2. AGIRE

3. OSSERVARE-MONITORARE

4. RIFLETTERE-VALUTARE

Come evidenziato dal grafico, la quarta fase (“Riflettere-Valutare”) può


comportare l’esigenza di rivedere il piano generale. Una volta rivisto il piano,
riparte la spirale (Coonan 2000).

200
La durata di un ciclo completo varia in base al “fuoco” prescelto, che può
concentrarsi sulla pratica didattica del docente (analisi del tempo-parlato,
modalità di correzione dell’errore, modalità di interazione con la classe),
sulle reazioni degli studenti (il loro livello di attenzione e motivazione, la par-
tecipazione ai lavori di gruppo, numero e tipologia degli interventi), oppure
può riguardare l’organizzazione della lezione e la gestione delle sue varie fasi,
oppure la scelta ed utilizzo di materiali e strumenti di vario tipo.
Generalmente si consiglia di delimitare il fuoco della ricerca ad obiettivi
realisticamente perseguibili in un arco temporale ben delimitato.
Normalmente è necessario completare almeno tre o quattro cicli prima di
poter essere completamente soddisfatti dei miglioramenti apportati (Elliott
1991). Vediamo ora da vicino le varie fasi del percorso.

ti.
va
2.1 La fase di ricognizione

er
Contrariamente al tradizionale approccio di tipo ipotetico-deduttivo, tipi-

ris
co della ricerca tradizionale, ove “le teorie vengono prima validate in forma
tti
autonoma e poi applicate alla pratica” (Elliott 1991), la Ricerca-azione parte
iri
dall’identificazione di problemi pratici o di interrogativi che scaturiscono
id

dall’esperienza didattica concreta.


ti

Spesso i docenti percepiscono un senso di disagio rispetto ad una deter-


ut

minata situazione. Possono rilevare, ad esempio, che gli studenti sono


.T

annoiati e non partecipano alla discussione in classe. Problemi ed interroga-


re

tivi danno origine a domande, che possono riguardare, ad esempio, l’ambito


ito

metodologico-didattico (come docente, facilito la produzione e l’interazione


ed

in lingua italiana da parte degli studenti? L’argomento scelto è interessante?


I materiali utilizzati sono motivanti? Il livello linguistico richiesto è adegua-
c ci

to?), oppure possono concentrarsi su aspetti sociologici e psicologici (il clima


na

generale è sereno e collaborativo? Quali dinamiche ci sono all’interno della


Bo

classe? Alcuni studenti appaiono isolati?).


Anziché partire quindi da un’ipotesi precostituita, il docente esplorerà
©

la situazione per meglio definire la natura del problema. In questo caso, ad


esempio, un questionario rivolto agli studenti potrà fornire indicazioni pre-
ziose sul grado di apprezzamento di attività e materiali proposti. Colloqui
individuali, a cura del docente di classe o di un collega, potranno even-
tualmente rilevare difficoltà a livello interpersonale o particolari carenze
linguistiche.
Dopo aver avviato questo processo di raccolta sistematica di dati sul
campo ed aver operato un’attenta riflessione, si formula un’ipotesi. Tale ipo-

201
tesi può confermare oppure rettificare il problema iniziale. Nel caso specifi-
co presentato, il questionario ed i colloqui possono aver evidenziato l’imba-
razzo di molti studenti ad esprimersi in pubblico, sia per scarsa consuetudi-
ne a questo tipo di attività, sia per timore di commettere errori ed essere di
conseguenza giudicati negativamente da docente e compagni.

2.2. Pianificare
Il passo successivo dell’insegnante consisterà nel pianificare un progetto
di intervento che miri alla risoluzione del problema, oppure fornisca la rispo-
sta ad una domanda precisa (perché gli studenti si esprimono con difficoltà
in lingua italiana?); si stabiliranno, inoltre, le modalità di valutazione degli
effetti prodotti dall’intervento che si andrà a realizzare in classe. Il piano

ti.
generale d’azione prevede la definizione di:

va
a. Contenuti ed azioni finalizzati a migliorare l’azione

er
ris
b. Tempi
c. Sequenze
tti
iri
d. Attori coinvolti
id

e. Scelta di strumenti utili alla raccolta dei dati


ti

f. Scelta della modalità di analisi dei dati raccolti


ut
.T

I contenuti e la azioni sono direttamente correlati al problema da risol-


vere. Nel caso specifico, il docente potrà decidere di attivare lavori a cop-
re
ito

pie o di gruppo, onde favorire la libera espressione degli studenti. Avendo


rilevato la funzione inibitoria della correzione dell’errore, può chiedere ad
ed

un collega di compiere un breve ciclo di osservazioni in classe, al fine di


ci

monitorare il comportamento di docente ed alunni, relativamente a questo


c
na

punto.
Particolare attenzione verrà posta nella valutazione della gestibilità del
Bo

piano in termini di tempo e di persone coinvolte. Si considereranno realisti-


©

camente le risorse disponibili e se, ad esempio, risultasse difficile la disponi-


bilità dell’osservatore d’aula, si potrebbe supplire con videoregistrazioni di
lezioni in classe, successivamente analizzate e commentate.
Si richiederà il consenso alla messa in atto del progetto a tutte le persone
coinvolte: il Dirigente scolastico, i colleghi del Consiglio di classe, gli stu-
denti stessi ed eventualmente i genitori, nel caso in cui si renda necessario il
loro consenso ad effettuare videoregistrazioni di lezioni d’aula a studenti
minorenni.

202
2.3 Agire
In questa fase si realizzerà il piano d’azione in classe. Nel nostro caso,
questo includerà:
- il coinvolgimento della classe nel reperimento dei materiali di lavoro;
- l’attivazione del lavoro a coppie e di gruppo;
- un utilizzo limitato della correzione dell’errore da parte dell’insegnante.
Il docente attiverà lavori a coppie e di gruppo su argomenti di interesse,
coinvolgendo gli studenti nel reperimento di materiali utili alla discussione:
i piccoli, ad esempio, porteranno a scuola oggetti, immagini o fotografie,
mentre giovani ed adulti potranno utilizzare sezioni di riviste o materiale
web. Ciò dovrebbe aumentare il grado di coinvolgimento personale e la

ti.
motivazione. La comunicazione in gruppi ristretti, inoltre, potrebbe favorire

va
la libera espressione di chi si sente inibito dalla discussione in classe.

er
Un osservatore esterno registrerà le reazioni dei singoli, nel corso delle

ris
varie attività, con annotazioni estemporanee, oppure completando un’appo-
tti
sita griglia (vedi paragrafo 3) mentre il docente fisserà le sue osservazioni con
iri
brevi note sul campo, oppure rifletterà in modo più articolato sull’esperien-
id

za nel diario personale. Gli studenti potranno di quando in quando venire


ti

interpellati in forme dirette o indirette sul processo in corso: la stesura di


ut

semplici e sintetiche pagine di diario a conclusione delle varie fasi, successi-


.T

vamente condivise dalla classe o dal docente, fornirà indicazioni preziose


re

relative alla percezione da parte dell’utenza e permetterà l’individuazione di


ito

eventuali difficoltà emerse. Le riflessioni individuali potrebbero seguire una


ed

traccia predisposta, in cui si chiede al singolo di descrivere l’attività svolta,


esprimere l’indice di gradimento personale, evidenziare i problemi emersi e
c ci

prospettare una possibile soluzione. In tal modo, il processo di analisi e


na

riflessione coinvolgerà direttamente tutti gli studenti e li renderà soggetti


Bo

attivi e compartecipi del processo educativo.


Parallelamente, il docente potrà organizzare un percorso di riflessione
©

sulle proprie modalità di correzione dell’errore. Colloqui con colleghi, in


particolare con il docente osservatore, faranno emergere le convinzioni per-
sonali e profonde dei docenti su questioni di ordine metodologico-didattico.
La discussione porterà alla definizione degli obiettivi pratici da perseguire:
nel nostro caso, il docente limiterà drasticamente la correzione nel corso
della produzione orale, per non inibire l’allievo, aumentando nel contempo
il rinforzo di tipo positivo. Conseguentemente si individueranno gli stru-
menti di osservazione atti a monitorare il comportamento del docente, quali

203
la registrazione audio e/o video di fasi di produzione orale e successiva ana-
lisi, oppure la registrazione della tipologia di feedback all’errore offerta dal
docente e registrata dall’osservatore su apposita scheda (vedi paragrafo 3).
Durante l’osservazione, in assenza di colleghi disponibili, si potranno coin-
volgere degli studenti, se opportunamente motivati e responsabilizzati rispet-
to al progetto in corso. L’osservazione pone, tuttavia, dei problemi etici
riguardanti le persone coinvolte, dai quali non si può prescindere e che
vedremo insieme.

2.4 Osservare e monitorare


È fondamentale richiedere il consenso di tutti i soggetti coinvolti, prima
di avviare un qualsiasi progetto di Ricerca-azione, assicurando loro il rispet-

ti.
to dei dati personali, specificando gli obiettivi della ricerca e precisando chia-

va
ramente le modalità di utilizzo dei dati emersi. Importante risulta in questo

er
contesto, ad esempio, la disponibilità espressa dai genitori di minorenni

ris
all’utilizzo della telecamera in classe. La letteratura in materia (Burns 1999;
tti
Hopkins 1985) consiglia la definizione concordata di un protocollo di intesa
iri
tra i vari partecipanti al progetto.
id

Il rapporto con il docente osservatore deve essere ovviamente ispirato a


ti

sentimenti di “empatia, rispetto, autenticità” (Burns 1999): la situazione


ut

ideale vede due colleghi scambiarsi alternativamente i ruoli di “osservatore”


.T

ed “osservato” all’interno delle rispettive classi per poi riflettere serenamen-


re

te ed in un clima collaborativo sul processo attivato, sulle difficoltà emerse e


ito

sugli esiti conseguiti.


ed

La scelta degli strumenti di osservazione è determinata dall’ipotesi di


lavoro iniziale, dalle risorse materiali ed umane disponibili e dal tempo a
c ci

disposizione. Offriremo ora una breve panoramica delle varie modalità di


na

analisi e riflessione sui dati raccolti.


Bo

2.5 Riflettere e valutare


©

La sequenza finale vede il docente riflettere sugli effetti prodotti dal per-
corso effettuato ed eventualmente progettare un ulteriore piano di interven-
to, dando così vita ad un procedimento ciclico o “a spirale” (Hopkins 1985).
Successivamente alla messa in atto del piano d’intervento ed al monitoraggio
dell’intero percorso, si valuteranno gli esiti conseguiti (gli studenti si espri-
mono con maggiore spontaneità in lingua italiana? È migliorato il clima di
classe? Il docente ha rivisto o corretto la sua modalità di correzione dell’er-
rore?).

204
Anche in questa fase, le considerazioni e riflessioni personali vanno con-
frontate con le osservazioni, spontanee o desunte dalle schede di osservazio-
ne, fornite dal collega “osservatore” e con il feedback ricevuto dagli allievi:
un questionario a loro rivolto consentirà, ad esempio, di operare un con-
fronto tra la situazione di partenza e quella finale, mentre una discussione in
classe, oppure un’intervista ad un campione di studenti, evidenzierà il loro
grado di apprezzamento delle varie attività proposte. Si potranno così rile-
vare punti forti e deboli del piano d’azione realizzato, al fine di valutarne gli
esiti (ad es.: la classe è più partecipe, ma due studenti manifestano ancora
grosse difficoltà di comunicazione) e progettare successivamente una nuovo
ciclo di Ricerca-azione, orientato verso il recupero linguistico dei due allievi
problematici.

ti.
Come detto in precedenza, considerazioni e conclusioni cui perveniamo

va
durante le varie fasi della ricerca, trovano il loro fondamento nella riflessio-

er
ne condivisa su dati ben precisi, desunti da fonti diverse e posti a confronto.

ris
I dati raccolti possono essere di tipo quantitativo e provenire, ad esempio, dal
numero di risposte chiuse fornite ad un questionario, oppure da tabelle,
tti
iri
schemi, griglie riassuntive; in tal caso essi potranno essere tradotti in cifre e/o
id

percentuali (ad es.: il 65% degli studenti teme la correzione dell’errore). Si


possono poi raccogliere informazioni mediante questionari a risposta aperta,
ti
ut

relazioni, lettura di diari: nel nostro caso si potrà così evidenziare, ad esem-
.T

pio, un certo disagio degli studenti durante le discussioni in classe, oppure


re

una percezione non sempre positiva del clima d’aula. Questi dati di tipo qua-
ito

litativo non sono ovviamente quantificabili e diventano di conseguenza


ed

oggetto di interpretazione da parte del ricercatore.


Va comunque precisato che la Ricerca-azione, per sua stessa natura, pre-
ci

suppone un’analisi di tipo qualitativo (Burns 1999); di conseguenza, anche


c
na

nel caso in cui si utilizzino dati numerici o percentuali, questi dovranno in


Bo

ultima istanza sempre e comunque essere interpretati. Non è quindi neces-


sario seguire i criteri della consistenza numerica o statistica nella raccolta
©

delle informazioni, al fine di garantire la valenza “scientifica” del percorso


svolto.
Come già affermato, caratteristica essenziale della Ricerca-azione è l’esse-
re un tipo di indagine legata ad un contesto specifico, generalmente relativo
alla propria classe; anzi, l’ambito definito e delimitato della ricerca garanti-
ranno la profondità e specificità del processo e degli esiti che ne sortiranno.
Esiti che, seppur interessanti per tutti gli utenti, resteranno legati ad un par-
ticolare problema da risolvere: questo tipo di ricerca non mira, infatti, alla

205
generalizzazione dei risultati raggiunti.
Il processo prevede addirittura che oggetto di analisi siano soltanto uno o
due studenti con particolari difficoltà e che si progetti un piano d’azione
rivolto principalmente a loro. Si tratta dei cosiddetti “studi di un caso”,
orientati alla soluzione di problemi molto specifici, ma che mantengono
ugualmente il loro valore “scientifico”(Wallace 1991).
Come assicurare, allora, la validità ed “oggettività” del lavoro svolto?
Burns (1999) e Hopkins (1985) affermano che la Ricerca-azione ha un pro-
prio criterio di validità, che deriva dal rigore con cui viene svolto il piano d’a-
zione, fondato sulla raccolta dati. Ciò che garantisce oggettività e spessore
scientifico ad un tipo di indagine qualitativa come questa è senza dubbio la
triangolazione, ossia l’analisi ed il confronto tra informazioni di origine

ti.
diversa.

va
Se, all’inizio del nostro percorso, il docente sentiva la necessità di inter-

er
venire in risposta ad una percezione soggettiva di disagio (scarso livello di

ris
produzione ed interazione orale in lingua italiana), questi ha posto a con-
fronto la sua percezione individuale in primo luogo con quella degli studen-
tti
iri
ti (mediante il questionario) e successivamente con quanto osservato dal col-
id

lega. In tal modo i dati raccolti e provenienti dai vari soggetti coinvolti sono
stati correlati ed hanno consentito la corretta messa a fuoco del problema.
ti
ut

Il monitoraggio del percorso attivato non si basa quindi su considerazioni


.T

personali ed auto-referenziali espresse dal docente, ma si avvale del confron-


re

to costante con colleghi e studenti; ciò garantisce l’oggettività delle osserva-


ito

zioni effettuate ed assicura la valenza “scientifica” dell’intero processo.


ed
ci

3. tecniche e metodi per la raccolta dei dati


c
na

La raccolta dei dati costituisce un fattore di estrema importanza all’inter-


no della ricerca: la scelta di metodi e tecniche utili a tale scopo è legata alle
Bo

finalità del piano generale, al “fuoco” dell’osservazione (il docente, la classe,


©

la lezione?), nonché alle risorse disponibili (docente osservatore, strumenta-


zione audio o video). Gli strumenti di osservazione, in particolare, vanno
definiti di comune accordo tra docente di classe ed osservatore, che insieme
rifletteranno poi sulle informazioni raccolte. Cercheremo ora di delineare un
profilo delle tecniche utilizzabili, con riferimento alle varie fasi del ciclo di
Ricerca Azione sopra delineato.
Durante la fase di ricognizione, la stesura di un diario di bordo favorisce la
messa a fuoco della natura del problema. Si potrà giustamente obiettare che

206
tale attività richiede tempo e pazienza, ma la registrazione attenta del vissu-
to in classe stimola il distacco critico e la riflessione personale, resa ancor più
efficace dalla lettura diacronica di pagine relative, ad esempio, ad attività che
coprono un arco di tempo abbastanza lungo. Più agili risultano in tal senso
le note di campo, brevi annotazioni del docente colte “in tempo reale” ed in
seguito formalizzate attraverso l’utilizzo di promemoria analitici; questi ulti-
mi consentiranno al docente ed all’osservatore di fare il punto sulla situazio-
ne, registrando i dati raccolti e le riflessioni condivise, e di predisporre così
il piano d’azione.
Questionari aperti o chiusi rivolti agli alunni e al docente “osservatore”
ed orientati sul possibile “fuoco dell’osservazione” (es.: le attività di produ-
zione ed interazione in lingua italiana normalmente svolte e quelle che si vor-

ti.
rebbero invece introdotte in classe), consentiranno di effettuare una prima

va
indagine conoscitiva a diversi livelli.

er
Durante le fasi successive si potranno utilizzare le seguenti modalità di

ris
raccolta dati, qui brevemente delineate e tratte da Elliott (1991, in Pozzo,
Zappi 1993):
tti
iri
id

- Diari del docente e degli studenti;


ti

- Interviste, aperte o su traccia, ad alcuni studenti, a cura del docente o


ut

dell’osservatore. L’intervista all’osservatore può fornire la lettura della


.T

situazione da una prospettiva diversa;


re

- Analisi dei documenti scolastici (verbali, prove di verifica, schede di


ito

lavoro);
ed

- Il profilo di una persona, di una situazione o di una lezione, che offre un


ci

quadro riassuntivo e valutativo nel tempo. Il profilo di lezione, ad esem-


c
na

pio, può basarsi sul fattore temporale (time based), qualora si decida di
descrivere un situazione ad intervalli di tempo regolari, ossia ogni 5 o
Bo

10 minuti, oppure sul fattore esperienziale (event based) quando si


©

voglia annotare un avvenimento ogni qualvolta esso si verifichi (Coonan


2000). Si riporta, a titolo esemplificativo, un esempio di “profilo di
lezione”, adattato da Pozzo, Zappi 1993:

207
Durata della 10 minuti 15 minuti 20 minuti 15 minuti
fase di lezione
Docente Saluta la classe Presenta l’attività Dà la consegna Guida la
Richiama i punti di ascolto relativa all’attività discussione
nodali della Dà istruzioni alla di ascolto analitica di classe
lezione classe distribuisce foglio Fornisce
precedente Ascolto di con domande di chiarimenti
un’intervista comprensione
registrata Fa riascoltare la
Pone domande di registrazione
comprensione
globale alla classe
Allievi Rispondono Ascoltano le Lavorano a coppie Riportano gli esiti

ti.
alle sollecitazioni istruzioni Eseguono la del lavoro svolto

va
del docente Rispondono alle consegna Discutono esiti

er
domande di del lavoro e lo

ris
comprensione annotano nei
globale quaderni
Risorse Lavagna, penne, Lavagna tti
Registratore Quaderni, penne,
iri
quaderni Registratore Fotocopie lavagna
id
ti
ut

- Testimonianze fotografiche, utili, ad esempio, a cogliere aspetti quali la


.T

distribuzione degli alunni in classe, la posizione dell’insegnante, l’atteg-


re

giamento e la postura degli studenti durante le varie fasi della lezione,


ito

oppure durante il lavoro di gruppo. Ci si può avvalere dell’aiuto di un


ed

osservatore esterno;
- Registrazioni audio e/o video e successiva trascrizione di eventi signifi-
c ci

cativi. L’analisi a posteriori, meglio se condivisa con l’osservatore, for-


na

nirà, ad esempio, segmenti autentici di produzione orale, nel caso della


Bo

registrazione audio; il video offrirà, invece, una panoramica globale


della lezione e renderà possibile la precisa lettura di tratti significativi
©

che l’osservazione in tempo reale non rende possibile.


- Questionari con domande aperte, che lasciano spazio alla libera espres-
sione dei destinatari, ma richiedono uno sforzo interpretativo da parte
del ricercatore, oppure chiuse, dagli esiti quantificabili e comparabili
tra loro, pur se modulate sulla volontà ed interesse del ricercatore;
- Inventari, ovvero elenchi di enunciati riguardanti una determinata
situazione, ove i destinatari possono esprimere il loro accordo in base a
categorie predeterminate, quali “pienamente d’accordo – d’accordo –

208
parzialmente d’accordo – in disaccordo – in disaccordo totale” (Pozzo,
Zappi 1993);
- Le schede di osservazione, di cui si offre un esempio, tratto da Wajnryb
1992 e relativo alla tipologia di feedback all’errore degli studenti:

TIPO DI OPERAZIONE VERBALIZZAZIONE SUPPORTO TIPOLOGIA DI


SUPPLEMENTARE FEEDBACK DATO:
NON VERBALE POSITIVO,
(VISIVO, GESTUALE, ECC.) DI INCORAGGIAMENTO (+)
NEGATIVO, CRITICO (-)
DOMANDA
DEL DOCENTE

ti.
RIPOSTA

va
DELLO STUDENTE
FEEDBACK

er
DEL DOCENTE

ris
RISPOSTA
DELLO STUDENTE
tti
iri
AL FEEDBACK
id
ti

Le schede di osservazione possono essere di vario genere e natura (cfr.


ut

Burns 1999, Hopkins 1985, Wajnryb1992 per una trattazione completa). Per
.T

ognuna di loro, che può essere liberamente creata dal docente, è necessario
re

stabilire l’obiettivo (la lezione, i materiali, le abilità, ecc.), l’oggetto dell’osser-


ito

vazione (docente, classe, singoli studenti), gli attori coinvolti, tempi e criteri
ed

di osservazione, nonché le modalità di analisi delle informazioni raccolte.


cci

3. La pubblicizzazione degli esiti della ricerca


na
Bo

Secondo Ebbutt (1985) l’intero processo “può legittimamente essere con-


siderato “ricerca” solo a condizione che i partecipanti siano disponibili a
©

documentarlo mediante la stesura di relazioni scritte sulle loro attività”.


La pubblicizzazione degli esiti della ricerca, infatti, rende possibile la con-
divisione dell’esperienza in un’ottica collaborativa e stimola il confronto cri-
tico e costruttivo (Hopkins 1985). Essa può assumere modalità diverse
(come la relazione orale per conferenze e seminari, il documento scritto, la
presentazione su supporto video, ecc.) in base ai destinatari prescelti, quali
colleghi, genitori degli alunni, istituzioni, università, lettori di riviste scola-
stiche (Coonan 2000).

209
riferimenti bibliografici
BECCHI E., VERTECCHI, B. (1975), (cur.), Manuale critico della sperimentazio-
ne e della ricerca educativa, Firenze, La Nuova Italia.
BURNS, A. (1999), Collaborative Action Research for English Language
Teachers, Cambridge University Press.
BURNS, A., WOOD, S. (1995), (cur.) Teachers’ Voices. Exploring Course Design
in a Changing Curriculum, National Centre for English Language Teaching
and Research, Sydney, Macquaire University.
COONAN C.M. (2000), (cur.), La Ricerca Azione, Venezia, Cafoscarina.
EBBUTT D. (1985), “Educational Action Research: Some General Concerns
and Specific Squibbles”, in Burgess, R.G. (cur.), Issues in Educational
Research: Qualitative Methods, London, The Falmer Press.

ti.
ELLIOTT J. (1991), Action Research for Educational Change, Milton Keynes,

va
Open University Press.

er
HENRY C., KEMMIS S. (1985), “A Point-by-point Guide to Action Research

ris
for Teachers”, in Australian Administrator, Vol. 6, n. 4, Geelong, Victoria,
Deakin University Press.
tti
iri
HOPKINS D. (1985), A Teacher’s Guide to Classroom Research, Buckingham,
id

England/Philadelphia, Open University Press.


ti

KEMMIS S., MCTAGGART R. (1982), The Action Research Planner, Geelong,


ut

Victoria, Deakin University Press.


.T

MASTROMARINO R. (1986), “Il metodo della Ricerca-azione”, in Studi di


re

Psicologia dell’Educazione, II.


ito

NUNAN D. (1993) “Action research in Language Education”, in Edge J.,


ed

Richards K. (cur.), Teachers develop Teachers Research: Papers of Classroom


Research and Teacher Development, Oxford, Heinemann.
c ci

POZZO G., ZAPPI L. (1993), (cur.), La ricerca-azione, Torino, Bollati


na

Boringhieri.
Bo

SCURATI C., ZANIELLO G. (1993), (cur.), La ricerca-azione: contributi per lo


sviluppo educativo, Napoli, Tecondid.
©

WAJNRYB R. (1992), Classrooom Observation Tasks: A Resource Book for


Teachers and Trainers, Cambridge University Press.
WALLACE M.J. (1991), Training Foreign Language Teachers: A Reflective
Approach, Cambridge University Press.
WALLACE M.J. (1993), Action Research for Language Teachers, Cambridge
University Press.

210
Capitolo 15
La LetteratUra neLLa CLasse di LingUa
Giovanna Pelizza

Il ruolo e l’importanza della letteratura nella classe di lingua hanno segui-


to le sorti dei vari approcci e delle diverse scelte metodologiche che si sono
susseguite negli anni in ambito glottodidattico. Per quanto riguarda l’Italia si
può affermare che le fortune della letteratura, legate soprattutto al metodo
formalistico o «grammaticale-traduttivo», sono andate scemando a partire
dagli anni ’70, periodo in cui è andato gradualmente affermandosi l’approc-
cio comunicativo. Occorre però sottolineare la particolare situazione che si è

ti.
venuta a delineare nel nostro Paese in cui i due approcci hanno convissuto

va
per anni fino ad oggi dando vita a scelte, sia programmatiche che operative,

er
contraddittorie (cfr. Lavinio 1990). Ciò è dovuto soprattutto a due fattori. Il

ris
primo riguarda la forte presenza, ancora oggi, di un approccio di tipo for-
malistico alla base della formazione universitaria della maggioranza degli
tti
iri
insegnanti di lingue e lettere, approccio che questi tendono ad applicare, pur
id

innestandolo o affiancandolo ad approcci più comunicativi. Il secondo fat-


tore, non slegato dal primo, riguarda lo statuto stesso della letteratura alla
ti
ut

quale si continua ad assegnare un ruolo formativo importante, pur se ridi-


.T

mensionato, all’interno del curricolo linguistico.


re

A questa situazione in ambito educativo e didattico si aggiunge il proble-


ito

ma del ruolo sempre più incerto della letteratura nella società odierna. Infatti
ed

il consumo di letteratura, almeno nella sua accezione di produzione scritta


colta, ciò che comunemente si definisce letteratura canonica, è drasticamen-
ci

te diminuito fino a diventare patrimonio quasi esclusivo della scuola (cfr.


c
na

Ceserani 1999).
Bo

1. Letteratura e complessità
©

1.1 Letteratura e società


È stato più volte sottolineato un crescente disagio nei confronti della frui-
zione di letteratura, quantomeno di quella definita canonica (cfr. Bloom
1996). Le colpe di questo stato di cose vengono attribuite talora allo strapo-
tere dei nuovi media quali migliori catalizzatori di interesse rispetto alla let-
teratura; talora invece è la scuola stessa che viene additata come deterrente
alla lettura; in altri casi ancora si sottolinea come la lettura con i suoi ritmi

211
lenti e individuali sia diventata una pratica che difficilmente si sposa con le
modalità della società complessa in cui prevale l’immediatezza del qui e ora
(cfr. Bloom 2000); mentre non si può fare a meno di rilevare lo scollamento
tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e le competenze apparen-
temente specialistiche che richiederebbe la lettura, osservando come i tempi
sempre più ridotti a disposizione delle varie agenzie formative richiedano
modalità flessibili e la formazione di competenze più urgenti e direttamente
spendibili nella pratica professionale.
La letteratura intesa come piacere e risposta al bisogno di immaginario
trova oggi la sua nuova forma di fruizione nei grandi mezzi di comunicazio-
ne, soprattutto la televisione e il cinema. (cfr. Armellini 1987). Infatti i gran-
di temi che in passato sono stati di esclusivo appannaggio della letteratura

ti.
sono gli stessi che oggi ritroviamo nelle trame cinematografiche e soprattut-

va
to in tutte le forme di intrattenimento televisivo, per non parlare poi delle

er
nuove forme multimediali e telematiche che la letteratura intesa come luogo

ris
dell’immaginario starebbe assumendo. Da questo punto di vista la letteratu-
ra si troverebbe solo ad aver cambiato forme e strumenti di fruizione e quin-
tti
iri
di sarebbe quantomeno poco realistico non fare i conti con questi profondi
id

cambiamenti.
ti
ut

1.2 Lingua, letteratura e società complessa


.T

Nell’ambito di una società complessa come quella attuale il compito della


re

glottodidattica non è più quello di offrire modelli statici e universali di


ito

apprendimento linguistico, bensì quello di fornire a tutti strumenti e moda-


ed

lità cognitive e linguistiche per comunicare e intendersi all’interno di comu-


nità che non sono più solo quelle dei singoli stati nazionali ma sono sempre
c ci

più spesso comunità elettive e culturali nel senso più ampio del termine.
na

Nondimeno si pone il problema di mettere a disposizione di tutti, indipen-


Bo

dentemente dalla comunità di appartenenza, delle «grammatiche» di base


trasferibili sulle quali ogni individuo, sia all’interno che all’esterno di un con-
©

testo educativo, possa costruire nuove competenze e abilità, scoprire e sfrut-


tare capacità che gli sono proprie, in un percorso che vada verso una sempre
maggiore autonomia nell’apprendimento e nel giudizio senza i quali è impen-
sabile qualunque crescita sia umana che intellettuale.
Se oggi il processo di apprendimento/insegnamento è focalizzato non più
sulla lingua come prodotto, bensì sulla lingua come processo comunicativo,
espressivo e cognitivo occorre anche essere consapevoli di come questo pro-
cesso debba essere tradotto e reinterpretato in curricoli che non possono

212
essere né onnicomprensivi, né totalizzanti. Il riconoscimento delle particola-
rità di un testo letterario come caratteristiche strutturali e stilistiche può esse-
re condotto su testi che non appartengono necessariamente al canone tradi-
zionale. Nello stesso modo se l’obiettivo è quello di formare il senso critico,
un approccio semiotico applicato ai diversi media, dalla televisione al cine-
ma, ai videoclip musicali, ai fumetti, ai videogiochi, permette di arrivare agli
stessi obiettivi con il vantaggio di usare materiali e mezzi di fruizione che
sono molto più vicini alle esperienze e ai gusti degli studenti (cfr. Fabbri
1998). In questo modo è possibile ottenere più facilmente l’abbassamento di
tutti i filtri affettivi e aumentare notevolmente la motivazione.

2. Letteratura e glottodidattica

ti.
va
er
2.1 Letteratura e linguistica

ris
Anche se recentemente la glottodidattica e la didattica della letteratura
cominciano a vedere nella semiotica e negli studi culturali degli interlocutori
tti
iri
importanti per ridisegnare il ruolo della letteratura in campo educativo, esiste
id

tuttora una grande difficoltà da parte loro a sottrarsi a una pesante influenza
della linguistica tradizionale che vede la letteratura in termini di devianza
ti
ut

dalla norma e di predominio delle funzione poetica. La letteratura viene con-


.T

siderata così un supplemento necessario a una conoscenza completa delle


re

modalità della lingua. Ma se, come avviene sempre più spesso, si riconosce
ito

che la funzione poetica non è monopolio esclusivo della letteratura e che il


ed

testo letterario non può essere considerato come devianza da una norma i cui
confini sono sempre più difficili da riconoscere, l’insegnamento della lettera-
ci

tura deve trovare una diversa giustificazione che ne metta in rilievo l’impor-
c
na

tanza educativa e formativa in termini di sviluppo del senso critico, di capa-


Bo

cità di formulare giudizi e quindi di saper scegliere qualitativamente come


soddisfare piaceri e bisogni che sono propri di ogni essere umano. La lettera-
©

tura viene così recuperata come educazione del lettore comune attraverso il
piacere della lettura, evasione nelle vicende di un buon romanzo, immedesi-
mazione con le avventure umane narrate, unite all’apprezzamento formale di
una trama ben costruita o di dialoghi particolarmente brillanti. La letteratura
è inoltre uno strumento utile a far emergere bisogni non immediatamente per-
cepibili connessi a problematiche comuni a tutti gli esseri umani come la com-
prensione della vita, delle sue dinamiche affettive, di potere e di giustizia che
sono anche i grandi temi della letteratura.

213
2.2 Letteratura e scienze psicologiche
Il ruolo fondamentale che le varie scienze psicologiche sono venute assu-
mendo, nella definizione stessa e nelle modalità operative proprie della glot-
todidattica, ha letteralmente rivoluzionato il tradizionale rapporto privilegia-
to tra disciplina e insegnante riportando al centro del processo di apprendi-
mento lo studente. L’attenzione alle caratteristiche cognitive e affettive di
ogni studente all’interno dell’azione didattica deve quindi costituire non solo
il punto di arrivo, ma essere alla base di ogni programmazione e accompa-
gnare tutto il processo educativo la cui meta finale è l’autonomia stessa di
ogni individuo.
È per questi motivi che l’attenzione agli aspetti cognitivi e affettivi che
sono in gioco nel processo di apprendimento non può limitarsi esclusiva-

ti.
mente a una delle fasi del lavoro sul testo letterario. Molto spesso infatti si fa

va
appello all’affettività dello studente solo in riferimento alla motivazione ini-

er
ziale nei riguardi di un brano letterario, oppure riguardo il fine pratico di

ris
alcune attività in cui gli studenti sono chiamati a operare attraverso il brano
tti
letterario senza che gli obiettivi specifici legati a questo siano del tutti chiari.
iri
In tutte queste situazioni, il richiamo all’affettività rischia spesso di ridursi a
id

una pratica fine a stessa se lo studente non è reso partecipe e consapevole


ti

degli obiettivi specifici che si vogliono raggiungere. Lo stesso scollamento tra


ut

la motivazione e le attività ad essa collegate si verifica spesso anche tra le abi-


.T

lità e le strategie cognitive che si mettono in moto attraverso il lavoro sul


re

testo e le sue finalità. In mancanza di un radicamento nel testo letterario delle


ito

abilità e strategie in gioco c’è il rischio che gli studenti diano importanza solo
ed

a ciò che si fa sul testo e non a cosa il testo stesso invita a fare.
ci

L’attenzione focalizzata esclusivamente sulla funzione referenziale del


c

testo letterario (scelto cioè per la pregnanza tematica dell’argomento) rischia


na

di essere percepita come la sola attenzione possibile nei confronti di un testo


Bo

soprattutto nel caso in cui le attività a essa collegate siano incentrate sulla
discussione, lo scambio di opinioni, la negoziazione di significati già dati,
©

percepiti quindi come il contenuto che il testo ha già in sé. D’altra parte
usare il testo letterario esclusivamente come una palestra per esercitare abi-
lità linguistiche o per ricercare elementi di pregnanza socio-culturale signifi-
ca ridurre notevolmente le sue risorse soprattutto quando si hanno a dispo-
sizione tipologie testuali ben più adatte a questi scopi e che presentano un
numero molto minore di difficoltà morfo-lessicali, strutturali e discorsive.
Anche nel caso in cui si voglia richiamare l’attenzione degli studenti su
aspetti più specifici del testo letterario si può incorrere nell’errore opposto. La

214
densità formale e contenutistica, spesso in complessa interazione reciproca, le
caratteristiche testuali e culturali finiscono per richiedere la messa in campo
di tali e tante strategie e abilità che spesso il testo letterario rischia di esserne
sommerso fino a perdere qualunque funzione comunicativa percepibile.
Il pericolo è che le abilità e le strategie cognitive messe in campo finisca-
no per diventare fini a se stesse, per essere percepite in termini di quantità e
non come elementi costitutivi di ogni individualità in un rapporto privilegia-
to con il testo letterario. Mentre i termini qualitativi, cosa avviene e come si
interagisce davanti a un testo letterario, finiscono per essere tarati esclusiva-
mente sulla produzione pratica con il prevalere del qui e ora della lingua
della comunicazione di tutti i giorni in cui tutti i significati sembrano già dati.
Se è pur vero che molte delle tecniche di analisi del testo letterario sono le

ti.
stesse della lettura di testi non letterari, nondimeno occorre sensibilizzare e

va
far riflettere gli studenti sul processo stesso e sugli obiettivi che si intendono

er
raggiungere.

ris
3. Una letteratura per ogni studente
tti
iri
id
A prescindere dal tipo di programma o curricolo propri delle diverse isti-
tuzioni formative, se l’educazione letteraria deve entrare di diritto a far parte
ti
ut

di ogni percorso formativo in coabitazione, più o meno pacifica, con l’edu-


.T

cazione linguistica, è d’obbligo però fare due precisazioni. La prima riguar-


da la sua funzione di completamento di un percorso linguistico in cui non
re

può mancare anche una semplice infarinatura, una esemplificazione di ciò


ito

che si può fare con la lingua, di ciò che gli scrittori, ma anche i cantanti e i
ed

pubblicitari riescono a creare. La seconda, ma ancora più importante, è che


ci

l’insegnamento della letteratura si deve regolare non tanto sul supposto inte-
c
na

resse o disinteresse degli studenti, ma in base all’età.


Per quanto riguarda i bambini che nelle scuole elementari affrontano una
Bo

lingua straniera il loro incontro con la letteratura, o meglio con alcuni aspet-
©

ti della letterarietà (cfr. Chines-Varotti 2001), non possono essere che indi-
retti e solo propedeutici. La maggior parte del lavoro verrà svolto con l’inse-
gnante della lingua materna. In ogni caso è possibile sfruttare la propensio-
ne dei bambini a giocare con i suoni e le parole della lingua straniera per sot-
tolineare concetti quali la rima e il ritmo anche attraverso la memorizzazione
di conte e filastrocche molto semplici delle quali non è necessario conoscere
il significato di ogni singola parola, bensì concentrarsi sull’effetto divertente,
giocoso ed evocativo di suoni e parole particolari. Inoltre l’ascolto di sem-
plici narrazioni fatte dall’insegnante a commento di immagini raffiguranti

215
una favola conosciuta o eventi relativi alla storia della classe o di qualche
bambino, possono costituire una buona base di partenza per affrontare nei
cicli superiori narrazioni più complesse di prima mano.
Durante l’adolescenza l’avvicinamento alla letteratura in lingua straniera
dovrebbe procedere su due coordinate. Da un lato dovrebbe inserirsi in un
percorso che preveda il graduale isolamento delle varianti presenti nella lin-
gua parlata della comunicazione per soffermarsi maggiormente su quelle che
si ritroveranno poi anche nei testi scritti e in quelli letterari. Dall’altro attra-
verso l’affinamento delle abilità generali di lettura e di scrittura il testo lette-
rario, inteso anche e soprattutto nell’accezione più ampia a cui si è fatto rife-
rimento, dovrebbe costituire un esempio o una tappa utile verso la forma-
zione del senso critico e, nella migliore delle ipotesi, promuovere il piacere

ti.
di leggere.

va
Gli adulti costituiscono un pubblico variegato dalle esigenze diverse che

er
è mosso da motivazioni spesso disparate. L’italiano come lingua straniera

ris
può costituire solo un mezzo per migliorare l’accesso a informazioni riguar-
danti il tempo libero e gli interessi personali (sport, moda, musica, cinema,
tti
iri
arte, letteratura, ecc), oppure uno strumento di lavoro. È soprattutto per
id

questo tipo di utenti che leggere la letteratura italiana, anche nel senso clas-
sico del termine, può costituire uno degli obiettivi che li porta a scegliere un
ti
ut

corso di lingua e cultura italiane. In questo caso la motivazione non costitui-


.T

sce un problema, semmai ciò di cui hanno bisogno sono modalità e tecniche,
re

abilità e strategie di lettura che vanno a innestarsi su quelle già possedute


ito

nella lingua madre o che vanno ad ampliarle e/o modificarle notevolmente.


ed

Ognuno di questi studenti si porta dietro un bagaglio culturale e spesso


anche didattico, derivante dalle precedenti esperienze di apprendimento di
ci

una lingua straniera, su cui è possibile lavorare (cfr. Balboni 2002).


c
na
Bo

4. Un modello comune
©

Alla luce di queste premesse occorre prendere atto di come le possibili


interpretazioni didattiche implicate vadano tutte nella direzione di una forte
interdisciplinarità che vedrebbe la letteratura indagata e scissa nelle sue
varie componenti da discorsi linguistici, storici, culturali, semiotici e filoso-
fici. Se è vero che la didattica della letteratura non è una branca specializ-
zata della glottodidattica, si tratta nondimeno di approfondire quali stru-
menti della glottodidattica possano essere utili per affrontare correttamen-
te il testo letterario.
Un primo sguardo alla didattica della lingua obbliga a un confronto con

216
uno dei suoi obiettivi primari: la creazione della competenza comunicativa.
L’approccio comunicativo, se inteso in modo riduttivo, non riesce a fornire
strumenti adatti per una pratica didattica che basi il suo modello operativo su
un continuum linguistico che va dalla lingua comune alla lingua letteraria, senza
ricadere nella trappola, sempre incombente, di un banale comunicativismo.
Paradossalmente è come se l’incontro con la letteratura obbligasse a un
ripensamento della definizione stessa di lingua. Affermando che la lingua
serve per comunicare e che rappresenta nello stesso tempo lo strumento pri-
vilegiato del pensiero, se ne enfatizza soprattutto l’aspetto veicolare e fun-
zionale, considerando quindi la lingua in sé come una forma vuota all’inter-
no della quale vengono, di volta in volta, inscritti dei significati che la prece-
dono. Lo scambio di messaggi che avviene tramite la lingua è invece un’ope-

ti.
razione complessa che riassume in sé tutta una serie di varianti e fattori che

va
interagiscono all’interno dell’evento comunicativo dando vita a significati

er
che non sono dati a priori. A questo proposito basta ricordare l’analisi det-

ris
tagliata fornitaci da Hymes per definire il contesto in cui avviene la comuni-
cazione e che è riassunta nell’acronimo SPEAKING. Tenendo nel dovuto conto
tti
iri
tutte le variabili che contribuiscono a creare l’evento comunicativo non è dif-
id

ficile osservare come gli scopi e i bisogni della comunicazione informino la


lingua e siano parte costitutiva della sua struttura. In quest’ottica il significa-
ti
ut

to non è qualcosa di aggiunto a un sistema linguistico indipendente già dota-


.T

to di una sua forma precisa, quanto piuttosto la forza motivante del sistema.
re

Ciò porterebbe a una concezione dell’evento comunicativo, non tanto come


ito

una lista di usi linguistici o un’interazione di fattori indipendenti l’uno dal-


ed

l’altro, quanto come un resoconto dei concetti filosofici, psicologici e mora-


li che sono incorporati nella lingua che usiamo (cfr. Fish 1980). Quindi se il
ci

contesto o l’evento comunicativo è impensabile senza l’interagire delle


c
na

varianti così bene individuate da Hymes, nondimeno non ci sarebbe evento


Bo

comunicativo al di fuori di quei significati che sono dati dalla presenza di


esseri umani nell’interazione. I contenuti, i giudizi e le relazioni, lungi dal-
©

l’essere proprietà di un contesto extralinguistico con cui una struttura di


rumori arbitrari interagisce, sono invece il frutto dell’interazione dell’uomo
con gli altri e con l’ambiente.

4.1 La competenza comunicativa: i rapporti tra lingua, contesto e significato


Alla base di ogni approccio comunicativo all’insegnamento e all’appren-
dimento di una lingua c’è il concetto di competenza comunicativa. Si tratta
di un concetto molto ampio che include al suo interno diversi tipi di compe-

217
tenze (linguistica, socio-pragmatica, culturale) dalla cui interazione si svilup-
pa quella macro-competenza che si definisce «comunicativa». Partendo da
una definizione di lingua come forma vuota, come semplice strumento di
comunicazione ed espressione in cui vengono inscritti a posteriori dei signi-
ficati, è sin troppo facile scoprire che le intenzioni comunicative rimangono
invariate all’interno dell’interazione, come invariate rimangono le operazioni
cognitive e le componenti affettive ed emotive dei partecipanti. Nessun even-
to comunicativo è qualcosa di già dato, di già esistente, ma è appunto qual-
cosa che avviene, producendo un cambiamento nella realtà, o meglio crean-
do la realtà stessa. Non si tratta quindi di percepire la realtà e di incasellarla
in schemi mentali preesistenti, bensì di osservare come l’uso della lingua
all’interno di un evento comunicativo contribuisca a creare e a operare dei

ti.
cambiamenti nel contesto, nell’uso della lingua stessa e nei parlanti.

va
Prestando maggior attenzione a tutte le variabili che determinano l’evento

er
comunicativo si contribuirà anche a creare la consapevolezza di come la lin-

ris
gua agisce ed è agita nella comunicazione.
Un approccio comunicativo fondato principalmente sul parlare e l’ascol-
tti
iri
tare non può dunque prescindere dalla ricerca dei livelli multipli della com-
id

prensione del contesto attraverso il dialogo e la discussione con gli studenti


di questi aspetti. Quindi se le attività comunicative non devono solo servire
ti
ut

per produrre comunicazione ma anche per operare dei cambiamenti nei par-
.T

tecipanti e arricchire il bagaglio di conoscenze, modalità cognitive e strategie


re

di acquisizione, occorre cercare e indagare insieme modalità per variare


ito

esplicitamente tutti i parametri del contesto in cui avviene l’interazione e


ed

vedere come ogni variazione nel contesto possa portare in primo piano varia-
zioni di significato nel testo. Non è difficile osservare come un simile approc-
ci

cio alla comunicazione di tutti i giorni costituisca una pratica propedeutica


c
na

indispensabile all’incontro con il testo letterario, alla sua comprensione,


Bo

interpretazione e valutazione.
©

5. scrittura, lettura e letteratura

5.1 La scrittura tra continuità e particolarità


Nella pratica didattica odierna non si impara semplicemente a scrivere,
bensì si apprende a redigere testi in lingua scritta attraverso dinamiche e pro-
cedimenti simili, per molti versi, a quelli della lingua parlata. Si imparano a
scrivere e a leggere testi per scopi comunicativi: fax, testi informativi, artico-

218
li di giornale, saggi, ecc.
Attraverso la comunicazione scritta è più facile far rilevare il processo di
costruzione e interpretazione dei significati già presente nella comunicazio-
ne orale. Infatti la lingua scritta significa sia di più che di meno di quello che
dice e la lingua letteraria aggiunge una dimensione di particolarità. In questo
modo è possibile mettere a fuoco la particolarità (della lingua, della struttu-
ra, dei significati, ecc.), analizzando il testo secondo una prospettiva di inter-
soggettività, di dialogo e di differenza culturale. L’attenzione si va così gra-
datamente allontanando dal solo livello contenutistico e referenziale per
focalizzarsi maggiormente sui modi in cui lo scritto prende forma.
Partendo dalla sostanziale continuità tra lingua orale e lingua scritta
occorre sviluppare un confronto tra le differenti tipologie testuali: da quelle

ti.
più vicine all’oralità a quelle più tipiche della lingua scritta. Chi scrive dà

va
forma al medium linguistico, struttura la propria esperienza scegliendo strut-

er
ture grammaticali e lessico così da portare il lettore a condividere il mondo

ris
che egli ha creato. Inoltre attraverso il processo di negoziazione di significa-
to tra il testo e il lettore quest’ultimo è chiamato a collaborare alla creazione
tti
iri
del testo partecipando a una relazione intersoggettiva in cui viene sollecitata
id

una sua risposta personale. Per capire i testi, i lettori si rifanno a esperienze
e conoscenze precedenti, fanno anticipazioni di significato ricorrendo alla
ti
ut

propria expectancy grammar e costruiscono il significato del testo attraverso


.T

il bagaglio di conoscenze condivise del mondo, fanno cioè riferimento alla


re

propria enciclopedia mentale.


ito

La pratica della scrittura confrontata con la comunicazione orale in cui


ed

tutto può sembrare automatico sotto la pressione del qui e ora, sottolinea
maggiormente la presenza del mezzo e la sua funzione di dare forma e signi-
ci

ficato a ciò che si scrive. Una semplice attività come quella di chiedere agli
c
na

studenti di scrivere una frase che descriva la stessa azione che tutti vedono
Bo

(l’insegnante o un compagno che compiono un certo gesto) permette di met-


tere a confronto molte versioni dello stesso fatto. Chi scrive, descrivendo l’e-
©

vento in un certo modo lo ricrea e obbliga i lettori a vederlo dal suo punto
di vista. Accade così che la realtà dell’evento condiviso venga assoggettata e
subordinata al linguaggio attraverso il filtro soggettivo.
Chi scrive stabilisce e crea una realtà da condividere con chi legge dando
forma alla propria esperienza attraverso la struttura grammaticale e la scelta
del lessico. Analizzando queste scelte strettamente linguistiche è possibile un
confronto iniziale tra ciò che viene detto e le modalità utilizzate per espri-
merlo, per poi osservare come questo rapporto contribuisca a ridefinirne il
contenuto.

219
5.2 Individuare il rapporto tra testo e lettore: la negoziazione del significato
I testi letterari invitano i propri lettori a entrare nel mondo dello scritto-
re facendo così appello a una risposta soggettiva del lettore. Se da una parte
esiste un testo materiale uguale per tutti, dall’altra ogni singolo atto di lettu-
ra dà vita a un testo diverso, infatti il testo cambia attraverso il dialogo con
ognuno dei suoi lettori. Non è possibile descrivere un testo prescindendo
dall’incontro con un determinato lettore: se il testo originale è unico, ci sono
però tante versioni del testo quanti sono i lettori.
Ai primi stadi di apprendimento della lingua solitamente viene incorag-
giata una lettura in cui l’attenzione dello studente si focalizza principalmen-
te su quello che rimarrà dopo la lettura. Questo tipo di lettura, in cui il let-
tore è concentrato su quello che porterà via, è stato anche definito «lettura

ti.
efferente», dal latino efferre «portare via». Si tratta di un’abilità essenziale per

va
la comprensione delle notizie riportate da un giornale, per comprendere tutti

er
i tipi di istruzioni, per consultare guide turistiche, ecc.

ris
Al contrario, in quella che si definisce «lettura estetica» l’attenzione del
tti
lettore è focalizzata su quello che succede durante l’evento della lettura. In
iri
una lettura estetica l’attenzione del lettore si concentra su quello che sta
id

vivendo e sperimentando durante la sua interazione con un testo nel tentati-


ti

vo di comprendere e condividere l’esperienza di un’altra persona che deve


ut

essere ricostruita e ricreata attraverso la mediazione della parola scritta.


.T

In ogni caso queste due modalità devono essere entrambe viste come
re

dimensioni del dialogo che si instaura tra testo e lettore, tenendo conto che
ito

uno stesso testo può essere letto sia in modo efferente che estetico.
ed
ci

5.3 Individuare il rapporto tra il testo e le conoscenze del mondo


c
na

Per capire i testi i lettori si rifanno a esperienze e conoscenze precedenti.


La ricerca portata avanti in questo campo sia in ambito glottodidattico che
Bo

in quello delle scienze cognitive ha sottolineato il ruolo fondamentale sia del-


©

l’expectancy grammar che dell’enciclopedia mentale (vedi Balboni in questo


volume). Questi fattori, attraverso l’attivazione di schemi, script (copioni)
mentali, rendono possibile anticipare le informazioni e metterle in relazione
alle conoscenze pregresse, riconoscendo quindi il senso globale del testo che
si legge (cfr. Levorato 2000).
Trascurare il contesto socioculturale della produzione del testo e dei con-
testi culturali e personali dei lettori può portare a fraintendere l’argomento,
il tono, il genere o l’intento del testo, i suoi diversi livelli di significato. Nella

220
pratica didattica può essere quindi più proficuo non tanto domandarsi quali
e quante informazioni devono essere date agli studenti, bensì concentrarsi
sulla loro qualità. Di solito quando si affronta la letteratura si tende a forni-
re agli studenti informazioni riguardo la conoscenza retorica e formale neces-
saria ad apprezzare l’abilità dello scrittore, informazioni sul periodo storico,
sull’autore, sul genere e sulla logica interna della narrazione. Oppure si tende
a fornire informazioni contestuali referenziali rispetto al contenuto, al tema
e al valore sociale e culturale del testo. Ciò su cui si dovrebbe focalizzare l’at-
tenzione dovrebbe essere il rapporto tra il contesto culturale e il contesto
interattivo che si viene a creare tra testo e lettore. In questo modo gli studenti
possono confrontarsi con le interpretazioni del testo da parte dei lettori di
madrelingua, e cogliere come la loro esperienza personale di lettori stranieri

ti.
possa contribuire alla comprensione dell’esperienza trasmessa dal narratore.

va
er
5.4 Individuare le esperienze testuali precedenti

ris
Un contributo importante alla comprensione e al dialogo con il testo let-
tti
terario può essere fornito anche dall’esperienza precedente degli studenti
iri
come lettori, dalle storie lette o raccontate dai genitori durante l’infanzia ai
id

testi letterari e non, letti nel corso della propria esistenza. Queste esperienze
ti

influenzano il modo in cui la parola scritta viene compresa e integrata nelle


ut

conoscenze presenti del lettore. Ognuno ha in sé modalità di lettura deriva-


.T

te dall’educazione generale, dalle diverse sensibilità culturali e dalle infor-


re

mazioni precedenti. Queste modalità hanno contribuito a creare gli stili


ito

cognitivi di ognuno con cui interagiscono durante l’atto della lettura.


ed

Occorre quindi tenere conto e utilizzare tutti i diversi stili e modalità cogni-
tive facendoli interagire reciprocamente, in modo da facilitare l’approccio
c ci

degli studenti a stili diversi dai propri.


na
Bo

5.5 Individuare i silenzi del testo


©

La lettura estetica permette di focalizzarsi maggiormente su ciò che è


lasciato in ombra nel testo, il suo non detto. Nel testo letterario ogni parola è
stata scelta a spese di altre che sono state escluse. Capire i silenzi è la cosa più
difficile per uno studente straniero perché la decisione dell’autore di lasciare
determinate cose nel non detto si basa sulla sua fiducia nella capacità dei let-
tori di leggere tra le righe. È necessario che l’insegnante sottolinei e valorizzi
i momenti di discrepanza tra le interpretazioni del lettore nativo e quelle del
lettore straniero per consentire un confronto tra la prospettiva di un lettore
particolare e le risposte di altri lettori in altri tempi e in altre circostanze.

221
6. il testo letterario
Una della maggiori difficoltà per gli studenti di lingua nei confronti dei
testi scritti consiste nello scarto tra una tipologia testuale più legata al parla-
to, e una più letteraria. Poiché chi scrive attua delle scelte che non sono sem-
pre facilmente prevedibili, occorre rendere consapevoli gli studenti che la
specificità e la singolarità possono essere apprezzate attraverso un’interazio-
ne tra loro e il testo, aiutandoli quindi a trasformare le abilità orali sviluppa-
te in precedenza per esprimere significati generali in abilità per esprimere
significati particolari. I testi letterari nella classe di lingua costituiscono una
risorsa importante grazie alla speciale dote che ha la letteratura di rappre-
sentare la voce particolare dello scrittore tra le tante della propria comunità
e in questo modo di fare appello all’individualità del lettore. Il lettore viene

ti.
sollecitato dalla particolarità della voce dello scrittore a ricercare e sviluppa-

va
re la propria voce personale all’interno della comunità straniera. In questo

er
senso i testi letterari offrono quindi maggiori opportunità per una negozia-

ris
zione dialettica del significato attraverso la focalizzazione delle differenze.
tti
iri
6.1 La scelta dei testi
id

Piuttosto che scegliere un testo in base a un interesse tematico e alla sem-


ti
ut

plicità linguistica l’insegnante può considerare altri criteri, cioè se il testo si


.T

presta maggiormente a una «lettura efferente» o a una lettura estetica, se la


struttura narrativa sia o no prevedibile, se le allusioni culturali siano cono-
re

sciute ai lettori stranieri, se i silenzi del testo siano comprensibili ai lettori


ito

stranieri. Una struttura narrativa lineare su un tema famigliare, i cui silenzi


ed

siano facili da riempire permette una risposta più immediata da parte di un


ci

lettore straniero, ma può anche risultare ingannevole e produrre negli stu-


c
na

denti una «lettura efferente». Un livello linguistico semplice può presentare


una narrazione sofisticata con cui gli studenti non hanno famigliarità ma può
Bo

far nascere un interesse di carattere estetico.


©

Prima di usare un testo per la classe l’insegnante dovrebbe esaminare le


proprie reazioni al testo, che cosa gli è piaciuto, che cosa lo ha colpito in
positivo e in negativo. È importante sviluppare una risposta personale nella
comprensione dell’esperienza comunicata dal testo. Occorre domandarsi
quale esperienza umana o tema il testo esprima al di là del contenuto diret-
tamente parafrasabile.
L’insegnante cercherà quegli aspetti testuali che veicolano l’argomento
del testo. Questo aspetto è essenziale per evitare che la discussione in classe

222
si perda in considerazioni generiche che hanno poco a che fare con il testo.
L’insegnante sceglierà non più di due punti nodali del testo da svolgere in
classe durante una sessione di lavoro. Questi punti devono essere pertinenti
sia a livello della storia che a livello del discorso. Occorre liberarsi dall’illu-
sione di dover affrontare un testo in tutte le caratteristiche sia formali che
contenutistiche, potranno esserci altre occasioni e soprattutto altri testi.
L’insegnante deve anche decidere prima quale forma dare al lavoro in classe
per affrontare i punti su cui ha deciso di focalizzare l’attenzione. Il confron-
to tra questi punti e le varie attività che fanno parte del repertorio didattico
la aiuterà nella scelta del tipo migliore di interazione: discussione in plenum,
domande individuali, role-play, lavoro di gruppo, lavoro a coppie, ecc.

ti.
6.2 Attività propedeutiche alla lettura

va
Queste attività possono essere svolte in classe o a casa. Ogni insegnante

er
può strutturare la sequenza delle attività nell’ordine che meglio si adatta agli

ris
obiettivi che si è prefissato. Può essere utile spiegare alla classe la differenza
tti
tra una lettura diretta a raccogliere informazioni e una lettura che enfatizzi l’e-
iri
sperienza di leggere. L’insegnante deve sempre spiegare agli studenti che cosa
id

si aspetta esattamente quando dà loro un testo da leggere a casa, se si tratta di


ti

un lavoro di comprensione a livello lessicale e strutturale per andare alla ricer-


ut

ca dell’argomento del testo oppure se si tratta di una comprensione a livello


.T

della storia, dell’intreccio e quindi si tratta di ricercare il perché degli avveni-


re

menti che accadono e delle azioni hanno luogo. Attraverso domande perso-
ito

nalizzate, attività scritte, o la presentazione di altri testi simili può essere utile
ed

sensibilizzare gli studenti all’esperienza tematizzata nel testo. Si possono quin-


di estrapolare dal testo concetti chiave da discutere insieme. Occorre inoltre
c ci

che le aspettative dello studente siano attivate in modo da comprendere la sto-


na

ria. Pur senza indulgere troppo con la terminologia della critica letteraria è
Bo

utile che gli studenti sappiano di che si tratta: una satira, una tragedia, una
commedia, un racconto, un brano di un romanzo.
©

In ogni caso, sia che il testo sia affrontato in un’unica sessione o in più
incontri almeno il primo paragrafo va comunque riletto insieme in classe
(dall’insegnante, dagli studenti, ad alta voce o singolarmente in silenzio).
Dopo che la sintassi e il lessico sono stati chiariti, l’insegnante rilegge il brano
ad alta voce fermandosi dopo ogni frase incoraggiando i singoli studenti a
intervenire con possibili associazioni, commenti, domande, ecc.

223
6.4 Analizzare la storia e il discorso
In ogni testo letterario il dialogo tra il lettore e il testo si orienta su due
livelli: quello della storia e quello della struttura del discorso, della sua nar-
razione. Esistono diversi modi per attivare il processo cognitivo durante la
lettura e rendere il testo significativo per gli studenti: formulare domande,
stabilire connessioni logiche e analogiche, selezionare/scartare informazioni,
raggruppare, organizzare/riorganizzare fatti e eventi, generalizzare, mettere
in ordine di importanza, esplorare le conseguenze di azioni, generare alter-
native, prevedere risultati; valutare, raccogliere fatti (linguistici e referenzia-
li), raccogliere le idee su progetti e intenzioni e mettere entrambi in relazio-
ne all’esperienza personale dei lettori.
Per illustrare il modo in cui il medium dà forma al significato può essere

ti.
utile tradurre il testo in un medium cinetico, visivo o in un altro linguaggio.

va
È possibile chiedere di disegnare la copertina del libro in modo da catturare

er
il tema del romanzo. Gli studenti, nel giustificare le loro scelte dei motivi,

ris
colori, forme e collocazioni spaziali si troveranno nella stessa situazione del-
tti
l’autore quando ha scelto determinate parole, frasi, immagini, ecc. La stessa
iri
attività può essere fatta chiedendo agli studenti di esprimere il tema del testo
id

attraverso l’uso di altre tipologie testuali. Un altro modo per mettere in luce
ti

il valore delle scelte dell’autore consiste nel confrontare il testo con la tradu-
ut

zione in un’altra lingua.


.T

Chiedere agli studenti di ricomporre, ricostruire il testo in altra forma


re

spesso aiuta a vedere in modo più chiaro come il punto di vista scelto dal-
ito

l’autore influenzi la comprensione della storia. Uno studente all’inizio della


ed

lezione può riassumere oralmente il testo che ha letto a casa. Alcuni studen-
ci

ti alla lavagna devono scrivere con parole loro il riassunto del compagno,
c

possibilmente aggiungendo elementi che mancano o contestandone possibi-


na

li fraintendimenti. Poi la classe in plenum analizza e confronta i vari riassun-


Bo

ti. Riscrivere la storia dal punto di vista di un altro personaggio è il modo


migliore per diversificare i contesti di realtà degli studenti. Molte di queste
©

attività sono perfettamente conosciute in glottodidattica ma sono spesso por-


tate avanti come esercizi puramente linguistici con lo scopo di far praticare
strutture linguistiche di base nel modo più accurato possibile. Qui sono inve-
ce usate per sollecitare una riflessione consapevole sul valore della sequenza
degli eventi; per esempio si può chiedere di confrontare gli effetti sul lettore
di quello che hanno scritto gli studenti con gli effetti del testo originale.
Per sensibilizzare gli studenti alla nozione di pubblico gli si può chiedere
di scrivere conclusioni diverse della stessa narrazione per pubblici diversi.

224
Per apprezzare il processo di costruzione di schemi che ha luogo durante la
lettura gli studenti dovrebbero essere in grado di confrontare i loro schemi
mentali con le aspettative che avevano in precedenza e con le aspettative che
il testo costruisce attraverso la sua struttura. Fornire un testo di cui manca la
conclusione e chiedere agli studenti di scriverla può rappresentare un’occa-
sione per paragonare la loro logica con quella che il testo li invita a svilup-
pare. Alla fine è possibile raccogliere tutti i finali sullo stesso foglio, incluso
il finale originale, e discutere sulle differenze considerando i vari effetti sul
lettore e anche l’influenza che questi possono avere sul significato generale
del testo.
Per aiutare gli studenti a identificare le varie voci del testo sono stati avan-
zati diversi suggerimenti, alcuni suggeriscono la sceneggiatura di testi origi-

ti.
nariamente non pensati per questo scopo. Il principio è semplice: in piccoli

va
gruppi gli studenti devono decidere chi darà voce a quali parole o gruppi di

er
parole del testo mentre il gruppo legge ad alta voce. Separare le voci senza

ris
cambiare nulla nel testo promuove la riflessione sui processi interpretativi e
compositivi del testo. Decidere se alcuni parti devono essere lette da deter-
tti
iri
minati personaggi piuttosto che da altri permette di distinguere tra le voci dei
id

fatti, le voci delle speculazioni, le voci del presente, le voci del passato, ecc.
Un’altra alternativa può essere quella di far sentire le voci più silenziose.
ti
ut

Mettere in scena una conferenza stampa in cui uno studente assume la parte
.T

del narratore, o un dibattito tra due narratori, può dare visibilità alla pro-
re

spettiva onnisciente del testo e portarla al centro dell’attenzione, rendendo-


ito

la così più facilmente analizzabile.


ed
ci

riferimenti bibliografici
c

ARMELLINI G. (1987), Come e perché insegnare letteratura, Bologna,


na

Zanichelli.
Bo

BALBONI P.E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-
©

plesse, Torino, Utet Libreria.


BALBONI P.E. (1998), Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino,
Utet Libreria.
BALBONI P.E., LUISE M.C. (1994), Interdisciplinarità e continuità nell’educa-
zione linguistica, Roma, Armando.
BLOOM H. (2000), Come si legge un libro (e perché), Rizzoli, Milano.
BLOOM H. (1996), Il canone occidentale, Milano, Bompiani.
http://www.mediamente.rai.it/mmold/home/bibliote/intervis/b/
bloom.htm

225
http://www.Britannica_com_file\hbloomb1.htm
http://homearts.com/depts/relat/hbloomb2.htm
BRUMFIT C., CARTER, R. (1986), Literature and Language Teaching, Oxford,
OUP.
BRUNER J. (2002), La fabbrica delle storie, Roma-Bari, Laterza.
BRUNER J. (1996), La cultura nell’educazione, Milano, Feltrinelli.
BRUNER J. (1992), La ricerca del significato: verso una psicologia culturale,
Torino, Bollati Boringhieri.
BRUNER J. (1988), La mente a più dimensioni, Roma-Bari, Laterza.
CESERANI R. (1999), Guida allo studio della letteratura, Roma-Bari, Laterza.
CHINES L., VAROTTI C. (2001), Che cos’è un testo letterario, Roma, Carocci.
COLOMBO A. (1999), “Per un curricolo nazionale di italiano” in Annali della

ti.
Pubblica Istruzione, 3-4-99, www.istruzione.it.

va
COOK G. (2001), “Less work and more play: Towards a ludicrous lingui-

er
stics”, in Di Napoli R., Polezzi R., King A. (cur.), Fuzzy boundaries?

ris
Reflections on modern languages and the humanities, London, CILT.
COOK G. (1994), Discourse and Literature, Oxford, OUP.
tti
iri
FABBRI P. (1998), La svolta semiotica, Roma-Bari, Laterza.
id

FISH S. (1980), Is there a Text in this Class?, Cambridge Mass.-London,


Harvard University Press.
ti
ut

GUERRIERO A.R. (2000), “Per un curricolo di lingua straniera” in Annali


.T

della Pubblica Istruzione, 1-2-2000, www.istruzione.it.


re

GUERRIERO A.R. (1999), “Per un curricolo di educazione linguistica” in


ito

Annali della Pubblica Istruzione, 3-4-99, www.istruzione.it.


ed

KRAMSCH C. (1993), Context and Culture in Language Teaching, Oxford,


OUP.
ci

LAVINIO C. (1990), Teoria e didattica dei testi, Firenze, La nuova Italia.


c
na

LEVORATO M. C. (2000), Le emozioni della lettura, Bologna, Il Mulino.


Bo

LEVORATO M. C. (1989), Racconti, storie e narrazioni. I processi di compren-


sione dei testi, Bologna, Il Mulino.
©

PARKINSON B., REID THOMAS H. (2000), Teaching Literature in a Second


Language, Edinburgh, Edinburgh University Press.
QUARTAPELLE F. (1999), “Per un curricolo di lingua straniera” in Annali della
Pubblica Istruzione, 3-4-99, www.istruzione.it.
SIANI C. (1992), Lingua e letteratura, Firenze, La nuova Italia.
WIDDOWSON H. G. (1975), Stylistics and the Teaching of Literature, London,
Longman.

226
Capitolo 16
La didattiCa deLLe miCroLingUe
Paola Begotti

Il numero crescente di studenti stranieri che decidono di imparare la lin-


gua italiana all’estero come LS, induce gli insegnanti a differenziare mag-
giormente l’offerta, proponendo, sempre più frequentemente, corsi di
microlingua.
Il presente capitolo intende porre l’attenzione sulla microlingua come
varietà linguistica e sulle sue peculiarità: nella prima parte ne verrà data una
definizione, successivamente verranno illustrate le caratteristiche testuali e

ti.
morfosintattiche che la rendono micro rispetto alla lingua comune, infine

va
nella terza parte verranno sottolineati alcuni aspetti della didattica della

er
microlingua, in particolar modo quelli scientifico-professionali.

ris
1. Una definizione di microlingua
tti
iri
id
Tutti i testi di glottodidattica sull’argomento prendono in esame la que-
stione terminologica, sulla quale non vi è tuttora uniformità tra gli studiosi.
ti
ut

Freddi nella sua introduzione al volume di Balboni1, definisce la micro-


.T

lingua una parte della macrolingua, intendendo con tale termine la lingua
quotidiana usata dalla gente comune, che si arricchisce di continuo di appor-
re

ti che provengono dalle microlingue stesse.


ito

Per capire bene il significato di microlingua è necessario quindi contrap-


ed

porre questo concetto a quello di lingua standard. Infatti, la lingua comune


ci

veicola una visione approssimativa del mondo ed in essa, ad esempio, le


c
na

parole di uso quotidiano hanno un significato polisemico allo scopo di ren-


dere “generica”, e quindi interpretabile in vari modi, la lingua.
Bo

La lingua scientifica, invece, manifesta esattamente l’opposto: la realtà


©

scientifica richiede un linguaggio esatto, che possa riprodurre una comuni-


cazione non ambigua tra coloro che coltivano quella scienza, in quanto la
precisione e l’esattezza metalinguistica sono indispensabili per tendere alla
verità delle cose.
Le microlingue sono pertanto le voci delle scienze, delle tecnologie e di
altre aree di specializzazione.
Tra le definizioni più significative, infatti, ricordiamo: “lingue speciali”

1
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico-professionali, Torino, Utet.

227
proposta da Berruto2 nel 1987, il quale poneva l’accento sull’aspetto diafasi-
co, sul contesto extralinguistico e sull’argomento; “linguaggi specialistici” di
Gotti3 nel 1991, il quale predilige definire l’uso che gli specialisti fanno del
linguaggio nel proprio ambito professionale; la suddivisione proposta da
Sobrero4 nel 1993 tra “lingue specialistiche”, ovvero altamente specializzate,
e “lingue settoriali”, più afferenti all’ambito professionale. Infine Balboni5
nel 2000 ha proposto il termine “microlingue scientifico-professionali” per
delimitare ulteriormente il campo di lavoro.

1.1 Le finalità delle microlingue


Ciò che può consentire l’individuazione di una microlingua è lo scopo ed
i principali scopi per cui si usa una microlingua sono due:

ti.
a. la massima chiarezza, la comunicazione non ambigua: si utilizza la

va
microlingua per ridurre al massimo e, se possibile, eliminare comple-

er
tamente ogni ambiguità dalla comunicazione, ma, se impiegata al di

ris
fuori del contesto in cui si è sviluppata oppure con non esperti o ini-
tti
ziati, la microlingua può avere esattamente l’effetto contrario, vale a
iri
dire rendere la comunicazione assai complessa e, in certi casi, persino
id

impenetrabile;
ti
ut

b. il riconoscimento reciproco tra appartenenti dello stesso gruppo scien-


.T

tifico-professionale o sociale.
re

È fondamentale quindi, da parte degli appartenenti ad un determinato


ito

gruppo settoriale, la conoscenza delle strutture concettuali della disciplina,


ed

ma è ulteriormente importante anche la conoscenza delle convenzioni cultu-


rali e linguistiche peculiari. La lingua, infatti, non è fatta solo di regole gram-
ci

maticali, ma sono altrettanto fondamentali gli aspetti extralinguistici: l’uso


c
na

comunicativo del corpo, ad esempio può influire sulla comunicazione (una


Bo

testa che annuisce, espressioni del volto, lo sguardo, ecc.).


Acquisire una competenza comunicativa di microlingua significa quindi
©

2
Berruto G. (1987), Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo, Roma, Nuova Italia Scientifica.
3
Gotti M. (1991), I linguaggi specialistici, Firenze, La Nuova Italia.
4
Sobrero, A. (cur.) (1993), Introduzione all’italiano contemporaneo. (Le strutture. La variazione e gli
usi), Bari, Laterza.
5
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico professionali, Torino, Utet: “[...] useremo microlingue
scientifico-professionali per riferirci alle «microlingue (prodotte cioè dalla selezione all’interno di tutte le
componenti della competenza comunicativa in una lingua) usate nei settori scientifici (ricerca, università)
e professionali (dall’operaio all’ingegnere, dall’infermiere al medico, dalla studente di liceo al critico
letterario) con gli scopi di comunicare nella maniera meno ambigua possibile e di essere riconosciuti come
appartenenti ad un settore scientifico o professionale” (pag. 9).

228
sapere la lingua (competenza linguistica ed extralinguistica), ma anche saper
fare lingua (padronanza dei processi cognitivi) e saper fare con la lingua (com-
petenza socio-pragmatica).
Per quanto riguarda le abilità utilizzate nelle microlingue, il “saper fare
lingua”, esse si differenziano secondo le varie professioni: se per un camerie-
re è fondamentale saper scrivere sotto dettatura e prendere appunti, que-
st’abilità è sicuramente meno importante per un architetto o un avvocato.
Nella dimensione pragmatica della microlingua, il “saper fare con la lin-
gua”– ossia il sapere di che cosa parlare, con chi, come e quando – sono pri-
vilegiate funzioni diverse a seconda degli ambiti, ma in generale prevalgono la
funzione referenziale, quelle regolativo-strumentale e metalinguistica, mentre
risulta quasi inesistente la funzione poetico-immaginativa o personale.

ti.
va
2. Caratteristiche formali delle microlingue

er
ris
Le microlingue presentano delle peculiarità che vanno ben oltre la carat-
terizzazione lessicale su cui a lungo si è concentrato lo studio dei linguaggi
settoriali. tti
iri
id
Il lessico microlinguistico è sicuramente l’elemento più fortemente mar-
cato di ciascun linguaggio settoriale, ma non è l’unico. Le microlingue, infat-
ti
ut

ti, possono presentare anche fenomeni linguistici di tipo testuale, sia di gene-
.T

re sia di struttura, di tipo morfologico e sintattico.


Tali caratteristiche si differenziano secondo l’ambito settoriale, perciò una
re

microlingua di tipo scientifico può presentare generi testuali e caratteristiche


ito

morfosintattiche ben diverse da una microlingua, ad esempio, del turismo.


ed

Ad esempio in ambito scientifico gli specialisti del settore, allo scopo di


ci

essere il più possibile chiari e precisi, devono necessariamente condensare in


c
na

poche parole concetti che nel linguaggio comune richiederebbero lunghi


discorsi.
Bo

Le microlingue scientifiche e tecniche, pertanto, condividono alcune


©

caratteristiche generali dei linguaggi specialistici, caratteristiche che, traendo


spunto da un elenco approntato da Hoffmann6, possono schematizzarsi in:
- esattezza, in questo settore, infatti, è fondamentale la precisione, non è
possibile ad esempio relazionare un esperimento scientifico con termini
poco corretti (fa eccezione l’ambito legale, dove si usano termini spesso
ambigui, offrendo un pretesto per un’interpretazione soggettiva);

6
Hoffmann L. (1984), “Seven Roads to LSP”, in Special Language-Fachsprache, VI, 1-2, pag. 28-38.

229
- oggettività, la scienza e la tecnica richiedono testi formulati in modo
obiettivo, tralasciando interpretazioni o commenti personali e soggettivi;
- generalizzazione, la microlingua deve essere facilmente comprensibile
da quanti fanno parte del settore, perciò devono diffondere e divulgare
i concetti teorici con i relativi termini microlinguistici, ad esempio ter-
mini generati con prefissi e suffissi greci o latini i quali rendono inter-
nazionali i termini: nel campo della medicina, termini come “ipertiroi-
dismo” viene facilmente e velocemente diffuso tra gli addetti ai lavori;
- densità di informazione, le microlingue scientifiche e tecniche devono
condensare molti concetti in poche righe, perciò si utilizzano generi
testuali particolari, si pensi all’abstract, oppure termini generati dalla
fusione di altri due, ad esempio “informatica”, unione di “informazio-

ti.
ne” e “automatica”;

va
- brevità;

er
ris
- neutralità emotiva;

tti
- mancanza di ambiguità, ossia la monoreferenzialità dei termini: ogni
iri
parola deve indicare un unico strumento, oggetto, concetto, non deve
id

presentare sinonimi;
ti

- impersonalità, soprattutto per le microlingue scientifiche viene posta


ut

l’attenzione sul fenomeno (nel caso di un esperimento) o della scoper-


.T

ta, annullando la personalità del ricercatore;


re

- coerenza logica, fattore intrinseco alla scienza ed alla tecnica;


ito

- uso di simboli, acronimi e figure, che riprendono i concetti di densità


ed

concettuale, brevità e mancanza di ambiguità.


c ci
na

2.1 Aspetti testuali delle microlingue


Bo

Studiare gli aspetti testuali della microlingua significa analizzare il genere


e la forma retorica che la microlingua assume quando è usata in ambito spe-
©

cialistico.
Un testo microlinguistico ben redatto rende chiara sia la sua coerenza, sia
la sua struttura concettuale, e ciò serve per aiutare il lettore a comprendere
le informazioni, a dargli la possibilità di scoprire il disegno concettuale su cui
si basa e di recuperare le conoscenze prerequisite.
I generi testuali rappresentano le forme di realizzazione dei vari tipi di
testo e si differenziano notevolmente nelle varie microlingue a tal punto che
alcuni di essi sono diventati peculiari di un’unica microlingua: ad esempio la

230
recensione è il genere testuale tipico della critica letteraria o cinematografica.
Ci sono generi che sono specifici del settore scientifico-professionale
come ad esempio l’abstract o il saggio, altri invece tipici della microlingua del
commercio o del turismo, come ad esempio la lettera commerciale o il curri-
culum vitae.
Le regole che sottendono a tali generi testuali sono molto più standardiz-
zate e rigide rispetto a quelle appartenenti alla lingua comune, normalmente
non vengono accettate varianti e se i testi non sono stati redatti in quella
determinata struttura, non vengono ritenuti sufficientemente scientifici dalla
comunità degli specialisti.
Sono stati condotti molti studi sulla strutturazione dei testi microlingui-
stici, e, come Balboni7 ha evidenziato, lo specialista segue un percorso che

ti.
appone parti tematiche a parti rematiche, esponendo un argomento (tema) e

va
commentandolo successivamente (rema), apportando in questa seconda fase

er
un contributo al concetto espresso nella prima parte e garantendo coerenza

ris
e coesione al testo stesso.
È interessante osservare, inoltre, che questi testi presentano generalmen-
tti
iri
te una struttura gerarchica delle informazioni, struttura che spesso viene evi-
id

denziata anche graficamente suddividendo in paragrafi e sottoparagrafi, e


utilizzano maggiormente una struttura paratattica piuttosto che ipotattica, e
ti
ut

ciò al fine di arrivare alla densità d’informazioni ricercata e per dotare il testo
.T

di una maggiore forza coesiva.


re

Un curriculum vitae, ad esempio, redatto allo scopo di trovare un posto


ito

di lavoro, deve obbligatoriamente essere composto, dal punto di vista delle


ed

informazioni da fornire, in modo gerarchico, perciò s’inizia dai dati ana-


grafici, per proseguire con informazioni sulla formazione culturale e pro-
ci

fessionale e finire con notizie sui propri interessi che possono risultare utili,
c
na

ma non indispensabili. In un testo orale invece (come una conferenza, una


Bo

conversazione, ecc.) ci possono essere supporti sia di tipo visivo che meta-
comunicativo.
©

Tale caratteristica di gerarchizzazione e distribuzione delle informazioni è


strettamente legata alla cultura di chi produce il testo stesso: esemplificativa
a tal fine è la lettera commerciale, la quale segue una composizione rigida, ma
gli elementi costituenti variano da cultura a cultura (può variare la posizione
della data, del destinatario o del mittente). Tuttavia complessivamente
mostra elementi condivisi a livello internazionale: in tutto il mondo viene

7
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico-professionali. Natura e insegnamento. Torino, Utet
Libreria, pag. 38.

231
redatta utilizzando analoghe parti di apertura (data, indirizzi destinatario e
mittente, numero di protocollo, formule di apertura rigide), formulando una
parte centrale con la richiesta commerciale, i termini di consegna e paga-
mento, oppure di informazioni o lamentele, e concludendo con una parte
finale contenente le formule di chiusura rigide e talvolta obsolete e i saluti.
Se poi prendiamo in considerazione i contratti di tipo notarile e legale,
è interessante notare come la strutturazione testuale sia talmente rigida e
ripetitiva, che si è giunti a predisporre moduli standard con appositi spazi
bianchi in cui inserire successivamente i dati personali dei contraenti e le
clausole particolari, e ciò è indice di una struttura testuale poco incline alle
evoluzioni.
È da osservare, tuttavia, che non è soltanto la disposizione grafica delle

ti.
informazioni che può rendere trasparente il disegno semantico alla base del

va
testo stesso.

er
Tutti i dispositivi di coesione tipici dei testi microlinguistici, come, ad

ris
esempio, gli indicatori metacomunicativi oppure le locuzioni di carattere
temporale (“pertanto”, “se”, “allora”, “quindi”, “dunque”, “ne consegue
tti
iri
che”) possono concorrere a rendere il testo maggiormente comprensibile agli
id

addetti del settore.


Un’altra peculiarità della struttura testuale delle microlingue scientifiche
ti
ut

è la tendenza a privilegiare la paratassi rispetto all’ipotassi: le frasi in tal


.T

modo risultano per il lettore più concise, chiare e oggettive.


re

Ulteriori caratteristiche tipiche dei testi microlinguistici possono essere:


ito

- strutturazione in brevi paragrafi con titoli e sottotitoli;


ed

- note a piè di pagina;


ci

- ampie citazioni da altri testi di microlingua;


c
na

- riquadri con date e annotazioni;


Bo

- grafici;
- figure ed illustrazioni;
©

- tabelle;
- diagrammi;
- glossari dei termini tecnici
- un indice analitico
- bibliografia delle opere citate nel testo.
Tutti gli elementi paratestuali quali figure, diagrammi di flusso, tabelle,
simboli grafici, sigle o acronimi, sono peculiari dei testi scientifici e tecnici e

232
ciò allo scopo di ampliare la trasparenza del testo microlinguistico per gli
esperti del settore.

2.2 Aspetti morfosintattici delle microlingue


Oltre alla struttura e al genere testuale, le microlingue si caratterizzano
anche per uno stile sintattico specifico: è proprio in quest’area, infatti, che si
riscontra un numero maggiore di elementi caratterizzanti di questi linguaggi.
Alcuni glottodidatti degli inizi degli anni ’80 come Bertocchi e Lugarini8
affermavano che i linguaggi specialistici erano dotati di meccanismi sintatti-
ci del tutto particolari, che non si potevano ricondurre alla lingua standard.
In realtà si è riscontrato che è proprio sul piano sintattico che si assiste
all’utilizzo massiccio e molto frequente di alcune strutture usate normal-

ti.
mente nella lingua comune: si dà luogo in questo modo, come afferma Gotti9

va
nel suo studio, ad un fenomeno di tipo quantitativo, più che qualitativo.

er
L’uso di strutture della lingua comune permette, infatti, di raggiungere il

ris
massimo della chiarezza e di soddisfare contemporaneamente le esigenze sti-
listiche tipiche della microlingua.
tti
iri
Allo scopo di individuare e descrivere gli aspetti linguistici che – se uti-
id

lizzati in modo quantitativamente diverso – contribuiscono a rendere pecu-


ti

liare lo stile delle microlingue, è utile sottolineare che essi riguardano essen-
ut

zialmente due aspetti: il sintagma nominale e quello verbale.


.T
re

2.3 Aspetti del sintagma nominale nelle microlingue


ito

Relativamente al sintagma nominale, la ricerca di estrema sinteticità della


ed

microlingua soprattutto scientifico-professionale prevede fenomeni quali l’e-


ci

lisione di articoli e preposizioni. La necessità di massima sinteticità e densità,


c

porta la microlingua a omettere elementi frasali ritenuti secondari e deduci-


na

bili dal contesto, la cui elisione non compromette quindi la comprensione del
Bo

testo.
©

Questa caratteristica delle microlingue scientifico-professionali e giuridi-


co-burocratiche non si giustifica sempre e soltanto dalla ricerca di sinteticità,
ma probabilmente è dovuta ad una scelta di tipo stilistico.
È il caso ad esempio dei telex o telegrammi utilizzati nella comunicazio-
ne di tipo commerciale, in cui si omettono articoli, preposizioni e molti

8
Bertocchi D., Lugarini E. (1982), “L’insegnamento della lingua straniera per scopi speciali: proposte
per un syllabus funzionale”, in Rassegna Italiana di Linguistica applicata, XVI, 1.
9
Gotti M. (1991), I linguaggi specialistici. Caratteristiche linguistiche e criteri pragmatici, Firenze, La
Nuova Italia, pag. 65.

233
aggettivi, mentre la punteggiatura è ridotta al minimo indispensabile: in que-
sto caso la scelta di eliminare parti della frase è dovuta più al mezzo utilizza-
to che alla specificità della microlingua.
I manuali d’istruzione di carattere tecnico, invece, spesso omettono gli
articoli sia per densità concettuale, sia per la ristrettezza di spazio messo a
disposizione. Si pensi, ad esempio, ad un manuale di montaggio o di funzio-
namento di un apparecchio elettrico (“alzare leva B”, “premere pulsante
rosso”, “inserire presa”).
Un’altra caratteristica del sintagma nominale è il processo di nominaliz-
zazione, il quale prevede l’utilizzo di sostantivi al posto dei verbi per spiega-
re procedimenti o azioni.
Ciò è dovuto alla complessità della costruzione verbale (ad esempio la

ti.
consecutio temporum) perciò spesso si preferisce sostituire il predicato con

va
un nome a favore della semplicità e della densità concettuale.

er
Si pensi a tal proposito alla diagnosi espressa da un medico: il verbo

ris
spesso viene completamente omesso, come viene espresso nel seguente
esempio “Pressione 160 su 90, battito cardiaco regolare, presenza di cia-
tti
iri
nosi e fremiti…”.
id

La nominalizzazione consente di mettere in risalto l’azione espressa dal


verbo: la frase “La batteria va inserita nell’apposito alloggiamento per con-
ti
ut

sentire…” diventa allora “L’inserimento della batteria nell’apposito alloggia-


.T

mento consente di…”, dove viene enfatizzata l’azione dell’inserimento del-


re

l’oggetto.
ito

La conseguenza dell’utilizzo della nominalizzazione è l’indebolimento del


ed

valore del verbo, il quale spesso viene relegato a funzione di copula, a mero
collegamento tra i sintagmi nominali complessi. È per questo motivo che il
ci

verbo più utilizzato è il verbo essere, come si può osservare sia nei manuali
c
na

di tipo tecnico che nelle relazioni di tipo scientifico


Bo

2.4 Aspetti del sintagma verbale nelle microlingue


©

Il sintagma verbale, come affermato nel paragrafo precedente, assume un


ruolo molto marginale e indebolito nella frase. Ciononostante, quando esso
è presente, subisce ulteriori processi che sono peculiari delle microlingue
scientifico-professionali: la spersonalizzazione, la passivazione e l’uso di pre-
cisi tempi verbali.
La spersonalizzazione è la caratteristica più evidente delle microlingue
scientifico-professionali. Infatti, per descrivere un esperimento scientifico è
necessario ridurre la componente umana e personificare invece gli elementi

234
utilizzati nell’esperimento.
Si utilizzano, a tale scopo, verbi tipici dell’indagine scientifica (“dimo-
strare”, “evidenziare”, “confermare”…) coniugati in forme impersonali o
con soggetti inanimati. Spesso è l’evento stesso a fungere da soggetto, l’au-
tore si cita con pronomi personali alla terza persona oppure con perifrasi
come “l’autore”, “il gruppo di ricerca”.
La passivazione prevede l’uso del verbo nella forma passiva ed è dovuto
all’esigenza di enfatizzare il tema rispetto alla persona che compie l’azione, la
quale viene collocata successivamente nel complemento d’agente.
Il passivo consente di spersonalizzare il discorso, in modo da evidenziare
l’azione più che il soggetto che la compie, e a tal fine spesso in italiano si
omette il complemento d’agente per aumentare l’impersonalità del discorso;

ti.
Ogni area microlinguistica utilizza in prevalenza alcuni tempi verbali

va
particolari, i quali diventano peculiari di determinati generi testuali micro-

er
linguistici.

ris
Ad esempio nei manuali di montaggio o di funzionamento di strumenti si
riscontra maggiormente l’uso del modo imperativo o infinito (“selezionare le
tti
iri
impostazioni…”, “inserite nell’apposito spazio la chiave…”). Una relazione
id

su un esperimento scientifico, invece, utilizza prevalentemente il passato


prossimo indicativo (“è dimostrato che…”), invece la formulazione di leggi
ti
ut

scientifiche utilizza il tempo presente indicativo, per indicare l’oggettività


.T

reale dell’enunciato (“un corpo immerso nell’acqua riceve una spinta…”).


re
ito

2.5 Aspetti lessicali delle microlingue


ed

Il lessico ha sempre rivestito un ruolo importante in quest’ambito, poiché


fino a qualche anno fa era considerato l’unica peculiarità del linguaggio
c ci

microlinguistico.
na

Anche se ora gli studi del settore procedono secondo una prospettiva
Bo

testuale più che lessicale, si è concordi nell’affermare che la parola che per
sua natura è polisemica e ambigua, diviene nelle microlingue termine, assu-
©

me cioè un significato altamente denotativo.


Nella sua funzione di termine, il lessico vede la formazione di alcuni feno-
meni linguistici, come ad esempio la monoreferenzialità, ossia l’utilizzo di un
termine per un preciso oggetto, fenomeno, concetto. In questo caso il termi-
ne non possiede sinonimi, se non in altre aree semantiche (ad esempio il ter-
mine “divisa” significa “uniforme” nella microlingua militare, ma anche
“moneta” in ambito bancario), perciò non ha ambiguità perché presenta un
unico significato in un determinato contesto.

235
Conseguenza di questo fatto è l’estrema esiguità di termini microlingui-
stici, come ha analizzato Hoffmann10 nei suoi studi (1178 sono le parole
mediche frequenti, 1114 quelle matematiche), e questo fattore è dovuto alla
volontà di chiarezza e di non ambiguità;
Un altro aspetto lessicale è la tendenza alla stabilità. Un termine in uso in
un ambito scientifico difficilmente verrà cambiato, e ciò per esigenze di chia-
rezza, ma questo può dar luogo, come nel caso della lingua giuridica, anche
ad un certo conservatorismo obsoleto.
Un ulteriore fenomeno è la sinteticità, ottenuta utilizzando termini sorti
dalla fusione di altri due, oppure dalla loro giustapposizione: in ambito ban-
cario si richiede un “estratto-conto”, in informatica opera “l’analista-pro-
grammatore”, in medicina troviamo il “cardiochirurgo”. Analogamente si

ti.
utilizzano per lo stesso scopo acronimi e abbreviazioni.

va
La rapidissima evoluzione e i continui cambiamenti delle diverse discipli-

er
ne determinano il fenomeno linguistico più caratteristico delle microlingue,

ris
la formazione di nuovo lessico.
I neologismi si possono ottenere in vari modi, ma in questa sede trattere-
tti
iri
mo le tipologie di generazioni più diffuse nelle microlingue.
id

La generazione con elementi greco-latini si utilizza in particolar modo nel


linguaggio della medicina apponendo al termine prefissi e suffissi di origine
ti
ut

greca e latina al fine di richiamare immediatamente il concetto che esprime.


.T

L’uso di termini classici al posto del linguaggio ordinario, dimostra la volontà


re

di non voler usare parole comuni allo scopo di evitare quelle ambiguità che
ito

possono derivare da una lingua in evoluzione. In questo senso è interessante


ed

notare come molti termini medici si formano a partire dalla radice greca o
latina anche se esiste una traduzione del termine nella lingua comune: consi-
ci

deriamo ad esempio le opposizioni cuore/cardio, fegato/epato-,


c
na

pelle/dermo- ecc.
Bo

Esiste poi la generazione con metafore, i cui neologismi si formano nelle


microlingue utilizzando metafore create utilizzando termini del linguaggio
©

comune: esemplare in questo senso è la lingua dell’informatica (il computer ha


una memoria, i programmi possono essere bacati o avere virus ecc.). In campo
economico si trovano metafore quali elasticità della domanda, la depressione
economica, nel settore elettromeccanico si usano le candele per i motori. I van-
taggi riscontrabili da questo processo sono la trasparenza, la sinteticità e la con-
cretezza che l’uso d’immagini offre per spiegare concetti astratti.

10
Hoffmann, L. (1979), “The Linguistic Analysis and Teaching of LSP in the German Democratic
Republic”, in ALSED-LSP Newsletter, II,3.

236
La generazione per analogie si presenta quando un termine viene coniato
su opposizione di uno già esistente, ad esempio all’hardware del computer si
contrappone un software.
Nelle microlingue si osserva spesso il ricorso ad altre lingue, fenomeno
molto frequente nelle microlingue scientifiche e tecniche. In questo caso, si
può verificare un prestito vero e proprio (ad esempio nel campo musicale
“jazz”, “rock”, in ambito cinematografico “film”, “star”, in quello culinario
“mousse”), oppure un calco, quando il prestito viene utilizzato in italiano (ad
esempio in informatica “scannerizzare” da “scanner”, “digitale” per “nume-
rico” ecc.) infine una traduzione letteraria, quando il termine viene esatta-
mente tradotto (ad esempio “grattacielo”, “baco del millennio” ecc.).

ti.
3. La didattica delle microlingue

va
Il problema della didattica delle microlingue è stato ampiamente dibattu-

er
to in questi anni sia in scuole e università sia in centri professionali e azien-

ris
de, le cui pressanti richieste determinano lo stimolo per una continua ricer-
ca nel settore.
tti
iri
Considerando che le mete educative delle microlingue sono le stesse
id

della lingua comune (ossia culturizzazione, socializzazione e autopromo-


ti

zione), si può affermare che i tre punti fondamentali su cui si basa la didat-
ut

tica delle microlingue sono il destinatario, il docente di microlingue e il


.T

metodo didattico.
re
ito

3.1 Lo studente e l’insegnante di microlingue


ed

L’insegnante di lingua è stato ritenuto per molto tempo una sorta di pro-
ci

fessore “onnisciente”, come sosteneva Freddi11.


c

Nel suo saggio Freddi affermava che “l’insegnante ideale di microlingua


na

è un operatore che ha la necessaria competenza tanto nella scienza, o settore


Bo

specialistico, quanto nella corrispondente microlingua”, quindi per lo stu-


©

dioso, l’insegnante di microlingua doveva essere un laureato in lingue con


conoscenze specifiche in un particolare settore, oppure, uno specialista del
settore con specifiche conoscenze linguistiche e didattiche.
È chiaro, però, che questi modelli d’insegnante suggeriti da Freddi non
sono realizzabili e sono ormai abbandonati in tutta la letteratura.
Secondo Balboni12, invece, l’insegnante non può essere uno specialista in
tutti i settori della microlingua, ma deve esserlo solo per quanto riguarda la

11
Freddi G. (1979), Didattica delle lingue moderne, Bergamo, Minerva Italica.

237
competenza linguistica.
Egli propone un modello di conoscenza specializzata, ribadendo che l’in-
segnante di microlingua deve essere autonomo sotto vari punti di vista, come
ad esempio nel condurre l’analisi dei bisogni, nell’impostare una glottodi-
dattica specifica per studenti adulti e nell’approfondimento della natura dei
testi, attualmente sempre più in forma multimediale.
L’insegnante di microlingua, quindi, non può e non deve essere un perito
elettronico oppure un informatico, ma deve essere un umanista colto, molto
preparato sul piano linguistico e in grado di applicare le sue competenze ai
diversi ambiti disciplinari e culturali in cui si trova ad operare.
Infatti, anche se l’insegnante può “costruire” una competenza nell’aspet-
to linguistico e comunicativo della microlingua in esame, la competenza nel-

ti.
l’argomento specialistico è patrimonio dell’allievo e non può essere richiesta

va
all’insegnante.

er
L’allievo di microlingua, infatti, ha come pre-requisito quello di essere

ris
specialista del settore che utilizza la microlingua. Anche se non domina per-
fettamente la lingua comune, con molta probabilità, l’allievo intuisce termi-
tti
iri
ni ed espressioni tipiche della microlingua che risultano invece meno fami-
id

liari all’insegnante, e padroneggia con più sicurezza l’argomento specifico


perché rapportabile alle conoscenze già acquisite in lingua madre ed al suo
ti
ut

patrimonio culturale.
.T
re

3.2 Il metodo didattico


ito

Nella didattica delle microlingue l’insegnante mette a disposizione la sua


ed

competenza linguistica e l’allievo la sua competenza settoriale. Poiché l’inse-


gnante sa alcune cose e l’allievo ne sa altre, i due soggetti devono collabora-
c ci

re, devono ricorrere ad un diverso principio relazionale, quello della coope-


na

razione.
Bo

A tal proposito Balboni parla di insegnamento cooperativo13: secondo tale


organizzazione, l’atto didattico vede lo studente e il docente in posizione di
©

pari dignità e responsabilità, con compiti e competenze che si integrano a


vicenda. In questo modo il rapporto tra alunno e professore diviene com-
plementare, non più asimmetrico.
Nella didattica microlinguistica collaborativa, quindi, il docente dovrà
insegnare allo studente alcune tecniche e abilità di autoapprendimento di
lunga durata, che gli permettano di essere aggiornato e che gli consentano di

12
Balboni P.E. (2000), Le microlingue scientifico-professionali, Torino, Utet, pag.110.
13
Balboni P.E., op. cit., pag.78.

238
integrare e perfezionare continuamente la microlingua cui si è dedicato.
Quando lo studente di microlingua è però un ragazzo delle scuole supe-
riori, egli può essere a volte demotivato di fronte ad un insegnamento micro-
linguistico obbligatorio perché previsto nel piano di studi dell’istituto che
frequenta e di cui non prevede l’utilità pratica immediata. In una tale situa-
zione è compito dell’insegnante motivare l’allievo coinvolgendolo nella defi-
nizione dei suoi bisogni professionali futuri.
L’insegnamento microlinguistico deve essere in questo caso sostenuto
anche da una collaborazione interdisciplinare tra docenti dello stesso istitu-
to, che coinvolga l’insegnante di lingua e quello esperto della materia tecni-
ca, in modo tale che si creino le condizioni migliori perché avvenga l’ap-
prendimento da parte dello studente.

ti.
va
4. Conclusioni

er
ris
In conclusione, insegnare una microlingua, quindi, non significa unica-
mente elencare una serie di parole settoriali.
tti
Per mezzo dell’educazione microlinguistica, il docente avrà cura di svi-
iri
id
luppare nello studente una forma mentis in grado di analizzare la logica che
è sottesa nei testi e nel linguaggio microlinguistico, di operare un’analisi dello
ti
ut

stile, dei generi testuali e delle peculiarità sintattiche e lessicali della micro-
.T

lingua.
Grazie alla didattica della microlingua, inoltre, gli studenti hanno l’op-
re

portunità di sperimentare un tipo di approccio di tipo collaborativo nei con-


ito

fronti del docente e dei compagni, approccio che è l’elemento chiave del-
ed

l’apprendimento della microlingua.


c ci
na

riferimenti bibliografici
Bo

BALBONI P.E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-
plesse, Torino, Utet Libreria.
©

BALBONI P.E. (2000), Le microlingue scientifico professionali, Torino, Utet


Libreria.
BALBONI P.E. (1999), Dizionario di glottodidattica, Perugia, Guerra.
BALBONI P.E. (1999), Parole comuni culture diverse, Venezia, Marsilio.
BALBONI P.E. (1998), Tecniche didattiche per l’educazione linguistica, Torino,
Utet Libreria.
BALBONI P.E. (1995), “Natura, fini, struttura e limiti del curricolo”, in
AA.VV. Curricolo di italiano per stranieri, Roma, Bonacci.

239
BALBONI P.E. (1994), Didattica dell’italiano a stranieri, Roma, Bonacci.
BALBONI P.E. (1989), Microlingue e letteratura nella scuola superiore, Brescia,
La Scuola.
BALLARIN E., BEGOTTI P. (1999), Destinazione Italia, Roma, Bonacci.
BERETTA M., GATTI F., Italia in affari. Torino, Sei.
CHERUBINI N. (1992), L’italiano per gli affari. Corso comunicativo di lingua e
cultura aziendale, Roma, Bonacci.
CHIUCHIÙ A., BERNACCHI M. (1994), Manuale di Tecnica e Corrispondenza
Commerciale, Perugia, Guerra.
CURCI C. (1998), “Lingua e cultura italiana nelle aziende con personale stra-
niero. Riflessioni e suggerimenti”, in Culturiana, Lingua e cultura italiana per
stranieri, anno X n.36, maggio-agosto.

ti.
FERGUSON G. (1997), “Teacher Education and LSP: the role of Specialised

va
Knowledge”, in Howard R., Brown G. (cur.), Teacher Education for

er
Languages for specific purposes, Clevendon, Multilingual Matters.

ris
FREDDI G. (1999), Psicolinguistica, Sociolinguistica, Glottodidattica, Torino,
Utet.
tti
iri
GOROSCH M., HØEDT J., TURNER R. (1978), “Editorial”, in ALSED-LSP
id

Newsletter, 3.
GOTTI M. (1991), I linguaggi specialistici, Firenze, La Nuova Italia.
ti
ut

GUMPERZ J.J., HYMES D. (1972), Directions in Sociolinguistics. The


.T

Ethnography of Communication, New York, Holt, Rinehart & Winston.


re

HOFFMANN L. (1984), “Seven Roads to LSP”, in Special Language-


ito

Fachsprache, VI, 1-2, Pag. 28-38.


ed

HOFFMANN L. (1979), “The Linguistic Analysis and Teaching of LSP in the


German Democratic Republic”, in ALSED-LSP Neswletter, II, 3.
ci

MARGIOTTA U. (cur.) (1999), L’insegnante di qualità, Roma, Armando.


c
na

PELIZZA G., MEZZADRI M. (2002), L’italiano in azienda, Perugia, Guerra.


Bo

PHILLIPS M.K. (1981), “Toward a Theory of LSP Methodology”, in Mackay


R., Palmer, J.D. (a cura di), Languages for Specific Purposes.Program Design
©

and Evaluation, Rowley Newbury House.


PORCELLI G. et alii (1990), Le lingue di specializzazione e il loro insegnamen-
to, Milano, Vita e pensiero.
SPAGNESI M. (1994), Dizionario dell’economia e della finanza, Roma, Bonacci.
TRONCARELLI D. (cur.) (1994), Dica 33. Il linguaggio della medicina, Roma,
Bonacci.
TRONCARELLI D., SEMPLICI S., SPRUGNOLI S. (1992), Una lingua in pretura. Il
linguaggio del diritto, Roma, Bonacci.
TRONCARELLI D., VANNINI E. (1995), L’arte del costruire, Roma, Bonacci.

240
Capitolo 17
L’itaLiano Come LingUa VeiCoLare:
insegnare Una disCiPLina
attraVerso L’itaLiano
Graziano Serragiotto

Insegnare una disciplina, sia linguistica che di altro ambito, attraverso una
lingua straniera è una delle sfide metodologiche della glottodidattica ai gior-
ni nostri.
Anche nel Livre blanc sur l’education et la formation, testo della Comunità

ti.
Europea voluto da Delors e approvato nel 1995, si auspica la necessità e l’op-

va
portunità che la lingua straniera possa diventare la lingua di insegnamento di

er
alcune discipline, linguistiche e non, nella scuola secondaria in modo da

ris
poter raggiungere un obiettivo di plurilinguismo.
In questo modo l’acquisizione sarebbe facilitata perché sarebbe più spon-
tti
tanea e ci sarebbe una maggiore esposizione alla lingua straniera; inoltre il
iri
id
“focus” dell’attenzione passerebbe dalla forma al contenuto cioè a quello che
verrebbe veicolato e questo potrebbe diventare molto utile anche per
ti
ut

apprendere dei contenuti professionali.


.T

Dopo queste premesse, possiamo ipotizzare che anche l’italiano, in qua-


lità di lingua straniera, possa essere lingua veicolare per insegnare altre disci-
re

pline.
ito
ed

1. L’italiano e il CLiL
c ci

L’uso veicolare di una lingua straniera per apprendere altre discipline


na

viene spesso riassunto con il termine di lingua veicolare per semplificarne il


Bo

concetto.
Il principio che sta alla base è che l’italiano può essere utilizzato per inse-
©

gnare un’altra disciplina, la quale ha i propri obiettivi didattici che non


riguardano l’insegnamento della lingua.
L’insegnamento della lingua italiana e l’uso veicolare di quest’ultima
hanno scopi glottodidattici sicuramente diversi: nel primo caso il docente
insegna la lingua italiana, nel secondo egli promuove la lingua italiana; nel
primo caso lo studente impara le abilità e apprende ad usare la lingua italia-
na, mentre nel secondo caso lo studente usa le abilità acquisite e usa la lin-
gua italiana per apprendere. È molto importante focalizzare la nostra atten-

241
zione sui termini “insegna” versus “promuove” e “impara” versus “usa”
dove il ruolo della lingua non è metalinguistico ma serve da tramite per
acquisire dei contenuti non linguistici.
In questo modo l’acquisire una lingua non viene visto come fine a se stes-
so ma può essere il mezzo che permette di arrivare ad altri contenuti.
Di solito quando ci si riferisce a questo tipo di approccio si usa l’cronimo
inglese CLIL (Content and Language Integrated Learning): apprendimento
integrato di lingua e contenuti. Tale denominazione mette in risalto come ci
sia un equilibrio tra l’apprendimento delle varie discipline e quello della lin-
gua straniera, nel nostro caso la lingua italiana.
Il CLIL è sicuramente un approccio innovativo e rivoluzionario che ha
come obiettivo il plurilinguismo; favorisce l’integrazione curricolare e com-

ti.
prende una varietà di modi di insegnare e di situazioni talmente flessibili tale

va
da permettere ad ogni docente o gruppo di docenti di decidere il percorso

er
da seguire e le modalità più adatte per la propria classe, introducendo anche

ris
eventuali modifiche in itinere per migliorare l’apprendimento.
Sebbene il presente contributo sia focalizzato in particolar modo sull’in-
tti
iri
segnamento dell’italiano LS, il CLIL potrebbe essere vantaggiosamente uti-
id

lizzato anche nell’ambito dell’italiano L2. Nel primo caso la lingua non è par-
lata dalla comunità, viene imparata solo in un ambiente scolastico e non c’è
ti
ut

molta possibilità di utilizzo immediato; nel secondo caso invece abbiamo un


.T

contesto bilingue o plurilingue e quindi la lingua può essere utilizzata anche


re

nell’ambiente esterno alla scuola. A questa tipologia se ne potrebbe aggiun-


ito

gere una terza qualora l’italiano venga usato come lingua etnica; in questo
ed

caso il suo utilizzo veicolare non potrebbe che essere apprezzato per un
miglior apprendimento linguistico.
ci

Indipendentemente dalla situazione in cui ci troviamo ad operare con la


c
na

lingua italiana, possiamo riscontrare diversi fattori favorevoli all’apprendi-


Bo

mento linguistico tramite il CLIL e varie motivazioni glottodidattiche per il


suo utilizzo.
©

2. motivazioni glottodidattiche per l’uso veicolare dell’italiano


Dopo aver evidenziato alcuni concetti fondamentali sulla lingua veicolare
e il CLIL, è interessante focalizzare la nostra attenzione sulle motivazioni
glottodidattiche per l’uso veicolare della lingua italiana. Usando il CLIL
come approccio didattico si vengono a creare una serie di situazioni favore-
voli determinate da alcuni fattori:
a. un aumento della quantità di esposizione all’italiano: l’italiano non viene

242
utilizzato soltanto nelle ore canoniche di insegnamento della lingua
italiana, ma anche nell’orario di altre discipline e questo favorisce l’in-
nalzamento dei livelli di competenza nella lingua italiana degli studen-
ti; inoltre, accanto alla lingua italiana, ci potrebbero essere altre lingue
ad uso veicolare e questo favorirebbe l’uso di una varietà di lingue ed
il plurilinguismo;
b. una migliore qualità dell’esposizione all’italiano: l’insegnamento inte-
grato di lingua italiana e contenuti può favorire un insegnamento di
tipo interattivo e assicurare un certo livello qualitativo perché molto
spesso è richiesta una profondità di rielaborazione che non si avrebbe
in un insegnamento tradizionale;
c. una maggiore motivazione all’apprendimento: diventando il contenuto

ti.
della materia il focus dell’attenzione anche gli allievi che non presen-

va
tano un’attitudine particolare per l’apprendimento linguistico o che

er
non amano in modo particolare le lingue possono seguire la logica

ris
cognitiva delle discipline e potenziare l’italiano o altre lingue straniere
tti
con attività che possono essere considerate incidentali, proprio perché
iri
non sono state costruite primariamente per questo scopo.
id

In un simile contesto si vengono a creare le condizioni per una maggiore


ti

autenticità delle attività che riguardano la lingua perché non vi sono simula-
ut
.T

zioni, la lingua è usata in un contesto reale e necessario, evenienza che rara-


mente si verifica in un insegnamento tradizionale.
re

Inoltre si ha una maggiore autenticità della lingua in quanto essa non


ito

serve per parlare di se stessa (funzione metalinguistica) ma viene utilizzata


ed

per parlare delle varie discipline.


ci

Insegnando contenuti disciplinari attraverso l’italiano LS abbiamo la pos-


c

sibilità che l’input venga reso comprensibile non solo dalla lingua ma anche
na

da alcune conoscenze extralinguistiche, cosa che non capita nell’insegna-


Bo

mento della lingua tradizionale perché è la stessa lingua che cerca di spiega-
©

re se stessa attraverso perifrasi o traduzioni in LM. Specialmente le materie


che non dipendono solo dal linguaggio verbale e fanno uso di cartine, grafi-
ci, immagini, ecc. aiutano la comprensione dei contenuti e potenziano la stes-
sa lingua.
In questo approccio si ha lo spostamento dell’attenzione dalla forma lin-
guistica ai contenuti che essa veicola, quindi diventa fondamentale non la
correttezza formale linguistica, ma il fatto che l’input (il contenuto) diventi
comprensibile il più possibile nonostante alcune imprecisioni linguistiche.
Lo stesso Cummins distingue due tipi di competenze diverse che pos-

243
sono essere raggiunte dagli studenti a seconda degli approcci e metodi uti-
lizzati:
BICS (Basic Interpersonal Communicative Skills): è una competenza
linguistica che permette interazioni non sofisticate su argomenti comu-
ni e quotidiani; viene raggiunta attraverso l’insegnamento tradizionale
curricolare;
CALP (Cognitive Accademic Language Proficiency): è una competenza
linguistica elaborata e sofisticata che prevede attività cognitive d’ordine
superiore; si ottiene attraverso l’insegnamento veicolare, in quanto fa
riferimento anche a concetti astratti tipici di alcune discipline.
Ciò dimostra come l’insegnamento veicolare permetta di raggiungere una
competenza più elevata e sofisticata rispetto all’insegnamento tradizionale.

ti.
va
Ciononostante bisogna precisare che questo approccio non deve essere
visto come sostitutivo dell’insegnamento curricolare di una lingua straniera:

er
ris
ricerche svolte hanno dimostrato che in assenza di un apprendimento for-
male gli studenti non raggiungono la completa padronanza di una lingua
straniera. tti
iri
id

3. modalità organizzative per l’insegnamento attraverso l’italiano


ti
ut

come lingua veicolare


.T

Dopo di aver delineato le principali motivazioni glottodidattiche che


re

spingono all’uso veicolare dell’italiano possiamo analizzare le variabili di


ito

questo tipo di insegnamento. Una prima variabile riguarda la scelta delle lin-
ed

gue (nel nostro caso l’italiano, affiancato o meno ad altre lingue straniere
come lingue veicolari), la scelta delle discipline da mettere in gioco e il rap-
c ci

porto che si viene a creare tra la lingua e la materia non linguistica. In secon-
na

do luogo si tratta di vedere quali sono le caratteristiche che deve possedere


Bo

l’insegnante e quali modalità può usare per attuare un simile insegnamento.


©

3.1 La scelta dell’italiano e/o di altre lingue straniere


Tutte le lingue potrebbero essere valide per fungere da veicolo in un simi-
le insegnamento; è giusto quindi considerare e valutare alcuni parametri per
decidere praticamente quale sia la lingua/ siano le lingue più adatte per un
simile approccio.
Nel momento in cui si deve decidere quale lingua/quali lingue privilegia-
re nelle esperienze di apprendimento integrato di lingua e contenuti si devo-
no prendere in considerazione vari fattori, tra i quali i più importanti sono:

244
a. la situazione geografica ed economica del paese o della regione dove si
trova la scuola: per ragioni legate all’economia locale può essere utile
scegliere una lingua rispetto ad un’altra oppure considerare le lingue
parlate negli stati limitrofi. Ad esempio in Austria, per questioni eco-
nomiche e geopolitiche potrebbe essere utile inserire la lingua italiana;
anche in Argentina, per ragioni etniche, l’italiano sarebbe una scelta
opportuna. Si possono poi affiancare altre lingue straniere a seconda
delle varie esigenze.
b. il grado di somiglianza che esiste tra l’italiano e la lingua materna degli
studenti: sul piano lessicale, fonetico e grammaticale nel caso di lingue
affini (per esempio, italiano e spagnolo) è possibile iniziare contempo-
raneamente con più materie del curriculum scolastico, anche con

ti.
discipline che si basano esclusivamente sulla comunicazione verbale e

va
che richiedano un certo grado di astrazione. Nel caso di lingue non

er
affini (per esempio, tedesco e italiano), è necessario che ci sia una

ris
buona conoscenza preliminare della lingua straniera da parte degli stu-
tti
denti, soprattutto con le materie in cui la comunicazione verbale è fon-
iri
damentale e non vengono in aiuto elementi extralinguistici.
id

c. la materia che viene insegnata tramite l’italiano: la scelta della materia


ti

ha sicuramente una sua importanza perché a seconda delle caratteri-


ut

stiche della stessa materia si hanno situazioni diverse. Questo verrà


.T

approfondito nel paragrafo successivo.


re

d. le risorse locali: quali sono gli insegnanti disponibili, quali competenze


ito

ha l’insegnante di italiano, se ci sono scambi già avviati con scuole stra-


ed

niere, se vi sono studenti stranieri, ecc.


ci

Comunque a parte i parametri che abbiamo considerato è fondamentale


c
na

assicurare la diversità linguistica, non deve esserci la dominanza di una sola


lingua straniera e devono essere salvaguardate le lingue minoritarie.
Bo
©

3.2 La scelta della materia/materie da veicolare


Tutte le materie potrebbero essere oggetto di insegnamento in lingua
italiana; è preferibile però all’inizio scegliere quelle che caratterizzano l’in-
dirizzo di studio degli studenti in modo da tenere alta la motivazione ad
apprendere.
Inoltre bisogna considerare il livello di conoscenza dell’italiano: è meglio
scegliere materie che si basano principalmente sulla comunicazione verbale
e che sono per loro natura più astratte solo quando è presente una buona

245
conoscenza della lingua italiana da parte degli studenti.
Per le materie che si avvalgono invece anche di codici extralinguistici si
può partire anche da livelli elementari di competenza nella lingua italiana,
svolgendo attività molto pratiche: indicare le capitali in un atlante di geogra-
fia, mostrare dei movimenti in educazione fisica, introdurre una serie di verbi
in lingua straniera, ecc.
La finalità ambiziosa di questo metodo è lo sviluppo di competenze meto-
dologiche e relazionali in tutti gli ambiti disciplinari.

3.3 Gli insegnanti d’italiano CLIL


Possono esserci diverse tipologie di insegnanti CLIL:
a. lo stesso insegnante: ci possono essere alcuni insegnanti che hanno la

ti.
doppia abilitazione, in italiano e in un’altra disciplina, e che quindi

va
possono condurre autonomamente l’insegnamento veicolare nei vari

er
gradi d’istruzione. Questa situazione è abbastanza comune in alcune

ris
realtà estere, ma molto improbabile in Italia dove la laurea è specifica-
tti
mente di area umanistica o scientifica, senza possibilità di unire disci-
iri
pline di aree diverse (a parte alcune eccezioni nella scuola secondaria,
id

per esempio geografia e lingua straniera, mentre non ci sono problemi


ti

nella scuola elementare perché lo stesso insegnante è chiamato a copri-


ut

re, a rotazione, tutti gli ambiti disciplinari);


.T

b. due insegnanti diversi (CLIL con prevalenza della lingua): l’insegnante


re

di italiano guida esercitazioni su contenuti disciplinari che sono già


ito

stati acquisiti ed ora vengono applicati in lingua italiana come LS;


ed

c. due insegnanti in co-presenza (CLIL con prevalenza della disciplina):


ci

l’insegnante di italiano si limita a creare le condizioni affinché i conte-


c
na

nuti della disciplina vengano acquisiti senza che la lingua sia un pro-
Bo

blema attraverso delle attività di semplificazione, per rendere l’input


comprensibile;
©

d. scambio di insegnanti: un insegnante italiano di una materia va all’e-


stero ed insegna la sua disciplina in italiano, mentre l’insegnante di
quel paese viene in Italia ad insegnare tale disciplina nella sua lingua;
e. organizzare moduli in Internet a gruppi: un’altra possibilità può essere
quella di fare degli incontri chat o forum in Internet dove un inse-
gnante italiano di fisica, per esempio, interagisce con degli studenti
stranieri con esperimenti e relazioni in italiano;
f. risorse personali dei docenti: ci può essere l’insegnante di disciplina che

246
conosce l’italiano e che può, con il supporto metodologico di quello di
lingua, creare dei moduli autonomi in italiano; oppure il docente di
italiano può essere in grado di lavorare in un’altra disciplina chieden-
do il supporto dell’insegnante specifico. Per questo tipo di intervento
è necessario stabilire un livello minimo di competenza, sia di lingua
italiana sia disciplinare posseduto dall’insegnante; tale competenza
deve poter essere anche certificata in un portfolio del docente.

4. metodologia dell’insegnante di italiano e dell’insegnante della


disciplina per l’uso veicolare della lingua
Attualmente le situazioni più ricorrenti per l’uso veicolare della lingua sono

ti.
le condizioni b. e c., in cui i due insegnanti, uno di italiano e uno di disciplina

va
specifica, organizzano delle lezioni, dei moduli, degli ambiti tematici chieden-

er
do l’autorizzazione all’interno del proprio istituto e inserendo tale progetto

ris
all’interno del piano formativo d’istituto. Pochi sono ancora i casi di esperien-
za totale curricolare, in quanto è necessaria una garanzia istituzionale.
tti
Le aree di azione dei due insegnanti devono restare distinte e separate.
iri
id
L’insegnante di italiano insegna la lingua, gli studenti acquisiscono abilità
e competenze d’uso linguistiche; l’insegnante della disciplina promuove la
ti
ut

lingua, gli studenti usano le abilità acquisite per apprendere la disciplina.


.T

Tra i due insegnanti ci deve essere una stretta collaborazione, sia nella
programmazione sia in itinere in modo che ognuno utilizzi le proprie com-
re

petenze.
ito

L’insegnante di italiano dà un supporto linguistico sia agli studenti sia


ed

all’insegnante della materia e mette a disposizione la propria preparazione


ci

didattica nell’ambito della comprensione testuale che potrebbe essere utile


c
na

all’insegnante della disciplina per creare condizioni tali da rendere l’input


comprensibile. In cambio l’insegnante di italiano amplia i propri orizzonti
Bo

professionali in ambiti specialistici.


©

L’insegnante della materia trasmette i contenuti della disciplina e grazie


alla preparazione didattica per la comprensione dei testi dell’insegnante di
lingua si pone il problema del veicolo linguistico la cui conoscenza da parte
degli studenti molto spesso è data per scontata. In cambio l’insegnante della
disciplina potrebbe imparare una metodologia didattica per la comprensio-
ne dei testi e potrebbe ampliare la propria conoscenza dell’italiano.
Entrambi i docenti si impegnano a fare delle scelte e precisamente:
a. selezionano i nuclei fondamentali delle proprie discipline
b. stabiliscono gli obiettivi del corso

247
c. prevedono possibilità di cambiamenti in itinere con una certa flessibi-
lità
d. formulano il piano di lavoro in comune sulla base delle proprie com-
petenze
e. prevedono le difficoltà
La collaborazione tra docenti porta a dei buoni risultati per lo scambio
vicendevole che si verifica e permette di superare alcune incertezze: il docen-
te della materia non si sente all’altezza a livello linguistico per poter insegna-
re attraverso l’italiano, l’insegnante d’italiano ritiene di non conoscere in
modo approfondito gli argomenti che riguardano la disciplina.
L’insegnante di disciplina non linguistica insegna la materia e l’insegnan-
te di italiano la rende in lingua straniera.

ti.
L’insegnante di italiano lingua veicolare deve conoscere metodologie

va
appropriate per l’insegnamento e la valutazione, da impiegarsi con studenti

er
di lingua straniera.

ris
L’insegnante di italiano deve acquisire un minimo di familiarità con i con-
tti
cetti e la microlingua della disciplina non linguistica e con le modalità di
iri
valutazione più appropriate per quella disciplina.
id

Non si effettuano solo lezioni frontali, tipiche delle discipline non lingui-
ti

stiche, ma si può usare il cooperative learning, si adottano nuove strategie ed


ut

alcune tecniche che sviluppano la produzione autonoma in italiano (giochi di


.T

ruolo, riempimento di spazi, abbinamento, ecc.) e si utilizza materiale auten-


re

tico durante la lezione.


ito

Si possono inoltre organizzare dei corsi di italiano per gli insegnanti di


ed

altre discipline che vogliono intraprendere un insegnamento veicolare, al fine


ci

di dare loro competenze specifiche per veicolare i contenuti della propria


c

materia, anche se le competenze sono molto diversificate. I corsi, oltre ad


na

un’accurata revisione linguistica, dovranno mirare a sviluppare le abilità


Bo

comunicative degli insegnanti veicolari (lingua parlata e ascoltata) e le com-


petenze metodologiche della didattica delle lingue.
©

4.1 Variabili per una progettualità CLIL e indicazioni per le lezioni


Per elaborare un percorso CLIL gli insegnanti devono considerare alcu-
ne variabili, in modo da stendere un progetto che sia rispondente a determi-
nate esigenze (Coonan 2002):
a. classe: prima di tutto bisogna considerare il livello, il numero di stu-
denti coinvolti, il numero e il tipo di insegnanti coinvolti, la lingua che
viene scelta come veicolare, nel nostro caso italiano, la competenza

248
linguistica degli studenti nella lingua italiana, il tipo di scuola o di
corsi, ecc.;
b. modello operativo CLIL: una lezione, alcune unità didattiche, un
modulo; un’ora, una settimana, un mese; gli insegnanti lavorano in
sinergia o in co-presenza; CLIL con prevalenza della lingua, CLIL con
prevalenza della disciplina, ecc.;
c. area curricolare/extracurricolare: analisi dei temi e degli argomenti del
percorso;
d. competenze chiave del contenuto (obiettivi): conoscenze, concetti, fatti;
e. lessico chiave: individuare il lessico necessario e scegliere le tecniche
più adatte per farlo memorizzare e riutilizzare;

ti.
f. abilità linguistiche attivate: non è necessario utilizzare tutte le abilità

va
linguistiche, alcune possono essere attivate solo parzialmente; è neces-

er
sario quindi fare una scelta a seconda delle priorità (ad esempio solo

ris
lettura ed ascolto);
g. abilità di studio coinvolte: prendere appunti, riassumere, ecc.;
tti
iri
h. processi cognitivi: definire, valutare, osservare, sintetizzare, illustrare,
id

ecc.;
ti

i. metodologia(organizzazione didattica): frontale, individuale, a coppie, a


ut

gruppi, ecc. (uso della lingua straniera): in alternanza con la LM, in


.T

separazione, in concomitanza;
re

j. materiali usati: di base, integrati; (vedi paragrafo successivo);


ito

k. attività/esercizi: decidere quali attività ed esercizi svolgere in base agli


ed

obiettivi, controllare quali esercizi sono già disponibili, quali sono da


ci

integrare, come devono essere dosati, ecc.;


c

l. valutazione: come vengono valutati gli allievi, in base a quali obiettivi


na

(si valuta il contenuto, la lingua, entrambi, attraverso quali esercizi, si


Bo

valuta la lezione, l’unità, il modulo, ecc.) (vedi paragrafo successivo);


©

È importante seguire anche alcune indicazioni prima della lezione in


modo che la progettualità CLIL sia più efficace.
All’inizio è utile far avere agli studenti la scaletta della lezione in modo
che siano chiari gli argomenti da trattare, indicando qualche parola chiave
utile per la comprensione.
Si può leggere insieme lo schema, in modo da sottolineare anche oral-
mente i punti fondamentali, fermandosi laddove gli studenti hanno delle
domande.
L’input deve essere fornito in maniera ridondante: i concetti più impor-

249
tanti devono essere ripetuti attraverso tecniche diverse per assecondare i
diversi stili cognitivi di apprendimento degli studenti.
Gli elementi astratti devono essere illustrati attraverso esempi concreti in
modo da semplificarne la comprensione; bisogna inoltre evidenziare nei testi
i marcatori di ordine logico, temporale, causale, ecc. in modo che i contenu-
ti vengano acquisiti in modo corretto.
Bisogna fare uso delle attenzioni didattiche già utilizzate in altri metodi:
enfatizzare le sezioni importanti, riprendere i punti, ecc.
È preferibile far lavorare gli studenti a coppie o gruppi, interrompendo le
sequenze frontali, cercando di far diventare l’insegnante un mediatore e veri
protagonisti gli studenti.
Dopo ogni sezione di lavoro si chiede agli studenti di fare una sintesi di

ti.
quello che hanno appreso, completando una tabella, disegnando un grafico,

va
non necessariamente in italiano.

er
Durante l’esposizione da parte degli studenti bisogna intervenire sugli

ris
errori solo quando questi siano tali da impedire la comprensione.
Successivamente, con l’insegnante di italiano, verranno ripresi e sarà cura
tti
iri
dello stesso insegnante trovare i modi più efficaci e gli esercizi più idonei per
id

recuperare le lacune ancora presenti negli studenti.


ti
ut

4.2 Il problema dei materiali da utilizzare per l’insegnamento veicolare


.T

Nell’ambito dell’insegnamento CLIL i materiali possono essere un pro-


re

blema, perché attualmente non vi sono ancora materiali adatti: quelli che esi-
ito

stono sono stati pensati e didattizzati per essere utilizzati in altri contesti
ed

d’insegnamento. Per il momento l’insegnante CLIL deve quindi selezionare


dei testi autentici in italiano (a seconda del livello della classe) e cercare di
c ci

renderli comprensibili attraverso una serie di attività didattiche.


na

Non è pensabile adottare direttamente dei testi scolastici in italiano usati


Bo

in Italia, perché i testi delle scuole italiane possono usare approcci diversi,
punti di vista e programmi differenti rispetto alle scuole straniere e perché
©

quei testi sono stati concepiti per studenti madrelingua italiani e mancano di
una parte fondamentale che dovrebbe rendere il contenuto comprensibile a
livello linguistico.
La didattizzazione del materiale autentico non è facile; richiede molto
tempo, una scelta oculata dei contenuti e delle attività correlate.In base al
tipo di disciplina veicolata è necessario utilizzare anche elementi extralingui-
stici per rendere comprensibile il contenuto.
L’insegnate deve redigere il materiale in base alle necessità legate al con-

250
tenuto che si vuol trasmettere e al mezzo linguistico che lo veicola, utilizzan-
do il concetto di ridondanza, ribadendo in modo diverso e spesso i concetti
fondamentali, cercando che ci sia una cooperazione fra gli obiettivi di
apprendimento della lingua e quelli della disciplina non linguistica veicolata
in italiano.
Qualunque sia il materiale scelto si devono considerare alcune variabili
per poterlo proporre agli studenti:
a. il contesto;
b. i pre-requisiti, se necessari;
c. gli obiettivi specifici;
d. gli strumenti utilizzati.

ti.
Anche nella didattizzazione del materiale bisogna considerare alcune

va
variabili:

er
a. l’aspetto grafico: è meglio dividere in blocchi un testo lungo, mettendo

ris
in grassetto le parole chiave, evidenziando i titoli, i sottotitoli, ecc.;

tti
b. le attività e gli esercizi di supporto: in base agli obiettivi devono essere
iri
scelte varie tipologie di attività ed esercizi;
id

c. la comprensione guidata: attraverso gli esercizi e le attività proposte


ti

bisogna arrivare a comprendere i punti fondamentali del testo;


ut

d. il riutilizzo dei concetti generali: mettere in pratica, attraverso attività


.T

specifiche, quello che è stato imparato;


re

e. gli approfondimenti e i percorsi autonomi: per coloro che lo desiderano


ito

si devono prevedere degli approfondimenti e dei percorsi autonomi,


ed

anche attraverso Internet.


c ci
na

5. La valutazione nell’insegnamento veicolare


Bo

La questione “valutazione” è sempre un argomento abbastanza compli-


cato e complesso; soprattutto nell’insegnamento veicolare devono essere
©

chiari gli obiettivi che vogliamo perseguire.


È importante mettere in evidenza se la valutazione riguarda la lingua ita-
liana, i contenuti della disciplina o entrambi.
La verifica deve essere formulata in modo tale che non ci siano dubbi
sulla natura delle carenze e che lo studente possa rendere conto dei propri
progressi sia a livello linguistico che dei contenuti.
Si tratta quindi di una duplice valutazione; è importante decidere quan-
to pesa o quanto può influenzare la preparazione linguistica o la difficoltà

251
di comprensione in contenuti espressi in italiano nella valutazione dello
studente in ambito disciplinare e capire se un fallimento è dovuto a scarsa
competenza linguistica o a scarsa assimilazione dei contenuti. o ad entram-
bi i fattori.
Durante la verifica si deve supportare il messaggio linguistico in modo da
rendere il significato chiaro e comprensibile; si possono ridurre le richieste
linguistiche, si possono usare diverse modalità di valutazione e verifiche
incrociate.
Usando dei punteggi separati per la lingua e il contenuto è possibile evi-
denziare il progresso degli studenti in termini di autovalutazione attraverso
una valutazione continua con dei piani di lavoro individualizzati.

ti.
6. Conclusioni

va
er
Queste riflessioni mettono in evidenza come la metodologia CLIL sia

ris
innovativa e favorisca l’acquisizione linguistica attraverso un aumento della
quantità di esposizione all’italiano, una migliore qualità dell’ esposizione all’i-
tti
taliano e una maggiore motivazione all’apprendimento. L’attenzione è focaliz-
iri
id
zata maggiormente sul contenuto da veicolare piuttosto che sulla lingua stes-
sa, in modo da potenziare le competenze linguistiche senza che lo studente
ti
ut

se ne accorga.
.T

La metodologia CLIL deve essere proposta in modo preciso e articolato,


tenendo conto delle diverse problematiche. Richiede nuove modalità d’inse-
re

gnamento ed insegnanti in grado di lavorare in sinergia in modo costruttivo


ito

e gli stessi studenti dovranno adottare modalità diverse di lavoro che con-
ed

sentiranno di esperire la lingua in vari contesti.


c ci
na

riferimenti bibliografici
Bo

BALBONI P.E. (2002), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società com-
plesse, Torino, Utet Libreria.
©

COONAN C. (2002), La lingua straniera veicolare, Torino, Utet Libreria.


CUMMINS J. (1984), “Wanted: A Theoretical Framework for Relating
Language Proficiency to Academic Achievement among Bilingual Students”,
in Riviera, C. (cur.), Language Proficiency and Academic Achievement,
Clevedon, Multilingual Matters.
MARSH D., LANGÉ G. (1999), Implementing Content and Language
Integrated Learning: A Research-Driven TIE-CLIL Foundation Course
Reader, Jyvaskyla, University of Jyvaskyla, Continuing Education Centre.

252
siti d’interesse
Università di Venezia: www.unive.it/linguistica.glottodidattica/riebi
TIE-CLIL: www.tieclil.org
Euroclic: www.euroclic.net
DIALANG: www.dialang.org
CLIL Compendium: www.clilcompendium.com

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

253
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
Parte QUarta

ti.
va
er
strUmenti e sUPPorti

ris
Per L’insegnamento
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
ci
c
na
Bo
©
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
Capitolo 18
indiCaZioni Per L’anaLisi di manUaLi
Per L’insegnamento deLL’itaLiano Ls
Marina Biral

Il manuale di italiano LS che l’insegnante usa in classe rappresenta,


soprattutto per lo studente principiante, uno strumento di conoscenza della
lingua, un sostegno per inserirsi nella nuova realtà. È quindi fondamentale
che il testo sia scelto in base alle necessità dell’insegnante e ai bisogni dello
studente. Come fare? Per testare i punti di forza e di debolezza di un manua-
le, si può procedere isolando degli indicatori utili per analizzare le caratteri-

ti.
stiche del testo.

va
er
ris
1. Premessa

tti
Negli ultimi anni il panorama delle pubblicazioni di manuali per l’inse-
iri
gnamento dell’italiano come lingua straniera si è diversificato e ampliato. I
id

testi degli ultimi anni presentano articolazioni più elastiche ed eclettiche,


cioè che utilizzano strategie e strumenti diversificati. Oltre ai materiali auten-
ti
ut

tici, offrono strumenti integrativi come audiocassette, videocassette, floppy,


.T

CD-Rom, o le risorse della Rete come materiale in costante aggiornamento.


re

Ma non solo: la pubblicazione di testi per l’insegnamento della lingua italia-


ito

na a stranieri nell’ultimo quinquennio si arricchisce anche di manuali per le


ed

lingue di specialità (Architettura, Legge, ecc.), destinati a studenti universi-


tari, o testi per specifici bisogni da utilizzare in ambito del lavoro (l’Italiano
ci

per il turismo, per gli affari, ecc), o manuali per i bambini stranieri che stan-
c
na

no affollando le aule delle nostre scuole Elementari. E inoltre, testi che sono
Bo

pensati per integrare il classico manuale da usare in classe, destinati ad


approfondire le acquisizioni in materia di vocabolario, o di scrittura, o di let-
©

tura anche di testi letterari.


In questa fase di espansione editoriale, che è conseguente all’enorme dif-
fusione della lingua italiana all’estero, la scelta del manuale da usare in clas-
se, tra i molti ormai pubblicati , può non essere facile. Quindi questo vuole
essere un contributo per rendere tale scelta più rigorosa, individuando para-
metri utili per analizzare se singole unità, moduli o il manuale nel suo com-
plesso risultino didatticamente validi o meno. Questi indicatori sono stati
organizzati in modo tale da formare una scheda che è proposta interamente
alla fine del capitolo; qui di seguito, ogni indicatore viene commentato.

257
2. indicazioni per l’uso della scheda

Destinatari/ Lingua M/Conoscenza dell’italiano


I primi indicatori riguardano dunque il profilo della classe cui si rivolge
la ricerca del manuale “perfetto”. Per classi formate da studenti omogenei
per madrelingua (come nel classico caso di Università inglesi o americane
che frequentano uno o più semestri in Italia), i manuali sono pochi, qualora
l’insegnante decidesse di adottare un testo bilingue e basato su principi di
grammatica contrastiva. Invece le pubblicazioni destinate a bambini oggi
stanno aumentando.

Grafica

ti.
va
Se si pensa che il manuale per principianti è il primo strumento di
approccio con una nuova realtà linguistica, è naturale che un libro colorato,

er
con foto, vignette, spazi per scrivere rappresenta un sostegno alla motivazio-

ris
ne di apprendere e uno stimolo visivo e mentale, sia per bambini che per
adulti. tti
iri
id

Istruzioni
ti
ut

Se la formulazione delle istruzioni che accompagnano le attività per prin-


.T

cipianti non sono leggibili, significa che l’insegnante è necessario anche per
re

la decodificazione di tratti linguistici che potrebbero essere più efficaci se


ito

tradotti in vignetta o in fumetto (come avviene in molti testi). Altrimenti, lo


studente potrebbe non essere in grado di usare il libro da solo.
ed
ci

Approccio
c
na

Per approccio comunicativo si intende che il materiale è autentico, sia orale


Bo

che scritto; che ci sono attività di scambio, di informazioni e di discussione.


Ora molti manuali si basano anche su teorie di tipo eclettico che, sulla base di
©

un approccio didattico di tipo comunicativo, inseriscono anche esercizi di tipo


strutturalistico, per rendere il testo più flessibile alle esigenze di insegnanti e
studenti. In quest’ottica, un manuale che sia impostato solo per comporta-
menti grammaticali è oggi superato, a meno che l’insegnante non lo voglia uti-
lizzare come testo di integrazione e di supporto per attività di fissazione delle
strutture grammaticali che affianchino le usuali attività comunicative.
L’ultimo indicatore riguarda testi che fanno lavorare la classe solo su deter-
minate abilità, ad esempio studenti avanzati che richiedano corsi specifici.

258
Metodologia
Tutti i manuali hanno impostazione comunicativa; alcuni fanno maggior-
mente uso di strategie di coinvolgimento attivo degli studenti con molte atti-
vità che favoriscono l’interazione linguistica all’interno del gruppo.
Testi per studenti avanzati hanno i materiali organizzati per Unità temati-
che, tecnica che a questi livelli si rivela ottima per poter approfondire le
conoscenze linguistiche attraverso l’esplorazione di temi culturali.

Obiettivi
Questa voce indica se nel testo compare un indice in cui siano esplicitati
funzioni, contenuti grammaticali, lessicali e culturali di ogni Unità o modu-

ti.
lo. Ormai tutti i nuovi testi soddisfano questa richiesta. In alcuni, l’indice

va
compare anche come introduzione ad ogni UD, in modo da servire come

er
orientamento per lo studente che così può autonomamente rendersi conto

ris
del percorso da seguire.

Cultura tti
iri
id

Cultura non significa solo insegnare l’arte, la musica, la letteratura, il cine-


ma; per dimensione culturale si intende tutto quello che può aiutare lo stu-
ti
ut

dente a comprendere la persona che ha davanti, a interpretare le implicazio-


.T

ni e le allusioni presenti in ciò che dice. Insegnare cultura significa insegna-


re

re anche abitudini e atteggiamenti associati più strettamente ai comporta-


ito

menti linguistici e alle diverse situazioni. Se il materiale che state esaminan-


ed

do presenta tutti e tre gli indicatori, è già un chiaro segnale che il materiale
è impostato su strategie didattiche molto efficaci.
c ci
na

Input
Bo

Più sono vari, più offrono materiale di apprendimento e più motivante è


il lavoro di entrambe le parti, insegnante e studenti.
©

Testi
La selezione del primo indicatore, autentici, è la necessaria conseguenza
di testi impostati su strategie di tipo comunicativo. Le voci successive della
colonna di sinistra segnalano una maggiore efficacia didattica. Se i testi che
state valutando, orali o scritti che siano, appaiono poco in sintonia con gli
interessi della classe, sarà più difficile stimolare la motivazione degli studen-
ti. Se presentano anche variazioni di registro, di accenti regionali, daranno

259
maggiore garanzia di potenziare la capacità sociolinguistica degli studenti.
L’ultimo indicatore riguarda la varietà del genere testuale, che chiaramente
sarà subordinata al livello linguistico dello studente che dovrà affrontare e
decodificare testi sempre più complessi.

Ascolto
Per i principianti è raro che i manuali presentino dialoghi in presa diret-
ta, ma è importante che siano autentici in quanto realmente comunicativi e
non artificiali. Un dialogo è autentico per la velocità del parlato, se ci sono
espressioni tipiche come anacoluti, interiezioni, sospensioni, pause, cioè i
tratti verbali paralinguistici senza i quali ogni conversazione sarebbe priva di
incisività. Per i livelli più alti, l’ascolto di un dialogo è generalmente sostitui-

ti.
to con testi differenti quali: canzoni, trasmissioni radio, dibattiti, interviste.

va
er
Orientamento iniziale

ris
La presenza di questo elemento è necessario e ormai presente in tutte le
tti
ultime pubblicazioni.Viste le difficoltà relative alla comprensione orale, mag-
iri
giori sono le strategie di orientamento presentate nel testo, minore è il peri-
id

colo che lo studente si senta frustrato. Se il testo è carente in questa fase di


ti

attivazione della comprensione, è chiaro che sarà l’insegnante a dover inte-


ut
.T

grare con anticipazioni il contenuto dell’ascolto. Ottima la strategia delle


illustrazioni o delle vignette per studenti principianti.
re
ito

Comprensione orale
ed

Maggiori sono le voci segnate nella scheda, maggiore sarà la possibilità di


ci

scegliere le attività più stimolanti che il testo offre. Come per altri indicatori
c
na

presentati in questa scheda, non sono elencate tutte le attività possibili, ma


quelle più utilizzate nei testi.
Bo
©

Produzione orale
Le voci sono qui indicate in ordine crescente di complessità; è perciò
ovvio che il primo indicatore appaia in un manuale per principianti mentre
il penultimo e l’ultimo sono tipici di livelli più avanzati. L’attività relativa ai
giochi può essere presentata subito, dal livello principianti, fino al livello più
avanzato; un testo che presenti questa attività darà modo di far lavorare la
classe in varie modalità, a gruppi, favorendo il coinvolgimento degli studen-
ti, o individualmente, dando modo a ciascuno di sfidare se stesso.

260
Comprensione
Anche per questo indicatore non sono stati elencate tutte le varietà possi-
bili; è valido sempre lo stesso principio: più materiale è presentato nelle
Unità, maggiori possibilità avrà l’insegnante di lavorare in modo flessibile
agli interessi e ai bisogni degli studenti.

Con attività di comprensione


Domande, scelte multiple, cloze, incastro, griglie attivano i processi essen-
ziali per la comprensione: la varietà stimola la motivazione, perché così lo
studente può misurare la propria competenza con differenti attività.

ti.
Produzione scritta

va
Gli studenti vanno avviati verso la produzione scritta autonoma con eser-

er
citazioni graduate; da semplici attività manipolative ad attività più autonome;

ris
dalla produzione di paragrafi su modelli dati, alle composizioni guidate o la
rielaborazione di un brano usando un genere testuale diverso o altro registro.
tti
iri
Per studenti già abili, gli esercizi che mettano in campo abilità diverse, come
id

un riassunto scritto svolto sulla base di appunti presi ascoltando un notizia-


rio, un’intervista, danno loro la possibilità di potenziare la capacità di reale
ti
ut

comunicazione. Come sempre, maggiori sono gli elementi qui suggeriti pre-
.T

senti nel materiale che state valutando, maggiore è l’efficacia didattica.


re
ito

Grammatica
ed

La grammatica ha come unità di insegnamento il testo e non la frase, per-


ché non è solo morfologia e sintassi, ma anche pragmatica, testualità, socio-
c ci

linguistica, competenza semantico-lessicale: ormai tutti i manuali presentano


na

quest’approccio. Il secondo indicatore, che riguarda la presentazione indutti-


Bo

va degli aspetti grammaticali, è importante in un manuale perché in questo


modo apprendere diventa una sfida, quindi fattore motivante. Inoltre è una
©

strategia che permette che gli elementi grammaticali vengano scoperti dallo
studente nella misura in cui la sua interlingua è in grado di identificarli ed assi-
milarli. Gli indicatori successivi, nel numero in cui sono presenti nel testo da
analizzare, permettono di capire se il materiale è ben strutturato o meno.
Importante anche la presenza dell’ultimo elemento: ogni studente, special-
mente ai livelli più bassi, ha necessità di ancorare le proprie acquisizioni lin-
guistiche a degli schemi scritti, in modo da poterli rivedere in ogni momento.

261
Lessico
Questo indicatore è importante perché non tutti i manuali curano la parte
lessicale, che è invece essenziale. Se appare la prima voce, significa che l’in-
segnante avrà minore necessità di integrare con altro materiale questa sezio-
ne e che lo studente potrà, anche autonomamente, rivedere questa parte per
fissare gli elementi del vocabolario presentati negli input dell’Unità. L’ultimo
elemento, purtroppo, non è facilmente presente nei manuali, anche più
recenti: un indice lessicale risulta un appiglio molto utile per il ripasso dello
studente.

Fonologia

ti.
Tale sezione deve essere presente nei manuali per principianti perché la

va
pronuncia errata di un suono, di una frase o l’uso improprio del ritmo e del-

er
l’intonazione possono compromettere l’efficacia comunicativa del messaggio.

ris
Modalità di lavoro
tti
iri
La scelta di queste voci sono importanti perché se tutti gli indicatori ven-
id

gono segnati nella scheda, il materiale che state analizzando appare degno di
interesse. Gli studenti hanno bisogno di interagire, per socializzare e per uti-
ti
ut

lizzare la lingua di apprendimento (specie in classi omogenee per LM); la


.T

modalità lavoro in coppie o a gruppi è una strategia didattica motivante. E la


re

possibilità di fare esercizio autonomo confrontando le proprie soluzioni con


ito

le chiavi fornite dal testo è fondamentale per un lavoro personalizzato di


ed

recupero o fissazione.
c ci
na

Materiale integrativo
Bo

Variare materiale e mezzi è motivante, sia per la diversificazione degli


input, che diventano più incisivi, sia perché si offre maggiore movimento e
©

aumentano le aspettative negli studenti. I recenti manuali che attingono risor-


se dalla Rete riescono ad offrire materiale che si aggiorna continuamente.

Efficacia
Per un soddisfacente processo di apprendimento si devono seguire deter-
minati parametri:
porre lo studente come elemento centrale del percorso didattico;
motivare lo studente coinvolgendolo in attività comunicative stimolanti;

262
utilizzare tecniche varie e diversificate che possano soddisfare diversi stili
di apprendimento, perché non tutti apprendono allo stesso modo (c’è chi
preferisce lavorare in gruppo, chi da solo, c’è chi segue ritmi più lenti).
Sono le ultime indicazioni della scheda, quelle che riassumono la validità
o meno del materiale da analizzare: se nel manuale che state valutando nes-
suno di questi parametri viene soddisfatto, cestinatelo. Se, invece, tutte que-
ste componenti sono presenti, è molto probabile che il testo sia valido.
Nella pagine seguenti, la scheda intera.

3. scheda di analisi di un manuale di italiano

DESTINATARI Età bambini

ti.
adolescenti

va
adulti

er
Lingua M eterogenea

ris
unica
Conoscenza italiano
tti
scarsissima
iri
sufficiente
id

buona
ISTRUZIONI Facili
ti
ut

Difficili
.T

GRAFICA Stimolante sì no
APPROCCIO Per comportamenti grammaticali sì no
re

Comunicativo generale sì no
ito

Anche per abilità integrate:


ed

saper dialogare sì no
saper prendere appunti sì no
ci

saper riassumere sì no
c
na

saper parlare su traccia scritta sì no


Bo

Per abilità specifiche:


ascolto sì no
©

lettura sì no
METODOLOGIA UD per funzioni/situazioni sì no
UD per attività sì no
UD tematiche sì no
OBIETTIVI Esplicitati sì no
CULTURA Con informazioni adeguate sì no
Coerenti con argomento UD sì no
Con attività di rinforzo delle altre abilità sì no
INPUT Sufficienti sì no
Diversificati sì no

263
TESTI Autentici sì no
Interessanti sì no
Vari per registro: colloquiale/informale sì no
Vari per area geografica sì no
Vari per genere:annunci, articoli, lettere… sì no
ASCOLTO (Dialogo) Autentico sì no
Per situazione comunicativa sì no
Per velocità d’eloquio sì no
ORIENTAMENTO Tramite elicitazione sì no
INIZIALE Con illustrazioni sì no
Con parole chiave sì no
COMPRENSIONE Attività di guida all’ascolto con scelta multipla /
ORALE Vero o Falso/griglie, ecc. sì no

ti.
Attività di decodificazione con scelta multipla / griglie sì no

va
Transcodificazioni sì no

er
Cloze sì no

ris
Domande sì no
PRODUZIONE Ascolto - Ripetizione sì no
ORALE Simulazione/ drammatizzazione tti sì no
iri
Role play/ dialogo aperto sì no
id

Scambi di informazioni sì no
ti

Giochi sì no
ut

Discussione sì no
.T

Con impiego di vari registri: formale/colloquiale sì no


re

COMPRENSIONE Con varie tipologie di testi


ito

SCRITTA Annunci / cartoline / testi pubblicitari sì no


Articoli sì no
ed

Racconti sì no
ci

Poesie sì no
c

CON ATTIVITÀ DI Varie sì no


na

COMPRENSIONE Scelta multipla/ Vero o Falso sì no


Bo

Griglie /Riordino sì no
Cloze sì no
©

Domande sì no
PRODUZIONE Con attività graduate sì no
SCRITTA Trasformazione
ad altro genere comunicativo sì no
ad altro genere testuale sì no
a registri diversi sì no
Composizione sì no
Con attività integrate:riassunti /appunti sì no

264
GRAMMATICA Del testo e della comunicazione sì no
Della frase sì no
Con presentazione induttiva sì no
Con inclusione ed esclusione sì no
Riordino sì no
Con attività di fissazione numerose e varie sì no
Con manipolazioni di tipo strutturale sì no
Con riempimento di spazi sì no
Con cloze sì no
Con specchietti finali sì no
LESSICO Con sezione specifica sì no
Abbinamento sì no
Inclusione/Esclusione / Seriazione sì no

ti.
Cloze sì no

va
Con indice finale sì no

er
FONOLOGIA Esercizi sul ritmo, sulla intonazione sì no

ris
MODALITA’ DI LAVORO Flessibile sì no
Con attività per gruppi sì no
A coppie tti sì no
iri
Individuali con chiave delle risposte sì no
id

MATERIALE Sezione di ripasso o rinforzo sì no


ti

INTEGRATIVO Sezione per il testing sì no


ut

Audiocassetta / Videocassetta sì no
.T

Cd rom sì no
re

Siti su Web sì no
ito

EFFICACIA Il materiale e le attività sono motivanti sì no


Le strategie sono diversificate sì no
ed

Soddisfano diversi stili di apprendimento sì no


ci

Si possono ritagliare percorsi modulari sì no


c
na
Bo
©

265
Capitolo 19
L’UtiLiZZo deL Video
neLLa didattiCa deLL’itaLiano Ls
Paolo Torresan

1. apprendimento spontaneo e apprendimento guidato


Si sta sempre più sfatando la convinzione che l’insegnante possa esporre
la classe ad una sequenza video al solo scopo di intrattenere gli studenti.
Quello che si riscontra nella pratica è piuttosto una flessione dell’attenzione
man mano che una serie ripetuta di input viene presentata, senza che lo stu-

ti.
dente disponga degli strumenti necessari per inferire i significati.

va
Detto altrimenti, l’esposizione tout court ad una sequenza video, per

er
quanto questa possa risultare interessante e piacevole e per quanto la lingua

ris
sia sempre in contesto, non è garanzia di successo da un punto di vista glot-

tti
todidattico. Così, mentre fenomeni di apprendimento spontaneo sono circo-
iri
scrivibili a situazioni di forte motivazione e a grandi aspettative di integra-
id

zione1, in una normale classe di lingua il docente è chiamato a progettare per-


corsi di acquisizione che suscitino la motivazione e l’interesse, guidino la
ti
ut

comprensione, spingano all’analisi di una o più componenti (linguistiche,


.T

paralinguistiche ed extralinguistiche) e inducano ad una sintesi conclusiva


re

dei contenuti e delle forme.


ito
ed

2. alcune costanti della ricerca


ci

Nell’ultimo ventennio si sono moltiplicate, sia all’estero che in Italia,


c
na

riflessioni e ricerche sui criteri e le modalità che un insegnante di lingua


dovrebbe seguire al fine di sfruttare al meglio il video in classe. Riportiamo
Bo

nei paragrafi seguenti le considerazioni più interessanti che ne sono emerse.


©

2.1 L’utilizzo del video rispetta il principio di direzionalità espresso da


Danesi
Il principio di direzionalità si postula a partire dalla distinzione tra le fun-
zioni a cui sono demandati l’emisfero destro e l’emisfero sinistro del cervel-
lo (principio di bimodalità): mentre il primo è deputato alla sintesi globale

1 Si pensi all’apprendimento “spontaneo” dell’italiano degli albanesi in Albania attraverso la


televisione.

266
dei significati e all’intuizione complessiva degli aspetti non verbali della
comunicazione, il secondo è preposto all’analisi sequenziale dei dettagli, agi-
sce secondo le leggi della logica, segue percorsi lineari e si focalizza sulla
dimensione verbale della lingua. Danesi sostiene che quando si impara una
lingua, la mente segue un ordine preciso, afferrando prima il significato glo-
bale, quindi scendendo nell’analisi dei particolari.
Il video rispetta questa direzione “naturale” dell’apprendimento per il
fatto che “il senso visivo permette il massimo di informazione nel minor
tempo possibile. L’occhio prende contatto in modo immediato con l’oggetto
percepito, non analizza i particolari delle immagini e attiva le funzioni del-
l’emisfero destro del nostro cervello, al quale sono prevalentemente legati i
processi correlati alle immagini, all’organizzazione spaziale e alle attività glo-

ti.
bali” (Troncarelli 1994).

va
Diverse ricerche dimostrano inoltre l’efficacia del linguaggio iconico ai

er
fini di una memorizzazione a lungo termine: accade che si ricordi il 10% di

ris
ciò che si vede, il 20% di ciò che si ascolta, il 50% di ciò che si vede e si
ascolta (Begley 1994, citato in Porcelli, Dolci 1999, p. 52).
tti
iri
In sintesi si può affermare che con il video si impara in modo efficace e si
id

ricorda di più.
ti
ut

2.2 Il video è un veicolo di lingua autentica


.T

L’evoluzione delle tecnologie, che nel nostro Paese ha registrato un forte


re

incremento a partire dagli anni Ottanta, si è legata al diffondersi dell’ap-


ito

proccio comunicativo, sotto la spinta di un forte interesse per l’aspetto prag-


ed

matico e per una comunicazione autentica. Presentare agli studenti testi


scritti da nativi per nativi ha costituito una sfida e ha significato un orienta-
c ci

mento della glottodidattica decisamente nuovo: il testo autentico e scelto in


na

base agli interessi, all’età e ai bisogni linguistici dei discenti, è il luogo in cui
Bo

si esplicano i processi di inferenza, in cui si esplorano i significati e si foca-


lizzano via via le forme che l’insegnante intende analizzare.
©

In realtà, l’insegnante che intende usare il video può contare pure su una
discreta mole di materiali strutturati presenti nel mercato - video pensati ad
hoc per studenti di italiano come LS (documentari, film semiautentici, etc.),
caratterizzati da un lessico e da una sintassi relativamente semplificati; tutta-
via si tratta di materiali spesso inefficaci nel rappresentare la realtà del Paese,
sia dal punto di vista linguistico (la lingua usata nasce dallo scritto ed è
distante dalle reali strategie messe in atto in una normale comunicazione fac-
cia a faccia) sia da quello culturale (alcuni prodotti rinforzano, anziché sfa-

267
tare, i più diffusi stereotipi sull’Italia).
Diversamente, i materiali autentici (vale a dire i programmi televisivi o le
pellicole cinematografiche di cui l’insegnante seleziona e didattizza una o più
sequenze) hanno il pregio di essere attuali e riscuotono perciò un maggior
interesse da un punto di vista culturale e sociolinguistico.
Nella sua preziosa ricerca del 1994, P. Diadori ha mostrato come l’italia-
no televisivo sia per così dire “sospeso” tra oralità e scrittura. In effetti, mal-
grado il messaggio raggiunga gli spettatori principalmente attraverso il cana-
le uditivo, la natura testuale di molti prodotti video si presenta fortemente
caratterizzata dalle “norme” tipiche dello scritto. Ciò vuol dire che sotto la
dicitura “materiali autentici” rientrano testi che si distinguono per un mag-
giore o minore grado di controllo della lingua. Nei servizi giornalistici, così

ti.
come nelle voci fuori campo dei documentari, prevale un parlato-scritto (letto

va
ad alta voce), che presenta la tipica testualità della scrittura, un’oculata pia-

er
nificazione e una necessità di esplicitazione, mentre nei dialoghi dei pro-

ris
grammi di intrattenimento, nelle telefonate ai concorrenti di un quiz, nelle
interviste improvvisate prevale un parlato-parlato (spontaneo nel caso della
tti
iri
candid camera), dove le difficoltà di comprensione dovute alle variazioni dia-
id

stratiche e diatopiche, ad eventuali rumori di sottofondo, ecc., sono in un


certo qual modo “compensate” da alcune caratteristiche proprie dell’oralità,
ti
ut

che possono orientare la comprensione: le ripetizioni, l’uso sovrabbondante


.T

di connettivi, una relativa semplicità sintattica, le pause, etc. Tra i due estre-
re

mi, tra il parlato-scritto e il parlato-parlato, si collocano alcuni gradi interme-


ito

di: il parlato-recitato da copione (che è quello di molti attori e dei doppiato-


ed

ri), il parlato-recitato “a braccio” (tipico di alcuni attori, come Benigni, i quali,


pur seguendo una scaletta mentale o scritta, puntano sull’improvvisazione) e
ci

il parlato-controllato (vale a dire quello di alcuni presentatori, dei cronisti e


c
na

degli esperti di varie discipline, i cui interventi si basano il più delle volte su
Bo

scalette preparate in precedenza).


©

2.3 Rilievo delle componenti extralinguistiche nel video


L’immagine viene in soccorso alla parola: quanto si vede (sia in termini di
ambientazione che in termini di personaggi) permette di contestualizzare ed
anticipare ciò che sta per esser detto. Si parla, più in particolare, di ridon-
danza o complementarità dell’immagine quando il linguaggio iconico raffor-
za o completa quanto espresso dalle parole, semplificando di conseguenza la
comprensione.
Chi ascolta un brano audioregistrato è in grado di percepire le compo-

268
nenti paralinguistiche della comunicazione (pronuncia, intonazione, timbro,
velocità di eloquio) e di penetrare meglio le intenzioni psicologiche degli
interlocutori. Con il video si possono esaminare e valutare distintamente le
componenti extralinguistiche: la gestualità, la mimica facciale, i cenni del
capo, la distanza tra gli interlocutori, il significato sociale di oggetti e vestiti.
Tecniche didattiche come il doppiaggio o la drammatizzazione valgono, in
un momento successivo, al fissaggio dei tratti sovrasegmentali e degli aspetti
extralinguistici oggetto di analisi (preziosi suggerimenti in Rostagno 1999).
È chiaro d’altronde che una didattica orientata ad un confronto intercul-
turale promuove la selezione di filmati che mettono in luce quegli aspetti
della società che stimolano discussioni circa le differenze che intercorrono
con la cultura propria dell’allievo; diventa ancora più proficuo tale confron-

ti.
to se l’allievo è stimolato a formulare un giudizio critico sulle stesse modalità

va
mediante le quali il regista ha deciso di presentare una certa immagine della

er
cultura della lingua obiettivo (Triolo 2003).

ris
2.4 Variabili che determinano le difficoltà di comprensione di uno spezzone
tti
iri
La consapevolezza delle variabili da cui dipende la difficoltà di compren-
id

sione di un brano agevola l’insegnante nella selezione e nella classificazione


ti

dei materiali (Diadori 2001).


ut

Un’analisi sul grado di complessità dei processi inferenziali permette di


.T

stabilire, in primo luogo, fino a che punto l’interlingua dello studente può
re

spingersi nell’interpretazione dei significati presenti nel testo. È chiaro che


ito

più complessi sono i processi inferenziali, più difficile sarà la comprensione.


ed

In secondo luogo, benché l’immagine tenda generalmente a favorire un’o-


perazione di “colmatura” delle informazioni veicolate dalla lingua (rapporto
c ci

di ridondanza o di complementarità con il suono), non è raro il caso in cui


na

tra suono e immagine si dia un rapporto parallelo (il contenuto delle parole
Bo

è indipendente da quello delle immagini) o contrario (le immagini contrad-


dicono i significati trasmessi dalle parole), con ovvia difficoltà per lo spetta-
©

tore straniero.
Una struttura narrativa compiuta e lineare e aperta a più possibilità di
didattizzazione costituisce un parametro positivo sul piano della compren-
sibilità.
La presenza di rumori di sottofondo invece, come avviene nella presa
diretta, comporta una minore nitidezza del suono; alla pari, un testo risulta
più difficile da capire quanto maggiore è il numero degli interlocutori, quan-
to più la pronuncia si caratterizza diatopicamente e quanto minori sono le

269
informazioni extralinguistiche (è molto più facile comprendere il messaggio
di un parlante in primo piano rispetto a quello di una voce fuori campo).
Diverse strategie di comprensione, e quindi diversi gradi di difficoltà,
vengono attivate a seconda della modalità di codificazione, ovvero della
natura testuale, orale o scritta, del testo audiovisivo; è un argomento a cui
abbiamo già accennato e che approfondiremo nel paragrafo successivo.
Per inciso, ci preme sottolineare l’opportunità di valutare i contenuti cul-
turali; se troppo marcati o troppo distanti dall’universo di valori della cultu-
ra d’origine dello studente, potrebbero generare una barriera di tipo “emo-
tivo”, se non addirittura “etico”, con una conseguente reazione di rigetto
(Maggini 2001).

ti.
2.5 Differenti possibilità di utilizzo didattico delle varie tipologie testuali

va
I materiali che vengono più largamente usati dagli insegnanti di italiano

er
sono la pubblicità, il telegiornale, il film e il talk-show; seguono i videoclip,

ris
le previsioni del tempo, i documentari (Cassandro 1999).
tti
La pubblicità è un prodotto raffinato, che gioca su più codici: il colore e
iri
le immagini (di solito ridondanti), gli spazi (che creano un vero e proprio
id

schema narrativo), le testura (la trama e la confezione degli oggetti), la musi-


ti

ca e soprattutto il linguaggio, caratterizzato da un’estrema densità espressiva


ut

e da un uso sapiente e sorprendente delle figure retoriche, al fine di genera-


.T

re un processo di persuasione. Nella società dell’informazione la pubblicità


re

produce una sorta di “alluvione comunicazionale”: le statistiche riferiscono


ito

che il cittadino italiano viene raggiunto dai messaggi pubblicitari in media


ed

200 volte al giorno, fra giornali, riviste, annunci, radio, Internet, televisione,
cinema, manifesti. Lo scopo della pubblicità è quello di affermare un pro-
c ci

dotto e suscitare un goodwill, servendosi di strategie che mirano a penetrare


na

la sfera emotiva del destinatario; il senso dell’inedito, l’orgoglio e la sicurez-


Bo

za, la comodità, l’affettività sono le caratteristiche di una pubblicità efficace,


che fa leva cioè sui desideri dei consumatori (Zonta R., Passeri R. 1990,
©

Fabris 1995). È chiaro allora che lo spot non informa solo sul prodotto, ma
è un’espressione più o meno manifesta dei costumi sociali, delle tendenze,
delle mode e dei valori di una cultura. Da un punto di vista didattico, la spen-
dibilità di uno spot risiede nella sua brevità (è quindi ottimo per i livelli ele-
mentari), nel forte accento dato alle componenti extralinguistiche, nonché
nella possibilità di tematizzare alcuni aspetti morfosintattici, quali: l’indicati-
vo presente (per affermare la qualità di un prodotto), l’imperativo (per esor-
tare all’acquisto), il futuro (per promettere), i comparativi e i superlativi (per

270
paragonare o affermare l’eccellenza del prodotto).
Il telegiornale è il modo italiano di vedere il mondo, e come tale si presta
ad osservazioni di tipo interculturale: si possono, ad esempio, invitare gli stu-
denti a individuare le caratteristiche di un notiziario italiano e metterle a
confronto con quelle di un notiziario del loro Paese (serio/ superficiale; ten-
denzioso/ obiettivo; sensazionale/ pacato; etnocentrico/ aperto ai fatti inter-
nazionali, etc.). La divisione delle informazioni in rubriche (politica, crona-
ca, economia, sport, spettacolo, etc.), e quindi in sequenze, facilita, ai fini
della comprensione, l’individuazione delle 5 W, permette un arricchimento
lessicale e stimola la capacità di sintesi; al pari, la descrizione degli avveni-
menti, la previsione di piani futuri, etc., aiutano a focalizzare l’attenzione
sulla sintassi e la morfologia. La natura scritta del testo parlato a voce alta dal

ti.
giornalista, la velocità di eloquio, l’assenza di pause, il fatto di dare per scon-

va
tate una serie di informazioni (sigle, contratti, associazioni, neologismi della

er
politica, metafore, ecc.) costituiscono notevoli difficoltà alla comprensione.

ris
Come precisa Zonari (1997), nel telegiornale la comprensione è affidata per
lo più alla parola: le immagini hanno una funzione di supporto e a volte pos-
tti
iri
sono addirittura disorientare il discente a causa di una relazione contraria
id

con i contenuti verbali. È bene pertanto, ogni qual volta si sceglie di agevo-
lare la comprensione, presentare sequenze in cui la ridondanza o la comple-
ti
ut

mentarità tra suono e immagini siano abbastanza forti. Da un punto di vista


.T

sociolinguistico negli ultimi anni si è registrata una considerevole oscillazio-


re

ne del parlato dei notiziari verso pronunce regionali (Bosc, Malandra 2000).
ito

Il cinema italiano ha vissuto la sua stagione felice all’epoca dei capolavori


ed

del neorealismo e della successiva sperimentazione onirica del genio fellinia-


no. Meno conosciuta all’estero e più tenue da un punto di vista di valore
ci

cinematografico è la commedia all’italiana, nel suo ritratto agrodolce


c
na

dell’Italia del boom, dell’emigrazione interna, della furbizia e della volontà di


Bo

sopraffazione. I registi che si sono distinti negli ultimi anni e che hanno avuto
un’eco internazionale, tendono, eccezion fatta per Moretti e la Archibugi, a
©

tornare idillicamente all’Italia della guerra o del dopoguerra (l’Italia da cui i


nonni degli studenti d’italiano sono partiti per l’America o l’Oceania), in uno
slancio che, seppur apprezzato dalla critica e dal pubblico (basti pensare ai
riconoscimenti assegnati a Salvatores, Benigni, Tornatore e Amelio), pregiu-
dica in un certo qual modo l’utilizzo didattico delle rispettive opere, inattua-
li sia dal punto di vista linguistico che da quello culturale.
Un’operazione delicata per la presentazione di un film è la selezione della
sequenza. Se si vuole garantire una “tenuta” dell’attenzione degli studenti, la

271
durata dello spezzone non dovrebbe superare i cinque – sei minuti; occorre
inoltre che la scena abbia una sua compiutezza e non presenti eccessivi
rimandi alle scene precedenti. La sequenza dovrebbe andare incontro agli
interessi culturali, ai gusti personali e all’età dei discenti, corrispondere al
loro livello di conoscenza della lingua, e fornire stimoli nuovi o rinforzare
strutture e contenuti appresi in precedenza. È necessario che la sequenza si
raccordi (è un criterio valido del resto per ogni genere testuale) con l’intera
programmazione curricolare (che non rappresenti cioè un’esercitazione cir-
coscritta), ed è auspicabile che sia il “nodo” di un complesso reticolo modu-
lare, per cui il testo video si lega ad altri tipi di testo (articoli di giornale,
recensioni, pagine web, canzoni, etc.): le tematiche affrontate vengono così
ulteriormente approfondite, e si costituisce alla fine quella fitta rete di signi-

ti.
ficati che sta alla base di ogni processo di acquisizione.

va
I talk show sono un’autentica miniera sociolinguistica, poiché fortemente

er
caratterizzati diatopicamente. Inoltre, con la loro bizzarra asintatticità, pre-

ris
sentano una vasta gamma di caratteristiche proprie della lingua parlata: le
ripetizioni, le riprese, gli anacoluti, le esitazioni, la ridondanza di alcuni riem-
tti
iri
pitivi, etc. Le espressioni del volto, il cenno del capo per annuire o negare, il
id

movimento delle mani, il modo di marcare con il corpo il proprio interveni-


re alla discussione per prendere la parola, etc., possono essere il punto di
ti
ut

partenza per un’analisi contrastiva, mentre alcune routine linguistiche (dalla


.T

presentazione degli ospiti alle espressioni usate per contraddire, argomenta-


re

re, ribadire, etc.) sono utili per allargare la consapevolezza linguistica e l’uso
ito

di nuove strategie comunicative.


ed

Amati dal pubblico giovanile, i videoclip presentano una serie di difficoltà


in termini di comprensione a causa dell’indipendenza delle immagini dal
ci

suono (relazione parallela). Ciononostante se ne riscontra un discreto uso


c
na

nelle classi di italiano, come motivo di ampliamento di unità di apprendi-


Bo

mento basate sulla canzone o come stimolo per attività ludiche, quali il
karaoke (Cardona 1998).
©

Sono interessanti, per un livello elementare, le previsioni del tempo: la


comprensione è facilitata da una struttura fissa e ripetitiva e dalla presenza
di grafici, simboli e numeri, che inducono a progettare attività di transcodi-
ficazione.
È una convinzione abbastanza diffusa che i documentari sull’Italia rap-
presentino un ottimo veicolo per diffondere la conoscenza della cultura e dei
costumi del nostro Paese, occorre però non sottovalutare la difficoltà della
lingua: benché la pronuncia sia scandita e la qualità del suono sia ottima, le

272
costruzioni sintattiche sono complesse, ricche di subordinate e di incisi, e il
lessico tende ad essere specialistico, fino a rasentare talvolta l’ambito micro-
linguistico.
Esistono infine alcuni materiali che rimangono piuttosto inesplorati: le
lotterie, le notizie sportive (ottime entrambe per svolgere attività sui numeri),
le televendite (da cui si possono ricavare attività lessicali) e i cartoni animati
(i quali, pur presentando una trama semplice, per cui la formulazione di ipo-
tesi è facilitata dalla prevedibilità degli eventi, implicano alcune difficoltà di
comprensione, dovute in specie alla pronuncia nasale e a una discreta velo-
cità di eloquio).

2.6 Spunti per la didattizzazione

ti.
Esiste una ricca bibliografia sui criteri mediante i quali si può progettare

va
proficuamente un’unità didattica basata sul video (tra gli altri: Giraudo 1991;

er
Continanza, Diadori 1997; Diadori 1992, 1994, 2001; Vannini 1994; Andres

ris
1996; Fratter 2000; Bosc, Malandra 2000). Attraverso una sintesi delle diver-
tti
se esperienze possiamo riassumere alcune tecniche di base da utilizzare nelle
iri
diverse fasi di un’unità.
id

Per attivare nello studente le conoscenze pregresse al fine di introdurlo al


ti

tema e di predisporlo ad un’anticipazione dei contenuti, l’insegnante può


ut

ricorrere a: un brainstorming; una esplorazione delle parole-chiave; una


.T

esplicitazione della situazione generale in cui si svolge l’episodio, dei ruoli


re

dei personaggi, dei loro stati d’animo, del contesto storico e sociale; una rico-
ito

gnizione delle scene precedenti; una descrizione della vita e dello stile del
ed

regista, ecc.
Per introdurre lo studente alla visione e all’ascolto della sequenza l’inse-
c ci

gnante può altresì decidere di separare i canali audio e video (Lonergan


na

1988; Stemplesky, Tomalin 1990), procedendo ad una visione senza suono


Bo

(vision on and sound off) oppure ad un ascolto senza visione (sound on and
vision off) o infine a una visione scissa (split viewing). Nel primo caso gli stu-
©

denti, concentrati solo sulle immagini, formulano ipotesi sul contenuto della
storia (ai livelli più bassi si può semplicemente chieder loro di porre atten-
zione a relazioni statiche e descrivere persone, oggetti e ambienti); è una tec-
nica che, oltre a creare aspettative e suscitare interesse, permette di isolare ed
esaminare distintamente le componenti extralinguistiche. Escludendo invece
la visione dallo schermo e invitando la classe ad un ascolto dei dialoghi, si
mira a un’operazione di segno opposto: ricostruire la storia, e quindi avan-
zare una serie di ipotesi su avvenimenti, relazioni tra i personaggi, etc., a par-

273
tire dal solo dato acustico. È chiaro che mediante una visione completa gli
studenti sono messi nelle condizioni di verificare le loro supposizioni. Nel
caso di una visione scissa, infine, avviene un confronto tra i membri della
classe che hanno assistito ad una visione senza suono e quelli che, in un’aula
distinta, hanno solamente ascoltato i dialoghi; si può prevedere un terzo
gruppo che ricostruisce la scena assieme agli altri a partire dalla lettura della
sceneggiatura o del romanzo da cui il film è tratto (Granone, 1999).
Altre modalità per stimolare la formulazione di ipotesi e la capacità di
predizione sono il blocco dell’immagine (pause/ freeze – frame control) e il
riordino delle sequenze (jumbling sequences). Per quest’ultima attività è
necessario disporre di due videoregistratori, in modo da doppiare la scena
originale (Jobst, 1999; Rostagno, 1999).

ti.
Per sviluppare o verificare la comprensione si può ricorrere a tecniche

va
“tradizionali”, quali: griglie, scelte multiple, domande aperte o chiuse, vero

er
o falso, abbinamento (personaggi-luoghi, personaggi-azioni, personaggi-

ris
ruoli), riordino (ridefinire l’ordine in cui compaiono i personaggi e le loro
azioni, con la presenza o meno di un intruso), incastro di parole o frasi (da
tti
iri
mettere nell’ordine giusto secondo l’ordine di comparsa nel filmato), tran-
id

scodificazione, etc.
Attività di analisi a carattere morfosintattico o lessicale richiedono che lo
ti
ut

studente abbia sottomano una trascrizione più o meno completa del brano
.T

in questione. Si possono creare cloze, scombinare l’ordine sintattico di alcu-


re

ne frasi presenti nel testo (che devono essere riordinate dallo studente e
ito

quindi confrontate con l’originale), fornire griglie lessicali (i nomi dei perso-
ed

naggi in una colonna, gli aggettivi che esprimono il loro carattere in un’altra),
proporre attività di seriazione, di inclusione, ecc.
ci

Pure la sociolinguistica, la cinesica e la pragmatica (gli studenti esplicita-


c
na

no la realizzazione linguistica di determinati atti comunicativi) possono esse-


Bo

re oggetto di un percorso guidato di riflessione.


Nella fase di sintesi, dove si punta a un’appropriazione dei contenuti
©

attraverso un reimpiego meno guidato, si può disporre di una vasta gamma


di attività: drammatizzazione, role-play, prosecuzione scritta o orale della
scena, doppiaggio, stesura di una lettera a nome di un personaggio, quiz
(Catizone, Humphris 1999, pp. 44-46), ricerca in Internet di informazioni
aggiuntive sull’argomento affrontato (Diadori 2001), ecc.

274
2. Produzione di materiale audiovisivo
L’insegnante e gli studenti possono vestire i panni del regista e produrre
materiali video.
L’insegnante può videoriprendersi o farsi videoriprendere, per esempio,
allo scopo di osservare il proprio modo di interagire in classe, il proprio lin-
guaggio del corpo, la gestione dei turni di parola, l’eventuale preferenza
accordata ad alcuni studenti rispetto ad altri, etc.: un insieme di osservazio-
ni utili a valutare la qualità del proprio insegnamento mediante un autentico
percorso di Ricerca-Azione.
L’insegnante può inoltre videoriprendere scambi tra nativi in un contesto
spontaneo o semiautentico, e creare scenari incentrati su funzioni comunica-
tive specifiche (salutarsi, dare ordini, etc.), oppure riprendere gli studenti

ti.
durante le attività di gruppo per valutare, tra le altre cose, il ruolo della lea-

va
dership, eventuali progressi a distanza di tempo, le dinamiche di autocorre-

er
zione, etc.

ris
I corsisti possono invece girare sketch di programmi televisivi di vario
tti
genere (pubblicità, telegiornale in chiave ironica, etc.), realizzare interviste a
iri
nativi o montare piccole sequenze di film per le quali si sono accordati sui
id

contenuti e hanno steso una sceneggiatura; si tratta di un’attività estrema-


ti

mente motivante, specie in classi plurilingui: la continua negoziazione dei


ut

significati è un esempio concreto di lingua veicolare.


.T
re
ito

riferimenti bibliografici
ed

ANDRES R. (1996), “Il cinema nell’insegnamento della letteratura italiana agli


stranieri: un esempio di attività didattica”, in Culturiana, VIII, pp. 14 – 15.
ci

BENUCCI A., CINI L., DIADORI P. et al. (1988), Cara Italia. Guida all’uso di
c
na

materiali audiovisivi per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera,


Bo

Siena, Tipografia Senese.


BOSC F., MALANDRA A. (2000), Il video a lezione, Torino, Paravia.
©

CARDONA M. (1998), “Uso didattico di documenti audiovisivi autentici nel-


l’insegnamento delle lingue straniere”, in Scuola e Lingue Moderne, V, pp. 5
– 10.
CASSANDRO M. (1999), “L’audiovisivo nella didattica dell’italiano L2”, in
Micheli P. (cur.), Audiovisivi e didattica dell’italiano L2. Bibliografia ragiona-
ta, Firenze, Aida, pp. 37 – 53.
CATIZONE P., HUMPHRIS C. (1999), Volare 3. Guida per l’insegnante, Roma,
Dilit Edizioni.

275
CONTINANZA M., DIADORI P. (1997), Viaggio nel nuovo cinema italiano,
Atene-Firenze, La Certosa.
DIADORI P. (1992), “Il cinema italiano nell’insegnamento linguistico”, in
Lend, I, pp. 50 – 63.
DIADORI P. (1994), L’italiano televisivo, Roma, Bonacci.
DIADORI P. (1994), “L’ideazione di software in video per la didattica delle lin-
gue moderne”, in Scuola e Lingue Moderne, XXXII, pp. 17 – 23.
DIADORI P. (2001), “L’uso didattico degli audiovisivi”, in Id. (cur.), Insegnare
italiano agli stranieri, Firenze, LeMonnier, pp. 298 – 308.
FABRIS G. (1995), Consumatore e mercato: le nuove regole, Milano, Sperling
e Kupfer.
FRATTER I. (2000), “Video e didattica Itals”, in Dolci R., Celentin P. (cur), La

ti.
formazione di base del docente di italiano per stranieri, Roma, Bonacci.

va
GIRAUDO P. (1991), “Una unità didattica sui testi video”, in Scuola e Lingue

er
Moderne, VII, pp. 221 – 227.

ris
GRANONE R. (1999), “Laboratorio: dalla letteratura al cinema”, in
Humphris, C. (cur.), Uso dei testi letterari e cinematografici. Atti dell’11°
tti
iri
seminario internazionale per insegnanti di lingua, Roma, Dilit, pp. 77 – 78.
id

JOBST H. (1999), “Concretezza delle immagini e fantasia: Miscela esplosiva”,


in Humphris, C. (cur.), Uso dei testi letterari e cinematografici. Atti dell’11°
ti
ut

seminario internazionale per insegnanti di lingua, Roma, Dilit, pp. 129 – 137.
.T

LONERGAN J. (1988), Guida al video nella didattica delle lingue straniere,


re

Bologna, Zanichelli (ed. orig. Video in Language Teaching, Cambridge


ito

University Press, 1984).


ed

MAGGINI M. (1999), “Mezzi audiovisivi e apprendimento linguistico” in


Scuola e Lingue Moderne, XXXII, pp. 3 – 8.
ci

MAGGINI M. (2001), “Le glottotecnologie”, in Diadori P. (cur.), Insegnare ita-


c
na

liano agli stranieri, Firenze, LeMonnier, pp. 75 - 86.


Bo

MELLONI A. (1986), Bada come guardi. Comunicazione televisiva e didattica


delle lingue, Roma, Bulzoni.
©

MORO W. (cur.) (1991), Insegnare TV a scuola, Firenze, La Nuova Italia.


PORCELLI G., DOLCI R. (1999), Multimedialità e insegnamenti linguistici,
Torino, Utet.
ROSTAGNO E. (1999), “Perché un film? Ovvero reperita iuvant (II episo-
dio)”, in Humphris, C. (cur.), Uso dei testi letterari e cinematografici. Atti
dell’11° seminario internazionale per insegnanti di lingua, Roma, Dilit, pp.
111 – 122.
SEGA F. (1991), “L’uso del cinema nell’insegnamento della lingua”, in Scuola
e Lingue moderne, VIII, pp. 246- 252.

276
STEMPLESCKY S., TOMALIN B. (1990), Video in action, Cambridge,
Cambridge University Press.
TRIOLO R. (2003), “Il cinema in prospettiva interculturale: coordinate per
l’analisi di film”, in Luise M. C. (cur.), Italiano lingua seconda: fondamenti e
metodi, III, Perugia, Guerra, pp. 75 – 96.
TRONCARELLI D., BRUNI S., VANNINI E. (1992), L’italiano nel cinema, Siena,
Università per stranieri.
TRONCARELLI D. (1994), “Il film nella didattica della lingua straniera”, in
Scuola e Lingue Moderne, XXXII, pp. 10 – 16.
VANNINI E. (1994), “Il film nella classe di lingua straniera: un esempio di
unità didattica”, in Scuola e Lingue Moderne, XXXII, pp. 24 – 31.
ZONARI A. (1997), “Materiali video autentici nell’insegnamento della lingua

ti.
seconda”, in Scuole e Lingue Moderne, IV, pp. 6 – 10.

va
ZONTA R., PASSERI R. (1990), Psicologia, pubbliche relazioni, propaganda e

er
pubblicità, Cremona, Padus.

ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

277
Capitolo 20
softWare neLLa didattiCa
deLL’itaLiano Ls
Paola Celentin

L’editoria multimediale mette a disposizione dell’insegnante una quantità


crescente di software utilizzabili in ambito didattico. Alcuni di essi nascono
come espressamente dedicati all’apprendimento, altri invece nascono per fini
diversi, ma possono essere validamente utilizzati anche per fini didattici. Il
problema fondamentale, secondo noi, non è tanto la “quantità” e la “rag-
giungibilità” dei software (basta digitare in un qualunque motore di ricerca

ti.
“software per la didattica dell’italiano lingua straniera” per veder comparire

va
centinaia di siti) quanto piuttosto la qualità degli stessi e la loro effettiva atti-

er
tudine didattica.

ris
Per questo motivo, attraverso le pagine seguenti, intendiamo proporre un
tti
percorso di riflessione sui significati e sulle implicazioni dell’uso dei softwa-
iri
re didattici, per giungere a focalizzare l’attenzione sulla valutazione critica
id

degli stessi.
ti
ut
.T

1. L’ergonomia cognitiva
re

L’ergonomia è una “disciplina scientifica che si occupa dei problemi rela-


ito

tivi al lavoro umano in rapporto alla progettazione delle macchine e agli


ed

ambienti di lavoro”1. L’ergonomia cognitiva ha come oggetto di studio più


specifico l’interazione tra il sistema cognitivo umano e gli strumenti per l’e-
ci

laborazione di informazioni. La conoscenza prodotta da questo studio è uti-


c
na

lizzata per supportare la progettazione di strumenti appropriati per svariati


Bo

usi, dal lavoro, all’educazione, al divertimento2. Nel settore dell’informatica


si parla anche di IUM, interazione uomo-macchina (in inglese CHI, compu-
©

ter-human interaction); per quanto riguarda invece i siti Web si usa di solito
il termine “usabilità”3.
È possibile effettuare una classificazione sommaria dei prodotti (di tutti i
prodotti) partendo dal punto di vista ergonomico, tenendo conto che l’ergo-
nomia non è una scienza prescrittiva, ma piuttosto una metodologia per osser-

1
Dizionario della lingua italiana Devoto-Oli (2000).
2
Dallo statuto della Società Europea di Ergonomia Cognitiva – EACE, costituita nel 1987.
3
Anzalone F., Caburlotto F. (2002), Comunicare in rete = l’usabilità, Milano, Lupetti.

278
vare come si comporta l’individuo quando ha a che fare con le tecnologie.
Tracciando un sistema cartesiano i cui due assi rappresentino la gradevo-
lezza e l’utilità, i prodotti si possono collocare come nello schema seguente4:
bello
buon design

sfarzo tecnologico
(cattivo design) ergonomico

inutile utile

ti.
va
dilettantesco accessibile

er
ris
brutto

tti
iri
Introdurre la nozione di ergonomia nell’ambito specifico della didattica
id

significa dare avvio ad una riflessione sulle modalità più adatte per svolgere
in modo efficace una funzione educativa, al fine di:
ti
ut

- creare situazioni idonee all’attività cognitiva di chi apprende;


.T

- evitare dispersione, noia, disinteresse;


re

- fare in modo che il sistema uomo-macchina funzioni5.


ito

Ogni qual volta vengano impiegati software per l’attività didattica sarà
ed

quindi opportuno verificare che la condizione di impiego risponda alle


ci

seguenti caratteristiche:
c
na

- il problema cognitivo da affrontare sia tale da giustificare l’impiego del


Bo

mezzo tecnologico per la sua risoluzione;


- la tecnologia non sia talmente complicata da utilizzare da assorbire la
©

maggior parte dell’energia dell’utente, facendo passare in secondo


piano il problema cognitivo da risolvere;
- l’atteggiamento dell’utente non sia passivo, ma piuttosto che vi sia siner-
gia fra la mente e il media utilizzato;

4
Tratto dall’intervento di Bonaiuti G., “Ergonomia delle interfacce e apprendimento” al seminario di
aggiornamento per insegnanti di ogni ordine e grado di scuola “Didattica in rete - materiali e giochi online,
18 - 19 novembre 2002”, IPRASE del Trentino
5
Calvani M. (2001), Educazione, Comunicazione e nuovi media, Torino, Utet

279
- il contesto didattico circostante sia adeguatamente orientato, evitando
interferenze con la soluzione del problema.

1.1 Teorie dell’apprendimento e tecnologie didattiche


Un approccio scientifico all’utilizzo delle tecnologie in ambito didattico
non può prescindere da un’analisi del materiale stesso alla luce delle indica-
zioni offerte dalle teorie sull’apprendimento. Un diverso approccio metodo-
logico porta chiaramente l’insegnante a porsi domande differenti nei con-
fronti del media che sta usando, e l’evoluzione delle teorie sull’apprendi-
mento ha portato anche a una progressiva trasformazione del ruolo delle tec-
nologie didattiche e degli attori della scena educativa.
La prima teoria che si è confrontata con l’istruzione attraverso macchine

ti.
è stata la teoria neo-comportamentista, che vede l’apprendimento come un

va
processo di interiorizzazione di schemi di comportamento intesi come mec-

er
canismi inconsci di reazione agli stimoli6. È in questo contesto che nasce il

ris
CAI, Computer Assisted Instruction, che vede la macchina come fornitrice
tti
di stimoli a cui lo studente deve rispondere in modo meccanico. In quest’ot-
iri
tica l’interesse specifico dell’insegnante è chiaramente valutare se la forma e
id

il modo in cui lo stimolo viene presentato influiscano sulla risposta che lo


ti

studente fornirà.
ut

Questa forma di utilizzo meccanicistica del computer viene messa in


.T

discussione dal cognitivismo, che mette l’accento sui processi interni e sug-
re

gerisce di tener conto dei fattori cognitivi che favoriscono il raggiungimento


ito

degli obiettivi didattici, e non soltanto gli obiettivi stessi. Ai fini cognitivisti
ed

la “macchina” diventa interessante nella misura in cui permette di articolare


gli input sensoriali al fine di attivare nell’utente dinamiche mentali in grado
c ci

di accrescere la qualità delle sue prestazioni. Il computer quindi, che per-


na

mette di agire lavorando con più codici rispetto al materiale didattico tradi-
Bo

zionale, viene rivalutato in quanto facilitatore di stili di apprendimento dif-


ferenziati.
©

Un particolare aspetto del cognitivismo, quasi un corollario, è il costrutti-


vismo, secondo il quale l’apprendimento è visto come un impegno attivo da
parte dei discenti a costruire la propria conoscenza, piuttosto che come tra-
vaso della conoscenza dalla mente del docente a quella dello studente. In
conseguenza di questo si amplia l’angolo dal quale vengono osservate le tec-

6
Skinner B.F. (1957) [1976], Verbal Behavior, New York, Appleton-Century-Crofts (trad. it. Il
comportamento verbale, Armando, Roma).

280
nologie didattiche, andando ad indagare anche sulla predisposizione degli
ambienti, sulla tipologia di scaffalature (scaffolding) con le quali vengono
modulate le opportunità formative e sull’impatto che questi elementi hanno
sulla motivazione individuale all’apprendimento.

1.2 La progettazione di software didattici


La conoscenza e il rispetto delle teorie dell’apprendimento sono elemen-
ti fondamentali nella progettazione e nella realizzazione di software a fini
didattici. Infatti, in qualsiasi interazione uomo/macchina, ovvero dietro ogni
“interfaccia”7, ci sono sempre due soggetti:
- l’utente, cioè colui che utilizza il software;

ti.
- il progettista, cioè colui che ha pensato e realizzato il software, cercando

va
di anticipare i bisogni e le scelte dell’utente.

er
Molto spesso accade però che ci sia uno “scollamento” fra caratteristiche

ris
del prodotto finito e reale valenza didattica del prodotto stesso. I sussidi glot-
totecnologici, le tecnologie avanzate, oltre che la ricerca tecnologica applica-
tti
iri
ta all’insegnamento, rischiano di diventare delle sezioni autonome e separa-
id

te dalla didattica: mancando infatti il personale docente/ricercatore che


esprima problemi ed esigenze in questo campo, la componente tecnologica
ti
ut

trova un’autogiustificazione nel proprio operato senza poter sottoporre i


.T

risultati ad applicazioni e verifiche pertinenti.


re

Il pericolo è quindi quello di avere dei prodotti “sfavillanti” dal punto di


ito

vista tecnologico ma assolutamente inadatti a favorire l’apprendimento.


ed

Per questo motivo abbiamo ritenuto importante, all’interno di questo


capitolo, cercare di favorire una riflessione sull’uso e sulla valutazione dei
ci

software didattici per l’insegnamento dell’italiano LS, piuttosto che riporta-


c
na

re un elenco di programmi che diventerebbe obsoleto già all’atto della pub-


Bo

blicazione.
©

2. L’utente davanti allo schermo


Cerchiamo ora di analizzare le dinamiche che vengono poste in atto al
momento dell’utilizzo di un software da parte di un utente e le possibili
risposte tecnologiche a questo utilizzo.

7
Nell’ambito informatico l’interfaccia è un meccanismo che permette all’utente di accedere alle
funzioni di uno strumento tecnologico, traducendo il “linguaggio” umano in quello della macchina.

281
2.1 Il processo di fruizione del software
Come avviene la fruizione di un software da parte dell’utente? È impor-
tante osservare questo processo per poter esprimere poi dei giudizi sulla vali-
dità o meno ai fini didattici di un determinato programma. Questa fruizione
avviene normalmente in tre tappe.

1. L’azione
L’utente non è una tabula rasa. Quando si pone davanti al computer ha
una propria serie di riferimenti (culturali, sociali, operativi…) che lo porta-
no ad assumere un certo tipo di atteggiamento. A questo bisogna aggiunge-
re il ruolo giocato dal “contesto d’uso”: l’ambiente di apprendimento (sia

ti.
fisico che informatico) porta l’individuo a costruirsi dei modelli mentali di

va
funzionamento. Attraverso il mapping, ossia l’insieme di “correlazioni logico-

er
spaziali fra quello che l’utente vuol fare e ciò che appare (o è) fattibile”8, si

ris
ha l’azione vera e propria.

2. Il feedback tti
iri
id

Con il termine feedback si intende l’informazione di ritorno che comuni-


ca all’utente l’esito della sua azione. In questo modo l’utente si rende conto
ti
ut

di aver fatto una scelta giusta oppure sbagliata e può proseguire qualora il
.T

feedback sia positivo.


re
ito

3. Situazione imprevista
ed

Quando il feedback è negativo l’utente mette in atto nuove strategie per


porre rimedio al fatto compiuto, cercando di tenere coerente il sistema delle
c ci

proprie conoscenze e credenze.


na
Bo

Quest’analisi dell’interazione uomo-macchina ci porta a riflettere sul


ruolo attivo svolto dall’interfaccia e su come le sue caratteristiche di pro-
©

grammazione possano influire sull’uso soddisfacente del software da parte


dell’utente. È evidente che uno strumento complicato da usare difficilmente
faciliterà l’apprendimento, in quanto l’intero sforzo cognitivo dello studente
sarà rivolto allo strumento anziché al contenuto.

8
Norman D.A. (1997), La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani, Firenze,
Giunti.

282
2.2 I requisiti di una buona interfaccia
Quali caratteristiche deve quindi avere un’interfaccia per agevolare il pro-
cesso di apprendimento? Jakob Nielsen9 individua cinque requisiti fonda-
mentali per poter definire un software usabile:

1. Facilità di apprendimento
I programmi migliori sono quelli che non prevedono alcun “costo” di
apprendimento (zero learning time).

2. Efficienza d’uso
Capacità di adempiere pienamente agli scopi per cui è stato progettato.

ti.
va
3. Facilità di comprensione
La ricerca è orientata verso una progressiva riduzione dei tempi di ricer-

er
ris
ca delle informazioni (per usare il software) in memoria, andando verso un
processo di naturalizzazione.
tti
iri
4. Reversibilità degli errori
id

Riduzione delle possibilità potenziali di errore (nell’uso del software) e


ti
ut

del loro impatto sull’azione, anche attraverso procedure di ripristino della


.T

situazione precedente all’errore (procedure UNDO)


re

5. Soddisfazione nell’uso
ito

Capacità di rendere piacevole e confortevole l’interazione.


ed
ci

Fondamentalmente, una buona interfaccia deve “sparire” con l’uso, cioè


c
na

deve dare all’utente la sensazione di riuscire a portare a termine il proprio


compito primario senza doversi impegnare a controllare gli strumenti con cui
Bo

lo sta eseguendo10.
©

Bisogna però anche rendersi conto che esistono alcuni ostacoli alla pro-
gettazione di interfacce di questo genere. Innanzitutto un’interfaccia sempli-
ficata potrebbe:
- non essere adatta allo scopo che si intende perseguire;
- non essere gradevole;
- non essere intuitiva e naturale per tutti.
9
Nielsen J. (1993), Usability Engineering, San Diego CA, Academic Press.
10
Visciola M. (2000), Usabilità dei siti Web, Milano, Apogeo.

283
2.3 L’evoluzione delle interfacce
La scienza informatica mette oggi a disposizione dell’utente tre tipi di
interfacce11.

Interfacce simboliche
I primi dialoghi uomo-macchina sono avvenuti attraverso un linguaggio
molto prossimo al linguaggio macchina, comprensibile solo per gli “iniziati”
e gli “addetti ai lavori”. Nei primi computer messi a disposizione dalla tec-
nologia era necessario quindi usare dei comandi espliciti, come ad esempio i
comandi da prompt.

ti.
Interfacce atomiche

va
È il primo tipo di interfaccia grafica che è stata messa a disposizione del-

er
l’utente e che ha rivoluzionato l’immagine del computer. Esso infatti è passa-

ris
to da “calcolatore” a “comunicatore”, in quanto è possibile, attraverso la sele-
zione tra opzioni diverse (ad es. i menu) passare da una funzione all’altra.
tti
iri
id
Interfacce continue
ti

Sono un’evoluzione delle interfacce del secondo tipo, caratterizzate da


ut

un’interazione visiva stretta attraverso l’uso di dispositivi di puntamento


.T

(penne ottiche, mouse, joystick, ecc…).


re
ito

L’evoluzione tecnologica delle interfacce ha fatto sì che il computer diven-


ed

tasse accessibile a fasce sempre più ampie di utenza, portatrici ovviamente di


abilità differenziate sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
c ci

Soprattutto però si è verificato un interessante fenomeno di diffusione di una


na

“grammatica di base trasversale” a tutti i software che consente il rapido


Bo

accesso ai nuovi programmi, senza dover ripartire da zero ogni volta.


©

2.4 Ergonomia per la formazione


I progressi informatici rendono quindi disponibile una tecnologia “ami-
chevole” che facilita l’approccio dell’utente con il software. Ci possono però
essere altri fattori che entrano in gioco quando prendiamo in considerazione
l’utilizzo effettivo di questi programmi.
Possono presentarsi delle problematiche tecnologiche, legate alla compati-

11
Levialdi (1999), in rete http://cesare.dsi.uniroma1.it/~ium/welcome.html

284
bilità fra i software e la piattaforma sulla quale devono essere installati, oppu-
re alla tipologia di connessione ad Internet nel caso di software disponibili
online. Accenniamo poi solo di passaggio alle grossissime difficoltà che le
interfacce grafiche presentano per gli studenti non vedenti.
Particolare cura deve essere riservata alla selezione degli elementi grafi-
ci come colori, icone e immagini, valutandone sempre l’uso che ne viene
fatto e la comprensibilità (ricordando anche che gli elementi grafici posso-
no avere connotazioni diverse nelle varie culture e che la distinzione fra gli
elementi non può essere basata solo sul colore in quanto possono esserci
utenti daltonici).
Il linguaggio deve essere scelto in base al contesto culturale a cui il softwa-
re è destinato, sia in termini di complessità delle scelte linguistiche operate,

ti.
sia in termini di connotazioni particolari dal punto di vista semantico.

va
Il software deve sempre promuovere un giusto equilibrio fra attenzione e

er
interazione, in quanto scopo specifico di un software didattico è quello di

ris
raggiungere obiettivi di natura cognitiva che passano attraverso un’interazio-
ne “strumentale” con la macchina. Tale interazione, se strutturata in modo
tti
iri
opportuno, può diventare essa stessa parte dell’obiettivo formativo.
id

È infine fondamentale che vi sia pertinenza dei materiali e delle informa-


zioni, cioè che il contenuto esplicitamente didattico sia aggiornato, vario,
ti
ut

attendibile.
.T
re

3. La valutazione del software didattico


ito

Le considerazioni espresse nei paragrafi precedenti focalizzano l’atten-


ed

zione sulla necessità di valutare i software didattici che possono essere messi
ci

a disposizione dell’insegnante da varie fonti.


c
na

Per compiere questo processo di valutazione è fondamentale che l’inse-


gnante possegga competenze di tipo metodologico-didattico e di tipo infor-
Bo

matico (almeno essenziali). Spesso però l’insegnante non ha a disposizione


©

materialmente il software per poterlo valutare e deve comprare a “scatola


chiusa”, senza sapere se il materiale sarà o meno adatto ai propri studenti,
risponderà alla propria metodologia didattica, offrirà contenuti validi, ecc.
Proprio per cercare di porre rimedio a questo problema numerosi enti,
istituzioni, organizzazioni di vario genere si sono mossi al fine di catalogare
le risorse esistenti ed offrire una valutazione di usabilità didattica delle risor-
se stesse. Una delle iniziative italiane più interessanti in tal senso è il Progetto
per la qualità educativa delle risorse mutlimediali12 promosso dall’INDIRE

285
(Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca
Educativa) che ha come fine ultimo quello di stabilire una sorta di “certifi-
cazione” per i prodotti didattici offerti dalle nuove tecnologie. Le aziende
possono sottoporre i propri software didattici che verranno esaminati, in
maniera incrociata e indipendente, da due esperti e almeno due scuole, che
li utilizzano nelle attività didattiche e li valutano con una scheda compilata
dagli insegnanti ed una dagli alunni.
Siamo però convinti che, al di là delle valutazioni che possono essere
espresse da istituzioni di maggiore o minore prestigio, resta fondamentale
l’approccio critico dell’insegnante e dello studente nei confronti del softwa-
re utilizzato. Riteniamo infatti che l’utilizzo passivo e standardizzato dei
media messi a disposizione del sistema educativo, tanto per l’autoapprendi-

ti.
mento quanto per l’apprendimento in contesti istituzionalizzati, sia contrario

va
alla crescita di una cultura della comunicazione tecnologica che non si basi

er
su facili entusiasmi. Si tratta di sviluppare un atteggiamento cosciente e cri-

ris
tico nei confronti non solo del software specifico ma in generale dell’accesso
all’informazione. Al giorno d’oggi, infatti, ha sempre meno senso parlare di
tti
iri
distinzione tra software in senso stretto e Internet visto che stanno progres-
id

sivamente assumendo la stessa interfaccia di presentazione e di fruizione.


Rimangono però diversi il percorso cognitivo che l’utente svolge per lo sfrut-
ti
ut

tamento delle risorse e le abilità chiamate in causa. Per l’approfondimento di


.T

questo aspetto rimandiamo al contributo di Mezzadri in questo volume.


re

L’analisi e la valutazione del materiale può quindi partire da alcune


ito

domande che sono orientate a provare l’efficacia pratica e didattica del


ed

software e che possono servire da utile stimolo di discussione anche nell’am-


bito della classe, per andare verso una progressiva presa di coscienza del pro-
c ci

prio percorso di apprendimento e una maggiore autonomia nelle proprie


na

scelte cognitive13.
Bo

Proponiamo qui di seguito quindi una possibile “scheda di valutazione”


formulata attraverso domande per osservare gli oggetti multimediali in fun-
©

zione del loro impiego in ambito didattico.

12
http://www.bdp.it/software/index.php dove si possono consultare anche le schede di valutazione
proposte.
13
Celentin P., “Autonomia e supporti informatici e telematici nell’insegnamento dell’italiano a
stranieri”, in Dolci R., Celentin P. (2000), La formazione di base del docente di italiano per stranieri, Roma,
Bonacci.

286
Scientificità Qual è l’argomento scelto per il percorso didattico?
È interessante?
Chi è l’autore? È conosciuto? È affidabile?
Quali sono i materiali utilizzati?
Sono adatti ad affrontare l’argomento proposto?
Le singole unità sono ben costruite?
Hanno autonomia di contenuti?
Come sono organizzate le unità del percorso?
Le relazioni tra queste unità sono significative e
intuitive?
Ergonomia Come viene comunicato l’obiettivo globale del
software?
È comunicato in modo efficace?

ti.
Come è strutturato nel complesso il software?

va
Questa struttura è chiara, facilmente fruibile?

er
Come sono date le singole consegne?

ris
Il linguaggio è chiaro?
I contenuti operativi delle singole consegne sono
significativi? tti
iri
id
Il software è flessibile?
È possibile adattarlo ai diversi ritmi e stili di
ti

apprendimento degli studenti?


ut

Questo tipo di “adattamenti” sono semplici e


.T

immediati?
re

Il software prevede la possibilità di tenere traccia dei


ito

risultati conseguiti da ogni studente?


ed

È possibile riaccedere in seguito partendo dal punto


del percorso già raggiunto?
ci

Contesto L’utente viene coinvolto in maniera attiva?


c
na

È attento durante l’utilizzo?


A cosa è orientata prevalentemente la sua attenzione?
Bo

In quali realtà didattiche è possibile utilizzare questo


©

software?
Per quali destinatari è pensato?
Il software può modificare i ruoli didattici presenti
all’interno della classe? In che modo?

287
riferimenti bibliografici
ANZALONE F., CABURLOTTO F. (2002), Comunicare in rete = l’usabilità,
Milano, Lupetti.
BONAIUTI G., “Ergonomia delle interfacce e apprendimento” al seminario di
aggiornamento per insegnanti di ogni ordine e grado di scuola “Didattica in
rete - materiali e giochi online, 18 - 19 novembre 2002”, IPRASE del
Trentino.
CALVANI A., ROTTA M. (1999), Comunicazione e apprendimento in Internet –
Didattica costruttivistica in rete, Erickson, Trento.
CALVANI M. (2001), Educazione, Comunicazione e nuovi media, Torino, Utet
CELENTIN P., “Autonomia e supporti informatici e telematici nell’insegna-
mento dell’italiano a stranieri”, in Dolci R., Celentin P. (2000), La formazio-

ti.
ne di base del docente di italiano per stranieri, Roma, Bonacci.

va
LEVIALDI (1999), in rete http://cesare.dsi.uniroma1.it/~ium/welcome. html

er
NORMAN (1997), La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti

ris
quotidiani, Firenze, Giunti.
tti
NIELSEN J. (1993), Usability Engineering, San Diego CA, Academic Press.
iri
PORCELLI G., DOLCI R. (1999), Multimedialità e insegnamenti linguistici,
id

Torino, UTET Libreria.


ti

SKINNER B. F. (1957) [1976], Verbal Behavior, New York, Appleton-Century-


ut

Crofts, (trad. it. Il comportamento verbale, Armando, Roma).


.T

VISCIOLA M. (2000), Usabilità dei siti Web, Milano, Apogeo.


re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

288
Capitolo 21
internet Per La didattiCa
deLL’itaLiano Ls
Marco Mezzadri

Questo breve capitolo intende fornire alcuni spunti per una prima rifles-
sione sull’uso didattico di Internet nella didattica dell’italiano LS. Per un
approfondimento delle tematiche si rinvia ai testi citati in bibliografia.

1. introduzione

ti.
L’insegnamento dell’italiano LS ha saputo ricevere e adattare al proprio

va
contesto le maggiori novità tecnologiche nell’ambito della comunicazione:

er
dal registratore audio, al televisore, dalla radio al videoregistratore, dal labo-

ris
ratorio linguistico al computer.

tti
Dalla metà degli anni ’90 le cosiddette nuove tecnologie (NT) hanno fatto
iri
irruzione nella glottodidattica, arricchendone il panorama.
id

Il dibattito sulla natura e sull’uso delle NT in glottodidattica è ricco di


spunti e ha prodotto contributi significativi in ambito italiano a cui riman-
ti
ut

diamo per un approfondimento (Porcelli, Dolci 1999; Monti 2000; Tamponi,


.T

Flamini 2000; Mezzadri 2001a).


re

Per molti insegnanti e autori di materiali, l’approccio alle NT non si


ito

discosta da quanto per anni ha caratterizzato l’uso di strumenti quali il video-


ed

registratore, cioè supporti didattici che contribuiscono a rinnovare, miglio-


rare, arricchire l’insegnamento, rendendolo più vario e avvincente, ma che in
ci

sostanza si adattano e sono subordinati alle logiche della didattica che ven-
c
na

gono dettate da altre componenti del processo educativo: l’aula, il docente,


Bo

il libro di testo, il programma, ecc.


La prospettiva che proponiamo in questa sede è diversa. Ci si concentra
©

in modo particolare su Internet e i suoi impieghi didattici partendo da un


presupposto: le NT permettono al docente di mettere in pratica una serie di
principi glottodidattici che riguardano gli aspetti neurolinguistici, le dinami-
che collaborative per l’apprendimento, la promozione delle strategie di
apprendimento, lo sviluppo dell’autonomia dello studente e della sua cen-
tralità, ecc. Le NT offrono l’opportunità di svecchiare l’insegnamento della
lingua creando un nuovo ambiente di lavoro pur nel solco della tradizione,
cioè innestandosi su un tessuto che è quello dell’approccio comunicativo
nella sua dimensione umanistico-affettiva.

289
È sicuramente una chiave di lettura in parte provocatoria e ambiziosa,
soprattutto se si valuta la realtà didattica di molti corsi di lingua. Tuttavia la
risposta del sistema educativo ai reali bisogni degli studenti e, in ultima ana-
lisi, la sopravvivenza stessa del docente di lingua passa attraverso la trasfor-
mazione del linguaggio così come dell’ambiente in cui si svolgono i processi
di comunicazione.
La distanza tra mondo reale esterno, caratterizzato da una dimensione
multimediale e ipermediale sempre più diffusa, e mondo della scuola, dell’u-
niversità, dei corsi di lingua formali va via via aumentando, con il rischio di
non saper più trovare un canale di comunicazione idoneo che faccia inten-
dere gli studenti e il docente o l’istituzione. Un esempio sotto gli occhi di
tutti è dato dalla considerazione che oggigiorno la grafica colorata e ricca di

ti.
immagini, schemi, diagrammi, ecc., nonché realizzatrice di una dimensione

va
meno sequenziale del testo (la pagina scritta dalla prima all’ultima riga senza

er
interruzioni) è quanto chiedono gli studenti e quanto l’insegnante ritiene

ris
indispensabile per poter mantenere alta la motivazione degli studenti. Così
come la presenza di audio e video a corredo di un testo di lingua è sentita
tti
iri
come imprescindibile.
id

Non si tratta tuttavia di una pura questione estetica1 ma di un tentativo di


risposta al modo di fruire l’informazione che caratterizza il mondo d’oggi.
ti
ut

È esperienza di tanti insegnanti la sensazione di disagio di fronte alla rela-


.T

tiva incapacità e inadeguatezza di molti studenti nell’affrontare compiti che


re

impongono la gestione di testi o attività relativamente lunghi, per i quali pare


ito

che la capacità di concentrazione degli studenti non sia sufficiente. Nel


ed

mondo dell’informazione “in pillole” anche l’intervento glottodidattico subi-


sce una trasformazione e una parcellizzazione pur nel rispetto dei criteri
ci

metodologici adottati.
c
na
Bo

2. Vantaggi e svantaggi dell’uso di internet nell’insegnamento


delle lingue
©

Le nuove tecnologie, Internet soprattutto, hanno invaso e stanno trasfor-


mando il nostro mondo: questo paragrafo affronta i pro e i contro dell’im-
piego di Internet nell’insegnamento dell’italiano LS, i requisiti tecnici neces-
sari, nonché le implicazioni didattiche con particolare riguardo alla defini-
zione dei profili di docente e discente di lingue nell’era dell’informatica.
Molti insegnanti che hanno sperimentato l’uso delle NT in classe posso-

1
Si veda l’articolo “Il libro nella rete: una morte annunciata?” (Mezzadri, 2001b).

290
no dirsi d’accordo con le affermazioni del paragrafo precedente.
Tuttavia, allo stato attuale, la ricerca è ben lontana dal poter affermare che
le NT e in particolare Internet siano di per sé un elemento positivo per la
didattica; è quindi preferibile affrontare il problema mettendo in risalto
tanto gli aspetti positivi quanto quelli negativi.
Come accennato nel paragrafo precedente Internet offre svariate possibi-
lità di sintetizzare e applicare teorie che nella classe di lingua tradizionale
fanno fatica a vincere le resistenze consce e inconsce dell’insegnante, dello
studente e del sistema formativo in generale.
Crediamo che sia questo il maggior vantaggio, che nella lista che segue
viene puntualizzato e arricchito di ulteriori spunti. La lettura di questo para-
grafo rimanda, giocoforza, alla trattazione di argomenti di tipo teorico

ti.
(Mezzadri, 2003).

va
er
I vantaggi offerti da Internet nella didattica dell’italiano LS sono numerosi:

ris
- vi sono innumerevoli materiali autentici disponibili che arricchiscono
tti
gli strumenti didattici a disposizione offrendo una immagine fresca e
iri
aggiornata della civiltà di un paese e della sua lingua;
id

- permette di allargare e aumentare le occasioni di utilizzo della lingua in


ti

situazioni significative, spostando definitivamente l’attenzione primaria


ut

dalla forma al significato;


.T

- permette ricerche virtualmente in qualsiasi ambito;


re
ito

- permette il contatto diretto con parlanti nativi e la cultura da loro


espressa in contesti realmente comunicativi;
ed

- favorisce dinamiche di gruppo di tipo collaborativo;


c ci

- sposta il centro della classe dall’insegnante all’apprendente;


na

- lo studente è visto come individuo e affronta il percorso didattico con i


Bo

propri stili d’apprendimento, non con le modalità imposte dall’inse-


©

gnante;
- chiama lo studente ad applicare abilità cognitive di livello superiore svi-
luppando non solo la competenza BICS, attraverso i contatti interper-
sonali o attività mirate alle abilità comunicative di base, ma anche la
competenza CALP (vedi Serragiotto in questo volume);
- permette di produrre lingua e di procedere con un approccio problem-sol-
ving che porta lo studente a costruire ipotesi e a verificarle nel corso della
comunicazione, proprio come avviene in situazioni comunicative reali;
- impone una dimensione culturale all’apprendimento linguistico;

291
- offre occasioni per espandere il lavoro in classe grazie alle numerose
risorse, alcune delle quali aumentano la motivazione e generano acqui-
sizione: i giochi, ad esempio;
- può favorire la crescita dell’autostima nell’apprendente se utilizzata da
studenti in possesso delle abilità tecniche necessarie e con un livello
d’autonomia in crescita o già buono;
- può rendere più attiva la partecipazione dello studente al dialogo edu-
cativo con l’insegnante, la classe e gli altri soggetti coinvolti;
- contribuisce a migliorare oltre alla lingua anche le capacità di utilizzo
critico delle abilità informatiche;
- incentiva la creatività e la conoscenza di sé e della propria realtà, per-

ti.
mettendo situazioni in cui gli apprendenti devono predisporre presen-

va
tazioni personali, descrizioni del proprio ambiente in modo creativo e

er
comunicativo;

ris
- favorisce i percorsi di apprendimento grazie alla multimedialità e ai
meccanismi cognitivi che mette in funzione;
tti
iri
- offre nuove occasioni di acquisizione naturale a persone con meccani-
id

smi d’apprendimento basati prevalentemente sulla modalità destra del


ti

cervello e con sistemi di rappresentazione prevalentemente visivi e cine-


ut

stesici;
.T

- rivaluta (almeno in questa fase di sviluppo tecnologico) la scrittura e le


re

sottoabilità ad essa connesse;


ito

- favorisce l’aspetto sociale dell’acquisizione della lingua.


ed
ci

Se molti sono i vantaggi numerosi sono anche gli svantaggi spesso esatta-
c
na

mente speculari ai vantaggi:


Bo

- predisporre l’ambiente adatto è costoso, sia per quanto riguarda l’ac-


quisto dei computer e delle strutture necessarie, sia per il costo della
©

comunicazione;
- preparare la lezione con utilizzo di Internet può essere dispendioso per
l’insegnante in termini di tempo e per la classe o lo studente singolo per
l’esecuzione delle attività;
- e quindi è spesso difficile integrare l’uso di Internet in situazioni didat-
tiche che devono fare i conti con il tempo a disposizione, con i pro-
grammi, con le tante limitazioni causate dalla condivisione con altre
classi degli spazi con accesso alle NT;

292
- il rapporto tra il classico manuale e i percorsi in Internet può essere dif-
ficoltoso se i presupposti metodologici non coincidono, ad esempio se
la teoria alla base del manuale promuove più la forma che il significato
e la comunicazione;
- studente e insegnante devono adattarsi a ruoli nuovi che sono a volte in
aperto contrasto con la loro formazione;
- il tipo di studente richiesto per un efficace utilizzo di Internet nella
didattica della lingua deve possedere livelli di autonomia elevati e con-
dividere in maniera cosciente molti presupposti della glottodidattica
moderna;
- lo studente e l’insegnante devono possedere un livello discreto di cono-
scenze tecniche;

ti.
va
- la sovrabbondanza di materiali disponibili genera probabili e frequenti

er
sovraccarichi cognitivi;

ris
- per evitare il sovraccarico cognitivo si richiede un’attenta pianificazione

tti
e un costante monitoraggio da parte dell’insegnante;
iri
- vi sono insidie in Internet difficilmente evitabili (siti di dubbia morale
id

ad esempio) che possono scontrarsi con il sistema di valori dell’appren-


ti

dente e inibire la sua efficienza;


ut

- i problemi derivanti dalla difficoltà di destreggiarsi tra i milioni di pagi-


.T

ne web disponibili può creare demotivazione e alzare i filtri affettivi;


re

- problemi tecnici possono insorgere in qualsiasi momento, costringendo


ito

il docente a improbabili evoluzioni per poter ricondurre la lezione su un


ed

piano didattico corretto;


ci

- la motivazione data dalla novità dell’uso del computer è presto supera-


c
na

ta;
Bo

- la valutazione del percorso è difficile. Per l’insegnante solitamente abi-


tuato a misurare i progressi degli apprendenti attraverso un prodotto,
©

spesso diventa complicato spostare l’attenzione sul processo in partico-


lare quando incombono necessità di verifiche formali;
- non solo la valutazione, ma anche il monitoraggio del lavoro dello stu-
dente risulta difficoltoso. È tecnicamente complicato verificare il tipo di
comunicazione che si genera;
- le pagine web, così ricche di percorsi multimediali, possono confonde-
re anziché aiutare l’apprendente;
- il testo delle pagine web non lineare e sequenziale, ma ipertestuale può

293
favorire alcuni tipi di apprendenti e sfavorirne altri.
Sono tanti i punti elencati sia a favore che a sfavore dell’uso di Internet
nella didattica della lingua. E diversi altri potrebbero essere aggiunti. Ciò che
appare immediatamente evidente è l’importanza di un forte raccordo tra
Internet e la glottodidattica; è questa valenza attribuita a Internet non come
semplice strumento didattico integrativo, ma come nuovo ambiente di lavo-
ro che racchiude in sé una serie di conseguenze sulla didattica, foriera di
numerosi sviluppi nell’insegnamento delle lingue.
Il computer è sì una macchina e quindi di per sé uno strumento, ma la
realtà virtuale di Internet è ben di più, è un ambiente di lavoro, di studio, di
vita, un ambiente per le relazioni, per il tempo libero.
Queste potenzialità possono tradursi in elementi di enorme utilità per la

ti.
didattica delle lingue.

va
er
ris
3. il docente ai tempi di internet
Prima di analizzare il ruolo del docente ai tempi di Internet appare neces-
tti
iri
sario uno sguardo sul concetto di alfabetizzazione.
id

Per quanto riguarda Internet, essere alfabetizzati significa conoscere gli


strumenti necessari per un’efficace navigazione; ma questo non è che il
ti
ut

primo passo, anche perché l’analfabetismo di ritorno è in agguato e non si


.T

tratta solo di conoscenze dimenticate perché scarsamente utilizzate: nel


re

mondo di Internet il pericolo maggiore si nasconde dietro l’acquisizione solo


ito

di strumenti e non, contestualmente, anche di strategie d’apprendimento.


ed

È di fondamentale importanza, infatti, imparare ad apprendere: gli stru-


menti utilizzati in Internet diventano presto obsoleti e le conoscenze devono
ci

essere aggiornate costantemente. Questa capacità di aggiornamento, molto


c
na

spesso di autoaggiornamento, fa parte dei principi di base dell’alfabetizza-


Bo

zione in Internet e si sposa, come è facilmente intuibile, con i concetti di


autonomia del discente già trattati.
©

Altro campo di sicuro interesse per questa rivisitazione del concetto di


alfabetizzazione è costituito dal modo in cui si impara a usare Internet:
abbiamo già avuto occasione di notare quanto sia importante far crescere
negli studenti capacità collaborative che diventano essenziali anche nel
momento stesso dell’apprendimento iniziale.
L’alfabetizzazione tecnica si intreccia, così, ancor più saldamente con le
strategie di apprendimento sociale.
Da un punto di vista tecnico, il docente e il discente dell’era di Internet
hanno bisogno di conoscenze informatiche di base che consentano loro un

294
impiego proficuo delle NT.
Con la solita, indispensabile attenzione agli aspetti didattici, è necessario
tenere in considerazione i filtri affettivi che una scarsa competenza tecnica
può far sorgere, così come le dinamiche di gruppo distorte che possono
crearsi in situazioni in cui, dopo la prima fase di alfabetizzazione comune, i
membri del gruppo non possiedano tutti un livello accettabile di conoscen-
ze tecniche, permettendo così l’affermarsi di squilibri nel gruppo e processi
che portano alla demotivazione e alla deresponsabilizzazione.
È inoltre indispensabile che l’insegnante possa fungere da costante punto
di riferimento, da risorsa tecnica per la classe; non si tratta di auspicare la
sostituzione del docente di lingue con un tecnico informatico, ma solo di
affermare la necessità di prevedere un profilo per l’insegnante dell’era di

ti.
Internet che lo descriva quale utente competente delle NT. Un insegnante

va
dunque che possa far ricorso alle proprie risorse tecniche, ma anche a quel-

er
le metodologiche, nell’osservazione degli studenti, nella determinazione dei

ris
loro bisogni, nella predisposizione delle lezioni e nella gestione della classe,
ma anche un insegnate che possa porre rimedio, attraverso risorse didattiche
tti
iri
predisposte in alternativa al percorso con le NT, agli improvvisi e purtroppo
id

ancora frequenti problemi tecnici.


Da alcuni anni in Europa è stato lanciato un progetto denominato ECDL
ti
ut

(European Computer Driving Licence), una vera e propria patente per l’uso
.T

del computer a cui si rimanda per l’approfondimento delle competenze


re

informatiche indispensabili per un uso autonomo ed efficiente dei più comu-


ito

ni strumenti informatici oggi disponibili2.


ed

Il mutato rapporto con lo studente, spesso più paritario e basato da un


lato su modalità collaborative di apprendimento e dall’altro sull’insostituibi-
ci

le autorevolezza dell’insegnante, ridisegna il ruolo del docente. Non più un


c
na

docente detentore della verità assoluta, ma un esperto che accetta e pro-


Bo

muove la possibilità di crescere insieme agli apprendenti. Non più, dunque,


il docente come modello unico di lingua e di cultura.
©

L’impressione che se ne ricava è che le strategie didattiche necessarie, o


meglio indispensabili per una didattica che faccia uso delle NT in realtà non
sono diverse in gran parte da quelle auspicabili, anzi imprescindibili, per la
moderna classe di lingua in assenza di NT.
Cercando un ordine più o meno cronologico per una immaginaria lezio-
ne l’insegnante è colui che:

2
Si vedano i siti web: www.ecdl.com/, e per la versione italiana www.aicanet.it/ecdl.htm oppure
www.didasca.it.

295
- studia il progetto educativo a cui deve rispondere (il programma, silla-
bo, ecc.);
- analizza i bisogni dei singoli apprendenti;
- verifica i percorsi da mettere in atto per un apprendimento linguistico
e culturale, ma anche in relazione alle strategie d’apprendimento;
- pianifica e organizza la lezione in funzione del processo d’apprendi-
mento;
- gestisce i tempi, i modi e gli scopi del percorso;
- guida gli apprendenti alla scoperta del percorso didattico;
- gestisce l’organizzazione del lavoro di gruppo;
- agisce quale punto di riferimento per le informazioni necessarie a pro-
cedere nella lezione o attività; è una sorta di consulente/consigliere; è

ti.
va
un tutor;

er
- facilita l’esperienza nel tentativo di far raggiungere i necessari obiettivi

ris
didattici, compresi quelli legati all’autonomia del discente;
- monitorizza il percorso, fornendo l’appoggio necessario per giungere
agli obiettivi prefissati; tti
iri
id
- fornisce appoggio psicologico per abbassare l’ansia e i filtri affettivi;
- fornisce supporto tecnico per non lasciare l’apprendente “in balia”
ti
ut

della macchina;
.T

- agisce per mantenere alta la motivazione;


re

- corregge, dove lo ritiene importante, eventuali errori;


ito

- interviene o si defila a seconda delle necessità didattiche;


ed

- verifica e valuta il percorso formativo;


- predispone interventi di recupero;
c ci

- orienta gli apprendenti.


na
Bo

4. siti per l’insegnamento/apprendimento dell’italiano


©

In questo paragrafo vengono indicati siti che possono essere utili nella
didattica dell’italiano a stranieri. La scelta oggigiorno è tra centinaia di pro-
poste e in questa sede vengono suggeriti siti a volte solo a titolo esemplifica-
tivo o che, ed è la nella maggior parte dei casi, permettono ulteriori percorsi
esplorativi tra le risorse del web.

296
4.1 Siti istituzionali
Ministero degli Affari Esteri: www.esteri.it
Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca: www.istruzione.it
4.2 Università per stranieri o con ricca offerta nel campo dell’italiano a
stranieri
Università per Stranieri di Perugia: http://www.unistrapg.it
Università per Stranieri di Siena: http://www.unistrasi.it
Università Ca’ Foscari di Venezia (Progetto Itals e Alias):
http://www.itals.it/
Università di Roma 3: http://w3.uniroma3.it
ICoN, Italian Culture on the Net: http://www.italicon.it

ti.
va
4.3 Liste di discussione per insegnanti

er
Italiano L2 dell’Università per Stranieri di Perugia:

ris
http://www.unistrapg.it/lista/lista.htm
Italian Studies: http://www.jiscmail.ac.uk/lists/italian-studies.html
tti
iri
Discutiamone insieme:
id

http://www.guerra-edizioni.com/it_x_ins/mailing/intro.htm.
Silfi: http://www.uni-duisburg.de/FB3/SILFI/lista/info.htm
ti
ut
.T

4.4 Associazioni, accademie e altre istituzioni


Accademia della Crusca: http://ovisun199.csovi.fi.cnr.it/crusca/
re
ito

Accademia dei Lincei: http://www.lincei.it/


AATI American Association teachers of Italian:
ed

http://www.italianstudies.org/aati/
ci

SILFI (Società Internazionale di Linguistica e Filologia italiana):


c
na

http://www.uni-duisburg.de/FB3/SILFI/
SLI (Società di Linguistica italiana): http://www.csovi.fi.cnr.it/sli/
Bo

ILSA: http://associazioni.comune.firenze.it/ilsa/ass.htm
©

4.5 Biblioteche e centri di documentazione


Elenco delle biblioteche italiane e straniere online:
http://wwwbiblio.polito.it/it/documentazione/biblioit.html
BDP (Biblioteca di Documentazione Pedagogica): www.bdp.it
4.6 Riviste telematiche e portali per l’insegnamento dell’italiano L2 e LS
Alias: http://www.unive.it/progettoalias
Edscuola: http://www.edscuola.it

297
Italianisticaonline: http://www.italianisticaonline.it/
Italica: http://www.italica.rai.it/index.htm
In.it online: http://www.initonline.it
Portale linguistico italiano: http://www.syllabos.com/
4.7 Letteratura e cultura italiana
Autori italiani principali:
http://digilander.libero.it/Kingofnetsite/letteraturaitaliana/index.htm
Canta Italia: http://www.cantaitalia.com/
Dante: http://www.danteonline.it/italiano/home_ita.asp
Enciclopedia Treccani: http://www.treccani.it/
Èulogos: http://www.eulogos.net

ti.
Il Narratore: http://www.ilnarratore.com/

va
Letteratura del ’900:

er
http://digilander.libero.it/letteratura/Novecento/novecento.htm

ris
Liber Liber (Progetto Manuzio): http://www.liberliber.it/home/index.asp
Opera: http://www.operabase.com/
Percorsi storico-letterari: www.sussidiario.it tti
iri
id
Rai Educational: http://www.educational.rai.it/index.htm
Storia della letteratura italiana:
ti
ut

http://www.fausernet.novara.it/fauser/biblio/indexsto.htm
.T

Storia della lingua italiana:


re

http://www.italica.rai.it/principali/lingua/storialingua.htm
ito

Tutto il cinema italiano: http://www.anica.it/


Una guida alla cultura italiana:
ed

http://guide.supereva.it/italiano/letteratura_italiana/
c ci

4.8 Dizionari
na

Dizionari italiani online:


Bo

http://www.yourdictionary.com/languages/romance.html#italian
©

Gatto, Gestione degli Archivi Testuali del Tesoro delle Origini:


http://www.csovi.fi.cnr.it/gframe.htm
Traduttore multilingue: http://www.virgilio.it/servizi/dizionario/
4.9 Corsi di italiano ondine, materiali e risorse per l’insegnamento della
lingua
100 esercizi: http://www.virgilio.it/servizi/dizionario/
Adesso: http://adesso.heinle.com/
Corso di dizione: http://www.attori.com/dizione/

298
Corso di sopravvivenza di lingua italiana:
http://www.sirio.regione.lazio.it/giubilando/index.htm
Cyber Italian: http://www.cyberitalian.com/
Enigmistica: http://www.aenigmatica.it/
Giochi con l’italiano: http://web.arts.ubc.ca/italian/giochi.htm
Il verbo italiano:
http://www.chass.utoronto.ca/~ngargano/corsi/verbi/verbi.html
Io parlo italiano: http://www.educational.rai.it/ioparloitaliano/main.htm
Italia in rete, catalogo di link utili: http://www.guerra-edizioni.com/
Italiano in rete: http://www.hull.ac.uk/langinst/italiano/index.htm
La corrispondenza italiana:
http://www.chass.utoronto.ca/~ngargano/corsi/corrisp/

ti.
corrispondenza. html

va
La ludoteca della BDP: http://www.bdp.it/gioco/index.htm

er
Per creare cruciverba, puzzle, ecc.:

ris
http://puzzlemaker.school.discovery.com/
Programma autore Hot Potatoes in italiano:
tti
iri
http://web.tiscali.it/itisgiorgi/inglese/didattica/hotpot/index.htm
id

Oggi e domani:
http://academic.brooklyn.cuny.edu/modlang/carasi/site/pageone.html
ti
ut

Quattro passi nell’italiano:


.T

http://helios.unive.it/~italslab/quattropassi/uno.htm
re
ito

riferimenti bibliografici
ed

MEZZADRI M. (2001), Internet nella didattica dell’italiano. La frontiera pre-


ci

sente, Perugia, Guerra.


c

MEZZADRI M. (2001), “Il libro nella rete: una morte annunciata?”, in In.it,
na

anno 2 n.3 10/2001.


Bo

MEZZADRI M. (2003), I ferri del mestiere, Perugia, Guerra


©

MONTI S. (2000), Internet per l’apprendimento delle lingue, Torino, UTET


Libreria.
PORCELLI G., DOLCI R. (1999), Multimedialità e insegnamenti linguistici,
Torino, UTET.
TAMPONI A.R., FLAMINI, E. (2000), Lingue straniere e multimedialità, Napoli,
Liguori Editore.

299
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
Parte QUinta

iri
tti
ris
er
La formaZione ContinUa

va
ti.
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
Capitolo 22
L’imPortanZa deLLa
formaZione Permanente
Paola Celentin

Sempre più di frequente termini come “formazione permanente” e “life-


long learning” vengono citati come le sfide che la società dell’informazione e
delle conoscenza nella quale viviamo pone ai cittadini del XXI secolo. Tali
sfide mettono in atto un processo costruttivo quando domanda e offerta for-
mativa si incontrano, generando una sinergia che ha ricadute positive sul-
l’intera società.

ti.
va
1. il concetto di formazione permanente

er
ris
Già in Platone, Aristotele, Seneca, Sant’Agostino, Montaigne è possibile
individuare una filosofia di vita che segnala, fra i bisogni umani prioritari, la
tti
necessità di apprendere lungo tutto l’arco dell’esistenza. Questa “attività”
iri
soddisfa un’esigenza della mente, è fonte di benessere per la persona e,
id

soprattutto, permette di continuare ad esercitare funzioni socialmente utili.


ti

L’apprendimento continuo può essere:


ut
.T

- intenzionale, quando è il soggetto che apprende che cerca le risorse che


re

gli permettono di promuoversi sia in senso culturale e professionale, sia


ito

in senso morale;
ed

- ambientale, quando si ritiene che le esperienze stesse della vita delle


persone siano fonte inesauribile di apprendimento, in quanto ogni
ci

ambiente di convivenza contribuisce a plasmare le persone (in un’otti-


c
na

ca quindi di condizionamento reciproco).


Bo

Secondo Liveright e Haygood (1969), l’educazione degli adulti è il “pro-


cesso grazie al quale persone che non frequentano regolarmente e a tempo
©

pieno la scuola, s’impegnano in maniera continuativa in attività organizzate


con la chiara intenzione sia di migliorare informazioni, conoscenze, com-
prensione, qualificazione, capacità di giudizio e attitudini, sia di individuare
e risolvere problemi personali o comunitari”.
La scuola ha quindi il compito di fornire gli strumenti intellettuali di base,
affinché la persona possa continuare a crescere e a sviluppare le proprie
conoscenze e le proprie capacità. Dopo la scuola, il sistema formativo non è
più rappresentato solo dall’università: si sta in realtà configurando un’offer-

303
ta molteplice, in cui hanno ruoli ben definiti anche i mass media, il mondo
del lavoro, le organizzazioni professionali, le comunità locali…
1.1 La formazione professionale
Un aspetto particolare della formazione permanente è la formazione pro-
fessionale. Con questo termine si fa riferimento alle azioni di vario genere
che hanno il fine di modificare l’operatività, gli atteggiamenti, gli stili pro-
fessionali dei lavoratori.
Questa formazione può essere:
- di adattamento, quando il soggetto apprende ciò che gli è necessario per
eseguire correttamente un compito nuovo oppure la prestazione che gli
viene richiesta;

ti.
- professionale in senso stretto, quando il soggetto viene preparato ad

va
agire per far fronte ad innovazione, già attuate o in corso di attuazione,

er
attraverso specifici programmi di formazione che preparano ad un

ris
insieme complesso di compiti, abilità analitiche e decisionali.
tti
Per molti versi si può dire che la formazione di adattamento è il primo
iri
passo verso la formazione professionale vera e propria.
id
ti

1.2 I principi cui deve rispondere la formazione professionale


ut

La formazione professionale facente parte della formazione continua è


.T

rivolta ad adulti, e l’adulto, così come dimostrano numerosi studi di andra-


re

gogia, apprende solo se vede l’utilità di ciò che sta faticando ad imparare,
ito

cioè se percepisce che “ne vale la pena”, per la sua crescita personale o pro-
ed

fessionale. È fondamentale quindi che l’adulto riesca ad integrare il nuovo


che sta apprendendo con la conoscenza e l’esperienza che già possiede.
c ci

Chi si occupa di organizzare la formazione professionale per gli adulti


na

deve quindi stare ben attento a osservare due principi fondamentali:


Bo

- pragmatismo (l’ambiente di lavoro origina precise richieste di formazio-


©

ne, caratterizzate dall’attualizzazione di quanto già posseduto e dalla


rapida trasferibilità di quanto appreso);
- economia (le misure di formazione devono essere efficaci, cioè cercare
di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo).
1.3 Il patto formativo iniziale per l’educazione degli adulti
Dalle premesse enunciate nei paragrafi precedenti, emerge con chiarezza
che, affinché ci possa essere un rapporto formativo adeguato tra adulto e
agenzia di formazione, è necessario che siano rispettati alcuni presupposti

304
fondamentali, che si possono riassumere come segue:
- considerazione della situazione socio-professionale (esperienza di lavo-
ro precedente, ruolo, status);
- considerazione delle caratteristiche individuali (modalità di apprendi-
mento, motivazioni personali);
- ratificazione dell’offerta formativa da parte dei partecipanti, per creare
un clima di intesa e collaborazione.

1.3 Il caso particolare della formazione degli insegnanti di italiano come LS


Gli insegnanti, sia per la loro formazione specifica, sia per il tipo di lavo-
ro svolto, hanno con la formazione un rapporto particolare, che potremmo

ti.
dire “a specchio”. L’insegnante, infatti, è formatore a sua volta, e di conse-

va
guenza ha conoscenze e strumenti tali da permettergli un confronto meto-

er
dologico diretto con l’offerta formativa.

ris
A differenza quindi degli altri “formandi”, per l’insegnante non è suffi-
ciente il prodotto: conta anche il processo, cioè come si raggiunge lo scopo;
tti
iri
anzi, potremmo dire che il processo entra a far parte del prodotto finale, in
id

quanto, se quello che l’agenzia formativa intende trasmettere è una metodo-


logia didattica, essa trasparirà direttamente dalle proprie azioni educative.
ti
ut

Ma gli insegnanti a cui si rivolge la nostra formazione sono insegnanti di


.T

lingue, e di una lingua particolare come l’italiano, una lingua che attualmen-
re

te sta godendo di parecchio favore all’estero e verso la quale si rivolgono stu-


ito

denti mossi dalle motivazioni più disparate: per lavoro, per affetto, per cul-
ed

tura, per tradizione, per dovere…


I contesti e le condizioni di insegnamento, inoltre, sono i più vari, così
ci

come lo è la provenienza e la formazione degli insegnanti1 che devono


c
na

rispondere a questa domanda variegata.


Bo

La formazione che si rivolge a loro deve quindi cercare di tenere conto il


più possibile di questi fattori, entrando in contatto direttamente con gli inse-
©

gnanti, raccogliendo le loro istanze, promuovendo un atteggiamento propo-


sitivo e costruttivo e la creazione di un rapporto di fiducia reciproca.
L’agenzia formativa deve porsi come naturale interlocutore dei dubbi
metodologici, delle richieste editoriali, delle sfide professionali che ogni inse-
gnante pone.

1
Un’interessante panoramica si può trovare in Balboni P.E., Santipolo M. (cur.) (2003), L’italiano nel
mondo, Roma, Bonacci.

305
2. Le iniziative del Laboratorio itals per la formazione permanente
degli insegnanti di italiano Ls
Il Progetto Itals fu fondato da G. Freddi, negli anni Settanta come inizia-
tiva volta alla ricerca in linguistica contrastiva e in glottodidattica e proseguì
negli anni Ottanta con una imponente ricognizione per conto del CNR sulla
diffusione dell’italiano nel mondo; oggi il Progetto trova forma nuova e si
trasforma in una struttura permanente.
Il Laboratorio Itals è una struttura del Dipartimento di Scienze del
Linguaggio dell’Università Ca’ Foscari che si occupa:
- di linguistica, dalla ricerca sulla “lingua in sé” alla descrizione delle sin-
gole lingue, dalla linguistica diacronica e computazionale allo studio dei
disturbi del linguaggio;

ti.
va
- di glottodidattica, cioè dell’acquisizione e dell’insegnamento delle lin-

er
gue, di pianificazione e politica linguistica e della formazione dei docen-

ris
ti di lingue, con un’attenzione particolare per il contributo delle tecno-
logie a questi processi;
tti
iri
- di ricerca sulla didattica dell’italiano a stranieri;
id

- di formazione dei docenti.


ti

Proprio la natura universitaria del Laboratorio Itals e la sua forte compo-


ut

nente di ricerca fanno sì che le varie iniziative di formazione siano “natural-


.T

mente” inserite in un’ottica di formazione permanente, tese all’integrazione


re

continua dei contenuti e allo sviluppo costante delle metodologie utilizzate e


ito

proposte.
ed

Bisogna inoltre ricordare ch L’Università di Venezia fu la prima, nel 1969,


ci

a istituire in Italia corsi di natura glottodidattica ed ancora oggi ospita una


c

rilevante attività in questo settore, il cui ruolo è stato confermato dal fatto
na

che nella Scuola di Specializzazione post lauream per la formazione dei


Bo

docenti questo Ateneo è stato delegato per la formazione degli insegnanti di


©

lingue di tutta la Regione. Inoltre, esistono da vari lustri due Corsi di


Perfezionamento post lauream, uno di Didattica delle Lingue ed uno di
Glottodidattica con Tecnologie Avanzate, che hanno permesso di creare un
patrimonio di esperienza formativa che possiamo definire unica in Italia.
Itals supera il concetto di formazione come travaso di contenuti e la inten-
de come processo in cui i docenti entrano in una comunità di formazione e
autoformazione permanente.

306
2.1 La formazione degli insegnanti di italiano LS
Per la formazione iniziale e in servizio degli insegnanti e del personale
impegnato in agenzie o scuole che, all’estero, diffondono la lingua e la cul-
tura italiana, il progetto offre:
- Master universitario in didattica e promozione della lingua e cultura ita-
liane a stranieri; il Master contempla due percorsi (italiano LS e italia-
no L2), all’interno del percorso italiano LS è possibile scegliere tra l’in-
dirizzo didattico e l’indirizzo organizzativo; il Master è la combinazione
di modalità formative in rete, in presenza e di tirocinio;2
- Corsi di formazione in didattica dell’italiano L2 online (Progetto Alias);3
- Corsi di formazione iniziale in presenza tenuti in Italia, presso la sede del

ti.
Laboratorio o presso le scuole o gli enti che ne fanno richiesta; i corsi

va
sono di primo e secondo livello;

er
- Corsi di formazione iniziale o in itinere tenuti all’estero, quando si rea-

ris
lizzi un gruppo di dimensioni sufficienti a sostenere i costi del corso;
- Corsi speciali finanziati dal Ministero degli Affari Esteri;tti
iri
id
- Corsi ad hoc per associazioni di insegnanti di italiano, tenuti in Italia o
all’estero.
ti
ut

È inoltre possibile conseguire una Certificazione in didattica dell’italiano


.T

lingua straniera (C.E.D.I.L.S. Venezia) attraverso un esame che può essere


re

sostenuto a Venezia o in sedi convenzionate in Italia o all’estero. L’esame si


ito

effettua due volte l’anno a Venezia oppure alla fine dei corsi di formazione
ed

all’estero.
ci

2.2 La comunità di pratica


c
na

La formazione online proposta dal Laboratorio Itals segue le moderne


Bo

tendenza della formazione a distanza di terza generazione. Per questo moti-


vo il lavoro è incentrato sulla stretta collaborazione fra tutte le figure coin-
©

volte nel processo formativo, corsisti, tutor, coordinatori, figure esperte.


Un accento particolare viene però posto sull’adozione di dinamiche di
apprendimento cooperativo (cooperative learning), che mirano alla creazione
di legami di interdipendenza positiva molto forti fra tutti i partecipanti.
L’esperienza di formazione non è quindi una semplice “assimilazione di con-
tenuti” in un ambiente di apprendimento virtuale, ma una vera e propria

2
Per maggiori informazioni consultare il sito www.unive.it/masteritals
3
Per maggiori informazioni consultare il sito www.unive.it/progettalias

307
esperienza di comunità, fatta attraverso la creazione di “classi”, gruppi di
lavoro, forum di discussione.
Si viene a creare così quella che si definisce una “comunità di pratica”,
cioè un gruppo esteso di professionisti (insegnanti e operatori legati dal pro-
blema della diffusione dell’italiano LS) che condividono interessi, ruoli, pro-
blematiche…pur risiedendo nelle realtà soci-culturali più diversificate.
Questa interazione, impensabile fino all’avvento di Internet e alla sua diffu-
sione nel modo massiccio a cui assistiamo al giorno d’oggi, è arricchente e
fonte di esperienza per tutti i partecipanti, che possono così uscire dall’iso-
lamento in cui molto spesso si erano trovati ad operare in precedenza.
Il sito del Laboratorio Itals offre la possibilità di continuare questa espe-
rienza mettendo a disposizione un ambiente nel quale le persone che hanno

ti.
frequentato il Master Itals possono trovare nuove proposte formative, sotto-

va
porre problemi di rilevanza particolare per l’italiano LS nel mondo, accede-

er
re a materiali e risorse di interesse specifico.

ris
Oltre a questa parte riservata, è prevista però anche un’area ad accesso
libero nella quale potranno intervenire tutti coloro i quali sono interessati
tti
iri
all’italiano LS in generale proponendo argomenti di discussione, mandando
id

in rete richieste specifiche e rispondendo agli stimoli che periodicamente


vengono proposti.
ti
ut
.T

2.3 La B.I.G., Biblioteca Italiana di Glottodidattica


re

Esistono ormai attualmente moltissime pubblicazioni concernenti la glot-


ito

todidattica in generale e l’insegnamento dell’italiano LS. Manca però un’or-


ed

ganizzazione bibliografica ragionata specifica.


La B.I.G. intende essere un servizio a disposizione dell’italianistica mon-
c ci

diale, attraverso la crazione di uno schedario guidato con chiave, composto


na

di abstract dei saggi e dei volumi (schedati per capitoli) riguardanti l’italiano
Bo

LS, in primis, e più in generale le tematiche glottodidattiche così come ven-


gono elaborate e trattate in Italia. La BIG è in fase di attuazione e sarà libe-
©

ramente consultabile in rete a partire dal sito del Laboratorio Itals


(www.itals.it ).

2.4 Le tesi finali del Master Itals


Il percorso formativo del Master Itals si conclude con la redazione di un
lavoro di ricerca e di applicazione inerente la didattica e/o la promozione
dell’italiano LS o L2. Questo lavoro, che preferibilmente viene svolto attra-
verso modalità di gruppo, in linea con la filosofia di base del Master stesso

308
(vedi capitolo 22, paragrafo 2.2), deve essere poi presentato dai redattori ai
propri colleghi di studio in una sessione apposita in presenza a Venezia.
Si tratta di lavori di ricerca molto specifici e dettagliati, che, partendo
dalle formulazioni teoriche che stanno alla base dell’approccio glottodidatti-
co che ispira tutta l’impostazione del Laboratorio Itals, affrontano problemi
particolari e propongono soluzioni innovative e originali.
Queste tesi vengono messe a disposizione dell’italianistica mondiale attra-
verso pubblicazione nel sito del Laboratorio, in quanto siamo convinti che
tali lavori possano essere interessanti per tutti coloro i quali operano nel set-
tore dell’italiano LS/L2.

2.5 La Rivista Itals

ti.
La Rivista Itals nasce nell’ambito del Laboratorio Itals dell’Università Ca’

va
Foscari di Venezia allo scopo di fornire uno strumento di aggiornamento e

er
ricerca per tutti coloro che operano, come docenti, studiosi, ricercatori, ecc.,

ris
nel contesto dell’italiano come lingua straniera in senso lato.
tti
Gli argomenti trattati riguardano sia la didattica che la linguistica dell’i-
iri
taliano, sia da un punto di vista teorico sia da un punto di vista più pratico,
id

purché sempre nella prospettiva della lingua come straniera o seconda.


ti

Tematiche di carattere più generale (legate ad esempio all’insegnamento di


ut

aspetti della cultura e della civiltà italiane) si affiancano ad altre più specifi-
.T

che, come ad esempio la descrizione di alcuni aspetti fonetici o sintattici. Il


re

tutto comunque sempre in un’ottica rigorosamente scientifica.


ito

La doppia versione, on-line e cartacea, da un lato ne garantisce la massi-


ed

ma diffusione possibile, dall’altro tutela gli autori e il prestigio che ancora


solo la carta stampata sembra possedere.
c ci

Scopo della Rivista è dunque quello di colmare un vuoto avvalendosi con-


na

temporaneamente dei contributi di ricercatori di fama e giovani ma validi


Bo

studiosi provenienti da tutto il mondo.


©

309
Capitolo 23
L’offerta formatiVa Per
i doCenti di itaLiano Ls
Maria Angela Rapacciuolo

Oggi l’offerta formativa non si presenta ancora così ricca e articolata


come forse ci si dovrebbe aspettare, dato il crescente interesse per lo studio
della lingua italiana nel mondo e il numero in continuo aumento di docenti
di lingua italiana LS sia in Italia che all’estero. Oltre alle università troviamo
anche enti e scuole private che organizzano corsi di formazione e aggiorna-
mento per l’insegnamento dell’italiano LS, la maggior parte dei quali comun-

ti.
que vengono organizzati in Italia. L’offerta è di vario tipo, da corsi di forma-

va
zione di base, rivolti anche a chi non ha una formazione universitaria ma

er
opera nel campo dell’insegnamento agli stranieri, a corsi di aggiornamento,

ris
di specializzazione post-laurea e Master. Il nostro criterio è stato quello di
tti
partire dai Master e presentare poi gli altri tipi di corsi, descrivendo per
iri
ognuno gli obiettivi, la durata e i destinatari. Si è tralasciato di parlare dei
id

corsi di diploma di laurea in didattica della lingua italiana agli stranieri, nati
ti

negli ultimi anni, decidendo di rivolgerci a chi già insegna o a chi si appresta
ut

ad insegnare. Si è scelto inoltre il criterio di presentare i vari tipi di corsi


.T

indicando le università e gli enti organizzatori in ordine alfabetico.


re

Naturalmente il quadro presentato non ha nessuna pretesa di esaustività,


ito

anche se si è cercato di dare un quadro il più possibile completo, nel limite


ed

del possibile, di ciò che viene offerto nel campo della formazione del docen-
te di italiano LS.
c ci
na

1. master
Bo

Attualmente le università italiane che organizzano corsi di Master sono le


©

seguenti:

1.1 Università di Genova


Il Master in didattica dell’italiano a stranieri è promosso dalla Facoltà di
Lingue e Letterature Straniere dell’università di Genova in collaborazione
con Perform - Centro di formazione Permanente dell’Università di Genova.
Il corso si rivolge a laureati delle Facoltà di Lingue e Letterature stranie-
re, Magistero, Scienze della Formazione o equipollenti, italiani o stranieri.

310
L’obiettivo è quello di fornire ai destinatari competenze metodologiche e
abilità pratico operative nel campo della lingua italiana agli stranieri, bambi-
ni e adulti, in Italia e all’estero.
Il corso ha la durata di un anno accademico in presenza, con 1.500 ore di
attività. Sono previste circa 150 ore di tirocinio didattico, monitorato, pres-
so scuole, enti o istituzioni pubbliche o private, in Italia e all’estero, in classi
di apprendenti adulti o bambini di lingua madre non italiana.
Per conseguire il Master occorre superare le prove di accertamento e il
lavoro finale.
Informazioni al sito: www.perform.unige.it

1.2 Università di Pescara-Chieti e Roma 3

ti.
Il Master di Italianistica è istituito dalle università di Pescara-Chieti e

va
Roma 3. È prevista l’adesione anche di altre università, in particolare di

er
Macerata, Lecce e Catania, che realizzeranno Master in Italianistica configu-

ris
rati secondo gli stessi criteri e lo stesso progetto generale di articolazione
delle attività didattiche.
tti
iri
I candidati italiani devono aver conseguito la laurea o la laurea triennale
id

in Lettere o Filosofia o in Lingue in Italia, i candidati stranieri la laurea o la


ti

laurea triennale nel settore umanistico con esami di italianistica.


ut

Il corso è articolato in 400 ore in presenza distribuite nell’arco di 6 mesi.


.T

La frequenza è obbligatoria. È previsto un periodo di tirocinio presso i corsi


re

di italiano per stranieri nelle sedi di Roma o di Pescara-Chieti.


ito

Il conseguimento del Master avverrà dopo il superamento di una prova


ed

finale.
Informazioni al sito: www.unich.it
c ci
na

1.3 Università di Padova


Bo

Il Master dell’Italiano come L2 dell’Università di Padova è rivolto agli


©

insegnanti di italiano come lingua seconda o come lingua straniera, che


hanno una formazione universitaria.
Oltre a una solida preparazione teorica il Master si propone di fornire
ai partecipanti la conoscenza del vasto programma editoriale in circolazio-
ne, di utilizzare al meglio le tecniche e i materiali che la moderna glottodi-
dattica mette a disposizione e mira inoltre all’elaborazione di nuovo mate-
riale didattico.
Il corso ha la durata di un anno, con circa 300 ore di didattica frontale,
oltre a 30 ore di tirocinio da svolgersi presso il centro linguistico di ateneo o

311
presso scuole o enti convenzionati con l’Università.
Il corso del Master si conclude con la redazione di una tesina e la relazio-
ne del tirocinio svolto.
Informazioni al sito: www.maldura.unipd.it/masters/italianoL2

1.4 Università di Venezia


Per il Master in didattica e promozione della lingua e cultura italiane agli
stranieri dell’università di Venezia - Laboratorio ITALS, si rimanda al para-
grafo 4.

2. Corsi di specializzazione

ti.
I corsi di specializzazione si distinguono dai corsi di formazione e aggior-

va
namento per la loro durata (due anni) e per il fatto che alla fine rilasciano

er
un Diploma.

ris
2.1 Università per Stranieri di Perugia
tti
iri
id
Scuola di specializzazione in didattica dell’italiano come LS
ti

La Scuola di specializzazione, aperta a cittadini italiani e stranieri, si pre-


ut

figge l’obiettivo di specializzare laureati italiani o stranieri nell’insegnamento


.T

della lingua italiana come lingua straniera o seconda e di aggiornare il perso-


re

nale docente italiano o straniero già impegnato nell’insegnamento dell’italia-


ito

no come L2 e in possesso di laurea conseguita presso Facoltà di tipo uma-


ed

nistico o di titolo equipollente conseguito presso università straniere.


La scuola è di durata biennale e prevede anche circa 150 ore di pratica
ci

guidata (Praticum), presso i corsi di Lingua e cultura italiana dell’università


c
na

per stranieri o in scuole della città convenzionate.


Bo

Informazioni al sito: www.unistrapg.it/SCUOLA


©

2.2 Università per Stranieri di Siena

Scuola di specializzazione in didattica dell’italiano come LS


Consiste in nove tipi di corsi articolati nell’arco di due anni. La Scuola è
destinata a laureati che intendano specializzarsi nell’insegnamento della lin-
gua italiana LS. È richiesto il diploma di laurea conseguito presso le Facoltà
di Lettere e filosofia, Lingue e Letterature straniere e Scienze della forma-
zione. Al termine del corso, dopo il superamento di appositi esami e la

312
discussione di una tesi, viene rilasciato il Diploma di specialistica in didatti-
ca dell’italiano come LS.
Informazioni al sito: www.unistrasi.it

3. Corsi di formazione e aggiornamento


I corsi di formazione e aggiornamento presentano una forte varietà sia
nella tipologia che nella struttura che nel tipo di istituzione da cui vengono
organizzati. Oltre alle università, enti e scuole in Italia esistono anche corsi
organizzati in loco nei vari Paesi, o da università locali, o negli Istituti italia-
ni di Cultura e nei comitati della Dante Alighieri all’estero o ancora da asso-
ciazioni private. Qui di seguito si riportano esclusivamente i corsi organizza-

ti.
ti in Italia o all’estero da enti, scuole e università italiane.

va
er
3.1 Università per Stranieri di Perugia

ris
Corso di aggiornamento per insegnanti di italiano all’estero

tti
Il corso, riservato a docenti stranieri e italiani residenti all’estero, offre
iri
l’opportunità di approfondire tematiche dell’area linguistico-didattica e di
id

aggiornamento culturale sull’Italia di oggi. Il corso, organizzato in due ses-


ti

sioni, una invernale e una estiva, viene distribuito nell’arco di tre settimane
ut

(oltre 60 ore complessive). Oltre a lezioni frontali il corso prevede l’osserva-


.T

zione guidata di classi di lingua. Non sono previsti esami finali e alla fine
re

viene rilasciato, su richiesta, un Attestato di frequenza.


ito

Informazioni al sito: www.unistrapg.it


ed

3.2 Università per Stranieri di Siena


c ci

Il centro linguistico dell’università organizza vari tipi di corsi di forma-


na

zione e aggiornamento.
Bo

Corso di perfezionamento in didattica dell’italiano a stranieri


©

Il corso consiste in un ciclo bisettimanale di lezioni per un totale di 60


ore, ed è riservato a insegnanti di italiano a stranieri e ai laureati italiani e
stranieri. Il corso ha soprattutto obiettivi teorico-metodologici, proponendo
pure modelli operativi utilizzabili nell’insegnamento.
Alla fine del corso viene rilasciato un Attestato di Frequenza.
Corsi di formazione e aggiornamento Linguistico, Glottodidattico e Letterario
I corsi mirano all’aggiornamento e alla formazione continua di insegnan-

313
ti operanti all’estero e vengono organizzati in sede e all’estero su richiesta di
Istituzioni pubbliche o private italiane o straniere.
Corsi di Lingua e didattica per Docenti
Vengono svolti presso l’Università nei mesi estivi e sono rivolti ad inse-
gnanti stranieri di italiano che necessitano sia di un approfondimento lingui-
stico che una conoscenza in ambito glottodidattico. Sono previsti due tipi di
corsi: un corso ordinario di 150 ore di lezione di cui almeno 40 di didattica,
e un corso intensivo di 80 ore di lezione, di cui almeno 20 di didattica.
Informazioni al sito: www.unistrasi.it

3.3 Università per Stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria

ti.
Corso di formazione per docenti di italiano L2

va
Il corso, che si sviluppa nell’arco di sei mesi per un totale di 700 ore, oltre

er
all’arricchimento culturale e alla glottodidattica prevede anche l’approfondi-

ris
mento linguistico. Destinatari dei corsi sono coloro che si dedicano all’inse-
tti
gnamento della lingua italiana agli stranieri, che abbiano due anni minimo di
iri
studio di lingua italiana ed eventuali esperienze nel campo della lingua ita-
id

liana agli stranieri.


ti

Il corso si conclude con un esame finale e, a seconda dei risultati, viene


ut

rilasciato un Diploma o un Attestato di frequenza.


.T

Corso di aggiornamento per docenti di italiano agli stranieri


re
ito

L’obiettivo è il perfezionamento delle competenze linguistiche e didatti-


che dei docenti di lingua italiana agli stranieri, oltreché un aggiornamento
ed

culturale. Si articola in quattro settimane per un totale di 60 ore.


c ci

Corso di formazione per docenti di lingua italiana a stranieri


na

Il corso è riservato a giovani laureati italiani.


Bo

Informazioni al sito: www.calnet.it


©

3.4 Università di Venezia


Corsi in presenza
I corsi si compongono di una parte generale e di due indirizzi: Italiano
Lingua Straniera (ITALS) e Italiano Lingua Seconda (ALIAS) L’indirizzo
ITALS è rivolto a chi vuole insegnare l’italiano all’estero e approfondisce le
tematiche relative alla didattica dell’italiano come lingua straniera. Il corso
ITALS, rivolto a laureati, laureandi e docenti in servizio, prevede un’impo-

314
stazione sia teorica che pratica e uno stage presso scuole o corsi dove si inse-
gna l’italiano come lingua straniera.
Il corso è articolato in circa 44 di ore di lezione. Dopo un esame finale
viene rilasciato un Attestato.
Scuola estiva ITALS
Consiste in un corso di formazione per insegnanti di italiano come lingua
straniera e lingua seconda. Viene organizzato a Venezia nel mese di luglio e
dura tre settimane, frequentabile separatamente.
È rivolto a tutti i docenti, ai laureati e agli studenti universitari che abbia-
no superato almeno gli esami del secondo anno.
Corso di formazione intensiva

ti.
Il corso è articolato in 30 ore distribuite nell’arco di una settimana e viene

va
organizzato in Italia e all’estero su richiesta di Istituzioni pubbliche o priva-

er
te che si occupano di insegnamento della lingua italiano a stranieri.

ris
Informazioni al sito: http://www.helios.unive.it/~italslab
tti
iri
3.5 Enti e Associazioni
id

IARD
ti
ut

L’istituto IARD opera in strettissima collaborazione con i ministeri degli


.T

Affari Esteri e della Pubblica Istruzione per la diffusione della lingua e cul-
tura italiana nel mondo. A tale scopo organizza corsi di formazione per inse-
re
ito

gnanti di lingua italiana operanti in scuole di numerosi paesi europei ed


extraeuropei.
ed

L’impianto formativo ha come riferimento il modello didattico IARD di


ci

insegnamento della lingua, costantemente aggiornato e adattato alle diverse


c
na

realtà locali. Il modello è caratterizzato da seminari residenziali di formazio-


ne insegnanti, dalla produzione di materiali in sede di laboratorio e dalla pro-
Bo

duzione editoriale di sussidi didattici. Offre inoltre un servizio multimediale


©

di aggiornamento continuativo a distanza accessibile in Rete.


Informazioni al sito: www.iard.it
Società Dante Alighieri
Nell’ambito del Progetto Lingua Italiana la Società Dante Alighieri orga-
nizza corsi di aggiornamento sia a Roma nella sede centrale che corsi itine-
ranti per insegnanti di italiano LS.
I corsi nella sede centrale di Roma si svolgono nei mesi di febbraio e set-
tembre. I corsi itineranti si svolgono invece presso i comitati Dante Alighieri

315
ed i Centri di Certificazione PLIDA che ne facciano richiesta alla Segreteria
Generale della Sede Centrale.
I corsi offerti sono i seguenti:
Didattica dell’italiano come lingua straniera e certificazione di competenza
della lingua italiana. Il corso, della durata di circa 15 ore, si prefigge di avvia-
re un processo di omologazione della didattica verso un unico modello for-
mativo, che caratterizzi l’insieme dei corsi offerti dalla Società nelle diverse
sedi e di contribuire a creare uno spirito di collaborazione scientifica che
contribuisca ad attivare un programma di produzione di materiali glottodi-
dattici della Società.
Glottodidattica: valutazione del processo di apprendimento dell’italiano
come lingua straniera L’obiettivo è di fornire il quadro teorico per la valuta-

ti.
zione didattica del processo d’apprendimento dell’italiano come lingua stra-

va
niera. La durata del corso è di 15 ore.

er
Storia della lingua e della letteratura italiana;

ris
Canzone italiana;
Informazioni al sito: www.soc-dante-alighieri.it
tti
iri
id
3.6 Scuole o Istituti privati
ti

In Italia esistono anche alcune scuole private che si occupano di forma-


ut

zione docenti. Alcune di queste offrono dei corsi di aggiornamento saltua-


.T

ri, rivolti soprattutto alla formazione professionale dei propri docenti. Qui
re

vengono indicate due scuole che organizzano dei corsi fissi relativi alla for-
ito

mazione.
ed

DILIT International House


ci

La Dilit International House organizza corsi di formazione di base desti-


c
na

nati a chi non ha mai insegnato italiano come lingua straniera o a chi ha inse-
Bo

gnato con una metodologia diversa da quella proposta nei suoi corsi. I corsi
si svolgono esclusivamente nella sede della scuola, durano quattro settimane
©

al termine delle quali, se il partecipante è considerato idoneo, viene rilascia-


to un Diploma Dilit per l’insegnamento dell’italiano LS.
La scuola organizza inoltre dei corsi di aggiornamento su misura per isti-
tuzioni o gruppi di insegnanti con esigenze specifiche riguardo al contenuto,
alla durata o al periodo dell’aggiornamento. L’obiettivo può essere ad esem-
pio l’apprendimento o il perfezionamento della gestione di una particolare
attività didattica.
Informazioni al sito: www.dilit.it

316
Torre di Babele
La scuola Torre di Babele organizza un corso di formazione per inse-
gnanti, rivolto a partecipanti italiani e stranieri che desiderino avvicinarsi alla
professione di insegnanti di italiano agli stranieri.
L’obiettivo è quello di colmare il divario che spesso la formazione univer-
sitaria lascia aperto tra la conoscenza della lingua e cultura italiana e delle
teorie linguistiche da un lato e quello della realtà della classe dall’altro.
Alla fine del corso è possibile sostenere gli esami per la Certificazione
DITALS.
Informazioni al sito: www.torredibabele.com

4. formazione on-line

ti.
va
Sono solamente due, fino a questo momento, gli enti che si occupano

er
della formazione on-line destinata ai docenti di italiano LS.

ris
4.1 Consorzio ICON - Laurea in lingua e cultura italiana per stranieri
tti
iri
Il corso di laurea in Lingua e cultura per stranieri è erogato dal Consorzio
id

ICON, di cui fanno parte 24 università italiane convenzionate. Il corso è


ti

interamente on-line.
ut

Il corso di laurea è articolato in quattro indirizzi:


.T

- didattico-linguistico
re

- storico-culturale
ito

- letterario
ed

- arti-musica-spettacolo.
c ci

Una parte dei contenuti è comune a tutti i curricula e una parte è spe-
na

cifica.
Bo

Il corso, articolato in 3 anni e diviso per semestri, può essere seguito in


autoapprendimento. In questo caso si utilizzano solo i materiali didattici e si
©

rinuncia all’assistenza di un tutor. Esiste inoltre la possibilità di non iscriver-


si all’intero corso di laurea ma di seguire solo singole classi virtuali in base ai
propri interessi. L’iscrizione al corso di laurea è riservata ai cittadini stranie-
ri o italiani residenti all’estero.
Informazioni al sito: www.italicon.it

4.2 Università di Venezia


Master in Didattica e Promozione della lingua e cultura italiane a stranie-

317
ri – Master Itals
Il Master ITALS nasce in seno al dipartimento di Scienze del Linguaggio
dell’Università di Venezia, ed è rivolto a laureati. L’obiettivo del Master è
quello di preparare personale con un profilo professionale specifico per l’in-
segnamento e la promozione della lingua e cultura italiane a stranieri, in
Italia e all’estero.
Il Master consiste nella combinazione di tre modalità formative: in rete,
in presenza e tirocinio.
Lo studio avviene sotto la guida di un tutor e in autoapprendimento per
alcuni moduli. Il piano di studi prevede quattro quadrimestri e termina con
la redazione di una tesi. Il Master è articolato in due percorsi, italiano L2 e
italiano LS. Quest’ultimo percorso nel terzo quadrimestre si articola in due

ti.
differenti indirizzi a scelta del corsista, l’indirizzo didattico e l’indirizzo orga-

va
nizzativo e promozionale. Il conseguimento del Master avviene dopo la pre-

er
sentazione di una tesi finale e la realizzazione di uno stage presso struttura

ris
convenzionate.
Informazioni al sito: www.itals.it
tti
iri
Corso di formazione annuale all’estero
id

Il corso consiste in circa 150 di ore di lavoro con una combinazione di


ti

formazione glottodidattica di base on-line e settimana in presenza articolata


ut
.T

in 30 ore.
re

Corso di formazione e monitoraggio per bambini all’estero


ito

Consiste in un corso di 150 ore distribuite nell’arco di un anno scolastico


ed

che prevede una proposta per il mondo e una variante per l’Europa. Si trat-
ta di una combinazione di studio on-line con tutoraggio e forum, un semina-
c ci

rio di 30 ore in presenza ed eventuali incontri con referenti locali.


na

Informazioni al sito: www.itals.it


Bo

Progetto ALIAS
©

Il progetto ALIAS, nato in collaborazione con il ministero della Pubblica


Istruzione per la ricerca e l’aggiornamento dei docenti che hanno allievi stra-
nieri offre corsi in presenza e a distanza.
Informazioni al sito: www.unive.it/progettoalias

5. Certificazioni
Le Certificazioni qui presentate sono esclusivamente quelle relative alla
certificazione di una competenza didattica.

318
5.1 Certificazione CEDILS
Il CEDILS è una certificazione della competenza in didattica dell’italiano
lingua straniera o lingua seconda, rilasciata dal Laboratorio ITALS
dell’Università di Venezia.
Possono sostenere l’esame sia cittadini italiani e stranieri con formazione
universitaria che docenti non laureati purché in possesso dei requisiti richie-
sti. È possibile frequentare un corso di formazione glottodidattica di 20 ore,
sia nelle sedi convenzionate in Italia che all’estero, propedeutico all’esame. Il
corso viene tenuto da formatori del Laboratorio ITALS dell’Università di
Venezia. Dopo il superamento delle prove d’esame viene rilasciato un atte-
stato di Certificazione CEDILS. L’esame si effettua due volte l’anno in Italia
(marzo e settembre) o all’estero alla fine dei corsi di formazione.

ti.
Informazioni al sito: www.itals.it

va
er
5.2 Certificazione DITALS

ris
La certificazione DITALS, certificazione di competenza in didattica
tti
dell’Italiano a stranieri, è un titolo rilasciato dall’Università per Stranieri di
iri
id
Siena che valuta la preparazione teorico-pratica nel campo dell’insegnamen-
to a stranieri.
ti
ut

Agli esami per la Certificazione Ditals possono partecipare anche non lau-
.T

reati purché in possesso dei requisiti richiesti. Per sostenere l’esame è obbli-
gatorio aver seguito un corso di formazione glottodidattica per almeno 30
re

ore. L’esame DITALS può essere sostenuto sia presso l’Università per stra-
ito

nieri di Siena nelle due sessioni annuali (luglio e dicembre) sia in Italia che
ed

all’estero, presso istituzioni italiane e straniere convenzionate.


ci

Informazioni al sito: www.unistrasi.it


c
na
Bo

6. Corsi di formazione e aggiornamento organizzati in loco


In alcuni Paesi vengono anche organizzati dei corsi di formazione e
©

aggiornamento da enti e istituzioni locali. Non è certo facile fare una pano-
ramica di questi corsi, sia per motivi di spazio che per difficoltà a reperire le
informazioni. Si consiglia pertanto di rivolgersi ai comitati della Dante
Alighieri, agli Istituti italiani di cultura e alle università locali, anche perché
ogni Paese ha una sua particolare realtà.
Qui di seguito daremo solo alcune informazioni sugli Istituti italiani di
cultura che organizzano propri corsi.

319
6.1 Istituto Italiano di Cultura di Atene
L’Istituto di Atene organizza corsi di Glottodidattica, Storia della lingua
e Linguistica per insegnanti di italiano come lingua straniera. I corsi sono
quadrimestrali. Alla fine del corso viene rilasciato un Attestato di frequenza.
Informazioni al sito: www.iic.gr
6.2 Istituto Italiano di Cultura di Londra
L’Istituto organizza corsi di aggiornamento professionale rivolto a inse-
gnanti stranieri o bilingui.
Informazioni al sito: www.italcultr.org.uk
6.3 Istituto Italiano di Cultura di Malta

ti.
va
L’Istituto di Malta organizza attualmente un corso di aggiornamento per
gli insegnanti di italiano nelle scuole maltesi in collaborazione con il mini-

er
stero dell’Educazione maltese.

ris
Informazioni al sito: www.iicmalta.org
tti
iri
id
riferimenti bibliografici
UNIVERSITÀ
ti
ut

Università di Genova: www.perform.unige.it


.T

Università di Pescara-Chieti e Roma 3: www.unich.it


re

Università di Padova: www.maldura.unipd.it/masters/italianoL2


ito

Università per Stranieri di Perugia: www.unistrapg.it/SCUOLA


ed

www.unistrapg.it
Università per Stranieri di Siena : www.unistrasi.it
ci

Università per Stranieri Dante Alighieri di Reggio Calabria: www.calnet.it


c
na

Università di Venezia: www.itals.it


Bo

www.unive.it/progettoalias
©

ISTITUTI
IARD: www.iard.it
Società Dante Alighieri: www.soc-dante-alighieri.it
DILIT International House: www.dilit.it
Torre di Babele: www.torredibabele.com
Consorzio ICON: www.italicon.it
Istituto Italiano di Cultura di Atene: www.iic.gr
Istituto Italiano di Cultura di Londra: www.italcultr.org.uk
Istituto Italiano di Cultura di Malta: www.iicmalta.org

320
ALTRI SITI INTERESSANTI DA CONSULTARE:
www.educational.rai.it/corsiformazione/intercultura
www.porta-oriente.com/italian_course_for_teachers_htm
www.tuttoeuropa.it/aggiornamento.htm
www.dantealighieri.com/indexa.htm
www.scuoladantealighieri.it/corsoagg.htm
www.suggestopediaitalia.it/pag04.htm
www.apuliadomus.com
www.koinecenter.com/code/courses4.html
www.xoom.virgilio.it/eduadu/italianoseconda.htm
www.hal9000/cisi.torino.it/wf/FACOLTA/Lingue-e-L/RICERCA/
FORMAZIONE/TEDESCO/socrates.htm

ti.
www.web.tiscali.it/controra/

va
www.warwick.ac.uk/fac/arts/Italian/Frontpage.shtml.htm

er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

321
Capitolo 24
L’offerta editoriaLe Per
i doCenti di itaLiano Ls
Mara Salvalaggio

L’aggiornamento continuo e la formazione permanente si esplicitano sia


come partecipazione ad iniziative e attività di formazione e riqualificazione
offerte da Istituzioni, Enti e Università, sia come autoformazione. Questa
assume anzi un ruolo fondamentale nel percorso, e processo, formativo in
quanto consente di “autogestire il proprio apprendimento” e si configura
come “motore di sviluppo di metaapprendimento, primo obiettivo di una

ti.
più matura formazione formale, che, a sua volta, diviene formazione conti-

va
nua, cioè esigenza complessa di flessibilità cognitiva e mobilità professiona-

er
le” (v. F. Batini, A. Fontana, “Verso le comunità di apprendimento” in

ris
Rivista dell’Istruzione, n.2/2000, Maggioli Ed., Rimini).
tti
Partendo da tale presupposto, in questo capitolo si cercherà di offrire una
iri
panoramica delle principali risorse editoriali attualmente disponibili per l’au-
id

toformazione del docente di italiano LS. La produzione di testi specialistici


ti

per l’insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua straniera, sep-


ut

pure quantitativamente non ancora ai livelli di altre lingue, è qualitativamen-


.T

te significativa e si avvale di apporti, prospettive e ricerche che contribuisco-


re

no a creare un quadro molto articolato e ricco.


ito

Va sottolineato il fatto che si tratta di un settore in continuo e rapido svi-


ed

luppo, perciò le indicazioni fornite non potranno avere carattere esaustivo, ma


potranno costituire un punto di riferimento da cui partire per ulteriori ricer-
c ci

che e approfondimenti. In particolare si prenderanno in considerazione le col-


na

lane, i testi e le riviste specialistiche pubblicati dalle maggiori case editrici che
Bo

operano nell’ambito dell’insegnamento della lingua italiana a stranieri.


©

1. Le Collane
In questa sezione vengono presentate le collane che trattano prevalente-
mente tematiche inerenti alla glottodidattica dell’italiano come LS, distinta
da quella dell’italiano come L2, rivolte cioè all’insegnamento dell’italiano a
stranieri in Italia. Sono state citate le opere che le comprendono entrambe,
ma si sono tralasciate quelle che afferiscono unicamente alla didattica dell’i-
taliano come lingua seconda, che esula dall’intento di questa opera.

322
Per motivi di chiarezza si è deciso di presentare le varie collane suddivise
per singola casa editrice, cominciando dall’editore del presente volume.

1.1 I Libri dell’Arco (Bonacci editore, Roma)


È una collana scientifica di glottodidattica, nata in collaborazione con
l’Università per Stranieri di Siena, progettata e diretta da P.E. Balboni. Essa
affronta in maniera sistematica questioni teoriche e pratiche concernenti l’in-
segnamento della lingua italiana a stranieri.
Il volume che apre la collana, Didattica dell’italiano a stranieri (1994)
dello stesso P.E. Balboni, rappresenta la prima opera sistematica e completa
relativa alla metodologia didattica dell’italiano per stranieri, ove la distinzio-
ne tra lingua straniera e seconda diviene oggetto specifico di riflessione e

ti.
approfondimento. Il testo comprende una parte teorica, dedicata alla defini-

va
zione di un approccio formativo-comunicativo e una parte operativa, dedi-

er
cata ai metodi e alle tecniche didattiche, nonché una sezione dedicata a temi

ris
specifici quali l’insegnamento della letteratura e delle microlingue, i proble-
tti
mi dell’insegnamento da parte di docenti di madrelingua e l’insegnamento
iri
agli adulti.
id

Sono stati finora pubblicati altri cinque volumi:


ti

L’italiano televisivo (1994) di P. Diadori, nel quale si analizzano aspetti


ut

linguistici, extralinguistici e glottodidattici della comunicazione televisiva.


.T

Oltre alle parti teoriche, anche questo testo presenta un’ampia sezione ope-
re

rativa, dedicata all’uso del video nella classe di lingua, ed offre vari spunti
ito

sulla valutazione e la didattizzazione di filmati e programmi televisivi in rela-


ed

zione alle tecniche per lo sviluppo delle abilità linguistiche e alla progetta-
zione dell’unità didattica.
c ci

Test d’ingresso di italiano per stranieri (1995) di P. Micheli, che fornisce sia
na

coordinate concettuali per la riflessione e la costruzione di test, sia esempli-


Bo

ficazioni nelle quali si possono cogliere suggerimenti per la valutazione.


La grammatica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri (1995) di A.
©

Benucci, che propone una riflessione teorica sulla natura della grammatica e
sulla configurazione del sistema grammaticale in continuo mutamento, sulla
base di ricerche recenti di storia della lingua italiana e di sociolinguistica.
Una parte è dedicata all’analisi di alcuni testi di grammatica comunemente
utilizzati nell’insegnamento dell’italiano a stranieri.
Curricolo di italiano per stranieri (1995) di AA.VV., nel quale si possono
trovare le liste dei materiali linguistici e culturali nonché delle abilità cogniti-
ve e linguistiche da includere ai vari livelli dell’insegnamento dell’italiano LS.

323
Il testo comprende anche una guida ragionata alle tecniche di classe finaliz-
zate al raggiungimento delle mete glottodidattiche individuate nel curricolo.
Le varietà dell’italiano (1996) di L. Coveri, A. Benucci, P. Diadori, nel
quale si presenta una panoramica della situazione linguistica italiana con-
temporanea sia dal punto di vista sociolinguistico che da quello della didat-
tica della lingua in Italia e all’estero. Il testo fornisce un’ampia scelta di docu-
menti autentici che possono essere utilizzati in classe come esempi di lingua
reale e spunti per l’approfondimento linguistico.

1.2 Progetto Itals (Bonacci editore, Roma)


Si tratta di una collana di formazione glottodidattica per insegnanti, sorta
in collaborazione con il Progetto Itals dell’università Ca’ Foscari di Venezia

ti.
e diretta da P.E. Balboni. (Per il Progetto Itals vedi capitolo 22)

va
Il primo volume, La formazione di base del docente di italiano per stranie-

er
ri (2000) a cura di R. Dolci e P. Celentin, affronta gli aspetti fondamentali per

ris
una corretta didattica dell’italiano a stranieri, fornendo sia basi teoriche che
tti
soluzioni operative a chi sta iniziando un percorso formativo in qualità di
iri
docente di italiano come lingua straniera o seconda.
id

Il secondo volume, L’italiano nel mondo - Mete e metodi dell’insegnamen-


ti

to dell’italiano nel mondo. Un’indagine qualitativa (2003), a cura di P. E.


ut

Balboni e M. Santipolo cerca di tracciare una “foto (metodologica) di grup-


.T

po” attraverso un’indagine mondiale in cui si è cercato di vedere cosa effet-


re

tivamente succede nelle aule di italiano, tramite la voce di più di 300 inse-
ito

gnanti. I dati, raccolti ed elaborati dall’équipe veneziana offrono un panora-


ed

ma non esaustivo ma significativo della sfaccettata realtà dell’insegnamento


dell’italiano nel mondo.
c ci

Il presente volume costituisce la seconda edizione riveduta e aggiornata


na

della prima pubblicazione della serie.


Bo

1.3 Biblioteca Italiana di Glottodidattica (Guerra Edizioni, Perugia)


©

Diretta da Anthony Mollica, è una collana scientifica, che si rivolge ad


insegnanti e studiosi della disciplina. Il primo volume, Educazione bilingue,
(1999) curato da P.E. Balboni, presenta una raccolta di saggi di autori diver-
si che affrontano il tema dell’educazione bilingue attraverso ottiche diverse.
Si possono trovare inoltre analisi critiche di situazioni bilingui in Europa e la
descrizione delle premesse teoriche, dei metodi operativi e dei risultati del
progetto realizzato nelle valli ladine del Trentino.
Ad oggi sono stati pubblicati altri tre volumi:

324
Dizionario di Glottodidattica (1999) di P.E. Balboni, uno strumento che
intende contribuire a creare una piattaforma terminologica condivisa dai
glottodidatti italiani e comune ai docenti di lingue in Italia e di italiano all’e-
stero.
Internet nella didattica dell’italiano: la frontiera presente (2001) di M.
Mezzadri, un testo che si propone due obiettivi: da un lato, fornire spiega-
zioni e strumenti pratici per l’utilizzo di Internet e delle nuove tecnologie
nell’insegnamento/apprendimento dell’italiano come lingua straniera, e dal-
l’altro, dimostrare che le nuove tecnologie possono migliorare la qualità del-
l’insegnamento/apprendimento in quanto consentono di mettere in pratica
una serie di presupposti glottodidattici fondamentali che sono il risultato
della ricerca degli ultimi decenni.

ti.
Lingue straniere nella scuola dell’infanzia (2002) a cura di P.E. Balboni,

va
C.M. Coonan e F. Ricci Garotti, nel quale si presentano il progetto, i percorsi

er
e i risultati di una sperimentazione effettuata in alcune scuole materne del

ris
Trentino relativa alle lingue inglese e tedesco. Le indicazioni emerse, le rifles-
sioni sull’organizzazione della scuola ospitante anche una lingua straniera e i
tti
iri
materiali usati per la valutazione dei risultati sono tuttavia applicabili a tutte
id

le lingue, in Italia come all’estero.


ti
ut

1.4 Collana S.L.C.A. (Guerra Edizioni, Perugia)


.T

Si tratta di una collana che presenta contributi di emeriti studiosi, tra i


re

quali M. Danesi, R. Titone e M. Pichiassi, rivolti a offrire soluzioni teorico-


ito

pratiche ai problemi della formazione psicopedagogica degli insegnanti di


ed

lingue in Italia e all’estero.


Tra i dieci volumi finora pubblicati, si segnala, per la specificità della
c ci

didattica della lingua italiana, il testo di A. Ponzio, Enunciazione e testo let-


na

terario nell’insegnamento dell’italiano come LS. Partendo dal presupposto


Bo

che l’insegnamento linguistico deve basarsi sull’enunciazione, che le enun-


ciazioni vivono nei testi e questi nei rapporti intertestuali, l’autore sostiene
©

che lo studio della lingua è inseparabile dallo studio della letteratura, in


quanto essa consente di evidenziare pienamente lo spessore dialogico delle
enunciazioni e dei testi.

1.5 Collana C.I.L.A. - Centro Italiano di Linguistica Applicata (Guerra


Edizioni, Perugia)
La collana comprende I Quaderni di Metodologia, a cura di Katerin
Katerinov. Si tratta di raccolte di articoli apparsi su riviste specializzate, o

325
inediti, che mirano a diffondere le idee più avanzate nella glottodidattica
moderna.
Fanno parte della stessa collezione quaderni che si occupano in modo
specifico dell’insegnamento dell’italiano a stranieri, tra cui:
I sussidi didattici per l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera
(problematica generale) e L’analisi contrastiva e l’analisi degli errori di lingua
applicata all’insegnamento dell’italiano a stranieri (con dati statistici e sugge-
rimenti per la correzione e la prevenzione degli errori) di K. Katerinov;
Sulle devianze ortografiche di 124 studenti germanofoni ed ispanofoni nei
dettati in italiano (con riflessioni sul piano teorico e suggerimenti pratici) di
M.C. Boriosi;
L’unità didattica. Problemi di programmazione dell’insegnamento dell’ita-

ti.
liano a stranieri (analisi teorica seguita da modelli operativi) di K. Katerinov

va
e M.C. Boriosi;

er
Attività del Centro Italiano di Linguistica Applicata nel campo della diffu-

ris
sione della lingua e cultura italiana all’estero (descrizione dettagliata delle
attività a livello di ricerca, di consulenza scientifica e metodologica, di for-
tti
iri
mazione e aggiornamento degli insegnanti di italiano come lingua straniera)
id

di M.C. Boriosi.
La stessa casa editrice pubblica anche la Collana Ricerca Scientifica e gli
ti
ut

Annali dell’Università per Stranieri di Perugia.


.T
re

1.6 Italiano Lingua Straniera - Formazione degli Insegnanti (Paravia


ito

Scriptorium, Torino)
ed

Questa collana, diretta da Carla Marello dell’Università degli Studi di


Torino e progettata per la formazione di chi insegna all’estero, è rivolta a
c ci

docenti di italiano come lingua straniera che lavorano in prevalenza con


na

adulti e adolescenti non principianti. È patrocinata dall’Unione Europea


Bo

all’interno del Progetto LINGUA – SOCRATES Formazione e aggiornamen-


to autonomo e a distanza di insegnanti di italiano lingua straniera. Benché
©

segua il modello originario della Collana tedesca Fernstudienproject zur Fort-


und Weiterbildung im Bereich Germanistik und Deutsch als Fremdsprache,
edita da Langenscheidt e sia parallela alla concomitante serie spagnola
Programas de autoformación y perfeccionamento del profesorado de español
como lengua extranjera, edita da Edelsa, essa si propone come una “via ita-
liana” all’insegnamento dell’italiano LS e fa riferimento ad opere sensibili
alle peculiarità della lingua e della cultura italiana.
Ad oggi sono stati pubblicati 12 volumi che affrontano temi fondamenta-

326
li per il curriculum formativo e di aggiornamento dei docenti, dove i risulta-
ti della ricerca glottodidattica si affiancano a suggerimenti operativi:
Routine e rituali nella comunicazione (1999) di Andrea De Benedetti e
Fabia Gatti;
Abilità di lettura (1999) di Alessandra Agati;
Abilità d’ascolto (1999) di Nicoletta Beretta e Fabia Gatti:
Insegnare e imparare la grammatica (1999) di Cecilia Andorno e Paola
Ribotta;
Insegnare e imparare la fonetica (2000) di Lidia Costamagna;
Abilità di scrittura (2000) di Marina Beltramo;
Analisi e correzione degli errori (2000) di Anna Cattana e Maria Teresa
Nesci;

ti.
Insegnare e imparare il lessico (2000) di Alessandra Corda e Carla Marello;

va
Abilità del parlato (2001) di Claudia Brighetti e Fernanda Minuz;

er
Il computer a lezione (2001) di Franca Bosc, M. Conoscenti, A. Corda e

ris
A. Malandra;
Il video a lezione (2001) di Franca Bosc e Aura Malandra;
tti
iri
Leggere testi letterari (2001) di Erminia Ardissino e Sabrina Stroppa.
id

1.7 Collana di Glottodidattica – Nuova Serie (UTET Libreria, Torino)


ti
ut

Si tratta di una prestigiosa collana scientifica, diretta da Giovanni Freddi,


.T

che raccoglie volumi e saggi di alcuni dei più illustri studiosi della disciplina.
re

Si rivolge a docenti di tutte le lingue straniere, ma non mancano i riferimen-


ito

ti precisi all’italiano. La collezione comprende:


ed

Glottodidattica. Fondamenti, metodi e tecniche (1994) di Giovanni Freddi,


nel quale si descrivono, in modo chiaro ed organico, i fondamenti, i princi-
c ci

pi, i modelli e le tecniche tanto della teoria quanto della prassi glottodidatti-
na

ca. Vi sono illustrati e approfonditi temi fondamentali come i processi di


Bo

apprendimento della lingua, l’insegnamento per unità didattiche, la valuta-


zione e il language testing, la strumentazione glottotecnologica.
©

Tecniche didattiche per l’educazione linguistica: italiano, lingue straniere,


lingue classiche (1998) di Paolo E. Balboni, che si propone come anello di
congiunzione tra la dimensione della ricerca e quella della prassi operativa.
Nella prima parte, dopo avere precisato che cosa si intenda per tecnica didat-
tica, metodo e approccio e quale sia il ruolo delle tecniche in classe, l’autore
fornisce una mappa delle abilità linguistiche, primarie ed integrate, e ne
approfondisce lo sviluppo. Nella seconda parte del volume vengono invece
illustrate le tecniche per l’acquisizione delle regole e per la riflessione sulla

327
lingua. La terza parte prende come punto di riferimento l’unità didattica, ed
analizza l’applicazione delle diverse tecniche nelle varie fasi. A conclusione
del volume viene presentato un repertorio ragionato di tutte le tecniche glot-
todidattiche in ordine alfabetico.
Multimedialità e insegnamenti linguistici: modelli informatici per la scuola
(1999) di G. Porcelli e R. Dolci, nel quale si affrontano i problemi legati all’av-
vento dell’era tecnologica. Sono suggerite soluzioni e linee di intervento sul-
l’utilizzo delle moderne tecnologie glottodidattiche in una tipologia di inse-
gnamento che evidenzia come la macchina sia comunque al servizio dell’uomo.
Educazione linguistica e valutazione (1999) di G. Porcelli, che presenta
una visione organica del quadro concettuale entro cui si situa il discorso sul
controllo dell’apprendimento della lingua straniera. Vengono definiti i fon-

ti.
damenti della docimologia applicata all’educazione linguistica e descritte le

va
diverse tecniche di accertamento del profitto in lingua straniera, dal livello

er
fonologico a quello pragmatico.

ris
Psicolinguistica, sociolinguistica, glottodidattica. La formazione di base del-
l’insegnante di lingue e di lettere (1999) di G. Freddi, un testo che suggerisce
tti
iri
prospettive, condizioni, strumenti e tecniche per un moderno insegnamento
id

delle lingue straniere.


Le microlingue scientifico-professionali (2000) di Paolo E. Balboni, nel
ti
ut

quale l’autore analizza e riflette sulla natura e l’insegnamento delle microlin-


.T

gue, che ricoprono un ruolo fondamentale e strategico nella società com-


re

plessa e fortemente orientata alla specializzazione di oggi. Partendo da una


ito

precisa riflessione terminologica ed epistemologica sul concetto di microlin-


ed

gua, l’autore affronta, in prospettiva glottodidattica, l’aspetto professionale,


cioè il ruolo delle microlingue in ambito scolastico ed aziendale e la defini-
ci

zione del ruolo del docente e la sua formazione in un’ottica educativa oltre
c
na

che strumentale.
Bo

Europa, lingue e istruzione primaria (2002) a cura di P. Mazzotta, una rac-


colta di saggi che, avvalendosi di una solida tradizione di studi glottodidatti-
©

ci, linguistici e psicolinguistici sul plurilinguismo, analizzano le indicazioni di


principio fornite dal Common European Framework of Reference for
Languages e le traducono in termini operativi e in proposte didattiche e cur-
ricolari concrete.

1.8 Le Lingue di Babele (UTET Libreria, Torino)


È una nuova collana scientifica, diretta da Paolo E. Balboni, che propone i
più recenti sviluppi della ricerca glottodidattica. Fanno parte della collezione:

328
Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse (2002) di
Paolo E. Balboni. L’autore presenta una attenta e stimolante riflessione sul
ruolo e sugli sviluppi della moderna glottodidattica, chiamata a difendere e
a salvaguardare il plurilinguismo, visto come autentico patrimonio culturale
e, forse, unica difesa contro la globalizzazione delle menti e l’omologazione
culturale. Dopo una prima parte dedicata agli elementi comuni a tutti i tipi
di didattica, nella seconda vengono affrontate le problematiche legate alle
differenti condizioni di insegnamento delle lingue straniere. Un’ultima sezio-
ne è riservata alle particolari difficoltà che si incontrano nell’insegnamento
dell’italiano agli stranieri e delle lingue “seconde” nelle regioni bilingui.
La glottodidattica e la lingua veicolare (2001) di Carmel M. Coonan. Il
volume analizza e approfondisce, in modo rigoroso e sistematico, i moltepli-

ti.
ci aspetti metodologici e didattici connessi con l’uso della lingua straniera

va
come veicolo di altri insegnamenti. Nella convinzione che in tal modo si

er
migliori la qualità dell’apprendimento della stessa lingua straniera, si forni-

ris
scono suggerimenti per organizzare il lavoro in classe.
Il ruolo della memoria nell’apprendimento delle lingue straniere (2001) di
tti
iri
Mario Cardona. Il testo si propone come una riflessione articolata sui pro-
id

cessi della memoria nell’apprendimento delle lingue. Rifacendosi agli esiti


della ricerca neurobiologica e di quelli della psicologia sperimentale, l’auto-
ti
ut

re presenta la memoria come un insieme di sistemi che interagiscono tra loro


.T

e individua le migliori strategie di apprendimento e di organizzazione del


re

materiale.
ito

Dalla sociolinguistica alla glottodidattica (2002) di Matteo Santipolo. Il


ed

libro offre un’introduzione accurata e completa dei principi teorici che stan-
no alla base dell’analisi sociolinguistica, facendo seguire alle definizioni
ci

diversi esempi riguardanti varie realtà linguistiche. Di ogni problema affron-


c
na

tato sono illustrate le implicazioni glottodidattiche.


Bo

1.9 M.I.L.I.A.: materiali per l’aggiornamento a distanza degli insegnanti di


©

italiano all’estero (I.R.R.S.A.E. Liguria, Genova)


Si tratta di una serie di pubblicazioni, a cura di M.C. Castellani, destina-
te agli insegnanti di lingua e cultura italiana all’estero. I sedici volumi finora
pubblicati affrontano le principali tematiche connesse con la didattica dell’i-
taliano come lingua straniera. Tra i titoli:
Corsi italiani all’estero e formula di lingua e cultura di E. Dematte;
Esperienze multiculturali in classe di M.C. Castellani;
L’italiano e le altre lingue: aspetti linguistici e culturali di M. Vedovelli;

329
La lingua italiana d’uso: il lessico del parlato di M. Vedovelli;
La lingua italiana d’uso: morfosintassi del parlato e dello scritto di M.
Vedovelli;
La comunicazione didattica di D. Bertocchi, A. Fioroni e R. Sidoli
Percorsi differenziati per l’apprendimento linguistico di D. Bertocchi, A.
Fioroni e R. Sidoli;
Intercultura e testi popolari di C. Lavinio;
Programmazione e valutazione di C. Lavinio
Valutazione e certificazione delle competenze in italiano L2 di M.C.
Peccianti.

1.10 Materiali linguistici (Franco Angeli, Milano)

ti.
È una collana scientifica a cura del Dipartimento di Linguistica

va
dell’Università di Pavia. Fanno parte del comitato di redazione, tra gli altri,

er
Anna Giacalone Ramat, Maria Pavesi, Michele Prandi, Paolo Ramat e

ris
Massimo Vedovelli. Tra le pubblicazioni si segnala per l’argomento specifi-
co della didattica dell’italiano come L2/LS:
tti
iri
Italiano Lingua Seconda. Modelli e strategie per l’insegnamento (1991) a
id

cura di M. Mazzoleni e M. Pavesi.


ti

Si tratta di una raccolta di saggi, tra i quali si possono ricordare


ut

“Descrizioni dell’italiano e applicazioni alla didattica”, di Tullio De Mauro,


.T

“L’ italiano in Europa: contenuti linguistici per l’insegnamento dell’italiano


re

come L2”, di Vincenzo Lo Cascio, “L’insegnamento dell’italiano in Australia:


ito

prospettive per gli anni novanta”, di Camilla Bettoni e Bruno Di Biase. Il


ed

volume presenta un bilancio sulla situazione dell’italiano L2/LS e passa poi


ad esaminare il problema della certificazione nazionale e le diverse tipologie
c ci

di utenti, aggiungendo alcune proposte didattiche.


na
Bo

2. Volumi fuori collana


©

Altre pubblicazioni che trattano prevalentemente di didattica dell’italia-


no come lingua straniera sono:
L’insegnamento della lingua-cultura italiana all’estero: aspetti glottodidattici
(1987) a cura di Giovanni Freddi, Firenze, Le Monnier. Il libro presenta i
risultati di un’indagine volta a monitorare la situazione dell’insegnamento
dell’italiano all’estero, con particolare riferimento ad Europa, America,
Africa e, parzialmente, Asia ed Oceania. Fornisce anche un’analisi di mate-
riali e metodologie didattiche, nonché una proposta di intervento per una

330
politica di sostegno della lingua e della cultura italiana all’estero.
La diffusione dell’italiano nel mondo e le vie dell’emigrazione: problemi
istituzionali e sociolinguistici: La prospettiva degli anni ’90 (1996) di T. De
Mauro e M. Vedovelli, Roma, Centro Studi Emigrazione. Si tratta di un sag-
gio sulla diffusione dell’italiano nel mondo e sui problemi istituzionali, socio-
linguistici e didattici relativi alla questione dell’emigrazione, con una consi-
stente appendice documentaria e legislativa.
A Handbook for Teachers of Italian di A. Mollica, Éditions Soleil,
Welland, Canada. È un manuale di didattica dell’italiano che si rivolge pre-
valentemente a docenti non di madrelingua anglofoni. Le numerose propo-
ste didattiche evidenziano l’importanza dell’aspetto ludico nell’insegnamen-
to/apprendimento della lingua.

ti.
Parole comuni culture diverse (1999) di P.E. Balboni, Venezia, Marsilio. Il

va
libro è un manuale di formazione che affronta il tema della comunicazione

er
interculturale, argomento di fondamentale rilevanza nell’epoca della globa-

ris
lizzazione. Attraverso l’analisi di situazioni precise vengono spiegati i criteri
e i modelli della competenza comunicativa.
tti
iri
Lettori e oltre... confine (2000) di M. Catricalà, Firenze, AIDA. Si tratta di
id

un saggio nel quale vengono analizzate e discusse le questioni che le nuove


esigenze comunicative impongono ai docenti di lingua italiana all’estero.
ti
ut

L’insegnamento dell’italiano alle soglie del 2000 (2000) a cura di G. Panico


.T

e L.G. Sbrocchi, Ottawa, Legas. Il volume raccoglie una serie di saggi di illu-
re

stri studiosi che, da un lato, offrono utili contributi teorico-pratici per la


ito

riflessione sulla metodologia glottodidattica (tra gli altri i saggi di Balboni,


ed

Danesi, Titone, Mollica) e, dall’altro, contribuiscono a tracciare i nuovi con-


fini storico-culturali entro i quali collocare oggi l’insegnamento dell’italiano
ci

(Balboni, Oli, De Mauro, Loriggio).


c
na

Insegnare italiano a stranieri (2001) a cura di Pierangela Diadori, Firenze,


Bo

Le Monnier. Realizzato in collaborazione con l’Università per Stranieri di


Siena, il volume è costituito da una raccolta di saggi di diversi autori, A.
©

Benucci, M. Catricalà, A. Mollica, M. Maggini, P. Peruzzi, S. Semplici e altri.


Si suddivide in due parti: la prima, di taglio teorico, affronta le tematiche
fondamentali della didattica delle lingue moderne e gli aspetti più peculiari
dell’insegnamento dell’italiano a stranieri sulla base degli sviluppi delle
nuove realtà sociolinguistiche e socioculturali; la seconda, più operativa, pro-
pone l’analisi dei materiali didattici, l’organizzazione dell’unità didattica e la
costruzione di materiali e prove di verifica, con il supporto di numerosi
esempi pratici.

331
Lector in media. La didattica dell’italiano e la comunicazione (2001) di M.
Catricalà ed E. Vannini, Firenze, AIDA. Il volume si rivolge a lettori ed inse-
gnanti di lingua italiana all’estero. La prima parte analizza l’utilizzo delle
nuove tecnologie nella progettazione dei curricula e illustra le opportunità di
esposizione alla lingua grazie alla rete e alle antenne satellitari. La seconda
parte offre esperienze concrete di didattica dell’italiano in classi di studenti
stranieri mediante l’uso di materiali specifici per lo sviluppo della compe-
tenza comunicativa. La terza parte, infine, delinea il ruolo del lettore come
mediatore tra la sua lingua e cultura di origine e quella del paese straniero in
cui opera, sottolineando l’importanza della conoscenza della politica cultu-
rale italiana all’estero.
Guida all’italiano per stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo

ti.
per le lingue (2002) di M. Vedovelli, Roma, Carocci. Il volume, rivolto a

va
docenti italiani e stranieri, mette a confronto le linee contemporanee della

er
diffusione dell’italiano L2/LS con il Quadro comune europeo di riferimento

ris
ed esamina problemi di didattica dell’italiano quali la programmazione degli
interventi formativi e la valutazione e certificazione delle competenze.
tti
iri
L’italiano degli stranieri. Storia, attualità e prospettive (2002) di M.
id

Vedovelli, Roma, Carocci. Il volume descrive le principali linee storiche della


lingua italiana diffusa fra gli stranieri. Le radici dell’attuale condizione del-
ti
ut

l’italiano come lingua straniera sono ricercate nel passato, con una ricostru-
.T

zione di momenti dell’insegnamento dell’ italiano a stranieri che si trasforma


re

in proposta interpretativa della complessa situazione attuale.


ito
ed

3. Le riviste
ci

Fermo restando che molte riviste di italianistica, di linguistica e di didat-


c
na

tica delle lingue in generale presentano contributi utili alla formazione del
docente di italiano LS, in questo paragrafo si è scelto di focalizzare l’atten-
Bo

zione sulle riviste che trattano specificamente tematiche e problematiche


©

relative all’insegnamento e apprendimento dell’italiano come lingua stranie-


ra o che si rivolgono prevalentemente agli insegnanti di italiano all’estero.
Si tratta spesso di pubblicazioni recenti, diffuse anche in versione on line.
Le principali sono:
In.IT, periodico quadrimestrale di servizio per gli insegnanti di italiano
come lingua straniera, edito da Guerra Edizioni, Perugia. Come si legge nel-
l’editoriale del Direttore P. Balboni, la rivista è nata per soddisfare tre bisogni:
diffondere informazioni tra gli italianisti che operano all’estero, contribuire a

332
migliorare la qualità dell’insegnamento dell’italiano e contribuire a creare una
linea comune di intenti, di condivisione della politica di diffusione dell’italia-
no. Vi si possono trovare informazioni dettagliate sulle attività delle
Università per Stranieri di Siena e Perugia, del Progetto Itals dell’Università
di Venezia, della Dante Alighieri e su altre iniziative a favore dell’italianistica.
Una parte consistente è dedicata a saggi di glottodidattica, compresa una
rubrica per la presentazione delle novità in fatto di libri e materiali didattici.
La versione on line è consultabile al sito www.initonline.it.
SeLM (Scuola e Lingue Moderne), periodico mensile edito da Garzanti
Scuola. È la rivista dell’Organo Ufficiale dell’Anils, Associazione Nazionale
Insegnanti Lingue Straniere, diretta da Paolo E. Balboni. Ogni numero
riporta Saggi, Esperienze e Strumenti relativi alle lingue straniere. Esiste un

ti.
gruppo della segreteria didattico-culturale specifico per l’Italiano come lin-

va
gua straniera.

er
Culturiana, trimestrale di linguistica, glottodidattica e informazione cul-

ris
turale per insegnanti d’italiano come lingua seconda o straniera, edito dalle
Edizioni Linguistic Club, Frascati. Alcuni dei materiali sono disponibili on
tti
iri
line al sito www.linguanet.it/bookshop/culturiana.
id

LEND (Lingua e Nuova Didattica), Petrini, quadrimestrale di linguistica


applicata e di glottodidattica, a cura del LEND, associazione culturale con lo
ti
ut

scopo di condurre un lavoro di ricerca, sperimentazione, formazione e


.T

aggiornamento degli insegnanti di lingua straniera, e recentemente di italia-


re

no L2/LS. Alcuni articoli sono reperibili on line al sito www.lend.it.


ito

ITALIANO & OLTRE, La Nuova Italia, Firenze, rivista bimestrale diret-


ed

ta da Raffaele Simone e strettamente legata al Gruppo di intervento e studio


nel campo dell’educazione linguistica (Giscel).
ci

Proponendosi come obiettivo l’apprendimento e la diffusione della lingua


c
na

italiana, si occupa soprattutto dei problemi della lingua, vista anche nella sua
Bo

complessità di fenomeno sociale, culturale, psicologico e nella sua dimensio-


ne internazionale.
©

R.I.L.A. (Rassegna Italiana di Linguistica Applicata), quadrimestrale di


linguistica a cura del Centro Italiano di Linguistica Applicata, diretta da G.
Porcelli, Roma, Bulzoni Editore. Si occupa in maniera specifica delle impli-
cazioni psicologiche e cognitive dello sviluppo del linguaggio ed affronta le
tematiche connesse con la glottodidattica, il bilinguismo e l’insegnamento
delle lingue straniere, ivi compreso l’italiano.
Educazione Permanente, bimestrale del Centro di Ricerca,
Sperimentazione e Documentazione di educazione permanente

333
dell’Università per Stranieri di Siena, edito da Protagon Editori Toscani. La
rivista propone testimonianze sullo stato della ricerca nell’ambito della for-
mazione, sia formale sia informale, dal punto di vista dell’educazione per-
manente a livello nazionale e internazionale. Si rivolge prevalentemente a
ricercatori, operatori sociali e docenti che lavorano con gli adulti, ivi com-
presi gli insegnanti dei corsi di lingua italiana per stranieri.
Bollettino Dilit, pubblicazione semestrale di glottodidattica, a distribu-
zione gratuita, a cura del Dipartimento Formazione insegnanti e ricerca della
DILIT International House, Roma. Si rivolge a tutti gli insegnanti di lingua
straniera e, in modo particolare, ai docenti di italiano L2/LS per i quali il
Dipartimento organizza corsi di formazione basati sull’approccio comunica-
tivo. Il Dipartimento organizza anche Seminari internazionali e Convegni di

ti.
cui pubblica poi gli Atti (Ed. DI.L.IT). Tutti gli articoli del Bollettino e alcu-

va
ni dei materiali pubblicati negli Atti dei Seminari internazionali sono dispo-

er
nibili on line al sito www.dilit.it.

ris
Italienisch, la prima rivista scientifica in Germania che si occupa esclusi-
vamente della lingua e della letteratura italiana. È l’organo del Fachverband
tti
iri
Italienisch in Wissenschaft und Unterricht, edita in collaborazione con la
id

Deutsch-Italienische Vereinigung e.V., Frankfurt am Main. Oltre alle rubri-


che per la presentazione di saggi e testi di autori italiani, contiene una sezio-
ti
ut

ne dedicata all’insegnamento dell’italiano, dove si analizzano problemi teori-


.T

ci di metodologia didattica e si avanzano proposte concrete per la didassi


re

quotidiana. Ha periodicità semestrale ed è presente on line al sito http://cul-


ito

turitalia.uibk.ac.at/italienisch/.
ed

L’Italia fra noi, rivista quadrimestrale greca, diretta da Amelia Cepollaro.


In versione cartacea la sua diffusione è limitata alla Grecia, ma è presente
ci

interamente on line al sito www.neticon.net/fra-noi/. Si tratta di una pubbli-


c
na

cazione per la diffusione della lingua e cultura italiana, dove, tra le altre cose,
Bo

si possono trovare articoli riguardanti la metodologia e la didattica dell’ita-


liano LS.
©

334
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
Parte sesta

iri
tti
ris
Le istitUZioni e i Casi

er
va
ti.
©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
Capitolo 25
Le istitUZioni e Le Leggi.
La figUra deLL’insegnante
di itaLiano aLL’estero
Silvana Vassilli

In questo intervento si illustreranno brevemente i canali ufficiali per la


diffusione della lingua italiana all’estero e i principali riferimenti normativi
per chi voglia affrontare la professione di insegnante di italiano come lingua
straniera. L’obiettivo è quello di fornire un primo orientamento nel dedalo

ti.
delle norme e delle opportunità offerte dalle nostre istituzioni.

va
er
1. i canali ufficiali per la diffusione della lingua italiana all’estero

ris
Lo Stato italiano ha affidato al Ministero degli Affari Esteri il compito isti-
tti
tuzionale di promuovere la diffusione della lingua e della cultura italiana
iri
all’estero. Tale azione viene svolta in sinergia e con la cooperazione di varie
id

istituzioni pubbliche - tra cui principalmente il Ministero dell’Istruzione,


ti

dell’Università e della Ricerca, il Ministero dei Beni Culturali e Librari e


ut

varie Università italiane – e di istituzioni private. L’azione dello Stato nei


.T

riguardi delle scuole ed altre istituzioni educative all’estero, demandata al


re

M.A.E., è regolata dal D.Lvo. 16 aprile 1994 n. 297, Testo Unico delle dispo-
ito

sizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni


ed

ordine e grado e si esplica per mezzo degli agenti diplomatici e consolari.


ci

All’interno del Ministero degli Esteri le strutture a cui viene affidata la


c

promozione della lingua e cultura italiana all’estero fanno capo alla


na

Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale


Bo

(DGPCC) e alla Direzione Generale per gli Italiani all’estero e per le


Politiche Migratorie (DGIT).
©

1.1 Gli interventi della Direzione Generale per la Promozione e la


Cooperazione Culturale
Negli ultimi anni per la DGPCC la promozione della lingua italiana ha
costituito un’area di intervento prioritario, per la quale ha destinato il 58%
delle risorse finanziarie. Queste risorse consistono in larga misura nel man-
tenimento in servizio degli insegnanti di ruolo che operano nelle seguenti
istituzioni scolastiche:

337
- scuole italiane statali, il cui ordinamento è conforme all’ordinamento
scolastico italiano, sono istituite dallo Stato che ne finanzia le spese e
assicura l’invio di personale direttivo, docente e non docente;
- scuole private legalmente riconosciute, istituite da enti, associazioni o
comitati privati; rilasciano titoli di studio validi in Italia a seguito del
riconoscimento legale da parte del MAE di concerto col MIUR. Al loro
funzionamento il Ministero degli Esteri contribuisce con l’invio di alcu-
ne unità di personale di ruolo e con contributi finanziari;
- scuole private con presa d’atto (non legalmente riconosciute), fondate
da enti privati. Poiché i titoli di studio non hanno valore legale gli alun-
ni devono sostenere gli esami finali davanti a una commissione ministe-
riale. Il MAE contribuisce al loro funzionamento attraverso l’invio di

ti.
contributi finanziari.

va
Un contingente di insegnanti di ruolo viene inoltre destinato ai Corsi di lin-

er
ris
gua e cultura italiana per i connazionali all’estero (Legge 153), di cui si parlerà
più diffusamente nel paragrafo 1.2, e nelle seguenti istituzioni, divenute nel-
tti
l’ultimo decennio il settore di punta della politica scolastica all’estero:
iri
id
- Sezioni italiane nelle Scuole Europee che vanno dal livello materno a
quello superiore e sono presenti nei Paesi della Comunità;
ti
ut

- Sezioni italiane di scuole straniere a carattere internazionale, presenti


.T

soprattutto in Francia;
re

- Sezioni bilingui presso scuole straniere presenti soprattutto nell’Europa


ito

Centro-Orientale.
ed

In tutti e tre i tipi di “Sezioni” si insegnano oltre all’italiano anche alcu-


ne discipline in lingua e secondo programmi italiani. I titoli finali sono
c ci

riconosciuti per la prosecuzione degli studi nelle università tramite


na

accordi tra i paesi interessati.


Bo

- Università straniere (lettori di italiano).


©

Il Ministero degli Affari Esteri provvede dunque al funzionamento di vari


tipi di istituzioni scolastiche, inviando personale di ruolo o concedendo con-
tributi a enti e associazioni private per l’assunzione in loco di personale non
di ruolo.
In dettaglio, si ricorda che la DGPCC effettua i seguenti tipi di inter-
vento:
- contributi annuali a favore dell’insegnamento dell’italiano alle Scuole
locali, nelle quali vengono integrati corsi di lingua italiana, per la crea-
zione e il mantenimento di cattedre, per il sostegno tecnico-finanziario

338
delle cattedre, per l’assunzione di docenti locali a contratto privato, e
per la loro formazione e aggiornamento (D.M. 580 e 581 del 1992);
- contributi annuali a favore dell’insegnamento dell’italiano nelle
Università, per la creazione e il mantenimento delle cattedre di italiano,
per l’assunzione di docenti locali a contratto privato, e per la loro for-
mazione e aggiornamento (D.M. 580 e 581 del 1992);
- assegni per il funzionamento degli Istituti Italiani di Cultura, i quali
negli ultimi anni hanno ripreso in parte a svolgere la funzione che ave-
vano anteriormente alla legge di riforma del 1990, volta principalmente
all’insegnamento della lingua;
- acquisto e fornitura di materiale didattico per l’insegnamento dell’ita-
liano nelle istituzioni scolastiche, nelle università e negli IIC.

ti.
va
Gli insegnanti che non sono nei ruoli dello Stato e che aspirino a inse-

er
gnare all’estero potranno essere assunti direttamente dagli enti del Paese

ris
straniero secondo modalità afferenti le leggi locali. Un elenco di scuole pri-
vate a cui rivolgersi è pubblicato nel sito del Ministero degli Esteri menzio-
nato a fine paragrafo. tti
iri
id
Un’altra opportunità è costituita dalle supplenze all’estero sui posti tem-
poraneamente vacanti di contingente statale, presso scuole statali, private o
ti
ut

straniere, o corsi di lingua e cultura italiana coperti da docenti a tempo inde-


.T

terminato con nomina MAE. A tal fine è necessario essere inseriti nelle rela-
re

tive graduatorie d’Istituto o di Circoscrizione consolare redatte periodica-


ito

mente dai Consolati o dai Dirigenti scolastici. A tale proposito nel sito
www.esteri.it viene emanata una apposita circolare contenente le disposizio-
ed

ni per la presentazione delle domande di supplenza e per la compilazione


ci

delle graduatorie. Le domande d’inserimento nelle graduatorie vanno invia-


c
na

te direttamente alle sedi prescelte ed è consentito presentare la domanda in


non più di due Circoscrizioni consolari.
Bo

Gli Istituti Italiani di Cultura, che in base alla Legge 401 del 1990 hanno
©

acquisito maggiore autonomia amministrativa, finanziaria e gestionale, prov-


vedono direttamente, attraverso contratti di carattere privato, all’assunzione
di docenti da impiegare nei corsi di lingua italiana. L’organizzazione dei corsi
degli Istituti è regolata dagli articoli 13 e 17 del Decreto Ministeriale n. 392
del 1995, il quale si rifà all’articolo 17 della Legge 401/1990.
È utile ricordare inoltre che, ai sensi della Legge 3 agosto 1998 n. 296, gli
Istituti italiani di cultura possono avvalersi, per l’organizzazione di corsi di
lingua italiana, di personale in possesso di laurea in lettere con votazione non
inferiore a 110/110 e che abbia una buona conoscenza di una delle principali

339
lingue straniere. Tale personale è reclutato con contratto a termine della
durata massima di un anno scolastico, rinnovabile per un ulteriore anno.
L’Istituto di cultura effettua il reclutamento attraverso un avviso pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e inviato alle facoltà di let-
tere delle università italiane. Un esempio positivo di utilizzo di tale legge è
offerto dall’Istituto di cultura di Madrid che sta attuando una politica di dif-
fusione della lingua italiana tramite la gestione diretta e il potenziamento dei
corsi di lingua. Tuttavia, dati i limiti temporali imposti dalla legge, che porta
ad una turnazione costante del personale e ad una conseguente mancanza di
continuità didattica, non sono molti gli Istituti che si avvalgono di questa
possibilità.
Si segnala inoltre che i laureati in lettere e lingue straniere possono esse-

ti.
re assunti come lettori di lingua italiana, con un contratto di diritto privato,

va
da Università straniere. Le informazioni relative possono essere richieste

er
direttamente alle università straniere o alle rappresentanze diplomatiche e

ris
consolari.
Per sapere di più:
tti
iri
- sulle norme relative agli Istituti di Cultura, si consiglia la consultazione
id

del sito: http://www.ilsegnalibro.com/normativa/


ti

- sull’azione del MAE in materia di interventi scolastici: www.esteri.it,


ut

cliccare su Politica estera e poi su Promozione culturale e in seguito su


.T

scuole o università;
re

- sulla normativa e le problematiche relative all’insegnamento all’estero è


ito

utile consultare i siti sindacali del comparto scuola (p.es: www.cgilscuo-


ed

la.it , sezione Estero).


c ci

1.2 Gli interventi della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le
na

Politiche Migratorie
Bo

Un ruolo molto importante nella promozione di attività linguistico-cultu-


©

rali a favore delle comunità italiane all’estero è svolto dalla Direzione


Generale per gli Italiani all’Estero e per le Politiche Migratorie.
In attuazione del Decreto legislativo 297 del 1994 che ha recepito la legge
153 del 1971, questa Direzione provvede ai finanziamenti a favore della rete
dei Corsi di lingua e cultura italiana rivolti ai nostri connazionali residenti
all’estero. Per l’attuazione di questi corsi sono impiegati soprattutto docenti
locali non di ruolo assunti da Enti gestori, anche se vi sono assegnati anche
docenti o dirigenti scolastici di ruolo inviati dall’Italia e retribuiti dalla
DGPCC.

340
Nel 2000 la DGIT ha erogato complessivamente 45 miliardi di lire (23
milioni di Euro) in contributi per il funzionamento dei corsi, utilizzati per
l’assunzione dei docenti locali e per la loro formazione.
La legge 153/71, confluita nel D.L. 16 aprile 1994 n.297 Testo Unico delle
disposizioni legislative in materia di istruzione, secondo una ricostruzione fatta
da M. Barni, (2001) in Studio di fattibilità per una ricerca sulle motivazioni e
sulle caratteristiche dei pubblici dei corsi di lingua e cultura italiana all’estero,
realizzato per conto del Ministero degli Affari Esteri, DGIT, Uff.II dal Centro
CILS, MAE, Roma, (p.26-36) prevede all’art. 636 del Testo Unico: l’organizza-
zione all’estero, tra gli altri, dei seguenti tipi di interventi formativi:
a. classi o corsi preparatori aventi lo scopo di agevolare l’inserimento dei
congiunti dei lavoratori italiani nelle scuole dei paesi di immigrazione;

ti.
b. corsi integrativi di lingua e cultura generale italiana per i congiunti di

va
lavoratori italiani che frequentino nei paesi di immigrazione le scuole

er
corrispondenti alle scuole italiane elementare e media;

ris
c. corsi di scuola popolare per lavoratori italiani, non finalizzati al rilascio
di titolo di studio. tti
iri
id
In realtà, una volta applicati ai contesti formativi dei vari Paesi del
mondo, questi interventi hanno assunto forme, strutture e funzioni anche
ti
ut

molto differenziate, che sono però riconducibili alle tre categorizzazioni con-
.T

tenute nei quadri riassuntivi dei dati: corsi integrati, inseriti, extrascolastici.
re

Si definiscono integrati quei corsi che sono appunto pienamente integra-


ito

ti nel sistema scolastico del paese ospite. L’italiano è una delle materie obbli-
gatorie del curriculum e oggetto, come le altre materie, di valutazione finale.
ed

I corsi quindi coincidono con intere classi, e l’italiano, probabilmente per


ci

gran parte degli alunni che compongono la classe, è una lingua straniera.
c
na

Sono inseriti quei corsi che si svolgono sempre all’interno del sistema sco-
lastico, ma nell’orario riservato alle materie facoltative. L’italiano è quindi
Bo

una delle varie materie facoltative che la scuola offre. Pertanto non è ogget-
©

to di valutazione finale: la frequenza o il profitto conseguito non sono con-


tenute nella pagella scolastica dell’alunno.
I corsi extrascolastici sono quelli organizzati al di fuori del sistema scola-
stico, in un’ottica di educazione permanente. Possono quindi essere fre-
quentati anche da adulti.
1.3 La Società Dante Alighieri
Infine, un intervento importante nel campo della diffusione della lingua e
cultura italiana all’estero è costituito dall’attività della Società Dante

341
Alighieri e dei suoi 500 comitati presenti in tutto il mondo. Anche la Dante
Alighieri assume direttamente in loco i docenti da destinare ai proprio corsi
di lingua, seguendo propri criteri di selezione e di formazione iniziale e in iti-
nere. L’attività dei Comitati è supportata dal Ministero degli Esteri attraver-
so un contributo annuale erogato dalla Segreteria Generale.

1.4 Conclusioni
Attualmente nel settore delle istituzioni e iniziative scolastiche sono
impiegate 1.191 unità di personale di ruolo della scuola, utilizzate per il
39,4% nelle Scuole, per il 38,2 % nei Corsi di lingua e cultura italiana, per il
22,4% nei Lettorati presso le università straniere. Negli ultimi anni la rete
delle istituzioni scolastiche è stata parzialmente ristrutturata razionalizzando

ti.
le risorse a disposizione e potenziando il numero dei lettorati a scapito

va
soprattutto del settore dei corsi e delle scuole gestite da enti e comitati pri-

er
vati, ai quali è stato comunque garantito il supporto con l’assegnazione di

ris
contributi per il mantenimento delle attività esistenti.
tti
Le finalità dell’azione svolta dalle istituzioni scolastiche italiane all’estero
iri
rimangono quelle tradizionali di provvedere alla scolarizzazione dei figli dei
id

connazionali temporaneamente residenti all’estero e al mantenimento dell’i-


ti

dentità culturale dei figli degli emigrati anche di seconda e terza generazio-
ut

ne. A queste due finalità prioritarie si affianca l’esigenza di promuovere e


.T

diffondere la lingua e la cultura italiana presso gli utenti stranieri.


re
ito

2. Chi sono gli insegnati di italiano Ls


ed

Attualmente non esiste una mappa completa dei docenti che insegnano
ci

all’estero. I dati certi di cui si è in possesso si riferiscono alla tipologia degli


c
na

insegnanti di ruolo inviati dal MAE. Per le altre tipologie di insegnanti, quel-
Bo

li “locali” di origine italiana o straniera, i dati più recenti sono quelli indica-
ti nell’inchiesta Italiano 2000, Indagine sulle motivazioni e sui pubblici dell’i-
©

taliano diffuso fra stranieri, Roma – Siena 2001, affidata dal MAE
all’Università di Roma La Sapienza e condotta da M. Vedovelli, M.Barni e L.
Miraglia sotto la direzione di T. De Mauro.
Vediamo nel dettaglio le diverse tipologie di insegnanti.

2.1 Insegnanti nei ruoli dello Stato italiano


Inviati dal MAE nelle istituzioni menzionate nel paragrafo 1.1.
Sono docenti provenienti dai ruoli del Ministero dell’Istruzione e hanno

342
(sulla base dell’ultimo Accordo per la destinazione all’estero del 5.7.2001) una
Laurea in Lettere o in Lingue straniere. Devono aver superato il periodo di
straordinariato o di prova nel ruolo di appartenenza e devono conoscere la
lingua straniera richiesta per il Paese di destinazione. La loro permanenza
all’estero è prevista per un periodo limitato di tempo e il MAE, d’intesa col
MIUR, offre loro una breve formazione iniziale in glottodidattica dell’italiano
affidata nell’ultimo decennio di solito alle Università per Stranieri di Siena o
Perugia, o a vari IRRE (ex IRRSAE), o alla Fondazione IARD.
Al MIUR è demandata la successiva formazione in itinere d’intesa con il
MAE.
Le modalità di selezione dei docenti di ruolo da inviare all’estero per inse-
gnare la lingua italiana sono variate nel corso degli ultimi vent’anni. Si è pas-

ti.
sati da esami orali accertanti la cultura generale e la conoscenza delle lingue

va
straniere ad esami molto selettivi (1989-1997) che prevedevano l’espleta-

er
mento di prove scritte e orali miranti a valutare anche la competenza glot-

ris
todidattica del candidato. Attualmente, la destinazione all’estero di tutto il
personale docente è regolato da D.L. 16 aprile ’94, Titolo II, e dall’Accordo
tti
iri
sopra menzionato, sottoscritto il 5.7.2001.
id

Sostanzialmente l’invio all’estero avviene tramite iscrizione alle graduato-


rie permanenti in cui hanno titolo ad essere inseriti coloro che, possedendo
ti
ut

i titoli di studio e culturali richiesti, abbiano superato una prova unica di


.T

accertamento della conoscenza di una o più lingue straniere tra quelle relati-
re

ve alle quattro aree linguistiche: francese, inglese, tedesco e spagnolo. Il


ito

periodo di permanenza all’estero è limitato a cinque anni rinnovabili per non


ed

più di tre periodi intervallati da un periodo di servizio effettivo in territorio


metropolitano di almeno tre anni.
c ci
na

2.2 Insegnanti italiani “non” nei ruoli dello Stato italiano


Bo

Non è stato fatto un monitoraggio capillare di questa categoria vasta e


disomogenea. Si tratta spesso di laureati o diplomati italiani che risiedono
©

all’estero, dove sono arrivati per motivi diversi: perché figli di connazionali
laureati o diplomati all’estero, ovvero perché dopo la laurea o il diploma si
sono trasferiti all’estero per motivi professionali e che offrono attività di inse-
gnamento a diversi livelli e in varie istituzioni, quali Università, Corsi (L.
153), Dante Alighieri, Università della terza età, IIC, ecc., e con diverse for-
mule contrattuali.
Mancano dati completi sulla loro formazione glottodidattica iniziale e in
itinere. Nell’Indagine Italiano 2000 (op.cit. p.76- 77), rivolta prevalentemen-

343
te a scandagliare la realtà degli IIC e delle istituzioni con le quali questi sono
in contatto, viene evidenziato ad esempio che i docenti che insegnano nei
corsi degli Istituti di Cultura sono per la maggior parte italiani, solo il 18%
è straniero. La maggioranza di loro, sia italiani sia stranieri, ha conseguito
una laurea. Solo il 14% di tutti gli insegnanti non è laureato, e la percentua-
le dei laureati italiani è leggermente superiore a quella degli insegnanti stra-
nieri. I docenti laureati hanno avuto una formazione prevalentemente lin-
guistica acquisita per lo più in Italia, la competenza glottodidattica operati-
va è stata dunque acquisita prevalentemente sul campo per entrambi i grup-
pi di docenti. Solo il 18,9% hanno con gli IIC un contratto a tempo indeter-
minato, la maggioranza è assunta in base alle esigenze del momento e a
tempo determinato.

ti.
va
2.3 Insegnanti stranieri di italiano

er
Anche questa categoria meriterebbe un’analisi a tutto campo. Si tratta di

ris
insegnanti stranieri che spesso (ma non sempre) hanno conseguito una
tti
Laurea in materie umanistiche, generalmente in Lingue straniere, nelle
iri
Università del loro Paese. Per poter insegnare italiano nelle istituzioni scola-
id

stiche devono aver compreso nel loro curriculum di studi un numero di


ti

esami e insegnamenti di lingua, linguistica e cultura italiane che variano a


ut

seconda degli ordinamenti dei singoli Stati e delle singole istituzioni. Spesso
.T

si sono formati seguendo il percorso didattico e pedagogico delle istituzioni


re

universitarie di riferimento, hanno fatto un tirocinio nelle scuole a comple-


ito

tamento della formazione pedagogica, a volte hanno continuato la loro for-


ed

mazione linguistica e glottodidattica in Italia in corsi loro dedicati delle


Università per stranieri o di altre istituzioni. Insegnano italiano nelle istitu-
c ci

zioni scolastiche e universitarie del loro Paese, o nei Corsi (L.153), presso i
na

Comitati delle Dante Alighieri, negli IIC, e così via.


Bo
©

3. La formazione del personale che insegna italiano all’estero


Il Ministero degli Affari Esteri separa nettamente i tipi di intervento for-
mativo destinati ai docenti “di ruolo” rispetto agli itinerari formativi rivolti
ai docenti “locali”.
Ai primi è riservato un corso di formazione iniziale1 a cura del MAE con
la collaborazione del MIUR, mentre le successive iniziative di formazione in
servizio sono curate d’intesa tra i due Dicasteri, nel quadro di un piano
annuale o pluriennale, che tiene conto delle linee guida definite dal MIUR
per tutto il personale della scuola. Attraverso gli Atti dei corsi di formazione

344
per insegnanti di italiano da destinare all’estero, che sono stati in parte rac-
colti e pubblicati, è possibile ripercorrere le strategie adottate dal MAE per
la formazione iniziale degli insegnanti di ruolo.
Per quanto riguarda la formazione in servizio va notato che fino al 1995 il
MIUR d’intesa con il MAE aveva previsto la figura degli ispettori ministeria-
li all’estero i quali avevano il compito di coordinare e presentare le richieste
di formazione per il personale in servizio nelle scuole e nei corsi di italiano.
Attualmente, venuta meno - con l’entrata in vigore dell’ ultimo contratto
collettivo del comparto scuola - l’obbligatorietà della formazione per la pro-
gressione di carriera, le iniziative di formazione in servizio si sono diradate.
Responsabile per la formazione in servizio comunque è il MIUR ( II
Divisione della Direzione Generale degli Scambi Culturali) il quale negli ulti-

ti.
mi anni ha intrapreso un progetto pluriennale che, utilizzando gli strumenti

va
della formazione a distanza e dell’autoaggiornamento, dovrebbe consentire

er
di raggiungere tutto il personale in servizio all’estero.

ris
La formazione in servizio del personale di ruolo all’estero, negli intenti
del MIUR, avverrà dunque prioritariamente seguendo un modello di for-
tti
iri
mazione a distanza.
id

Per i docenti non di ruolo non sono previste azioni di formazione orga-
nizzate dall’Amministrazione centrale. Il Ministero ha tuttavia istituito l’ero-
ti
ut

gazione di contributi per l’aggiornamento in servizio e nelle sedi estere


.T

(D.M.581/92). Questi contributi vengono richiesti da istituzioni scolastiche


re

e universitarie locali, da enti locali preposti alla formazione dei docenti o da


ito

associazioni di insegnanti e sono inviati all’Amministrazione per il tramite


ed

delle rappresentanze diplomatiche che hanno funzione di vigilanza e indiriz-


zo. Il parere favorevole dell’ambasciata è vincolante per l’attribuzione di tali
ci

contributi. Va notato che l’erogazione dei contributi avviene attraverso la


c
na

richiesta motivata proveniente dalle Ambasciate o dagli IIC sulla base della
Bo

loro conoscenza e valutazione delle problematiche presenti nella situazione


locale. L’amministrazione centrale ha solo la funzione di valutazione della
©

congruità dei progetti presentati, controllandone il rispetto delle leggi in


vigore, sulla base anche della disponibilità del bilancio annuale.

1
Gli atti relativi agli interventi formativi rivolti ai lettori di prima nomina in parte sono stati raccolti
e pubblicati presso l’Editore Aida di Firenze, in parte sono stati stampati in edizione limitata e non in
commercio. (Una copia degli Atti e la raccolta di norme e disposizioni sul servizio all’estero del personale
della scuola a cura dell’Ufficio IV della DGPC sono a disposizione nella Biblioteca del MAE). In questo
passaggio si fa riferimento al volume Catricalà M. e Vannini E. (cur.) (2001), Lector in media: la didattica
dell’italiano e la comunicazione, Università per Stranieri di Siena, MAE, MPI, Aida, Firenze.

345
4. Conclusioni
Tenendo in considerazione gli esiti delle più recenti indagini sulle moti-
vazioni all’apprendimento dell’italiano diffuso fra stranieri (De Mauro -
Vedovelli, 2001, op. cit.), si deve riconoscere che negli ultimi anni i pubblici
dell’italiano sono molto mutati. Chi vuole apprendere l’italiano è attratto
dalla nostra lingua per poter accedere alla nostra cultura, considerata quale
valore in sé, ma anche per poter migliorare la propria posizione professiona-
le. È interessante infatti notare che la richiesta dell’italiano è legata all’im-
magine del “sistema Italia” e ai valori culturali ed estetici che esprime, però
si fa sempre più strada l’esigenza di studio per investimento professionale,
per ragioni d’uso nel settore economico-produttivo.
Nonostante questo cambiamento di tendenza, l’azione ministeriale per la

ti.
diffusione della nostra lingua è ancora molto legata ad un tipo di intervento

va
che è più di supporto all’emigrazione e al mantenimento di una lingua quale

er
testimonianza dell’appartenenza etnica. Pertanto, anche alla luce della muta-

ris
ta fisionomia delle collettività italiane all’estero che sono sempre più integra-
tti
te nei paesi che le ospitano, sembra sempre più necessario e urgente un
iri
ripensamento dell’intera strategia ministeriale e, in particolare, del sistema
id

dei corsi per i connazionali all’estero che assorbe molte risorse finanziarie.
ti

È evidente inoltre che condizione essenziale per promuovere la diffusio-


ut

ne della lingua italiana e renderla competitiva sul mercato delle lingue è pun-
.T

tare sulla qualità dell’offerta e quindi sul miglioramento della qualità dell’in-
re

segnamento/apprendimento. I numerosi studi a proposito, condotti soprat-


ito

tutto dall’OCSE-OECD2, riconducono al fatto che il presupposto di tale


ed

miglioramento è una politica nazionale coerente e continua, volta al monito-


ci

raggio della formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. Si dovrebbe


c

quindi superare la tendenza alla frammentazione degli interventi e dei finan-


na

ziamenti a favore della promozione della nostra lingua per raggiungere inve-
Bo

ce un accordo su una strategia comune tra le due Direzioni Generali del


MAE, con l’ausilio di esperti del MIUR e delle università italiane specializ-
©

zate nell’insegnamento dell’italiano a stranieri e nella ricerca linguistica e


glottodidattica.
C’è da rilevare inoltre, secondo le voci raccolte dalle Associazioni di inse-
gnanti di italiano come lingua straniera (AISSLI e AIPI), e sulla base delle
considerazioni lette nei forum o nelle liste di discussioni per insegnanti del
settore3, si riscontra nella categoria:
una diffusa sensazione di “orfanità” rispetto alle istituzioni italiane, per-
cepita specialmente dagli insegnanti cosiddetti “locali”, per la maggior parte

346
stranieri, che lamentano mancanza di comunicazione e attenzione nei loro
riguardi da parte dell’Amministrazione;
una diffusa sensazione di “isolamento” da parte di chi insegna italiano
all’estero e avrebbe bisogno di confrontarsi in termini professionali e umani
con colleghi in situazioni analoghe.
Un’attenzione costante da parte dell’Amministrazione centrale, di moni-
toraggio e di supporto al lavoro di queste diverse categorie di insegnanti,
potrebbe certamente incentivarne la motivazione. Per un docente straniero,
ad esempio, scegliere di insegnare l’italiano invece dell’inglese imperante è
una scelta professionale non da poco: si pensi ad esempio alla volatilità e alla
mutevolezza dei pubblici dell’italiano e alla conseguente incertezza della
continuità del posto del lavoro, in un contesto internazionale in cui le altre

ti.
lingue che concorrono sul mercato e competono con la nostra possono usu-

va
fruire di una solida organizzazione volta alla loro diffusione.

er
Sempre sulla base dell’indagine sulla qualità dell’insegnamento condotta

ris
dal CERI per l’OECD4 emerge quanto sia rilevante il lato umano dell’inse-
gnante, il suo carisma, il rapporto affettivo che instaura nella classe che è una
tti
iri
delle basi del successo scolastico. Poiché allo stato attuale è impensabile sot-
id

toporre gli insegnanti da destinare all’estero ad un esame iniziale attitudina-


le, sarebbe particolarmente importante il supporto da fornire in itinere, sia
ti
ut

in termini di formazione continua, sia in termini di attenzione e sostegno al


.T

lavoro che gli insegnanti stanno svolgendo.


re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

2
OCDE (1990), L’enseignant aujord’hui: Fonctions, status, politiques, OCDE, Paris; OECD (1995),
Measuring the Quality of Schools, Paris
3
Si veda ad esempio nel sito dell’Università per Stranieri di Perugia: http://www.unistrapg.it/lista/
lista.htm, l’interessante mailing list per insegnanti di italiano L2.
4
Si veda anche: U. Margiotta (2002), L’insegnante di qualità, Roma, Armando.

347
Capitolo 26
itaLiano Ls aLL’UniVersitÀ:
La KoÇ UniVersitY di istanBUL
Cinzia Ciulli, Stefania Ciurli1

Lingua etnica parlata per secoli solo nei quartieri levantini, spesso sosti-
tuita dal francese, raramente utilizzata come lingua franca: ma allora, nell’ar-
co di quest’ultimo decennio, che cosa ha contribuito a rendere l’italiano la
lingua più amata dai turchi, la più ambita? Il commercio, che vede comun-
que l’inglese sua lingua veicolare ad hoc? La Turchia come probabile nuovo
paese membro della UE? Fenomeno troppo recente per aver già lasciato un

ti.
imprinting così marcato. L’italiano sta raggiungendo apici di popolarità in

va
continua escalation: lo si vuole parlare, capire, vivere.

er
L’italiano ha musicalità, è la lingua dell’arte e della moda: un idioma che

ris
incanta e appassiona, nelle dolci parole della bella Lizabetta da Messina, nei
tti
cieli azzurri di Bocelli e nella logorroica implorazione di Perdono. Il cosid-
iri
detto “caso turco” vive i suoi momenti di splendore: un successo inatteso che
id

lascia a noi, operatori della lingua e della cultura, il doveroso onere di saper-
ti

lo mantenere, alimentare, attraverso una costante ricerca di qualità e profes-


ut

sionalità.
.T

Sono nati in questi anni numerosi dipartimenti e scuole di lingua in tutto


re

il paese. Qui vi riportiamo l’esempio di come è strutturato uno degli istituti


ito

che da anni opera con successo nel settore dell’insegnamento e la promozio-


ed

ne dell’italiano in Turchia.
c ci
na

1. Centro Culturale italiano, Koç University, istanbul


Bo

Il Centro Culturale Italiano della Koç University è un’istituzione finan-


ziariamente sostenuta da FIAT International Turchia e parzialmente dal
©

MAE. Il centro è nato nel 1994 come progetto pilota per monitorare il reale
interesse verso lo studio della lingua italiana. Il successo dell’iniziativa ha
determinato la fondazione, nel 1995, di un Centro Culturale permanente per
la promozione e didattica dell’italiano a stranieri. La presenza dello sponsor
ha permesso la realizzazione di progetti di un certo rilievo che hanno incre-
mentato il prestigio dell’istituzione.

1
Pur concepita insieme, la stesura dell’articolo va attribuita a S. Ciurli per i paragrafi 1 e 1.1, a C.
Ciulli per il paragrafo 1.2.

348
Lo scopo principale del centro è quello di preparare studenti-amici
dell’Italia che, avendo maturato forti legami con la lingua e la cultura italia-
na, possano adottare nella loro carriera professionale, nell’imprenditoria
pubblica o privata, un orientamento italian-friendly. Studenti e docenti si
mostrano sempre più interessati alle iniziative organizzate dal centro; corsi di
lingua, attività extracurricolari, tutoraggi pomeridiani di sostegno e conver-
sazione, forum di discussione, cineforum. Il centro organizza inoltre semina-
ri, conferenze o corsi di formazione per docenti, talvolta organizzati in colla-
borazione con l’Istituto di Cultura consolare.
Un altro polo di notevole interesse è rappresentato dalla gestione delle
convenzioni stipulate tra Koç University e numerosi atenei italiani, coopera-
zioni che prevedono la mobilità del corpo studenti e docenti, borse di stu-

ti.
dio, progetti di ricerca e pubblicazioni. Attività primaria del centro resta

va
comunque la coordinazione didattica, che include la gestione dei corsi di lin-

er
gua e cultura italiana e l’organizzazione delle attività extracurricolari.

ris
Le figure professionali operanti in questa struttura vengono selezionate
tramite concorso per titoli e meriti e sono essenzialmente due: il direttore-
tti
iri
docente ed il docente. Il direttore, a cui sono affidate la gestione del Centro
id

e delle attività, nonché la docenza di tre corsi semestrali, viene assunto con
contratto annuale che può assumere validità di collaborazione a tempo inde-
ti
ut

terminato in base a criteri di merito e anzianità stabiliti dal rettorato. Il


.T

docente, assunto con contratto semestrale rinnovabile in base a criteri di


re

merito e anzianità, può essere collaboratore a tempo pieno, (con quattro


ito

corsi a semestre), oppure part-time, (con uno, due o tre corsi a semestre).
ed

Le suddette figure professionali devono essere in possesso, al momento


della loro candidatura, dei seguenti requisiti: madrelingua italiana, certifica-
ci

to di laurea ottenuto presso un’università italiana, diploma di specializzazio-


c
na

ne in didattica della lingua Italiana a stranieri, Master o diploma equipollen-


Bo

te, esperienza minima quinquennale nell’insegnamento della LS.


©

2. Corsi, sillabi e attività extracurricolari


Alla Koç University non esiste un corso di laurea in lingue straniere, tut-
tavia gli studenti delle varie facoltà (economia, ingegneria, ecc.) hanno la
possibilità di inserire nel loro piano di studi corsi di lingua straniera, a scel-
ta tra francese, italiano, russo e tedesco, come complementari. I corsi sono
semestrali e ognuno vale 3 crediti, come gli altri corsi di laurea obbligatori.
Il regolamento prevede che, scelta una lingua, si frequentino almeno 4 corsi

349
o si abbandoni il programma dopo il primo semestre, al termine del quale lo
studente ha appena superato il livello A1, ovvero ha scoperto la lingua e può
decidere più consapevolmente se continuare a studiarla; qualora lo studente
interrompa il programma successivamente non otterrà la trascrizione dei cre-
diti del/i corso/i frequentato/i in seguito.
I primi 4 corsi (ITAL 201, 202, 301 e 302), 3,45 ore alla settimana ripar-
tite su tre giorni per circa 14 settimane ciascuno, prevedono di condurre lo
studente al Vantage Level del Common European Framework (B2), in segui-
to gli studenti possono continuare ad approfondire le loro conoscenze e
competenze frequentando altri due corsi semestrali, ITAL 401 e ITAL 402,
ciascuno con un monte ore settimanale di 2,30 ore ripartito su due giorni.
Questi due corsi sono indipendenti l’uno dall’altro, così come dal program-

ti.
ma precedentemente menzionato e il prerequisito per accedervi è il possesso

va
della competenza linguistica richiesta.

er
ITAL 401 è un corso di italiano professionale, non tanto incentrato sulla

ris
microlingua, quanto sugli aspetti interculturali inerenti il mondo degli affari
e i rapporti di lavoro italo-turchi, con particolare riguardo alle competenze
tti
iri
paralinguistiche (cinesica, vestemica, ecc.), per cui alla fine del corso gli stu-
id

denti saranno in grado non solo di scrivere un CV, ma anche di presentarsi


in modo adeguato e culturalmente pertinente nel mondo del lavoro italiano.
ti
ut

Frequentando ITAL 402 ci si avvicina invece al mondo culturale italiano


.T

attuale: soprattutto cinema, musica e TV. Il curricolo prevede la visione di


re

film e programmi, ascolti e letture, precedute e seguite da momenti di discus-


ito

sione collettiva e approfondimenti con presentazioni individuali. I curricoli


ed

di questi due corsi prevedono 2-3 verifiche di progresso, mentre il test fina-
le è sostituito da una ricerca individuale presentata in forma scritta e oral-
ci

mente alla classe. Vista la preponderanza delle attività orali svolte a lezione,
c
na

la produzione orale costituisce il 30% della valutazione globale, a cui si


Bo

aggiungono: 40% di ricerca/presentazione individuale, 20% verifiche inter-


medie scritte e 10% presenze.
©

In considerazione della natura comunicativa di tutti i nostri corsi, nella


valutazione della produzione orale, che nei primi 4 corsi equivale al 20%, si
tiene conto non solo della competenza linguistica, ma anche della sua parte-
cipazione alla lezione, del numero e della qualità di interventi prodotti in
classe. I curricoli di ITAL 201/202/301/302, pur sviluppando ovviamente
sillabi diversi per coprire i primi 4 livelli del framework, sono analoghi e la
valutazione globale dello studente consta di: 20% orale, 20% verifiche di
progresso, 40% verifica finale, 10% presenze e 10% compiti per casa e al

350
laboratorio; infatti gli studenti possono -e devono- avvalersi del laboratorio
multimediale.
L’aspetto culturale, curato anche attraverso varie attività extracurricolari,
è parte fondamentale nella nostra attività didattica; la conoscenza dei valori
e delle tradizioni italiane, nel rispetto della cultura turca, viene trasmessa non
solo parlando, ma anche mangiando, cantando, ballando, giocando e reci-
tando in italiano, durante appuntamenti settimanali, feste e manifestazioni
organizzate dall’Italian Club: Sanremokoç, Italia Quiz Show, ecc., non ultime
la visita guidata all’Istanbul italiana e un viaggio-studio a Firenze.

3. sito della Koç University

ti.
La Koç University ha un sito all’indirizzo: www.ku.edu.tr

va
Sul portale d’ingresso si trovano i link per accedere ad informazioni sul-

er
l’università in generale, sulle attività accademiche e di ricerca, la biblioteca,

ris
(con il catalogo on line), la vita sociale del campus, gli studenti, le facilitazio-
ni informatiche; link aperti a tutti come quello per i visitatori e i “corporate”
tti
in cui si presentano rapporti e collaborazioni fra università e mondo del lavo-
iri
id
ro, industria e servizi, ed altri link riservati agli insegnanti, al personale
amministrativo, agli studenti e ai laureati. a cui si accede con la parola d’or-
ti
ut

dine personale. L’università promuove l’informatizzazione della vita univer-


.T

sitaria per cui ogni comunicazione avviene tramite posta elettronica, studen-
ti ed insegnanti (per iscriversi ai corsi i primi, per consultare l’orario, riser-
re

vare aule e trasmettere i risultati i secondi) sono tenuti a comunicare con la


ito

segreteria attraverso il sistema informatizzato di cui sopra.


ed
c ci
na
Bo
©

351
Capitolo 27
Corsi di LingUa e CULtUra.
aBC oVVero istrUZioni Per L’Uso
(LiVeLLo medio, sViZZera)
Anna Maria Marzorati

I corsi di lingua e cultura italiana a livello elementare e medio costituisco-


no una realtà molto complessa che in Svizzera interessa bambini e ragazzi ita-
lofoni dai 7-8 ai 14-15 anni. L’intento di questo capitolo non è tanto quello di
presentare una panoramica delle tipologie dei corsi nei vari Cantoni, quanto di

ti.
offrire una serie di consigli ed indicazioni pratiche per il docente italiano che

va
si trovi catapultato – spesso ad anno scolastico inoltrato - dalla scuola italiana

er
alla composita realtà dei corsi di una circoscrizione consolare in Svizzera.

ris
Un’altra premessa è doverosa: non è possibile parlare di un sistema scola-
stico elvetico, perché ogni Cantone gode di grande autonomia nell’organizza-
tti
zione dell’impianto scolastico, nell’elaborazione dei programmi di insegna-
iri
id
mento, nella regolamentazione del passaggio alle varie scuole e da un livello
all’altro, nell’adozione dei libri di testo, nel reclutamento degli insegnanti, nella
ti
ut

predisposizione del calendario annuale e delle frequenti interruzioni, ecc.


.T

Pertanto la realtà dei corsi di lingua e cultura cambia spesso in modo sensibi-
le a seconda dell’ubicazione in un determinato Cantone e Circoscrizione con-
re

solare. Le considerazioni che seguono nascono da una concreta esperienza di


ito

lavoro nei corsi di lingua e cultura italiana a Berna, dal 1995 al 1998, seguita
ed

da un’attività di insegnamento quadriennale in una scuola media italiana di


ci

Zurigo dal ’98 al 2002.


c
na

Lungi dall’essere esaustivo, dunque, quanto segue vuol essere un prontua-


rio d’emergenza volto a facilitare l’inserimento del docente italiano nella nuova
Bo

realtà d’insegnamento, dove la sua attività, agli occhi dei colleghi svizzeri delle
©

varie scuole in cui si tengono i corsi, viene equiparata a quella di un libero pro-
fessionista free lance, spesso catalizzatore di tensioni ed equivoci interculturali
a sua insaputa.

1. a come aula: l’assegnazione della sede dei corsi e la composi-


zione dei gruppi-classe
A seconda della durata prevista per il corso, la cattedra del docente di
scuola media risulta solitamente articolata su più sedi – le varie scuole locali

352
che, in base ad accordi annuali, concedono al Consolato italiano l’uso di una
o più aule – e su 6 o 8 gruppi-classe diversi. La composizione numerica dei
gruppi varia da un minimo di 8 alunni per una pluriclasse (allievi iscritti al
sesto – settimo – ottavo anno di scolarizzazione), a 12 per una monoclasse
(allievi iscritti al medesimo anno) e generalmente non supera le 20-25 unità.
Il docente appena arrivato dall’Italia ha l’impressione di essere travolto
dalla complessità e dalla diversità delle varie situazioni. Talvolta le sedi pos-
sono essere anche molto distanti tra loro o in sobborghi e paesini lontani
dalla città. Fortunatamente gli eccellenti collegamenti dei mezzi pubblici in
territorio elvetico rendono raggiungibili anche le località più sperdute, ma è
necessario tener conto dei tempi di spostamento dall’una all’altra sede nel
programmare l’orario del corso. In qualche caso l’avere sedi diverse com-

ti.
porta anche sensibili variazioni nel calendario scolastico, soprattutto per

va
quanto riguarda i numerosi periodi di vacanza durante l’anno. Va infatti

er
tenuto presente che i corsi di lingua e cultura cominciano solitamente duran-

ris
te la seconda settimana d’agosto e proseguono, con frequenti interruzioni,
fino alla prima di luglio, prevedendo non più di sei settimane di vacanza nel
tti
iri
periodo estivo.
id

Gli allievi iscritti ai corsi appartengono, in maggioranza, ormai alla terza


generazione di emigrati italiani; data la prossimità territoriale, le frequenti
ti
ut

permanenze in Italia durante i periodi di vacanza, l’ambiente familiare anco-


.T

ra molto legato alla cultura della madrepatria, la ricezione dei più comuni
re

canali televisivi, la presenza sul territorio delle varie strutture associazionisti-


ito

che e missioni cattoliche, è difficile determinare e classificare in modo ine-


ed

quivocabile le conoscenze linguistiche in italiano di questi allievi facendo


ricorso alla consueta terminologia di LM e LS. Per molti di loro l’italiano si
ci

trova nel mezzo e rappresenta la lingua degli affetti, delle comunicazioni


c
na

familiari e delle vacanze. Un serio lavoro di accertamento dei livelli linguisti-


Bo

ci di partenza degli allievi del corso è pertanto indispensabile per program-


mare efficacemente gli interventi didattici, verificare il possesso delle quattro
©

abilità di base e di quelle integrate.

2. B come benvenuto: il problema dell’accoglienza, la motivazione


e alcune linee guida per la programmazione
Il gruppo-classe che si costituisce durante la lezione settimanale d’italia-
no riunisce di solito allievi provenienti da classi e scuole diverse, talvolta
poco motivati alla frequenza del corso, scelto per volere dei genitori e spes-
so in alternativa ad attività più gratificanti come quelle sportive, ricreative o

353
proprie del tempo libero. Non è infrequente che si creino situazioni di disa-
gio e di demotivazione che finiscono per rendere la lezione poco produttiva
e insoddisfacente per tutti. Pertanto risulta davvero importante dedicare le
prime lezioni del corso ad attività mirate all’accoglienza, alla conoscenza e
all’espressione di sé e volte a creare le condizioni di benessere offrendo mol-
teplici occasioni di interazioni positive all’interno del gruppo.
Una serie di primi giochi e attività di presentazione di sé e del compagno
di banco, l’avvio di gemellaggi con gruppi di allievi italiani o la corrispon-
denza con classi parallele in Italia, la proposta dell’ascolto di canzoni, l’uti-
lizzo di giornali, riviste e fumetti, la visione di opere cinematografiche o tele-
visive, la redazione di articoli e l’uso delle nuove tecnologie sono alcune delle
tante possibilità di rinforzo della motivazione alla frequenza del corso.

ti.
Nell’ottica di tale rinforzo diventa importante il poter disporre di un’au-

va
la accogliente e ben attrezzata, in cui poter lasciare tutti i vari materiali giu-

er
dicati utili per la lezione, gli eventuali sussidi, qualche libro di lettura, poster

ris
e cartelloni che documentino la composizione del gruppo, i momenti di lavo-
ro, le possibili uscite sul territorio. La questione delle attrezzature e dell’au-
tti
iri
la può sembrare un aspetto secondario o ininfluente, eppure costituisce uno
id

dei primi messaggi di contesto sull’importanza e sul prestigio dell’attività del


corso d’italiano, per questo occorre che il docente rivendichi degli spazi
ti
ut

dignitosi e anche adeguati all’utilizzo delle nuove tecnologie e dei vari sussi-
.T

di disponibili.
re

Per quanto riguarda la programmazione annuale, è evidente che ogni


ito

gruppo-classe in base alla propria specificità richiede un intervento “ad


ed

hoc”, ma ci sembra utile sottolineare in questa sede come sia opportuno


comunque puntare sullo sviluppo, sul consolidamento e sul potenziamento
ci

delle quattro abilità di base (ascoltare, parlare, leggere, scrivere) e di quelle


c
na

integrate (dialogare, comprendere testi, riassumere, ecc.). Finalità dell’inse-


Bo

gnamento della lingua è dunque la padronanza dell’italiano nelle sue diverse


modalità d’uso: come strumento per comunicare pensieri, emozioni, espe-
©

rienze e bisogni; come strumento per conoscere; come strumento per strut-
turare conoscenze ed esperienze. Al termine della frequenza dei tre anni di
corso del livello medio, gli allievi dovranno:
- utilizzare la lingua italiana a livello orale e scritto in modo chiaro, cor-
retto e appropriato;
- aver raggiunto la capacità di comunicare in relazione a destinatari, scopi
e messaggi diversi;
- esprimersi usando un lessico vario e diversificato a seconda degli ambiti;

354
- produrre testi scritti e orali coesi e coerenti;
- comprendere diversi tipi di testo (narrativo, poetico, informativo, rego-
lativo...);
- organizzare e rielaborare le proprie conoscenze in ambito storico-geo-
grafico-sociale.
Le competenze in uscita riguardano soltanto l’aspetto linguistico perché
il discorso sull’ambito culturale risulta ben più complesso e aperto al dibat-
tito. Un’altra possibilità è quella di proporre in uscita dal corso la certifica-
zione delle competenze raggiunte in campo linguistico (Plida Juniores,
Language Portfolio, ecc).

ti.
3. C come Corsi: il rapporto con la scuola del paese ospitante

va
Generalmente i corsi di lingua e cultura italiana a livello elementare e

er
medio hanno una durata variabile, dalle due alle tre ore settimanali, possono

ris
essere del tutto svincolati dall’orario scolastico della scuola locale (“non inse-
tti
riti”), oppure essere realizzati a cavallo di tale orario - nel primo pomeriggio
iri
o in quello del mercoledì, tradizionalmente libero in Svizzera - (“semi-inse-
id

riti”), o, nei casi più fortunati, essere completamente inseriti all’interno della
ti

cornice oraria della scuola svizzera (“inseriti”) (vedi Vassilli in questo volu-
ut

me).
.T

La modalità del semi-inserimento risulta generalmente la più diffusa:


re

implica il riconoscimento della frequenza del corso nell’ambito dell’orario


ito

individualizzato di ciascun allievo e comporta la registrazione del voto seme-


ed

strale sul documento ufficiale di valutazione della scuola svizzera. I voti sono
assegnati in base a una scala numerica da 1 a 6, dove il 6 rappresenta il livel-
c ci

lo di eccellenza, il 3 quello della stentata sufficienza fino ai più bassi consi-


na

derati insoddisfacenti.
Bo

I corsi semi-inseriti si tengono per lo più in orario pomeridiano, quando


la maggior parte degli insegnanti locali non è più in servizio. Per questo è
©

indispensabile che il docente italiano, al suo arrivo e comunque prima di ini-


ziare il corso, cerchi di incontrare personalmente il collega svizzero ed
instauri rapporti improntati al dialogo e alla fiducia. Diventa importante pro-
grammare una serie di visite reciproche durante le lezioni del mattino e del
pomeriggio e di scambi (di materiali, strumenti, competenze...) per vincere
la diffidenza e il pregiudizio che talvolta accompagnano i rapporti tra inse-
gnanti della scuola locale e docenti italiani. In più di un’occasione ho avuto
modo di constatare personalmente come lo stretto rapporto con l’insegnan-

355
te di classe – e la conseguente apertura di quest’ultimo nei riguardi dell’ita-
liano - abbia contribuito a potenziare la motivazione, l’efficacia e l’autostima
negli allievi del corso d’italiano. A prima vista tale operazione di contatto e
di ricerca di rapporti può sembrare superflua e senz’altro faticosa per il
dispendio di energie che richiede (bisogna essere disposti ad investire molto
tempo, al di fuori del proprio orario di cattedra), ma spesso è l’unico modo
per spezzare il cerchio dell’isolamento e dell’emarginazione in cui risultano
talvolta confinati i corsi di lingua e cultura.
Una figura sconosciuta nella scuola italiana, ma onnipresente in quella
svizzera, è l’Hauswart, una sorta di custode-responsabile che abita con la sua
famiglia presso l’edificio scolastico. Il più delle volte è proprio questa figura
di cerbero, talvolta molto prevenuto, l’unica controparte del docente italia-

ti.
no: un rapporto conflittuale con l’Hauswart (che in alcuni casi estremi ritie-

va
ne il docente responsabile anche per una rosa mancante dall’aiuola del cor-

er
tile...) può significare pessime condizioni di lavoro per vari mesi. Nella scuo-

ris
la locale, infatti, non esiste il personale ATA: la pulizia dei locali è di solito
appaltata all’esterno, mentre ciascun insegnante provvede, con il proprio
tti
iri
gruppo di alunni tra i quali è rigorosamente programmata e parcellizzata
id

ogni più piccola forma di collaborazione, al mantenimento e alla cura del-


l’aula. Conquistarsi la fiducia dell’Hauswart con la puntualità e il rispetto
ti
ut

degli ambienti e delle strutture richiesti ai propri gruppi di allievi è, quindi,


.T

un piccolo passo verso l’integrazione e, alla lunga, garantisce il consolida-


re

mento dei rapporti di collaborazione tra l’Ufficio Scuola del Consolato ita-
ito

liano e la direzione didattica di un determinato plesso scolastico.


ed

Difficile condensare in poche righe la problematica dei corsi di lingua e


cultura italiana. Insegnarvi è una sfida per gli insegnanti di frontiera, può
ci

rivelarsi estremamente frustrante o, al contrario, assai gratificante, soprattut-


c
na

to quando il docente riesce a trasmettere il “piacere” per l’italiano e il senso


Bo

di “appartenenza” ad una grande cultura.


©

356
Capitolo 28
La sCUoLa stataLe itaLiana
di BarCeLLona
Silvio Santagati

In questo capitolo vengono illustrate sinteticamente la storia e la proget-


tualità di una delle più famose scuole italiane all’estero, con l’obiettivo di far
conoscere una realtà scolastica molto particolare attraverso il racconto di un
insegnante e di fornire elementi utili a chi avrà l’opportunità di entrarci in
contatto professionale in un futuro prossimo.
Nello stesso tempo si cerca di individuare e di spiegare le ragioni di un

ti.
successo che si viene consolidando nonostanze la assoluta normalità delle

va
risorse disponibili.

er
ris
1. Cenni storici
tti
iri
La scuola statale italiana di Barcellona gode di grande prestigio ed è con-
id

siderata oggi una delle migliori istituzioni culturali italiane all’estero.


Essa fonda la propria fama in una storia ultracentenaria che si è svilup-
ti
ut

pata parallelamente alla crescita della comunità degli immigrati italiani nella
.T

capitale della Catalogna.


re

La prima versione della scuola risale al 1882. Nel 1888 c’era già il primo
ito

corso elementare completo (dalla prima alla quinta, maschile e femminile).


ed

Nel 1911 la scuola si trasferì nei locali della Casa degli Italiani, l’associazione
che ancora oggi gestisce l’aspetto logistico dell’istituzione. Nel 1918 al corso
ci

elementare antimeridiano si erano aggiunti un corso di doposcuola, un corso


c
na

magistrale di lavori educativi per maestri spagnoli ed una scuola serale di lin-
Bo

gua e letteratura italiana. In quello stesso anno la scuola divenne parificata.


Nel 1922 la Casa degli Italiani promosse anche una scuola secondaria di tipo
©

tecnico commerciale. Nel 1928 venne istituita una Casa dei Bambini di cui la
stessa Maria Montessori inaugurò il corso preparatorio il 19 ottobre 1930.
Il primo febbraio 1951 l’elementare e le secondarie divenivano ufficial-
mente scuole statali italiane.
Negli oltre 50 anni di vita come scuola statale la scuola italiana di
Barcellona ha visto crescere e svilupparsi la propria importanza.
Nei lunghi decenni del franchismo, insieme alle altre scuole straniere pre-
senti nella capitale1, divenne un punto di riferimento democratico per la

357
parte più sensibile della società catalana che soffriva le conseguenze della ter-
ribile situazione di repressione politica e culturale e di segregazione lingui-
stica in cui era sprofondata la Spagna intera. Nell’ oscuro periodo della dit-
tatura la scuola italiana costituì uno dei pochi baluardi di resistenza cultura-
le tollerati. Furono sempre più numerose le famiglie che iscrissero i propri
figli in quella scuola straniera che si ergeva come un oasi di democrazia in un
deserto di repressione e regressione2.
Estintosi il franchismo con la morte del suo artefice e restituito l’intero
stato spagnolo alla democrazia parlamentare ed alla libertà di espressione lin-
guistica, la funzione di diversità della scuola italiana è venuta scemando e per
almeno un decennio si è assistito ad un calo constante e significativo della
popolazione scolastica.

ti.
All’inizio degli anni novanta si è invertita la tendenza negativa con conse-

va
guente risalita delle quotazioni della scuola e con la ripresa delle iscrizioni.

er
All’inizio dell’anno scolastico 2002-2003 la scuola conta con un numero

ris
totale di 503 iscritti, così suddivisi: 119 materna; 187 elementare; 99 media;
98 liceo scientifico3.
tti
iri
id

2. il perché del successo attuale


ti
ut

È abituale riferirsi alla scuola italiana di Barcellona come ad un’istituzio-


.T

ne unica ed omogenea. In realtà si tratta di due scuole distinte4, ospitate in


due edifici lontani, una in pieno centro cittadino, l’altra in un tranquillo
re

quartiere ai piedi delle colline5. In più le due scuole sono dirette ciascuna dal
ito

proprio dirigente scolastico ed hanno uffici amministrativi indipendenti,


ed

limitando la propria collaborazione alla Continuità didattica fra gli inse-


c ci
na

1
La scuola italiana opera attualmente in un contesto dominato dai grandi istituti cattolici privati. La
Bo

più influente e prestigiosa delle scuole straniere è senz’altro la ricchissima scuola statale francese di
Pedralbes, il quartiere più elegante ed esclusivo della città. Altre scuole straniere prestigiose sono quella
inglese e quella tedesca.
©

2
La tradizione familiare è di fondamentale importanza per la scelta del corso di studi. Numerosi degli
alunni iscritti attualmente alla scuola italiana sono catalani figli e nipoti di ex alunni.
3 L’orario delle lezioni è quello del tempo pieno, con mensa inclusa, per la primaria e di tempo
prolungato per la secondaria, dal lunedì al venerdì. Per informazioni dettagliate si possono consultare le
pagine www.simontessori.com e www.liceoamaldi.com
4
La scuola primaria, che comprende materna ed elementare è intitolata a Maria Montessori; la
secondaria, che comprende media e liceo scientifico della durata di quattro anni, è intitolata ad Edoardo
Amaldi.
5
La scuola secondaria ha la sua sede in Passatge Mendez Vigo, accanto all’Istituto Italiano di Cultura
ed alla Casa degli Italiani, tra carrer Aragó e carrer Consell de Cent, a due passi da Plaça de Catalunya.
La primaria è ospitata in una vecchia villa riconvertita in scuola, tra carrer Setantí e carrer Carme Karr,
nel cuore del quartiere di Sarriá.

358
gnanti delle classi quinte elementari e delle classi prime medie ed all’attività
sindacale dei dipendenti6.
In comune rimangono l’ente gestore, propietario degli stabili, i servizi
medici e psicopedagogici e, soprattutto, l’utenza.
Nella situazione particolare di enclave linguistico in cui si viene a trovare
una qualsiasi scuola italiana all’estero la cura dell’utenza7 è di capitale impor-
tanza.
Se possono esserci innumerevoli motivi per scegliere una determinata
scuola, una sola è la ragione per la quale si decide di rimanerci fino alla fine
del corso completo degli studi: il suo livello di qualità.
Nel caso della scuola italiana di Barcellona la qualità è garantita, molto
semplicemente, dalla riproposizione del modello scolastico metropolitano.

ti.
Un modello che alla prova dei fatti si dimostra vincente.

va
All’interno della proposta culturale globale della scuola italiana di

er
Barcellona assume fondamentale importanza il ruolo della scuola primaria.

ris
Sia come serbatoio naturale di utenza sia come base linguistica e culturale
sulla quale costruire le future competenze “adulte”.
tti
iri
Considerando globalmente i quattro segmenti scolastici in cui si divide il
id

corso completo di studi italiani, nel caso specifico di Barcellona la scuola ele-
mentare è quella che offre il modello più convincente.
ti
ut

Anche qui la spiegazione del successo è piuttosto banale. Infatti la scuola


.T

elementare è l’unico dei quattro segmenti che si trova ad operare con un


re

organico di insegnanti di ruolo quasi completo (9 insegnanti sui 10 previsti).


ito

Quindi è in grado di riproporre fedelmente il modello metropolitano. Senza


ed

essere costretta a snaturarsi come avviene in altri contesti internazionali, ma


anzi aggiungendo una serie di elementi decisivi per il suo buon funziona-
ci

mento.
c
na
Bo

2.1 Trilinguismo e motivazioni


Primo fra tutti gli elementi positivi è senz’altro il trilinguismo determina-
©

to dall’uso contemporaneo delle lingue italiana, spagnola e catalana8 che


assumono, a seconda del contesto, la funzione di lingua veicolare. Questo

6
Gli alunni della secondaria hanno un rapporto continuo con la loro vecchia scuola perchè le lezioni
di educazione fisica si svolgono di pomeriggio negli spazi della primaria.
7
La popolazione scolastica è particolarmente composita. Oltre agli spagnoli bilingui c’è una forte
percentuale di alunni italiani i cui genitori si trasferiscono temporaneamente per motivi di lavoro.
Particolarmente numerosi i figli di coppie miste, in origine trilingui (ma in molti casi anche quadrilingui).
A partire dallo scorso anno sono aumentati gli argentini di origine italiana il cui rientro in Europa avviene
attraverso la “scorciatoia” linguistica spagnola.

359
fattore aggiunge alla scuola un surplus di dinamicità che la fa percepire
come una scuola in constante “movimento”.
Movimento che non avrebbe possibilità di riprodursi senza la decisiva
partecipazione del personale docente. Normalissimo personale docente di
ruolo della scuola pubblica italiana, con competenze linguistiche straniere
più o meno sviluppate, ma con una forte motivazione addizionale costituita
dall’eccellenza della retribuzione.
Non è peregrino ritenere che un insegnante gratificato da un assegno di
sede che supera i tremila euro mensili ritrovi delle motivazioni (già perdute)
che ne fanno un eccellente operatore culturale italiano all’estero a tempo
pieno. Non senza considerare che l’effetto gratificante ha un’importante rica-
duta anche sul versante della considerazione sociale di cui l’insegnante ita-

ti.
liano all’estero arriva a godere.

va
Da questo “stato di grazia” del personale docente, ma anche di quello

er
amministrativo e direttivo, derivano degli effetti positivi a catena che si riflet-

ris
tono sulla conduzione dell’intero progetto scolastico.
Il progetto pedagogico della “Maria Montessori” è improntato alla
tti
iri
migliore tradizione umanistico-affettiva. L’ambiente è accogliente, gli spazi9,
id

sono quelli di una scuola piccola e raccolta in cui tutti si incontrano conti-
nuamente e sono “costretti” a stabilire una relazione di amicizia o almeno di
ti
ut

conoscenza.Ciò favorisce il processo di integrazione di ciascun bambino e


.T

permette di fargli percepire la scuola come un lungo momento piacevole


re

della propria vita. In aggiunta, il Piano dell’Offerta Formativa prevede una


ito

Funzione Obiettivo destinata all’attenzione alla diversità ed un insegnante di


ed

sostegno opera con i bambini che si trovano in condizione di svantaggio nel-


l’apprendimento.
ci

L’apprendimento della lingua italiana non presenta particolari difficoltà.


c
na

La maggior parte degli alunni di madrelingua non italiana provengono dalla


Bo

materna. Quelli che si iscrivono in prima o in seconda elementare usufrui-


scono di corsi di recupero di alcune ore alla settimana che vengono tenuti nei
©

momenti di compresenza.

8
È utile sottolineare che la lingua italiana è assolutamente predominate nel contesto scolastico
ufficiale e che lo spagnolo è la lingua di comunicazione preferita dagli alunni nei momenti extrascolastici.
9
Per la verità l’edificio della Maria Montessori è ormai insufficiente ad ospitare materna ed
elementare. Gli spazi sono angusti ed antiquati e si sente la necessità di ambienti più funzionali. Tuttavia
la scuola si giova dell’atmosfera “magica” di questo vecchio villone e della sua felice ubicazione nel
tranquillo quartiere di Sarriá. Quanto a spazi, la scuola secondaria si trova in condizioni ancora più
precarie.

360
Lo standard linguistico complessivo è più che soddisfacente. Uno studio10
condotto dagli insegnanti dell’elementare nel triennio 1998-99/2000-01 ha
dimostrato “una netta superiorità dei risultati in lingua italiana, sia rispetto
alle altre due lingue [del curriculum] che rispetto agli standard nazionali dei
bambini italiani che vivono in Italia....”.

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

10
Lo studio è stato condotto attraverso il reperimento degli strumenti di misura delle quattro abilità
linguistiche per ciascuna delle tre lingue e la successiva somministrazione di test già tarati su un campione
ritenuto significativo per la media nazionale italiana e catalana. Vedi: S. Santagati, La Scuola italiana
all’estero e l’insegnamento di qualità, tesi Master Itals, Venezia, luglio 2002.

361
Capitolo 29
L’insegnamento deLL’itaLiano Ls
neLLe sCUoLe tedesChe
Nives Winkler

Questa parte vuole essere una finestra aperta sull’insegnamento della lin-
gua e cultura italiana in Germania, sulle istituzioni, italiane e tedesche pre-
poste allo scopo, sul sistema scolastico tedesco, su come candidarsi e quali i
requisiti richiesti, sulle leggi e normative, italiane e tedesche, che disciplina-
no l’insegnamento all’estero.

ti.
va
1. i compiti dell’Ufficio Culturale dell’ambasciata di Berlino per la

er
promozione e diffusione della lingua e cultura italiana

ris
L’Ufficio Culturale dell’Ambasciata di Berlino si prende cura delle rela-
zioni culturali italo-tedesche:1
tti
iri
- intrattiene i rapporti con le Autorità tedesche centrali e periferiche per
id

l’applicazione dell’Accordo culturale italo-tedesco, firmato a Bonn l’8


ti

febbraio 1956, e per l’attuazione dei programmi previsti dal Protocollo


ut

esecutivo, firmato a Roma il 25 novembre 1993; tra questi sono da men-


.T

zionare: gli scambi di docenti universitari, gli scambi scolastici e gli scam-
re

bi giovanili, l’assegnazione delle borse di studio messe a disposizione dal


ito

Governo italiano per studenti liceali, universitari e per dottorandi, l’orga-


ed

nizzazione di corsi estivi di perfezionamento per insegnanti dei due Paesi;


ci

- svolge un’azione di coordinamento verso gli Istituti Italiani di Cultura


c

in Germania sia nell’ambito culturale sia in quello dell’insegnamento


na

linguistico;
Bo

- promuove la diffusione della lingua italiana a livello scolastico e acca-


©

demico, mediante gli opportuni contatti con le Autorità dei Länder e le


Università;
- favorisce la cooperazione universitaria, promovendo iniziative accade-
miche, scambi di visite, accordi tra gli Atenei italiani e tedeschi e tra
questi ultimi e gli Istituti di Cultura.
Dal sito http://www.botschaft-italien.de dell’Ambasciata di Berlino

1
Informazioni tratte dal sito http://www.botschaft-italien.de

362
abbiamo tratto questa statistica dell’ottobre 2002 che può dare un’idea del
numero di studenti di italiano in Germania:

Allievi nelle scuole 30.412


Studenti all’università 5.224
Allievi negli Istituti di Cultura 5.134
Allievi nelle università popolari 193.872
TOTALE 234.642

Questo dato così rilevante, 234.642 studenti di ogni ordine e grado che

ti.
frequentano i corsi di italiano e un ventaglio di strutture così variegato del

va
“dove imparano”, ci porta a voler specificare meglio cosa si intende per

er
“Allievi nelle scuole”, ovvero popolazione della fascia scolastica dell’obbligo

ris
(30.412 utenti).

tti
iri
2. Panorama del sistema scolastico tedesco
id

In materia d’istruzione, i sedici Länder tedeschi godono di una totale auto-


ti
ut

nomia, tuttavia, l’attenzione per il riconoscimento reciproco dei titoli di stu-


.T

dio e la mobilità degli insegnanti, ha portato a scelte largamente convergenti.


re

2.3 Il primo ciclo (Grundschule)


ito
ed

La scuola dell’obbligo comprende due cicli: il primo ciclo (Grundschule)


inizia a 6 anni e dura dai 4 ai 6 anni (fine del I ciclo). Nelle Grundschulen vi
ci

è, a partire dal terzo anno scolastico, la possibilità di apprendere una prima


c
na

lingua straniera (di norma l’inglese).


Bo

2.2 Il secondo ciclo (Sekundarstufe I)


©

Esistono diversi tipi di scuole a livello di scuola secondaria di primo grado


cui è possibile accedere al termine della Grundschule. Nella maggior parte
dei Länder queste opzioni sono rappresentate dalla Hauptschule, la
Realschule, il Gymnasium e la Gesamtschule.

363
Berufliche Abschlüsse / Allgemeine Allgemeine Hochschulreife
Hochschulreife

Sekundarstufe II
Fachhochschulreife Fachhochschulreife
Gymnasiale
Berufskolleg
Oberstufe

Sekundarabschluss / Fachberschulreife
Hauptschulabschluss nach Klasse 9

Sekundarstufe I
Hauptschule Realschule Gymnasium Gesamtschule

ti.
Sonderschule

va
er
Erprobungsstufe

ris

Primarstufe
Grundschule tti
iri
id
ti

Legenda:
ut

La Grundschule corrisponde alla nostra scuola elementare.


.T

La Hauptschule, corrisponde alla licenza di una scuola di avviamento al lavoro.


La Realschule corrisponde alla licenza di una scuola di avviamento commerciale, ma con-
re

sente l’accesso a tipi di scuole in cui è possibile acquisire il diploma di maturità che apre
ito

la strada agli studi universitari.


ed

Il Gymnasium di cui gli ultimi 3 anni sono chiamati Oberstufe, ovvero superiori, corri-
sponde al nostro tipo di scuola secondaria, il cui diploma di maturità dà accesso a tutti
ci

i tipi di università.
c

La Gesamtschule dalla 1a alla 10a classe, è un tipo di scuola comprensiva che riunisce in sé
na

le caratteristiche degli altri tipi di scuola secondarie.


Bo

La Berufskolleg, dopo una licenza di 10a classe, è un tipo di scuola professionale superiore.
La Sonderschule è una scuola differenziale per alunni con difficoltà di apprendimento.
©

Primarstufe è una scuola di livello elementare, (dalla 1a alla 4a classe).


Einprobungstufe sono 2 anni di orientamento scolastico (5/6a classe).
Sekundarstufe 1.è la scuola di livello superiore 1, (dalla 5a alla 9a e/o 10a classe).
Sekundarstufe 2.è la scuola di livello superiore 2, (dalla 10a alla 13a classe).
Sekundarabschluss1.è la licenza di scuola media.
Fachoberschulreife: è una licenza intermedia dopo la 10a classe che permette la continua-
zione degli studi fino alla maturità.
Fachochschulreife è un diploma di specializzazione tecnica/professionale.
Berufliche Abschlüsse è un diploma di maturità professionale.
Allgemaine Hochschulreife è un diploma di maturità ginnasiale.

364
- Nella Hauptschule (formazione professionale) è offerto l’insegnamento
di una prima lingua straniera, di norma l’inglese;
- nella Realschule (termina con la licenza che permette di accedere a
scuole di specializzazione oppure di effettuare il passaggio al livello
superiore: i tre anni finali del Gymnasium), oltre alla lingua straniera
obbligatoria, è offerta quale materia facoltativa una seconda lingua, di
norma il francese;
- nella Gesamtschule (scuola integrata che si compone di alcuni corsi
comuni per la maggior parte delle materie e di altri specifici per l’ap-
profondimento) spesso viene offerta una formazione bilingue (tede-
sco/italiano, tedesco/francese, tedesco/turco, tedesco/spagnolo);
- nel Gymnasium (si conclude con la maturità e permette l’accesso all’u-

ti.
va
niversità) sono obbligatorie due lingue straniere (a volte una di queste
lingue è l’italiano). Anche questo tipo di scuole offre sezioni bilingui,

er
ris
come ad esempio il “Montessori-Gymnasium” di Colonia, che offre l’i-
taliano come seconda lingua straniera a partire dalla 7a classe, permet-
tti
tendo così alla fine della 13a il conseguimento della maturità bilingue.
iri
Osservando il grafico alla pagina successiva si vede che, oltre all’inse-
id

gnamento linguistico, viene usata la lingua italiana come lingua veicola-


ti

re per la storia e la geografia. L’insegnamento dell’italiano è fornito


ut
.T

anche a studenti del Gymnasium che non frequentano la sezione bilin-


gue, come seconda o terza lingua straniera. In questo caso esso viene
re

avviato a partire dalla classe 11a (Oberstufe - ciclo superiore) nella


ito

quale, chi lo desidera, può sceglierlo come Leistungskurs (materia fon-


ed

damentale - 5 ore di insegnamento settimanali) o Grundkurs (materia


ci

secondaria - 3 ore di insegnamento settimanali).


c
na

L’insegnamento dell’italiano e delle altre discipline insegnate in lingua ita-


liana (lingua veicolare) quasi sempre è affidato a personale di ruolo tedesco.
Bo

Dal 1999 a questo personale è stato affiancato un insegnante di ruolo italia-


©

no comandato tramite il MAE. Al Gymnasium è assegnato annualmente un


assistente di madrelingua italiana (di norma un/una giovane laureato/a in
Lingua e Letteratura tedesca presso un’università italiana).

365
ti.
va
er
ris
tti
iri
id

2.3 Verso le scuole bilingui


ti
ut

Esistono, e stanno diffondendosi, sezioni bilingui a partire dalle elemen-


.T

tari, come la Scuola elementare “Zuweg” di Colonia, che a partire dall’anno


re

scolastico 2001/2002 offre una classe bilingue italo/tedesca. La classe ospita


ito

22 bambini la cui componente è 1/3 di origine italiana, 1/3 di bimbi tedeschi


ed

e 1/3 appartiene a famiglie miste. La classe ha due maestre che agiscono in


Team-Teaching: una tedesca con contratto statale(di ruolo), l’altra italiana,
ci

con contratto Angestelltenvertrag, cioè contratto d’impiego con il Land


c
na

Nordreno/Westfalia.
Bo

Si ha apprendimento bilingue (italiano-tedesco), anche nella scuola ele-


mentare “Meinolfschule” di Hagen, dove operano due insegnanti italiane,
©

una inviata dal MAE e l’altra lavora con incarico d’insegnamento nel
Nordreno-Westfalia, senza che ció comporti l’instaurazione di un rapporto
di lavoro con il Land. Tale pratica d’insegnamento non conferisce alcun dirit-
to all’assunzione da parte del Land.
Scuole con sezioni bilingui si trovano anche ad Amburgo, Francoforte,
Friburgo, Stoccarda.
Altri esempi di scuole bilingui accompagnano gli studenti fino alla matu-
rità: la Gesamtschule bilingue di Wolfsburg (http://www.ddhannover.de) in

366
Bassa Sassonia, in cui alcuni insegnanti italiani operano insieme a colleghi
tedeschi, a pari condizioni (Gleichstellung), altri sono inviati dal MAE oppu-
re hanno contratto di lavoro con il Land.
Alcuni indirizzi bilingui esistono anche in scuole italiane nel Nord-Reno-
Westfalia: la Gesamtschule “Papa Giovanni XXIII” di Stommeln, ha iniziato
la sua attività come Scuola media italiana (unica possibilità di terminare la
scuola dell’obbligo per quei ragazzi italiani che arrivavano nel Nord-Reno-
Westfalia senza aver concluso le medie e, naturalmente, senza la conoscenza
della lingua tedesca) ed è diventata poi una Gesamtschule bilingue. Ora è
diretta da due presidi, uno tedesco e l’altro italiano. Tutti gli insegnanti ita-
liani, escluso uno con mandato italiano (MAE), hanno un contratto di lavo-
ro con l’amministrazione tedesca, mediato dall’Arcivescovado di Colonia.

ti.
A Colonia esiste da molti anni il liceo parificato “Italo Svevo”, la cui dire-

va
zione è affidata ad un preside italiano che sta per trasformare (entro il 2004)

er
questo Istituto, dotandolo anche di una struttura pari alla Gesamtschule,

ris
quindi offrendo una sezione bilingue, iniziando già dalla 5 a classe, che porti
contemporaneamente alla maturità tenica e linguistica. Interessante il model-
tti
iri
lo di insegnamento della lingua italiana che verrà adottato:
id

5a classe 5 ore di lingua italiana


ti

2 ore come lingua veicolare nello sport e nel disegno


ut
.T

6a classe 5 ore di lingua italiana


2 ore come lingua veicolare nello sport e nel disegno
re

1 ora di vocabolario geografico


ito

7a classe 5 ore di lingua italiana


ed

2 ore come lingua veicolare nello sport, nel disegno e


nella geografia
ci

1 ora di vocabolario storico


c
na

8a classe 5 ore di lingua italiana


2 ore come lingua veicolare nello sport, nel disegno e
Bo

nella geografia
©

1 ora di vocabolario storico


1 ora di vocabolario economico
10a classe 5 ore di lingua italiana
2 ore come lingua veicolare nello sport, nel disegno e
nella geografia
1 ora di vocabolario storico
3 ore di vocabolario economico
Dall’11a alla 13a classe si seguono i due indirizzi che si concluderanno con
la maturità tecnica o linguistica

367
Tutti gli insegnanti dell’“Italo Svevo” devono essere madrelingua italiani
e bilingui, sono assunti dall’Ente gestore in accordo con le autorità tedesche.

3. Quale lingua, in quali istituzioni?


Ora che ne sappiamo un po’ di più sul panorama scolastico dell’obbligo,
vediamo di esplorare come vengono selezionati, quali sono i requisiti che
devono avere i docenti che insegnano la lingua italiana e in quale forma essa
viene insegnata.
Il primo passo da fare è sempre quello di recarsi presso il Consolato della
città in cui si vuole insegnare. Ogni Consolato ha un apposito “Ufficio scuo-
le” in cui si possono avere indicazioni sulla situazione scolastica e sulle isti-

ti.
tuzioni presenti in loco. L’Ufficio scuole collabora strettamente con i vari

va
Schulämter (Provveditorati scolastici), con gli Istituti di Cultura, che secon-

er
do lo spirito della legge che ne indirizza l’intervento, promuovono e diffon-

ris
dono la cultura e la lingua italiana negli Stati dove hanno sede avvalendosi di
una propria autonomia operativa e finanziaria, fermo restando un quadro di
tti
obblighi istituzionali, con enti gestori, tipo COASSCIT (Comitato assistenza
iri
id
scolastica italiana) i quali istituiscono coordinano e finanziano anche corsi di
sostegno per bambini italiani con difficoltà nella scuola tedesca.
ti
ut
.T

3.1 Corsi di lingua e cultura per gli italiani all’estero


re

La Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie


ito

attua, in base al Decreto legislativo 297 del 1994 che ha recepito la legge 153
ed

del 1971, un importante intervento linguistico-culturale a favore delle nostre


collettività all’estero, di natura complessa e dinamica (vedi il capitolo di
ci

Vassilli in questo volume). Nel 1999 sono state realizzate attività scolastiche
c
na

e di assistenza scolastica in 42 Paesi, con l’impiego di 7.046 docenti, a bene-


Bo

ficio di più di 483.000 utenti. Tali attività sono finanziate mediante uno stan-
ziamento nazionale cui si aggiunge, per i Paesi membri, un contributo
©

dell’Unione Europea grazie al “ Programma formazione italiani all’estero”.


La normativa si prefigge il duplice scopo di consentire il mantenimento
dei legami linguistico-culturali con l’Italia da parte delle collettività italiane e
di origine italiana all’estero e nel contempo di facilitarne l’integrazione nei
Paesi di accoglienza.
Le forme d’intervento sono:
- corsi di lingua e cultura generale italiana, sia extra-scolastici che inte-
grati nei sistemi scolastici locali;

368
- istituzione di classi o corsi “di sostegno”, per agevolare l’inserimento di
alunni italiani e di origine italiana nelle scuole dei paesi di insediamento;
- istituzione di corsi speciali annuali per la preparazione agli esami di ido-
neità e di licenza di scuola italiana elementare e media;
Le attività linguistico-culturali vengono realizzate tramite il ricorso ad
enti gestori locali di diritto privato che ricevono contributi dal Ministero
Affari Esteri in denaro, materiale didattico e supporto alle attività per la for-
mazione dei docenti. Tali enti accettano peraltro il coordinamento e la super-
visione del Ministero degli Esteri, che impartisce direttive ed effettua il
monitoraggio di tutte le attività, direttamente ed attraverso i Consoli che
svolgono per legge funzioni di Provveditore agli Studi, sia per l’aspetto finan-
ziario che sotto il profilo della efficacia pedagogico-didattica. Particolare

ti.
impulso è stato dato, negli ultimi anni, alle attività di formazione dei docen-

va
ti locali, che oggi vengono svolte con regolare frequenza da enti formatori

er
specializzati con uso di tecnologie avanzate che consentono un aggiorna-

ris
mento continuo.
tti
iri
Ecco la procedura per la candidatura ed un incarico d’insegnamento
id

presso i Corsi di lingua e cultura italiana nelle scuole pubbliche del Land
ti

Nordreno/Westfalia:
ut
.T

1. I corsi di lingua e cultura italiana (in tedesco Muttersprachlicher


Unterricht) sono gestiti direttamente dalla Amministrazione scolastica
re

tedesca (Schulamt), che provvede anche alla assunzione del personale


ito

docente italiano di livello elementare e medio, il quale ha un rapporto


ed

d’impiego con il Land Nordreno-Westfalia.


ci

2. Nella misura in cui uno dei posti occupati si renda vacante (a seguito
c
na

di cessazione o assenza prolungata dal servizio del titolare), le Autorità


tedesche procedono alla sostituzione del titolare, previa consultazione
Bo

della Rappresentanza consolare. Quest’ultima, tramite il suo Ufficio


©

scolastico, provvede alla trasmissione di un elenco dei/delle potenzia-


li candidati/e, i/le quali siano in possesso dei requisiti richiesti, nonché
immediatamente reperibili e disposti ad accettare l’incarico. Questi
ultimi vengono infine convocati dall’Ispettore scolastico tedesco
(Schulrat) per il colloquio di selezione.
3. L’insegnante prescelto/a dall’Amministrazione tedesca viene assunto/a
dal Land Nordreno/Westfalia con contratto d’impiego
(Angestelltenverhältnis), inizialmente per la durata di un anno scola-
stico (compreso il periodo di prova di tre mesi). La retribuzione è fis-

369
sata secondo il Bundeasangestelltentarif, nella categoria BAT 5 per i
diplomati e BAT 4 per i laureati. Va precisato che il servizio prestato
presso queste istituzioni scolastiche non dà diritto a punteggio per la
partecipazione ad eventuali concorsi in Italia.
4. L’insegnamento dell’italiano come lingua materna è offerto dalla scuo-
la pubblica tedesca, in genere, al pomeriggio in Schwerpunktschulen
(scuole logisticamente favorevoli) presso le quali sono raccolti alunni
italiani provenienti da più scuole e classi (dalla I alla X classe). I grup-
pi sono composti da almeno 10 alunni (in media, sui 15 alunni) e rice-
vono ciascuno da 3 a 5 ore d’insegnamento settimanale. Il servizio di
ogni insegnante si distribuisce, generalmente, su quattro o cinque sedi
scolastiche della medesima circoscrizione (Bezirk), con un orario d’in-

ti.
segnamento settimanale di 28 ore lezione di 45 minuti.

va
La situazione degli insegnanti di lingua materna, (Muttersprachlicher

er
Unterricht) è in questo momento complessa, in seguito ai risultati del

ris
”Progetto OCSE/PISA/CC”2, che sono stati piuttosto disastrosi, per la scuo-
tti
la tedesca ed in particolare per alunni migranti, a cui si imputa la poca cono-
iri
scenza di entrambe le lingue, quella di origine e quella tedesca.
id

I vari governi regionali (Landesregierung) hanno preso una serie di inizia-


ti

tive allo scopo di promuovere e/o rafforzare le conoscenze della lingua tede-
ut

sca, tra le quali spicca la proposta di ridurre drasticamente e immediata-


.T

mente i corsi di lingua d’origine (450 posti solo nel Nordreno-Westfalia), a


re

favore di corsi di sostegno per il tedesco, proseguendo poi a scalare fino alla
ito

chiusura totale dei corsi MSU (Muttersprachlicher Unterricht). Questo signi-


ed

fica che se, nei prossimi anni, un insegnante lascia il proprio posto (per
ci

malattia, pensionamento, gravidanza, trasferimento ecc…) non verrà sosti-


c

tuito, indipendentemente dal numero degli alunni iscritti. Se questa propo-


na

sta verrà approvata, molti alunni non avranno più la possibilità di frequenta-
Bo

re i corsi nella loro madrelingua. Questo provvedimento è già stato attuato


nella regione dell’Assia.
©

Anche economicamente la situazione degli insegnanti di lingua materna


non è delle più favorevoli. Lo stipendio di tutti gli insegnanti viene stabilito in
base a due criteri: le qualifiche (il numero di materie al cui insegnamento essi
sono abilitati) e il numero di materie effettivamente insegnate. Dato che gli
insegnanti di lingua materna insegnano solamente una materia, sono pagati
meno di quelli che insegnano due o più materie. La diversità di trattamento
2
Indagine Internazionale sulle competenze cross-curricolari degli studenti di 15 anni (International
Programme for Student Assessment on Cross-Curricular Competencies), 2000, http://www.pisa.oecd.org/

370
tra gli insegnanti di lingua materna e gli altri (cittadini tedeschi o meno) si
basa quindi su criteri indipendenti dalla nazionalità e come tale la
Commissione Europea non la ritiene in contrasto con la normativa comunita-
ria. Se un insegnante di lingua materna è pienamente abilitato nel suo paese
di provenienza a insegnare più di una materia, egli soddisfa uno dei due cri-
teri stabiliti dalle autorità del Land Assia ed è collocato al livello retributivo
appropriato. La Commissione ritiene che il riconoscimento delle qualifiche
professionali degli insegnanti di lingua materna di altri Stati membri non
modifica il fatto che essi insegnano una sola materia e sono quindi collocati a
un livello retributivo inferiore rispetto agli insegnanti (di qualsiasi nazionalità)
che insegnano più di una materia. La Commissione Europea sottolinea che gli
insegnanti di lingua materna non hanno bisogno di un riconoscimento for-

ti.
male della loro qualifica da parte delle autorità tedesche per poter insegnare.

va
er
3.2 Scuole tedesche

ris
La formazione e l’abilitazione all’insegnamento dei docenti nel Land
tti
NRW è regolata dal Gesetz über die Ausbildung für Lehrämter an offentlichen
iri
Schulen (LABG) del 23.6.1989. La predetta legge statuisce i seguenti pre-
id

supposti per accedere a posti d’insegnamento di ruolo:


ti

1. completamento di un ciclo di studi accademico, rapportato al tipo di


ut

scuola a cui si desidera accedere: 3 anni accademici per il livello pri-


.T

mario, 3 anni accademici per il livello secondario di I grado, 4 anni


re

accademici per il livello secondario di II grado. II piano di studi rela-


ito

tivo alla scuola primaria prevede come materie fondamentali: scienze


ed

dell’educazione, tedesco, matematica e un’altra materia a scelta; quel-


ci

lo relativo alla scuola secondaria prevede: scienze dell’educazione e


c

specializzazione in due materie comprese nei curricoli della scuola;


na

2. superamento di un esame di stato (Erste Staatsprüfung) al termine della


Bo

precitata formazione universitaria, consistente in due prove scritte ed


©

una orale riferite alle materie studiate nella corso di studi universitari;
3. espletamento di un periodo di tirocinio (Vorbereitungsdienst) della
durata di due anni successivo all’esame di stato, consistente in una
parte teorica - da assolversi presso uno Studienseminar – ed una parte
pratica (Referendariat), da assolversi in una scuola del tipo corrispon-
dente a quella dell’abilitazione a cui si aspira;
4. superamento di un secondo esame di stato (Zweite Staatsprüfung),
consistente in un esame scritto, uno orale ed una esercitazione pratica
(Unterrichtssprobe). Al termine del curricolo formativo, il candidato

371
consegue l’abilitazione all’insegnamento (Lehrbefähigung) e può con-
correre all’assegnazione di un posto nella scuola pubblica senza ulte-
riori prove di selezione.
Con Ordinanza del 21.5.1991, modificata dall’Ordinanza 26.5.1994, il
Govemo del Land, recependo la Direttiva della Comunità Europea del
21.12.1988, ha ammesso la possibilità di riconoscimento dei diplomi conse-
guiti nei Paesi membri alle condizioni seguenti:
a. curricolo accademico di almeno un triennio
b. conoscenza della lingua tedesca (accertata attraverso un “colloquio”
presso lo Staatliches Prüfungsamt für Erste Staatsprüfung);
c. abilitazione all’insegnamento di almeno due materie.

ti.
La relativa istanza va rivolta al Ministero dell’lstruzione del Land

va
(Ministerium für Schule und Weiterbildung) entro il 15 ottobre di ogni anno.

er
Eventuali carenze dei suddetti presupposti possono essere integrate attra-

ris
verso la frequenza di appositi corsi (Anpassungslehrgänge) o esami
(Eignungsprüfungen).
tti
I requisiti per l’assunzione da parte tedesca sono:
iri
id

1. possesso del titolo di studio che abilita all’insegnamento dell’italiano


nelle scuole del grado primario e secondario di primo grado; di rego-
ti
ut

la, vengono accettati i diplomi di laurea in Lettere o in Lingue stranie-


.T

re (quest’ultimo deve però comprendere almeno due esami di italiano)


re

e/o il diploma di abilitazione magistrale;


ito

2. esperienze d’insegnamento;
ed

3. conoscenza della lingua tedesca, in misura tale da consentire la colla-


ci

borazione con i docenti tedeschi, la comprensione delle Direttive e dei


c

Programmi d’insegnamento e l’applicazione dei principi didattico-


na

metodologici della scuola tedesca nella prassi d’insegnamento della


Bo

lingua materna. Si sottolinea il requisito della competenza nella lingua


©

tedesca, perché esso è spesso sottovalutato dai candidati, mentre viene


invece scrupolosamente verificato dalle Autorità tedesche al momento
del colloquio per la selezione dei/delle candidati/e;
4. permesso di soggiorno in Germania (Aufenthaltserlaubnis) ovvero
possesso dei presupposti giuridici per ottenerlo. L’ottenimento del
permesso di soggiorno non presenta problemi per i/le candidati/e ita-
liani/e. Importante è però che il/la candidato/a si dichiari disposto/a a
trasferire la propria abitazione nei pressi della sede di servizio.

372
3.3 Scuole italiane all’estero e Scuole Europee
Con il Decreto del 1992 sull‘approccio Begegnung mit Sprachen (incontro
con le lingue) il Ministero dell’Istruzione del Land Nordreno-Westfalia ha inte-
so sensibilizzare insegnanti, alunni e, possibilmente, anche genitori nei con-
fronti delle lingue straniere presenti nelle realtà scolastiche di numerose città
tedesche. Con successivi accordi fra i Consolati di Colonia e Dortmund e le
Autorità scolastiche del Land, nell’anno 1996 veniva attivato un progetto
triennale (1996-1999) mirato alla formazione e all’aggiornamento di insegnan-
ti della scuola elementare tedesca nella lingua e nella didattica dell’italiano
come „lingua d’incontro“ che prevedeva la collaborazione fra le due
Amministrazioni avente per obiettivo Förderung der Begegnung mit der italie-
nischen Sprache in den Grundschulen des Landes Nordrhein-Westfalen (promo-

ti.
zione dell’incontro con la lingua italiana nelle scuole elementari del Land

va
NRW). Ai bambini nella scuola veniva/viene offerta la possibilità di “incontra-

er
re” altre lingue straniere tra cui l’italiano. Se nella scuola o classe ci sono bam-

ris
bini di altre lingue materne, si cerca di privilegiarle. Naturalmente questo
tti
“incontro” avviene in forma ludica e tende a risvegliare nel bambino la curio-
iri
sità di sapere “come si dice in….” altra lingua. Di norma questo insegnamen-
id

to viene impartito da un insegnante tedesco che abbia conoscenza della lingua


ti

d’incontro.
ut

Il progetto, valido tutt’ora, si estende all’intero Land Nordreno-Westfalia e


.T

coinvolge pertanto le circoscrizioni consolari di Colonia (competente per le


re

Province di Düsseldorf e Colonia) e Dortmund (competente per le Province di


ito

Arnsberg, Detmold e Münster).


ed

Scopo ultimo del progetto è quello di ancorare l’insegnamento della lingua


ci

italiana nell’ordinamento scolastico, collocandolo con pari dignità accanto ad


c

altre lingue europee già presenti nella scuola tedesca (inglese, francese, ecc.).
na
Bo

3.4 Lettori italiani presso Università straniere


©

L’Autorità tedesca che gestisce lo scambio di assistenti è il Sekretariat der


Standigen Konferenz der Kultus Minister der Lander in der Bundesrepublik
Deutschland - Padagogischer Austauschdienst Nassestr. 8 - Postfach 2240,D-
53102 Bonn.
Concludo questo capitolo con una considerazione personale: quanto fin
qui scritto si riferisce a procedure che seguono l’iter regolare per le assun-
zioni. Spesso esiste, parallelamente a questo, un percorso alternativo che può
essere determinato da urgenze che vengono coperte e/o gestite, direttamen-
te da istituzioni locali.

373
riferimenti bibliografici accessibili in rete
http://www.11maggio.de
http://www.botschaft-italien.de
http://welcome.to/uff.scuola.dortmund
http://www.pisa.oecd.org/
http://www.ddhannover.de
http://www.eursc.org
http://www.europeanschool.nl/100/Italiaans/Secties/b.html

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

374
Capitolo 30
itaLiano Ls aLL’institUto sUPerior
deL Profesorado
“JoaQUÍn V. gonZÁLeZ” di BUenos aires
María Emilia Pandolfi

Capire che aumenta l’interesse per l’italiano nel proprio Paese è qualcosa
che entusiasma e rende ottimisti. L’entusiasmo e l’ottimismo tuttavia sono
seguiti dalla consapevolezza che la diffusione dell’italiano non sarà mai pro-
ficua se non ci saranno insegnanti idonei che riescano a trasmetterlo con pro-

ti.
fessionalità.

va
Compito chiave quindi, in questa catena della promozione dell’italiano, è

er
quello della formazione di formatori d’italiano nel cui operato risiede buona

ris
parte della responsabilità.

tti
iri
1. il Profesorado d’italiano
id

A Buenos Aires, l’Instituto Superior del Profesorado “Joaquín V.


ti

González”, istituzione storica, è sede di formazione di insegnanti che si inse-


ut

riscono poi nelle scuole elementari, medie e superiori.


.T

Questa istituzione nasce un centinaio di anni fa sullo stampo di una strut-


re

tura educativa tedesca di grande prestigio in Europa, avente appunto il com-


ito

pito specifico di formare formatori.


ed

Il Profesorado possiede una complessa articolazione di ben 14 corsi di lau-


ci

rea tra i quali vogliamo particolarmente illustrare, in questa sede, quello del
c

Profesorado d’Italiano.
na

Si tratta di un’istituzione pari all’università che, tuttavia, non viene detta


Bo

“universitaria” perché
©

- dipende amministrativamente dalla Secretaría de Educación del


Governo della Città di Buenos Aires;
- è stata creata con uno scopo molto preciso e specialistico che è quello
della formazione di formatori; mentre l’università prepara specialisti in
una determinata disciplina, l’Istituto del Profesorado pone i contenuti
disciplinari sotto l’ottica della pedagogia, e la ricerca si circoscrive
all’ambito dell’insegnamento e a studi di campo in detto settore.

375
Cosí, per esempio, nel Dipartimento di Italianistica, il lavoro verte tanto
sulla conoscenza delle singole discipline insegnate (quali grammatica, foneti-
ca, letteratura, ecc.), quanto sulla trasposizione didattica dei contenuti di
dette discipline facendo sí che, per esempio, la grammatica, oltre a essere una
disciplina a sé, diventi anche una grammatica pedagogica, la fonetica, una
fonetica pedagogica e cosí via.

2. La domanda d’italiano
È noto che, da alcuni anni, si sta verificando in modo generale una gran-
de richiesta di italiano in Argentina dovuta a svariate motivazioni; la conse-
guenza è un vistoso aumento dei corsi di italiano in tutte le istituzioni che si

ti.
interessano dell’insegnamento dell’italiano come lingua straniera.

va
Anche la scuola ha seguito questo recente entusiasmo e ha dato una rispo-

er
sta, se non esauriente, alquanto soddisfacente nei confronti di questa doman-

ris
da d’italiano.
Infatti, negli ultimi anni, il governo delle Città di Buenos Aires, a livello
tti
educativo-scolastico, ha messo in atto una politica plurilingue che comporta
iri
id
una valorizzazione delle lingue straniere soprattutto delle comunità di mag-
gior presenza nel paese. L’italiano è stato considerato la lingua di una delle
ti
ut

comunità numerosamente piú significative. Questa constatazione ha motiva-


.T

to da una parte l’apertura di parecchi corsi di italiano come materia currico-


lare nelle scuole sin dai primi livelli e, dall’altra, l’implementazione del cosid-
re

detto “Progetto di bilinguismo” nella scuola pubblica che prevede un consi-


ito

derevole numero di ore settimanali di italiano sin dalla prima classe a carico
ed

di insegnanti appositamente preparati per detto progetto e specializzati in


ci

glottodidattica dell’italiano a bambini.


c
na

Buona parte di questa domanda d’Italiano è stata affrontata dal


Profesorado d’Italiano il quale ha dimostrato, soprattutto negli ultimi anni,
Bo

un crescente dinamismo di pari passo con questa nuova richiesta educativa


©

che comporta naturalmente la preparazione di insegnanti di italiano idonei,


competenti non solo dal punto di vista linguistico ma anche e soprattutto a
livello metodologico.

3. il corso di laurea
L’attuale corso di laurea è articolato in ben 27 materie annuali distribuite
in tre grandi aree disciplinari: area linguistica, area culturale e area metodo-
logica e un intensivo tirocinio negli ultimi due anni della preparazione.

376
Sette delle materie del piano sono in spagnolo e sono comuni agli altri
dipartimenti di formazione: Filosofia, Espressione orale e scritta dello
Spagnolo, Conduzione dell’apprendimento, Teoria dell’educazione,
Psicologia dell’età evolutiva, Storia sociale dell’educazione, Istruzione civica.
Le altre sono le materie specialistiche che vengono insegnate in italiano:
Lingua I, II, III e IV, Grammatica I e II, Fonetica e Dizione, Storia I, II e III,
Letteratura I, II, III e IV, Latino I e II, Storia della lingua e Metodologia I e II.
In questo momento è in atto un progetto di riforma del piano curricolare
dell’attuale corso di laurea che prevede l’anticipo della pratica docente alle
prime fasi dell’iter di studio in modo che i corsisti abbiano l’esperienza del
tirocinio sin dal primo anno, possano mettere a confronto in modo costante
e sistematico il piano teorico della loro preparazione con quello pratico e

ti.
siano avvezzi alla riflessione sulla prassi scolastica.

va
er
4. il profilo dell’alunno

ris
L’allievo che arriva al Profesorado deve possedere un livello di lingua
tti
alquanto solido equivalente perlomeno a un CILS 3, dato che poi dovrà
iri
id
affrontare tutto il suo studio in italiano.
Gli alunni che riceviamo sono di svariate provenienze. Molti sono della
ti
ut

città di Buenos Aires ma un numero considerevole arriva da località distanti


.T

anche di parecchi chilometri nella provincia di Buenos Aires. Nonostante gli


inconvenienti che comporta il fatto di venire da lontano, molti lo fanno con-
re

vinti del prestigio che vanta questa istituzione, la sola che prepara insegnan-
ito

ti nell’ambito pubblico ufficiale in modo completamente gratuito.


ed

In questo momento i corsisti d’italiano sono un centinaio.


ci

È nostro interesse formare un alunno con una solida preparazione lingui-


c
na

stica, con un’ampia conoscenza culturale, ma allo stesso tempo con stru-
menti molto concreti per:
Bo

- riportare in aula i contenuti appresi;


©

- costruire percorsi di apprendimento a seconda dei bisogni degli allievi;


- gestire le lezioni rispettando i tempi di apprendimento degli allievi;
- sfruttare le glottotecnologie.
Questo è il profilo di alunno su cui si lavora e tutto il piano curricolare è
finalizzato a questo obiettivo.

377
5. La selezione degli insegnanti
L’insegnante che si volesse inserire nello staff del Profesorado di italiano
deve avere la laurea del Profesorado o dell’università e deve preferibilmente
aver fatto una specializzazione nella disciplina che intende insegnare o un
master in un’università argentina o straniera. L’accesso avviene tramite con-
corso pubblico.
Durante detti concorsi, i candidati presentano alla giuria appositamente
nominata i loro CV e un progetto di lavoro per la disciplina. Successivamente
tengono una lezione di quaranta minuti davanti a una classe sull’argomento
proposto dalla giuria e, in ultimo, sostengono un colloquio nel quale i can-
didati giustificano i criteri del progetto da loro presentato ed espongono le
linee di lavoro e l’impianto metodologico che intendono seguire qualora fos-

ti.
sero incaricati della cattedra.

va
er
ris
6. Proposte extracurricolari

tti
Il Profesorado possiede inoltre un’attiva proposta extracurricolare di
iri
seminari di aggiornamento, corsi di lettura aperti alla comunità e laboratori
id

vari per alunni delle ultime classi e ex-alunni. Cosí per esempio, da un paio
ti

d’anni, il laboratorio di Fonetica è stata un’iniziativa accolta con grande


ut

entusiasmo, perché finalizzata a mantenere un buon livello di pronuncia


.T

negli studenti e a superare problemi di fossilizzazione.


re

È a disposizione di insegnanti e alunni il computer per lo sfruttamento di


ito

materiale multimediale e la biblioteca alquanto fornita che l’ambasciata dota


ed

di numerosi e aggiornati volumi in base alle richieste che gli insegnanti inol-
trano.
c ci
na

7. Conclusioni
Bo

La crescente domanda di italiano, non solo da parte del cittadino medio


©

ma anche nell’ambito accademico-intellettuale, le motivazioni di molti gio-


vani che vedono nell’italiano un potenziale sbocco nel mondo del lavoro ci
rende ottimisti nei riguardi della crescita della nostra proposta educativa e ci
crea il dovere di essere aggiornati e offrire un servizio di qualità.

378
Capitolo 31
L’insegnamento deLL’itaLiano Ls
aLL’istitUto itaLiano di CULtUra
di madrid: insieme Per migLiorare
Marilena Da Rold

Negli ultimi anni c’è stata una vera rivoluzione nell’organizzazione dei
corsi di lingua italiana offerti dall’Istituto Italiano di cultura di Madrid, sul
piano didattico, su quello organizzativo e anche sulla composizione del
corpo docenti. Prima i corsi erano annuali, gli insegnanti si coordinavano tra

ti.
di loro più o meno autonomamente, ma non c’era vera e propria unità sul

va
piano metodologico: ciascuno entrava in classe con il proprio metodo

er
d’insegnamento e le proprie tecniche didattiche. Cosa ancor più grave,

ris
alcuni non avevano una formazione specifica nell’insegnamento della LS.
Ora, grazie agli sforzi congiunti di un gruppo di insegnanti, a una seria
tti
coordinazione didattica e non da ultimo, alla volontà del dirigente, gli
iri
id
studenti che accedono ai corsi di italiano trovano degli insegnanti formati o
in formazione secondo una linea comune, che utilizzano e seguono lo stesso
ti
ut

metodo didattico e lavorano insieme per il miglioramento


.T

dell’apprendimento e dell’insegnamento dell’italiano in questa realtà.


In questo capitolo faremo una panoramica su questa realtà, specificando
re

in un primo momento l’organizzazione dei corsi offerti dall’Istituto e


ito

scendendo poi nel dettaglio della realtà della classe con alcune
ed

problematiche legate alla tipologia degli studenti e altre legate


ci

all’insegnamento dell’italiano come LS.


c
na

Premettiamo che all’istituto lavorano tutti insegnanti madrelingua,


assunti tramite concorso che consiste in colloquio nel quale i candidati
Bo

devono didattizzare del materiale autentico, ma con tre tipologie di contratto


©

più o meno favorevoli: contratto a termine, di collaborazione e di formazione


per giovani neolaureati. Nonostante questa divisione contrattuale sembri
non facilitare la collaborazione tra tutti, ciò che vogliamo far risaltare è
proprio l’importanza di creare una sinergia tra tutti gli insegnanti per il
successo dei corsi e il miglioramento dell’apprendimento e
dell’insegnamento, convinti come siamo che l’esperienza da un lato e la
teoria e l’entusiasmo dall’alto possano fare molto.

379
1. La realtà dei corsi
I corsi di lingua italiana per adulti offerti dall’Istituto Italiano di Madrid
si dividono in corsi di lingua generale e corsi speciali. I primi si suddividono
in cinque livelli ulteriormente divisi in moduli di 40 ore ciascuno. I primi tre
livelli sono di 120 ore, composti quindi da tre moduli, mentre il quarto e il
quinto sono di 80 ore (2 moduli); alla fine di ogni modulo gli studenti,
tramite un test, passano a quello successivo e alla fine dell’ultimo modulo del
livello, tramite un altro test che verifica la competenza nelle quattro abilità,
passano al livello successivo e ricevono un certificato con la votazione
ottenuta. Attualmente, i test di passaggio di modulo sono una delle questioni
più dibattute fra gli insegnanti perché molti vedono un divario tra le attività
che si fanno in classe a carattere comunicativo e l’eccessiva attenzione data

ti.
fin dai primi livelli alla morfosintassi nei test; è un tema spinoso perché

va
entrano in gioco questioni non solo didattiche ma anche pratiche e

er
burocratiche che non si è ancora riusciti a risolvere.

ris
I corsi speciali offerti sono di vario tipo: corsi di cultura italiana, di
tti
traduzione, di conversazione, dell’italiano per gli affari, corsi di cucina e
iri
corsi di musica, oltre ai corsi di preparazione alla certificazione
id

dell’Università di Perugia, di Siena e di Roma di cui l’istituto è sede d’esame.


ti

Tutti questi corsi sono di 40 ore e si aprono con un minimo di 6 iscrizioni.


ut

Tutti i corsi, normali o speciali sono bisettimanali con lezioni da due ore
.T

e mezza ciascuna o di quattro ore una volta alla settimana il venerdì o il


re

sabato. I corsi di lingua italiana possono anche essere intensivi, di due ore e
ito

mezza dal lunedì al venerdì o super intensivi (quattro ore al giorno) durante
ed

i mesi estivi.
ci

Infine, per quanto riguarda i gruppi classe, si va da un minimo di cinque


c

studenti a un massimo di quindici, cercando di mantenere nei limiti del


na

possibile il gruppo unito nei passaggi di modulo.


Bo

1.1 Tipologia degli studenti e formazione dei gruppi


©

Gli studenti dell’Istituto sono adulti di ogni fascia d’età, dai 18 ai 70 anni,
interessati alla lingua italiana per diverse ragioni; ragioni di carattere
personale (non è raro il caso di fidanzati o fidanzate italiane o passione per il
nostro Paese, che gli spagnoli vedono molto vicino per clima e carattere al
proprio), ragioni di studio (studenti universitari che vogliono passare un
anno in Italia in uno scambio interuniversitario o che tornano da un corso di
questo tipo), motivi di lavoro (sempre più imprese richiedono, oltre

380
all’inglese, un’altra o altre lingue straniere e in tutte quelle imprese che
lavorano con l’Italia è ben vista la conoscenza della lingua). Non bisogna
dimenticare poi che l’italiano e lo spagnolo sono lingue affini e se un adulto
deve scegliere una lingua straniera in più da studiare, “l’apparente” facilità è
senz’altro un incentivo.
Esiste un grosso malinteso tra italiano e spagnolo non solo sul piano
strettamente linguistico, ma anche su quello culturale: c’è la convinzione che
le due lingue siano praticamente uguali e che il modo di pensare sia lo stesso.
Un malinteso in cui al primo impatto è facile cadere, poi però nascono le
prime incomprensioni di carattere socio-culturale. Sul piano strettamente
linguistico abbiamo degli studenti che alla fine del percorso di studi sono in
grado di comunicare perfettamente in una lingua che non è né italiano né

ti.
spagnolo, ma un ibrido. Uno dei grossi problemi che si trova ad affrontare

va
un insegnante in questo ambito è proprio il fatto che ad un certo livello

er
dell’interlingua l’apprendimento si fermi e lo studente non raggiunga mai la

ris
lingua obiettivo. Le ragioni sono molteplici; solo a titolo d’esempio possiamo
citare la motivazione degli studenti, i pochi contatti con la lingua italiana al
tti
iri
di fuori dei corsi di lingua, i metodi di correzione; non è questa la sede per
id

analizzarle, ma è un dato di fatto con cui l’insegnante LS si deve


quotidianamente confrontare nei livelli medio-alti.
ti
ut

Nella formazione dei gruppi all’atto dell’iscrizione, si cerca di curare


.T

proprio questo aspetto, proponendo allo studente una piccola chiacchierata


re

informale per metterlo a proprio agio e, in base alle sue capacità di


ito

comprensione e produzione orale, un test di livello, recentemente suddiviso


ed

tra livello basso e alto, che cerca di approfondire anche sul pino
morfosintattico e testuale il livello di conoscenza della lingua italiana con
ci

attività di produzione scritta più o meno mirate. Come dicevamo, il test è


c
na

stato recentemente cambiato proprio perché prima era molto generico e


Bo

lasciava al singolo insegnante troppa libertà nell’assegnazione del livello: a


volte per inesperienza dei nuovi insegnanti o per poca accuratezza nella
©

conversazione orale o ancora per preconcetti dovuti al trascorso dello


studente, si erano formati dei gruppi disomogenei che avevano inciso sul
progresso del gruppo stesso.
La formazione di gruppi disomogenei non dipende solo da un test troppo
generico, può dipendere anche dalle competenze degli studenti che possono
essere molto diverse sul piano orale e su quello scritto. Gli studenti Erasmus
o gli studenti che per altri motivi hanno soggiornato a lungo in Italia tornano
con un livello di produzione e comprensione orale e di comprensione scritta

381
molto alti, ma con un livello di produzione scritta basso e con molti errori
sistematici anche nell’orale. Ora, visto che nei corsi si sviluppano tutte e
quattro le abilità, diventa veramente difficile inserirli in un gruppo. A volte
si è riusciti a creare dei gruppi con molti studenti con le stesse caratteristiche
e si sono potute fare attività mirate lavorando con tutta la classe. Più spesso
però l’insegnante deve mediare e dare attività di recupero mirate al singolo
studente, cercando, allo stesso tempo, di tenere alta la sua motivazione anche
nelle attività di comprensione e produzione orale che può trovare troppo
facili o addirittura noiose.

1.3 Il metodo: attenzione all’apprendimento


Come già anticipato, negli ultimi anni la direzione ha deciso di adottare

ti.
un approccio comune in tutti i corsi offerti e si è deciso per l’approccio

va
comunicativo, prediligendo tra gli altri il metodo nozional-funzionale. Per

er
fare questo sono stati uniformati i programmi, cercando di adattarli al

ris
quadro comune europeo di riferimento, sono stati adottati dei libri di testo
tti
comuni per ogni livello e si sono fatti, e si continuano a fare tutti gli anni,
iri
corsi di formazione per insegnanti vecchi e nuovi. Naturalmente non è facile
id

far cambiare metodo di lavoro a persone che usano il metodo tradizionale da


ti

tanti anni, ma i corsi fatti con diversi formatori provenienti dall’Italia e i


ut

miglioramenti ottenuti nel livello linguistico degli studenti grazie alla


.T

predilezione per l’orale, hanno fatto cambiare idea a molti.


re

L’importanza di una linea comune per la nostra realtà non è solo di


ito

principio ma anche di carattere pratico perché gli studenti ad ogni modulo


ed

cambiano insegnante e, nei corsi di quattro ore settimanali o quotidiane, si


alternano due docenti; sarebbe quindi impossibile lasciare ad ognuno la
c ci

totale libertà di programmazione e di uso del materiale. È necessario invece


na

che tutti gli insegnanti collaborino, si informino e interagiscano per portare


Bo

a termine un lavoro il più possibile unitario e completo. Si può pensare che


degli studenti adulti non soffrano i cambiamenti dei docenti come invece
©

succede per i bambini. L’esperienza ci insegna invece che spesso, o per


simpatie personali o per un feeling particolare che si instaura all’interno della
classe, questo passaggio può essere traumatico. Ora, se non si può fare niente
sul lato caratteriale di ciascuna persona, è importante che gli studenti vedano
la continuità sul piano didattico e curricolare e che guardino al cambiamento
come una ricchezza anche in termini linguistici: ogni insegnante madrelingua
porta in classe la sua realtà regionale italiana e per quanto ciascuno cerchi di
correggere la propria lingua per portarla il più vicino possibile a un modello

382
di italiano standard, è impossibile depurarla totalmente. Naturalmente gli
insegnanti stessi devono essere coscienti di questo e farlo notare agli studenti
per dare loro un’immagine dell’Italia il più vicina possibile a quella reale ed
attuale. Dobbiamo ricordarci sempre che nonostante l’Italia sia
relativamente vicina e molti abbiano la possibilità di andarci, rimaniamo, noi
insegnanti, il primo modello di riferimento linguistico e culturale per la
maggior parte di loro.
Un altro problema nell’insegnamento di LS sta proprio nel materiale
usato in classe. I libri di testo abbiamo detto che sono fondamentali per gli
insegnanti per adottare una linea di lavoro comune, ma lo sono anche per lo
studente che in questo modo può usufruire di materiale più o meno
autentico su cui lavorare a casa, non potendolo attingere dalla vita

ti.
quotidiana così facilmente come invece può fare lo studente di italiano L2. I

va
libri di testo però non sono perfetti e molto del materiale che forniscono è

er
superato; gli insegnanti devono quindi integrarlo o sostituirlo aggiornandolo

ris
continuamente tramite Internet, i giornali o la televisione, sempre con lo
scopo di dare agli studenti un’immagine del nostro paese il più veritiera
tti
iri
possibile. Anche per fare questo la collaborazione e la messa in comune del
id

materiale nuovo è fondamentale.


Vogliamo finire questa breve riflessione mettendo l’accento su un altro
ti
ut

problema legato all’insegnamento dell’italiano LS riprendendo quanto detto


.T

prima sull’importanza del modello linguistico presentato in classe. Non è da


re

sottovalutare il fatto che alcuni studenti al di fuori delle cinque o quattro ore
ito

settimanali di lezione abbiano pochissimi contatti reali con la lingua italiana,


ed

nonostante quasi tutti abbiano la possibilità di navigare in Internet, molti


abbiano l’antenna parabolica e si trovino facilmente in città giornali italiani.
ci

L’insegnante deve quindi, durante le ore di lezione, fornire tutto l’input, deve
c
na

renderlo comprensibile e, naturalmente, far produrre anche l’output. In


Bo

questo è fondamentale l’organizzazione del lavoro a coppie e a piccoli gruppi


usata abitualmente in classe. Anche nel lavoro di correzione si predilige il
©

confronto tra pari per trasformare anch’esso in un’attività comunicativa in


cui lo studente debba usare la lingua italiana. L’affinità tra spagnolo e italiano
permette all’insegnante di usare fin dai primi livelli la LS e dopo le prime
difficoltà si riesce abbastanza facilmente a non far usare allo studente la LM
nell’interazione con il docente; qualche difficoltà in più si ha nel far usare la
LS nell’interazione tra pari: in una classe monolingue è infatti facile cadere
nella LM. Solo la consapevolezza dell’utilità di queste interazioni fin dai
primi giorni di lezione può convincere gli studenti a lasciare la lingua madre

383
e a sforzarsi nel comunicare anche tra loro in italiano.
Lungi dall’essere esaustivi con questo capitolo volevamo portare la nostra
testimonianza di un miglioramento avvenuto nell’apprendimento e
nell’insegnamento della lingua e della cultura italiana nel mondo e allo stesso
tempo fare qualche riflessione sul lavoro che si può fare insieme e si deve
continuare a fare sempre nell’ottica di una formazione continua nell’interesse
dello studente.

ti.
va
er
ris
tti
iri
id
ti
ut
.T
re
ito
ed
c ci
na
Bo
©

384
note

©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
note

©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
note

©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
note

©
Bo
na
cci
ed
ito
re
.T
ut
ti
id
iri
tti
ris
er
va
ti.
L’italiano per stranieri

Amato Blok-Boas, Materassi e Vedder


Mondo italiano Letture in corso 1
testi autentici sulla realtà sociale corso di lettura di italiano
e culturale italiana come lingua seconda
• libro dello studente
• quaderno degli esercizi
Buttaroni
Letteratura al naturale
Ambroso e Di Giovanni autori italiani contemporanei
L’ABC dei piccoli con attività di analisi linguistica
Ambroso e Stefancich Camalich e Temperini
Parole Un mare di parole
10 percorsi nel lessico italiano letture ed esercizi di lessico italiano
esercizi guidati
Carresi, Chiarenza e Frollano
Avitabile

ti.
L’italiano all’Opera

va
Italian for the English-speaking attività linguistiche attraverso 15 arie famose

er
Balboni Chiappini e De Filippo

ris
GrammaGiochi Un giorno in Italia 1
per giocare con la grammatica corso di italiano per stranieri - primo livello
Barki e Diadori tti
• libro dello studente con esercizi + CD audio
iri
• guida per l’insegnante + test di verifica
id
Pro e contro • glossario in 4 lingue + chiavi degli esercizi
conversare e argomentare in italiano
ti

• 1 livello intermedio - libro dello studente Cini


ut

• 2 livello intermedio-avanzato - libro dello studente Strategie di scrittura


.T

• guida per l’insegnante quaderno di scrittura - livello intermedio


re

Barreca, Cogliandro e Murgia Deon, Francini e Talamo


ito

Palestra italiana 1 Amor di Roma


ed

esercizi di grammatica Roma nella letteratura italiana del Novecento


Battaglia testi con attività di comprensione
ci

livello intermedio-avanzato
c

Grammatica italiana per stranieri


na

Battaglia Diadori
Bo

Gramática italiana para estudiantes Senza parole


de habla española 100 gesti degli italiani
©

Battaglia du Bessé
Leggiamo e conversiamo PerCORSO GUIDAto guida di Roma
letture italiane con esercizi con attività ed esercizi di italiano per stranieri
per la conversazione du Bessé
Battaglia e Varsi PerCORSO GUIDAto guida di Firenze
Parole e immagini con attività ed esercizi di italiano per stranieri
corso elementare di lingua italiana du Bessé
per principianti PerCORSO GUIDAto guida di Venezia
Bettoni e Vicentini con attività ed esercizi di italiano per stranieri
Passeggiate italiane
lezioni di italiano - livello avanzato
Gruppo META Maffei e Spagnesi
Uno Ascoltami!
corso comunicativo di italiano - primo livello 22 situazioni comunicative
• libro dello studente • manuale di lavoro
• libro degli esercizi e grammatica • 2 audiocassette
• guida per l’insegnante
• 3 audiocassette
Marmini e Vicentini
Passeggiate italiane
Gruppo META lezioni di italiano - livello intermedio
Due
corso comunicativo di italiano - secondo livello Marmini e Vicentini
• libro dello studente Ascoltare dal vivo
• libro degli esercizi e grammatica manuale di ascolto - livello intermedio
• guida per l’insegnante • quaderno dello studente
• 4 audiocassette • libro dell’insegnante

ti.
• 3 audiocassette
Gruppo NAVILE

va
Dire, fare, capire Paganini

er
l’italiano come seconda lingua ìssimo

ris
• libro dello studente quaderno di scrittura - livello avanzato
• guida per l’insegnante
tti
Pontesilli
• 1 audiocassetta
iri
I verbi italiani
id
Humphris, Luzi Catizone, Urbani modelli di coniugazione
Comunicare meglio
ti

corso di italiano
Quaderno IT - n. 4
ut

esame per la certificazione


livello intermedio-avanzato
.T

• manuale per l’allievo dell’italiano come L2 -livello avanzato


re

• manuale per l’insegnante prove del 2000 e del 2001


• volume + audiocassetta
ito

• 4 audiocassette
Radicchi
ed

Istruzioni per l’uso


dell’italiano in classe 1 Corso di lingua italiana
ci

88 suggerimenti didattici livello elementare


c

• manuale di lavoro
na

per attività comunicative


• 1 audiocassetta
Bo

Istruzioni per l’uso Radicchi


dell’italiano in classe 2
©

Corso di lingua italiana


111 suggerimenti didattici livello intermedio
per attività comunicative
Radicchi
Istruzioni per l’uso In Italia
dell’italiano in classe 3 modi di dire ed espressioni idiomatiche
22 giochi da tavolo
Stefancich
Jones e Marmini Cose d’Italia
Comunicando s’impara tra lingua e cultura
esperienze comunicative
• libro dello studente Stefancich
• libro dell’insegnante Tracce di animali
nella lingua italiana tra lingua e cultura
Svolacchia e Kaunzner Urbani
Suoni, accento e intonazione Senta, scusi...
corso di ascolto e pronuncia programma di comprensione auditiva
• manuale con spunti di produzione libera orale
• set 5 CD audio • manuale di lavoro
Tettamanti e Talini • 1 audiocassetta
Foto parlanti Urbani
immagini, lingua e cultura Le forme del verbo italiano
Totaro e Zanardi Verri Menzel
Quintetto italiano La bottega dell’italiano
approccio tematico multimediale antologia di scrittori italiani del Novecento
livello avanzato Vicentini e Zanardi
• libro dello studente con esercizi
• libro per l’insegnante Tanto per parlare
• 2 audiocassette materiale per la conversazione

ti.
• 1 videocassetta livello medio-avanzato

va
• libro dello studente
Ulisse

er
• libro dell’insegnante

ris
Faccia a faccia
attività comunicative
livello elementare-intermedio
tti
iri
Linguaggi settoriali
id

Ballarin e Begotti
ti

in collaborazione con l’Università per Stranieri di Siena:


ut

Destinazione Italia Dica 33


.T

l’italiano per operatori turistici il linguaggio della medicina


• manuale di lavoro • libro dello studente
re

• 1 audiocassetta • guida per l’insegnante


ito

Cherubini • 1 audiocassetta
ed

L’italiano per gli affari L’arte del costruire


• libro dello studente
corso comunicativo di lingua
ci

• guida per l’insegnante


e cultura aziendale
c

Una lingua in pretura


na

• manuale di lavoro
• 1 audiocassetta il linguaggio del diritto
Bo

• libro dello studente


Spagnesi • guida per l’insegnante
©

Dizionario dell’economia e della finanza • 1 audiocassetta

Pubblicazioni di glottodidattica
Progetto ITALS • La formazione di base del docente di italiano per stranieri
a cura di Dolci e Celentin
Progetto ITALS • L’italiano nel mondo a cura di Balboni e Santipolo
I libri dell’arco
1. Balboni • Didattica dell’italiano a stranieri
2. Diadori • L’italiano televisivo
3. Test d’ingresso di italiano per stranieri a cura di Micheli
4. Benucci • La grammatica nell’insegnamento dell’italiano a stranieri
5. AA.VV. • Curricolo d’italiano per stranieri
6. Coveri, Benucci e Diadori • Le varietà dell’italiano
Classici italiani per stranieri
testi con parafrasi a fronte* e note

1. Leopardi • Poesie* 9. Pascoli • Poesie*


2. Boccaccio • Cinque novelle* 10. Manzoni • Inni, odi e cori*
3. Machiavelli • Il principe* 11. Petrarca • Poesie*
4. Foscolo • Sepolcri e sonetti* 12. Dante • Inferno*
5. Pirandello • Così è (se vi pare) 13. Dante • Purgatorio*
6. D’Annunzio • Poesie* 14. Dante • Paradiso*
7. D’Annunzio • Novelle 15. Goldoni • La locandiera
8. Verga • Novelle 16. Svevo • Una burla riuscita

Libretti d’Opera per stranieri


testi con parafrasi a fronte* e note

ti.
va
1. La Traviata* 6. Tosca*

er
2. Cavalleria rusticana* 7. Le nozze di Figaro

ris
3. Rigoletto* 8. Don Giovanni
4. La Bohème* 9. tti
Così fan tutte
iri
id

5. Il barbiere di Siviglia* 10. Otello*


ti
ut
.T

Letture italiane per stranieri


re

1. Marretta • Pronto, commissario...? 1 3. Marretta • Elementare, commissario!


ito

16 racconti gialli con soluzione 8 racconti gialli con soluzione


ed

ed esercizi per la comprensione del testo ed esercizi per la comprensione del testo
ci

2. Marretta • Pronto, commissario...? 2


c
na

16 racconti gialli con soluzione


ed esercizi per la comprensione del testo
Bo
©

Mosaico italiano
1. Santoni • La straniera 7. Andres • Due estati a Siena
2. Nabboli • Una spiaggia rischiosa 8. Nabboli • Due storie
3. Nencini • Giallo a Cortina 9. Santoni • Ferie pericolose
4. Nencini • Il mistero del quadro 10. Andres • Margherita e gli altri
di P. Portese
11. Medaglia • Il mondo di Giulietta
5. Santoni • Primavera a Roma
12. Caburlotto • Hacker per caso
6. Castellazzo • Premio letterario

Bonacci editore
Finito di stampare nel mese di giugno 2003 dalla Tibergraph s.r.l. Città di Castello (PG)

Potrebbero piacerti anche