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INFERMIERISTICA GENERALE E CLINICA

Capitolo 1. La sterilizazione: controllo e gestione


Per sterilizzazione si intende il risultato finale di una serie di processi fisici e/o chimici in grado di
distruggere ogni micro-organismi vivente, sia esso patogeno e non patogeno, in fase vegetativa o di spora.
E’ corretto definire la sterilità come una condizione in cui la sopravvivenza di un microrganismo è altamente
improbabile, in quanto:
• le procedure di controllo microbiologico della sterilità, anche se rigorose, possono altro volta
determinare un tasso di contaminazione;
• il concetto di sterilità è relativo in quanto non è possibile uccidere tutti i microrganismi.
Metodi di sterilizzazione secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
La pastorizzazione, la tindalizzazione e la ebollizione non sono considerati metodi di sterilizzazione, ma di
disinfezione in quanto servono a ridurre il numero di microrganismi. La scelta del processo di sterilizzazione
deve essere effettuata in funzione del tipo di materiale da trattare, in base alle sue caratteristiche e al
criterio costo-efficacia.
In ambiente ospedaliero si sceglie di ridurre progressivamente la sterilizzazione mediante calore secco a
favore di quella mediante vapore. La metodica a vapore risulta essere quella maggiormente utilizzata per
diversi motivi: tempi di processi più brevi, minor deterioramento del materiale, efficaci sistemi di controllo,
vantaggio economico, assenza di tossicità per il paziente e per l’operatore.
I fattori da cui dipende l’efficacia del processo di sterilizzazione sono:
• Fattori fisici: parametri di sterilizzazione devono essere raggiunti e mantenuti per un tempo sufficiente
alla distruzione dei microrganismi in modo tale da ottenere un corretto processo di sterilizzazione.
• Quantità e qualità della carica batterica: occorre eseguire un processo di lavaggio e asciugatura corretto
per diminuire la carica batterica iniziale presente sulla superficie da sterilizzare.
• Presenza di sporco e materiale organico: in un oggetto non perfettamente pulito lo sporco residuo può
creare un protezione ai microrganismi impedendone la distruzione.
• Struttura dell’oggetto da sterilizzare: il raggiungimento della sterilità dipende dal contatto tra agente
sterilizzante e tutte le superfici degli articoli.
• Conservazione degli oggetti sterilizzati: il tipo di imballaggio utilizzato e la corretta conservazione degli
oggetti sterilizzati garantisce l’integrità dell’involucro e il rispetto delle scadenze al fine di evitare
eventuali contaminazioni.
I materiali sanitari, in base alle componenti di struttura e di composizione, possono essere sterilizzati
mediante vari sistemi: fisici (calore secco, calore umido, UV), chimici (ossido di etilene, gas plasma,
glutaldeide).
Calore secco: la sterilizzazione a secco viene eseguita tramite stufe al cui interno possono raggiungere
temperature fino a 200°. Poiché il calore secco ha scarsa capacità di penetrazione è necessario raggiungere
temperature elevate e mantenerle per tempi sufficientemente prolungati. A tale fine si impiega una
temperatura di 180° per 30 minuti o di 160° per almeno 60 minuti. Il calore secco dovrebbe essere utilizzato
solo per quei materiali che non possono essere sterilizzati in autoclave, poiché il vapore li danneggerebbe
perché impermeabili a esso. Il trattamento predilige i taglienti (il calore secco non ha proprietà corrosive sui
metalli).
In generale, la sterilizzazione a secco presenza una serie di svantaggi: riscaldamento lento, lunghi tempi di
esposizione, alte temperature, deterioramento di alcuni materiali in seguito a ossidazione, oltre a una certa
difficoltà nell’effettuare i controlli.
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Calore umido: la sterilizzazione a vapore è la tecnica più diffusa negli ospedali perché risulta meno costosa,
più efficace e più sicura di altre forme di trattamento. Il vapore distrugge in tempi brevi la maggior parte
delle spore batteriche termoresistenti e cede rapidamente calore. Suo limite è la non applicabilità per
quegli articoli sanitari alterabili dal calore o dall’umidità. L’autoclave permette di sterilizzare con successi e
in tempi brevi una grande varietà di materiali, deve però garantire il raggiungimento e il mantenimento
delle condizioni di temperatura, umidità e pressione. Pertanto i principali problemi da affrontare e risolvere
sono:
• la rimozione dell’aria;
• il surriscaldamento può essere tollerato entro un certo limite, ma grandi sbalzi determinano una
riduzione dell’efficienza del processo di sterilizzazione;
• l’umidità dei materialisterilizzati può favorire la loro ricontaminazione, pertanto in molti autoclavi sono
previsti sistemi di essiccamento;
• il carico deve essere preparato considerando le caratteristiche tecniche dei materiali da sterilizzare.
• la manutenzione.
Tutta la strumentazione deve essere collaudata, aver effettuato corsi formativi sull’utilizzo, deve essere
controllata mediante gli apparecchi di misurazione. I controlli possono essere effettuati con indicatori
chimici e biologici.
Gas plasma: il gas plasma è un gas contenente una nube di elettroni, ioni, radicali liberi, atomi e molecole
dissociate prodotte dall’azione di un campo elettrico e da una irradiazione ionizzante, principalmente
ultravioletta. A parte gli ioni tutto il resto contribuisce all’azione antimicrobica. Il materiale prima di essere
sottoposto al ciclo di trattamento viene inserito in contenitori porosi in polietilene che ne garantiscono la
sterilità anche dopo la sterilizzazione.
Le fasi del ciclo di sterilizzazione di suddividono in:
• gli articoli da sterilizzare vengono introdotti in una camera di trattamento dove l’aria viene espulsa per
creare uno stato di vuoto;
• un soluzione di perossido di idrogeno viene iniettata nella camera e vaporizzata, così da attrarre
l’ambiente;
• la nube di perossido di idrogeno viene investita da onde elettromagnetiche che determinano la
formazione di radicali liberi e quindi il gas plasma;
• lo stato di gas plasma si mantiene fintanto che continua l’azione elettromagnetica, inoltre il perossido di
idrogeno viene lentamente consumato perché i radicali liberi si ricombinano in acqua e ossigeno;
• al termine del trattamento nella camera sigillata viene fatta entrare aria atmosferica filtrare e il materiale
viene estratto.
Ossido di etilene: l’ossido di etilene (ETO) agisce per alchilazione (sostituzione di un atomo di idrogeno un
gruppo alchilico) dei gruppi sulfedrilici, amminici, carbossilici, fenolici e idrossilici dei microrganismi, ciò si
traduce in un’alterazione dei processi di ionizzazione delle proteine e delle attività enzimatiche con
conseguente morte del microrganismo.

Il processo di sterilizzazione necessita di 5 fattori:


• concentrazione del gas: concentrazione media consigliabile 700-800 mg/lt;
• umidità: i valori di umidità relativa all’interno della camera di sterilizzazione dovrebbero essere tra il 30%
e il 60%;

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• temperatura: la temperatura aumenta l’efficacia del gas, maggiore è la temperatura minore è il tempo di
sterilizzazione. Essendo un metodo di sterilizzazione termolabile, in genere non vengono mai superate le
temperature tra i 50°-60° per non danneggiare il materiale;
• tempo di contatto: può variare rispetto ai fattori precedenti, in genere il ciclo di sterilizzazione si
mantiene per 4-5 ore;
• pressione: varia in funzione del gas impiegato. L’ossido di etilene viene miscelato a Freon o ad Anidride
Carbonica.
E’ possibile sterilizzare a ETO: tutti i materiali termosensibili: plastiche, lattice, cavi elettrici, fibre ottiche,
protesi vascolari, strumenti delicati.
Non è possibile sterilizzare a ETO: materiali che possono essere sterilizzati a vapore; presidi medico
chirurgico a basso costo; oggetti precedentemente trattati a raggi gamma.
Decontaminazione
La procedura di decontaminazione è finalizzata a ridurre la carica microbica, limita il rischio di infezione e
stabilisce che i presidi riutilizzati venuti a contatto con materiale potenzialmente infetti devono, dopo l’uso,
essere immersi in una soluzione a comprovata azione contro il virus dell’HIV.
Pulizia e lavaggio
Il materiale risterilizzabile dopo la decontaminazione prima del processo di sterilizzazione deve essere
accuratamente lavato in tutte le sue parti. Le norme tecniche indirizzato e consigliano il lavaggio
automatico invece del lavaggio manuale. Nel caso venga eseguita la pulizia manuale l’operatore deve
indossare i seguenti dispositivi di protezione (DPI): camice idrorepellente, guanti, mascherina monouso,
occhiali o visiera di protezione. Utilizzare clorexidina o altri disinfettanti idonei e l’ausilio di spazzole
favorisce l’eliminazione di materiale organico. Affinché a procedura sia efficace è necessario gli gli strumenti
più complessi siano, per quanto possibile, smontati. Dove è sporco non è sterile in quanto la presenza di
umidità e di materiale organico protegge le spore durante il processo di sterilizzazione e questo ne
impedisce la distruzione.
Asciugatura
Il materiale lavato deve essere accuratamente asciugato pecche la presenza di umidità residua può
compromettere il processo di sterilizzazione. La presenza di umidità residua favorisce un rapido
deterioramento delle superfici metalliche, creando macchie e stati di corrosione dovuti ai sali presenti
nell’acqua stessa.
Manutenzione dello strumentario
E’ importante provvedere frequentemente alla lubrificazione dei dispositivi con olio spray idoneo. Inoltre è
necessario eliminare l’eccesso di lubrificante, controllare sempre la funzionalità dello strumento, lo
strumento alterato o difettoso va allontanato.
Confezionamento
Il confezionamento determina il tempo di mantenimento della sterilità. Prima di procedere al
confezionamento si deve:
• controllare che il materiale sia pulito e asciutto;
• smontare, togliere i tappi, scuoiare e proteggere le punte degli strumenti e degli oggetti taglienti.
I tipi di confezionamento sono:
• container con filtro compatibile con il sistema di sterilizzazione;
• vassoi compatibili con il sistema di sterilizzazione.
Il confezionamento del materiale deve:
• permettere la penetrazione dell’agente sterilizzante;
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• garantire la conservazione della sterilità prima dell’uso;
• impedire il rischio di contaminazione al momento dell’apertura.
La saldatura delle buste (o rotoli) deve:
• essere sempre lineare e a tenuta;
• avere uno spessore dai 6 mm ai 12 mm;
• riportare tutti i dati per la tracciabilità del prodotto (lotto, numero o tipo di sterilizzazione, scadenza,
numero di ciclo di sterilizzazione, codice operatore, specialistica di utilizzo);
• se non si usa una termosaldatrice con stampante ed etichetta l’identificazione deve essere riportata
sempre sul bordo della busta e mai a contatto con il materiale;
• non utilizzare buste né tropo grande né troppo piccole ma adeguate allo strumentario da confezionare;
• non sovraccaricare la busta con strumenti metallici per evitare di rompere il confezionamento.
Indicatori chimici
Gli indicatori chimici sono classificati in sei gruppi. In ambito ospedaliero sono utilizzati prevalentemente
2/3 tipologie di indicatori chimici:
• Indicatori di processo -> servono per indicare che l’unità è stata esposta al processo di sterilizzazione e
per distinguere fra unità processante e non processante. Il nastro indicatore, l’inchiostro prestampato
sulle piste, il bollino di sigillo sui container dimostrano che il prodotto è stato sottoposto a un processo di
sterilizzazione e permettono di distinguere un prodotto da quello non processato (non dimostrano la
sterilità del contenuto), per questo motivo sono definiti anche indicatori di processo.
• Indicatori integratori -> disegnati per reagire a tutte le variabili critiche.
• Indicatori emulatori -> disegnati per reagire a tutte le variabili critiche per uno specifico ciclo i
sterilizzazione.
Indicatori biologici
Con gli indicatori biologici ci si accerta che il ciclo di sterilizzazione sia stato efficace per i microrganismi. Un
indicatore biologico è costituito da specifici microrganismi riconosciuti resistenti al processo di
sterilizzazione. Vengono normalmente utilizzate le spore batteriche che sono la forma vitale più difficile da
distruggere.
Caricamento della camera di sterilizzazione
Ogni confezione sottoposta al ciclo di sterilizzazione deve essere identificabile per mezzo del numero di
lotto. Il caricamento della camera di sterilizzazione deve essere effettuato in modo da consentire la
penetrazione dell’agente sterilizzante in ogni confezionamento. Le buste devono essere poste in un cestello
di taglio. I container devono essere organizzati in modo da facilitare la penetrazione dell’agente
sterilizzante. I pacchi devono essere posizionati in modo da evitare lacerazioni. La camera di sterilizzazione
non deve essere riempita eccessivamente e le confezioni non devono toccare le pareti della camera.
Dopo la sterilizzazione bisogna controllare che:
• tutte le confezioni siano integre;
• gli indicatori di processo siano virati della colorazione prevista;
• il materiale si presenti asciutto;
• le registrazioni della macchina siano conformi a quanto verificato in convalida;
• tutte le confezioni devono essere ulteriormente confezionate e trasportate in un contenitore di
protezione.
Fasi del ciclo di sterilizzazione
Il ciclo di sterilizzazione con vapore saturo sottopressione è caratterizzato da una serie successiva di fasi,
ognuna delle quali ha una finalità predeterminata. Ogni fase ha lo scopo di preparare la fase successiva.
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Qualora una fase non dovessero raggiungere il suo valore predeterminato comprometterebbe sia l’esito
delle fasi successive sia l’esito della sterilizzazione. Le fasi del ciclo di sterilizzazione con vapore saturo sono:
1. Vuoto iniziale o alto vuoto ->la prima fase del ciclo è il vuoto iniziale che si ottiene tramite l’aspirazione
forzata con una pompa ad anello d’acqua. Essa ha lo scopo di asportare tutta l’aria presente in camera
e nelle confezione poste a sterilizzare. Per riuscire a evacuare l’aria bisogna portare la camera, e quindi
il materiale, sottovuoto spinto, il valore di questo vuoto non può e non deve essere inferiore a 760
mbar e deve essere mantenuto per un po’ di tempo. Procedimento:
• predisporre la sterilizzatrice alla condizione di preriscaldamento con camera vuota a porte chiuse;
• azionare la pompa del vuoto fino al raggiungimento di una pressione residua o uguale o inferiore a 130
mbar;
• arrestare la pompa e isolare la camera di sterilizzazione;
• verificare che la pressione residua non aumenti di oltre 3 mbar al minuto;
• tempo di verifica consigliato 10 minuti.
Le autoclavi fornite di microprocessori hanno un ciclo selezionatile prefissato per l’esecuzione del vacuum
test, la risposta viene direttamente registrata sul nastro di carta di registrazione. Il grafico della prova deve
essere conservato per due anni.
2. Vuoto frazionato ->dopo aver raggiunto il vuoto iniziale comincia il vuoto frazionario. Il vuoto
frazionario deve raggiungere due obiettivi: il primo è quello di asportare eventuali e possibili residui
d’aria soprattutto nelle confezioni in tessuto (in quanto l’aria fredda tende a rimanere intrappolata
nelle trame del tessuto stesso); il secondo è quello di portare il materiale, prima della fase di
sterilizzazione, alla stessa temperatura del vapore poiché, se ciò non avvenisse, durante la fase di
sterilizzazione di produrrebbe troppa condensa.
3. Fase di sterilizzazione ->anche se all’inizio della fase del vuoto frazionato inizia l’abbattimento della
carica batterica presente sul materiale, è in questa fase che avviene la distruzione dei microrganismi.
Questa fase, detta anche tempo di esposizione o tempo di morte, è composta dall’insieme di due
tempi: tempo di morte reale e tempo di sicurezza, che per il ciclo a 134° è di 5-7 minuti e per il ciclo a
121° è di 15-20 minuti. La fase di sterilizzazione vera e propria inizia solo quando in camera è stata
raggiunta la pressione e la temperatura previste per quel determinato ciclo.
4. Vuoto finale -> alla fine della fase di sterilizzazione inizia il vuoto finale, cioè l’evacuazione del vapore
nella camera. Questa avviene in modalità diverse a seconda dell’autoclave che si ha a disposizione, in
particolare, in quelle di vecchia data la sterilizzazione avviene con l’aspirazione forzata della pompa sin
dall’inizio. Il vuoto finale è un momento critico per l’integrità delle confezioni perché se il vuoto
avvenisse troppo rapidamente le saldature delle buste potrebbero dissaldarsi.
5. Fase di asciugatura ->terminata la fase del vuoto finale inizia l’asciugatura che dura 8-10 minuti In
questa fase tutta la condensa presente sia in camera che all’interno delle confezioni rielabora e viene
portata via.
6. Bilanciamento barico ->terminata la fase di asciugatura il ciclo è concluso e il bilanciamento barico
serve a ripristinare all’interno della camera la stessa pressione esistente all’inizio del ciclo di
sterilizzazione.
Gestione delle autoclavi e relativi controlli
Procedure da effettuarsi per ogni confezione:
• indicatori di processo all’esterno;
• indicatori di sterilizzazione all’interno.
Procedure quotidiane da effettuarsi prima dell’utilizzo delle autoclavi:
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• preriscaldamento: ciclo preliminare di sterilizzazione a vuoto;
• prova di tenuta della camera di sterilizzazione a vuoto (Vacuum Test-VT);
• prova di penetrazione del vapore con metodo indiretto (Test di Bowie-Dick).
Procedure da effettuarsi per ogni ciclo di sterilizzazione:
• controlli fisici: registrazioni temperatura, pressione e tempo.
Procedure periodiche:
• test di umidità residua (ogni 3 mesi);
• test biologici (ogni 7 giorni).
Test di Bowie-Dick o prova di penetrazione con modo indiretto
Studiando la distribuzione delle spore in condizioni di sottovuoto Bowie e Dick videro che: le spore
resistenti al calore secco sono molto più sensibili in condizioni di sottovuoto; sottovuoto le sostante
protettive sono abbandonate per evaporazione lasciando la spora scoperta e quindi più facilmente
aggregabile dal calore. Si può allora dire che in condizioni di vuoto si ha un effetto costruttivo molto più
elevato che non a pressione atmosferica.
Principio: se durante la sterilizzazione l’aria non è correttamente rimossa dalla camera viene spinta e
convogliata dalla pressione del vapore in una zona sotto forma di bolla. Essendo l’aria cattiva conduttrice di
calore, nella zona della bolla non si raggiungeranno le temperature idonee alla sterilizzazione a causa della
ridotta penetrazione del vapore. Sul foglio appositamente usato per il test si evidenzierà un viraggio
disomogeneo. Non è un test di sterilizzazione, valuta solo la capacità di eliminazione dell’aria della camera
vuota dello sterilizzatore, individua la presenza di bolle d’aria all’interno dell’autoclave.
Procedimento:
• predisporre un pacco test composto da 30-36 telini di cotone al 100% delle dimensioni di circa 900x600
lavati e asciugati;
• piegare i telini in 8 parti e sovrapporli in modo da ottenere un pacco delle dimensioni di 30 cm di
lunghezza, 23 cm di larghezza e 25 cm di altezza;
• inserire il foglio del test al centro del pacco;
• avvolgere il pacco così ottenuto in un foglio di medical grate (carta crespa);
• introdurre il pacco in modo orizzontale;
• eseguire il ciclo di sterilizzazione standard: 134°C, tempo di esposizione non superiore a 210 secondi (3
minuti e 30 secondi).
Lettura test: terminato ciclo controllare che il foglio impregnato di inchiostro sia virato uniformemente e
con la stessa intensità dal centro alla periferia del foglio.
Registrazione: il foglio della prova deve essere firmato dall’infermiere addetto alla sterilizzazione, segnalare
la data e il modello di autoclave. Tale figlio deve essere conservato per due anni dall’esecuzione.
Controlli fisici
Si utilizzano i seguenti strumenti:
• Registratori: riportano gli appositi diagrammi, i valori della temperatura, della pressione e le loro
variazioni nel tempo per tutta la durata del ciclo di sterilizzazione. Questi diagrammi, con l’indicazione
della data, dell’ora e il ciclo di sterilizzazione, garantiscono l’efficacia della procedura di sterilizzazione.
• Avvisatori elettrici: sono costituiti da termometri a contatto, i quali a un temperatura stabilita chiudono
automaticamente un circuito elettrico mettendo in funzione una spia luminosa e una suoneria.
• Termometri a massa: indicano la temperatura più alta che sia stata raggiunta.
Prova biologica

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Vengono utilizzate apposite fiale di polipropilene contenenti spore di bacillo stearothermophilus contenute
in ampolla di vetro a sua volta contenuta in un brodo di coltura violaceo con indicatore di viraggio. La prova
biologica deve essere eseguita almeno una volta la settimana.
Procedimento:
• posizionare la fialetta con spore come descritto nella preparazione del test Bowie-Dick (è consigliata una
fiala ogni 100 litri di acqua);
• la fialetta sottoposta a sterilizzazione deve essere inviata con modulo al laboratorio di microbiologia;
• entro 48 ore il risultato viene comunicato tramite modulo, se entro 24 ore si sospetta una crescita si
avvisa immediatamente il capo sala. In caso di positività lo strumento viene considerato fuori uso per un
controllo tecnico.
Rischio biologico
Il rischio biologico è il rischio connesso all’esposizione a materiali e agenti biologici (infortunio,
contaminazione, infezione). Sono presi in considerazione gli agenti patogeni a trasmissione ematica più
frequentemente in gioco e cioè l’HBV, l’HCV e l’HIV.
Devono essere considerati a rischio almeno i seguenti materiali biologici:
• sangue;
• sperma;
• secrezioni vaginali;
• liquido pleurico, peritoneale, pericardico, sinoviale, amniotico e cerebrospinale;
• tessuti e colture vitali;
• esposizione a morso.
Trasporto di materiali biologici
I campioni vanno trasportati nel proprio contenitore accuratamente chiusi (vacutainer, contenitori per
urine, per feci, per pezzi anatomici ecc.).
Per il trasporto di campioni nell’ambito dello stesso reparto bisogna utilizzare portaprovette e carrello.
Per il trasporto di campioni da un reparto all’altro bisogna utilizzare l’apposito contenitore per più
campioni. Questo deve essere rigido, chiuso, resistente agli urti, in grado di assicurare il contenimento in
caso di rottura del contenitore del singolo campione e deve essere provvisto di uno strato di materiale
assorbente sul fondo. I campioni vanno inseriti nel contenitore utilizzando, dove possibile, adeguati
supporti (portaprovette). Il materiale cartaceo che accompagna i campioni deve essere mantenuto
separato dagli stessi.
Precauzioni universali (PU)
Le precauzioni universali (PU) sono misure adeguate per prevenire la diffusione dei patogeni a trasmissione
ematica in ambiente ospedaliero (infezioni trasmesse da operatore a paziente, infezioni trasmesse da
paziente a operatore e infezioni trasmesse da paziente a paziente). Le PU devono essere seguite se esiste
un potenziale contatto con sangue o altri liquidi contenenti materiale ematico macroscopicamente visibile.
La più importante misura singola per la prevenzione della diffusione delle infezioni è il lavaggio delle mani.
Le mani devono essere lavate prima e dopo ogni contatto con il paziente o con oggetti contaminati con il
sangue e/o altri liquidi biologici del paziente.
Il personale deve indossare guanti sanitari monouso quando è a diretto contatto con il sangue e/o altri
liquidi biologici o con oggetti contaminati da questi (esecuzione di ev, endoscopie, applicazione di punti di
sutura, inserzione di cateteri, ecc.). In caso di dermatite l’uso di guanti è raccomandato ance al di fuori del
tipo di contatto. I guanti devono essere cambiati quando si rompono o sono bucati, vanno cambiati da un
paziente all’altro. Indossare i guati non evita la necessità di lavare le mani in quanto essi possono rompersi
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o avere dei difetti non visibili. I guanti non sono in grado di offrire una protezione assoluta dal contatto
mano-sangue, ma quando associati al lavaggio delle mani riducono la frequenza della trasmissione
dell’infezione. Guanti in vinile o in lattice offrono una protezione analoga. Bisogna utilizzare camitici
protettivi, mascherine chirurgiche e occhiali protettivi.
Indossare i dispositivi di protezione individuale
I dispositivi di protezione individuale (DPI) sono costituiti dagli indumenti e dai dispostivi indossati da un
operatore sanitario per proteggersi dal materiale infetto. Questo equipaggiamento comprende: guanti
puliti (non sterili) e guanti sterili, camici e/o grembiuli impermeabili, maschere chirurgiche e ad alta
efficacia contro le particelle aeree, maschere monouso N95, schermi per il viso, occhiali o protezioni per gli
occhi. Il tipo di equipaggiamento usato varia in base al tipo di esposizione prevista e alla categoria delle
precauzioni: precauzioni standard e precauzioni basate sulle vie di trasmissione, che comprendono le
precauzioni sulla trasmissione per il contatto, per le goccioline o per le vie aeree.
7. Controllare la prescrizione medica per il tipo di precauzioni da utilizzare e rivedere le precauzioni sul
controllo manuale delle infezioni.
8. Pianificare le attività infermieristiche prima di entrare nella stanza del paziente
9. Effettuare l’igiene delle mani.
10. Fornire informazioni sulle precauzioni al paziente, ai membri della famiglia a tutte le persone
interessate (la spiegazione facilita la collaborazione del paziente e della sua famiglia e riduce l’ansia
legata alle procedure).
11. Indossare il camice, i guanti, la maschera e gli occhiali di protezione in base al tip di esposizione che si è
previsto e alla categoria delle precauzioni di isolamento.
- Indossare il camice con l’apertura nella parte posteriore. legare saldamente il camice al collo e alla vita. I
camici dovrebbero coprire completamente la parte anteriore del corpo dal collo alle ginocchia, dalle
braccia ai polsi e intorno alla schiena.
- Indossare la maschera o il respiratore sopra il naso, la bocca e il mento. Assicurarla con elastici alla testa
e al collo. Le maschere proteggono il paziente e gli operatori dalle particelle aeree.
- Indossare gli occhiali di protezione e aggiustarli al viso. Si può anche utilizzare una visiera al posto degli
occhiali e della maschera. Gli occhiali proteggono le mucose oculari dagli schizzi.
- Indossare guanti monouso non sterili. Fare in modo che i guanti coprano i polsi e il camice. I guanti
proteggono le mani e i polsi dai microrganismi.
Rimuovere i dispositivi di protezione individuale
Rimuovere i dispostivi di protezione individuale nell’antistanza o sulla soglia della porta della stanza; ad
eccezione della maschera per la respirazione, che va rimossa dopo aver chiuso la porta della stanza e
fuori dalla stanza stessa. La rimozione della maschera per la respirazione fuori dalla stanza del paziente
previene il contatto con i microrganismi trasmissibili per viaaerea.
- Se un camice impermeabile è stato legato nella parte anteriore della vita dell’operatore, slegarlo prima
di rimuovere i guanti. La parte anteriore esterna dei dispositivi di protezione individuale è considerata
contaminata. La parte posteriore, interna ed esterna, e i lacci sulla testa e sulla schiena sono considerati
puliti.
- Afferrare la parte esterna di un guanto con la mano guastata opposta e sfilarlo, girandolo sottosopra
mentre si effettua la manovra. Tenere il guanto rimosso nella mano con l’altra mano. Far scivolare le dita

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della mano senza guanto tra il polso e il guanto, avendo cura di non toccare la superficie esterna del
guanto stesso. Sfilare il secondo guanto sopra il primo guanto. Eliminare appropriamene i guanti.
- Per togliersi gli occhiali o lo schermo per il viso bisogna afferrare le stanghette o la parte che è dietro
l’orecchio. Toglierli dalla faccia. Posizionarlo in un posto sicuro per riutilizzarli o gettarli appropriamente.
- Per rimuovere il camice bisogna sciogliere i lacci sia sul collo sia sulla schiena. Far scivolare il camice dalle
spalle. Toccare solamente la parte interna del camice e sfilarlo dalla schiena. Tenendo le mani nella parte
interna del camice, sfilarlo dalle braccia. Rimuovere il camice piegandolo su se stesso in modo da far
rimanere la parte contaminata verso l’interno. Piegarlo o arrotolarlo in un fagotto ed eliminarlo.
- Per rimuovere la maschera o il respiratore bisogna afferrare la chiusura del collo e scioglierla e poi
passare alla chiusura posizionata sul capo. Prestare attenzione a non toccare la parte anteriore della
maschera o del respiratore. Gettarla appropriamente.
Effettuare l’igiene delle mani immediatamente dopo aver tolto i dispositivi di protezione individuale.
Effettuare l’igiene delle mani utilizzando uno sfregamento con un preparato a base di alcol
Il lavaggio delle mani a sfregamento con soluzione alcolica può essere utilizzato se le mani non sono
visibilmente sporche o non sono entrate in contatto con sa ngue o liquidi corporei.
1. Rimuovere tutti i monili, se possibile, e metterli in un posto sicuro. Una fede nuziale liscia può essere
lasciata al dito.
2. Controllare l’etichetta del prodotto per la corretta quantità da utilizzare. La quantità di prodotto
efficace varia da produttore a produttore, ma di solito è di 1-3 mL.
3. Applicare la corretta quantità di prodotto sul palmo di una mano, in genere 3 mL. Strofinare le mani
insieme, coprendo tutte le superfici delle mani, delle dita e tra le dita. Pulire anche la punta delle dita e
l’area sotto le unghie.
4. Strofinare le mani finché non sono asciutte (almeno 15-30 secondi). L’asciugatura assicura l’effetto
antisettico.
5. Utilizzare una lozione protettiva senza olio se si preferisce. Una lozione protettiva senza olio aiuta a
mantenere la cute morbida e previene le screpolature delle mani.
Effettuare l’igiene delle mani utilizzando acqua e sapone (lavaggio sociale -A-)
Si richiede il lavaggio delle mani quando le mani sono visibilmente sporche o sono state in contatto con il
sangue o altri liquidi corporei; prima di assumere cibo e dopo aver utilizzato la toilette; in caso di
esposizione nota o sospetta ad alcuni microrganismi.
1. Disporre tutto il materiale necessario. Stare di fronte al lavello. Non permettere che gli indumenti
tocchino il lavello durante la procedura di lavaggio. Il lavello è considerato contaminato. Gli indumenti
possono costituire una via di trasmissione dei microrganismi.
2. Rimuovere tutti i monili, se possibile, e metterli in un posto sicuro. Una fede nuziale liscia può restare al
dito.
3. Aprire l’acqua e regolarne il flusso. regolare la temperatura finché l’acqua è calda. L’acqua che schizza
dal lavello potrebbe contaminare gli indumenti. L’acqua calda è più confortevole e ha meno probabilità
di danneggiare la cute.
4. Bagnare le mani e l’area dei polsi. Tenere le mani più in basso dei gomiti, in modo da permettere
l’acqua di scorrere vero le dita. L’acqua dovrebbe scorrere dalle aree meno contaminate a quelle più
contaminate. Le mani sono più contaminate degli avambracci.
5. Utilizzare circa un cucchiaino di sapone dall’erogatore la saponetta dalla griglia e insaponare le mani.
Coprire tutte le aree delle mani con il prodotto. Sciacquare di nuovo la saponetta e riporla nella griglia,
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senza toccare quest’ultima. Lo sciacquare la saponetta prima e dopo il suo utilizzo rimuove da essa il
film che può contenere microrganismi.
6. Con movimenti rotatori energici, lavare i palmi e il dorso delle mani, ogni dito e le aree tra le dita, le
nocche, i polsi e gli avambracci. Lavare almeno per un paio di censimenti sopra l’area contaminata. Se
le mani non sono visibilmente sporche, lavare fino a un paio di centimetri sopra i polsi.
7. Continuare i movimenti energici di frizione per almeno 20 secondi. La durata del lavaggio è
determinata dal grado di contaminazione delle mani.
8. Utilizzare le unghie della mano opposta o uno scovolino pulito per pulire sotto le unghie delle dita.
9. Sciacquare completamente con acqua facendola scorrere verso la punta delle dita.
10. Asciugare le mani con asciugamani di carta, cominciando dalle dita e muovendosi verso gli avambracci
e gettarli immediatamente. Utilizzare un altro asciugamani di carta per chiudere il rubinetto. Gettare
immediatamente l’asciugamani senza toccare l’altra mano pulita.
11. Utilizzare un adozione protettiva senza olio se si desidera.
Utilizzo e sostituzione dei guanti (B)
• Utilizzo dei guanti ogni qualvolta si venga a contatto con sangue e altri liquidi biologici.
• Esecuzione di procedure di accesso vascolare (prelievi, endovene).
• Addestramento del personale (esecuzione di prelievi).
• utilizzo nei casi in cui le mani presentano lesioni (ferite, dermatiti, abrasioni).
• Manovre invasive.
• Sostituzione nei casi in cui vi è la rottura o lacerazione.
• Evitare il contatto con maniglie, telefoni.
• Sostituzione dopo la prestazione assistenziale di ogni paziente.

Manipolazione di aghi e taglienti (C)


• Devono essere utilizzati con cautela e smaltiti in appositi contenitori.
• Gli aghi non devono essere reincappucciati.
• Non si deve rimuovere l’ago dalla siringa dopo l’uso.
• Trasportare gli strumenti taglienti su appositi vassoi.
• Utilizzare i guanti ogni qualvolta si maneggiano, puliscono. ripongono, smaltiscono aghi o taglienti.
• Utilizzare pinze o spazzole per lavare gli strumenti prima della loro disinfezione/sterilizzazione.
L’ambito di vita del paziente in una struttura ospedaliera
Caratteristiche dell’arredo
Le componenti dell’unità di degenza sono: letto, comodino e armadietto.
I tipi di letto possono essere: semplice, snodabile, bilancia, pediatrico, termoculla.
Il letto è composto da telaio, rete e materasso. Il telaio è leggero, resistente, facile da pulire e con ruote.
La rete è rigida.
Il materasso deve essere igienico e maneggevole, economicamente valido e duraturo, la sua altezza varia
tra i 15 cm e i 18 cm. Esistono vari tipi di materassi: in lattice di schiuma, di gomma piuma, di lana, di
poliestere espanso, a molle, speciali (che possono essere a pressione alternata e a circolazione di
microsfere), isotermici e ipertermici.
Gli accessori del letto sono: piano rigido, trapezio, spendine di protezione, archetto alzacoperte, piantana
per flebo, solleva cuscini, trazione.
Il materiale per il letto comprende: lenzuola, federe cuscini, copriletto.

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Altre componenti dell’unità del paziente sono: tavolo, sedia, poltrona, padella, pappagallo, pulsante per
chiamata.
Detenzione e disinfezione dell’unità del malato
La pulizia ambientale e degli arredi dell’unità del malato va effettuata negli orari, nei modi, con prodotti e
con la frequenza prevista dai protocolli operativi dal piano di lavoro. Tutto il lavoro eseguito va riportato in
delle schede ceck-list. Le pulizie possono essere: giornaliere. periodiche, terminali, estemporanee.
Ambiente domiciliare:
• disfacimento letto
• rifacimento
• periodica sostituzione
• periodica pulizia e manutenzione igienica del letto
Ambiente sanitario:
• disfacimento letto
• ceck-list carrello dell’igiene
• ceck-list carrello biancheria sporca
• rifacimento letto
• periodica sostituzione
• pulizia periodica del letto
Aspetto igienico:
• lavarsi le mani
• evitare di scuotere le lenzuola
• non portare la biancheria sporca a contatto con la divisa
• indossare il materiale di protezione adeguato
• rispettare i percorsi sporco e pulito
Sanificazione: è il processo attraverso il quale è possibile rendere igienicamente sano l’ambiente e gli
strumenti. L’obiettivo e di bloccare la propagazione dei microrganismi batterici.
Pulizia: rimozione dello sporco.
Disinfezione: si intende il procedimento attuato per ridurre a livello di sicurezza la carica batterica su cute,
oggetti e superfici.
Disinfestazione: eliminare i vettori come agenti patogeni (malaria).
Sterilizzazione: è una metodica che permette di distruggere ogni microrganismo patogeno e non patogeno,
compreso le spore. Il processo si prefigge due scopi: completa asepsi; mantenere inalterate le
caratteristiche del materiale.
Igiene del paziente
Obiettivi generali delle pratiche igieniche:
• riattivare la circolazione sanguigna;
• prevenire lesioni da decubito;
• infezioni;
• favorire il benessere psicofisico;
• il senso di autostima.
L’alzata è composta di semplici gesti da eseguire in modo delicato dialogando con l’anziano al fine di
metterlo a proprio agio e facilitare l’operazione di pulizia e vestizione. Durante l’alzata tenere sempre
monitorata la cute dell’anziano e in presenza di alterazioni richiedere la presenza dell’infermiere.

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Quando si devono eseguire manovre di assistenza sull’anziano è sempre bene indossare i guanti a
protezione delle mani. Questi costituiscono una duplice tutela per noi stessi e per la persona assistita. La
cute è, infatti, un grande veicolo di trasmissione di microrganismi che per gli anziani può facilmente
diventare causa di malattie. L’utilizzo del camice di protezione è consigliato ogni qualvolta si possa venire a
contatto con liquidi biologici infetti. A intervento ultimano riporre il camice usato nell’apposito spazio
separato dal resto del materiale pulito.
Per la preparazione dell’ambiente bisogna: controllare il microclima (aprire tapparelle/imposte;
temperatura dell’ambiente adeguata); controllare l’illuminazione; rispettare la privacy.
I materiali che possono essere utilizzati sono: piano di appoggio; tela cerata; traversa; catino; brocca;
bacinelle; detergente liquido; shampoo; manopole; spugne personali; acqua distillata; asciugamani; crema
idratante; guanti monouso; salviette monouso; tamponi di garza; garze; spazzolino da denti; dentifricio;
collutorio; bicchiere; pasta e pastiglie per protesi dentarie; forbici per unghie; phon; spazzola; pettine;
lamette monouso; rasoio elettrico; biancheria per il letto; schiuma da barba; padella; pappagallo; pannolini;
lenzuola e coperte.
L’igiene del viso deve essere effettuata quotidianamente. Per la proceduta dell’igiene del viso a letto
bisogna:
• aiutare l’anziano a mettersi in posizione seduta o semiseduta;
• porre sul letto un telo;
• versare nel catino acqua tiepida e porla sul piano di appoggio;
• far lavare le mani all’anziano e sostituire l’acqua;
• porgergli la manopola e il sapone invitandolo a detergersi e asciugarsi il viso (nel caso l’anziano non sia in
grado di farlo l’operatore insaponerà con delicatezza il viso, risciacquandolo e asciugandolo).
Per l’igienedella zona palpebrale bisogna detergere con movimento dall’angolo interno verso quello
esterno, senza invertirne il senso, utilizzando un tamponcino di garza imbevuto di acqua distillata per
ciascun occhio.
Per l’igiene del naso bisogna asportare l’eccesso di materiale organico con movimento rotatorio utilizzando
tamponcini di garza inumiditi (non effettuare l’operazione in profondità).
Il taglio della barba va effettuato a giorni alterni pretendo rasoi elettrici nel caso di anziani diabetici.
Per l’igiene delle orecchie bisogna effettuare la detenzione del padiglione esterno utilizzando tamponcini di
garza.
L’igiene del cavo orale va effettuata quotidianamente. Per la procedura dell’igiene del cavo orale bisogna:
• aiutare l’anziano a mettersi in posizione seduta o semiseduta (per gli anziani in condizioni psicofisiche
gravi la manovra va eseguita indebito laterale);
• rimuovere eventuali protesi mobili e detergerle con spazzolino e dentifricio;
• far effettuare sciacqui col collutorio e detergere gengive e lingua della persona con garza imbevuta nel
collutorio;
• evitare l’ingresso delle secrezioni presenti nel cavo orale alle vie respiratorie e porre attenzione a non
stimolare il riflesso del vomito;
• posizionare l’eventuale protesi;
• riordinare il materiale utilizzato.
L’igiene delle mani va effettuata quotidianamente. La cura delle unghie va effettuata quando necessario.
Per la procedura dell’igiene delle mani e delle unghie bisogna:
• posizionare la cerata;
• immergere la mano dell’anziano nel catino con acqua tiepida;
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• insaponare palmo, dorso e zone interdigitali;
• sciacquare e asciugare con cura;
• ripetere l’operazione con l’altra mano rinnovando l’acqua;
• procedere, al bisogno, alla cura delle unghie nel caso in cui non sia necessario un intervento di tipo
specialistico.
L’igiene dei capelli a letto va effettuata settimanalmente o ogni 15 giorni. Per la procedura dell’igiene dei
capelli bisogna:
• far assumere all’oziano il decubito supino con il viso ruotato su di un lato;
• togliere i cuscini;
• coprire il torace dell’utente con il lenzuolo;
• posizionare le tele cerate, la traversa e il contenitore di raccolta dell’acqua usata;
• inumidire i capelli e versare un po’ di shampoo;
• invitare l’utente a tenere gli occhi chiusi;
• frizionare, strizzare e avvolgere i capo con un lenzuolo o un asciugamano preferibilmente caldi;
• strofinare i capelli con l’asciugamano e pettinarli;
• iniziare l’asciugatura con il peon dopo avere eliminato il materiale bagnato o umido;
• spazzola e pettinare i capelli, procedere a un’eventuale acconciatura;
• riordinare il materiale usato.
L’igiene dei piedi e delle unghie va effettuata a giorni alterni. Il materiale occorrente é:
• contenitore con acqua della temperatura desiderata dall’anziano;
• sapone liquido;
• salvietta o asciugamano;
• pietra pomice;
• forbicina apposita/tronchesino (quello che preferisce l’anziano);
• lima da unghie;
• se necessario usare creme emollienti o olio di vaselina per ammorbidire le callosità.
Per la procedura dell’igiene dei piedi e delle unghie bisogna:
• scoprire gli arti inferiori fino alle ginocchia;
• porre cerata e traversa sotto i piedi dell’anziano;
• posizionare il catino contenente acqua tiepida e immergervi i piedi;
• insaponare e sciacquare i piedi rivolgendo particolare attenzione agli spazi tra le dita;
• asciugare accuratamente e massaggiare i piedi soprattutto nella regione plantare e nel tallone;
• riporre il materiale usato.
L’igiene del busto va effettuata a giorni alterni in inverno e quotidianamente in estate e nelle persone
incontinenti. Per la procedura dell’igiene del busto bisogna:
• posizionare la tela cerata;
• scoprire soltanto il tronco della persona;
• insaponare e procedere alle cure igieniche secondo il seguente ordine: viso, collo, torace, braccia e mani
(porre particolare attenzione alle pieghe cutanee e all’ombelico);
• risciacquare e asciugare;
• far ruotare l’anziano sul fianco e procedere alla pulizia del dorso e della regione lombo-sacrale;
• rivestire tempestivamente l’utente;
• riordinare il materiale utilizzato.
L’igiene dei genitali va effettuata quotidianamente. Per la procedura dell’igiene dei genitali bisogna:
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• collocare cerata e traversa;
• far assumere alla persona la postura ginecologia posizionando la padella sotto la regione sacrale;
• inumidire e insaponare la salvietta monouso;
• versare con la brocca acqua tiepida dalla regione pubica in basso verso il perineo per evitare infezioni;
• per la donna -> divaricare le piccole e grandi labbra, detergere la zona dall’alto verso il basso,
risciacquare;
• per l’uomo -> scoprire il glande e rimuovere eventuali secrezioni con il detergente, risciacquare;
• asciugare accuratamente i genitali;
• se l’anziano presenta debiliti in regione sacrale evitare contatti con la padella;
• posizionare la persona in decubito laterale e procedere alla detenzione della zona perinatale, sciacquare
e asciugare;
• posizionare correttamente in pantalone alle persone incontinenti;
• riordinare il materiale usato.

Capitolo 2. Soddisfazione del bisogno dell’alimentazione

Nutrizione artificiale
La nutrizione artificiale è una procedura terapeutica mediante il quale è possibile soddisfare i fabbisogni
nutrizionali di pazienti che non sono in grado di alimentarsi per via naturale. La NA deve essere utilizzata in
pazienti affetti dalle più diverse patologie nelle quali sia presente o ci sia il rischio di insorgenza di una
condizione di malnutrizione proteico-calorica (MPC) che è una condizione di alterazione funzionale
strutturale e di sviluppo dell'organismo in seguito ad uno squilibrio tra fabbisogni, introiti e utilizzazione dei
nutrienti. In ospedale le tipologie di pazienti per il quale risulta indicata la NA sono:
 pazienti malnutriti
 pazienti ipercatabolici
 pazienti a rischio di malnutrizione.
In base alla presenza di malnutrizione/catabolismo, possiamo distinguere:
 pazienti normonutriti/normocatabolici
 malnutriti/normocatabolici
 normonutriti/ipercatabolici
 malnutriti/ipercatabolici
Le cause più frequenti di MPC nel paziente ospedalizzato sono:
 ridotto apporto orale di nutrienti (anoressia)
 aumentati fabbisogni (traumi)
 alterata utilizzazione dei nutrienti (insufficienza d'organo)
 perdita di nutrienti (malassorbimento)
 fattori iatrogeni (farmaci).
La NA dovrebbe essere effettuata a causa di
 malnutrizione severa o moderata;
 stato nutrizionale normale ma:
 ipercatabolismo grave, moderato
 previsione di un'insufficiente nutrizione orale per almeno 10 giorni. La gravità del
catabolismo può essere misurata in base alla perdita di azoto: -<di 5 g/die si ha una perdita
normale di azoto ; 5-10 g/die catabolismo lieve; 10-15 g/die catabolismo moderato; >15
g/die catabolismo grave.
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Esistono due modalità di somministrazione: la nutrizione parenterale (NP) e la nutrizione enterale (NE).
Attraverso la NP vengono somministrati i nutrienti in forma semplice attraverso la via venosa; tramite la NE
vengono somministrati i nutrienti in forma più o meno complessa attraverso il canale alimentare mediante
apposite sonde (Sondino naso gastrico/ naso digiunale, gastrostomia percutanea o digiunostomia).
A patto che non siano presenti controindicazioni la scelta da privilegiare è la nutrizione enterale. Le
principali condizione nelle quali la NE è controindicata sono: gravi alterazioni della funzione intestinale
secondaria a enteropatie o insufficienza della superficie assorbente, tale da non permettere il
mantenimento di un adeguato stato nutrizionale; grave ischemia intestinale su base non ipovolemica;
occlusione o subocclusione cronica intestinale; fistole digiunali o ileali ad alta portata.

Nutrizione enterale
Le vie d'accesso della NE sono: sondino naso gastrico, sondino naso digiunale, PEG e PEJ.

Sondino naso gastrico (SNG)


E' utilizzato per una nurizione enterale di breve durata (minore di 30 gg). I vantaggi del sondino sono: la
facilità di posizionamento e il basso costo; gli svantaggi sono: il facile dislocamento, lo scarso comfort e un
possibile RGE
Inserimento
Il sondino passa attraverso il naso fino allo stomaco permettendo di utilizzare lo stomaco come naturale
contenitore del cibo. Questo tipo di sondino viene anche utilizzato per la decompressione (riduzione della
pressione intra-addominale ed intratoracica) o il drenaggio di aria e fluidi dallo stomaco, per il monitoraggio
di eventuali sanguinamenti del tratto gastro-intestinale, per rimuovere sostanze indesiderate come veleni
(lavanda gastrica) o per mettere a riposo il tratto gastro-intestinale.
Procedura
1. Informare il paziente e assicurarsi che sia a digiuno
2. Anamnesi recente e remota (interventi chirurgici subiti, traumi facciali)
3. Rilevare i parametri vitali
4. Igiene del cavo orale ed eventuale rimozione di protesi dentaria
5. Detergere la cute del’ala nasale con acqua e sapone
6. Posizionare il pz seduto o semi seduto, con la testa lievemente estesa
7. Valutare la pervietà delle narici chiedendo al paziente di occludere una narice per respirare
normalmente attraverso l'altra e scegliere quindi la narice attraverso cui l'aria passa più facilmente.
Ispezionare e palpare l'addome per valutarne la distensione e ascoltare i rumori intestinali per
valutare la peristalsi
Esecuzione della manovra
1. Lavaggio sociale delle mani e indossare guanti e visiera anti-schizzo
2. Misurare la distanza per l'inserimento de tubo mettendo la punta del sondino all'altezza della
narice del paziente estendendo il sondino al lobo dell'orecchio e poi alla punta del processo
xifoideo (NEX: naso-orecchio-xifoide)
3. Contrassegnare il punto misurato con un cerotto
4. Lubrificare la punta della sonda per almeno 5 o 10 cm con un lubrificante idrosolubile e se
opportuno applicare un anestetico topico alla narice e all'orofaringe (lidocaina)
5. Inserire delicatamente il tubo nella narice mente lo si direziona in alto e poi verso il basso (quando
il sondino raggiunge la faringe il paziente potrebbe avere sforzi di vomito)

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6. Invitare il paziente a deglutire spingendo avanti la sonda. Fermarsi quando il paziente respira e nel
caso in cui la tosse e il vomito persistessero fermare lo spostamento della sonda e controllare la sua
posizione con l'abbassalingua
7. Fissare provvisoriamente il sondino al naso o alla guancia fino a quando si ha la conferma che il
sondino è nello stomaco del paziente. Attaccare la siringa alla parte finale del tubo e aspirare una
piccola quantità di contenuto gastrico per misurare il pH del fluido aspirato (il pH gastrico è acido,
meno di 5,5) e successivamente fare una radiografia del torace per verificare il posizionamento del
sondino.
8. Fissare il sondino al naso del paziente con un cerotto
9. Chiudere il sondino con un morsetto e togliere la siringa; inserire un tappo sul sondino o collegarlo
ad un sistema di aspirazione

Gestione del sondino


 Cambiare giornalmente il cerotto di fissaggio del sondino previa detersione della cute
 Mantenere un’accurata igiene della cavità nasale e del cavo orale
 Controllare arrossamenti dell’ala nasale e/o presenza di piccole lesioni all’interno della narice
 Nel caso di spostamenti o fuoriuscita del sondino procedere con la sostituzione alternando la narice
 Prima-durante-dopo la somministrazione dei nutrienti e tra farmaci diversi il sondino deve essere
sempre lavato con acqua per evitare l’ostruzione e l’interazione tra farmaci
Modalità di somministrazione degli alimenti
 Nutripompa: le pompe sono in grado di erogare in maniera precisa la quantità di alimento nel
tempo
 A caduta: è sconsigliato l'uso
 Bolo: viene somministrato un volume variabile da 125 a 350 ml con l'aiuto di siringhe per 4- 6 volte
al giorno
Complicanze
 Complicanze meccaniche: Ostruzione con formazione di precipitato all'interno della sonda,
attorcigliamento
 Complicanze gasto-enteriche: Diarrea, distensione e dolori addominali(dovuti ad una eccessiva
velocità di infusione ), nausea e vomito (da distensione gastrica), stipsi (ridotto apposto di fibre,
liquidi o farmaci)
 Complicanze metaboliche: ipoglicemia, alterazioni del bilancio idrico o alterazioni elettrolitiche
 Complicanze infettive: Broncopolmonite Ab ingestis

Possono essere utilizzate le sonde gastriche ad una via (lunghe 76-125 cm) dotate di un'estremità radiopaca
per il riconoscimento radiologico. La sonda di Levin è la più utilizzata ed ha un solo lume mentre la sonda di
Salem è a doppio lume.

Sondino naso digiunale (SND)


E' previsto il passaggio transpilorico della sonda che può avvenire passivamente sfruttando la peristalsi
gastrica o attivamente guidando la sonda per via endoscopica. I vantaggi sono il basso costo e la facilità di
posizionamento; gli svantaggi sono lo scarso comfort e il facile dislocamento. E' indicato principalmente
quando si ha un ritardato svuotamento gastrico o atonia gastrica.

Gastrostomia endoscopica percutanea (PEG)


La gastrostomia endoscopica percutanea è indicata quando l'alimentazione enterale è necessaria per un
lungo periodo, per chi ha ostruzioni subtotali del tratto gastroenterico alto, tumori al capo o al collo, traumi
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della faccia o malattie neurologiche con disfagia. La PEG ha il vantaggio di avere un accesso diretto allo
stomaco, un maggior comfort per il paziente, non richiede la sala operatoria e l'anestesia generale, ed è
utilizzabile sia come NE che per decompressione. E' sconsigliata però per chi ha ascite importante, stenosi
esofagee serrate, ulcere gastrico duodenale in atto impossibilità all'esecuzione della endoscopia.
La sonda PEG è a quattro vie (Minnesota). E’ dotata di una quarta derivazione una delle quali serve per
l'aspirazione esofagea, così da non introdurre una sonda di Levin.
Procedura
1. Lavarsi le mani come da protocollo, osservare e ascoltare il paziente per ottenere informazioni sulle
condizioni di base del suo apparato digerente. Spiegare il motivo dell’introduzione della sonda e
chiedere la collaborazione nel momento dell’introduzione. Chiedere la collaborazione attraverso il
movimento delle mani.
2. Esaminare le narici con una pila per vedere quale delle narici è più comoda per l’introduzione. Far
chiudere le narici alternativamente per valutare il passaggio di aria. Chiedere al paziente se ha mai
avuto fratture nasali o altra patologia.
3. Predisporre i materiali da utilizzare (SNG, siringone a punta eccentrica, bacinella, garza con
anestetico locale, bicchiere con acqua, cerotto, busta per la raccolta di materiale gastrico, DPI).
4. Accertarsi con l’acqua che la sonda sia pervia.
5. Lubrificare l’estremità della sonda e controllare che la sonda non abbia pieghe.
6. Disporre il paziente, dove possibile, in posizione semiseduta.
7. Porre una bacinella da disporre sotto il mento.
8. Introdurre la sonda fino all’ipofaringe, inviare il paziente a bere un sorso d’acqua in modo da
seguire la deglutizione e far raggiungere la sonda nello stomaco tenendo il capo inclinato in avanti.
Se il paziente comincia a tossire o diventa cianotico togliere subito la sonda in quanto potrebbe
aver preso la via respiratoria.
9. Esaminare il cavo orale per valutare che il sondino si sia arrotolato.
10. Accertarsi che la sonda sia nello stomaco con aspirazione del succo gastrico con una siringa a bulbo
collegata al’estremità della sonda. Un’altra prova da effettuare è di introdurre con la siringa aria
nello stomaco e al momento della spinta sul siringone, ascoltare con stetoscopio posto sulla bocca
dello stomaco il rumore di penetrazione dell’aria.
11. Quando si è sicuri che la sonda è nello stomaco, fissare con cerotto a Y preventivamente preparato
e fissarlo in modo da prevenire lesioni da decubito nelle narici.
Prima di fornire assistenza per una PEG, bisogna valutare la sede di inserzione, annotando la
presenza di secrezione, lesioni cutanee, o eritema. Misurare la lunghezza della parte esterna della
sonda, confrontandola con la misura iniziale dopo l'inserzione. In alternativa, la sona può essere
segnata a livello della cute nella sede di inserzione con un segno indelebile. Valutare che sia ben
stabilizzata e anche la tensione della sonda perchè potrebbe provocare una fuoriuscita di liquido
gastrico. Se invece la tensione è eccessiva, il dispositivo interno di ancoraggio può erodere i tessuti
attraverso la cute.
Somministrazione della nutrizione con la sonda
 E’ necessario lavarsi accuratamente le mani con acqua e sapone prima di iniziare la preparazione
degli alimenti.
 Preparazione degli alimenti. Se gli alimenti sono già disponibili sotto forma liquida, in flacone o in
sacca idonei ad essere collegati alla linea infusione PEG, PEJ, SNG agitare bene la confezione e
predisporre tutto l’occorrente. Se il preparato è stato conservato in frigorifero portarlo a
temperatura ambiente.

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 Terminata la preparazione degli alimenti, far assumere al paziente la posizione semi-seduta ,
sollevando la testiera del letto o utilizzando alcuni cuscini, per facilitare la somministrazione del
preparato. Tale posizione deve essere mantenuta per almeno un’ora dal termine del pasto onde
evitare pericolosi rigurgiti gastroesofagei.
 Si dovrà controllare, inoltre l’esatta posizione della sonda. Questa presenta delle tacche di
riferimento (una scala graduata), che permette a verificare gli eventuali spostamenti del sondino.
 Connettere una siringa a cono alla sonda e iniettare 10 ml di aria, poi aspirare il contenuto dello
stomaco e misurare il residuo. Se è più di 100ml, o più della metà dell'ultima somministrazione
alimentare, contattare il medico prima di procedere all'alimentazione.
 Aprire il contenitore dell'alimentazione e raccordare al set infusionale. Aprire il deflussore
muovendo un apposita rotellina.
 Capovolgere il contenitore con l'alimentazione e riempire la camera di gocciolamento, facendo
scorrere il liquido lungo tutto il deflussore. Una volta arrivato al punto di connessione chiudere il
flusso con la rotellina.
 Appendere la sacca di alimentazione e connettere il deflussore alla sonda gastrica. Aprire il flusso
muovendo la rotellina e regolare la velocità prestabilita dal personale assistenziale.
 Tenere sempre sotto osservazione il paziente durante il pasto segnalando la comparsa di sintomi
quali: tosse , difficoltà respiratoria, cianosi, causati da aspirazione o reflusso alimentare nelle vie
aeree; nausea, vomito, diarrea; alterazione della coscienza.
Alla fine della nutrizione va somministrata acqua. Si può riutilizzare lo stesso contenitore della nutrizione, il
quale va scollegato riempito d'acqua e ricollegato, ma senza scollegare tutto il set. Ricordarsi di chiudere il
flusso nel deflussore per evitare le fuoriuscite del liquido.
Nei periodi di non utilizzo chiudere la sonda con un tappo adatto (conico da catetere o similari) non pinzare
la sonda .
Il deflussore va cambiato ogni 24 ore.
Registrare giornalmente la quantità di soluzione nutritiva somministrata.
Somministrazione di farmaci
I farmaci non devono essere mescolati con gli alimenti, ma somministrati a parte. Sono preferibili i
farmaci in forma liquida, dove ciò non sia possibile, polverizzare le compresse, somministrarle una
alla volta con acqua, irrigare con 5 cc di acqua tra un farmaco e l’altro, quindi risciacquare la sonda.
 Chiudere il flusso dell'infusione. Identificare il rubinetto in prossimità al collettore. Preparare
il farmaco nella siringa. Piegare le due estremità del rubinetto e svitare il tappo.
 Collegare la siringa, lasciare piegata la parte del deflussore che è collegata all'infusione, cioè
il flusso del farmaco deve essere diretto verso il paziente. Iniettare il farmaco.
 Prima di svitare la siringa si ripiega di nuovo l'estremità del deflussore. Poi si procede al
lavaggio. Il farmaco deve arrivare allo stomaco, senza rimanere nella sonda. Si fa lo stesso
procedimento con la siringa riempita di 10-20 ml d'acqua.
 Dopo di che avvitare il tappino e aprire l'infusione.
Complicanze
 ostruzione della sonda per deposito della miscela all'interno,
 mal posizionamento o spostamento del sondino,
 erosioni/infiammazioni delle vie aeree superiori, dell'esofago, stomaco,
 fuoriuscita di materiale gastroenterico (erosione cute),
 infezione della ferita,
 sanguinamenti,
 dislocazione e angolatura del catetere,

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 nausea e vomito le complicanze più frequenti in corso di NE. Possono derivare da distensione gastrica
causata da eccessiva velocità di somministrazione delle miscele nutritive; odore e sapore della miscela che
possono essere sgradevoli per il paziente;soluzioni nutritive ad elevata osmolarità; intolleranza al lattosio;
eccessiva quantità di grassi nella dieta,
 diarrea la complicanza più frequente e temuta in quanto può provocare disidratazione marcata, squilibrio
idroelettrolitico e acido base tali da influenzare negativamente la prognosi.
 Stipsi costituisce una complicanza frequente nel trattamento a lungo termine. Si associa ad un
concomitante stato di disidratazione,
 Complicanze settiche. La broncopolmonite ab ingestis potenzialmente può avvenire in tutti i pazienti in cui
la somministrazione di nutrienti avviene nello stomaco. Può avere esito letale.

Digiunostomia (PEJ)
La digiunostomia endoscopica percutanea si basa sull'introduzione di una sonda nutrizionale a livello della
prima o seconda ansa digiunale dopo il Treitz.
Ha il vantaggio di poter superare ostruzioni del tratto gastrointestinale prossimale e ha minor rischio
dell'aspirazione e di RGE. Ha lo svantaggio invece di avere dei sondini piccoli (< 7 Fr.) e quindi una lenta
somministrazione di nutrienti.

Nutrizione parenterale
La nutrizione parenterale consiste nella somministrazione di nutrienti direttamente per via endovenosa,
scavalcando l'apparato digerente. Può essere condotta attraverso due tipi di accesso venoso:
 periferico: di solito mediante ago cannula inserito in una vena periferica
 centrale: cannula inserita nelle vene centrali in modo che la punta sia posizionata in vena cava
superiore o atrio destro.
Accesso venoso periferico
I Cateteri venosi periferici (CVP) sono i dispositivi più usati per l’accesso vascolare. L’accesso venoso
periferico (AVP) permette il collegamento tra la superficie cutanea e una vena del circolo periferico:
basilica, cefalica o in caso d’urgenza la giugulare esterna. I cateteri venosi periferici sono realizzati con
materiale biocompatibile (teflon, poliuretano, silicone) assemblato in modi diversi secondo la specificità.
Sono indicati per terapie a breve termine o per terapie intermittenti. Una buona gestione del catetere può
aiutare a prevenire infezioni sia locali sia sistemiche.
Le indicazioni a condurre una nutrizione parenterale per via venosa periferica sono:
 quando si prevede l'uso di soluzioni nutritive NON ipertoniche
 quando vi sia un rischio legato all'incannulazione venosa centrale.
I cateteri venosi periferici devono garantire la stabilità dell’accesso venoso, la massima biocompatibilità e la
protezione da complicanze infettive e trombotiche. Inoltre deve essere possibile l’uso discontinuo. La
misura del diametro esterno di un catetere è espressa in french (1 french corrisponde a 3 mm), la misura
del diametro interno è indicata in gauge (corrisponde al numero di cateteri che entrano in un cm2), mentre
la lunghezza del catetere è espressa in centimetri. I cateteri si possono classificare in relazione al tempo di
pemanenza:
 a breve termine (agocannule) sono i cateteri usati in ambito ospedaliero con tempo di permanenza
di 3 o 4 giorni, sono cateteri a punta aperta, di teflon con un diametro compreso tra 14 e 24 gauge;
 a medio termine (per esempio Mid Line), sono cateteri usati in ambito ospedaliero ed
extraospedaliero con un tempo di permanenza di 4 settimane, possono essere a punta aperta
oppure valvolati, di solito sono di silicone o poliuretano, sono lunghi da 20 a 30 cm (la punta può
arrivare in vena ascellare) e il diametro va da 2 a 6 french.

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I vantaggi della nutrizione parenterale mediante CVP sono: riduzione dei costi, evitare rischi legati alla
venipuntura centrale e alle infezioni sistemiche da CVC.
Gli svantaggi invece sono: è di breve durata, comporta un esaurimento progressivo delle vene disponibili,
limita la somministrazione di soluzioni ipertoniche.
Modalità di accesso
Le modalità di accesso a una via periferica vanno dalla puntura venosa estemporanea con ago a farfalla
(butterfly) fino all’incannulamento. L’ago a farfalla può essere usato per terapie infusive sporadiche o di
breve durata. Inoltre può essere usato per il prelievo del sangue in pediatria. L’incannulamento invece
viene usato di solito per terapie infusive continue o ripetute più volte nell’arco della giornata. La vena può
essere scelta:
 in cieco, preferendo una vena superficiale, facilmente rintracciabile e di sufficiente turgore;
 con l’ausilio di un ecografo a sonda piccola per agevolare l’inserimento del catetere (questo
metodo si usa in genere con il catetere Mid Line).
Posizionamento del catetere
La scelta della vena e le modalità di posizionamento del catetere possono condizionare il risultato della
terapia infusionale. Ogni volta che si procede all’incannulamento di una vena periferica bisogna verificare
che le vene:
 siano superficiali, palpabili e sufficientemente sviluppate;
 non siano dolenti, non presentino ematomi, e non siano sclerosate.
E’ preferibile non usare le vene di un braccio edematoso o ipofunzionante (ovvero braccia con problemi
neurologici, plegici, o che abbiano subito uno svuotamento ascellare in seguito a mastectomia). E’ bene
scegliere il braccio non dominante per evitare di rendere il paziente dipendente o ostacolarne i movimenti
così come è meglio non utilizzare vene vicine alle articolazioni mobili, per ridurre il rischio di fuoriuscita del
catetere dalla vena. Bisogna inoltre utilizzare cateteri di calibro inferiore rispetto alla vena scelta per ridurre
il rischio di flebite. Negli adulti è meglio posizionare il catetere negli arti superiori. Nel caso sia stato
necessario metterlo in un arto inferiore occorre riposizionarlo appena possibile. Nei bambini piccoli invece
le sedi migliori per il posizionamento del catetere sono le mani, il dorso del piede e il cuoio capelluto. Si
raccomanda inoltre di non radere il punto destinato alla puntura venosa perché la rasatura può facilitare lo
sviluppo di un’infezione attraverso la moltiplicazione di batteri nelle microabrasioni che si possono creare;
le zone molto pelose vanno eventualmente rasate con forbici, creme depilatorie o rasoi elettrici .
Accesso venoso centrale
Indicazioni alla nutrizione parenterale mediante CVC sono:
 necessita di impiegare soluzioni nutritive ipertoniche (nutrizione parenterale totale)
 necessità di vie stabili, per nutrizione parenterale di lunga durata
 necessità di CVC per la non disponibilità di vene periferiche, per l'infusione di potassio o farmaci
feblolesivi
Il catetere venoso centrale (CVC) è una sonda di materiale biocompatibile (silicone o poliuretano) che,
introdotta attraverso una vena tributaria, raggiunge la vena cava superiore .
Le vene di grosso calibro utilizzate sono la succlavia, la giugulare interna e la femorale.
 Succlavia: indicata per cateterizzazioni a lungo termine, in pazienti autosufficienti dove si voglia
preservare una completa mobilità e permette maggior libertà dei movimenti della testa, o in
situazioni d'emergenza.
Complicanze: pneumotorace (puntura cupola pleurica) o emotorace (puntura arteriosa).
Controindicata nei pz nefropatici nei quali si prevede il confezionamento di una fistola artero-
venosa.
 Giugulare interna: vena facilmente reperibile con inserimento lineare del catetere con sbocco
diretto in vena cava superiore. Minor rischio di pneumotorace. I cateteri usati per emodialisi e
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plasmaferesi è preferibile che vengano posizionati in vena giugulare e femorale piuttosto che in
vena succlavia per evitare la stenosi venosa.
Complicanze: puntura accidentale dell’ arteria carotide .
Controindicata nei pazienti neurochirurgici in cui c'è un rischio di rallentamento del flusso venoso
cerebrale e nei portatori di tracheostomia.
 Femorale: indicata nella sola impossibilità a reperire altre sedi (es. impegno mediastinico,
esaurimento accessi del distretto superiore ) .
Facilmente reperibile anche in un paziente in stato di shock.
Complicanze: tunnellizzazione lunga e maggior possibilità di dislocazione, aumento del rischio di
infezioni e di trombosi cavale inferiore, sede di medicazione non ideale.
Controindicata nei pazienti con inadeguato controllo degli sfinteri, malformazioni dell'arto
inferiore, displasia congenita dell'anca (si può accompagnare ad anomalie vascolari).
Indicazioni all’utilizzo del CVC
 Terapie infusionali continue di farmaci ipersmolari e/o fleboclisi, emotrasfusioni eccetera con
l’obiettivo di garantire un accesso stabile e sicuro, per preservare il patrimonio venoso periferico e
ridurre il rischio di tromboflebiti ,stravasi periferici e infezioni.
 Nutrizione parenterale totale (NPT).
 Somministrazione di chemioterapici antiblastici: sono farmaci irritanti e vescicanti e una loro
somministrazione attraverso un accesso venoso periferico è improponibile, in quanto renderebbero
inaccessibile in breve tempo il sistema venoso periferico.
 Valutazione della pressione venosa centrale (PVC).
 Depauperamento patrimonio venoso periferico.
 Emodialisi.
 Plasmaferesi.
 Esecuzione di prelievi ematici.
 Emergenze che richiedono un accesso rapido e sicuro.
Classificazione/Tipologia
In base alla durata di permanenza sono:
 a breve termine (fino a 1 mese)
 a medio termine (fino a 3mesi –massimo 6 )
 a lungo termine (oltre 6 mesi)
Le dimensioni del diametro del catetere sono espresse in French (1F=o,33 mm) per il diametro esterno e in
Gauge per il diametro interno del lume. La lunghezza del catetere viene espressa in cm.

I CVC si classificano in :
↗ non tunnellizzati (HOHN)
-parzialmente impiantabili
↘ tunnellizati a punta aperta(HICKMAN)
a punta chiusa(GROSHONG)
-totalmente impiantabili (PORT-A-CATH)

- a inserzione periferica (PICC)

I cateteri tunnellizzati (es. Groshong) percorrono un tragitto sottocutaneo prima dell’accesso in vena, i
cateteri non tunnellizzati (es. PICC e Hohn) invece sono inseriti direttamente in vena.
Possono anche essere a punta chiusa quindi con valvola (Groshong) o a punta aperta, non valvolati
(Hickman).
Quando i CVC non sono in uso la valvola rimane chiusa agendo da barriera al reflusso ematico all’interno
del catetere e previene l’embolia gassosa in caso di deconnessione accidentale della linea di infusione.
Applicando una significativa pressione negativa (aspirazione) la valvola si apre permettendo il prelievo
ematico. Applicando pressione positiva (infusione) all’interno del catetere la valvola si apre, permettendo

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l’infusione di liquidi. In condizioni di valori pressori normali, la valvola rimane chiusa; è perciò inutile l'uso di
un agente anticoagulante ematico all’interno del catetere per evitare la formazione di trombi (eparina).
I benefici forniti dalla valvola sono: maggiore sicurezza per il minor rischio di reflusso ematico e di embolia
gassosa, minore frequenza di lavaggio del catetere quando non in funzione, non bisogna eparinizzare il
catetere quando non è in uso.
Sono disponibili cateteri a lume singolo doppio o multiplo. Le vie del catetere sono di solito identificate dal
colore e dalla descrizione del calibro. (Modalità suggerite per la gestione delle vie: via distale di calibro
maggiore usata per prelievi ematici, infusione di emoderivati, PVC; via prossimale di calibro minore usata
per la terapia infusionale/endovenosa estemporanea e NPT. La NPT preferibilmente va somministrata su
linea dedicata e con pompa infusionale.)

PICC
I PICC vengono inseriti per via periferica attraverso la vena basilica, cefalica o brachiale, e raggiungono la
vena cava superiore. Possono essere con valvola o senza, sia in silicone che in poliuretano. È un accesso
venoso a medio termine, può rimanere in sede fino ad un massimo di 3/6mesi.
Il PICC consente tutti gli utilizzi tipici dei CVC: misurazione della pressione venosa centrale, infusione di
soluzioni ipertoniche, somministrazione di farmaci vescicanti o irritanti per le pareti dei vasi sanguigni, per
la NPT, per la chemioterapia .
Vantaggi: abolizione dei rischi legati alla venipuntura centrale(pneumotorace, emotorace); riduce il rischio
di infezioni e trombosi venosa centrale; il suo utilizzo è consentito sia in ambito ospedaliero che domiciliare.
Svantaggi: necessità di vene periferiche agibili; tromboflebiti locali associate alla terapia
endovenosa/infusionale.
La flebite può essere dovuta all’inserzione stessa del catetere, al trauma della tunica intima, e si presenta in
24-48 ore dal posizionamento del catetere.
I segni e i sintomi sono dolore, rossore, calore (ipertermia locale), edema che può coinvolgere tutto l’arto,
cordone venoso palpabile(vena turgida), difficoltà ad infondere, a volte appare una striatura rossa lungo il
percorso della vena.
La rimozione del catetere è necessaria se la sintomatologia dovesse continuare o addirittura
aggravarsi.
Il PICC viene inserito in ambiente sterile in sala operatorio o in ambiente dedicato, può essere posizionato
da personale medico o infermieristico adeguatamente formato con venipuntura semplice o con la tecnica
ecoguidata che consente la localizzazione di vene periferiche non visibili né palpabili in anestesia locale. La
tecnica più usata per l’inserimento è il metodo di Seldinger, con un introduttore metallico che fa da guida
al catetere.
Subito dopo l’impianto del catetere va eseguita una medicazione con garza e cerotto, da rinnovare dopo 24
ore (medicazione precoce). Successivamente la frequenza di cambio della medicazione varia in base alla
tipologia di medicazione utilizzata (bisogna preferire la medicazione semipermeabile trasparente in
poliuretano, da rinnovare ogni 7 giorni) e allo stato del punto di inserzione : se ci sono problemi come
sanguinamento dal sito di inserimento o fuoriuscita di siero la medicazione va fatta con garza e cerotto da
rinnovare ogni 24 ore o quando appare sporca, umida e bagnata fino alla guarigione del sito.
Il catetere Midline ha caratteristiche molto simili, a differenza del PICC, è un catetere periferico, la sua
punta è posizionata a livello della vena ascellare o della vena succlavia. Il Midline non consente gli usi tipici
dei cateteri venosi centrali, può quindi essere utilizzato per terapie nutrizionali e farmacologiche
compatibili con la somministrazione per via venosa periferica.

PORT
I PORT A CATH sono composti dal catetere propriamente detto e da un "serbatoio" (reservoir o camera) in
genere in titanio inserito in un'apposita "tasca" sottocutanea.
Il reservoir ha una membrana in silicone che può essere perforata da aghi appositamente conformati non
carotanti e non siliconati (aghi di Huber e aghi di Gripper di 20-22 Gauge) senza intaccare l ‘integrità della
camera che si richiude automaticamente (autosigillante) dopo ogni utilizzo. Per accedere al Port, si

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disinfetta il sito da pungere, con due dita di una mano si espone il reservoir tenendolo saldamente fermo e
con l’altra mano si introduce l’ago perfettamente perpendicolare alla cute fino a fondo nel reservoir.
In caso di infusione continua l’ago di Huber può restare in situ fino a 7 giorni coperto da medicazione
semipermeabile trasparente. Prima disconnettere un port si effettua un lavaggio con soluzione fisiologica e
successivamente se c’è l indicazione si infonde una soluzione eparinata. Poi si espone il port con due dita e
si tira l ‘ago con fermezza, si applica una compressione delicata con garza sterile nel sito di inserzione e si
applica un cerotto medicato se esce del sangue, altrimenti non è necessaria una medicazione.
Il Port può essere mono- o bi-lume (costituito da due distinte camere connesse separatamente ai due lumi
del catetere).
L'impianto di tale dispositivo consente di garantire un accesso venoso stabile e duraturo in pazienti che
necessitano di infusione a lungo termine di liquidi, chemioterapici, nutrizione parenterale, emoderivati.
Il Port è inserito in anestesia locale mediante tecnica chirurgica in ambiente sterile. L’intervento consta di
due fasi: l’incannulazione della vena e l’impianto del serbatoio sottocute.
Viene preparata una tasca sottocutanea circa 4–5 cm al di sotto della clavicola, per il contenimento del
reservoir che verrà poi connesso al catetere venoso.
Dopo l’intervento, la cute soprastante la camera risulterà gonfia e dolente, pertanto è consigliabile
utilizzare il catetere dopo una settimana dall’impianto.
La prima medicazione della ferita chirurgica della tasca del reservoir e del sito di inserzione del CVC deve
essere eseguita a distanza di 24 ore dall’impianto del dispositivo, per verificare/controllare la presenza di
eventuali ematomi. Successivamente la frequenza di cambio della medicazione varia in base alla tipologia di
medicazione utilizzata e alla stato del punto di inserzione.
Il lavaggio del Port deve essere effettuato dopo ogni iniezione, infusione o prelievo ematico.
Quando il Port non viene temporaneamente utilizzato deve essere eparinato per prevenire l’occlusione.
L’eparinizzazione deve essere sempre preceduta da un lavaggio con soluzione fisiologica del CVC.
Sospendere l’uso del Port se sono presenti i segni peculiari di un’infezione.
Se all’ispezione è presente materiale sieroso o purulento, con arrossamento della cute circostante, eseguire
tampone colturale. Se la lesione ha  danneggiato gli strati epidermici inferiori deve essere trattata come
una qualsiasi lesione cutanea con medicazioni appropriate e l’uso del Port deve essere interrotto fino a
guarigione.  Se la lesione è deiscente ed espone totalmente la camera  si impone la rimozione  e,
l’eventuale re-impianto in altra sede  dopo un antibiotico terapia.

Prelievo
In genere il prelievo di sangue non dovrebbe essere effettuato da catetere venoso centrale, tuttavia in
situazioni di emergenza o nei casi in cui il soggetto abbia uno scarso patrimonio venoso si può optare per il
prelievo a livello centrale. Il passaggio di sangue nel catetere lascia residui all’interno del lume o nei
raccordi che potrebbero non essere rimossi se il lavaggio non viene eseguito correttamente dopo la
procedura e ostruire il catetere. Quando si effettua un prelievo ematico da catetere venoso centrale è
necessario lavarsi le mani e indossare i dispositivi di protezione individuale, in particolare: guanti e occhiali.
Se il catetere centrale ha più lumi, si deve usare il lume con il calibro maggiore (solitamente è la via
prossimale) per evitare l’emolisi e, naturalmente, va sospesa l’infusione nel momento in cui si deve
effettuare il prelievo.
Procedura
Si effettuata l’igiene delle mani e si prepara il campo sterile.
Si sospendono tutte le infusioni in corso . Solo nel caso di infusione di NPT, è indicato sospendere
l’infusione e procedere al lavaggio della via con sodio cloruro 0,9% prima di iniziare qualsiasi procedura per
evitare contaminazione con le tracce di nutrizione .
Si devono scartare 5 ml di sangue (prelievo di spurgo) utilizzando una siringa da 10 ml prima di riempire le
provette, perché potrebbe contenere parte delle soluzioni infuse (viene considerato contaminato).
Si collega il vacutainer e si procede al prelievo.
Dopo il prelievo va eseguito un lavaggio generalmente con 10 ml di soluzione fisiologica, iniettata con
manovra pulsante e chiusura a pressione positiva; si segnala l’importanza di utilizzare siringhe della
capienza di almeno 10 ml in questa manovra per evitare eccessive pressioni nell’esecuzione.
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Questa tecnica va eseguita sempre per mantenere la via pulita e pervia, senza residui ematici che
potrebbero portare all’occlusione del lume o all’infezione del CVC.
Nei CVC a punta valvolata (Groshong) è preferibile non mettere in comunicazione diretta il catetere al
sistema vacutainer ma utilizzare la tecnica di prelievo con rubinetto a tre vie, a cui si collega una siringa da
10 ml e la provetta da riempire, per non sottoporre il catetere alla “pressione negativa” esercitata dalle
provette sottovuoto evitando così la rottura della punta valvolata del catetere .
Prima si esclude la via collegata alla provetta riempendo così la siringa, dopo si esclude la via collegata con il
catetere, mettendo in collegamento la siringa e la provetta che, grazie al vuoto, si riempirà prendendo il
sangue direttamente dalla siringa.
Eparinizzazione
Quando un CVC non viene temporaneamente utilizzato deve essere eparinato per prevenire l’occlusione.
L’eparinizzazione deve essere sempre preceduta da un lavaggio con soluzione fisiologica del CVC .
I CVC a punta aperta non valvolati se non si utilizzano per un intervallo di tempo superiore a 6-8 ore (uso
discontinuo) devono essere lavati con soluzione fisiologica con siringa non inferiore a 10 ml con tecnica
pulsante e chiusi con soluzione eparinata (50U.I./1ml)
I CVC valvolati non necessitano di eparinizzazione, la chiusura del catetere si effettua con soluzione
fisiologica.
Eparinare catetere valvolati a punta chiusa (Groshong) solo se:
 episodi di reflusso ematico nel catetere
 ostruzione del lume del catetere
 evidenza di valvola non funzionante

Capitolo 3. Il bisogno dell’eliminazione


Il bisogno di eliminazione è la necessità del soggetto di provvedere ad escrementi secreti ed escreti. Fra i
prodotti eliminati troviamo:
 Sudore -> viene eliminato dalle cute per mezzo delle ghiandole sudoripare. La sudorazione
permette al corpo di: eliminare liquidi, sostanze di rifiuto, disperdere calore. Il sudore è composto
da: acqua, cloruro di sodio, sostanze di rifiuto. Il sudore è inodore.
 Espettorato -> detto anche secreto bronchiale. Compito di tale secreto è favorire la pulizia
dell’albero bronchiale tramite la tosse. Può avere consistenza variabile a secondo il quantitativo di
acqua, muco, sangue, pus e detriti cellulari.
 Vomito -> espulsione forzata del contenuto gastrico attraverso la bocca. Si possono individuare tre
tipi di vomito: centrale, riflesso, ostruttivo.
 Feci -> diarrea: emissione rapida di feci abbondanti e poco formate. Stipsi: ridotta frequenza
dell’evacuazione delle feci con loro permanenza nel colon o nel retto.
 Urine -> è un liquido eliminato attraverso le vie urinarie. Normalmente la minzione è volontaria e
indolore e consiste in uno svuotamento della vescica. Una persona normale elimina 1000-1500 ml
di urine nelle 24 ore. Le urine di un soggetto normale hanno un pH debolmente acido, intorno a 6.
Cateterizzazione
Il cateterismo vescicale si intende l’introduzione provvisoria o permanente di un catetere sterile in vescica,
per via transuretrale o sovrapubica, a scopo diagnostico, terapeutico ed evacuativo.
I cateteri vescicali possono essere classificati in base al:
 Calibro
 Consistenza/materiale
 N. di vie
 Estremità prossimale
L'unità di misura (calibro) utilizzata per la misura dei cateteri è la scala di French o la scala di Charriere (un
ch=1/3 di mm) e corrisponde al diametro esterno del catetere stesso. A livello europeo è codificata anche
una scala di colore dei cateteri:
10 Nero
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12 Bianco
14 Verde
16 Arancio
18 Rosso
20 Giallo
22 Viola
24 Azzurro
26 Bianco
In base alla loro consistenza i cateteri possono essere: rigidi, semirigidi, molli, autolubrificanti (cateterismo
a intermittenza).
Per quanto riguarda i materiali, i cateteri maggiormente utilizzati sono:
 In lattice siliconato (per utilizzi di breve durata, fino a un massimo di 5-6 giorni)
 In silicone (per tempi medi, da 7 giorni a 2-3 settimane)
 In silicone con rivestimenti idrofili (per tempi di permanenza medi, da 7 giorni a 2-3 settimane)
garantiscono maggior comfort al paziente.
I cateteri possono essere.
 A una via (utilizzati esclusivamente per il cateterismo a intermittenza)
 A due vie (una per il deflusso delle urine e l'altra, dotata di valvola, per la distensione di un palloncino
all'interno della vescica)
 A tre vie (una per il drenaggio delle urine, una per il palloncino e la terza per l'irrigazione).
La forma dell’estremità prossimale dei cateteri prende generalmente il nome degli inventori.
 Catetere di Nelaton: ha l’estremità prossimale arrotondata e rettilinea, è dotato di 1 o 2 fori di drenaggio
contrapposti. Viene usato soprattutto nella donna. E’ usato per ritenzione urinaria acuta, prelievo di urina
per urino coltura. E’ ideale nella scelta del cateterismo a intermittenza: il catetere permane in vescica il
tempo necessario per lo svuotamento per poi essere rimosso.
 Catetere di Mercier: punta arrotondata con angolatura di 30°- 45° per favorire l'introduzione nell'uretra
dell'uomo; è disponibile con uno o due fori di drenaggio. Viene utilizzato in caso di ritenzione urinaria da
ipertrofia prostatica.
 Catetere di Tiemann: ha l’estremità a forma conica con un'angolatura di 30° ed è indicato per uomini che
presentano restringimento dell'uretra.
 Catetere conicolivare (Tiemann retto): semirigido, dotato all’estremità distale di un’olivella. Viene
utilizzato in pazienti con stenosi uretrale.
 Catetere di Couvelaire: semirigido, indicato in caso di emorragia vescicale (favorisce un buon drenaggio
dei coaguli). L’estremità presenta un foro a “becco di flauto” e 2 fori laterali.
 Catetere Couvelaire: a tre vie (per interventi di chirurgia urologica).
 Catetere Foley: è il più usato. E’ molle, auto statico, dotato di palloncino gonfiabile all’estremità distale
che ne garantisce l’ancoraggio mediante l’introduzione di 7-8 cc di soluzione fisiologica sterile attraverso
apposita valvola. Presenta 2 fori contrapposti e simmetrici. La sua flessibilità ed elasticità assicura un
elevato comfort al paziente.
 Condom: costituisce un mezzo alternativo al trattamento dell’incontinenza urinaria totale nell’uomo. Si
tratta di un dispositivo esterno in lattice, di diametro variabile, da indossare sul pene, con l’estremità
distale più rigida per il collegamento alla sacca di raccolta. Non deve essere applicato in caso di pene molto
retratto, allergia al lattice, pazienti non collaboranti o che soffrono di ritenzione urinaria. Il dispositivo va
sostituito almeno una volta al giorno dopo un’accurata igiene perineale e attenta ispezione della zona.
Dopo l’igiene, l’asciugatura deve essere particolarmente accurata per evitare la macerazione della cute.
Procedura
 Lavaggio delle mani con soluzione idroalcolica
 Predisporre il materiale necessario
 Informare il paziente sulla procedura
 Aprire la confezione ed estrarre il condom e una striscia biadesiva
 Calzare un guanto e sorreggere il pene distalmente
 Con l’altra mano posizionare la striscia biadesiva intorno al pene controllando che non stringa
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 Calzare l’altro guanto e porre il condom arrotolato sul pene in modo che la parte a forma di
imbuto sia in corrispondenza del glande
 Srotolare gradualmente il condom fino alla base del pene controllando che durante questa
manovra non venga abbassato il prepuzio
 Quando il condom è in posizione, con un pressione circolare, farlo aderire alla sottostante striscia
adesiva
 Togliersi i guanti
 Collegare il condom al tubo di raccordo della sacca per la raccolta dell’urina
 Controllare la pervietà del deflusso delle urine e l’assenza di attorcigliamenti o strozzature
 Smaltire il materiale usato nei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo
 Lavaggio delle mani con soluzione idroalcolica

Procedura per l’inserzione del catetere vescicale


Catetere vescicale, fase di preparazione posizionamento
 L’infermiere si assicura della presenza di tutto il materiale occorrente all’esecuzione della procedura:
catetere vescicale del tipo e della misura giusta; sacca di raccolta urine graduata e a circuito chiuso; kit
per cateterismo: telino sterile, telino sterile fenestrato, tamponi sterili, 2 paia di guanti sterili,
antisettico, lubrificante, siringa da 10 ml, 10 ml di soluzione fisiologica;
 effettua l’igiene delle mani, identifica e garantisce la privacy del paziente;
 spiega al paziente con parole adatte al suo livello di comprensione le fasi e l’utilità della manovra che si
sta per eseguire affinché egli comprenda pienamente ciò che verrà effettuato e aumenti la sua
collaborazione;
L’infermiere, durante la fase di esecuzione della manovra
 effettua l’igiene dei genitali e dell’area perineale del paziente per ridurre la flora microbica transitoria;
 apre il kit per il cateterismo e indossa il primo paio di guanti sterili;
 prepara il campo sterile sul quale ripone tutto il materiale;
 bagna i batuffoli di cotone con l’antisettico;
Catetere vescicale nell’uomo:
 abbassa il prepuzio e con movimenti circolari decontamina la zona dal meato urinario fin verso lo
scroto;
 rimuove il primo paio di guanti sterili;
 apre le confezioni di catetere e sacco di raccolta e li ripone sul campo sterile;
 indossa il secondo paio di guanti sterili;
 collega il catetere alla sacca di raccolta;
 introduce alcuni ml di soluzione fisiologica nel catetere per verificare la funzionalità del palloncino di
ancoraggio;
 posiziona il telino sterile fenestrato intorno all’area genitale del paziente;
 lubrifica il catetere con una parte del lubrificante in dotazione;
 introduce in uretra il restante quantitativo di lubrificante mantenendo la sterilità della mano
dominante;
 introduce il catetere mantenendo il pene in posizione perpendicolare rispetto all’addome;
 appena percepisce una resistenza al passaggio del catetere, sposta il pene in posizione orizzontale
rispetto all’addome;
 verifica la fuoriuscita di urina nel sacco di raccolta a garanzia del corretto posizionamento in vescica del
catetere;
Catetere vescicale nella donna:
 decontamina il meato urinario partendo dall’alto verso il basso e dall’interno verso l’esterno;
 rimuove il primo paio di guanti sterili;
 apre le confezioni di catetere e sacco di raccolta e li ripone sul campo sterile;
 indossa il secondo paio di guanti sterili;
 collega il catetere alla sacca di raccolta;
26
 introduce alcuni ml di soluzione fisiologica nel catetere per verificare la funzionalità del palloncino di
ancoraggio;
 posiziona il telino sterile fenestrato intorno all’area genitale della paziente;
 lubrifica il catetere e lo introduce nel meato urinario;
 verifica la fuoriuscita di urina nel sacco di raccolta a garanzia del corretto posizionamento in vescica del
catetere;
Cateterismo nell’uomo e nella donna:
 introduce i 10 ml di soluzione fisiologica sterile nell’apposita via di ancoraggio del palloncino;
 fissa la sacca di raccolta dell’urina a valle rispetto al paziente, senza che essa tocchi il terreno e
controllando che il tubo passi sopra la gamba e non abbia inginocchiamenti.
L’infermiere, nella fase successiva all’esecuzione della manovra:
 riveste l’assistito;
 smaltisce i rifiuti;
 effettua l’igiene delle mani;
 registra la procedura effettuata, il tipo e il calibro del catetere posizionato, le caratteristiche dell’urina;
 ripristina il materiale.

Rimozione del catetere vescicale


Il catetere vescicale va rimosso il prima possibile, non appena viene meno l’indicazione clinica all’utilizzo.
Procedura
 lavaggio delle mani con soluzione idroalcolica
 predisporre il materiale necessario (guanti monouso non sterili, bacinella reniforme, materiale per l’igiene,
siringa da 10-20 cc, pappagallo o padella)
 indossare i guanti
 praticare l’igiene perineale per evitare la migrazione dei microrganismi verso la vescica durante la
rimozione
 rimuovere i guanti e smaltirli nei contenitori per rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo
 lavaggio delle mani con soluzione idroalcolica e indossare un nuovo paio di guanti
 aspirare con la siringa il contenuto del palloncino
 invitare il paziente a respirare profondamente e a rilassarsi durante la rimozione
 con l’altra mano sfilare delicatamente il catetere. In caso di difficoltà effettuare una delicata torsione del
catetere a destra e a sinistra mantenendo sempre la siringa in aspirazione
 osservare il catetere per evidenziare eventuali depositi di struvite e verificare l’integrità del catetere
rimosso.
 Mettere il catetere rimosso nella bacinella reniforme e quindi smaltirlo nei rifiuti sanitari pericolosi a
rischio infettivo
 Osservare il meato uretrale per evidenziare eventuali segni di flogosi o lesioni
 Rivalutare periodicamente il paziente per assicurarsi della ricomparsa della minzione spontanea
 Registrare nella documentazione del paziente l’avvenuta rimozione, le condizioni del meato uretrale, la
quantità di urina emessa, eventuali complicanze occorse.
Il clampaggio intermittente del catetere (ginnastica vescicale) non è efficace nel migliorare la funzionalità vescicale
ed è probabilmente dannoso. Non deve essere effettuato.

Cateterismo sovrapubico
Si definisce cateterismo sovrapubico l'introduzione chirurgica di un catetere vescicale attraverso la parete
addominale. E’ un intervento attuato in casi limitati, nei quali il cateterismo uretrale è impossibile per stenosi
(restringimento patologico di un canale, di un orifizio, di un organo cavo o di un vaso) grave di qualsiasi origine o
traumatismo del bacino. Il primo posizionamento del dispositivo è un atto di pertinenza medica da effettuarsi in
ambiente ospedaliero. Nella gestione infermieristica di questo tipo di dispositivo sarà necessario valutare:
presenza di dolore; corretto funzionamento, quantità e caratteristiche dell’urina raccolta; sanguinamenti,
secrezioni, irritazioni, segni di infezione. La medicazione dovrà essere controllata quotidianamente e cambiata
almeno due volte a settimana. Il catetere va sostituito periodicamente in base alle condizioni cliniche. Se la

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sostituzione, che va effettuata con procedura sterile, non risulta particolarmente difficoltosa può essere effettuata
da personale infermieristico adeguatamente formato.

Lavaggio vescicale
Per lavaggio vescicale s’intende una procedura di irrigazione della vescica con soluzione sterile finalizzata alla
rimozione di coaguli di sangue e alla prevenzione dell’ostruzione di catetere vescicale.

STOMIE
La parola stoma deriva dal greco e significa bocca/apertura. La stomia indica il risultato di un intervento
con il quale si crea un’apertura sulla parete addominale per mettere in comunicazione l’apparato
intestinale o urinario con l’esterno.

Ileostomia
L'ileostomia è un orifizio creato chirurgicamente all’altezza dell’intestino tenue, noto come ileo. Nella
maggio parte dei casi il chirurgo crea la stomia nella parte terminale dell’ileo (il tratto finale dell’intestino
tenue). L’ileo viene fatto passare attraverso la parete addominale, quindi viene estroflesso (ovvero
rovesciato verso l’esterno) fino a formare un orifizio di uscita e infine suturato alla pelle. Il drenaggio del
materiale fecale dall'ileostomia è frequente, in media 4-5 volte al giorno. Le malattie che possono
richiedere l'ileostomia temporanea o permanente sono: traumi, colite ulcerosa, malattia di Crohn, poliposi
familiare. Solitamente due o tre giorni dopo l'operazione la stomia comincia a funzionare con la presenza di
feci liquide o semiliquide che possono provocare dermatiti cutanee. Il ruolo dell’ileostomia è quello di
deviare il flusso fecale.
Colostomia
La colostomia è un orifizio creato chirurgicamente all’altezza dell’intestino crasso. L’intestino viene fatto
passare attraverso la parete addominale e viene suturato alla pelle. E' necessaria una stomia intestinale nel
caso in cui vi sia: decompressione in un intestino disteso a causa di una occlusione; deviazione temporanea
del transito fecale per lesioni ostruttive, infiammatorie o neoplastiche; deviazione definitiva del contenuto
fecale verso l'esterno a seguito dell'asportazione di segmenti distali del colon retto. Una colostomia può
essere effettuata a qualsiasi altezza dell’intestino crasso, anche se le sedi più comuni sono il sigma
(sigmoidostomia) e il colon trasverso (trasversostomia). L’esatta posizione dipende dal motivo medico
dell’intervento chirurgico a cui si viene sottoposti. Il ruolo della colostomia è quello di deviare il flusso delle
feci. Una sacca per colostomia è una sacca chiusa in cui si raccolgono le feci provenienti dal colon.
Urostomia
Un’urostomia è una derivazione dell’urina creata chirurgicamente. Il chirurgo utilizza un pezzo
dell’intestino tenue per formare un nuovo canale attraverso il quale far passare l’urina. Gli ureteri sono
collegati a un’estremità del canale, mentre l’altra estremità viene portata attraverso un’apertura nella
parete addominale. Il ruolo dell’urostomia è quello di espellere l’urina dal corpo. Una sacca per urostomia
raccoglie continuamente l’urina dall’urostomia.
Pielostomia
La pielostomia è un intervento chirurgico di derivazione all’esterno delle urine, che si esegue mettendo in
comunicazione, tramite una sonda di gomma, la pelvi renale con la cute della regione lombare
corrispondente. Può essere realizzata mediante puntura con ago di Chiba, sotto controllo ecografico o
fluoroscopio.

Capitolo 4. Prelievo venoso ematico

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È un esame diagnostico che consiste nel prelievo di un campione di sangue venoso.
Attraverso il prelievo venoso di sangue si valutano i parametri ematici del paziente evidenziando il suo stato
di salute generale.
Materiale occorrente
 laccio emostatico
 guanti non sterili monouso
 ago butterfly con vacutainer( addattatore luer e camicia holder) (21G verde/ 23G azzurro)
 provette
 garze 5x5
 disinfettante per la cute Clorexidina 2%
 medicazione adesiva
 etichette
 sacca per trasporto di campioni biologici
Provette (Ospedale Santa Maria Goretti - ASL Latina)
Anticoagulanti
 EDTA: è in grado di sequestrare gli ioni Calcio, inibendo in questo modo la cascata coagulativa.
Utilizzate per le analisi del sangue intero in campo immunoematologico (determinazione del
gruppo sanguigno e del fattore Rh, test per la ricerca di anticorpi) in laboratori di analisi e
diagnostica molecolare. Rappresenta l’anticoagulante di scelta per l ‘esame emocromocitometrico.
È infatti il migliore per studiare la morfologia delle cellule del sangue: non altera il volume degli
eritrociti, non provoca emolisi, limita l’aggregazione piastrinica.
Utilizzato per gli esami ves, Hb glicata, ammonio, aldosterone. (tappo LILLA PICCOLA)
Le provette per prove crociate sono disponibili in due versioni : per prove crociate su siero con
attivatore di coagulazione e per prove crociate su sangue intero con EDTA. (tappo LILLA GRANDE)
 CITRATO DI SODIO: anche questo anticoagulante, come l’EDTA, sequestra gli ioni Calcio.
Il rapporto di miscelazione è di 1 parte di citrato e 9 parti di sangue. Il sangue trattato con sodio
citrato viene utilizzato per lo studio dei fattori di coagulazione (fibrinogeno, PT, PTT) e per la
determinazione della funzionalità piastrinica. (tappo AZZURRO)
 EPARINA DI LITIO: l’eparina, al contrario degli altri anticoagulanti, non agisce sugli ioni Calcio ma
impedisce la formazione di trombina e fibrina. E’ un anticoagulante “naturale” dal momento che è
presente a bassi livelli sia nel sangue che nei tessuti. (tappo VERDE)

Senza anticoagulante: è una provetta da siero con attivatore della coagulazione + un gel separatore
formato da micro particelle di silicone che serve per separare meglio il siero e facilitare la sedimentazione.
(tappo GIALLO)
Immediatamente dopo la raccolta, le provette contenenti un anticoagulante devono essere invertite
delicatamente da 4 a 6 volte, al fine di garantire la corretta miscelazione tra sangue ed anticoagulante.
Le provette devono essere agitate delicatamente. La miscelazione vigorosa può causare schiuma o emolisi.
Al fine di evitare che il campione sia classificato come non idoneo e non processato in laboratorio, bisogna
riempire le provette fino al punto identificato da una tacca sulla provetta stessa.
Pianificazione infermieristica
La prima operazione che l’infermiere deve compiere è accertare l’identità del pz. Tale attività richiede
l’utilizzo di almeno due criteri identificativi, questi criteri comprendono: il controllo del braccialetto recante
i dati anagrafici del pz, il controllo di un documento d’identità, la comunicazione verbale dell’identità da
parte del pz, la verifica del nome sulla prescrizione.
L’infermiere deve controllare personalmente la prescrizione, verificando che il numero e il tipo di esami
coincidano con quelli inseriti nella richiesta.
Soprattutto nelle stanze di degenza dove sono ricoverati più pazienti, l'infermiere deve entrare in stanza
con le sole provette destinate ad un paziente e prelevare sempre e solo un pz alla volta.
Prima della procedura valutare il pz, accertarsi delle condizioni fisiche , ottenendo informazioni sul digiuno,
sull’attività fisica e postura immediatamente precedenti il prelievo. Solitamente il prelievo viene effettuato
al mattino per ottenere una migliore standardizzazione e ridurre la variabilità biologica. Chiedergli se ha
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allergie specialmente ai prodotti utilizzati per la disinfezione della cute e se assume farmaci anticoagulanti
che influiscono sull'attività di aggregazione delle piastrine e che rendono necessario comprimere il sito del
prelievo per più tempo. Chiedere informazioni sulle precedenti esperienze legate ai prelievi di sangue
come sensazione di svenimento, difficoltà nel trovare la vena, nausea, vomito, stordimento. Persone
particolarmente emotive reagiscono al prelievo con una stimolazione del nervo vago, che induce alla
vasodilatazione, all'abbassamento pressorio e quindi allo svenimento per questo bisogna farle stendere
durante il prelievo del sangue.
La fase successiva prevede la scelta del punto del prelievo.
Punti di repere
Si utilizzano tipicamente le vene superficiali del braccio della fossa antecubitale, che comprendono le vene
basilica, cubitale media e cefalica. Qualora i precedenti siti non siano accessibili si possono utilizzare le
vene della zona dorsale dell’avambraccio, della mano o dei piedi. Le vene degli arti inferiori rappresentano
l'ultima risorsa perché aumenta il rischio di tromboflebite.
Bisogna evitare prelievi da ampie cicatrici a seguito di ustioni o interventi chirurgici, dal braccio omolaterale
ad esito di mastectomia (i risultati degli esami potrebbero essere alterati per la presenza di linfedema), da
siti contigui ad aree edematose, a infezioni, edemi, di uno shunt arterovenoso e a dispositivi per terapia
endovenosa. Non prelevare dal braccio omolaterale ad un infusione in corso di farmaci, liquidi, o trasfusioni
di sangue. Se necessario come ultima risorsa si può utilizzare il sito d’infusione sospendendo l’infusione per
almeno due minuti e rimuovendo almeno 5 ml di sangue prima del prelievo.
Si procede a palpare le vene per valutare le condizioni del vaso, le vene dovrebbero essere dritte, soffici e
rimbalzare quando sono schiacciate leggermente, senza spostarsi, riempiendosi rapidamente dopo la
compressione. Evitare le vene che sono dolenti, trombizzate o dure.
Nella tromboflebite ,una vena superficiale trombizzata può essere rilevata alla palpazione come un cordone
duro lineare. Può associarsi a una reazione infiammatoria di entità variabile, che si manifesta con dolore,
dolorabilità alla palpazione, eritema, calore,edema.
L’applicazione del laccio emostatico rappresenta prassi consolidata per favorire l’identificazione delle vene
ed evitare il collasso del vaso durante la procedura. Esistono tuttavia evidenze secondo le quali la stasi
dovuta al laccio emostatico tenuto più di 1 min provoca emoconcentrazione del campione con
innalzamento del valore del potassio e rischio di emolisi.
Il laccio va posizionato 10 cm sopra il sito prescelto, va utilizzata una pressione sufficiente a generare stasi
venosa ma non a causare dolore, fastidio, o ostacolare la circolazione arteriosa ( il posizionamento del
laccio deve consentire la pulsazione dell’arteria a valle di esso), non mantenere il laccio in sede più di un
minuto, ma può essere rilasciato e riapplicato quando è necessario più tempo per identificare una vena
idonea o terminare il prelievo.
Qualora il punto di prelievo non sia immediatamente identificabile, per favorire il rigonfiamento della vena
è consigliato massaggiare il sito in senso opposto all'accesso venoso, rimuovere il laccio e far abbassare il
braccio per permettere al sangue di fluire nelle vene, applicare delle compresse calde per 10 min prima di
riapplicare il laccio. Far aprire e chiudere il pugno (pompare) al pz non è corretto perché potrebbe far alzare
i livelli di potassio.
Per aumentare la sensibilità della palpazione è possibile togliere temporaneamente i guanti che devono
tuttavia essere rindossati prima di procedere al prelevamento e comunque eliminati se contaminati o
sporchi.
Bisogna utilizzare dispositivi che prevedano l’integrazione di aghi monouso, adattatori, camicie holder e
provette sottovuoto( vacuum).
Le siringhe rappresentano una possibile alternativa in situazione di emergenza o in presenza di vene
facilmente collassabili quando sottoposte alla pressione negativa del vuoto presenta nella provetta e sia
quindi necessario graduare l’aspirazione. Se viene utilizzata la siringa, togliere l’ago e far defluire
lentamente il sangue nelle provette preventivamente stappate avendo cura di evitare la formazione di
schiuma, riempire a volume richiesto le provette e ritappare le provette una per una, mescolando
dolcemente per inversione le provette contenenti anticoagulanti.

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Vanno utilizzati dispositivi monouso che prevedano l’eliminazione di tutte le parti a diretto contatto con il
sangue del pz nella totale sicurezza dell’operatore. Gli aghi ,dopo il loro utilizzo, non devono essere
reincappucciati prima di smaltirli.
Oggi non sono disponibili dati a dimostrazione di pericolo diretto del pz dovuti al riutilizzo della camicia,
per questo nella ragionevole certezza che l’holder non sia stato contaminato da sangue, esso può essere
riutilizzato; qualora vi sia anche solo il sospetto di contaminazione ematica, l’holder deve essere eliminato.
Per riutilizzare l‘holder è indispensabile però eliminare l‘ago utilizzato per il precedente prelievo, ciò espone
al rischio di puntura accidentale e quindi il rischio biologico per l’operatore addetto al prelievo aumenta.
È molto diffuso l’impiego dei dispositivi butterfly i cosiddetti aghi a farfalla. I dati della letteratura sono
concordi nel dimostrare che non vi sono influenze significative sui risultati di laboratorio. La maggiore
perplessità all’utilizzo routinario di questi dispositivi scaturiscono pertanto da considerazioni di natura
economica, giacché il loro costo è superiore a quello degli aghi tradizionali.
In linea generale, si consiglia l’utilizzo di aghi tradizionali, riservando i butterfly a situazioni specifiche, quali
vene difficilmente accessibili con il dispositivo tradizionale per sede o calibro o espressa richiesta da parte
del pz.
Preferire aghi di calibro pari a 20 o 21G riservando l'utilizzo di aghi di calibro inferiore a prelievi su vene
piccole o particolarmente fragili. Aghi di piccolo calibro, di diametro inferiore a 23G , possono produrre
emolisi.
Un errore frequente nella fase preanalitica è la raccolta di campioni non idonei per quantità e qualità, cioè
quando il campione ha un volume scarso per completare l’esecuzione di tutte le analisi richieste, non è
stato rispettato il rapporto tra sangue e anticoagulante o è stato raccolto nella provetta sbagliata. Per
questo le etichette sulle provette oltre ad identificare il pz, indicano l’area diagnostica, il tipo di provetta
necessaria, il volume del campione o il livello minimo di riempimento richiesto (es. coagulazione-tappo
azzurro-4.5ml).
Le provette devono essere etichettate prima del prelievo, mai successivamente, preferibilmente mediante
sistemi di produzione automatica delle etichette.
Poiché vi sono segnalazioni di contaminazione dei campioni da anticoagulante contenuto nella prima
provetta, sono disponibili alcune indicazioni sulla sequenza delle provette durante il prelievo:
-provette da emocoltura;
-contenenti sodio citrato per coagulazione;
-provetta da siero;
-contenenti litio eparina;
-contenenti EDTA;
-contenenti fluoruro di sodio/ossalato di potassio per glucosio.
Non esistono prove scientifiche definitive che dimostrino la reale possibilità di cross-contaminazione tra le
provette.
Qualora sia richiesto il prelevamento di una sola provetta destinata ad esami della coagulazione, non è
necessario raccogliere ed eliminare una provetta precedente poiché non è dimostrato che la
tromboplastina tissutale rilasciata dalla lesione del vaso durante il prelievo abbia significativa influenza sugli
esami emocoagulativi.
Non aprire mai le provette sottovuoto ne trasferire sangue da una provetta all’altra.
Evitare di accanirsi con l’ago all’interno del sito del prelievo, ciò comporta un’inevitabile lesione dei tessuti,
danni al pz e la probabile compromissione dell’idoneità del campione; in caso di fallimento al primo
tentativo: si fa avanzare o arretrare cautamente l’ago o si può provare a sostituire la provetta. Se l’esito è
ancora negativo estrarre l’ago e ritentare. E' raccomandato, dopo 2 tentativi falliti di prelievo, lasciar
compiere la procedura ad un collega.
Procedura
 controllare la prescrizione medica per l’esecuzione del prelievo e gli esami richiesti
 preparare tutto il materiale (controllandone la data di scadenza) e portarlo vicino il letto del pz
 eseguire l’igiene delle mani
 confermare l’identità del pz, controllare le etichette del campione e spiegare la procedura

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 preparare l’ambiente( disporre di una buona illuminazione con luce artificiale, assicurare la privacy del
pz, chiudere la porta, alzare il letto ad un’altezza comoda per lavorare e ridurre gli sforzi dorsali quando
si svolge la procedura, avere un contenitore per rifiuti a portata di mano)
 aiutare il pz ad assumere una posizione adatta per l’esecuzione del prelievo, seduto o sdraiato
 stabilire la sede del prelievo( ascoltando il pz in base alla sua esperienza precedente per ottenere
informazioni utili alla scelta della sede), esporre il braccio e appoggiarlo in estensione su una superficie
rigida
 applicare il laccio emostatico al braccio circa 10cm sopra il sito scelto per la venipuntura per ostacolare
la circolazione venosa ( il laccio aumenta la pressione venosa e facilita la distensione della vena
facilitandone l ‘identificazione)
 indossare i guanti
 valutare le vene usando l’ispezione e la palpazione
 togliere il laccio emostatico e controllare che la vena si sia sgonfiata ( si riduce così la durata
dell’applicazione del laccio che non dovrebbe restare in sede per più di un 1 min per prevenire lesioni,
stasi ed emoconcentrazione, che possono alterare i risultati; le vene trombizzate rimangono due e
palpabili e non dovrebbero essere usate per la puntura venosa)
 attaccare il butterfly al sistema vacutainer precedentemente raccordato alla camicia
 disinfettare la cute del paziente con un tampone antimicrobico o se si usa la clorexidina frizionare avanti
e indietro per 30 sec e lasciare asciugare la cute
 riapplicare il laccio 10 cm sopra il sito identificato
 con il braccio in estensione e in una posizione bassa, allineare l’ago alla vena, tendere la cute per
facilitare la penetrazione dell’ago con la mano non dominante, avvisare il pz che sentirà una puntura e
inserire l’ago nella vena con un angolo di 15 gradi e con la parte smussa rivolta verso l’alto con la mano
dominante
 stabilizzare il butterfly e inserire le provette nel vacutainer , il sangue defluirà automaticamente nella
provetta
 togliere il laccio emostatico appena il sangue defluisce adeguatamente nella provetta o allentarlo ( la
rimozione del laccio riduce la pressione venosa e ripristina il ritorno venoso contribuendo a prevenire il
sanguinamento e la formazione di ecchimosi)
 prelevare tutti i campioni di sangue richiesti, togliendo una provetta e inserendo l’altra e ruotare
delicatamente da 4 a 6 volte per garantire la corretta miscelazione tra sangue e anticoagulante
 una volta tolto il laccio emostatico, mettere un tampone di garza sopra il sito di puntura ed estrarre
delicatamente l’ago per prevenire lesioni della vena
 applicare una compressione delicata sulla sede della puntura per 2-3 min o fino a quando si ferma il
sanguinamento e dopo applicare una medicazione adesiva (occorre non piegare il braccio ma
comprimere la zona per qualche minuto senza sfregare o massaggiare)
 eliminare ago e vacutainer nel contenitore per i taglienti
 etichettare le provetta e metterle in una sacca per il trasporto dei campioni biologici
 togliere i guanti ed eseguire l ‘igiene delle mani
 inviare il campione in laboratorio, se non è possibile inviarlo subito controllare se la refrigerazione è
controindicata

Glicemia
La glicemia è definita come la concentrazione di glucosio nel sangue, il cui valore normale a digiuno è
compreso tra 70 e 100 mg/dl. La misurazione della glicemia è un’operazione semplice, per la quale occorre
solo una piccola goccia di sangue capillare. Lo strumento utilizzato per controllare la glicemia si chiama
glucometro, ma a volte lo si trova anche come reflettometro.
Procedura
Per effettuare la misurazione serve prima di tutto prelevare una striscia reattiva dal contenitore e inserirla
nel glucometro. Dopodiché fare una piccola puntura su un polpastrello con l’apposito dispositivo pungi dito
che permette di prelevare una goccia si sangue capillare da porre sull’estremità libera della striscia reattiva.

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Fatto ciò, nell’arco di qualche secondo lo strumento restituisce sul display il valore misurato. Annotare i
valori.

Emogasanalisi
L’emogasanalisi è un esame diagnostico che consiste nel prelievo di un campione di sangue arterioso per
valutare la funzionalità respiratoria e l’assetto metabolico del pz fornendo informazioni relative
all’ossigenazione, alla ventilazione e allo stato acido-base.
Misura:
 la pressione parziale di ossigeno
 la pressione parziale di anidride carbonica
 il pH del sangue
 la concentrazione di ioni bicarbonato
 l'eccesso di basi
 la saturazione dell'ossigeno
 l'emoglobina
 l'ematocrito
 gli elettroliti
Materiale occorrente
 kit per emogasanalisi o siringa eparinizzata da 10 ml con ago da 22 a riempimento automatico,
tappino per siringa da emogasanalisi e Jelli cube
 garze sterili 5x5
 disinfettante per la cute Clorexidina 2%
 cerotto o bendaggio elasto-compressivo
 guanti non sterili
 asciugamano arrotolato
 contenitore con acqua e ghiaccio
 sacca per trasporto dei campioni biologici
Pianificazione infermieristica
Verificare la prescrizione medica circa la necessità di effettuare un’emogasanalisi. Valutare la frequenza
cardiaca, la P.A., lo stato respiratorio del pz attraverso la frequenza respiratoria, l’ascoltazione dei rumori
polmonari. Verificare se il pz segue un’ossigenoterapia o assume farmaci anticoagulanti. Valutare il livello di
ansia del pz e la sua comprensione della procedura. Chiedere se ha mai avuto esperienze di svenimento,
sudorazione profusa o nausea quando ha effettuato un prelievo. La puntura arteriosa può causare: spasmo
vascolare, coagulazione intravascolare, emorragia con formazione di un coagulo periarterioso (ematoma).
Pertanto, nella scelta del sito di campionamento, l’infermiere deve valutare:
- la presenza del flusso ematico collaterale(attraverso il test di Allen);
- l’accessibilità dei vasi: è più facile palpare, stabilizzare e pungere un’arteria superficiale, piuttosto che una
relativamente profonda, e scegliendo arterie facilmente palpabili si riduce al minimo l’eventualità di
punture venose;
- l’eventuale presenza di edema o di esantemi per evitare il rischio di infezioni e zone con traumi evidenti
dovuti a ripetuti prelievi.
Punti di repere
L’emogasanalisi può essere effettuato a livello delle arterie:
 Radiale: facilmente accessibile alla palpazione, per questo la sede più comune del prelievo; si deve
pungere nella porzione prossimale del polso, possibilmente non oltre il 3-4 cm dalla piega della
mano perché in questo punto l’arteria passa attraverso due legamenti del polso, il legamento
palmare e il legamento trasverso del carpo, che la rendono meno mobile. Si punge l’arteria
posizionando l’ago a 45°(di meno se si sente l’arteria molto superficiale es. nel pz anziano
cachettico). Il dolore è in genere provocato da tentativi ripetuti di puntura attraverso i tendini dei
muscoli dell’avambraccio (il tendile del flessore del carpo e il tendine del flessore lungo del pollice).

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È difficile colpire il nervo perché il nervo mediano passa al centro del polso ed è ben distante
dall’arteria radiale.
 Femorale: scelta fondamentale nei pz in scadenti condizioni emodinamiche nei quali sono
difficilmente apprezzabili altri polsi, ha come svantaggio quello di presentare un rischio maggiore di
infezione e sanguinamento. Data la profondità dell’arteria è buona norma sostituire l’ago nativo
della siringa emogas con un ago più lungo, si punge lungo la porzione mediale della piega inguinale
perpendicolarmente alla cute.
 Brachiale: sito poco utilizzato per la scarsità del circolo collaterale che espone a problemi ischemici
l’arto superiore , l’ arteria è maggiormente mobile, si punge a livello della piega del gomito, nella
sua porzione mediale con l’ago perpendicolare alla cute.
Nei bambini, viene raccolto il campione di sangue intero dal tallone; nei neonati, che hanno difficoltà
respiratorie subito dopo la nascita, il sangue deve essere raccolto dal cordone ombelicale.
Procedura
 controllare la prescrizione medica per l’esecuzione dell’emogasanalisi e la cartella del pz per essere
certi che il pz non sia stato aspirato negli ultimi 15 min e verificare se segue ossigenoterapia
 preparare tutto il materiale (controllandone la data di scadenza) e portarlo vicino il letto del pz
 eseguire l‘igiene delle mani
 confermare l’identità del pz, le etichette del campione e spiegare la procedura
 preparare l’ambiente( disporre di una buona illuminazione con luce artificiale, assicurare la privacy
del pz, chiudere la porta, alzare il letto ad un’altezza comoda per lavorare e ridurre gli sforzi dorsali
quando si svolge la procedura, avere un contenitore per rifiuti a portata di mano)
 far assumere al pz il decubito supino con la testa leggermente sollevata (semi-Fowler's) ,le braccia
lungo i fianchi e mettere un asciugamano arrotolato sotto il polso
 effettuare il test di Allen prima di prelevare un campione dall’arteria radiale
Test di Allen -> valuta la pervietà dell’arteria radiale e la presenza della circolazione collaterale dell’arteria
ulnare della mano nel caso in cui si provochi un danno all’arteria radiale durante il prelievo.
1. Far chiudere il pugno al pz per diminuire il flusso di sangue alla mano.
2. Premere utilizzando il dito medio e indice sull’arteria radiale e ulnare e tenere la posizione per
alcuni secondi.
3. Senza muovere le dita dalle arterie chiedere al pz di aprire il pugno, il palmo della mano dovrebbe
essere pallido perché la pressione delle dita ha impedito l’afflusso di sangue arterioso.
4. Togliere le dita dall’arteria ulnare, se la mano diventa rosso vuol dire che è possibile effettuare la
puntura dell’arteria radiale in condizioni di sicurezza. Si annota il tempo di ritorno del colorito
roseo: <7 sec test positivo, >15 test negativo.
 indossare guanti non sterili monouso
 localizzare l’arteria radiale e palparla leggermente per individuare un polso forte
 prima del prelievo regolare il volume desiderato nella siringa a riempimento automatico
 disinfettare il sito con un tampone antimicrobico o se si usa la clorexidina frizionare avanti e
indietro per trenta secondi e lasciare asciugare la cute(dopo la disinfezione non palpare di nuovo il
sito per se non si indossano guanti sterili)
 stabilizzare la mano del pz ,palpare l’arteria con le dita indice e medio della mano non
dominante( non palpare direttamente l’area che deve essere punta) e tenere la siringa con la mano
dominante sopra il sito di iniezione con la punta smussa dell’ago verso l’alto con un angolatura di
45 gradi rispetto l’arteria radiale e con la siringa parallela al decorso dell’arteria (è superficiale e
non necessita di una grande angolatura per penetrarla)
 pungere l’arteria e arrestare la progressione dell’ago alla comparsa di sangue nella siringa, se la
siringa a riempimento automatico non si riempie è possibile che sia stata punta una vena
 non tirare ulteriormente lo stantuffo ma attendere il riempimento della siringa in base alla quantità
precedentemente impostata (fino a 5ml-7ml)
 ritirare la siringa e inserire l’ago nello Jelly cube e contemporaneamente con la mano non
dominante iniziare a comprimere il sito di iniezione con le garze sterili per arrestare il
sanguinamento
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 applicare una medicazione compressiva con un bendaggio elasto-compressivo o con del cerotto e
mantenere in sede per almeno 5 min fino a 10-15 min se il pz è in terapia anticoagulante, ha una
discrasia sanguigna o in caso di prelievi brachiali o femorali; non chiedere mai al pz di mantenere le
garze
 smaltire l’ago nell’apposito contenitore dei taglienti e inserire sulla siringa il cappuccio a tenuta
d’aria, ruotare la siringa delicatamente senza agitare per assicurare una buona distribuzione
dell’eparina uniformemente nel campione ed espellere eventuali bolle di aria che possono alterare
i valori di laboratorio, infine mettere la siringa in un contenitore con acqua e ghiaccio a una
temperatura compresa tra 0- 4°C che impedisce al sangue di degradarsi se il campione se il
campione non viene analizzato entro 15’ dal prelievo
 etichettare la siringa e metterla nella sacca per il rischio biologico
 smaltire i guanti ed eseguire l’igiene delle mani
 inviare il campione di sangue in laboratorio e assicurarsi di indicare nella richiesta del laboratorio la
quantità e il tipo di ossigenoterapia che il pz sta ricevendo, la frazione di ossigeno inspirato(FiO2) e
il volume dei flussi di ossigeno(L/min); se il paziente è in ventilazione meccanica annotare i
parametri su cui è impostata la macchina (modalità di ventilazione, FiO2, frequenza respiratoria,
volume corrente); se il pz non è in terapia con l‘ossigeno, indicare che sta respirando aria ambiente.

Emocoltura
È un esame diagnostico effettuato su un campione di sangue venoso per individuare la presenza di
microrganismi patogeni batteri e/o miceti nel torrente circolatorio.
È un esame utile per la diagnosi di batteriemia e sepsi ed è indispensabile per un corretto trattamento
antibiotico, in quanto isolando i germi patogeni è possibile valutare in vitro la sensibilità o resistenza alle
terapie antibiotiche, allestendo il corrispondente antibiogramma.
Materiale occorrente
 laccio emostatico
 guanti non sterili monouso
 garze 5x5
 disinfettante per la cute r per la pulizia dei tappi dei flaconi Clorexidina 2%
 ago butterfly con vacutainer
 due flaconi (aerobi e anaerobi) per ogni prelievo
 garze sterili 5x5
 medicazione adesiva
 etichette per i campioni
 sacca per il trasporto dei campioni biologici
Pianificazione infermieristica
Eseguire correttamente l’emocoltura riduce l’incidenza di contaminazioni e falsi positivi e fornisce
informazioni che possono migliorare le condizioni del pz, ridurre i giorni di ospedalizzazione e prevenire la
somministrazione inappropriata di antibiotici con riduzione della spesa sanitaria.
Il prelievo deve essere fatto in condizioni di assoluta sterilità, previa disinfezione della cute e asciugatura
del disinfettante. Anche i tappi di gomma dei flaconi devono essere accuratamente disinfettati prima
dell’accesso. L’asepsi è essenziale perché evita i falsi positivi(contaminazione con germi opportunisti
dell’ambiente).
L’infermiere deve verificare la prescrizione medica per il numero e il tipo di emocolture da effettuare.
Valutare il pz per riscontare eventuali segni e sintomi di infezione, controllare gli accessi venosi o i sistemi di
monitoraggio invasivi e i parametri vitali. Chiedere al pz informazioni sulle sue esperienze precedenti
relative ai prelievi, se ci siano stati episodi di sincope, difficoltà nel reperire le vene , stordimento o nausea.
Accertarsi che il pz abbia compreso la procedura e valutare la pervietà delle vene usando l’ispezione e la
palpazione.
L’emocoltura viene richiesta quando c’è il sospetto di batteriemie e di un’infezione sistemica, in genere con
l ‘ipertermia.

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I pz però possono essere ipotermici anche nella fase della setticemia perché il sistema immunitario non è
più in grado di reagire all’infezione, per questo la febbre da sola non è un utile indicatore, ma devono
essere considerati altri parametri: ipotensione con conseguente shock, alterazione della formula
leucocitaria (leucocitosi), presenza di brividi, marcatori biologici (PCR), tachicardia, dispnea ,oliguria (ridotta
escrezione di urine), rush cutanei, tutti sintomi una risposta infiammatoria sistemica (sepsi), cioè che
coinvolge l'intero organismo attraverso il torrente circolatorio e il sistema linfatico.
Patologiche che hanno indicazioni all'emocoltura sono: endocarditi batteriche, polmonite batterica,
meningite batterica, ascessi, febbre di origine sconosciuta e infezioni sistemiche.
L’emocoltura va effettuata durante il picco febbrile, prima della terapia antibiotica o prima di una sua nuova
somministrazione. In molte unità operative è prevista l’attuazione del protocollo delle emocolture nei casi
in cui la temperatura sia superiore ai 38°.
Si effettuano 2-3 prelievi da siti anatomici differenti e inoculando due flaconi, uno per la ricerca di aerobi e
uno per anaerobi, e quelli per i micobatteri se richiesto, ad intervalli di 1 o 2 ore, se è necessario iniziare
una terapia antibiotica empirica i prelievi devono essere ravvicinati, a distanza di 5-10 min.
I dati della letteratura dimostrano che i tre set di emocoltura aumentano la percentuale della possibilità di
isolare il patogeno in caso di sepsi e di interpretare i risultati soprattutto per pazienti ricoverati nelle terapie
intensive nel caso di isolamento di germi di dubbio significato clinico (patogeni o contaminanti); la
percentuale è 96%con tre prelievi, non ci sono indicazioni ad effettuare più di tre prelievi, la sensibilità
dell’esame aumenta poco, aumentano invece i costi ed i rischi di anemizzazione iatrogena del malato.
I flaconi per il prelievo sono tre , uno per la ricerca di batteri anaerobi , uno per la ricerca del batteri aerobi
e uno per la ricerca dei miceti. Il volume di inoculo è: 3 - 10 ml per i flaconi non pediatrici
e 0.1 - 3 ml per i flaconi pediatrici.
I contenitori per il campionamento sono detti “flaconi Bactec”, all’interno è presente:
 terreno di coltura liquido (per aerobi, anaerobi e miceti);
 composto che lisa i leucociti che potrebbero falsare la rilevazione dei batteri;
 l’anticoagulante;
 resina che serve a legare e neutralizzare antibiotici eventualmente presenti.
Se si utilizza il set da prelievo inoculare per primo il flacone aerobio per la presenza di aria nel circuito di
prelievo onde evitare l’immissione di aria nel flacone anaerobio. Se si usa la siringa inoculare per primo il
flacone anaerobio.
I flaconi devono essere il prima possibile inviati al laboratorio di microbiologia e non devono essere
refrigerati.
Una volta consegnati in laboratorio i flaconi subiscono un periodo di incubazione per monitorare l’anidride
carbonica prodotta che indica una crescita microbica. Se alla fine del periodo di incubazione non viene
rilevato alcun segnale di crescita batterica, il flacone viene refertato come “ negativo a 5 giorni”. Se il
flacone viene segnalato positivo si provvede ad eseguire su tali flaconi l’esame microscopico (colorazione di
Gram) e subcultura sui terreni solidi; identificato il germe si prosegue con il relativo antibiogramma.
Procedura
 controllare la prescrizione medica per l’esecuzione dell’emocoltura
 preparare tutto il materiale (controllandone la data di scadenza) e portarlo vicino il letto del pz
 eseguire l’igiene delle mani
 identificare il pz, controllare le etichette del campione e spiegare la procedura
 preparare l’ambiente( disporre di una buona illuminazione con luce artificiale, assicurare la privacy
del pz, chiudere la porta, alzare il letto ad un’altezza comoda per lavorare e ridurre gli sforzi dorsali
quando si svolge la procedura, avere un contenitore per rifiuti a portata di mano)
 aiutare il pz ad assumere una posizione adatta per l’esecuzione del prelievo
 stabilire la sede del prelievo( ascoltando il pz in base alla sua esperienza precedente) che deve
essere differente per ogni set per emocoltura, esporre il braccio e appoggiarlo in estensione su una
superficie rigida
 applicare il laccio emostatico al braccio circa 10cm sopra il sito scelto per la venipuntura per
ostacolare la circolazione venosa ( il laccio aumenta la pressione venosa e facilita la distensione
della vena facilitandone l ‘identificazione)
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 indossare i guanti
 valutare le vene usando l’ispezione e la palpazione
 togliere il laccio emostatico e controllare che la vena si sia sgonfiata ( si riduce così la durata
dell’applicazione del laccio che non dovrebbe restare in sede per più di un 1 min per prevenire
lesioni, stasi ed emoconcentrazione, che possono alterare i risultati; le vene trombizzate rimangono
due e palpabili e non dovrebbero essere usate per la puntura venosa)
 attaccare il butterfly al sistema vacutainer precedentemente raccordato alla camicia
 disinfettare la cute del paziente con un tampone antimicrobico o se si usa la clorexidina frizionare
avanti e indietro per 30 sec e lasciare asciugare la cute
 usando un tampone antimicrobico nuovo pulire i tappi di gomma dei flaconi per emocoltura e
coprirli con una garza sterile quadrata
 riapplicare il laccio 10 cm sopra il sito identificato; dopo la disinfezione non palpare di nuovo il sito
per se non si indossano guanti sterili
 con il braccio in estensione e in una posizione bassa, allineare l’ago alla vena, tendere la cute per
facilitare la penetrazione dell’ago con la mano non dominante senza toccare la sede di inserimento,
avvisare il pz che sentirà una puntura e inserire l’ago nella vena con un angolo di 15 gradi e con la
parte smussa rivolta verso l’alto con la mano dominante
 stabilizzare il butterfly e inserire il primo flacone di raccolta (per aerobi per la presenza di aria nel
circuito di prelievo) nel vacutainer, il sangue defluirà automaticamente nel flacone
 togliere il laccio emostatico appena il sangue defluisce adeguatamente nel flacone allentarlo ( la
rimozione del laccio riduce la pressione venosa e ripristina il ritorno venoso contribuendo a
prevenire il sanguinamento e la formazione di ecchimosi)
 quando il primo flacone è pieno toglierlo dal vacutainer e riempire il secondo flacone( per
anaerobi), ruotare delicatamente ogni flacone quando si toglie per mescolare il sangue con
l’anticoagulante; se sono stati richiesti altri campioni di sangue oltre alle emocolture, raccogliere
prima i flaconi per le emocolture dopo le altre provette richieste
 una volta tolto il laccio emostatico, mettere un tampone di garza sopra il sito di puntura ed estrarre
delicatamente l’ago per prevenire lesioni della vena
 applicare una compressione delicata sulla sede della puntura per 2-3 min o fino a quando si ferma
il sanguinamento e dopo applicare una medicazione adesiva
 eliminare ago e vacutainer nel contenitore per i taglienti
 etichettare le provetta e metterle in una sacca per il trasporto dei campioni biologici

Emocoltura da CVC
Le batteriemie e le sepsi sono spesso associate alla presenza di catetere venoso centrale (CVC).
In caso di sospetta infezione del catetere venoso centrale il prelievo per emocoltura va eseguito
contemporaneamente da vena periferica e dal catetere venoso centrale, in rapida successione.
Se il catetere venoso centrale è multi lume, il prelievo va fatto da ognuno dei lumi, anche da quelli non
utilizzati. Si disinfetta il sito di raccordo con clorexidina al 2%, in base alcolica, e si preleva (tramite
vacutainer o siringa) il sangue senza scartare nulla, diversamente da quanto previsto per gli altri esami
ematici. Al termine del prelievo va eseguito il lavaggio di ciascun lume del catetere venoso centrale. La sola
positività del flacone raccolto da CVC non indica batteriemia ma la colonizzazione del catetere di patogeni.

Capitolo 5. La respirazione

La respirazione è costituita da tre fasi:


1. Ventilazione: la ventilazione polmonare è il flusso d’aria che si crea tra l’atmosfera e i polmoni,
avviene a causa delle differenze di pressione dell’aria. L’atto di immettere aria all’interno viene
chiamato inspirazione. I muscoli che permettono un’inspirazione tranquilla sono il diaframma e i
muscoli intercostali esterni. L’atto di espellere l’aria all’esterno è chiamato espirazione e comincia
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quando il diaframma e i muscoli intercostali si rilasciano. L’aria entra nei polmoni quando la
pressione alveolare è inferiore alla pressione atmosferica e ne esce quando la pressione alveolare è
maggiore della pressione atmosferica.
2. Diffusione: l’aria alveolare risulta composta dai seguenti gas:
 74% azoto
 5,3% anidride carbonica
 13,6& ossigeno
 6,2% vapore acqueo
I gas si diffondono nel sangue attraverso la parete capillare.
3. Perfusione: è il processo in cui un corpo fornisce il sangue per il letto capillare sin nel tessuto.
Il ritmo del respiro e la quantità d’aria dipende dall’età:
 Neonato -> 40-44 atti/min
 Lattante -> 30 atti/min
 Bambino -> 22 atti/min
 Adulto -> 16 atti/min
Tipi di respiro:
Eupnea: respiro normale
Dispnea: difficoltà nella respirazione, compare associato al senso di affanno, il pz non riesce a ventilare in
modo adeguato. Il pz presenta solitamente:
 Cianosi: colorazione bluastra della cute e delle mucose.
 Affaticamento: per la mancanza di ossigeno, che produce energia.
 Sudorazione algida (fredda)
 Agitazione: fame d’aria, senso di morte incombente, paura di morire.
Tachipnea: aumento della frequenza respiratoria (superiore ai 16 atti/min)
Bradipnea: riduzione della frequenza respiratoria (inferiore a 14 atti/min).
Iperpnea: aumento della frequenza e della capacità polmonare.
Apnea: assenza di respiro.
Respiro periodico: respiro rapido seguito da una fase di apnea seguita da una espirazione rapida e una
lunga fase di apnea.
Respiro di Ceyne Stokes: la persona alterna fasi di apnea anche lunga (si arriva anche a 20 secondi) a fasi in
cui si passa gradatamente da una respirazione profonda a una sempre più superficiale (cicli respiratori brevi
e frequenti) che termina nuovamente nella fase di apnea.
Respiro di Biot: dopo l’apnea si susseguono rapide e brische respirazioni poi apnea.
Respiro di kussumaul: costituito da atti respiratori profondi e rumorosi.
Respiro sibilante: durante la respirazione si sente un’ostruzione dovuta a restringimento (asma).
Respiro gorgogliante: simile alla pentola che bolle, presenza di secrezione nel passaggio di aria.
Respiro stertoloso: comunemente detto russare.
Respirazione costale: successione di respiri superficiali.
Respirazione diaframmatica: successione di respiri profondi.
I fenomeni che alterano il normale respiro sono:
 Tosse
 Starnuto
 Singhiozzo
 Sbadiglio
 Pianto

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 Riso
 Vomito
 Deglutizione
Insufficienza respiratoria
L'insufficienza respiratoria è l'alterazione dello scambio dei gas tra l'aria dell'ambiente e la circolazione
sanguigna (O2 e CO2), che si verificano negli scambi gassosi intrapolmonari o nello spostamento dei gas
dentro e fuori i polmoni.
Ogni condizione ed ogni malattia che impediscano un adeguato apporto di ossigeno al sangue ed alle cellule
(ipossia) con o senza una contemporanea adeguata eliminazione dell’anidride carbonica (ipercapnia),
causano insufficienza respiratoria.
Si riconoscono due tipi di insufficienza respiratoria:
 Insufficienza respiratoria ipossiemica pura (tipo I): corrisponde al solo deficit di ossigeno nel
sangue arterioso (pressione parziale di O 2 nel sangue arterioso inferiore a 60 mmHg) con anidride
carbonica (CO2) normale
 Insufficienza respiratoria ipossiemico–ipercapnica (tipo II): corrisponde alla contemporanea
presenza di un deficit di O2 associato ad eccesso di CO2 nel sangue arterioso (pressione parziale della
CO2 nel sangue arterioso superiore a 45 mmHg).
L’insufficienza respiratoria può determinare una grave alterazione funzionale di tutti gli organi,
progredendo nel tempo fino a determinare la morte dell’individuo che ne è colpito. Tali danni sono
secondari a:
 insufficiente quantità di O2 nel sangue (ipossiemia), con difficoltà di concentrazione, attenzione e
memoria e deterioramento ideativo e cognitivo, facile affaticabilità, dispnea, cianosi, aumento della
frequenza respiratoria, nausea, inappetenza e anoressia, dimagrimento e perdita della massa
muscolare, sviluppo di ipertensione polmonare con aumento del disagio respiratorio e scompenso
cardiaco destro, iperglobulia (aumento della viscosità del sangue), fino ad arrivare al coma ipossico
 eccesso di CO2 (ipercapnia) che tende ad accumularsi fino a divenire tossica per l’organismo,
determinando dapprima cefalea al risveglio, occhi arrossati e rallentamento psichico e motorio,
tremori e scosse muscolari, per aggravarsi fino al coma nelle fasi più avanzate (come ipercapnico)
Il trattamento dell’insufficienza respiratoria dipende dalla condizione che ha causato la patologia. In
generale, gli obiettivi della terapia sono il miglioramento dell’ossigenazione e dello scambio di aria a livello
degli alveoli polmonari (la cosiddetta ventilazione alveolare).
A seconda dei casi, la terapia può comprendere:
 ossigenoterapia: il primo obiettivo nel trattamento dei pazienti con insufficienza respiratoria è quello di
correggere il deficit di ossigenazione del sangue, che mette in crisi tutti gli organi e i tessuti
dell’organismo. Esistono diverse modalità di somministrazione dell’ossigeno che vengono scelte sulla
base delle condizioni del paziente.
 impiego di supporti ventilatori: lo scopo è quello di correggere l’acidosi, cioè l’eccessiva acidità del
sangue dovuta ai livelli troppo elevati di anidride carbonica.

Ossigenoterapia
Obiettivo dell'ossigeno-terapia è di aumentare la saturazione dell'Hb almeno fino a 85-90% senza causare
tossicità da O2. La FiO2 è la frazione di O2 inspirato e quando questa aumenta, aumenta anche la PaO2
(pressione alveolare).
Qualunque sia la causa dell'insufficienza respiratoria, una Pa02 tra 60 e 80 mm Hg è generalmente
desiderabile per un adeguato trasporto di O2 ai tessuti. Deve quindi essere scelta una FiO2 minima che
fornisce un'accettabile PaO2; di solito è sufficiente una FiO2 < 40%.
Una FiO2<40% può essere somministrata attraverso le cannule nasali o una maschera facciale. Con le
cannule, di norma un flusso di O2 di 2-4 L/min fa salire la PaO2 a livelli terapeutici; con le maschere, il
flusso richiesto di O2 dipende dalla FiO2 desiderata e dal tipo di maschera.
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Cannula nasale standard
Consiste in un condotto, in materiale sintetico anallergico, monouso, di lunghezza standard, caratterizzato
da piccole cannule (inalatore della cannula) che vengono posizionate nelle narici e da un telo di plastica,
sotto al mento, che permette alla cannula di adattarsi perfettamente al viso.
Viene utilizzato nel caso in cui la persona necessita solo di una piccola quantità di ossigeno per mantenere
l'adeguata ossigenazione. La concentrazione di ossigeno somministrato varia a seconda delle caratteristiche
del respiro del paziente. Il limite massimo del flusso è di 6L/min per limitare la disidratazione della mucosa
nasale. E' utile utilizzare un umidificatore.
Vantaggi: è un presidio medico poco costoso, confortevole e ben accettato dal paziente
Svantaggi: - FiO2(frazione inspiratoria di ossigeno) molto variabile
- Irritazione della mucosa nasale e formazione di croste nelle vie aeree superiori

Maschera d’ossigeno semplice


Composta da una maschera, di grandezza standard, anatomica in materiale sintetico flessibile, anallergico,
monouso. La maschera semplice crea una riserva attraverso cui l'O2 è indotto e l'aria dell'ambiente è
mescolata per mezzo delle aperture laterali dalle quali proviene l'atmosfera inspirata. E' fornita di una
linguetta o bordo metallico flessibile (in prossimità del naso) per meglio adattarsi al viso della persona. La
maschera ha un condotto che viene fissato ad una fonte di ossigeno.
E' richiesto un flusso minimo di O2 di 5L/min per proteggere il paziente dal rischio di rirespirare CO2
espirata.
Vantaggi: utile nei soggetti che respirano solo dalla bocca;
Svantaggi: come nell'utilizzo della cannula nasale, si ha una FiO2 molto variabile. inoltre è scomoda e
impedisce l'alimentazione. E' poco tollerata dalla persona, scarso adattamento, si dimostra ingombrante
durante il sonno.

Maschera di Venturi
Consiste in una maschera, di grandezza standard, anatomica, anallergica, in materiale sintetico flessibile e
morbido, monouso. La maschera è caratterizzata da un foro on cui viene collegato un condotto, dal
diametro di 2 cm circa, che termina con una valvola che permette di variare la concentrazione di O2 che si
desidera somministrare. La maschera, infine, viene collegata ad un condotto che viene fissato ad una fonte
di O2. Questa maschera eroga FiO2 fisso e sono di diverse percentuali a seconda del flusso di O2 che si
desidera somministrare e seguono inoltre un codice/colore, ossia ad ogni colore corrisponde una precisa
percentuale di ossigeno nonchè di litri al minuto per garantire la FiO2 desiderata.

% O2 (l/min) Colore raccordo


24% 2/4 Azzurro
28% 4 Bianco
31% 6 Arancione
35% 8 Giallo
40% 8 Rosso
50% 12 Rosa

Maschera con recevoir


Consiste in una maschera in materiale sintetico, anallergico, anatomico, monouso, dotato di un pallone di
riserva (serbatoio) che consente di economizzare l'O2 che se erogato in maniera continua, andrebbe
disperso durante la fase espiratoria.
E' detta anche maschera di rirespirazione parziale, in quanto è una maschera a basso flusso. Inoltre il
serbatoio di riserva permette al paziente di rirespirare parte dell'aria espirata. Il serbatoio non deve
sgonfiarsi completamente durante l'inspirazione, nel caso la portata del flusso di O2 dovrebbe essere
ridotta.
Vantaggi: -Consente elevate concentrazioni di O2
Svantaggi: -Poco tollerata (dà senso di soffocamento)
-Deve aderire perfettamente al viso del paziente
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-Alti flussi provocano dilatazione gastrica
-Rischio di impedimento alla respirazione se il reservoir collabisce
-Costosa
Procedura
 lavarsi le mani
 spiegare la procedura al paziente
 aiutare il paziente ad assumere la posizione di Flower alta o media
 inserire il misuratore di flusso nella presa da muro
 collegare l'umidificatore
 aprire l'ossigeno al tasso prescritto
 cannula:
 posizionare l'inalatore della cannula nelle narici
 passare il tubo sopra e dietro le orecchie
 sistemare il tubo di plastica sotto al mento finche la cannula non si adatti perfettamente
 maschera:
 posizionare la maschera sulla faccia, partendo dal naso fin sotto il mento
 sistemare il bordo metallico sul naso e adagiare la maschera al viso
 sistemare il nastro elastico attorno alla testa, così che la maschera si adatti perfettamente
 controllare il corretto funzionamento dell’apparecchiatura e osservare la risposta iniziare del pz
 monitorare la terapia
 provvedere alla pulizia della bocca del malato almeno ogni 4 ore o secondo istruzioni

Effetti collaterali dell’ossigenoterapia


1. ipoventilazione
2. tossicità
3. fibroplasia retrolentare
4. atelectasia
Elevate concentrazioni di O2 sono tossiche per i tessuti polmonari.

Efficacia dell’ossigenoterapia
L’efficacia dell’ossigenoterapia può essere valutata obiettivamente mediante emogasanalisi;
soggettivamente osservando frequenza cardiaca, ritmo, pressione arteriosa, livello di coscienza,
temperatura e condizioni della cute, tipo di respirazione.

Ventilazione meccanica
E’ indicata quando l’attività respiratoria spontanea del paziente non è in grado di sostenere un’adeguata
ventilazione alveolare.
Il ventilatore agisce come un “muscolo” supplementare e può svolgere completamente il lavoro ventilatorio
o solo supportare gli atti respiratori spontanei del paziente, attivandosi in risposta ad uno sforzo
inspiratorio.
Le modalità di ventilazione meccanica possono essere:
 ASSISTITA (a supporto parziale)
Il ventilatore supporta gli sforzi inspiratori del paziente il quale attiva la macchina compiendo uno
sforzo inspiratorio e la Frequenza Respiratoria (FR) è determinata dal paziente.
 CONTROLLATA ( a supporto totale)
Il ventilatore si sostituisce al paziente e assicura il ciclo respiratorio erogando atti respiratori ad
intervalli predefiniti indipendentemente dagli sforzi del paziente. Volume corrente e frequenza
respiratoria sono predefiniti.
 ASSISTITA/CONTROLLATA
Una FR minima viene predefinita ma il paziente può respirare ad una frequenza superiore. Il

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ventilatore interviene quando non registra alcuno sforzo inspiratorio da parte del paziente che ha la
possibilità di innescare l’atto inspiratorio
La ventilazione meccanica può essere inoltre:
 A PRESSIONE POSITIVA
 Invasiva (cannula endotracheale)
 Non Invasiva (maschera nasale, facciale, casco)
 A PRESSIONE NEGATIVA (es. polmone d’acciaio, poncho e corrazza)
La ventilazione a pressione positiva può essere:
 Pressometrica: i respiratori pressometrici ciclano in base ad una pressione prefissata; sono
macchinari semplici e poco costosi ma non sono affidabili nel fornire un volume corrente o una
ventilazione al minuto predefinita.
 Volumetrica: i respiratori ciclano in base ad un volume predeterminato; Il volume è preimpostato
dall’operatore e non è modificato dall’eventuale sforzo inspiratorio del paziente
Il volume predefinito viene erogato indipendentemente dalla pressione raggiunta (rischio di
barotrauma).

NIV
NIV è l’acronimo inglese di NON INVASIVE VENTILATION; corrisponde all’italiano VMNI (Ventilazione
Meccanica Non Invasiva) e raggruppa un insieme di modalità ventilatorie per pazienti che hanno un’attività
respiratoria spontanea. Esempi di NIV:
Quando i pazienti non sono in grado di respirare abbastanza profondamente o hanno difficoltà nel
mantenere il livello ottimale di respirazione, possono ricevere beneficio dall'impiego della tecnica a
pressione positiva.
La terapia della respirazione a pressione positiva o pressione positiva delle vie respiratorie a due livelli
(BiPAP) utilizza un respiratore meccanico per aiutare l'inspirazione. Lo sforzo del paziente per inspirare fa
scattare il respiratore che spinge aria nei polmoni. La pressione positiva aiuta a prevenire e a curare le
atelettasie perchè contribuisce a mantenere aperti gli alveoli a cui arriva poca aria. La tecnica della
pressione positiva continua nelle vie aeree (PAP) utilizza una pressione costante di ossigeno per
raggiungere questo risultato.
L'attrezzatura per la respirazione a pressione positiva è costosa ed è necessario personale specializzato per
applicare e controllare la terapia. Possono esserci complicazioni:
 Iperventilazione
 diffusione di infezioni
 ingestione di aria con conseguente dilatazione gastrica
 pericolo di provocare o peggiorare un pneuomotorace
 possibilità di aumentare la quantità di aria intrappolata nel pz con malattie ostruttive
Con questa metodica ventilatoria è il pz che stabilisce la frequenza respiratoria ed il volume
corrente oltre a determinare l'inizio della fase inspiratoria e di quella espiratoria.

BI-PAP
Nell'ambito della PSV (pressare support ventilation) si è sviluppato un altro modello di ventilazione: la BI-
PAP (Bi-level positive airway pressare), ventilazione a due livelli di pressione positiva, che consente la
possibilità di fornire due livelli di pressione, uno durante l'inspirazione (IPAP = insiratory positive airwy
pressure) equivalente alla pressione di supporto, l'altro durante l'espirazione (EPAP).
La Bi-PAP viene applicata soprattutto in 3 situazioni:
1. come supporto a breve termine in pazienti con insufficienza respiratoria ipercapnica complicante
l'insufficienza respiratoria cronica;
2. per trattare l'apnea notturna in una grande varietà di condizioni
3. per facilitare lo svezzamento di pazienti con insufficienza respiratoria cronica dall'intubazione e
dalla ventilazione meccanica convenzionale.
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Come funziona?
La BI-PAP garantisce una ventilazione a pressione positiva intermittente: il supporto viene garantito dalla
somministrazione di due livelli di pressione positiva: EPAP e IPAP. Quando il ventilatore cicla in inspirazione,
un flusso rapido di gas entra nei polmoni fino al raggiungimento del livello IPAP prescelto, raggiunto il
quale, il flusso non si ferma ma continua sempre più lentamente a riempire i polmoni; quando il flusso
rallenta ad un livello che segnala la fine dell'inspirazione, inizia la fase espiratoria durante la quale viene
fornito e mantenuto dal ventilatore un secondo livello di pressione (EPAP).
Possono essere utilizzate 2 tipi di maschere nasali:
1. quella che copre il naso
2. quella che comprendono dei dispositivi che si applicano strettamente a contatto con le narici
(simile ad una cannula nasale).
Mentre la BI-PAP utilizza una pressione positiva nelle vie aeree su due livelli, la CPAP utilizza una pressione
continua nelle vie aeree.

CPAP
La terapia ventilatoria CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) consente ai soggetti affetti dalla
sindrome di apnea da sonno di condurre una vita normale. In altri termini: senza russare, senza pause
respiratorie, vigili e in forma durante il giorno.
 Come funziona la terapia ventilatoria CPAP?
L’apparecchio CPAP assicura una leggera ventilazione in una maschera nasale che i pazienti indossano
durante la notte. Grazie a quest’apporto d’aria le vie respiratorie restano aperte e i pazienti possono
respirare liberamente durante il sonno. Due pazienti su tre si abituano alla terapia fin dal primo giorno.
Effetti collaterali, come ad esempio la secchezza delle mucose nasali, scompaiono generalmente dopo
alcuni giorni.
L’apparecchio per la terapia ventilatoria CPAP è un apparecchio costituito da un dispositivo di base e da una
maschera con i tubi di collegamento che assicurano l’apporto d’aria. In determinati casi è necessario anche
un umidificatore.
Vantaggi
Riduzione della mortalità a breve termine nell’edema polmonare acuto
Riduzione delle intubazioni e dei rischi correlati (VAP, Ventilator Associated Pneumonia, sinusiti, intubazioni
esofagee o selettive, lesioni tracheali o delle corde vocali)
Riduzione dei ricoveri in ambiente intensivo
Complicanze
Scarsa aderenza dell’interfaccia al soma del paziente
Discomfort , ansia e agitazione
Lesioni cutanee
Irritazioni oculari
Secchezza nasale
Scarso adattamento del paziente alla ventilazione
Complicanze più gravi come pneumotorace e infezioni polmonari sono possibili ma meno frequenti se
paragonate alla ventilazione invasiva

Tipi di interfacce:
 Maschera nasale: sono le più usate per il trattamento dell’insufficienza respiratoria cronica, ma
possono essere usate anche nelle forme acute. Si possono dividere in maschere che inglobano tutta
la superficie compresa la radice del naso; maschere endonasali; maschere applicabili alla superficie
esterna delle narici.
Vantaggi: miglior comfort; minor rischio di dislocazione; sicurezza in caso di vomito; espettorazione
e alimentazione senza rimozione della protesi.
 Maschera facciale o oronasale: per quanto riguarda l’interfaccia, la prima scelta deve orientare su
una maschera facciale che garantisce una più efficace erogazione della pressione positiva in un
paziente che, nelle fasi di stress acuto, presenta una respirazione nasale e boccale.
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Sono le più usate per il trattamento dell'insufficienza respiratoria acuta e quando la respirazione è
preferenzialmente orale.
Effetti collaterali
 Congiuntiviti, ulcere corneali e congiuntivali
 Distensione gastrica, aerofagia
 Abrasioni e/o ulcerazioni della pelle dovuti al contatto delle maschere
 Secchezza naso e fauci
 Ostruzioni delle vie aeree
 Claustrofobia
 Casco: è raccomandato nell'edema polmonare cardiogeno e non cardiogeno, nel trauma toracico,
nelle atelectasie, nell'ipossiemia post operatoria, nell'asma, nella BPCO riacutizzata, nell'assistenza
respiratoria pre e post estubazione.
Vantaggi
 Assenza di lesioni cutanee al volto
 Pressioni delle vie aeree stabili
 Non necessita della massima collaborazione del paziente
 Ha una buona tollerabilità
Svantaggi
 Impossibilità di misurare il volume corrente
 Rischio di asfissia in caso di malfunzionamento del sistema, è consigliabile l’utilizzo di
presidi muniti di valvole anti soffocamento brevettate
 Possibilità di rebreathing di CO2 che può dipendere da due fattori :
 dal flusso di gas che attraversa il casco
 dalla produzione di CO2
Effetti collaterali
 Decubiti ascellari
 Ischemia o trombosi degli arti superiori
 Otalgia
 Maschera total face
 Maggiore tollerabilità
 Minori perdite
 Minore compressione facciale
 Migliora gli Scambi di gas

Venturimetro: un venturimetro è formato da due connettori A e B. A è collegato al venturimetro, B


fornisce O2 al 100%. E' un sistema che miscela l'ossigeno che noi somministriamo con il sistema A, ad una
presa dall'ambiente esterno. Questo sistema ci permetterebbe di raggiungere delle FiO2 non più alte del
40% se non arricchissimo l'entrata del gas con un secondo sistema B che eroga invece O2 al 100%
(raggiungendo anche il 60% di FiO2). Chiudendo il venturimetro non permetteremmo all'aria di entrare e
quindi potremmo raggiungere il 100% di FiO2.

PEEP
Pressione positiva di fine espirazione (PEEP) è una forma di terapia applicata durante la ventilazione
meccanica.
La valvola espiratoria del ventilatore si chiude durante l'inspirazione, dirigere il flusso nei polmoni. Questa
valvola si apre, allora, che consente di espirazione. Oltre a permettere di espirare naturalmente e la
pressione nei polmoni di tornare alla linea di base, il ventilatore può esercitare una pressione positiva
durante la fase di espirazione, che limita la capacità del polmone svuotare completamente. Questo
processo aumenta la capacità funzionale residua o FRC, che aumenta la pressione media delle vie aeree nei
polmoni. Questo processo è chiamato PEEP.
La PEEP migliora l'ossigenazione tramite un processo chiamato "reclutamento alveoli"; gli alveoli sono le
sacche d'aria nei polmoni. Attraverso pressione positiva, il flusso di gas nei polmoni recluta gli alveoli,
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permettendo loro di assorbire l'ossigeno dal flusso di gas. PEEP mantiene questi alveoli aperti più a lungo
così come reclutare più alveoli, permettendo una migliore ossigenazione. PEEP è essenzialmente una
pressione basale positiva, dove la ventilazione, senza PEEP permette la pressione espiratoria per tornare a
una linea di base pari a zero.

Drenaggio toracico
È un tubo flessibile di plastica che viene inserito attraverso il torace, lateralmente, nello spazio pleurico. È
utilizzato per rimuovere aria (pneumotorace), liquido (versamento pleurico) o pus (empiema) dallo spazio
intratoracico. È anche conosciuto con il nome di drenaggio di Bulwh o catetere intercostale. Tra i tubi di
drenaggio ricordiamo il trocar e il pigtail. Il trocar è uno strumento chirurgico, con un’estremità appuntita
solitamente triangolare, che viene utilizzato all’interno di una cannula al fine di inserire quest’ultima in vasi
sanguigni o cavità corporee.

Capitolo 6. ECG

L'elettrocardiogramma è la rappresentazione grafica della sommatoria di tutti gli impulsi dell'attività


elettrica del cuore (miocardio). Uno degli strumenti diagnostici più utilizzati è l'elettrocardiografia.
Gli impulsi che si muovono attraverso il sistema di conduzione del cuore creano delle correnti elettriche che
possono essere monitorizzate sulla superficie del corpo. Gli elettrodi attaccati alla cute possono captare
queste correnti elettriche e trasmetterle al macchinario che produce un grafico, l'ECG.
L'ECG standard a 12 derivazioni utilizza degli elettrodi posizionati sull'estremità distali del corpo e sul
torace per valutare il cuore da 12 differenti punti di vista, consiste di 3 derivazioni bipolari, 3 derivazioni
unipolari e 6 precordiali unipolari. Tutte le derivazioni, eccetto le precordiali, mostrano il cuore sul piano
frontale; quelle precordiali sul piano orizzontale. L’ECG di base fornisce informazioni circa:
 Disturbi del ritmo
 Ipertrofia cardiaca
 Danno ischemico
 Disturbi metabolici
Esecuzione
Il pz che deve eseguire un ECG deve assumere la posizione supina, deve sentirsi comodo e raggiungere un
completo rilassamento. L’ambiente in cui deve effettuare l’esame dovrà essere ben riscaldato. Dopo aver
preparato la cute del paziente si applicano gli elettrodi nei punti stabiliti (tra elettrodi e cute va posta
soluzione salina per condurre meglio la corrente elettrica). Le derivazioni periferiche si registrano
applicando 4 elettrodi:
1. ROSSO -> faccia volare dell'estremità distale del braccio di destra
2. GIALLO -> faccia volare dell'estremità distale del braccio di sinistra
3. VERDE -> superficie estensoria dell'estremità distale della gamba sinistra
4. NERO -> superficie estensoria dell'estremità distale della gamba destra

Le derivazioni periferiche sono:


 3 unipolari:
 AVR (aumento voltaggio a destra),
 AVL (aumento voltaggio a sinistra),
 AVF (aumento voltaggio al piede).
 3 bipolari:
 D1 (braccio dx, braccio sx): misura la differenza di potenziale tra il braccio destro e quello
sinistro;

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 D2 (braccio dx, gamba sx): è quella che guarda meglio il cuore; infatti quando si apre un
tracciato la prima cosa che si guarda è la D2 che ha la migliore risoluzione perchè registra il
potenziale tra il braccio destro e le gambe (perchè a valle gli elettrodi si possono mettere
anche allo stesso piede, tanto chiudono a triangolo;
 D3 (braccio sx, gamba sx): registra la differenza di potenziale tra braccio sinistro e gambe.

Le derivazioni precordiali si registrano applicando 6 elettrodi sulla parete toracica anteriore, ciascun
elettrodo registra la derivazione ad esso indicata e per trovare la prima precordiale V1 si deve trovare
l'unico punto di repere in comune tra uomo e donna: la fossetta di Willis (angolo di Lewis), situata tra
manubrio e corpo dello sterno; tale punto corrisponde al 2° spazio intercostale. Seguendo gli spazi
intercostali con il polpastrello si arriva la 4° spazio intercostale.
 V1 -> 4° spazio intercostale parasternale destro
 V2 -> 4° spazio intercostale parasternale sinistro
 V4 -> 5° spazio intercostale sinistro lungo la emiclave (sotto i capezzolo)
 V3 -> A metà tra V2 e V4
 V5 -> 5° spazio intercostale sinistro lungo la linea ascellare anteriore (emiclaveare)
 V6 -> 5° spazio intercostale sinistro lungo la linea ascellare media (emiascellare)

Per capire meglio gli impulsi captati da queste derivazioni è stato utilizzato il triangolo di Einthoven (è il
principio fisiologico sul quale si basa l’ECG). Secondo Einthoven bisogna considerare il corpo come un
conduttore sferico omogeno e all'interno di tale sfera bisogna inserire un triangolo i cui vertici sono
rappresentati dal braccio dx, braccio sx, gamba sx (considerando i due arti inferiori come un unico arto
attaccato al pube). All'interno del triangolo è presente un generatore di forze che è il cuore. Tutte le forze
elettriche che nascono dal cuore vengono rappresentate con un vettore. A livello dei tre arti vengono
applicati degli elettrodi: braccio dx = elettrodo con 2 poli negativi, braccio sx = elettrodo con un polo
negativo e uno positivo, gamba = elettrodo con 2 poli positivi. I vettori indicano le derivazioni unipolari
(AVR,AVL, AVF).
I lati del triangolo formano le derivazioni di Einthoven, hanno la funzione di guardare gli eventi elettrici da
tre prospettive diverse. La I derivazione va dal braccio sx quello dx; la II da braccio dx a gamba sx; la III da
braccio sx a gamba sx.
Il tracciato
Tutte le derivazioni sono formate da 5 onde principali: P,Q,R,S,T.
P -> è la prima onda positiva sul tracciato e rappresenta la parte atriale, quindi vede le anomalie atriali. La
fine dell'onda P fino all'inizio della Q è il tempo (di 0,20 msec) che serve agli atri per depolarizzare.
QRS -> Q è la seconda onda ed è negativa, R è la terza positiva ed S è la quarta negativa. Sono onde a punta
e sono le tre onde della depolarizzazione ventricolare, quindi quando c'è la sistole del ventricolo (una
chiude il tetto, una l'apice e una la base). Quindi questo complesso vede le anomalie ventricolari
T -> deve essere sempre un'onda positiva tonda e rappresenta la ripolarizzazione ventricolare. E' l'ultima
onda del tracciato e se è negativa è segno di ischemia.
Posizionamento degli elettrodi
Gli elettrodi, nell’esecuzione di un tracciato di base, sono 10, di cui:
 4 si applicano agli arti
 6 al torace, in regione precordiale
Questi elettrodi registrano 12 derivazioni, ossia 12 punti di vista del cuore.
Solitamente si usano:
 Elettrodi a ventosa (per le derivazioni precordiali)
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 Elettrodi a placca (per le derivazioni periferiche)

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