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Parole sotto la svastica.

L’educazione linguistica e letteraria nel Terzo Reich.

I
L’educazione nella Germania nazionalsocialista

Durante gli anni del nazionalsocialismo, gli studi critici sulla pratica e teoria della pedagogia
parlano di una vera e propria “pedagogia del nazionalsocialismo”. Gli studiosi, quindi,
presuppongono l’esistenza di un sistema educativo totalitario che si sarebbe incentrato su di una
teoria educativa unitaria, sviluppatasi durante gli anni del Terzo Reich. Questa teoria educativa
viene ricondotta, soprattutto a seguito delle ultime analisi, alle idee di Adolf Hitler, espresse
chiaramente nell’opera Mein Kampf.
Secondo questi studi, i maggiori pedagogisti della Germania degli anni Trenta o sarebbero stati
d’accordo con Hitler già prima che salisse al potere, come ad esempio Ernst Krieck, o si sarebbero
adeguati alle idee del partito nazionalsocialista, come Alfred Bäumler, altri invece sarebbero stati
condannati al silenzio a causa del loro atteggiamento critico verso il regime (come ad esempio
Theodore Litt). Altri studiosi, invece, criticano questo tipo di approccio e lo considerano una
schematizzazione di rapporti scientifici e personali ben più complessi. È necessario, comunque,
illustrare la complessa discussione teorica circa la realtà educativa negli anni del
nazionalsocialismo e gli elementi di continuità che in essa si riscontrano rispetto al periodo
precedente.
Non esiste una sola teoria educativa nazionalsocialista: analizzando le opere dei più noti
rappresentati della pedagogia ufficiale degli anni Trenta e Quaranta, si riscontrano evidenti
differenze tra le idee di Adolf Hitler, Ernst Krieck, Alfred Bäumler, Theodor Litt, Gerhardt Giese
oppure Rudolf Benze.
Nel testo preso in analisi, si prova a dimostrare come una parte della concezione della pedagogia
adottata come ufficiale durante il periodo del nazionalsocialismo era stata sviluppata già in un
periodo antecedente rispetto al 1933 e alla diffusione dell’ideologia del nazionalsocialismo nella
società: dunque, in un clima, non segnato ancora dalla sua tragica ipoteca. Nel Mein Kampf, scritto
com’è noto, a partire dal 1924, Adolf Hitler espone molto chiaramente la sua idea sul tema
dell’educazione, che egli considera tema fondamentale dello Stato (1935, p. 439):

Il Reich tedesco, in quanto Stato, deve comprendere tutti i tedeschi col compito non solo di
raccogliere e mantenere la provvista più preziosa di elementi raziali originari di questo popolo,
ma anche ad innalzarla lentamente e sicuramente verso una posizione predominante.
Lo Stato quindi appare come l’organizzazione che prima di tutto seleziona gli elementi di spicco per
poterli promuovere in seguito sino a costituire una élite dirigente. Per questo motivo, Hitler dedica
135 su 780 pagine del suo libro a temi educativi 1, proponendo un messaggio ideologico destinato a
pesare anche in campo pedagogico. Non è un caso che durante il periodo nazionalsocialista il
Führer venne considerato da molti dei pedagogisti ufficiali anche un importante autorità educativa,
oltre che un capo politico (Schwedtke, 1933, p 5):

1
Le considerazioni, che si dividono nei campi di educazione generale (A) e scuola (B), si trovano sotto le seguenti voci: “A: Jugend und
Alter, Die Deutsche Erziehung vor dem Kriege, Ziele der Eziehung, Entwicklung und Wert der Persönlichkeit, ”
Al lettore attento si impone con la violenza costrittiva il fatto che in molti passi del libro è
l’educatore a prendere la parola. Sì, per lunghi tratti dell’opera, il combattente scompare dietro
l’educatore.

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