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Empirismo logico

1. Introduzione

L’empirismo logico è un movimento filosofico che nasce per rispondere all’esigenza di ripensare
criticamente i risultati e i metodi della scienza, i quali si erano rivelati tutt’altro che definitivi e assoluti. Si
tratta di un movimento del quale fanno parte anche molti scienziati “sul campo” che dà vita ad un modello
di pensiero definito anche ‘filosofia scientifica’. Il movimento si fa anzi un vanto di respinge la filosofia
‘pura’ e di essere composto da membri che – oltre ad essere filosofi – lavorano anche all’interno di qualche
ambito scientifico. Questo movimento si forma attorno a due ‘scuole’: il cosiddetto circolo di Vienna in
Austria e un gruppo a Berlino che collabora con il circolo di Vienna . Il circolo di Vienna si forma come libera
associazione di scienziati e di filosofi, uniti soprattutto da comuni istanze epistemologiche, ossia come
iniziativa extraaccademica di pensatori animati da convergenti interessi per l’analisi critica della scienza.
Esso si propone da una parte di comprendere la crisi della scienza ottocentesca, la crisi del cosiddetto
“scientismo positivistico”, ossia di quella fiducia ottimistica e cieca di potere spiegare un giorno ogni
fenomeno sulla scorta di leggi fisiche o derivate dalla fisica. Da un’altra esso si prefigge di chiarire
esattamente la natura delle teorie scientifiche, sia individuandone le basi concrete e i tratti strutturali, sia
rimuovendone ogni spuria connotazione metafisica.
Il Circolo si formò dopo che, nel 1922, Moriz Schlick (1982-1936) fu chiamato ad occupare a Vienna la
cattedra che dal 1895 al 1901 fu di Ernst Mach e istituì l’usanza di riunioni filosofiche il giovedì sera. Karl
Popper e Ludwig Wittgenstein, che negli anni ’20 vissero a Vienna, non furono membri del circolo, ma
discussero di questioni filosofiche con alcuni membri e Wittgentein esercitò un’influenza considerevole sul
pensiero del movimento.
Fra i più importanti membri del circolo vi furono: Alfred Ayer (filosofo); Gustav Bergmann (matematico);
Rudolf Carnap (filosofo e logico); Herbert Feigl (filosofo); Philipp Frank (fisico); Kurt Gödel (matematico e
logico), Hans Hahn (matematico); Felix Kaufmann (avvocato); Victor Kraft (storico e filosofo); Karl Menger
(matematico); Otto Neurath (sociologo); Kurt Reidemeister (matematico); Moriz Schlick (fisico teorico e
filosofo); Friedrich Waismann (filosofo); Edgar Zilsel (filosofo).
Negli stessi anni si costituisce anche a Berlino un gruppo di filosofi con i medesimi interessi di ricerca e lo
stesso approccio filosofico. I membri più importanti sono Hans Reichenbach (1891 - 1953) e Carl Gustav
Hempel (1905 – 1997). Negli anni ‘20 e ‘30 c’era una buona cooperazione fra i due gruppi, prova ne sia la
fondazione congiunta della rivista Erkenntnis (1930) – una delle riviste più importanti per quanto concerne
la filosofia scientifica – fondata da Rudolf Carnap (Vienna) e Hans Reichenbach (Berlino).
Il suo decollo internazionale avviene quando il movimento è oramai maturo negli anni 1929-1930 e perdura
sino all’annessione nazista dell’Austria nel 1938, nonostante abbia già preso avvio la diaspora del gruppo
originario verso gli Stati Uniti. In quegli anni si rafforzano i contatti internazionali del gruppo che diventa un
centro di attrazione e di influenza per filosofi sia americani (p. es. Quine, Nagel) sia inglesi (p. es. Ryle, Ayer).
Nel 1938 apparve l’importante serie di monografie il cui titolo collettivo International Encyclopaedia of
Unified Science esprimeva uno dei caratteri principali del loro programma. Ma, già in questi anni il gruppo si
avviava allo scioglimento in parte in conseguenza di pressioni politiche dai nazisti (poiché alcuni membri
erano ebrei e perché il gruppo aveva legami politici con forze di sinistra – questo comportò trasferimento di
molti membri negli Stati Uniti) e, in parte, a causa di dissensi interni che si acuivano sempre più. Vari
membri assunsero incarichi di insegnamento negli Stati Uniti, esportando così le idee del circolo al di là dei
confini dell’Europa centrale e fornendo uno degli spunti più rilevanti per la formazione di una tradizione
filosofica peculiare statunitense che prende il nome di ‘filosofia analitica’ e che si contrappone alla
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cosiddetta ‘filosofia continentale’ che affonda invece le proprie radici nella tradizione filosofica del vecchio
continente: l’Europa.
Le questioni principali di cui questa corrente di pensiero primariamente si occupa sono:
- I vari rami della scienza hanno un fondamento unitario?
- Esiste un criterio per determinare di che cosa la scienza può e cosa invece deve essere estromesso
dal suo ambito? Quali sono le tematiche che possono e quelle che non possono essere oggetto di
ricerca scientifica in quanto eccessivamente incerte e non passibili di essere investigate con il
metodo scientifico?

2. Il circolo di Vienna e il Circolo di Berlino1

Qui di seguito alcune note storiche e biografiche circa l’empirismo logico e i due gruppi che lo compongono:
il circolo di Vienna e il circolo di Belino: queste note non vanno studiate nel dettaglio, ma solo lette per
comprendere qual è il contesto in cui il movimento si sviluppa.

«Autobiografia di un gruppo di scienziati e intellettuali. l nucleo originario da cui prende avvio l'empirismo
logico è il cosiddetto "Circolo di Vienna", raccolto intorno a Moritz Schlick, che dal 1922 occupa in questa
città la cattedra di filosofia delle scienze induttive, già di Ernst Mach. Vienna, in questi anni, rappresenta un
terreno particolarmente adatto per lo sviluppo del gruppo di Schlick […]. Herbert Feigl, uno dei più giovani
componenti del gruppo, così racconta l'origine del Circolo: «Il Circolo di Vienna si sviluppò nel 1923 da un
seminario diretto dal prof. Moritz Schlick e frequentato, fra altri studenti, da F. Waismann e H. Feigl.
L'insegnamento di Schlick a Vienna era cominciato nel 1922, e verso il 1925 da questo nucleo si era formato
un gruppo di discussione, che si riuniva il giovedì sera. È interessante notare che parecchi partecipanti non
erano filosofi di professione. Anche se. alcuni di loro insegnavano filosofia, il loro campo originario di ricerca
riguardava altre materie. Schlick, per esempio, era specializzato in fisica e la sua tesi di dottorato, scritta
sotto la guida di Max Planck a Berlino, trattava di un problema di ottica teorica. Fra gli altri membri attivi
possiamo ricordare Hans Hahn, matematico, Otto Neurath, sociologo, Victor Kraft, storico, Felix Kaufmann,
avvocato, e Kurt Reidemeister, matematico. Partecipava di tanto in tanto alle riunioni, recandovi un
notevole contributo, il fisico di Praga Philipp Frank [...]. Fra i più giovani partecipanti ricordiamo K. Godel,
ora a Princeton, T. Radakovic, G. Bergmann, M. Natkin, J. Schaechter, W. Hollitscher e Rose Rand; e tra i
visitatori C.G. Hempel, da Berlino; A.E. Blumberg, da Baltimora; e A.J. Ayer, da Oxford. Tra gli studiosi meno
strettamente legati al gruppo erano K. Menger, E. Zilsel, K. Popper, R Kelsen, L. von Bertalanffy, H. Gomperz,
B. von Juhos.
Lo sviluppo più rapido e decisivo di nuove idee cominciò nel 1926, dopo la chiamata di R. Carnap
all'università di Vienna. […] Nello stesso anno venne pure studiato dal Circolo il Tractatus
logicophilosophicus di L. Wittgenstein. La posizione filosofica del positivismo logico nella sua forma originale
fu il risultato di queste influenze decisive. A differenza di Carnap, che divenne un membro regolare e molto
influente del gruppo, Wittgenstein si trovava solo occasionalmente con alcuni membri del Circolo. […]

Il Circolo di Berlino. A partire dal 1928, a Berlino, si costituisce un gruppo analogo, le cui figure. di maggior
rilievo sono Hans Reichenbach, Cari Gustav Hempel, Richard von Mises, Kurt Grelling. Scopo della Società

1 Questo paragrafo e il successivo sono tratti da Cioffi, F. et al. (2000). Il testo filosofico. L’età contemporanea:
l’ottocento, Milano: Bruno Mondadori, p. 380-382.
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berlinese è lo sviluppo di una "filosofia scientifica", intesa come “Un metodo filosofico che trae vantaggio
dall'analisi e dalla critica dei risultati delle scienze particolari, per giungere a porre e risolvere problemi
filosofici”. Tra i gruppi di Vienna e di Berlino si stabiliscono stretti rapporti di collaborazione, anche se nel
primo prevale una tendenza sistematica e prescrittiva, mentre nel secondo vengono coltivate soprattutto le
ricerche particolari su concetti e metodi propri delle singole scienze. Tra. il 1930 e il 1940, il movimento
degli empiristi logici si organizza a livello internazionale, stabilendo collegamenti con filosofi e scienziati di
orientamento affine. Efficace strumento di diffusione delle idee del gruppo è la rivista “Erkenntnis”, diretta
da Carnap e Reichenbach. È Neurath, in particolare, a insistere perché il Circolo agisca in modo organizzato,
così da contrastare efficacemente gli orientamenti "metafisici" dominanti la filosofia del tempo. In accordo
col gruppo di Berlino, vengono organizzati alcuni congressi internazionali: a Praga, nel 1929, a Parigi, nel
1935, a Cambridge nel Massachusetts, nel 1939. […] A partire dal 1938, sotto la direzione di Neurath,
Carnap e Morris, vengono pubblicati i primi fascicoli di una Enciclopedia internazionale della scienza
unificata; la morte di Neurath, lo scoppio della guerra, l'attenuarsi dello slancio unitario fra i collaboratori
impediranno il completamento dell'opera. L'ascesa del Terzo Reich, e poi l'invasione nazista dell'Austria nel
1938, della Cecoslovacchia e della Polonia nel 1939, influiscono sulla disgregazione del Circolo e sulla
diaspora dei suoi membri in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, paesi in cui la problematica neopositivista si
collega, tramite Morris, al pragmatismo e, tramite Ryle, Ayer e Wisdom, alla filosofia analitica. Nel 1934,
Reichenbach trova rifugio prima in Turchia e poi negli Usa; nel 1935 anche Carnap si trasferisce
oltreoceano, mentre Schlick, nel 1936, muore tragicamente assassinato da uno studente nazista. Nel 1938,
la diffusione delle pubblicazioni del Circolo di Vienna viene vietata nei paesi di lingua tedesca.» 2

3. Il programma del circolo di Vienna3

«Nell'agosto del 1929, a Vienna, viene pubblicato un opuscolo di circa sessanta pagine dal titolo “La
concezione scientifica del mondo”, a firma di Hans Hahn, Otto Neurath e Rudolf Carnap. Edito
dall'Associazione Ernst Mach, presieduta da Moritz Schlick, l'opuscolo si propone di indicare le linee
fondamentali del programma del gruppo di scienziati e filosofi noto in Europa con il nome di Circolo di
Vienna. Obiettivo della Società Viennese è quello di favorire e diffondere una “visione scientifica del
mondo” e di dare luogo a una “scienza unificata” in grado di comprendere tutte le conoscenze intorno alla
realtà conquistate dall'uomo nei secoli, senza dividerle in discipline particolari, separate e fra loro
sconnesse. “Le discussioni del circolo - come ricorda Herbert Feigl, uno dei suoi più giovani partecipanti -
vertevano intorno ai fondamenti della logica e della matematica, alla logica della conoscenza empirica, e
solo incidentalmente entravano nel campo della filosofia delle scienze sociali e dell'etica”. La maggior parte
dei membri del Circolo e del movimento che ne scaturisce, l'empirismo logico, si era formata nell'ambito
delle discipline scientifiche, specie della fisica e della matematica (risentendo dell'influenza di Helmholtz,
Boltzmann, Planck, Einstein) e aveva partecipato alle discussioni metodologiche che si erano sviluppate in
questi campi ai primi del secolo (per esempio, sul significato della teoria della relatività). Per questo, essi
hanno l'ambizione di presentare le proprie concezioni come l'unica forma di filosofia davvero rispondente ai
problemi metodologici della scienza del tempo.
• I diversi ambiti della scienza possono ricevere un fondamento unitario?

2 Cioffi, F. et al. (2000). Il testo filosofico. L’età contemporanea: l’ottocento, Milano: Bruno Mondadori, p. 380-382. 3
Questo paragrafo è tratto da Cioffi, F. et al. (2000). Il testo filosofico. L’età contemporanea: l’ottocento, Milano: Bruno
Mondadori, p. 380-382.
3
• Esiste un criterio per discernere le proposizioni dotate di contenuto empirico da quelle che ne sono
sprovviste?
• Che significato hanno, nel linguaggio scientifico, i cosiddetti termini teorici, ossia quei termini che
non si riferiscono ad alcunché di direttamente osservabile?
• Fino a che punto le teorie possono fondarsi su procedimenti di tipo induttivo?
• Esiste una distinzione fra verità logiche e verità di fatto, fra proposizioni sintetiche e analitiche?
• Qual è la definizione di legge scientifica?
Nella discussione di queste e di altre importanti questioni metodologiche e gnoseologiche […] l'intento degli
empiristi logici è in primo luogo quello di porre in evidenza il carattere problematico dei risultati e dei
metodi della scienza moderna, senza che ciò conduca tuttavia a una svalutazione della portata conoscitiva
della scienza stessa. Al contrario, gli strumenti logici e sperimentali di cui si serve la scienza rimangono, a
loro parere, gli unici strumenti di conoscenza effettiva. Non esistono, infatti, conoscenze conseguibili con
metodi differenti da quelli delle scienze: la razionalità umana· coincide con la razionalità scientifica; la
“teoria della conoscenza” si risolve integralmente nell'ambito dei problemi filosofici da quest'ultima
sollevati.
Si comprende così come, fin dalle sue origini, il Circolo di Vienna ponga a fondamento del proprio
programma l'eliminazione della metafisica, termine nel quale si viene a comprendere gran parte della
filosofia tradizionale. Nel 1935, in un breve scritto di Neurath dedicato allo “Sviluppo del Circolo di Vienna e
l’avvenire dell'empirismo logico”, i fondamenti del movimento vengono fissati schematicamente in quattro
punti:
1) la concezione antimetafisica;
2) l'empirismo come riferimento gnoseologico generale;
3) l'uso della logica come metodo di analisi;
4) la tendenziale matematizzazione di tutte le scienze.
A parere di Neurath, questi elementi caratterizzano in modo completo la nuova “filosofia scientifica”, tanto
che la mancanza di uno di essi è sufficiente a comprometterne la coerenza.»

4. Le denominazioni
Le denominazioni ‘empirismo logico’, ‘circolo di Vienna’ e ‘positivismo logico’ (o ‘neopositivismo logico’)
sono usate in maniera indifferenziata. Questi nomi si giustificano sulla scorta delle tradizioni filosofiche alle
quali questa corrente di pensiero fa riferimento. Le denominazioni ‘positivismo’ (‘neopositivismo’) e
‘empirismo’ sono da ricondursi rispettivamente alla filosofia del positivismo dell’ottocento (Comte, Mach) e
all’empirismo classico (Hume…). In accordo sia con l’empirismo sia con il positivismo, i membri del Circolo di
Vienna affermarono, infatti, la necessità di fondare tutta la conoscenza sull’esperienza, (benché la specifica
natura di questo fondamento costituisse materia di dibattito).
Per quanto concerne il positivismo ottocentesco, si tratta di «un movimento filosofico e culturale,
caratterizzato da una esaltazione della scienza, che nasce in Francia nella prima metà dell’Ottocento e che si
impone, a livello europeo e mondiale, nella seconda parte del secolo. Il termine ‘positivo’, da cui deriva il
nome di questa corrente, viene assunto, dai filosofi positivi, in due significati fondamentali: 1) positivo è
anzitutto ciò che è reale, effettivo, sperimentale, in opposizione a ciò che è astratto, chimerico e metafisico;
2) ‘positivo’ è anche ciò che appare fecondo, pratico, efficace, in opposizione a ciò che è inutile ed ozioso.
[…] Il Positivismo appare caratterizzato, sin dall’inizio, da una celebrazione della scienza, che si concretizza
in una serie di convinzioni di fondo:
i. La scienza è l’unica conoscenza possibile ed il metodo della scienza è l’unico valido […].

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ii. La funzione peculiare della filosofia è quella di riunire e coordinare i risultati delle singole scienze, in
modo da realizzare una conoscenza unificata e generale.
iii. Il metodo della scienza, in quanto è l’unico valido, va esteso a tutti i campi, compresi quelli che
riguardano l’uomo e la società; iv. Il progresso della scienza rappresenta la base del progresso
umano e lo strumento per una riorganizzazione globale della vita in società capace di accelerarne lo
sviluppo in modo sempre più rapido.
[…] Il decollo del sistema industriale, della scienza, della tecnica, degli scambi e dell’estensione della cultura
su larga scala, determina, nella seconda metà dell’ottocento, un ‘clima’ generale di fiducia entusiastica nelle
forze dell’uomo e nelle potenzialità della scienza e della tecnica. Questo ottimismo si traduce in un vero e
proprio culto per il pensiero scientifico e tecnico. […]
Il Positivismo si configura come una ripresa originale del programma illuministico all’interno della nuova
situazione storico-sociale caratterizzata dallo sviluppo della scienza e della tecnica. […] Il Positivismo si
caratterizza per:
a) la fiducia nella ragione e nel sapere, concepiti come strumenti di progresso a servizio dell’uomo e
della pubblica felicità;
b) l’esaltazione della scienza a scapito della metafisica e di ogni sorta di sapere non verificabile;
c) la visione tendenzialmente laica e immanentistica della vita.» 3
«1.) Come dottrina epistemologica e metodologica, il positivismo avanza innanzitutto la pretesa di
distinguere le affermazioni che l'uomo fa sul mondo che lo circonda in due categorie: scientifiche e non
scientifiche. Sono scientifiche le affermazioni che rispettano alcuni criteri fondamentali: osservazione
sperimentale dei fatti; formulazione di leggi e spiegazioni relative ai fenomeni; verifica di tali leggi ; rifiuto di
ipotesi non verificate. La conoscenza si qualifica entro queste regole e in un ambito circoscritto da tali limiti:
ogni altra affermazione è non scientifica, vale a dire non produce reale conoscenza . In particolare,
appartiene alla metafisica ogni tentativo di asserire alcunché circa le essenze o le cause ‘ultime’ dei
fenomeni. In secondo luogo, il positivismo sostiene, in forme più o meno radicali, l'unitarietà del metodo
scientifico, ovvero la possibilità di assoggettare alle stesse regole di conoscenza (e, nel caso del
riduzionismo, alle stesse leggi fondamentali) tutti i fenomeni, siano essi di natura fisica, sociale o
psicologica. Il positivismo sostiene dunque l’esistenza di un modello di razionalità unitario per le scienze
"della natura" come per quelle "dello spirito". Le scienze dell'uomo e della società sono tali in quanto si
conformano agli stessi canoni metodologici ed epistemologici delle scienze della natura.
2.) Sulla base della possibilità di distinguere ciò che fa parte del sapere (identificato con il sapere scientifico)
da ciò che ne è escluso, il positivismo afferma poi con forza il tema, tipicamente illuministico, della
destinazione sociale del sapere stesso. Centrale è dunque, nella concezione positivista, la capacità della
scienza di produrre strumenti di trasformazione della natura e di direzione dei processi sociali: questi ultimi
andranno sottratti alle influenze di tipo metafisico e religioso per essere finalmente regolati in modo
razionale e scientifico.»4
Il positivismo ottocentesco propone dunque un’ideale di scientificità ottimistico che ha fiducia nella
possibilità di acquisire nuova conoscenza in maniera cumulativa, che si affida all’osservazione, che crede
nella possibilità di ricondurre le diverse branche del sapere ad unità e che si schiera contro la metafisica . Il
neopositivismo si sforza di individuare e di perseguire un sapere certo, garantito, ‘positivo’ perché fondato

3 Abbagnano, N., Fornero, G. (1986). Filosofi e filosofie nella storia. Torino: Paravia, p. 273-276. Alcune parti sono
state tagliate.
4 Questa parte è tratta da Cioffi, F. et al. (1998). Il testo filosofico. L’età contemporanea: l’Ottocento, Milano: Bruno
Mondadori, p. 351.

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sull’esperienza, sui fatti e sulla prassi scientifica, capace di promuovere progresso sia culturale sia
economico e sociale.
La denominazione “positivismo logico” o “neopositivismo (logico)” data al circolo di Viella e Berlino della
prima metà del ‘900 è ispirata a queste caratteristiche del positivismo ottocentesco. Tuttavia, alcuni
ritengono che le convinzioni profonde del Circolo di Vienna e di Berlino siano espresse al meglio dalla
denominazione “empirismo logico”, perché questa comunica direttamente l’intenzione principale del
gruppo di formare una filosofia della scienza soddisfacente dall’unione della logica con l’epistemologia
dell’empirismo, creando in tal modo una scienza unificata, dalla quale fosse eliminata ogni metafisica . In
termini molto generali possiamo dire che l’empirismo è quella corrente di pensiero secondo la quale non
possiamo affermare che nulla sia reale e esista realmente a meno che l’esistenza di questo qualcosa non sia
confermata da (o sia perlomeno riconducibile a) esperienza sensibile diretta. I principali esponenti di questa
corrente di pensiero – che costituiscono differenti incarnazioni possibili dell’ideale empiristico – sono Locke
(1632-1704), Berkeley (1685-1752), Hume (1711-1776) e, nella filosofia del XX secolo, l’empirismo logico,
Russell e Quine. Il problema cardine di questa corrente di pensiero è quello di mostrare che le teorie sono
fondate (perlomeno in ultima istanza) sull’esperienza sensibile e di chiarire come questa fondazione si
configuri nella pratica.
L’etichetta “empirismo” è comunemente contrapposta a quella di “razionalismo” che è, se possibile, ancora
più ambigua e di difficile classificazione. Diversamente dall’empirismo, il razionalismo riconosce
nell’esperienza uno degli elementi rilevanti rispetto alla pratica scientifica, ma certamente non ritiene che si
tratti dell’unico fattore rilevante. I razionalisti non sostengono infatti che le teorie debbano o possano
essere interamente basate sull’esperienza, ma si accontentano che le teorie siano, almeno in parte,
controllabili attraverso l’esperienza. Da un punto di vista metodologico, mentre le teorie empiriste
prediligono metodi di tipo induttivo, le teorie razionaliste privilegiano metodi di carattere
ipoteticodeduttivo e che considerano la prova empirica soltanto uno dei diversi criteri che dobbiamo
adottare per valutare se una teoria sia o meno accettabile.
Coerentemente con queste definizioni, l’ideale empiristico incarnato dall’empirismo logico porta questa
corrente di pensiero a ritenere che le discipline scientifiche debbano essere fondate su basi in larga misura
empiriche. Per l’empirismo logico questo significa escogitare «un linguaggio scientifico che, evitando ogni
pseudo-problema, permetta di fare prognosi e di formulare le condizioni del loro per mezzo di enunciati
osservativi.»5 L’empirismo dell’empirismo logico ha a che fare primariamente con l’idea che la scienza
debba fondarsi su enunciati di osservazione, sull’induzione e su rapporti esprimibili matematicamente .
L’aggettivo “logico” esprime il fatto che l’atteggiamento postivistico/empiristico di questa corrente di
pensiero si avvale degli strumenti della logica formale per descrivere la struttura della scienza . Il
programma dei membri del circolo di Vienna si propone anzitutto:

- di sviluppare l’eredità empiristico-positivistica nel suo rifiuto della metafisica e nel suo aver posto
l’accento sull’indagine empirica;
- di promuovere un’indagine scientifica quale modello per l’indagine intellettuale;
- di far valere una concezione della fisica secondo la quale questa disciplina non rappresenta soltanto
un modello per altre scienze, ma anche un fondamento per tutte le scienze comprese la psicologia
e le scienze sociali, tale per cui anche esse potranno un giorno essere unificate e ridotte a termini
fisici fondamentali comuni;
- di fare un uso sistematico dell’analisi logica per ridurre asserzioni complesse in proposizioni
elementari, cosicché le asserzioni scientifiche di “alto livello” di una teoria data possano essere

5 Neurath, O., Il circolo di Vienna e l’avvenire dell’empirismo logico, Roma: Armando, p. 50.
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scomposte in affermazioni “di basso livello” (e direttamente verificabili) su osservazione ed
esperienza.

Questi elementi caratterizzano almeno approssimativamente la nuova “filosofia scientifica” della quale i
membri del Circolo di Vienna si sentono sostenitori.
In effetti, il Circolo di Vienna ha il merito di avere concepito la “filosofia della scienza” alla stregua di una
disciplina autonoma rispetto all’epistemologia. È per questa ragione che molte opere dedicate filosofia della
scienza collocano la nascita di questa disciplina non nel 1600-1700, in corrispondenza della filosofia della
nuova scienza e dello sviluppo del metodo scientifico, al quale consegue la nascita di scienze empiriche
distinte dalla riflessione filosofica, ma soltanto negli anni venti del secolo scorso con la formazione del
circolo di Vienna.
I paragrafi che seguono si propongono, fra l’altro, di spiegare in dettaglio il contenuto e le implicazioni degli
spunti programmatici elencati.
Tre idee del positivismo giocarono un ruolo centrale nello sviluppo di un programma dell’empirismo logico:
1. Dovremmo considerare l’esperienza sensibile quale unica garante ammissibile delle nostre
descrizioni fisiche. Pertanto quelle fra le nostre asserzioni che contemplano un riferimento essenziale a
entità teoriche o non osservabili possono avere tutt’al più uno status strumentale nel nostro resoconto del
mondo.
2. Possiamo ritenere sicura la nostra conoscenza del mondo solo se è possibile metterla alla prova
attraverso l’osservazione e gli esperimenti.
3. I nostri resoconti del mondo fisico non dovrebbero aspirare a nulla di più di un potere descrittivo
completo. Ciò significa che spiegazioni di carattere ‘fondamentale’, ed in particolare quelle che coinvolgono
connessioni causali o entità metafisiche, non dovrebbero trovare spazio nella scienza.

3. Scoperta e giustificazione

È possibile descrivere in termini empiricamente e logicamente rigorosi tutto il contesto della scienza o solo
parte di esso? Hans Reichenbach fornisce una risposta negativa a questa domanda e distingue tra “contesto
della scoperta” e “contesto della giustificazione”, ossia fra il processo che porta alla scoperta di nuove
ipotesi e il processo che porta alla loro giustificazione. 6
Il contesto della scoperta può senz’altro avere un carattere non logico: un esempio famoso è quello del
chimico tedesco Friedrich August Kekulé von Stradonitz che, si narra, abbia scoperto la formula ciclica del
benzene mentre era intento a fissare un ceppo ardente. Egli vide nelle fiamme catene di atomi che si
muovevano e torcevano come serpenti. Improvvisamente uno di questi serpenti si afferrò la coda,
formando un anello chiuso. Kekulé applicò subito l’idea di una struttura ciclica al benzene.
Indipendentemente dal modo in cui la formula del benzene fu scoperta, il controllo della sua correttezza
deve fondarsi sulla relazione logica tra l’ipotesi e le evidenze sperimentali che la sorreggono, mentre è solo
questo secondo aspetto legato alla giustificazione dell’ipotesi che conta rispetto alla sua validazione e alla
conferma della sua accettabilità scientifica. Pertanto i neopositivisti decisero di escludere il contesto della
scoperta scientifica dagli interessi della filosofia della scienza, lasciando agli psicologi il compito di spiegare
il modo in cui gli scienziati giungono a scoprire nuove idee e cosa può fungere per loro da fonte di

6 A questo proposito si veda Reichenbach, H. (1938), Experience and Prediction. An Analysis of the Foundation and
Structure of Knowledge (Chicago/Illinois: University of Chicago Press). Reichenbach, [1951] 1961, La nascita della
filosofia scientifica, Il Mulino
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ispirazione. È compito della psicologia, cioè, spiegare come si arrivi a quello che potremmo chiamare il
momento “Eureka!”, ossia il momento in cui si ha la nuova idea e si scopre la nuova teoria.

Alla filosofia della scienza riservarono invece la funzione di esplicitare le procedure di giustificazione atte a
mostrare che le teorie scientifiche sono giustificate sulla base di evidenze sperimentali. Il contesto della
giustificazione è dunque la sola parte della pratica scientifica che risulta essere rilevante per la filosofia della
scienza e che può essere soggetta a una ricostruzione logica – che è cioè giustificabile da un punto di vista
logico. La filosofia della scienza può solo valutare teorie già completamente sviluppate, ma non può
occuparsi di come queste cominciano a nascere.
Per l’empirismo logico la scoperta scientifica deve idealmente iniziare dall’evidenza empirica e dal dato
sperimentale. L’empirismo logico abbraccia cioè il metodo induttivo. Coerentemente con questa idea
Reichenbach pensa che la scoperta scientifica avvenga in qualche modo induttivamente, ma pensa anche
che questa procedura non possa essere codificata in maniera precisa, perché anche quando la scoperta
avviene induttivamente non mancano degli elementi imperscrutabili che non sono completamente
induttivi. La raccolta dati di per sé non porta alla scoperta scientifica.

4. Uso del linguaggio - metafisica


I neopositivisti logici respingono la metafisica: nella concezione di questa corrente di pensiero la
metafisica raccoglie tutto ciò che, per definizione, non è scientifico e trattabile con i metodi della
scienza. Ma cos’è la metafisica esattamente? La parola entra per la prima nella discussione
filosofica con Andronico di Rodi (I sec. d. C.) che classifica come ‘metafisica’ (metà tà fusikà –
letteralmente “dopo la fisica”) la Filosofia Prima di Aristotele. Andronico classifica come metafisici
quegli scritti di Aristotele che non hanno a che fare con l’indagine della natura, ma che discutono
piuttosto i principi funzionali allo studio della natura, principi di carattere logico e ontologico. La
classificazione di Andronico della metafisica come ciò che viene dopo/oltre la fisica la influenza
tutto il modo successivo di intendere la metafisica. In effetti questa parola viene successivamente
usata per qualificare tutto lo scibile indimostrabile scientificamente o che non può essere trattato a
partire dalla scienza fisica. Nello specifico la “metafisica” così intesa ha assunto forme anche molto
diverse fra loro. Da una parte “metafisica” si usa per descrivere lo “spiritualismo”: usata in questo
senso la parola indica una disciplina che si occupa di enti con caratteristiche non fisiche – anima,
spirito, divino ecc. (solitamente, usata in questo senso, assume una accezione negativa). Da un’altra
parte, il termine metafisica descrive invece discipline quali la logica e l’ontologia che si occupano
di descrivere l’organizzazione della conoscenza e l’analisi della “composizione” del reale.
Quest’ultimo senso della parola è generalmente considerato positivo. Anche l’empirismo logico
non ha, ovviamente, nulla in contrario rispetto alla metafisica intesa come riflessione sull’uso della
logica e sull’organizzazione della conoscenza. L’empirismo logico si schiera contro la metafisica
intesa nel primo senso proposto, ossia come disciplina che si occupa di entità spirituali e non
materiali. Per l’empirismo logico deve essere classificato come metafisica tutto ciò che non è verificabile, ossia
tutto ciò che non si sottopone al principio di verificazione: non fa distinzione fra enti spiritualistici, entità
teoriche indimostrabili o altro. Se qualcosa (un enunciato che parla di qualcosa) non si può verificare,
allora è da considerarsi metafisico e va respinto.
I neopositivisti imputarono molte delle confusioni e delle incertezze nella scienza (specialmente
quelle riscontrate nelle scienze umane e sociali) a un uso non chiaro del linguaggio. Essi
affermarono che i dilemmi che tormentano altre aree della ricerca umana tra cui la politica, la
religione e ambiti della filosofia come la metafisica scaturiscono da un uso non perspicuo del
8
linguaggio. Ciò che accade in questo caso è che si utilizzino enunciati privi di contenuto empirico
e, in quanto tali, né veri né falsi. Si cade nella metafisica in particolare quando vengono accettati
come significanti termini che non hanno alcun rifermento nell’esperienza (“cosa in sé”, “essere”),
con essi poi vengono costruiti enunciati che pretendono di parlare della realtà, mentre invece sono
in grado al massimo di esprimere stati d’animo, sentimenti ecc.
È di Carnap ad esempio una famosa critica costruita su questo presupposto alla nota tesi di
Heidegger secondo la quale “Il nulla nullifica”. In questa proposizione per Carnap al nulla è
attribuito uno statuto epistemico che non può avere: il nulla non può essere un soggetto che fa
qualcosa poiché si tratta solamente di un operatore logico – il non – illegittimamente
sostanzializzato. Il nulla nullifica non è dunque semanticamente significativo. 7 Questa critica
colpiva anche asserti come ‘Dio è amore’ e dunque ritenevano che i dibattiti teologici non
vertessero su questioni reali che potevano ricevere delle risposte oggettive, ma rappresentassero
semplicemente un esempio di discorso non verificabile empiricamente. Enunciati come “Il nulla
nullifica” non sono davvero enunciati perché non possono essere valutati come veri o falsi. Per
l’empirismo logico essi sono pseudo-enunciati: hanno solo la forma di enunciati perché si
concludono con il punto fermo, ma non sono valutabili come veri o falsi perché non sappiamo cosa
osservare per comprendere il loro valore di verità.
Una delle convinzioni fondamentali degli empiristi logici era che, quando il linguaggio non è
governato da regole di significato rigorose, è possibile la proliferazione di asserti totalmente privi
di significato. Quando gli empiristi logici definivano un asserto privo di significato non
intendevano dire che tale asserto fosse falso, ma intendevano qualcosa di molto più grave: essi
intendevano che l’asserto era incomprensibile. Un asserto falso può essere dimostrato tale: si può
fare vedere che ciò che dice non trova riscontro nella realtà (p.es. “Gli elefanti hanno tre zanne”).
Al contrario un asserto senza significato come “Il nulla nullifica” non può essere falsificato (o
verificato) perché non c’è modo di stabilire cosa significhi e dunque non c’è modo di dire in
maniera univoca che è falso. Per questo gli enunciati senza significato sono molto più pericolosi di
quelli falsi: perché la loro falsità non si può dimostrare. Per rimediare alla confusione generata
dagli enunciati senza significato (dagli pseudo-enunciati) si deve fare molta attenzione ai principi
che governano il discorso dotato di significato e limitarsi a quei domini in cui il linguaggio può
essere impiegato in modo sensato.
L’empirismo logico ha sin dalle sue origini un programma anti-metafisico. Gli empiristi logici
sostengono che la metafisica tradizionale fa uso di concetti vaghi e di argomenti non conclusivi e
dà quindi luogo a dibattiti sterili e interminabili. Molte delle tesi metafisiche sono solo
pseudoenunciati privi di contenuto conoscitivo. Sebbene possa sembrare che facciano delle
affermazioni (che esprimano delle proposizioni) in quanto hanno la forma di enunciati dichiarativi,
di fatto non fanno alcuna affermazione, nel senso che non sono né veri né falsi.

5. Principio di verificazione
L’idea per cui la metafisica è un insieme di enunciati privi di contenuto conoscitivo e per cui è
necessario stabilire un criterio per decidere a che condizioni un enunciato ha un significato risale al

7 L’argomento di Carnap è da interpretare alla stregua di una strategia retorica che persegue la banalizzazione di una
posizione per facilitare la sua confutazione. L’espressione heideggeriana è tratta da una conferenza di Heidegger del
1929 “Was ist Metaphysik?” (Cos’è la metafisica?). La domanda posta da Heidegger corrisponde ad una questione
fondamentale della cosmologia classica: “perché c’è qualcosa e non piuttosto il nulla?”. Solo a condizione che ci sia
l’uomo – risponde Heidegger – si può pensare il nulla; quindi l’esistenza del nulla dipende dall’esistenza dell’uomo. Il
nulla è l’azzeramento del senso.
9
principio di verificazione di Ludwig Wittgenstein il quale recita: “Comprendere una proposizione
vuole dire sapere che accada se essa è vera.” (Wittgenstein, L.: Tractatus logico-philosophicus (1921-22),
Suhrkamp: Frankfurt 1960, §4.024). Un soggetto capisce un enunciato, p.es. “Fuori piove”, se sa
cosa deve accadere fuori dalla finestra (quali condizioni debbano darsi fuori dalla finestra) affinché
“Fuori piove” sia vero.

Il principio di verificazione di Wittgenstein lega il significato alla verifica degli enunciati. Quando
identifichiamo il significato di una proposizione con la sua verifica c’è un’ambiguità considerevole
circa ciò che questa identificazione comporta realmente.
1. Da una parte il principio di verificabilità viene inteso come un metodo per fornire il significato
di una proposizione (Moriz Schlick). Il significato di un enunciato è l’insieme delle condizioni che, se si
registrano, stabiliscono la verità dell’enunciato. Le condizioni non si registreranno se l’enunciato è
falso, ma possiamo tuttavia asserire quello che avverrà se l’enunciato è vero. Con un esempio: qual
è il significato dell’enunciato “Fuori piove”? Come faccio a descrivere il significato di questo
enunciato in termini non linguistici – facendo riferimento solo agli stati di cose del mondo? Il
principio di verificazione suggerisce che il significato di “Fuori piove” sia l’insieme delle
condizioni che devono darsi nel mondo affinché sia vero. Il cielo può essere più o meno grigio;
possiamo essere in città o in campagna …, tuttavia quello che deve necessariamente darsi affinché
“Fuori piove” sia vero è che delle goccioline d’acqua cadano dal cielo. Se non so quali condizioni
devono darsi affinché “fuori piove sia vero” – se non so che “fuori piove” è vero se e solo se
cadono delle goccioline dal cielo – allora non comprendo cosa l’enunciato significhi. Per dare il
significato di un enunciato è dunque necessario potere stabilire cosa deve succedere nel mondo
(quali condizioni debbano darsi) affinché l’enunciato sia vero.
2. Da un'altra parte, il principio di verificabilità può anche essere usato per valutare se un
enunciato sia o meno significativo (se voglia o meno dire qualcosa) e può dunque essere associato
alla significatività di proposizioni e non al loro significato. Questa impostazione fu adottata p.es.
da A. J. Ayer, uno fra i principali rappresentanti britannici del movimento del Circolo di Vienna, il
quale ebbe anche il merito di rendere il positivismo logico noto ai lettori di lingua inglese
attraverso il suo libro Language, Truth and Logic. Secondo questa impostazione un enunciato è
significante se e solo se è verificabile in linea di principio, cioè se esistono circostanze possibili, non
necessariamente attuali, che verificandosi determinerebbero in modo definitivo la verità
dell’enunciato. Pensiamo a un enunciato come “Il nulla nullifica”. Quali sono le condizioni che
verificherebbero l’enunciato? O, in termini ancora più semplici, come potremmo verificare questo
enunciato? Se dobbiamo concludere che è impossibile pensare a delle condizioni che potrebbero
verificare “Il nulla nullifica”, allora dobbiamo concludere che questo enunciato non vuole dire
niente – non è significante (sembra avere un significato, ma in verità non lo ha). Enunciati di
questo tipo non possono essere accettati nell’ambito della scienza perché non hanno significato,
sono solo pseudoenunciati. Inteso in questo senso, il principio di verificazione è un unico criterio
tanto di significanza quanto di scientificità.
2. La possibilità di verificare un enunciato (almeno in linea di principio) garantisce che esso sia
significante, ossia che voglia in assoluto dire qualcosa e che non si tratti di uno pseudo-enunciato
di carattere metafisico con la forma di un enunciato dichiarativo, ma che non è né vero né falso.
1. La verificazione dell’enunciato fornisce, inoltre, il suo significato: il significato di un enunciato è
dato dalle condizioni della sua verificazione. Possiamo infatti dire di comprendere un enunciato
10
quando sappiamo in quali condizioni questo sarebbe vero: quali condizioni debbano, cioè darsi
affinché sia vero.
Gli empiristi logici erano consapevoli che il linguaggio può assolvere altre funzioni, oltre che
quella di conferire un valore di verità agli asserti (p.es. si può usare letteratura e poesia per
suscitare risposte emotive e ispirare l’azione); ma la scienza si occupa di verità e deve perciò
limitarsi a generi di discorsi per i quali si possono garantire chiari principi di significanza.
Poiché solo gli enunciati e non le singole parole possono essere vere o false, il significato delle
parole deve anzitutto essere analizzato tenendo conto del loro ruolo nel contesto degli enunciati.
Questo resoconto del significato è noto come teoria verificazionista del significato.
Tuttavia, sia che il principio di verificazione si intenda come principio per descrivere il significato
sia che lo si intenda come principio per descrivere la significatività, esso dà problemi notevoli in
varie direzioni.
I neopositivisti erano convinti che alcuni enunciati – i cosiddetti enunciati protocollari o osservativi –
potessero ricevere una verifica diretta dell’esperienza; nel caso di questi enunciati, l’esposizione
sensoriale sarebbe sufficiente a informarci immediatamente del loro valore di verità. Altri enunciati
possono non essere direttamente verificabili in base all’esperienza. Per esempio vi sono gli
enunciati che contengono termini teorici (come ‘forza’), i quali non si riferiscono direttamente ad
oggetti o proprietà osservabili. Per chiarire il significato di questi termini, i neopositivisti si
concentrano sul modo in cui il valore di verità di un enunciato contenente questi termini può
essere determinato indirettamente a partire da altri enunciati osservativi.
Questa concezione dà luogo a due generi di problemi:
I. definire gli enunciati osservativi e
II. capire come fosse possibile riportare gli enunciati non osservativi ad altri osservativi. L’idea
di fondo alla base di questa concezione è che – una volta definiti gli enunciati osservativi e una
volta stabilito come riportare gli enunciati osservativi a quelli non osservativi – sarebbe stato
possibile rifondare l’edificio conoscitivo nella sua veste più classica, quale costruzione basata su
fondamenta osservative univoche e evidenti, le cui proposizioni sono derivata in maniera
legittima a partire da questa base. Questa idea di edificazione dell’edificio conoscitivo ha trovato
uno svolgimento esemplare nella “Costruzione logica del mondo” di R. Carnap, la quale propone
una vera e propria teoria della costituzione della conoscenza che implica un processo di
“ricostruzione razionale” del sapere comune e scientifico a partire da esperienze elementari, ossia
da concetti che si riferiscono immediatamente al dato.
Una posizione analoga è espressa da Moriz Schlick nel suo “Über das Fundament der Erkenntnis”
[“Sul fondamento della conoscenza”] pubblicato nel 1934 sulla rivista Erkenntnis (n. 4, pp. 79-99),
nel quale si sottolinea la necessità di poggiare questo edificio conoscitivo su “Protokollsätze”
(“enunciati protocollari”).
Tutti i grandi tentativi di fondare le varie teorie scientifiche derivano, sottolinea Schlick, dal
problema di conferire certezza al sapere umano. Da sempre i filosofi sono andati alla ricerca di
fondamenta conoscitive inespugnabili a garanzia del fatto che le loro convinzioni quotidiane o i
loro risultati scientifici non fossero semplicemente delle ipotesi, ma valessero come forme di sapere
ben fondato. Il problema degli “enunciati protocollari” – della loro funzione e struttura – è
semplicemente la riproposizione in veste contemporanea della questione circa il fondamento
ultimo del sapere. Come dice la parola stessa, con “enunciati protocollari” si intendono quegli
enunciati che si limitano a dire (a descrivere) – in maniera semplice e diretta – come stanno le cose.
Nella vita come nella ricerca la conoscenza comincia in qualche maniera dalla costatazione di fatti:
gli enunciati protocollari sono lo strumento attraverso il quale facciamo queste constatazioni; le
11
scienze cominciano dunque dagli enunciati protocollari. Si tratta del fondamento ultimo della
nostra conoscenza della realtà. Le scienze consistono semplicemente nell’ulteriore elaborazione di
questi enunciati protocollari; da essi prende le mosse ogni genere di sapere. Non ha alcun senso
chiedersi se i fatti siano incerti. Solo la nostra conoscenza dei fatti può essere incerta, non i fatti
stessi. Pertanto, se riuscissimo a rendere i fatti grezzi in maniera completamente pura attraverso
enunciati protocollari, questi potrebbero essere i punti di partenza assolutamente indubitabili di
tutte le conoscenze. La verità di enunciati protocollari di questo genere sarebbe esente da ogni
dubbio.
6. Fenomenismo e fisicalismo
Cos’è esattamente un enunciato osservativo o protocollare? Per cominciare, chiameremo asserzione
osservativa un’asserzione che fornisce il risultato di un’osservazione. Le osservazioni possono
essere conseguite in due maniere differenti: in maniera attiva, attraverso un esperimento o in
maniera passiva attraverso i sensi, semplicemente guardando i fenomeni così come ci appaiono e si
svolgono. Il metodo sperimentale è ovviamente quello più produttivo, perché consente agli esseri
umani di assumere un ruolo attivo nell’osservazione e di contribuire alla produzione dei fenomeni
che sono interessati ad osservare. Nel caso dell’esperimento il ricercatore può anche manipolare le
condizioni in modo da controllare la produzione del fenomeno e fare in modo che la sua
produzione avvenga in assenza di fattori collaterali che possono potenzialmente deviare
l’attenzione dall’elemento principale.
Tuttavia, non in tutti casi la scienza può servirsi di esperimenti. Ci sono scienze rispetto alle quali
la sperimentazione non è possibile per le ragioni più varie. Si pensi all’astronomia. In astronomia
non è possibile creare delle situazioni sperimentali perché gli oggetti di osservazione sono al di
fuori della portata dell’uomo e non possono essere manipolati. Essi possono soltanto essere
osservati (con strumenti quanto migliori possibile) e descritti nel loro comportamento per così dire
spontaneo.
Ma ci sono anche ragioni completamente differenti per cui è impossibile fare degli esperimenti.
Scienze come la sociologia, le scienze politiche o la macroeconomia spesso parlano di fenomeni che
concernono masse di individui e comportamenti di massa in specifiche circostanze. Fare
esperimenti sul modo in cui può variare il comportamento di una massa di persone in date
circostanze è impossibile per motivi che sono ad un tempo etici e pragmatici. Fare p.es. un
esperimento a proposito di come potrebbe cambiare il comportamento di una popolazione se fosse
tolto l’accesso all’acqua avrebbe esiti disastrosi. 8 Per questo, all’interno di queste scienze si può
operare solo descrittivamente osservando casi storici concreti nel loro svolgersi, oppure
sperimentalmente su gruppi di numero limitato, laddove le condizioni lo permettano.
Al di là delle loro differenze specifiche, le osservazioni “a occhio nudo” dei fenomeni nel loro
decorso “naturale” e gli esiti sperimentali si equivalgono dal punto di vista del loro status nel
senso che entrambi producono asserzioni osservative. Chiaramente questo tipo di asserzioni
svolge un ruolo essenziale nella scienza. Dovremmo pertanto investigarne la natura e domandarci
quale forma dovrebbe avere un enunciato osservativo.
Secondo la concezione detta psicologismo le asserzioni osservative riguardano impressioni sensibili
o dati di senso di un determinato osservatore. Un asserto osservativi potrebbe essere “Marrone.
Qui. Adesso” “Ho l’impressione visiva di un tavolo”, “C’è una sensazione di caldo”. Lo
psicologismo ha una storia venerabile che, attraverso Mach, risale fino agli empiristi delle isole

8 Questo esempio così come il contenuto delle riflessioni precedenti è tratto da Carnap. R., An Introduction to the
Philosophy of Science, Dover Publications: New York, p. 40.
12
britanniche: ciò che è osservabile è ciò che è dato nell’esperienza sensibile immediata e
incorreggibile.
La concezione psicologistica delle asserzioni osservative si accompagna all’idea che noi ricaviamo
gli oggetti fisici dai dati sensoriali – posizione nota come fenomenismo – e che i fenomeni fisici siano
dei costrutti prodotti a partire dai dati sensoriali. Pertanto le vere fondamenta della nostra
conoscenza non sono gli oggetti fisici stessi (prodotti derivati o costruiti a partire dalle sensazioni)
ma le sensazioni quali risultati diretti e primitivi dell’esperienza sensibile.
Sebbene negli anni ’20 i rappresentanti del Circolo di Vienna abbracciassero per larga parte lo
psicologismo e il fenomenismo, intorno al 1930 si produsse un cambiamento di prospettiva per

opera soprattutto di Otto Neurath. Secondo Neurath le asserzioni osservative non riguardano i dati
di senso o le impressioni sensibili, ma oggetti fisici. I dati di senso, quelli che sono alla base della
percezione di singoli soggetti, furono infatti ritenuti troppo soggettivi e incontrollabili per fare da
fondamento alla scienza. Solo io posso sapere qual è il contenuto delle mie percezioni in un certo
momento: questa soggettività e incontrollabilità della percezione e del dato sensoriale lo rende
poco adatto a fare da fondamento all’impresa scientifica. Da quest’ultima prospettiva, un asserto
osservativo, invece di riferirsi a un dato sensoriale p. es. visivo o a una sensazione p. es. di calore,
deve riferirsi a elementi riconducibili alla teoria fisica (grandezze, quantità, densità ecc.). Questa
posizione è nota come fisicalismo.
Nonostante Schlick rimase fedele per tutta la vita all’approccio fenomenista, altri empiristi logici
fra i quali Neurath e Carnap con il tempo divennero insoddisfatti di questo tipo di approccio
ritenendolo troppo semplicistico ed asserendo che la supposta incorreggibilità delle nostre
esperienze private non avrebbe potuto assicurare il dominio intersoggettivo della conoscenza
scientifica. Per tale ragione Neurath e Carnap adottarono un secondo e più sofisticato tipo di
approccio nel quale gli enunciati elementari o protocollari si riferiscono ad esperienza di tipo
pubblico e fisico e riportano il contenuto di quell’esperienza. L’idea di base di questo mutamento
di rotta è che solo enunciati relativi a parti fisicamente osservabili del mondo possono essere
sottoposti a verifica diretta.
Il problema della contrapposizione fra fenomenismo e fisicalismo è ontologico. Fenomenismo e
fisicalismo danno due risposte diverse al problema di definire quali siano gli oggetti di base delle
scienze. Sono ‘più certi’ ed affidabili empiricamente le sensazioni soggettive prodotte dalla
percezione oppure gli oggetti della scienza fisica? Secondo il fenomenismo l’esperienza si fonda sui
fenomeni così come questi ci appaiono attraverso le sensazioni e dunque è questa esperienza che
deve fondare il nostro edificio conoscitivo; secondo il fisicalismo questo ruolo può essere assunto
solamente dagli oggetti della scienza fisica: gli unici sufficientemente intersoggettivi e controllabili
da poter fungere da fondamento dell’impresa scientifica.
Secondo la definizione datane per esempio da Neurath: «il ‘fisicalismo’ è la tesi circa la natura del
linguaggio della scienza: le proposizioni di questa contengono nomi di cose, di proprietà
osservabili e determinazioni spazio-temporali, ossia tutti i termini di cui ci si avvale nella
descrizione del mondo fisico. Questo linguaggio è certo caratteristico della scienza fisica (di qui il
termine ‘fisicalismo’); ma in realtà esso è null’altro che uno sviluppo naturale della lingua effettiva
che gli uomini usano quotidianamente e che viene storicamente tramandata. […] Da questa
“historische Trivialsprache”, di cui abbondano termini confusi ed imprecisi, si vanno via via
elaborando la lingua comune fisicalista (la “physikalische Trivialsprache”) e. con un continuo
perfezionamento, la lingua fisicalista schiettamente scientifica (la “physikalistische
13
hochwissenschaftliche Sprache”).»9 Fondamentalmente il linguaggio fisicalistico cui facevano
appello gli empiristi logici era derivato non tanto dalla fisica, ma dal linguaggio naturale e
conteneva solo gli oggetti fisici inclusi nella lingua naturale. All’interno del linguaggio fisicalista, la
lingua naturale veniva poi specificata più precisamente. Pertanto il linguaggio fisicalista non è
propriamente un linguaggio fisico (quello della scienza fisica), perché non include le entità teoriche
e inosservabili della fisica, ma è più simile al linguaggio naturale, epurato dei termini che si
riferiscono a entità non fisiche e specificato meglio nei suoi riferimenti per evitare ambiguità. La
ragione per cui secondo Carnap il fisicalismo è preferibile è data dal fatto che le asserzioni sugli
oggetti fisici sono intersoggettive. L’argomento di Carnap è il seguente: poniamo che uno
scienziato A che fa ricerca in fisica o chimica effettui una determinata osservazione o esperimento.

Affinché l’esito sperimentale sia accettato dalla comunità scientifica occorre che il risultato di A
possa essere controllato da un altro ricercatore B. All’interno di una concezione fenomenista questo
non è possibile perché le sensazioni private non sono controllabili. Per questo bisogna adottare un
comune linguaggio fisicalista e parlare di oggetti osservabili da tutti in maniera intersoggettiva. Al
di là della disputa fra fisicalismo e fenomenismo la caratterizzante comune dell’empirismo logico è
data dal fatto che la conoscenza deve sempre fondarsi nell’esperienza, perché solo l’esperienza
apre la strada alla verificabilità e quindi alla significatività (scientificità) di un asserto.

7. La nozione di analiticità
Gli empiristi logici ripropongono la distinzione kantiana fra analitico e sintetico: fra enunciati che
sono veri in virtù del loro significato (e che non sono dunque modificabili) e enunciati che
rappresentano verità di fatto, o più precisamente che sono veri o falsi a seconda di come stanno le
cose del mondo. Tale distinzione è essenziale per definire come sia possibile riportare gli enunciati
non osservativi ad altri osservativi utilizzando principi di carattere formale (logico).
È a Carnap che dobbiamo una specificazione di che cosa si debba intendere esattamente con
“enunciato analitico” (cfr. Meaning postulates, In Philosophical Studies, vol. III, Number 5, 1952).
Fino a Carnap un enunciato si è definito logicamente vero se era ‘vero in virtù del suo solo
significato’.
Tuttavia questa definizione include enunciati fra loro anche molto diversi fra loro come:
1) Bianca è piemontese oppure Bianca non è piemontese.
2) Uno scapolo è un uomo non sposato.
Entrambi questi enunciati sono sempre e necessariamente veri, indipendentemente da come stanno
le cose nel mondo. Tuttavia lo sono in maniera diversa (per ragioni diverse). Quali?
Sia la verità di (1) sia la verità di (2) è libera dalla contingenza di fatti extralinguistici: Tuttavia,
1) è vero in virtù della tavola di verità della disgiunzione (in virtù dei termini logici che la
compongono: è una tautologia); mentre
2) è vero in virtù del significato delle parole che lo compongono: del fatto che ‘scapolo’
significa ‘maschio adulto non sposato’.
Sebbene (2) debba essere considerato logicamente vero, non è possibile rendere conto di questa sua
verità logica sulla base dei termini logici che lo compongono come in (1). La verità di (2) dipende
in modo essenziale dal significato di ‘scapolo’ e ‘non sposato’, nel senso che scapolo si definisce come
non sposato.

9 Barone, F. (1977). Introduzione. In: Neurath, O., Il circolo di Vienna e l’avvenire dell’empirismo logico, Roma:
Armando, p. 26-27.
14
Carnap chiama analitici quegli enunciati la cui verità è garantita dal significato delle parole. Carnap
usa l’analiticità per definire una nozione ulteriore, quella di postulato di significato. I postulati di
significato sono enunciati analitici che esplicitano certe relazioni sussistenti fra certe espressioni in virtù del
loro significato. I postulati di significato esprimono enunciati analitici in quanto forniscono
unicamente una definizione, ossia specificano le relazioni sussistenti fra le espressioni
dell’enunciato. Volendo possiamo dire con Neurath che gli enunciati analitici esprimono una
specie di tautologie: «Logica e matematica forniscono enunciati analitici, le ‘tautologie’ di cui
hanno bisogno le scienze per trasformare le proposizioni sulla realtà.»10
Un esempio può essere l’enunciato: “Uno scapolo è un uomo adulto non sposato”, il quale
definisce uno scapolo appunto come un uomo adulto non sposato:

scapolo: df uomo, adulto, non sposato

Un altro esempio di Carnap è ‘sauro’

sauro = df cavallo rossastro


(ossia un sauro si definisce come un ‘cavallo rossastro’)

Cosicché:
x è un sauro se e solo se x è rossastro e x è un cavallo

Se un concetto è definito attraverso altri, esso può essere, secondo Carnap, eliminato salva veritate
dovunque ricorra sostituendolo attraverso i termini che lo definiscono. “Sulla base di questa
definizione [di ‘sauro’]”, afferma Carnap, “la parola ‘sauro’ può essere ovunque eliminata,
sostituita cioè dall’espressione ‘cavallo rossastro’.”11 Questa modifica non cambia il valore di verità
dell’enunciato di partenza: se era vero resta vero, se era falso resta falso.
Esempio)
I sauri sono molto resistenti, sopravvivono anche a temperature bassissime.
Se questo enunciato è vero, sarà vero anche:
I cavalli rossastri sono molto resistenti, sopravvivono anche a temperature bassissime.
Chiaramente se il primo è falso sarà falso anche il secondo, perché la sostituzione di “sauro” con
“cavallo rossastro” non modifica il valore di verità della frase visto che le due parole si riferiscono
alle stesse cose (sono l’una la definizione dell’altra).
Sulla base della nozione di enunciato analitico o di postulato di significato è possibile ora chiarire
come l’empirismo logico intenda il problema di riportare gli enunciati non osservativi ad altri
osservativi (II). Questo problema è affrontato con gli strumenti della logica. I neopositivisti cercano
di operare una traduzione degli enunciati non osservativi in enunciati osservativi. Il tipo di
traduzione cui sono interessati è tale per cui gli enunciati traducenti (osservativi) sono veri nelle
medesime condizioni empiriche degli enunciati tradotti.
Tali traduzioni consistevano dunque di enunciati bicondizionali che dicono che un asserto
(l’asserto teorico) è vero se e solo se un altro asserto complesso (l’asserto osservativo) è vero.
10 Neurath, O., Il circolo di Vienna e l’avvenire dell’empirismo logico, Roma: Armando, p. 50.

11 Carnap. R. (1993). Sul linguaggio unitario della scienza. Osservazioni logiche sul progetto di una enciclopedia. In:
G. Polizzi (a cura di), Filosofia scientifica ed empirismo logico (pp. 103-112). Milano: Unicopoli, p. 105.
15
Queste traduzioni si basano su principi logici del tipo di quelli delle tavole di verità, ma anche e
soprattutto su asserti di tipo analitico. I termini che compaiono nell’enunciato teorico (da tradurre
– verificare) devono essere sostituiti dalle loro definizioni fin quando l’enunciato sia costituito
unicamente di termini non definibili per mezzo di altri termini e il cui significato possa essere dato solo
in maniera diretta facendo riferimento ai dati dell’esperienza.

• I sauri sono mammiferi

• I cavalli rossastri sono mammiferi

(Postulato di significato) Mammifero = df animale vertebrato dotato di ghiandole mammarie (se


femmina)

Traduzione di ‘I sauri sono mammiferi’:

• I cavalli rossastri sono animali vertebrati e (o un cavallo non è femmina oppure è dotato di
ghiandole mammarie)

(Postulato di significato) Ghiandole mammarie = df organi che elaborano sostanze utili alla
nutrizione

• I cavalli rossastri sono animali vertebrati e (o un cavallo non è femmina oppure è dotato di
organi che elaborano sostanze utili alla nutrizione)
• […]

L’enunciato semplice “I sauri sono mammiferi” è così diventato un enunciato complesso “I cavalli
rossastri sono animali vertebrati e (o un cavallo non è femmina oppure è dotato di organi che
elaborano sostanze utili alla nutrizione)” le cui componenti semplici sono poste in relazione
attraverso connettivi logici (e, o, se allora, ecc.). Grazie alle tavole di verità, sappiamo calcolare il
valore di verità di un enunciato complesso che contiene i connettivi logici a partire dai valori di
verità degli enunciati atomici componenti. Siccome gli enunciati componenti sono semplici
(osservativi, protocollari), la sola osservazione mi permette di sapere se sono veri o falsi.
L’informazione circa la verità o falsità dei singoli enunciati componenti e la conoscenza delle tavole
di verità mi permette di sapere se l’enunciato complesso è vero o falso. Siccome l’enunciato
complesso è stato ottenuto a partire da quello semplice salva veritate tramite i postulati di
significato, so per certo che se l’enunciato complesso finale è vero o era anche l’enunciato di
partenza.
Questo non si vede molto chiaramente nell’esempio (volutamente semplice) del sauro, ma
comunemente l’enunciato di partenza è un enunciato teorico di cui non è possibile stabilire la
verità o falsità in modo diretto. La procedura vista in relazione a “I sauri sono mammiferi“
descrive un metodo per riportare enunciati teorici (p.es. “Le rappresentazioni sono informazione
caratterizzata sintatticamente” …) a un insieme articolato di enunciati osservativi uniti fra loro dai
connettivi logici e verificabili o falsificabili in maniera diretta attraverso l’esperienza e per
controllarne la verità o falsità.
16
L’idea alla base di questo processo è che ogni espressione della scienza sia riducibile ad un
linguaggio di base, di carattere esperienziale, comune a tutte le scienze. Se nella prima
formulazione dell’empirismo logico questo linguaggio era un linguaggio fenomenistico o
psicologistico, riferito cioè ai dati sensoriali, in una seconda fase del su sviluppo l’empirismo logico
opta per un linguaggio fisicalistico. Con le parole di Carnap: «Nella tesi positivistica [di prima
generazione] si tratta di un linguaggio che contiene tutte e soltanto le designazioni necessarie per la
descrizione di dati sensoriali semplici (in precedenza abbiamo spesso usato le espressioni ‘ciò che è
dato’ (‘das Gegebene’), ‘esperienze vissute’ (Erlebnisse), ecc.) Questo linguaggio può essere
chiamato, in breve, linguaggio dei dati sensoriali. Nella tesi del fisicalismo si tratta invece del
linguaggio fisico: con questo intendiamo il linguaggio della fisica, quello dunque che contiene tutte
e soltanto le designazioni necessarie alla descrizione dei semplici processi della natura
(inanimata).» 12
Il processo di riduzione come abbiamo cercato di esemplificarlo qui in maniera estremamente
banale corrisponde dunque ad un programma fisicalista, laddove il fisicalismo suggerisce che
«Ogni proposizione della scienza è traducibile in un linguaggio fisicalistico» e che «come
linguaggio universale della scienza può venire assunto un linguaggio fisicalistico.».13

8. Unità della scienza14


La questione dell’unità della scienza può essere analizzata a partire dalle questioni seguenti: C’è un
genere di cose che è privilegiato rispetto ad altro? Se no, qual è la relazione fra generi di cose
diversi nell’universo? È possibile pensare che scienze empiriche diverse (p.es. la fisica, la chimica,
l’astronomia e la biologia) un giorno saranno unificate all’interno di una teoria che le ricomprenda
tutte? È possibile che diverse singole teorie all’interno di una scienza (p.es. la relatività generale e
la fisica quantistica o diversi modelli dell’evoluzione) un giorno saranno unificati? Qual è l’unità
cui dovremmo aspirare?
Questo tema diventa centrale a partire dall’empirismo logico che incoraggia un movimento per
l’unità della scienza (1934). Grazie a Neurath, Carnap e Morris lancia anche il progetto di
pubblicare una enciclopedia internazionale per l’unità della scienza chiamata “International
Enciclopedia of Unified Science” che porta alla realizzazione dal 1938 al 1962 di una serie di
monografie dedicate al tema dell’unità. Il motto dell’empirismo logico a questo riguardo è che è
indispensabile conseguire una unità della scienza scevra da metafisica. In prima battuta tale unità
della scienza doveva essere realizzata prima di tutto attraverso la condivisione di un linguaggio e
di un metodo comune e condiviso (che accomunasse non solo le scienze naturali, ma anche quelle
psicologiche e sociali).
Tale linguaggio comune è stato talvolta visto come un linguaggio neutrale di tipo protocollare che
di per sé non è proprio di alcuna scienza.

12 Carnap. R. (1993). Sul linguaggio unitario della scienza. Osservazioni logiche sul progetto di una enciclopedia. In:
G. Polizzi (a cura di), Filosofia scientifica ed empirismo logico (pp. 103-112). Milano: Unicopoli, p. 109.
13 Carnap. R. (1993). Sul linguaggio unitario della scienza. Osservazioni logiche sul progetto di una enciclopedia. In:
G. Polizzi (a cura di), Filosofia scientifica ed empirismo logico (pp. 103-112). Milano: Unicopoli, p. 109.
14 Questa parte è liberamente tratta da Cat, Jordi, "The Unity of Science", The Stanford Encyclopedia of Philosophy
(Spring 2022 Edition), Edward N. Zalta (ed.), URL =
<https://plato.stanford.edu/archives/spr2022/entries/scientificunity/>.

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Altre volte il modello riduzionista ha trovato tuttavia realizzazioni diverse. Rudolf Carnap per
esempio ha promosso anche un modello di riduzione più classico di tipo piramidale in cui la fisica
costituisce la disciplina di base oltre che l’unica scienza caratterizzata da vere e proprie leggi. Tutte
le altre scienze che occupano i piani più alti della piramide possono e devono essere in ultima
istanza ricondotte a leggi fisiche. Carnap espresse la propria adesione al programma dell’unità
della scienza nel primo volume della International Enciclopedia of Unified Science dicendo che:
“sebbene al momento attuale sia ovvio che le leggi della psicologia e delle scienze sociali non
possano essere derivate da quelle della biologia e della fisica, non ci è nota alcuna ragione
scientifica per cui una derivazione di tale genere dovrebbe essere impossibile in principio per
sempre.” (p. 128)
Una realizzazione ancora diversa dell’unità è quella promossa da Otto Neurath il quale ha
proposto di concepirla secondo un modello enciclopedico non riduzionista e non piramidale. La
metafora che meglio descrive questa unità è quella del mosaico o dell’orchestra. All’interno di
questa firma di unità le varie scienze mantengono una loro autonomia, seppure comunicano sulla
base di un linguaggio osservativo fisicalista ispirato al linguaggio naturale. L’idea è che queste
riescano a coordinarsi ed armonizzarsi fra loro così da realizzare un quadro conoscitivo completo
che le includa tutte senza tuttavia assegnare ad alcune/una di queste una pozione di fondamento e
pretendere che le atre possano essere ridotte ad essa. Questa unità conseguita attraverso la
congiunzione, la coordinazione e l’armonizzazione delle parti è da considerarsi più debole rispetto
a quella espressa da un ideale riduzionista e permette di rendere conto delle differenze fra gli
approcci e le teorie prodotte da teorie diverse.
Al di là di queste differenze, l’unità della scienza fu un elemento chiave nel programma del
positivismo logico. L’idea che ogni branca della scienza debba avvalersi di propri metodi

scientifici, diversi e irriducibili, è alla base di quella frammentarietà della ricerca che la scienza
unificata si propone di superare. È Neurath ad esempio a sottolineare come la ricerca scientifica sia
tale in quanto permette di fare previsioni e come molto spesso per fare previsioni è necessario
poter connettere gli ambiti del sapere. E proprio questo è l’obiettivo della formulazione di un
linguaggio comune fisicalista e di una fondazione, sulla sua base, di una scienza unificata.
Anche le leggi psicologiche e sociali dovevano far parte, secondo l’empirismo logico, della scienza
unificata. La fisica e la psicologia possono non condividere le stesse leggi, ma – secondo Carnap –
fintanto che si limitano a discorsi di carattere fenomenale/ fisicalista nei loro rispettivi domini, esse
condividono lo stesso linguaggio. Ciò avrebbe dovuto fornire una base per un’eventuale riduzione
delle scienze sociali e psicologiche o alle scienze fisiche oppure ad una scienza fenomenologica
generale. Il cuore della loro fede riduzionistica è dato dalla convinzione che fosse sempre possibile
ridurre ogni asserto empirico ad asserti più basilari. Come si legge nel manifesto del Circolo di
Vienna: «La concezione scientifica del mondo è caratterizzata non tanto da tesi peculiari, quanto,
piuttosto, dall’orientamento di fondo, dalla prospettiva, dall’indirizzo di ricerca. Essa si prefigge
come scopo l’unificazione della scienza. Suo intento è di collegare e coordinare le acquisizioni dei
singoli ricercatori nei vari ambiti scientifici.» (1929, Carnap, Hahn, Neurath, Wissenschaftliche
Weltauffassung. Der Wiener Kreis, it: La concezione scientifica del mondo, pp. 74-75)
Da questo programma derivano l’enfasi sul lavoro collettivo, sull’intersoggettività, nonché la
ricerca sistematica di formule neutrali, di un simbolismo libero dalle scorie delle lingue storiche,
non meno che la ricerca di un sistema globale dei concetti. Precisione e chiarezza vengono
perseguite, le oscure lontananze e le profondità impenetrabili respinte. Nella scienza non si dà
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‘profondità’ alcuna; ovunque è superficie […].” Questo passo sintetizza i tre tratti principali del Circolo:
il progetto di una scienza unificata; l’anti-metafisica; e il principio di verificabilità.

9. Problemi del verificazionismo


Secondo l’empirismo logico tutti gli enunciati che non sono osservativi (verificabili direttamente
attraverso l’esperienza), oppure riducibili a enunciati osservativi oppure ancora analitici, non hanno
significato. Come afferma Carnap: “è certo che una successione di parole ha un senso se sono ben
stabilite le sue relazioni di deducibilità a partire da proposizioni protocollari [proposizioni di
‘osservazione’].” (Carnap, 1932, it: Il supermanto della metafisica mediante l’analisi logica del
linguaggio). Dato questo stringente criterio di significatività molte proposizioni restano
necessariamente escluse dalla classe delle asserzioni significanti. Questa tesi estremamente forte ha
importanti conseguenze per quanto riguarda le teorie scientifiche e i precetti che queste devono
seguire per potersi considerare scientifiche. Molti dei precetti indicati dagli empiristi logici relativi
a quali criteri una teoria deve rispettare per essere scientifica furono aspramente criticate da altri
filosofi della scienza successivi. Riporteremo qui sotto alcune delle critiche principali (alcuni di
questi saranno precisati meglio nelle lezioni successive).
(1) Anzitutto il principio di verificazione presuppone un’idea atomistica di verifica, per cui un
enunciato può essere verificato singolarmente, indipendentemente dal linguaggio nel quale è
inserito. Già Duhem aveva infatti mostrato come non sia possibile verificare un enunciato
isolatamente, ma come per verificare un enunciato empirico sia necessario considerarlo in
relazione ad altri enunciati. Questo vale sia per le ipotesi teoriche, che possono essere messe alla
prova empiricamente solo in blocco, sia anche per le osservazioni stesse (per gli enunciati
osservativi) che dipendono a loro volta, come si vedrà con chiarezza nella prossima dispensa
proprio a partire da Duhem, da sistemi di ipotesi. Anche autori che fanno parte dell’empirismo
logico, come Carnap e Neurath, ammettono, perlomeno in fase avanzata del loro pensiero, questo
aspetto e cercano di integrarlo nel proprio sistema.
(2) Un secondo aspetto dell’empirismo logico che sarà sottoposto a critica da parte della
tradizione di ricerca successiva riguarda la distinzione fra enunciati analitici (veri in virtù del
significato delle parole che li compongono) ed enunciati sintetici (veri o falsi a seconda di come
stanno le cose nel mondo). Il riduzionismo dell’empirismo logico si basa, infatti, sulla possibilità di
distinguere fra enunciati analitici e sintetici, ma questa sarà seriamente messa in discussione dal
filosofo americano W.V.O. Quine, che si sforzerà di rifondare una forma nuova e diversa di
empirismo proprio a partire da questa critica. Le ragioni della critica di Quine concernono la reale
natura degli enunciati sintetici. Detto in modo molto semplice, Quine fa notare come gli enunciati
analitici (le definizioni date all’interno della scienza) non sono immutabili, ma cambiano nel tempo
insieme alle teorie delle quali fanno parte. Ma se è così – se gli enunciati analitici sono rivedibili e
cambiano insieme alle teorie sulla base di come queste evolvono – allora anche gli enunciati
analitici sono in ultima istanza sintetici.
(3) Un terzo problema relativo all’empirismo logico sarà messo in luce da Popper, il quale
criticherà la possibilità, in generale, di utilizzare la nozione di verificazione per il controllo
empirico delle teorie ed affermerà che la verificazione è inficiata dal problema dell’induzione e che
per questo non rappresenta la strada privilegiata per fondare empiricamente una teoria scientifica.
(Analizzeremo la posizione di Popper in dettaglio nelle prossime lezioni.)
(4) Un’obiezione ulteriore, che tuttavia deve considerarsi solo parzialmente saliente, suggerisce
che il principio di verificabilità sintetizzato dalla famosa affermazione di Wittgenstein
“Comprendere una proposizione vuole dire sapere che accada se essa è vera” potrebbe escludere se stesso
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(potrebbe essere qualificato come metafisico), non essendo né verificabile empiricamente né
analitico. L’obiezione tuttavia non è valida se lo si considera un meta-enunciato che, in quanto tale,
legifera circa la forma che la teoria stessa deve assumere, ma non ne fa esso stesso parte.
(5) Infine, rispetto all’empirismo logico si pongono dei problemi epistemologici più generali
legati al fatto che il criterio della verificabilità costringe a restringere nettamente il dominio degli
enunciati che possono considerarsi significanti, ossia dotati di senso da un punto di vista
scientifico. Si pensi per esempio alla psicologia: alcune classi di enunciati psicologici (p. es. “Ho
mal di denti”; “Credo che X”) non sembrano esibire alcuna forma di verifica empirica. Proprio per
questo motivo l’empirismo logico privilegiava un tipo di psicologia scientifica quale quella del
comportamentismo che sceglie di non fare ricorso a nozioni non verificabili, come quelle che si
riferiscono a stati interni, e di renderle attraverso disposizioni al comportamento, pagando così
tuttavia un caro prezzo sul piano della capacità esplicativa della teoria stessa. Ciò che il caso del
comportamentismo mostra è come il principio di verificabilità non escluda soltanto enunciati che
evidentemente esulano dall’ambito della scienza, ma si riveli essere così forte da qualificare come prive di
senso anche asserzioni che vorremmo potere continuare a considerare significative. Questi suoi “eccessi”
portano a pensare che il verificazionismo non riesca a stabilire una distinzione netta fra proposizioni
significanti e proposizioni senza significato e non possa quindi essere usato come criterio di significatività e
quindi anche di scientificità.
L’introduzione del criterio della verificabilità quale criterio di scientificità ha conseguenze di ampia
portata che riguardano non solo le scienze empiriche, ma anche quelle discipline generalmente
considerate più ‘umanistiche’ che utilizziamo per spiegare e gestire le nostre relazioni
interpersonali: si pensi p.es. a scienze politiche, etica, sociologia etc. A rispetto a queste discipline
l’empirismo logico impone la verificabilità di ogni enunciato. Un esempio evidente di cosa questo
comporti può essere tratto dall’etica: le proposizioni etiche che contengono termini non verificabili
come giusto/bene devono essere abolite perché rappresentano pseudo enunciati come ‘il nulla
nullifica’o ‘Dio è amore’. Per essere accettabili come enunciati significanti, gli enunciati etici
devono eliminare nozioni come ‘giusto’ o ‘bene’, ridefinendole in termini osservabili: nei termini
p.es. di comportamenti buoni (moralmente) o giusti. Di fatto alcuni membri del circolo
consideravano l’eliminazione di queste entità ‘sospette’ come un elemento progressivo che
avrebbero portato discipline come l’etica e la politica a conseguire un grado maggiore di
oggettività, eliminando dal proprio interno tutte le nozioni ambigue e problematiche. Al posto di
un’etica o di una politica basata su nozioni indefinibili quali quelle di bene e di giusto, si
proponevano di fondare un’etica e una teoria politica che fornisse un modello comportamentista
della morale, della politica e delle relazioni sociali. Le proposizioni etiche ammesse consistevano
solo di enunciati di carattere prescrittivo che descrivono norme comportamentali e che trovano la
loro legittimazione ultima nel contesto e nelle pratiche sociali (nella loro utilità sociale). Molti critici
dell’empirismo logico lamentano tuttavia che una revisione dell’etica e della politica in tal senso
portava a trascurare che nozioni come quelle di bontà morale e di giustizia hanno un significato
indipendente, che trascende specifiche descrizioni comportamentali, e che non riducibile a norme
etiche puramente comportamentali orientate ad un utile sociale.

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