Sei sulla pagina 1di 5

Cinema e nuovi media.

IV° lezione.

La scorsa lezione abbiamo iniziato a parlare di Avatar dove ci sono due mondi ed esso richiama non solo
uno scontro tra immaginari differenti ma anche l’esperienza del videogioco non solo sotto l’aspetto
dell’immaginario ma anche sotto l’aspetto visivo di quel determinato videogioco, infatti il protagonista man
mano grazie a varie prove fa aumentare le sue abilità fisiche e si specializza in determinate discipline, ma
all’inizio quest’ultimo non sapeva molto gestire il proprio corpo tant’è che viene accolto con diffidenza dalla
popolazione Na’vi e in questo film possiamo notare come la dimensione della socialità è molto importante e
in più appartenere ad una determinata comunità aumenta le dinamiche di gruppo e il modo per acquisire
ancora più credibilità è quello di aiutare i nuovi giocatori ad evolversi (quello che avviene proprio nel film di
Cameron tra il protagonista principale e l’aliena), ed esso traspone quelle dinamiche che il personaggio
elabora in quei videogiochi. In questo film il protagonista Jack si trova su una sedia a rotelle e le peculiarità
di Jack le possiamo paragonare al protagonista del film “La finestra sul cortile“ del 1954 diretto da Alfred
Hitchcock, dove il protagonista principale Jeff (interpretato da James Stewart) non può comunicare con il
mondo esterno, tant’è che partecipa in modo passivo e qui lo spettatore o giocatore che sia sperimentano un
mondo simulato tramite i vari sensi, ma se Jeff viene paragonato allo spettatore cinematografico Jack di
Avatar è legato al videogiocatore e interagisce con il mondo simulato restando immobile ed egli in più allude
a tale bellezza, infatti quest’ultimo quando entra per la prima volta all’interno del suo avatar è molto spaesato
e questo film fa vedere una dimensione del reale e del virtuale che si avvicina alla simulazione digitale, in
più Avatar amplia sempre di più il conflitto tra umani e alieni (vinto dai Na’vi), dove quest’ultimo produce
anche una forma di capitalismo e colonialismo.
In questo film la popolazione dei Na’vi hanno la capacità di percepire tutto ciò che viene attorno agli altri
attraverso un Albero genealogico, e quest’ultimo è una trasfigurazione del web e che chiaramente rimette
quella distinzione tra tecnologia e natura in conflitto, perché infatti da una parte abbiamo il capitalismo
naturale e dall’ altra una visione molto più umanistica dell’ecosistema e questi due mondi rispecchiano il
vecchio e il nuovo, tant’è che l’architettura di Pandora è una visione naturale e quest’ultima attraverso vari
processi di digitalizzazione viene manifestata in un ampliamento del nostro corpo sotto l’aspetto mediale ed
essa è una retorica che troviamo in Avatar e nel film di Cameron i vari argomenti si intrecciano
perfettamente in nuove forme di aggregazione, infatti questo film promuove l’idea che il mondo digitale
promuova i temi della società di quel periodo con una linea narrativa completamente diversa rispetto a quella
che abbiamo visto in altri film.
Nelle ultime scene del film di Cameron scoppia questo conflitto dove i Na’vi vogliono proteggere non solo la
propria terra ma anche la loro natura da questo conflitto ma se gli umani volano su degli aeroplani i Na’vi
invece usano cavalli e varie creature materiali di quella terra, ma anche nell’organizzazione sociale c’è un
abisso perché infatti i Na’vi si riuniscono tramite vari incontri spontanei e molta collettività, e qui
l’interconnessione che la rete produce ci fa intravedere ulteriori peculiarità per farci emergere nella realtà con
molta più tranquillità e sicurezza, in più il mondo di Pandora viene intravisto come un prolungamento del
reale (cosa che non succede in Matrix o in Strange Days), infatti Avatar celebra e ci fa riflettere sulle nuove
forme digitali, infatti mette a confronto il foto realismo con una nuova estetica che irrompe nel cinema anche
se nell’ultimo conflitto del film di Cameron non fa intravedere una crisi di identità ma celebra il modo in cui
il cinema abbia inserito numerose chiavi di lettura sotto l’aspetto estetico, infatti Avatar fu il primo film a
mettere in atto nuovi sistemi di audio tra cui il film in 3d (cosa che avviene con più difficolta con dei
dispositivi di casa).
Avatar sotto il piano narrativo viene narrato in svariati modi (alcuni di essi molto più diretti), infatti in una
propria recensione il quotidiano Times afferma che: «Nel film, gli americani sono disegnati come i cattivi.
Sono un esercito di mercenari al servizio di furfanti che vogliono sfruttare le miniere di buoni alieni dediti
alla protezione dell'ambiente» tant’è che successivamente Cameron afferma che: «Il film rispecchia la nostra
storia, quando con la nostra civilizzazione abbiamo distrutto molte civiltà primitive. Queste civiltà avevano
molta più saggezza di noi. Ma noi avevamo armi più potenti e più grandi».


Ready player one (2018): diretto dal grandissimo Steven Spielberg e questo film ci riporta a quel confine tra
reale e virtuale (il famoso metà verso), e qui si può non solo fare qualsiasi cosa ma si può anche impersonare
chiunque e qui Spielberg richiama la cultura pop anni 80 ma anche i primi videogiochi, anche se elabora tale
cultura in modo diverso, infatti torna il tema del videogioco ma con una chiave diversa ed esso ha anche dei
punti in comune con il film di Cameron e qui i protagonisti hanno una configurazione estetica molto diversa
una reale e una digitale (che rispecchia il mondo Oasis), e qui le configurazioni del mondo di Oasis ci riporta
all’estetica del videogioco e in questi film si intravede come l’idea della simulazione assomigli cosi tanto alla
realtà che ci porta all’inganno e qui Spielberg per quanto riguarda la messa in scena ritorna all’origine (come
succede in Tron di Lisberger), ma tutto ciò porta ad un paradosso, perché infatti le dimensioni di Oasis sono
quelle più realistiche nel senso che ricalcano un tipo di esperienza che sotto l’aspetto visivo è entrato nella
nostra quotidianità con il passare del tempo e la grafica di Oasis è molto più sofisticata rispetto ai
videogiochi normali. In questo film possiamo vedere come: «L’estetica digitale che caratterizza l’impianto
visivo delle sezioni ambientate in Oasis possiede, dunque, una precisa qualità referenziale. In questo senso
Ready Player One offre un’esperienza di visione che, per molti versi, è simile al guardare qualcun altro
giocare.»

Come accade in molti film che riguardano questa tematica e dialettica vuole mostrarci le regole del gioco.

Ready Player One gira attorno ad una caccia al tesoro che avviene nel mondo digitale di Oasis, ma in più
esso si sofferma anche sul fenomeno della “tecnostalgia” che viene elaborata tramite “Il culto del revival”, in
poche parole quest’ultimo tende a concentrarsi su un riutilizzo in chiave nostalgica ed evocativa di
esperienze e pratiche tecnologiche di quel periodo. Nel film intravediamo un ritorno alla materialità
dell’interfaccia raccontandoci l’attualità del digitale, ma possiamo affermare anche che in altri film che
trattano la stessa tematica possiamo notare la presenza di mondi digitali molto sofisticati tant’è che replicano
con precisione le caratteristiche della realtà fenomenica, ma in Ready Player One intravediamo anche la
presenza sotto l’aspetto narrativo di non solo di attori reali ma anche di riprese dal vero, infatti spesso
quando nell’ambito cinematografico viene raccontato il mondo virtuale tale racconto avviene in live-action
(come avviene in eXistenZ di Cronenberg).

Tornando a parlare del film possiamo dire che questo film è spaccato in due (un po' come succede anche in
Avatar) nel senso che il mondo virtuale (in questo caso Oasis) rimane virtuale nel mondo reale invece
possiamo incontrare attori in carne ed ossa, e in questa situazione il film di Spielberg e quello di Cameron
fanno un’ utilizzo talmente elevato della Computer Grafice che grazie a tale strumento questi due film sono
perfetti sotto l’aspetto visivo, tant’è che entrambi dimostrare di avere molta esperienza con questa tipologia
immagini, ma Ready Player One a differenza di Avatar riconduce la propria duplicità estetica rifacendosi al
mondo digitale tant’è che l’universo di Oasis è un videogioco e quest’ultimo possiede una qualità
referenziale ben precisa, in Avatar invece l’universo di Pandora è metaforico tant’è che non è un vero e
proprio videogioco ma un'altra realtà.

Il film di Spielberg tra le varie caratteristiche offre allo spettatore una rappresentazione realistica del mondo
dei videogiochi tramite l’utilizzo di immagini che quest’ultime vengono rappresentate in maniera fedele ed
esse sono immagini molto sviluppate e ampiamente diffuse e tale peculiarità non si sofferma solo sull’aspetto
visivo.

Facendo un confronto tra Avatar e Ready Player One (con un chiaro riferimento ai videogiochi) possiamo
dire che nel film di Cameron troviamo un gioco di ruolo online situato in un universo composto da più
giocatori i famosi “MMORPG” (Massively Multiplayer Online Role Playing “giochi di ruolo in terza
persona”), e in questi giochi l’avatar viene controllato dall’utente e visualizzato sullo schermo e tale
tipologia di gioco online lo possiamo trovare anche in “World of Warcraft”, e in questi giochi possiamo
notare come il mondo nel quale si trovano è costante.

Queste pratiche mediali le intravediamo anche nel film di Spielberg dove in esso possiamo vedere come lo
spazio virtuale diventa con il passare del film un luogo familiare dove possono avvenire incontri ed
esperienze collettive, ma quest’ultimo non è né un film sui videogiochi né un film ibrido che mette in scena
le forme visive e le logiche del videogioco ma è un film che elabora in chiave narrativa l’esperienza del
virtuale che quest’ultima è praticabile nel mondo di oggi grazie all’utilizzo di dispositivi domestici di
intrattenimento elettronico interattivo.


Come si può ben vedere dall’incipit del film di Spielberg intravediamo non solo la struttura del gioco ma
anche la realtà dei due mondi, tant’è che il rapporto tra queste due realtà viene mostrata attraverso l’utilizzo
della dialettica, infatti l’obiettivo di tutto ciò non è quello di fa intravedere la lealtà dei due mondi e tale
aspetto si intravede anche in Strange Days di Kathryn Bigelow del 1995.
Tornando a parlare di Ready Player One possiamo notare come nella prima sezione tale dialettica viene
elaborata tramite la costruzione di una messinscena che quest’ultime coinvolge numerosi aspetti, infatti la
prima cosa che ci salta all’ occhio è il colore cromatico con il quale viene rappresentato la realtà l’universo di
Oasis invece utilizza delle tonalità di colore molto più forti e accesi dove possiamo trovare all’interno di essi
dei contrasti cromatici ben definiti. Successivamente sempre in quella stessa sezione realizzata in live-action
possiamo notare anche come quest’ultima è caratterizzata da movimenti di macchina discendenti che essi
esaltano la verticalità mentre quando si entra in contatto con il mondo di Oasis il movimento diventa molto
più profondo facendo così produrre una dialettica sotto l’aspetto visivo tra verticalità e profondità e tale
dialettica appena menzionata viene realizzata tramite lo strumento del 3D. In questo film il mondo reale è
composto da strutture materiali che quest’ultime obbligano il personaggio del film a percorrere un percorso
travagliato, nell’universo di Oasis invece quest’ultimo è completamente libero di fare ciò che vuole tant’è
che non c’è una legge fisica che lo limita, in più in questo film quella dialettica tra reale e virtuale viene
elaborata in maniera amplia tant’è che viene paragonata alla dialettica tra cinema e nuovi media.


Questa prima parte di Ready Player One richiama anche una scena del film di Hitchcock “La finestra sul
cortile” dove in esso il tema della finestra evoca l’inquadratura (elemento principale che il linguaggio del
cinema vuole trasmettere), ma in più in questo film notiamo anche un confine che separa il mondo reale da
quello narrativo (cioè quello rappresentato).


Nella prima parte del film di Spielberg notiamo come quest’ultimo ci avvicina sempre di più ad una
dimensione che non è più cinema tant’è che il movimento realizzato proietta noi spettatori dentro l’immagine
tant’è che scavalca quella soglia tra l’immagine stessa e noi spettatori e tale immersione la notiamo anche nel
mondo dei videogiochi, e tale rapporto viene elaborato mettendolo a confronto con un altro elemento
importante del cinema cioè quello del montaggio, infatti in questa prima parte di Ready Player One troviamo
un montaggio ben dettagliato tant’è che possiamo notare 17 inquadrature collegate fra di loro tramite
l’utilizzo dei raccordi, invece nelle scene in cui intravediamo l’universo i Oasis l’aspetto del montaggio
(inteso come taglio tradizionale) non c’è e tale peculiarità è molto importante anche perché il montaggio è
alla base del cinema, infatti possiamo notare un lungo viaggio che trasporta noi spettatori e tale viaggio
avviene in modo continuo, infatti sotto l’aspetto compositivo notiamo un’idea di montaggio che non viene
effettuata a livello pratico tant’è che troviamo numerose modulazioni visive che quest’ultime interrompono il
movimento. Successivamente rimanendo sullo stesso discorso possiamo affermare il fatto che tale
procedimento visivo fa intravedere ancora una volta un allontanamento dai codici cinematografici facendo
così superare il concetto tradizionale di inquadrature (intraviste come un segmento delimitato dai tagli di
montaggio) ed esso in più richiama forme visive che fanno intravedere una chiave alternativa del cinema,
infatti Mark Grimshaw afferma che: «In un videogame le nozioni di inquadratura o di scena non hanno un
significato analogo a quello del cinema, anzi, l’applicazione di tale terminologia a un videogame è priva di
senso». Quindi ricapitolando in questa prima sequenza del film di Spielberg evidenzia tre funzioni molto
importanti:

 Le premesse narrative.
 Gli spazi del racconto (delineati sotto l’aspetto visivo).
 Nuovo linguaggio del narrativo attraverso l’utilizzo di immagini.


Durante il film possiamo notare come le due dimensioni prese in analisi entrano spesso in contatto purché le
azioni su un piano si riflettono sull’altro, infatti in questo film c’è una sequenza in particolare dove possiamo
intravedere una caratteristica meta-cinematografica cioè quella dove i protagonisti entrano dentro un film,
ma il film nel quale sono entrati non è un film qualsiasi ma è The Shining diretto da Stanley Kubrick del
1980, ma tale riferimento a questo film non si intravede nel libro quanto nella sceneggiatura di Ready Player
One, infatti i protagonisti per recuperare le chiavi devono risolvere man mano dei quiz, indovinelli o captare
indizi, tant’è che una delle chiavi si trova proprio dentro l’albergo nel quale è stato girato il film di Kubrick,
ma quest’ultimi si trovano in un cinema completamente vuoto perché non trovano uno schermo ma vengono
catapultati dentro il film e in questa scena il cinema e il videogioco entrano in contatto in maniera
formidabile, ma questa non è la prima volta che Shining ha a che fare con il mondo del videogioco. Spielberg
per realizzare questa scena elabora una sorta di catena dove vediamo come protagonisti il VHS, il cinema
(inteso come sala cinematografica e schermo mancato) e il videogioco, infatti nella catena appena analizzata
il cinema si stacca dalla sala e diventa un’esperienza immersiva, infatti questo film produce un’articolazione
visivo-narrativa molto complessa (ma anche spettacolare) che essa accoglie e rimescola estetiche linguaggi e
immaginari che provengono da vari media, infatti l’immagine della sala cinematografica costituisce un topos
molto ricorrente nella storia del cinema, ed essa rimanda a caratteristiche dell’ “esperienza dello schermo che
il cinema propone”, soprattutto i film moderni dove intravediamo in modo frequente immagini di sala
deserte, fatiscenti, in disuso o addirittura chiuse, infatti il “trauma della sala chiusa” ci riporta non solo alla
condizione attuale di de-istituzionalizzazione del cinema ma anche ad una perdita di centralità della sala di
proiezione e tale situazione avviene soprattutto con la nascita di nuovi ambienti mediali che quest’ultimi
rielaborano spazi e modi della visione.


In tutto questo discorso possiamo intravedere un’ibridazione o confluenza che sia tant’è che nel film di
Spielberg notiamo un’immagine che essa richiama un’estetica analogica digitale (un po' come accade con i
pupazzi che troviamo nell’universo di Oasis) e tale confluenza viene intravista come metà-medium che
quest’ultimo riesce ad assumere la forma di qualsiasi altro medium e tale discorso di metà-medium lo
possiamo fare con il computer tant’è che Lev Manovich (scrittore statunitense) dice: «Il computer è un metà-
medium, poiché è in grado di simulare ed incorporare tutti i linguaggi mediali precedenti, amplificandoli e
fornendo funzioni che prima non possedevano.», e tale pensiero di Manovich viene racchiuso in una
softwarizzazione dl cinema ed essa avviene principalmente quando il film entra nel computer e facendo ciò
esso viene mutato e rielaborato con una chiave diversa.


Dopo aver affrontato questo discorso andiamo ad analizzare le dyue scene che Spielberg riprende dal film di
Kubrick che principalmente sono due:
 La scena dell’ascensore: Dove da quest’ultima esce molto sangue.
 La scena del bagno: Dove il protagonista intravede una donna nuda che vuole sedurlo ma che poi
quest’ultima si trasforma in mostro.
Il lavoro che fa Spielberg con queste due scene è completamente diverso da quello utilizzato da Kubrick,
tant’è che Speilberg in Ready Player One lega le due scene facendo cosi non solo un la voro di sintesi ma fa
intravedere anche una continuità sotto l’aspetto dello spazio tramite il movimento della macchina da presa
perché infatti nella versione di Spielberg di quelle due scene di Shining intravediamo un prolungamento o un
controcampo (ed essa sotto l’aspetto cinematografico non è altro che un’inquadratura ripresa da un punto di
vista opposto all’inquadratura precedente) e tale tipologia di inquadratura appena menzionata la possiamo
notare nella versione di Kubrick nella scena del bagno dove il nostro portagonista (interpretato da Jack
Nicholson) si ferma sulla porta d’ingresso del bagno, perché infatti dientro di lui intravediamo la stanza da
letto Spielberg invece fa entrare il suo personaggio proprio dentro quel determinato ambiente tant’è che
notiamo la porta del bagno chiusa e le due scene prese in analisi da Spielberg (quella dell’ascensore e quella
della stanza 237) seguono uno schema analogo. Successivamente possiamo dire che l’aspetto principale della
costruzione scenica è caratterizzato dalla presenza di inquadrature che esse elaborano fedlmente l’immagine
originale tant’è che possiamo notare delle citazioni “letterali” che quest’ultime richiamano passaggi molto
famosi ripresi dalla versione di Kubrick, tant’è che entrambe le inquadrature subiscono dei prolungamenti o
dei controcampi non presenti nella versione kubrickiana e la versione di Spielberg di queste due scene offre
una rappresentazione molto più amplia dell’ambiente, ma nella realizzazione di queste due scene il nostro
regista non si ferma ad ampliare il profilmico oltre i limiti predisposti dall’inquadratura originale ma fa
intravedere al proprio pubblico l’ambiente scenico di Shining come un luogo in continua esplorazione grazie
a numerose caratteristiche tra cui anche quella dell’utilizzo della macchina da presa, tant’è che il riferimento
al film di Kubrick da semplice citazione si trasforma in un originale mashup e con tale tecnica Speilberg
mescola con molta agilità molti elementi sia visivi che eterogenei elaborando così un cambiamento sotto
l’aspetto drammatico ed espressivo. In questa situazione la riesposizione del testo di Kubrick diventa motore
principale di un’operazione estetica e linguistica che quest’ultima fa riferimento alle pratiche di
rielaborazione e di riutilizzo creativo dell’audiovisivo (e tale caratteristiche appartengono alla cultura
digitale.).


Concludendo il nostro discorso possiamo dire che Spielberg grazie al suo mashup riprende un materiale già
esistente per creare qualcosa di innovativo tant’è che questo mashup è un chiaro omaggio a Kubrick e in quel
periodo il cinema iniziò ad utilizzare delle nuove pratiche che molti studiosi definiscono post-cinema, tant’è
che quest’ultime amplia sempre di più il confine del suo immaginario e grazie a questa rivisitazione di
Spielberg Shining viene intravisto non solo come film di Kubrick ma esso è tutto ciò che c’è dietro.

Potrebbero piacerti anche