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La «Tebaide» di Stesicoro

Referat del 9/11/2022 del corso di


Storia della Lingua Greca
La cosiddetta «Tebaide»
- PMGF 222b è un frammento di un poema
presumibilmente molto più esteso (indicazioni
sticometriche sul papiro di Lille da cui proviene il
frammento e su quello ossirinchita che conserva parte
della Gerioneide; ritmo narrativo lento)
- il titolo non è fra quelli tramandati per le opere di
Stesicoro, per cui si è pensato anche ai Sette contro Tebe
(così si intitola un componimento di Corinna)
Il ciclo tebano
- il ciclo epico tebano consisteva di 4 poemi
(Edipodia, Tebaide, Epigoni e Alcmeonide), il
secondo dei quali trattava, a quanto è ricostruibile
dai frammenti, della lotta fra Eteocle e Polinice
successiva alla maledizione lanciata su di loro dal
padre Edipo, che avevano disonorato.
I poemi omerici
- l’Iliade conosce Edipo (apparentemente morto in
battaglia) e lo scontro tra Eteocle e Polinice, ma
non identifica esplicitamente questi due come
fratelli, né lega la loro contesa alla figura di Edipo
- l’Odissea conosce il legame incestuoso fra Edipo
ed Epicasta: alla sua scoperta il primo resta al
potere, mentre la seconda si suicida
Il contesto del frammento
- la situazione descritta in PMGF 222b presuppone che
Edipo sia scomparso da poco (morto/in esilio più o
meno volontario) e che il potere debba essere spartito
fra Eteocle e Polinice
- la maternità dei due non è però chiara: la regina è
Giocasta oppure Eurigane (la seconda moglie di Edipo
nell’Edipodia ciclica)?
Particolari mitici e tono
- Eteocle e Polinice sono figli di un secondo
matrimonio – non incestuoso – di Edipo (come
nell’Edipodia ciclica, in un poema attribuito a un
altrimenti ignoto Pisandro e forse nei poemi
omerici), oppure di un’incestuosa Giocasta, non
suicidatasi alla scoperta del rapporto avuto col
figlio (come nelle Fenicie euripidee)?
Le Fenicie di Euripide
Le Fenicie, che con il papiro di Lille hanno più di un
elemento in comune, come vedremo, potrebbero
soccorrerci nell’interpretazione della resa stesicorea
del mito tebano e in particolare nell’identificazione
della regina conciliatrice, madre e insieme donna di
Stato.
Stes. PMGF 222b,201-210
ἐπ’ ἄλγεϲι μὴ χαλεπὰϲ ποίej μerίμναϲ,
μηδέ μοι ἐξοπίϲω «Ai dolori non aggiungere ardue preoccupazioni
πρόφαινε ἐλπίδαϲ βαρείαϲ. e a me per il futuro
non predire attese gravose.
οὔτε γὰρ αἰὲν ὁμῶϲ
θεοὶ θέϲαν ἀθάνατοι κατ’ αἶαν ἱrὰν Non sempre e allo stesso modo
νεῖκοϲ ἔμπεδον βροτοῖϲιν gli dèi immortali imposero, sulla sacra terra,
οὐδέ γα μὰν φιλότατ’, ἐπὶ δ’ ἀmera^<ι> ἐ_n νόον contesa costante ai mortali,
ἀndρῶν neppure concordia, però; giorno per giorno, invece,
qεoὶ τιθεῖϲι. la prospettiva degli uomini gli dèi stabiliscono.
μαντοϲύναϲ δὲ τεὰϲ ἄναξ ἑκ_άergoϲ Ἀπόλλων Le tue profezie possa il signore Apollo, che agisce in
μὴ πάϲαϲ τελέϲϲαι. disparte,
non compiere tutte.
v. 201 ἐπ’ ἄλγεϲι μὴ χαλεπὰϲ ποίej μerίμναϲ

È possibile un’interpretazione predicativa dell’aggettivo (ad es. «oltre ai


dolori non rendere ardue le mie preoccupazioni») o si tratta di una
semplice anastrofe?
- Stes. PMGF 222b,221s. τὸν δ’ ἀπίμεν κτεάνη / καὶ χρυϲὸν ἔχοντα φίλου
ϲύμπαντα [πατρόϲ
- Stes. PMGF 222a col. II,6s. (catalogo dei Cacciatori del Cinghiale)
ἱαρὰν Βοιωτίδ[α ν]αίον [ / χθόνα πυροφόρ[ον
- Stes. PMGF S19,1s. (scena della Gerioneide sulla sete sovrumana di
Eracle) ϲκύφιον δὲ λαβὼν δέπαϲ ἔμμετρον ὡϲ / τριλάγυνον
v. 206 νεῖκοϲ ἔμπεδον βροτοῖϲιν
L’aggettivo ἔμπεδοϲ, composto di ἐν + πεδόν (‘suolo’) è glossato in:
- LSJ9 543 s.v. con ‘in the ground, firm-set’, ‘steadfast’ o ‘lasting,
continual’
- DELG 867 s.v. πεδόν con ‘solidement planté dans le sol’, ‘solide’,
‘solidement installé, durable’
- EDG 1160 s.v. πεδόν con ‘standing on the ground, firm’

Traduzioni tutte accomunate dal senso di stabilità che il termine esprime e da


cui deriva il valore temporale qui assunto. La resa con ‘costante’ conserva i
due aspetti di fermezza e durata e definisce positivamente, anziché per litote
(cf. ‘immutabile’, oppure ‘incessante’ di Neri), la continuità della contesa.
v. 203 πρόφαινε (ϝ)ἐλπίδαϲ
v. 209 μαντοϲύναϲ δὲ τεὰϲ ἄναξ ἑκ_ά(ϝ)ergoϲ

Uso associativo dell’allitterazione


vv. 201-203 ἐπ’ ἄλγεϲι μὴ χαλεπὰϲ ποίej μerίμναϲ,
μηδέ μοι ἐξοπίϲω
πρόφαινε ἐλπίδαϲ βαρείαϲ.

v. 205 θεοὶ θέϲαν ἀθάνατοι


v. 208 qεoὶ τιθεῖϲι
vv. 211-217
αἰ δέ με παίδαϲ ἰδέϲθαι ὑ_p᾿ἀllάlojϲι dαμέnταϲ Ma se ch’io veda i miei figli abbattuti l’uno dall’altro
μόρϲιμόν ἐϲτ_ιν, ἐπεκλώϲαν δὲ Μ_oίrα_[ι], è destinato, filarono le Moire,
αὐτίκα μοι θανάτου τέλοϲ ϲτυγε_rο[ῖο] γέn[οιτο, subito giunga per me il termine della morte odiosa,
πρίν ποκα ταῦτ’ ἐϲιδεῖν prima d’assistere a questi eventi.
ἄλγεϲ<ϲ>ι πολύϲτονα δακ_rυόεντα_ [πολλοῖϲ che son motivo di tanti singhiozzi e di lacrime per
παίδαϲ ἐνὶ μεγάροιϲ [molti] dolori,
θανόνταϲ ἢ πόλιν ἁλοίϲαν. i figli nel palazzo
morti o la città conquistata.
vv. 211s. αἰ δέ με παίδαϲ ἰδέϲθαι ὑ_p᾿ἀllάlojϲι dαμέnταϲ
μόρϲιμόν ἐϲτ_ιν, ἐπεκλώϲαν δὲ Μ_oίrα_[ι]
L’espressione ἐπεκλώϲαν δὲ Μ_oίrα_[ι] ha vari paralleli, non solo
omerici ed è bene citarne alcuni per comprendere meglio la sua funzione
sintattica nel passo stesicoreo:
- Il. XXIV 525s. ὡϲ γὰρ ἐπεκλώϲαντο θεοὶ δειλοῖϲι βροτοῖϲι / ζώειν
ἀχνυμένοιϲ
- Od. I 17s. τῷ οἱ ἐπεκλώϲαντο θεοὶ οἶκόνδε νέεϲθαι / εἰϲ Ἰθάκην
- Od. VIII 579s. τὸν δὲ θεοὶ μὲν τεῦξαν, ἐπεκλώϲαντο δ’ ὄλεθρον /
ἀνθρώποιϲ(ι)
- Callin. fr. 1,8s. IEG2 θάνατοϲ δὲ τότ’ ἔϲϲεται, ὁππότε κεν δὴ / Μοῖραι
ἐπικλώϲωϲ(ι)
La poesia greca arcaica, tendente alla paratassi, coordina spesso per semplice
accostamento le frasi, che assumono talvolta l’aspetto di «parentesi
esplicative» (per usare un’espressione di P. Chantraine, Grammaire
Homerique II, 353-354), utili a spiegare o espandere un concetto già
espresso:
- Il. I 5s. οἰωνοῖϲί τε πᾶϲι, Διὸϲ δ’ ἐτελείετο βουλή, / ἐξ οὗ δὴ τὰ πρῶτα
διαϲτήτην ἐρίϲαντε…
- Il. IV 60-62. ἀμφότερον γενεῇ τε καὶ οὕνεκα ϲὴ παράκοιτιϲ / κέκλημαι,
ϲὺ δὲ πᾶϲι μετ’ ἀθανάτοιϲιν ἀνάϲϲειϲ. / ἀλλ’ ἤτοι μὲν ταῦθ’ ὑποείξομεν
ἀλλήλοιϲι…
L’espressione ἐπεκλώϲαν δὲ Μ_oίrα_[ι], è parentetica rispetto a quanto
precede (il destino è stabilito perché così hanno filato Moire)? Oppure essa
regge, insieme e in modo ridondante con μόρϲιμόν ἐϲτ_ιν, l’infinitiva?
Fenomeni fonosintattici e note metriche
Al v. 216 il papiro legge παίδαϲ ἐνὶ μμεγάροιϲ
La grafia con doppio μ segnala una pronuncia prolungata della sonante
nasale, che chiude la sillaba precedente altrimenti breve.

v. 217 ἢ πόλιν (h/ϝ)ἁλοίϲαν


La presenza di una forte aspirazione o di un waw etimologico all’inizio di
ἁλοίϲαν (cf. DELG 62 s.v. ἁλίϲκομαι) chiude la sillaba precendente
rendendola lunga.
Formularità epico-lirica
v. 213 θανάτου τέλοϲ ϲτυγε_rο[ῖο]
È un’espressione che unisce due iuncturae epiche (θανάτοιο τέλοϲ [e.g. Il.
III 309] e ϲτυγερóϲ θάνατοϲ [e.g. Od. XXIV 414]) e ricorre anche nella
Gerioneide, in particolare nella scena della morte cruenta del mostro
Gerione (Stes. PMGF S15 col. II,1s.).
vv. 218-224
ἀλλ’ ἄγε παίδαϲ ἐμοῖϲ μύθοιϲ, φίλα [τέκνα πίθεϲθε Orsù, figli, mia amata [progenie, ascoltate] le mie
τᾷδε γὰρ ὑμὶν ἐγὼν τέλοϲ προφα[ίνω parole, così infatti a voi io prefiguro un esito:
τὸν μὲν ἔχοντα δόμουϲ ναίειν πα^[ρὰ νάμαϲι Δίρκαϲ che uno possieda il palazzo e abiti [affianco alla fonte
τὸν δ’ ἀπίμεν κτεάνη Dircea],
καὶ χρυϲὸν ἔχοντα φίλου ϲύμπαντα [πατρόϲ mentre l’altro vada via col bestiame
κλαροπαληd^ὸν ὃϲ ἂν e tutto l’oro di suo [padre],
πρᾶτοϲ λάχῃ ἕκατι Μοιρᾶν. estraendo a sorte chi
per primo l’ottenga secondo il volere delle Moire.
Il piano della regina
v. 219 τᾷδε γὰρ ὑμὶν ἐγὼν τέλοϲ προφα[ίνω
La profezia della regina mira a sostituirsi allo scenario infausto
preannunciato da Tiresia poco prima (al v. 188 si parla di un μ]έ_γα νεῖκοϲ)
e quasi del tutto perduto a causa della frammentarietà del papiro, predicendo
un «esito» positivo di accordo tra i suoi figli. Tale esito è indicato dal
sostantivo τέλοϲ, che racchiudere in sé il sia il significato di ‘compimento,
esito’ della situazione, sia quello di ‘conclusione, termine’ della tensione
nata fra Eteocle e Polinice intorno alla spartizione del potere e del
patrimonio paterni.
vv. 220-222 τὸν μὲν ἔχοντα δόμουϲ ναίειν πα^[ρὰ νάμαϲι Δίρκαϲ
τὸν δ’ ἀπίμεν κτεάνη
καὶ χρυϲὸν ἔχοντα φίλου ϲύμπαντα [πατρόϲ
Chiara è la funzione oppositiva dei dimostrativi τὸν μὲν… τὸν δ(ε), soggetti
di due infinitive oggettive (rispettivamente con ναίειν e ἀπίμεν) e concordati
con due participi congiunti (ἔχοντα… ἔχοντα) che indicano ciò che spetterà a
ciascuno (potere o ricchezze); si noti il chiasmo participio-infinito-infinito-
participio.
v. 224 πρᾶτοϲ λάχῃ (ϝ)ἕκατι Μοιρᾶν
Lo iato è evitato dalla presenza del waw.
vv. 225-234
τοῦτο γὰρ ἂν δοκέω
λυτήριον ὔμμι κακοῦ γένοιτο πότμο[υ, Questa infatti, credo,
μάντιοϲ φραδαῖϲι θείου, potrebbe esser per voi la soluzione al cattivo destino,
ᾇ tε νέον Κρονίδαϲ γένοϲ τε καὶ ἄϲτυ [ϲαώϲαι secondo le profezie del vate divino,
Κάδμου ἄνακτοϲ, laddove il Cronide alla fine la stirpe e la città
ἀμβάλλων κακότατα πολὺν χρόνον [ἃ κατὰ Μοίρα]ϲ [preservasse
πέπρwται γενέ^[θ]lα_j. di Cadmo sovrano,
rinviando per lungo tempo la sventura [che in accordo
ὣϲ φάτ[ο] δῖα^ γυνὰ μύθοιϲ ἀg[α]νοῖϲ ἐνέpοιϲ^α^, alle Moire
νε^ίκεοϲ ἐν μεγάροιϲι^ [παύο]ι^ϲα παίδαϲ, è assegnata alla stirpe».
ϲὺν δ’ ἅμα Τειρ[ε]ϲ^ία^ϲ τ^[εράϲπο]l^οϲ· οἱ δ’
[ἐ]pί_qo[ντο Così disse la nobile donna esprimendosi con parole
gentili,
dalla contesa nel palazzo per trattenere i figli,
insieme (a lei) Tiresia indovino; e quelli obbedirono.
v. 227 μάντιοϲ φραδαῖϲι θείου
Il verso è ambiguo:
- il dativo è causale o di relazione/iundicantis?

- l’espressione si riferisce al solo aggettivo κακόϲ («cattivo… secondo le


profezie del vate divino”) o all’intero sintagma κακόϲ πότμος, a cui la
regina oppone la propria contro-profezia? Oppure ella tenta di presentare
il λυτήριον κακοῦ πότμου nel suo complesso come eventualità ammessa
anche dal vate, piegandolo con una sottile captatio benevolentiae –
l’aggettivo θεῖος ha forse valenza non solo esornativa – ai suoi scopi
conciliatorii (cf. v. 234 ϲὺν δ’ ἅμα Τειρ[ε]ϲ^ία^ϲ)?
v. 228 ᾇ tε νέον Κρονίδαϲ γένοϲ τε καὶ ἄϲτυ [ϲαώϲαι
- ᾇ tε (‘nel modo in cui, laddove’) ο αἴtε (dorico/eolico per εἴτε, ‘sia
che… [sia che…]’)? Mentre la seconda opzione presupporrebbe un altro
αἴtε (da integrare nella lacuna a v. 230) e diminuirebbe la forza della
chiusa della regina, ponendo l’azione salvifica di Zeus sullo stesso piano
della rovina destinata ai Labdacidi, la prima riprenderebbe e
correggerebbe τᾷδε (v. 219) – così come προφα[ίνω (ibid.) corregge
πρόφαινε (v. 203) – aprendo un’effettiva possibilità di λυτήριον (opera di
un dio), quando prima aveva solo prefigurato (lei donna mortale) un τέλοϲ
- νέον ha funzione avverbiale (‘appena, di recente’, ‘ultimamente, alla fine’)
o è concordato con γένοϲ? Cf. e.g. Il. III 394 ἠὲ χοροῖο νέον λήγοντα
καθίζειν; Od. XIX 400 παῖδα νέον γεγαῶτα κιχήσατο θυγατέρος ἧς
v. 228 ᾇ tε νέον Κρονίδαϲ γένοϲ τε καὶ ἄϲτυ [ϲαώϲαι
- l’integrazione del verbo σαόω pare convincente alla luce di alcuni loci
paralleli:
• Il. XVII 144 φράζεο νῦν ὅππως κε πόλιν καὶ ἄστυ σαώσῃς (enoplio)
• Theog. 868 αἰχμητὴς γὰρ ἀνὴρ γῆν τε καὶ ἄστυ σαοῖ (hemiepes
maschile)
- la scelta della forma ottativa è dovuta alla presenza di γένοιτο nella frase
reggente, che costituisce ‘l’apodosi’ di questa ‘protasi’ («questa… potrebbe
esser per voi soluzione… laddove Zeus… preservasse».
- la natura apparentemente ‘tradizionale’ dell’espressione, nonché la
correlazione stretta che τε καí istituisce fra γένοϲ e ἄϲτυ rende improbabile
che νέον vada inteso come aggettivo, da collegare a entrambi i sostantivi (un
‘nuovo’ ἄϲτυ?)
v . 229 Κάδμου (ϝ)ἄνακτοϲ
La presenza del waw evita lo iato.

v. 234 Τειρ[ε]ϲ^ία^ϲ
Una sequenza τ^[εράϲπο]l^οϲ
nome-epiteto in cui si può forse intravedere una figura
etimologica, per quanto probabilmente già sbiadita all’epoca di Stesicoro:
- τεράϲποlοϲ = τέραϲ (‘montstrum’) + -πόλοϲ (una sorta di suffissoide
dalla stessa radice di πέλομαι, πόλοϲ [‘asse, polo’] e πολέω) con il
significato di ‘colui che bada a, che si occupa di’.
- Τειρεϲίαϲ forse da *Τερετ-ίαϲ, con allungamento metrico *Τερ- > Τειρ-
(cf. DELG 1106 s.v. τέραϲ; EDG 1468 s.v. τέραϲ).
I rapporti con le Fenicie
Una serie di contatti testuali fra il Papiro di Lille e le
Fenicie di Euripide, unita al confronto tra la
rappresentazione stesicorea e quella euripidea del mito
tebano, ha fatto pensare ad una cosciente rielaborazione da
parte del tragediografo di alcuni contenuti della Tebaide
lirica, ricontestualizzati nell’ambito della tragedia ateniese
di V sec. a.C.
Stesicoro: v. 228 ᾇ tε νέον Κρονίδαϲ γένοϲ τε καὶ ἄϲτυ [ϲαώϲαι
Euripide: vv. 84s. ἀλλ’, ὦ φαεννὰς οὐρανοῦ ναίων πτυχὰς
Ζεῦ, σῶσον ἡμᾶς, δὸς δὲ σύμβασιν τέκνοις

La regina stesicorea e la Giocasta euripidea sembrano entrambe


preoccupate sia in quanto madri che in quanto donne di Stato,
poiché pregano o sperano di ottenere da Zeus salvezza non solo per
il γένοϲ e per i propri figli, ma anche per la città (ἄϲτυ/ἡμᾶς, ‘noi
Tebani’ più che ‘noi Labdacidi’).
Stesicoro: v. 226 λυτήριον ὔμμι κακοῦ γένοιτο πότμο[υ
v. 233 νε^ίκεοϲ ἐν μεγάροιϲι^ [παύο]ι^ϲα παίδαϲ

Euripide: vv. 435-437 ἀλλ’ ἐς σὲ τείνει τῶνδε διάλυσις κακῶν,


(Polinice) μῆτερ, διαλλάξασαν ὁμογενεῖς φίλους
παῦσαι πόνων σὲ κἀμὲ καὶ πᾶσαν πόλιν
Stesicoro: vv. 216s. παίδαϲ ἐνὶ μεγάροιϲ
θανόνταϲ ἢ πόλιν ἁλοίϲαν
Euripide: vv. 951s. …τοῖνδ’ ἑλοῦ δυοῖν πότμοιν
(Tiresia a Creonte) τὸν ἕτερον· ἢ γὰρ παῖδα σῶσον ἢ πόλιν

Nel caso di Euripide la profezia è chiara: Creonte dovrà sacrificare


suo figlio Meneceo o Tebe sarà presa (ἢ… ἢ = aut… aut). Non è
chiaro, invece, se in Stesicoro la disgiuntiva sia esclusiva (ἢ = aut)
oppure no (ἢ = vel). Ad ogni modo ἢ πόλιν ἁλοίϲαν sembra una
chiusa in anticlimax: la regina ora è prima madre che sovrana.
Stesicoro: v. 213 αὐτίκα μοι θανάτου τέλοϲ ϲτυγε_rο[ῖο]
γέn[οιτο
v. 226 λυτήριον ὔμμι κακοῦ γένοιτο πότμο[υ
Euripide: vv. 968s. αὐτὸς δ’, ἐν ὡραίῳ γὰρ ἕσταμεν βίου,
(Creonte a Meneceo) θνῄσκειν ἕτοιμος πατρίδος ἐκλυτήριον

Udita la funesta profezia di Tiresia (perduta nelle lacune del papiro), la


regina stesicorea teme per la vita dei figli e piuttosto di vederli uccisi l’uno
dall’altro si augura, contro il destino, di morire. Similmente il Creonte
euripideo rifiuta la predizione dell’indovino e si dichiara pronto a morire in
luogo del figlio per la salvezza della città. I figli/il γένοϲ e la πόλιϲ hanno un
destino distinto e inconciliabile in entrambi i testi oppure c’è un’evoluzione?
Stesicoro: v. 227 μάντιοϲ φραδαῖϲι θείου
Euripide: vv. 970-972 ἀλλ’ εἷα, τέκνον, πρὶν μαθεῖν πᾶσαν πόλιν,
(Creonte a Meneceo) ἀκόλαστ’ ἐάσας μάντεων θεσπίσματα,
φεῦγ’ ὡς τάχιστα τῆσδ’ ἀπαλλαχθεὶς χθονός

La regina stesicorea mira ad attenuare le profezie di Tiresia


proponendone un’alternativa, ma rimane rispettosa della dignità
mantica del vate. Creonte reagisce invece alle parole dell’indovino
con rifiuto, definendone i responsi «insolenti».
Stesicoro: vv. 211-214 αἰ δέ με παίδαϲ ἰδέϲθαι ὑ_p᾿ἀllάlojϲι dαμέnταϲ
μόρϲιμόν ἐϲτ_ιν, ἐπεκλώϲαν δὲ Μ_oίrα_[ι],
αὐτίκα μοι θανάτου τέλοϲ ϲτυγε_rο[ῖο] γέn[οιτο,
πρίν ποκα ταῦτ’ ἐϲιδεῖν
Euripide: vv. 1280-1283 …ὡς, ἢν μὲν φθάσω
(Giocasta) παῖδας πρὸ λόγχης, οὑμὸς ἐν φάει βίος·
{ἢν δ’ ὑστερήσῃς, οἰχόμεσθα, κατθανῇ·}
θανοῦσι δ’ αὐτοῖς συνθανοῦσα κείσομαι

Se nel caso della regina stesicorea il desiderio di morire prima di vedere i


figli uccidersi è solo un artificio retorico, per la Giocasta euripidea quello di
non sopravvivere alla morte dei figli è un proposito concreto.
Stesicoro: vv. 211-215 αἰ δέ με παίδαϲ ἰδέϲθαι ὑ_p᾿ἀllάlojϲι dαμέnταϲ
μόρϲιμόν ἐϲτ_ιν, ἐπεκλώϲαν δὲ Μ_oίrα_[ι],
αὐτίκα μοι θανάτου τέλοϲ ϲτυγε_rο[ῖο] γέn[οιτο,
πρίν ποκα ταῦτ’ ἐϲιδεῖν
ἄλγεϲ<ϲ>ι πολύϲτονα δακ_rυόεντα_ [πολλοῖϲ
Euripide: vv. 1455-1455 μήτηρ δ’, ὅπως ἐσεῖδε τήνδε συμφοράν,
(Messaggero) ὑπερπαθήσασ’ ἥρπασ’ ἐκ νεκρῶν ξίφος
κἄπραξε δεινά· διὰ μέσου γὰρ αὐχένος
ὠθεῖ σίδηρον, ἐν δὲ τοῖσι φιλτάτοις
θανοῦσα κεῖται περιβαλοῦσ’ ἀμφοῖν χέρας
Si noti, in Stesicoro, la differenza semantica tra ἰδέϲθαι (medio dell’autopsia e
della partecipazione emotiva) ed ἐϲιδεῖν (che indica il ‘guardare a’ qualcosa, qui
come spettatore passivo di rovina). Anche Euripide usa ἐσεῖδε in modo simile.
Stesicoro: il tentativo di mediazione precede la partenza di
Polinice per Argo.
Euripide: Giocasta prova a mediare quando ormai l’attacco
argivo su Tebe è imminente.

L’agone delle Fenicie (vv. 443-637)


L’agone, in cui il discorso di Giocasta (arbitra della contesa) è
atipicamente più lungo più della somma di quelli dei contendenti,
assume una forma processuale: ella fa la parte di κριτήϲ (v. 467) e
διαλλακτήϲ (v. 468), mentre Polinice, ritenendo di aver subito il torto,
parla per primo e costruisce retoricamente, seppur con pretesa
semplicità, il suo discorso.
L’agone delle Fenicie (vv. 443-637)
Proponendo un’alternanza annuale di potere e non una suddivisione tra
i figli di regno e patrimonio, rifacendosi a concetti propri del suo
tempo come il relativismo dei valori e la legge del più forte (per come
formulata da Tucidide nel cosiddetto ‘dialogo dei Meli’ e dal
personaggio di Callicle nel Gorgia platonico), insistendo su δίκη e
νόμοϲ, sull’opposizione tra Ἰσότηϲ e Τύραννιϲ e sottolineando la
necessità di un ordine civile corrispondente a quello naturale, Euripide
dimostra di aver riadattato alla sua epoca la versione stesicorea dei
fatti tebani, dove forse proprio Giocasta era il nome e l’identità della
regina madre di Eteocle e Polinice.
Il γένοϲ e la πόλιϲ
Mentre Eschilo ha legato inscindibilmente, nei Sette contro Tebe, la
sorte della schiatta a quella della città (vv. 745-749 Ἀπόλλωνος εὖτε
Λάιος / βίᾳ τρὶς εἰπόντος ἐν / μεσομφάλοις Πυθικοῖς / χρηστηρίοις
θνᾴσκοντα γέν- / νας ἄτερ σῴζειν πόλιν), Euripide ha scisso i due
aspetti fin dal prologo, dove Giocasta, ripercorrendo le vicende dei
Labdacidi riporta laconicamente il responso apollineo ricevuto da Laio
(vv. 19s.):
εἰ γὰρ τεκνώσεις παῖδ’, ἀποκτενεῖ σ’ ὁ φύς,
καὶ πᾶς σὸς οἶκος βήσεται δι’ αἵματος
La nascita di Edipo segna la fine di Laio e della sua casa, non di Tebe
nel suo complesso.
Madri stesicoree
Stesicoro rappresenta varie figure di madri che non sono mere
generatrici di eroi, ma eroine esse stesse, dotate di un’ampia gamma
emozionale.
Altea, che nella versione omerica del mito maledice e causa la morte
del figlio Meleagro, che ne ha ucciso i fratelli (Il. IX 524-605), è forse
protagonista di PMGF 222a frr. 2, 4, 11b. Nel fr. 2 la donna riceve la
notizia della morte dei fratelli per mano di Meleagro, mentre nel fr. 11b
(se effettivamente a lei si riferisce) sembra essere in difficoltà
nell’uccidere suo figlio.
PMGF 222a fr. 2,5-9
]. ευπατέρει-
Altea
α, τ]άχ᾿ ἀγγελίαϲ ἀμεγάρτου PMGF 222a fr. 4
πε]ύσεαι ἐν μεγάροιϲ· τεθνᾶϲί t[ο]j ].[].[
ἄμα]tj τῶjδε παρ᾿ αἶ- ]ιϲ ἀπέδωκe[
σαν] ἀδελφ[εοί·] ἔ^κ^τ^α^ν^ε δ᾿ αὐτοὺϲ ].ία δ᾿ἄρ
ὅπωϲ [
]εν ἀγγελία[
PMGF 222a fr. 11b ]πεμψε δέ νιn [
…[ Ἄρτα]mιϲ ἰοχeαιρ᾿ἀpolυ_m[
μ^ατρ.[ θυγάτ]ηρ Διὸϲ ἀγρεϲ[ι]θήρα
ολέϲα^[ \]πωϲ
cα^λεπ^[ Κα^[λυδ]ῶν᾿ ἐρατὰν .[
].αι μέ[γα…]μα περικl[υτ-
PMGF S13
Calliroe ] ἐ̣γὼ
]μ̣.[
̣ ν̣ [μελέ]α καὶ ἀλαϲ-
Calliroe, madre dello sventurato mostro
Gerione, compare in vari frammenti della τοτόκοϲ κ]αὶ ἄλ̣[αϲ]τ̣α̣ π̣α̣θοῖσα
Gerioneide, intrecciando rapporti ‘intertestuali’ Γ]αρυόνα γωνάζομα[ι,
con alcune madri omeriche: αἴ ποκ’ ἐμ]όν τιν μαζ[ὸν] ἐ̣[πέϲχεθον
- Ecuba, che nell’Iliade scopre il seno ]ω̣μον γ̣[
supplicando Ettore di non combattere (Il. ]
XXII 83) ] φίλαι γανυθ̣[ε
- Teti, imparentata con Calliroe e madre ]ρ̣οσύναιϲ
immortale di un eroe che ha ereditato la
mortalità dal padre, si definisce δ̣εα πέπλ̣[ον
δυσαριϲτοτόκεια (Il. XVIII 54), αἰνὰ ].[..]κλυ....[
παθοῦϲα (Il. XXII 431) e αἰνὰ τεκοῦϲα (Il. ]ρευγ̣ων·
I 414). ]γ̣ον ελ[

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