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“LA COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE”

PROF. NICOLA PAPARELLA


Università Telematica Pegaso La comunicazione multimediale

Indice

1 LA COMUNICAZIONE MULTIMEDIALE ....................................................................................................... 3

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 La comunicazione multimediale

Con questa lezione vogliamo rimanere nell’ambito della comunicazione educativa e


didattica, ma vogliamo approfondirne un aspetto specifico che riguarda alcune modalità della
comunicazione didattica, quella che si realizza con il supporto di appropriate strumentazioni
tecniche. Non intendiamo fare una sorta di analisi degli strumenti possibili né vogliamo passare n
rassegna le diverse procedure da seguire quando si adoperano strumenti multimediali. Vogliamo
piuttosto affrontare quelli che a nostro avviso sono i compiti che dall’uso delle tecnologie
multimediali discendono a coloro che fanno formazione.

Nell’era digitale è ormai diventata una tesi di facile condivisione sostenere l’opportunità di
avvantaggiarsi di tutte le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie tentando di integrare tra loro
media differenti quali il cinema, il teatro, la stampa, la tv, internet. Ciascuno di essi possiede una
sua modalità espressiva, un particolare codice, una grammatica, una sintassi1 che rispondono, nella
loro distinta specificità, a precise esigenze comunicative. In questo scenario, cinema, teatro, radio,
stampa, tv, internet forniscono una pluralità di codici espressivi, per una molteplicità di esperienze
possibili. Si tratta di leggere, collegare, manipolare, smontare, costruire, desiderare, interpretare,
utilizzare contenuti, immagini, messaggi, in un intreccio di relazioni a rete, dove però la rete è una
sorta di spazio universale, sì, ma del tutto privo di totalità.

E’ importante questa annotazione. Ogni universalizzazione, di per sé tende a produrre totalità


ed esclusione, in quanto – per la sua stessa tensione verso il tutto o per il suo essere proiettata verso la
generalità dei casi, mira ad essere o a costituirsi o a manifestarsi come esauriente e in sé conclusa. La
rete internet, non ostante la sua pervasività, non ha questa pretesa, perché mira soltanto alla
connessione e per di più “in un ordine non gerarchico che può essere variamente interpretato nella
prospettiva di ciascun nodo”, esprime perciò “una esigenza di universalità che però, non avendo in
se stessa un senso, non è totalizzante”2. Diventa perciò prioritario, nel nostro discorso sulla
comunicazione mediale, partire proprio dalla rete e da internet, per capire quali domande educative
essa ponga e soprattutto quali compiti.

1
Cfr. M. MC LHUAN, Gli strumenti del comunicare, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1967.
2
Cfr. P. LEVY, L'intelligenza collettiva. Per un'antropologia del cyberspazio, tr. it., Feltrinelli, Milano 1996, pp. 238 e
s.

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La trama della rete si compone non attraverso semplici collegamenti e connessioni fra
concetti, ma è caratterizzata a partire dalle interpretazioni che la persona stabilisce tra le molte cose
con le quali interagisce. Tal fenomeno viene solitamente chiamato “intelligenza collettiva”: essa
non sta sulle cose o fra le cose, ma nella capacità di leggere le cose; se due persone distanti sanno due
cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione
l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare all’interno di una rete dai confini smisurati. Non si
tratta di sommare lo sforzo di più soggetti. Questo accadeva anche senza le interazioni permesse dai
nuovi media. Si tratta di moltiplicare lo sforzo dell’uno con quello dell’altro3.

Al pari del caso della intelligenza collettiva, i nuovi media sollecitano e inducono altre
speciali competenze, a ciascuna delle quali può esser fatto risalire uno specifico compito educativo.
In questa sede ci fermeremo a considerare tre soli compiti, che riguardano, a livello diverso, tanto
l’educazione che la pedagogia:

Primo compito: Alfabetizzare. Si tratta di abilitare gli allievi, tanto a scuola quanto nei corsi
di formazione, perché ciascuno di loro impari la competenza del manipolare e del gestire i vari
codici espressivi. Per farlo efficacemente, non c’è nulla di meglio del proporre tale compito sotto
l’aspetto ludico: si può imparare l’uso di un codice, specie per i bambini, attraverso giochi di magia,
giochi di prospettiva, di apparizione e sparizione, ecc. Tramite tali attività, la persona manipola il
codice espressivo. Pensiamo a quanto si siano demonizzati giochi di ultima generazione come i
videogames e quanto, invece, questi dispositivi abbiano aiutato nella alfabetizzazione di massa
verso i nuovi media. In tal senso, oggi esiste un produttivo filone di ricerca, noto come game
studies, molto interessante ed ampio, che merita considerazione ed attenzione, finalizzato alla
elaborazione di una criteriologia educativa per l’utilizzo dei videogiochi. Il gioco è una grande
risorsa, ed è un peccato lasciarla nelle mani del mercato. Occorre riportarla all’educatore, per un
verso, ed all’esperto di pedagogia, nell’altro.

Già a partire dalla fase di alfabetizzazione alla comunicazione multimediale, è necessario


promuovere la competenza di saper cogliere e distinguere il rapporto tra realtà e finzione, da un

3
Infatti l’intelligenza collettiva è "la pratica della moltiplicazione delle intelligenze, le une in rapporto alle altre,
all'interno del tempo reale di un'esperienza" (D. DE KERCKHOVE: in Due filosofi a confronto. Intelligenza collettiva e
intelligenza connettiva: alcune riflessioni, intervista rilasciata insieme a P. Levy a MediaMente. Cfr.
http://www.mediamente.rai.it/home/bibliote/intervis/d/dekerc05.htm#link006)

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lato, e tra realtà, irrealtà e virtualità, dall’altro. Alcuni casi di cronaca, anche molto attuali, riportano
all’attenzione dell’indagine scientifica il dubbio che la persona non sia capace di distinguere tra
realtà, irrealtà e virtualità. Il reale è l’area della necessità, del dato, della razionalità lineare,
dell’accadimento, della sequenzialità, della determinazione. E l’irrealtà è lo spazio dell’impossibile,
della negazione, del non essere. Quando si parla di virtualità, si intende il mondo del possibile4, una
gamma di possibilità, un ambito di vantaggio e di arricchimento per la persona. Già da bambini e
poi da adulti, si deve riuscire a distinguere tra i contesti di realtà e quelli connotati da finzione. Il
virtuale va adeguatamente contornato e delimitato affinché non abbia a sovrapporsi né al reale, né
all’irreale. E’ da intendersi come una gamma di opportunità per la persona, che deve saper
opportunamente utilizzare. Quando, in qualche modo, il virtuale viene confuso col reale, e ciò oggi
succede più drammaticamente nell’adolescente che non nel bambino, si profila un problema
educativo ed una pista di ricerca in merito ai quali la pedagogia è tenuta ad esprimersi e ad
apportare il proprio contributo ermeneutico. La nostra cultura, pur possedendo strumenti raffinati di
produzione o di accesso al virtuale, si dimostra, in molte sue aree e in molte sue manifestazioni, ancora
incapace di assimilare correttamente il virtuale, tant’è che il rapporto mediatico fra virtualità e realtà è
spesso campo di disorientamento.

Se il virtuale è il campo del possibile, in esso si possono rinvenire alcune occasioni di


apprendimento, utili anche dal punto di vista didattico: c’è spazio per l’elaborazione simbolica, per
la gestione della metafora, dell’allusione, per la formulazione delle ipotesi. E’ utile ricorrere a
qualche semplice esempio per spiegare questi concetti.

L’elaborazione simbolica deriva dai vissuti che la persona proietta sull’oggetto. Il bambino
piccolo che si mette a cavallo di una sedia e dice di essere su un’automobile a fare una gara, ha
preso del materiale, fatto di immagini e di fantasie, e l’ha proiettato sull’oggetto sedia. Il bambino è
in grado di passare dalla realtà (sedia) alla irrealtà (automobile) ed in questo passaggio pendolare tra
i due piani egli esprime il suo gioco e la sua identità5. L’essenza dell’attività ludica risiede in questo
spazio di oscillazione, a tutte le età. E’ da sottolineare che questo pendolarismo è sì esito del
processo ludico, ma è anche un contesto in cui l’apprendimento può divenire più facilitato ed
immediato. Dinanzi alla novità, e qualche volta alla difficoltà dell’apprendimento, se si riesce ad
aggiungere all’oggetto una serie di immagini ulteriori, interne, così come il bambino ha aggiunto
4
N. PAPARELLA, L’esperienza del bambino: ambienti, relazioni, artifici, in G. CATTANEI, Il bambino tra reale e
virtuale, La Scuola, Brescia 2000
5
Ivi

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l’oggetto sedia all’immagine dell’automobile, si facilita il processo di assimilazione. Assimilazione


vuol dire “rendere simile”: in particolare, si tratta di rendere simile la propria esperienza allo
schema mentale già posseduto6. In tal modo, l’apprendimento risulta più agevole. L’elaborazione
simbolica, ricchissima nel campo del possibile e quindi nel campo del virtuale, diventa una cosa
estremamente utile per l’apprendimento, e dunque va attentamente promossa.

Lo stesso dicasi per la metafora. Quando si riesce a fare ironia, a inventare una metafora, ad
esprimere una allusione su alcuni oggetti, su qualcosa, significa che li si possiede, che li si gestisce
efficacemente

La formulazione di un’ipotesi, invece, è un occasione di esercizio della creatività individuale


e di gruppo. Per costruirla, non si ricorre alle deduzioni. Se fosse così, infatti, non ci sarebbe attività
euristica nella soluzione di un problema. L’ipotesi, al contrario, nasce dalla capacità di mettere
insieme tutto ciò che è virtualmente presente, ma che è al momento apparentemente disgregato. La
persona, in forza del principio di unità, fonde, semplifica e genera l’ipotesi medesima.
L’intelligenza anticipatrice è quella che consente di estrapolare e ricavare dall’esperienza ciò che
ancora non è visibile. Quindi il progetto si caratterizza sempre per una forte connotazione creativa.

In particolare, a proposito di competenze da promuovere nella persona, ci sembra opportuno


segnalare, come compito primario ed ineludibile, l’impegno ad insegnare a manipolare con padronanza
e consapevolezza i diversi codici espressivi, tenendo presente, ancora una volta, che la consapevolezza
nasce, sì, dalla familiarità d’uso e quindi anche dalle abilità e dalle conoscenze, ma fa i conti con
l’identità della persona, con le motivazioni, con i contesti ecc. E’ ben per questo che noi qui vogliamo
ricordare l’efficacia di alcuni giochi, prima ancora degli effetti di alcuni alfabeti. Vogliamo riproporre,
come utili, in questa prospettiva, i giochi di “magia” (là dove il dato si deforma per la destrezza
dell’intervento, ed appare per quel che non è, ed è diversamente da come appare), i giochi di
prospettiva, dove l’immagine gioca con le regole della sensibilità visiva, i giochi di apparizione e di
sparizione, e poi anche quelli di composizione/scomposizione, dove l’oggetto si deforma nella sua
configurazione o nella possibilità d’uso che viene ad offrire.

Tutto questo trovava spazio già nelle prime esperienze di scuola per i bambini e deve poter
trovare spazio ad ogni livello della formazione. Pensiamo, ad esempio, alla funzione di certi giochi
all’interno di attività laboratori ali riservate a specialisti della fisica e della matematica, pensiamo alla

6
Cfr. N. PAPARELLA, Sviluppo del bambino e crescita della persona, La Scuola, Brescia 1984, p. 73 e s.

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funzione che ha sempre avuto, nella scoperta scientifica, la simulazione … Oggi la dimensione ludica
deve poter raccogliere un’attenzione più decisa e più sistematica in tutte le attività di formazione,
sapendo che la virtualità risponde ad un godimento preciso della persona e ad un suo bisogno
permanente, sapendo ancora che nel virtuale la persona colloca il sogno e la possibilità, la forza
estrapolatrice e la stessa motivazione a dominare e possedere il reale. Tali convinzioni devono guidare
ed orientare nella costituzione e nella gestione dei laboratori didattici, dove quel che conta non è tanto
la vistosità dei mezzi, ma il dinamismo dell’esperienza che vi si compie.

L’esperienza, tuttavia, nasce nell’incontro fra il fare e l’agire7, fra l’azione sulle cose e il senso
che viene attribuito a quell’intervento, e quindi non può essere predicata né può essere “insegnata”,
viene piuttosto partecipata. Di qui la necessità che ad essa si giunga attraverso forme di fruizione
condivisa.

Sulla base di tutte queste considerazioni, è evidente come il virtuale non sia da demonizzare
a priori, ma da utilizzare e gestire, in chiave educativa, a vantaggio della persona. Quando perciò
discutiamo di educazione multimediale, non pensiamo subito né pensiamo soltanto alla miriade di
corsi che sorgono qua o là per dare destrezza d’uso a chi ancora non ne disponga; non pensiamo alle
patenti e ad altri “strumenti” spesso colorati da nascosti interessi, ma pensiamo alla capacità della
persona di profittare della virtualità e di saperne connettere i territori con quelli della realtà,
distinguendoli da quelli della irrealtà.

Quando dunque parliamo di alfabetizzazione – a proposito dei nuovi media – intendiamo


riferirci proprio a questo. Si tratta di un compito a squisito carattere educativo e che è tale,
indipendentemente dall’impatto con i nuovi media; ad essi, se mai, occorre riconoscere il merito di
aver reso evidente il problema e di averne segnalato l’urgenza.

Secondo compito: comunicare. La comunicazione è una struttura di campo. Al suo interno è


presente il comunicatore e le personalità di coloro cui l’atto comunicativo è destinato. Non ci si
sofferma su tale aspetto, in questa sede, dal momento che esso è di competenza di altri comparti
disciplinari, ci basti richiamarlo. Non c’è un polo e, dinanzi ad esso, l’altro polo. C’è un campo
molto affollato, al cui interno c’è tanto colui che comunica quanto colui che riceve il messaggio. Il
rischio, in questo caso - e dunque l’ostacolo per la comunicazione - è che l’insegnante parli, sì, alla

7
Cfr. N. PAPARELLA, La programmazione delle attività educative nella scuola materna, La Scuola, Brescia 1984

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classe, ma intendendola come l’unione di tanti singoli individui, giustapposti l’uno accanto all’altro.
Non è questa l’idea che il docente dovrebbe avere della classe, ma quella di un’unione sistemica di
persone unite dal perseguimento di scopi educativi comuni e dall’idea di gruppo, dove l’insieme
non corrisponde mai alla semplice sommatoria delle parti che lo compongono.

Un altro schema comunicativo, ben più efficace, prevede che l’insegnante si collochi fra le
persone, quindi all’interno di un modello caratterizzato da una sorta di circolarità continua e da una
costante mediazione interpersonale. In tal senso, sarebbe opportuno che ogni docente si interroghi
sul modo in cui si realizzano le interazioni comunicative nella sua classe, a partire da quelle che lui
stesso mette in pratica.

L’introduzione delle nuove tecnologie della comunicazione ha modificato in maniera


sostanziale la natura del contesto, luogo degli scambi. Si tratta di uno spazio attivo, reattivo, privo
di un centro erogatore delle informazione, uno spazio entro il quale ciascuno entra in un
comunicazione con gli altri; in alcuni casi gli scambi evolvono in una relazione, o anche in un
fascio di relazioni condivise assieme agli altri utenti.

Ne deriva una possibilità in più: quella di costruire, in modalità cooperativa, un universo di


significati. E, all’interno di questi ultimi, ciascuno va a trovare la propria collocazione. Nessuno,
certamente, è obbligato a condividere le idee degli altri, ma tutti partecipano alla costruzione dello
stesso universo di significati ed alla strutturazione del medesimo spazio comunicativo. Lo sforzo da
compiere, anche in termini mentali, è quello di pensare a tale contesto non più assimilandolo ad una
piazza, ad un’aula, ma a qualcosa di immateriale: all’insieme dei significati entro cui prende senso
la stessa nostra identità.

Che tipo di suggestioni può ricavare l’insegnante da questo insieme di innovazioni e di


trasformazioni nel campo della comunicazione multimediale? E’ responsabilità educativa capire
come si collocano i giovani nella comunicazione e come essi gestiscono la loro relazione nello spazio
comune condiviso. Sotto questo profilo le competenze che più vengono esercitate sono quelle del
conoscere e del volere, del leggere e dell’esserci. Si tratta di imparare a riconoscere e a formulare
messaggi, di sapersi inserire in un circuito informativo solitamente ricco di scambi interattivi, si tratta

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infine di imparare ad esercitare, con piena responsabilità, quella che ormai si denomina “etica della
comunicazione”8.

Allo stesso modo è precisa responsabilità educativa capire come venga a connotarsi la
comunicazione didattica, per la quale, prima ancora dei problemi generali della comunicazione, sono
da rilevare gli atteggiamenti e le opzioni di fondo degli attori del processo.

Dinanzi alle nuove tecnologie, alle loro straordinarie capacità ed all’ampia condivisione
delle pratiche mediali nel mondo giovanile, il docente si può ancora permettere di insegnare le cose
di oggi utilizzando gli strumenti ed i concetti di ieri? Qualche volta si ha davvero l’impressione che,
nella pratica didattica, si riescano a fare anche discorsi nuovissimi ricorrendo a concetti e strumenti
datati, utilizzando modelli che sanno di ripetitivo (rispetto alla memoria dell’esperienza personale
compiuta da allievi e riprodotta da docenti) e che non rendono a pieno il campo delle possibilità
offerte dal progresso delle scienze oltre che dall’impatto con i nuovi media.

Abituarsi ad insegnare i contenuti di oggi con i dispositivi di oggi è un passo avanti molto
importante, ed allora bisogna chiedersi se non sia pure il caso di mutare ulteriormente prospettiva:
forse non si tratta di trasmettere dei contenuti utilizzando alcuni strumenti, ma di insegnare la
scienza, la saggezza, con un sussidio nuovo che potremmo definire come la capacità di conquistare
il futuro. Quando infatti lo stupore per la novità tecnologica cede il campo ad un atteggiamento di
possesso e di dominio, la padronanza operativa raggiunta permette persino di prescindere dal
medium tecnologico per pensare alla relazione didattica negli aspetti di fondo che la caratterizzano.
Possiamo dire che in questi casi gli educatori, già capaci di agire con disinvoltura all’interno dei
nuovi media, si preoccupano di insegnare la scienza e la saggezza e quindi le possibilità di
conquistare il futuro; ogni altra cosa ne viene di conseguenza, compresa la fruizione del medium
comunicativo.

Più andiamo avanti, più la quantità di informazioni che ognuno deve gestire si fa così grande
da essere disarmante. Il rischio dell’overload cognitivo, cioè della mancanza della capacità di
gestione dei consistenti flussi informativi e comunicativi che attraversano quotidianamente la nostra
esistenza, è sempre in agguato.

8
Su questo punto molto ha scritto M. MORCELLINI, a partire dalla sua monografia del 19986: Identità e comunicazione
(Roma, s.e.), in particolare si veda la sua Prefazione a L.K. GROSSMAN, La repubblica elettronica, Ed. Riuniti, Roma
1997, p. VII, e si vedano poi i volumi: Passaggio al futuro - Formazione e socializzazione tra vecchi e nuovi media,
Angeli, Milano 1994; La tv fa bene ai bambini, Meltemi, Roma, 1999; Lezione di comunicazione - Nuove prospettive di
interpretazione e di ricerca, Ellissi, Arzano (NA) 2003.

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Un ultimo compito che la comunicazione multimediale dovrebbe prendere in carico è il


ragionare. La scrittura e la lettura ipertestuale, per loro natura, introducono nuove forme di
inferenza logica, alle quali ieri non si è prestata la giusta attenzione. Si tratta, in particolare, del
pensiero abduttivo. Ne aveva già parlato Charles Sanders Peirce (1839-1914) e nella sua logica9 ne
aveva a lungo discusso, ma i suoi richiami non avevano prodotto particolare attenzione. Persino gli
Scolastici si erano posto il problema, ma l’argomento non ha mai ottenuto riscontri in ambito
didattico.

Oggi, con l’introduzione delle nuove pratiche di scrittura e lettura multimediale, questo tipo
di pensiero diventa importante e davvero utile. Cos’è il pensiero abduttivo? In sintesi, accanto alla
deduzione e all’induzione, insieme al modello ipotetico-deduttivo, c’è il pensiero abduttivo, che ha
stretti rapporti con il modello ipotetico-sperimentale di G. Galilei. La sua peculiarità è quella di
riuscire a formulare ipotesi causali partendo da un effetto dato. Si avvale dell’analogia, della
concomitanza, a volte della metafora, altre volte dell’intuizione, dell’immagine simbolica. Proprio per
questo è fallibile; ma proprio per questo è costantemente esposto alla verifica e ha grande possibilità
ermeneutiche.

Il soggetto, pur senza disporre di un campo delle ipotesi chiaramente definito, con il
pensiero abduttivo riesce a realizzare una estrapolazione partendo da alcuni dati certi, ma andando a
cercare qualcosa che era soltanto intuito. Il pensiero abduttivo nasce quindi dall’unione del
ragionamento di tipo induttivo-deduttivo con la estrapolazione anticipatrice. La rivalutazione che il
pensiero abduttivo ha ottenuto negli ultimi tempi motiva una riflessione, che non può non investire
i contesti didattici formali ed informali, sull’ imparare a ragionare, sulla capacità di migliorare la
deduzione, l’induzione, l’abduzione.

Nella lettura ipertestuale si producono nuove modalità per rendere attivo l’apprendimento.
Questo significa e comporta che si aprono nuove modalità per rendere attivo l’apprendimento,
possiamo anzi dire che a partire dall’impatto con i nuovi media è possibile ripensare non già i processi
di apprendimento, ma sicuramente la didattica che li facilita e li supporta.

Servono nuovi criteri di organizzazione di ciò che si esplora, di ciò che si costruisce
utilizzando le nuove tecnologie e di quanto si apprende. La scrittura multimediale è un problema

9
Cfr. C. S. PEIRCE, La logica degli eventi, tr. it. Spirali, Milano 1989; Scritti di logica, a cura di Charles Hartshorne e
Paul Weiss; scelta e traduzione di Aurelia Monti; Introduzione di Corrado Mangione, La Nuova Italia, Firenze 1981.

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didattico perché l’organizzazione del materiale, da pubblicare ad esempio su un sito internet, non è
soltanto un fatto prettamente tecnologico, ma qualcosa che va ad agire ed incidere
sull’apprendimento di chi ne usufruisce.

Occorre dunque una permanente capacità di ricostruzione personale del materiale appreso
che altrove abbiamo chiamato “dominio conoscitivo”10. Non si può pensare che l’apprendimento
tramite ipertesti sia efficace se non esiste la capacità soggettiva di rielaborare, di padroneggiare e di
fare proprio quanto si legge costruendosi dei percorsi personalizzati nella fruizione.

C’è anche un ulteriore elemento di attenzione critica: probabilmente l’eccedenza di pensiero


abduttivo porta ad una riduzione della disponibilità alla concettualizzazione. Se così fosse, questo
sarebbe un elemento negativo da tenere sotto controllo. Di questo va evidentemente tenuto conto, nel
momento in cui ci si occupa di competenze, sapendo in ogni caso che alla concettualizzazione la
navigazione ipermediale non rinuncia né potrebbe farlo, evidentemente. Semplicemente non fa leva su
questo per procedere nelle dimostrazioni o nello sviluppo del discorso.

Conclusivamente, le implicazioni educative delle nuove tecnologie della comunicazione


invitano a ripensare la didattica.

Si è infatti dinanzi alla possibilità di sperimentare nuovi modelli educativi, di utilizzare


molte modalità di promuovere apprendimento ma, prima di tutto, occorrono nuovi modelli
pedagogici per incentivare la riflessione sulla pratica didattica. Emergono alcune nozioni da
reinterpretare (attivismo, apprendimento cooperativo, relazione, verifica, esercizio, ecc) e, di
converso, ci sono nuovi concetti da definire (e-learning, tempo didattico, spazio didattico). Si tratta
di inediti compiti pedagogici che nascono dall’impatto delle nuove tecnologie con la didattica.
Questa scienza necessita di essere ripensata nel profondo. Se essa, da sempre, è una scienza di
mediazione tra l’insegnamento e l’apprendimento, oggi occorre probabilmente ripensarla in termini
di mediazione tra obiettivi educativi e compiti di sviluppo. Quando, una dozzina di anni fa, un
gruppo di esperti di discipline pedagogiche si raccolsero attorno ad un tavolo per spiegare che cosa essi

10
Cfr. N. PAPARELLA, Pedagogia dell’apprendimento, La Scuola, Brescia, 1988

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intendessero per didattica, sembrò a qualcuno di ritrovarsi nel bosco di Chirone11. In quell’occasione
noi sostenemmo la tesi di una didattica da configurarsi come criteriologia della scelta e della
decisione12. Precedentemente, a proposito di psicopedagogia, avevamo pensato alla didattica come ad
uno spazio in cui si stabilisce una sorta di interfaccia fra obiettivi educativi e compiti di sviluppo13.
Oggi, tenuto conto degli orizzonti che si aprono con le nuove tecnologie, ci convinciamo sempre di più
della opportunità di pensare alla didattica come ad uno spazio di mediazione fra obiettivi assegnati
all’educazione e compiti di sviluppo assunti dalla persona; una mediazione da esercitarsi con gli
strumenti della negoziazione e con le regole (criteri) che disciplinano la decisione e la scelta
dell’insegnante. Non c’è più spazio per una didattica che non si configuri come scienza e che non si
proietti verso il futuro con la determinazione che deriva dalla consapevolezza del rilievo dei compiti
che le sono propri.

11
L. CALONGHI (cur.), Nel bosco di Chirone. Contributi per l’identificazione della ricerca didattica, Tecnodid, Napoli
1993
12
N. PAPARELLA, La didattica come criteriologia della scelta e dell’azione, in L. CALONGHI, cit.
13
Cfr. N. PAPARELLA, Psicopedagogia, voce del Nuovo dizionario di Pedagogia a cura di G. FLORES D’ARCAIS,
Paoline, Roma 1982, pp. 1050-1057

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