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Parte I
I: Competenze, conoscenze e scuola digitale
Quando si parla di scuola digitale si uniscono due termini dotati di una portata connotativa ampia:
1. La scuola: è un’istituzione storica e sociale influenzata da concezioni filosofiche e
pedagogiche; la sua organizzazione è un riflesso del ruolo che la nostra società attribuisce
alla scuola come istituzione. Le finalità sono a loro volta complesse (formazione,
apprendimento, acquisizione di competenze, preparazione alla cittadinanza ecc...).
Importante è la discussione in ambito pedagogico del rapporto fra conoscenze e
competenze: l’idea di non fermarsi all’acquisizione di un insieme prefissato di nozioni porta
con sé una reazione nei confronti di una scuola fatta di discipline nettamente separate. Vi è
dunque l’esigenza di un aggiornamento metodologico 🡪 la scuola è rimasta indietro
rispetto all’evoluzione culturale e sociale. Non vi è però una reale contrapposizione fra
conoscenze e competenze; la costruzione di un bagaglio di conoscenze è un’operazione
complessa che richiede competenze specifiche.
2. Il digitale: di per sé, l’aggettivo digitale indica una modalità di rappresentazione
dell’informazione, basata sul codice binario per codificare testo, suoni, immagini e
programmi. L’aggettivo è diventato poi un sostantivo autonomo, il digitale.
Il riferimento a una scuola digitale rischia di far percepire il digitale come un’ideologia totalizzante;
in realtà è uno degli elementi interdipendenti di un’equazione al cui centro è il ruolo che diverse
tipologie di contenuti informativi e di strumenti per la produzione dell’informazione hanno nella
costruzione delle nostre conoscenze/competenze.
Parte 2
XVI: I libri di testo servono ancora?
Le principali tipologie di critiche mosse all'idea di libro di testo:
1. Negli anni '60/'70 è stato criticato per la sua funzione di voce unica e strumento di
trasmissione dell'ideologia dominante.
2. In parte legate al primo punto sono le critiche mosse alla qualità del libro di testo: i
frequenti errori mostrano i rischi dell'affidarsi a un singolo libro.
3. Il tentativo di rispondere a queste critiche ha portato a testi più ricchi e articolati ma troppo
dispersivi e costosi.
4. Più recentemente, si è sostenuto che il libro di testo rappresenti una dannosa limitazione
alla libertà di scelta del docente.
5. In parte legate al quarto punto sono le critiche al libro di testo tradizionale che ne
contestano la natura prevalentemente testuale e lineare, incapace di raccogliere le
opportunità della multicodicalità digitale.
Vi sono poi altri aspetti ampiamente dibattuti, legati a questione di politica editoriale (come le
politiche dei prezzi e la tendenza a pubblicare sempre nuove edizioni). Importante è anche la
discussione sulla possibilità di realizzare libri di testo al di fuori del mercato editoriale tradizionale,
attraverso progetti coordinati da docenti come Book in Progress.
XII: I libri di testo che non vogliamo: L'età della contestazione
La difficoltà nell'affrontare storicamente e criticamente l'evoluzione del settore dell'editoria
scolastica italiana è legata al fatto che la letteratura su questo tema è da tempo scissa in due filoni
fra loro poco comunicanti: quello storico-editoriale e quello più strettamente pedagogico.
Già nel primo '900 il ruolo del libro di testo è stato discusso dalla pedagogia; il tema è stato poi
ripreso negli anni '60 anche come conseguenza della scolarizzazione di massa, dello sviluppo
industriale del settore editoriale e della riflessione sulla riforma della scuola. L'influsso convergente
convergente questi tre fattori ha portato da un lato a un notevole sviluppo del mercato
dell'editoria scolastica, dall'altro a una presa di coscienza pedagogica della delicatezza del loro
ruolo.
A livello internazionale, già subito dopo la seconda guerra mondiale diverse voci avevano
sottolineato l'esigenza di allontanare i libri di testo dai modelli ideologico-propagandistici del
periodo bellico. È stato pubblicato anche un Handbook nel 1949 dall'UNESCO, in cui viene offerta
una sintesi storica nella ricostruzione dei tentativi di ripensare i libri come strumenti capaci di
favorire la comprensione internazionale anziché come veicoli di trasmissione di valori
nazionalistico-identitari.
Le prime riflessioni critiche sviluppate nel corso degli anni '60 portano a mettere in discussione in
forma radicale l'idea del libro di testo come veicolo di trasmissione del sapere e i modelli di sapere
dominanti. La tendenza si accentua dopo la pubblicazione di Lettera a una professoressa 1967 da
parte di Don Milani, che critica esplicitamente sia il linguaggio dei libri di testo sia la loro
impostazione.
La critica è portata avanti in molte forme: pratiche didattiche alternative e i cosiddetti "stupidari",
raccolte di passi che rivelano il basso livello culturale di molti fra i libri di testo più diffusi
dell'epoca. → il modello dello stupidario è alla base anche de I pampini bugiardi di Marisa Bonazzi
e Umberto Eco.
Alla critica del contenuto si aggiunge anche una critica radicale all'idea stessa di manuale come
sintesi disciplinare; le due dimensioni si incontrano nel lavoro del Movimento di Cooperazione
Educativa → gli insegnanti del MCE sperimentano pratiche alternative come giornalini di classe,
autoproduzione di contenuti ed esperimenti sul campo. Quest'idea non comporta un totale rifiuto
del libro di testo, semmai l'idea che occorra utilizzare più libri al posto di un singolo manuale.
Parte 3
XXIII: I libri, la scuola, le biblioteche scolastiche
Le biblioteche scolastiche innovative potrebbero rappresentare la sede migliore per integrare
risorse e competenze informative di tipo diverso, promuovendo la lettura e l’incontro con la
complessità. Negli anni ‘60 e ‘70, le biblioteche scolastiche erano concepite come testimonianza
della tradizione e come collezioni di classici, erano presenti soprattutto nei licei ed erano destinate
spesso più ai docenti che agli studenti. I dibattiti di quegli anni hanno contribuito a cambiare la
percezione del ruolo delle biblioteche e dei libri nella scuola e hanno reso la biblioteca uno dei
primi luoghi di capovolgimento della didattica tradizionale. Le riflessioni e le proposte che ne sono
seguite hanno però dato vita solo a entusiasmi momentanei, perché i responsabili nelle politiche
scolastiche non hanno mai capito che dare la centralità alle biblioteche scolastiche è una mossa
importante per rinnovare il nostro sistema educativo.
Ovviamente, la diffusione del digitale ha portato, a livello globale, un cambiamento nel ruolo delle
biblioteche scolastiche. Nel trentennio 1960-1990, le biblioteche e l’uso di una maggiore varietà di
risorse informative rappresentavano la strada per affiancare alla forma-libro contenuti integrativi
diversi. Nel trentennio successivo, le reti hanno acquistato progressivamente una decisa
preminenza e quindi la biblioteca scolastica è diventata non solo un luogo di acquisizione delle
competenze legate al riconoscimento delle varie tipologie di risorse informative, ma anche un
luogo di incontro con le varie forme di complessità ereditate dalla forma-libro e di riflessione sulle
loro possibili trasformazioni digitali. Nelle biblioteche scolastiche si dovrebbero incontrare oggi sia
libri sia risorse di altro genere, comprese risorse granulari e integrative: l’importante è che le
risorse strutturate e complesse conservino la loro centralità. In troppe scuole, oggi, le biblioteche
scolastiche non entrano nelle pratiche quotidiane della vita scolastica, non sono organizzate con e
per gli studenti ma per rispondere a una sorta di dovere morale. Una biblioteca fatta solo di classici
non è un luogo dove i classici possono essere incontrati, ma un luogo dove i classici sono rinchiusi
e dimenticati: le biblioteche scolastiche dovrebbero essere punti di diffusione e non luoghi di
reclusione dei libri, dove sia presente un incontro fra interessi diversi ed età diverse. I libri, i
videogiochi, i progetti digitali elaborati costituiscono mondi, e sono legati alla complessità verticale
e strutturata.
● Bibliorete 21 (2010), che aveva la volontà di costruire una “rete di reti” che aiutasse a
collegare fra loro le biblioteche scolastiche, offrendo strumenti comuni e occasioni di
scambio informativo e formativo: non ha però portato a risultati significativi, a causa
dell’assenza di finanziamenti. Questa iniziativa ha preceduto l’azione 24 del PNSD.
Il Piano Nazionale Scuola Digitale è stato elaborato dal MIUR nell’ambito dell’attuazione della
legge 107 del 13 luglio 2015. Il piano ha previsto un’azione per le biblioteche scolastiche, l’azione
24, restituendo ad esse un ruolo centrale e contribuendo ad avviare una riflessione sul nuovo ruolo
che esse possono e devono assumere in un contesto profondamente mutato rispetto al passato. La
formulazione dell’azione 24 mette in chiaro che le biblioteche scolastiche sono ambienti di accesso
alle risorse informative e documentali, di information literacy, di promozione della lettura e della
scrittura, caratterizzati dall’incontro tra informazione tradizionale e informazione digitale. Fra le
critiche avanzate all’azione 24 è l’assenza di finanziamenti specifici per l’acquisto di libri su carta, va
però ricordato che il PNSD non poteva prevedere finanziamenti di questo tipo. L’azione propone
dunque una valorizzazione delle biblioteche scolastiche, che passa anche dalla loro apertura ai
contenuti digitali. Non offre però una soluzione complessiva e di lungo periodo, che richiede
necessariamente anche interventi normativi e un riconoscimento esplicito della figura del
bibliotecario scolastico. Una soluzione poteva essere rappresentata dall’art.7 della proposta di
legge Giordano-Zampa (2016?) sulla promozione della lettura: nella formulazione era prevista
l’istituzionalizzazione delle reti di biblioteche ed era previsto che per ogni rete vi fosse una figura di
referente con competenze specifiche. Purtroppo, l’iter della proposta si è fermato: il MIUR e il
Parlamento sembrano considerare le biblioteche scolastiche un lusso, forse a causa dei costi della
previsione di un migliaio di bibliotecari scolastici a livello nazionale.
Azione 24: il bando si proponeva di selezionare fino a 500 progetti presentati dalle scuole,
prevedendo per ciascuno un finanziamento; era poi prevista una attività formativa per i referenti e
l’ulteriore selezione di un progetto relativo a una piattaforma di coordinamento per le attività del
bando. Tre aspetti del bando vanno sottolineati:
1. La forte attenzione verso la biblioteca scolastica come spazio fisico: si parla di spazi aperti
e flessibili, adatti a una fruizione sia individuale sia di gruppo.
2. L’apertura al territorio, con un riferimento specifico alle istituzioni e ai sistemi bibliotecari
territoriali. Si tratta di un passo necessario per concepire scuole più aperte e partecipative.
3. L’attenzione verso il prestigio digitale bibliotecario: il bando prevedeva che fino al 15% del
finanziamento potesse essere impiegato nell’acquisizione di contenuti digitali, così da
permettere a studenti e docenti di ottenere in lettura libri e quotidiani con modalità simili a
quelle del tradizionale prestito bibliotecario, ma in formato digitale.
L’effettivo successo dell’azione dipenderà da molti fattori, in primo luogo la capacità del MIUR di
seguire la realizzazione del progetto e dare continuità nel tempo all’impegno preso.
XXV: Letture aumentate
Che tipo di attività dovrebbero essere previste all’interno delle biblioteche scolastiche? In che modo
integrare risorse informative tradizionali e digitali?
L’allargamento dell’esperienza di lettura attraverso la produzione e la ricerca, la selezione e
l’aggregazione di contenuti integrativi e digitali sono attività che richiedono competenze e
strumenti specifici, non sempre disponibili.
Il progetto The Living Book è stato approvato nel 2016 e prevede la partecipazione di istituzioni
provenienti da sei paesi europei, dove vi è una realtà svantaggiata per quanto riguarda la lettura
giovanile. Al centro del progetto c’è la volontà di fornire strategie e strumenti online che aiutino ad
allargare l’esperienza di lettura di una generazione molto più vicina al digitale che alla carta. Il
rapporto tra ecosistema digitale e promozione della lettura può essere considerato sotto due
prospettive diverse:
1. Come promozione della lettura digitale, concentrando quindi l’attenzione sul settore
dell’editoria elettronica e sui relativi dispositivi di lettura.
2. Come promozione digitale della lettura, senza limitarsi alla lettura di contenuti digitali ma
considerando il digitale come l’ambiente comunicativo in cui si svolge l’attività di
promozione, e dunque di avvicinamento fra contenuti e lettori.
Ad oggi la lettura digitale riguarda contenuti diversi dalla forma-libri (messaggi, social networks), e
questo penalizza i contenuti strutturati complessi. I libri elettronici esistono, e in forma di libri
aumentati, possono integrare complessità e multicodicalità digitale. Ma la realizzazione di libri
aumentati di buona qualità richiede strumenti ancora poco sviluppati e investimenti consistenti; la
lettura avviene su dispositivi ancora insoddisfacenti e prevede l’uso di meccanismi di protezione
complessi. Anche la lettura digitale di libri tradizionali è penalizzata da questi problemi e non riesce
a proporsi come base per un’esperienza migliore di quella su carta, a partire dai prezzi non sempre
competitivi rispetto all’editoria tradizionale. L’ecosistema dei contenuti granulari è invece, di
norma, gratuito e risulta più facilmente accessibile, ed è inoltre quasi interamente basato sulla
condivisione di contenuto generato dagli utenti, che diventano protagonisti attivi dello scambio
comunicativo.
D’altra parte, attività specifiche di promozione della lettura di contenuti granulari non hanno molto
senso, le giovani generazioni ne sono già sommerse; quel che si dovrebbe promuovere è semmai la
riconquista anche in digitale di contenuti strutturati e complessi. La promozione della lettura
digitale dunque per il momento può rivelarsi controproducente, suscitando una reazione di rifiuto
proprio per i contenuti più strutturati e complessi e per la forma-libro, penalizzati dai limiti attuali
di mercato e tecnologie.
Per questo la strada della promozione digitale della lettura è più promettente ed efficace della
promozione della lettura digitale. Come lavorare alla promozione digitale della lettura? Può essere
utile una maggiore integrazione fra la pratica della lettura e la produzione e l’uso di contenuti
informativi digitali, per far crescere la motivazione e l’interesse nei confronti della lettura. Questa
prospettiva suggerisce di considerare l’ecosistema digitale e di rete come lo spazio che
accompagna la relazione attiva tra testo e lettore, anche quando la lettura avviene su carta. La
grande maggioranza dei lettori, di fatto, usa la rete per allargare la propria esperienza di lettura: la
lettura aumentata è considerata in questo caso come allargamento dell’orizzonte di fruizione e
reinterpretazione personale del testo, attraverso la possibilità di produrre e raccogliere risorse
digitali complementari e integrative. Qui emerge il ruolo di strumenti utili alla produzione e al riuso
di contenuti che possono accompagnare la lettura: le biblioteche scolastiche possono essere il
luogo in cui rendere possibile questo incontro, ed è su questi aspetti che il progetto The Living
Book sta lavorando, anche attraverso la predisposizione di apposite linee guida.
Il collegamento delle attività di ricerca, selezione e valutazione dell’informazione con la specificità
della situazione di lettura suggerisce alcune attenzioni ulteriori: innanzitutto tenere traccia delle
ricerche fatte e raccogliere in forma organizzata i contenuti reperiti, che potranno poi essere
riutilizzati da altri lettori. Alla ricerca occasionale andrebbe dunque sostituito l’uso di strumenti di
raccolta e aggregazione. In rete non esistono aggregatori pensati specificamente con l’obiettivo di
permettere la costruzione di un “diario di lettura”, ma ci sono diversi strumenti che si avvicinano a
questo scopo, avendo però il limite di concentrarsi quasi esclusivamente sui contenuti disponibili
online. Importanti sono le immagini: possono essere aggregate con bacheche condivise come
Pinterest o Padlet, ma rimangono totalmente indipendenti rispetto ad altre attività possibili sul
libro. In generale, la maggior parte degli strumenti di aggregazione non consente di organizzare i
contenuti seguendo una griglia o una struttura di riferimento creata dagli utenti e corrispondente
all’organizzazione complessiva del libro letto. Importanti sono gli strumenti di annotazione, ma ne
restano esclusi i libri non disponibili in formato digitale. Una menzione particolare merita LightSail,
una piattaforma legata alla gestione di biblioteche di testi disponibili online, ma che include la
creazione di gruppi di lettura, per la valutazione legata a test e per la generazione di statistiche
generali o legate a obiettivi di lettura.
Dunque, al momento l’offerta online sembra fornire da un lato strumenti per l’annotazione di testi
destinati esclusivamente alla fruizione digitale, dall’altro strumenti generali di aggregazione di
contenuti, non pensati per la creazione di raccolte legate alla lettura e strutturabili seguendo
l’organizzazione interna del libro letto.
Un ultimo aspetto è quello della protezione dei tempi e degli spazi della lettura: la lettura digitale
ha il potenziale per trasformare una esperienza di lettura immersiva, nella quale gli studenti sono
completamente focalizzati sul compito di leggere, in un'attività interattiva. Idealmente, però, la
lettura dovrebbe costituire sia il punto di partenza delle altre attività, sia il punto di arrivo: le
pratiche e gli strumenti in grado di “aumentare” l’esperienza di lettura devono insomma essere
concepiti in funzione della lettura, e non viceversa.
XXVII: Giochi
Il lavoro di avvicinamento alla complessità passa per la forma-libro, ma ad oggi possono essere
utilizzate anche altre tipologie di contenuti, come film o videogiochi. Esistono molti videogiochi
ispirati da libri e libri ispirati da videogiochi: Assassin’s Creed è un esempio, perché è ispirato al
romanzo Alamut e ha dato a sua volta origine a una serie di romanzi. Un esempio importante è
Pokémon Go, un gioco per dispositivi mobili che può essere collegato al mondo del libro. Il gioco è
figlio del gioco giapponese Pokémon, uscito nel 1996 per Game Boy, e che può essere considerato
come il risultato di tre forme ludiche preesistenti: collezionismo (di specie di Pokémon), i
“collectable card games”, e l’idea della “caccia al tesoro” sul territorio” (quindi, pensato per un
target di bambini). Gli elementi dell’universo pokémon tornano in Pokémon Go con un fattore
completamente nuovo, l’ambientazione nel mondo reale, che è figlia di un altro videogioco:
Ingress. Ingress è stato lanciato nel 2012 ed è stato il primo videogioco a larga diffusione basato
sulla realtà aumentata; la sua struttura narrativa è basata su una premessa fantascientifica e vede
due fazioni sfidarsi, dunque è un gioco con un target molto diverso rispetto a quello di Pokémon.
Le persone che giocano a Pokémon Go sono completamente immerse dal gioco, dunque, riconosce
G. Roncaglia: questo tipo di immersione non è un meccanismo simile a quello attivato dalla
lettura? Pokémon Go è solo un esempio, ma esistono videogiochi dalle potenzialità notevoli. Nella
sua forma attuale, può essere uno strumento di scoperta (è necessario camminare e scoprire posti
nuovi).
XXVIII: Digitale debole e digitale forte
Il tema di fondo del libro è il rapporto tra scuola, mondo del libro e mondo digitale. Vi sono
competenze (legate alla comprensione, alla ricerca, alla valutazione ecc.) che sono sempre state
affidate alla forma-libro, ma che si possono allargare anche alla considerazione di altre forme e
tipologie di contenuti digitali. Il problema principale riguarda il pregiudizio diffuso che vede
granularità e frammentazione come caratteristiche essenziali dell’ecosistema digitale. Il risultato è
una scuola ingessata, con pratiche didattiche incapaci di coinvolgere e motivare studenti e docenti.
Occorre rivisitare con strumenti nuovi le pratiche di costruzione della complessità del passato, a
partire dalla forma-libro e affiancare a risorse strutturate e curricolari anche risorse granulari e
integrative. Il digitale a scuola è stato spesso presentato anche come uno strumento di
decostruzione della didattica tradizionale, ma una decostruzione priva di strategie è improduttiva:
non c’è bisogno di un digitale debole, orientato alla granularizzazione dei contenuti (che produce a
sua volta una scuola debole). Il buon funzionamento del sistema scolastico dipende da una
pluralità di soggetti: studenti, insegnanti, personale tecnico, autori di contenuti di apprendimento
e degli strumenti necessari al loro uso.
Parte 4
XXIX: Didattica a distanza o didattica di emergenza?
Il 4 marzo 2020 viene emanato un decreto del presidente del Consiglio che obbliga i dirigenti
scolastici ad attivare, per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole,
modalità di didattica a distanza. Si è avviato così un gigantesco esperimento collettivo di didattica
online. L’autore distingue per il mondo della scuola quattro fasi diverse: la scuola del passato; la
scuola dell’emergenza, con una didattica a distanza sostitutiva; la scuola del periodo di convivenza
con il virus; e la scuola del futuro.
Anche per il mondo della scuola, la pandemia segna uno spartiacque: in ogni caso, la
sperimentazione di nuovi strumenti e metodologie, la necessità di un’organizzazione degli spazi più
flessibile e modulare, la necessità di lavorare con gruppi di studenti più piccoli e flessibili,
rappresentano un’opportunità di ripensamento complessivo delle metodologie didattiche.
Occorrerà però evitare sia di dimenticare un periodo drammatico attraverso il ritorno ai riti del
passato, sia di continuare ad affidarsi senza riflessione agli strumenti tecnologici. Quello che è stato
fatto infatti non è stato un esperimento di didattica a distanza, ma piuttosto di un esperimento
necessario di didattica di emergenza, basato su un uso obbligato, ma sbagliato, di strumenti nati
per essere utilizzati in altri modi. Esistono contesti in cui la didattica a distanza può essere
sostitutiva e non integrativa (corsi universitari interamente online), ma la scuola è un ambiente
fisico e relazionale, in cui il processo di apprendimento comprende anche il corpo e i sensi. La
scuola ha sempre usato le tecnologie (i libri, i quaderni, i banchi, sono prodotti dell’intelligenza
dell’uomo); e la scuola ha anche sempre utilizzato la didattica a distanza, come la lettura e lo studio
a casa. Gli strumenti di didattica online, che si è stati costretti ad usare in modo improprio ed
emergenziale, rappresentano per il mondo della scuola tecnologie utili per migliorare la qualità
della didattica, accompagnando il lavoro in presenza e non sostituendolo.
Nella situazione data, e considerate le disuguaglianze della dotazione tecnologica, delle
competenze e delle infrastrutture, l’esperimento ha funzionato meglio di quanto fosse prevedibile.
Il primo monitoraggio ministeriale, chiuso il 25 marzo 2020, valutava che circa l’80% degli studenti
fosse raggiunto da attività di didattica a distanza. Successivamente, il CENSIS ha rilevato un tasso di
dispersione inferiore al 20%. Per quanto riguarda le scuole superiori e le università, un’indagine
dell’osservatorio “Giovani e Futuro” di MTV ha rilevato un tasso di partecipazione alle attività in
e-lerning molto alto. In generale, quindi, la didattica a distanza di emergenza ha funzionato in
maniera discreta, raggiungendo la grande maggioranza delle studentesse e degli studenti, ma non
ha funzionato in maniera ideale: le disuguaglianze, l’assenza di una chiara comprensione del
quadro metodologico, la confusione fra scuola dell’emergenza e scuola del futuro costituiscono
criticità che è indispensabile affrontare.
XXXII: La scuola in TV
Una delle conseguenze della pandemia sul mondo della formazione è stata la rinnovata attenzione
rivolta al ruolo della televisione come strumento per la diffusione di contenuti educativi. Il servizio
pubblico radiotelevisivo del nostro paese è arrivato preparato al lavoro di emergenza che si è reso
necessario nel campo della televisione educativa: mentre la BBC, negli anni precedenti, aveva
progressivamente rinunciato agli spazi di televisione educativa tradizionale, a favore di canali
culturali (e quindi ha dovuto avviare una programmazione educativa specifica destinata al mondo
della scuola), la RAI aveva sempre conservato il canale RAI Scuola, affiancandolo e non
sostituendolo con altri canali culturali. L’aspetto più interessante del dibattito sul tema della
“scuola in TV” è legato non tanto alla discussione sull’allargamento degli spazi televisivi, quanto a
quella sulle tipologie dei contenuti educativi. Si chiedeva infatti alla RAI di “trasmettere lezioni”,
sulla scia di due pietre miliari della televisione educativa italiana: Telescuola e Non è mai troppo
tardi, la trasmissione del maestro Alberto Manzi degli anni ‘60. La richiesta era quella di
raggiungere con un’offerta in qualche modo “curricolare” le studentesse e gli studenti
impossibilitati a partecipare alla didattica a distanza. Ci sono però tre fattori che modificano la
situazione attuale da quella degli anni ‘60:
1. Quando furono avviate le esperienze di Telescuola e Non è mai troppo tardi, l’obbligo
scolastico di fatto si fermava alla quinta elementare: l’innalzamento alla terza media arrivò
solo con la scuola media unificata (1963). Quindi, mentre negli anni ‘60 il problema era
quello dell’alfabetizzazione di base, l’insieme di ordini, gradi scolastici e discipline da
considerare è molto più ampio.
2. La seconda considerazione riguarda la necessità di affiancare, e non sostituire, i docenti,
con cui anche durante la didattica d’emergenza gli studenti hanno mantenuto qualche
forma d’interazione. I programmi degli anni ‘60 prevedevano comunque gruppi di ascolto in
cui proseguire anche in presenza il lavoro, cosa impossibile nel periodo dell’emergenza
COVID-19.
3. L’offerta di televisione educativa attuale non può prescindere dall’importanza odierna della
rete. La BBC, col progetto Bitesize, non ha infatti prodotto lezioni tradizionali, ma contenuti
riusabili distribuiti principalmente attraverso il sito web e attraverso i servizi della TV
digitale interattiva.
La televisione ha un ruolo essenziale per un pubblico molto preciso: i bambini della scuola
dell’infanzia e dei primi anni della scuola primaria. Nel loro caso la didattica online è difficile da
organizzare ed è a maggiore rischio di dispersione. E’ necessaria quindi una programmazione
televisiva integrativa e mirata, che cerchi di riprodurre alcune delle dinamiche della scuola (com’è è
stato fatto da La banda dei fuoriclasse).
Il servizio pubblico radiotelevisivo ha risposto complessivamente bene all’emergenza, ma la
soluzione alle diseguaglianze di dotazione tecnologica e infrastrutturale non può essere quella
delle lezioni televisive: deve essere data lavorando con le scuole perché le competenze e le
tecnologie necessarie a un uso attivo e consapevole della rete siano disponibili per tutte e tutti, e
assicurando sull’intero territorio le infrastrutture necessarie a garantire un accesso economico e
veloce alla rete.
XXXIV: Piccoli gruppi crescono: lettura a casa e online durante l’emergenza (e dopo)
Nessun dato sembra indicare che nei mesi di quarantena gli italiani abbiano effettivamente letto di
più: nonostante l’isolamento a casa, l’ansietà e l’incertezza associate al periodo del lockdown
rendevano più difficile la lettura. Il neuroscienziato inglese Oliver J. Robinson ha osservato che il
problema non è solo legato alla difficoltà di concentrazione generata dall’ansietà, ma anche un
effetto di accelerazione della percezione del tempo (dovuta dall’ansia) che si contrappone al tempo
lento e protetto richiesto dalla lettura. Dall’altro lato, la situazione corrisponde anche alla difficoltà
che il nostro paese sembra avere nel lavorare sulla lettura come attività che può aiutare ad
affrontare meglio i periodi di crisi. A livello globale, in molti paesi le vendite di libri sono
effettivamente cresciute prima e durante il lockdown (come negli Stati Uniti). L’attenzione verso la
lettura ha riguardato anche molti fra gli organismi che lavorano per la promozione del libro; nel
Regno Unito, la Reading Agency ha proposto linee guida specifiche per “restare connessi”
attraverso la lettura durante l’emergenza: fra le proposte avanzate, la creazione di gruppi di lettura
a distanza. Resta quindi l’impressione che il nostro paese fatichi più di altri nel proporre la lettura
come un’attività adatta a periodo economicamente o emotivamente difficili; in questo senso, il
ruolo delle biblioteche scolastiche sarebbe essenziale, in particolare nell’aiutare i genitori a
mettere in atto strategie familiari di promozione della lettura. Il progetto ReadTwinning nei mesi
dell’emergenza ha lavorato su questo tema, proponendo come possibile modello quello di piccoli
gruppi di lettura che possono essere organizzati in famiglia o fra amici. L’idea alla base del progetto
è che, rispetto ai gruppi di lettura tradizionali, più adatti a lettori già “forti”, il lavoro in piccolissimi
gruppi possa risultare più efficace nell’avvicinare alla lettura chi non legge o legge poco. Fra gli
strumenti utilizzabili, il progetto propone l’uso di un diario di lettura condivisa, articolato in sezioni
che possano essere riempite da ogni partecipante; propone anche l’uso della lettura aumentata, e
dunque il ricorso alla rete come ambiente in cui reperire contenuti utili ad approfondire i temi del
libro. Il progetto si propone di realizzare una piattaforma online che possa fornire strumenti diretti
di collaborazione e ospitare i diari di lettura condivisa.