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LEONTIEV, etnùaen-

te personalità delle scienze eco ­


nomiche dell' U-. R. S. S.f porge
in questo breve cqmpendio di
economia politica all'attenzione
del lettore, con rigorosa e d o ­
cumentata critica, le centrad-
dizkni dell'attuale società capi­
talistica. Già M a rx a v ev a di­
mostrato come l’operaio, il la­
voratore, sia solo apparente­
mente pagato per tutte le sue
ore di lavoro,, mentre in realtà
il suo salario corrisponde soltan­
to ad una parte del suo ora­
rio di lavoro.

O ggi, che il capitale


ha assunto sempre più forme
mostruose, oggi che nel m o­
nopolio e nel trust si ha la più
precisa negazione della proprie­
tà individualeL sempre più evi­
dente risulta i! contrasto tra 1$
funzione sociale del lavoro e la
proprietà privata dei mezzi di
produzione.

LEONTIEV porge
appunto in questo compendio
allo studioso ed al lettore, i mo­
tivi fondamentali delle contrad­
dizioni e mette in risalto l'unica
soluzione. - La soluzione che
attraverso la lotta contro la con­
servazione e il privilegio, con
la guida dell’ideologia marxista-
leninista ha un nome, la realiz­
zazione della SO CIETÀ’ SO ­
C IA LIST A .
A. LEONTIEV

CORSO ELEMENTARE
DI

ECONOMIA POLITICA

T raduzione

di RUBENS TEDESCHI

Stabilimento Tipografico
UMBERTO F A BEI AN I
La Spezia
CAPITOLO I

CHE COS'È E CHE COSA INSEGNA


L'E CO N O M IA POLITICA ?

1 — Il Marxismo-Leninismo, dottrina del proletariato.

Nella sua lotta il proletariato è guidato dagli insegna-


menti di Marx, Engelsi Lenin e Stalin. Questi grandi maestri
e capi del proletariato hanno forgiato un’ arma potente:
essi hanno creato e sviluppato la teoria rivoluzionaria del
proletariato, il M arxismoi,eninismo è la guida della classe
lavoratrice nella sua battaglia contro il capitalismo : il Mar-
xismo-Leninismo è una solida arma nelle mani della classe
cosciente dei lavoratori di tutti i1paesi che iniziano la lotta
contro il capitale; dopo il trionfo della rivoluzione prole,
laria, esso mostra alla classe lavoratrice la via della vitto-
ria nelle successive) battaglie contro tutti i nemici del socia-'
Usino, esso le permette di seguire una giusta politica coro-
nando la costruzione di una società completamente socialista-
Nella sua spiegazione del primo schema di program-
ma del Partito Bolscevico, Lenin scrisse più di trent’anni fa
che la teoria marxista

« ... per la prima trasformò il socialismo da utopia


in scienza, ne costituì la solida base, e indicò la via

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lungo la quale procedere nello sviluppo e nell’elabo-
razione ulteriore di questa scienza in tutti i suoi par,
ticolari.
« Essa scoprì l'essenza della moderna economia capita-
listica. spiegando come l’ ingaggio del lavoro, l’ acquisto
della forza-lavoro, mascherino la riduzione in schiavitù
di milioni di proletari da parte di un piccolo gruppo
di capitalisti, proprietari di terre, di fabbriche, di m i-
niere, ecc. Essa mostrò come tutto lo sviluppo del ca-
pitalismo moderno tenda alla distruzione delle piccole
imprese sostituendole con la grande produzione, crean.
do le condizioni che renderanno possibile e necessario
il regime socialista della società. Essa insegnò a tutti
a distinguere — sotto il manto della tradizione stabi-
lita, dell’intrigo politico, delle leggi capziose e degli
insegnamenti oscuri —• la lotta delle classi, la lotta fra
la classe proprietaria di tutti i beni e la classé che non
possiede nulla, il proletariato, che è alla testa di tutte
le masse non abbienti.
« Questa teoria ha fissato il compito attuale del par-
tito rivoluzionario socialista: non la concezione di pia-
ni per la riorganizzazione della società, non le prediche
ai capitalisti e ai loro satelliti per il miglioramento de-
le condizioni dei lavoratori, non l’ organizzazione di co-
spirazioni, ma Vorganizzazione della lotta di classe del
proletariato e il comando di questa lotta, la cui mèta
finale è la conquista del potere politico da parte del
proletario e la costruzione della società socialista »...
LENIN, « 11 nostro programma ».Il
Il marxismo fu il primo a dare una veste scientifica
allo studio della storia dell’umanità, poiché gli scienziati
borghesi sono impotenti a spiegare le leggi dello sviluppo
della società. Essi, espongono la storia della società come una
catena indefinita di accidenti nei quali è possibile trovare
una legge definita che li colleghi; Marx fu il primo a m o.
strare che lo sviluppo sociale, come lo sviluppo naturale,
segue una legge interiore determinata. A differenza, però,

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dalle leggi della natura, le leggi dello sviluppo della società
umana non si realizzino indipendentemente dallo sviluppo
della volontà delle azioni dell’ uomo^ ma, al contrario, at-
traverso l’azione delle larghe masse umane. Il marxismo
scoprì che il sistema capitalista, a causa delle contraddizio-
ni inerenti alla sua essenza stessa, marcia in flessibilmente
verso !a( sua propria distruzione, avvertendo, però, che la di-
struzione del capitalismo non avverrà da sola, ma come ri-
sultato di una dura lotta di classe del proletariato contro
la borghesia. La teoria social.democratica che,. dal presu-
mibile sviluppo della società secondo leggi definite, trae la
conclusione che la classe lavoratrice deve restarsene seduta
con le braccia incrociate in attesa che queste leggi pongano
il socialismo al posto dal capitalismo, costituisce una cras-
sa distorsione del marxismo. Le leggi dello sviluppo sociale
non si realizzano automaticamente da sole, ma si scavano
la loro via attraverso la lotta delle classi nel seno della
società.
Il proletariato, armato degli insegnamenti marxisti-le-
ninisti, conduce la lotta per il socialismo con sicurezza.
Esso conosce le leggi dello sviluppo sociale) con la sua lot-
ta, il suo lavoro, la sua attività; segue queste leggi che lo
conducono all’inevitabile distruzione del capitalismo e alla
vittoria del socialismo.
Il marxismo-leninismo mostra nella sua nudità la lot-
ta della classe dei diseredati contro i loro oppressori, esso
insegna che l’ unica via che conduce al socialismo passa at-
traverso una decisa lotta di classe del proletariato per lo
spodestamento della borghesia e lo stabilimento della sua
dittatura.

2 — Differenze di classe sotto il capitalismo.

Consideriamo un paese capitalista. Tanto se si tratta


di un paese avanzato, quanto se si tratta di un paese arre-
trato, la prima cosa che colpisce è la differenza delle classi.
In splendidi palazzi, in strada bordate d’ alberi e di aiuole,
vivono i pochi ricchi; in case sporche, fumose; in camere

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ammobigliate o in, squallide baracche, in strade senza gioia,
vivono i lavoratori, i creatori delle immense rendite dei
ricchi.
Sotto il capitalismo la società è divisa in due grandi
campi nemici, in due classi opposte : la borgresia e il p ro-
letariato. La borghesia ha tutta la ricchezza, e tutto il p o-
tere nelle sue mani, essa ha le terre, i boschi, le fabbri,
die, le miniere,, le banche, le ferrovie; la borghesia è la
classe dirigente. 11 proletariato ha tutta Voppressione e la
povertà. La contraddizione tra borghesia e proletariato —
questa è la più importante caratteristica di un paese capi-
talista. La lotta tra la classe lavoratrice e la borghesia —
questo è ciò che ha la precedenza su ogni altra cosa.
L'abisso tra queste due classi diviene ogni giorno più pro-
fondo, più largo. Col crescere delle differenze di classe,
cresce l’ indignazione delle masse della classe lavoratrice,
cresce la loro decisione di combattere, come cresce la loro
consapevolezza rivoluzionaria, la fede nella propria forza
e nella vittoria finale sul capitalismo.
Le crisi apportano sofferenze indicili al proletariato.
Disoccupazione generale, diminuzione di salari, migliaia di
suicidi di gente ridotta alla disperazione, morte per denu-
trizione, accresciuta mortalità infantile : ecco le gioie che
il capitalismo riserva ai lavoratori. Nello stessso tempo la
borghesia riscuote le sue immense rendite.
Così, per esempio, secondo i giornali tedeschi, 43 di-
rettori del trust dei colori ricevono 145.000 marchi all*an-
no ciascuno; 4 direttori della Schnbert e Saltzer 145.000
marcili ciascuno, 2 direttori della Corporazione? lise 130.000
ciascuno; 7 direttori della Corporazione Mannesmann 135
mila ciascuno; 22 direttori delle Compagine Riunite d’A s.
sicurazione 80.000 ciascuno.
Milioni di persone debbono essere affamate affinchè un
pugno di parassiti vivano nel lusso e nell’ ozio. Questo è
il quadro che il capitalismo presenta, questo è il quadro
delle contraddizioni di classe spinto al suo estremo da una
crisi senza precedenti.

6
Gli interessi della borghesia e del proletariato sono
opposti l’un l’altro ; la borghesia si sforza di mantenere il
suo predominio con tutti gli artifizi della violenza e del.
I odio, mentre il proletariato tenta, in proporzione alla sua
accresciuta coscienza di classe, di finirla con la schiavitù
capitalista, sostituendovi l’ ordine socialista.
La borghesia e il proletariato sono le classi fondamen-
tali nei paesi capitalisti; le loro relazioni, le loro lotte so-
no quelle che determinano il destino dela società capita-
lista. Tra la borghesia e il proletariato, vi sono tuttavia
altri strati intermedi; in molti parsi, anzi, questi strati in-
termedi sono assai numerosi.
Gli strati intermedi sono costituiti dai piccoli e medi
contadini (fittavoli), dagli artigiani e artieri,, e compongono
la piccola borghesia. Ciò che li avvicina alla borghesia è
la proprietà personale della terra, degli strumenti e attrez-
zi, ma, contemporaneamente, essi sono dei lavoratori e
questo li avvicina, al proletariato. 11 capitalismo tende, ine.
vitabilmente, all’ impoverimento degli strati intermedi che
stanno per essere schiacciati. Un numero insignificante sì
fa strada tra gli sfruttatori, mentre la grande maggioran-
za viene impoverita e rigettatta nei ranghi del proletariato.
Perciò, nella sua lotta contro il capitalismo, il proletariato
Irova degli alleati nelle grandi masse di questi lavoratori.

3 — Che cosa sono le classi?

La borghesia e il proletariato — queste sono le due clas-


si maggiori in ogni paese capitalista. La borghesia coman-
da, ma non può esistere senza la classe lavoratrice; il ca-
pitalista non può prosperare se centinaia di migliaia di
lavoratori non curvano la schiena nei suoi campi e nelle
sue fabbriche; il sangue e il sudore dei lavoratori si con-
vertono in monete tintinnanti per gonfiare le tasche dei
ricchi. L ’ ingrandirsi e il rafforzarsi della legge borghese
provoca lo sviluppo della classe lavoratrice che alimenta
in numero ed in solidarietà. Così la borghesia scava la sua
stessa tomba e, mentre il sistema capitalistico si sviluppa,
le forze della nuova società socialista maturano nel suo se.
no. Le classi, le loro battaglie, l’urto degli interessi di
classe : questi sono gli clementi costitutivi della vita della
società capitalista.
Mas. che cosa sono le classi? Lenin rispondeva così a
questa domanda :

« Che cosa si intende generalmente per classe? Ciò che


permette ad una parte della società di appropriarsi il
lavoro* dell’altra parte. Se una parte della società si ap-
propria tutte le terre, noi abbiamo le due classi dei
latifondisti e dei contadini. Se una parte della società
si appropria le materie prime e le fabbriche, i dividen-
di e il capitale, mentre l’ altra parte lavora in queste
fabbriche, noi abbiamo le classi dei capitalisti e dei
proletari ». (Discorso al III Congresso della Lega della
Gioventù Comunista Russa).

Q uale quindi il segreto che rende possibile ad una


parte della società di impadronirsi del lavoro di un’ altra
parte della stessa società? E quali sono le ragioni dell’esi-
stenza di un intero, gruppo di persone che « non seminano,
, ma raccolgono »?
Per rispondere a queste domande bisogna esaminare co-
me è organizzata la produzione nella società. Ogni lavora-
tore, ogni contadino sa benissimo cosa s'intende per pro-
duzione. Per vivere occorrono cibo, abiti e case. Ogni
lavoratore sa benissimo che il lavoro è impiegato a co-
struire case, coltivare terre, produrre pane, è impiegato
nei campi e nelle ^fabbriche per produrre le cose di cui
l ’uomo ha bisogno — ogni contadino, ogni operaio lo sa
perchè egli stesso partecipa a questo lavoro.
Per mezzo del lavoro l'uomo trasforma i beni forniti
dalla natura e li rende atti al proprio uso ed alla soddi-
sfazione dei propri bisogni. Nelle viscere della terra l’uo-
mo trova il carbone, il minerale di ferro, il petrolio. Col
suo lavoro egli estrae queste sostanze utili e le porta alla
superficie. Qui il materiale di ferro è fuso, e purificato. Col

IO
metallo ottenuto si forgiano poi le cose più diverse : dalla
locomotiva al temperino. Ognuno sa che l’uomo noni lavora
isolato; ma in comunità, Che cosa potrebbe fare l’uomo
isolato di una miniera di carbone o di ferro, di un impian-
to o di una fabbrica? E prima ancora come potrebbero
sorgere tali intraprese senza gli :sforzi collettivi di migliaia
o di decine di migliaia di uomini? Ma non è solo nelle
grandi imprese che il lavoro individuale è inconcepibile.
Nemmeno il piccolo contadino che lavora il suo piccolo an-
golo di terra con l’ aiuto della sua vecchia rozza potrebbe
farlo se un certo numero di altri uomini non gli fornisse
l’ indispensabile. L ’ artigiano che lavora da solo non po-
trebbe andar molto lontano, senza gli strumenti e i mate-
riali che sono prodotti dal lavoro altrui.
Noi quindi vediamo che la produzione si effettua in
società. La produzione è sociale, ma è organizzata in vari
modi.
Terra, stabilimenti, macchine e materia prima sono ne-
cessari alla produzione. Tutti questi beni sono chiamati
mezzi di produzione. Ma i mezzi di produzione sono cose
morte senza il lavoro umano, Senza la viva capacità lavora-
tiva. Soltanto quando il lavoro umano è applicalo ai mezzi
di produzione si inizia il processo produttivo. Il posto e la
ìmporàtanza nella società umana dele diverse classi sono
determinati dalle relazioni di ogni classe con i mezzi di pro-
duzione. Per esempio nel sistema feudale, il mezzo di pro-
duzione, la terra, apparteneva al signore che, valendosi del-
la sua proprietà della terra, sfruttava i contadini. Nel si-
stema capitalista, tutte le imprese; tutti i mezzi di produ-
zione sono nelle mani della borghesia. Le classi lavoratri-
ci non hanno meiz;zi di produzione. Questa è la base per
lo sfruttamento borghese del proletariato.
11 capitalismo non fu il creatore delle classi e delle
differenze di casse. Le classi esistevano prima del capita-
lismo, nel sistema feudale, ed ancor prima. Ma il capi-
talismo sostituì nuove classi alle vecchie e creò nuovi m e-
todi di oppressione e di lotta di classe.

11
« Le classi sono larghi gruppi di individui, differenti
secondo la loro situazione nel sistema storicamente sta-
bilito della produzione sociale, secondo i loro rapporti
(più o meno fissi e formulati in leggi)- coi mezzi di pro-
duzione, secondo la loro situazione nell’organizzazione
sociale del lavoro e, conseguentemente, secondo il lo-
ro metodo di ottenere i beni sociali di cui dispongono
e le quote di partecipazione alla loro divisione. La clas-
. si sono gruppi di individui in cui un gruppo può ap-
propriarsi il lavoro di un altro gruppo a causa della
differenza delle loro rispettive posizioni neH’ordine de-
finitivo dell’ economia sociale ». (LENIN, La grande ini-
zizativa).

4 — Forze produttive e rapporti di produzione.

Il marxismo fu il primo a scoprire la legge dello svi-


luppo della società umana. Marx mostrò che l’economia sta
alla base dello sviluppo sociale e che la molla di questo
sviluppo è la lotta di classe. La lotta delle classi oppresse
contro i loro oppressori è la principale forza motrice della
storia.
Noi abbiamo già visto che le classi differiscono secondo
il posto che occupano in un dato sistema di produzione
sociale, e che il posto occupato da ogni classe è determi-
nato dalle relazioni di quella classe con i mezzi di produ-
zione. Dei rapporti definiti si stabiliscono tra gli uomini
durante il processo di produzione.
Noi sappiamo già, che» la produzione sociale è variamen-
te organizzata. Nei sistemi capitalisti vi è un sistema so-
ciale, nell’Unione Sovietica ve ne è uno completamente
diverso. Nei paesi capitalisti il proletariato è costretto a
lavorare per il capitalista ed a sottomettersi ad una legge
arbitraria. Là le materie prime, le fabbriche, le ferrovie,
le terre, le banche appartengono tutte alla borghesia che
ha quindi tutti i mezzi di produzione nelle sue mani. Que-
sto rende possibile alla borghesia di succhiare la linfa vi-

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tale dai lavoratori, di opprimere e di rendere schiava la
classe lavoratrice. 1 rapporti tra la borghesia e il prole-
tariato, tra gli oppressori capitalisti e i lavoratori sfruttati
pongono un’ impronta caratteristica sull’ intero ordinamen-
to di ogni paese capitalista. Nell’Unione Sovietica, al con-
trario, il proletariato occupa la posizione dominante nei
campii nelle fabbriche e.nell'intero Stato.
Nel corso della produzione, tra gli uomini e tra in-
tere classi, si stabiliscono relazioni definite che noi chia-
miamo rapporti di produzione. Quelli tra lavoratori e capi-
talisti possono servire come esempio. Ogni sistema sociale,
ogni sistema di produzione sociale,! è caratterizzata dai rap-
porti di produzione che vi dominano. Nell’Unione Sovie-
tica i rapporti di produzione sono interamente diversi da
quelli esistenti nei paesi capitalisti.
Chi determina i rapporti di produzione nella società e
da cosa dipendono?
Marx dimostrò che i rapporti di produzione dipen-
dono dal livello di sviluppo delle forze produttive materia*
li della società. A differenti stadi del suo sviluppo una so-
cietà possiede differenti livelli di forze produttive. Attual-
mente la produzione s’imposta principalmente; sull’industria
pesante e sulle fabbriche per mezzo dii macchine assai com-
plesse. Anche nell’agricoltura, dove per secoli è stato im -
piegato il vecchio aratro di legno, le macchine sono ora
usate in proporzione sempre maggiore. Nel passato, quindi,
il lavoro umano era completamente diverso, le moderne
macchine complicate non erano nemmeno sognate : nei
tempi antichissimi un bastone e una pietra erano gli unici
strumenti conosciuti dall’uomo. Migliaia d’ anni sono pas-
sati da allora. Lentamente ritorno scopri sempre nuovi meto-
di di lavoro, gli strumenti e le macchine furono i servi o
e gli aiuti dell’uomo; col loro aiuto l’uomo può ora pro-
durre una quantità tale di oggetti quale una volta sarebbe
sembrata fantastica. Naturalmente col cambiare dei mezzi
di produzione, con l’ introduzione di nuove macchine è pro-
prio il lavoro umano a cambiare. Negli ultimi centocin-

. . . • 13

i
quant’ anni, i progressi tecnici sono stati particolarmente
rapidi.
Un secolo e mezzo fa non si sapeva nulla della macchi-
na a vapore; ’’ l’elettricità è impiegata solo da cinquantanni;
le ferrovie! si sono sviluppate soltanto da un secolo; le auto-
mobili sono divenute comuni nelle ultime decadi e i trat-
tori ancor più recentemente. Ci si può ricordare benissimo
della prima comparsa dell’aeroplano, poco tempo prima
della guerra, mentre la radio si sviluppò soltanto durante
la guerra (1).
Non sono però unicamente gli strumenti — questi aiu-
tanti inanimati dell’uomo — a svilupparsi : nello stesso tem-
po si sviluppa la forza produttiva vivente della società. La
più grande forza produttiva consiste nella classe stessa dei
lavoratori, nell’uomo stesso. L ’ abilità, la periziai la sapien-
za dell’ uomo crescono con lo sviluppo delle macchine e col
progresso della tecnica. Non ci potevano essere aviatori fin-
ché l’ aeroplano non era nato, nè conduttori di automobili
senza le automobili.( L ’ uomo non impara soltanto a lavo -
rare con l’ aiuto di macchine, complicate, ma prima di tutto
le crea, le costruisce.
Assieme con lo sviluppo delle forze produttive cam-
biano i rapporti di produzione. Marx insegna che i rapporti
di produzione sociale cambiano simultaneamente con lo, svi-
luppo dei mezzi materiali di produzione, con la trasforma-
zione delle forze produttive.
Inoltre il trapasso da una forma di dominazione di
«■lasse atl un’ altra è inseparabilmente legato allo sviluppo
delle forze produttive della società. Così, per esempio, lo
sviluppo del capitalismo è congiunto con la diffusione della
produzione su.larga scala e con l’apparire delle macchine.
Noi abbiamo visto, per esempio, che nei primi tempi lo
stadio di sviluppo delle forze produttive era assai basso.1

(1) Questo libro è stato scritto dopo ia grande c ris i econom ica del 1928-38
a cui l ’autore si r ife r isce Bpesso come alla «crisi attuale». Quando si parla
della «guerra» si intende quindi quella del 1914*18. (N .d.T .)

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Gli strumenti di lavoro non erano ancora sviluppati, e l’uo-
mo non poteva adeguatamente combattere con la natura. Le
tribù primitive potevano appena giungere a nutrirsi con i
prodotti della terra; non si potevano creare riserve e quindi
non poteva sorgere un sistema di classi in cui uno vive a
spese di un altro. La divisione della società in classi appa-
re ad uno stadio più alto dello sviluppo delle forze pro-
duttive.
Fino a un certo punto i rapporti stimolano lo sviluppo
delle forze produttive materiali. Così, per esempio, il capi-
talismo cambiò radicalmente i vecchi metodi di' lavoro, creò
e sviluppò la produzione meccanica su larga scala. Ma, ad
un certo punto del loro sviluppo, le forze produttive vengo-
no ad urtarsi con i rapporti di produzione nei quali si
svilupparono.

« Da forme evolutive delle forze di produzione questi


rapporti si trasformano nelle loro catene. Allora su-
bentra il periodo della rivoluzione sociale ». (MARX-
, Critica dell’economia politica. Prefazione).

Oggi noi viviamo in un tale periodo di rivoluzione-so-


ciale. 1 rapporti di produzione della società capitalista si
sono impastoiati nei legami che ostacolano l’ulteriore svi-
luppo delle forze produttive. Sovvertendo il potere del ca-
pitale il proletariato spezza quelle pastoie. La rivoluzione
proletaria libera le forze produttive dalle catene del capi-
talismo ed apre un orizzonte illimitato al loro sviluppo.

5 >— Scopo dello studio dell’ economia politica■

1! sistema capitalista, arrestandosi come fa allo sfrutta-


mento brutale dei lavoratori, non può superare il livello a
cui è giunto. Soltanto l’ epica lotta rivoluzionarial della clas-
se lavoratrice, allacciando la sua alleanza con la massa dei
contadini e dei lavoratori delle colonie, giungerà al sovver-
timento del capitalismo e alla vittoria del socialismo nel
mondo intero.

15
Come è organizzalo ii capitalismo, come è organizzato
l’ apparato per mezzo del quale il potere del capitalismo
rende schiave le masse lavoratrici? E’ importante sapere
questo per poter prendere una parte attiva e cosciente alla
grande battaglia che sta estendendosi a tutto il mondo tra
capitalismo e socialismo.
Lo sviluppo del capitalismo conduce alla vittoria della
rivoluzione proletaria, al trionfo del nuovo sistema sociali,
sta. Questo fu stabilito da Marx molti anni fa. Egli giunse
a quésta conclusione attraverso lo studio profondo del siste,
ma capitalista di produzione* attraverso la scoperta delle
leggi del uo sviluppo e del suo declinio.
Questo mostra chiaramente quale sia il tremendo signi-
ficato contenuto nell’economia politica che, secondo le pa-
role di Lenin, « è la scienza che tratta dello sviluppo dei
sistemi storici della produzione sociale ». Questa scienza
occupa il posto più importante in tutti gli insegnamenti di
Marx e di Lenin.
Nella sua introduzione al Capitale, Marx dice :

• « Lo scopo finale di questo lavoro è la scoperta della


legge economica dello sviluppo della società moderna »,
cioè della società capitalista ».
Marx si pose egli stesso il compito di scoprire la legge
dello sviluppo della società capitalista per guidare il pro-
letariato alla lotta per la libertà.

« Lo studio dei rapporti di produzione in una data so-


cietà storicamente determinata, nella loro genesi* svi-
Iuppo e .decadenza — tale è il contenuto della dottrina
economica di Marx », dice Lenin. (Il marxismo di Marx-
Engels - Carlo Marx).I
I servitori della borghesia tentano di provare che il si-
stema capitalistico, i rapporti capitalistici sono eterni e im-
mutabili. 11 loro scopo è chiaramente evidente. Essi vor-
rebbero convincere i lavoratori che non si può nemmeno
parlare di rovesciamento del capitalismo. La caduta del

16
capitalismo! essi dicono, sarebbe la caduta dell’ umanità, che
secondo loro, può esistere sulla base del sistema capitali-
sta. Essi tentano perciò di rappresentare tutte le leggi fon-
damentali del capitalismo. tutti_ i più importanti rapporti
del sistema capitalista, come leggi eterne, come rapporti im-
mutabili. Così è sempre stato, cosi’ sarà sempre —■ dicono
i corifei della borghesia.
L'economia politica di Marx e di Lenin non lascia in,
piedi una pietra sola della costruzione dei reazionari. La
teoria marxista-leninista mostra come i rapporti capitali-
stici nascano dalle rovine dei sistemi precedenti, come il
sorgere e lo sviluppo delle contraddizioni interne che la-
cerano il capitalismo! inevitabilmente lo conducano alla
sua distruzione, e alla vittoria della rivoluzione socialista
del proletariato, fossa della borghesia.
La storia del’umanità ci dice che l’uomo ha vissuto
sulla terra per migliaia di anni senza saper nulla' del capi-
talismo. Le leggi che l’economia politica pose alle produ-
zione capitalista non sono nè eterne, nè immutabili; al icon-
trario, queste leggi apparvero soltanto col capitalismo e
scompariranno con la distruzione del capitalismo che le o,
Yiginò.
Questo significa, insomma, che l’ economia politica non
può limitarsi soltanto allo studio dell’ordinamento capita-
listico della società, ma deve anche studiare le epoche pre-
cedenti dello sviluppo dell’umanità.
L ’ economia politica marxista-leninista penetra profon-
damente in tutti i più intimi recessi del sistema capitalista
di coercizione e di sfruttamento! coprendo la vera natura
dei rapporti di classe che i sapienti servitori della borghesia
cercano di alterare.
Il marxsimo-leninismo studia i rapporti generali di p ro -
duzione nella società capitalista, nel loro sviluppo e nelle
loro trasformazioni. Le forze produttive della società uma-
na si sviluppano, come abbiamo già mostrato, nel quadro
di rapporti di produzione definiti. Lo sviluppo della socie-
tà capitalista, tuttavia, raggiunge il punto in cui le forze

17
produttive superano i confini imposti dai rapporit di pro-
duzione nei cui limiti esse crescono e si sviluppano per un
certo tempo. Le contraddizioni tra le forze produttive del-
la società capitalista e i suoi rapporti di produzione diven-
gono poi più larghe e più profonde. Queste contraddizioni
trovano la loro espressione nella lotta di classe tra la bor-
ghesia che difende il sistema dello sfruttamento e il prole-
tariato che combatte per l’ abolizione di ogni sfruttamento
dell’ uomo sull’ uomo.
L ’economia politica marxista-leninista concentra la sua
attenzione sullo sviluppo delle contraddizioni che lo condu-
cono alla distruzione del capitalismo ed alla vittoria della
rivoluzione de! proletariato. La rivoluzione sociale dipende
dalle contraddizioni tra le forze produttive e i rapporti di
produzione nel capitalismo, che trovano la loro» espressione
nella lotta di classe e che divengono inevitabilmente sem-
pre più acute quanti più la società capitalista si sviluppa.

6 — L ’economia politica e. la costruzione del socialismo.

11 socialismo tende a rimpiazzare il capitalismo. Sotto


il socialismo la struttura dei rapporti di produzione nella
società è completamente diversa da quella che è sotto il
capitalismo. Orai deve l ’economia politica studiare questi
nuovi rapporti? Naturalmente lo deve. Lenin hiv dimostrato
che l’economia politica è « la scienza che tratta dello svi-
luppo dei sistemi storici della produzione sociale».
Engels, che fu compagno d’ armi più vicino a Marx,
ha sottolineato che :
« L ’ economia politica, nel suo più largo significato, è
la scienza delle leggi che governano la produzione e lo
scambio dei mezzi materiali di sussistenza nella società
umana ». (ENGELS, Anti-Piihring).
L ’ economia politica non deve quindi studiare soltanto
il capitalismo, ma anche le epoche che lo precedono e
quelle che dovranno rimpiazzarlo nell’ ordinamento della
società.
Questo significa forse che le stessi leggi prevalgono in
tutti i sistemi di produzione sociale? A l contrario ogni si-
stema di produzione sociale ha le sue proprie leggi parti-
colari e le leggi che prevalgono nell’ ordinamento capita-
lista perdono la loro forza e il loro signficato sotto il so-
cialismo.
Oggi, mentre il socialismo è vittoriosamente insediato
in un sesto del globo, è chiara la necessità pratica di stu-
diare tanto la sua struttura economica che il periodo di
transizione dal capitalismo al socialismo. Per noi la teoria
non è un dagma (cioè una dottrina religiosa morta), ma
una guida all’ azione. Senza una teoria rivoluzionaria è im-
possibile che la classe più rivoluzionaria della storia possa
compiere il più grande movimento di liberazione del mondo.

« V o i sapete che una teoria, quando è una vera teoria,


dà ai lavolatori manuali la possibilità di orientazione,
di chiarezza, di prospettiva, di fede nel lavoro e di con-
fidenza nella vittoria della loro causa. Tutto questo è,
e dev’ essere, di enorme importanza per la causa del
nostro edificio socialista » dice il compagno Stalin. (Le-
ninismo, voi. 11, « Problemi di Politica Agraria nella
Unione Sovietica »).

La politica economica deve dare una esatta e precisa


comprensione, non soltanto delle leggi che governano lo
sviluppo e il declinio dej capitalismo,, ma anche delle leggi
che governano il nuovo ordine socialista sorgente sulle ro-
vine del capitalismo. L ’economia politica marxista-lenini-
sta getta una chiara luce sul quadro del mondo capitalista
decadente e del nuovo mondo socialista in costruzione nel-
ru .R .s.s.
E chiaro che soltanto i nemici della costruzione socia-
lista possono tentare di confinare l’economia politica allo
studio del solo sistema capitalistico. Un tale tentativo è
diretto a impedire la comprensione teorica del vasto espe-
rimento di costruzione economica nell’ Unione Sovietica che*

19
è della massima importanza per le classi lavoratrici del
mondo intero.
Soltanto i nostri nemici possono tentare di dividere la
teoria, che affonda le sue radici nella pratica, dalla prati-
ca stessa. Una tale concezione dell’ economia politica, come
scienza che si accorda esclusiamente coi sistema capitalista,
fu sostenuta da molti economisti, per iniziativa di Hilfer-
ding, teorico della ocia 1- de riiocra zi a, che tentò una revisio-
ne idealistica del marxismo.
Due mondi, quello del capitalismo e quello del sociali-
smo, costituiscono oggi il centro dell’ attenzione nell’ econo-
mia politica.

7 — Due mondi, due sistemi.

Una distruzione ed una disintegrazione senza precedenti


stanno scatenandosi nei paesi capitalisti, devastati,, dall’ au-
tunno del 1929, da una crii di forza e di profondità insor-
montabili.
Questa crisi ha superato ogni altra precedentemente
sperimentata nel mondo capitalista per la sua gravità; la
sua lunghezza e la miseria che ha causato alle classi la-
voratrici.
La crisi provocò tremende rovine tanto all’ industria che
all’ agricoltura perchè, a causa della mancanza di mercati,
la produzione è stata ridotta al suo livello minimo, arre-
stando il lavoro nelle fabbriche e negli impianti, e get- ,
tando sul lastrico milioni di lavoratori. Nelle campagne le
aree coltivate sono state, ridotte e milioni di contadini ro-
vinati. t
Grandi quantità di beni furono semplicemente distrutti :
nel Brasile il caffè fu buttato nell’Oceano; gli Stati Uniti
usarono il grano per le ferrovie; il latte fu versato nei fiu-
mi; il pesce rigettato nel mare, il bestiame ucciso, i rac-
colti distrutti — e tutto questo fu fatto per ridurre le
quantità di viveri gettate sul mercato. Oggi, sorpassato il
punto più basso della crisi, il capitalismo ha rafforzato
facilmente la posizione delFindustria per mezzo di un in-

20
lensificato sfruttamento della mano d’opera, di una mag-
gior rapina ai danni dei contadini, e di una più larga spo-
gliazione delle colonie. Ma non si può tuttavia parlare di
una seria ripresa dei paesi capitalisti da quando il capita-
lismo ha iniziato la sua parabola discendente verso la di-
sintegrazione. La borghesia cerca una via di uscita dalla
crisi coll'aumentare ,lo sfruttamento delle masse dei lavoratori
coll’aprire la via ad; una nuova guerra imperialista e di in-
tervento nell’U.R.S.S. La borghesia sta elevando la nuova
dominazione fascista ad un livello mai visto prima, nello
sforzo di tenere soggetti i lavoratori con un terrore sangui-
nario.
Durante gli anni di questa profonda crisi nel mondo
capitalista! i’ U R .S.S. ha completato con successo in quat-
tro anni il suo primo piano quinquennale ed oggi sta vit-
toriosamente realizzando il suo secondo piano quinquenna-
le, costruendo la società socialista senza classi.
L ’ U.R.S.S. ha gettato le fondamenta dell’ economia so-
cialista durante il periodo del primo piano quinquennale.
L'industria socialista su larga scala, base fondamentale del
socialismo! si è enormemente sviluppata; sono state create
dozzine di nuove industrie che prima non esistevano; in
particolare l’industria pesante, ch e la base dell'intera eco-
nomia nazionale, ha fatto grandi progressi.
Durante il periodo del primo piano quinquennale, l’U.
R.S.S. ha arche adempiuto il tremendo compito di riorga-
nizzare l’agricoltura su principi socialisti. 11 nuovo sistema
di fattorie collettive (colkos) ce aprì la porta di una vita
agiata e dignitosa a milioni di contadini, ha trionfato nel
villaggio. Le grandi masse di contadini! i colcosiani, costi-
tuiscono un sostegno del potere dei Soviet, mentre l’ultimo
baluardo del capitalismo, il kulak (il ricco contadino sfrut-
tatore), è stato abbattuto.
La classe lavoratrice è cresciuta enormemente; le con-
dizioni di vita di larghe masse di contadini sono migliorate.
L ’Unione Sovietica è stata trasformata in una terra di cul-
tura progredita. L’ educazione obbligatoria è stata introdotta

21
e l’ analfabetismo di decine di milioni di uomini è stato
spazzato via.
Milioni di fanciulli e di adulti studiano! in varie scuole.
Immensi successi sono stati realizzati nell’ introduzione del-
la disciplina lavorativa socialista. L ’ energia e l’attività, l’en-
tusiasmo di milioni di costruttori del socialismo sono cre-
sciuti immensamente.

(( Come risultato del primo piano quinquennale fu di-


mostrato per la prima volta, davanti agli occhi di cen-
tinaia di milioni di lavoratori di tutto il mondo, la
possibilità pratica del sistema socialista nel mondo in-
tero ». Nell’Unione Sovietica « l’operaio è il colcosiano
hanno acquistato piena confidenza nel domani e il li-
vello costantemente elevantesi della vita materiale e
culturale dipende esclusivamente dalla quantità e qua-
lità de! loro lavoro. Lo spettro della disoccupazione,
della miseria e della fame, è svanito per i. lavoratori
russi. Ogni operaio ed ogni colcosiano guarda il futuro
con gioia e con sp< ranza e chiede sempre maggiore e-
ducazione e maggior cultura ». (Risoluzioni e decisioni
del XVII Congresso del P. C. (b) delVU.R.S.S.).

Nello stesso tempo, nelle terre del capitale, le masse


degli operai soffrirono indicibili privazioni. L ’ esercito dei
disoccupati crebbe col crescere della crisi fino a raggiun-
gere l’ imponente massa di 50 milioni. Questo significa che
Fattuale crisi condanna a tutte le torture della disoccupa-
zione e della fame un numero di lavoratori che, assieme
alle loro famiglie, supera la popolazione del più grande
paese capitalista : gli Stati Uniti fi’America.
Ora che il più basso punto della crisi è passato, non
soltanto non c’è nessun miglioramento delle condizioni del-
le masse dei lavoratori, ma, al contrario, le loro condizioni
stanno continuamente volgendosi al peggio.
Il leggero aumento di produzione nell’industria capi-
talista avviene principalmente a spese dell'accresciuto sfrut-

22
lamento degli operai e- della maggiore intensità del loro
lavoro.
« Tra la marea montante dei tracolli economici e delle
catastrofi militari-politiche 1’ U.R.S.S. si eleva soia-
come una roccia, continuando il lavoro della costru-
zione socialista e la sua battaglia per preservare la
pace. Mentre nei paesi capitalisti la crisi economica
continua a infuriare, il pregresso dell’U.R.S.S. confinila
costantemente, sia nella sfera dell’ industria che in quel-
la dell’agricoltura; mentre nei paesi capitalisti i feb-
brili preparativi per una nuova guerra^ per una nuova
distribuzione del mondo e delle sfere d’ influenza sono
in corso, l’U.R.S.S. continua una sistematica e ostinata
battaglia contro la minaccia della guerra e della pace,
nè si può dire che gli sforzi dell’U.R.S.S., in questo
campo, siano stati completamente senza successo ».,
(STALIN, Rapporto sul lavoro del Comitato Central*
del P. C. (b) dell’ U.R.S-S. al XVII Congresso del Par-
tito).
Alla fine della guerra civile in Russiaj dopo il periodo
di transizione, alla costruzione ecnomica, Lenin disse : « Ora
noi esercitiamo la nostra maggiore influenza sull’ economia
politica con la nostra economia politica ». Questo rende e<-
vidente l’immenso significato internazionale della vittoria1
del socialismo nell’U.R.S.S. 1 lavoratori dei paesi capitali-
sti, che gemono sotto il peso della crisi e sotto l’ oppressione
del fascismo, guardano all’U.R.S.S. come alla terra promes-
sa del mondo proletario. 1 successi dell’U.R.S.S. incorag-
giano i lavoratori del mondo capitalista al combattimento.
I trionfi di portata storica e mondiale del socialismo nella
U.R.S.S. sono un fattore incalcolabile nella rivoluzione so-
cialista mondiale.
1 capitalisti e i loro lacchè cominciano a preoccuparsi
ansiosamente del destino del sistema capitalista. iLa diffe-
ferenza radicale, l’abisso tra la conturbante costruzione ( S o -
cialista nell’Unione Sovietica e la decadenza hiel capitali-
smo salta al’ occhio. A chi apparterrà il futuro, se al co*

23
munismo o al socialismo;, questo è il problema che l’ avan-
zata del socialismo mette sempre più frequentemente sotto
i loro occhi.
La battaglia dei due sistemi — capitalismo- e socialismo
— questo è il perno dei nostri tempi. Due mondi diametral-
mente opposti si fronteggiano : il mondo del lavoro, il
mondo del governo dei lavoratori, il mondo del socialismo,
nell’ Unione Sovietica — e il mondo della borghesia, il mon-
do della caccia al profitto, il mondo della disoccupazione
e delia fame, in tutti gli altri paesi. Sulla bandiera, dei la-
voratori deH’ U.R.S.S. è scritto il m otto: «C h i non lavora
non mangia »; sulla bandiera della borghesia sta scritto :
« 11 lavoratore noni mangerà ». E’ chiaro che i lavoratori co-
jscienti del mondo intero considerano l ’Unione Sovietica
come la loro terra promessa.
il sistema capitalistico dell’ oppressione e della violenza
non scomparirà tuttavia da solo, esso perirà soltanto come ri-
sultato della battaglia della classe lavoratrice. Solo la
lotta rivoluzionaria di un proletariato cosciente spingerà
il capitalismo^ divenuto insopportabile alla grande massa
dei lavoratori, nella tomba.
Capitalismo o socialismo? Col sorgere dell’Unione So-
vietica, la questione assume tutta la sua importanza. Capi-
talismo o socialismo? Questa questione è resa più acuta dai
recenti successi dell'U.R.S.S. e dalla disintegrazione cre-
scente del capitalismo.

8 -- La strada al socialismo passa attraverso la dittatura


del proletariato.

In tutti i paesi capitalisti il potere è nelle mani della


borghesia; qualunque sia la forma di governo,t essa copre in-
variabilmente la dittatura della borghesia. 11 fine dello Sta-
to borghese è di salvaguardare lo sfruttamento capitalisti-
co. di salvaguardare alla borghesia la proprietà privata de-
gli stabilimenti e delle fabbriche, la proprietà privata delle
terre ai latifondisti e ai grandi agrari.
Per mezzo del trionfo del socialismo la leggi della bor-

24
ghesia deve essere rovesciata, lo Stato borghese dev e essere
distrutto e la dittatura del proletariato deve esservi costi-
tuita. La transizione dal capitalismo al socialismo è soltan-
to possibile per mezzo di una lotta di classe senza quartiere
del proletariato contro il capitalismo per mezzo della rivo-
luzione proletaria e della costituzione di uno Stato prole-
lari o. La classe lavoratrice può costruire il socialismo e crea-
re la società socialista soltanto con l’edificazione del suo
proprio Stato.
C’è soltanto una strada dal capitalismo al socialismo —■
ed è l’unica seguita dai comunisti — la strada della rivo-
zione proletaria, della’ distruzione del governo borghese del-
la macchinai la strada della dittatura del proletariato.

'« Fra la società capitalista e quella comunista — dice


Marx — si stende un periodo di trasformazione rivolu-
zionaria dell’ una all’ altra. A questo corrisponde un pe-
riodo di trasmissione politica durante il quale lo Stato
non può essere null’aUro che la dittatura rivoluzionaria
del proletariato. (MARX, Critica del programma di
Gotha).
Questa strada che il proletariato russo prese nel 1917
era l’ unica, giusta, Tunica possibile verso il socialismo.
Nell'Unione Sovietica la classe lavoratrice conquistò il
potere politico da sola. La Rivoluzione di Ottobre stabili la
legge dal proletariato, la dittatura della classe lavoratrice,
che non volle afferrare il potere statale per vana sete di do-
minio; ma come mezzo per Tedificazione della nuova so-
cietà socialista.
« li suo scopo è di creare il socialismo, di finirla con
le divisioni della società in classi, di rendere lavorato-
ri tutti i membri della società, di toglier via la base
per lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questo fine
non poteva essere realizzato subito, ma abbisognava di
un lungo periodo di transizione dal capitalismo al so-
cialismo, perchè la riorganizzazione della produzione è
una materia difficile, perchè è necessario del tempo

25
per lutti i cambiamenti radicali in tutti i campi della
vita, e perchè l’enorme forza delle abitudini affaristi-
che piccolo-borghesi e borghesi poteva essere superata
soltanto con una lotta lunga ed ostinata. Per questa
ragione Marx parla dell’ intero periodo della dittatura
del proletariato come di un periodo di transizione dal
capitalismo al socialismo ». (LENIN, Saluto ai lavoatori
viennesi).
Il passaggio dal capitalismo al socialismo non può
quindi compiersi di colpo; un periodo di transizione piutto-
sto lungo è inevitabile; durante questo periodo il potere
dello Stato giace nelle mani della classe lavoratrice che co-
struisce il socialismo.
La dittatura della borghesia significa l’ oppressione della
grande maggioranza della popolazione nell’ interesse di un
pugno di parassiti. La dittatura del proletariato1significa la
oppressione di un piccolo gruppo di sfruttatori nell interesse
della grande maggioranza della popolazione, nell’ inte-
resse dell’intera massa dei lavoratori. Il proletariato impie-
ga la sua dittatura a distruggere tutte le vestigia di domi-
nazione dell’uomo sull’ uomo. Impadronendosi del potere
politico, il: proletariato diviene la classe dirigente : esso sal-
vaguarda tutta la produzione socializzala, frantuma le resi-
stenze degli sfruttatori, guida le classi e gli elementi in-
certi e vacillanti. Divenuto classe dirigente, il proletariato
inizia l’ edificazione di un sistema di società senza classi
dominanti, nè dominate, per giungere ad abolire le classi
e qualunque distinzione di classe.
In regime socialista la divisione della società in classi
scompare con l’abolizione! dei contrasti e della lotta di clas-
se e con la demolizione della divisione fra sfruttatori e
sfruttati. Ma la strada che conduce alla società socialista
senza classi passa attraverso il periodo della più aspra lotta
di classe.
Lenin ha incessantemente affermato il fatto che la dit-
tatura del proletariato rappresenta un periodo di lunga,
pertinace lotta di classe contro gli sfruttatori, contro i resti
delle primitive classi dirigenti. Egli scrisse :

26
« Il socialismo significa l’ abolizione delle classi. La dit-
tatura del proletariato ha fatto tutto il possibile per
arrivare alla loro abolizione! ma è impossibile distrug-
gerle subito. Le classi sono rimaste e rimarranno nel
periodo della dittatura del proletariato. Questa divisio-
ne diviene inutile quando le classi spariscono. Esse non
spariranno, però, senza la dittatura del proletariato. Le
classi sono rimaste, ma la loro forma, come i loro rap-
porti, sono cambiati sotto la dittatura del proletariato.
La lotta di classe non scompare ancora, ma assume sol-
tanto altre forme. (LENIN : Economisti e Politici nel-
l’ epoca della Dittatura del Proletariato).

Avendo assunto altre forme, la lotta di classe, sotto


la dittatura del proletariato, diviene meno persistente, ma
noi dobbiamo attenderci che le precedenti classi dirigenti
facciano ogni,sforzo per riconquistare le loro posizioni; gli
sfruttatori non; si arrestano davanti a nulla.! essi sono pronti
a commettere i peggiori delitti contro la grande maggio-
ranza dei lavoratori-per impedire la fine del loro dominio.

« L ’ abolizione delle classi è il risultato di una lunga,


difficile e ostinata lotta di classe, che. dopo il rovescia-
mento del dominio del capitale, dopo la distruzione
dello Stato borghese, dopo il realizzarsi della dittatura
del proletariato, non scompare, ma cambia soltanto di
forma, divenendo, per certi aspetti, ancora più aspra ».
(LENIN, Saluto ai lavoratori di Vienna).

Tutta la storia doU’ edificazione socialista dell’U.R.S.S.


illustra chiaramente la verità del principio espresso da Le-
nin. Le immense vittorie della costruzione socialista sono
state raggiunte con una lotta senza quartiere e sempre più
aspra contro tutti i rimasugli del vecchio sistema di sfrut-
tamento. L ’Unione Sovietica raggiunse le sue più im por-
tanti e decisive vittorie su tutte le forze della borghesia,
ma la resistenza di quest’ultima diviene sempre più forte,
il suo metodo di lotta contro il socialismo sempre più vile :

27
dopo aver sofferto la sconfitta totale in aperta battaglia, i
kulak, i commercianti e tutti i residui delle precedenti
classi sfruttatrici tentano di insinuarsi nelle imprese e nel-
le istituzioni sovietiche e di minare il potere della costruzio-
ne socialista col sabotaggio, il furto, ecc... La più desta vi-
gilanza da parte del proletariato, il continuo rafforzamen-
to della sua dittatura sono quindi essenziali.
Una forte e possente dittatura del proletariato — questo
è ciò che ci occorre ora per spazzare gli ultimi rimasu-
gli delle classi morenti e per sventare i loro disegni bri-
ganteschi ». (STALIN, Risultati del piano quinquen-
nale, 1933).
La società senza classi non può sorgere da sola, essa
deve essere conquistata. Per giungere a questo fine bisogna
superare energicamente le tremende difficoltà che riman-
gono sulla strada del socialismo; bisogna schiacciare la re-
sistenza di tutti i relitti dei vecchi sistemi sfruttatori; biso-
gna mobilitare l’energia e l’ attività di milioni di costruttori
del socialismo; bisogna resistere a tutte le deviazioni dalla
linea generale del partito; bisogna restare all’erta senza stan-
carsi, contro tutti gli attentati e le deviazioni agli insegna-
menti Marxisti-Leninisti.
La dittatura del proletariato è quel potere che com-
pie la costruzione della società socialista senza classi. Nello
studio, quindi, del passaggio dal capitalismo al socialismo e
della struttura del socialismo, la dittatura del proletariato è
il fulcro dell’economiai politica.

9. — Una battagliera scienza di classe; l’ economia politica.

L ’ interesse, della borghesia è di nascondere le leggi del-


l’inevitabile declinio del capitalismo e della vittoria del
comuniSmo. I professori borghesi di economia — « questi
servitori della classe capitalista » — come li definì Lenin,
servono il capitalismo sinceramele e fedelmente col com-
mentare ed abbellire il sistema di oppressione e di schiavitù.
Gli economisti borghesi mascherano e nascondono le vere

26
leggi che governano la produzione capitalista. Essi cercano
di perpetuare il capitalismo dipingendolo come l’unico si-
stema di vita sociale possibile. Secondo loro, le leggi del
capitalismo sono eterne ed immutabili e con questa men-
zogna tentano di salvare il capitalismo dalla sua inevitabile
distruzione.
Alla testa della battaglia rivoluzionaria della classe la-
vo? atrice sta il Partito Comunista. Soltanto una ferma dire-
zione da parte del Partito Comunista assicura la vittoria del
proletariato. Tutti i nemici del comuniSmo odiano velenosa-
mente il Partito Comunista. Essi tentano con ogni mezzo di
creare delle scissioni, di distruggere la sua unità, e si ralle-
grano ogni volta che nei ranghi del Partito avviene una
deviazione dalla linea generale.
L ’ economia politica è un arma affilata nella battaglia
contro il capitalismo, nella battaglia per il comuniSm o • L ’ e-
conomia poitica, come tutte le scienze, e prima tra le scienze
fondamentali che studiano la società umana e le leggi del
suo sviluppo, è una scienza di classe.
Il proletariato è circondato da eserciti di nemici, una
aspra lotta di classe si sviluppa. In questa lotta, ogni at-
tentato alla linea generale del Partito Comunista, ogni ten-
tativo di sviarla nella teoria e nella pratica porta un aiuto
ai nostri nemici; una otta vigile e infaticabile deve essere
quindi sostenuta contro tutte le deviazioni dalla linea gene-
rale del Partito, contro l’ aperto opportunismo di Destra e
contro ogni specie di deviazione di Sinistra.
1! Trotzkismo controrivoluzionario è uno speciale ser-
vizio reso alla borghesia nella sua lotta contro la rivoluzio-
ne, nella sua preparazione di un nuovo intervento contro
l’U .R.S.S.; il trozskimo, come una delle varietà della social-
democrazia, fornisce particolarmente la borghesia imperia-
lista di ogni specie di invenzioni calunniose sul movimento
rivoluzionario nei vari paesi e nell’Unione Sovietica. Esso
non è che un reparto d’ avanguardia della borghesia contro-
rivoluzionaria.
Stalin, nella sua lettera dell’ autunno del 1931 agli edi-
tori della rivista russa Proletarskaia Revoiutsia (La Rivo-

29
Suzione Proletaria intitolata « Problemi sulla storia del Bol-
scevismo)», richiamà l'attenzione del Partito Comunista sul-
la necessità di una lotta instancabile contro i tentativi di pe-
netrazione di una ideoolgia ostile al leninismo e particolar-
mente sulla necessità di una resistenza decisa contro ogni
specie di tentativi « di contrabbandare dei rottami trotzki-
sti travestiti nella nostra letteratura ». I rappresentanti di
correnti ostili al proletariato tentano ora di entrare di con-
trabbando per vie sottili e nascoste; a tutti questi sforzi biso-
gna resistere vigorosamente. Ogni specie di tolleranza verso
questi punti di vista ostili, ogni marcio liberalismo rispetto-
so per questi, è un delitto contro la classe lavoratrice e
contro la sua battaglia per il socialismo.
Le classi nemiche del proletariato tentano in ogni modo
di falsare reconomia politica per adattarla ai loro interessi
personali. Gli economisti borghesi e social-democratici fab-
bricano ogni specie di elucubrazioni per salvare^ il capitali-
smo e tentano di servirsi dell’ economia politica nella loro
battaglia contro l’Unione Sovietica.
Uno dei più importanti fini dello studio dell’ economia
politica è quindi di condurre una battaglia instancabile con-
tro tutti gli auti-marxisti e le correnti deviazionistiche.

QUESTIONARIO
1 _Che cosa insegna il marxismo-leninismo al proletariato?
2 Cosa cambiano le forze produttive della società?
-

3 - In che cosa differiscono i vari sistemi di produzione


sociale?
4 - Che cosa sono le classi?
5 — Come avviene l'abolizione delle classi?
6 - Qual e il soggetto dello studio dell’ economia politica?
7 - Qual’è l’importanza dello studio della teoria rivoluzio«
noria del proletariato?
8 - Perchè la politica economica è una scienza di classe?
9 - In che cosa consiste il carattere di Partito della politica
economica?

• 30
CAPITOLO II

COM E GIUNGE LA SOCIETÀ

AL CAPITALISM O ?

1 ~ La nostra meta : una società capitalista senza classi.

La Rivoluzione Russa dell’ottobre (Novembre) 1917 ini-


ziò un nuvo capitolo della storia dell’Umanità. Essa si pose
come fine l’edificazione del socialismo per abolire lo sfrut-
tamento dell’uomo sull’uomo. 11 fine del secondo periodo
quinquennale che l’U.R.S.S. iniziò nel 1933 è la costruzio-
ne di una società capitalista senza classi. Nel suo discorso
al Primo Congresso Panunionista dei lavoratori delle brigate
d ’assalto dei kolkos (19 febbraio 1933) il compagno Stalin
disse :

« La storia delle nazioni conosce non poche rivoluzioni,


ma tutte differiscono^ dalla Rivoluzione d ’Ottobre in ciò
che esse sono rivoluzioni parziali. Un sistema di sfrut-
tamento dei lavoratori è sostituito da un altro sistema
di sfruttamento, ma lo sfruttamento, come tale, rimane.
Certi sfruttatori e certi oppressori lasciano il posto ad
altri sfruttatori ed oppressori, ma lq sfruttamento e l’ op-
pressione, come tali, rimangono. Solo la Rivoluzione
d ’Ottobre si pose il fine di abolire tutti gli sfruttamen-

ti
li e di liquidare tutti gli sfruttatori e tutti gli oppres-
sori ».

Per penetrare completamente il pieno significato di


una battaglia petf una società socialista senza-;classi, è ne-
cessario conoscere l ’essenza di una società classista CfL è ne-
cessario ricordarsi di quali classi è costituita la società sotto
il capitalismo .Si deve conoscere quali sono le classi e se
le classi sono sempre esistite. Si devene conoscere esatta-
mente in che cosa la società capitalita differisce da tutte 1
altre forme di dominazione di classe. Finalmente si de
padroneggiare il problema del metodo che la classe lavora-
trice deve seguirei per distruggere la schiavitù capitalista e
le leggi dello sviluppo e della decadenza del sistema capi-
talista.
2 — Le classi sono sempre esistite?
I servitori del capitalismo fanno del loro meglio per
provare che la divisione delta società in classi è inevitabile.
E ’ assai importante per i difensori dei ricchi prospettare le
cose come se l’esistenza degli sfruttatori e degli sfruttati
fosse una condizione permanente e necessaria per resisten-
za di tutte le società. A i tempi dell’ antica Roma, quando gli
sfruttati si ribellarono contro i loro padroni, un difensore
delle classi dominanti raccontò una favola nella quale egli
paragonò la società all’organismo dell’uomo; esattamente
come nell’ individuo le mani esistono per farerii lavoro e lo
stomaco per ricevere il cibo,, così nella maggior parte della
Società vi è colui che fa tutti i lavori e colui che raccoglie
i frutti della fatica del lavoratore. In sostanza tutti gli a-
pologisti posteriori della dominazione della classe sfrut-
tatrice, nella loro battaglia contro la distruzione! del sistema
dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, non hanno portato
argomenti maggiori di questa miserabile favoletta.
In realtà è stato incontrovertibilmente provato che per
molte migliaia di anni la massa umana è vissuta senza di-
visioni di classe, dominazione di classe e sfruttamento. Co-
me è risaputo l’ uomoi si evolse dal regno animale! in epoche

32
d ie si perdono nella notte dei tempi. L ’uomo non è mai
vissuto isolato ma sempre in gruppi.
Durante i primi gradini dello sviluppo umano que-
sti gruppi erano assai piccoli. Che cosa unì i singoli membri
in tali gruppi? E’ chiaro che ciò che li unì era la loro
^attaglia comune per l’ esistenza, la loro fatica comune nel-
l'ottenere il cibo.
— Tribù primitive - comuniSmo,

L ’ uomo ha condotto la sua battaglia con la natura,


durante^ i primi stadi del suo sviluppo, in condizioni di
eccezionali difficoltà. Un bastono ed una pietra furono tutti
gli strumenti) di cui l’uomo si servì per molte migliaia di
anni. Numerosi pericoli loj circondavano ad ogni passo; egli
era quasi, impotente contro le forze tremende della natura
di cui egli ignorava completamente le leggi.
In queste condizioni gli uomini vivevano in piccole co-
munità o tribù, lavoravano in comune e pure fn comune
consumavano' il frutto del loro lavoro. In questo studio! pri-
mitivo dello sviluppo umano non ci potavano essere diffe-
renze dato cho l’uomo ricavava soltanto ì prodotti neces-
sari alla vita, dalla cacciai dalla pastorizia o da un’ agricol-
tura assai primitiva.
Tutti gli uomini vissero in tali tribù primitive durante
il primo grado del loro sviluppo. Alcune primitive tribù
comuniste continuarono ad esistere sino ai tempi recenti in
molti angoli remoti della terra che sfuggirono all’ influenza
dei paesi più civilizzati. La pressione della borghesia euro-
pea che invase tutti questi angoli della terra, distrusse na-
turalmente tali organizzazioni. Mille o millecinquento anni
fa, ad ogni modo, una parte degli avi di quegli europei v i-
veva ancora in tali primitive organizzazioni di tribù.
Noi vediamo; dunque, che: sino al sorgere delle divisioni
della società in classi, prevaleva il comuniSm o delle tribù
prim itive. V i erano differenti forme di questo sistema tra
le diverse tribù e i diversi popoli, ma, sorvolando su' queste
differenze, il primo stadio dello sviluppo di tutti i popoli

33
mostra una somiglianza completa nellle forme principali
dell’organizzazione sociale.
Il primo stadio dello sviluppo sociale, nel quale esiste-
va il comuniSmo primitivo, si realizzò ad un livello straor-
dinariamente basso dell’ evoluzione. Durante centinaia ed
anche migliaia di anni le condizioni di vita praticamente
non cambiarono o cambiarono molto lentamente. L ’uomo,
mosse i primi passi del suo sviluppo con immensa difficolta;
le generazioni seguirono le generazioni senza apportare al-
cun cambiamento notevole; l’ uomo imparò lentamente a
perfezionare i suoi arnesi e i suoi metodi! di lavoro.
Quali furono, i rapporti sociali nel comuniSmo primi-
tivo? La comunità primitiva o tribù era generalmente
composta di pochi membri; con lo sviluppo tecnico che esi-
steva a quel tempo, una grande tribù non avrebbe, infatti,
potuto; sperare di nutrire tutti i suoi membri. Il lavoro in
una comunità di quel tipo era organizzato più o meno se-
condo un piano; tutti i membri della società avevano occu-
pazioni definite; gli uomini, ad esempio, cacciavano, le
donne rimanevano a casa con/ i fanciulli ed anche a lavorare
la terra. A l ritorno dalla caccia la preda era divisa secon-
do un costume stabilito ed onorato.

« La popolazione, molto disseminata, non era relativa-


mente densa sul territorio della tribù; attorno a questo
sì stendeva il terreno di caccia che comprendeva una
vasta zona; una foresta neutrale formava la linea di de-
marcazione con le altri tribù. La divisione del lavoro
era del tutto spontanea. Il lavoro era semplicemete ri-
partito tra i due sessi. Gli uomini andavano alla guerra,
cacciavano, pescavano, procuravano il cibo e gli attrez-
zi per queste imprese. Le donne lavoravano per la casa
e preparavano il eiboj ed i vestiti; esse cuocevano, fila-
vano e cucinavano; ogni sesso era padrone nella sua sfe-
ra di attività : l’uomo nella' foresta, la donna nella casa.
Ogni sesso era pure proprietario degli attrezzi fatti ed
usati da lui; gli uomini erano proprietari delle armi,

34
degli arnesi di caccia e di pesca, le donne degli utensili
della casa. L’ economia domestica comprendeva alcuna
e spesso molte famiglie. (Specialmente sulle coste nord-
orientali, dell’America, come Bancroft. Tra gli HaidahJ
nelle isole della Regina Carlotta si trovano nella stessa
economia domestica fino a 700 membri e fra i Nootka
intere tribù vivono sotto un unico tetto). Tutto ciò
che era prodotto ©d usato collettivamente, era riguardato
come proprietà comune : la casa, il campo, le grandi
barche ». (F. ENGELS» L e origini della famiglia, cap.
IX).
In tali condizioni di comuniSmo primitivo non ci poteva
essere posto per individui viventi di rendite non guadagnate.
Nel, quadro del comuniSmo primitivo non vi era sfruttamen-
to di una parte della comunità sull’altra parte. A questo
stadio della civiltà gli strumenti di lavoro erano assai sem-
plici cosi che non vi poteva essere questione di proprietà
privata degli arnesi : ognuno era capace, senza gran lavoro,
di prepararsi un bastone, una pietra, un arco e una freccia,
ecc.; nello stesso tempo non vi era proprietà privata della
terra che era bene comune di tutta la tribù. Una soprav-
vivenza di quest’ uso fu il perdurare della proprietà collet-
tiva delle terre anche in età posteriori allo sviluppo della
divisione delle classi. Durante le epoche successive dello svi-
luppo sociale la comunità agricola fu spesso mantenuta ar-,
lificialmente dagli sfruttatori, e dallo Stato classista per fa-
cilitare lo sfruttamento dei contadini, raccogliere, le tasse,
ecc. In, altri casi,; al contrario, la classe dominante distrusse
la vita comunista del villaggio per liberare il campo al li-
bero sviluppo del capitalismo.
La proprietà comune della terra perdurò anche, quando
l ’agricoltura divenne hy forma predominante, lei lavoro. La
terra che era data in coltivazione a determinate famiglie di
contadini era ridistribuita di tanto in tanto. Essa rimaneva
proprietà comune del villaggio e, generalmente, era suddivisa
tra varie famiglie per mezzo, di estrazioni a sorte. La pro-
prietà collettiva dei pascoli perdurò ancora più a lungo.
Uni pascolo comune per tutto un villaggio non era cosa rara
anche quando fu stabilita la dominazione del capitalismo*
Quindi, prima del sorgere delle distinzioni di classe,
prevalse la primitiva tribù comunista. In questo ordinamen-
to della società si distinguevano varie forme particolari ai
differenti popoli e alle varie tribù. A d ogni modo, a parte
queste, parlicolarità, il livello primitive! di sviluppo tra tutti
i popoli produsse la più grande somiglianza nelle qualità
fondamentali del sistema della società.
Gli scientisti borghesi, spaventati del comuniSmo e del-
l’abolizione della proprietà privata, tentano di rappresenta-
re le cose come se l’esistenza della società e dell’uomo stesso
fosse inconcepibile senza la proprietà privata. La storia at-
tuale delia società umana rifiuta^ assolutamente queste fab-
bricazioni dei servi del capitalismo. La proprietà, privata,
infatti, come la, divisione della società in classi, appare sol-
tanto ad uno stadio comparativamente ampio dello svilup-
po sociale, dato che i popoli vissero per migliaia di anni
senza la minima concezione della proprietà privata.
Nel comuniSmo primitivo non esisteva lo Staio. Esso ap-
parve più tardi col sorgere della proprietà privata e delle
classi. Lenin, in una sua conferenza sullo Stato disse :

« Nella società primitiva, quando i popoli vivevano in


nuclei familiari, nel più basso stadio del loro sviluppo,
in condizióni quasi selvagge, in quell’ epoca, dalla quale
1 uomo moderno, civilizzato è separato da alcune migliaia
danni, non vi era ancora alcun segno dell’esistenza
dello Stato. « Questa)»* era l’epoca nella quale lo Stato
non esisteva, nella quale( i rapporti sociali, la società
stessa, la disciplina e la distribuzione del lavoro erano
mantenuti dalla forza del costume e delle traduzioni, dal-
l’ autorità e dal rispetto di cui erano circondati gli an-
ziani della tribù e le donne che, allora, non solo gode-
vano di una posizione pari, ai quella dell’uomo, ma qual-
che volta anche di una. posizione superiore; questa, era,
l ’epoca, nella quale non esisteva una categoria particola-

36
re di specialisti del governo. La storia, dimostra che lo
Stato, come apparato speciale diretto^ alla coercizione
del popolo, nasce soltanto dove e quandi^ appare una di-
visione della società in classi- una divisione del popolo
in due gruppi distinti ; l’uno dei quali può sempre ap-
propriarsi il lavoro degli altri, l’ in o sfruttare l’ altro».
(LENIN. Lo Stato).
Noi vediamo quindi che la divisione della società in
una classe di sfruttatori e in una classe di sfruttati non è
allatto una forma eterna éd inevitabile di. qualunque siste-
ma sociale : ma che, ai contrario, la società esistette per un
lungo periodo di tempo senza saper nulla delle classi, dello
sfruttamento e della proprietà privata. Nelle, epoche primi-
tive, l uomo procedeva molto lentamente sulla via, del pro-
gresso, ma in ogni modo, il .progresso vi fu..La società'umana
non rimase mai in una condizione completamente statica; ,gli
attrezzi furono lentamente, ma sicuramente perfezionati; si
imparò a usare le forze della natura fino allora sconosciute;
la scoperta del fuoco ebbe un’ immensa importanza; poi i sèi"
vaggi impararono a1costruire l’ arco e la freccia per la caccia.
D opo aver cominciato con una, pietra ed un bastone, l’uomo
si provò gradualmente a trasformare il bastone in una lan-
cia e a levigare la pietra in modo da renderla più adatta
ai suoi bisogni. Fu raggiunto un nuovo stadio quando l’uo-
mo apprese l’ arte del1vasaio imparando a costruire dei vasi
d’ argilla; l’addomesticamento degli animali e la «coltivazione
del grano- segnarono un altro, immenso progresso : sorsero
così l’agricoltura e la pastorizia. Con la scoperta della fu-
sione del ferro e con l’invenzione della scrittura l’ era pri-
mitiva finisce e quella della civiltà comincia. Nel Manifesto
del Partito Comunista Marx ed Engels li anno: scritto che l’ in-
tera società umana, che; si inizia a questo punto, è la storia
della lotta di classe.
Come ebbero origine le classi? L’ apparire delle classi
è strettamente connesso con lo sviluppo del processo sociale.
L ’ addomesticamento del bestiame conduce alla separazione
delle tribù pastorizie, dagli altri raggruppamenti della socie-

37
tà primitiva.. Questa fu la prima grande divisione sociale
del lavoro. Da questo momento ogni comunità lia prodotti
differenti. Le. tribìt pastorizie hanno i loro prodotti : ani-
mali, lana, carnei ecc. Si stabilisce una base per lo* scambio
dei prodotti tra le varie tribù. A l principio lo scambio è re-
golato dagli anziani della comunità; il bestiame è il princi-
pale. articolo 'di’, baratto che avviene dapprima tra le varie,
tribù confinanti tra le varie comunità e non tra i,vari mem-
bri delle comunità.
_<ello stesso tempo, con l’ aumento della popolazione,
i veccchi melodi di lavoro apparvero insufficienti; il nu-
mero sempre crescente della popolazione non poteva nutrir-
si con questi sistemi. Si tentò un principio di coltivazione
della terra : primo passo del’ agricoltura. La coltivazione
del suolo in quelle circostanze, portò inevitabilmente ad
un rapporto più stretto di alcune famiglie con la loro parte
di terreno coltivato. Così fu gettata la base della proprietà
privata.
« L ’ aumento della produzione in tutti i rami — alle-
vamento del bestiame., agricoltura, manifatture domesti-
che — rese possibile alla forza-lavoro 'umana di pro-
durre più di quanto era necessario al suo mantenimento.
Contemporaneamente aumentò la quantità di lavoro
giornaliero che costituiva il compito di ogni membro-
di una gens, di una comunità domestica o di una fami-
glia isolata. L ’ aggiunta di un maggior potere, produttivo
divenne desiderabile : esso fu fornito dalla guerra, tra-
sformando i prigionieri in schiavi. Aumentando la pro-
duttività del lavoro, e di conseguenza, la ricchezza, e-
stendendo il campo dell’ attività produttiva, attuata,
in altre parole! la prima grande divisione del lavoro,
per l’ assieme delle condizioni storiche sufficienti, la
schiavitù doveva necessariamente fare la sua comparsa.
Dalla prima grande divisione del lavoro sociale, sorse
la prima grande scissione della società in due classi : pa-
droni e schiavi, sfruttatori e sfruttati». (ENGELS, L ’o-
rigine della famiglia, cap. IX).

38
1

Col sorgere di forme e nuovi metodi di produzione, si


sviluppò maggiormente la divisone del lavoro. L ’uomo im-
parò a costruire utensili, ogni genere di attrezzi, di ar-
mi, ecc, e questo portò gradualmente alla separazione del-
l'artigianato daH’agricoltura e agli inizi dello sviluppo dello
scambio.
L ’abolizione del comuniSmo primitivo portò alla trasfor-
mazione del gregge comune in gregge privato; le terrò e gli
strumenti divennero pure proprietà dei singoli. Con l’intro-
duzione della proprieta privata si gettarono le basi per la
nascita e la crescita della disuguaglianza.
« La distinzione tra ricchi e poveri si aggiunse a quella
tra liberi e schiavi Dalla nuova ripartizione del lavoro
deriva una nuova scissione della società in classi ». (Ibi-
dem).

4 — Forme pre-capitalistiche di sfruttamento.

Con la decadenza del comuniSmo primitivo sorge nella


società la divisione tra sfruttatori e sfruttati. Appare colui
che vive sul lavoro degli altri, lo sfruttamento di una classe
sull’ altra, quello, cioè, die caratterizza gli stadi diversi di
sviluppo ideila società classista. Le forme di sfruttamento,
però» i metodi diversi coi quali una classe vive a spese di
un’ altra cambiano coi diversi stadi deirevoluzione.

« Con la schiavitù, che raggiunge il suo più alto svilup-


po nell’ epoca della civilizzazione, si produsse la prima
grande scissione della società in una classe sfruttata e
in una classe sfruttatrice. Questa divisione continuò du-
rante tutto il periodo della civilizzazione. La schiavitù
è la prima forma idi sfruttamento, caratteristica del mon-
do antico; seguì poi la servitù nel medio evo e il lavoro;
salariato nei tempi moderni ; queste sono le tre grandi
forme di asservimento tipiche delle tre grandi epoche
della civiltà. 11 loro carattere invariabile è la schiavitù
aperta o, nei tempi moderni, camuffata ». (Ibidem).

39
Noi abbiamo già visto che le classi differiscono, nella lo-
ro posizione in un sistema definito di produzione sociale,
secondo il loro rapporto con i mezzi di produzione. Cia-
scuna delle tre forme principali della società, basate sullo
sfruttamento (la schiavitù, la servitù e il capitalismo), ha
sotto questo rispetto, la sua forma particolare. Ognuna di
quelle forme della società sfruttatrice è distinta dalla strut-
tura caratteristica della sua produzione sociale e dal suo
tipo di rapporti di produzione.
Il sistema della schiavitù si trova nelle epoche più di-
verse della storia .dell'.umanità, esso è la forma più antica
di sfruttamento e si presenta alle soglie dell’epoca storica.
Nella schiavitù la classe sfruttata è proprietà degli sfrut-
tatori; lo schiavo appartiene al sito proprietario proprio
come una casa, una terra od un capo di bestiame. Nell’ an-
tica Roma, dove fiorì la schiavitù, lo schiavo era chiamato
una « cosa parlante » per distinguerlo dalle « cose mute »
e dalle «seminante» (bestiame). Lo schiavo era considerato
un bene mobile appartenente al suo padrone che non do-
veva rispondere della sua uccisione. Il proprietario di
schiavi li considerava come una parte della sua proprietà
e si misurava la sua ricchezza dal numero di schiavi che
possedeva; egli faceva lavorare lo schiavo per lui. Il avoro
dello schiavo era lavoro fornito per costrizione, con la mi-
naccia del castigo, e si distingueva per la sua bassa produt-
tività. Il progresso tecnico era lento nel periodo della schia-
vitù. Le enormi costruzioni erette in quest’epoca richiesero
10 sforzo muscolare di eserciti colossali di schiavi che la-
voravano impiegando gli attrezzi più primitivi, poiché il
proprietario non aveva motifjo^di alleggerire il loro lavoro.
Quale fu il limite dello sfruttamento sotto la schiavitù?
Non soltanto gli attrezzi e gli strumenti di lavoro apparten-
gono al proprietàrio di schiavi, ma il lavoratore stesso, ed
11 padrone lo nutre e lo mantiene perchè la morte di uno
schiavo costituisce una perdita, una diminuzione della sua
ricchezza. Fino a che lo scambio dei prodotti non qj, svi-
luppato, ogni proprietario faceva produrre ai suoi Chiavi

40
soliamo le cose necessarie ai suoi bisogni personali. La vita
delle classi dominanti nel periodo della schiavitù era carat-
terizzata da un lusso e da uno spreco insensati, ma per
quanto il lusso fosse grande, vi erano dei limili al lavoro
dello schiavo e al di là di una certa quantità i prodotti
eccedenti non si potevano utilizzare. L ’ aumento della ric-
chezza è dunque circoscritto in limiti rfdativamente ristretti;
e questo spiega l’insignificante sviluppo tecnico durante il
sistema schiavistico.
Lo Stato, al pari della classe dominante, si trasforma
in un apparalo di coercizione per obbligare la maggior
parte della società a lavorare per una minoranza sfrutta-
trice. Nella società schiavistica il campo d’ azione dello Sta-
to è molto più ristretto che nei tempi presenti. 1 mezzi di
comunicazione erano ancora poco sviluppati, le montagne
c i mari costituivano ostacoli difficili a superare. Varie for-
me di Stato — monarchia, repubblicaj ecc. — esistevano già
nel periodo schiavistico, ma, qualunque fosse la forma del-
lo Stato, esso rimaneva sempre un organo di dominazione
dei proprietari di schiari, i quali ultimi non erano, in ge-
nere, considerati membri della società.
La società schiavistica, particolarmente nella Grecia e
nell’antica Roma, raggiunse un alto stadio di sviluppo arti-
stico e scientifico, benché anche questa fosse una civiltà
eretta sulle ossa di incalcolabili masse di schiavi.
Durante il periodo in cui le guerre erano frequenti,
il numero degli schiavi crebbe spesso immensamente. La
vita degli schiavi era estremamente a buon mercato e gli
sfruttatori rendevano le loro condizioni di vita intollerabili
La storia della schiavitù è quella di una sanguinosa batta-
glia tra gli sfruttatori e gli sfruttati. Ogni rivolta degli
schiavi contro i loro padroni veniva soffocata senza pietà.
Le ribellioni degli schiavi scossero la vecchia società
schiavistica fino alle sue fondamenta, specialmente nell’ u l-
timo periodo della sua esistenza. Con la conquista di una
infinità di paesi negli angoli più lontani del mondo allora
conosciuto, l’ Impero Romano aveva raggiunto un potere e-

4!
norme, quando esso cominciò a piegare sotto iì peso delle
contraddizioni che stavano minando l’ intero edificio della
società di quel tempo.
Particolarmente famosa fu la rivolta degli schiavi che
scoppiò a Roma, circa duemila anni faA sotto la guida di
Spartaco che riuscì a mobilitare un grande esercito contro
il regime dei proprietari di schiavi. La rivolta degli schia-
vi non poteva riuscire vittoriosa e metter fine allo sfrutta-
mento in generale. Gli schiavi non erano nella situazione
di proporsi una mela chiaramente vista, essi non potevano
creare una forte organizzazione nelle mani delle varie fa-
zioni della classe dirigente che sì combatteva tra loro. Tut-
tavia la guerra civile e la rivolta degli schiavi costituirono
un duro colpo per l’ordinamento della società schiavistica
e prepararono il terreno alla sua distruzione.
Al posto della schiavitù apparve però una nuova forma
di sfruttamento umano. Questa forma, che prevalse duran-
te il medio evo* fu il feudalesimo, il cui ultimo stadio di
sviluppo fu la servitù. 11 feudalesimo attraversò un processo
relativamente lungo di sviluppo. Sotto il feudalesimo le
grandi masse dei contadini furono sfruttate da un piccolo
gruppo di baroni feudali. I baroni presero nelle loro mani
il potere supremo sulla- terra lavorata dai contadini. In
cambio del diritto di lavorare la terra i contadini dovevano
compiere una quantità di servizi feudali per i loro signori.
Fino a che prevalse l’ economia naturale, cioè la pro_ *
duzioue per proprio uso e non per lo scambio, lo sfrutta-
mento feudale rimase circoscritto in limiti relativamente
ristretti. 1 signori feudali ricevevano dai paesani una certa
quantità di prodotti agricoli per il loro uso. La maggior
parte di questi prodotti erano consumati dai signori e dalle
loro milizie e solo una piccola parte veniva scambiata con
armi e qualche altro bene. Lo sviluppo dello scambio au-
mentò però gli appetiti dei signori ed essi, non soltanto
pretesero dai contadini il necessario per i bisogni loro e
delle loro scolte, ma esigettero tributo per scambiarlo con
una quantità continuamente crescente di altri beni. Con lo

42
sviluppo dello scambio, si accrebbero pure le possibilità
di un più grande sfruttamento del contadino da parte del
signore feudale, furono distrutti i vecchi rapporti patriar-
cali tra il feudatario e i suo dipendenti mentre aumentò le
servitù.
La servitù rappresenta una delle forme più aspre di sfrut*
tamento del contadino da parte del latifondista. In regime
di servitù il mezzo principale di produzione — la terra —
è nelle mani dei latifondisti i quali se ne appropriano dopo
che è stata lavorata da generazioni di paesani. Ma questo
non basta loro. Avvantaggiandosi del potere dello Stato
che è pure nelle loro mani, i latifondisti trasformano i con-
tadini liberi in servi legati alla terra trasformandoli pratica-1
mente in proprietà del latifondista.
Cercando di aumentare con ogni mezzo le loro rendite,
i proprietari aumentano lo sfruttamento dei loro servi. Lo
scambio comincia ad essere già abbastanza ben sviluppato
all’epoca della servitù. Il commercio marittimo prende pro-
porzioni considerevoli e i mercanti forniscono al proprietà*
rio di servi ogni specie di merci esotiche. Il denaro diviene
sempre più importante : per ottenerlo il proprietario spre*
me sempre maggior lavoro ai suoi contadini. Egli sottrae
la terra ai contadini, limita le loro concessioni di terre, ap-
propriandosi dei terreni sui quali fa lavorare gli stessi con-
tadini. Viene introdotto il servizio di corvée : il contadino
deve lavorare per tre o quattro giorni alla settimana il cam-
po del signore e può lavorare il suo campo soltanto gli al-
tri giorni. Altre volte il proprietario di servi si appopria
una parte sempre cresente del raccolto dei campi dei con-
tadini facendo pagar loro un riscatto.
Lo sfruttamento dei servi provocò le più violente bat-
taglie dei contadini contro i loro signori. La storia di ogni
paese contiene un gran numero di ribellioni di paesani (in
Germania. Francia, Inghilterra, Russia); qualcuno di questi
sollevamenti durò decine d’ anni e per decine d'anni queste
terre furono in preda alla guerra civile. Le ribellioni furono
però soffocate senza pietà dai signori terrieri e dai loro

43
governi. La lotta dei contadini contro i baroni fu utilizzata
dalla borghesia nascente per affrettare la caduta del siste-
ma della servitù e sostituirvi quello dello sfruttamento ca-
pitalistico.
Questo è ciò che li a detto Stalin sulla sostituzione di
una forma sociale all’ altra :
« La rivoluzione degli schiavi provocò l’ abolizione della
schiavitù e la soppressione della forma schiavistica di
sfruttamento dei lavoratori. A l suo posto sorse lai domi-
nazione feudale e la forma servile di sfruttamento dei
lavoratori. Una categoria di sfruttatori prese il postò
di un’altra categoria di sfruttatori. Sotto la schiavitù la
« legge » permetteva al proprietario di schiavi di ucci-
derli; sotto il sistema servile la « le g g e » permetteva
« soltanto » al proprietario di servi di venderli.
« La rivoluzione dei paesani liquidò i proprietari di ser-
vi ed abolì la forma servile di sfruttamento, ma, al
suo posto, introdusse i capitalisti e i latifondisti, la for-
ma capitalistica e latifondistica di sfruttamento dei la-
voratori. Una categoria di sfruttatori prese il posto di
un’ altra categoria di sfruttatori. Nel sistema servile la
« le g g e » permetteva la vendita dei servi. Nel sistema
capitalista la « legge ’ permette « soltanto » che il lavo-
ratore sia condannato alla disoccupazione ed alla mise-
ria, alla rovina ed alla morte per fame. Soltanto la no-
stra rivoluzione so\ietica, la nostra Rivoluzione di Ot-
tobre, si pose il compito di. sostituire non una categoria
di sfruttatori con un’ altra, non una specie di sfrutta-
mento con un altro, ma di sradicare ogni sfruttamento,
di estirpare ogni specie di .sfruttatori ed ogni spècie di
ricco e di oppressore, vecchio e nuovo ». (STALIN, Di=
scorso al Primo Congresso Panunìonista dei lavoratori
delle brigate d’assalto dei Kolkhos - 19 febbraio 1933).
5 — Nascita e sviluppo dello scambio.
Noi abbiamo già visto che lo scambio sorse nei tempi
più antichi della storia dell’umanità. Coi primi passi della

44
divisione del lavoro nella società fu gettata a base per la
nascita dello scambio. Da principio lo scambio fu prati-
cato soltanto tra paesi confinanti; ognuno scambiava il so-
prapiù dei suoi prodotti con quelli degli altri. Nato ai con'
fini tra le comunità, lo scambio esercitò subito un’influen-
za distruttiva nelle relazioni àH’intemo. Apparve il denaro.
Dapprima quei prodotti che costituivano gli oggetti princi-
pali di scambio servivano come denaro; come il bestiame
quando lo scambio avveniva tra tribù pastorali. La ricchez-
za di una tribù — e, dopo l’ apparire della proprietà priva-
ta, la ricchezza dell’ individuo — si misurò dal numero dei
capi di bestiame posseduti.
La produzione naturale prevalse però per lungo tempo
anche dopo il sorgere dello scambio; la produzione di beni
non diretti allo scambio si chiama appunto « produzione na-
ia ride ». mentre la produzione di beni per la vendita sul
mercato è detta «produzione mercantile».
La produzione naturale è quella d i e prevale durante i
periodi di schiavitù del feudalesimo. Le forme pre-capita-
listiehe di sfruttamento sorgono e si sviluppano sulla base
della prevalenza della produzione naturale. Soltanto il gra-
duale sviluppo dello scambio determina il fondamento di
quelle forme di società. Attorno a questo stadio dello svi-
luppo Engels scrive ;

« Noi sappiamo bene che negli stadi primitivi della so-


società i prodotti erano usati dai produttori stessi e che
i produttori erano organizzati spontaneamente in comu-
nità più o meno comunistiche; che lo scambio dei sovra-
prodotti con gli estranei che è la premessa alla tra-
sformazione dei prodotti in merci più antica, avvenen-
do dapprima tra singole comunità appartenenti a tribù
diverse e solo più tardi entro la comunità stessa, con-
ttibuendo materialmente a spezzarle in gruppi familiari
più o meno grandi. Ma anche dopo questo frantumamen-
to, i capi famiglia che dirigevano lo scambio restavano
dei contadini che produeevano quasi tutti i bene neceg-

45
sari a soddisfare tutte le loro domande nel cerchio del-
la loro economia con l’ aiuto dei membri della famiglia,
-acquistando soltanto una parte insignificante di beni di
» prima necessità dall’esterno in cambio dei loro propri
.prodotti eccedenti. La famiglia non lavora soltanto nel-
l’ agricoltura e nella pastorizia, ma prepara anche i pro-
dotti per l ’uso : essa macina il suo grano con la mol^ a
mano, fa il pane, fila,. tinge e tesse il cotone e la lana,
concia le pelli, erige e ripara le abitazioni di legno,
fabbrica arnesi o strumenti di lavoro, spesso anche com-
pie lavori da carpentiere e da fabbro, così che la fa-
miglia o il gruppo familiare, nel complesso,. basta a
se stesso.
« Le poche cose che una famiglia di questo tipo deve
ottenere dagli altri per mezzo dello scambio o dell’ ag»
quisto, e questo perfino al principio del XIX secolo in
Germania, sono per la maggior parte prodotti di arti-
giani, oggetti cioè che il contadino sarebbe capace di
■produrre da solo ma che non fa, sia perchè non può
avere la materia prima, sia perchè l’articolo acquistato
è molto migliore o molto meno caro ». (ENGELS, Sup-
plemento al 111 V oi. del Capitale).

Questa produzione naturale non è solo prevalente sotto


la schiavitù nel Medio Evo, ma anche in condizioni nuove.
:La produzione mercantile non è assolutamente predominan-
te ai principio del capitalismo, ma è proprio lo sviluppo
del capitalismo che porta un colpo mortale, alla produzione
naturale. Soltanto col capitalismo la produzione mercanti-
le, la produzione per la vendita, diviene la forma decisiva
e predominante di produzione.
Nella produzione pre-capitalista la produzione mercan-
tile prende una più grande estensione assieme all’ aumento
della divisione del lavoro. E’ di particolare significato la se-
parazione dell’artigianato dall’ agricoltura. Mentre l’ agricol-
» tore paesano conduce la sua economia domestica principal-
mente come produzione naturale, lo stesso non può dirsi

-46
I per l’artigiano. L'artigianato ha sin dall’ inizio il carattere
chiaro di produzione mercantile. L ’ artigiano che produce
un paio di scarpe o una serie di finimenti o un aratro o
dei ferri da cavallo, recipienti di creta o di legnoi lavora
principalmente per il mercato, per la vendita. Ma, a diffe-
renza della produzione mercantile capitalista, l’ artigiano la-
vora con strumenti di lavoro di sua proprietà. Di regola
egli aggiunge soltanto la sua capacità produttiva. Soltanto
più lardi, con lo sviluppo della città, l’artigiano comincia’
ad assumere apprendisti e lavoratori a giornata. Finalmen-
te l ’artigiano lavora generalmente su materia prima locale
e vende i suoi beni sul mercato locale. Quando le cose sono
prodotte per il mercato, ma senza l’aiuto del lavoro sala-
riato! noi abbiamo la produzione mercantile semplice da
distinguersi dalla produzione mercantile capitalista.

« Prima della produzione capitalista, nel Medio Evo *-*


scrive Engels — era generale la piccola produzione.
> sulla base della proprietà privata del lavoratore dei
mezzi di produzione; l’ industria agricola del piccolo
contadino, libero o servo, e l ’artigianato nelle città. Gli
strumenti di lavoro — la terra, gli strumenti agricoli,
la bottega e gli attrezzi — erano gli strumenti da lavoro
individuali, destinati solo all’uso personale! e perciò ne*
cessariamente meschini, esigui, limitati ». (Anti-Duhring>
Sez. IH, cap. II).

Dove sta la differenza tra la produzione mercantile


semplice e il capitalismo? L ’artigiano, il piccolo contadino
possiedono i loro attrezzi! le materie prime e i mezzi di
produzione, essi lavorano da soli producendo le loro mer-
ci coi loro mezzi di produzione. Sotto il capitalismo è d i-
verso : là gli impianti e le fabbriche appartengono al capi-
talista e vi sono impiegati dei lavoratori che non possiedo-
no mezzi propri di produzione. La produzione mercantile
semplice precede sempre il capitalismo. 11 sistema capita-
listico non potrebbe sorgere se la produzione mercantila
semplice non gli aprisse la via.

47
A sua volta lo sviluppo della produzione mercantile
semplice porta al capitalismo; la produzione dei beni su
piccola scala genera il capitale.
Uno degli errori nell’interpretazione del marxismo è di
cercare di negare resistenza della produzione mercantile
semplice come antecedente, storico dei capitalismo. L’ impor-
tanza politica di questo errore è cuiara. La realtà è che,
anche nel periodo della prevalenza del capitalismo; nel
mondo intero, rimangono, come residui del sistema prece-
dente, un gran numero di elementi della produzione mer-
cantile semplice : molti milioni di piccoli contadini,, arti-
giani e lavoratori liberi.
Queste masse di piccoli produttori, indipendenti in ap-
parenza, ma che in realtà vivono sotto il giogo insopporta-
bile del capitalismo, costituiscono la riserva dal quale il
proletariato trae i suon alleati nella battaglia per la rivo-
luzione socialista. La falsa interpretazione del ruolo e del
significato della produzione mercantile semplice forma la
base per la negazione del ruolo della intera massa dei con-
tadini nella rivoluzione proletaria. Questa distorsione è alla
base della teoria controrivoluzionaria del trotzkismo.
II tentativo di separare la produzione mercantile sem-
plice dal capitalismo con una specie di Muraglia di Cina
non costituisce una deviazione meno grave della teoria mar-
xista-leninista. Lenin insistè costantemente sul fatto che la
produzione delle merci su piccola scala dà vita al capitali-
smo. La negazione di questo principio conduce, per esem-
pio, nelle condizioni prevalenti nell’U.R.S.S., a punti di
vista come quelli sostenuti dagli opportunisti di Destra che
difendevano il mantenimento della piccola produzione nel
villaggio, conduce all’incomprensione della necessità della
trasformazione socialista del villaggio sui principii della pro-
duzione sociale su larga scala.

6 — Origine della produzione capitalista.

11 capitalismo nacque entro il sistema feudale-servile.


Le più vecchie forme di capitale sono il capitale commer-

48
ciale ed usurario. Il mercante rappresentò un ruolo sem-
pre più importai'le nello scambio sviluppatosi entro la vec-
chia economia na urale. Il 'mercante capitalista forni i lati-
fondisti proprie lai di servi e di ogni genere di lusso, traen-
done molto profitt >. Parte del tributo che il latifondista
spremeva dai suoi ,ervi trovò così la via delle tasche del
mercante, rappresentante del capitale commerciale. Con lo
sviluppo del commercio fiorì anche l’ industria. A i grandi
baroni (latifondisti, re e governanti) occorrevano sempre
maggiori quantità di danaro. II lusso pazzo e lo sprecot le
guerre senza fine divorarono immense somme di danaro.
Si formò così la base per l’ attività dei banchieri. Prestando
danaro ai signori feudali ad interessi esorbitanti, l’ usuraio
si appropriò di una larga parte del tributo tratto dal lavo-
ro dei servi.
Il capitale commerciale ed usuraio prendendo un posto
stabile nella vita della società feudale sgretolò e ruppe le
fondamenta di questa società. Con l’aumento del commer-
cio, lo sfrutti.mento dei servi da parte dei latifondisti di-
venne continuamente maggiore. Lo sfruttamento eccessivo
minò le fondamenta della servitù : l’ economia contadina.
Impoverita questa, il paesano divenne il povero che con-
duceva un’esistenza affamata, incapace di dare una larga
rendita al latifondista. Nello stesso tempo il capitale usu-
rario afferrò le proprietà feudali nei suoi tentacoli succhian-
done la vita. La decadenza della servitù aprì la via al sor-
gere della produzione capitalistica.
Il capitale commerciale si impiegò dapprima soltanto
nel commercio; questo era alimentato da prodotti forniti
dai servi e dagli artigiani oltre a quelli importati da paesi
lontani. Con l’ aumenta del commercio, però, queste fonti di
prodotti divennero inadeguate. La produzione su piccola
scala poteva supplire appena ad una limitata richiesta di
merci sufficiente soltanto al mercato locale.
Quando il commercio cominciò ad estendere il suo rag-
gio d’ azione ai mercati più lontani, sorse anche la necessità
di estendere la produzione. •

49
Ma soltanto il capitale poteva assicurare una tale esten-
sione della produzione^ mentre la produzione mercantile su
piccola scala era impotente a farlo. Avvenne dunque un
passaggio dalla piccola produzione a quella capitalista che
distrusse le forme pre-capitalistiche di sfruttamento dello,
uomo sull’uomo : lo sfruttamento capitalista.
Ecco come Lenin descrive questo passaggio dalla pic-
cola produzione al capitalismo :

« Nelle vecchie condizioni quasi tutta la ricchezza era


prodotta da piccoli proprietari che rappresentavano la
grande maggioranza della popolazione, la quale viveva
stabilmente in villaggio, produceva la maggior parte dei
beni sia per il proprio uso che per un piccolo mercato
costituito dai villaggi vicini i quali avevano limitati
rapporti con i mercati confinanti. Questi medesimi p ic-
coli proprietari lavoravano per il signore terriero che,
li costringeva a produrre le loro merci principalmente
per il suo uso. Le materie di produzione casalinga era-
no date per essere lavorate ad artigiani che pure vive-
vano nel villaggio o giravano il vicinato cercanto la-
voro. —
« Dall’emancipazione dei servi, però, le condizioni di
vita della massa del popolo si erano completamente
cambiate : grosse fabbriche erano sorte al posto delle
piccole botteghe d’ artigiani e il loro numero cresceva
con notevole rapidità; esse avevano schiacciato i piccoli
proprietari e li avevano trasformati in lavoratori sala-
riati e avevano costretto centinaia e migliaia di lavora-
tori operai a lavorare insieme ed a produrre enormi
quantità di merci che erano vendute in tutta la Russia...
« ... Il posto della piccola produzione è preso dovunque
dalla grande produzione e, alla finej. le grandi masse
dei lavoratori sono semplicemente dei salariati che la-
vorano in cambio della paga, per il capitalista il quale
possiede grandi capitalii costruisce grandi fàbbriche, ac-
quista grandi quantitativi di materie prime e intasca

50
i profitti ottenuti dalla grande produzione effettuata
da tutti i lavoratori. La produzione^ si trasforma in pro-
duzione capitalista che inesorabilmente spazza via tutti
i piccoli proprietari, spezza la loro vita stazionaria
nei villaggi e li costringe a vagare da una parte all’al-
tra del paese come semplici lavoratori, per offrire la
loro forza-lavoro al capitalista. Una parte continuamen-
te crescente della popolazione viene completamente se-
parata dalla campagna e dell’ agricoltura .e si raduna nel-
le città e nei villaggi industriali e manifatturieri for-
mandovi una classe speciale che non ha alcuna proprietà,
una classe di proletari, che vive soltanto vendendo la
sua capacità produttiva ». (LENIN, Schema ed esposizio-
ne del programma del partito social-democratico).

QUESTIONARIO1

1 — Come vissero i popoli prima della nascita della società


classista?
2 — Come nacquero le classi?
3 — Quali sono le forme storiche fondamentali dello sfrut-
Jamento di classe?
4 — Quali sono i rapporti tra gli sfruttatori e gli sfruttati
nel sistema schiavistico ?
5 — Qual’ è l'aspetto caratteristico dello sfruttamento capi-
talistico?
7 — Come nasce e si sviluppa lo scambio?
8 — Come la piccola produzione mercantile dà origine al
capitalismo?


n
CAPITOLO III

PRODUZIONE MERCANTILE

La produzione capitalista ha due fondamentali aspetti


caratteristici: 1) 11 prevalere della produzione mercantile.
2) La trasformazione in merce, non solo del prodotto del
lavoro umano, ma della capacità produttiva stessa.
II capitalismo è inconcepibile senza la produzione mer-
cantile che, d ’altro canto, esisteva già lungo tempo prima
della nascita e dello sviluppo del capitalismo, benché sia
diventata universale soltanto sotto il capitalismo.
Perciò, prima di studiare il metodo capitalistico di pro-
duzione,. è necessario studiare la produzione mercantile, le
sue caratteristiche e le sue leggi.
Nei paesi- capitalistici, la produzione si sviluppa senza
alcun aiuto. Tutte le fabbriche e gli impianti appartengono
al capitalista ed ogni impresa produce merci da vendere sul
mercato. Nessuno però indica al capitalista quali merci e
in quale quantità deve produrre la sua impresa. Il proprie-
tario dell’impresa o della fabbrica può aumentare o dimi-
nire od arrestare la produzione come desidera. 11 capitalista
non si occupa se la popolazione ha delle necessità vitali :
cibo, abiti, ecc., ma pensa soltanto, ad una cosa: come ot-
tenere un magigor profitto. Se uri investimento gli sembra
proficuo egli lo considera col più grande interesse, altri-
menti non se ne occupa.

53
Un tale sistema di produzione, interamente nelle mani
dei capitalisti che curano la produzione al solo scopo di
trarne il maggior profitto possibile per loro stessi con lo
sfruttare le masse lavoratrici, esiste oggi in tutto il mondo;
eccettuata l’Unione Sovietica dove il governo è nelle mani
delle classi lavoratrici e dove l’economia è pianificata.
Sotto il capitalismo prevale l’anarchia della produzione
non essendovi e non potendovi essere una pianificazione del-
la produzione sociale.

« 11 capitale organizza e regola il; lavoro nelle fabbriche


aggravando l’oppressione del lavoratore allo scopo di
aumentare il suo profitto. Ma, nel complesso della pro-
duzione sociale, regna e si stende maggiormente il caos,
provocando le crisi quando la ricchezza accumulata lion
trova più acquirenti e facendo morir di fame milioni
di lavoratori che non trovano più lavoro ». (LENIN, Il
sistema Taylor, riduzione dell’ uomo in schiavitù per
mezzo della macchina).

1 — Che cosa è la merce?

Non dobbiamo ora cercare di comprendere il sottile


meccanismo che caratterizza l’ anarchia della produzione,
prevalente sotto il capitalismo. Nella società capitalistica
predomina la produzione mercantile. Supponiamo che una,
fabbrica appartenente a un capitalista produca olio di rici-
no. Dobbiamo credere che il proprietario beva tutto l’olio
lui stesso? Oppure supponiamo che' un altro capitalista pro-
duca delle bare all’ingrosso; è chiaro che le bare non sono
per il proprietario. Degli immensi impianti producono
grandi quantità, di acciaio e di ferro; è chiaro che il pro-
prietario non ha bisogno del metallo per se stesso. Tutti
i beni fabbricati nelle imprese capitalistiche sono prodotti
per la vendita! per il mercato. Tutti i prodotti del lavoro
fabbricati per la vendila e non per proprio uso si chiamano
« merci ». -
Noi abbiamo visto che la produzione mercantile scon-

54
volge e distrugge soltanto gradualmente la precedente eco-
nomia naturale nella quale ogni famiglia ed ogni comuni-
tà produce da sola ogni cosa necessaria. 11 sistema dell’ e-
e nomi a naturale si conservò per varie epoche. Le forme pre-
cedenti di produzione pre-capitalistica — la schiavitù e la
servitù — coesistevano col sistema predominante dell’eco-
nomia naturale. Non così il capitalismo. Il sistema si è in-
tensificato sin dal principio con lo sviluppo dello scam-
bio e della produzione mercantile.

« La ricchezza di quelle società nelle quali predomina il


sistema capitalistico di produzione si presenta come
un’ immensa accumulazione di merci la cui unità è la
singola merce ».

Con queste parole si inizia il capolavoro di Marx. Il


Capitale. Nel suo lavoro Marx s’ impone il compito di sco-
prire le leggi economiche che governano la società capita-
listica. Marx inizia la sua opera con l’analisi del concetto
di mercej. con la scoperta delle leggi che governano la pro-
duzione delle merci.

2 — Due proprietà delle merci.

11 prodotto del lavoro umano deve sempre soddisfare


qualche bisogno umano, altrimenti non varrebbe la pena
di spendervi del lavoro. Questa proprietà del prodotto del
lavoro è chiamata il suo valore d’uso. 11 valore d’uso d’un
orologio, per esempio, è di indicarci l’ora. Molte cose che
pur non. son prodotti del lavoro umano hanno un valore
d’ uso, comej per esempio, l’ acqua di fonte o i frutti selvag-
gi. Il valore d’uso è contenuto tanto nella produzione na-
turale che nella produzione mercantile. Il grano che il con-
tadino raccoglie per suo u so personale soddisfa il suo b i-
sogno di cibo : questo grano perciò ha un valore d'uso.
Ma il grano che il contadino produce per vendere sul
mercato diviene, come abbiamo visto, una merce. Il grano
continua a costituire un valore d’ uso perchè soddisfa il bi«

55
sogno umano di cibo, ma perderebbe questa proprietà se,
per qualche motivo (qualora per esempio si deteriorasse e
divenisse inadatto all’ uso), nessuno volesse acquistarlo.
Nello stesso tempo il grano acquista un’altra importan-
te proprietà. Il grano è diventato una merce e può essere
scambiato con un’ altra merce. Ciò che colpisce a prima
vista è che la merce ha la proprietà di essere scambiabile, ;*■
di venir,, cioè» scambiata con altre merci.
Questa nuova forma che un prodotto acquista quando
diventa una merce, quando, cioè, è fabbricato per lo scam-
bio, rappresenta una parte importantissima nell’economia
mercantile.
<( Una merce è primo, un oggetto che soddisfa un biso-
gno umano; secondo, una cosa che si può scambiare con
un’ altra. L ’utilità di una cosa fa di essa uri valore d’ uso,
I! valore di scambio (o semplicemente il valore) si pre-
senta prima di tutto come la proporzione, il rapporto
nel quale un certo numero di valori d’ uso di una spe-
cie! viene scambiata con un certo numero di altri va-
lori d’uso li un’altra specie. L ’ esperienza quotidana di-
mostra, con milioni di tali scambi, che si stabilisono
continuamente dei rapporti di equivalenza tra i valori
d’ uso più diversi e meno comparabili l’un l’ altro, ma
che vengono tuttavia equiparati ». (LENIN, Il marxismo
di Marx*Engels —- Carlo Marx).
Tra il valore d’uso e il valore di una merce vi è una
contraddizione. Per il suo produttore, una merce non ha
alcun valore d ’uso, ma l’ha per gli altri. D ’ altro canto per
chi acquista una merce per usarne, essa ha soltanto il suo
valore d'uso e non conserva più il suo valore. Quando il
produttore scambia la sua merce! egli ottiene il suo valore
di ritorno, ma egli non può più utilizzare il valore d’uso
della merce da quando quest’ultima è nelle mani di un
altro. La merce è un bene prodotto, non per l’ uso imme-
diato, ma per la vendita sul mercato; essa diviene quindi
l’agente di un definitivo rapporto sociale, tra il produttore

56

tm m
del bene e la società nel suo complesso. 11 rapporto non è.
però, diretto; la società non dice ad ogni produttore che cosa
e in qual quantità deve produrre : nella produzione mercan-
tile non vi può essere una guida cosciente e pianificata del-
l’intero processo di produzione nella società.

3 — II valore a creato dal lavoro.

Da che cosa dipende il valore di un bene? Alcune mer-


ci sono care, altre economiche ; quale è la ragione della
differenza di questo valore? I valori d’uso delle merci' diffe-
riscono così profondamente che non possono essere compa-
rati quantitativamente. Per esempio cosa vi è di comune
tra la ghisa e l’ arrosto? Noi dobbiamo quindi ricercare il
segreto del valore non nel valore d’uso, ma in qualcosa
d’ altro. Marx dice :
« Fatta astrazione dal loro valore d’uso, alle merci non
resta che una proprietà comune : quella di essere prò.
dotti del lavoro ». (Il Capitale, V oi. I., Cap. 1).1
11 valore di una merce è determinato dalla quantità di
lavoro impiegato nella sua produzione.
Fino a quando lo scambio fu raro, i prodotti furono
scambiati soltanto incidentalmente. Quando un cacciatore
primitivo incontrava un membro di una tribù agricola e
scambiava della carne con del grano il rapporto era deter-
minato da cause fortuite. Ma le cose cambiarono radicalmen-
te con lo sviluppo dello scambio.
Con la distruzione dell’ economia naturale, il rapporto
di scambio divenne continuamente più aderente alla quan-
tità di lavoro impiegato nell’oggetto scambiato. Quando
nella produzione mercantile semplice un contadino scambia
del grano con una scure fabbricata da un artigiano dà a
quest’ ultimo una quantità di grano che rappresenta appros-
simativamente la medesima quantità di lavoro impiegata
nel costruire la scure.
Engels mostra con queste parole il quadro dello scam-

57
bio dei beni secondo il loro •valore nelle condizioni della
produzione mercantile semplice prima della nascita del ca-
pitalismo :
« Il paesano del Medio Evo conosce molto accuratamen-
te il tempo di lavoro necessario per produrre le cose
che egli ottiene in cambio; il fabbro e il sellaio lavo-
ravano sotto i suoi occhi e cosi il sarto e il calzolaio
che, ancora nella mia giovinezza, andavano di porta
in porta tra i nostri paesani del Reno facendo vestiti e
scarpe con tessuti e pelli preparati in casa. Tanto i con-
tadini che quelli presso cui i contadini facevano i loro
acquisti erano lavoratori e gli articoli scambiati erano
il profitto del loro stesso lavoro. Che cosa impiegava-
no per produrre questi oggetti? Lavoro e nuli’altro che
lavoro; per rimpiazzare gli attrezzi da lavoro;, per la
produzione della materia prima e per la sua lavora-
zione essi non impiegavano nuli’ altro che la loro forza-
lavoro; come potevano dunque scambiare i loro prodot-
ti con quelli degli altri se non in proporzione del la-
voro impiegatovi? Non soltanto la quantità di lavoro
impiegata in questi prodotti era la sola misura appro-
priata per la determinazione quantitativa delle gran-
dezze comprese nello scambio, ma ogni altra misura era
assolutamente impensabile. V i è qualcuno che può cre-
dere che l’artigiano e il paesano fossero così pazzi da
scambiare mi oggetto per cui occorrevano dieci ore di
lavoro con un altro per cui ne occorreva solo una? Per
tutto il periodo dell’ economia naturale contadina non
è possibile nessun altro scambio se non quello nel qua-
le le quantità dei beni scambiati tendono sempre più
ad essere misurate dalla quantità di lavoro incorpora-
tovi...
« La stessa cosa è vera nello scambio dei prodotti della
campagna con quelli degli artigiani della città. Da
principio questo avviene direttamente, 'senza la media-
zione del mercante, nei giorni di mercato, nella città
dove il contadino vende i suoi prodotti e compie i suoi

38
acquisti. Anche qui il contadino non, conosce soltanto
le condizioni in cui l’artigiano lavora, ma anche que-
st’ultimo conosce le condizioni del contadino, perchè
egli stesso è un contadino in una certa misura, e non ha
solo un orto e un pollaio,, ma ha spesso anche un pez-
zo di terra arabile, una o due vacche, maiali, pollame,
ecc. ». (ENGELS, Supplementi al V oi. Ili del Capitale).

Una quantità di fatti che non hanno bisogno di dimo-


strazione prova che le merci sono scambiate secondo la
quantità di lavoro incorporato. Molti beni che erano una
volta assai cari diventano assai più economici perchè coi
moderni sviluppi della tecnica occorre molto meno lavoro
per produrli. Così, per esempio, Ealluminio col quale si
fanno ora le pentole e una quantità di altre cose era,
alcune decine di anni fa, otto o dieci volte più caro del-
l’ argento. Esso costava circa L. 4.275,— al Kg., ma, con lo
sviluppo della scienza elettrotecnica, divenne possibile pro-
durlo con molto meno lavoro, così economico soltanto per-
chè occorreva molto meno lavoro per produrlo.
Il valore di un bene dipende quindi dalla quantità di
lavoro impiegato a produrlo. Se noi produciamo una mag-
gior quantità di beni con la stessa quantità di lavoro, noi
parliamo di una maggior produttività del lavoro; se4 al con-
trario, la quantità prodotta è minore, noi parliamo di una
diminuzione nella produttività. E ’ evidente che l’ accre-
sciuta produttività del lavoro significa una diminuzione
della quantità di lavoro che si deve impiegare per produr-
re una singola unità di una data merce. Il risultato sarà
una diminuzione del valore, ed ogni merce di questa par-
ticolare specie sarà meno cara. Una diminuzione della pro-
duttività del lavoro e il valore di ogni unità dei beni pro-
dotti sono inversamente proporzionali (cioè, quando uno
cresce, l ’altro cala e viceversa); come dice Marx :

« Il valore di un bene... varia... inversamente alla pro-


duttività del lavoro in esso incorporato ». (Il Capitale,
V oi. I, Gap. I).

59
Il valore di un bene è dato dal lavoro impiegato a
produrlo. Il valore di un bene non è altro che una quantità
definita di lavoro cristallizzato o incorporato nel bene. Ma
un valore si manifesta soltanto quando un bene è parago-
nato con un altro. Ammettiamo che la stessa quantità di
lavoro sia incorporata in una tonnellata di ferro e in un
chilo di argento : il valore di una tonnellata di ferro sarà
eguale al valore di un chilo di argento. Il valore di un
bene,., indicato comparativamente al valore di un altro bene,
è il suo valore di scambio. Il valore di scambio è la forma
nel quale il valore si manifesta. Contemporaneamente b i-
sogna ricordare che in questa forma noi abbiamo soltanto
il valore che rappresenta il tempo di lavoro incorporato
nel bene.
In una produzione mercantile sviluppata, quando le
merci sono scambiate per mezzo della moneta, ogni merce
è paragonata a una somma di danaro. Il valore delle merci
è indicato in danaro. Il valore di scambio diviene il prezzo
della merce. Quindi : II prezzo è soltanto il valore, di una
merce espresso in danaro

4 — Lavoro astratto e concreto.

Per comprendere le contraddizioni inerenti ai beni è


necessario osservare le particolarità del lavoro che produce
le merci.
Scambiando le merci si paragonano le più diverse spe-
cie. di lavoro. Il lavoro di un ciabattino differisce profonda-
mente da quello di un fonditore. Il lavoro di un minatore
somiglia pochissimo a quello di un sarto. Ogni merce con-
tiene il lavoro di una particolare professione, o di un ramo
particolare dell’industria. Quello che è comune a tutte le
merci è il lavoro umano in generale o, come si dice tal-
volta, il lavoro umano astratto, per distinguerlo dal lavo-
ro concreto o specifico di ogni ramo individuale di produ-
zione.
« Tutto il potere produttivo di una data società, rappre-

60
sentalo dalla somma totale del valore di tutti i beni,
non è altro che la stessa forza-lavoro umana. Milioni
e milioni di, contratti di scambio lo provano ». (LENIN,
Il marxismo di MarxEngels - Carlo Marx).
Ogni bene in particolare rappresenta soltanto una par-
te definita del lavoro umano in generale.
Il lavoro concreto produce il valore d’ uso. 11 lavoro
concreto del calzolaio produce scarpe, quello del minatore,
carbone. Il valore di queste merci indica quindi semplice-
mente il lavoro umano, l’ impiego del lavoro umano in ge-
nerale nella produzione dei beni.
« Da un lato tutto il lavoro è, nel senso fisiologico, un
impiego di forza umana di lavoro e sotto questo aspetto
di lavoro umano astrattamente identico! crea e forma il
valore dei beni. Dall'altro lato tutto il lavoro rappre-
senta un impiego di forza umana di lavoro in una for-
ma speciale e con uno scopo definito e, sotto questo
altro aspetto, di lavoro concreto e utile, produce il va-
lore d’uso ». (MARX. Il Capitale, V oi, I).Il
Il medesimo lavoro è ad un tempo concreto ed astratto
nella produzione mercantile : è concreto in quanto produce
valori d’ uso, è astratto, in quanto produce valore. Da un la-
to, ogni produttore produce definiti valori d’uso; ad esem-
pio, scarpe, carbone, stoffe, ecc. che rappresentano il v a -
lore concreto del lavoro di un calzolaio-, di un minatore,
di un tessitore, ecc. Ma, d’ altro lato, lo stesso calzolaio,
minatore o tessitore producono il valore delle scarpe, del
carbone, delle stoffe. Essi non producono questi beni per
il loro uso personale, mai per lo scambio sul mercato, come
merci che contengono valore. Quindi il valore è prodotto
dal lavoro umano astratto ed universale.
Sin dall’inizio le merci rivelano la loro duplice natura,
di valore e di valore d ’uso. Noi vediamo ora che anche il
lavoro, il lavoro incorporato in queste merci,, il lavoro ap-
plicato alla produzione capitalista, ha un carattere duplice.
La differenza tra il lavoro concreto e astratto appare

61
nella contraddizione tra valore d’uso e valore. 11 valore
d'uso è il risultato del lavoro concreto; il valore, def lavo-
ro aslratto.
E’ evidente che questa divisione del lavoro in concreto
ed astratto esiste soltanto nella produzione mercantile. Q ue-
sta duplice natura del lavoro rivela la contraddizione fon-
damentale della produzione mercantile1in cui tutto il lavoro
di un membro individuale della società diventa, da un lato,
una particella della intera massa del lavoro sociale, dal-
l’altro, rappresenta il lavoro particolare^. il lavoro indivi-
duale di differenti e separati lavoratori. E ’ chiaro, perciò,
che la contraddizione tra il lavoro astratto e concreto sorge
soltanto con la produzione mercantile e svanisce con lo
scomparire della produzione mercantile.
N ell’ economia mercantile il lavoro di ogni singolo la -
voratore rappresenta soltanto una frazione dell’ intero la-
voro sociale. 11 lavoro di ogni tessitore, minatore o mecca-
nico entra a far parte di una catena generale di produ-
zione sociale. Ogni singolo lavoro costituisce soltanto un
anello di quella catena, pur essendo contemporaneamente,
nell’economia mercantile, indipendente. Il lavoro degli in-
dividui diviene socialei considerando che il lavoro di ogni
produttore è connesso con quello di migliaia di altri. Ma
il lavoro di ogni individuo non è coordinato in una scala
sociale generale. Tutto al contrario, l’opera dei singoli la-
voratori è divisa e sparpagliata.

(( La produzione delle merci è un sistema di rapporti


sociali nel quale i singoli produttori creano prodotti
differenti (divisione sociale del lavoro), i quali vengono
equiparati l’un l’altro nello scambio ». (LENIN, Il mar-
xismo di Marx-Engels - Carlo Marx).
Questa contraddizione, consistente nella natura sociale
del lavoro individuale dei produttori indipendenti, sorge
con la produzione mercantile e con essa scompare.
Nell’ economia naturale queste contraddizioni non esi-
stono. Immaginiamoci un’economia paesana relegata in

62
c
qualche angolo lontano ed isolato del mondo, da cui è qua-
si completamente tagliata fuori. Ogni bene necessario è
prodotto nell’ azienda. Il lavoro qui non costituisce una
parte del lavoro di tutta la società, ma ha solo una natura
distintamente separata ed individuale. Le contraddizioni
caratteristiche della produzione mercantile! quindi, non e-
sistono. Se noi invece consideriamo la società socialista,
noi vediamo che l’interdipendenza del lavoro dei membri
individuali della società è- anche più grande di quella esi-
stente nel capitalismo, ma anche qui non esiste la contrad-
dizione della produzione mercantile : il lavoro di ogni la-
voratore è diventato sociale e costituisce una parte organiz-
zata del lavoro generale. Il carattere separato, sparpagliato
dell'opera di ogni lavoratore è sparito: il frutto del lavoro
di tutti diventa proprietà dell’ intera società e non di pro-
prietari individuali. *

5 — Lavoro socialmente necessario.

Se il valore di un bene è determinato dalla quantità


di lavoro impiegato nella sua produzione si potrebbe crede-
re che più un uomo è pigro ed inabile, tanto maggiore sia
il valore della sua merce.
Supponiamo che ci siano due calzolai che lavorano
fianco a fianco : di qua un lavoratore capace .che produe
un paio di scarpe al giorno, dall’altra parte un pigro che
impiega una settimana per finire un paio di scarpe. Le
scarpe del secondo devono valere più di quelle del primo?
Naturalmente no.
« Dicendo che il valore di un bene è determinato dalle
quantità di lavoro cristallizzatovi, noi intendiamo la
quantità di. lavoro necessario alla sua produzione ad un
dato livello della società e in condizioni sociali medie
di produzione, con una intensità ed abilità media di
produzione. Quando, in Inghilterra, il telaio mecca-
nico cominciò a competere con quello a mano, il tempo
necessario a trasformare una certa quantità di filo in

63
un metro di cotone o di tessuto diminuì della metà e
il povero tessitore a mano dovette lavorare 17 o 18 ore
invece delle 9 o 10 di prima. Tuttavia il prodotto di 20
ore del suo lavoro rappresentava ormai 10 ore sociali
di lavoro, cioè 10 ore di lavoro socialmente necessarie
alla conversione di una data quantità di filo in tessuto.
Il suo prodotto di 20 ore non aveva quindi maggior
valore del precedente prodotto di 10 ore ». (MARX, Va-
lore, prezzo e profitto, Cap. VI).
Appare quindi evidente che il valore di un prodotto
non dipende dal lavoro impiegato, in ciascun caso singolo,
a produrlo, ma dal lavoro che è richiesto in media per la
sua produzione^ o come si dice, dalla media sociale o dal
lavoro socialmente necessario.

6 — Lavoro comune specializzato.

Noi dobbiamo anche fare la distinzione tra lavoro co-


mune e lavoro specializzato. Prendiamo un muratore ed
un orologiaio. Un’ ora di lavoro di un muratore non può
essere eguale ad un’ ora di lavoro di un orologiaio. Perchè?
Perchè per imparare il mestiere di muratore non occorre
impiegare tanto tempo come apprendista, come per impa-
rare il mestiere d ’orologiaio. Si tratta di un lavoro semplice,
che si impara facilmente. Ognuno può facilmente diventare
un muratore (o, in generale, un lavoratore comune). Diver-
sa è la situazione di un orologiaio o di un chimico. Per d i-
ventare orologiaio si devono impiegare, diciamo, tre anni
a imparare il mestiere. Se il futuro orologiaio decide di im -
piegare tre anni a imparare la professione è perchè egli
spera di essere pagato di più in seguito. E come? Col ri-
cevere in cambio di un orologio che egli fa in venti ore
dei beni prodotti da un lavoratore comune, diciamo in
trenta ore. In tal caso un’ ora di lavoro specializzato è e-
guale sul mercato ad un’ ora di lavoro comune..
Che cosa accadrebbe sq non fosse fatta nessuna differen-
za nello scambio tra un’ora di lavoro semplice ed un’ ora

64
di lavoro specializzato? In quel caso l’offerta di lavoro spe-
cializzato verrebbe considerevolmente ridotta. 11 numero
degli orologiai, dei chimici e di simili altri operai specia-
lizzati diverrebbe sempre minore; vi sarebbero quindi sem-
pre meno orologi, prodotti chimici ecc. sul mercato e il
prezzo di tali beni dovrebbe salire. Allora un’ ora di lavoro
di un orologiaio tornerebbe ad essere eguale ad un’ ora e
mezzo o due di lavoro comune, e diventerebbe di nuovo
vantaggioso l’ imparare quella professione.

7 — Mercato e concorrenza.

Noi abbiamo visto che il valore di un bene è determi-


nato dal lavoro socialmente necessario impiegato nella sua
produzione. Si deve quindi intendere che nel sistema della
produzione mercantile ogni merce può essere sempre scam-
biata al suo completo valore? Naturalmente' no. iPerchè que-
sto avvenisse sarebbe necessario che ogni merce prodotta tro-
vasse immediatamente utì acquirente, che l’offerta e la do-
manda si compensassero sempre.
Ora può questo avvenire realmente?
Nel sistema della produzione mercantile non vi è alcun
organo nella società che possa indicare al produttore indi-
dividuale quali beni e in quale quantità egli dovrebbe p ro-
durre. Fino a quando la maggior parte della produzione
serve all’uso privato e soltanto un piccolo soprappiù è desti-
nato al mercato, l’importanza di questo fatto fnon è molto
grande. Ma con l’espansione della produzione mercantile, il
mercato diventa sempre più importante.
Ogni produttore di merci lavora a proprio rischio. Sol-
tanto dopo che la merce è stata prodotta e immessa nel mer-
cato egli può sapere se vi è o no una domanda (per la sua
merce.
Il prezzo di una merce è l’espressionei in danaro del va-
lore. Ma il prezzo oscilla onntinuamente secondo le condi-
zioni del mercato. Questo provoca una continua lotta tra
il venditore e iP compratore. Una gara tra i venditori da un

65
Iato e i compratori dall’altro decide la questione del prezzo
al quale la merce deve essere venduta. 11 prezzo della merce
non corrisponde perciò sempre a suo valore, ma qualche vol-
ta p più alto e qualche volta è più basso. Il valore rimane
però il centro o l’ asse attorno al quale oscilla il prezzo.
Se di una merce' è stata prodotta una quantità maggióre
di quanta ne è richiesta, allora l’offerta supera la domanda e
il prezzo cade al di sotto del valore; ciò significa che il
produttore di un bene dato non sarà compensato per tutto
il lavoro che egli vi ha impiegato; e ohe egli guadagnerà
di più producendo qualche altra merce di cui vi è maggior
domanda. La produzione della prima merce sarà quindi di-
stretta; in seguito i rapporti tra l’ offerta e la domanda di-
venteranno più vantaggiosi per; questa merce e dopo un certo
tempo il suo prezzo aumenterà ancora al livello del suo
valore e anche lo supererà.
Soltanto in questo modo, per mezzo di fluttuazioni con-
tinue, la legge del valore si realizza. I beni si vendono al
loro valore soltanto quando la domanda corrisponde esatta-
mente al’ offerta, questo avviene, però, soltanto in rare ec-
cezioni.

« La teoria del valore ammette .e deve ammettere una


offerta, e una domanda eguali, ma non può affermare
che una simile eguaglianza possa o debba essere osser-
vata sempre in una società capitalista ». (LENIN, Arti-
colo sul problema della teoria del mercato).

La legge del valore appare come una forza cieca del


mercato a1cui ogni produttore deve sottomettersi. Come dis-
se Marx, questa forza agisce come il crollo di una casa : il
produttore individuale non può cioè mai .prevedere che co-,
sa l’ onnipotente mercato gli domanderà. La legge del valore
agisce dietro le spalle del produttore individuale. La pro-
duzione mercantile è caratterizzata, come abbiamo visto, dal-
l'anarchia, dall’assenza, cioè, di ogni ordine, di ogni piano
cosciente per il complesso della società. La legge del valo-

66
re agisce come un potere impersonale ed incoscio in iuna
società dove predomina l’ anarchia della produzione.
8 .— Sviluppo dello scambio e forma del valore.
Noi sappiamo già dai precedenti capitoli che la produ-
zione mercantile non comincia ad esistere immediatamente
nella sua forma più sviluppata. A l contrario, lo scambio
scompone e, distrugge solo gradatamente l’ economia natu-
rale precedente. 11 passaggio dall’ economia naturale a quel-
la mercantile si prolunga per parecchi secoli.
In un’ economia mercantile sviluppata, una merce non è
scambiata direttamente con un’ altra : le merci sono com-
perate e vendute! esse vengono convertite in danaro. La for-
ma nel quale il loro valore si rende evidente jè il danaro. Tut-
tavia, per comprendere la forma monetaria del valore, noi
dobbiamo conoscere le forme meno sviluppate corrisponden-
ti ai primi stadi dello dello sviluppo della produzione! mer-
cantile e dello scambio.
Quando la produzione conserva ancora un carattere na,-
turale primitivo e lo scambio avviene incidentalmente! noi
abbiamo la forma semplice, accidentale od elementare del
valore. Un bene è scambiato con un altro; la pelle di un
animale, per esempio, è scambiata con due lance. Quella
forme caratteristiche che divengono preminenti quando lo
scambio e la produzione mercantile hanno raggiunto lo svi-
luppo e l’espansione massimi, sono già contenute in em-
brione io questa forma del valore ancora non completamente
sviluppata.
Nell’ esempio dato, la forma semplice del valore serve
come espressione del valore della pelle, raggiunge la sua
espressione nella forma di due lance. Noi vediamo che il
valore della pelle non è indicato direttamente, ma soltanto
relativamente, in rapporto al valore delle due lance/ che ne
rappresentano qui l’ equivalente. Il valore della pelle è in-
dicato quindi per mezoz del valore delle due lance.
Noi vediamo perciò che il valore d ’uso di una merce
(due lance) serve come indicazione del valore di un’altra

67
merce. Valore e valore d’uso sono divisi, il valore èì separa-
to dal valore d’uso. Qui la pellq rappresenta soltanto il va-
lore. le due lance il valore d’uso. Il valore della pel-
le viene, per così dire, separato dal suo valore d’uso ed e-
quiparato ad un’altra merce. Da qui la conclusione che il
valore di una merce non può essere indicato in termini tratti
dalla stessa, ma occorre la forma materiale di un’ altra mer-
ce come equivalente.
Anche sotto la semplice forma di valore, l’aspetto ca-
ratteristico della merce equivalente è che il suo valore di
uso serve d’ indicazione del suo opposto : il valore.
« La merce che serve materialmente come equivalente
rappresenta la materializzazione del lavoro umano nel-
la sua forma astratta e, nello stesso tempo, il prodotto
di una certa quantità di lavoro specifico concreto ed
utile ». (MARX, Il Capitale, V oi. 1. Sez. I, Cap. Ih
Il lavoro concreto serve qui come mezzo di individua-
zione del lavoro astratto, il lavoro individuale serve come
espressione del lavoro sociale.
La forma semplice del valore esiste soltanto sino a quan-
do lo scambio conserva il suo carattere singolo/ accidentale.
Quando Io scambio si sviluppa più largamente, questa for-
ma del valore si trasforma nella jorma totale o sviluppata
del valore nella quale non sono equiparati due soli beni, ma
un cerchio molto più ampio di beni. In .questa forma ogni
merce non viene scambiata soltanto un un’ altra merce, ma
con una serie di merci. Per es., la pelle non viene scam-
biata solo con due lance,, ma con un paio di scarpe, con un
remo, con un pezzo di tessuto, con un sacco di grano. La
forma totale o sviluppata del valore apparirà quindi così :
2 lance

Ì 1
I
È I
paio di scarpe
remo
pezzo di tessuto
\ 1 sacco di granoi ecc.
Noi abbiamo questa forma di valore quando qualche
prodotto de! lavoro, per esempio, il bestiame, è' normalmente
scambiato con vari altri beni, non come eccezione, ma come
regola generale.
La forma totale del valore costituisce uno stadio ulte-
riore nello sviluppo1della forma del valore. Il valore di una
merce è in indicato con differenti merci, appartenenti a di-
versi proprietari. La divisione tra valore e valore d ’uso di-
viene qui più evidente. Il valore della pelle viene contrap-
posto al suo valore d’uso come elemento comune a una serie
di altre merci.
Neanche la forma sviluppata del valore basta perù a
soddisfare la domanda che aumenta con lo sviluppo dello
scambio.
Lo sviluppo dello scambio rende sempre più manifesta
l'insufficienza di questo sistema di scambio. Questa insuffi-
cienza viene scartata dalla successiva e più ampia forma di
valore, detta jorma generale. La forma generale del valore
del valore nasce, naturalmente! dalla forma sviluppata al to-
tale. Nella forma sviluppata il valore di una merce viene
più frequentemente scambiato e quindi viene indicato con
una serie di altri beni. Supponiamo che questo bene sia il
bestiame, e ammettiamo che un bue sia scambiato con una
barca, per tre paia di scarpe, con tre sacelli di grano, con
trenta frecce, ecc. Noi dobbiamo soltanto rovesciare questa
serie di rapporti di scambio per ottenere l’ equivalente gene-
rale o universale del valore, espresso in questo modo :

I barca
3 paia di scarp. = 1 I lllP

3 sacelli di grano (
30 frecce! ecc. i

Nell’ equivalente universale del valore, il valore di tutti


i beni viene indicato con una sola, medesima merce. La
merce che indica il valore delle altre merci serve come egui»

6$
valente universale. Questa merce viene sempre accettata in
cambio di qualunque altra merce, eliminando così l’ incon-
veniente che è insito nella forma totale 0 sviluppata del
valore. La separazione del valore dal suo valore d’uso di-
viene qui molto più profonda. Il valore di tutti i beni è in-
dicato in un bene unico la cui funzione diventa appunto
quella di indicare il valore degli altri. Tutto il complesso
delle merci viene diviso in due gruppi opposti : l’ equivalen-
te universale occupa da solo una parte, dall’altra parte vi
sono invece tutte le altre merci.
La forma monetaria del valore differisce soltanto leg-
germente dalla forma universale. Quando un metallo pre-
zióso — l’ oro e l’ argento — diviene definitivamente univer-
sale equivalente fissato, si lia il passaggio dalla forma ge-
nerale del valore alla forma monetaria. Nella forma; mone-
taria la funzione particolare sociale, cioè l’ indicazione del
valore di tutti i beni, è incorporata in una mere partico-
lare, 1 oro e l’ argento, che diviene preminente nel mondo
dell e merci. Prima di diventare danaro, l’oro fu una merce,
ma, essendo divenuto danaro, acquista certe nuove proprie-
tà connesse con la sua funzione di moneta.
Il valore è un rapporto sociale specifico tra persone, in-
dicato in un rapporto tra cose. 11 valore di una merce non
può essere indicato con la merce stessa, ma lo dev’essere per
mezzo di un’ altra merce. Il rapporto di scambio tra un be-
ne ed un altro, cioè il suo valore di scambio, serve come
indicazione del suo valore. Noi abbiamo visto lo sviluppo
della forma del valore della forma semplice alla monetaria,
e questo sviluppo è collegato con quello delle contraddizio-
ni che sono inerenti ai beni. Le contraddizioni tra valore
d’uso e valore emergono sempre più chiaramente nel pro-
cesso di sviluppo dello scambio e delle forme corrisponden-
ti del valore Questa contraddizione è indicata pienamente
nella moneta che diviene ;il mezzo unico ed universale di
indicazione del valore, mentre tutte le altre merci si con-
trappongono ai danaro come valori d’ uso.

70 x
9 — I d o la t r ia d e lle m e r c i.

Nella produzione pianificata socialista è chiaro ad ogni


lavoratore che egli è parte di un corpo organizzato; i rap-
porti di produzione tra gli uomini divengono qui chiari ed
evidenti. Le connessioni tra ogni lavoratore e l’impresa e
tutti gli altri lavoratori e tutte le altre imprese balzano al-
l’ occhio.
Questo non avviene in una società dove predomina lai
produzione mercantile. Nella produzione mercantile i rap-
porti di produzione tra le persone appaiono come rapporti
tra le cose. Quando un calzolaio vende un paio di scarpe di
sua fabbricazione e, col danaro che ricava, compra dal for-
naio il pane per sè e per la sua famiglia, noi abbiamo un
rapporto di produzione definito, una connessione definita
tra le persone secondo la produzione. 11 pane impastato dal
fornato serve al bisogno del calzolaio^ le cui scarpe occor-
reranno forse al fornaio. Ne consegue, perciò, che il lavoro
del prestinaio è servito a soddisfare il bisogno del calzolaio,
e viceversa. V i è dunque una connessione tra il calzolaio e
il panettiere, un rapporto definito secondo la produzione.
Ma, come si rivela questa connessione? Da che cosa è indi-
cala? N oi l’ abbiamo igi'à visto: essa si rivela nel processo
di scambio. Le merci sono o|ggetti che cambiano mano da
un produttore all’altro. 11 pane va dal fornaio al calzolaio,
le jsoarpe vanno dal calzolaio al mercante e dal mercante
ancora al panettiere. Le merci, però, non si limitano a cam-
biarci semplicemente'di mano. Ognuno sa che il calzolaio ce'
de le scarpe che ha fatte soltanto dopo aver ricevuto in
cambio una quantità corrispondente di danaroi il loro prez-
zo fi fornaio fa precisamente la stessa cosa. Così, nel si-
stema della produzione mercantile, i rapporti di produzio-
ne tra le persone appaiono movimenti di cose, di merci.
Il valore è ‘un rapporto tra le persone che producono
dei beni, ma appare un rapporto tra cose, merci. 1 rapporti
di produzione sono nascosti da uno schermo materiale co-
stituito dalla circolazione delle cose. Il valore di una merce

7 ti
sembra proprio una proprietà naturale delia merce, come
il suo valore e il .suo peso, cosicché si dice : il peso di que-
sto pane è di gr. 250 e il suo valore di L. 0 50. Una mer-
ce diviene un concetto assai confuso. .11 destino del produtto-
re è istrettamente legato con quello del suo prodotto. Se il
nostro calzolaio non potrà vendere le fsue scarpe, ,egli ri-
marrà senza pane; se il prezzo delle scarpe diminuisce egli
potrà comperare meno pane. Perchè il calzolaio non può
vendere le scarpe o può venderle ad un prezzo inferiore
questa volta piuttosto che un’ altra? La causa sta nel cam-
biamento avvenuto nella vita economica, nei rapporti di pro-
duzione tra gli uomini nella società capitalistica sej per e-
sempio, è sopravvenuta una crisi, o gli operai comprano più
raramente le scarpe a causa di una riduzione dei salari.. La
causa reale resterà quindi sconosciuta a lungo al calzolaio
e, quando l’ avrà scoperta, egli avrà probabilmente preso,
una via sbagliata. Perchè il rapporto tra il calzolaio e il
resto del mondo produttivo è imperniato nella sua merce,
le scarpe, e nel valore che si può realizzarne sul mercato.
Noi chiamiamo il fatto che nella produzione mercantile
i rapporti tra gli uomini nel campo della produzione ac-
quistano l’ apparenza di rapporti tra le cose (le merci},, e
che le merci acquistano quindi speciali particolarità sociali),
idolatria delle merci (l’ idolatria è il culto di qualità sopran-
naturali immaginarie attribuite ad un oggetto inanimato, l’ i -
dolo1. Sotto il capitalismo tutti i rapporti di produzione tra
gli uomini nella società sono nascosti sotto uno schermo di
cose ed appaiono appunto come rapporti tra cose, come rap-
porti connessi con le cose. 'Questo maschera il significato
reale dei rapporti capitalistici, li vela! nasconde il loro ca-
rattere reale dando un’apparenza illusoria. E’ perciò molto
importante smascherare, comprendere la confusione dell’ ido-
latria delle merci che permea tutti i rapporti sotto il capi-
talismo.
Marx fu il primo a sciogliere il nodo del feticismo del-
le! merci; egli fu il primo a rivelare i rapporti sociali tra
gli uomini, mentre sino allora erano state viste solo le m i-

72
steriose proprietà delle cose. Egli fu il primo a dimostra-
re che il valore è un rapporto sociale tra gli uomini nel
sistema della produzione mercantile.

« L ’economia politica comincia a occuparsi delle merci


al momento in cui i prodotti sono scambiati l’ un l’altro,
sia dagli individui che dalle comunità primitive. 11 pro-
dotto che è destinato allo scambio è una merce. Esso è
però una merce soltanto perchè un rapporto tra due
persone e tra due comunità si aggiunge alla cosa (il pro-
dotto) come rapporto tra produttore e consumatore che
ormai non sono più riuniti nella stessa persona. Noi
abbiamo qui un esempio di un[ fatto particolare che at-
traversa tutta l’ economia e che ha causato la più gran-
de confusione nelle menti degli economisti borghesi : la
scienza economica! non tratta delle cose, ma dei rappor-
ti tra le persone e, in ultima analisi,, tra le classi. Questi
rapporti: son però sempre uniti alle cose ed hanno l'ap-
parenza di cose. Queste connessioni intime che qualche
economista aveva intuito in qualche caso particolare,
furono per prime scoperte da Marx come un filo che
attraversa tutta l’economia politica, rendendo cosi tan-
to semplici e chiare le questioni più complesse, che
ora anche' gli economisti borghesi possono; comprender-
le ». (ENGELS, Ludwig Feuerbach, appendice).

10 — L ’importanza della moneta nel sistema della produ-


zione mercantile.

Accade raramente oggi che un bene sia direttamente


scambiato con un altro. Il produttore usualmente vende i
suoi prodotti per danaro e col danaro acquista i beni di
cui, ha bisogno. Perchè dunque si parla di scambio dei beni?
La realtà è che la moneta agisce realmente come un mez-
zo intermediario nello scambio delle merci. Il capitalista
vende i suoi prodotti e riceve in cambio una certa somma
di danaro, ma egli non cerca la moneta per se stessa; egli
ne ha bisogno per acquistare nuova materia prima e macchi.

73
ne. pei- assumere dei lavoratori e per ampliare la produ-
zione.
Lo scambio delle merci per mezzo della moneta è però
radicalmente diverso dallo scambiò diretto. L ’introduzione
del danaro sviluppa in grando superiore le contraddizioni
inerenti alle merci.
La moneta non è, stata creata per accordo generale, ma
è entrata nell'uso spontaneamente, perchè soltanto con l’ aiu-
to della moneta potevano realizzarsi tutte le diverse con-
nessioni sociali stabilite, tra i produttori individuali separati.
(La contraddizione tra lavoro concreto ed astratto, come ab-
biamo visto, si esprime nella contraddizione tra valore di
uso e valore della merce. L ’introduzione della moneta ha
sviluppato questa contraddizione. 11 bene acquista un dop-
pio aspetto di merce e di danaro. Quando lo scambio avvie-
ne per mezzo! del danaro! il proprietario della merce riceve
in cambio del danaro che .corrisponde al valore del bene.
Il valore della merce è ora indicato dal suo prezzo, cioè
da una quantità definita di danaro. Non basta che il bene
sia stato prodotto, esso deve venir scambiato col danaro;
deve essere venduto e .il prezzo riscosso. Se non può venir
venduto, il lavoratore lia lavorato invano.
La moneta è una merce universale, l’ equivalente uni-
versale; essa rappresenta l’ incorporazione del valore, ossia
l’incorporazione del lavoro astratto. La moneta rappresenta
il marchio di riconoscimento sociale che il mercato pone
sulle merci,, trasformandole da prodotti del lavoro privato
in prodotti del lavoro sociale.
Il danno sta ne! pericolo che i prodotti dell’ uno o del-
l’ altro produttore non possano venire convertiti in danaro.
Qualora questo risulti impossibile il lavoro privato e indi-
viduale non viene trasformato in lavoro sociale. Cosicché,
a causa dell’ anarchia dominante nella produzione, si è spre-
cato lavoro, materia prima, arnesi, nella produzione di una
merce che non! può venir venduta.
Con la moneta l’ idolatria della merce appare in modo
ancor più chiaro. Nella produzione mercantile capitalista,

74
tutti i rapporti sociali di produzione sonoj. come dice Marx»

* dorati e argentati. Dei poteri soprannaturali sono attribuiti


alla moneta. Essendo un prodotto dello sviluppo sociale la
j moneta conquista un potere ed una forza sempre maggiori
in questa società.
« La moneta, essendo il più alto prodotto dello sviluppo
dello scambio e della produzione mercantile, maschera
e nasconde il carattere sociale del lavoro individuale, il
1 legame sociale tra i produttori singoli collegati dal mer-
cato ». (LENIN, il marxismo di Marx-Engels - Carlo
Marx).
La moneta rappresenta una parte importante nel pas-
saggio dalla piccola produzione mercantile al capitalismo.
I padroni che sono diventati ricchi per amore e per forza,
ammassano la loro ricchezza in danaro. 11 capitale nasce
sotto forma di moneta.

11 — Le funzioni della moneta.


La moneta ha diverse funzioni nell’ economia mercantile
Ogni merce è venduta per una somma definita di danaro
' che è chiamata prezzo della merce. Il prezzo è il valore e-
spresso in termini di moneta. 11 valore di una merce si mi-
sura per mezzo della moneta. La misurazione del valore di
una merce in danaro è la premessa per lo scambio, l’ acqui-
sto e la vendita di una merce. Prima che un bene possa
essere comprato e venduto, è necessario conoscere il suo
prezzo. La moneta rappresenta, la misura del valore.
Il valore di una merce è determinato dal tempo lavora-
tivo impiegatoi nella sua proruzione. 11 valore non può però
venir indicato dal tempo lavorativo socialmente necessario.
Nell’acquisto e nella vendita di un paio di scarpe, per e-
sempio, non viene detto che le scarpe costano, diciamo, ven-
ti ore di lavoro, ma che esse costano! L. 100.
Come abbiamo già spiegato, il valore di un bene può
essere indicato soltanto per m ezjo di un’altra, merce. Prima
della vendita si ignora se il tempo impiegato nella proda-

75
sione delle scarpe verrà tenuto in conto oggi. Se il mercato
è depresso esse non si potranno vendere per 100i ma sol-
tanto per 50 lire. Questo significa c h è le venti ore impiega,
te prima nella produzione della merce non si potrebbero
scambiare che con un prodotto di sole dieci ore di lavoro.
Il prezzo di una merce ondeggia continuamente attorno al
suo valore spostandosi da un livello inferiore a un livello
superiore al valore e viceversa.
Per essere una misura di valore, la moneta stessa deve
essere una merce e possedere un valore. Noi non possiamo
misurare il peso di un oggetto per mezzo di un altro privo
di peso. Occorre però clic il danaro sia materialmente pre-
sente nel momento in cui si misura il valore? Naturalmente
no. Noi non possiamo valutare un numero immenso di mer-
ci senza avere un centesimo in tasca. La moneta adempie la
stia funzione come misura teorica del valore, come moneta
ideale. E ’ dunque chiaro che il problema della quantità del-
la moneta non ha alcuna parte in questa funzione.
11 momento decisivo per una merce viene dopo che è
stata valutata in danaro. Essa deve essere venduta, cioè
scambiata in danaro.. Lo scambio delle merci compiuto per
mezzo del danaro si chiama circolazione delle merci. E'
chiaro che la circolazione delle merci è legata inseparabil-
mente alla circolazione della moneta stessa. Quando una
merce passa dalle mani del venditore a quelle del compra-
tore, il danaro passa a sua volta dalle mani del compratore
a quelle del venditore. 11 danaro rappresenta qui un mezzo
di circolazione od una merce circolante.
[Per fungere da mezzo di circolazione la moneta deve
materialmente essere presente. Qui essa non appare come
Un mezzo ideale, ma materiale. Ognuno sa che non si può
comperare nemmeno una presa di tabacco con una moneta
ideale. Si può concepire l’ idea di un milione di lire, ma non
si può acquistare nulla con questo milione immaginario,
mentre con ogni lira realmente esistente si può ottenere
una merce di valore corrispondente.
I requisiti di un mezzo di circolazione sono però di-

/(>
versi sotto un aspetto importante, dai requisiti per la misura
del valore : come mezzo di circolazione non è necessario
che la moneta abbia un valore proprio. In ogni caso il ven-
ditore di una merce accetta il danaro in cambioi non per
il suo valore, intrinseco, ma per scambiarlo a sua volta con
un’altra merce, per acquistare, cioè, un’ altra merce. Ser
vendo come mezzo di scambio il danaro non rimane nelle
tasche di un singolo, ma continua il suo movimento ininter-
rotto in direzione inversa delle merci. 11 danaro lia dunque
qui solo una funzione transitoria. Questo è il motivo per
cui il valore reale della moneta —■ l’ oro — può essere sosti-
tuito nelle sue funzioni da un simbolo. Questi sostituti! del-
l'oro sono le banconote, la valuta cartacea, le monete d’ar-
gento e di rame senza valore pieno; ecc. Questi sostituti del-,
l’ oro o non hanno alcun valore o ne hanno molto meno di
quello che rappresentano. Come i raggi della luna non so»
no che luce riflessa del sole, così essi rifettono il valore del-
la moneta reale, l’oro.
Per adempiere la funzione di mezzo di circolazone, oc-
corre una quantità definita di danaro. Per vendere una
merce del valore di mille lire,, non occorre una somma in-
determinata di danaro, ma precisamente un migliaio di lire.
D’altra parte le stesse mille lire che sono pagate per una
merce data, possono ancora servire come mezzo di circola-
zione per un’ altra merce del valore di mille lire. Le merci
sono però comperate, e vendute in molti luoghi simulta-
neamente. La quantità di danaro necessario in un momento
dato dipende perciò dalla somma totale dei prezzi di tutte
le merci in cireolazione; la somma totale dei prezzi di.
pende a sua volta dàlia quantità di beni in circolazione
e dal prezzo di ogni singola merce.
La quantità di danaro che occorrerà, per esempio, du-
rante un anno, non dipende solo da queste due quantità, ma
dalla rapidità di circolazione della moneta. Tanto più rapi-
da è la circolazione tanto più piccola è la quantità di da-
naro necessaria e viceversa.
La duplice natura dei beni —- di merci e di danaro —1

77
apre la via all’ulteriore sviluppo delle contraddizioni della
produzione mercantile. Quando le merci sono scambiate di-
rettamente l’un l’altrOi una vendita è nello stesso tempo un
acquisto. Il danaro rende invece possibile la separazione
della vendita dall’acquisto. Il produttore di beni può ven-
derli e trattenere per un certo tempo il danaro incassato.
Cosicché, quando molti venditori cercano di vendere senza
acquistare, si crea un arresto del mercato. 11 danaro apre
così la via alle crisi che l’ ulteriore sviluppo della produ-
zione mercantile e la sua trasformazione in produzione ca"
pilalistica rendono inevitabili.
Quando il proletario ha venduto la sua merce, spesso
mette da parte il danaro ricavato. 11 danaro, come scrive
Marx : « è il rappresentante universale della ricchezza ma-
teriale », (Capitale, cap. Uh par. 3 a). Nel mondo capitali-
stico. il danaro può venire convertito in merce ili qualun-
que momento; la difficoltà è di convertire la merce in da-
naro, non di convertire il danaro in merce. Perciò il da-
naro è il mezzo migliore per l’ accumulazione, o il mezzo
per ammassare una grande, ricchezza. Sotto il capitalismo’
il desiderio di profitto non conosce limiti. La sete dell’ ar-
ricchimento agisce cornei uno sprone per l’accumulazione del-
la quantità maggiore possibile di danaro.
Come mezzo per ammassare ricchezze,, il danaro deve
essere tale nel sensq pieno della parola. Esso deve possede-
re un valore suo proprio appunto per l’adempimento della
sua funzione di misura del valore. Nello stesso tempo esso
deve esser sempre presente nel suo aspetto materiale ; non
si può accumulare del danaro puramente ideale, si può solo
accumulare del danaro realmente esistente e quindi deve
possedere anche quella proprietà che possiede nella sua
funzione di mezzo di circolazione.
Nella società capitalistica sviluppata, un individuo che
accumula danaro eslusivamente per la passione dell’ accu-
mulazione è raro. Il raccogliere la moneta, o semplicemente
rammassare la ricchezza nella sua forma monetaria, è una
caralteristica dei primi stadi del capitalismo. L ’ industriale

78
capitalista non si interessa dell’accumulazione di monete
d ’oro. Egli sa che per aumentare la sua ricchezza, egli deve
incrementare la sua produzione, la circolazione, e deve
trarre una maggiore quantità di lavoro gratuito dai suoi
operai. Anche il capitalismo moderno, o la banca che lo
serve, devono però qualche volta iniziare l’ accumulazione
del danaro, poiché* per estendere la produzione, bisogna
impiegare subito una massa definita che deve venir quindi
accumulata in un certo periodo di tempo. La moneta fun-
ziona, inoltre,, anche come mezzo di pagamento. La vendita
e l'acquisto si compiono spesso a credito. L’ acquirente ac-
quista una merce che pagherà dopo un certo tempo deter-
minalo. La funzione della moneta rappresenta un ulteriore
sviluppo dello scambio. 1 legami tra i produttori individuali
divengono più forti, la loro interdipendenza aumenta. L ’ac-
quirente diviene ora il debitore, il venditore diviene il cre-
ditore. Quando si avvicina l’epoca del pagamento, il debi-
tore deve trovare il danaro a tutti i costi; egli deve vendere
la sua merce in modo da pagare! il suo debito. Che cosa ac-
cadrà se egli non può trovare un acquirente e non può sal-
dare il suo debito?
Questo porterà un colpo, non solo alla sua produzione,
ma anche a quella del suo creditore che non riceverà in-
dietro quello che ha dato a credito. In questo modo la pos-
sibilità della crisi, che è già inerente alla funzione della
moneta come mezzo di circolazione, diviene sempre più
acuta.
La funzione della moneta come mezzo di pagamento in-
troduce nuovi fattori nelle leggi che d eterniinane- la quanti-
tà di moneta necessaria alla circolazione. A quelle condi-
zioni che nascono dalla funzione della moneta come mezzo
di circolazioneì si aggiungono ora quelle sorgenti dalla fun-
zione di mezzo di pagamento. Dapprima la quantità! di m o-
neta necessaria alla circolazione dipendeva dalla somma to-,
tale dei prezzi delle merci in circolazione e dalla rapidità
di circolazione di circolazione della moneta, Ora si aggiun-
gono nuove circostanze; prima di tutto, è necessario sottrar-

79
re dalla somma totale delle merci in circolazione la somma
totale di quelle merci che sono vendute a credito; bisogna
aggiungere poi la somma totale dei prezzi di quelle merci
che sono state vendute a credito, ma il cui pagamento è in
scadenza e, inoltre, conoscere la somma totale dei paga-
menti che si compensano perchè il venditore e| il compratore
di vari beni sono interdipendenti.
Finalmente, il danaro ha la funzione di moneta univer-
sale. Nel commercio tra Stati diversi l'oro si differenzia
dalle altre merci solo perchè esso è accettato da tutti. Per-
ciò l’ equilibrio fra i vari paesi è mantenuto per mezzo del"
l’ oro. Supponiamo, per esempio- che l’ Inghilterra abbia
esportato in America per un valore maggiore di quanto ha
importato. In questo, caso l’America dovrà trasferire una
certa quantità d’ oro all'Inghilterra per compensare questa
differenza.
E’ nell’uso di rimpiazzare l’ oro con dei pezzi di carta
ta che lo rappresentano. Se questa carta moneta è emessa
in quantità non maggiore della quantità necessaria per la
circolazione delle merci, essa può liberamente essere scam-
biata con l’oro e quindi il suo potere d’ acquisto è stabile.
I governi capitalisti, però, emettono spesso una quantità di
carta-moneta per sopperire ai loro bisogni, particolarmente
durante le guerre o altre catastrofi. Allora la moneta è sva-
lutata. Oggi, mentre il capitalismo sta provando la più du-
ra crisi, un gruppo di governi borghesi ha tentato questa
via. Dapprincipio l’ inflazione della moneta fu praticata
in un numero di paesi secondari,, ma ben tosto i più gran-
di paesi capitalisti. l’ Inghilterra e gli Stati Uniti, si misero
sullo stesso cammino.
12 — Legge del valore — Legge dell’ evoluzione della pro-
duzione mercantile capitalistica.Il

Il rapporto sociale tra i produttori individuali della so-


cietà produttiva capitalista è velato,, nascosto. .Questo rap-
porto sociale si manifesta nello scambio dei beni. Nella
produzione mercantile il lavoro acquista la forma del va-
valore. I beni sono scambiati secondo il loro valore, cioè
secondo la quantità di lavoro astratto socialmente necessario
impiegato (o cristallizzato) negli stessi. Tutte le contraddi-
zioni inerenti alla produzione mercantile capitalista sono
da ricercarsi in embrione nei beni, nel loro valore, nello
scambio delle merci.

n Marx, nel Capitale, analizza da principio il fenome-,


no più semplice, più ordinario, fondamentale e comune,
il rapporto che ha l’ apparenza più universale e che può
essere osservato milioni di volte nella società borghese
(mercantile) : lo scambio delle merci. In questo sempli-
ce fenomeno (in questa « cellula » della società borghe-
se) l’ analisi rivela tutte le contraddizioni, l’ embrione
rispettivamente di tutte le contraddizioni) della società
moderna.* L ’ esposizione seguente mostra lo sviluppo
(lanto la crescita che l’evoluzione) di queste contraddi-
zioni e di questa società nella somma delle sue parti
dal principio alla fine ». (LENIN, Il marxismo di Marx-
Engels - Carlo Marx).

La legge del valore è la legge dell’evoluzione della pro-


duzione mercantile capitalistica. Questa evoluzione appare
come un ulteriore sviluppo delle contraddizioni, i cui germi
sono inerenti al valore. L ’anarchia della produzione, carat-
teristica del sistema produttivo capitalista, appare nella sua
forma più evidente durante la crisi. La crisi capitalistica
contemporanea lo dimostra nel modo più eloquente. Duran-
te una crisi le contraddizioni tra le forze e i rapporti di
produzione! contraddizioni che trascinano il capitalismo alla
sua fine inevitabile, si rizzano più acute.
Con lo sviluppo storico della produzione mercantile e
la sua trasformazione in produzione capitalista, a causa del-'
l’ulteriore sviluppo del capitalismo! le contraddizioni ine-
renti ai beni e al loro valore divengono più compete. L ’ au-
mento delle contraddizioni inerenti alle merci riflette la
gigantesca portata storica dello sviluppo del capitalismo.

81
« Marx tracciò lo sviluppo del capitalismo dai suoi pri-
mi germi di economia mercantile e di semplice baratto
alla sua forma più alta, alla grande produzione », (LE-
NIN, IL marxismo di Mcirx-Engels * « Tre fonti e tre par-
ti integranti del marxismo »).

Esponendo come Marx traccia questo grande processo


storia evolutiva che ,abbraccia molti secoli, Lenin mostra an-
che come si sviluppano le contraddizioni che esistono già
in germe nelle merci :

« Là dove gli economisti borghesi vedevano un rapporto


di cose (lo scambio di un, bene con un altro) Marx sco-
perse un rapporto fra uomini. Lo scambio delle merci
esprime il legame tra singoli produttori per il tramite
del mercato. II danaro indica che questo legame diviene
sempre più stretto fino a riunire in un tutto insepara-
bile l’ intera vita economica dei produttori isolati. Il
capitale rappresenta un ulteriore sviluppo di questa con-
nessione : la forzadavoro del’uomo diventa, una merce...
« Il capitale, creato dal lavoro dell’ operaio opprime i
lavoratori, rovina i piccoli proprietari e crea un eser-
cito di disoccupati... Col battere la piccola produzione
il capitale porta all’ aumento della produttività del la-
voro e allo stabiimento di una posizione monopolistica
per le associazioni dei maggiori capitalisti. La produ-
zione stessa diventa sempre più sociale; centinaia di m i-
gliaia e milioni di lavoratori sono legati ad un organi-
smo economico sottoposto ad un piano sistematico, ma
un pugno di capitalisti si appropria del prodotto del
lavoro collettivo. L ’ anarchia della produzione,! le crisi,
la corsa sfrenata alla conquista dei mercati e l’ incertezza
dell’esistenza per la massa della popolazione aumenta-
no ». (Ibidem).

Lo sviluppo delle contraddizioni del capitalismo pone,


hello stesso tempo, la base per il trionfo finale del prole-
tariato.

B2
QUESTIONARIO

1 —’ QuaVè la differenza fra produzione naturale e mercan-


tile?
2 — Che cosa determina il valore di una merce?
3 — Quale lavoro è chiamato lavoro socialmente necessario?
4 —' Qual’ è la differenza tra lavoro concreto ed astratto?
5 — Qual’ è la funzione del mercato nel sistema di produ-
zione mercantile?
6 —• Come agisce la legge del valore?
1 — In che cosa differisce il capitalismo dalla produzione
semplice?
8 — La produzione mercantile può esistere senza moneta?

83
CAPITOLO IV

IL SIGNIFICATO
DELLO SFRUTTAMENTO
CAPITALISTICO

I. — Come i lavoratori sono sfruttati dal capitale. Uria mer-


ce : la forza-lavoro.

Lo sfruttamento della classe lavoratrice da parte della


borghesia predomina in tutti i paesi capitalistici. La classe
lavoratrice e la borghesia sono le due classi fondamentali
die si fronteggiano in ogni paese capitalista. Noi studieremo
le condizioni che rendono possibile alla borghesia di ap-
propriarsi i frutti della fatica del lavoratore per compren-
dere il segreto dello sfuttamento capitalista che fu rivelato
dal grande maestro del proletariato : Marx.
Qual’è il segreto dello sfruttamento capitalista? Da dove
nasce? Qual’è il segreto dell’ arricchimento dei capitalisti?
Da quali catene invisibili il lavoratore è legato ai suoi sfrut-
tatori? Perchè una classe diventa ricca sull’impoverimento
dell’altra?
La teoria marxista dà una risposta chiara e precisa a
tutte queste domande. I maestri marxisti ci spiegano l’ ul-
tima struttura del mondo capitalista, rivelano le molle più

85
nascoste del suo sviluppo e la sua inevitabile catastrofe.
In un capitolo precedente noi abbiamo studiato la pro-
duzione mercantile semplice e la sua legge fondamentale :
la legge del valore. La produzione mercantile semplice ge-
nera inevitabilmente gli elementi del capitalismo; essa cre-
sce e si trasforma in capitalismo. La legge del valore è la
legge del suo sviluppo. Questo sviluppo conduce al capi-
talismo e con esso cresce anche il potere della legge ele-
mentare del valore.
Che cos’è il capitalismo? Lenin così risponde a questa
domanda :

« Il capitalismo è la produzione mercantile al più alto


stadio del suo sviluppo, nel ,quale la forza-lavoro stessa
diviene una merce ». (LENIN, L'imperialismo, ultima
iase del capitalismo, cap. IVh

Nella produzione mercantile le cose non sono prodotte


per l’uso immediato, ma per lo scambio, il mercato, la
vendita. La legge del valore governa la produzione e lo
scambio dei beni. Le merci vengono scambiate secondo il
loro ivaiorei cioè secondo la quantità di lavoro socialmente
necessario occorrente a produrle.
Il capitalismo non abolisce la produzione mercantile e
le sue leggi; al contrario, col capitalismo la produzione
mercantile raggiunge il più altd stadio del suo sviluppo e le
leggi che la governano estendono la loro dominazione in
un campo ancora più vasto. Le leggi della produzione ca-
pitalista si fondano quindi sulle leggi della produzione
mercantile e, innanzi tutto, sulla legge del valore.
« La produzione capitalistica — dice Marx — è caratte-
rizzata sin dal principio da due tratti peculiari : P il
suo prodotto è la merce. Il produrre merci non è ciò
che la distingue dagli altri modi di produzione* ma ciò
che costituisce la sua caratteristica particolare è che il
carattere predominante e determinante dei suoi pro-
dotti è proprio quello di essere merci. Questo implica,

86
principalmente, che il lavoratore stesso è considerato
venditore di una merce, libero lavoratore salariato, co-
sì che il salario è il carattere tipieoi del lavoro... 2) L ’ al»
tra caratteristica particolare del sistema capitalista di
produzione è la produzione del plusvalore come scopo
diretto ed incentivo determinante della produzione., 11
capitale produce essenzialmente capitale e soltanto nei
limiti in cui produce plusvalore ». (Il Capitale, V oi. IH).
Il quadro della produzione mercantile si allarga sotto
il capitalismo. Appare una nuova merce, che non esisteva
nel sistema della produzione mercantile semplice : la forzar
lavoro. Che specie di merce è questa? Marx risponde a que-
sta domanda con queste parole :
(( Per forza-lavoro o capacità lavorativa si deve inten-
dere il complesso di quelle capacità mentali e fisiche
che esistono in un essere' umano, e che egli deve impie-
gare per produrre dei valori d’uso di qualsiasi genere ».
(Il Capitale, V oi. 1, cap. IV).
In altre -parole la forza-lavoro è la capacità a lavorare
e produrre. Marx dice :
« Il capitalista acquista la forza-lavoro per usarne e la
forza-lavoro impiegata è il lavoro stesso ».' (Ibidem).
Sotto il capitalismo la forza-lavoro diventa una merce,,
ma lo è sempre? Assolutamente no. Prendete il piccolo pro-
duttore; egli lavora nel suo piccolo pezzo di terra o nella
sua bottega : vende il suo prodotto, ma non la sui forza-
lavoro di cui usa per sè stesso.
E’ chiaro che egli può far questo soltanto finché pos-
siede il suo; pezzo di terra o la sua bottega d’artigiano. T o -
gliete i suoi arnesi o il suo banco all’ artigiano! il pezzo di
terra al piccolo contadino, ed essi non potranno più im-
piegare la loro forza-lavoro per il loro vantaggio personale.
Che cosa possono fare? Per non morire; di fame essi so-
no costretti a lavorare per il capitalista che possiede le
fabbriche, le terre, gli impianti o le ferro-vie. Ma che cosa
significa ricevere un salario da un capitalista? Significa
vendere la propria forza-lavoro.
Noi vediamo quindi che per la nascita del capitalismo
sono necessarie certe condizioni definite. E ’ necessario che
alcuni membri della società abbiano nelle mani tutti i mez-
zi di produzione e una sufficiente quantità di danaro per,
l’acquisto di questi mezzi) e, d’ altro canto, che esista una
classe di uomini obbligati a vendere la loro forza-lavoro.
« La premessa storie» necessaria alla genesi del capitale
è : prima, l’accumulazione di una considerevole quanti-
tà di danaro nelle mani di singoli individui in condizio-
ni di sviluppo relativamente alte della produzione mer-
cantile in generale e, secondo, l’esistenza di lavoratori
«liberi)) nel duplice significato della parola : liberi da
ogni obbligo e restrizione circa la vendita della loro for-
za lavoro; liberi di terra e di ogni mezza di produzione
in generale; l’ esistenza cioè di lavoratori privi di pro-
prietà, o « proletari che non possono mantenersi in
vita che vendendo la propria forza-lavoro ». (LENIN,
IL marxismo di Marx-Engels - Cario Marx).

2 — Accumulazione primitiva.

Il capitalismo sorge sulle rovine del precedente ordine


sociale : l’ economia latifondista feudale, e si sviluppa sulla
base della piccola produzione mercantile; esso provoca una
trasformazione radicale nei rapporti sociali precedentemen-
te esistenti.
Come i capitalisti poterono raggiungere la ricchezza? A l
principio dell’ era capitalista, circa tre o quattrocento anni
fa, le principali potenze europee di quell’ epoca (Spagna e
Portogallo, Inghilterra e Olanda) avevano sviluppato larga-
mente i commerci d’ oltremare. Intrepidi viaggiatori scoper-
sero le rotte alle ricche e lontane contrade orientali : l’ In-
dia e la Cina; fu scoperta l’America. L ’invenzione della
polvere da sparo rese facile agli Europei di sopraffare la
resistenza delle popolazioni indigene. Tutta l’America fu
trasformata in una serie di colonie. Le rapine dei più ric-
chi .paesi d’oltremare furono una delle più importanti fonti
dell’accumulazione del capitale europeo, specialmente in-
glese. Altra fonte fu la guerra tra le stesse nazioni europee
e il saccheggio dei paesi conquistati. Finalmente, la spo-
gliazione del popolo dei propri paesi per mezzo dell'usura
e del commercio d’ oltremare a condizioni usuraie, e la
rapina diretta (specialmente la pirateria) furono i metodi
più diffusi per la creazione del capitale.
L ’ accumulazione della ricchezza rappresenta soltanto
una metà del problema la cui soluzione è necessaria all’ ap-
parire della produzione capitalista. La seconda metà è l’esi-
: lenza di una quantità sufficiente di mano d’ opera disponibile.
Nessuno andrà infatti a lavorare per un capitalista fin-
ché ha la possibilità di lavorare indipendentemente. E’ ne-
cessario togliere i mezzi di produzione al piccolo produttore
per costringerlo a portare al mercato tutto ciò che gli ri-
mane : la sua forza-lavoro. Un’altra condizione necessaria
per 1 esistenza del lavoro salariato è la libertà da vincoli
personali cosicché gli uomini possano disporre liberamente
della loro forza-lavoro.
Queste condizioni non esistevano durante il periodo del-
la servitù che dominava dovunque in Europa. Questa è la
ragione per cui il capitalismo distrusse la servitù.
Per l’interesse del capitale non è però sufficiente la li-
berazione dei contadini, ma occorre che essi siano messi in
una condizione tale da essere costretti a chiedere lavoro alle
imprese del capitalista. E’ vero che il capitale riesce a rac-
cogliere un certo numero di lavoratori salariati tra gli ar-
tigiani che rovina, ma questo numero è insufficiente dato
che nuove imprese richiedono sempre maggiori masse di la-
voratori.
Inoltre il capitale deve poter sempre disporre di una
riserva di lavoratori, come vedremo in seguito .
Quindi contemporaneamente alla liberazione dei conta-

89
dini dalla servitù, un’altra « liberazione » non meno impor-
tante si effettuò. 11 contadino fu « liberato » dalla terra sul
la quale lavorava. A l contadino viene lasciata (e general-
mente egli deve anche comprarla) soltanto quella porzione
di terra da cui egli traeva il suo nutrimento sotto il latifon-
dista. L ’insufficienza della terra getta il contadino nelle
braccia del capitale. ,La mano d’ opera sovrabbondante lascia
il villaggio e costituisce l ’ esercito di riserva dei lavoratori
(salariati a disposizione deirindustria capitalista. L ’ accu-
mulazione primitiva crea i requisiti necessari alla nascita del
capitalismo, essa crea le condizioni necessarie senza le quali
il capitalismo non può esistere. Noi abbiamo già visto quali
sono queste condizioni. Esse sono, da un lato, la accumula-
zione della ricchezza nelle mani di una piccola parte della
società e, d’altra parte, la trasformazione di una vasta massa
di lavoratori in proletari che non hanno mezzi di produ-
zione e che sono quindi costretti a vendere la loro forza-
lavoro. L ’ accumulazione primitiva effettua così la separa*
razione del produttore dai suoi mezzi di produzione. Questa
separazione si effettua per mezzo del metodi di furto e di
saccheggio, di assassinio e di violenza. D opo che queste con-
dizioni per la nascita del capitalismo furono create si entrò
nel vero processo di produzione capitalista. Quando i lavo-
ratori curvarono il dorso in una fabbrica capitalista essi
moltiplicarono la ricchezza dei loro sfruttatori. Ma essi ri-
masero i medesimi proletari spossessati e costretti a vende-
re la loro forza lavoro.

3 — Trasformazione della moneta in capitale.

Dapprima il capitale sorge nella forma di danaio. U da-


naro ha perciò una funzione importante nel passaggio dalla
piccola produzione al capitalismo. A un certo stadio dello
sviluppo della produzione mercantile il danaro si trasforma
in capitale. La formula per la circolazione mercantile è :
Merce-Danaro-Merce : M-D-M, ciò la vendita di un bene
per l’acquisto di un altro. La formula generale del capitale

90
è esattamente il contro: D-M -D, cioè l’acquisto allo scopo
di vendere (con profitto^.
Q uale la differenza tra queste due formule? La formu-
la M-D-M è caratteristica della produzione mercantile sem-
plice. Una merce, qui, è scambiata con un’altra. 11 danaro
serve soltanto da mezzo di scambio. 11 fine dello scambio
è chiaro : il calzolaio, per esempio! scambia le scarpe per
del pane; si usa di un valore per scambiarlo con un altro.
11 produttore mercantile dà via la merce di cui non ha bi-
sogno e riceve in cambio un’altra merce che gli occorre.
La formula della circolazione del capitale ha un carat-
tere completamente differente. Il capitalista arriva al mer-
cato in possesso di una certa somma di denaro. Il punto di
partenza non è qui la merce, ma il denaro; con questo il
capitalista compra certe merci. Tuttavia il movimento del
capitale non finisce qui; la merce del capitalista viene con-
vertita in danaro. Così il punto di partenza e quello di
arrivo del movimento del capitale coincidono; il capitalista
ha danaro al principio e alla fine. Ma, come è risaputo,
il danaro è sempre lo stesso, non differisce qualitativamente,
ma soltanto quantitativamente. Questa è la caratteristica del
danaro in confronto alle altre merci che si differenziano
secondo la « qualità ». L ’intero movimento del capitale sa-
rebbe quindi assurdo se alla fine il capitalista avesse soltan-
to altrettanto danaro quanto ne aveva al principio. La ra-
gione di esistere del capitale! il significato del suo movi-
mento, è che alla fine viene ritirato dalla circolazione più
danaro di quanto ne era stato messo all’ inizio. Il fine del
capitale è di ottenere il profitto. La sua formula non è di
vendere per comprare ancora, come nel caso del semplice
produttore mercantile, ma di comprare per vendere e rica-
vare profitti.
In che modo, poi, viene ottenuto questo profitto? Se il
capitalista acquista qualunque merce col suo danaro e poi
la vende al di sopra del prezzo di costo> egli si arricchisce,
ma soltanto a spese degli altri capitalisti : a spese di coloro
da cui egli acquista la merce senza pagarla al suo prezzo

91
attuale, a spese di coloro a cui la vende a un prezzo mag-
giore e a spese di entrambi. Ma la classe capitalista non
può prosperare col mutuo imbroglio dei singoli capitalisti,
Come ottenere il profitto? Ovviamente il capitalista che va
al mercato col suo danaro cerca una merce di un genere
speciale, una merce il cui uso crei del valore. Nelle con-
dizioni capitalistiche una merce simile esiste: essa è la
forza-lavoro.

4 — Compra-vendita e valore della fcrzadavoro.

Nell’ economia mercantile ogni merce è venduta al suo


valore. Che cosa vende il lavoratore? Egli vende la sua for-
za-lavoro che è essenziale al capitalista per condurre la sua
impresa. Ma noi sappiamo che ogni merce ha il suo valore
e che questo valore è determinato dal tempo necessario a
produrre questa merce. Qual’è il valore di quella merce che
il lavoratore vende? la forza-lavoro.
E’ evidente che una persona può lavorare soltanto
quando è in grado di mantenere la propria esistenza : deve
mangiare e vestirsi e avere un letto per riposare. Si com -
prende che un essere umano può fornire del lavoro soltanto
quando soddisfa i suoi bisogni, almeno quelli più elementa-
ri. Se un lavoratore ha fame, se non ha abiti, egli diventa
inabile al lavoro,, perde la sua forza-lavoro. Si può perciò
considerare che la produzione della forza-lavoro consiste
nella soddisfazione dei più elementari bisogni del lavoratore,
Noi abbiamo visto che tutte quelle cose che servono a
soddisfare i bisogni dell’uomo (cibo, abiti e abitazioni) sono
merci sotto il capitalismo e non si possono ottenere senza
pagamento. Per produrle, occorre una certa quantità di la-
voro e questo determina il loro valore. Il valore della merce,
chiamato forza-lavoro, è uguale al valore di quelle merci che
il lavoratore deve consumare per mantenere la sua esistenza
e quella della sua famiglia, per ricuperare la sua capacità
lavorativa e per assicurarne la continuazione al capitalista.
« Il valore, della forza-lavoro è determinato dal valore dei

92
1

generi rii prima nec ssità generalmente richiesti dal la-


voratore medio ». (MARX. Il Capitale, voi. 1).

Ma il valore di queste merci dipende dal lavoro neces-


sario a produrle. In altre parole, il valore della merce detta
forza-lavoro è determinato dalla quantità di lavoro neces-
sario a produrre questa merce particolare mentre essa con-
siste, come abbiamo già detto, in cibot abiti, ccc. consumati
da! lavoratore. E ’ questo valore della merce detta « forza-
lavoro » che è pagato da! capitalista sotto forma di salari.
A l capitalista occorre un impianto : uno stabilimento
per il macchinario, magazzini nei quali è riposta la materia
prima e ogni genere di materiali ausiliari. Tutto questo si
arresterebbe senza il lavoro umano. Perciò il capitalista in-
gaggia i lavoratori; con questo egli acquista l’ultima merce
occorrente. Ogni cosa è quindi in ordine e la produzione
può cominciare. I lavoratori iniziano il lavoro, l’ impresa è
avviata, le macchine sono in moto.
Avendo assunto il lavoratore, acquistato la sua forza-
lavoro per un certo tempo il capitalista lo fa lavorare. Ili
questo sta infatti la ragione del suo acquisto di forza-lavoro.
Non si deve confondere il lavoro con la forza-lavoro. La
jorza lavoro e il lavoro non sono nè un’ unica nè una stessa
cosa. La forza-lavoro costituisce la capacità umana di lavoro.
II lavoro è creatore del valore ma non può trasformarsi in
una merce. La merce è la forza-lavoro. Noi sappiamo che
esiste una differenza tra una locomotiva, per esempio, e il
moto della locomotiva La locomotiva può rimanere ferma
nella stazione; in questo caso vi è una locomotiva! ma non
vi è alcun moto. Ma la locomotiva possiede la capacità di
muoversi c, quando è necessario, essa comincia a muoversi.
A llo stesso modo il potere lavorativo può rimanere inuti-
lizzalo, per esempio, se il suo proprietario è disoccupato,
Ma, sino a che il lavoratore disoccupato conserva la forza-
lavoro, ammesso che non sia ammalato o che non si inde-
bolisca per la fame, egli può in seguito ricominciare a la-

93
volare, proprio come la locomotiva può muoversi dopo una
lunga sosta.
Il prezzo di una merce, come abbiamo visto in un ca-
pitolo precedente, può essere al di sopra o al di sotto del
suo valore. Però, a differenza di molte altre merci, il prezzo
della forza-lavoro ha tendenza a rimanara al di sotto del
suo valore. Questo significa che il lavoratore non riceve,
tutti i mezzi di sussistenza necessari a coprire tutti i suoi
bisogni. Quando noi diciamo che il valore della capacita
lavorativa è determinato dal valore dei mezzi di sussistenza
necessari a mantenere in vita il lavoratore, ciò non significa
che l’ operaio riceve sempre l’ intero valore della sua forza-
lavoro. A l contrario, nella grande maggioranza dei casi, egli
è obbligato a vendere la sua capacità lavorativa al di sotto
del suo valore. Anche quando il lavoratore riceve l’ intero
valore della sua forza-lavoro, il capitalista ottiene però un
plusvalore dalla produzione e questo costituisce l’origine del
suo arricchimento.

5 — Qual’è la fonte dei profitti del capitalista?


Noi abbiamo già visto come le merci si scambino al
loro valore; vediamo ora come il valore creato da certi uo-
mini vada a finire nelle tasche di certi altri. Per lanciarsi
negli affari il capitalista acquista tutto ciò che è necessario
alla produzione : macchinari, materia prima, combustibile.
Egli acquista anche la forza-lavoro necessaria con l’ assumere
dei lavoratori. La produzione incomincia nella fabbrica : il
combustibile viene bruciato, le macchine girano,, gli operai
lavorano, la materia prima si trasforma in merce. Quando
le merci sono pronte, vengono vendute e, col danaro otte-
nuto, il capitalista può ricominciare continuamente il ciclo.
Qual’è il valore delle merci che vengono prodotte in
questo modo? Il loro valore consiste, prima di tutto, nelle
merci impiegate per la loro produzione : logorio del mac-
chinario, consumo del combustibile, materia prima. Ammet-
tiamo che il valore di tutto questo sia di tremila ore di la-
voro. Occorre poi calcolare un nuovo valore, creato dai la-
voratori. Ammettiamo che 20 uomini lavorino ciascuno 10 ore
al giorno per 5 giorni. E ’ facile vedere che si crea un valore
di 1000 ore lavorative 'L’ intero valore della nuova merce
che il capitalista ha, è di 3000 + 1000 = 4000 ore di lavoro.
Sorge ora il problema : quanto costa questa merce al
capitalista stesso? E’ evidente che per il logorio delle mac-
chine, il consumo del combustibile e della materia prima,,
il capitalista deve pagare il valore pieno, cioè una somma
di danaro equivalente a 3000 ore lavoro. Ma in aggiunta
a queste 3000 ore di lavoro, completano il valore della nuo-
va merce altre 1000 ore di lavoro impiegate dal lavoratore!
salariato. Paga il capitalista ai suoi operai l’ equivalente di
1000 ore di lavoro? Qui sta la chiave di tutto il segreto dello
sfruttamento capitalista.
Il capitalista paga a 20 operai il valore della loro jorza-
lavoro per 5 giorni. .Egli dà quindi loro una somma suffi-
ciente a riprodurre la loro forra-lavoro per 5 giorni. E’ fa-
cile comprendere che questa somma ammonta a meno di
1000 ore. La quantità di lavoro che il lavoratore dà alla fab-
brica è, naturalmente, una cosa; mentre il valore delle mer-
ci che occorrono a mantenere attiva la sua capacità di la-
vorare è un’ altra cosa, completamente diversa.
« ... il valore della forza-lavoro e il valore che essa crea
nel processo di lavoro sono due grandezze completamen-
te differenti », dice M ARX (Il Capitale, voi. T .
IPer ritornare al nostro esempio, noi possiamo ammet-
tere che il valore della forza-lavoro di un operaio ammonti
a 5 ore di lavoro. Allora il capitalista pagherà ai suoi ope-
rai una somma di danaro equivalente a 500 ore di lavoro.
Tiriamo le gomme : le spese del capitalista ammontano
a 3000 + 500=3500 ore di lavoro, mentre il valore delle mer-
ci era di 3000 +1000 = 4000 ore di lavoro.

6 — Plusvalore e pluslavoro.
Da dove nasce il profitto del capitalista? E’ ora facile
rispondere a questa domanda ; il profitto è il frutto del la-

95
voro non pagato ai lavoratori. Esso è il frutto del lavoro
addizionale o, come è chiamato, del pluslavoro degli operai
d ie durante 5 ore di lavoro al giorno producono un valore
eguale ai loro salari e, durante le altri 5 ore, producono
plusvalore che finisce nelle tasche del capitalista.
'La porzione non pagata di lavoro è la fonte del plus-
valore, la fonte di ogni profitto, di ogni rendita non gua-
dagnata.

.« 11 lavoratore salariato vende la sua forza-lavoro al pro-


prietario della terra, delle fabbriche e degli strumenti
di lavoro. L ’ operaio impiega una parte della giornata
lavorativa a coprire la spesa del mantenimento suo c
della sua famiglia (salario) e l’altra parte a lavorare
gratuitamente creando per il capitalista il plusvalore, ba-
se del profitto, fonte della ricchezza della, classe capita-
lista. La dottrina del plusvalore è la pietra angolare del-
la teoria eonomica di Marx ». (LENIN, Il Marxismo
di Marx“Engels - « Tre fonti e tre parti integranti del
marxismo »).

La dottrina marxista del plusvalore discopre il segreto


dello sfruttamento capitalista. Questa è la ragione per cui
questo insegnamento è un’arma inapprezzabile nelle mani
del proletariato che combatte per la distruzione del capita-
lismo e per la creazione della nuova società comunista. Que-
sta è la ragione per cui la borghesia e i suoi « dotti » ser-
vitori inferociscono contro la dottrina marxista del plusva-
lore. Questa è la ragione per cui essi tentano continuamente
di « confutare » e di a demolire » questo insegnamento.
La dottrina marxista del plusvalore si fonda, come ab-
biamo visto sulla sua concezione del valore. E/ quindi im-
portante di afferrare la teoria marxista del valore libera
da ogni distorsione, perchè la teoria dello sfruttamento si
fonda su di essa.
Noi possiamo torà concludere la nostra ricerca delle
fonti deH’arricchimento dei capitalisti. La conclusione può

96
essere data ripetendo l’ esposizione chiara e concisa della
teoria del plusvalore fatta da Lenin :

« Il plusvalore non può nascere dalla circolazione (delle


merci, perchè questa rappresenta soltanto lo scambio di
equivalenti; non può nascere da un aumento di prezzo,
perchè le perdite e i guadagni dei compratori e dei
venditori si compenserebbero mntualmente, mentre ciò!
che noi consideriamo qui non sono i fenomeni indivi-
duali, ma i fenomeni sociali nel loro complesso, medi
e generali. Per poter ricevere plusvalore, i possessori
del danaro devono... trovare... sul mercato una merce
il cui stesso valore d'uso possieda la proprietà partico-
lare di essere fonte di calore, come insegna Marx nel
Capitale, una merce il cui processo d’uso è nello stesso
tempo il processo della creazione del valore. Una simile
merce esiste : essa è la forza-lavoro umana —1 il suo
uso è il lavoro e il lavoro crea il valore. 11 proprietario
del danaro acquista la forza-lavoro al suo valore che è
determinato, come quello di qualsiasi altra merce, dal
tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produ-
zione (ossia dal costo del mantenimento del lavoratore
e della sua famiglia). Avendo comprato la forza-lavoro,,
il proprietario del danaro ha diritto di consumarla
cioè di impiegarla durante tutto il giorno, supponiamo,
per 12 ore. Mentre in 6 ore (tempo di lavoro « neces-
sario ») il lavoratore produce sufficientemente per com-
pensare il costo del suo mantenimento, nelle 6 ore se-
guenti (tempo di « pluslavoro »1 egli produce un sovrap-
prodotto o plusvalore per il quale il capitalista non
paga alcun compenso ». (LENIN, Il marxismo di Max~
Engels - Carlo Marx).

Nei tempi antichi, quando l’uomo non era ancora usci-


to dallo stato selvaggio, impiegava tutta fla forza e la sua
energia nell’ottenere soltanto gli oggetti assolutamente indi-
spensabili alla vita, ili selvaggio si occupava appunto quanto
era necessario per levarsi la fame per mezzo di ciò che il

97
' suo (lavoro poteva procurargli. Quando l’ uomo primitivo
combatteva la fame con difficoltà, non vi potevano essere
ineguaglianze tra gli uomini, come non ve ne sono tra gli
animali. L ’ introduzione del pluslavoro creò le condizioni
per la nascita delì’ineguaglianzaj. la possibilità dello sfrutta-
mento dell’uomo sull’uomo. Il pluslavoro di una parte degli
uomini crea il beneficio per gli altri : il prodotto di que-
sto pluslavoro cade nelle mani delle classi più alte della
società che sfruttano le classi più basse.
Una tale situazione persiste sino all’ epoca capitalista
compresa. In verità, la forma dello sfruttamento cambia;
essa ha differenti aspetti nella schiavitù, nel sistema feu-
dale e in quello capitalista, pur rimanendo essenzialmente
la stessa : l’ approvazione da parte della classe dominante
del plusvalore dell’ intera società.

« La differenza essenziale fra le varie forme economiche


della società, tra, per esempio, una società basata sul
lavoro schiavistico ed una basata sul lavoro salariato,
sta soltanto nel modo in cui il pluslavoro è tratto nel-
l’uno e nell’ altro caso dal produttore effettivo, dal la-
voratore ». (MARX, Il Capitale, voi. I).

Marx mise in rilievo che non fu il capitale ad inventare


il pluslavoro. In ogni luogo dove la società è formata da
sfruttatori e sfruttati, la classe dirigente trae il pluslavoro
dalla (grande massa dei lavoratori e della popolazione sfrut-
tata. Sotto il capitalismo, però, l’avidità di pluslavoro as-
sume carattere più insaziabile che sotto le precedenti forme
di società classista.
Sotto la (schiavitù e la servitù,, mentre predominava la
produzione naturale, vi erano limiti definiti all’approvazio-
ne del pluslavoro. Il proprietario di schiavi, il signore feu-
dale, spremeva dalle masse sfruttate da lui tanto lavoro
quanto era necessario per soddisfare \i suoi bisogni o i suoi
desideri. Sotto il capitalismo, al contrario, non vi sono li-
miti all’ avidità di pluslavoro che il capitalista spreme dal
lavoratore, trasformandolo in nuovo lavoro, producendo a

98
sua volta nuovo plusvalore. 11 metodo capitalista di jpro-
duzione si distingue per la sua insaziabile avidità di plus-
lavoro. Sotto il capitalismo la tendenza ad aumentare lo
sfruttamento del lavoratore non conosce limiti. 11 capitali-
sta non trascura alcun mezzo per aumentare lo sfruttamento
dei suoi schiavi salariati.
E ’ perfettamente chiaro che, con la distruzione del si-
stema capitalista, con l’abolizione dello sfruttamento capi-
talista, lo sfruttamento del pluslavoro a beneficio del Rapi-
tale finisce. Si pone fine alla divisione della giornata lavo-
rativa in ore necessarie e straordinarie nel senso in cui ven-
gono divise sotto la dominazione del capitale, ficco ciò che
Marx dice su questo argomento :

a Soltanto col sopprimere la forma capitalista di ipro-


duzione si potrebbe ridurre la lunghezza deila giornata
lavorativa al tempo di lavoro necessario. Ma anche in
quel caso, questa ultima allargherebbe i suoi limith sia
perchè il concetto di « mezzi di sussistenza » cambiereb-
be considerevolmente e il lavoratore non si accontente-
rebbe di rimanere allo stesso livello di vita, sia per-
chè una parte di quello che è ora pluslavoro sarebbe
calcolato in seguito come lavoro necessario : intendo
parlare del lavoro destinato a creare un fondo di riser-
va e di accumulazione » (Ibidem) —• una riserva, cioè,
di mezzi di produzione e di sussistenza che permette-
rebbe l’espansione dell’industria e compenserebbe le
possibili perdite, comprese quelle dovute ad accidenti.

Queste parole di Marx danno la chiave per comprende-


re la situazione nell’economia socialista deH’U.R.S.S., dove
lo sfruttamento degli operai non esiste più. ‘Nelle imprese
socialiste deH’U.R.S.S., lo sfruttamento di classe è stato a-
bolito per la prima volta nella storia. (Là non vi sono classi
con interessi contrastanti come vi sono nelle imprese Capi-
talistiche. Le imprese sono proprietà dello Stato sovietico,
della dittatura del proletariato. La classe clie possiede 'gli
impianti e le fabbriche e la classe che vi lavora sono una

99
unica e medesima classe. Nelle condizioni sovietiche il la-
lavoratore non vende la sua capacità 'lavorativa ad un rap-
presentante di una classe estranea ed ostile. Non vi è, e
non vi può essere, produzione di plusvalore ìlieli’ economia
socialista dell’ U.R.S.S. Le eccedenza create dall’opera del
lavoratore oltre |il suo guadagno servono ai bisogni della
stessa classe lavoratrice e della sua dittatura : per i biso-
gni generali del paese, iper l ’accumulazione socialista! per le
necessità della difesa, ecc.
Le invenzioni ,dei trotskisti secondo cui le industrie della
U.R.S.S . sono capitaliste di Stato e non socialiste, non sono
quindi altro che una maligna calunnia contro rivoluziona-
ria. Con queste insinuazioni il trotsKismo tenta di nascondere
i suoi tentativi di tradimento contro il lavoro dell’ edifica-
zione socialista nell’ U.R.S.S.
7 — Che cos e il capitale?
Noi abbiamo analizzato la produzione del plusvalore;
abbiamo studiato la dinamica dell’ appropriazione del lavoro
non pagato da parte dei capitalisti; abbiamo visto che l’u-
nica fonte di reddito non guadagnato per il capitalista è il
lavoro dei proletari. Consideriamo ora più da vicino la for-
za invisibile che costringe milioni di uomini a sottomet-
tersi ai capricci della potenza dei capitalisti. Esaminiamo
paratamente il potere del capitale e analizziamo che cosa
sia il capitale.
Lo sfruttamento dei lavoratori da parte dei capitalisti è
soltanto possibile perchè, sotto il capitalismo, tutta la ric-
chezza è concentrata nelle mani della borghesia. I capita-
listi possiedono tutti i mezzi di produzione e sussistenza
mentre i lavoratori non hanno nè gli uni nè gli altri. La
borghesia ha monopolizzato tutta la ricchezza della società.
« Le forze caratteristiche della società capitalista che
sorse sulla base della produzione mercantile sono : il
m onopolio dei mezzi più importanti e vitali di produ-
zione da parte della classe capitalista e dei grandi la-
tifondisti; lo sfruttamento del lavoro salariato del prole-

100
tariate che, essendo privato dei mezzi di produ-
zione, è costretto a vendere la sua capacità lavorativa;
la produzione delle merci per il profitto e, collegato
con questo, iì carattere disordinato ed anarchico dell’ in-
tero processo di produzione ».
E con queste parole che il sistema capitalista viene ca-
ratterizzato nel Programma dell’internazionale Comunista.
Sotto il capitalismo il proletariato è privato dei mezzi
di produzione. Per mezzi di produzione si intendono quel-
le cose che sono di prima necessità per il lavoro dell’uomo.
E’ facile notare che i mezzi di produzione si compongono
di parecchie parti importanti, che sono, prima di tutto, g!i
strumenti di lavoro, da] semplice trincetto del calzolaio alla
macchina più complessa negli impianti e nelle fabbriche mo-
derne; inoltre, la -materia prima che viene impiegata : per
costruire le scarpe, il cuoio; per gli oggetti metallici, il fer-
ro; per ile stoffe, il cotone; finalmente vi è una certa quan-
tità di materiali ausiliari necessari al lavoro come l’ olio, la
canapa, ecc.
La parte di questi diversi elementi impiegata nella pro-
duzione non è sempre uguale. Gli strumenti di lavoro du-
rano a lungo, In una fabbrica tessile gli stessi telai servi-
ranno a tessere molte pezze di stoffa. I materiali impiegati
hanno un destino differente ; la materia prima scompare nel
processo dì produzione : viene completamente trasformata
nel nuovo prodotto. Il cuoio nelle mani del calzolaio si 'tra-
sforma in scarpe, il tessuto nelle mani del sarto in abiti, .la
ganga in un impianto metallurgico si trasforma in ferro; i
materiali accessori scompaiono completamente nel processo
di lavoro ; così il combustibile si perde nelle caldaie della
fabbrica e l’olio nel macchinario.
Sotto il capitalismo questi mezzi di .produzione, senza
i quali il lavoro non è possibile, sono nelle mani della bor-
ghesia. Questo dà alla borghesia un immenso potere sulla
società.
I mezzi di produzione nelle mani della borghesia diven-
tano mezzi di sfruttamento perchè essi sono concentrati re-

101
lati vamente in poche mani, mentre la grande massa della
popolazione ne è priva e deve perciò vendere la sua forza-
lavoro.
Il capitale non è una cosa, dice Marx, ma un rapporto
sociale definito. Le cose (mezzi di produzione e ogni altra
specie di merci) non sono per sè stesse capitale nelle mani
della borghesia. Soltanto un, sistema sociale definito trasfor-
ma questi beni in mezzi di sfruttamento, li trasforma in
depositari di quei rapporti sociali che chiamano capitale.
Il capitale è « un rapporto di produzione sociale speciale-
storicamente definito » (LENIN). Nel rapporto sociale tra
le classi che posseggono i mezzi di produzione e le classi
che ne sono prive, queste ultime sono costrette a sottostare
allo sfruttamento.
Finché nella società capitalista i mezzi di produzione
sono comprati e venduti, essi sono merci e. come merci,
essi hanno un valore che può essere convertito in danaro
(con la vendita1; viceversa col danaro si possono ottenere,
i mezzi di produzione (con l’ acquisto compera). Il capitale
può essere quindi definito in altre parole come il valore che
produce il plusvalore (spremendolo dai lavoratori salariati!
Ma il valore non è altro che lavoro cristallizzato, il risul-
tato del lavoro. Il valore è lavoro impiegato, lavoro morto
E’ per questo che Marx dice che :
« il capitale è lavoro morto che, come il vampiro, si
mantiene soltanto succhiando il lavoro vivo... ». (Il Ca
pitale, voi. I).
8 — Capitale costante e variabile.
Per comprendere pienamente lo sfruttamento capitali-
sta è necessario distinguere tra capitale costante e variabile.
A bbiam o già visto che il pieno valore di una m e r c e ,
comprende il valore della materia prima e del combustibile
usato, oltre una parte del valore del macchinario, ecc. La
quantità di valore non cambia. Qualunque sia il valore im-
messo in una nuova merce, esso rappresenta sempre il va-
lore originale di questa parte di capitale impiegato. Noi

102
possiamo quindi chiamare questa parte del capitale (mac-
elline, stabilimenti, fabbriche, materia prima e combustibi-
Ie> capitale .costante. Ma noi sappiamo anche che un altro
importantissimo elemento entra nella composizione del va-'
lore della nuova merce : il valore prodotto dai lavoratori
nella fabbrica. Se in un’impresa vi sopo 100 lavoratori cho
lavorano ciascuno 10 ore al giorno e un’ora di lavoro ha,
poniamo, il valore di L. 9,50 in questo caso il nuovo valore
totale prodotto quotidianamente sarà di L. 9:500. Noi sappia*
mo già che i salari che i lavoratori ricevono sono inferiori al
nuovo valore che essi producono. L ’altezza dei salari corri-
sponde soltanto a quella parte del valore creato corrispon-,
dente al lavoro necessario per mantenere i lavoratori, men-,
tre il lavoro addizionale produce il plusvalore che finisce,
nelle tasche del capitalista.
Se il lavoro necessario ammonta a cinque ore al giorno,
il capitalista paga L. 47,50 al giorno al lavoratore, eguali,
a L. 4750 a 100 lavoratori. Così la parte del capitale che
il capitalista impiega ad acquistare capacità Javorativa am-
monta a L. 4750, mentre il valore creato da questa stessa
capacità lavorativa ammonta a 9500 lire. Noi fediam o quin-
di che questa parte del capitale si è raddoppiata, natural-
mente, non da sola, ma a causa della appropriazione d*
plusvalore non pagato agli operai. Noi chiameremo dunque
la parte del capitale usata per l’ acquisto di capacità lavora-
tiva (cioè per il pagamento dei salari dei lavoratori) capitale
variabile. Il capitalista fa un’altra distinzione nel capitale.
Egli distingue nel movimento circolare del capitale quella
parte che si muove rapidamente da quella che si muove più
lentamente. Il capitalista chiama capitale fisso la fabbrica,
le costruzioni e i macchinari che permangono a lungo, men-
tre chiama capitale circolante quella parte del capitale che
è impiegato in materia prima, combustibile, salari per il la-
voratori.
Nel processo di produzione, e conseguentemente anche
di circolazione, queste porzioni del capitale hanno un ruolo
diverso. Esse durano per periodi differenti di tempo. Lo
stabile di una fabbrica, può durare, per esempio, cinquan-
t’armi e di conseguenza soltanto la cinquantesima, parte del
valore di questo stabile sarà incorporata nel valore della
produzione annuale.
11 valore totale impiegato dal capitalista nello stabile
■gli sarà reso soltanto nel corso di einquant’anni. Una mac-
china lavorerà, per esempio, quindici anni. Il suo yalore
ritorna quindi al capitalista compreso nel prezzo delle merci
finite, soltanto in quindici anni; in ciascuno di questi quin-
dici anni il capitalista riceve attraverso la vendita delle, sue
merci, soltanto un quindicesimo del valore della macchina.
D ’ altro canto la materia prima, il combustibile, è intera-
mente consumato nella manifattura della merce. Se il fah
bricante ha trasformato 1000 balle di cotone in un prodotto
finito e ha poi venduto questa merce, l’ intero costo della
maleìia prima gli viene rimborsato subito e interamente.
La stessa cosa avviene per la capacità lavorativa.
ILa divisione del capitale in costante e variabile non
coincide con là sua divisione in capitale fisso e circolante.
Il capitale costante comprende il capitale fisso, oltre
quella parte di capitale circolante che è impiegato in ma-
teria prima, combustibile e materiali ausiliari. In generale-
il capitale costante è impiegato per l’ acquisto di lavoro mor-
to, come è chiamato, cioè di prodotti in cui è già stato im-
piegato del lavoro per la loro produzione, mentre il capita-
le variabile è usa.to soltanto per i salari dei lavoratori.
Questi due metodi di dividere il capitale si possono
illustrare come segue :
Divisione secondo la im -
Divisione secondo la ve- Elementi del capitale porta n*a del p rocesso di
looìtsà di circolazione sfrulifcamenbo
. Fabbriche, macchi-
Capitale fisso J uarj( costruzioni
Materia prima Capitale costante

ÌCombustibile
Materiali ausiliari
Salari . . . . . Capitale variabile

104
E ’ molto importante distinguere questi due melodi di
divisione del capitale. La divisione tra capitale costante e
capitale variabile mostra immediatamente quale la vera ed
unica fonte del plusvalore. La divisione fra capitale fisso e-
circolante nasconde la vera sorgente del plusvalore^ il la-
voro, con altri elementi che non aggiungono nessun valore,
nuovo. Così il metodo di dividere il capitale che è tradi-
zionale nella pratica capitalistica maschera e falsa l’ essenza
dello sfruttamento capitalista.
9 — Tasso del plusvalore.
Nel nostro esempio i lavoratori producono un valore di
9500 lire di nuovo valore al giorno e ricevono sotto forma di
salari soltanto lire 4750. E’ evidente che le altre 4750 lire
sono incamerate dal capitale sotto forma di plusvalore.
E ’ assai importante saper quale parte della fatica del
lavoratore vada a finire nelle tasche del capitalista. Noi
avremo allora una misura definita per mostrare il grado
dello sfruttamento capitalistico.
Il tasso del plusvalore è l’applicazione di questo criterio
Per tasso del plusvalore noi intendiamo il rapporto tra il
plusvalore e ,il capitale variabile o, in altre parole, il rap-
porto tra il lavoro non pagato e il lavoro necessario. Nel
nostro esempio, il (tasso del plusvalore avrà questa forma :
4.750 lire di plusvalore
==100 per cento.
4.750 lire di capitale vario ecc.
Se il tasso del plusvalore è uguale al 100 % ì. questo
significa che la fatica del lavoratore è divisa in due parti
uguali, tra lavoro necessario e pluslavoro, che il pluslavoro
è di grandezza eguale al capitale variabile, che il lavora-
tore è pagato soltanto per la metà del suo lavoro e che l’ al-
tra metà è incassata dal capitalista.
10 ~~ Due metodi di aumentare il plusvalore.
E’ evidente che ogni capitalista tenta di ottenere quanto
più plusvalore può. Come può raggiungere questo risultato5

105
I! modo più semplice sarebbe di ingaggiare più uomini e al-
largare la produzione. Se, infatti;. 100 uomini producono
L. 4750 di plusvalore, 200 uomini dovrebbero rendere al
capitalista L. 9500. Ma per raddoppiare la produzione o c-
corre dell’ altro capitale e, se lo possiede, egli naturalmente
seguirà questa via. Questo è assai chiaro.
11 problema però; |è : come aumentare il plusvalore, sen-
za aumentare la quantità del capitale impiegato II capitali-
sta può seguire -due vie. Abbiam o visto che la giornata la -
vorativa si compone di 2 parti : lavoro necessario - pagato -
e plusvalore — non pagato —\ Ammettiamo che la giornata
lavorativa sia di 12 ore, di cui 6 costituiscano la parte pa-
gata e 6 il plusvalore. Indichiamo la giornata lavorativa
con una linea divisa in dodici parti che rappresentano cia-
scuna un’ora.
12 ore
- l - l —I—1—1—S—l - l - 1 - 1 - 1 -
6 ore 6 ore
- l- l- l- l-l- —I—! —I—I—I —
lavoro necessario plusvalore
In questo caso il capitalista può aumentare la quantità
di plusvalore che riscuote col prolungare la giornata lavora-
tiva. Se il lavoro necessario rimane invariato, la parte di
plusvalore aumenterà. Ammettiamo che la giornata lavora-
tiva venga portata a 14 ore, ne risulterà lo schema seguente :

14 ore
-l-l-l-l-l-f-l-l-l-l-l-I -l-
6 ore 8 ore
- l - l- l- l-l- —I —I —I—I—I—1—I—
lavoro necessario plusvalore

In questo caso noi abbiamo un aumento del plusvalore


assoluto : la quantità di plusvalore aumenta a causa di un
aumento assoluto della giornata lavorativa.
V i è poi un altro mezzo di aumentare la quantità di

106
plusvalore. Come apparirà, la nostra giornata lavorativa^ se
il capitalista trova il mezzo di ridurre la quantità di lavoro
necessario? E’ facile rispondere : ammettiamo che il lavoro
necessario venga ridotto a 4 ore. La giornata lavorativa sì
presenta cosi :
12 ore
- l - l - l —I—1-1 —1—l - l - l - l —
4 ore 8 ore
- I - 1- ! - —I —I —I —I —I ~ l —1—
lavoro necessario pluslavoro

In questo caso noi abbiamo un aumento del plusvalore-


relativo; il volume del plusvalore aumenta esclusivamente
con lo spostamento del rapporto tra lavoro necessario ,e plus-
valore, mentre il totale della giornata lavorativa rimane in-
variato. Precedentemente noi avevamo un rapporto di 6 fi 6;
ora questo rapporto è diventato di 4 a 8 col ridurre la
quantità di lavoro necessario.

II — La lotta per la giornata lavorativa.

E’ evidente che, per il capitalista, il sistema piu’ sem-


plice di accrescere i suoi profitti è di aumentare il plusva-
lore assoluto, Per questo non occorre alcun miglioramento
tecnico; basta prolungare la giornata lavorativa. E, infatti, i
capitalisti cercano sempre di prolungarla al massimo. 8e 1°!
potessero, essi vorrebbero far lavorare d’ operaio più di 24
ore al giorno !
Il prolungamento della giornata lavorativa ha però dei li-
miti e, inoltre, urta contro l’opposizione sempre più decisa
dei lavoratori. E ’ per questo che i capitalisti non/possono li-
mitarsi soltanto a tentare di ottenere del plusvalore assoluto,
ma devono lottare contemporaneamente per un plusvalore
relativo che offre loro possibilità illimitate.
Al principio dell’era capitalistica, in tutti i paesi vigeva
una giornata lavorativa estremamente lunga. J miglioramen-
ti tecnici erano ancora deboli; e, cosa ancor più importante,
le classi lavoratrici erano disorganizzate e impreparate alla
lotta; in queste circostanze la produzione di plusvalore as-
soluto predominava quindi dovunque.
In qualche caso la giornata lavorativa giungeva quasi alle
24 ore. A l lavoratore erano lasciate solo poche ore per dor-
mire e il resto del tempo apparteneva al capitalista. E’ fa-
cile immaginare quale effetto poteva avere sulla vita del la-
voratore un simile sfruttamento mortale.
Ancor oggi una lunga giornata lavorativa è molto comu-
ne. In Cina* per esempio, la giornata lavorativa in molte
fabbriche da 16' a 18 ore; l’orario nelle miniere
di carbone è interminabile, non solo per gli uomini, ma
anche per le donne e i bambini.
Nelle società capitalistiche, dice Marx, la libertà di cui
gode un’unica classe è prodotta dalla trasformazione di tutta
la vita delle masse in tempo di lavoro.
Appena il proletariato inizia la lotta per ottenere con-
dizioni migliori egli presenta per prima la domanda per una
limitazione della giornata lavorativa.
Le leggi che limitano il lavoro dei fanciulli e la lunghe?
za della giornata lavorativa apparvero nei più antichi paesi
capitalisti (prima in Inghilterra poi in Francia) soltanto al-
la fine del secolo scorso; la legislazione del lavoro apparve
dovunque soltanto dopo la più aspra battaglia combattuta
dalla classe lavoratrice. Il governo borghese, difendendo gli
interessi di tutta la classe capitalista, acconsente a votare ta-
li leggi soltanto sotto la pressione del movimento dei lavo-
ratori, e per la necessità di conservare in vita le classi pro-
duttrici perchè senza lavoratori non vi sarebbero profitti per
i capitalisti.
Nella maggiore parte dei paesi più progrediti la giornata
di 10 ore predominava prima della guerra mondiale del
1914-18 ed era più breve soltanto in qualche caso di lavoro

108
minerario. V i era poi qualche limitazione nel lavoro mlan-
lile e femminile (lavoro notturno). /
Dopo la guerra mondiale, quando il dilagare del movi-
mento operaio minacciò l’ esistenza stessa del capitalismo, la
borghesia fece delle concessioni in molti paesi. Nel 1919, fu
lanciata a Washington la proposta per l’adozione universale
della giornata di 8 ore, ma poi fu abbandonata. Negli an-
ni seguenti, quando il capitale prese l’ offensiva, molte di
queste concessioni furono ritirate : i capitalisti condussero
un assalto generale contro la giornata di 8 ore; in molti pae-
si, ne ottennero l ’abolizione.

12 — Intensità del lavoro

Uno dei metodi favoriti di trarre una quantità maggiore


di plusvalore dai lavoratori è di aumentare l ’ intensità dei -la-
voro in modo da ottenere dal lavoratore un .maggiore im-
piego di lavoro e di energia nello stesso intervallo di tem-
po. In tal caso l’ operaio produrrà di più e il plusvalore in-
cassalo dal capitalista aumenterà.
L ’intensità del lavoro può essere aumentata con un mag-
gior impiego di mezzi meccanici! obbligando il lavoratore a
produrre con lo stesso ritmo delle macelline, pena il licen-
ziamento; ma il capitalista cerca anche di ottenere un mag-
giore rendimetno dagli operai per mezzo di metodi speciali
di pagamento.
L'eccessiva intensità del lavoro danneggia la salute e la
vita del lavoratore esattamente come una giornata lavorati-
va troppo lunga. Quando questa ultima è limitata dalla legge,
i capitalisti cercano una «scappatoia» nell’aumento illimitato
dell'intensità del lavoro. Nella maggior parte delle imprese
capitalistiche l’ intensità del lavoro è così grande che il la-
voratore perde prematuramente la sua .abilità tecnica, invec-
chia più presto ed è soggetto a varie malattie professionali.
(La intensificazione del lavoro è invece per i capitalisti un
mezzo utile allo sfruttamento del lavoratore e all’intensifi-
carsi del suo grado di asservimento.

109
13 — C a p ita lis m o e sv ilu p p o te c n ic o .

Oggi il sistema capitalistico decadente, trovandosi nella


morsa di una crisi severa e prolungata, diviene il nemico del
progresso tecnico. I capitalisti e i loro vecchi servitori ten-
tano spesso di presentare Je macchine come la causa di tutte
le perturbazioni; troppe macchine, essi dicono, troppi mo-
stri d’ acciaio rubano il lavoro aU’ onestuomo producendo
troppe merci che non trovano poi il loro mercato. I lavo-
ratori sanno però che non è la macchina in sè a provocare
la disoccupazione, la crisi, ecc.; la causa di questi disastri è
il sistema capitalista che si è profondamente involto nelle
contraddizioni. Non è la macchina a derubare il lavoratore
del suo pane, ,ma la applicazione capitalistica delle macchine
come metodi di sfruttamento.
Nelle condizioni della crisi attuale, la borghesia mostra
una predilezione a ritornare dalla produzione meccanica a
quella manuale e non è raro il tentativo di attuare questi
pazzi progetti cosi contrari al progresso.
In America, dove molte spalatrici e draghe rimangono
oziose, migliaia di uomini sono occupati a lavorare con le
pale e i picconi in lavori pubblici. In queste condizioni l’U.
R.S.S. è l’ unico paese al mondo che continui a progredire
senza arresto verso la adozione della tecnica più nuova e
più avanzata in tutti i campi. Il paese in cui è stato costituii a
il socialismo tiene alta la bandiera del progresso meccanico.
La tecnica deH’ingegneria moderna aumenta la pioltilli-
vità del lavoro centinaia di volte.
Un operaio può fare a mano 450 mattoni al giorno Una
macchina moderna può produrre 400.000 mattoni nello stesso
tempo con un solo operaio che l’ accudisce, il che costituisce
una produzione circa 1000 volte superiore.
Una macinatrice a mano può produrre al giorno 2-3 quin-
tali di farina di grano impura, un mulino moderno a Min-
neapolis (U.S.A.) produce 59 mila quintali di fior di farina
per ogni operaio impiegato, il che costituisce una produzio-
ne circa 20 mila volte superiore.

110
Una fabbrica moderna può produrre 63 paia di scarpe in,
6 giorni per ogni operaio, contro un unico paio che può es-
sere prodotto a mano da un lavoratore isolato.
11 moderno capitalismo moribondo è però incapace di u-
tilizzare queste possibilità. Anche prima delia crisi attuale)
l ’ applicazione dei più moderni miglioramenti tecnici incon-
trava immense difficoltà proprio nel più ricco paese capitali-
sta, gli Stati Uniti d’America.
Nel 1929 vi erano 2730 impianti laterizi che impiegavano
39.000 operai e che fabbricavano 8 milioni di mattoni, men-
tre 6 o 7 imprese moderne con soltanto 100 operai ciascuna
avrebbero potuto facilmente, soddisfare il mercato degli
Stati Uniti.
Nella industria delle scarpe, nel 1929, cioè in un periodo
di grande prosperità, 205.640 lavoratori producevano 365 mi-
lioni di paia di scarpe, il che corrisponde non a 83 ma a
35 paia di scarpe settimanali per lavoratore.
Si potrebbe catalogare un numero quasi infinito di tali
esempi.
E ’ importante considerare che nel periodo della sua gio-
vinezza e della sua prosperità il capitalismo produsse un im-
menso aumento delle forze produttive della società umana.
Sino alla nascita del capitalismo non era nemmeno imma-
ginabile una grande industria moderna, il suo alto sviluppo
tecnico, i mezzi moderni di trasporto e di comunicazione.
Esso chiamò alla vita le immense forze che giacevano nelle
viscere della terra, esso evolse una tecnica immensamente
progredita, alleggerendo considerevolmente il lavoro umano
ed aumentando il suo potere sulla natura.
11 capitalismo pose però tutti questi sviluppi delle forze
produttive della società al servizio dello sfruttamento cri-
minale di una classe sull’altra. 1 mezzi più perfetti di pro-
duzione sono usati dal sistema capitalista come i più per-
fetti mezzi di spremere plusvalore dalle classi lavoratrici.
La corsa al guadagno e al profitto, questo è il motivo con-
duttore dell'industria capitalista. L ’ aumento del profitto,
questo è lo scopo per cui il capitalista introduce i nuovi mi-
glioramenti tecnici.
Questa è la ragione per cui l’ulteriore sviluppo delle
forze produttive sotto il capitalismo significa un ulteriore
intensificarsi dello sfruttamento delle classi lavoratrici, un
ulteriore arricchimento dei capitalisti ,a spese dell’ impove-
rimento della grande massa del popolo. Ma, nello stesso
tempo, col creare imprese gigantesche di alto ordine tecni-
co, con l’ aumentare grandemente il rendimento del lavoro
umano, il capitalismo prepara la base materiale per il so-
cialismo, prepara le condizioni materiali ed i requisiti per
la realizzazione dello scopo per il quale il proletariato com-
batte. Il ruolo storico del capitalismo sta appunto nella pre-
parazione dei requisiti necessari al trionfo della rivoluzione
proletaria.

14 — Schiavitù salariale.

Non vi è nulla di più disgustoso dell'ipocrisia borghese-


che afferma « l’ eguaglianza » del ricco e del povero, del
rimpinzato e dell’affamato, del pigro e del lavoratore affa-
ticato. In realtà la fame e il bisogno assoggettano il lavora-
tore alla schiavitù del capitalista più strettamente della più
severa legislazione. Il capitalismo conduce ad un continuo
peggioramento delle condizioni di vita del proletariato, al
progressivo impoverimento delle larghe masse dei lavorato-
ri. La fame diventa un ospite sempre più frequente nei quar-
tieri delle classi lavoratrici.

Marx dice ;
« Lo schiavo romano era legato dalle catene; il lavora-
tore salariato è legato al suo proprietario da invisibili
legami. La apparenza della indipendenza è mantenuta
dal continuo cambiamento degli imprenditori e dalK
fictio juris (finzione legale) di un contratto ». (Il Capi-
tale, voi. I).

112
E infatti, il lavoratore è libero di lasciare il suo impiego
presso un’ impresa capitalista soltanto per prenderne un al-
tro presso un altro capitalista.
Sotto il pretesto di combattere contro il lavoro forzato,
i capitalisti conducono la loro campagna contro l’Unione
Sovietica. E ’ difficile immaginarsi qualcosa di più basso di
questo slancio dei moderni schiavisti contro l’unico libero
paese socialista del mondo, coperto dalla parola d’ordine
del combattimento per la libertà del lavoro.
L ’Unione Sovietica è l’unico paese del mondo dove è
stato posto fine alla schiavitù salariata, dove le grandi mas-
se dei lavoratori hanno, per la prima volta nella storia del-
l’umanità, acquistata la possibilità di un lavoro libero a loro
vantaggio^ a vantaggio di un sistema socialista in cui non
vi sono sfruttatori nè sfruttali.
In tutto il mondo capitalista le masse lavoratrici sono
incatenate con invisibili legami ad un lavoro odioso, spos-
sante, i cui frutti servono soltanto al loro progressivo as-
servimento, ad incrementare la schiavitù capitalistica. Men-
tre creano una indicibile ricchezza per un pugno di privi-
legiati i lavoratori stessi soffrono sempre più per la fame e
le privazioni. « Il libro delle multe dei sorveglianti ha pre-
so il posto della sferza dei guardiani di schiavi » dice Marx
(Ibidem) e, senza dubbio, il piccolo libro del sovraintendente
— che può togliere all’ operaio il lavoro e farlo morire di
fame — opprime ai nostri giorni i lavoratori non meno della
frusta del padrone di schiavi.
Ma nemmeno la frusta del sovraintendente è una rarità
nei paesi capitalisti moderni : in, molti paesi, specialmente
nelle colonie, esiste la più autentica schiavitù a beneficio
dei capitalisti. Il capitale ricava sufficienti profitti dal la-
voro salariato « libero », ma non è contrario ad utilizzare,
dove le circostanze Io permettano, il lavoro forzato.
Noi possiamo trovare delle condizioni simili a quelle
schiavistiche anche nei paesi capitalisti più sviluppati.
Nelle circostanze create dalla crisi economica, la bor-
gesia ha adottato il più genuino lavoro forzato, sotto forme

113
varie di « servizio del lavoro ” , impiegandovi la gioventù
disoccupata. Nei campi del « servizio del lavoro » tedesco*
centinaia di giovani lavoratori vivono in condizioni di ac-
campamento militare, ricevendo un nutrimento miserabile;
per la più dura fatica; nello stesso tempo essi sono costretti
alla disciplina militare della Germania.
In America esiste ancora il lavoro schiavistico dei ne-
gri. V i sono circa 12.000.000 di negri che lavorano per la
maggior parte come operai e piccoli contadini. Dopo l’ abo-
lizione formale delia schiavitù nel 1663, la maggior parte
dei lavoratori negri furono ridotti in uno stato di abbietta
dipendenza dai loro imprenditori.
Negli Stati del Sud, in molti casi, il latifondista dà alla
famiglia negra un pezzo di terra, le sementi, il cibo e gli
attrezzi agricoli sino al tempo del raccolto; allora il con-
tadino deve consegnargli l’intera messe come rimborso del
suo prestito iniziale. Il latifondista agisce in modo da con-
servare sempre il negro in debito verso di lui. Se il negro
raccoglie! per esempio, 100 balle di cotone del valore di
13.000 lire, il latifondista dimostrerà che egli ha impiegato
15.000 lire, in modo che il negro, lasciando tutto il raccolto
nelle mani del padrone, rimane ancora in debito di 2.000
lire, ed è obbligato a rifare il contratto alle stesse condi-
zioni, e questo imbroglio si ripete ogni anno. Se il negro
ricorre'ad un tribunale^ non ha nessuna speranza di essere
ascoltato : la parola di un bianco non può essere smentita
dalla parola di un negro. 1 latifondisti non sono soltanto i
padroni delle loro piantagioni,, ma hanno un potere illim i-
tato su tutta la comunità e ciò che uno di essi asserisce da-
vanti ad una « corte di giustizia » è legge. Nel Sud, il lati-
fondista detta le condizioni nelle quali il negro deve lavo-
rare; se il negro osa ribellarsi tentando (di scappare, egli è
immediatamente braccato dalla polizia con l’ aiuto di cani
poliziotti (e, quando il negro è preso, è considerato un va-
gabondo e un disertore e rinviato al suo padrone.
Il latifondista ricorre a tutti i sotterfugi per procurarsi

114
della forza-lavoro a buon mecato che è impiegata nelle peg-
giori (condizioni di schiavitù.
Quando il latifondista ha bisogno di mano d ’opera, egli
chiama la polizia che arresta il numero necessario di lavo-
ratori sotto ogni specie di pretesti legali. 1 tribunali impon-
gono delle multe ai negri che sono nell’ impossibilità di pa-
garle e vengono quindi obbligati ad una schiavitù virtuale
nei confronti del latifondista che anticipa l’ ammontare del-
la multa deducendola dai loro salari futuri.

15 — Schiavitù coloniale.

La più terribile forma di lavoro forzato esiste tuttavia


nelle colonieA in cui gli imperialisti riducono la popolazione
indigena in uno stato di vera schiavitù. Nelle miniere, nelle
piantagioni e nei lavori stradali, viene impiegato il lavoro
obbligatorio su larga scala. Nel Sud Africa, secondo la
legge sui padroni e servitori, se un indigeno fugge dal suo
padrone, è considerato un criminale e forzato a ritornare,
Egli deve [avere un, passaporto per dimostrare che lavora
per un Europeo e, se il suo passaporto non è in ordine,
viene arrestato e rinviato al suo padrone precedente o co-
stretto a lavorare per un altro.
NeH’industia minerariai specialmente nelle miniere di
oro e di diamanti, i lavoratori indigeni vivono in speciali
baraccamenti circondati da-i siepi di filo spinato, e non han-
no il diritto di lasciare la loro prigione sino a che dura
il loro contratto; nessun estraneo può penetrare entro aue-
sta cinta e delle guardie armate sono poste di sentinella.
I! salario medio è inferiore a mezzo dollaro (circa 10 lire)
al giorno e, con questo, il lavoratore deve anche mangiare.
Per questa paga miserabile deve poi lavorare dodici o quat-
tordici ore al giorno.
Nelle altre colonie africane sopravvivono i più inumani
mezzi di sfruttamento. Gli uomini sono abitualmente con-
dotti alle miniere degati con corde e costretti a lavorare
sotto la sorveglianza di guardie armate. 11 lavoratore indi-

115
geno è abitualmente (indotto, quando è pbriaco, a firmare
un contratto di cui spesso non comprende il pignificato.
In molti casi la schiavitù è accompagnata dai più aper-
to traffico di schiavi come, per esempio^ nell’Africa Porto-
ghese (Angola e specialmente Mozambico) e nella Repub-
blica Indipendente di Liberia che è interamente nelle mani
del capitale degli Stati Uniti.
Assieme alla schiavitù aperta, vi è la schiavitù per de-
biti. Essa consiste in sostanza, come spiegò Marx, nel man-
tenere obbligati, per mezzo di prestiti che debbono essere
rimborsati e che ;si trasmettono da una generazione all’altra,
non soltanto il lavoratore individuale, ma tutta la sua fami-
gliai che diventano così proprietà ereditaria di un capita-
lista e dei suoi discendenti:

QUESTIONARIO

1. - lu c h e cosa consiste l’accumulazione primitiva del ca


pitale?
2 — Che cosa costringe il lavoratore a vendere la sua forza-
lavoro?
3 — Che cosa determina il valore della forza lavoro?
4 — Quale è la differenza tra forzadavaro e lavoro?
5 — Che cos’ è il capitale?
6 —• Qire/’è la proporzione tra capitale fisso e capitale co
stante?
7 — Qual’è la misura del grado di sfruttamento del lavoro?
8 — Con quali metodi viene aumentato il plusvalore relativo?

llé
CAPITOLO V

SALARI E IMMISERIMENTO
DELLA CLASSE LAVORATRICE
SOTTO IL CAPITALISMO

I — Valore del potere legislativo e suo prezzo.

Sotto il capitalismo l’ operaio vende la sua attività ai


capitalista che ingaggia il lavoratore e gli dà lavoro in cam-
bio di salario. Questo costituisce la compra-vendita della for-
za-lavoro (o capacità lavorativa e produttiva).
Ma la forza-lavoro è una merce di tipo speciale. La
compra-vendita di potere lavorativo caratterizza un rappor-
to tra capitalista e lavoratore — tra le due classi fondamen-
tali della società capitalista.
11 valore della forza-lavoro, come sappiamo già, è deter-
minato dal valore dei mezzi di sussistenza necessari al man-
tenimento del lavoratore. Si deve però tenere sempre pre-
sente che il capitalista si sforza sempre di ridurre i salari
sotto questo limite. Sotto il capitalismo, come vive il lavora-
tore non riguarda nessuno : egli rimane spesso disoccupato
e muore d’inedia, ma, anche quando trova lavoro, il suo sa-
lario non è sufficiente per soddisfare i -suoi bisogni più ele-
mentari.
Il valore della forza-lavoro è determinato dal valore dei

117
mezzi (li sussistenza del lavoratore. Come vengono determi-
nati questi mezzi di sussistenza? E’ evidente che la loro
quantità e la loro natura dipende da un cumulo di circo-
stanze. Marx chiarisce che :

« Il palare del lavoro è determinato in ogni paese da un


livello tradizionale di vita che non è costituito dalla
sola vita materiale, ma dalla soddisfazione di certi biso
gni sorgenti dalle condizioni sociali in cui la gente è po-
stai ed allevata ».. (MARX «Valore, prezzo e profitto ».
cap. XIV'.
A differenza di alLre merci, la determinazione del valo-
re della capacità lavorativa include un elemento storico e
sociale. il livello normale di vita del lavoratore non è qual-
cosa di fissalo e stabilito per sempre. A l contrario,,. esso
si trasforma col variare dello sviluppo storico dei vari paesi.
Il capitalismo tende, però, sempre ad abbassare il livello di
vita delle classi lavoratrici al suo limite massimo.
Il valore di una merce, indicato in danaro, è il suo prez-
zo. 11 prezzo di una merce, come abbiamo già visto! ondeg-
gia sopra e sotto il suo valore. I salari ,sono una forma spe-
ciale del prezzo della merce « forza-lavoro ». E ’ evidente
clic il livello dei salari varia sopra e sotto il suo valore. Ma,
a differenza di quanto avviene per le altre merci, le varia-
zioni, per la maggior parte, sono al di sotto del valore.

2. — Il salario, maschera dello sfruttamento capitalista.

Abbiam o già visto che il lavoro dell’ operaio salariato


in un’impresa capitalista |è composto di due parti : lavoro
pagato, necessario, e lavoro non pagato, pluslavoro. Ma,
quando il lavoratore riceve il suo salario, non è in eviden-
za che questo compensa soltanto il lavoro necessario, men-
tre il pluslavoro viene incamerato dall’intraprenditore senza
compenso. A l contrario, le cose, sotto il capitalismo, sono
presentate come se lutto il lavoro fosse retribuito.
Prendiamo un minatore che venga pagato a cottimo :

118
per ogni tonnèllata di carbone estratto egli riceve^ per es.,
un dollaro. 11 lavoro è difficile ed egli riesce a produrre
appena abbastanza per comperare il suo pane. Se egli ten-
tasse dì spiegare al proprietario della miniera l’ ingiustizia
di questo sfruttamento, o se quest’ultimo .fosse disposto a
discorrere con lui, gli darebbe questa spiegazione :
« Tu prendi un dollaro per tonnellata, che è quanto
ricevono tutti i minatori del luogo e altrove; è dunque un.
buon prezzo e il tuo lavoro non vale di più; tenta di estrarre
più carbone e riceverai un salario « maggiore ».
Si ha così la 'falsa impressione che il lavoratore riceva
il valore intero del suo lavoro.
Supponiamo che un amico del nostro minatore sia oc-
cupato in una fabbrica chimica vicina. Egli lavora nelle
condizioni più miserabili : nove ore al .giorno ricevendo 760
lire al mese. Come spiegare che il suo padrone lo sfrutta?
Se egli tenta di farglielo presente egli riceverà questa ri-
sposta :
« Tu ricevi tanto quanto riceverebbe qualunque altro
al tuo posto, è un buon salario, il massimo che tu possa
pretendere. Se credi, cerca di fare un orario doppio e ri-
ceverai un salario doppio, ma per nove ore non puoi pre-
tendere più di L. 750 al mese e non vi sarebbe ragione di
pagarti di più ».
E, in realtà, come potrebbe sapere il lavoratore quai’ è
il valore che egli produce? Le nove ore quotidiane non gono
divise in modo che egli possa dire : io lavoro questa parte
del giorno per il mio salario e quest’ altra parte per fi pro-
prietario, senza compenso. Tutte le prò di lavoro sono e-
guaìi, ed egli ha la possibilità di aumentare il suo salario,
di raddoppiarlo, col raddoppiare il jsuo lavoro giornaliero,
cosicché sembra che il capitalista gli paghi realmente il
valore che egli produce.
Lo sfruttamento capitalista viene mascherato così e tutte
le forze dell’asservimento ideologico delle masse vengono in
aiutò al proprietario. La chiesa afferma che questo sistema
è stabilito da Dio e che ogni tentativo di cambiarlo è empio.
La stam'pa capitalista, la scienza, il teatro> il cinema, la let
teratura e l’arte della borghesia, tutte queste mascherano
lo sfruttamento e cercano di far apparire l’arricchimento
del capitalista giusto e naturale come la luce del sole in un
giorno chiaro d estate.

« La forma salariale cancella così ogni traccia della di-


visione della giornata lavorativa in lavoro necessario e
pluslavoro, tra lavoro pagato e por. pagato. Tutto il la-
voro si presenta come lavoro pagato. Nelle corvée il
lavoro che .il lavoratore compie per sè e quello obbli-
gatorio per il padrone sono separati nello spazio e nel
tempo nel modo più chiaro possibile. Nel sistema schia-
vistico, al contrario, anche la parte della giornata lavo-
rativa con cui ,lo schiavo rimborsa il valore dei mezzi
di sussistenza, in cui quindi egli lavora solo per se stes-
so, si presenta come lavoro per il suo padrone. Tutto
il lavoro dello schiavo sembra lavoro non pagato, men-
tre, nel lavoro salariato, anche jil plus'avoro ossia il
lavoro non pagato sembra lavoro pagato ». (MARX, Il
Capitate, voi. 1).

3 — Salari e lotta di classe.

1 lavoratori cominciano presto ad organizzarsi in sinda-


cali che conducono la battaglia per migliorare le loro
condizioni e frenare lo sfruttamento illimitato.
I salari, come abbiamo visto, sono determinati dal va-
lore .della forza-lavoro. Ma* in primo luogo, i salari flut-
tuano considerevolmente e specialmente sotto il valore della
forza-lavoro e, in secondo luogo, il valore sdi fjuest’ ultima
cambia profondamente, secondo una quantità di circostanze.
Avviene quindi una continua lotta fra la borghesia e la
classe lavoratrice a causa del livello dei salari e il risultato
dipende, in gran parte, dal grado di organizzazione della
società da ciascun dato.
Fino a che i lavoratori non si sono organizzati in sinda-

120
dacati, ogni (Capitalista combatte con una massa dispersa ed
hai in quel caso, una posizione vantaggiosa; se, infatti, qual-
che lavoratore non (è (soddisfatto del salario che riceve, egli
viene licenziato e il proprietario trova qualcun altro d».
mettere al suo posto. La faccenda cambia quando esiste un
movimento sindacale. In tali circostanze il capitalista non
ha di fronte una massa dispersa di lavoratori disorganizzati,
ma deve combattere con l’unione di tutti (o della maggio-
ranza) (che /presenta delle domande uniformi e chiede delle
condizioni uniformi. Prima il capitalista si accordava'con
gli individui, ora deve accordarsi collettivamente con i sin-
dacati. I salari dei lavoratori sono determinati generalmente
da speciali accordi collettivi.
I capitalisti, naturalmente, trovano molti mezzi di com-
battere i lavoratori, anche quando essi sono riuniti nei sin-
dacati! riunendosi a loro volta in « associazioni di datori
di lavoro ».
E ’ evidente che la sola guerra economica condotta dai
sindacati non può liberare la classe lavoratrice dello sfrut-
tamento capitalista sempre crescente, dalla povertà e dalla
disoccupazione. La completa vittoria del proletariato può
essere ottenuta soltanto con una rivoluzione. Soltanto col
distruggere il capitalismo, il proletariato distrugge lo (sfrut-
tamento di classe, la fonte del suo impoverimento.
Marx scrive questo in proposito :

« La tendenza generale della produzione capitalista è


diretta ad abbassare anziché ad aumentare, il livello
medio dei salarù spingendo il valore del lavoro sempre
più verso ‘il suo limite minimo.
Essendo tali i fatti, bisogna concludere che la classe
lavoratrice deve rinunciare alla sua /resistenza Contro la
usurpazione del capitale e abbandonare ogni tentativo
di ottenere il massimo possibile dalle occasioni fortunate
che le si offrono d’un temporaneo miglioramento? Se
lo facessero, i lavoratori farebbero degradati a una
massa informe di miserabili senza speranza di salvezza.

121
10 spero, al contrario, di avere mostrato che le loro
lotte per il livello dei salari sono incidenti inseparabili
dall’intero sistema salariale, che in 99 casi su cento i
loro sforzi per un aumento di paghe hanno soltanto lo
scopo di mantenere ,il valore precedente del lavoro e che
la necessità di disputare il loro prezzo al capitalista
è inerente alla loro condizione di merci da vendere. Con >
un comportamento codardo nel loro conflitto quotidiano
col capitale, essi si precluderebbero ida soli la via per
iniziare un movimento più ampio.
« Contemporaneamente e a parte la servitù generale
inerente al sistema salariale! i lavoratori non debbono
dare una importanza eccessiva a queste battaglie di tutti
i giorni.
« Essi non devono dimenticare che combattono degli
effetti e non la causa di questi effetti; che cercano di '
ritardare il movimento discendente, ma non possono
cambiarne la direzione; che applicano dei palliativi, ma
che non curano le malattie.
Essi non devono, quindi, lasciarsi esclusivamente as-
sorbire da questa inevitabile guerriglia nascente dalle
interminabili usurpazioni del capitale o dalle alterazio-
ni del mercato, ma devono comprendere che, con tutte
le miserie che ,impone loro, il sistema presente produce
simultaneamente le condizioni materiali e le forme so -
ciali necessarie a una ricostruzione economica della so-
cietà. Invece del motto conservatore : ,« Un buon salario
giornaliero per una buona giornata di lavoro » essi de-
vono iscrivere sulla loro bandiera la parola d’ ordine
rivoluzionaria : « abolizione del sistema salariale ». A
(MARX, Valore, prezzo e profitto, cap. XIV).

4 — Forme di salari.

11 capitalista paga i salari ai lavoratori in varie forme,


di cui due sono fondamentali.
In alcuni casi i lavoratori ricevono il salario in propor'

122
zione al tempo di lavoro, calcolato in oreA giorni, settima-
ne o mesi. In altri casi il salario è in relazione alla quantità
di merci prodotte; il lavoratore è pagato secondo il numero
di tonnellate di carbone che ha estratto, o il numero di me-
tri di stoffa che lia tessuto, di oggetti che ha costruito, ecc.
Questa forma jdi pagamento è chiamata cottimo. 11 sistema
capitalistico ha trovato molte forme di pagamento, alcune
delle quali assai complicate, ma tutte queste forme sono
basate o sull’ orario o sul cottimo, o su qualche combinazio-
ne di questi due elementi.
Potrebbe sembrare a prima vista che non vi sia nulla
di comune tra il metodo di pagamento orario e il metodo
a cottimo e che queste due forme siano completamente dif-
ferenti. :ln realt'à non è così Nel caso idei lavoro orario,
calcolando un salario fisso settimanale, il capitalista tien
conto della quantità di lavoro che l’ operaio'potrà compiere
in quel tempo. Se non facesse questo calcolo, andrebbe in
fallimento. Fortunatamente, perciò, il lavoro a cottimo è
la fstessa cosa de! lavoro orario. Nel calcolare la paga per
ogni pezzo, si lien conto della quantità che un operaio può
produrre in un’ora, in un giorno o in una settimana. Questa
è la ragione per cui anche il lavoro a cottimo assicura alla
media dei lavoratori soltanto lo stretto necessario. Tanto il
lavoro orario che quello a cottimo non sono che forme dif-
ferenti dell’acquisto della forza-lavoro da parte del capita-
lista. La forma adottata dipende dalle circostanze particola-
ri di ciascuna industria icd ognuna di esse ha i suoi vantaggi
per il capitalista, secondo queste circostanze,

5 — Lavoro orario.

11 lavoro orario è la forma adottata nei casi in cui ì’ in-


traprenditore non ha motivo di spingere ogni operaio alla
produzione della maggior quantità possibile di merci. Que-
sti casi sono numerosi.
In molte industrie la perizia e l’abilità del lavoratore
rappresentano ima parte importante, poiché da,essi dipende

123
la qualità delle merci. Trattandosi di una industria di tipo
semi-artigiano l’intraprenditore preferisce pagare i suoi la-
voratori molto specializzati settimanalmente (secondo il tem-
po di lavoro). (Non curando la quantità il lavoratore pro-
duce ogni merce molto accuratamente, cosicché il capitalista
guadagna sulla qualità ciò che perde sulla quantità.
Altre volte, al contrario, il lavoratore rappresenta sol-
tanto un’appendice jdella macchina. La quantità di merci
prodotte dipende esclusivamente dalla velocità di lavoro del-
la macchina. Anche in questi casi il capitalista preferisce
il lavoro orario.

6 >
— Lavoro a cottimo.

D altro canto, vari metodi di lavoro vengono adottati


in tutti i casi in cui i capitalisti hanno interesse ad ottenere
dal lavoratore il maggior numero possibile di merci. Il la-
voro a cottimo è possibile in quella industria in cui è facile
sorvegliare il lavoro dei suoi impiegati perchè, Ifacendo di-
pendere la paga dalla quantità del prodotto, assicura il la-
voro più intensivo da parte degli operai. P i regola, il la-
voro a cottimo è possibile in quella industria in cui è facile
circolare o misurare (secondo il numero* il vpeso, il vo-
lume o la dimensione) la quantità di merci prodotte.
Il lavoro a cottimo, sotto il capitalismo, è il metodo
favorito di incrementare lo sfruttamento dei lavoratori col-
l’ incrementare l ’intensità del loro lavoro. 1 salari a cottimo
sono usualmente fissati secondo il rendimento del lavoratore
più capace e piu’ svelto, cosicché, per raggiungere il salario
minimo necessario, gli altri lavoratori debbono spingere le
loro energie al massimo. Quando l’ intraprenditore vede che
la maggioranza dei lavoratori ha aumentato il rendimento,
riduce i salari cosicché i lavoratori debbono intensificare an-
cor più la loro produzione per ottenere i salari primitivi.
Il sistema di retribuzione a cottimo ha un significato
interamente diverso nelle condizioni esistenti ncll’U.ll.S.S
Là l’ operaio non deve vendere il suo lavoro ad una classe di

124
sfruttatori., ma impiegarlo in imprese che sono proprietà
dello Stato proletario. Il salario che il lavoratore riceve pel*
l’U.R.S.S., è il riconoscimento del suo lavoro, ed è in pro-
porzione alla quantità ed alla qualità di lavoro impiegato*
La retribuzione a cottimo neH’economia socialista dell’Unio-
ne Sovietica è il mezzo migliore di stabilire l ’ eguaglianza
tra la quantità e la qualità del lavoro fornito e la retribu-
zione di ogni singolo lavoratore, è una leva potente per
l’ aumento della produttività del lavoro e del benessere
della classe lavoratrice. Essa è quindi interamente diversa
dal cottimo sotto il capitalismo.

7 — frem i e percentuali.

Qualche volta il capitalista paga una parte del salario


sotto forma di premi, calcolando che il prem io stimolerà in
modo speciale l’energia degli operai spronandoli a lavorare
con maggiore intensità.
Un imbroglio ancora più grande è la cosiddetta percen-
tuale di profitto. Il-capitalista riduce la pagai-base con la
scusa di interessare il lavoro al profitto degli affarìi indi
restituisce al lavoratore soltanto una parte del salario de-
dotto precedentemente:, sotto forma di «i, percentuale dì
profitto ». Un lavoratore pagato ,in tal guisa finisce per ri-
cevere meno di un semplice Ilavoratore salariato.
Con questo metodo l’ imprenditore, non soltanto cerca
di aumentare l’intensità del lavoro al massimo, ma qualehe
volta induce un certo strato di lavoratori meno coscienti ad
estraniarsi dal movimento del iproletariato, servendo cosi
come sostegno del capitale.

8 — Lavoro a domicilio.

Il lavoro a domicilio è organizzato sulla base del cot-


timo ed esiste Specialmente in ilnghilterra ed in America
per i lavori ad ago. Il lavoro è dato da fare-a casa con una
retribuzione eccessivamente bassa così iche l’operaio che la-

125
vora con questo sistema deve affaticarsi letteralmente giorno
« notte per evitare 'la fame (1)..

9 — Organizzazione scientifica del lavoro : Sistema Taylor


e Ford,

Avendo acquistato dal proletariato il potere lavorati-


vo, l’ imprenditore cerca di sfruttarlo al massimo. Ultima-
mente gli industriali più abili hanno introdotto la cosiddetta
« organizzazione scientifica >’ del lavoro che si riduce a
questo : ogni specie di lavoro necessario è studiato in det-
taglio da esperti che, dopo lunghe osservazioni e ricerche-
stabiliscono il metodo più razionale di eseguirlo. Sono quin-
di stabiliti dei metodi di flavoro che risparmino al lavora-
tore i movimenti e gli sforzi inutili, mentre i suoi attrezzi
sono costruiti razionalmente, ecc., in modo che il lavoratore
non è distratto dal suo compito principale. Con questo si-
stema tutte le energie del lavoratore e tutti i suoi sforzi
si trasformano in lavoro redditizio senza alcuna perdita
essendo completamente impiegati nelle operazioni utili.
L ’industria ottiene con questo sistema il maggior beneficio
dal suo lavoro la cui produttività viene grandemente au-
mentata.
L ’organizzazione scientifica del lavoro è un grande pas-
so verso la razionalizzazione dello sforzo umano. D opo il
rovesciamento del capitalismo, nelle condizioni create ^da un
governo proletario, sono aperte grande possibilità all’ orga-
nizzazione scientifica del lavoro ridotta,, per ora, all’ ufficio
di spremere una quantità maggiore di pluslavoro degli o-
perai.
Uno dei primi propugnatori dell'organizzazione scien-
tifica del lavoro fu Un ingegnere americano, Taylor. Il suo
sistema fu introdotto in molte aziende capitaliste col risul-
tato di aumentare il plusvalore. Intensificando grandemente
la produttività del lavoro, trasformando gli operai in mac-1

(1) Per questo g li in g lesi lo chiamano «Sweating-system », cioè sistema


che fa sudare.

1126
chine che eseguiscono movimenti calcolati strettamentei, il
sistema Taylor arriva a spremere sino all’ ultima goccia di
forza fuori dai lavoratori facendone degli invalidi in pochi
anni. L ’abbassamento dei cottimi dopo l'introduzione del
sistema Taylor rese il lavoro degli operai molto più duro
per una paga che era eguale e, ad un tempo inferiore.
Durante gli anni del dopo guerra divenne particola1'-
mente famoso il metodo di sfruttamento usato dal re ìdel-
l’automobile, l’americano Enrico Ford. J1 suo metodo di
sfruttamento non si diffuse soltanto rapidamente in Am e-
rica, ma anche in Europa. La caratteristica fondamentale
del sistema Ford, è il fluire ininterrotto della produzione
eseguita su una tavola mobile; affrettando il moto di questa
tavola, il lavoro viene affrettato, e l’intensifà del lavoro
aumentata. Chiunque non è capace di seguire il ritmo perde
il suo impiego nella fabbrica. In questo modo il capitalista
trasforma ogni miglioramento tecnico in uno strumento per
l ’ulteriore impoverimento ed asservimento de! proletariato,
in uno stumento per spremere addirittua la vita dei lavo-
ratori.

10 —■ Pagamento in natura o in moneta.

Da principio, quando il lavoro si svolgeva nel villaggio,


era raramente retribuito in moneta. Generalmente il la-
voratore era mantenuto dal suo imprenditore e, in aggiunta,,
alla fine dell'estate, riceveva una piccola parte del raccolto.
In questo caso il lavoratore era pagato in natura : egli rice-
veva i mezzi di sussistenza necessari in cambio del suo la-
voro. Un tale contratto è simile al baratto di prodotti; ad
esempio : una scure per del pane. Quando Ja transazione
ha un carattere così semplice è assolutamente evidente che-
11 valore dei generi di prima necessità è la base del valore'
della capacità lavorativa.
Il pagamento esclusivamente in natura è assai raro nel-
l’industria capitalista, ma anche quit occasionalmente, una
parte dei salari può venire pagata in natura. Questo metodo
«li pagamento non è che un trucco del capitalista per au-

127
meritare il suo profitto a spese .dei lavoratori. Il magazzino
appartiene al capitalista e fornisce abitualmente all’ operaio
ogni specie di beni ad un prezzo triplicato. Il salario effet-
tivo del lavoratore ne viene quindi grandemente ridotto.
Le organizzazioni operaie combattono, infatti, sempre con-
tro una tale pratica. Qualche volta il capitalista tenta di
raggiungere io stesso fine (una diminuzione dei salari del
lavoratore facendogli comperare le merci ad un prezzo ele-
vato) in un modo più raffinato. Egli assume il controllo di
tutti i magazzini del paese o del distretto e i lavoratori-
che ricevono il loro salario in danaro, sono egualmente co-
stretti a .pagare le merci ad un prezzo elevato. I lavoratori
cercano di combattere un tale sfruttamento con l’ organizza-
zione di cooperative di consumo.

11 — Salari reali e nominali

N ell’industria capitalista sviluppata, salvo che in casi


rari, i salari si pagano in danaro. 11 lavoratore vende la sua
capacità lavorativa e, come con la vendita di ogni altra mer-
ce, ottiene il suo prezzo sotto forma di una quantità deter-
minala di danaro.
11 lavoratore non ha però bisogno del danaro come tale
ma come mezzo di ottenere le cose che gli occorrono. R i-
vendendo il suo salario fisso, il lavoratore (acquista ciò che
gli necessita : egli paga il prezzo di mercato in quel tempo
dato.
Noi sappiamo però che il livello dei prezzi delle merci
non rimane inalterato. 11 potere d ’acquisto della moneta cam-
bia per l’ influenza di varie cause. Se in paese esiste il tal-
lone oro, il prezzo può aumentare perchè l’ oro diventa me-
no caro; con una diminuzione del valore dell’oro diminuisce
il potere d'acquisto della moneta.
Quando la moneta cartacea è emessa in grandi quantità*
i prezzi delle merci subiscono un forte e rapido cambia-
mento, seguendo la caduta del potere d'acquisto della m o-
neta che accompagna quasi sempre là circolazione di va-
luta cartacea.

128
Se, quindi, noi vogliamo paragonare i salari degli op e-
rai in diversi casi, non basterà ponoscere quanto danaro
essi ricevono in ogni caso, ma bisognerà anche sapere ,q uale
sia la quantità di merci che .possono acquistare col danaro.
Noi non dobbiamo, cioè, limitarci a paragonare i salari no-
minali (costituiti dalla quantità di valuta ricevuta dall’ ope-
raio), ma dobbiamo prendere anche in considerazione, il po-
tere d'acquisto della moneta ricevuta. Soltanto allora noi
potremo stabilire esattamente i salari reali, misurati dall»
quantità di valori d’uso che si possono acquistare con una
data somma in un dato luogo.

12 —( Salario degl operai specializzati.

Ognuno sa che gli operai nelle diverse industrie ricevo-


no salari differenti. 1 lavoratori specializzati ottengono dei
salari più alti dei lavoratori comuni che non hanno alcuna
speciale istruzione tecnica. Generalmente il salario è (pro-
porzionale alla specializzazione.
I rami differenti deH’ industria richiedono operai di d if-
ferente abilità e di conseguenza i salari degli operai nelle
diverse industrie non sono i medesimi.
Oltre alle differenze nelle diverse tariffe di pagamento
degli operai secondo le industrie, vi sono delle differenze
secondo l’ abilità degli operai nella stessa industria. L ’ ope’
raio specializzato è pagato più dell’ operaio qualificato e que-
st’ ultimo più dell’operaio comune.
Qual’è il motivo di una tale differenza delle tariffe di
paga secondo la specializzazione degli operai? La risposta
non è difficile. Chiunque può fornire del lavoro non specia-
lizzalo, mentre il lavoratore specializzato deve impiegare
un certo periodo di tempo per imparare il mestiere, im-
piegando tempo e sforzo per raggiungere la sua abilità. Se
non vi fossero differenze nelle tariffe di pagamento, nessuno
impiegherebbe del tempo e dell’ energia per; cercare di rag-
giungere un certo grado di specializzazione.
Nessuna abilità particolare salvai però, il lavoratore dal-
l ’inumano sfruttamento incessante del capitalismo.

129
L ’introduzione di nuove macchine, rende generalmente
superfluo un (gran numero degli operai altamente specia-
lizzati : ciò che era stato fornito prima da un maestro spe-
cializzato che aveva impiegato molti anni ad acquistare
la sua abilitai viene fornito ora dalla macchina. Un numero
considerevole di operai (special izzati si rende superfluo e
rimane disoccupato e, per non morire di fame, deve adat-
tarsi a compiere dei lavori comuni ad una paga molto più
bassa.

13 - - Livello dei salari nei vari paesi capitalisti.

Il livello dei salari nei vari paesi capitalisti non è lo


stesso. V i sono delle grandi differenze in questo tra i vari
paesi. Queste differenze sono dovute a molte cause.
Sarebbe ridicolo pensare che i capitalisti di un paese
siano più gentili verso il lavoratore di quanto pon siano i
capitalisti di altri paesi. Essi tendono in realtà ad abbassare
i salari al limite minimo possibile. Le condizioni variano
tuttavia considerevolmente nei differenti ,paesi capitalisti.
In America! per esempio, il capitalismo si sviluppò in cir-
costanze che rendevano più comune la scarsezza che la so-
vrabbondanza della mano d’opera poiché l’ abbondanza dello
terre libere dava la possibilità agli emigranti dalle nazioni
Europee di stabilirsi nelle campagne. JMei vecchi paesi :ca-
pitalisti, la classe operaia si organizzò più presto per resi-
stere ai capitalisti. Nei paesi capitalisti più avanzati, l’ inten-
sità del lavoro, come il grado medio ,di specializzazione del
lavoro, sono molto alti.
Tutte queste circostanze, producono i differenti livelli t
dei salari nei diversi paesi capitalisti.
Cosi! per esempio, prendendo come base i salari in
Inghilterra, i numeri indice delle medie delle paghe orarie
negli altri paesi capitalisti all’ epoca della prima guerra
mondiale imperialistica erano le seguenti :

Inghilterra . . . 100 Germania . . . . 75


F r a n c ia ........................ 64 U .S.A .....................................240

130
Secondo altri calcoli il livello annuale dei salari dei la-
voratori nei vari paesi (nel 1900-1907, in lire) erano;

U .S.A. . . . • 8797 Austria . . . . 3173


Inghilterra . . . 4902 Russia . . . . 1843
‘Germania . . . . 4443 Giappone . . . 1045

Negli anni del dopoguerra noi vediamo pure delle con-


siderevoli differenze nelle (tariffe dei salari nei vari paesi
capitalisti. Lo specchietto seguente mostra le differenze dei
salari reali, nel Gennaio 1929> in diverse grandi città delle
nazioni più importanti, sulla base del livello dei salari reali
a Londra nel 1924 calcolato come 100:

Filadelfia , 206 Berlino . . 77


Dublino . . . . . 106 Madrid . . 57;
Londra . . . . 105, Bruxelles . . 52
Stoccolma 93| Milano . . 50,
Amsterdam 88 Roma . . 44

Si rileva che i salari sono particolarmete bassi nei


paesi in cui il capitalismo ha uno sviluppo recente. L ’ ac-
cumulazione primitiva in questi paesi rovina i contadini e
gli artigiani che vanno ad accrescere l’esercito dei senza la
voro. Nelle colonie il (livello di vita del proletariato è estre-
mamente basso. In Cina, specialmente, i lavoratori sono
soggetti al più brutale isfruttamento. Il coolie (portatore) ci-
nese che si nutre con un pugno di riso, dorme nelle gtra de
o nei parchi e si veste di stracci è, agli occhi del capitalista,
il modello dei lavoratori del mondo. I più sfacciati capita-
listi chiedono ,ai lavoratori europei di prendere ad esempio
il lavoratore cinese e di vivere cosi « economicamente » co-
me lui. Questo genere di consiglio è stato ascoltato parti-
colarmente durante il tempo presente.

14 — 1Sviluppo dello sfruttamento capitalista.

Con lo sviluppo del capitalismo cresce lo sfruttamenùto


della classe lavoratrice. Le condizioni in cui i lavoratori

131
conducono la loro battaglia per i galari coi capitalisti di
venta sempre più svantaggiosa per i lavoratori. Sviluppando-,
si. il capitalismo arriva ad un impoverimento, tanto relativo
che assoluto, della classe lavoratrice.
La quota del capitalista diviene più grande e quella del
lavoratore più piccola, come è .dimostrato dalle statistiche di
parecchi paesi capitalisti. In Inghilterra la quota percen-
tuale del valore totale creato nel paese (il così detto reddito
nazionale), attribuita ai lavoratori, subisce le seguenti alte-
razioni :
Totale del reddito Totale dei salari Quote reddito naz.
Anno naz. ili m ilioni di L ire in m ilioni di Lire dei lavorat. (pere.)

1843 45.950 21.150 45.6


1860 74.880 35.280 47.1 ■
1884 114.660 46.990 41.4
1903 153.900 58.950 38.3
1908 165.960 63.270 38.1

La quota dei lavoratori diventa continuamente minore:


Nello stesso tempo, naturalmente, la quota del reddito
nazionale di tutto il paese che va ai capitalisti diventa co -
stantemente maggiore : ciò che la classe lavoratrice perder
la classe capitalista 4o guadagna.
In un articolo scritto prima della guerra mondiale
Lenin considera l’ impoverimento della classe operaia. In
Germania dal 1880 al 1912 i salari crebbero di una media
del 25 % mentre il costo della vita nello stesso periodo
crebbe del 40 %. Lenin nota in particolare che questo av-
venne in un paese di capitalismo ricco e progredito come
la Germania, dove la situazione dei lavoratori era incom-
parabilmente migliore di quella dei lavoratori nella [Russia
prerivoluzionaria a causa del livello culturale più alto in
Germania, della libertà di scioperare >e di associazione pro-
fessionale e della relativa libertà politica e dove i membri
delle unioni lavoratori ammontavano a milioni, ed a m ilio-
ni i lettori della stampa proletaria. Lenin ne trae! queste
conclusioni :

132
« L'impoverimento del lavoratore è assoluto, egli divie-
ne cioè- sempre più povero di prima, è costretto ad una
vita peggiore, mangia meno, è denutrito, cerca ricovero
nelle cantine e nelle soffitte. La quota relativa attribuita
ai lavoratori nella società capitalista che sta rapidamen-
te arricchendosi, diventa sempre più piccola perchè i
milionari diventano più ricchi sempre più rapidamente.
« ... Nella società capitalista la ricchezza cresce con
incredibile rapidità parallelamente all’impoverimento
delle massi lavoratrici ».

Questa è la situazione nel più ricchi paesi capitalisti del


mondo, dove i capitalisti possono fare delle concessioni ai
lavoratori dato che ricavano degli immensi profitti dalle
colonie. Naturalmente nei paesi più arretrati, nelle cui co-
lonie il capitale ricava solo lievi profitti, lo sfruttamento
dei lavoratori cresce ancor più rapidamente.
Noi vediamo quindi che lo sfruttamento capitalista cre-
sce continuamente e che l’abisso tra la classe lavoratrice e
la borghesia diventa sempre più profondo. Gli opportunisti
di tutti i paesi parlano continuamente di una cancellazione
delle contraddizioni sociali, della necessita della concordia
tra le 'classi, della possibilità per la classe operaia di m i-
gliorare le sue condizioni, anche in regime capitalista. Il
lavoratore dventa invece sempre più povero e non solo re-
lativamente (in paragone cioè con la crescente grandezza
dei (profitti della borghesia', ma assolutamente. Anche nei
più ricchi paesi capitalisti i lavoratori mangiano sempre
peggio, vivono in quartieri sempre più affollati e patiscono*
una miseria continuamente crescente. Nello stesso tempo la
intensità del loro lavoro aumenta continuamente.
Il lavoratore deve impiegare per ogni ora di lavoro
più energia di quanto fosse necessaria prima. L o sforzo ec-
cessivo, l’ipertensione continua, esauriscono . rapidamente
l’organismo dell’ operaio. Non si può quindi parlare di un
livellamento delle contraddizioni .di classe che, al contrario,
si sviluppano continuamente! crescono inevitabilmente.

133
15 — Disoccupazione ed esercizio di riserva del lavoro.

Con l’aumento dei capitalismo cresce la disoccupazione


e aumenta il cosiddetto esercito di riserva del lavoro che
fornisce braccia ai capitalisti quando l’industria ha bisogno
di estendersi o quando i vecchi lavoratori rifiutano di con-
tinuare a lavorare ,alle vecchie condizioni. Consideriamo co -
me avviene questo fenomeno.
A i suoi inizi il capitalismo trova un’offerta sufficiente
di lavoratori salariati sul mercato, formata ila contadini ro-
vinati e artigiani che hanno perso i mezzi di produzione.
Essi sono pronti a lavorare per jl capitalista se egli vuol
dar loro il mezzo di vivere. Ci deve essere sempre una cer-
ta riserva di mano d’opera libera; soltanto a questa con-
dizione l’industria capitalista, basata sullo sfruttamento del
lavoro salariato , può svilupparsi.
A che cosa conduce l ’ulteriore sviluppo del capitalismo?
Noi abbiamo già visto che lo sviluppo del capitalismo
distrugge la produzione su piccola scala dell’ artigiano con
la sua concorrenza; allo stesso modo i contadini sono rovi-
nati e molti di loro sono forzati, volenti o nolenti, a lasciare
le. loro case e a sottostare alla schiavitù capitalista.
L ’industria capitalista cresce, nuovi impianti sono a-
perti, assorbendo nuove masse di lavoratori. Rovinando i
piccoli produttori, i capitalisti li legano a sè come lavoratori
salariati.

16 — Sostituzione del lavoratore con la macchina.

Ma insieme on questo compare un altro fenomeno. Sot-


to il capitalismo si realizza un processo continuo di miglio-
ramento tecnico della produzione. Che cosa rappresenta
questo miglioramento tecnico e quale l’ importanza delle nuo.
ve invenzioni? 11 loro effetto è di rendere la produzione
più economica rimpiazzando il lavoro umano col lavoro mec-
canico, in modo che ,occorrano meno operai per produrre
la stessa quantità di merci. La macchina soppianta il lavo-
ratore e Io costringe a lavorare più intensamente, togliendo

134
inoltre dall’ industria una parte dei lavoratori. !Per questo
all'origine del capitalismo, quando i lavoratori non avevano
ancora individuato il loro vero nemico, essi spesso davano
corso alla rabbia contro le condizioni esistenti prendendo-
sela con le macchine considerandole la causa originaria del-
le loro terribili condizioni.
C oll’introduzione di nuove macchine e col mettere sul
lastrico i lavoratori che venivano sostituiti da quelle mac-
chine, i capitalisti crearono una disoccupazione permanente.
C oll’aumento dell’ intensità del lavoro accrebbero anco-
ra il numero dei disoccupati. Non esistendo alcun bisogno
del lavoro di questi operai, divenuti superflui, essi vanno a
costituire l ’esercito di riserva dell’industria la cui impor-
tanza è grandissima. L ’ esistenza di un esercito permanente
di disoccupati pone infatti nelle mani del capitalista un’ ar-
ma potente nella sua lotta contro la classe lavoratrice, 1
disoccupati isono disposti, a qualsiasi condizione, a lavorare .
minacciati dalla fame non hanno scelta. Essi vengono cosi
ad esercitare una continua pressione deprimente sul livello
di vita dei proletari che sono impiegati. Un altro aspetto
dell'esercito di riserva è di fornire della mano d’opera li-
bera in qualunque momento in cui il mercato abbia bisogno
di un'espansione dell’industria. Allora migliaia di disoccu-
pati trovano lavoro e gli impianti e le fabbrche aumentane
il numero dei lavoratori assunti; la disoccupazione diminui-
sce temporaneamente fino a che la scoperta di un nuovo
metodo di lavoro getta nuovamente migliaia di operai sul
lastrico.
Così il capitalismo che da un lato dà lavoro ai nuovi
lavoratori provenienti dai ranghi dei piccoli produttori ro-
vinati, dall’ altra parte toglie l’ultimo pezzo di pane alle
migliaia e decine di migliaia di lavoratori che sono stati so-
stituiti dalle macchine, col progredire della tecnica capita-
lista.
17 — Legge generale dell’accumulazione capitalista.
La sostituzione continua della macchina ai lavoratori che
è il risultato dello sviluppo capitalista, crea una (« sovra-

135,
popolazione relativa » nei paesi capitalisti. Centinaia di .mi-
gliaia di uomini sono costretti annualmente ad emigrare jdai
loro paesi quando la loro opera diviene /superflua ed essi
perdono ogni) speranza di trovar lavoro. Durante gli /anni
del dopo-guerra la situazione era diventata ancora peggiore*
perché i paesi a cui affluivano questi emigranti avevano
chiuse le porte e ne rifiutavano l’ammissione.
L ’esistenza e l’ aumento di un esercito di riserva per
l’ industria ha una immensa influenza sulla situazione della
classe lavoratrice. La povertà aumenta, l’ incertezza del do-
mani diventa perpetua ed i salari diminuiscono. La classe
operaia produce il plusvalore, ma questo finisce nelle ta-
sche dei capitalisti. Una parte di .questo plusvalore viene
consumata dai lavoratori e si perde, l ’altra parte va /ad
aumentare il capitale originale. Se il capitalista possiede
originalmente 1.900.000 lirei e durante l ’anno, con lo spre-
mere i lavoratori ne guadagna altri ,380.000 come profitti,
la metà di questa somma si aggiungerà al capitale .per il
prossimo anno, che ammonterà a L. 2.090.000.
Il capitalista ha aumentato il suo capitale, ha accumu-
lato (L. 190.000. L ’accumulazione del capitale è quindi l’ ad-
dizione del plusvalore ,al capitale. L ’aumento del capitale
risultante dall'accumulazione è enorme. La massa di plus-
valore tratto dalla classe operaia, cresce tanto più rapida"
mente, quanto più il capitale si espande. La piassa del plus-
valore accumulato dal capitalista e che va ad aumentare il
capitale cresce senza arresto.
L ’ accumulazione del capitale porta quindi all’aumento
della ricchezza e (della potenza dei capitalisti. Il plusvaolre
creato dal lavoro delle classi lavoratrici diventa la sorgente
del potere sempre crescente degli sfruttatori e conduce al-
l’ intensificarsi del grado di sfruttamento dei lavoratori. Cosi,
sotto il capitalismo!, la classe lavoratrice crea col suo stesso
lavoro le condizioni per uno sfruttamento ancora maggiore
di se stessa.
Con l’accumulazione del capitale, le condizioni di vita

136
degli operai divengono sempre peggiori ed aumenta il loro
grado di sfruttamento.
E,’ questo un inevitabile risultato dell’ accumulazione del
capitale. Quanto maggiore è la quantità del capitale accu-
mulata dal capitalista, tanto più questi allarga la produ-
zione e introduce nuove macchine, tanto maggiore diventa
la povertà e la disoccupazione della classe operaia
Questa è la legge generale dell'accumulazione capitali-
stica scoperta da Marx, legge che è di fondamentale impor-
tanza per la comprensione del capitalismo e del suo sviluppo.
Max definisce la legge generale dell’ accumulazione ca-
pitalista in questi termini :

« Tanto maggiore è la ricchezza sociale, il capitale im-


piegato! il grado e la rapidità della sua< crescita p, di
conseguenza, la massa totale del proletariato e la produt-
tività del suo lavoro, tanto maggiore sarà l’esercito di
riserva ;dell’ industria. Le stesse cause che sviluppano
il potere di espansione del capitale sviluppano ancheS
la quantità di forza-lavoro a sua disposizione. La massa
relativa della riserva industriale di mano d’opera cresce
perciò con l’energia potenziale alla ricchezza. Ma, tanto
maggiore è questa riserva in proporzione alla mano d’o-
pera attiva, tanto maggiore è il totale fisso di superpo-
polaZione la cui miseria q direttamente proporzionale
alla produttività del lavoro. iTanto maggiore è, final-
mente! la disoccupazione della classe lavoratrice e l ’ e-
sercito di riserva dell’industria! tanto maggiore è il pau-
perismo ufficiale. Questa è la legge generale, assoluta
dell'accumulazione capitalista ». (MARX, Il Capitale,
voi. I).

Più oltre Marx spiega così questa legge :


« . . . nel sistema capitalista tutti i metodi per aumentare
la produttività sociale del lavoro fanno capo al costo
del lavoratore individuale; tutti i mezzi per lo sviluppo
della produzione si trasformano in mezzi di dominazio-
ne e di sfruttamento dei produttori; essi mutilano l’uma-

137
nità del lavoratore; lo degradano al livello di on acces-
sorio della macchina, uccidono ogni resto di soddisfa-
zione nel suo lavoro e lo trasformano in un’ odiosa fa-
tica; essi lo rendono estraneo al contenuto intellettuale
del processo di lavoro nella stessa proporzione in cui
la scienza vi è incorporata come potere .indipendente;
essi falsano le condizioni nella quali egli lavora; lo sot-
tomettono durante il lavoro ad un dispotismo ancor più
odioso per la sua meschinità; essi trasformano Ja sua
vita in tempo di lavoro.
« ... Ma tutti i metodi per favorire la produzione del
plusvalore sono nello stesso tempo metodi per favorire
l'accumulazione ed ogni incremento di questa promuove
a sua voltai quelli. Ne consegue quindi che, a misura
dell'intensificazione della accumulazione del capitale, la
condizione del lavoratore! sia la sua paga alta o bassa,
deve diventare peggiore. La legge, finalmente, che e-
quilibra sempre il processo dell’accumulazione e quello
delia eccedenza relativa della popolazione, questa legge
inchioda il lavoratore al capitale... Essa stabilisce una
fatale correlazione fra l’ accumulazione della miseria e
quella del capitale. L ’accumuazione della ricchezza, da
un polo, costituisce, nello stesso tempo, l’ accumulazione
della miseria, della fatica mortale, della schiavitù, della
ignoranza, dell’ abbrutimento, della degradazione intel-
lettuale, al polo opposto, cioè dal lato della classe che
produce lo stesso capitale ». (MARXi II Capitale, voi. 1).

18 — Impoverimento della classe lavoratrice.

Noi vediamo quindi che, quanto più si sviluppa l’ ac-


cumulazione del capitale, tanto più peggiorano le condizio-
ni della classe lavoratrice. Questo peggioramento generale
delle condizioni del proletariato non è provocato solo dal-
l’ abbassamento dei salari. La disoccupazione si estende e
diventa Sempre più frequente, colpendo sempre più spesso
ogni lavoratore, ogni membro della famiglia del lavoratore...
La fatica dell’operaio diventa sempre più intensa e come

138
r

conseguenza il lavoratore invecchia precocemente e* si tra-


sforma 'spesso in un invalido. ,11 limite d’ età al quale il la -
voratore viene buttato sul lastrico dal capitalista si ab-
bassa progressivamente.
Il capitale sceglie piccoli [gruppi dì lavoratori che di-
ventano i suoi servi fedeli creando una sezione privilegiata
del proletariato, .un’ aristocrazia dei lavoratori. I capitalisti
versano una paga alta a certi gruppi di operai specializzati
con gli. immensi profitti ricavati dalle colonie e a spese
di uno sfruttamento ancora più brutale della grande mag-
gioranza della classe lavoratrice.

19 — Impoverimento e disoccupazione del proletariato in


epoche di crisi.

L impoverimento delle classi lavoratrici raggiunge il suo


limite massimo ,in tempo di crisi. Una crisi mette a nudo
ed acutizza tutte le contraddizioni del capitalismo. Il prole-
tariato è ridotto al massimo grado di impoverimento. Ogni
crisi provoca un restringimento della produzione e, di con-
seguenza, la disoccupazione q>er milioni dì lavoratori e la
riduzione di salari per quelli che restano al lavoro.
La crisi attuale (1929-33) è la più profonda e la più acu-
ta che il capitalismo abbia mai sperimentato. /La decadenza
del sistema capitalista /condanna milioni di persone a tor-
ture senza precedenti; la disoccupazione ha raggiunto pro-
porzioni mostruose e alla lista dei disoccupati bisogna ag-
giungere la folla di quelli che lavorano solo una parte del
loro tempo e ricevono un salario infinitesimale.
La crisi presente condusse ad una riduzione colossale
nei salari in tutti i paesi capitalisti senza eccezione. I capi-
talisti, nel tentativo di accollare tutto il peso della crisi alle
classi lavoratiicit fanno a gara nel ridurre i salari, portan-
doli agli estremi {limiti della miseria, e rendendo impossi-
bile ai lavoratori di soddisfare persino ',i bisogni più pres-
santi. Il livello di vita delle classi lavoratrici, anche nei
più ricchi paesi capitalisti, è disceso in modo incredibile.

139
La prova viene data da un immenso numero di fatti.
Un giornalista che condusse un’inchiesta sulle condizioni dei
minatori in Inghilterra scrive :

« Se Voi visitate la casa di un minatore nel South Wales


o a Durham, voi trovereste che tutta la mobilia che egli
ha acquistato nei giorni migliori è stata venduta. Una
camera è telata affittata ad un pensionante, ma con la
massima probabilità anche costui ha perso il suo lavoro
e non può pagare un centesimo. Se il padre di famiglia
lavora, è certo che il figlio è disoccupato! o, al con-
trario, se lavora il figlio è disoccupato il padre. Ogni
oggetto die poteva essere venduto se ne è andato. D if-
ficilmente si trova un minatore che possa permettersi
il lusso di acquistare degli indumenti per sè, per sua
moglie o per i suoi bambini. Essi riescono a cambiarsi
se capita loro di acquistare qualche vecchio straccio che
la madre riesce a rappezzare in qualche modo ».

Una volta, coi fondi forniti dagli stessi minatori, erano


stati costruiti dei teatri ed aperte delle librerie, ora le li-
brerie non riescono a vendere più un libro ed i teatri sono
chiusi.
In certi altri rami deH’industria, in Inghilterra) i lavo-
ratori sono ancora in uno stato peggiore. I lavoratori tessili
del LancasTiire presentano un quadro ancor più disperato.
Anche lavorando con un rendimento massimo (quattro
telai, per esempio, per ogni tessitore) il salario medio di un
tessitore negli ultimi anni non superava i 31 scellini e 6
pence alla settimana. Ma in molti casi un tessitore lavora
soltanto su due telai e, in Beverley, per esempio, il salario
settimanale varia tra 15 e 20 scellini. Questi salari possono
essere raggiunti però soltanto se si impiega del materiale
buono. In tempo di crisi gli imprenditori usano della ma-
teria prima scadente e di conseguenza i salari dei tessitori
diminuiscono ulteriormente. 1 dati raccolti (in molte inchieste
ufficiali mostrano eloquentemente la povertà dei lavoratori
del Lancashire. Cosh per esempio, una inchiesta condotta

140
nel 1931 in Wigan mostrò che centinaia di lavoratori vivono
in case definite dalla Commissione degli alloggi come « ina-
datte all’abitazione ». In Bolton, la Commissione stabilì che
la maggior parte delle case abitate dai lavoratori erano si»
tuate « nell’immediata vicinanza dei depositi della citta, di
mucchi di immondizie, di rifiuti o di stalle e circondate da
montagne di letame ».
Negli Stati Uniti, negli anni della crisi, la media setti-
manale dei salari nell’industria fu ridotta come segue :
anni Salari (iti L ire)

1929 . . . . 541,—
1930 . . . . 4 9 0 ,-
1931 . . . . 4 2 9 ,-
1932 . . . . 325,—
1933 . . . . 3 3 6 ,-

L ’anno 1933 sembra mostrare una tendenza all’aumento


dei salari, ma è soltanto un aumento apparente. In realtà
il costo della vita in questo periodo fu considerevolmente
più elevato deH’ aumento dei salari nominali.
Secondo le statistiche ufficiai^ il costo della vita creb-
be del 7 % nel 1933 in paragone al 1932, ma secondo le sta-
tistiche dell’ufficio delle ricerche del lavoro il prezzo dei
viveri crebbe del 18 per cento nel 1943.
Nella Germania nazista le condizioni dei lavoratori stan-
no andando di male in peggio. Le lettere dei lavoratori te-
deschi danno un'idea delle condizioni di galera che i fascisti
hanno introdotto nelle imprese. Questo, per esempio, è
quello che scrive una lavoratrice da una delle fabbriche del-
la famosa ditta internazionale Siemens a un giornale tedesco
all’ estero :
,<( Nella piccola fabbrica della Siemensstaldt le condi-
zioni di lavoro sono terribili. Con 5 giorni lavorativi al-
la settimana,, a cottimo, i salari raggiungono L. 135 af
massimo. V i sono casi in cui una ragazza lavora soltanto
4 giorni alla settimana e in questo tempo riceve L. 18.
in tutto. In queste condizioni rimangono soltanto 18 lire
per vivere, dato che 45 lire vanno nell’ affitto e 18 nel
vitto. La velocità del lavoro è spaventosa.
■a La maggioranza delle donne non può compiere il cot-
timo richiesto dal contratto; il tempo necessario per
andare a prendere e riportare il materiale; per nume-
rare le carte di lavoro, per cercare i difetti della mac-
china, per il pranzo, non è tenuto in conto ».
La statistica seguente mostra il grado di impoverimento
‘della classe lavoratrice negli Stati Uniti durante la crisi.
I numeri indice dei salariati nell’industria e della somma
totale dei salari, durante gli anni della crisi (numero indice
1923-25 = 100), mostrano l’ avvenuta diminuzione.
Mese ed anno Numero dei lavoratori impiegati Totale dei salari

maggio 1929 105,3 112,9


» 1930 94,8 95.4
» 1931 80; 1 73.4
» 1932 63,4 46,8
Da queste statistiche si può rilevare che nel maggio
1929, cioè prima della crisi, il numero dei lavoratori ingag-
giati era quasi lo stesso che nel 1923-25 mentre i salari era-
no un poco più alti. Seguì poi una caduta catastrofica nel-
la quale i salari piombarono molto più rapidamente del
numero degli operai impiegati.
Questo indica che la somma pagata in salari diminuì per
due ragioni : 1) a causa della disoccupazione; 2> a causa del-
la riduzione dei salari degli operai al lavoro. Durante i tre
anni della crisi il numero dei lavoratori occupati fu ridotto
del 30 % mentre i salari furono ridotti del 60 %. 1 salari fu-
rono quindi diminuiti della metà durante questo periodo.
Negli Stati Uniti le condizioni di vita dei milioni di
disoccupati che non ricevono alcun aiuto dal governo sono
particolarmente spaventose. Migliaia di disoccupati sfrattati
per non aver pagato l’affitto battono le strade costruendo
dei campi vicino alle città maggiori. Questi campi di disoc-
cupati sono chiamati in America « giungle ». Una rivista

142
borghese descrive così un campo situato nella prateria vici-
no a Stocktom in California :

« Quando noi vedemmo il campo — dice lo scrittore —•


il fumo saliva dalle tende piantate dai disoccupati. Q-
gni piccolo gruppo stava laboriosamente preparando il
suo cibo. L ’ intero quadro era fantastico : in lontananza
si poteva vedere la città con i suoi magazzini pieni di
grano, da un lato, le raffinerie di zucchero, dall’altro,
con i negozi pieni di provviste; mentre, lungo i dock',
questa gente desiderosa di lavorare, stava frugando nei
mucchi di rifiuti cercando carote mezze marce, cipolle
o cavoli e cuocendoli in vecchie scatole di àiatta raccolte
tra la spazzatura ».

Gli autori terminano la loro descrizione di questo qua-


dro di miseria con le seguenti parole :
« Noi abbiamo sempre pensato che la buona vecchia
America fosse un paese libero : esso è realmente libero :
questa gente è libera di scegliere fra tre possibilità : ru-
bare, morire d’inedia o trasformarsi in animali che si
cibano di rifiuti ».Il
Il giornalista borghese dimentica un’altra possibilità : la
lotta rivoluzionaria del proletariato contro la dominazione
del capitale.-
Un aumento senza precedenti del numero dei suicidi,
di ogni genere di malattie! di morte di fame, questi sono i
risultati delle inumane condizioni di vita nelle quali il ca-
pitale obbliga a vivere milioni di persone. Le malattie e le
mortalità infantili si sviluppano con particolare rapidità.
Mentre il grado di impoverimento del proletariato nei
paesi capitalisti più ricchi è tale, le condizioni nei paesi
capitalisti arretrati sono ancora peggiori. Sotto questo a-
spetto il giornale Poland ci offre il risultato di una recente
inchiesta in duecentoquattro famiglie di disoccupati di Varsa-
via. L ’ inchiesta fu condotta da un’ organizzazione borghese
che è lungi dall’ avere simpatia per il comuniSmo. Queste

143
famiglie erano quelle di lavoratori specializzati. Nel rap-
porto dell’inchiesta si legge :
« Occorre stabilire che nella grande maggioranza dei
casi il cibo era inferiore al minimo indispensabile. Per
esempio : la famiglia di un tornitore, composta di 4
persone, spende 12 zloti (circa L. 28.50) alla settimana
in cibo. Essi mangiano due volte al giorno : patate, ca-
volh pane. Essi non comprano mai nò latte nè carne.
La famiglia di un sarto, composta di sei persone, non
aveva mangiato nulla per tre giorni al tempo in cui la
Commissione la visitò; non esiste combustibile, nè ri-
scaldamento. In un altro caso una famiglia di quattro
persone non ha cotto cibo per tre settimane. Il loro
cibo era pane e tè. La famiglia di un lavoratore disoc-
cupato vive del piccolo commercio ambulante della m o-
glie. Le sue entrate ammontano a 1-1,5 zloti (circa lire
2.85 al giorno, e questa è l’unica fonte di guadagno per
ima famiglia di dieci persone».
Riassumendo, il rapporto conclude :
« Il cibo principale dei disoccupati è costituito da pa-
tate, cavoli, più raramente pane e tè, qualche volta ce-
reali, molto raramente pasta eco. Delle 204 famiglie in -
terrogate soltanto venti mangiano carne una volta alla
settimana ».
La situazione è ancora peggiore per quanto riguarda gli
indumenti. Il rapporto dice ;
« La più grande penuria è quella delle scarpe e degli
altri indumenti. Per esempio, la famiglia disoccupata
di un fornaio che è composta di sei persone non ha
scarpe del tutto. Quando il padre esce di casa egli si
lega un paio di suole ai piedi con delle stringhe; i bam-
bini non escono di casa. In un altro caso due bambini
non hanno che un cappotto ; la madre conduce il più
giovane a scuola, gli leva il cappotto e corre a casa a
vestire l’altro ragazzo. Lo stesso sistema viene impiega-
to quando i ragazzi escono di scuola ».

144
Circa le terribili condizioni di abitazione dei disoccu-
palii il rapporto dichiara :

« La maggior parte delle case visitate non soddisfano


i più elementari bisogni dell’ igiene ».
Ecco alcuni esempi caratteristici :
)« La casa è in una cantina; l’acqua cola dai muri, il
pavimento del corridoio che conduce alla casa è sempre
sotto tre. centimetri di acqua. In una sola camera vivono
tre adulti e quattro bambini. In una quantità di casi
più di dieci persone occupano una sola stanza. Su 929
persone interrogate, soltanto 193 dormono in letti sepa-
rati. Questo numero comprendo 11 persone che dormono
per terra, 14 bambini che dormono in culle e 9 bambini
che dormono su bauli, panche o sedie; la maggioranza
dorme in due, tre o più in un letto ».

Non ostante un certo aumento nella produzione industria-


le, il numero dei disoccupati in Polonia è più alto quest’ an-
no dell’anno precedente. Nel gennaio 1934 il numero dei di-
soccupati registrati all’ufficio del lavoro era di 410.000; nel-
la primavera nel 1934 era di 350.000; ma anche limitandosi
ai dati dei giornali borghesi il numero attuale dei disoccu-
pati supera un milione e mezzo. 1 salari totali pagati attual-
mente ai lavoratori dell’industria pesante ammontano (se-
condo i dati ufficiali) a L. 3.950.000.000 nel 1929 e soltanto
a L. 1.770.800.000 nel 1932- ciò che rappresenta una ridu-
zione del 55 %. La giornata di 8 ore è stata abolita. Una
serie di nuove leggi fasciste ha privato la classe lavoratrice
delle sue piccole conquiste nel campo della disoccupazione»
dell’assicurazinne sulle malattie, sugli infortuni, sull’ inva-
lidità, ecc.
La « razionalizzazione » capitalista che consiste nel più
crudele sfruttamento, incoraggiato dal governo e introdotto,
dagli imprenditori nelle fabbriche e nelle miniere ha por-
tato ad un aumento senza precedenti 4degli accidenti nel-
l’industria. Basterà stabilire che soltanto nell’industria mine-

145
raria, negli anni dal 1927 al 1932, secondo statistiche uffi-
ciali, restarono uccisi 1039 minatori, 97.331 rimasero feriti
— di cui 7471 feriti gravemente — senza coniare gli incidenti
secondari, su un totale di 100.000 uomini che lavoravano
nell’ industria carbonifera in quell'anno.
In Giappone il salario giornaliero di un uomo nell’in-
dustria carbonifera nel 19301 era ,di 1s72 yen e, nel 1933, di
1,11 yen. I fanciulli che lavorano come garzoni ricevono da
5 a 10 yen al mese. Nell’ industria tessile del Giappone, do-
ve le donne lavorano spesso 15 ore al giorno, esse ricevono
da 15 a 25 lire alla settimana e un posto; nelle baracche!
della fabbrica.
Il seguente articolo, abbastanza eloquente, apparve in
un giornale giapponese nel dicembre 1933 :
« Un gruppo di 10 ragazze fu arrestato dalla polizia.
Nonostante il freddo esse vagabondavano in abiti estivi,
interrogate, risultò che esse erano scappate da una fab-
brica tessile dove non potevano sopportare più a lungo
il regime di una giornata lavorativa di 15 ore senza
interruzione e le cattive condizioni. Quando fu loro con-
sigliato di ritornare alla fabbrica, le ragazze dichiara-
rono che avrebbero»preferito morire ».
Simili articoli appaiono frequentemente sulla stampa
giapponese.

Q U E S T I O N A R I O 3
2
1

1 — In che cosa il valore della capacità lavorativa differi-


risce dal valore delle altre merci?
2 —■ Perchè la forma dei salari aiuta a mascherare lo sfrut-
tamento capitalista?
3 — Qual'è il significato delle battaglie delle unioni o p e-
raie sotto il capitalismo?

146
4 — In quali condizioni è più vantaggioso per il capitalista
pagare i salari sulla base del tempo di lavoro e in quali
condizioni è più vantaggioso pagarli sulla base del cot-
tim o?
5 — Come si spiega la differenza dei livelli dei salari nei
differenti Paesi?
7 — Che cosa dà origine all’ esistenza di un esercito di ri-
serva della mano d’opera?
7 — Qual e l’effetto della legge generale dell’ accumulazione
capitalista?
8 — Quali sono le cause dell’ impoverimento della classe
lavoratrice sotto il capitalismo?

147
CAPITOLO VI

DIVISIONE DEL PLUSVALORE


TRA I CAPITALISTI

! — Livellamento del tasso di profitto'

Noi sappiamo già che il plusvalore è creato soltanto dal


lavoro degli operai. Le varie imprese non impiegano lo stes-
so numero di lavoratori, ma il numero maggiore di uomini
non sempre appartiene all’impresa che ha il capitale più
grande. Prendiamo due capitalisti ciascuno dei quali im-
pieghi egual capitale : un milione di lire. Uno ha costruita
una grande centrale elettrica modernamente attrezzata,
l’altro ha aperto una cava di pietre che richiede un’abbon-
dante mano d’opera. Nella centrale elettrica sono impiegati
cinquanta operai, mentre nella cava ne lavorano cinquecento
11 problema è questo : il proprietario della cava ricaverà
un profitto dieci volte maggiore del proprietario della cen-
trale.
Noi sappiamo che per il capitalismo lo scopo della pio
duzione è di ottenere del profitto. Se le cave (con lo stesso
impiego di capitale) dessero un profitto maggiore delle cen-
trali elettricheA molti capitalisti preferirebbero impiegare le
loro fortune in questa industria, mentre ,pochi si curere-
bero di fare degli investimenti in centrali elettriche Noi
sappiamo già a cosa condurrebbe questo : il prezzo delle

149
pietre squadrate calerebbe ed aumenterebbe il prezzo della
corrente elettrica. Il problema è dunque di conoscere entro
quali limiti questi prezzi possono variare.
Ammettiamo che i prezzi siano cambiati sino al punto
che ambedue le imprese diano lo stesso profitto. Potranno
continuare a spostarsi? Naturalmente no. Nessun proprieta-
rio di centrali elettriche troverà quindi, più conveniente di
dedicarsi agli affari delle cave, poiché ambedue le imprese
offrono gli stessi vantaggi.
L ’industria capitalista non consiste però in una o due
imprese, ma in un numero infinito di impianti, fabbriche,
ecc. La quantità di capitale investito in ciascuna di queste
imprese è naturalmente diverso. Tutti questi investimenti
differiscono però tra di loro nella loro composizione organi-
ca, cioè nel rapporto tra il capitale costante e il capitale
variabile! tanto maggiore è il capitale costante in rapporto
al capitale variabile, tanto più alta è la composizione orga-
nica bassa del capitale, quando il capitale variabile è mag-
giore in confronto al capitale costante.
Noi possiamo quindi dire che la centrale elettrica è ca-
ratterizzata da un’ ulta composizione organica del capitale,
e troveremo, al contrario, nell’altra impresa, una bassa com-
posizione organica del capitale. -Questo significa che noi
troveremo mia bassa composizione organica del capitale
quando molti lavoratori sono impiegati, mentre il costo di
costruzioni, macchine, ecc. non è molto grande. Prendiamo,
per esempiot un’impresa che costruisca dei terrapieni per le
ferrovie. Il suo impiego di capitale costante è piccolo : qual-
che carriola, vanghe e picconi, ed è tutto, mentre la parte
maggiore del capitale è impiegata nell’acquisto della forza-
1avoro.
Poiché il plusvalore è creato soltanto dal lavoro degli
operai, le imprese con una bassa costituzione organica1 sem-
brano dover essere più proficue.
Ma la caccia ai profitti tra i capitalisti conduce al loro
livellamento, a parità di capitale investito. Il rapporto dei
profitti dei capitalisti secondo la quantità di capitale in-

150
vestiLo è chiamato tasso di profitto. Se, per esempio! inve-
stendo un milione in un’impresa, il capitalista ricava un
profitto di centomila, il suo tassò di profitto è un decimo
o 10 per cento. La concorrenza tra i capitalisti conduce
alla legge del lusso generale o medio di profitto. Questa
legge, come tutte le leggi - del sistema capitalistico, opera
tra fluttuazioni senza fine nella battaglia di tutti contro tutti.
Noi mostreremo con un esempio come il tasso di prò-,
fitto viene livellato nella società capitalista. Per semplifica-
re, noi ammetteremo che vi siano soltanto tre capitali (o
tre gruppi di capitale) nella societ'ài tutti della stessa gran-
dezza, ma di composizione diversa. Ammettiamo che la
grandezza di ogni capitale sia di 100 unità. 11 primo consi-
ste di 70 unità di capitale costante e di 30 di capitale va-
riabile; il secondo di 80 di costante e di 30 di variabile; il
terzo di 90 di costante e di 10 di variabile. Ammettiamo
che il tasso del plusvalore in tutte tre le imprese o gruppi
di imprese sia eguale al 100 per cento. Questo significa
che ogni operaio lavora mezza giornata per il proprio sa-
lario e l’ altra mezza per il capitalista. In questo caso il
plusvalore ricavato da ogni impresa sarà eguale all’am-
montare del capitale variabile, ciò che farà per la prima
30 unità di plusvalore^ 20 per la seconda e 10 per la terza
Se le merci prodotte nelle imprese capitaliste fossero ven-
dute al loro valore, allora la prima mrpresa ricaverebbe 30
unità di profitto, la seconda 20 e la terza 10. L ’ ammontare
del capitale investito in ciascuna delle tre èt però, il mede-
simo. Una tale situazione sarebbe bene accetta al primo ca-
pitalista! man non al terzo. In tal caso è più vantaggioso
per il capitalista del terzo gruppo di trasferire il suo capi-
tale nel primo gruppo. Questo conduce ad una concorrenza
tra i capitalisti del primo gruppo che sono costretti ad ab-
bassare i prezzi, mentre dà ai capitalisti del terzo gruppo
la possibilità di alzare i prezzi, così che i profitti di tutti
e tre i gruppi finiscono per equipararsi.
Questa corsa al - livellamento del tasso di profitto può
essere mostrata schematicamente nella tavola seguente :

151
Valore P rezzi Tasso di
Capitale Capitale Capitale P lu s- dello m erci di vendita profitto
costante variabile valore prodotte delle m erci (pecent.)

1 . . . 70 30 30 130 120 20
Il . . . 80 20 20 120 120 20
Ili . . . 90 10 10 no 120 20

Totale . 240 60 60 360 360 20


Oltre alla differenza nella composizione organica del ca-
pitale, la quantità di plusvalore dipende anche dalla velo-
cità di circolazione del capitale. Se due capitalisti hanno la
stessa quantità di capitale e se la composizione organica
del loro capitale è la medesima 5colui il cui capitale circola
più rapidamente potrà ricavare una maggior quantità di
plusvalore. Ammettiamo che il primo capitale circoli una
volta per anno e l’altro tre volte all’ anno. E’ evidente che
il primo potrà assumere una triplice quantità di lavoratori
e trarne il triplo di plusvalore. Nell’ insieme ancl^e questa
differenza sarà livellata dalla stessa legge del tasso medio
di profitto che agisce attraverso la concorrenza tra i capi-
talisti.
Questo significa che le merci della società capitalista
sono vendute, jio n al loro valore, ma a prezzi che variano
in qualche misura dal loro valore. Attualmente, sotto il ca-
pitalismo, le n rrci sono vendute a prezzi fluttuanti, attor-
no ai prezzi di produzione. Il prezzo di produzione di una
merce consiste nella somma impiegata nella produzione più
un profitto medio proporzionale al capitale investito.
« 11 profitto è il rapporto tra il plusvalore e il capitale
totale investito in un'impresa. 11 capitale con un’ « alta
composizione organica » (cioè con una preponderanza di
capitale costante sul capitale variabile in quantità su-
periore alla media sociale) ricava un profitto inferiore!
al tasso, mentre il capitale con una a composizione or-
ganica inferiore » ricava un profitto superiore al tasso
medio. La concorrenza tra i capitali, il loro trasferi-
mento da un ramo all'altro! riduce in ambedue i casi

152
il profitto a! tasso medio. La somma totale dei valori
di tutte le merci in una data società coincide con la
somma totale dei prezzi di tutte le merci; ma nelle
singole imprese ed in rami singoli della produzione,
le merci vengono vendute, sotto la pressione della con-
correnza, mon secondo il loro valore, ma secondo i prez-
zi di produzione equivalenti al capitale impiegato più il
profitto medio ». (LENIN, Il marxismo di Marx-Engels
- Curio Marx).
Sotto il capitalismo le merci non sono vendute al loro
valore, ma al prezzo di produzione. Questo significa forse
che la legge del valore non vale nella produzione capitali-
sta? Certamente nò. Bisogna ricordare che ili prezzo di pro-
duzione rappresenta soltanto una forma diversa del valore.
Alcuni capitalisti .atendono le loro merci al disopra del
loro valore, altri al di sottOi ma tutti i capitalisti, conside-
rati nel loro complesso, ricevono il valore intero di tutte le
merci cosicché i profitti totali dell’intera classe capitalista
sono eguali al plusvalore prodotto dal totale; del lavoro non
'pagato. Nel quadro dell’ intera società la somma totale
dei prezzi di produzione è uguale alla somma totale dei
valori delle merci, mentre la somma totale dei profitti è
eguale alla somma totale del lavoro non pagato ai lavora-
tori. Una riduzione nel valore delle merci, conduce ad una
riduzione del loro prezzo di produzione. E ’ in questo, modo
che la legge del valore opera attraverso il prezzo di pro-
duzione.
« In questo modo il fatto notorio ed incontrastabile del-
la divergenza tra prezzi e valore e del livellamento dei
profitti viene completamente spiegato da Marx sulla ba-
se della legge del valore; poiché la somma dei valori
di tutte le merci coincide con la somma totale dei prez-
zi ». (Ibidem).

2 — Tendenza verso un tasso di profitto inferiore.

I capitalista esercita la sua impresa per amore del pro-


fitto che ne derive. Il profitto è il motivo conduttore dfel-

153
l ’industria capitalista. Lo sviluppo del capitalismo conduce;
tuttavia, a ridurre il tasso medio del profitto.
11 profitto è la massa del plusvalore considerato rispetto
all'intero capitale investito nell’impresa. 11 tasso di profitto
è il rapporto tra il guadagno del capitalista e il suo capitale.
Ma noi sappiamo che la quantità di plusvalore è determinata
dalla quantità del capitale variabile, cioè da quella parte,
di capitale impiegata nell’ acquisto di capacità lavorativa.
La composizione organica del capitale è però in conti-
mia trasformazione con lo sviluppo del capitalismo, dive-
nendo continuamente più alta. Con l’introduzione di sempre
nuovi miglioramenti tecnici, la quantità di materiale grezzo,
di macchinario e di impianti cresce costantemente, cosic-
ché quella parte di capitale impiegato in lavoro ritorto au-
menta molto più rapidamente della quantità di capitale
variabile che serve a pagare il lavoro vivo.
Ma la conseguenza della composizione organica più alta
del capitale è, nel sistema capitalista, l’ inevitabile tendenza
verso un tasso di profitto minore. Ogni singolo capitalista,
rimpiazzando i lavoratori con la macchina, rende la produ-
zione più economica, allarga il mercato per le sue merci e
tenta così di ottenere un maggiore profitto per se stesso.
Questo è evidente, altrimenti non istallerebbe delle macchi-
ne. Ma lo sviluppo dei miglioramenti tecnici, che si esprime
in una composizione organica più alta del capitale, conduce
a conseguenze il cui rimedio sfugge al potere del capitalista•
Questa conseguenza è la tendenza ad un abbassamento ge-
nerale (o medio) del tasso di profitto.
« L ’aumento della produttività del lavoro implica un
più rapido accrescimento del capitale costante rispetto
al capitale variabile. Ma siccome ilf plusvalore è in fun-
zione del solo capitale variabile è ovvio che il tasso di
profitto (il rapporto del plusvalore con l’ intero
capitale e non soltanto con la sua parte variabile) ha
una tendenza a diminuire. Marx fa una analisi detta-
gliata di questa tendenza e di un cumulo di circostanze
che tendono a nasconderla od a contrastarla ». (Ibidem).

154
La principale tra le circostanze contrastanti è la tenden- -
za all’aumento del tasso di sfruttamento dei lavoratori. Si
deve inoltre tener presente che all’ aumento della produtti-
vità del lavoro corrisponde una diminuzione del valore, del
macchinario, degli impianti, ecc. Se un operaio che lavo-
rava su due telai può lavorare ora su sedici, occorre ricor-
darsi che il valore dei telai può lavorare ora su sedici, oc-
corre ricordarsi che il valore dei telai è minore.
Sedici telai non costano otto volte di più dei due pre-
cedenti, ma quattro o cinque volte di più* cosicché la frazio-
ne di capitale costante che corrisponde ad una lavoratore
non è otto volte più grande di prima, ma soltanto quattro
o cinque. V i sono poi altre cause al ritardo della diminuzio-
ne del tasso di profitto.
Occorre poi tener presente che la riduzione del tasso di
profitto non significa una diminuzione nella quantità di pro-
fitto che consiste nella somma totale del plusvalore spremu-
to dalle, masse lavoratrici. A l contrario^ la massa del pro-
fitto capitalista cresce costantemente, poiché il capitale con,'
tinua a crescere, e la massa dei lavoratori che sono sfrut-
tali continua ad aumentare coll’intensificarsi del grado di
sfruttamento.
La tendenza verso un tasso di profitto più basso esiste
tuttavia ed esercita una influenza potente sull’intero svi-
luppo del capitalismo. Questa tendenza alla diminuzione del
lasso di profitto acutizza grandemente le contraddizioni del
capitalismo. I capitalisti tentano di compensare la caduta del
tasso di profitto con un aumento dello sfruttamento degli
operai, il che conduce a nuove contraddizioni tra il prole-
tariato e la borghesia. La caduta del tasso di profitto acu-
tizza la lotta nel campo dei capitalisti. Per salvarsi da que-
sta tendenza, i capitalisti stabiliscono delle imprese in pae-
si arretrati, dove la mano d’ opera è economica, il livello
dello sfruttamento più alto e la composizione organica più
bassa di quanto sia nei paesi altamente industrializzati. In
più i capitalisti si alleano in ogni genere di unioni (trust,
cartelli, ecc.) per mantenere i prezzi al livello massimo, cer-

155
«andò cosi di aumentare i loro guadagni e di impedire al
tasso di profitto di cadere.
Durante i periodi di crisi, quando tutte le contraddi-
zioni del capitalismo diventano più aculei la contraddizione
originala dalla tendenza del tasso di profitto a diminuire
diventa chiaramente evidente. ~~
3 — Capitale commerciale e suo reddito.
Abbiam o già detto che, nell’ economia capitalista, le co-
se non sono prodotte per l'uso immediato, ma per la ven-
dila. Le fatiche dell'imprenditore non sono quindi finite
quando sono stati prodotti i beni : essi debbono) essere ven-
duti. 11 capitalista deve vendere le merci che ha prodotto
per convertire nuovamente il suo capitale in danaro.
In un'economia capitalistica sviluppala, il produttore
non attende che il consumatore venga a chiedergli le merci.
Di regola, il fabbricante vende i suoi beni ad un interme*
diario e quest’ ultimo si occupa della successiva distribuzio-
ne delle merci.
Tutti sanno che il capitale è necessario per il commer-
cio. Senza danaro, il mercante non può adempiere la fun-
zione di portare le merci all’ acquirente! al consumatore. Se
l’ industriale vendesse egli stesso, dovrebbe impiegare
una certa quantità di capitale per impiantare un negozio,
assumere dei commessi, ecc. L ’ industriale lascia quindi al
commerciante la cura di questo, dandogli una parte del pro-
fitto.
Il profitto del capitale commerciale è quindi costituito
da quella parte di plusvalore che l’industriale concede al
mercante. Impiegando una certa quantità di capitale, ;1
commerciante deve ricevere il tasso usuale di profitto sul
suo capitale. Se questo profitto fosse inferiore alla media,
non sarebbe conveniente impiegato nel'ì commercio e il mer-
cante lo trasferirebbe nell’ industria.
Il mercante non serve soltanto da intermediario per le
merci prodotte negli impianti e nelle fabbriche del capita-
lista ma egli acquista anche i prodotti dei contadini, degli
artigiani e dei lavoratori indipendenti.

136
Ammettiamo che in un villaggio l’ industria del fabbro
sia fiorente da tempo. 1 fabbri trovano difficoltà a collocare
essi stessi le loro serrature perchè la regione circonvicina
ne è sufficientemente fornita. Viene un compratore che nel
acquista una grande quantità,, la trasporta in un’ altra re-
gione dove la vende vantaggiosamente. Rivendendo le ser-
rature il compratore riceve il loro valore, mentre il prezzo
al quale le ha acquistate dall’artigiano era assai basso.
Una parte della differenza tra i prezzi di vendita e quelli
di acquisto vanno a pagare le varie spese: imballo, traspor-
to, ecc. Il rimanente costituisce il profitto, il guadagno in-
cassalo dal commerciante. In questo modo il capitale com-
merciale sfrutta il piccolo produttore indipendente, trasfor-
mandolo gradualmente in un operaio a domicilio. E’ con
questo sistema che il mercante trae il suo profitto dalla pro-
duzione mercantile semplice.
<1f. > »
4 - Forme di commercio « Speculazione.
/
Nella economia capitalista moderna, il commercio non
si esercita soltanto in articoli di consumazione. A l contra-
rio, una quantità immensa di transazioni commerciali ri-
guardano merci occorrenti per l’ulteriore produzione o per
il trasporto.
Una fabbrica tessile acquista cotone, carbone, attrezzi,
telai, colori. Un’ industria pesante acquista carbone,, ferro»
e macchinario. Le ferrovie hanno bisogno di una grande
quantità di binari^ traverse, vagoni e locomotive. Bisogna
distinguere i grossisti dai dettaglianti. 11 produttore gene-
ralmente vende le sue merci ad un grossista che, a sua vol-
ta, le rivende a un piccolo commerciante il qual e ^ alla fine,
le vende al dettaglio al consumatore.
La struttura dell’ apparato commerciale nei paesi capi-
talisti è molto complessa. Alcune merci jrassano attraverso
parecchie mani prima di arrivare al consumatore. 1 par-
tecipanti a questi negozi e rivendite spesso non vedono nem-
meno la m erce: generalmente si trasmettono solo le bollet-
te di magazzino che indicano la presenza delle merci e il

157
diritto di riceverle. E’ evidente che non tutte le mèrci si pos-
sono vendere con questo sistema che richiede merci unifor-
mi, la cui qualità possa essere facilmente stabilita e fissata
nei documenti di magazzinaggio.
Spesso i commercianti acquistano dei beni, non per
venderli al consumatore, ma perchè prevedono un aumento
del prezzo di mercato, cosicché essi si attendono un pro-
fitto dall’ aumento dei prezzi. Attualmente questi ultimi
fluttuano per una serie di cause che è difficile o addirittura
impossibile prevedere. Supponiamo che al principio dell’ e..
•state ci si attenda un buon racolta e he quindi il prezzo
del grano discenda; se, più tardi, il raccolto appare peggio-
re del previsto, ne consegue generalmente un forte aumento
dei prezzi del grano.
Questo crea la possibilità di speculazioni. La specula-
zione è inseparabilmente legata alla natura intima del com-
mercio capitalista. 11 guadagno che cade nelle mani devlL ‘
speculatore rappresenta una perdita per centinaia di mi-
gliaia di uomini che prendono parte alla produzione o al
commercio delle merci soggette alla speculazione.

5 — Capitale finanziario e credito.

Nella società capitalista non è soltanto il capitalista


proprietario di un’ industria o di un’ impresa commerciale; a
ricevere un reddito non guadagnato. Sotto il capitalismo
fiorisce un numero continuamente crescente di parassiti che
ricevono delle rendite immense senza fare alcun lavoro, ma
soltanto a causa del possesso di un capitale enorme.
Come fa a moltiplicarsi il danaro di questi capitalisti?
I proprietari di un capitale in danaro generalmente
tengono il loro danaro in una banca che paga un certo tas-
so di interesse sui depositi.
Ma da dove traggono le banche i mezzi per pagare que-
sti interessi? Il danaro che giace, nelle casseforti della banca
sotto forma di oro o di effetti non cresce da solo.
II capitalismo conosce soltanto una fonte di aumento
del capitale e questa fonte si trova nella produzione ; negli

d 58
impianti, nelle fabbriche, n e lle . miniere, nelle imprese a-
gricole ecc.
Perciò una banca moderna non nasconde e non trattiene
il danaro che è depositato pressx» di lei, ma ne tiene nelle
sue casse soltanto quanto è necessario per sopperire alle
domande normali dei depositanti. L ’ esperienza ha dimo-
strato che soltanto una piccola parte dei risparmiatori ritira
i propri depositi, in tempi normali. Il danaro che- viene
ritirato viene normalmente rimpiazzato dai nuovi versamen-
ti. Naturalmente le cose prendono una piega differente in
caso di eventi straordinari, come le crisi, le guerrre,, ecc. :
allora l’intera massa dei depositanti, tutta assieme, chiede,
la restituzione del suo danaro. Se la banca non può prepa-
rarsi adeguatamente a questo attacco e raccogliere nelle
sue casse una quantità sufficiente di danaro, o prendendola
a prestito da altre banche o dal governo, e se non riesce
a frenare questa « corsa agli sportelli allora « fallisce »,
cioè dichiara di essere incapace di rimborsare i suoi depo-
sitanti. Il fallimento di una banca significa la rovina di mol-
ti capitalisti, la perdita dei risparmi della piccola borghe-
sia, c così via. Il fallimento di una banca aggrava così la
crisi.
In circostanze ordinarie, però, la banca' tiene una quan-
tità relativamente piccola di valuta nelle sue casse, quanto
basta a soddisfare le domande deii risparmiatori che deside-
rano ritirare il loro danaro; il resto lo presta ai capitalisti
che hanno bisogno di fondi.
Noi sappiamo già per quale ragione i capitalisti hanno
bisogno di danaro; esso occorre loro come capitale da im-
piegare nella produzione.il fatto che essi non lo ottengono
permanentemente, ma solo per un periodo definito di tem-
po, non fa alcuna differenza. Nella produzione e nella ven-
dita delle sue merci, il capitalista realizza varie somme di
danaro a varie riprese e col danaro così ricevuto può rim-
borsare il prestito della banca. Bisogna ricordare, inoltre,
che in epoche di capitalismo sviluppato, non solo le banche
garantiscono dei prestiti ai capitalisti a più o meno breve

159
termine, ma che investono inoltre esse stesse vaste somme
di danaro in industrie per lunghissimo tempo.
L ’industriale capitalista usa del danaro ricevuto dalla
banca come capitale. Con l’aiuto di questo capitale egli al-
larga la produzione su scala molto più larga di quello che
avrebbe fatto se non avesse ottenuto il prestito. La parti-
colare caratteristica del capitale prestato consiste quindi
nel fatto che viene applicato alla produzione non dal ca-
pitalista a cui appartiene, ma da un altro. Con l’usare il
capitale ottenuto dalla banca per la sua impresa! l’ indu-
striale può assumere più operai e quindi ottenere più plus-
valore.
L ’industriale capitalista deve pagare una parte di questo
plusvalore alla banca in compenso del capitale che ha mes-
so a sua disposizione. Se egli ha ricevuto in prestito 100.000
lire e deve renderne 107.000. dopo un anno, la banca ag-
giunge il 7 per cento al capitale imprestato.
In questo caso la banca pagherà ai suoi depositanti un
interesse un poco più piccolo, per esempio, il 5 per cento
sul danaro depositato. Questo significa che, delle 7.000 lire
che la banca riceve dall’ industriale, essa deve pagarne 5.000
a coloro che hanno depositato 1 0 0 .0 0 0 lire. 11 profitto della
banca ammonterà quindi a 2 .0 0 0 lire.
Ognuno può rendersi conto che questa transazione è
molto simile a qualunque altra transazione commeriale. Se
un mercante acquistò un cavallo per 5.000 lire e lo riven-
dette per 7.000, egli ha guadagnato 2.000 lire. A llo stesso
modo la banca ha pagato 5.000 lire e ne ha ricevute 7.000.
ricavando così un profitto di 2.000. Tutta la differenza sta
nella natura speciale della merce con cui la banca ha com-
merciato. Che cosa sia questa merce noi l’ abbiamo già vi-
sto : 1 0 0 .0 0 0 lire convertite In capitale e usate come capitale
per un anno. La banca commercia in capitali, essa è un
commerciante di capitali.

6 ■— Tesso di interesse.
1! capitale viene così convertito in una merce con la
quale si fanno delle transazioni in parecchi modi. In queste

160
transazioni il prezzo del capitale viene stabilito. Nel no-
stro esempio, 7.000 lire erano il prezzo pagato dall’ industria
per l’uso di un capitale del valore di 1 0 0 .0 0 0 lire per il pe-
riodo di un anno. Questo prezzo veniva pagato dall’im-
prenditore al mercante di capitali, la banca. A sua volta
la banca paga ai possessori del capitale 5.000 lire per il di-
ritto di usarne per uni anno.
La questione che ora sorge è : da che cosa dipende
questo prezzo che determina il tasso di interesse pagato
per il capitale?
Ili tasso è soggetto a cambiamenti frequenti. 11 capi-
talista dice : il danaro è caro ora; oppure : il danaro è a
buon mercato. Nel primo caso questo significa che il dana-
ro deve essere pagato ad un tasso alto di interesse, nel se-
condo, al contrario, che può essere preso a prestito ad un
tasso d’interesse basso Come in ogni transazione commercia-
le. anche in questo caso il prezzo viene determinato alla
fine dall’offerta e dalla domanda.
Se in una certa epoca molti capitalisti hanno bisogno
di danaro supplementare e sono disposti a pagarlo a qua-
lunque prezzo, allora la domanda di prestiti è grande. V e -
diamo, però, sino a che limite può crescere questo costo.
Nel nostro esempio, l ’industriale paga alla banca 5.000
lire per usare in un capitale di 1 0 0 .0 0 0 lire per un anno.
Perchè questo affare è vantaggioso per lui? Perchè egli pro-
babilmente ricava un profitto del 15-16 per cento sul capi-
tale investito nella sua impresa. Questo significa che su
ogni 100.000 lire investite, l’ imprendilore realizza 15-16.000
di profitto. Dopo aver pagato alla banca 5.000 lire gliene
restano ancora 10 o 1 1 .0 0 0 che costituiscono la differenza
tra il tasso di profitto dell’ industria e il tasso di interesse
pagato alla Banca.
Per quanto quest’ultimo possa aumentare a causa della
richiesta di prestiti, l ’aumento ha tuttavia dei limiti. La
banca può chiedere 8 o 9.000 lire invece di 7.000, e l’ af-
fare resterà ancora vantaggioso per l’ industriale, ma se la
banca gli chiede 15 o 16.000 lire, egli rifiuta. A queste con-

161
dizioni egli infatti non riceverebbe del profitto, ma soltan-
to noie.
11 tasso di interesse è quindi limitato dal tasso medio
di profitto dell’ imprenditore. Esso è generalmente assai in-
feriore al profitto medio. Soltanto in rari casi (durante le
crisi) esso raggiunge questo livello. D ’ altro canto con l’ au-
mento dell'offerta della moneta al di sopra della domanda,
il tasso di interesse pagato per quest’uso dovrà diminuire.
In particolari circostanze, il tasso d’ interesse potrà divenire
eccezionalmente basso sebbene, naturalmente, nessuno pos-
sa prestare del danaro gratis.

QUESTIONARIO

1 — Come si può spiegare la differenza della composizione


organica del capitale nei vari rami dell’industria?
2 — Come avviene il livellamento del/ tasso di profitto?
3 •— Che cosa determina il prezzo di produzione?
4 — La vendita delle merci ai prezzi di produzione è in
contraddizione con la teoria di Marx sul valore?
5 — Quali sono le cause della tendenza alla diminuzione
del tasso di profitto?
6 — Da dove scaturisce il profitto dei commercianti capi-
talisti?
7.— Qual'è la caratteristica del commercio bancario?

162
CAPITOLO VII

IL CAPITALISMO
NELL' AGRICOLTURA

I — Antitesi tra città e villaggio.

Sino a che non fiorì il capitalismo, non esisteva nulla


di simile all’industria moderna. Non vi erano giganteschi
imjiianti metallurgici che impiegavano migliaia di lavora-
tori, non industrie tessili con le loro centinaia di migliaia
di spole e di telai ronzanti. Prima del capitalismo non vi
erano ferrovie o piroscafi. La grande industria fu creata dal
capitalismo; prima di essa esistevano soltanto artigiani e
lavoratori liberi.
La situazione è diversa con l’agricoltura. Lungo tempo
prima del capitalismo, gli uomini aravano il suolo, si occu-
pavano della pastorizia, allevando e coltivando ogni genere
di animali e di piante utili all’ uomo. Quando il capitalismo
nacque, l’agri'coitura era allo stato del feudalesimo. Lo svi.
luppo del capitalismo cominciò a distruggerei rapidamente
la base precedente dell’ agricoltura, ma in molti paesi dei
resti del sistema feudale si dimostrarono molto vitali e so-
pravvissero anche al trionfo del capitalismo. La più impor-
tante sopravvivenza è il permanere, in generale, della terra
nelle mani dei latifondisti, nelle mani di proprietari privati.
Il capitalismo effettua la separazione dell'industria dal-

163i
l’ agricoltura. Sotto i precedenti rapporti pre capitalistici le
stoffe, le scarpe ed urna quantità di articoli di uso comune
venivano prodotti nelle famiglie del contadino o dell arti-
giano del paese. Il capitalismo creò le industrie tessili e del-
la calzoleria chej. a causa del basso costo e della qualità
superiore dei loro prodotti, soppiantarono la produzione
paesana.
Ma il capitalismo non soltanto separa tutti i nuovi rami
dell'industria dall’agricoltura, ma esso scava un abisso tra
città e villaggio, crea ed approfondisce continuamente le an-
titesi fra industria ed agricoltura. Nell’ industria lo sviluppo
del capitalismo è sostenuto dal rapido aumento di migliora-
menti tecnici; ogni lustro, talvolta ogni anno, porta nuovi
metodi di produzione nuovi miglioramenti, nuove macelline.
L ’ agricoltura! anche nei paesi più avanzati, viene distanziata
dalla tempestosa crescita dell’industria. Traendo l’ agricol-
tura, dai suoi stretti limiti naturali di economia naturale e
liberandola dalle catene della servitù» il capitalismo, nello
stesso tempo, porta con sè l’ oppressione sempre crescente
dello sfruttamento delle larghe masse del villaggio, condan-
nandole all’ignoranza, all’arretratezza ed alla povertà. 1
molti milioni di uomini che costituiscono la popolazione
del villaggo, i contadini, anche nei paesi più avanzati, sono
tagliati fuori dalla civiltà cittadina e vivono in uno stato di
ignoranza e di arretratezza.
La rapida crescita dell’ industria di fronte all’estrema
lentezza dell’ agricoltura — questa è una delle più profonde
contraddizioni del sistema capitalistico,origine ad ogni gene-
re di sommovimenti e di crisi e primo passo verso l’ inevi-
tabile caduta del capitalismo.

« L ’agricoltura rimane arretrata rispetto allo sviluppo


deH’ industria — questo è un fenomeno inerente a tutti
i paesi capitalisti ed è una delle ragioni più profonde
dello sconvolgimento dell’equilibrio tra i rami differenti
dell’ economia nazionale, a causa delle crisi e dei prezzi
elevati.

164
(( Il capitale ha liberato l’ agricoltura dal feudalismo*
l’ha trascinata nel traffico commerciale e insieme con
questo nello sviluppo economico del mondo, l’ha solle-
vata dalla stagnazione dala barbarie medioevale e dal
sistema patriarcale. Tuttavia il capitalismo non soltanto
non ha tentato di togliere l'oppressione, lo sfruttamento
e la povertà delle masse, ma, al contrario, esso ha crea-
to queste miserie in una nuova forma e ristabilito la
vecchia forma su basi « moderne à ". Non soltanto la
contraddizione tra l’ indù stria e l’agricoltura non è stata
rimossa dal capitalismo, ma, al contrario, essa si è
allargata ed acutizzata ad un grado ancora maggiore.
La pressione del capitale, che cresce principalmente
nelle sfere del commercio e dell’ industria, grava sempre
più duramente sull’ agricoltura ». (LENINi Nuovi dati
sulle leggi dello sviluppo del capitalismo nell'agri
coltura)..

2 — Rendita fondiaria. I

11 primo requisito della produzione agricola è la terra.


In lutti i paesi capitalistici la terra è proprietà privata di
singoli proprietari. In quasi tutti questi paesi, immense di-
stese di terra sono nelle mani dei latifondisti — grandi pro-
prietari che non lavorano la terra essi stessi — ma ne trag-
gono la rendita. I latifondisti hanno conservato i loro grandi
domini dal tempo della servitù. Essi continuano a vivere
come prima sulla fertilità della terra e a spese del lavoro
altrui. E ’ cambiata soltanto la forma con la quale sfruttano
il contadino traendone il loro reddito. Soltanto nell’Unione
Sovietica la terra è stata nazionalizzata, tolta, cioè, ai lati-
fondisti ed a tutti gli altri proprietari privati per essere
ripartita dallo Stato proletario tra i lavoratori dei campi
e le grandi fattorie statali che la coltivano per nutrire i la-
voratori e soddisfare la richiesta delle industrie nazionali
che servono questi stessi lavoratori.
In regime capitalista, il proprietario della terra ne trae
una rendita. Chiunque vuol dedicarsi all’agricoltura ed ha
il capitale necessario, deve prima di tutto procurarsi un
terrenOj a un certo affitto e per un certo periodo di tempo,
del possessore della terra. 11 proprietario del suolò esercita i
suoi diritti di proprietà riscuotendo un tributo da tutti quelli
che hanno bisogno della terra. Il tributo ricevuto dal pro-
prietario terriero si chiama rendita fondiaria,
E’ necessario distinguere la rendita differenziale dalla
lendita assoluta. Consideriamo per prima la rendita diffe-
renziale, Noi sappiamo che nell'industria il valore delle
merci ed il loro costo di produzione sono determinate dalle
condizioni medie di produzione. Nell'agricoltura questo non
avviene nello stesso modo. L ’ area del terreno è limitata
e non può essere aumentata secondo il bisogno. Differenti
terreni non sono della stessa fertilità. La distanza dei terre-
li'. dalle grandi città, dai fiumi, dagli oceani e dalle ferrovie,
rappresentano pure una parte importante. Da un terreno mi-
gliore, con lo stesso impiego di capitale, si ottiene un rac-
colto migliore.
La terra che è situata in una posizione vantaggiosa,
risparmia al lavoratore le spese che sono invece necessarie
al trasporto dei prodotti dei distretti isolati. Il prezzo di
produzione dei prodotti agricoli è determinato dalle condi-
zioni di produzione del terreno peggiore^ altrimenti l'im-
prenditore capitalista non impiegherebbe il suo capitale nel-
la lavorazione di questi terreni, ma lo trasferirebbe nella
industria. In tal modo, per, coloro che lavorano un terreno
migliore realizzano un reddito più grande. Chi ottiene que-
sta rendita? E’ evidente che. essa va a finire nelle mani del
latifondista.
Oltre a questa rendita differenziale il capitale ottiene
anche una rendita assoluta. La terra è posta sotto il con-
trollo monopolistico dei proprietari privati. Il monopolio
della proprietà terriera impedisce il libero passaggio del
capitale dall’ industria all’agricoltura. Per lavorare la terra,
occorre ottenere il permesso del proprietario terriero. T e c-
nicamente l’ agricoltura è ad un livello più basso dell’indu-
stria e perciò l'organizzazione organica del capitale vi è

166
più bassa che nell'industria. Se vi fosse un libero passaggio
di capitali tra l'agricoltura e l ’ industria, il tasso di profitto
sarebbe equiparato per mezzo della concorrenza. Ma una
tale libertà non esiste a causa della proprietà privata della
terra. Ne viene quindi che i prodotti agricoli sono venduti
ad un prezzo superiore a quello di produzione. 11 di più così
ottenuto va a finire nelle tasche del proprietario terriero
ed è chiamato rendita fondiaria assoluta. Marx chiama que-
sta rendita il tributo pagato al proprietario delle terre.
Lenin caratterizza concisamente, con le parole seguenti*
le condizioni che originano la rendita differenziale e l’ as-
soluta :
« ... in primo luogo, noi abbiamo il .monopolio dell’uso
(capitalista) della terra. 11 monopolio sorge dalla lim i-
tatezza della terra disponibile ed è perciò inevitabile
in ogni società capitalista. Questo m onopolio fa sì che il
prezzo dei cereali viene determinato sulla base/nelle
condizioni di produzione sulla terra peggiore; il sopra-
profitto realizzato dal capitale investito nella terra m i-
gliore o da qualunque investimento di capitale più pro-
duttivo, forma la rendita differenziale. Questa rendita
nasce in modo completamente indipendente dalla p ro-
prietà privata della terra, la quale rende solo possibile
al proprietario terriero di riscuoterla dal fittavolo. In
secondo luogo, noi abbiamo il m onopolio della proprie-
tà privata della terra, il quale non è*. nè storicamente nè
logicamente legato al m onopolio precedente.
« Questa specie di m onopolio non è inseparabile dalla
società capitalista e dall'organizzazione capitalista del-
l’agricoltura. Da un lato noi possiamo facilmente im -
maginarci l’ agricoltura capitalista senza la proprietà
privata della terra ed anche molti importanti economi-
sti borghesi domandano lai nazionalizzazione della ter-
ra. D ’ altro lato, anche nella pratica, noi abbiamo una
organizzazione capitalista dell’agricoltura senza proprie-,
tà privata della terra, per esempio nelle terre demaniali
e comunali. In conseguenza è assohitamente necessario

16 7
di porre una netta distinzione fra questi due generi di
m onopolio il che porta alla necessità di riconoscere che
la rendita assoluta che è creata dalla proprietà privata
della terra esiste fianco a fianco alla rendita differen-
ziale ». (LENIN, O pere scelte).

La teoria marxista della rendita, spiegata prima,, nasce


dalle seguenti premesse. Il proprietario affitta la terra. L ’ af-
fittuario è un capitalista che lavora la terra per mezzo di
lavoratori salariati. In tal caso non è difficile di comprende-
re l’origine della rendita che finisce nelle tasche del pro-
prietario. I lavoratori salariati producono del plusvalore
col loro lavoro non pagato. Il plusvalore viene riscosso prima
dall’affittuario che ne fa due parti : una per se stesso —• e
questo è il profitto deìll’imprenditore, il profitto del suo capi-
tale investito — mentre l’ altra parte, una quantità definita o l-
tre questo profitto, è costretto a darla al proprietario della
terra. Questa parte del plusvalore è la rendita. E’ evidente
che la rendita assoluta e la differenziale, come ogni altro
reddito che sotto il capitalismo si riscuote senza lavorare,
può avere soltanto una fonte : il plusvalore prodotto dal la-
voro della classe lavoratrice.
« Ogni rendita fondiaria è plusvalore prodotto dal plus-
lavoro » dice Marx (Il Capitalej voi. 111).
<( La teoria della rendita presuppone che tutta la po-
polazione agricola sia completamente divisa in proprie-,
tari terrieri, capitalisti e lavoratori salariati. Questo è
l’ideale del capitalismo, ma non è affatto la sua .realtà »,
dice Lenin. jAncora una volta sul problema della rea0
lizzazione'.

3 — Fonte della rendita fondiaria.

In realtà le cose sono più complicate, ma la teoria della


rendita mantiene egualmente tutto il suo valore anche nelle
circostanze più intricate. Accade spesso nella società capitali"
sta che il proprietario terriero non affitta la sua terra, ma as-
sume egli stesso dei lavoatori per lavorarla. In questo caso'egìi

168
è uello stesso tempo proprietario terriero ed imprenditore
capitalista. Come proprietario egli ricava la rendita e come
capitalista il profitto sul rcapitale- investito : rendite e pro-
fitto vanno dunque a finire nella stessa tasca.
Molto frequentemente la terra dei latifondisti non è p re-
sa in affitto da un imprenditore capitalista, ma da conta-
dini che la lavorano ,essi stessi senza impiego di lavoro sa-
lariato. I contadini sono costretti dalla penuria della terrai
a prenderla in affitto dai latifondisti a condizioni peggiori
della schiavitù. Anche in questo caso .è chiaro che il latifon-
dista riceve la rendita sotto forma di pagamento jn danaro!
o in lavoro (eseguito per suo conto), o in specie, in modo
da rendere schiavo il contadino. Da dove sorge la rendita,
in questo caso, non essendovi del lavoro salariato che crea
il plusvalore?
E.’ evidente che in questo caso la fonte della rendita
è lo sfruttamento del lavoro contadino. I contadini danno
una parte del prodotto al latifondista come rendita. Questa
parte presa dal latifondista è spesso cosi grande che il con-
tadino è ridotto ad un’esistenza di fame, mentre è costretto
al lavoro più duro e più sfibrante. E’ per questo che Marx
dice che lo struttamento del contadino in regime capitalista,
l« differisce soltanto nella forma dallo sfruttamento del prò•
letariato industriale » (« La lotta di classe in Francia »).

4 — Compra vendita della terra.

Nei paesi capitalisti., però, il contadino spesso lavora


sul suo proprio pezzo di terra. Come sorge qui la rendita?
Sotto il capitalista la terra è posseduta privatamente; essa
forma oggetto di compra-vendita. I contadini debbono ac-
quistare il pezzo di terra di cui hanno bisogno. Vediamo
come viene determinato il prezzo della terra.
11 proprietario ha un terreno che affitta. L ’ affittuario
gli paga L. 95.000 ,aH’ anno di affitto. Divenuto più ricco egli
chiede al proprietario di vendergli la terra : quale sarà il
prezzo che questi chiederà? Egli farà i suoi conti in questo
modo : se io non vendo il terreno questo mi renderà lire

169
ogni armo di affitto; in ogni caso io non debbo per-
9 5 .0 0 0
dere in questa vendita; debbo quindi ottenere una somma
tale di danaro che, depositata in banca, mi dia un interesse
annuale di L. 95.000. Ammettiamo che la banca dia il 4 %
sul idanaro depositato. Il nostro proprietario calcolerà fa-
cilmenté che egli deve riscuotere 2.375.000 lire per la terra,
dato che L. 2.375.000 depositate in banca, danno, al 4 %, un
interesse di L. 95.000 all’anno.
Talvolta si parla di valore della terra. E’ un errore. Se
noi non teniamo conto delle migliorie apportate dal lavoro
umano (per es. : costruzioni, chiuse,) canali d’ irrigazione,
eec.) la terra in sè non può avere alcun valore dato che essa
non è un prodotto del lavoro [umano. Ma se la terra non ha
un valore, essa può avere (ed ha sotto il capitalismo) un
prezzo. Il prezzo nasce dal .fatto che la terra è stata usurpa-
ta dai proprietari terrieri come proprietà privata.
Noi vediamo quindi che il prezzo della terra è determi-
nato dal reddito che se ne trae annualmente. 11 suo ammon-
tare corrisponde alla somma che darebbe, depositata in una
banca ad un certo interesse, un reddito equivalente. Questo
sistema di calcolo si chiam a,capitalizzazione. E,’ per questo
motivo d ie Marx dice che « il prezzo della terra non è nien-
t'altro che rendita... capitalizzata » ,(Il Capitale, voi. III).
Acquistando un terreno, il contadino paga anticipatamente
la rendita per gli anni seguenti.

5 —■Rendita fondiaria e arretratezza dell'agricoltura.

La rendita fondiaria è un grave ostacolo allo sviluppo


dell agricoltura sotto il capitalismo. Una parte considerevole
di plusvalore prodotto nell'agricoltura cade nele mani dei
grandi agrari che non 1’investono in miglioramenti agricoli,
ma che do spendono nelle città. Le cose non vanno, meglio
quando la terra viene acqui: tata. Il produttore agricolo im -
piega la maggior parte del (suo capitale nell’acquisto rima-
nendogli una parte, assai piccola per l’acquisto di macchine
e di impianti. La rendita fondiaria è una specie di pompa
che trae una grande ricchezza dall'agricoltura immettendo-
la nelle tasche dei parassiti latifondisti. In questo modo la
rendita fondiaria aggrava l’ arretratezza medioevale dell'agri-
coltura; mentre, come risultato della proprietà privata della
terra, approfondisce le antìtesi fra la città ed il villaggio.
Con lo sviluppo del capitalismo anche fa quantità della
rendila fondiaria cresce rapidamente. Questo si comprende,
facilmente. La rendita assoluta cresce pure rapidamente col
crescere delle differenze dovute alla produttività e alla si-
tuazione della ,terra, ad ogni nuovo terreno immesso nella!
coltivazione, e nel crescere della produttività dei vari inve-
stiménti su un unico pezzo di terra. La rendita fondiaria è
favorita poi dalla circostanza che la qualità della terra col-
tivata jgià da un lungo periodo di tempo è aumentata dagli
investimenti di un’ enorme quantità di lavoro umano in mi-
gliorie (irrigazione, fertilizzazione, strade, ecc.' Alla fine-
il frutto di tutto questo lavoro va al proprietario terriero.
L'aumento costante, della rendita della terra porta ad
un continuo aumento del suo prezzo. Senza parlare delle
grandi città e dei loro dintorni immediati, dove ogni mètro
di terreno raggiunge dei prezzi esorbitanti, anche il prezzo
della terra nei villaggi aumenta. Così il valore di una fat-
toria agricola negli Stati Uniti aumentò in 10 anni, dal ,1900
al 1010. di più di 3S0 miliardi di lire. Di questo ammon-
tare soltanto 95 miliardi sono dovuti all’ aumento di valore
per migliorie e costruzioni, gli altri 285 sono dovuti all’ au-
mento del prezzo della terra.
L ’aumento della quantità di rendita fondiaria conseguen-
te allo sviluppo del capitalismo rappresenta un aumento del
tributo che la società paga ai parassiti latifondisti. L ’ au-
mento della rendita fondiaria rende ancora più difficile lo
sviluppo dell’agricoltura,, perpetuando sempre più la sua ar-
retratezza,. approfondendo sempre più l’ abisso tra agricol-
tura ed industria.
Lo sviluppo dell’agricoltura sotto il capitalismo, non è
frenalo soltanto dalla rendita fondiaria.
La produzione per il profitto, la disorganizzazione e la
anarchia della produzione capitalista, conducono prati-

c i.
eamente airesaurimento del suolo. Le crisi capitalistiche,
scuotendo l’intera economia, hanno ispesso delle conseguen-
ze ancor più rovinose nella sfera dell’ agricoltura. L ’ aumen-
to delle contraddizioni capitaliste abbraccia tanto l’agricol-
tura che l’ industria.

6 — Grande e piccola produzione nell’ agricoltura.

11 capitalismo porta con sè la vittoria della grande sulla


piccola produzione. |La grande produzione arreca immensi
vantaggi : offre la possibilità di applicare la macchina su
larga scala. La grande produzione può rapidamente supera-
re la produttività della piccola. Così l’industria capitalista
respinge continuamente indietro l ’ artigiano ed il lavoratore
indipendente. Fra le stesse imprese capilaliste vi è una
lotta continua che conduce alla vittoria di poche grandi im-
prese in ogni campo.
La vittoria della grande produzione sulla piccola in ogni
campo è indiscutibile. La vittoria del grande capitale sul
piccolo produttore! il progresso trionfante della concentra
zione e della centralizzazione del capitale provoca un enor-
me aumento delle contraddizioni di classe. La classe media
è gradualmente eliminata; lo strato medio tra la borghesia e
il proletariato, composto della massa dei piccoli produttori,
artigiani, commercianti ecc., scompare. La piccola borghe-
sia è atterrata; per un raro caso di elevazione alla classe ca-
pitalista, molte migliaia di piccoli borghesi discendono nei
ranghi dei lavoratori. Due classi opposte — la minoranza
possente della borghesia e l’immensa massa del proletariato
— si fronteggiano per la lotta : questo (3 il risultato del pro-
gresso trionfante della grande produzione capitalista.
Incapaci a negare l’ espropriazione e la rovina della p ic-
cola industria, i difensori del capitalismo asseriscono che la
piccola produzione sopravvive energicamente nell’agricoltu-
ra, Lài secondo loro, la grande produzione non offrirebbe gli
stessi vantaggi che ha nell’industria.
I difensori del capitalismo persistono in (questa asserzione.

172
In realtà, al contrario, la grande produzione nell’ agricoltura
è infinitamente più vantaggiosa della piccola. Nell'Unione
Sovietica la crescita di grandi fattorie statali (sovhhs) e di
fattorie collettive (kolkhos), che hanno una produttività in-
commensurabilmente maggiore delle piccole fattorie isolate,
prova questo fatto meglio di qualunque discorso. Ma anche
nel mondo capitalista il vantaggio della grande produzione
nell’agricoltura è indiscutibile.
E ’ evidente che i vantaggi della grande produzione nelle
condizioni capitalistiche e nelle condizioni esistenti nell’U.
R. S. S. hanno un carattere completamente diverso. Nelle
condizioni sovietiche il vantaggio della produzione su larga
scala nelle fattorie statali e collettive consiste nell’ essere le
fattorie condotte secondo principii socialisti, apportando i
più grandi benefici alle grandi masse dei lavoratori, e costi-
tuendo per loro un nuovo passo verso il socialismo. Nelle
condizioni capitalistiche! invece, la grande produzione dà al
capitalista il vantaggio sul piccolo proprietario, ed aiuta lo
asservimento delle masse dei lavoratori.
Soltanto la grande produzione può affrontare la spesa del-
l’ impiego di macchinario, trattori, macchine combinate, ecc.,
che moltiplicano la produttività del lavoro infinite volte. Sol-
tanto la grande produzione può' facilmente ottenere il cre-
dito dalle banche capitaliste a /condizioni infinitamente più
lievi di quelle che può ottenere il piccolo fittavolo. Una gran-
de impresa può organizzare la vendita dei suoi prodotti co-
me l ’acquisto del materiale necessario, ecc., più vantaggiosa-
mente. L ’ applicazione della scienza è possibile solo alla a-
gricoltura su larga scala. Sono quindi evidenti gli immensi
vantaggi della grande produzione.
Nonostante l’arretratezza dell’ agricoltura in confronto al-
l’industria, l’introduzione delle macchine e dei fertilizzanti
artificiali si diffonde nei paesi capitalisti. L ’ applicazione di
macchinario complesso è possibile solo nelle grandi fattorie.
Il numero dei trattori negli Stati Uniti è passato da 80 mila
nel 1918 a I milione nel 1930. In Germania l ’uso dei ferti-
lizzanti al nitro è cresciuto di due volte e mezzo dal 1914 al
1928-29 e l’ uso di quelli al potassio di una volta e mezza.

173
In Francia l’uso dei fertilizzanti del primo tipo è raddoppia-
to, mentre il potassio è ^impiegato cinque' volte e i supcr-
iostati due volte di più. Una gran parte delle maggiori fat-
torie in Germania impiegano macchine; le piccole non pos-
sono, naturalmente. Esse non riescono ad avere i loro pro-
pri trattori, autocarri,. motori elettrici, come la maggioranza
delle grandi fattorie. Così in Germania, nel 1925, i motori
elettrici erano impiegati nel 70 per cento delle fattorie a-
venti più di 2 0 0 ettari ciascuna, i trattori nel 14,5 per cento,
le macelline a vapore nel 65 per cento, gli autocarri nel 8 % .
I proprietari capitalisti privati, però, pongono degli osta-
coli insormontabili <a che l’area delle fattorie raggiunga una
estensione conveniente ad una grande applicazione dei si-
stemi meccanici. Anche le 'aziende agricole relativamente
grandi dei paesi capitalisti sono raramente estese sufficien-
temente per il pieno sfruttamento dei potenti trattori m o-
derni, i, quali non possono esservi pienamente utilizzati. Sol-
tanto la rivoluzione socialista, abbattendo tutte le barriere
della proprietà privata, lia creato le condizioni per uno
sfruttamento integrale dei moderni mezzi tecnici nell’ a-
gricoltura.
II capitalismo conduce alla vittoria della grande produ-
zione nella agricoltura così come nell’ industria, ed allo spo-
stamento della piccola produzione verso la grande
produzione. —> À causa della arretratezza della a-
gricoltura, però, questa legge generale dello sviluppo
capitalista manifesta parecchie caratteristiche rispetto alla
agricoltura, poiché la introduzione della jmacchina vi è com-
parativamente lento. Questa è la ragione per cui permango-
no molte piccole fattorie, anche nei paesi capitalisti più a-
vanzati, nelle quali si effettua un abuso brutale della capa-
cità produttiva della terra e della forza-lavoro dell’uomo. Il
piccolo fittavolo, solto il capitalismo, è disposto a sopporta-
re le più dure privazioni per conservare il suo piccolo pez-
zo di terra e la sua indipendenza apparente. La piccola fat-
toria si mantiene solo per mezzo del lavoro più spossante del
fittavolo e di tutta la sua famiglia. Nello stesso tempo la pic-
cola fattoria conduce all’impoverimento della fertilità della

174
«

terra che è scarsamente fertilizzata e malamente coltivata.


La qualità del bestiame diventa peggiore. Il piccolo fittavolo
e la sua famiglia conducono una esistenza di fame, fornendo
un lavoro quasi inumano e vivendo nella paura perpetua
del domani. Ogni aumento di tasse, ogni diminuzione nel
prezzo del prodotto, ogni variazione nel prezzo delle merci
industriali mette in giuoco la sua situazione. Una quantità
di:piccoli fittavoli sono rovinati ogni anno nonostante i loro
sforzi quasi sovrumani per salvare la loro indipendenza.
Spesso un grande agrario trova vantaggioso conservare le
piccole fattorie confinanti. Avendo un piccolo pezzo di ter-
ra, che non è sufficiente a mantenerlo, il contadino jè co-
stretto a vendere la sua forza-lavoro al grande agrario vicino.
Se il contadino non avesse il suo piccolo pezzo di terra che
lo trattiene sul posto, egli andrebbe probabilmente alla città
per trovare lavoro e il latifondista perderebbe questa mano
d’opera a basso costo. L ’agricoltore, usando l’ espressione di
Lenini si trasforma in «lavoratore salariato con una asse-
gnazione ».

« Noi vediamo dunque che la tendenza fondamentale e


principale .del capitalismo è di sostituire la grande pro-
duzione alla piccola tanto nell’industria che nella agricol-
tura. Ma questa sostituzione non significa soltanto espro-
priazione immediata, ma comprende anche la rovina ed
il peggioramento delle condizioni di vita dei piccoli pro-
prietari che può avvenire in una serie d’anni o di decen-
ni. L ’ abbassamento del tenore ;di vita è provato dal la-
voro eccessivo, dalla sottoalimentazione del piccolo col-
tivatore e dal crescere dei (suoi debiti, dalle condizioni
del suo bestiame insufficientemente nutrito e più scarso,
daH’immiserimento della sua terra a causa fli una pri-
mitiva coltivazione, concimazione ecc., dalla mancata ap-
plicazione di miglioramenti tecnici». (LENIN, Nùuovi dati
sulle leggi dello sviluppo del capitalismo nell’ agricoltura).I

I difensori del capitalismo nascondono coscientemente que-


ste circostanze quando magnificano i vantaggi della piccola

175,
produzione sulla grande. Essi lodano la pazienza e la per-
severanza del piccolo proprietario, ma evitano ogni riferimen-
to aUe privazioni che gli sono destinate.

7 — Distribuzione delia terra e condizioni degli agricoltori


nei paesi capitalisti.

Noi abbiamo già ricordato che nei paesi capitalisti la mag-


gior parte ideila terra è nelle mani di un piccolo gruppo di
grandi latifondisti e capitalisti. Nei paesi capitalisti la gran-
de maggioranza dei piccoli proprietari ha meno terra del
piccolo numero dei grandi latifondisti. La maggior parte dei
fondi iè concentrata nelle mani dei grandi agrari.
In Germania, secondo il censo del 1925. il 60 per cento
delle fattorie aventi un’area inferiore ai 2 ettari costituisce
soltanto il 6,5 per cento di tutte le terre, mentre T 11,5 %
dei domini di più di : 10 ettari costituisce il 67 % . Questo
significa che un gruppo di grandi domini .(circa un decimo
di tutte le fattorie) occupa i due terzi della superficie ara-
bile mentre la grande maggioranza dei piccoli proprietari
ne posside soltanto la sedicesima parte. In Francia nel 1908,
le fattorie inferiori ad 1 ettaro costituivano il 38 per cento
di tutte le aziende agricole mentre la loro area totale am-
montava soltanto al 2,5 per cento dei terreni totali.
Così i due quinti degli agricoltori possedevamo soltanto un
quattordicesimo del terreno coltivabile, mentre i domini
superiori ai 10 ettari, che. costituiscono il 16 per cento del
numero delle fattorie, occupavano il 74,5 per cento delle
terre, approssimativamente i tre quarti. In Polonia, nel 1921,
le fattorie inferiori ai 2 ettari costituivano il 30 per cento
di tutte le fattorie, possedendo il ,3,5 per cento delle terre,
mentre i domini superiori ai 1 0 0 ettari (che costituivano
soltanto lo 0,5 per cento del totale delle fattorie) occupa-
vano circa la metà (esattamente il 44 % ) dei terreni. In
Ungheria la meta idei suolo è posseduta dal 99 % delle fat-
torie (piccole e medie', mentre l’altra metà è nelle mani dei
grandi agrari che rappresentano soltanto 1 1 % dei proprie-

176
tari. 10 mila latifondisti^ in altre parole, possiedono tanta
terra quanto I milione di piccoli proprietari.
Prima della rivoluzione anche in Russia la maggior par-
te delle terre era nelle mani dei latifondisti, della famiglia
realei dei monasteri e dei kulak. 30 mila dei più grandi pro-
prietari terrieri possedevano 70 milioni di dessiatine (1) di
terra, mentre dieci milioni dei più piccoli agricoltori pos-
sedevano la stessa quantità di terra, il che costituisce una
proporzione di 324 piccole fattorie per ogni grande domi-
nio signorile. Una grande tenuta consisteva in media di 2.300
dessiatine. mentre una fattoria di un contadino copriva 7
dessiatine Poca terra o niente terra del tutto — questo era
il destino del villaggio. Soltanto la rivoluzione d ’ ottobre
sbarazzò la terra dai parassiti e la diede ai lavoratori.
Una tale distribuzione capitalista delle terre conduce
all'asservimento e all’impoverimento dei contadini. ;]1 lavo-
ratore è costretto a prendere la terra in affitto dal latifon-
dista alle più dure condizioni. Oltre agli svantaggi della pic-
cola produzione con la sua tecnica arretrata, vi ȏ p o i Un cu-
mulo di altre circostanze a premere (sul piccolo agricoltore.
Del raccolto! egli deve dare la parte del leone al latifondi-
sta, come rendita fondiaria. 11 governo lo tassa. In America-
per esempio, le tasse si mangiano i due terzi (del reddito di
una fattoria. Se, a causa di ,un cattivo raccolto o per qualche
disgrazia familiare, l’agricoltore è costretto a chiedere un
prestilo ad una banca, egli non riuscirà più a districarsi dal
pagamento degli interessi. Inoltre i mediatori lo strangola-
no con ogni mezzo.
Il censimento del 1930 dà un quadro statistico impressio-
nante deH’impoverimento dei contadini americani. Nei 10
anni dal 1920 al 1930' il valore totale delle terre coltivate
era diminuito da 1.045 a 665 miliardi di lire; il valore me-
dio della terra e delle costruzioni di ogni fattoria da 190
mila a 142 mila lire; il numero delle fattorie che coltivano
terre d'affitto era aumentato da 2 milioni 455 mila a 2 mi-
lioni 664.009, durante tale periodo. L ’ area coltirèa coltivata in

( lì 1 dessiatina ettari 1,080.

177
proprio era diminuita, da 637 a 618 milioni di acri (1) men-
tre nello stesso tempo l’area coltivata da affittuari era cre-
sciuta da 225 a 306 milioni di acri. Queste cifre mostrano
eloquentemente l’impoverimento della massa dei contadini
americani, la diminuizione della terra posseduta dagli agri,
collori, il contemporaneo aumento della terra d’ affitto, i! de-
clino della piccola proprietà agricola.
Nel Giappone, secondo i dati ufficiali del Ministero del-
l ’Agricoltura, nel 1932 su 5.576.000 famiglie contadine,
1.478.000 non possedevano terra e la prendevano in affitto
'dai latifondisti; 2.500.000 possedevano meno di mezzo etta-
ro ciascuno di terra; 1.240.000 da mezzo ettaro ad uno; di
entrambe queste categorie di «proprietari», 2.360.000 erano
costretti a prendere in affitto dell’altra terra per poter vi-
vere. I latifondisti, .di regola, dividono la loro terra in p ic-
coli lotti per affittarla, perchè anche il più intenso sfrutta-
mento di mano 'd’ opera a buon mercato, rende meno del-
l’ affitto. 11 latifondista ricava in affitto, da questi piccoli
lotti di terra affittati a famiglie contadine (circa il 70 %
delle fattorie coltivano meno di un ettaro)/una somma cor-
rispondente a più della metà del raccolto del riso.
8 — Differenziazione dei contadini sotto il capitalismo.
Sotto il capitalismo il contadino è costretto alla più dura
lotta per resistenza. Egli lavora sino all’esaurimento per
tentare di salvare la propria azienda «indipendente». 11 ter-
reno è impoverito, le condizioni del bestiame peggiorate; il
tenore di vita del contadino e della sua famiglia si abbassa
continuamente. Le tasse lo assillano; egli deve pagare l’af-
fitto dell'annata; facilmente cade nelle mani degli usurai che
succhiano da lui l’ultima goccia di vita. Generalmente egli
vende il suo grano ed il suo bestiame ad un mediatore, dato
che non può portare il suo prodotto ad un mercato lontano.
L ’ usuraio e il mediatore tengono fortemente il contadino nei
loro artigli. La pressione del capitale sul villaggio diventa
sempre più forte.
Lo sviluppo del capitalismo conduce all’ arricchimento di
(1) 1 acro — ettari 0,400.

178
un piccolissimo numero di contadini. Essi acquistano la ter-
ra prestando danaro a interessi usurai, altri diventano ric-
chi col tentare il commercio. Nello stesso tempo la grande
maggioranza diviene sempre più povera.
Molti sono obbligati a vendere la vacca, poi anche il
cavallo. Privo del cavallo il contadino diventa immediata-
mente la vittima del ricco. Per poter vivere egli deve adat-
tarsi a diventare un bracciante od emigrare verso la città.
In questo modo una parte degli agricoltori si trasforma
in borghesi, mentre l’altra in lavoratori salariati. Questo co-
stituisce la differenziazione del villaggio sotto il capitalismo.
Tra questi due strati estremi rimane una stretta sezione :
quella dei contadini medi.
« La loro caratteristica è che l’ agricoltura commerciale
è scarsamente sviluppata tra loro. Soltanto nelle buone
annate ed in condizioni paticolarmente favorevoli la pro-
prietà indipendente di questo tipo di contadino è suffi-
ciente a mantenerlo; per questa ragione la sua posizione
è assai instabile. Nella maggiorità dei casi il contadino
medio non può far onore ai suoi impegni senza ricorrere
a prestiti da compensare con lavoro, ecc., senza cer-
care (guadagni sussidiari altrove che in parte consistono
nella vendita della sua forza-lavoro, ecc. Ogni volta che
viene a mancare il raccolto, delle masse di medi con-
tadini sono gettati nei ranghi del proletariato ». (LENIN
Lo sviluppo del capitalismo in Russia).
In molti paesi esistono ancora grandi quantità di conta-
dini medi. Per la maggioranza dei contadini medi il capi-
talismo tiene in serbo una sola possibilità : cadere nelle file
dei poveri del villaggio e quindi diventare dei braccianti.
Una piccola minoranza si arrampica sino a porsi tra gli
sfruttatori. Il censimento del 1930 degli Stati Uniti pone in
evidenza la graduale scomparsa del contadino medio. Il con-
simento mostra un aumento del numero delle piccole fattorie
(inferiori ai 20 acri) e delle larghe fattorie (superiori ai 500
acri'. 11 numero delle fattorie medie (dai 20 ai 500 acri) è
considerevolmente diminuto.

179
9 — Impoverimento del contadino nei paesi capitalisti.
!1 capitalismo porta una grande miseria nelle larghe masse
dei lavoratori del villaggio; esso scava un abisso tra l’ indu-
stria e l'agricoltura. 11 villaggio è condannato ad un’ arretra-
tezza medioevale, il piccolo contadino ad un’ esistenza m i-
serabile. 11 coltivatore piega gotto il peso delle tasse, l’insuf-
ficienza della terra e i prezzi rovinosi dei prodotti agricoli.
La concentrazione della terra nelle mani di piccoli grup-
pi di grandi agrari condanna le masse contadine ad una
continua schiavitù e dipendenza sino a che il capitalismo e-
siste. La concorrenza della produzione più profìcua su larga
scala obbliga il povero contadino ad un lavoro sovrumano
per conservare la sua piccola fattoria. La differenziazione
dei contadini getta grandi masse di agricoltori nelle file dei
braccianti, soggetti al più duro sfruttamento.
Le crisi acutizzano al massimo tutte le contraddizioni del
capitalismo. La crisi attuale, la più acuta e la più severa che
abbia mai scosso il mondo capitalista, aumentò al massimo
i bisogni e la povertà delle grandi masse dei contadini. La
crisi condusse ad un ulteriore approfondirsi delle antitesi tra
città e villaggio, essa ha aggravato ancora l ’ arretratezza del-
la campagna ; i prezzi incredibilmente bassi dei prodotti a-,
gricoli rovinano i contadini medi, mentre, nello stesso tem-
po, il lavoratore continua a pagare gli stessi prezzi alti per
i mezzi di sussistenza.
10 — Il contadino è l’alleato del proletariato nella rivoluzione
E ’ chiaro, perciò, che il proletariato trova amici ed alleati
nel villaggio nella sua lotta rivoluzionaria contro la domina-
zione capitalista. Anche il bracciante è un proletario; l’ unica
differenza è che l’uno lavora alla macchina per l’ industriale,
mentre l’altro segue un aratro per il latifondista o per il
contadino ricco. 11 povero del villaggio è l’ alleato sicuro della
classe lavoratrice. Egli non ha nulla da perdere dalla distru-
zione ilei capitalismo perchè egli non ha nulla da guada-
gnare dalla sua esistenza. Finalmente il contadini medio
può assumere una parte importante aiutando il proletariato,
se quest’ ultimo segue una giusta politica.

180
A l tempo della lotta per il potere è estremamente im-
portante di mantenere neutrale il contadino medio per pre-
venire la sua entrata tra i nemici del proletariato. D opo la
conquista della vittoria, il proletariato mantiene una unio-
ne permanente col contadino medio. Con mano ferma la
classe operaia lo conduce con sè nell’ edificazione di una
nuova vita.
Una lotta determinata e senza quartiere contro i kulak,
contro la borghesia del villaggio, è la unica base sulla qua-
le può effettuarsi una unione permanente tra il proletariato
e la grande massa del medio contadino. Soltanto la rivolu-
zione proletaria apre al coltivatore povero e a quello medio
la via per uscire dalla condizione senza speranza nella quale
si trovano sotto il capitalismo.
La rivoluzione proletaira estirpa sino alla radice lo sfrut-
tamento capitalista tanto nella città d ie nel vilaggio. Eli-
minando la proprietà parassitaria dei banchieri, dei latifon-
disti e degli industriali, la rivoluzione proletaria libera im-
mediatamente l’agricoltore dalle catene medioevali che lo
legano mani e piedi : la schiavitù del sistema attuale, i debiti
verso le banche, gli usurai ecc. sono aboliti. La rivoluzione
proletaria, oltre a ciò, apre al contadino la porta della grande
produzione socializzata, salvandolo dalla rovina e dall’ im-
poverimento, inevitabili sotto il capitalismo.

Q U E S T I O N A R I O

1 — In che cosa consiste l'antitesi tra città e villaggio sotto


il capitalismo?
2 — Qual’ è la fonte della rendita assoluta e di quella diffe
renziale?
3 — Come viene determinato il prezzo della terra?
4 — Quali sono i vantaggi della grande e della piccola pro-
duzione nell’agricoltura?
5 — Come è ripartita la proprietà delle terre nei paesi
capitalisti?
6 — Come avviene la differenziazione del contadino sotto il
capitalismo?

181
CAPITOLO Vili

RIPRODUZIONE E CRISI
SOTTO IL CAPITALISMO

1 — Mezzi di produzione e beni di consumo.

Se noi consideriamo alcuni paesi, noi vediamo che ogni


anno vengono prodotte certe quantità dei beni più differen-
ti : pane, tela, locomotive, aratri, case d’ abitazione, carbone,,
macchinario, zucchero, gomma ecc. La destinazione finale
di questi prodotti del lavoro umano è assai diversa. 11 pane,
lo zucchero, la carne sono consumati dall’uomo per il suo
mantenimento, i vestiti servono a coprirlo, le case a rico-
verarlo. Altri prodotti del lavoro umano hanno, invece, una
destinazione del tutto differente : l’ aratro viene impiegato
nell’ agricoltura per; lavorare il suolo, le macchine e gli sta-
bilimenti servono all’ulteriore produzione dei beni, le loco-
motive e i vagoni sono necessari al trasporto delle merci.
Quei prodotti del lavoro che servono all’ immediata sod-
disfazione ai bisogni umani (di cibo, di divertimenti, di a-
biti, di ricovero,. ecc.) sono chiamati beni o articoli di con-
sumo; quelli che servono invece all’ulteriore produzione dei
beni sono chiamati mezzi di produzione. E ’ importante ri-
cordarsi che, in ultima analisi, tutti i prodotti del lavoro
servono a soddisfare un bisogno umano singolo o sociale.
L ’unica differenza è che alcune cose servono direttamente

183
a questo scopo (gli oggetti di uso personale), mentre altre
cose servono soltantd alla produzione dei beni di uso diretto ;
a quest'ultima categoria appartengono i mezzi di produzione.
V i è poi una quantità di beni che possono servire tanto
come articoli di consumazione diretta, quanto come mezzi
di produzione. Il più semplice esempio è il carbone che è
usato nelle caldaie a vapore, negli impianti e nelle cen-
trali elettriche come mezzo di produzione! e nelle stufe
delle case come bene di consumo. Ognuno può facilmente
trovare una quantià di altri beni che servono ad entrambi
gli usi.
Sotto il capitalismo, i mezzi di produzione sono nelle
mani eli imprenditori individuali o di gruppi di essi. L ’in-
dustriale dirige la sua impresa all’ unico scopo, come abbia-
mo visto, di ricavarne del profitto, del guadagno personale.
E ’ perciò completamente indifferente per lui di produrre
delle locomotive o degli accendisigari, della tela o dei pro-
fumi. Essi significano per lui soltanto una cosa : maggior
profitto. E’ quindi evidente che il capitalista non fa alcuna
distinzione tra la produzione di articoli di consumo o di
mezzi di produzione. La produzione di gomma piuttosto
che di articoli di gomma, per esempio, dipenderà soltanto
da una considerazione : quale gli darà maggior profitto?

2 — Che cos’ è la riproduzione?

La massa dei beni prodotti in ogni paese è in continuo


movimento : gli articoli di consumazione vanno dall’indu-
striale al consumatore. Là escono dalla circolazione : alcuni
servono per un tempo relativamente lungo a soddisfare dei
bisogni umani (come i vestiti o i libri), altri scompaiono
rapidamente (come i cibi). I mezzi di produzione prodotti
negli impianti e nelle fabbriche o tratti dalle viscere della
terra sono pure immessi nell’uso. Alcuni di questi prodotti
sono di breve durata (il carbone, l'olio, per, esempio), altri,
al contrario, si consumano molto lentamente e debbono es-
sere rimpiazzati soltanto dopo un lungo periodo di tempo
(macchine, ecc.),

184
Una cosa è chiara; affinchè la società possa esistere e
possa essere conservato il sistema economico, è necessario
che certe quantità di beni non siano prodotte una volta sola,
ma continuamente, perpetuamente.
Si logorano delle camicie, ma se ne producono delle al-
tre nelle fabbriche. Si consuma il pane! ma nello stesso
tempo il grano nuovo cresce nei campi. Si brucia il carbo-
ne, ma, contemporaneamente, se ne scava dell’altro dalle
miniere. Le locomotive si guastano, le macchine diventano
antiquate, ma il lavoro umano è continuamente all’ opera
per fabbricarne delle altre.
In tutti questi casi, nonostante le grandi differenze tra
questi prodotti, si può rilevare che essi hanno una qualità
in comune. Ognuno di essi è prodotto, usato e prodotto di
nuovo, ciò che costituisce una riproduzione costante di beni.
« Qualunque sia la forma del processo di produzione
in una società, esso deve essere un processo continuo
deve passare periodicamente attraverso le stesse fasi.
Una società non può cessare di produrre come non può
smettere di consumare. Ogni processo sociale visto così
nel suo insieme, come un incessante flusso e riflusso, è
nello stesso tempo., un processo di riproduzione ».
(M A R X ? Il Capitale, voi. 1).

3 Riproduzione semplice e allargata.


Noi dobbiamo distinguere tra riproduzione semplice ed
allargata. Se ogni anno viene prodotta in una società la
stessa quantità di una merce, noi abbiamo la riproduzione
semplice. In questo caso tutto ciò che è prodotto nell’ anno
viene consumato. Ma lo sviluppo del capitalismo porta ad
un rapido aumento; della produzione. Ogni anno viene p ro-
dotta una quantità maggiore di ogni genere di beni. Questa
è la riproduzione allargata; essa si effettua su una base più
vasta. Il capitalismo apporta un cambiamento alle vecchie
condizioni stagnanti della società col suo tempestoso svilup-
po. La riproduzione allargata è quindi una caratteristica
del capitalismo.

m
4 — La riproduzione sotto il capitalismo.

La riproduzione avviene in ogni società senza riguardo


al sistema sociale, ma, in differenti sistemi di società, il
modo nel quale avviene la riproduzione è differente. Sotto
il socialismo, per esempio, la riproduzione avviene in modo
totalmente diverso da come avviene sotto il capitalismo,
« Se la forma di produzione è capitalista, tale è la ripro-
duzione » dice Marx (Ibidem).
Durante il processo di riproduzione, non soltanto ven-
gono riprodotti i beni, ma anche i rapporti sociali di pro-
duzione, i rapporti di produzione tra gli uomini. E infatti)
sotto il capitalismo, la riproduzione non consiste soltanto
in nuove quantità di grano, di carbone o di macchine che
vfengono gettate sul mercato per rimpiazzare quelle consu-
mate; ma essa consiste anche nel continuo ristabilimento e
mantenimento della forma capitalista dei rapporti umani.
Ogni anno i lavoratori ricominciano a lavorare negli im -
pianti e nelle fabbriche, ogni anno i proprietari delle im-
prese incassano il plusvalore prodotto dalle classi lavora-
trici. Noi vediamo quindi che non solo le merci sono ripro-
dotte (pane, carne, metallo,, carbone, ecc.), ma che i r«p*
porti preesistenti tra gli uomini sono riprodotti nel processo
di produzione. 11 rapporto tra la classe lavoratrice e la bor-
ghesia viene riprodotto, oltre agli altri rapporti di produ-
zione, come quelli tra vari gruppi di capitalisti, ecc.
Ma. la riproduzione dei rapporti di produzione significa
inoltre la riproduzione di quelle contraddizioni che sono
proprie del sistema .capitalista. Sotto il capitalismo,, la pro-
duzione allargata non porta soltanto ad un aumento della
quantità dei vari generi di merci prodotte annualmente.
Sotto il capitalismo la riproduzione allargata significa pure
un aumento nel numero e nella scala delle fabbriche e de-
gli impianti capitalisti e nello sfruttamento intensivo dei
lavoratori di queste imprese Sotto il capitalismo la ripro-
duzione allargata significa l’estensione dei rapporti capita-
listi basati sullo sfruttamento dei lavoratori salariati, l’ e-
stensione del capitalismo da una terra all’ altra, la conqui-

186
sta di un ramo di produzione dopo l’ altro. La riproduzio-
'ne allargata viene cosi a significare l’ aumento senza fine
delle più acute contraddizioni del sistema capitalista che lo
conducono alla sua fine, alla sua sostituzione con un nuovo
sistema socialista. In questo modo la crescita del capitale
porla con sè la propria distruzione.

5 — Accumulazione capitalista.,

Per produrre più carbone ó più ferro bisogna aprire nuo-


ve miniere e nuovi pozzi. Per produrre più stoffa bisogna
mettere al lavoro più telai. In generale, per l’ aumento della
produzione, è necessario allargare le imprese esistenti t»
crearne delle nuove. Come avviene questo sotto il sistema
capitalistico?
Nei paesi capitalisti i mezzi di produzione sono posse-
duti da un piccolo gruppo ; fabbriche ed impianti, miniere
di carbone e di metalli, — tutti sono la proprietà privata
della classe capitalista. In un capitolo precedente, abbiamo
studiato l’accumulazione primitiva, abbiamo appreso che la
proprietà privata capitalista nasce dal furto, dalla violenza
e dall’ illegalilà. Ma quando la società capitalista dei mezzi
di produzione è sorta, essa è mantenuta ed estesa di anno
in anno.
11 capitale porta plusvalore al suo proprietario. A bbia-
mo già studiato la fonte del plusvalore. Abbiam o già visto
la forma ed il modo di distribuzione del plusvalore tra le
diverse sezioni delle classi dominanti.
Potrebbe sembrare a prima vistai che l’ imprenditore sia
libero di fare quello che vuole del suo profitto : eKin realtà,
il capitalismo non conosce limitazioni,sotto questo rispetto.
Se un’ industria tessile, ha ricavato 900-000 lire di profitto
in un anno, egli può fare ciò che gli piace di questo danaro.
Sé è un ghiottone può spenderlo in cibi, se è un bevitore in
bevande. E, in realtà, vi sono molti capitalisti che spendono
i loro profitti in questo modo, ma questo non è il centro
del problema.
Nonostante l ’assenza di qualunque legge scritta, il eapi-

187
sempre più gigantesche nelle quali è impiegato un numero
sempre più grande di lavoratori. Ecco, per esempio, le cifre
comparate che mostrano il cambiamento nelle dimensioni
medie delle imprese negli Stati Uniti jn un periodi di tren-
tanni :.

1889 18 9 9 1909 1919

L a v o r a to r i....................... 8 ,1 13 8 24,1 38.0


Capitale (in migliaia di lire) 127,3 361.0 1305.3 2927.9
Produz. (in migliaia di lire) 254.6 533 9 1499 8 4121.1

Anche più caratteristica è la rapida crescila delle grandi


imprese nella Russia pre-rivoluzionaria, dovè la distribuzio-
ne dei lavoratori nelle varie imprese secondo le loro dimen*
sioni era la seguente :
1895 1915
Im prese percentuale percentuale
Grandi (con più di 500 operai )1 . 45,2 61,2
Medie (da 50 a 500) operai) . 38,9 30,6
P iccole (da 10 a 50 operai) . 15,9 8,2
Nel 1895 il numero medio dei lavoratori impiegati in
una impresa era 98.5, nel 1915 questo numero era aumenta-
to a 173.4.
Numero dei
Numero delle lavoratori
Imprese Im prese (in m igliaia)
1901 1910 1901 1910
Con più di 50 operai . . 12,740 9.909 244 220
da 51 a 1 0 0 operai . 2.428 2 201 171 159
•da lOl a 500 operai . 2 288 2.213 492 508
da 501 a 1000 operai . 403 433 269 303
oltre 1 0 0 0 operai . 243 324 526 713

Totale . 18.102 15 080 1072 1.903


Pubblicando questa tavola in uno dei suoi articoli sul
.giornale pre-rivoluzionario Pravda, Lenin scriveva :

190
« Questo è il quadro generale nei paesi capitalisti. 11 nu-
mero delle piccole industrie diminuisco : il piccolo bor-
ghese, il piccolo industriale, sono rovinati e spazzati
via, diventano degli impiegati e qualche volta dei pro-
letari, Il numero delle grandi imprese cresce rapidamen-
te e il loro rapporto coll’ insieme dell’industria cresce
ancor più rapidamente. Dal 1901 al 1910 il, numero delle
grandi imprese che impiegavano più di mille operai cia-
scuna era cresciuto quasi della metà : da 243 a 324.
Queste imprese impiegavano circa mezzo milione di la-
voratori nel 1901 (526.000), meno di un terzo del nu-
mero totale, mentre nel 1910 impiegavano più di 700
mila lavoratori, cioè più di un terzo del totale. Le gran-
di fabbriche spazzano le piccole e concentrano la pro-
duzione ad un grado sempre maggiore. Un numero sem-
pre più grande di lavoratori sono raccolti ini un numero
sempre più piccolo di imprese e tutto il profitto del
lavoro di milioni di uomini va a finire nelle tasche di
pochi milionari ».

7 — Tendenza storica dell’accumulazione capitalista.

Il capitalismo nel suo sviluppo tende ad una sempre


maggior socializzazione del lavoro. Legami di ogni genere
tra imprese separate, regioni e paesi interi sono stabiliti in
misura eccezionale. Le sfere individuali dell’ industria, pre-
cedentemente più o meno indipendenti, sono spezzate e sud-
divise in una serie di rami connessi ed interdipendenti.
II capitalismo unifica il lavoro di differenti popoli, legandoli
insieme con fili invisibili. Ma la socializzazione della pro-
duzione non avviene sotto il capitalismo nell’ interesse del-
la società intera, nè nell’ interesse delle classi lavoratrici,
esso avviene soltanto nell’ interesse di un piccolo numero di
capitalisti che tentano di aumentare i loro guadagni. L ’au-
mento della socializzazione del lavoro è Contemporaneo alla,
suddivisione del lavoro tra le imprese e all’ intensificarsi
della lotta e della concorrenza tra i capitalisti. Soltanto la

191
abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione
e il trapasso della proprietà all’insieme della società), soltan-
to l’ espropriazione della borghesia e l ’organizzazione della
produzione socialista, possono abolire queste contraddizioni.
L ’ allargamento delle imprese che procede senza soste
con la concentrazione e l’ accentramento del capitale, pre-
para tutte le condizioni per la socializzazione dei mezzi di
produzione, per la ricostruzione della vita economica su
principii socialisti. Una grande impresa, dove sono impie-
gati migliaia di lavoratori, è qualcosa di completamente di-
verso da una bottega di artigiano. Mentre la società trove-
rebbe difficile di gestire un numero infinito di botteghe ar-
tigiane, è pienamente possibile la socializzazione della prò*
duzione quando è concentrata in pochi impianti e fabbriche.
Marx definisce come segue a tendenza storica dell’ ac-
cumulazione capitalista :

« La proprietà privata! fondata sul lavoro personale,


questa proprietà che salda, per così dire, il lavoratore
isolato ed autonomo alle condizioni esteriori del lavoro!
viene soppiantata dalla proprietà privata capitalista, che
riposa sullo sfruttamento del lavoro altrui, ma formal-
mente libero,, cioè, sul lavoro salariato.
« Non appena questo movimento di trasformazione ha
decomposto da capo a fondo la vecchia società, non ap-
pena i produttori sono stati trasformati in proletari e i
loro mezzi di lavoro in capitale, non appena il regime
di produzione capitalista si sostiene da solo, allora, tan-
io la futura socializzazione del lavoro, quanto la trasfor-
mazione progressiva del suolo e degli altri mezzi di pro-
duzione in strumenti sfruttati socialmente, in mezzi co-
muni di produzione, in una parola l ’eliminazione futu-
ra delle proprietà private! assume una nuova forma.
Colui che deve essere ora espropriato non è più il la-
voratore indipendente, ma il capitalista che sfrutta mol-
ti operai
« Questa espropriazione si compie attraverso il gioco

192
delle leggi immanenti della produzione “tessa, attra-
verso il concentramento dei capitali. Ogni capitalista
ne elimina sempre parecchi. In correlazione a, questa cen-
tralizzazione o a questa espropriazione di molti capita*
listi da parte di pochi, si sviluppano* su scala sempre
più larga, la forma cooperativa del processo lavorativo,
la cosciente applicazione della scienza alla tecnica* la
coltivazione nazionale del suolo, la trasformazione de-
gli strumenti di lavoro in mezzi d ì produzione impiega-
bili soltanto-in comune, l’economia di tutti i mezzi di
produzione, impiegati come mezzi di produzione per il
lavoro sociale* la riunione di tutti i popoli in un mer-
cato mondiale e, quindi, il carattere internazionale del
regime canitalista. Col restringersi del numero dei de-
tentori del capitale che usurpano e monopolizzano tut'
ti i vantaggi di questo processo di trasformazione, au-
mentano la miseria, l’ oppressione, la schiavitù, la degra-
dazione e lo sfruttamento della massa operaia; e, con-
temporaneamente, la resistenza di questa classe, la qua*
le, a causa del meccanismo stesso della produzione ca-
pitalista, diventa sempre più numerosa, sempre meglio
disciplinata, unita* organizzata. Il m onopolio del capi-
tale diventa un ostacolo al sistema di produzione eh©
è cresciuto e divenuto prospero con e per esso. La so-
•cializzazione del lavoro e l’accentramento dei suoi mez-
zi di produzione giungono ad un punto in cui diventano!
incompatibili col loro involucro capitalista. Questo in-
volucro* questa forma, devono spezzarsi. L ’ultima ora del.
la proprietà privata capitalista; è suonata. G li espropriai
tori vengono espropriati ». (MARX, Il Capitale, voi. 1,
cap. 27.mo).
8 ~~ Riproduzione e vendita delle merci.
Abbiam o visto che ogni capitalista, per iniziare il ciclo
di lavoro, acquista i mezzi di produzione (materia prima,<*
combustibile) sul mercato ed assume gli operai (cioè acqui*
sta la forza-lavoro). Ora il capitalista ha completato la sua;

193
produzione annuale. La materia prima e il combustibile so-
no stati consumati, i lavoratori hanno impiegato il loro
tempo di lavoro, ed una grande quantità di merci finite,
per esempio di scarpe, giace nei magazzini dellindustriale.
Che cosa occorre per ricominciare la produzione? Che cosa
occorre per continuare la produzione delle scarpe?
E ’ evidente che l’industriale deve acquistare una nuova
quantità di materie prime, di combustibile e assumere nuo-
vamente i lavoratori; per il prossimo anno. Ma per far que-
sto gli occorre del danaro. Dove troverà il danaro l’ indu-
striale? Egli può prenderlo in prestito, ma questo significa
che alla fine dovrà restituirlo. L ’industriale può trovare
del danaro soltanto dalla vendita (o, come si suol dire, dal-
la realizzazione) dei prodotti finiti Con la vendita dei suoi
predetti, il fabbricante acquista dell’ altra capacità lavora^,
tiva e degli altri mezzi di produzione ed inizia un nuovo
ciclo di produzione. La realizzazione dei prodotti finiti è
quindi una jcondizione necessaria $er il rinnovo de'lla prò'
duzione, per la riproduzione. Noi vediamo quindi che il pro-
cesso di riproduzione per i capitalisti singoli passa attraverso
tre stadi : 1) l’acquisto di mezzi di produzione e di forza-la-
voro; 2) il processo di produzione; 3) la vendita dei prodotti
finiti. E’ facile notar che è durante il secondq stadio, il
processo diretto di produzione, che i lavoratori creano il
plusvalore per il capitalista 11 primo ed il terzo stadio ri-
guardano il processo di circolazione : nel prima stadio il
capitalista trasforma il suo danaro in merce, nell’ ultimo, al
contrario, vende le merci e ne ricava danaro Questo dana-
ro gli occorre, però per comprare le cose necessarie alla
continuazione della produzione, alla riproduzione. In que-
sto modo il capitale percorre il suo ciclo .
E’ risaputo che nella società capitalista non vi è un ca'
pitalista soloj. ma ve ne sono molti che combattono tra loro.
Ogni capitalista tenta di ricavare, per mezzo del suo ca-
pitale, il meglio che può per sè. Le azioni dei singoli capi-
talisti e. di conseguenza i movimenti dei singoli capitali, si

194
urtano e si intrecciano l’un l’ altro. La massa totale dei ca-
pitali individuali, presi nel loro complesso, costituisce l ’ in-
sieme del capitale sociale E’ in questo intrecciarsi dei mo-
vimenti dei capitali separati e indipendenti, che nello stes-
so tempo costituiscono parti di tutto il capitale sociale, che
avviene la riproduzione ne: sistema capitalista. Perchè la
riproduzione avvenga,. è necessario che non soltanto il sin-
golo capitalista, ma tutta la massa dei capitalisti riesca a
realizzare i prodotti delle proprie imprese.

« Il valore scientifico della) teoria di Marx consiste nella


spiegazione del processo di riproduzione e di circolazio-
ne di tutto il capitale sociale». (LÉNIN, Ancora una
volta sul problema della realizzazione).
Con lo spiegare il processo di riproduzione e di circo-
lazione del capitale sociale totale, la teoria marxista-leninista
illumina pure le più profonde contraddizioni che appaiono
nel processo della riproduzione capitalistica. La teoria della
riproduzione rende chiare le condizioni complesse che si
richiedono per la realizzazione dell’ intera massa di merci
prodotte sotto il capitalismo. La teoria della riproduzione
mostra come proprio il processo dello sviluppo capitalista
spezza continuamente quelle condizioni ed apre una breccia
nell’inter0 processo di riproduzione che si conclude coi col-
lassi e le crisi.

9 — Condizioni di realizzazione sotto la riproduzione sem-


plice ed allargata.

Esaminiamo più da vicino le condizioni in cui la realiz-


zazione delle merci si inserisce nella riproduzione capitali-
sta. 11 valore della produzione totale di un paese capitalista,
come quello di una merce singola, è costituito da tre ele-
menti seguenti; 1) capitale costante; 2) capitale variabile;
3) plusvalore. Noi sappiamo inoltre che l’ intera massa delle
varie imprese si può dividere in due categorie: 1) imprese
che producono mezzi di produzione (macchine, materia pri-

195
ma combustibile, ecc.); 2) imprese che producono articoli
di consumo.
« 11 problema della realizzazione consiste nel trovare sul
mercato per ogni prodotto capitalista ,un altro prodotto
che sia equivalente in valore (capitale costante, varia-
bile e plusvalore) e in forma materiale (mezzi di pro-
duzione, articoli di consumazione, articoli di prima ne'
cessità e oggetti di lusso) »., (LENIN, Errori teorici de-
gli economisti marodniki) .
Per semplicità noi possiamo affermare che tutta l’ eco-
nomia di un paese è retta su principii capitalisti. In realtà
questo non è vero per ogni parte del mondo; anche nei piCj
sviluppati paesi capitalisti sopravvive una certa quantità di
produzione artigiana e contadina che non ha natura capi-
talista. Se noi però consideriamo un’ economia capitalistica
pura noi avremo la situazione seguente in regime di ripro-
duzione semplice : il totale delle merci prodotte dal primo
gruppo di imprese deve essere eguale a quello usato dal
secondo gruppo durante l’ anno. Se, per esempio; durante
l’ anno sono stati consumati 20 milioni di tonnellate di car-
bone, il prodotto annuale delle miniere deve essere eguale
a 20 milioni di tonnellate. Se durante l’ anno sono stati ri-
sati 100 mila telai, la produzione di nuovi telai deve cor-
rispondere a questa cifra. Quanto al secondo gruppo di im-
prese.. il totale degli articoli di consumo di loro produzione
deve essere eguale al reddito totale dei lavoratori e dei ca-
pitalisti di entrambi i gruppi di imprese. E, in realtà, dato
cbe secondo la nostra ipotesi non vi sono altre classi in que-
sta società, tutti gli articoli di consumazione prodotti debbo-
no essere usati dai lavoratori e dai capitalisti. Ma i lavora-
tori ed i capitalisti possono acquistare soltanto quanto può’
permetter loro il reddito totale • i lavoratori sino al limite
dei loro salari; i capitalisti sino al limite del plusvalore.
Come sono realizzate (cioè trasformate in danaro) le
parti componenti del prodotto annuale? Il capitale costante
del primo gruppo (imprese costruttive di mezzi di produr

1%
zione) potrà essere realizzato da quando comincia ad esi-
stere sotto forma di mezzi di produzione; il capitale varia-
bile ed il plusvalore saranno realizzati da quando esiste*
ranno sotto forma di articoli d’uso. Come avverranno gli
scambi tra i due gruppi? Anche a questo non difficile ri-
spondere li capitale variabile ed il plusvalore del primo
gruppo debbono essere scambiati contro articoli di consu-
mo, mentre il capitale costante del secondo gruppo deve
essere scambiato contro mezzi di produzione. Tutte le parti
debbono evidentemente esser eguali affinchè lo scambio av-
venga senza difficoltà. L ’equazione seguente è quindi il pre.
supposto della riproduzione semplice ; il capitale variabile
ed il plusvalore del primo gruppo debbono essere eguali al
capitale costante del secondo gruppo
Marx indica il capitale costante con la lettera c, il ca-
pitale variabile con la lettera1v; ed il plusvalore con la let-
tera s. 1 gruppi si indicano con numeri romani. La; formula
per la riproduzione semplice è quindi la seguente :
1 (v + s) = 11 r
Vediamo ora quali sono le condizioni per la realizza-
zione nella riproduzione allargata. Noi sappiamo già che la
riproduzione semplice è soltanto un’ ipotesi e che lo svilup-
po attuale del sistema capitalista procede nel quadro della
riproduzione allargata. Come cambiano qui le condizioni
di realizzazione? La riproduzione allargata implica l’ accu-
mulazione. Per l’ allargamento di un’ impresa bisogna o am-
plificarla o costruirne una nuova. In ogni caso occorre ag-
giungere dei nuovi mezzi di produzione. Ma questi mezzi
di produzione debbono essere prodotti^ cosicché il primo
gruppo di imprese che fabbrica i mezzi di produzione deve
averne una certa eccedenza per le necessità dell’ espansione.
Questo significa che la somma del capitale variabile e del
plusvalore del primo gruppo deve essere maggiore del ca-
pitale costante del secondo gruppo. Soltanto in questo caso
vi potrà essere un eccesso di mezzi di produzione necessari
alla riproduzione allargata Questo significa che 1 (u + s)

197
deve esser maggiore di II c. Noi sappiamo che sotto il ca-
pitalismo il capitale costante cresce più rapidamente del
capitale variabile. La composizione organica del capitale
cresce, con l’ aumentare del numero delle macchine per o-
gni operaio. Noi sappiamo pure che, con la riproduzione ah
largata, il capitale variabile (più il plusvalore) del primo
gruppo deve essere maggiore del capitale costante del se-
condo gruppo. E ’ quindi evidente che l’aumento del capi-
tale costante del primo gruppo deve superare grandemente
la crescita del capitale costante del secondo gruppo. Que-
sto significa che nella riproduzione allargata la parte di pro-
duzione sociale impiegata nel produrre mezzi di produzione
deve crescere più rapidamente della parte impiegata nel
produrre articoli di consumazione.
Vediamo quali sono queste condizioni più complesse di
realizzazione. Con la riproduzione semplice tutto il plusva-
lore di ogni gruppo si divide in due parti : 1) la parte con-
sumata e 2) la parte accumulata. La parte accumulata si
aggiunge al capitale. Poiché il capitale di ogni gruppo è
costituito da una parte costante e da una parte variabile.
Noi abbiamo notato l’intero plusvalore con la lettera a; e la
parte accumulata con la lettera» b. La parte di plusvalore
accumulato che è aggiunto al capitale costante si indicherà
con he, mentre la parte aggiunta al capitale variabile con bv.
II processo di realizzazione nella produzione allargata pren-
derà quindi la forma seguente. Come con la riproduzione
semplice, il secondo gruppo scambierà il suo capitale co-
stante c col primo gruppo; alla fine dell’ anno questo esiste
sotto forma di beni di consumo, mentre allo scopo della
produzione deve esistere sotto forma di mezzi di produzione,
cioè di macchine, materia prima, ecc.
Il primo gruppo deve quindi scambiare col secondo
il suo capitale variabile che deve essere consumato dai la-
voratori, ma che esiste sotto forma di mezzi di produzione.
La parte di plusvalore del secondo gruppo che deve essere
consumata esiste come bene di consumo; quindi essa non
deve essere scambiata col primo gruppo. La porzione del

198
plusvalore del primo gruppo diretto alla consumazione e
indicato da a esiste solo sotto forma di mezzi di produzione;
quindi deve essere scambiato con oggetti di consumo pro-
dotti dal secondo gruppo. La quota accumulata al plusvalo-
re del prim o gruppo si trasforma in bc —< mezzi di produ-
zione —■ e bv — beni di consumo per i lavoratori. Eviden*
temente bv deve essere scambiato col secondo gruppo che
ba tutti i beni di consumo. Ma il secondo gruppo,, a sua
volta, deve scambiare la parte bc, che deve essere aggiun-
ta al capitale costante, co" primo gruppo, mentre la parte
bv del secondo gruppo non deve essere scambiata; questa
deve essere composta da beni di consumo per gli operai ed
esistere come tale nel secondo gruppo nella riproduzione e*
stensiva. Il primo gruppo deve scambiare a ^ v e bv : il se-
condo gruppo deve scambiare c e bc. E’ evidente che lo
scambio può avvenire soltanto se queste quantità sono eguali;,
l’un l’ altraj quando abbiamo
1 (v + a + bv) = li (c+ b c)
Questa è la condizióne per la realizzazione delle merci
sotto la produzione allargata.

IO Contraddizioni della riproduzione capitalista.

La teoria marxista rende chiare le condizioni occorrenti


per la realizzazione delle merci nella riproduzione sempli-
ce ed allargata, ma non può affermare che queste condizio-
ni esistono. AI contrario, tutto il movimento del sistema
capitalistico procede per mezzo di continue variazioni e de-
trazioni^ per mezzo di u rti costanti tra quelle reciproche
relazioni che dovrebbero esistere tra le vaie branche della
industria.
La riproduzione capitalista mostra tutte le contraddi-
zioni inerenti al sistema capitalistico. Nel processo di ri-
produzione, la contraddizione fondamentale del capitalismo
si rivela : la contraddizione tra il carattere sociale della pro-
duzione e il carattere privato-capitalista dell’appropriazio-
ne. Le imprese capitalistiche impiegano molte migliaia di

199
lavoratori II lavoro di ogni impresa è vitalmente necessario
all’ insieme della società. Queste imprese impiegano tutte le
forze dello sviluppo sociale;, tutte le forze della scienza tec-
nica, le forze del lavoro sociale collettivo di molte centi,
naia di migliaia di uomini. Tutte queste forze appartengo*
no ad un piccolo gruppo di capitalisti che le impiegano per
il proprio interesse^ traendone i maggiori profitti.
Lo sviluppo del capitalismo conduce ad un aumento d eb
le contraddizioni tra la borghesia ed il proletariato. La ri-
produzione e l’accumulazione del capitale conducono, abbia-
mo già visto,, da un lato, alla smisurata ricchezza apparte-
nente ad un piccolo gruppo di capitalisti! e dall’ altro lato,
ad un aumento dello sfruttamento dell’ oppressione, della
miseria e, nello stesso tempo^ della indignazione e della
volontà di combattere delle grandi masse del proletariato.
La contraddizione fondamentale del capitalismo — la
contraddizione tra il carattere sociale della produzione e il
carattere privato della appropriazione — tradisce chiara-
mente se stessa nella anarchia della produzione, cioè nella
mancanza di piani. L ’ anarchia della produzione sociale prò*
pria al capitalismo è caratterizzata da Engels con queste
parole :
« ... Ogni società basata sulla produzione mercantile
ha la particolarità che in essa il produttore ha perso il
controllo dei suoi propri rapporti sociali. Ognuno pro-
duce per sè con i suoi propri mezzi di produzione e per
soddisfare i suoi bisogni particolari, per mezzo dello
scambio .Nessuno sa quale quantità del suo articolo sa-
rà necessaria sul mercato e quale sarà l’ ampiezza d elli
domanda; nessuno sa se il suo prodotto corrisponderà ad
un bisogno effettivo, se coprirà il suo costo e soprattutto
se potrà venderlo. L ’ anarchia regna nella produzione so-
ciale ^ ma la produzione mercantile, come tutte le altre
forme di produzione, ha le sue proprie leggi inerenti ed
inseparabili che si realizzano a dispetto dell'anarchia,
attraverso l’anarchia e nell’ anarchia. Queste leggi si mah
nifestano neH’unica forma di rapporti sociali che couti-

200
nuano ad esistere, nello scambio ^ e pesano sui produt-
tori individuali come leggi costruttive della concorrenza.
Da, principio, perciò., esse sono sconosciute anche ai pro-
duttori medesimi che le scoprono solo gradatamente,
attraverso una lunga esperienza. Esse si affermano,-,
quindi indipendentemente dai produttori e contro di
essi, come leggi naturali della loro forma di produ*
zione? operanti ciecamente 11 prodotto domina i pro-
duttori ». (ENGELS, Anti-Dtihrìng, sez. HI, cap. 11).
Abbiam o visto come sono complesse le condizioni per
la realizzazione capitalistica^ ma chi le può vedere stretta-
mente osservate? E ’ evidente che con un sistema privo di
piano, anarchico, come è attualmente la produzione capita-
listica, queste condizioni di realizzazione sono attuate soltan-
to dalle jorze cieche del mercato. I mutui rapporti tra le
varie branche dell’ industria che sono necessari per la rea-
lizzazione delle merci, si aprono una via attraverso varia-
zioni e deviazioni senza fine ed urti continui.
La tendenza ad un’illimitata espansione dell’industria
è inerente al capitalismo. Nella sua caccia al profitto^ ogni
capitalista cerca di gettare sul mercato la quantità! maggiore
possibile di merci. Egli tenta di allargare la sua impresa, di
aumentare il volume della sua produzione. Le merci che
sono prodotte devono, però, esser vendute a qualcuno. D’ al-
tro canto è nella natura del capitalismo di tendere a ridurm
re il consumo delle larghe masse del popolo al livello più mi-
serabile. L ’ espansione sul mercato capitalista è dovuta sino
a un certo punto alla crescita della domanda dei mezzi
di produzione che sono impiegati neH'allargamento delle
imprese. In seguito, però., le imprese, usando di questi mez-
zi di produzione, producono quantità sempre crescenti di
oggetti di consumo, mentre il mercato è limitato a causa
dell impoverimento delle classi lavoratrici. La contrdddizio/>
ne tra produzione e consumo, inerente al capitalismo^ si ri-
vela quindi nel processo di riproduzione, come una delle
forme in cui si esprime la contraddizione fondamentale del
capitalismo : la contraddizione tra la natura sociale della

201
pi eduzione e la natura privata deH’ appropriazione.
Analizzando, perdi queste contraddizioni del capitali-
smo, sarebbe erroneo trarne la conclusione che il capitali-
smo sta vivendo il periodo del suo declino, della sua) distru-
zione. Tuttavia, durante un certo periodo, il sistema capi_
talistico ha sviluppato le forze produttive della società, ne'
cessarle a preparare il terreno al sistema superiore socia-
lista. Lo sviluppo del capitalismo non può continuare che
attraverso una serie di contraddizioni il cui rilievo ci illu-
mina sulla natura transeunte del capitalismo, e sulle con-
dizioni e cause che lo conducono al passaggio verso una
forma più alta.
La teoria marxista-leninista della riproduzione abbatte
tutte le sottili argomentazioni dei difensori, del capitalismo.
Lssa mostra la completa insostenibilità delle invenzioni dei
mercenari del capitalismo secondo cui la riproduzione ca-
pitalista dovrebbe avvenire automaticamente, senza urti nè
crisi. Essa mostra! inoltre, Tinsostenibilità della teoria che
rifiuta di ammettere la possibilità della riproduzione capi'
talistica a causa delle sue intime contraddizioni. I sosteni-
tori di questa teoria dichiararono il capitalismo « impossi-
' bile ), quando esso muoveva i primi passi^ mentre ora, se-
guendo questa erronea teoria, giungono alla conclusione che
il capitalismo, a causa delle sue contraddizioni interne! pe-
rirà da solo, automaticamente^ senza una lotta rivoluzionaria
da parte del proletariato.
Marx scoprì la legge della produzione capitalista. Marx
dimostrò come avviene la riproduzione sotto il capitalismo.
Alcuni critici di Marx, tra i quali Rosa Luxemburg, tenta-
rono di dimostrare che, sotto il capitalismo^ la riproduzione
continuerà ad essere possibile soltanto fino al momento in
cui il capitalismo avrà distrutto l’ultima sopravvivenza dei
sistemi precedenti : la piccola produzione mercantile. 1 se-
guaci di questa erronea teoria di Rosa Luxemburg ne, trag-
gono spesso le più dannose conseguenze : essi ragionano in
questo modo : dato che il capitalismo è condannato a| mori-
re, a causa della sua incapacità di procedere alla riprodu-

202
zione quando avrà distrutto tutti i resti della produzione
mercantile semplice, noi non possiamo porci alla lotta per
il rovesciamento del potere capitalistico. Essi quindi si sie-
dono tranquillamente ad attendere che il capitalismo crolli
da solo. E ’ evidente che una tale posizione è agli antipodi
dal marxismo-leninismo rivoluzionario. 11 capitalismo non
perirà da solo, automaticamente. Soltanto la lotta rivoluzio-
naria del proletariato che richiede immensi sacrifici^ por-
terà alla distruzione del capitalismo, della schiavitù e del-
l'oppressione.

I I — Crisi capitaliste di superproduzione.

Il passaggio seguente è preso da un libro che descrive


la vita dei minatori americani :
« Il figlio di un minatore domandava a sua madre : —
Perchè non accendi il fuoco? Fa freddo !
« - - Perchè tuo padre è disoccupato e non abbiamo da-
naro per acquistare il carbone,
« — Ma perchè è disoccupato, mamma?
« — Perchè c ’è troppo carbone ».
(A ROCHESTER, Lavoro e carbone, pag, 11, New
York,. 1931).
Questa conversazione ritrae chiaramente la contraddi-
zione che ogni crisi capitalista rende ancor più evidente.
La famigila di un minatore di carbone ha freddo perchè
è stato estratto troppo carbone dalle viscere della terra.
Il disoccupato e la sua famiglia sono senza ricovero perchè
sono state costruite troppe case che rimangono vuote.
Ma sono stati realmente prodotti troppo pane, abiti,
stoffe, carbone, case, ecc.? E’ evidente che durante le crisi
vi sono delle immense masse di popolo che provano un di-
sperato bisogno dei generi più elementari. Ma essi non han-
no danaro per acquistarli, e, sotto il capitalismo, una do-
manda di merce ha significato soltanto quando viene effet-
tuala a contanti (domanda effettiva).. La domanda di pa-

203
ne, carbone;, ecc. durante la crisi è immensa, ma la doman-
da, effettiva è piccola a causa dell’impoverimento delle mas-
se del popolo, della disperata povertà dei disoccupati. Que-
sta è la manifesta contraddizione che raggiunge gigantesche
proporzioni in tempo di crisi
Le crisi capitaliste sono crisi di superproduzione. Nelle
condizioni del sistema sfruttatore capitalista che limita il
potere di acquisto delle grandi masse, sono prodotte troppe
merci che non possono trovare il loro mercato. Qual’è la
causa profonda delle crisi sotto il capitalismo?

12 —■Perchè le crisi sono inevitabili sotto il capitalismo?

Nella produzione mercantile i singoli produttori sono


collegati; ma si tratta di una connessione spontanea. Le for-
ze cieche del mercato dominano ogni singolo produttore.
Con questo sistema è sempre possibile una scissione tra ciò
. che è prodotto e ciò chef è necessario, mentre la produzione
delle merci in se stessa offre sempre la possibilità all’ av-
vento delle crisi, a causa della completa disorganizzazione
de! processo di riproduzione.
Nella produzione mercantile semplice, però, le crisi*
sebbene possibili, non sono inevitabili. L ’ inevitabilità delle
crisi sorge solo col capitalismo. Soltanto le condizioni ine-
renti al capitalismo rendono inevitabile il ripetersi di crisi
periodiche di superproduzione.
Come abbiamo vistoi il capitalismo conduce ad un al-
largamento del carattere sociale del lavoro, facendo conflui-
re il diverso lavoro dei singoli produttori in un unico fiume.
Contemporaneamente i prodotti del lavoro concorrente di
molte migliaia e di/ milioni di uomini si trovano a completa
disposizione di un piccolo gruppo di capitalisti che stabili*
scono il destino dell’industria.
« Tutta la produzione confluisce così in un unico pro-
cesso sociale di produzione, mentre ogni impresa è di-
retta da un singolo capitalista, dipende dalle sue deci-
sioni arbitrarie e trasforma il prodotto sociale in pro-

204
prietà privata. Non è quindi evidente che questa forma
di produzione cade in una contraddizione inconciliabile
con la forma di appropriazione? ». (LENINi Che cosa
sono gli ” Amici del P opolo” e come combattono contro
i social-democratici).

E ’ questa contraddizione fondamentale del capitalismo,


questa contraddizione tra il carattere sociale della produ*
zione ed il carattere privato dell’ appropriazione, che rende
le crisi inevitabili ed è ancora questa contraddizione che 91
presenta più acuta e più evidente durante le crisi.
Si giunge cosi inevitabilmente al momento in cui le
masse di merci prodotte non trovano più mercato; ma que-
sto avviene, non perchè non vi sia bisogno di vesti o di cibi
(al conlrariOi sotto il capitalismo il bisogno di questi ge-
neri di prima necessità è immenso), ma perchè le masse dei
lavoratori non hanno i mezzi per acquistarli. Il mercato è
fermo, gli impianti e le fabbriche non possono smerciare i
loro prodotti, la sovrapproduzione raggiunge un ramo del-
l’industria dopo l ’altro. I magazzini sono pieni di prodotti
finiti,, le fabbriche si arrestano, molte imprese chiudono i
battenti e i lavoratori sono gettati in istrada. La crescita
della disoccupazione restringe ancor più il consumo dei be-
ni da parte della classe operaia; la domanda di merci si re-
stringe progressivamente Immense masse di lavoratori han*
no fame, mentre i magazzini sono pieni : questo è il quadro
delle crisi capitalistiche.
Lenin, descrivendo la crisi disastrosa del 1901, scrisse
queste parole :

« La produzione capitalista non può svilupparsi che a


salti : due passi avanti e uno (quache volta due) indietro.
Come abbiamo già osservato, la produzione capitalisti-
ca è una produzione per la vendita, per il mercato. La
produzione è condotta da singoli capitalisti, ciascuno dei
quali produce per proprio conto, e nessuno dei quali
può prevedere con certezza quali generi di merci ed in
quali quantità verranno richiesti sul mercato. La pro-

205
duzione procede alla ciecai ogni produttore avendo sol-
tanto lo scopo di superare gli altri. E’ quindi naturale
d ie la quantità di beni prodotti non corrisponda alla do-
manda del mercato. La probabilità che questa condi-
zione si realizzi diviene più grande quando si apre imr
provvisamente al mercato un vasto territorio ancora ine-
splorato ».
La borghesia, seguendo il suo guadagno personale, svi-
luppa la produzione delle merci più diverse con fretta fre-
netica. Per il capitalista qualunque merce è buona purché
gli dia un profitto maggiore Ogni imprenditore tenta di al-
largare la produzione aspettandosene maggiori profitti. E’
evidente che in questa corsa ai profitti, in questa lotta di
tutti contro tutti, le condizioni richieste per conservare l’ e-
quilibrio tra i diversi rami della produzione non possono
essere osservate; come scriveva Lenin :
« Tracolli giganteschi sono diventati possibili ed inevi-
tabili soltanto perchè le potenti forze produttive sociali
sono state subordinate a una banda di ricchi il cui unico
scopo è di ammassare profitti ».

Sotto il capitalismo la produzione cresce spontaneamen-


te. L ’industria procede senza piani, anarchicamente. La cor-
sa al profitto provoca una tendenza all’ illimitata espansione
della produzione che trova però un’insormontabile barriera
nei rapporti capitalistici, nel fatto che il potere d’acquisto
delle grandi masse è limitato dallo sfruttamento de| capitale.

« Perchè un’ impresa possa realizzare del profitto —


scrive Lenin — le merci prodotte debbono essere vendu-
te, si deve trovare un acquirente. Dato che imprese gi-
gantesche producono immense quantità di merci, l’ ac-
quirente di quest? beni deve essere la grande massa del-
la popolazione. Ma i nove decimi della popolazione di
tutti i paesi capitalisti sono poveri; sono costituiti da
lavoratori che ricevono un salario miserabile e da con-
tadini che, in complesso, vivono in condizioni anche

206
peggiori degli operai. Ora, quando nel periodo di pro-
sperità;. le grandi imprese industriali cercano di produr-
re il più possibile, esse gettano sul mercato una grande
quantità di quelle merci che la maggioranza del popolo,
essendo povera, non può acquistare del tutto II numero
di macchine, telai, magazzini, ferrovie ecc. continua a
crescere. Ogni tanto, però, questo processo di produ-
zione viene interrotto perchè la massa del popolo per
cui, in ultima analisi; sono fabbricati tutti questi stru-
menti di produzione è ridotta in uno stato di povertà
che raggiunge la mendicità ».

Questa profonda contraddizione tra la crescita colossa-


le delle possibilità di produzione ed il ridotto potere d’ ac-
quisto delle masse lavoratrici è propria del capitalismo. Le
forze produttive tendono ad espandersi senza limiti. Per ot-
tenere una maggior quantità di profitti, i capitalisti al-
largano la produzione, migliorano i processi tecnici; sfrut-
tano più intensamente gli operai. Lo sviluppo del credito
rende, possibile ad ogni singolo capitalista di espandere la
produzione oltre il limite del suo capitale personale. La
tendenza costante, propria del capitalismo, verso una ridu-
zione del tasso di profitto spinge ogni imprenditore ad al-
largarsi, ma questa tendenza ad un’ illimitata espansione del-
Vindustria viene inevitabilmente in conflitto con il limitato
potere di acquisto delle grandi masse dei lavoratori. L ’ au-
mento dello sfruttamento non porta soltanto all’ aumento
della produzione, ma anche ad una minore possibilità di con-
sumo delle masse, ad una riduzione della probabilità di
vendila delle merci. L ’ inevitabilit'à delle crisi di superpro-
duzione nel sistema capitalistico sta nel basso livello del po-
tere d ’acquisto delle masse degli operai e dei contadini.

13 — Periodicità delle crisi■ ù

Le crisi accompagnano il capitalismo sin dai suoi primi,


passi. Sin dalla nascita dell’ industria capitalistica, esse si
sono rovesciate sull'umanità ad intervalli periodici, Esse sono

207
nate col sistema capitalistico e nel periodo di un secolo
hanno scosso il mondo ogni otto o dieci anni.
La prima crisi generale scoppiò nel 1825. V i furono poi
delle crisi nel, 1836, 1847, 1857, 1873 (in Europa), 18%, i900,
1907, 1921, 1929, 1935. A partire dal 1825 le crisi non inte*
cessarono più soltanto un paese, ma tutte le nazioni capita-
listiche.
Come dimostrano queste date, le crisi scoppiano ad in-
tervalli definiti durante tutto lo sviluppo del capitalismo^ Le
crisi capitaliste si distinguono per la loro periodicità. Tra
una crisi e l’ altra l’ industria capitalistica passa attraverso
un certo « ciclo ». Nel periodo precedente alla guerra im-
perialistica del 1914-18 le crisi lasciavano generalmente il
posto alla depressione a cui seguiva una lenta « ripresa »
che, a sua volta, sboccava in un periodo di « prosperità »
in cui l’ espansione e i profitti raggiungevano il loro punto
culminante. Seguiva quindi un’ altra crisi e il ciclo ricomin-
ciava.
Engels descrive in questo modo il processo di sviluppo
dell’economia capitalistica da una crisi all’ altra :

« ... a partire dal 1825, anno in cui scoppiò la prima


crisi generale, l’intero mondo commerciale ed industria'
le, la produzione e lo scambio di tutti i popoli civili e
dei popoli più o meno barbari a loro sottomessi, sono
stati sconvolti almeno una volta ogni dieci anni. 1 com -
merci arrivano ad un punto morto, i mercati sono in-
gombri, i prodotti vi rimangono giacenti in grandi mas-
se, invendibili, pronti,, il danaro scompare, il credito
svanisce, le fabbriche rimangono oziose, le masse la*
voralrici, per aver prodotto troppo cibo, ora. ne hanno
troppo poco, i fallimenti seguono i fallimenti e le ven-
dite forzose alle vendite forzose. La stagnazione per’
dura per anni : tanto le forze produttive che i prodotti
sono sperperati e distrutti in blocco fino a che le mas-
se accumulate di merci raggiungono un deprezzamento
più o meno considerevole, fino a che la produzione e lo
scambio riprendono gradualmente. A poco a poco l’ an-

208
(lamento si accelera; la ripresa comincia al trotto, poi
'3*'' il trotto industriale si trasforma in galoppo, e quindi
precipita nella pazza corsa di una perfetta steeplechase
industriale, commerciale, creditizia, speculativa; per ri-
cadere poi finalmente! dopo i salti più disperati, nel
precipizio della crisi commerciale Quindi ricomincia
daccapo...
« In queste crisi, le contraddizioni tra la produzione so-
ciale e l ’ appropriazione capitalista giunge ad un’ esplo-
zione violenta. La circolazione delle merci è momenta-
neamente annullata; il mezzo di circolazione, il danaro,
diventa un ostacolo alla circolazione; tutte le leggi deb
la produzione e della circolazione mercantile vengono
sovvertite. La collisione economica ha raggiunto il suoi
punto culminante : il sistema di produzione si ribellò al
sistema di scambio... ». (ENGELS, Anti^JDiihring, sez.
Ili, cap. 2)
Le cause del sopravvenire regolare delle crisi si trovano,
come abbiamo già visto, nella contraddizione fondamentale
del capitalismo : quella tra il carattere sociale del lavoro
e il carattere privato dell’ appropriazione. D opo che la cri-i
si è sopravvenuta ed ha devastato la vita economica del pae-
se! è necessario un certo stimolo per uscire dalla depres-
sione. Un tale stimolo per la resurrezione delle industrie
fondamentali che fabbricano mezzi di produzione è la riat-
trezzatura delle imprese. Dopo la crisi gli impianti e le fab*
briche hanno bisogno di attrezzature nuove e più moderne.
Le ordinazioni di macchine creano un’ondata di domande
le cui vibrazioni raggiungono le industrie più lontane. Si
può calcolare che Vattrezzatura di una fabbrica serve per
circa dieci anni. E’ quindi necessario rinnovare il capitale
fisso di una fabbrica approssimativamente ogni dieci anni.
Ogni dieci anni quindi l’industria riceve una spinta nata
dalla necessità di rinnovare l’attrezzatura delle imprese.
Il quadro è cambiato nel periodo del dopo-guerra. Il
capitalismo va ora verso il suo declino, esso si decompone
già mentre vive. Una crisi scuote le sue fondamenta, ora,

209
molto più violentemente di prima. 11 precedente sviluppo
ciclico dell’ industria è frantumato.
In alcuni paesi l ’industria non è più risorta^ in altri si
è avuto un breve risollevamento. Dappertutto il declino
nella presente crisi fu eccessivamente grande.

14 — // significato delle crisi.

Le crisi hanno un grande significato nell’ intero sviluppo


del capitalismo In tempi di crisi l’incapacità del capitali-
smo a lottare contro le forze che egli stesso crea è manife-
sta. L ’ anarchia e la confusione della produzione e della ri'
produzione capitalista si rivelano con particolare chiarezza.
La crisi rivela ancor più la natura brigantesca del capitali-
smo, distruttore delle ricchezze, mentre anche i più elemen-
tari bisogni delle masse del popolo restano insoddisfatte.
Come scrive Lenin :
e Le crisi mostrano che la società moderna potrebbe
produrre infinitamente più merci di quanto produce,
merci che potrebbero essere impiegate a migliorare le
condizioni di vita dei lavoratori, se la terra, le fabbri-
che, le macchine, ecc. non fossero accaparrate da un
pugno di proprietari privati che traggono milioni di
profitti dalla povertà del p o p o lo ».
Le crisi acutizzano le contraddizioni di classe; aggra-
vando le condizioni degli operai ed aumentando la disoccu-
pazione ad un livello altissimo, costringono molti lavoratori
che non desideravano che di vivere in pace col capitalismo,
rimanendo neutrali, a scendere in lotta contro di esso; met.
tono, a nudo tritte le contraddizioni del capitalismo e prova-
no rinevitabilità della sua distruzione.
II ruolo delle crisi è caratterizzato da Engels con queste
parole :

« Il fatto che l’ organizzazione sociale della produzione si


è sviluppata entro la fabbrica sino a diventare incompa-
tibile con l’anarchia della produzione che esiste nella
società accanto e sopra ad essa — questo fatto è reso
palpabile ai capitalisti stessi dalla violenta concentra-
zione del capitale che si compie durante le crisi median-
te la rovina di molti grandi e, più ancora, di molti pic-
coli capitalisti. L ’ intero meccanismo del sistema capita-
listico di produzione si spezza sotto la pressione delle
forze produttive che ha creato esso stesso,, per l’ inca-
pacità a trasformare ancora in capitale l’intera massa dei
mezzi di produzione; questi giacciono oziosi e* proprio
per questa ragione, l’ esercito di, riserva industriale deve
pure restare ozioso II mezzi di produzione, i mezzi di
sussistenza^ i lavoratori validi, tutti gli elementi della
produzione e della ricchezza in generale sono là in ec-
cesso. Ma l’eccesso « diventa la fonte della miseria' es
della carestia », come scrive Fourier, perchè è proprio
l’ eccesso che impedisce la trasformazione dei mezzi di
produzione e di sussistenza in capitale. Poiché nella so-
cietà capitalista i mezzi di produzione non possono fun-
zionare se prima non sono stati trasformati in capitale,
in mezzo di sfruttamento dalia forza-lavoro umana, la
necessità che i mezzi di produzione e di sussistenza as-
sumano forma di capitale sta come uno spettro tra que-
sti ed i lavoratori. Essa sola impedisce che ld forze ma-
teriali ed umane della produzione procedano insieme,
essa sola impedisce ai mezzi di produzione di funzionare
e, ai lavoratori di lavorare e di vivere. Cosi, da un latot
vi è il sistema di produzione capitalista incapace a con-'
trollare più a lungo le forze della produzione, dall’ altro.
Iato vi sono queste forze produttive stesse che urgono
con sempre maggiore insistenza per mettere fine alle,
contraddizioni! per liberarsi del loro carattere di capi-
tale per arrivare al riconoscimento del loro carattere di
forze produttive sociali ». (ENGELS, Anti -Duhring, sez.
Ili, cap. II)

Nel Manifesto dei Comunisti si può, poi, leggere la se-


guente chiarificazione del ruolo delle crisi nella produzione
capitalistica :

211
(( Le condizioni borghesi di produzione e di traffico! le
condizioni borghesi di proprietà, in una parola la mo-
derna società borghese, che ha prodotto come per in-
canto cosi potenti mezzi di produzione e di traffico, ras-
somiglia allo stregone che non può più. dominare le po-
tenze sotterranee da lui evocate. Da qualche decina di
anni la storia dell’ industria e del commercio non è che
la storia della ribellione delle moderne forzef produttive
contro i moderni rapporti di produzione, contro i rap-
porti di proprietà, che sono le condizioni di esistenza
della borghesia e del suo dominio.
« Basti ricordare le crisi commerciali, che, nei loro ri-
torni periodici, sempre più minacciosamente mettono in
forse l’esistenza di tutta la società borghese. Nelle crisi
commerciali viene regolarmente distrutta non solo una
gran parte dei prodotti già ottenuti, ma anche delle
forze produttive, che erano già state create. Nelle crisi
scoppia una epidemia sociale! che in ogni altra epoca
sarebbe apparsa un controsenso : l’ epidemia della su-
perproduzione. La società si trova improvvisamente ri-
cacciata in uno stato di momentanea barbarie; una ca-
restia, tuia guerra generale di sterminio, sembrano a-
verle tolti tutti i mezzi di sussistenza; l’ industria; il com-
mercio sembrano annientati; e perchè? Perchè la socie*
tà possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza,
troppa industriai troppo commercio. Le forze produt*
live di cui essa dispone, non giovano più a favorire lo
sviluppo dei rapporti della proprietà borghese; al con*
trario, esse sono divenute troppo potenti per tali rap-
porti; sicché ne vengono inceppate; e, non appena su-
perano questo impedimento, scompigliano tutta quanta
la società borghese, minacciano l’ esistenza della pro-
prietà borghese. Troppo anguste sono ormài diventate
le condizioni della borghesia per contenere le ricchez-
ze da essa prodotte.
« E con quale mezzo riesce la borghesia a superare le
crisi ? Per un verso distruggendo forzatamente una gran*
de quantità di forze produttive! per un altro, conqui-
stando nuovi mercati e sfruttando più intensamente mer-
cati esistenti. Con quale mezzo, dunque? Col preparare
crisi più estese e più violente e col diminuire i mezzi
per ovviare alle crisi ».. (MARX, Il manifesto dei Co-
munisti, pag. 25-26, Ed. « l'Unità », Roma, 1945).

QUESTIONARIO

1 — Che cosa è la riproduzione?


2 — Quali son > le condizioni per la riproduzione semplice?
3 — Quali sono le condizioni per la riproduzione intensiva?
4 — Come si spiega la concentrazione e, Vaccentramento del
capitale?
6 — Quali sono le cause delle crisi capitalistiche?
7 —> Che importanza hanno le crisi per la classe lavoratrice?
8 —1 Come si spiega la ripetizione periodica delle crisi?

213
CAPITOLO IX

L'IMPERIALISMO,
ETÀ DELLA RIVOLUZIONE SOCIALISTA *
DEL PROLETARIATO

I — Dal capitalismo industriale all’ imperialismo.

Durante il diciannovesimo secolo, il capitalismo si svi*


Iuppò e si estese da paese a paesi sino ad abbracciare il
mondo intero. Assieme con la crescita del capitalismo, le
sue contraddizioni interne divennero sempre più pronuncia-
te e più grandi. Durante questo periodo il capitale indu-
striale era alla testa dello sviluppo capitalistico e questo pe-
riodo si chiama, infatti, l’ era del capitale o del capitalismo
industriale.
La crescita e Io sviluppo delle contraddizioni fondamen-
tali del capitalismo industriale portarono ad un nuovo sta-
dio dello sviluppo del capitalismo ; l’imperialismo. L ’ impe-
rialismo è un nuovo e più alto stadio dello sviluppo del ca-
pitalismo, apparso al principio del ventesimo secolo. Nella
epoca dell’ imperialismo, tutte le contraddizioni fondamen-i
tali del capitalismo sono acutizzata al massimo. L ’ imperiali”'
smo è l’ultimo stadio dello sviluppo capitalista, esso è ca-
pitalismo moribondo. Sotto l’ imperialismo, il sistema capi-
talistico diventa un ostacolo all’ ulteriore sviluppo della
società.

215
2 — L ’insegnamento di Lenin sull’imperialismo.

L ’insegnamento di Lenin sull’ imperialismo è un’ arma af-


filata nelle mani del proletariato nella sua lotta rivoluzio-
naria per il socialismo. Lenin mostrò che l’imperialismo non
è altro che capitalismo moribondo, che l’ imperialismo è la
vigilia della rivoluzione socialista del proletariato. Nel suo
lavoro sui principii del leninismo, Stalin mette in rilievo il
fatto che Marx ed Engels vissero e lavorarono in un periodo
in cui l’ imperialismo non si era ancora sviluppato, in un
periodo di preparazione della rivoluzione proletaria, men-
tre l’ attività rivoluzionaria di Lenin si svolse nel periodo di
capitalismo sviluppato,, all’ epoca della rivoluzione in atto.
11 leninismo è un ulteriore sviluppo del marxismo in
condizioni nuove, nelle condizioni dell’ epoca dell’ imperia-
lismo e della rivoluzione proletaria. Ne consegue, perciò, che
oggi non si può essere un marxista senza essere un leninista
e che il negare la teoria leninista deH’imperialismo significa
distaccarsi completamente dal marxismo. E’ quindi chiaro
che ogni deviazione ed ogni errore nella teoria dell’ impe-
rialismo conduce inevitabilmente ad una rottura col marxi-
smo-! ( ninismo rivoluzionario.
Lenin analizzò l’ imperialismo come uno stadio speciale
nfci’ o sviluppo del capitalismo, come, una distinta epoca stori
Ca caratterizzata da cambiamenti radicaci nel campo dell’ e-
conomia. Lenin considera della massima importanza questi
cambiamenti che sono avvenuti nel campo della produzione
capitalistica e che distinguono l’ epoca dell’imperialismo
dall'epoca precedente del capitalismo industriale. Per que-
sto Lenin si basò su quelle leggi dello sviluppo del capita-
lismo che furono scoperte da Marx e indicò come quelle
leggi agiscano nella nuova epoca.
Lenin pose in rilievo tutte^le particolarità che distin-
guono questa nuova epoca, quella della decadenza e della
morte del capitalismo e della rivoluzione socialista. L’ impe-
rialismo porta inevitabilmente a guerre disastrose ed alla
crisi generale dell’intero sistema capitalista.

216
« L ’ imperialismo sorse dall’evohizione ed in diretta,
con limi azione delle qualità fondamentali del capitalismo
in generale ». (LENIN, L ’ imperialismo, ultima jase del
capitalismo, cap. VII).
L’ imperialismo rappresenta l’ultimo stadio nello svi-
luppo del capitalismo, ma questo nuovo stadio è la diretta
•continuazione dell’ epoca precedente,, l’ epoca del capitali-
smo industriale.
Le contraddizioni principali e caratteristiche inerenti al
capitalismo industriale (l’ antitesi tra la borghesia ed il pro-
letariato, la lotta nel campo capitalista, l’ anarchia della prò*
duzione, la crisi) non soltanto non scompaiono coll’imperia-
lismo,. ma, al contrario, raggiungono la massima acutezza.
L ’ idea che l ’imperialismo non ha nulla a che vedere
con l’ epoca precedente del capitalismo industriale è un er-
rore madornale. Un tale punto di vista (la cosidetta «teoria
dell’ imperialismo puro») fu propugnata da Bukharin e da
parecchi altri suoi, aderenti durante la guerra mondiale.
Nonostante l’ apparente «sinistrismo» di questa teoria, (che
forza assai la natura particolare dell’imperialismo), essa
giunge in pratica a delle conclusioni completamente oppor*
tunistiche, tanto rispetto al capitalismo moderno che al
passaggio al socialismo.
Lenin svolse la sua teoria dell’ imperialismo come un
.-«.-processo di lotta continua, senza soste, contro ogni punto di
vista borghese e piccolo-borghese, contro ogni deviazione
opportunista ed ogni falsa interpretazione del marxismo. La
teoria leninista dell’ imperialismo è inseparabilmente legata
all’ insegnamento 'leninista della rivoluzione proletaria. 1
punti di vista antileninisti sul problema dell’ imperialismo
sono, invece, intimamente legati alle posizioni politiche con-
trorivoluzionarie. Tutte le deviazioni e tutti gli errori di
interpretazione della teoria leninista dell’ imperialismo sono
inevitabilmente connessi a punti di vista opportunistici.
Lenin inizia la sua analisi dall’esame del processo di
concentrazione della produzione che porta alla domìnazio*
ne del monopolio. Seguendo accuratamente le tappe dello

217
sviluppo capitalistico nell’ultima epocat Lenin arriva alla
conclusione che questo periodo pujò essere caratterizzato
principalmente dalla sostituzione della libera concorrenza
col m onopolio capitalista che porta al massimo le contraddi-
zioni del capitalismo.

3 — Cinque forme dell’ imperialismo.

La dominazione monopolistica, compenetrando tutta la


vita economica e politica nei paesi capitalisti, è l’ attributo
fondamentale dell’ imperialismo. E’ questo predominio del
monopolio che pone il suo marchio indelebile su( tutte le
fasi dello sviluppo economico nell’epoca imperiaistica. Le-
nin dà la seguente definizione dell’ imperialismo elencando
le sue cinque forme fondamentali :
i« 1) Concentrazione della produzione e del capitale svi-
luppata a un tale estremo da creare i monopoli che han-
no una funzione decisiva nella vita economica.
« 2) Fusione del capitale bancario col capitale industriale
e creazione sulla base del capitale finanziario di un’ oli-
garchia finanziaria.
« 3) Massima importanza dell’ esportazione del capitale*,
in confronto con l’esportazione, delle merci.
« 4) Sorgere di associazioni monopolistiche internaziona-
li di capitalisti che si ripartiscono il mondo.
« 5) Completamento della ripartizione della terra tra le
grandi potenze capitalistiche.
« L ’ imperialismo è dunque capitalismo giunto a quello
stadio di sviluppo nel quale la dominazione dei mono-
poli e del capitale finanziario è ormai stabilmente co-
stituito, nel quale la esportazione dei capitali ha preso
un’ importanza principale, nel qual» è iniziata la divisio-
ne del mondo tra i trust internazionali e si è già com-
piuta la distribuzione'dell’ intera superficie terrestre tra
le grandi potenze capitalistiche ». (Ibidem!).
In un altro lavoro, L ’ imperialismo e la scissione nel so-
cicdismo, Lenin dà lo stesso elenco delle forme più impor-

218
tanti dell’imperialismo. In questo lavoro, insistendo sulla ne-
cessità di definire l’ imperialismo il più esattamente possibi-
le, Lenin scrive :
« L ’ imperialismo è uno stadio storico distinto dal capi-
talismo. Il suo carattere speciale si mostra in tre forme :
1) capitalimo monopolistico; 2) capitalismo parassita e
decadente; 3) capitalismo moribondo. La sostituzione
del m onopolio alla libera concorrenza è la forma eco-
nomica fondamentale, la quintessenza del capitalismo.
Il monopolio si presenta in cinque forme fondamentali ;
1) cartelli,. sindacati e trust, quando la concentrazione
della produzione, ha raggiunto un certo stadio che origi-
na quelle combinazioni monopolistiche del capitale;
2) posizione monopolistica delle grandi banche : da tre
a cinque banche gigantesche manipolano tutta la vita
economica dell’America, della Francia e della Germa-
nia; 3) usurpazione delle fonti di materie prime da par-
te dei trust e delll’ oligarchia finanziaria; 4) inizio della
divisione economica del mondo tra i cartelli internazio-
nali. I trust che dominano tutto il mercato, dividendo-
selo «amichevolmente)) tra loro — finché una’ guerra non
porta ad una ridistribuzione —, superano già il numero
di cento ! L ’ esportazione di capitalej fenomeno caratte-
ristico e distinto dell'esportazione di merci nel capitali-
smo non monopolistico, è connessa con la divisione po-
litica economica e territoriale del mondo; 5) la divisio-
ne territoriale (colonie) del mondo è compiuta ».
4 — Dominazione del monopolio
Sappiamo già che una delle leggi più. importanti dei
capitalismo è quella della concentrazione e dell’ accentra''
mento del capitale. Lo sviluppo del capitalismo porta alla ro-
vina della piccola produzione ed ai trionfo delle grandi im-
prese. Nella concorrenza i forti spazzano via i deboli, tutti
i vantaggi sono, in! questa lotta, dalla parte delle grandi
imprese. Esse superano le possibilità dei competitori più
deboli.

219
La vittoria della grande produzione, la concentrazione
*e F accentramento del capitale conducono inevitabilmente a
quello stadio dello sviluppo clip è i{ monopolio, il monopo-
lio è un accordo ed un’unione di capitalisti che concentrano
nelle loro mani la maggior parte della produzione di una
eerta mprce. E’^f|cil(3 vedere gli immensi vantaggi di una
tale combinazióne per i capitalisti,. Dato che tutta la pro-
duzione (o la maggior parte) di una certa merce è esclusi-
vamente nelle loro mani, essi possono accrescere immensa-
mente i loro profitti) con l’ aumentare i prezzi di questa
merce. E 'inteso che una tale combinazione è possibile sol*
tanto quando la maggior parte della produzione è concen-
trata nelle mani di un piccolo numero dei maggiori capi-
talisti,'
Sin dal principio del ventesimo secolo la concentrazione
della produzione di un numero relativamente piccolo di
grandi imprese era assai progredita in molti paesi capita-
listi Naturalmente, in ogni paese, rimanevano nello stesso
tempo 'delle imprese- piccole e medie che impiegavano un
numero ristretto di operai e producevano piccole) quantità di
merci, ma la parte decisiva era rappresentata dalle fabbri-
ch e e dagli impianti maggiori che sfruttavano migliaia di
operai, possedevano 'a maggior parte dei mezzi meccanici e
impiegavano un’immensa quantità di energia elettrica., Que-
ste imprese gigantesche, producendo una immensa quantità
di merci, occupavano le posizioni dominanti. Così negli Sta-
ti Uniti, per esempio,, al principio di questo secolo, quasi
la metà di tutta la produzione industriale’ era già concentra-
ta in circa tremila imprese gigantesche che rappresentava-
no numericamente soltanto la centesima parte del numero
totale delle imprese industriali. E’ evidente che gli altri’
novantanove centesimi sono costituiti da piccole imprese iso-
late che non sono assolutamente in grado di concorrere con
quelle poche) grandi imprese.
La forma di società anonima dell’ impresa aiutò grande-
mente il progresso trionfale del grande capitale. Preceden-
temente le fabbriche e gli impianti venivano costruiti da

220
imprenditori privati. I singoli capitalisti possedevano le loro1
imprese, le dirigevano ed incassavano i profitti. Alcune im-
prese, però, richiedevano un impiego di capitale superiore
a quello di cui poteva disporre un singolo capitalista (come
la costruzione di ferrovie), e per tali scopi furono create le
società anonime. In una società anonima è riunito il capitale
di molti proprietari. Ogni capitalista possiede una certa
quantità di azioni corrispondenti al capitale versato. For-
malmente l’assemblea generale degli azionisti decide in tut-
te e questioni importanti,, ma in pratica è un piccolo grup-
po di grandi azionisti che esercita il pieno controllo. Dato
che il numero dei voti in ogni assemblea generale dipende
dall’ ammontare delle azioni possedute, i piccoli azionisti
non possono influenzare la direzione deglii affari. Basta pos-
sedere il 30 o il 40 per cento del totale delle azioni per
avere il controllo di una società anonima. Si tratta quindi
di una ferma di organizzazione nella quale il grande capi-
tale assoggetta i capitali dei medi e de? piccoli capitalisti e,
in una certa misura, anche i risparmi degli strati superiori
degli impiegati e degli operai, e ne usa per i propri ani.
Nei moderni paesi capitalisti quasi tutte le grandi im-
prese sono società anonime. Ouesta forma stimola il rapido
accentramento del capitale e l’espansione delle imprese. Ltì
società anonime possono intraprendere delle imprese gigan-
tesche che superano la possibilità di un capitalista indivi-
duale. Le ferrovie moderne, le miniere, gli impianti metal-
lurgici, le autostrade, le linee marittime — tutto questo sa-
rebbe impossibile senza le società anonime.
Aiutando lo sviluppo delle imprese, le società anonime
preparano la via alle corporazioni monopolistiche. Esse na-
scono dapprima neH’ industria fondamentale : l’ industria pe-
sante. In questo ,campo il progresso della grande produzio-
ne è particolarmente rapido e qui la concentrazione procede
senza soste. I campi petroliferi le miniere di carbone e di
ferro, le fonderie di ferro e d’ acciaio, sono concentrate nelle
mani di un piccolo numero di imprese in ogni paese. La
concorrenza tra questi giganti assume un carattere partico-

221
talmente violento. Il libero movimento eli capitali in questi
campi è estremamente difficile. Ognuna di tali aziende ri.
chiede un immenso dispendio di capitali per costruzioni,
attrezzature, grandi macchine. L ’ utilizzazione di questi ca-
pitali per la produzione di altre merci a basso prezzd| è im-
possibile. L ’ industria pesante risente molto più acutamente
delle crisi, perchè in queste epoche la domanda di macchi-
ne, di ferro e di carbone cade molto di più delta domanda
di beni di consumo. Ogni restrizione della produzione col-
pisce duramente l’ industria pesante; impianti del valore di
milioni di dollari rimangono oziosi in mancanza di ordini
mentre il costo delta produzione sale terribilmente. L ’ indù-'
stria pesante è la prima a cadere in potere del monopolio.
Dopo aver assorbito l’ industria pesante,, il monopolio rag-
giunge anche le industrie leggere, soggiogandole l’una dopo-
l’ altra

5 — Cartelli, sindacati, trust.

Le associazioni capitalistiche variano nella forma. Da


principio si formano degli accordi a breve termine per un
occasionale bisogno di influire sui prezzi. Questi preparano
la vi? ad accordi più lunghi di ogni genere..
Alcune volte delle imprese separate vengono ad un ac-
cordo per mantenere i prezzi ad un dato livello. In questo
caso ogni impresa rimane assolutamente indipendente, li-
mitandosi unicamente a non abbassare i prezzi oltre un cer-
to !i\ elio in modo dai non danneggiare le altre imprese nel
lo stesso campo con la concorrenza. Queste associazioni si
chiamano cartelli.
Un contatto più stretto si stabilisce, invece, tra le im-
prese quando si uniscono in sindacati. Qui perdono la "loro
indipendenza commerciale ; la vendita dei prodoti finiti e
qualche, volta anche l’ acquisto di materie prime passano
per le mani dell’ ufficio generale dei sindacati. Ogni im-
presa continua indipendentemente la sua produzione, fino
ad una quota stabilita dal sindacato
Il rapporto del trust è ancora più stretto. Qui le organiz-

222
zazioni separate scompaiono completamente. 1 proprietari
delle imprese individuali diventano degli azionisti del trust.
Tutte le aziende comprese nel trust hanno una direzione ge
nerale.

6 — Combinazioni verticali.
L ’ assorbimento delle imprese individuali collegate assie-
me nel processo di produzione assume una importanza con-
tinuamente maggiore. Così, per esempio, un’ impresa metal-
lurgica si unisce con un’ impresa carbonifera che le fornisce
il carbone e il coke. Inoltre, queste imprese metallurgiche
e minerarie si uniscono spesso con un’ impresa costruttrice
di macchine! come locomotive od altro. Questa si chiama
una combinazione verticale.
Lo: sviluppo del monoplio spinge molti capitalisti ad una
forma di imprese combinate Ammettiamo che le compa-
gie carbonifere abbiano formato un sindacato ed aumentato
i prezzi del coke e dell’ antracite. Le industrie metallurgi-
che hanno bisogno di tutti e due/ questi prodotti. Molti pro-
prietari di impianti metallurgici tenteranno quindi, di aver©
delle miniere proprie in modo da evitare gli alti prezzi del
sindacato carbonifero ed ii procurarsi la possibilità di so-
praprofilti ancora maggiori.

7 — Corporazioni.

Lo sviluppo della forma della società anonima porta


spesso ad una stretta connessione con altre imprese separa-
te. Si crea una rete complicata di interessi, per mezzo della
quale un’impresa è 'legata in un certo modo ad una seconda,
che, a sua volta! è legata ad una terza, e così via. L ’ attiva
partecipazione delle banche e la loro interferenza nelle in-
dustrie rafforza grandemente lo sviluppo di questi rapporti
finanziari tra diversi gruppi di imprese.
Sono particolarmente notevoli quei casi di acquisto di
una larga quota delle azioni di qualche impresa da parte
di un gruppo potente di capitalisti. Noi abbiamo già nota-
to che basta possedere un terzo delle azioni di una società

223
per averne il controllo completo. Possedendo quel numero
di azioni un gruppo di capitalisti, assoggetta alla propria in-
fluenza una?' società anonima dopo l’ altra. Questo assorbi-
mento delle aziende individuali nelle sfere di influenza e di
azione dei re del grande capitale avyiene dappertutto nelle
forme più diverse. Generalmente questo procedimento di
stringere assieme imprese separate con stretti legami sulla
base del!'interdipendenza finanziaria, è detta « incorpora-
zione » ed i gruppi che sono forniti in questo modo sono
detti corporazioni.

8 — Monopolio e concorrenza.

La sostituzione dei monopoli capitalistici alla libera


concorrenza è una caratteristica fondamentale dell’ epoca
imperialista. Anche ai suoi tempii Marx rimarco che la li-
bera concorrenza conduce inevitabilmente al monopolio. Ma
il m onopolio si sforza di distruggere la libera concorrenza
tentando di ottenere il controllo di tutta la produzione di
una data merce.
La creazione e l’ aumento dei monopolli non abolisce pe-
rò la concorrenza tra i capitalisti, ma, al contrario, la rende
più acuta e più violenta. Mentre, precedentemente, in re-
gime di libera concorrenza, molti capitalisti lottavano l’uno
contro l’ altro, ora, potenti unioni di capitalisti entrano nel-
la lottaj. gruppo contro gruppo. I monopolisti muovono guer-
ra a quelle imprese che non vogliono entrare nella loro al-
leanza. In questa lotta sono usati tutti i possibili metodi di-
sonesti sino alla distruzione delle imprese rivali con la di-
namite.
Inoltre, quando i monopolisti aumentano i prezzi delle
loro merci, essi incontrano una energica resistenza in quei
rami dell’ industria che sono acquirenti e consumatori di
quelle merci. Quando i sindacati carboniferi aumentano il
prezzo del carbone, questa misura solleva la resistenza di
tutti i proprietari di impianti e di fabbriche che adopera-
no il carbone per i loro lavori. Molti tentano di sostituire
a questo combustibile la benzina, il petrolio o l’energia e-

224
lettrica. L ’ industria metallurgica che impiega una grande
quantità di antracite tenterà di procurarsi delle miniere di
carbone di sua proprietà. Una lotta a morte si scatenerai
tra questi capitalisti. Più un’ industria sarà concentrata, più
grande sarà il ruolo del monopolio, tanto più furiosa sarà
battaglia
Una lotta aspra si sviluppa anche all’ interno dell’ asso*
esazione monopolistica. 1 competitori ed i rivali di ieri, li-
ni li in un cartellOì in un sindacato o in un trust, continuano
la lotta tra loroi con altri mezzi. Ognuno tenta di strappare
una porzione maggiore del guadagno per sè. La battaglia
nell’interno dei monopoli viene generalmente condotta con
grande segretezza e soltanto raramente scoppia aperta.
Noi vediamo quindi che, non soltanto la concorrenza ge-i
nera il monopolio, ma che il monopolio, a sua volta,. prò»
duce la concorrenza. rafforzandola ed acutizzandola al mas-
simo.
« La libera concorrenza è la qualità fondamentale del
capitalismo e della produzione mercantile in generale.
11 m onopolio è esattamente l’ opposto della libera con-
correnza. Ma noi abbiamo visto che fu proprio que-
st’ultima a dar vita al m onopolio sotto i nostri occhi :
creando la grande produzione ed eliminando la piccola:
industriai rimpiazzando le grandi fabbriche con altre
sempre più grandi e spingendo tanto oltre la concentra-
zione dell’ industria e del capitale da far sorgere il mo-
nopolio, cioè i cartelli, i sindacati, i trust fusi con un
piccolo gruppo di banche che manipolano miliardi. Con-
temporaneamente il m onopolioi nato dalla libera con-1
correnza, non la elimina, ma vive con essa e su di essa,
dando vita ad una serie di antagonismi, di frizioni e di
conflitti acutissimi ». (LENIN, L ’ imperialismo, ultima
fase del capitalismo, capitolo VII).
9 —‘ L ’imperialismo, monopolio capitalistico.
Lenin dimostrò ed insistette nella dimostrazione che la
sostituzione della libera concorrenza con la dominazio-

225
ne del m onopolio (che non significa l’ abolizione della con-
correnza! ma che, al contrario, conduce alla massima a*
cutezza) è il più importante attributo dell’ epoca dell’ impe-
rialismo. Lenin sostenne costantemente che l’ imperialismo
non è altro che m onopolio capitalistico. Il monopolio èj. se-
condo Lenin, l’ultima parola dello sviluppo capitalistico..
La sostituzione del m onopolio alla libera concorrenza è il
punto fondamentale, l’ essenza dell’ imperialismo, secondo
Lenin. Nel suo lavoro sull'imperiaismo che egli definisce
l’ ultima fase del capitalismo. Lenin scrive :

l« Per dare la definizione più breve possibile dell’ im-


rialismo, si può dire che l’ imperialismo è lo stadio mo-
nopolistico del capitalismo. Una tale definizione com*
prenderebbe l’ essenziale, giacché, da un lato il capitale!
finanziario non è che capitale bancario delle poche
maggiori banche monopolistiche^ fuso col capitale dei
massimi complessi industriali monopolistici, mentre,
d ’altro lato, la divisione del mondo non è che il pas-
saggio dalla politica coloniale, estesa senza ostacolo ai
territori non ancor dominati da nessuna potenza capita*
lista, ad una politica coloniale di possesso monopolisti-
co dei territori mondiali definitivamente ripartiti ».
(Ibidem).
E altrove Lenin conferma :
« L ’imperialismo (o l ’ epoca del capitale finanziario —
noi non disputeremo sulle parole) è, economicamente
parlando, lo stadio più alto dello sviluppo del capitali-
smot o più esattamente* lo stadio in cui la produzione è
talmente allargata che la libera concorrenza è sostituita
dal monopolio. Questa è l’essenza economica dell’ impe-
rialismo. Il m onopolio si presenta sotto forma di trust,
di sindacati, ecc., si manifesta nell’ onnipotenza delle
banche gigantesche! nel dominio delle fonti della mate-
ria prima, nella concentrazione del capitale bancario,
ecc. L ’intera questione sta nel m onopolio economico ».

226
(LENIN, Una caricatura del marxismo e l’ economismo
imperialista).
Da qui risulta evidente la radicale differenza della con-
cezione leninista da quella del teorico social-democratico
dell’ imperiaismo, Hilferding. Questi pone in rilievo, non i
cambiamenti avvenuti nel campo della struttura industriale’
dell’ultimo capitalismo* ma quelli avvenuti, prima di tutto,
nel campo del credito, nel campo bancario. In questa con-
cezione caratteristica dello scambio è evidente la falsifica*'
zione di Marx fatta da Hilferding. Egli pone, infatti* al po-
sto della priorità predominante e decisiva della produzione,
la priorità della circolazione. Questo concetto dello scambio,
caratteristico di teorici social-democratici, con una quan-
tità di altri errori nella teoria del valore, del danaro e del-
le crisi connesse a questo* condussero Hilferding, anche pri-*
ma deila guerra, alle concessioni opportunistiche già no-
tate da Lenin. Nell’anteguerra, Hilferding descriveva la si-
tuazione come se il controllo di sei delle maggiori banche
berlinesi fosse sufficiente a dominare tutto il paese. Un si-
mile punto di vista poneva nell’ ombra la necessità di una
lunga lotta rivoluzionaria del proletariato per il potere, per
stabilire e mantenere la sua dittatura, per padroneggiare
la produzione, per organizzarla tanto nell’ industria che neh
l ’ agricoltura. Un tal modo di presentare il problema na-
sconde la necessità di superare l’energica resistenza della
borghesia contro ogni nuovo passo in avanti del proletariato.
Dopo la guerra, Hilferding sviluppò la teoria del capitali-
smo organizzato che rappresenta un nuovo sviluppo della
stessa idea fondamentale. Noi ritorneremo su questa teoria
più. lardi.

10 —, Associazioni monopolistiche nei più importanti paesi


capitalisti.
Le associazioni monopolistiche si diffusero rapidamente
in America, tanto che questa venne chiamata il «'paese del
trust ». A l principio di questo secolo, i trust americani ave-
vano già concentrato nelle loro mani la maggior parte della

227
produzione Così il trust dell petrolio aveva nelle sue mani il
95 per cento di tutta la produzione; utilizzando la sua p o-
sizione m onopolistica esso aveva aumentato il suo profitto,
dal 5 per cento nel 1882 al 42 per cento al principio di que-
sto secolo. 11 trust chimico riunisce 1*81 per cento della pro-
duzione di questa industria; il trust del piom bo l ’85 per
cento, e così v i a r i a Corporazione dell’A cciaio degli Stati
Uniti è una delle più potenti organizzazioni capitalistiche
del mondo. Essa ha aumentato il suo capitale da 28 miliar-
di di lire nel 1902 a 47 miliardi nel 1929 e possiede 147
impianti. Fino alla crisi essa produsse 16 milioni di tonnel-
late di massa di ferro e 20 milioni di tonnellate di acciaioj-
ciò che rappresenta il 40 per cento dell’ intera produzione
di questi prodotti negli Stati Uniti. Negli stabilimenti di
questa corporazione lavoravano 276.000 operai. Approssima-»
tivamente Io stesso numero era impiegato da un altro trust,
là Compagnia Americana Telegrafica e Telefonica, che ha
il controllo dell’80-85 per cento di tutte le comunicazioni
telegrafiche e telefoniche di tutto il paese. 1 tre quarti ddlla
produzione d ’acciaio degli Stati U r iti sono concentrati nel-
le mani di tre giganteschi trust Nell’ industria elettrica! un.
trust, la Compagnia Generale di Elettricità, occupa una po-
sizione dominante. Nelle industrie dello zucchero e del ta*
bacco l’8Q per cento della produzione è concentrato* nelle
mani dei trust corrispondenti. 11 trust petrolifero americano
controlla un capitale di oltre 19 miliardi di lire. V i sono in
tutto una ventina di compagnie neH’industria automobilisti-
ca e le cinque maggiori controllano i tre quarti della p ro-
duzione della loro industria. Tra queste ve ne sono due
che si battono con violenza : la ben nota compagnia Ford e
la sua rivale, la General Motors Corporation. La Ford con-
trolla un capitale di oltre 19 miliardi di lire; l’ altra di 28
miliardi. Il ricavo per la vendita delle automobili nel 1926i
fu per la seconda di 19 miliardi di lirej. per la Ford di 14
miliardi e 250 milioni di lire. 1 profitti netti furono di 3
miliardi e 420 milioni di lire per la General Motors e di 1
miliardo per la Ford.

223

I
L ’immensa rete di strade ferrate in America è proprietà
di un piccolo numero, di miliardari. Nel 1927 il gruppo ban-
cario Morgan controllava circa 22 mila miglia di stradd fer-
rale valutate a 6ò miliardi e mezzo di lire. Lei banche ame-
ricane sono le più strettamente connesse con l’ industria, es-
se hanno un immenso numero di imprese sotto il loro con-
trollo e la loro influenza. Così si calcola che il gruppo ban-
cario Morgan controlli imprese rappresentanti un capitale
di i4uó miliardi ui are.
Sotto il peso delle crisi anche i più giganteschi comples-
si monopolistici conoscono i crolli. E.’ sufficente ricordare
che gli impianti Ford che prima della crisi impiegavano
120.000 uomini, nell’ autunno del 1902 non ne impiegavano
più di 15.000. Altri giganti del capitale monopolistico si tro"
varono in posizioni simili. Una quantità dei più grandi
trust fallirono, come il trust Kriiger degli zolfanelli, il re
inglese del petrolio* Detchding, quello stesso che tentava
continuamente di spingere all’ intervento contro l’U.R.S.S.,
dovette far fronte alle più gravi difficoltà.
In Germania, prima della guerra, l’Unione dell’Acciaio
controllava i nove decimi dell’ intera produzione di questo
metallo; nell’industria carbonifera il Sindacato Carbonifero
Reno-WestfalicOi all’ epoca in cui fu organizzato, controlla-
va 187 per cento (e più tardi il 95 per cento) di tutta la
produzione di questa regione che è la più ricca della Ger-
mania.
Negli anni del dopoguerra, la Corporazione Stinnes, in
Germania, fu sulle bocche di tutti : Stinnes accumulò una
immensa fortuna con le forniture di guerra, in se-
guito alla inflazione del marcoi egli acquistò ogni
genere di imprese quasi per nulla : miniere di
carbone,! centrali elettriche, agenzie telegrafiche e banche,
stamperie e linee marittime, impianti netallurgici é g ior1
uali. Appena il marco fu stabilizzato, il gigantesco organi-
smo che impiegava centinaia di migliaia di operai andò in
pezzi.
Una nuova ondata di concentrazione e la creazione di

229
immense associazioni monopolistiche crebbe in Germani.,’
negli anni del dopoguerra. Dalla fine del 1928,. i due terzi
di tutte le società anonime (secondo il capitale investito) e-
rano unite in corporazioni, e, pressapoco nello stesso tempo,
i due più grand trust della Germania contemporanea, quelli
dell’ industria chimica e de'll’ acciaio, erano nati dalla fusio-
ne di diverse società: il trust chimico comandava un capi-
tale di dieci miliardi e ottocento milioni di lire e concern
trava nelle sue mani l’80 per cento della produzione di co-
lori e il 75 per cento della produzione del nitrogeno. Il
trust dell’ acciaio controllava un capitale di sette miliardi e
duecento milioni di lire ed impiegava, sino al tempo della
orisi. 150’ mila operai, pròducendo circa la metà di tutta la
massa d iferro e di acciaio della Germania.
Lo stesso fenomeno si può osservare negli altri paesi
capitalistici. In Inghilterra ed in Giappone, in Francia ed in
Italia, e perfino in piccoli paesi come il Belgio e la Svezia,
dovunque, ile leve del comando sono nelle mani1 di grandis-
sime imprese monopolistiche dirette da un gruppo di diri-
genti di trust
Ne’ la Russia zarista vi era pure una certa quantità di
associazioni monopolistiche di capitalisti. 11 Sindacato Pro-
dugal controllava più della metà del carbone prodotto nel
■bacino del Donez. Un altro sindacato, IProdamet, controlla*
va, il 95 per cento di tutte le vendite di ferro sul mercato.
Uno dei più vecchi era poi il sindacato dello zucchero.

11 — Cupitale finanziario.

La forza e l ’ importanza dei monopoli è grandemente


cresciuta in seguito all’ importanza nuova delle banche nel-
l’ imperialismo.
Le banche furono all’inizio degli intermediari per ef-
fettuare dei pagamenti
Con lo sviluppo del capitalismo, l’ attività creditizia del-
le banche aumento. La banca distribuisce i capitali, pren-
dendo'i da quei capitalisti che non ne hanno bisogno essi
stessi, per il momento, c dandoli a quelli a cui occorrono.

230
Le banche raccolgono ogni genere di reddito e lo mettono
a disposizione dei capitalisti. Con lo sviluppo del capitali-
smo, gli stabilimenti bancari, proprio come le imprese in-
dustriali, si uniscono; le loro dimensioni e il loro giro d’af*
fari crescono continuamente ed essi accumulano immense
quantità di capitale. La maggior parte di questo capitale
appartiene ad altri, ma il capitale proprio delle banche
cresce continuamente. 11 numero delle banche si restringe,
le banche minori chiudono o vengono assorbite dai concor-
renti maggiori; che aumentano continuamente la loro gran-
dezza e la somma del loro capitale. Come esempio basterà
il seguente; dal. 1889 al 1912 il numero delle banche in In-
ghilterra diminuì da 104 a 44, mentre il loro capitale au-
mentò da 39 a 77 miliardi di lire. Una banca, però, non può
limitare la sua attività a garantire dei prestiti a breve ter-
mine agli industriali che ne abbiano bisogno. Per poter u-
ti'izzare la massa immensa del capitale \le banche debbono
entrare in più, stretto contatto con l’ industriale investirvi una
certa parte dei loro depositi garantendo dei prestiti a lungo
termine per l’ espansione della produzionej ecc.
Le società anonime offrono alle banche la forma più
conveniente di investimento di capitale nell’ industria. Quan-
do le banche hanno acquistato il controllo su almeno un ter-
zo delle azioni totali, le banche acquistano un potere illi-
mitato su tutta l’impresa.
Le società anonime servono così da collegamento tra le
banche e l’industria. Le banche, a loro volta, aiutano lo sviJ
luppo della forma della società anonima; assumendosi la
riorganizzazione (ricostruzione su nuovi principii) di impre-
se private in società per azioni e fondandone direttamente
delle nuove. L ’ acquisto e la vendita di azioni avviene sem-
pre più per mezzo dela banca.
La legge di concentrazione e di accentramento, si mani-
festa con forza particolare nel sistema bancario. Nei mag-
giori paesi capitalisti da tre a cinque delle maggiori banche
controllano la intera rete bancaria, mentre le altre banche
sono o praticamente dipendenti da queste, pur essendo ap*
parentemente indipendenti, oppure di importanza seconda-

231
rissima. Queste banche gigantesche sono strettamente legate
alle associazioni industriali monopolistiche. La fusione del
capitale industriale e bancario sta avvenendo. 11 capitale
bancario fuso con quello industriale viene chiamato capitale
finanziario. L ’ama’ gamarsi del capitale bancario con i m o-
nopoli industriali è una delle caratteristiche specifiche del-
Timperialismo. E ’ per questo motivo che l’ imperialismo è
chiamalo l’ epoca del capitale finanziario
Lo sviluppo del m onopolio e del capitale finanziario po-t
ne ii destino di tutto il mondo capitalista nelle mani di un
piccolo gruppo di capitalisti maggiori. La fusione del capi"
tale bancario col capitale industriale porta ad una situazio*
ne nella quale le maggiori banche cominciano a dirigere
rinduslria mentre i maggiori industriali entrano nella dire-
zione delle banche, Il destino-di tutta la vita economica di
tutti i paesi capitalisti sta nelle mani di un.numero insigni-
ficante di banchieri e di industriali monopolistici, cosicché
l ’ arbitro delibi vita economica diventa l’ arbitro di tutto il
paese. Qualunque sia la forma del governo nei paesi ca-
pitalisti, nell’ epoca dell’ imperialismo, praticamente i pieni
poteri spettano a un piccolo numero di Re non coronati. Lo
Stato ufficiale è soltanto il servitore di questi magnati ca-
pitalisti. La soluzione dei problemi vitali dei paesi capita-
listici dipende da un esiguo gruppo di capitalisti maggiori
clic, per il loro interesse, scatenano i grandi conflitti tra le
nazioni, incitano le guerre, sopprimono i movimenti del
lavoro e impediscono la civilizzazione delle colonie.
Col prevalere del monopolio, un pugno di individui con-
trolla la vita, di popoli interi. Uno dei condottieri del capi*
talismo germanico, il direttore della A .E .G . (Compagnia
Generale di Elettricità), Rathenau, dichiarò una volta aper-
tamente : « Trecento persone che si conoscono tra di loro
sono i padroni dei destini economici del mondo e scelgono
i loro successori nel loro stesso numero ».
E stato calcolato, per esempio, che in Francia 50-60
grandi finanzieri sono padroni di 108 banche^ 105 tra le
maggiori imprese di industrie pésanti (carbone, ferro, ecc.),
101 compagnie ferroviarie e 107 altre imprese importanti :

232
421 in totale, ciascuna delle quali vale centinaia di milioni
di franchi. La concentrazione della maggior parte di tutta la
ricchezza nelle mani di un gruppo numericamente insignifi-
cante di uomini procede ad un ritmo rapido. Così in In-
ghilterra il 38 per cento della ricchezza totale del paese è
nelle mani dello 0,12 per cento dei proprietari privati, e
meno del 2 per cento possiede il 64 per cento della ricchez-
za dei paese. Negli Stati Uniti l’ I per cento circa possiede
11 59 per cento della ricchezza nazionale.

12 — Esportazione di capitale.

N ell’epoca della libera concorrenza, il commercio mon-


diale si sviluppa. Immense quantità di merci sono esportate
da un paese all’ altro. Nel periodo monopolistico 1” esporta-
zione del capitale acquista un’ enorme importanza.
Il fatto che l’esportazione del capitale è caratteristica
dell’ imperialismo è strettamente connesso col regno del mo-
nopolio. I monopoli creano un’enorme eccedenza di capita-
le nei più vecchi paesi capitalisti che hanno avuto un lungo
periodo di sviluppo capitalistico. I monopoli causano poi
una restrizione delle possibilità di imestimento del capita-
le nelle industrie nazionali. I profitti monopolistici accumu-
lati tendono a fluire fuori del paese in cerca di occasioni
dii investimenti redditizi e le trovano nei paesi più arretrati,
dove i salari sono eccessivamente bassi e la giornata lavo-
rativa eccessivamente lunga. Le fonti di materie prime non
sono state ancora completamente saccheggiate dai capitali-
sti.. Le possibilità del mercato sono grandi : i produttori ca-
pitalisti spazzano via i prodotti degli stabilimenti artigiani
e condannano milioni di piccoli produttori alla fame. Ma i
monopoli allargano il mercato interno del,paese ed i capi-
talisti stranieri trovano sempre maggiori difficoltà a vender-
vi i loro prodotti L ’ importazione delle merci è ostacolata
dalle tariffe protezionistiche. Nello stesso tempo l’ organiz-
zazione del m onopolio conduce ad un punto in cui il mer-
cato interno diventa sempre meno corrispondente ai bisogni
«di vendita delle gigantesche imprese. I m onopoli aumenta-

233
no i prezzi, il che porta ad un’ ulteriore restrizione del mer-
cato interno : essi debbono gettare una quantità continua-
mente maggiore di merci sul mercato estero. Ma come pos-
sono vendere su questi mercati, che sono, difesi dai bastioni
delle tariffe protezionistiche?
Questo favorisce l’ esportazione del capitale. Le mag-
giori imprese capitalistiche esportano una parte del loro ca-
pitale. Esse organizzano le loro ramificazioni all’estero. Esse
costruiscono là impianti e fabbriche, riuscendo così a tra-
sportare le loro merci in questo mercato internazionale.
11 capitale non viène esportato soltanto per l’ organiz-
zazione di imprese^ ma viene esportato anche sotto forma di
prestiti per mezzo dei quali i paesi più ricchi asserviscono
ed assoggettano i paesi più arretrati.
Prima della guerra, le industrie straniere dei tre mag-
giori paesi capitalisti europei (Inghilterra, Francia, Germa-
nia) raggiunsero proporzioni colossali : cento miliardi circa
di franchi. Il reddito di questo capitale raggiunse circa gli
8 10 miliardi di franchi all’anno.
L ’ importanza dej’J ’ esportazione di capitali per gli stati
imperialisti risulta dai dati seguenti : nel 1925 l’ esportazio-
ne di merci inglesi — prodotte dalle industrie inglesi — su -
però i 63 miliardi di lire, ricavando circa 9 miliardi di
profitti. Nello stesso anno, nel 1925, la Gran Bretagna rice-
vette 138 miliardi di lire di interessi per i suoi investimenti
all’ estero, cioè più del quadruplo del reddito della espor-
tazione di merci.
li capitale tende a fluire dapprima verso i paesi arre-
tinti, dove la capacità lavorativa è a buon mercato, l’indu-
stria debole, e di conseguenza, il mercato delle merci ac-
cora grande. A l principio della guerra mondiale, per: esem-
pio, il capitale straniero investito in Russia ammontava a
più di due miliardi di rubli. Il capitale francese e belga in-
vestito nell’ industria carbonifera russa era tale che la sede
principale del Produgol, che disponeva della maggior parte
(il 65 per cento) del carbone russo, era situata a ìParigi. Le
ditte tedesche A .E .G . e Siemens Scliukert avevano quasi
tutto il controllo deH’elettrieità e dell’ attrezzatura elettrica

234
russa. Immensi capitali inglesi, americani e tedeschi erano
investiti nel!’ industria petrolifera russa.
Con lo sviluppo ddl m onopolio l’ esportazione del capi-
tale acquista proporzioni sempre maggiori ed assume un’ im-
portanza sempre più grande.

« Nella vecchia forma di capitalismo in cui prevaleva


le libera concorrenza! l’ esportazione delle merci era la
forma caratteristica. Nel capitalismo moderno in cui pre-
valgono i monopoli, la forma tipica è diventata l’ espoi-
tazione dei capitali ». (LENIN, L ’imperialismo, ultimo
stadio del capitalismo,, cap. IV).

Sotto l’imperialismo è l’ esportazione del capitale che


assume importanza primaria. Questo non significa che l’ e -
sportazione delle merci diventi meno importante o perda la
sua importanza. La realtà1è che l’esportazione dei capitali è
strettamente collegata alla, spedizione di immense masse di
merci. Se, per esempio, la Gran Bretagna esporta del capi-
tale in Argentina, ciò significa che laggiù vengono organiz-
zate delle impreso il cui capitale azionario è nelle mani dei
capitalisti inglesi. Si può essere sicuri che la maggior parte
deU’altrezzamentG e delle macchine per quelle imprese vie-
ne importato dall’ Inghilterra. L ’esportazione di capitale
può prendere anche un’ altra forma : la Gran Bretagna, ad
esempio, concede un prestito ad un altro paese il quale, in
cambio del danaro così ottenuto, acquista merci in Inghil-
terra (materiale ferroviario, militare! ecc.). Noi vediamo
quindi che l’ esportazione di capitale, non soltanto non re-
stringe l’ esportazione delle merci, ma diventa una potente
arma nuova nella battaglia per i mercati internazionali, nel-
la battaglia per l’incremento della vendita delle merci.

13 — Divisione del mondo tra unioni di capitalisti.

I sindacati ed i trust alzano i prezzi artificialmente, as-


sicurandosi dei colossali superprofitti. Per mantenere alti ì
prezzi, le organizzazioni uionopo’ istiche tentano di tenere i
loro paesi fuori della concorrenza estera. A questo scopo i

23 S
•governi imperialistici introducono dei dazi protettivi sulle
merci importate II dazio ammonta, talvolta, a parecchie
volle il valore della merce. Già nel 1927 i dazi\ ammontava-
no, in media (rispetto' al valore delle merci) al 37 per cento
negli Stati Uniti, al 20 per cento in Germania, al 2ì> per cen-
to in Francia! al 15 per cento nel Belgio, al 29 per cento
in Argentina, al 41 per cento in Spagna, al 16 per cento
Austria, al 27 per cento in Cecoslovacchia! al 23 per cento
in Jugoslavia, al 27 per cento in Ungheria, al 32 per cento
in Polonia,, al 22 per cento in Italia, al 16 per cento in
Svezia. Questa è la percentuale media; per alcuni generi
(per materie prime, per esempio, che possono esistere in
un certo paese'1 i dazi possono essere bassi, mentre per al-
tri (principalmente prodotti industriali e alcuni generi di
viveri) possono essere altissimi.
Durante gli utimi anni la maggior parte dei paesi in
Produsse delle tariffe più elevate: nell’ estate del 1930 fu a-
dottata una nuova tariffa negli Stati Uniti che veniva pra-
ticamente a proibire l’importazione di' una quantità di mer-
ci. iNello stesso anno la Germania innalzò i dazi sui pro-
dotti agricoli ad un livello senza precedenti e, contempora-
neamente! i latifondisti della Prussia Orientale praticarono
un corrispondente aumento ai prezzi dei loro prodotti. E’ la
■classe lavoratrice che deve finire per pagare tutto questo,
perchè costituisce la massa fondamentale dei consumatori.
Il mercato interno diventa così interamente soggetto al
monopolio; ma il mercato interno è limitato poiché sotto
l’imperialismo cresce l’impoverimento delle masse a causa
•dell'acutizzarsi di contraddizióni di classe; il mercato interno
non è quindi sufficiente ad assorbire le immense quantità
di merci prodotte dalle grandi imprese. La battaglia per i
mercati stranieri diviene fondamentale; essa si svolge: tra gli
Stati a capitale monopolistico; organizzazioni gigantesche
prendono parte a questa lotta. E’ chiaro che questa deve
raggiungere forme sempre più acute e più violente e che,
quindi, sotto Fimperialismo, la lotta per i mercati, assieme
-alla lotta per le fonti di materia prima, per i mercati di
esportazione di capitale, per la divisione del mondo, diven-

236
la la causa di inevitabili conflitti armati e. di guerre de-
vastatrici.
La crescita dei monopoli conduce al tentativo, da parte
delle organizzazioni monopolistiche dei vari paesi, di arri-
vare ad un accordo sulla divisione dei mercati. Quando due
o tre dei maggiori trust in diversi paesi cominciano ad a-
vere una influenza decisiva nella produzione internazionale
di una certa merce, la lotta tra di loro diventa particolar-
mente rovinosa E* quindi inevitabile un tentativo di ve-
nire ad un accordo. L ’ accordo generalmente provvede ad
una divisione dei mercati; ad ognuno dei concorrenti viene
assegnato un certo numero di paesi in cui egli può vendere
le sue merci senza interferire nella sfera d ’azione degli al-
tri partecipanti all’ accordo.
Questi carlelli internazionali esistevano in parecchie
branche delle industrie anche prima della guerra! mondiale.
A questa epoca, la produzione di attrezzature elettriche e-
ra concentrala nelle mani di due grandissimi trust, l’uno
americano, l’altro tedesco, strettamente legati alle banche.
Nel 1907 essi giunsero ad un compromesso per la di-
visione del mondo, mettendo «a disposizione» di ognuno dei
due un cerio numero di paesi. Un altro accordo esisteva pu-
re prima della guerra tra le compagnie marittime america-
ne e tedesche; vi erano poi sindacati ferroviari e per lo
zinco e stava per venir concluso un armistizio tra i trust!
petroliferi.
Dopo la guerra mondiale, furono formati parecchi car-
telli che comprendevano parecchi paesi d ’ Europa e che in-
cludevano la produzione di acciaio, pietra, prodotti chimi-
ci, rame, alluminio, radio, filo di rame; seta artificiale;) zin-
co; tessili; oggetti smaltati. La Francia la Germania, il Bel-
gio, la Cecoslovacchia e l’Austria partecipavano alla mag-
gior parte di questi cartelli. Alcuni includevano anche la
Svizzera, l’Ungheria, la Spagna e i paesi scandinavi.
La crisi mondiale che cominciò nel 1929 ebbe una im-
mensa influenza distruttiva sulla maggior parte di questi
complessi che, col crescere dei contrasti internazionali o si

237
sono già sfasciati o sono sull’ orlo del collasso. Sarebbe un er-
rore pensare che questi accordi monopolistici internazionali
rappresentino un metodo pacifico di risolvere le contraddi-
zioni. A l contrario :

« I cartelli internazionali mostrano sino a qual punto i


monopoli capitalistici si sono sviluppati e quale sia lo
scopo della lotta tra le diverse unioni capitalistiche ».
(LENIN, L ’ imperialismo, ecc., cap. V).

Gli accordi inLernazionali si distinguono per la loro in-


stabilità e portano in sè la fonte dei più aspri conflitti. Nel-
la divisione dei mercati ognuno ottiene una parte in pro-
porzione alla sua forza e alla sua potenza. Ma la potenza
dei trust industriali cambia ed ognuno prosegue una lotta
silenziosa cd ostinata per una quota maggiore. Gli sposta-
menti di forza provocano inevitabilmente una redistribuzio-
ne dei mercati e, conseguentemente, altre lotte ancor più
violente. Conseguentemente i monopoli internazionali, non
soltanto non appianano i contrasti tra i paesi imperialisti;
ma, al contrario, li conducono alla loro estrema tensione.

14 — Occupazione delle colonie e divisione del mondo.

Nell epoca del m onopolio e del capitale finanziario, la


occupazione delle colonie da parte dei paesi capitalisti è
molto progredita.
Sin dai tempi antichi gli Europei hanno trasportalo le
loro merci nelle colonie e nei paesi arretrati, triplicando il
prezzo di ogni merce di scarto e, ricevendone in cambio d e -
gli oggetti di valore. Le nazioni potenti occuparono gradual-
mente dei vasti territori largamente popolati. Gii imperia-
listi britannici amano ripetere che « il sole non tramonta
mai sull’Impero Britannico» e, in realtà, i possessi dello
impero britannico si stendono su tutta la terra così che il
sole brilla sempre su qualche sua parte. Su un miliardo e
750 milioni di abitanti del globo, 600 milioni vivono nelle
colonie e 400 milioni in semicolonie, come la Cina, la Per-

238

sia, ecc. Così circa la metà della razza umana è in potere


delle grandi nazioni predatrici.
Durante i decenni che precedettero la guerra mondiale,
la divisione del mondo progredì con rapidità particolare.
Dal 1876 al 1914 le cosidette «Grandi Potenze» occuparono
circa 25 milioni di chilometri quadrati di terra; esse usurpa-
rono così delle terre straniere che coprivano un’ area doppia
di quella dell’Europa intera.
La maggior parte cadde nelle mani dei vecchi ladri
(Gran Bretagna e Francia), mentre ai ladri più giovani come
l’ Italia e la Germania, non restarono che i rimasugli. Tut-
ti i paesi che offrivano qualche possibilità di sfruttamento
erano già stati sfruttati dagli altri : gli ultimi venuti dove-
vano accontentarsi delle briciole che cadevano dalla tavola
o cercare di strappare un' grasso pezzo dai denti degli altri.
L'aspra lotta per i mercati di vendita;, per i mercati di
materie prime, per i mercati di investimento di capitale?
condusse alla divisione del mondo tra pochi predoni.
Non vi sono ipiù terre libere. 1 paesi imperialisti pos-
sono ottenere dei nuovi territori soltanto in un modo : con
lo strapparli ai loro competitori. La divisione del mondo è
completa. Gli scontri tra gli imperialisti per la ridivisione
del globo sono ora inevitabili e una tale lotta conduce fa-
talmente a conflitti armati, alla guerra.

15 —■ Dumping.

Per impossessarsi dei mercati stranieri generalmente i


monopoli impiegano largamente i dumping. Il dumping è
la vendita sui mercati stranieri a prezzi considerevolmente
inferiori a quelli del mercato interno, e perfino sotto co-
sto. La vendita di merci ai paesi stranieri a prezzi di dum-
ping è necessaria ai trust per svariate ragioni. In primo luo-
go il dumping conduce alla conquista dei mercati stranieri.
Inoltre la vendita delle merci all’ estero rende possibile di
restringere l ’ offerta aH’interno del paese con conseguente
rialzo dei prezzi di monopolio. Il dumping verso l’ estero

239
rende possibile di contrarre le vendite all’ interno del pae-
se, senza ridurre contemporaneamente la produzione, ciò
che aumenterebbe i costi di produzione.
Il dumping è un fenomeno comune sotto limperialismo.
In Germania il trust dell’ acciaio pubblica nei giornali i suoi
listini ogni mese; per ogni merce sono segnati due prezzi,
uno per l’ interno e un altro, circa un terzo più basso, per
l’ esportazione. 11 dumping praticato dall’ imperialismo giap-
ponese attualmente è particolarmente sfrenato. Utilizzando
lo sfruttamento spietato dei loro lavoratori gli imperialisti
giapponesi stanno inondando i mercati mondiali con le lo-
ro merci che essi vendono a prezzi di liquidazione : non
solo stanno eliminando dalla Cina le merci europee q quel-
le americane, ma essi stanno invadendo i paesi industriali
con le loro merci. Essi esportano a questo modo delle auto-
mobili in America, vendono biciclette in Germania ad un
prezzo assurdamente basso ed esportano seta perfino a L io-
ne, centro dell’industria serica francese.
Nella vecchia Russia zarista il sindacato dello zucchero
praticava il dumping più puro. A ìquel tempo non si è tro-
vato un solo paese capitalista che alzasse la voce contro
questo dumping,, ma, da allora, i capitalisti ed i loro gior-
nali hanno spesso alzato il grido del « dumping sovietico ».
Questo costituiva un aspetto della campagna contro l’Unio-
ne Sovietica ed aveva lo scopo di preparare il terreno a
nuovi attacchi da parte degli imperialisti contro un paese
colpevole di aver realizzato per primo il comuniSmo La
asserzione che il « dumping sovietico » aggravava la crisi
nei paesi capitalisti era però particolarmente ridicolo. L ’U-,
nione Sovietica non vende le sue merci all’ estero a prezzi
di dumping, essa non esporta per conquistare i mercati stra-
nieri, ma per pagare le merci di cui ha bisogno. I vantaggi
deU’economia socialista rendono possibile alla U.R.S.S. di
produrre una quantità di merci a prezzi più convenienti dei
capitalisti. La Rivoluzione d’ Ottobre fece scomparire i pa-
rassiti — i latifondisti ed i capitalisti — eliminando nello
stesso tempo la spesa di mantenerli : la rendita fondiaria
i profitti del capitale. E’ quindi evidente che tutto quello

240
che si dice sul dumping sovietico è un’ invenzione dei nemici
dell’U.R.S.S. ed è particolarmente assurdo perchè l’econo-
mia sovietica, avendo abbandonate le vie del capitalismo si
è anche liberata dei suoi metodi di lotta.

16 — La legge dello sviluppo ineguale sotto l’imperialismo.

Nel sistema capitalista, le imprese individuali, i singoli


rami dell’industria ed i singoli paesi si sviluppano molto
inegualmente e spasmodicamente. E’ evidente che con l’ a-
narchia della produzione prevalente sotto il capitalismo e
con la frenetica lotta tra i capitalisti per il profitto, non
può essere altrimenti.
Questa ineguaglianza nello sviluppo si manifesta con
particolare acutezza nell’epoca dell’imperialismo e diviene
una forza decisiva, una legge decisiva.

« Il capitale finanziario ed i trust aggravano, invece di


diminuire, le differenze nel livello di sviluppo dell va-
rie parti dell’economia mondiale ». (LENIN, L ’ imperia-
lismoi, eòe.).
L ’ imperialismo è capitalismo monopolistico La domi-
nazione dei monopoli aumenta lo sviluppo spasmodico! e di-
suguale dei diversi paesi. Le associazioni monopolistiche; of-
frono, da un lato la possibilità ai paesi più giovani di rag-
giungere e di superare i paesi capitalisti più vecchi,, men-
tre, dall’altro lato, i monopoli tendono, per loro natura, al
parassitismo, alla decadenza ed al ritardo del progresso tec-
nico : in certe condizioni, i monopoli ritardano lo sviluppo
di una nazione e così offrono ad altri paesi l’ opportunità di
superarli.
« ... in regime capitalista lo svilupp delle diverse impre-
se, dei vari trust, rami dell’ industria, paesi, non può
essere uniforme. Mezzo secolo fa la Germania era una
nazione miserabile ed insignificante per quanto riguar-
da la sua forza capitalistica, paragonata con la forza
dell’ Inghilterra a quell’epoca. E così il Giappone in
confronto alla Russia. E’ concepibile che nel giro di
dieci o venti anni i rapporti di forza tra lé potenze im-
perialiste rimangano immutati? Assolutamente inconce-
pib i'e ». (Ibidem, cap. IX).

L ’ esportazione di capitale accelera grandemente lo svi-


luppo di alcuni paesi ritardando l’ulteriore sviluppo di al-
tri. La tecnica moderna, Io stadio attuale di sviluppo delie
forze produttive offrono larghe possibilità ai paesi capitali-
sti più giovani : essi hanno la possibilità di superare i loro
rivali, di passare in un breve periodo di tempo una serie
di stadi di sviluppo tecnico che presero ventine d’ anni ai
paesi più vecchi.
La divisione del mondo viene completata sotto l’ impe-
rialismo. Si inizia la battaglia per la ridistribuzione. Que-
sto costringe ogni potenza imperialista a rafforzarsi febbril-
mente; ogni paese tenta di sorpassare i suoi rivali.
Lo sviluppo disuguale e spasmodico dei singoli paesi
diviene più pronunciato nel periodo imperialista, acutiz-
ziando gli antagonismi tra i paesi. La legge dello sviluppo
disuguale rende impossibile il formarsi di alleanze stabili
tra le potenze imperialiste. 11 rapporto di forza tra i diversi
paesi si altera continuamente portando inevitabilmente a o-
gni genere di conflitti.
La legge di Lenin dello sviluppo disuguale dell’ impe-
rialismo è brillantemente sviluppata in parecchi lavori da.
Stalin. Nella lotta contro il trotzkismo che nega questa leg-
ge. Stalin sviluppò ulteriormente, riassumendo così la que-
stione :

« La legge dello sviluppo disuguale nel periodo dell’ im-


perialismo cotìduce allo spasmodico sviluppo di alcuni
paesi rispetto ad alcunf altri, al rapido alternarsi di na-
zioni diverse sul mercato mondiale, alla periodica^ redi-
stribuzione del mondo, già prima distribuito, attraverso
conflitti militari e catastrofi militari, all’ approfondirsi ed
all’acutizzarsi dei conflitti nel campo del’ imperialismo;
all’ indebolirsi del fronte del mondo capitalista che si e*

242
spone avvenire spezzato dal proletariato di ogni paese ed
al’a possibilità del trionfo del socialismo in tutti i paesi.
'l< Quali sono gli elementi fondamentali della legge dello
sviluppo ineguale sotto il capitalismo?
« Primo, il fatto che il mondo è già stato diviso tra i
gruppi imperialisti, che non vi sono più territori « li-
beri » non ancora occupati nel mondo e che per con-
quistare nuovi mercati ed occupare fonti di materie pri-
me, per ingrandirsi, è necessario strappare questi terri-
tori agli altri con la forza.
a Secondo, il fatto che il progresso senza precedenti
della tecnica e la sempre maggiore uniformità del livel-
lo di sviluppo dei paesi capitalisti ha permesso e favo-
rito lo sforzo spasmodico di qualche paese per superare
gli altri, ha permesso a paesi meno' potenti, ma svilup-
patisi più rapidamente, di superare i più potenti,
a Terzo, il fatto che la vecchia divisione delle sfere di
influenza tra i vari gruppi imperialisti viene continua-
mente in conflitto con i nuovi rapporti di forza sul mer-
cato mondiale, e che per il ristabilimento dell’ equilibrio
tra vecchie distribuzioni delle) sfere d’influenza e i nuo-
vi rapporti di forza, sono necessarie delle redistribuzio-
ni periodiche del mondo per mezzo di guerre imperia-,
listiche ». (STALIN, Ancora una volta sulle deviazioni
social-democratiche)_

Le guerre di conquista, inevitabili sotto l’ imperialismo,


sovvertono completamente i rapporti di forza tra le diverse
nazioni. La guerra imperialista del 1914-18 portò allo schiac-
ciamento della Germania, allo smembramento dell’Austria-
Ungheria ed alla creazione di parecchi nuovi Stati sulle loro
rovine. La disuguaglianza di sviluppo dei vari paesi è dimo-
strata con particolare chiarezza dagli anni del dopoguerra.
L ’America guadagnò più degli altri dalla guerra, traendo
profitto dalla lotta altrui. Precedentemente essa era in de-
bito verso altri paesi, specialmente verso l’Ingghilterra : ora
quasi tutto if mondo, compreso l’ Inghilterra, è in debito ver-

243
so l’America. Una quantità di rami dell’ industria america-
na hanno quasi raddoppiate) la produzione dopo la guerra.
Meno del 7 per cento della popolazione mondiale è
riunita negli Stati Uniti che occupano circa il 6 per cento
della superficie del globo. Contemporaneamente fino alla
crisi attuale, negli Stati Uniti venivano prodotti : il 40 per
cento del carbone del mondo, il 35 per cento dell’ energia
idroelettrica, il 70 per cento del petrolio, il 60 per cento
del ,grano e del cotone, il 55 per cento del legname da co-
strazione, circa il 50 per cento del ferro e del rame e circa
il 40 per cento del piom bo e dei fosfati. Finov all’ epoca del-
la crisi, gli Stati Uniti consumavano il 42 per cento della
produzione mondiale del ferro, il 47 per cenici del rame, il
69 per cento del petrolio, il 56 per cento della gomma, il 55
per cento dello stagno, il 48 per cento del caffè, il 21 per
cento dello zucchero, il 72 per cento della seta, e l’80 per
cento delle automobili. -
D ’ altro canto l’ Inghilterra che occupava il primo posto
nell’ economia mondiale prima della guerra, declinò rapida"
mente. Dopo la guerra l’ Inghilterra sviluppò principalmen-
te le sue banche,, ma i rami più importanti dell’ industi-ia
(qtiello del carbone in particolare) rimanevano allo stesso
livello, mentre i paesi rivali progredivano.
La crisi attuale ha apportato degli immensi cambiamene
ti nei rapporti di forza tra le varie nazioni predatrici capi-
taliste, colpendole in modo assai diverso. Così la disugua-
glianza dello sviluppo è ancora aumentata. Gli Stati Uniti
furono i più colpiti ed è questa la ragione per cui non oc-
cupano ora lo stesso'posto di qualche anno fa. Inoltre l’A -
merica era la sola dominatrice ideologica della borghesia
europea e dei capi della social-democrazia. Ora la crisi ha
messo in luce tutte le profonde contraddizioni del capitali-
smo americano. Della tanto decantata « prosperità » ameri-
cana non, è rimasta nemmeno una traccia. Naturalmente gli
Stati Uniti mantengono ancora il primo posto tra i paesi
capitalisti; tuttavia, s’ indeboliscono e questo rafforza le con-
traddizioni che stanno squarciando il mondo capitalista.

244
17 — La legge dello sviluppo ineguale e la rivoluzione pro-
letaria.
La legge de,'lo sviluppo ineguale, acutizzata dall’ epoca
imperialista, distrugge tutte le fantastiche teorie sulla pos-
sibilità di un accordo pacifico tra i monopolisti dei vari
paesi. L ’ aumento delle contraddizioni tra i predoni impe-
rialisti e l’inevitabilità di conflitti militari mette in luce la
debolezza generale degli imperialisti, creando una situazione
in cui il fronte mondiale dell’ imperialismo è più vulnera-
bile. ai colpi della rivoluzione proletaria. Su questa base, una
brecia in questo fronte è possibile nel punto in cui la sua
linea è più debole, dove le condizioni son più favorevoli
alla viltoria del proletariato. L ’insegnamento leninista del-
la possibilità dei trionfo dela rivoluzione proletaria e della
costruzione del socialismo in un singolo paese (insegnamen-
to che fu soggetto alle più severe critiche del trotzkismo) è
inseparabilmente legato alla legge dello sviluppo ineguale
del capitalismo, legge che raggiunge il suo punto di massi*
ma acutezza nell’ epoca dell’ imperialismo.
« Lo sviluppo ineguale politico ed economico — scrive
Lenin —■è una legge assoluta del capitalismo. Ne conse-
gue che la vittoria del socialismo è possibile dapprima
in pochi o anche in un solo paese capitalista. 11 prole-
tariato vittorioso di questo paese, dopo aver espropria-
to i capitalisti e organizzato la sua propria produzione
sociale, resterà di fronte al resto del mondo capitalista,
attraendo a sè le classi oppresse degli altri paesi, ori-
ginando delle rivolte tra loro contro i capitalisti e, in
caso di necessità, interverrà con la forza delie armi con-
tro le classi sfruttatrici ed il loro Stato ». (LENIN, La
parola d’ ordine degli Stati Uniti d’ Europa).
La legge leninista dello sviluppo ineguale è quindi di
immensa importanza per la pratica rivoluzionaria. Stalin
sottolinea che, anche durante la guerra, Lenin, basandosi
sulla legge dello sviluppo ineguale dei paesi imperialisti,
contrappose alla teoria degli opportunisti la sua teoria della

245
rivoluzione proletaria, l’ insegnamento del trionfo del socia-
lismo in un unico paese « anche se questo paese è capitali-
sticamente meno sviluppato ».
Nello stesso tempo gli opportunisti di tutti i paesi ten-
tavano di coprire il loro tradimento della rivoluzione col-
! affermazione che la rivoluzione proletaria deve cominciare
simultaneamente in tutto il mondo. I traditori della rivolu-
zione si crearono così una specie di mutua rispettabilità. La
dottrina della legge della sviluppo ineguale è soggetta a fu-
riosi attacchi da parte dei teorici social-democratici e, so-
pratutto, da parte del trotzkismo che costituisce l’ avanguar-
dia della borghesia controrivoluzionaria.
Trotxky ed i suoi seguaci dichiarano che nell’ epoca del-
l’ imperialismo la disuguaglianza di sviluppo dei singoli pae-
si non deve aumentare, ma diminuire.) 11 trotzkismo non ve-
de quelle contraddizioni decisive che determinano la cre-
scita della disuguaglianza dello sviluppo e si riallaccia quin-
di alle conclusioni social-democratiche dell’ impossibilità di
costruire il socialismo in un unico paese. Questa negazione
della possibilità della vittoria del socialismo nell’U.R.S.S.
è strettamente, legata con la teoria trotzkista della rivoluzio-
ne permanente, con lo scetticismo sulla possibilità di una
ferma alleanza tra il proletariato e le masse dei contadini
medi, e sul potere dell’ abilità creativa del proletariato a
costruire il socialismo.
Il trotzkismo conduce una lotta disperata contro la po-
litica leninista del Partito) Comunista dell’Unione Sovietica.
Uno dei maggiori espositori del carattere controrivoluziona-
rio del trotzkismo fu proprio Stalin. Durante il lungo perio-
do di anni in cui il Partito Comunista Russo condusse la
sua lotta contro questa deviazione Stalin ne mise brillante-
mente in luce l’ essenza controrivoluzionaria menscevica a
dispetto delle frasi di <« sinistra » che la mascheravano.
li crollo completo del trotzskismo è mostrato inequivo-
cabilmente dalle storiche vittorie del Primo Piano Quin-
quennale; riassumendone i risultati Stalin dice :
('I risultati del Primo Piano Quinquennale hanno smen-
tilo la tesi socialdemocratica, secondo cui non è possibile
erigere il socialismo in un paese solo. I risultati del Pri-
ino Piano Quinquennale hanno dimostrato che è invece
perfettamente possibile di erigere il socialismo in un
unico paese, datocché le fondamenta economiche di una
tale società sono già state gettate neli’U.R.S.S. ». (STA-
LIN, I risultati del Primo Piano Quinquennale).

18 — La teoria del superimperialismo.

In opposizione alla teoria leninista dell’ imperialismo*


la social-democrazia ha formulato la falsa teoria del super-
imperia'ismo, il cui autore è Kautsky che ha un’ immensa
esperienza in distorsioni e falsificazioni del marxismo e che
ora si dà da fare come uno dei più arrabbiati sostenitori e!
propugnatori dell’ intervento contro l’Unione Sovietica.
La sostanza del punto di vista di Kautsky contro il qua-
le Lenin combattè energicamente è questa : Kautsky nega
che l'imperialismo sia uno stadio a sèi una fase, o un nuovo
passo nello sviluppo del capitalismo, distinto da particola-
rità economiche speciali. Secondo questo autore l’ imperiali-
smo non è un sistema economico ma rappresenta soltanto
una certa politica dei capitalisti di alcuni paesi. La sua
principale defìnizionej contro cui combattè Lenin, dice :

« L ’imperialismo è il prodotto de! capitalismo indu-


striale altamente sviluppato. Esso consiste nella tenden-
za di ogni nazione industriale capitalista di porre sotto
ih suo controllo e di annettere sempre maggiori regio-
ni agrarie, qualunque sia la nazione che abita queste re-
gioni ». (Citato da LENIN, in L ’imperialisTìio, ecc., ca-
pitolo VII).
.« Questa definizione è completamente falsa teoricamen-
te » dice Lenin, ed ecco come egli espone gli errori di
Kautsky :

« La forma caratteristica dell’ imperialismo non è la do-


minazione del capitale industriale, ma quella del capi-
tale finanziario d ie tenta di annettersi non soltanto i
paesi agricoli! ma ogni sorta di paesi. Kautsky distingue
l’ imperialismo politico dal m onopolio economico per
aprire la strada al suo volgare riformismo borghese col
«d isa rm o» il « superimperialismo » e simili sciocchez-
ze. 11 succo e! lo scopo di questa falsità teorica è di ma'
scherare le profonde contraddizioni dell’ imperia] :s no.
Viene così confermata l’ effettiva unità tra, gii apologisti
dell’imperialismo, i social-sciovinisti e gli opportuni-
sti ». (LENIN, L ’imperialismo e la scissione nel socia•
lismo).
Lenin insiste sul fatto che la definizione ’ di Kautsky
è scorretta e non è marxista, ma, al contrario, è la base di
tutto un sistema che è in aperto contrasto col marxismo,
tanto in teoria che in pratica. Col separare la politica dal-
l’ economia, col dipingere Timperialismo soltanto come un
ìsistema preferito da qualche paese capitalista, Kautsky as-
sume la posizione dei riformisti borghesi che pensano sia
possibile effettuare una politica più pacifica senza prima
spezzare la base economica dell’ imperialismo. Questa è la
ragione per cui, come acutamente nota Lenin, con Kautsky
si arriva
« al risultato di mascherare .e di nascondere le più pro-
fonde contraddizioni dell’ultimo stadio del capitalismo,
in luogo di svelarne la profondità. Invece di marxismo
si ha del riformismo borghese ». (LENIN, L ’ imperiali-
smo, ultima ecc., cap. V ili).
La posizione borghese e controrivoluzionaria di Kaut-
sKy diveniva particolarmente evidente nei suoi argomenti at-
torno al cosiddetto « super-imperialismo » che sono basati
fondamentalmente su definizioni antimarxiste deH’ imperia-1
lismo.
La teoria del super-imperialismo afferma che, come ri-
sultato della crescita delle associazioni monopolistiche in
diversi paesi, scompaiono le contraddizioni e le lotte tra
questi paesi, dato che i loro capitalisti formano delle al-

246
leanze tra loro; le guerre imperialiste restano confinate nel
passato, mentre sorge un mondo economicamente unito.
La teoria del super-imperialismo pacifico contraddice asso-
lutamente al marxismo rivoluzionario e falsa completamen-
te il quadro della realtà dell’ imperialismo,. confutando que-
sta invenzione di Kautsky, Lenin scrive :
« Si metta ora; questa realtà,. con le sue immense varietà
di condizioni politiche ed economiche, con l’ estrema
differenza della velocità di sviluppi tra i vari paesi, con
la lotta violenta degli stati imperialisti, a confronto con
la sciocca favoletta di Kautsky,. di un super-imperiali-
smo «pacifico». Non è questo il tentativo reazionario di
un filisteo pauroso per sfuggire alla severa realtà? 1
cartelli intemazionali considerati da Kautsky come i ger-
mi del super-imperialismo... non ci offrono forse l’ e-
sempio della divisione e della ridivisione del mondo,
del passaggio dalla divisione pacifica alla divisione vio-
lenta e viceversa? Forse che il capitale finanziario ame-
ricano e degli altri paesi che si è ripartito^ pacificamen-
te il mondo con la partecipazione della Germania —'
per esempio nel Sindacato Ferroviario Intemazionale o'
nel Trust Marittimo Internazionale — non è ora impe-
gnato nel ridistribuire nuovamente il mondo secondo
nuovi rapporti di forza, modificati con metodi nient’ af-
fatto pacifici ». (Ibidem).
Lo sviluppo ineguale dei vari paesi che diviene più pro-
nunciato sotto l’imperialismo, confuta completamente la
teoria del super-imperialismo.
« Le chiacchiere di Kautsky su] super-imperialismo fa-
voriscono, tra l’ altro, quell’ idea profondamente sbaglia-
ta ed atta soltanto a portare acqua al mulino degli apo-
logisti dell imperialismo : che la dominazione, cioè del
capitale finanziario attutisca le contraddizioni rf le disu-
guaglianze nell’ economia mondiale, mentre,, in realtà,
le acuisce ». (Ibidem).
Kautsky, come riformista borghese ed apologo dell’ im-

249
perialismo, tenta di mascherare la sue contraddizioni più a-
cute. Egli nega che l’ imperialismo sia una fase separata del'
10 sviluppo del capitalismo Questa negazione gli è neessa-
ria per nascondere tutte le caratteristiche fondamentali di
questa ultima fase che fanno dell’ imperialismo il preludio
della rivoluzione socialista. La teoria del super-imperiali'
smo, come tutte le sue variazioni successive, è diretta con-
tro la legge leninista dello sviluppo ineguale che, raggiunge
11 suo punto più alto sotto l’ imperialismo. La teoria del su'
per-imperialismo nega l’ aumento delle disuguaglianze nello
lo sviluppo del capitalismo all’ epoca dell’imperialismo e
chiude gli occhi sui fatti più evidenti che sono la chiara' dh
mostrazione di questa ineguaglianza. Kautsky nega il signi'
ficato della dominazione monopolistica come caratteristica
fondamentale per distinguere questo nuovo periodo dello
sviluppo del capitalismo. Egli nega la tendenza della de-
cadenza connessa ai monopoli. Egli maschera accuratamen-
te il carattere narassitario dell’ imperialismo. Egli nega chq
questo sia capitalismo moribondo; al contrario la teoria del
super-imperialismo nasce dalla premessa che l’ imperialismo
non è l ’ ultima fase del capitalismo, e che il capitalismo non
esaurisce le sue risorse all’epoca dell’ imperialismo. Qui
Kautsky condivide la posizione di tutti i dotti servitori della
borghesia che si esercitano a provare che1il capitalismo esi-
sterà ancora a lungo e che sta raggiungendo soltanto ora;
la sua maturità.
La posizione di Kautsky sull’ imperialismo è caratteristi-
ca dell’ideologia defila social-democrazia internazionale. R o-
sa Luxemburg, di cui i trotzkisti adottarono gi errori quan-
do tentarono di diffondere le loro idee nel mondo sotto la
veste di luxemburghismo idealizzato, incorre in errori di
tipo chiaramente kautskiano sul problema dell’ imperiali-
smo Ella non considera l’imperialismo come uno stadio se-
parato nello sviluppo del capitalismo, ma come una politica
definita di un nuovo periodo. Nel suo principale lavovo teo-
rico, L ’accumulazione del capitale, la Luxemburg conclude
che un collasso è inevitabile, non perchè le intime contrad-
dizioni del capitalismo raggiungano la massima acutezza al-.

250
l’ epoca deH’ imperialismo, ma a causa del conflitto del ca-
pitalismo con le circostanze esteriori, a causa dell’ impossi-
bilità di realizzare del plusvalore sotto il cosiddetto capitali'
smo « puro » (cioè una società! capitalistica composta solfali»
to da capitalisti e lavoratori senza alcuna massa non-capita-
lista di piccoli produttori). Basandosi su questa posizione
semi-menscevica,, la Luxemburg non può arrivare alla con-
cezione leninista dell’ imperialismo, ad una comprensione
esatta dele sue caratteristiche fondamentali e delle sue p o -
sizioni originali. I suoi errori nella concezione dellim peria-
lismo, sono strettamente legati alle sue erronee posizioni
in parecchi problemi politici : la questione agraria e na-
zionale, la scissione nella social-democrazia, il ruolo del
Partito e gli elementi spontanei del movimento, ecc. La
teoria del co’ lasso automatico del capitalismo, praticamente
disarma la classe lavoratrice, propaga tra di essa una con-
cezione di passività e, di fatalismo, addormentando la sua
volontà di lotta. E’ evidente che gli errori kautsKiani della
Luxemburg sulla questione dell’ imperialismo la trattennero
da! rompere. le relazioni con Kautsky e con il kautskismor
servendo come un ponte tra lei e il centro kautskista, an-
che durante il corso della guerra imperialista aliando il tra-
dimento di Kautsky e la sua diserzione completa nel cam-
po controrivoluzionario dell’ imperialismo divenne comple-
tamente evidente.
La posizione trotzkista sulla teoria deH’imperialismo,
è soltanto una delle varietà del kautskismo. Durante la
guerra Lenin affermò ripetutamente che Trozki è un kaut-
skisiai che egli condivide le vedute di Kautsky, difende e
maschera le distorsioni del marxismo di quest’ ultimo. Di-
fendendo de posizioni di Kautsky, il trotzkismo si getta con
particolare velenosità contro la legge leninista dello sviluppo
ineguale, e questo non è sorprendente. Noi abbiamo già vi-
sto che questa legge non lascia in piedi una pietra di tutta
la costruzione controrivoluzionaria del super-imperialismo
di Kautsky. La costruzione trotzkista è la teoria controri-
voluzionaria dell’ impossibilità di costruire il socialismo in

251
un paese solo sulla base della negazione della legge lenini-
sta dello sviluppo ineguale.

19 —■ La teoria de capitalismo organizzato.

I capi della social-democrazia descrivono le cose come


se il progresso del m onopolio conducesse alla sostituzione
dell anarchia capitalista con mi nuovo sistema : quello del
capitalismo organizzato,
I teorici social-democratici cominciano a spargere la
leggenda del capitalismo particolarmente organizzato du-
rante la parziale stabilizzazione degli anni del dopoguerra.
11 più importante seminatore di questa teoria è uno dei più
sfacciati capi della social-democrazia ; Hil'ferding. 1 social-
democratici tentano di dimostrare che con la crescita del
m onopolio si pone fine all’azione delle forze cieche del
mercato. Il capitalismo si organizza da solo, la concorrenza
sparisce, l’ anarchia della produzione è eliminata, le crisi
diventano cose del passato, l’ organizzazione cosciente, pia-
nificata, predomina. Partendo da questo principio la social-
democrazia raggiunge la conclusione che i trust ed i cartelli
si evolvono pacificamente in economia socialista; consenguen-
temente basterà aiutare i banchieri ed i trust a rafforzarsi e
quindi il capitalismo si trasformerà da solo, senza lotta
nè rivoluzione, in socialismo.
E’ chiaro che la teoria del capitalismo organizzato non
è che un ulteriore sviluppo della teoria di Kautsky, del
super-imperialismo. La teoria social-democratica del capi-
talismo organizzato maschera ed oscura le contraddizioni
lampanti dellimperialismo. proprio come la teoria di
Kautsky del super-imperialismo. Lenin notò che Hilferding,
anche prima della guerra, negando il parassitismo e le ca-
ratteristiche deirimperialismo, rimaneva anche al di sotto
di quegli scienziati borghesi che, studiando l’ imperialismof
non riescono a vedere quei fenomeni che pure sono evi-
denti
La teoria del capitalismo organizzato, promettendo, un
piacevole e tranquillo passaggio al socialismo, serve ad in-

252
gannare gli elementi più arretrati della classe operaia, di-
stogliendoli dalla lotta rivoluzionaria.
Questa teoria controrivoluzionaria è confutata ad ogni
passo dalla realtà capitalista contemporanea ed è comple-
tamente frantumata quando viene considerata alla luce del-
l’ analisi deH’imperialismo data da Lenin.
Noi abbiamo già visto cbe l ’imperialismo non elimina,
ma anzi acutizza e rafforza le contraddizioni fondamentali
del sistema capitalista. Non soltanto non scompare l’anar-
chia, della produzione, ma, al contrario, essa assume pro-
porzioni gigantesche e provoca delle conseguenze partico-
larmente rovinose. La concorrenza tra i m onopoli è molto
più violenta di quanto fosse precedentemente tra i singoli
capitalisti. Sotto l’ imperialismo le crisi diventano più gravi
e più rovinose e le loro conseguenze toccano le classi lavora-
trici ancor più crudelmente. La crisi del 1907 serve di pro-
va, dato che toccò il paese dove il m onopolio era più po-
tente, gli Stati Uniti, con violenza particolare. L ’ attuale!
crisi mondiale del capitalismo mostra nella maniera più
chiara possibile, la futilità della leggenda del' capitalismo
organizzato, messa in circolazione dai lacchè della borghe-
sia e sostenuta dagli opportunisti di destra, sia nel Partito
Comunista Russo che negli altri partiti dell’Internazionale
Comunista. Il compagno Bukharin dichiarava che il « il pro-
blema del mercato,, dei prezzi, della concorrenza e delle
crisi diventano sempre più problemi di economia mondiale,
essendo rimpiazzati all’ interno dei paesi da problemi dì
organizzazione ».
Da questo gli opportunisti di destra traevano la conclu-
sione che le contraddizioni interne dei paesi capitalisti
stanno sparendo, che il capitalismo sta diventando più for-
te e che non si potrebbe parlare di un aumento della ma-
rea rivoluzionaria’ che dopo la prossima guerra imperialista.
Il grave errore riguardo alla teoria del capitalismo or-
ganizzato non è accidentale per il compagno Bukharin,
Questa posizione aliti-leninista è strettamente connessa a
tutta la serie degli errori nel campo della teorìa dell’ im-

253
perialismo che egli ha commesso sin dal principio della
guerra.
Lenin combattè per parecchi anni (1915"‘20) gli errori di
Bukharin che gli contrapponeva la sua propria teoria del
cosiddetto « imperialismo puro ». Ingannati da frasi di « si-
nistra » e mascherandosi con esse, i seguaci di questa teoria
si allearono in pratica con i punti di vista social-democrati-
ci sulle questioni dell’ imperialismo.
L ’ errore più grave della teoria bukhariniana sta nella
estrema semplificazione e nella rappresentazione scorretta
della realtà imperialistica. I suoi seguaci mascherano le più
profonde contraddizioni insite nell’imperialismo. Essi chiu-
dono gli occhi sul fatto che l’ imperialismo sorge e si svi-
luppa dal vecchie^ capitalismo e che non ne elimina le con-
traddizioni, mai al contrario, le acuisce al massimo.
Nel suo Rapporto sul Programma del Partito all’ V in
Congresso del Partito, nel 1919, Lenin, accennando alle sue
divergenze con Bukharin chiarì che

« . . . l’ imperialismo puro, senza la base fondamentale


del capitalismo non esistette, non esiste e non esiste-
rà mai ».
Nello stesso, discorso, Lenin disse inoltre :
« La concezione di Bukharin è una descrizione letteraria
del capitalismo finanziario. 11 capitalismo monopolistico
non esiste in realtà senza libera concorrenza in parec-
chi campi, nè esisterà nel futuro ».
E continuò :
« Se noi avessimo a che fare con un imperialismo che
avesse rifatto completamente il capitalismo, il nostro
problema sarebbe mille volte più facile. Noi allora a-
vremmo un sistema in cui tutto sarebbe soggetto unica-
mente al capita'e finanziario. Noi dovremmo soltanto ri-
muovere questo controllo e lasciare il resto al proleta-
riato. Questo sarebbe molto piacevole, ma disgraziata-
mente non è. Nella realtà lo sviluppo è tale da obbli-

254
*

garci ad agire in modo interamente diverso. L’imperia?


lismo è una sovrastruttura del capitalismo... Di fronte
a noi sta il vecchio capitalismo che, in molti campi,
si è trasformato in imperialismo ».
La falsa teoria dellm perialism o puro, difesa da Buklia-
rin quando egli era uno dei capi del gruppo dei cosiddetti
i« comunisti di sinistra » servì come base alla teoria del ca-
pitalismo organizzato.
La crisi attuale del capitalismo mostra chiaramente la
assoluta infondatezza della sua teoria. E’ evidente che la
funzione opportunistica del capitalismo organizzato presa a
prestito dai social-democratici non ha nulla a che fare co!
marxismo-'eninismo. Lenin ripetutamente insistette sul fat
to che i monopoli, nascendo dalla concorrenza, non la eli-
minano ma esistono sopra, accanto ad essa, originando per-
ciò uno speciale acutizzarsi di tutte le contraddizioni e di
tutti i conflitti. Lenin ha scritto :
« L ’ imperialismo aggrava ed acutizza le contraddizioni
del capitalismo, esso intreccia il m onopolio con la li-
bera concorrenza, ma non può abolire lo scambio, il
mercato, la concorrenza, le crisi, ecc. L ’ imperialismo
è capitalismo discendente, non capitalismo finito... mo-
rente, non morto. La forma generale dell’imperialismo
non è il monopolio puro, ma i monopoli, accanto al-
lo scambio, al mercato, alla concorrenza ed alle crisi.
E’ proprio questa combinazione di principii contrad-
ditori, della concorrenza col monopolio, che costituisco
l’ essenza dell’ imperialismo e lo conduce al crollo fina-
le, alla rivoluzione socialista ».
20 — Parassitismo e decadenza del capitalismo.
L imperialismo è capitalismo parassitario e decadente.
I monopoh capitalistici danno inevitabilmente origine a una
tendenza alla stagnazione ed alla decadenza. Essi tendono a
stabilizzare i prezzi! di m onopolio.al più alto livello. Con la
libera concorrenza ogni capitalista cerca di aumentare il
suo profitto col diminuire le spese di produzione, introdu-

255
cencio quindi ogni possibile miglioramento tecnico. I mono-
poli, sino a che possono mantenere i loro prezzi elevati,
non hanno alcun interesse all’ introduzione dei miglioramen-
ti tecnici. A l contrario, essi spesso temono le nuove inven-
zioni più di ogni cosa, perchè queste minacciano di 'por fine?
alla loro posizione di privilegio, obbligandoli ad immensi
investimenti di capitale Per questo i monopoli ritardano
spesso artificialmente il progresso tecnico. L ’ era dell’ impe-
rialismo m'o’ tiplica questi fatti senza limite.
Nel suo lavoro sull’ imperialismo, Lenin cita l’esempio
delle macchine inventate da Oweus negli Stati Uniti prima
della guerra e che avrebbero rivoluzionata l’ industria delle
bottiglie. Un cartello germanico acquistò i brevetti e ne
sospese i utilizzazione. Il periodo del dopo guerra vide pa.
recciii di, tali casi. Non molti anni fa fu inventata una lam-
padina incombustibile, una « lampadina perpetua »; l’ inven-
zione non è stata ancora posta sul mercato perchè dimi-
nuirebbe la vendila di lampadine da parte; del trut interes-
sato. Il trust svedese degli zolfanelli che aveva i suoi ten-
tacoli praticamente su tutto il mondo e lavorava coll’aiuto
di banche americane fu assai disturbato dall’ invenzione di
un accenditore « perpetuo » fatta da un certo chimico vien-
nese. Il metodo per ottenere petrolio dal carbone, scoperto
dal prof. Bergius in Germania, è stato acquistato dal trust
del petrolio in America che ne tiene sospesa l’ applicazione.
Le ferrovie americane non sono state elettrificate soltanto
perchè ciò sarebbe svantaggioso per i monopolisti.
Tuttavia la tendenza ad aumentare i profitti per mezzo
di miglioramenti tecnici persiste sino ad un certo grado.
Per questa ragione i maggiori trust hanno dei laboratori ec-
cellenti e degli istituti di ricerche scientifiche dove lavo*
rano migliaia di ingegneri, di chimici e di fisici. A causa
dei monopoli, però, soltanto una parte delle scoperte sono
applicate. In determinate condizioni ora l’ una ora l'altra
tendenza viene a galla : ora la tendenza al ristagno! ora la
tendenza ai perfezionamenti tecnici.
Il trotzkismo si distingue per una mancanza totale di
compresione del carattere reale delle contraddizioni dell’ im-

256
perialismo come sistema parassitario e decadente. Il trotz-
kismo sfugge la lotta delle due tendenze che si urtano sotto
l’ imperialismo ; la tendenza allo sviluppo delle forze pro-
duttive da un lato? e, dall’ altro lato, la tendenza a ritar-
dare il progresso tecnico. E questa lotta, è il continuo con.'
/Zitto di queste tendenze che origina l’ acuirsi delle contràri*
dizioni che sono la caratteristica; dell’imperialismo. Il trotz-
kismo tenta di far apparire le cose come se all’imperiali-
smo seguisse un ristagno completo dello sviluppo tecnico?,
un « imbottigliamento » completo dello sviluppo delle forze;
produttive. Un tal punto di vista conduce direttamente ah
la falsa teoria del « collasso automatico del capitalismo »
di cui ci siamo» già occupati. Questa posizione è anche con-
nessa inseparabilmente con la negazione della legge dello
sviluppo ineguale sotto l’ imperialismo.
Il carattere parassitario della borghesia si manifesta con
particolare forza nell’ epoca dell’ imperialismo La grande
maggioranza della borghesia non ha assolutamente nulla a
che vedere col processo di produzione. La massima parte
dei capitalisti è gente che vive del taglio delle cedole delle
azioni; essi possiedono le azioni, le obbligazioni, i prestiti
.governativi e tutte le garanzie che danno un reddito. Le
imprese sono dirette da forze tecniche stipendiate. La bor-
ghesia ed il suo numeroso corteggio (politicanti, intellettua-
li borghesi, clero, ecc.) consuma il prodotto del lavoro di
milioni di schiavi salariati del capitale. Intere nazioni, co-
me la Svizzera' ed intere regioni, come il Sud della Francia,
parte dell’ Italia e dell’ lnghiterra? sono trasformate in luo-
ghi di piacere per la borghesia internazionale che va a
spendervi le sue rendite sfoggiando un lusso pazzesco.
L ’ epoca dell’ imperialismo porta con sè un grande de-
clino della civilizzazione capitalista. La venalità cresce c
penetra in tutte le sfere della politica, della vita pubblica,
dell’arte, ecc, I monopoli maggiori mantengono apertamente
ai loro ordini gruppi definiti di rappresentanti in parla-
mento,. ministri, ecc. I capi del governo sono più stretta-
mente uniti con le banche maggiori, le corporazioni e i

257
trusl. I milioni impiegati in « regali » agli uomini politici
rendono possibile alle banche ed ai trust di fare tutto quel-
lo che vogliono nel paese. La stampa è agli stipendi del
grande capitale. I più vecchi ed i più dignitosi giornali bor-
ghesi cambiano filosofia politica quando passano ad un nuo-
vo proprietario. Anche una gran quantità dif'giornali gialli,
a base scandalistica., possono essere posseduti dagli uomini
daffari. Così, dopo la guerra, la maggioranza di questa
stampa gialla e anche parecchi quotidiani « seri » caddero
nelle mani del grande capitalista Stinnes che si era arric-
chito con la guerra e ancor più col dopoguerra per mezzo
della più sfrenata speculazione. Dopo il collasso! del gruppo
Stinnes che aveva posseduto miniere di carbone e di ferror
linee marittime e cinematografiche, una gran parte della
sua fortuna di giornali passò ad un altro grande capitalista
deH’ industria pesante : Hugemberg — uno dei capi della
borghesia tedesca che più fece per l’ ascensione al potere
della sanguinaria dittatura di Hitler.
La frode, la truffa, l’ imbroglio e l’ inganno divennero
sempre più i mezzi abituali d’ avanzamento per i grandi capi-
talisti e i politicanti borghesi. Questi delitti vengono sco-
perti soltanto di rado, quando falliscono, e allora ne risul-
tano dei grossi scandali. Così, nel 1932, lo scandalo di Ivàr
Kruiiger, il capo del trust degli zolfanelli svedesi ed uno
dei più violenti istigatori dell’intervento antisovietico,. che
sconvolse tutto il mondo Egli si suicidò quando fu sull’ orlo
del fallimento. Dopo il suo suicidio vennero a galla una
quantità di imhrog’ i e di falsi coi quali egli tentava di sal-
varsi dal collasso che lo minacciava a causa della crisi. L o
stesso anno, il 1932, vide il tremendo scandalo in Francia
della Oustric Stock Company che,, come fu provato, era
l’ opera di alcuni abili truffatori collegati coi maggiori uo-
mini politici e coi più grandi banchieri. Con ogni genere di
false promesse questa banda riuscì a togliere dalle tasche
dei creduli piccoli borghesi decine di milioni di franchi.
Nel 1933 fece molto rumore negli Stati Uniti la scoperta
di un certo numero di transazioni oscure da parte del più
grande capitalista di quel paese : Morgan.

258
In America vi sono parecchie bande di gangsters bene
organizzati che riscuotono il massimo rispetto, pur essen-
do particolarmente note. Esse sono organizzate in propri
trust che mantengono le migliori relazioni con la polizia
e col governo.
Nei paesi più progrediti l’imperialismo corrompe gli
strati superiori della classe lavoratrice. Con gli enormi red-
diti tratti dalle colonie, coi superprofitti spremuti ai paesi
più arretrati ed a spese della maggiore oppressione, e del
continuo impoverimento della massa del proletariato, il ca-
pitale monopolistico aumenta i salari e, in generale, miglio-
ra le condizioni di una piccola parte privilegiata di lavo-
ratori. Gli strati superiori del proletariato diventano così
un baluardo dell’ ordine borghese. L ’ imperialismo, però, può
innalzare soltanto un’ infima minoranza della classe lavora-
trice Questo innalzamento avviene, a spese dello sfrutta-
mento sempre più grande della massa dei lavoratori. In,eon~
clusione esso conduce ad un ulteriore aumento delle contrad-
dizioni di classe, ad un maggiore approfondimento dell’ a-
bisso tra le classi.

21 — L ’imperialismo, epoca della condanna del capitalismo.

L ’ imperialismo è uno stadio storicamente distinto del


capitalismo. Questa distinzione è, come abbiamo visto, tri-
plice : Vimperialismo è, in primo luogo, capitalismo mono-
polistico; in secondo luogo, capitalismo parassitario e deca-
dente e, in terzo luogo, capitalismo moribondo. La linea di
separazione che divide il marxismo-leninismo rivoluziona-
rio da tutte le distorsioni e le falsificazioni del marxismo
sta nella caraterizzazione dell’ epoca dell’ imperialismo e del
monopolio, come epoca di capitalismo parassitario, deca-
dente e moribondo. Nell’epoca dell’ imperialismo tutte le
contraddizioni fondamentali del capitalismo raggiungono i
loro estremi limiti, sono acutizzate al massimo. Le più im -
portanti tra queste contraddizioni, come Stalin nota nel suo
libro sulle questioni del leninismo, sono tre.
Esse sono : primo : Vantagonismo tra lavoro e capitale.

259
Imperialismo significa l’ onnipotenza di un pugno di capi-
talisti sui m onopoli e sulle banche. L ’ oppressione dell’ oli-
garchia finanziaria è così grande che i metodi precedenti di
lotta delle classi lavoratrici (unioni di lavoratori del v e c
chio tipo, partiti parlamentari) diventano assolutamente ina-
deguati. L ’ imperialismo, aumentando l’impoverimento del-
le. classi lavoratrici sino ad un livello senza precedenti, e
il loro sfruttamento da parte di un piccolo gruppo di mo-
nopolisti e di banchieri, pone ai lavoratori in tutta la sua
forza il problema di un nuovo metodo di lotta rivoluzio-
naria. L ’ imperialismo spinge il lavoratore alla rivoluzione.
Secondo : Vantagonismi* tra le varie cricche dei pesceca-
ni finamari e tra le potenze imperialiste nella loro continua
lotta per impadronirsi di nuovi territori, di fonti di mate-
rie prime e di mercati per la vendita e per l’ investi mento, di
capitali. Questa frenetica lotta tra le varie cricche imperia-
listiche conduce inevitabilmente alle guerre nelle quali le
maggiori potenze versano fiumi di sangue ed| innalzano mon-
tagne di cadaveri al fine di ridistribuire il mondo già diviso
e di acquistare nuove, fonti di ricchezza per pochi miliardi.
Queste lotte tra gli imperialisti conducono inevitabilmente
ad un mutuo indebolimento delle posizioni capitalistiche in
generale, avvicinano il giorno della rivoluzione proletaria e
la rendono necessaria per salvare la società dalla morte.
Terzo : l’antagonismo tra il piccolo numero delle nazio-
ni cosiddette « civili » e l’ enorme massa della popolazione
dei paesi coloniali e dipendenti. Centinaia di milioni di
uomini vivono infatti nel mondo coloniale e semicoloniale
sotto la dominazione dei pirati imperialisti.
,« L ’ imperialismo rappresenta il più svergognato sfrutta-
mento e la più inumana oppressione della popolazione
(centinaia di milioni di uomini) delle colonie e dei pae-
si dipendenti ». (STALIN, Leninismo, voi. I).
In caccia di super profitti, gli imperialisti costruiscono
impianti, fabbriche e ferrovie nei paesi coloniali e semico-
loniali, sconvolgono il vecchio ordine di cose, aprono la via
col ferro e col fuoco a nuovi rapporti capitalistici. La cre-
scita dello sfruttamento imperialistico conduce al rafforza-
260
mento del movimento di liberazione delle colonie e dei
paesi soggetti indebolendo la posizione capitalistica del; mon-
do, scuotendo’a alle radici* ed arrivando a trasformare que-
sti paesi, come nota Stalin, « da riserve dell’ imperialismo in
riserve della rivoluzione proletaria ». 11 movimento di li-
berazione nazionale delle colonie diviene una minaccia per
l’imperialismo ed un sostegno per il proletariato rivolu-
zionario.
L ’ estremo acutizarsi di tutte le contraddizioni crea una
situazione nella quale l’ iniperi ali sm o costituisce la vigilia
della rivoluzione socialista. Le contraddizioni si acutizzano
ad un grado tale che l’ulteriore mantenimento dei rapporti
capitalistici diventa un insopportabile ostacolo aH’uiteriore
sviluppo della società umana. I rapporti capitalistici osta-
colano il progresso delle forze produttive; come conseguen-
za il capitalismo decade e si sfascia mentre è ancora in vita.
Questa putrefazione interna non ese'ude lo sviluppo di sin-
goli paesi e di singoli rami dell’industria anche in un periodo
di crisi generale capitalista.
Una fortissima quantità di valori deperiscono
improduttivamente sotto l ’imperialismo; la classe capita-
lista con tutti i suoi servitori si trasforma nel più maligno
cancro parassitario che rode in modo sempre più insoppor-
tabile la massa dei lavoratori diseredati 11 capitalismo
monopolistico crea egli stesso tutte le premesse necessarie
per la realizzazione del socialismo.
« 11 grado altissimo di sviluppo del mondo capitalistico
in generale e la sostituzione della libera concorrenza
col monopolio capitalistico, il fatto che le banche e le
corporazioni capitalistiche costituiscono un appara-
to per la regolazione sociale del processo di produzione
e di distribuzione del prodotto, il rialzo dei prezzi e la
aumentata oppressione del proletariato in seguito alla
crescita dei monopoli capitalistici, l’ asservimento delle
classi lavoratrici da parte dello Stato imperialista, il
peso gigantesco imposto alla lotta politica ed economica
degli sfruttati, gli orrori* le calamità, le rovine, causate

261
dalla guerra imperialista —> tutto questo conduce inevi-
tabilmente al collasso del capitalismo ed al passaggio
ad un tipo più alto di sistema economico-sociale ». (Pro-
gramma e leggi del P. C. (b) dell’U-R-S-S.).
L ’ imperialismo conduce inevitabilmente alle disastrose
guerre imperialistiche. La guerra mondiale del 1914-18 get-
tò tutto il sistema capitalistico in una crisi generale, carat-
terizzata dall’ estrema acutezza e dall’intensità di tutte le
contraddizioni dell’ imperialismo. I principii enunciati dal
Comintern sul problema della crisi generale del capitali-
smo, su un periodo, cioè, di dissoluzione e di collasso del
capitalismo, sono basati direttamente sulla teoria leninisti-
ca dell’ imperialismo e ne formano una parte integrante ed
inseparabile. Le asserzioni di ogni genere dei contrabban-
dieri trotzkisti, che negano i principii enunciati dal Co-
mintern sulla crisi generale del capitalismo, significano il
loro completo distacco dal marxismo-leninismo, la loro com-
pleta rottura con la teoria leninista' dell’ imperialismo.
L ’ imperialismo è l’ epoca della caduta e della distru-
zione del capitalismo, il periodo della vittoriosa rivoluzione
proletaria. Lenin più di una volta dichiarò che

« l’imperialismo è il più alto stadio di sviluppo del ca-


pitalismo. Il capitale nei paesi avanzati ha superato i
confini degli Stati nazionali. Esso ha stabilito il mono-
polio al posto della concorrenza, creando così tutti i
requisti obbiettivi per il completamento del sociali-
smo ». (LENIN, La rivoluzione socialista ed il diritto
delle nazioni all’ autodeterminazione).

Lenin ripetè continuamente che l’epoca dell’ imperiali-


smo è l’ epoca della maturazione e dell’ imputridimento del
capitalismo giunto ormai alla vigilia del suo collasso, ma-
turo per cedere il posto al socialismo.
L ’ epoca dell’ imperialismo è quindi l’ epoca del crollo
e della distruzione del capitalismo, l’era delle, rivoluzioni
proletarie.

262
QUESTIONARIO

1 •
— Come la concorrenza conduce alla formazione del mo-
nopolio?
2 — I monopoli eliminano la concorrenza?
3 — Quale è la fonte dei profitti monopolistici?
4 — Quale è il nuovo ruolo delle banche nell’ epoca del-
l’imperialismo?
5 — Che cosa provoca l’ esportazione dei capitale?
6 — Qual’ è la funzione delle tariffe?
7 — Qual’ è la legge dello sviluppo ineguale?
8 — Che cosa vi è di essenzialmente falso nelle teorie del
capitalismo organizzato?
9 — Come si collega la teoria del capitalismo organizzato
con quella dell’ ultra-imperialismo,
10 — Come si manifesta la decadenza del capitalismo sotto
l’imperialismo?
11 — Quali sono ì cinque fondamentali attributi dell'impe-
rialismo?

263;

—. J
s

M
CAPITOLO X

LA GUERRA E LA CRISI
GENERALE DEL CAPITALISM O f )

I — L ’ imperialismo e il crollo del capitalismo.

Le contraddizioni fondamentali del sistema capitalista


ricevono il più alto sviluppo nell’ epoca dell’ imperialismo.
Da un lato ; un pugno di magnati capitalisti degenerati;
dall’ altro : l’ immensa maggioranza dell’ umanità diseredata.
Tale è il quadro della società capitalista sotto la dominazione
deH’imperialismo.
Nell’ epoca dell’imperialismo comincia la decadenza ed
il declino del sistema capitalistico. L ’ ordine esistente di-
venta un impedimento per il successivo sviluppo. Il pen-
siero umano, la scienza e l’ ingegneria riportano sempre
nuove vittorie sulla natura : l ’uomo assoggetta l’una dopo
l’ altra le sue terribili forze alla propria volontà. Il frutto
di queste vittorie viene però carpito da un gruppetto di pri-
vilegiati e, inoltre, i rapporti capitalisti restringono le
possibilità di applicazione di molte delle più brillanti
scoperte.
Considerando l'umanità nel suo complesso si vede che
è diventata abbastanza ricca perchè possa esser data a cia-
scuno una buona esistenza e che sono ancora i rapporti ca-1

(1) V edi nota a pag. 14.

265
pitalisti che impediscono che questo si realizzi. Una im-
mensa ricchezza non è usata a beneficio di larghe masse,
ma a loro detrimento. Le guerre devastatrici, inevitabili sot-
to rimperialismo, mietono molte vittime umane, e distrug-
gono il frutto del duro lavoro di molte generazioni.
Il socialismo o la distruzione, il socialismo o l’ inevita-
bile degenerazione : questo è il problema che si pone nel-
l’ epoca deH’imperialismo. 11 proletariato mondiale deve as-
solvere un compito della massima importanza : esso deve
strappare l’umanità dalla stretta dell’ imperialismo. Nella
lotta per rovesciarne il regno il proletariato trova molti al-
leati tra tutti i diseredati della terra : le masse lavoratrici
dei paesi coloniali che sentono pesare sulle loro spalle tut-
to il peso del regime imperialista, le masse rovinate dei
contadini, e gli strati intermedi dei lavoratori sono gli al-
leati del proletariato nella lotta per il rovesciamento del
capitalismo. Nonostante temporanee disfatte in. un paese o
in un altro, la vittoria finale del proletariato è inevitabile.
Così rimperialismo porla ad un’ estrema acutezza le
contraddizioni di classe e fa lotta tra le classi. In questa lotta
il destino del sistema capitalista è fissato : questo spiega la
durezza della battaglia.
Le ineguaglianze dello sviluppo capitalista, aumentate
nella epoca deH'imperialismo, creano differenti condizio-
ni per la vittoria del proletariato nei diversi paesi. Natu-
ralmente il proletariato si impossessa del potere e procede
a costruire il socialismo nel momento e nel luogo in cui le
condizioni sono più favorevoli.

« Gli enormi progressi tecnici in generale e dei mezzi


di comunicazione in particolare, la crescita colossale
del capitale e delle banche porta alla maturazione e
poi alla putrefazione del capitalismo : esso è sopravis-
suto» ed è diventato il più reazionario impedimento allo
sviluppo umano, riducendosi al regno di una oligarchia
ristretta di miliardari incitanti le nazioni a sgozzarsi a
vicenda per decidere se un gruppo tedesco od anglo-
francese deve arraffare il bottino imperialista : il pote-

266
re colonialet le sfere finanziarie di influenza, i mandati
amministrativi ecc;
« Durante la guerra del 1914-18 decine di milioni di
uomini furono uccisi e mutilati unicamente per questi
motivi. Questa verità è penetrata con impeto e con ra-
pidità incontrollabili tra le ùmasse dei lavoratori dì
tutti i paesi, e questo tanto più quanto maggiori sono
state le rovine che la guerra ha portato dappertutto,
comprese le «nazioni vincitrici» che debbono pagare gli
interessi) dei debiti fatti per la guerra.
« 11 crollo del capitalismo è inevitabile. La coscienza
rivoluzionaria delle masse è continuamente crescente.
Migliaia di fatti lo indicano.
« 1 capitalisti, la borghesia! possono, in circostanze par-
ticolarmente favorevole per loro, ritardare la vittoria
del socialismo in questo od in quel paese a! costo della
distruzione di altre centinaia di: migliaia di lavoratori e
di contadini, ma non possono salvare il capitalismo ».
(LENIN, Risposte alle domande dei giornalisti a*
mericani).
2 — La guerra mondiale imperialista.
La lotta tra gli imperialisti per una ridistribuzione del
mondo cominciò con la guerra mondiale del 1914-18. Que-
sta guerra scosse il sistema capitalista dalle fondamenta ed
apportò indicibili sofferenze ai popoli. In tutti i paesi com-
battenti furono chiamati sotto le armi 62 milioni di uomi-
ni. ìPiù di 10 milioni furono uccisi e il numero dei feriti e
dei mutilati che rimasero minorati per tutta la vita rag-
giunse i 24 milioni.
Immense ricchezze dei paesi più prosperi del mondo
furono pazzamente distrutte. E’ stato calcolato che la guer-
ra sia costata trecento miliardi di dollari. Per concepire
questa somma bisogna ricordare che tutta la ricchezza dei
paesi combattenti alla vigilia della guerra ammontava a 600
miliardi di dollari. La guerra distrusse quindi la metà del-
la ricchezza che tutte le nazioni di Europa avevano ammas-
sato a prezzo di duro lavoro per molte generazioni.

267
La guerra portò la distruzione nella economia capita-
lista del mondo. Essa spezzò tutti i legami che collegavano
certi stati. Alcuni paesi rimasero completamente isolati (la
Germania). La produzione di materie prime e di c iti si re.
strinse. Immense masse di produttori, lavoratori e conta-
dini, furono tolte alle loro occupazioni dalla chiamata alle
armi. In certi paesi quasi un terzo di tutti i lavoratori del-
l’ industria e della agricoltura era sotto le armi. Non si
deve dimenticare che la guerra si prese gli strati più pro-
duttivi della popolazione: i giovani. Soltanto i vecchi, gli
adolescenti e le donne, il cui lavoro era naturalmente as-
sai inferiore, furono lasciati a casa.
Immense regioni furono devastate e ridotte a deserto
durante le azioni militari. Le fronti della guerra mondiale
si trovarono non solo in regioni agricole, ma spesso anche
nei più importanti centri industriali. Il fuoco distruttore
delle artiglierie cancellò gli impianti e le fabbriche dalla
faccia della terra. Le miniere vennero inondate, intere cit-
tà. intere regioni furono spazzate come, per esempio, la
Francia del Nord, che costituiva la fronte più importante
della guerra mondiale.
Finalmente la più importante forma di rovina econo-
mica fu la trasformazione di tutta l’economia nazionale che
cambiò il carattere della produzione secondo i bisogni dei
belligeranti.
Con lo scoppio della guerra il carattere della produzio-
ne cambiò completamente; alle prime tre merci fondamen-
tali —1 mezzi di produzione, articoli di consumo e articoli
di lusso — se ne aggiunse una quarta che occupò il posto
principale : strumenti di distruzione e di sterminio — ar-
tiglieria, munizioni, aeroplani, sottomarini, fucili; tank; gas
venefici ecc. Le spese della guerra mondiale ammontarono
a 5.700 miliardi di lire in una epoca in cui tutta la ric-
chezza delle nazioni in guerra ammontava a 11.400 miliar-
di. 11 reddito annuale di queste nazioni ammontava! a 1.615
miliardi di lire.
Se noi ammettiamo che il reddito nazionale di ogni pae-

268
se si sia ridotto, durante la guerra soltanto di un terzo a
causa della immensa diminuzione di lavoratori, e che sia
ammontato così a circa 1.100 miliardi di lire, di cui il 55
per cento veniva assorbito dalle spese non militari, noi tro-
viamo che il reddito nazionale normale non poteva coprire
le spese di guerra che sino all’ ammontare di 500 miliardi
di lire circa, il che fa 2.000 miliardi di lire per i quattro
anni della guerra. In conseguenza gli altri 3.700 miliardi
dovevano venire dal capitale fisso delle nazioni belligeran-
ti. Ne consegue che la ricchezza totale delle; nazioni in guer-
ra dovette ridursi da 11.400 a 7.700 miliardi, cioè di un terzo.
11 conflitto produsse poi indicibili distruzioni nel campo
del potere lavorativo umano.
Nel 1915 la popolazione di Europa era di 401 milioni e
con la crescita normale della popolazione, avrebbe dovuto
raggiungere i 424 milioni e mezzo nel 1919, mentre non ar-
rivò che a 389 milioni. In altre parole l’Europa perse 35
milioni e mezzo di individui, cioè il 9 per cento di tutta
la popolazione. L ’influenza della guerra nella riduzione
della popolazione europea fu sentita, primo, nella perdita
materiale di vite umane — sui fronti di battaglia e nell’in-
terno a causa delle epidemie — secondo, nella riduzione
delle nascite a causa della mobilitazione di quasi tutti gli
uomini e, terzo, nell’ aumento della percentuale della mor-
talità a causa delle peggiorate condizioni di vita (fame,
privazioni^ ecc.).
Se si considera che queste enormi perdite umane colpi-
rono principalmente la migliore capacità lavorativa delle
nazioni combattenti, apparirà chiaro il quadro della distru-
zione dell’apparato umano di produzione.
A questo bisognerebbe aggiungere il fatto che, durante
la guerra una gran parte degli operai specializzati fu sosti-
tuita da operai comuni e che la diminuzione della mano
d’ opera scelta causò quindi una grande perdita alle na-
zioni belligeranti.
La guerra apportò indicibili torture alle masse dei la-
voratori. Gli operai e i contadini vestiti di uniformi m ili-
tari furono trasformati in carne da cannone da spedire al

269>
fronte dove la morte e le sofferenze li aspettavano. Gli
operai che rimanevano a casa lavoravano nelle fabbriche
sino all’ esaurimento per salari di fame. Sotto la dittatura
militare ogni senso di scontentezza da parte delle masse e-
ra represso nel modo più spietato ed inumano. Gli operai
nell’interno vivevano nel costante timore di essere spediti
al fronte dove la morte o le ferite li attendevano. Durante
la guerra il proletariato fu condannato alla fame.
La guerra intensificò al massimo tutte le contraddizioni
del sistema capitalistico, allargò l’ abisso tra lavoratori e
capitalisti; rovinò le masse dei contadini e peggiorò le con-
dizioni degli impiegati e della piccola, borghesia coll’ aumen-
tare il loro impoverimento.

« ... La guerra è imperialista da ambedue i lati... Tan-


to la borghesia tedesca che quella anglo-francese laf com-
. battono per rubare i territori stranieri, per strangola-
re le piccole nazioni, per la supremazia finanziaria sul
mondo, per la divisione e la ridistribuzione delle co-
lonie, per salvare il regime capitalista morente collo
ingannare e dividere i lavoratori dei vari paesi » (LE-
NIN, Opere scelte).

3 — Conseguenze della guerra mondiale e crisi generale del


capitalismo.

La guerra era l’ inevitabile risultato di tutto lo sviluppo


d ell’ imperialismo. La guerra mostrò che il capitalismo era
finalmente diventato un ostacolo all’ulteriore sviluppo del-
la società umana. La guerra mostrò quali enormi minacce
per il destino dell’umanità contenga il capitalismo in sè
stesso.
La guerra mondiale fu l’ inizio della crisi generale del
capitalismo. Fu voltata una nuova pagina nella storia del
mondo. La Rivoluzione d’Ottobre spezzò il fronte imperia-
lista in Russia : al posto della Russia zarista, baluardo del-
la più medioevale reazione, sorse lo Stato Sovietico. Un se-
sto del globo fu sottratto al potere del capitale e divenne
il paese del socialismo. La Rivoluzione d’Ottobre segnò l’ i-

270
trizio della rivoluzione socialista di tutto il proletariato
mondiale. Essa divise il mondo in due campi : il campo del
capitalismo e quello del socialismo in costruzione. Essa a-
perse la prima breccia nella struttura capitalista. A l po-
sto del capitalismo universale di prima, si urtano ora due
sistemi radicalmente opposti : quello capitalista e quello
socialista.
Dalla Rivoluzione d’ Ottobre il capitalismo ha cessato
di essere l’unico sistema che domina la terra. Accanto ad
esso è nato un nuovo sistema, un nuovo ordine ; quello del
socialismo. L ’ Unione Sovietica è la terra madre del prole,
tariato mondiale. Questa epoca è quella della caduta e
della distruzione del capitalismo, l’ epoca della rivoluzione
proletaria mondiale e quella della vitoria del socialismo.
La guerra mondiale rifece la carta de mondo. Essa cam-
biò radicalmente i rapporti di forza tra i vari paesi capi-
talisti. La rivoluzione proletaria ha trionfato in un sesto
del mondo e lo ha sottratto alla dominazione del capitale.
Ma anche nel resto del mondo che è rimasto in potere^ del
capitalismo, si sono realizzati molti importanti cambiamenti.
La guerra alterò profondamente l’economia nazionale
dei paesi che vi hanno partecipato.! Le nazioni vittoriose —•
gli Alleali —■ tentarono naturalmente di far pagare^ tutte le
spese della guerra ai vinti, tra i quali però si poteva trar-
re qualcosa soltanto dalla Germania, dato che gli alleati
di questa (Austria-Unglieria, Turchia, Bulgaria) erano nel-
lo stato più deplorevole.
1 tedeschi erano i principali nemici degli alleati. Era
stata la concorrenza con l’ imperialismo tedesco che aveva
condotto i dominatori della Gran Bretagna e della Francia
alla guerra. La prima preoccupazione dei vincitori fu quin-
di di regolare la partita con la Germania, cancellandola
dalla lista dei possibili concorrenti, e mettendosi al sicuro
dalla sua potenza finanziaria con l’ arrestare o ritardare il
suo sviluppo economico per un lungo periodo di tempo.
Nello stesso tempo era necessario di accollare alla Ger-
mania la maggior parte delle spese di guerra. Il trattato di
pace firmato a Versaglia nel 1919 previde un certo numero

271)
di misure per derubare questa nazione. Alcune regioni le fu-
rono sottratte assegnando alla Francia i territori ricchi di
carbone e di ferro; inoltre la Germania doveva consegnare
la sua flotta mercantile agli alleati e rinunciare alle sue
colonie e a tutti i territori che possedeva al di là dei suoi
confini. Finalmente — ciò che è il più importante —' le fu
imposto un tributo sotto forma di indennità che doveva
compensare gli alleati delle distruzioni causate dalla guer-
ra (riparazioni). Questi pagamenti furono stabiliti a Ver-
saglia in 132 miliardi di marchi oro, da versarsi, secondo
le clausole del trattato, in un certo numero di anni.
lì saccheggio della Germania per mezzo del piratesco
trattato di pace di Versaglia fece sì che la Germania fu, di
tutti i paesi coinvolti nella guerra, il più devastato (eccetto
la piccola Austria che la carità degli americani dovette sal-
vare dalla fame).
La guerra cambiò radicalmente i rapporti di forza nel
campo dei vincitori. Gli Stati Uniti guadagnarono più di
tutti dalla guerra, avendo preso una parte insignificante nel-
le operazioni militari, ma essendosi immensamente arricchi-
ti con i prestiti di guerra. 11 sole del capitalismo britannico,
invece, tramontò. La Gran Bretagna perdette la sua supre-
mazia sul mercato mondiale e dovette cedere il suo posto al
competitore più giovane.
L ’America provò di essere sufficientemente potente per
trarre immensi vantaggi dalla guerra in cui i suoi più vec-
chi competitori (principalmente la Gran Bretagna e la Ger-
mania) si erano tagliate reciprocamente la gola.
I paesi belligeranti non potevano soddisfare da soli i
loro immensi bisogni di carbone, ferro, acciaio, pane, pe-
trolio e vestimenti. La immensa domanda andò al Nuovo
Mondo. Contemporaneamente i mercati per manufatti nei
paesi agricoli del Sud America, dell’Asia ecc. erano liberi.
IPrima della guerra la Gran Bretagna, la Germania e gli
altri paesi europei esportavano le loro merci in questi mer-
cati, ma durante la guerra non potevano pensare di espor-
tare dai Loro paesi. Questo provocò uno sviluppo senza pre-
cedenti dell’industria e dell’ agricoltura degli Stati Uniti.

272
L'Am erica divenne il paese più ricco del mondo. La guer-
ra spostò il centro di gravità del capitalismo mondiale an-
cor più verso l’Occidente.
Prima della guerra, l’industria non aveva occupato un
posto predominante nell’economia degli U.S.A. Ne? 1905 essi
avevano esportato prodotti agricoli per un totale di 19 mi-
liardi di lire e prodotti industriali soltanto per 8740 milio-
ni. Durante la guerra l’ industria si sviluppò con rapidità
senza precedenti. Nel 1914 le industrie degli Stati Uniti
producevano per un totale di 460 miliardi e mezzo di lire,
nel 1918 la produzione era salita a 1.189 miliardi.
Durante il periodo della guerra la produzione di tessili
crebbe del 40 per cento, quella dell’ acciaio del 40 per cen-
to, del carbone e del rame del 20 per cento, dello zinco
dell'80 per cento, del petrolio del 45 per cento.
Dal 1913 al 1918 la costruzione di transatlantici crebbe
più di dieci volte e la produzione di automobili raddoppiò.
Durante il periodo delia guerra, gli Stati Uniti furono tra-
sformati in un paese industriale esportatore di manufatti.
Nel 1919 ne esportarono per un totale di 39.368 milioni,
mentre esportarono soltanto 26.752 milioni di lire di ma-
terie prime e di articoli di consumazione.
Anche l’ agricoltura degli Stati Uniti progredì durante la
guerra : tra il 1913 ed il 1918 il raccolto crebbe del 12 %
e il numero del bestiame anche di più.
La guerra rese gli Stati Uniti la nazione più ricca del
mondo. Prima lo era la Gran Bretagna : essa aveva soste-
nuto la parte principale del mondo capitalista! aveva pos-
seduto capitali in tutta la terra, e tutti, compresa l’Ameri-
ca, le erano debitori. La moneta inglese la sterlina *
era considerata la più solida del mondo : era quasi impos-
sibile concepire che essa venisse deprezzata. La guerra cam-
biò tutto ciò; la Gran Bretagna perse una gran parte della
sua ricchezza nella guerra e retrocesse al secondo posto,
mentre gli Stati Uniti divennero mostruosamente ricchi.
Dal 1915 al 1920 le esportazioni degli Stati Uniti supe-
rarono le importazioni di 342 miliardi di lire, ciò che si-
gnifica che essi diedero alle nazioni belligeranti in Europa

273
342 miliardi di merci in più di quanto non ne ricevettero.
Come fu garantita questa immensa somma? Che cosa fecero
gli Stati Uniti per riscuoterla?
Prima di tutto le imprese negli Stati Uniti che avevano
appartenuto a capitalisti europei passarono nelle mani di
proprietari americani. Una somma considerevole da 57 a
95 miliardi di lire fu realizzata in questo; modo. Inoltre più
della metà delle riserve d’ oro del mondo furono concen-
trate negli Stati Uniti; i paesi belligeranti dovettero cedere
le loro riserve auree all’ America per pagare le grosse for-
niture di guerra e di articoli di consumazione che gli Stali
Uniti fornirono per le loro truppe e le loro popolazioni.
Alla fine il debito degli alleati ammontava alla enorme
somma di 190 miliardi di lire. La Gran Bretagna che do-
veva 32 miliardi di lire agli Stati Uniti, avrebbel dovuto ri-
ceverne 144 dai suoi debitori. Come risultato delle transa-
zioni effettuate tra il 1923 e il 1927 per il regolamento dei
debiti di guerra, il totale dovuto dagli alleati e dagli altri
paesi agli Stati Uniti fu stabilito (con gli interessi accumu-
lati) a 220 miliardi di lire, mentre i debiti dei vecchi allea-
ti alla Gran Bretagna furono ridotti ad un limite che cor-
rispondeva esattamente al debito della Gran Bretagna ver-
so gli Stati Uniti.
Per quanto riguarda la Germania la somma originale
stabilita per le riparazioni fu di 132 miliardi di marchi.
Il piano Dawes adottato nel 1924 obbligò; la Germania, sen-
za fissare la somma totale delle riparazioni, a pagare due
miliardi e mezzo di marchi all’anno sino al 1929; il Piano
Young che sostituì il Piano Dawes nel 1929 divise il debito
in 69 annualità di un miliardo e 900 milioni di marchi cia-
scuna. Questo piano funzionò soltanto per un anno e dieci
mesi. Il primo giugno 1931 entrò in vigore la cosiddetta
moratoria Ploover che sospese tutti i pagamenti per ripa-
razioni e debiti di guerra per un anno.
Il totale pagato dalla Germania per riparazioni ammon-
tò in totale a 58 miliardi di lire.
Le riparazioni tedesche ed i debiti interalleati eredi-
tati dalla guerra mondiale costituirono uno dei più amari

274
problemi del sistema capitalistico post-bellico, uno dei
plinti principali di discussione e di lotta nel campo dei
paesi capitalisti, uno dei nodi più intricati di contraddizio-
ni. Gli Stati Uniti non si curano delle riparazioni che co-
stituiscono una questione interna degli europei che non ri-
guarda l’America. 11 che non toglie che questa domandi a-
gli alleati, con la massima insistenza, il pagamento dei de-
biti dovutile. Lo sviluppo della; crisi economica portò ad una
pratica interruzione dei pagamenti, sia delle riparazioni che
dei debiti. E’ evidente che una tale insolvenza rende i
rapporti tra i paesi capitalisti ancora più delicati.

4 — Tre periodi della crisi generale del capitalismo.

La caduta del capitalismo si prolunga per un’intera e-


poca storica. Questa comprende il periodo della lotta del
proletariato internazionale per la sua dittatura, per il so-
cialismo.
Gli anni che seguono la guerra imperialista si divido-
no in tre periodi. Il Io periodo (1918-21) comprende l’ acuta
disintegrazione di tutto il sistema capitalistico e l’ aspra
lotta tra il proletariato e la borghesia che giunse in parec-
chi paesi sino alla guerra civile. Come effetto delle distru-
zioni causate dalla guerra, delle tremende perdite di vite e
di valori materiali, la rovina economica raggiunse propor-
zioni senza precedenti. Tutte le contraddizioni del capita-
lismo toccarono il vertice estremo. La scontentezza delle
masse che si trovavano ancora nella stessa miseria di pri-
ma era grandissima. Nei paesi dell’ Europa Centrale fiam-
meggiava la guerra civile. Una Repubblica Sovietica fu fon-
data in Ungheria e durò alcuni mesi, mentre un’ altra in Ba-
viera cadde dopo poche settimane. Nel 1920-21 una pro-
fonda crisi economica scoppiò nei paesi capitalisti rendendo
le contraddizioni ancora più acute.
Durante questi anni la Russia Sovietica dovette respin-
gere gli attacchi delle forze collegate] delle guardie bianche
russe e della borghesia internazionale. La guerra civile fini
con la vittoria del potere Sovietico, essendosi spezzati tutti

275
gli attacchi e gli interventi contro la ferrea volontà della
livoluzione proletaria. L ’ Internazionale Comunista, lo stata
maggiore della rivoluzione mondiale, fu stablilita. Per la
prima volta sorsero! in molti paesi ilei partiti comunisti che
risollevarono la bandiera del socialismo rivoluzionario, tra-
ìgeinata nellia polvere, dai traditori del socialismo della
Seconda Internazionale.
La borghesia riuscì, nella maggior parte dei paesi, con
l’aiuto dei capi traditori della social-democrazia, a respin-
gere gli assalti del proletariato rivoluzionario e a spezzare
la sua resistenza. Ne! 1923 la borghesia tedesca riuscì nuo-
vamente ad infliggere una disfatta al proletariato rivoluzio-
nario di quel paese. Finisce così il primo periodo, con la
vittoria del potere sovietico neU’U.R.S.S. da un lato, e
con la temporanea disfatta del proletariato dell’ Europa O c-
cidentale, dall’ altro.
Dopo aver sconfitto la classe operaia dell’Occidente eu+
ropeo, la borghesia prese l’ offensiva. S’ iniziò così il secon-
do periodo, quello della graduale riuscita della stabilizza-
zione parziale nei paesi capitalistici. Una certa parte di
« ricostruzione » resa necessaria dalle distruzioni provocate
dalla guerra mondiale, si realizzò nel campo capitalista.
D ’ altro canto onesto fu il periodo della rapida ricostruzio-
ne deìl’ economia nazionale dell’U.R.S.S. e dei successi più
vitali, della edificazione socialista.
Avendo respinto gli assalti delle masse operaie, la bor-
ghesia cominciò ! a fasciare le ferite più profonde lasciate
dalla guerra mondiale. Il suo metodo di curare queste fe-
rite fu di trasferire tutto il peso dell’ eredità della lotta!
imperialista sulle spalle della classe operaia. A spese di
una incredibile riduzione del livello di vita dei lavoratori
la borghesia realizzò una stabilizzazione temporanea e par-
ziale del capitalismo. In parecchi paesi la moneta fu sta-
bilizzata dopo che era stata completamente svalutata nel
caos della guerra e del dopoguerra. La borghesia cominciò
a mettere in pratica i metodi di razionalizzazione capitali-
sta. La razionalizzazione, in regime capitalista, rappresentò
un enorme aumento del grado di sfruttamento dei lavora-

276
tori, compiutosi con l’ aiuto dei nuovi miglioramenti tecni-
ci. La razionalizzazione capitalista riduce il numero degli
operai impiegati^ mentre aumenta la loro produttività. Una
parte degli operai è- messa sul lastrico, senza la più piccola
speranza di trovare nuovo lavoro. Gli operai che restano,
sono obbligati a lavorare due o tre volte più intensamente,
esaurendosi completamente a beneficio del capitale.
Una stabilizzazione parziale del capitalismo poteva av-
venire soltanto temporaneamente. Essa poteva arrivare sol’
tanto per un brevissimo tempo ad addormentare qualcuna
delle contraddizioni del capitalismo contemporaneo men-
tre era assolutamente impossibile risolvere queste contrad-
dizioni a fondo. A l contrario! queste contraddizioni erano
divenute più acute di anno in anno.
11 processo di stabilizzazione fu caratterizzato da un
aumento deirineguaglianza di sviluppo dei vari paesi. A b
cuni paesi riuscirono! a trarsi fuori più o meno rapidamente
dagli strascichi delle distruzioni della guerra, mentre altri
rimasero più arretrati sotto questo rispetto. La valuta fu
relativamente stabilizzata in epoche differenti, e così pure
la rinascita temporanea della produzione. La disuguglianza
di sviluppo negli anni della stabilizzazione fu una delle ca-
gioni delle contraddizioni che si rivelarono subito dopo.
Contemporaneamente alla stabilizzazione temporanea
del capitalismo, la ricostruzione economica dell’Unione jSo-i
vietica fece passi da gigante; le profonde ferite inflitte ab
l’ economia del paese dalla guerra imperialistica e da quella
civile che seguì furono superate in un tempo relativamente
breve, indipendentemente e senza ricorrere all’ aiuto stra-
niero. La consolidazione e la crescita del potere dell’ Unio-
ne Sovietica approfondì la crisi generale del capitalismo e
la rese più acuta. I paesi coloniali, sfruttati dagli imperia-
listi, intensificarono la lotta contro i loro sfruttatori. La
rivoluzione in Cina, a parte un temporaneo regresso, non
lasciò riposare gli imperialisti. Il movimento rivoluzionario
nell'India e nelle altre colonie del capitale inglese e fran-
cese continua a crescere. Le contraddizioni tra i paesi impe-
rialisti aumentano e diventano più acute. Il trasferimento

277
del centro economico mondiale in America, la trasforma-
zione degli Stati Uniti in sfruttatori del mondo, rende assai
più sensibili le relazioni tra gli americani e gli európeir
principalmente con la borghesia britannica. Le contraddi-
zioni tra l’America e la Gran Bretagna formano il cardine
attorno a cui gira la lotta imperialista mondiale. Quando
l'industria capitalistica raggiunse le dimensioni prebelliche,
in alcuni paesi (1927-28) la lotta per i mercati divenne an-
cora più intensa.
11 terzo periodo della crisi generale post-bellica del ca-
pitalismo si delinea. Questo periodo è caratterizzato dal-
l’ acutizzarsi delle contraddizioni fondamentali del capita-
lismo contemporaneo. Nel 1927 l’ economia mondiale, in
confronto al 1913, produsse : olio 300 per cento, ferro 102
per cento, acciaio 127 per cento, cotone 125 per cento,, gra-
no 110 per cento, segale 95 per cento. L ’anno successivo! il
1928, pervenne ad un ulteriore aumento della produzione
in molti campi. 11 capitalismo, dieci anni dopo la guerra»
superò i limiti prebellici. Ne conseguì un aumento ecce-
zionale delle contraddizioni capitalistiche tanto nell’ inter-
no dei singoli paesi che tra di essi.
Il terzo periodo della; crisi generale del capitalismo è il
periodo del crollo della stabilizzazione temporanea e par-
ziale del capitalismo; con la crisi economica mondiale che
s’ iniziò nel 1929 e scosse dalle fondamenta l’ economia dei
paesi capitalisti, arriva finalmente la fine della stabilizza-
zione capila’ ista, come sottolinea la risoluzione del 12.mo
Pleum dell’ Internazionale Comunista tenuto nell’ autunno
del 1932.
La razionalizzazione capitalista porta ad un aumento
senza precedenti dello, sfruttamento del proletariato da par-
te della borghesia, acutizzando le contraddizioni di classe
sino al loro limite estremo. La razionalizzazione, nelle con-
dizioni del capitalismo, mette capo alla chiusura di una
quantità di vecchie imprese ed alla riduzione del numero
degli operai impiegati negli impianti e nelle fabbriche ri-
manenti. La disocupazione cronica sorge. Le condizioni del-

278
la classe operaia peggiorano anche in parecchi paesi di ca-
pitalismo altamente sviluppato.
Cosi, per esempio, anche nei più ricchi paesi capitalisti,
che i riformisti considerano come una specie di « paradiso
in terra», negli Stati Uniti, avvennero i seguenti cambia-
menti, tra il 1919 e il 1925: diminuzione dei lavoratori del-
l ’industria e dell’ agricoltura e delle ferrovie del 7 per cento;
aumento nella produzione del 20 per cento; aumento della
produttività del lavoro del 29 per cento; durante questi
anni il numero dei lavoratori impiegati in questi settori
diminuì di circa 2 milioni. Una parte di questi trovò im*
piego nel commercio e nei servizi pubblici; ma la maggio-
ranza rimase disoccupata.
In Germania non vi erano meno di 3 milioni di disoc-
cupati al principio del 1929. Durante gli ultimi anni della
razionalizzazione capitalista sorse un esercito di lavoratori
costante ed anche al tempo della rinascita industriale non
diminuì mai al di sotto di un milione e mezzo.
Da mezzo milione ad un milione di lavoratori erano;
permanentemente disoccupati e le loro condizioni erano
senza speranza. Queste furono le vere vittime della razio-
nalizzazione capitalista che, dopo aver spremuto tutte le
loro forze, li gettò sul lastrico.
L ’ impoverimento della classe operaia procede senza so-
ste con la crescita dei ritrovati tecnici, aumentando* enor-
memente il numero dei lavoratori gettati sul lastrico e la
quantità delle merci prodotte. Contemporaneamente aìl’im*
mensa produzione delle merci il mercato internazionale si
contrae, dato che esso dipende dal benessere delle masse.
L ’ aumento della produzione si urta con il minor consumo
di queste ultime. Le difficoltà di vendere aumentano e co-
stringono i capitalisti dei diversi paesi a condurre una lotta
selvaggia per i mercati esteri.
Nel terzo periodo la contraddizione tra lo sviluppo del-
le forme produttive e la contrazione del mercato diventa
particolarmente acuta.
Crescono le contraddizioni interne come le esterne fa-

279,
cendo pesare sui paesi capitalistici la minaccia di una crisi
generale del sistema capitalista.
Il terzo periodo porta con sè le crisi rovinose ed il pe-
ricolo sempre più grande di nuove guerre imperialiste.
N ello stesso tempo* nell’ U.R.S.S. avviene il passaggio
dal periodo di riassetto a quello di ricostruzione; si inizia
la realizzazione del primo piano quinquennale : la rico-
struzione dell’ economia nazionale, là crescita colossale del-
l’ industria socialista, la trasformazione radicale dell’ agri-
coltura sulla base della collettivizzazione, segnano il vitto-
rioso progresso del socialismo sul vasto territorio che copre
un sesto del globo. Il terzo periodo intensifica la lotta tra
due istemi .• quello di un capitalismo moribondo e quello di
un socialismo rapidamente sviluppantesi. La situazione sen-
za speranza del sistema capitalista e tutti i vantaggi del so-
cialismo sono particolarmente evidenti in questo periodo in
cui la crescita enorme del Socialismo nell’ U.R.S.S. corrispon-
de allo sconvolgimento causato da una crisi senza precedenti
che scuote il mondo capitalista dalle fondamenta.
Durante gli anni della stabilizzazione parziale* gli scri-
bi borghesi e socialdemocratici fecero ogni sforzo per pro-
vare che il sistema capitalista aveva guarito completamente
le ferite inflitte dalla guerra e superato definitivamente la
crisi post-bellica. Essi affermavano che il capitalismo era
pieno di vitalità e di forza e che aveva un futuro brillante
davanti a lui. I social-democratici affermavano che era ar-
rivato un periodo di forza e di benessere, il millennio del
capitalismo organizzato che non conosce scosse, guerre e
crisi. —<Gli opportunisti, nel seno dei partiti comuni,, ripe-
tevano queste affermazioni deliranti dai difensori della
borghesia in una' forma più velata. Gli opportunisti di de-
stra ripetevano gli argomenti social-democratici sul capita-
lismo organizzato. Durante il passaggio dal secondo al terzo
periodo, essi tentarono di dimostrare che quest’ultimo non
costituisce la fine della stabilizzazione capitalista, ma un
periodo di ulteriore sviluppo. Rasandosi sulla funzione del-
la prosperità degli Stati Uniti* crearono la teoria dell’ « ecce-
zionalità » americana, affermando che l’America era al ri-

280
paro della crisi generale del capitalismo. Secondo le loro
convinzioni la stabilizzazione del capitalismo era permanen-
te ed infrangibile. I trotzksti, invece, tentarono dapprima di
negare il significato della stabilizzazione capitalista! cavan-
dosela cori alcune frasi di sinistra; ma ben presto si acco-
darono al coro di coloro che cantavano le lodi della perma-
nenza e della costanza della stabilizzazione capitalista. 1
trotzkisti e gli opportunisti di destra non vollero ammette-
re Io scoppio dell’ attuale crisi mondiale anche quando gli
stessi politici borghesi furono costretti a riconoscerne l’ esi-
stenza.
Fin dal tempo della stabilizzazione parziale, il Partito
Comunista Russo ed il Comintern previdero l’ inevitabilità
dello scoppio di una nuova crisi. Essi si basavano sull’ a-
nalisi (condotta col metodo rivoluzionario marxista-lenini-
sta) di quelle contraddizioni interne che inevitabilmente si
sviluppano nel capitalismo moderno. Nel suo rapporto al
X V Congresso del P. Comunista dell’U .R.S.S., Stalin sot-
tolineò che dalla stabilizzazione è nata la crisi crescente del
capitalismo ». Egli disse :

« Fin dal XIV Congresso fu confermato nel rapporto


che il capitalismo può riprendere il suo livello pre-
bellico, sorpassarlo e razionalizzare la sua produzione»
ma che questo non significa ancora, non significa in al-
cun modo, che il capitalismo;, a causa della stabilizza-
zione, può diventare duraturo, che esso può ritrovare
la sua stabilità prebellica. AI contrario! proprio da que-
sta stabilizzazione; proprio dal fatto che la produzione
si allarga, che il commercio si sviluppa o che la tecni-
ca progredisce e che la capacità produttiva aumenta,
mentre il mercato mondi alej i suoi limiti e le sue sfe-
re di influenza dei singoli gruppi imperialisti riman-
gono più o meno stazionari — proprio da questa nasce
la crisi più profonda e più acuta del mondo capitalista
di ogni stabilizzazione. Da una stabilizzazione parziale,
nasce una intensificazione delle crisi del capitalismo —•
la crisi nascente spezza la stabilizzazione : tale è la

281
dialettica dello sviluppo del capitalismo in questo pe-
riodo storico ».
Gli ulteriori sviluppi mostrarono l’ assoluta precisione
del giudizio di Stalin. Già alla fine del 1929 era scoppiata
« la crisi più profonda e più acuta del mondo capitalisti*
co ». La crisi demolì tutte le belle favole degli apologisti
borghesi e social-democratici del capitalismo assieme a tut-
te le teorie opportuniste. Questa crisi dimostrò la perfetta
esattezza del giudizio sul terzo periodo come era stato dato
dal Partito Comunista Russo e dal Comintern. La crisi at-
tuale, col suo sviluppo significò il principio della fine della
stabilizzazione relativa del capitalismo, come era indicato
nella risoluzione del XII Plenum dell’ Internazionale Comu-
nista del settembre 1932.
Un invincibie acutizzazione delle contraddizioni di clas-t
se si inserì nella crisi generale del capitalismo. Nella nuo-
va situazione la borghesia, sentendo avvicinarsi la sua ca-
duta? fa uso dei metodi più decisi e più crudeli di repres-
sione contro la classe operaia. In parecchi paesi la borghe-
sia, dopo aver respinto i primi attacchi della classe operaia
proprio nei primi anni del dopoguerra, istituì delle ditta-
ture fasciste (ad esempio?, in Italia ed in Ungheria). In Ger-
mania , la borghesia istituì una dittatura fascista soltanto a
gradi, nel febbraio 1933, quando Hitler andò al potere.
Oltre ad aprire la via. alle dittature fasciste, la borgliesiar
che trova sempre maggior difficoltà a mantenersi al potere
per mezzo delle forme più velate di dittatura borghese,
reprime i movimenti operai con i metodi più sanguinari, e
passa al terrore aperto contro la classe operaia e le sue
organizzazioni. Tutto questo è la chiara ed evidente dimo-
strazione dell’ instabilità del capitalismo e dell’ incertezza
della borghesia su quello che apporterà il domani.
La forma fascista di dittatura aperta della borghesia è
perfettamente caratteristica del capitalismo all’ epoca della
sua decadenza. Il fascismo tenta di creare un baluardo per
la borghesia contro le classi lavoratrici. Esso raccoglie in-
torno a sè la piccola borghesia, i contadini, gli impiegati,
i piccoli commercianti e gli intellettuali. Esso si introduce

282
tra gli elementi più arretrati della classe lavoratrice; mo-
bilita largamente tutti gli elementi declassati; conduce la
sua fanatica difesa del capitalismo, dal principio alla fine,
sotto la maschera dell’ agitazione contro il capitalismo. La
nebbiosa demagogia anticapitalista serve al fascismo come
uno specchietto per conquistarsi degli aderenti tra le clas-
si diseredate, ma arretrate politicamente, della piccola bor-
ghesia.
« Lo scopo principale del fascismo è di distruggere la
avanguardia rivoluzionaria dei lavoratori: le Sezioni
Comuniste che guidano il proletariato riunito. Caratte-
ristica fondamentale del fascismo è una combinazione di
demagogia sociale, di corruzione e di terrore bianco
attivo, in congiunzione con un’ estrema aggressività im-
perialistica nella sfera della politica estera. Nei pe-
riodi di crisi acuta della borghesia, il fascismo riesu-
ma la sua fraseologia anticapitalistica, ma, quando si
è stabilito al governo dello Stato, pone da parte i suoi
sonagli anticapitalisti e si scopre come dittatura terro-
ristica del grande capitale ». (Programma dell’Interna-
zionale Comunista).

Q U E S T I O N A R I O 1

1 — Quali furono le cause della guerra imperialistica mon•


diale?
2 — Quali distruzioni causò la guerra?
3 — Quali paesi guadagnarono maggiormente dalla guerra?
4 — Quali furono i cambiamenti nei rapporti dii'forza tra
le potenze in seguito alla guerra?
5 — Che cosa è la crisi generale del capitalismo?
6 — Quale è la forma caratteristica del primo periodo del■*
la crisi generale del capitalismo?
7 — Perchè la stabilizzazione del capitalismo può essere
soltanto temporanea, parziale ed instabile?
8 — Qual’ è la forma caratteristica del terzo periodo?

283
*
CAPITOLO XI

L'ATTUALE CRISI MONDIALE


DEL CAPITALISMO Q

1 — La crisi economica entro la crisi generale del capita•


lismo.

La crisi attuale che ha colpito il mondo capitalista per


parecchi anni si distingue per la sua violenza senza prece*
denti. Nata nel periodo del declino e del collasso del ca-
pitalismo, in un’ era di guerra ,e di rivoluzioni proletarie,
essa si sviluppò entro quella crisi generale del capitalismo-
che sorse appunto con la guerra imperialistica.
Questa crisi si distingue da tutte le precedenti per una
circostanza particolarmente importante. Accanto al sistema
capitalista esiste ora una terra dove il socialismo è in co»
strazione e sulla via del trionfo: l’U.R.S.S. Il mondo attra*
versa ora un periodo di lotta» e di contrasto tra due sistemi
— il sistema del capitalismo moribondo e quello del socia-
lismo vittorioso. Una crisi irresistibile scuote il mondo ca-
i pitalistico, nello stesso momento in cui nell’ U.R.S.S. si sta
compiendo una quantità eccezionale di lavoro costruttivo ed
uno sviluppo straordinario dell’ economia socialista. La lot*
ta tra i due sistemi rende estremamente acuta la crisi del
capitalismo. L ’esistenza dell’ U.R.S.S. è il « memento » co-1

(1) V ed i nota a pag. 14.

285
stante della condanna del sistema capitalistico. L ’edifica-
zione vittoriosa del socialismo nell’U.R.S.S. mostra alle
masse diseredate ed asservite dei lavoratori dei paesi capi-
talistici qual’è l’unica via di salvezza dal regno della schia-
vitù e dell’ oppressione della miseria e della rovina.
« Ciò significa, prima di tutto,_ che la guerra imperia-
listica e le sue conseguenze hanno intensificato la de-
cadenza del capitalismo e distrutto il suo equilibrio,
che noi ora viviamo in un’ epoca di guerre e di rivolu-
zioni; che il capitalismo non rappresenta più il sistema
unico ed universale dell’ economia mondiale; che a fian-
co del sistema economico capitalista, esiste ora il si-
stema socialista che si sviluppa, fiorisce e si contrap-
pone al sistema capitalista e che,, per il solo fatto della
sua esistenza, dimostra la putrefazione del capitalismo
e lo scuote dalle fondamenta ». (STALIN, Leninismo,
Rapporto politico al XVI Congresso).
La crisi mondiale s’ inizia quasi contemporaneamente
nell autunno del 1929 in due regioni opposte; nei paesi più
arretrati dell’Oriente e del Sud Europeo (Polonia, Rume-
nia) e nel paese più avanzato e potente del capitalismo con-
temporaneo ; gli Stati Uniti. Da questi centri la crisi dila-
ga per tutto il mondo capitalista.
Il paese più potente e più avanzato del capitalismo mo-
derno, gli Stati Uniti di America,. furono colpiti con la
maggiore violenza. Per parecchi anni tutti i lacchè della
borghesia, tutti i suoi dotti corifei ed incensatori nel cam-
po social-democratico avevano glorificato la « prosperità »
americana ed assicurato al mondo che laggiù questa pro-
sperità non avrebbe avuto nè limite nè fine. La crisi dimo-
strò in tutta la sua crudezza la falsità e l’ errore di questi
argomenti.
La crisi attuale costituisce la prima crisi economica del
dopoguerra. Essa si sviluppò in modo ineguale nei vari
paesi; alcuni la provarono più presto, altri più tardi, e ne
furono colpiti con forza differente.
Tuttavia essa si sparse per tutto il mondo capitalista e

286
nessun paese ne fu risparmiato. In questo moti o r a parte la
disuguaglianza dei suoi effetti, si può dire che tutte le na-
zioni furono raggiunte dai colpi del suo braccio ferreo.
In epoche precedenti, prima che si iniziasse il declino
del capitalismo, le crisi apparivano dopo un periodo rela-
tivamente lungo di prosperità e di espansione dell’ econo-
mia nazionale dei paesi capitalisti. La crisi atinaie, sotto
questo rispetto, differisce radicalmente^ da tutte le crisi pre-
cedenti « normali », essendo stata preceduta soltanto da
temporanei barlumi di rinascita in qualche nazione isolata.
Questi « boom » (1) apparvero in vari paesi, in momen-
ti diversi, ed ebbero vita assai breve. In Germania, l’ anno
1927 fu un anno di ripresa, ma il 1928 mostrò già tendenza
al declino. In Polonia vi fu una certa ripresa nel 1927-28;
in Giappone nel 1928. e all’ inizio del 1929. A l contrario in
certi paesi come l’ Inghilterra, l’Australia ed il Brasile non
vi fu alcuna ripresa prima della crisi. N ell’economia di
questi paesi il periodo precedente alla crisi fu di grande
ristagno.
Descrivendo le condizioni del mondo capitalista duran-
te gli ultimi anni, il compagno Stalin dice nel suo rapporto
al XVII Congresso del Partito Comunista (b) dell’U.R.S.S. :

i« Nel campo economico questi anni sono stati anni di


crisi economica ininterrotta per tutto il mondo. La cri-
si non ha colpito soltanto l’ industria, ma anche il com-
plesso dell’ agricoltura; essa non ha soltanto infierito nel
campo della produzione e del commercio, ma anche nel
campo del credito e della circolàzione monetaria ed ha
sconvolto i rapporti valutari e creditizi trai vari paesi.
« Precedentemente vi furono dei contrasti per stabilire
se vi era o no una crisi mondiale! ma ora non, si parla
più di questo poiché l’ esistenza della crisi ed i suoi
effetti devastatori sono fin troppo evidenti. Ora la con-
troversia verte su un altro punto, se vi sia una possi-1

(1) «Boom» significa prosperità im provvisa, espansione deila produzione,


rialze dei prezzi.

287
bilità per uscire dalla crisi e, qualora vi sia, quale pos-
sa essere ».

2 — Crisi di superproduzione,

Come tutte le crisi del sistema capitalistico, anche que-


sta è una crisi di superproduzione: è stata, cioè, prodotta
una quantità di merci superiore a quella che il mercato
può assorbire.

« Ciò significa che è stata prodotta una quantità di tes-


sili, combustibili, manufatti, viveri, maggiore di quella
che può essere acquistata per il consumo della maggio-
ranza dei consumatori — la massa del popolo — il cui
credito rimane estremamente basso. E poiché il potere
d’ acquisto della massa del popolo rimane, nel capi-
talismo, al minor livello possibile, i capitalisti conser.
vano l ’ (( eccesso » di mercb tessili, grano, ecc. nei ma-
gazzini o, perfino, lo distruggono per conservare alti i
prezzi. Essi riducono la lavorazione, licenziano gli ope-
rai, e la massa del popolo è costretta a soffrire le priva-
zioni perchè sono state prodotte troppe merci ». (Ibid.).

Una crisi di superproduzione significa l’arresto delle


vendite, la contrazione del mercato, la chiusura di fattorie
e di impianti, la restrizione della produzione. Immense
quantità di merci non possono essere vendute. Questo con-
duce a’ I’ accumulazione di riserve di ogni genere : montagne
di materie prime, di prodotti industriali ed agricoli. Que-
ste riserve esercitano una pressione sul mercato. Per man-
tenere alti i prezzi una parte rilevante di queste merci sono
distrutte dai capitalisti e, sempre a questo scopo, la pro-
duzione viene ridotta. Con queste misure, i capitalisti man-
tengono elevato il livello dei prezzi di alcune merci per
qualche tempo, ma la forza della crisi si rivela superiore
a tutte le misure che essi possono adottare. La riduzione
della vendita, la contrazione del mercato, l’accumulazione
di riserve di merci conducono inevitabilmente alla riduzio•
ne dei prezzi. Sotto l’ attuale monopolio capitalistico, le cor-

288
porazione monopolistiche più potenti impegnano tutta la
loro forza nel mantenere alti i prezzi delle loro merci. Men-f
tre i cartelli ed i trust più potenti vi riescono in una certa
misura, i prezzi di tutti gli altri beni crollano rapidamente.
L ’arresto delle vendite, l’ accumulazione di riserve e la
caduta dei prezzi conducono alla riduzione della produzio-
ne con gli ulteriori effetti più gravi. L ’ esercito dei disoc.,
cupati cresce paurosamente : gli impianti produttivi delle
imprese si immobilizzano progressivamente e, come conse-
guenza, aumenta il costo di produzione, mentre i prezzi di
vendita continuano a diminuire. Le connettore più deboli
dell’ economia capitalista saltano, i fallimenti si moltiplica'
no, scoppia la crisi creditizia finanziaria.
I capitalisti gettano milioni di lavoratori sul lastrico.
1 disoccupati sono privati di tutti i mezzi di sussistenza o,
nel migliore dei casi, ricevono un sussidio di mendicità.
Quelli che rimangono al lavoro ricevono salari enormemen-
te ridotti. I guadagni dei lavoratori diventano sempre più
piccoli, ma questo provoca soltanto una diminuzione ulte-
riore del potere d’ acquisto delle masse dei lavoratori. Con'
temporaneamente la crisi agricola riduce i redditi della
popolazione rurale. Le masse contadine sono rovinate.
La contrazione del mercato interno costringe i capita-
listi a condurre una lotta fanatica per i mercati esteri. Ma
i mercati esteri sono costituiti dagli altri paesi capitalistici
o dai paesi coloniali e semi-coloniali. La borghesia di ogni
paese industriale tenta di chiudere il suo mercato all’usur'
pazione della concorrenza straniera. A questo scopo sono
introdotti i dazi protettivi, i divieti d’ importazione di certi
prodotti. Anche i mercati coloniali e semi-coloniali dei
paesi agricoli sono rovinati dalla crisi agricola e dal cre-
scere dell’ oppressione e dello sfruttamento. Tutte queste
cause conducono ad un catastrofico declino del commercio
estero, ad un estremo acutizzarsi della lotta per i mercati,
ad una enorme crescita delle contraddizioni nel mondo ca'
pitalisla.

289
3 — La più profonda e la più lunga di tutte le crisi.
Molte crisi si sono avute nella storia del capitalismo,
ma nessuna lia mai raggiunto la profondità e l’ acutezza di
quella attuale. Essa supera tutte le precedenti nella forza e
nella durata, come per lo sconvolgimento che ha portatoj in
tutte le fasi dell’ economia capitalista.
« L ’ attuale crisi economica nei paesi capitalisti differi-
sce da tutte le crisi analoghe, tra l’ altro, per il fatto
che essa è la più lunga e persistente che si sia avuta.
Le crisi precedenti durarono due o tre anni, mentre la
crisi attuale è giunta ora al suo quinto anno ed ha de-
vastato ogni anno più disastrosamente l’ economia dei
paesi capitalisti distruggendo le scorte che erano state
accumulate nel periodo precedente. Non è quindi straor*
dinario che si dica che questa crisi è la più dura di
tutte ». (STALIN, Rapporto sul lavoro del Comitato
Centrale del P.C. (b) dell’ U.R.S.S., al XVII Congresso
del Partito).
Tutti gli indizi fondamentali mettono in evidenza que-
sto fatto e caratterizzano la profondità e l’acutezza della cri-
si. Il declino della produzione, l’ estensione della disoccu-
pazione, la diminuzione del commercio estero, la caduta
dei prezzi del mercato all’ ingrosso, ecc. sono tutti sintomi
che mostrano come la crisi attuale superi tutte le crisi pre-
cedenti scoppiate durante la storia del capitalismo.
Lo specchietto seguente dà i numeri indice della crisi
attuale in confronto con le precedenti, in percentale di
riduzione:
Dim inuizionì
Produzioni Industria Commercio P rezzi a ll’ingrosso mondiale
Anni mondiale edile estero n eg li in dei prezzi
di cris i della ghisa d egli U. S. A. mondiale U .S.A. F rancia delle m erci

1873-74 8,9 — 5 30 — 20,2


1883-85 10 — 4 29 = 20;4
189092 6,5 20 1 — 21 zzz

1907- 8 23 20 7 37 5 0,8
1920-21 43,05 11 —: 41 25 21
1929-32 66,8 85,2 60 75 50 47

290
I! declino della produzione durante la crisi attuale toc-
tò un limite mai raggiunto nella storia delle crisi sin dal-
l’ inizio dell’ esistenza del capitalismo. Durante le crisi pre-
cedenti una diminuzione della produzione aggirantesi tra
il 10 e il 15 per cento era considerata spaventosa. Nell’ at-
tuale crisi la riduzione della produzione totale nel mondo
capitalista raggiunse proporzioni enormi : da un terzo a
due quinti. In alcuni dei più importanti paesi scese sino
alla metà.
Estremamente significative sono le cifre dei singoli ra-
mi dell’ industria nei paesi capitalisti. La tavola seguente
indica gli anni nei quali la produzione era equivalente a
quella del 1932, in cui fu raggiunto il punto più basso del-
la crisi :
Impiego
Nazioni Carbone Ghisa A cciaio del cotone

Stati Un. America 1906 1898 1905 1893


Inghilterra 1900 1860 1897 1872
Germania 1899 1891 1895 1889

Le industrie fondamentali nei paesi capitalisti sono


quindi state respinte indietro da 25 a 40 anni.
Questo declino senza precedenti della produzione è in-
timamente collegato ad una disoccupazione colossale, supe-
riore a quella provocata da tutte le crisi precedenti. Basta
osservare che nel 1921, quando la disoccupazione salì a
proporzioni che apparvero colossali! il numero dei disoccu-
pati raggiunse approssimativamente i 10 milioni, mentre
durante la crisi attuale, il numero dei disoccupati nei paesi
capitalisti più importanti si aggirò sui 40-50 milioni. Quali
furono le cause per cui la crisi ebbe un carattere di tale
durata e di così straordinaria acutezza ed estensione? Nel
suo rapporto al XVII Congresso P.C. (b) dell’U.R.S.S. il
compagno Stalin le analizzò in questo modo :

« La spiegazione si trova, prima di lutto, nel fatto che


la crisi industriale colpì tutti i paesi capitalisti senza

291
eccezione, ciò che rese più difficile che alcune nazioni
potessero manovrare a spese di altre.
« In secondo luogo,, nel fatto che la crisi industriale si
intrecciò con la crisi agraria che colpì tutti i paesi agri-
coli e semiagricoli senza eccezione, ciò che non poteva,
non rendere la crisi industriale più complicata.
(( In terzo luogo, nel fatto che la crisi agraria divenne
più acuta in questo periodo colpendo tutti i suoi rami
compreso l’allevamento del bestiame, e degradando a
tal punto l’ agricoltura, da costringerla a passare dal
lavoro a macchina al lavoro a mano, a sostituire il1 trat-
tore col cavallo, a diminuire e qualche volta ad abban-
donare completamente l’uso dei fertilizzanti artificiali,
ciò che rese più lunga la crisi industriale.
« In quarto luogo, ne! fatto che i cartelli monopolistici
che dominavano l’ industria si sforzarono di mantenere
alti i prezzi, ciò che rese la crisi particolarmente pe-
v uosa e ostacolò l’ assorbimento delle riserve di merci.
« Finalmente (ciò che è il più importante), nel fatto
che la crisi industriale scoppiò nel periodo della crisi
generale del capitalismo, nel momento cioè in cui il ca-
pitalismo non ha nè può avere più nella madrepatria, nel-
le colonie o nei paesi dipendenti, la forza e la stabilità
che aveva prima della guerra e della rivoluzione d’Ot-
tobre, nel momento in cui l’ industria nei paesi capita-
listi, a causa dell’ eredità ricevuta dalla guerra impe-
rialista sotto forma di sottoproduzione cronica delle
imprese e di un esercito di disoccupati ammontante a
milioni, non ha più la forza di risollevarsi.
<c Tali sono le cause che determinarono il carattere di
straordinaria permanenza della crisi industriale attuale»,

4 — Il declino della produzione.

La crisi di superproduzione conduce ad un colossale


dec’ ino della produzione in tutti i campi dell’ economia. A
partire dall’autunno del 1929, si è iniziato nei paesi capi-

292
talisti un arresto ed una contrazione della produzione, fi-
nora senza precedenti.
Mentre nell’U.R.S.S. la produzione cresce grandeme te
ogni anno, il mondo capitalista, preso nel ferreo cerchio
della crisi restringe la produzione ad un grado senza pre-
cedenti.
La tavola seguente, compilata sulla scorta di dati uffi-
ciali, mostra la tendenza delle variazioni del volume di
produzione nell’ U.R.S.S. e nei cui paesi capitalisti (dati e*
sposti dal compagno Stalin nel rapporto citato sopra):
Volume della produzione industriale
(in confronto al 1929)
19 2 0 1930 1931 1932 1933
U.R.S.S. 100 129,7, 161,9 184,7 201,6
U.S.A. 100 80,7 68,1 53,8 64.9
Inghilterra 100 92,4 83,8 83,8 86,1
Germania 100 88,3 71,7 59,8 66,8
Francia 100 100,7 89,2 69.1 77,4
Questa tavola è assai significativa. Essa mostra, prima
di tutto, che la produzione industriale nei maggiori paesi
capitalisti ha sopportato una riduzione eccezionale, mentre
la produzione industriale nell’Unione Sovietica è stata più
che raddoppiata.
In 2.o luogo, essa mostra che il punto massimo del declino
della produzione industriale nei paesi capitalisti è stato rag-
giunto nel 1932, quando il volume della produzione era di-
minuito di circa un terzo. Soltanto nel 1933 le industrie dei
paesi capitalisti cominciarono a risalire la china; ancora
nel 1933,. però, la produzione era più bassa di circa un quar-
to del livello del 1929. In terzo luogo, essa mostra che la
crisi non colpì tutti i paesi con la stessa forza e che i suoi
effetti differirono grandemente secondo gli Stati.
Bisogna ricordare, però, che anche la situazione dei
vari paesi, al principio della crisi era assai diversa. Da
questa tavola sembrerebbe che l ’Inghilterra si trovi nella'si-
tuazione più favorevole. In realtà non è così. E questo

293
riesce perfettamente chiaro se noi paragoniamo il livello
attuale queste nazioni col loro livello prebellico :
Volume della produzione industriale
(In confronto al livello prebellico)
1913 1929 1930 1931 1932 m 3
U.R.S.S. 100 194,3 252,1 314,7 359,0 391,9
U.S.A. 100 170,2 137,3 115,9 91,4 110,25
Inghilterra 100 99,1- 91.5 83,0 82,5 85,2
Germania 100 113,0 99,8 81,0 67,6 75,4
(Francia 100 139,Q 140,0 124,0 96,1 107,6
Da questa tavola risulta evidente che le industrie del-
ringhilterra e della Germania sono scese al disotto del
loro livello prebellico. Le industrie degli Stati Uniti che,
nel 1929, avevano raggiunto il 170 per cento della produ-
zione prebellica, superano ora questo livello solo del 10
per cento.
Contemporaneamente le industrie dell’ Unione Sovietica
si erano praticamente quadruplicate in confronto all’ arretra-
tezza delle industrie zariste prebelliche.
Il declino catastrofico della produzione nei paesi capi-
talisti significa una perdita immensa di forze produttive.
L ’apparato produttivo creato col sudore e col sangue
delle masse dei lavoratori viene utilizzato solo in minima
parte. Una gran parte delle fornaci, degli altiforni, delle
miniere, delle fabbriche, degli impianti tessili non viene
utilizzata. Gli impianti che costituiscono l’ultima parola deb
l’ ingegneria rimangono immobili. Immense ricchezze in v c
vestite in queste imprese sono perdute; gli impianti stessi
vanno in pezzi se nessuno li usa o li custodisce. La grande
maggioranza delle imprese producono al di sotto delle loro
possihi’ ità, e questa è una delle più chiare manifestazioni
della crisi del sistema capitalistico.
Cosi, per esempio, negli Stati Uniti, l’ utilizzazione cro-
nica degli impianti al di sotto della loro capacità si ma-
nifesta nel fatto che, già al principio della crisi, nel 1929,
le miniere di carbone lavoravano solo per il 68 per cento

294
della loro capacità, i pozzi di petrolio per il 67 per cento,
le raffinerie di petrolio per il 76 per cento, le fonderie di
ferro per il 60-80 per cento, gli impianti automobilistici
per non più del 50 per cento, le fabbriche di macchinei per
il 55 per cento, le tessiture per il 72 per cento, e in altri
rami anche meno, come nell’industria poligrafica che non
lavorava che per il 50 per cento, nell’ industria della maci-
nazione del grano che non lavorava che per il 50 per cento,
o nei lanifici che raggiungevano solo il 36 per cento. In
questo modo le industrie fondamentali, anche prima della
crisi, non potevano realizzare la loro enorme capacità pro-
duttiva in pieno. La mancanza d’impiego del potere pro-
duttivo delle imprese aumentò grandemente in seguito alla
crisi ed al conseguente declino della produzione.
Soltanto il 13 per cento dell’ attrezzatura delle acciaie-
rie e 1’ 1] per cento del macchinario usato per la fabbri-
cazione delle automobili erano in funzipne, negli Stati bi-
niti, nell’ottobre del 1932. In Germania l ’ industria non la-
vorava che per il 36 per cento del suo potere produttivo
nel dicembre 1932 e nell’ industria pesante la percentuale
era ancora più bassa.
Negli Stati. Uniti 60 altiforni furono demoliti in 4 anni.
Nel 1931, 12 forni per la fusione dell’ acciaio della capa-
cità complessiva di 710.000 tonnellate e 13 laminatoi furo"1
no abbattuti. Iti Germania 23 altiforni e 38 fonderie furono
distrutti.
Nei. giornali borghesi si possono trovare dozzine di de-
scrizioni di immensi « cimiteri ». di macchine che sono sorti
in tutti i paesi capitalisti : impianti e fabbriche con la por-
te sprangate, potenti gru immobili in una polverosa incuria,
ferrovie abbandonate e nascoste tra l’ erba, intere flotte di
navi da passeggeri e da carico immobili, foreste di ciminiere
spente stendentisi per chilometri nelle regioni industriali dei
paesi capitalisti più ricchi.

5 — II declino del reddito nazionale e la riduzione della


ricchezza nazionale.
La riduzione della produzione nell’ industria e nell’agri-

295
coltura e dei trasporti produce una contrazione dei valori
totali prodotti annualmente nei paesi capitalisti. Questo si-
gnifica che il reddito nazionale diminuisce.
Ma non questo solo. Le fabbriche che rimangono im -
mobili vanno in rovina. Le case non riparate diventano ina-
bitabili. I campi abbandonati vengono invasi dalle‘; erbe sel-
vàtiche. Per mancanza d’uso e di manutenzione, il mac-
chinario s’ arruginisce e diventa inutile. Immense quantità
di merci che non possono essere vendute, vengono distrutte
in diversi modi, provocando la distruzione pazzesca di ric-
chezze accumulate in anni di lavoro. A questo segue una
perdita straordinaria di forze produttive; frutto della fatica
di molte generazioni.
La somma totale dei valori di ogni paese — impianti,
fàbbriche, costruzioni, macchinari, attrezzature, manufatti e
materie prime — è detta generalmente la ricchezza naziona-
le del paese. E’ ovvio che nei paesi capitalisti questa ric-
chezza non è tutta nelle mani della Nazione. A l contra-
rio; sotto il capitalismo, essa è concentrata nelle mani di un
piccolo gruppo di parassiti e di sfruttatori; proprio come
la maggior parte del reddito nazionale non va alle masse-
ma alla minoranza dei fannulloni.
La tavola seguente mostra quale sia stato il declino del-
la ricchezza nazionale nei più importanti paesi capitalisti
nei primi due anni della crisi (in miliardi di lire) :
R icch ezza nazionale Reddito nazionale

19 2 9 1931 192 9 1931


U.S.A. 7600 4560 1750. 1026 .
Inghilterra 2185 1311 361. 216,6
Germania 1520 912 294.5 176,7
Francia 1292 969 171 127,3
Italia 570 ■342 95. 57
Queste cifre mostrano che in due anni di crisi cin
dei più importanti paesi capitalisti perdettero almeno il 40
per cento della loro ricchezza nazionale (5.073 miliardi di
lire su 13.167 miliardi al principio della crisi). Il loro red-
dito nazionale annuale cadde pure da 2.612 miliardi e mez-

2%
zo a 1.603 e mezzo, ciò che costituisce pure i\ 40 per cento
circa.
Queste, cifre danno un quadro generale delle devasta-
zioni spaventose portate dalla crisi nel mondo capitalista.
Esse illustrano chiaramente la follia e la criminalità del si-
stema capitalista che distrugge ciecamente le ricchezze,
mentre condanna decine e centinaia di milioni di uomini
alla fame ed alla; morte.
La crisi attuale ha superato di gran lunga tutte le pre-
cedenti per l’ampiezza della distruzione del reddito e della
ricchezza nazionali.
Quale termine di' paragone* sarà sufficiente indicare che
nella crisi del 1901 il reddito della Germania cadde del
6 per cento e che la crisi del 1907 ridusse il reddito nazio-
nale della Germania del 4 per cento e quello dell’ Inghil-
terra del 5 per cento.

6 — Disoccupazione e condizioni della classe operaia.

Tutto il peso della crisi mondiale del capitalismo cade


sulla classe operaia. La crisi portò ad un aggravamento sen-
za precedenti delle condizioni della classe operaia ad un
aumento straordinario della disoccupazione e dello sfrutta-
mento del proletariato.
La crisi generale del capitalismo che si iniziò con la
guerra mondiale provocò un aumento considerevole della
disoccupazione che raggiunse, dopo il conflitto, proporzio-
ni enormi nei principali paesi capitalisti. L ’ esercito di ri-
serva dell’ industria che scompariva nei tempi della prospe-
rità* diventò un’ armata permanente, di proporzioni già e-
normi prima dell’inizio dalla crisi attuale; in Inghilterra
il numero dei disoccupati, nel dopoguerra, non fu mai in-
feriore a un milione. La disoccupazione si diffuse con l’ on-
data di razionalizzazione industriale del 1925J27. A causa
dell’ aumento dell’ intensità del lavoro* i capitalisti realizza-
rono delle economie di forza-lavoro. Centinaia di migliaia
di operai divennero « superflui » per questo motivo.
Nel giugno 1927 la percentuale della disoccupazione in

297
Inghilterra ammontava all’8,8 per cento e nel febbraio del
1929 era già salita al 12,2 per centOi in Germania nello
stesso periodo le cifre furono del 6,3 per cento e 22i3 per
cento che corrisponde a 2.622.000 disoccupati; negli Stati
Uniti nel 1927 vi erano 2.100.000 operai senza lavoro, men-
tre tra la fine del 1928 e l’inizio del 1929 essi aumentaro-
no a 3 milioni e 400 mila.
La crisi che s’ iniziò nel 1929 provocò un aumento co-
lossale di queste cifre. La riduzione della produzione mise
sul lastrico milioni di lavoratori! mentre, sotto la pressio-
ne della crisi s’ inaugurò una ancor maggiore intensificazione
del lavoro e dello sfruttamento di quegli operai che rima-
nevano nelle fabbriche.
Nel periodo della crisi attuale, la disoccupazione rag-
giunse proporzioni mai viste in tutta la storia del capitali-
smo. Secondo i calcoli più modesti il numero dei disoccu-
pati dei maggiori paesi capitalisti raggiunse la cifra di 45
milioni. Se noi consideriamo il complesso delle famiglie,
questo corrisponde all’intera popolazione di un paese come
gli Stati Uniti. A questo numero bisogna aggiungere l’ im-
mensa quantità degli operai che sono impiegati soltanto
parzialmentej che lavorano, cioè, uno o due giorni alla set-
timana. Infine, queste cifre non comprendono le grandi
masse dei lavoratori nei paesi coloniali che la crisi ha pri-
valo del lorpi ultimo pezzo di pane. Durante il periodo del-
la crisi mondiale, la disoccupazione aumentò di quattro o
cinque volte e in qualche nazione anche più.
Si deve tener presente, inoltre! che molti paesi capitali-
stici non tengono delle statistiche complete e controllate
della disoccupazione. Generalmente i dati statistici restano
molto al di sotto del vero.
In un paese come gli Stati Uniti, non vi sono dati uf-
ficiali sulla disoccupazionej ma nemmeno) i giornali borghe-
si poterono nascondere il fatto che, al punto più basso del-
la crisi, vi erano laggiù circa 17 milioni di disoccupati, ciò
che corrisponde a circa la metà della mano d’ operai del più
ricco paese industriale. In Inghilterra alcuni dati sul nume-
ro dei disoccupati si possono ricavare dalle liste delle assi-

298
curazioni sociali. Queste liste comprendono circa 3 milioni
di disoccupati^ ma, durante gli anni della crisi, parecchie
centinaia di migliaia furono successivamente cancellati e non
ricevettero alcun sussidio. In Germania, il dati ufficiali sulla
disoccupazione sottovalutarono di molto la situazione reale,
particolarmente da quando il regime fascista di Hitler an-
dò al potere. Tuttavia, anche secondo le statistiche mini'
steriali. il numero dei disoccupati non è inferiore a 5 milioni.
Attualmente è difficile trovare in un paese capitalista
una famiglia di lavoratori in cui il capo-famiglia o almeno
i ragazzi o qualche altro membro non sia disoccupato. Que-
sto significa che il magro salario di uno solo deve nutrire
parecchie bocche affamate. Questo significa che chi lavora
non può essere sicuro del'dom an i perchè la minaccia di
perdere il suo lavoro gli pende sempre sul capo.
Il capitale conduce una campagna violenta contro l’ ele-
mosina miserabile che concede ai disoccupati e col pretesto
dell’ eonomia nelle spese governative ottiene la riduzione dei
sussidi. In paesi come la Francia e gli Stati Uniti, non esi-
ste alcuna assicurazione sociale contro la disoccupazione e
chi perde i! suo impiego deve morire di fame o dipendere
dalla carità privata. Ma anche in quei paesi dove esiste,
ci si sforza con ogni mezzo di ridurla; così in Inghilterra
e in Germania è stata diminuita considerevolmente, e parte
dei disoccupati ne sono rimasti addirittura privi.
Durante la crish la borghesia conduce la sua lotta con-
tro il livello di vita della classe operaia. Dappertutto, il
grado di sfruttamento di quei lavoratori che rimangono im-
piegati cresce; enormemente. In parecchi casi la giornata la-
vorativa fu prolungata ed accresciùta l ’intensità del lavoro.
Furono versate delle paghe eccezionalmente basse a quelli
che erano occupati solo parzialmente. Le condizioni dei la-
voratori furono quindi aggravate in ogni modo.
La borghesia approfittò delle condizioni eccezionali pei;
condurre un attacco organizzato contro i salari dei lavo-
ratori; una riduzione dei salari fu effettuata in tutti i paesi
capitalista in ogni ramo dell’ economia nazionale.
Negli Stati Uniti, la somma pagata in salari nel 1932

299
fa soltanto il 33 per cento di quella pagata precedentemen-
te; in Germania diminuì di 234 miliardi di lire nei tre anni
di crisi. Nello stesso periodo, neH’U.R.S.S., terra del socia-
lismot le paghe aumentarono da 8 a 30 miliardi di rubli.
Un economista tedesco ha condotto un’inchiesta per sco-
prire il cambiamento del livello dei salari reali degli operai
nei principali paesi capita’ isti negli ultimi dieci anni. Sulla
base di questa inchiesta egli giunge alle conclusioni seguenti :
'« Se noi paragoniamo il livello dei salari reali attuali
con quelli delie decadi precedenti, noi troviamo che ;
in Germania e negi Stati Uniti il livello dei salari reali
è più basso di quanto sia mai stato negli ultimi cinquan-
t’anni; in. Inghilterra è retrocesso sino al limite rag-
giunto alla fine del secolo scorso ed all’ inizio di questo».
Questo viene provato dai seguenti dati di vari paesi :
GERM ANIA — Il livello dei salari reali è stato conti-
nuamente ridotto nell’ultimo periodo. Così, fissando a 100
il livello nel 1913-14, noi otteniamo i seguenti numeri in-
dice (nel 1928 il livello dei salari reali,. a causa di un lieve
aumento era salito a 100, ma negli anni seguenti mostra un
continuo declino) :
1925 98
1928 . . . . . . 100
1930 89
1931 79
1932 64

Nel 1933 vi fu un’ulteriore riduzione nel tenore di vita


della classe operaia tedesca.
Le condizioni dei disoccupati erano ancora peggiori.
Per non parlare di tutti quelli che furono addirittura priva-
ti dell’ aiuto governativo principalmente per ragioni politi-
che, l ’amministrazione nazista ha ridotto il sussidio di tutti
gli altri.

INGHILTERRA — Il numero indice dei salari dei lavo-

300
ratori inglesi (fissando a 100 il livello del 1895-1903) fu,, in
media, di 98 nel 1927, 97 nel 1929 e 94 nel 1932.

STATI UNITI — I salari degli operai, considerati nel lo-


ro complesso, aumentarono a cominciare dal 1922, raggiun-
gendo il loro punto più alto nel 1929. Fissando a 100 il li-
vello nel 1898-1908, essi salirono sino a 125 nel 1929. Ma a
questo punto una forte diminuzione comincia a ridurre il
livello di vita al di sotto di quello degli anni precedenti.
Nel 1905 il numero indice cadde a 105t nel 1931 a 91, nel
1932 a 71.
Disoccupati che frugano nei recipienti delle spazzature
per trovarvi qualcosa da mangiare, incolonnati in code senza
fine davanti alle porte delle cucine di carità per ricevervi
una minestra : questo è oggi il quadro abituale di una città
capitalista. Le migrazioni lungo le grandi arterie sono di-
ventate normali negli Stati Uniti. Orde di popolo composte
di famiglie intere coi bambini e le loro miserabili masse-
rizie vagano continuamente dall’uno all’altro stato della
confederazione, in una vana ricerca di lavoro. Una inchiesta
effettuala da alcune organizzazioni di carità mise in luce
che negli Stali Uniti oltre un milione e mezzo di disoccupati
percorrono in questo modo le grandi vie di comunicazione.
La fame spinge il popolo alla disperazione. Il numero
dei suicidi in tutto il mondo capitalista è in continuo au-
mento. Nella sola città di Berlino 60 persone al giorno, in
media, si uccidono per sfuggire alla fame.
Il cosiddetto aiuto ai disoccupati diventa un mezzo di
asservimento, un lavoro forzato da penitenziario. Il lavoro
obbligatorio è ora molto in voga in molti paesi capitalisti.
Sotto la minaccia di essere privati di ogni aiuto, i disoccu-
pati sono costretti ai cosidetti «lavori pubblici» (che sono
per la maggior parte dettati dal bisogno di mano d’ opera di
qualche grande latifondista o per costruzioni militari) e co-
centrati in campi e stabilimenti dove prevale una disciplina
da prigione. La paga riscossa dai lavoratori agricoli od in-
dustriali per questi lavori è pure una paga da galeotti. 11
goveno fascista tedesco sta costruendo attivamente questi

301
campi di lavoro forzato. Questo esempio è pieno di tenta-
zione, per gli altri paesi capitalisti che alcuni anni fa alza*
vano le più vittoriose grida contro il «lavoro forzato» nella
Unione Sovietica, dove il lavoro è effettivamente «una que-
stione d’ onoreL di gloria, di valore e di eroismo ».
Gli attacchi del capitale contro gli interessi vitali dei
lavoratori provocano la resistenza di larghi strati del pro-
letariato. Un’ ondata di scioperi passa sui paesi capitalisti
distinguendosi, nelle condizioni attuali, per la sua speciale
asprezza. Essa aiuta gli operai a comprendere, la situazione
reale, dividendo nettamente gli amici dai nemici. In tempi
di crisi gli scioperi assumono immediatamente il carattere di
provocazione contro l’ordinamento borghese che condanna,
bestialmente milioni di uomini ad una miseria senza speranza.

7 — Interdipendenza della crisi industriale con quella


agricola.

L ’ acutezza e la profondità speciali della crisi sono la


conseguenza deli fatto che tanto i paesi industriali che queL
li agricoli! e tanto l’ industria che l’ agricoltura nei paesi
capitalisti, ne sono stati affetti.
La crisi att ale ha acutizzato e messo in luce tutte, le con-
traddizioni fondamentali del sistema capitalista, compreso
quelle tra l’industria e l’ agricoltura.

« Nel corso dello sviluppo della crisi economica, la cri-


si industriale nei principali paesi capitalisti non ha sol*
tanto coinciso con la crisi agraria nei paesi agricoli ma
vi è intrecciata, aggravando le difficoltà e determinando
la inevitabilità di un declino generale della attività e-
conomica ». (STALIN, Rapporto politico al XVI Con*
grosso).

La crisi industriale conduce ad un aumento senza pre-


cedenti della disoccupazione ed all’ estremo impoverimento
delle masse lavoratrici. La povertà delle masse conduce a
sua volta ad una contrazione delle vendite dei prodotti agri’
coli, a cui si aggiunge la contrazione della domanda delle

302
materie prime agricole : cotone, lana ecc. A sua volta la
crisi agraria! rovinando le masse dei contadini, li priva del-
la possibilità di acquistare i prodotti industriali, contraendo
così ulteriormente il mercato dell’ industria.
La crisi agricola è una prova lampante della incapacità
del capitalismo a regolare lo sviluppo moderno delle forze
produttrive. L ’ ingegneria moderna si sforza di ottenere una,
applicazione integrale dei metodi di lavoro, offre nuove
possibiltà alla meccanizzazione, rendendo possibile un au-
mento colossale della produttività. 1 limiti del capitalismo
sono però troppo stretti per le moderne realizzazioni tecni-<
che. Acutizzando il contrasto tra la città e il villaggio! il
capitalismo condanna quest’ultimo al ristagno ed alla deca-
denza. I rapporti capitalistici sono un inciampo insormon-
tabile allo sviluppo ulteriore dell’ agricoltura.
11 declino ed il ristagno dell’ agricoltura nei paesi capi-
talisti si rivela in modo particolarmente lampante dal con-
fronto con la U.R.S.S. ; mentre l’ aumento del terreno a-
rato nell’ Unione Sovietica, fu, nel solo anno 1931, di circa
dieci milioni di ettari! l’area coltivata a grano in tutti i pae-
si capitalisti è aumentata di soli 30 milioni di ettari negli
ultimi vent’ anni. La guerra mondiale ha provocato una pro-
fonda crisi nell’ agricoltura dei paesi capitalisti aggravando,
quasi dappertutto, l’impoverimento delle masse dei contadi-
ni e la contrazione della produzione.
La crisi attuale, nella quale il tracollo deH’industria e
deH’agricoltura sono interdipendentL è fatale per l’ esistenza
di dieci milioni di fittavoli.
Aumentando sino ad un grado senza precedenti l’ impo-
verimento del proletariato e delle masse lavoratrici in ge-
nerale, la crisi incide in modo drastico sulla domanda di
prodotti agricoli e contrae il mercato di vendita di questi
prodotti al limite minimo possibile. La contrazione massima
del mercato è provocata dall’ occumulazione di immense ri*
serve di prodotti agricoli e da un catastrofico declino dei
prezzi. L ’esistenza delle riserve, la diminuzione nella ven-
dita e il declino dei prezzi portano a loro volta ad una re*
frizio n e della produzione nell’ agricoltura.

303
I grandi magazzini ed i silos nei paesi capitalisti sono
stipati di prodotti agricoli. 1 capi! della borghesia conoscono
un solo sistema per sbarazzarsi di quest’ abbondanza : bru-
ciarla, lasciarla marcire, gettarla in mare, ma principal'
mente ridurre l’ area coltivata per costringere l’agricoltura a
produrre meno. Montagne di grano e; di mais furono lascia-
te marcire o furono bruciate; fiumi di latte furono versati,
in Germania il grano fu sottoposto ad uno speciale tratta*
mento chimico che lo rendeva inadatto alla consumazione
per l’uomo, così che esso poteva servire da cibo soltanto per
il bestiame.
I prezzi dei prodotti agricoli sono caduti profondamen-
te durante la crisi. Per esempio, il prezzo medio del grano
sul mercato mondiale diminuì del 70 per cento, mentre il
cotone, lo zucchero, il caffè e la lana perdettero la metà
del loro valore. Apparentemente i consumatori cittadinij. la
massa della popolazione avrebbero dovuto ricavarne un1gua*
dagno. In pratica è così. Prima che la merce raggiunga il
consumatore, essa passa attraverso dozzine di mani di me-
diatori, grossisti, che sono uniti in vasti monopoli che im-
pediscono la caduta dei prezzi al minuto. I prezzi al det-
taglio diminuirono pochissimo in parecchi paesi capitalisti*
durante gli anni della crisi, ed in qualcuno, anzi, aumentata*
rono (per esempio in Germania). Ma il fittavoloj. la massa
dei contadini, devono vendere al grossista i loro prodotti a
prezzi estremamente bassi che non coprono le loro spese di
semenze e attrezzi, per non parlare del lavoro che vi han-
no impiegato.
L ’agricoltore deve pagare le tasse al governo, l’ affitto al
latifondista, gli interessi sui prestiti bancari, proprio come
prima ed anche in quantità maggiore. I pagamenti di in-
teressi e di tasse assorbono la parte; maggiore di quello cìhe
il piccolo proprietario realizza sul mercato. La terra e tutte
le masserizie casalinghe vengono vendute all’ asta per, paga-
re i debiti e le tasse. In questo modo centinaia di migliaia
di fattorie sono andate perdute per il piccolo e medio con-
tadino, non soltanto in Europa, ma ancher negli Stati Uniti,
il paese che i capitalisti hanno semprci additato come quel-

304
Io del benessere e dell'agricoltura razionale sotto il capita"
Iismo. Una tale rovina senza precedenti origina una resi-
stenza sempre crescente da parte degli agricoltori contro la
pressione del capitale! dei ìatifondisti e delle banche.
I contadini cercano di unirsi e di organizzarsi contro la
vendita all’ asta dei loro beni, rifiutandosi di concorrere a"
gli incanti. V i sono stati casi in America nei quali i paesani
de! distretto si sono organizzati in modo da) impedire alle of-
ferte di salire oltre il dollaro di partenza. In questo modo
i rappresentanti delle banche furono costretti a rimandare
la vendita e a prolungare il termine del pagamento dei
debiti.
Abbandonando le loro terre i contadini rovinati diven"
tano dei mendicanti che popolano le strade maestre. Le con-
dizioni del bracciantato nei paesi capitalisti sono anche peg"
giori. Tanto in Europa che; in America è diventato normale
per i latifondisti e per i grandi fittavoli sfruttatori che im -
piegano dei braccianti, di rifiutare il pagamento in denaro.
Per una misura di grano e per poche patate mezze marce,
essi possono assumere un disoccupato della città per fare
lo stesso lavoro. 1 propagandisti borghesi predicano il ri*
torno alla terra. Delle società speciali vengono formate per
organizzare il «collocamento» dei disoccupati. Ma questo si-
gnifica soltanto che vi è un aumento nel numero delle pie*
cole fattorie che senza attrezzature possono produrre appe-
na abbastanza per nutrire i lavoratori che impiegano tutte
le loro forze. La crisi dell’ agricoltura mostra chiaramente
la situazione disperata della piccola produzione sotto il ca~
pitalismo.
II piccolo e medio contadino soffrono di più dei contrac-
colpi della crisi che impoverisce la grande massa degli a*
glicoli ori. La differenziazione tra i contadini aumentaL una)
grande quantità di essi passa nelle file del proletariato. Le
sofferenze che il contadino deve sopportare nei paesi capi-
talisti sotto l’influenza della crisi sono inenarrabili. Le tasse,
l’ affitto, gli interessi dei debiti e tutti gli altri oneri, tutto
questo preme molto pesantemente sulla gran massa degli
agricoltori ini tempo di crisi.

305
La crisi agraria provoca una restrizione della produzio-
ne agricola. 1 governi borghesi di parecchi Stati ammettono
francamente la contrazione della produzione dichiarando
che, a loro modo di vedere, questo è l’unico mezzo di al-
leviare la crisi agraria. La contrazione delia produzione nel-
l ’agricoltura, come nelLindustria, porta con sè l'immensa
distruzione di forze produttive. 1 campi di grano e di mais
non vengono arati, le piantagioni di cotone! di gomma e di
caffè rimangono abbandonate. E questo in una epoca in cui
m i’ ioni di persone hanno fame, non hanno un tetto per ri-
pararsi e mancano anche degli indumenti indispensabili.
La crisi agraria e la rovina delle masse dei contadini
provoca un declino nell'agricoltura. La vendita di macchi-
nario agricolo e di fertilizzanti artificiali cade catastrofica-
mente. Nei paesi capitalisti più avanzati l’ uso dei trattori,
delle falciatrici e delle mietitrici viene ridotto. La crisi
provoca la decadenza e la rovina dell’ agricoltura nel mon-
do capitalistico.

8. —- Crisi e monopoli.
Una delle più importanti caratteristiche della crisi attua-
le è il suo sviluppo sulla base del capitalismo monopolistico.
« La forma caratteristica del capitalismo allo stadio at-
tuale è di essere capitalismo monopolistico ciò che pro-
voca una inevitabile lotta tra i cartelli capitalisti per
mantenere alti i prezzi a dispetto della superproduzio-
ne. Evidentemente questa circostanza che rende la crisi
particolarmente penosa e rovinosa per le masse popolari,
che compongono la parte fondamentale dei consumatori,
non può aiutare a superare la crisi ma può soltanto ri-
tardare la sua fine», (Ibidem).
Per molti anni i servitori della borghesia proclamarono
che la crescita dei monopoli significava un passaggio al ca-
pitalismo organizzato. G li apologisti del capitale raccontaro-
no delle belle favole intorno alle crisi che il capitale mo-
nopolistico aveva relegato ormai nel passato. La crisi at-
tuale rivelò l’assoluta falsità1di queste invenzioni. Attualmen-

306
te la natura monopolistica del capitalismo moderno ha por-
tato ad una acutizzazione estrema della crisi ed al suo ap-
profondimento ed alla sua protrazione. 1 padroni dei mo-
nopoli tentarono prima di tutto di accollare tutto il peso
della crisi sulle spalle delle grandi masse dei consumatori,
tentando di mantenere dei prezzi alti anelli in condizioni di
superproduzione.
Infatti, a dispetto della superproduzione: i prezzi in pa-
recchie branche monopolizzate cadono più lentamente di
quelle delle merci prodotte in altri rami.
Germania A ustria Polonia
(1926--100) (1923-31—100) (1928--100)
P rezzi di P rezzi di Prezzi di P rezzi di P rezzi di P rezzi di
Anni monopoiio libera monopolio libera monopolio libera
concorrenza concorrenza concorr.

1928 102.1 106.8 — mz r : zz

1929 105.0 97.4 99 100 107.7 93-6


1930 103.1 79.7 96 87 108.9 80 9;
1931 93.6 60.8 91 76 107.8 63. a
1932 83.9 47.5, 93 73 106.1 52,5
1933 83.9 483 94 73 94.8 488
In parecchi casi la pressione della crisi si rivela più
forte di quella dei legami monopolistici ed allora i prezzi
crollano precipitosamente e i monopoli stessi vanno a pezzi.
Questo è particolarmente vero per i rami che interessano la
produzione delle materie prime. L ’ acuto declino della do-
manda di materiale grezzo e l’ accumulazione di immense»
riserve costringe finalmente i produttori a ridurre conside-
revolmente i prezzi. In questi campi i m onopoli si mostra-
no. incapaci a mantenere i prezzi ad un livello elevato.
Tutte le contraddizioni inerenti alla natura del mono-
polio capitalistico si acuiscono nelle circostanze provocate
dalla crisi.
E’ evidente che l’ indirizzo dei monopoli verso il man-
tenimento di un livello elevato dei prezzi conduce al con-
flitto più acuto tra alcuni monopoli, da un lato, e l’ intera
massa dei consumatori dei loro prodotti, dall'altro lato. 11

307
conflitto diventa più acuto tra i rami monopolizzati della
industria e quei rami dove il m onopolio è trascurabile. I-
noltre il conflitto tra i monopoli stessi si acutizza tremenda-
mente e la lotta tra le singole organizzazioni monopolistiche
diventa sempre più aspra. Parecchi di questi giganteschi
complessi non possono sopportare l’urto della crisi e vanno
a pezzi. Durante la crisi si sciolsero, per esempio, le se-
guenti grandi combinazioni monopolistiche : il Cartello In-
ternazionale dello zinco, il Cartello Europeo della ghisa, il
Cartello Internazionale della latta. 1! Cartello Europeo del-
ì’ aceiuio, sotto la pressione sempre più' potente, fu costretto
a sanzionare praticamente il ritorno alla ’ ibera concorren-
za tra i suoi membri. In Germania, l’organizzazione dei pro-
duttore di seta artificiale si sciolse, e il Cartello dello zinco
fallì; in Francia il Sindacato della ghisa fu sciolto ecc.
1 governi dei paesi capitalisti danno un potente aiuto alle
associazioni monopolistiche. I monopoli che versano in dif-
ficoltà ricevono ogni genere di sussidi e di aiuti dalla Teso-
reria governativa. Molte centinaia di milioni di marchi, di
dollari e di franchi passano così dalle lasche dei contribuen-
ti alle casseforli dei capitalisti privati.
La natura monopolistica del capitalismo moderno con-
duce al prolungamento della crisi. A ll’ epoca della libera
concorrenza, la riduzione generale dei prezzi, il fallimento
delle organizzazioni affaristiche più deboli e la contrazione
della produzione, condussero ad una lenta scomparsa della
crisi e al risorgere del movimento ciclico) dell’ industria. Col
prevalere dei monopoli questi metodi di superamento na-
turale della crisi diventano molto più difficili. 11 regno dei
monopoli conduce' all’acutizzarsi delle crisi e al loro ulteriore
approfondimento.

9 — Il declino nel commercio estero.

La crisi di superproduzione e la concentrazione dei mer-


cati conducono al declino del commercio estero. La crisi at-
tuale superò tutte le precedenti sotto questo riguardo.
La tavola seguente che mostra la diminuzione del com-

308
mercio estero nel periodo ]929-31 in confronto a quella delle
crisi precedenti, dà nna eloquente dimostrazione di questo
fenomeno :
Declino de! commercio estero
Orisi Percentuale
1873-74 . - 51
1883-84 . . . . 4
1900-01 . . • . 1
1907-08 . . 7
1929-32 . . . . 65
Il declino del commercio mondiale indebolì
economici senza i qua’ i l’ economia capitalista non può esi-
stere. 1 paesi industriali ridussero grandemente la quantità
delle importazioni di materie prime. 1 paesi agrico'i ridus-
sero l’importazione di articoli manufatti. Questo provocò
una grande riduzione tanto della produzione, che del con-
sxuno da parte delle grandi masse di lavoratori.
Il declino del commercio mondiale colpì con maggior
forza i più grandi paesi capitalisti che occupano una posi-
zione dominante sul mercato mondiale. La tavola seguente
mostra i numeri indice della riduzione dell’esportazione e
dell’ importazione nei più importanti paesi capitalistici :
(1929 100).
Declino del commercio mondiale
nei più importanti paesi capitalisti
193 0 1931 1932
Import. Esport. Import. Esport. Import. Esport.

JJ.S.A. 70 73 48 50 30.1 30.8


Germania 77 90 50 73 34.7 42.6
Inghilterra 86 78 72 53 57.6 50.1;
Francia 90 85 72 61 51.2 39,3
Italia 80 79 51 66 38.7 45.6
Un tale declino del commercio estero conduce ad una

309
acutizzazione senza precedenti della lotta per i mercati. La
concorrenza internazionale assume forme straordinariamente
acute.. In ogni paese i capitalisti tentano, prima di tutto, di
assicurarsi, il mercato interno escludendo ogni concorrenza
estera, generalmente colla introduzione di alte tariffe. Que-
sta rinascita del protezionismo in tutti i paesi capitalisti,
porta ad un grande aumento del dumping.

10 —1La crisi creditizia, l’ inflazione e la lotta per i mercati.

La natura monopolistica del capitalismo moderno lia


posto il suo marchio sull’intero processo di sviluppo. Una
delle conseguenze del carattere monopolistico del capitali-
smo moderno è una certa particolarità nello sviluppo della
crisi creditizia. Nel periodo premonopolistico, la sfera del
credito era una delle prime nella quali la crisi si manife-
stava apertamente e turbinosamente. Le difficoltà nella ven-
dita portavano immediatamente al crollo delle imprese che*
non potevano realizzare i loro prodotti; a questi primi fal-
limenti seguivano rapidamente quelli delle banche connes-
se all’ industria. Contemporaneamente la contrazione della
produzione, eliminava le aziende più deboli, lasciando il
mercato alle più forti e con maggiori capacità di adattamen-
to. In questo modo la crisi rafforzava maggiormente la po-
sizione di alcuni gruppi del grande capitale distruggendo le
piccole e una parte delle medie aziende.
Il carattere monopolistico del capitalismo moderno por-
tò ad una situazione nella quale la crisi scoppiò apertamen-
te soltanto nel 1931 nel campo del credito dopo aver pro-
fondamente colpito tutta la vita economica dei paesi ca-
pitalisti.
Sin dal principio; della crisi i re dei m onopoli tentarono
di accollare le perdite causate dalla crisi ai rami non mo-
nopolizzati dove predominavano le imprese di media gran-
dezza. Contemporaneamente i monopoli restrinsero drastica-
mente la produzione per mantenere alto il livello dei prezzi
in un mercato che cadeva rapidamente.,
La riduzione della produzione condusse inevitabilmente

310
ad una riduzioni dei profitti, a perdite ed immensi cambia-
menti nella distribuzione dei profitti tra i vari gruppi di ca-
pitalisti, ciò che portò al fallimento di imprese di ogni ge-
nere in numero senza precedenti.

Numero dai fallimenti


1929 19 3 0 * 1931 1932 19 3 3
U.S.A. 22.909 29.355 29.288 31.882 17.732
Inghilterra 5.900 6.287 6.818 7.321 4.927
Germania 9.846 15.486 19.254 13.966 3.718
Francia 6.092 6.249 7.220 9.014 8.362
Polonia 516 815 738 545 259

La crisi creditizia è rimasta in incubazione a lungo.


11 fallimento delle aziende connesse con le banche, le
difficoltà del bilancio governativo, il declino dei profitti e
l'aumento delle perdite, la caduta dei prezzi delle riserve?;
tutto questo aperse la via allo scoppio della crisi del credito
che esplose con forza eccezionale nel 1931. I dissesti indu-
striali causati dalla riduzione della produzione e dei prezzi,
l’ impossibilità dj vendere i prodotti, il deprezzamento delle
riserve in magazzino ecc., portarono inevitabimente al fal-
limento degli istituti di credito. Questo a sua volta aumentò
le difficoltà dell’ industria e provocò nuovi fallimenti in
questo campo.
La crisi creditizia si sviluppò dapprima ,in Germania e in
Austria. A l princinio della primavera del 1931 le maggiori
banche austriache che controllavano il 75-80 per cento di
tutte le industrie del paese crollarono. Seguì una quantità
di dissesti delle maggiori imprese industriali in Germania.
Nel giugno 1931 la terza grande banca tedesca (la Banca
Nazionale di Darmastdt) e un’ altra grande banca —1la Banca
di Dresda — fallirono. Dall’Europa centrale l’ onda della
crisi creditizia raggiunse l’ Inghilterra, estendendosi alla
Francia, all'America e agli altri paesi capitalisti.
Sotto i colpi della crisi parecchie delle maggiori aziende
che costituivano «l’ orgoglio e la gloria» del capitale mono-

311
polistico mondiale fallirono durante la seconda metà del
1931 e nel 1932.
Il trust svedese degli zolfanelli di Kriiger fallì. Lavoran-
do con capitale americano! Kriiger aveva bisogno di allar-
gare il suo m onopolio a tutti i paesi. Egli condusse una
campagna fanatica contro l’Unione Sovietica, sperando in u-
na guerra per abbattere l’ ostacoloi dell’ esportazione russa di
zolfanelli Kriiger si uccise alla vigilia della bancarotta. Do-
po la sua morte venne in luce una quantità di frodi e di im-
brogli coi quali era riuscito ad allontanare il suo' fallimen-
to. Si scoperse anche che parecchi alti funzionari di molti-
paesi e molti capi socialdemocratici si erano fatti compra-
re ed erano sovvenzionati da lui.
Uno dei maggiori uomini di affari americano — Instili —
era pure un truffatore. Nella primavera del 1932 la corpo-
razione di cui egli era a capo e che possedeva delle centrali
elettriche, degli impianti di produzione del gas e delle con-
dutture di acqua di 60 città, con un capitale di 9 miliardi c
mezzo di lire, fallì.

« ... la crisi non ha soltanto ristretto la sfera della pro-


duzione e del commercio, ma ha anche colpito il siste-
ma creditizio, la valuta, la sfera delle obbligazioni,, ecc.,
e questo ha' spezzato i rapporti tradizionalmente stabili-
ti tra i diversi paesi e tra i gruppi sociali nei diversi
paesi.
« Un ruolo importante è stato rappresentato in questo
campo dal prezzo delle merci. Nonostante la resistenza
dei cartelli monopolistici, la caduta dei prezzi aumen-
tò con forza elementare gravando prima di lutto e in
massima parte sulle merci dei produttori non organiz-
zati : contadini, artigiani, piccoli capitalisti; la caduta
fu graduale e in proporzione minore per; quanto riguar-
da i produttori organizzati in cartelli (fabbricanti, arti-
giani, contadini, ecc.) mentre d’altro canto1,pose i credi-
tori in una posizione particolare di privilegio.
a Una situazione simile doveva condurre ed in pratica
condusse ad una bancarotta colossale di imprenditori

312
sìngoli ed associati. Durante gli ultimi tre anni decine
di migliaia di compagnie azionarie furono ro\inate in
questo modo negli S.U., in Germania, in Inghilterra e
in Francia. Il dissesto delle compagnie azionarie fu se-
guito dal deprezzamento della valuta, ciò che in una
certa misura facilitò la posizione del debitore! portando
steri »7 (STALIN, Rapporto, sul lavoro del Comitato Cen-
trale del P.C. (b) deU’ U.R.SS. - XVII Congresso del
Partito).
Lo sviluppo della crisi condusse alla più larga inflazione,
cioè al deprezzamento della valuta. La caduta dei prezzi
provoca grandi difficoltà ai debitori : una medesima som-
ma da pagare quando i prezzi sono scesi corrisponde ad una
quantità assai maggiore di merci in confronto al momentoi ?n
cui il debito fu contratto. La caduta dei prezzi aumenta i
pesi posti sulle spalle degli imprenditori debitori e rende as-
sai peggiore la posizione di tutti i paesi che hanno forti im-
pegni. In qual modo si può uscire da questa difficoltà? I ca-
pitalisti e i loro governi possono scegliere due vie : la mo-
ratoria (l’ arresto del pagamento dei debiti) e l'inflazione.
Con Io sviluppo della crisi i paesi capitalisti bloccarono
l’ uno dopo l’altro il pagamento dei loro debiti. Ma questo
non era sufficiente. Essi adottarono inoltre la corsa all’ in-
flazione. Dapprincipio questa misura fu introdotta dai pae-
si più deboli. In seguito, nell’autunno del 1931, l’ Inghil-
terra deprezzò la sua valuta; il governo inglese smise di
cambiare la carta moneta in oro e il valore della sterlina
cadde. La svalutazione facilita la posizione del debitore :
egli può, infatti, pagare i suoi debiti con moneta deprezzata,
cioè meno cara. Ma l’ inflazione ha anche un’ importanza
nella lotta per i mercati esteri.
13 deprezzamento della moneta dà al paese capitalista
un vantaggio sugli altri paesi nei mercati mondiali, poiché
le merci costano assai meno su una base aurea.s 11 prezzo in
carta-moneta può anche aumentare e tuttavia le merci del
paese che ha deprezzato la sua valuta, risulteranno sempre
più economiche delle merci di quei paesi che sono rimasti

313
al tallone aureo. Con un prezzo basso è più facile superare
la concorrenza sul mercato mondiale. Quelle nazioni le cui
merci sono tuttora valutate nella vecchia moneta, ancorata
all’ oro, sono in svantaggio. Noi vediamo così che un altro
dei più grandi paesi capitalisti del mondo, gli Stati Uniti,
il paese più ricco di tutti, ha deprezzato la sua valuta nel
marzo del 1933.
11 dollaro americano e la sterlina inglese erano conside-
rati valute pregiate, le più stabili di tutto il mondo capita-
lista. Gli uomini di affari di tutti i paesi capitalisti credeva-
no fermamente in loro; essi erano valutati alla pari dell’oro
e le riserve degli altri paesi più deboli venivano convertite
in queste valute. Proprio queste due potenze diedero il via
trascinando con sè le vittime degli altri paesi dipendenti da
loro. 11 terzo grande paese che si era arricchito con la guer-
ra, il Giappone, deprezzò la sua moneta a circa un terzo
del suo precedente valore aureo. Con l’ ondata deH’ inflazio-
ne da parte dei più potenti paesi capitalistici. 11 paese che
aveva deprezzato la sua moneta, potendo vendere le sue,
merci meno care sul mercato mondiale, poteva battere i
suoi rivali. Così, nella lotta per i mercati, venne in uso
una nuova arma : l’ inflazione, con cui si iniziò una guerra
di valute.
Verso la fine del 1933 soltanto quattro paesi di tutto il
mondo capitalista mantenevano ancora il tallone aureo : la
Francia, il Belgio, la Svizzera e l'Olanda. Tutti gi altri Sta-
ti erano ricorsi all’ inflazione.

( (Va da sè che questi fenomeni che scuotono il sistema


creditizio sin dalle fondamenta, dovevano portare, ed ef-
fettivamente. portarono all’ arresto dei pagamenti dei pre-
stiti esteri e dei debiti di guerra tra gli Alleati, al bloc-
co dell’esportazione dei capitali, all’ ulteriore, diminuzio-
ne del commercio estero e dell’ esposizione di merci,
all’ intensificazione della lotta tra i mercati stranieri,
alle guerre commerciali tra i paesi e al dumping. Sì,
compagni, al dumping. Io non intendo il preteso dum-
ping sovietico, intorno al quale proprio negli! ultimi tem-

314
pi certi onorevoli deputati negli onorevoli parlamenti
di Europa e di America hanno urlato sino a diventare
rauchi. Io intendo il vero dumping che viene' ora prati-
cato da quasi tutti gli Stati « civilizzati » e intorno al
quale gli onorevoli e nobili deputati mantengono un si-
lenzio prudenté ». (Ibidem).

11 — La depressione attuale e le sue caratteristiche.


1 dati sul movimento della produzione industriale nei
paesi capitalisti mostrano che il punto massimo del decli-
no fu raggiunto nel 1932. L ’ anno seguente, 1933, l’ industria
nei paesi capilalisti cominciò a mostrare una leggera ripre-
sa Durante il corso del 1933, vi furono frequenti fluttua-
zioni in su e in giù, ma tuttavia l’industria non scese oltre il
punto minimo che aveva raggiunto nell’ estate del 1932.
« Sarebe erroneo spiegare questo fenomeno esclusiva-
mente con la politica dell’inflazione e con i febbrili pre-
parativi di guerra che parecchi governi capitalisti ave-
vano iniziato. In alcune nazioni, il Giappone per esem-
pio, hanno avuto una grande importanza i colossali or-
dini per !a guerra che le industrie hanno ricevuto at.
tualmente. Si osserva però in tutti i paesi, compresi
quelli che hanno una valuta stabile, un miglioramento
delle condizioni dell’ industria. Di conseguenza è eviden-
te che, oltre alla prosperità inflazionistica e bellica,
hanno incominciato qui ad operare le forze economiche
interne del capitalismo ». (Ibidem).
Per mezzo dell’energica intensificazione del grado di
sfiultamento della classe operaia, per mezzo della rovina
delle masse degli agricoltori, per mezzo della spogliazione
delle masse lavoratrici dei paesi coloniali; il capitalismo è
riuscito ad ottenere un leggero miglioramento nelle condi-
zioni dell’ industria. Il maggiore sfruttamento, la più alta
intensità di lavoro, la riduzione dei salari — tutto questo
rende possibile a parecchi capitalisti di continuare la pro-
duzione anche con una domanda minima e a prezzi bassi.
I costi delle materie prime e dei viveri sono diminuiti a

315
spese dei contadini e dei lavoratori delle colonie; questo si-
gnifica però, che anche i costi di produzione sono più bas-
si per i capitalisti. La crisi ha infranto una grandissima
parte delle forze produttive. La distruzione di grandi quan-
tità. di beni ha finalmente ridotto le riserve cosicché', il rap-
porto tra la domanda e l’ offerta, in molti casi, è diventata
favorevole. La scomparsa delle imprese più deboli ha reso
più facile il mercato per le aziende più forti sopravvissute.
In questo modo l’industria nei principali paesi capita-
listi ha superato il punto più basso entrando nella fase di
depressione,

a di un genere speciale che non conduce l’ industria a


una nuova prosperità e ad una nuova fioritura, ma che-,
d ’ a’ lro canto, non la respinge indietro al punto più
basso del declino ». (Ibidem).

In tempi normali, quando il capitalismo non aveva an-


cora raggiunto il suo periodo di declino e di caduta! le crisi
erano sostituite dalle depressioni che erano a loro volta se-
guite da periodi di prosperità. Ma, attualmente, il capita-
lismo è capitalismo moribondo, esso sta attraversando la
sua crisi generale, dilaniato dalle più profonde contraddi-
zioni che costituiscono la sua condanna. La crisi economica
attuale scoppiò entro la crisi generale del capitalismo; è
•per questo che esso si distingue per una tale durata e pro-
fondità, per una tale forza di devastazione e per hi sua par-
ticolare acutezza. La nuova fase di depressione s’inserisce
aneli'essa nella crisi generale; è per questa ragione che que-
sta depressione differisce radicalmente dal tipo usuale di
depressione e che non è preannunciatrice di una nuova e-
spansione, di un nuovo periodo di prosperità,

« . . . poiché tutte, quelle condizioni sfavorevoli che impe-


discono all’ industria dei paesi capitalistici di raggiunge-
re una grande espansione continuano ancora ad opera-
re. lo intendo la crisi generale permanente del, capitali-
smo in seno alla quale si svolge la crisi economica, la
produzione delle aziende costantemente al di sotto della

316
loro capacità, la disoccupazione cronica, l’ intrecciarsi del-
la crisi industriale con quella agricola, l’ assenza di una
seria tendenza ad un’energica rinascita del capitale fis-
so che precede generalmente 1’ avvicinarsi di un periodo
di espansione, ecc. ecc. ». (Ibidem).

1 12 — La', vigilia della nuova era di rivoluzioni e di guerre.

La crisi che imperversa in tutto il mondo capitalistico


dal 1929 ha acutizzato fino al massimo tutte le contraddi-
zioni interne ed esterne del sistema capitalistico. 11 protrar-
si della crisi ha condotto ad un aggravamento senza para-
gone delle condizioni delle masse lavoratrici. Una colossale
disoccupazione^ un’enorme riduzione dei salari, l’ intensifica-
zione dello sfruttamento — questo è il destino della classe
operaia nelle condizioni della crisi attuale. La crisi ha anche
causato una rovina senza precedenti delle larghe masse de-
gli agricoltori. Insieme con il loro impoverimento è sorto
un immenso risentimento delle masse lavoratrici contro il
sistema capitalistico.
Di fronte alla indignazione delle masse, la borghesia
abbandona sempre più i vecchi metodi coi quali teneva in
soggezione il proletariato e passa al terrorismo aperto, alla
dittatura fascista. In Germania la borghesia portò al potere
la sanguinaria dittatura di Hitler nel febbraio 1933. Le ten-
denze fasciste crescono anche tra la borghesia di altri paesi.
Lo stabilirsi del fascismo in Germania mette in evidenza non
soltanto il ruolo distruttivo dei capi social-democratici che
provocano le scissioni nei ranghi della classe operaia! inde-
bolendo così la sua resistenza alla dittatura della, borghesia,
* noni può mantenere più a lungo il potere nelle sue mani coi
vecchi metodi del parlamentarismo e della democrazia bor-
ghese. La borghesia getta via la sua maschera democratica
e procede verso il terrore aperto e sanguinario contro la
classe operaia. Ma questo porta soltanto ad un ulteriore
acutizzarsi della lotta di classe, minacciando di rovina l’ in-
tera struttura de! capitalismo.

317
Il protrarsi della crisi ha esasperato sino all’estremo, tutti
gli antagonisti esistenti tra le potenze capitalistiche, Nelle
condizioni della crisi ogni paese tenta di accollare il suo
fardello agli altri paesi. La lotta per i mercati è diventata
acutissima. Avendo ricorso al dumping sui mercati stranieri,
ogni paese innalza, nello stesso tempo, delle barriere attor-
no ai suoi mercati, contro la concorrenza straniera. Il man-
cato pagamento dei debiti aggrava l’ antagonismo tra le na-
zioni debitrici e creditrici. La crisi ha intensificato l’ azione
della legge dello sviluppo ineguale sotto l’ imperialismo; col-
pendo i diversi paesi con forza diversa ha prodotto uno
spostamento nei rapporti di forza tra le nazioni, imperialiste.
Tutto questo ha esasperato all’estremo i rapporti tra le di-
verse nazioni capitalistiche; già si procede nel modo più a-
perto alla preparazione di una nuova guerra imperialista?
armandosi sino ai denti in previsione di una nuova lotta
per la ridistribuzione del mondo. Mentre tutti i rami: dell’ in-
dustria ridussero la produzione a causa della crisi, un ramo
— l’ industria di guerra — non solo non diminuì,; ma al con-
tario allargò i suoi impianti di anno in anno. E’ già pas-
sato un lungo periodo da quando il Giappone occupò la
Manciuria con la forza delle armi e incominciò a spingersi
sempre più profondamente nella Cina del Nord; ora la, guer-
ra cino-giapponese rende estremamente acuta la lotta per
l’Oceano Pacifico dove si urtano gli interessi imperialisti del
Giappone, degli Stati Uniti e della Gran Bretagna.
I piani per la guerra futura sono già stati preparati in
segreto dagli imperialisti. I più importanti fra questi piani
sono i progetti di intervento armato contro l’Unione Sovie-
tica.

« L ’ immensa tensione dell’antagonismo di classe all’in-


terno dei paesi capitalistici, come dell’ antagonismo inter-
nazionale, prova che i requisiti obbiettivi per un rivol-
gimento violento sono maturati a tal punto che attual-
mente il mondo si sta inevitabilmente avvicinando a
una nuova era di rivoluzioni e di crisi ». (Tesi e decisio-
ni del XIII Plenum dell’Internazionale Comunista).

318
H. ,

L'esattezza di questo giudizio sulla situazione è stata con-


fermata da un grandissimo numero di fatti. I paesi in cui
il fascismo è stato vittorioso sono in agitazione. In Germa-
nia il iPartito Comunista conduce ima lotta eroica contro il
fascismo e, in circostanze eccezionalmente difficili e di esi-
stenza « sotterranea », sta preparando le forze per il rove-
sciamento della dittatura fascista. In Francia le provocazioni
fasciste hanno sollevato una tale resistenza da parte delle
masse operaie che i politicanti borghesi furono profonda-
mente terrorizzati dall’indignazione del proletariato. In Au-
stria, nel febbraio 1934, decine di migliaia di operai, so-
stennero una lotta armata per parecchi giorni contro le for-
ze superiori del nemico e in condizioni rese estremamente
difficili dai tradimenti dei loro capi. La Cina sovietica che
comprende regioni, con una popolazione di oltre 60 milioni,
è divenuta un potente! fattore. Essa ha resistito con successo
a parecchi attacchi lanciati contro di essa dai generali con-
trorivoluzionari, e ha creato la sua propria potente Armata
Rossa.
« Le masse del popolo non hanno ancora raggiuntò lo
stadio in cui sono pronte ad abbattere la cittadella del
capitalismo, ma l’ idea di abbatterla è maturata nella
mente delle masse — non vi può essere dubbio su que-
sto ». (STALIN, Rapporto sul lavoro del Comitato Sen-
trale del Partito Comunista - XVII Congresso del Partito).
Noi sappiamo già che il capitalismo non abbandonerà la
posizione di sua iniziativa, che esso non crollerà automati-
camente. Noi sappiamo che tutte le teorie del collasso au-
tomatico del capitalismo arrecano soltanto un danno incal-
' colabile alla causa della classe operaia addormentando la
sua volontà di proseguire nella lotta lunga e\ continua che è
necessaria per trionfare degli sfruttatori. Nessun acutizzarsi
delle contraddizioni del capitalismo può creare una situazio-
ne; nella quale la borghesia non trovi assolutamente una via
di uscita. Soltanto una lotta continua provocherà il collasso
del sistema capitalistico.
« La vittoria della rivoluzione non viene mai da sola,

319
Bisogna prepararla e conquistarla. E prepararla e conqui-
starla può soltanto un forte partito proletario e rivolu-
zionario ». (Ibidem).

QUESTIONARIO

1 — Come si spiega il prolungarsi della crisi attuale?


2 — Che cosa indica l’ acutezza e la profondità eccezionale
della crisi.
3 —■ Che cosa indica il carattere di crisi di superproduzione
della crisi attuale.
4 —- In che modo la crisi danneggia la situazione del prole-
tariato?
5 — In che modo la crisi danneggia la situazione del con-
tadino?
6 ~ ■ Quali sono le caratteristiche dellaj depressione attuale?
7 — Quali sintomi vi sono dell’ avvicinarsi di una nuova era
di rivoluzioni e di guerre?

320
INDICE
!

CAPITO LO I
t

Che cos’ è e che cosa insegna l’ economia politica?

1. Il marxismo-leninismo, dottrina del proleta-


riato . . . . . . Pag- 5-
Differenze di classe sotto il capitalismo )) 7
O S U t -£ ^ U . )

Che cosa sono le classi? )) 9


Forze produttive e rapporti di produzione . )) 12
Scopo dello studio dell’ economia politica . )) 15
L ’economia politica e la costruzione del
socialismo . . . )) 18
Due mondi, due sistemi . . . )) 20
La strada al socialismo passa attraverso la
dittatura del proletariato » 24
Una battagliera scienza di classe : l’ econo-
mia politica . . . . . » 28

CAPITO LO II

Come giunge la società al capitalismo?

1. La nostra mèta : una società capitalista


senza classi . . . . Pag. 31
2. Le classi sono sempre esistite? )) 32
3- Tribù primitive - ComuniSmo » 33
4. Forme pré-capitalistiche di sfruttamento )) 39
5. Nascita e sviluppo dello scambio )) 44
6. Origine della produzione capitalista )) 48

323

<
C A P IT O L O III

Produzione Mercantile

I. Che cosa è la merce? . ■ . . pag. 54


2. Due proprietà delle merci )) 56
3. Il valore è creato dal lavoro )) 57
4. Lavoro astratto e concreto » 60
5. Lavoro socialmente necessario )) 63
6. Lavoro comune e specializzato )) 64
7. Mercato e concorrenza . . )) 65
8. Sviluppo dello scambio e forma del valore . )> 67
9. Idolatria delle merci . . . . )> 71
10. L ’ importanza della moneta nel sistema
della produzione mercanti’ e )) 73
Il- Le funzioni della moneta )) 75
12. Legge del valore - Legge dell’ evoluzione
della produzione mercantile capitalistica . )) 80

CAPITO LO IV

Il significalo dello sfruttamento capitalistico

1. Come i lavoratori sono sfruttati dal capi-


tale. Una merce : la forza-lavoro pag, 85
2. Accumulazione primitiva » 88
3. Trasformazione della moneta in capitale . » 90
4. Compravendita e valore della forza-lavoro » 92
5. Qual’è la fonte dei profitti del capitalista? . » 94
6. Plusvalore e pluslavoro . . . » 95
7 Che cose il capitale? . » 100
8. Capitale costante e variabile . » 1021
9. Tasso del plusvalore . . . . )) 105
10. Due metodi di aumentare il plusvalore . » 105
11. La lotta per la giornata lavorativa . » 107

324
12. Intensità del lavoro . . . . pag. 109
13. Capitalismo e sviluppo tecnico . . » 110
14. Schiavitù salariale . . . . »,' 112
15. Schiavitù coloniale . . . . • » 115,

CAPITO LO V

Salari e immiserimento della classe lavoratrice


sotto il capitalismo

1. Valore del potere lavorativo e suo prezzo pag. 117


2. 11 salario, maschera dello sfruttamento ca-
pitalista . . . . . . » 118
3. Salari e lotta di classe . . . . » 120
4. Forme di salari . . . . . » 122
5. Lavoro orario . . . . . ». 123
6 Lavoro a cottimo . . . . . » 124
7. Premi e percentuali . . . . » 125
8. Lavoro a domicilio . . . . » il 25
9. Organizzazione scientifica del lavoro : si-
stema Taylor e Ford . . » 126
10 Pagamento in natura o in moneta » 127
11. Salari reali e nominali . . )> 128
12. Salario degli operai specializzali . ,. » 129
13. Livello dei salari nei vari paesi capitalisti . » 130
14. Lo sviluppo dello sfruttamento capitalista . » 131
15. Disoccupazione ed esercito di riserva del
lavoro . . • . . » 134
16. Sostituzione del lavoratore con la macchina . » 134
17. Legge generale deH’ accumuIazione capitalista » 135
18. Impoverimento della classe lavoratrice » 138
19, Impoverimento e disoccupazione del pro-
letariato in epoche di crisi » 139)

325
17. La legge dello sviluppo ineguale e la rivo-
luzione proletaria . . . . pag. 245
18. La teoria del superimperialismo . . » 247
19. La teoria del capitalismo organizzato . ,» 252
20. Parassitismo e decadenza1del capitalismo . » 255
21. L ’ imperialismo, epoca della condanna del
capitalismo . . .' . . » 259

CAPITOLO X

La guerra e la crisi generale del capitalismo


1. L ’imperialismo e il crollo del capitalismo . pag. 265
2. La guerra mondiale imperialista , . » 267
3. Conseguenze della guerra mondiale e crisi
generale del capitalismo . . . » 270
4. Tre periodi della crisi generale del capitalismo » 275

CAPITOLO XI

L ’ attuale crisi mondiale del capitalismo


I. La crisi economica entro la crisi generale
del capitalismo . . . pag. 285
’ 2. Crisi di superproduzione . . » 288
3. La più profonde la più'lunga di tutte le crisi ' » 290
4. Il declino della produzione . . » 292
5. Il declino del reddito nazionale e la ridu-
zione della ricchezza nazionale . . » 295.
6 Disoccupazione e condizioni della classe operaia » 297
7. Interdipendenza della crisi industriale con
quella agricola . . . . . » 302
8. Crisi e monopoli . . . . » 306)
9. Il declino del commercio estero . . » 308
10. La crisi creditizia; l’ inflazione e. la lotta
per i mercati . . . . . » 310
11. La depressione attuale e le sue caratteristiche » 315
12. La vigilia della nuova era di rivoluzioni e guerre » 317

328

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