Sei sulla pagina 1di 2

Perché certi motivi musicali ci rimangono in testa

Da “Il Post”, giovedì 29 settembre 2022 (testo adattato)

I motivi musicali orecchiabili che continuano a risuonare in testa per lungo tempo dopo l’ascolto
sono un fenomeno cognitivo noto a molti e descritto da secoli, ma relativamente poco esplorato.
Nella letteratura scientifica e nel linguaggio comune sono noti col termine inglese earworm –
letteralmente «tarlo dell’orecchio», in Italia più spesso tradotto con «tormentone» – e sono una delle
più comuni e condivise esperienze legate alla musica, oltre che un effetto
volutamente ricercato nella composizione di ritornelli appiccicosi e di grande successo
commerciale. Possono provenire da canzoni, temi musicali di un film o di un videogioco, oppure
sigle di pubblicità o programmi televisivi.
Nel tempo sono state formulate diverse ipotesi per cercare di spiegare le cause, la funzione e i
processi intellettivi e psichici legati all’esperienza degli earworm. I progressi nello sviluppo degli
strumenti e dei metodi di studio del cervello hanno permesso di riconoscere in questo fenomeno –
che in alcuni casi può diventare esasperante e patologico – attività cerebrali che sono alla base del
normale funzionamento della nostra memoria musicale. Funzionamento che è molto diverso da
quello, più conosciuto e studiato, della memoria visiva.
La parola inglese «earworm» è un calco della parola tedesca «ohrwurm», utilizzata nel 1979 dallo
psichiatra tedesco Cornelius Eckert per descrivere una canzone molto orecchiabile, che
metaforicamente entra in testa e non ne esce più. Ohrwurm in tedesco è infatti il nome della
forbicina (forficula auricularia), l’insetto che secondo una falsa credenza popolare strisciava
attraverso le orecchie delle persone cercando un posto in cui depositare le uova.
In ambito accademico sono stati proposti altri nomi che pongono l’attenzione su aspetti particolari
dello stesso fenomeno. Una delle espressioni più diffuse è «immagini musicali involontarie»
(Involuntary Musical Imagery, INMI), utilizzata per descrivere l’improvvisa esperienza cognitiva di
brevi motivi musicali noti – di solito una decina di secondi – che risuonano in testa in assenza di
uno sforzo cosciente e di stimoli sonori esterni.
In uno studio del 2008, lo scienziato cognitivo finlandese Lassi Liikkanen scoprì che oltre il 90 per
cento delle persone riferisce di provare almeno una volta a settimana l’esperienza di non riuscire a
togliersi dalla testa un motivo musicale. Secondo uno studio del 2015 condotto dalla
psicomusicologa statunitense Freya Bailes, le immagini musicali involontarie sono più frequenti nei
momenti in cui è necessario riempire il tempo, come quando si è in fila per esempio, e quando si è
soli. E il motivo riprodotto o canticchiato in testa non è generalmente al centro dell’attenzione. La
parte più vivida delle immagini musicali è inoltre la melodia anziché l’armonia: in altre parole, la
successione di singoli suoni anziché la concatenazione di più suoni che prodotti simultaneamente
formano gli accordi.
Questa caratteristica degli earworm è molto nota anche nell’industria musicale, e i musicisti
tendono a tenerne conto quando vogliono comporre ritornelli molto efficaci e che rimangano
facilmente impressi nella memoria.
Analizzando la canzone “Shake it Off”, noto successo della cantautrice pop statunitense Taylor
Swift, il pianista canadese Chilly Gonzales spiegò nel 2015 cosa rendesse così «contagiosa» quella
canzone: prima di tutto, la presenza di una melodia facilmente distinguibile, e nello specifico una
ripetizione discendente («Playas gonna play play play play play»). Segnalò in generale un sapiente
utilizzo da parte di Taylor Swift della cosiddetta «tecnica del parco giochi», ossia la capacità di
creare melodie così efficaci da rendere poco importanti le parti strumentali. Il fatto di essere
indipendenti dalla presenza di una musica di sottofondo è la qualità che permette poi a specifiche
parti di quelle canzoni di essere canticchiate ovunque.
Il neurologo e scrittore inglese Oliver Sacks, che si occupò del fenomeno dei tormentoni musicali
nel libro Musicofilia e in altri testi, scrisse di come la normale immaginazione musicale possa
diventare patologica in chi sia affetto da certe malattie neurologiche. In quei casi la ripetizione di un
motivo nella testa può diventare compulsiva, incessante e per niente gradevole.
Secondo la musicista statunitense Elizabeth Hellmuth Margulis, ricercatrice di studi musicali alla
Princeton University, esiste una distinzione profonda e facilmente intuibile tra il ricordo di un
particolare ascolto e l’esperienza di sentir risuonare un motivo musicale «intrappolato» in testa
senza la nostra volontà. Ricordare di aver ascoltato la Seconda Sinfonia di Brahms a un concerto,
per esempio, potrebbe includere altri dati sensoriali associati a quell’esperienza: la visuale dal posto
in cui eravamo seduti, per esempio, o l’interpretazione particolare della sinfonia da parte
dell’orchestra.
Quando invece non riusciamo a smettere di sentire risuonare in testa un certo motivo musicale «non
ci sembra di ricordarlo ma piuttosto di riascoltarlo per intero». E la caratteristica che lo distingue
dai ricordi e dalla maggior parte delle altre immaginazioni è la ripetitività: il fatto che una volta
conclusa, la melodia ricominci da capo. Inoltre questo tipo di ripetitività, secondo Margulis, ha più
in comune con l’esecuzione di altre routine – come lavarsi i denti o preparare il caffè – che non con
una cosciente ripetizione letterale di sequenze verbali.
Come certi motivi musicali risuonino in testa senza il nostro controllo e senza un nostro intervento
cosciente è un fenomeno utile a spiegare anche alcune normali caratteristiche distintive della nostra
immaginazione e memoria musicale. I nostri ricordi visivi, a fronte delle centinaia di ricostruzioni
alternative possibili, sono in generale più selettivi e personali. Invece i motivi musicali, in un certo
senso, «ci vengono offerti già costruiti»: che non significa che non possiamo ascoltare in modo
selettivo o con emozioni diverse. Ma le caratteristiche musicali fondamentali di un motivo, dal
tempo alla successione delle note, tendono a essere conservate con straordinaria accuratezza.
Nel caso dei tormentoni, come ricordato dal neuroscienziato e psicologo cognitivo statunitense
Daniel Levitin, le persone mantengono in mente tutti i principali aspetti di quelle canzoni. In
alcuni studi condotti negli anni Novanta, Levitin scoprì che pezzi pop molto famosi venivano
tendenzialmente ricantati dalle persone intervistate – non musicisti – sia con il tempo corretto che
nella giusta intonazione, anche relativamente a dettagli come gli acuti presenti in certi brani..
La loro memoria non conteneva soltanto una «generalizzazione astratta» della canzone ma anche le
sfumature. Riascoltando le loro voci insieme alle canzoni originali che stavano cantando, scrive
Levitin, si aveva l’impressione che quelle persone stessero ascoltando le canzoni in cuffia mentre
provavano a ricantarle. Solo che quella loro base era virtuale: non era cioè uno stimolo sonoro
concretamente presente ma una «rappresentazione della memoria sorprendentemente accurata».
Nella letteratura scientifica non esiste una spiegazione univoca delle immagini musicali
involontarie, o earworm, e della loro funzione. Una delle ipotesi, sostenuta peraltro da Levitin, è
che si verifichino quando i circuiti neurali associati alla rappresentazione di un certo motivo
musicale restano bloccati in una sorta di «modalità playback».
Uno studio recente suggerisce che queste immagini musicali potrebbero rendere più semplice per il
cervello codificare e analizzare ricordi e sensazioni quotidiane che non hanno a che fare con il
passato, con il momento in cui quelle immagini si sono formate. La ripetizione mentale involontaria
di quella musica sarebbe cioè uno strumento utilizzato dal cervello durante la formazione di nuovi
ricordi, per migliorare la memorizzazione di nuove esperienze che vengono accidentalmente
associate a quelle immagini musicali.

Caratteri (spazi inclusi): 7973

Provate a sintetizzare il testo prima in 1500 caratteri (spazi inclusi) e successivamente in 500
caratteri (spazi inclusi)

Potrebbero piacerti anche