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LEZIONE 4

CORSO OSS
RELAZIONE E UMANIZZAZIONE PER LA PERSO-
NALIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA
DOPO AVER PARLATO DEI PRINCIPI DELLA COMUNICAZIO-

NE...

CHE SIGNIFICA ASSISTERE SECONDO IL PRIN-


CIPIO DI UMANIZZAZIONE?
Il concetto di Umanizzazione delle cure va inteso come attenzione

posta alla persona nella sua totalità per i bisogni organici, psicolo-

gici e relazionali.

L’esperienza del ricovero è descritta come un evento psicologicamen-

te traumatizzante, caratterizzato da una serie di disagi fisici e psichici

che si aggiungono alla sofferenza derivante dallo specifico stato pa-

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tologico che ha motivato il ricovero.

I fattori più spesso indicati come determinanti nel disumanizzare l’o-

spedale (la clinica, la struttura sanitaria) sono:

- La seraparazione brutale dall’ambiente familiare;

- Le cattive condizioni di accoglienza e di alloggio;

- L’isolamento;

- La spersonalizzazione dei rapporti umani.

L’umanizzazione delle cure e dell’assistenza riguarda tutto il mondo

della medicina e possiamo facilmente immaginare come il ricovero

in ospedale (ma non diversamente in una clinica, in un servizio sani-

tario o laddove si necessiti di assistenza domiciliare) possa risultare

traumatico per il paziente – e per la famiglia – che improvvisamente

si confronta non solo con la malattia ma con un luogo sconosciuto,

ricco di tecnologie, circondato da estranei e con una radicale dimi-

nuzione dell’autonomia personale.

Da qui l’interesse verso una politica dell’ASSISTENZA socio-sanitaria

in grado di accompagnare i pazienti e le famiglie lungo il percorso

della malattia, umanizzando le cure e sostenendo gli assistiti oltre il

mero approccio al malato e alla sua patologia.

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DON GNOCCHI
Fu cappellano militare degli alpini durante la Seconda Guerra Mon-

diale e, a seguito della tragica esperienza della guerra, si adoperò

ad alleviare le piaghe di sofferenza e di miseri, soprattutto nei con-

fronti dell’infanzia colpita dalla tragedia. «Non esistono malattie ma

malati, cioè un dato modo di ammalarsi proprio di ciascuno»

CHI ASSISTE NON SI APPROCCIA AD UNA MALATTIA MA AD

UN MALATO, AD UNA PERSONA, AD UNA FAMIGLIA. TENERE

PRESENTE QUESTO AIUTA A SVILUPPARE UN MODELLO DI AS-

SISTENZA FONDATO SULL’UMANIZZAZIONE, SULLA PERSO-

NALIZZAZIONE DELL’INTERVENTO.

Lo “Stile Don Gnocchi” passa attraverso una modalità di cura e di

compartecipazione con i mondi vitali del paziente, primo fra tutti

quello familiare.

La famiglia è il luogo costitutivo dell’appartenenza, sta al centro del-

la vita sociale e dell’identità personale.

BENESSERE E MALESSERE DEL SINGOLO MEMBRO SONO SPES-

SO RICONDUCIBILI AL VISSUTO FAMILIARE.

Intervenire su di essa (e con essa) costituisce il primo e fondamentale

atto del prendersi cura delle persone, soprattutto quando sofferenti o

in condizioni di bisogno.

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COME UMANIZZARE LE CURE E, QUINDI, L’AS-
SISTENZA?

PRIMA GLI OPERATORI!


Questi possono condizionare l’approccio “umano” al paziente e ai

suoi familiari per invidie, incomprensioni e dissidi determinando stati

d’animo non sereni, demotivazioni lavorative e stati di insoddisfazio-

ne che si riversano sull’assistenza. L’operatore rischia di dimenticare

il lato umanitario da applicare all’assistenza. L’umanizzazione delle

cure è successiva alla creazione di un’equipe socio sanitaria “uma-

nizzata” e compatta. Spesso non spetta all’OSS questo obiettivo, tut-

tavia è prioritario averne consapevolezza e lavorare per superare

dissidi, fraintendimenti e dissapori.

PER GLI OPERATORI SANITARI UMANIZZARE LE


TERAPIE SIGNIFICA:
•Riuscire a tollerare e sostenere il senso di inadeguatezza e sconforto

quando le tecniche terapeutiche, riabilitative e assistenziali non sono

sufficienti a ridurre la patologia e ad allontanare la minaccia di mor-

te del paziente;

•Far prevalere la compassione per il paziente e per i familiari sulla

compassione per se stessi che può sorgere quando il proprio lavoro

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si ripercuote sulla vita personale;

•Attribuire un valore morale e disinteressato ai bisogni dei pazienti e

dei familiari anche in assenza di efficacia terapeutica e di gratifica-

zione personale.

PER IL PAZIENTE UMANIZZARE LE TERAPIE SI-


GNIFICA:
•Ridurre il più possibile gli effetti della patologia in modo che possa

personalizzare il più possibile la sua esperienza di vita e condividerla

alla pari con gli altri;

•Valorizzare l’unicità della persona malata, la sua volontà, la sua

storia, il suo modo particolare di affrontare ciò che gli accade in

modo che acquistino significati diversi a seconda delle persone;

•Attribuire al paziente un valore in se stesso, non dipendente né

dall’efficacia delle tecniche sanitarie né dall’autonomia personale,

in modo che la sua dignità resti sempre integra.

PER I FAMILIARI UMANIZZARE LE TERAPIE SIGNI-


FICA:
•Ridurre il più possibile le conseguenze oggettive dell’avere un pa-

rente ricoverato, in modo che il familiare possa essere maggiormente

se stesso e condividere al meglio la situazione sia con il paziente che

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con l’equipe;

•Personalizzare la partecipazione del congiunto alla vita del reparto

o della struttura, in modo da farlo sentire a suo agio e garantirsi così

da parte sua un livello di partecipazione più profonda che influisca

positivamente sul percorso terapeutico;

•Attribuire valore morale a qualunque richiesta del familiare affinché,

questi, possa percepire che chi lo ascolta, in questo caso l’operatore

sanitario, si prodighi ed agisca per il bene del congiunto malato.

UMANIZZAZIONE DELL’INFORMAZIONE
Questa prevede un pieno rispetto del diritto del paziente all’infor-

mazione. Tale diritto costituisce la premessa necessaria alla parte-

cipazione attiva del paziente al suo processo curativo o riabilitativo.

Il paziente non informato sul proprio stato di salute, sulla prognosi,

sui successi o insuccessi riabilitativi vede compromesso il suo fonda-

mentale diritto di partecipare, per quanto possibile, alle decisioni che

riguardano la propria cura.

Premesso ciò, le informazioni da comunicare al paziente devono

essere concordare dall’OSS con l’equipe di riferimento, per evitare

comunicazioni discordanti e modalità invasive di informazione. Tutto

ciò che viene comunicato deve rispettare le condizioni psico-fisiche

del malato il più possibile e devono prevedere la partecipazione e

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l’accordo con i familiari e l’approvazione E supervisione del medico

e/o dell’Infermiere Professionale.

La comunicazione e la relazione interpersonale tra operatore e pa-

ziente diventa vero aiuto solo quando emergono sopra ogni cosa gli

aspetti legati all’umanità prima ancora che quelli legati alla profes-

sionalità.

E’ importante considerare che non è sufficiente fermarsi alle buone

intenzioni, perché sicuramente un sorriso, la gentilezza e le buone

maniere sono elementi indispensabili per una relazione efficace ma

occorrono competenze tecniche: bisogna attivarsi per imparare l’arte

dell’aiuto.

CARL ROGERS - PSICOLOGO AMERICANO


APPROCCIO CENTRATO SULLA PERSONA

ACCETTAZIONE POSITIVA INCODIZIONATA

L’accettazione dei vissuti e delle esperienze, astenendosi da ogni for-

ma di interpretazione o giudizio, accettare la realtà dell’altro e valo-

rizzare l’altro per ciò che è. Accettazione non vuol dire approvazione

delle idee o delle opinioni bensì il riconoscere all’altro la libertà di

provarli. È una forma di rispetto profondo dell’altro, un modo di es-

sere dell’operatore che contribuisce a dare alla relazione la qualità

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imprescindibile della comprensione profonda.

L’EMPATIA è uno degli strumenti più efficaci a disposizione dell’o-

peratore per strutturare una relazione comprensiva e accettante. La

strada per diventare empatici passa sicuramente per la disponibili-

tà all’ascolto, mantenendo il giusto distacco da un coinvolgimento

emotivo, tutt’altro che positivo.

Per ottenere questo c’è bisogno di due elementi:

•Formazione e allenamento

•Reale interesse per la persona

ASCOLTO ATTIVO
È una tecnica facilitante le relazioni e crea le condizioni affinché pos-

sano alimentarsi non solo nella simpatia, ma anche nella discordan-

za e nella diversità. Il primo passo dell’ascolto attivo o empatico o

profondo o ecologico è rallentare (parole, movimenti). Solo in questa

dimensione, l’Altro può esprimersi con completezza e noi possiamo

ricevere uscendo dalla circolarità degli automatismi reattivi.

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LA PERSONALIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA:
IL BAMBINO
I bambini preferiscono comunicare per metafore facendo ricorso, per

esempio, alle loro fantasie ed ai loro vissuti. vanno privilegiati la con-

versazione libera e soprattutto il gioco. È importante dare spazio alla

voce dei bambini, senza intervenire troppo e senza interpretare ogni

comportamento. L’attenzione, tuttavia, deve essere massima perché

nei giochi dei bambini si mascherano i loro desideri, le loro paure, i

loro vissuti, le loro più intime comunicazioni.

ATTENZIONE AI RIMPROVERI: per paura delle conseguenze, i

bambini possono dire delle bugie anche sulle terapie effettuate o sui

compiti non svolti…

LA PERSONALIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA:
L’ADOLESCENTE
L’adolescenza, in quanto fase critica di crescita, rappresenta un mo-

mento di moltiplicazione delle difficoltà sia per l’adolescente, sia per

la famiglia, sia per il personale di assistenza. L’OSS deve ricordare

che la maggior parte delle emozioni adolescenziali emergono sotto

forma di rabbia pertanto l’apertura comunicativa deve essere mas-

sima. Linguaggi scurrili, atteggiamenti di sfida e marcatamente ag-

gressivi si ritrovano regolarmente soprattutto in situazioni di degrado

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familiare e/o sociale e l’OSS potrebbe trovarsi facilmente bersaglia-

to.

EVITARE IL MURO CONTRO MURO: cercare nuove modalità co-

municative alternative all’aggressività. È centrale dare prova del rap-

porto confidenziale tra adolescente e OSS così da incrementare la

fiducia.

LA PERSONALIZZAZIONE DELL’ASSISTENZA:
L’ANZIANO
Le patologie legate all’età alterano l’udito, la voce e quindi bisogna

far attenzione ad evitare situazioni di disturbo come rumori o suoni

molesti. È importante considerare le sue capacità sensoriali e rela-

zionali: l’anziano che si accorge che i propri familiari sono presi da

altri impegni, sentirà una profonda solitudine e un senso di sconforto

rendendo fondamentale il ruolo di mediazione dell’operatore. Da un

lato va stimolato l’anziano a sentirsi utile in qualcosa, a riscoprire se

stesso e la propria dignità; dall’altro bisogna fare un lavoro di coin-

volgimento del sistema familiare, a volte realmente complesso.

L’ANZIANO HA BISOGNO DI COMUNICARE ma vive profonde

frustrazioni legate allo stato psico-fisico per cui può risultare fastidio-

so, pedante, aggressivo. Far fronte a tutto questo richiede un grande

lavoro da parte dell’OSS.

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Personalizzare l’assistenza significa, quindi, riconoscere la modalità

personale, specifica, particolare con cui ogni individuo manifesta il

proprio bisogno di mangiare, di bere, di eliminare, di vestirsi, ecc…

e adattare ad esso la propria modalità di farvi fronte. A tale scopo

risulta centrale la qualità della relazione costruita tra l’OSS e la per-

sona assistita: l’OSS, non limitandosi allo svolgimento delle proprie

mansioni tecniche di presa di cura del paziente, instaura un rapporto

fondato sul dialogo, sull’ascolto, sulla comprensione della persona

riuscendo a far fronte non solo ai bisogni specifici ma anche – e so-

prattutto – alla promozione del benessere generale dell’assistito.

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