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Il bluff dello scandalo Monte dei Paschi di Siena ha

bruciato 6,5 miliardi di euro pubblici: tutti assolti


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07 maggio 2022
La sentenza di ieri che ha ribaltato le condanne in primo grado inflitte a fine 2019 all'ex
presidente del Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari e all'ex direttore generale
Antonio Vigni fino agli istituti internazionali Deutsche Bank e Nomura, nel processo di
secondo grado sul caso derivati, ha lasciato sconcertati gli addetti ai lavori. Ma la
decisione suscita anche numerosi interrogativi su quello che è stato rappresentato come
uno dei più grandi scandali finanziari italiani che ha scosso le fondamenta della banca più
antica del mondo, appunto il Monte, affondata da 23 miliardi di euro di perdite in 10 anni.
Senza contare che la sentenza di ieri viene dopo quella di primo grado dello stesso
tribunale, che nell'ottobre del 2020 ha condannato Alessandro Profumo e Fabrizio Viola,
all'epoca dei fatti rispettivamente presidente e amministratore delegato di Mps e
successori di Mussari e Vigni, per aggiotaggio e false comunicazioni sociali in relazione
alla prima semestrale 2015 della banca. Con la decisione di ieri, così, i vecchi manager
che hanno creato il buco contabile della banca sono stati assolti mentre quelli che sono
loro succeduti per raddrizzare l'istituto saranno costretti ad aspettare l'esito dell'appello.
Una cosa è certa: a pagare il conto di questo disastro sono stati tutti gli italiani.
Mps, sentenza ribaltata in appello: assolti banche e manager
Dopo anni di perdite della banca, infatti, nel 2017 sotto il governo di Matteo Renzi l'allora
ministro dell'economia e delle finanze Pietro Carlo Padoan decise di nazionalizzare il
Monte rilevandone il 64,2%. L'intervento della mano pubblica, vale a dire l'uso dei denari
dei contribuenti, è costato circa 7 miliardi di euro fra aumento di capitale e rimborso delle
obbligazioni subordinate. È stato almeno un buon investimento? Nient'affatto. Perché
oggi la partecipazione del Mef, sia pur comprensiva del premio di maggioranza, vale al
massimo 500 milioni, con ciò significando che la nazionalizzazione ha bruciato 6,5
miliardi usciti dalle tasche degli italiani. E non vale nemmeno consolarsi nell'attesa che
quella partecipazione possa rivalutarsi grazie alla privatizzazione del Monte. Perché il
governo di Mario Draghi, che pure avrebbe dovuto secondo gli impegni originari
assicurare all'Unione Europea che la banca sarebbe tornata in mani private entro la fine
dello scorso anno, non l'ha fatto, almeno per ora. Anche se proprio Padoan è andato a
presiedere quell'Unicredit candidato all'acquisto-salvataggio, poi sfilatosi per volontà del
nuovo amministratore delegato Andrea Orcel.

“Impossibile sia tutto anomalo”. Caso Rossi e Mps, i dubbi del


commissario Borghi
Non va poi dimenticato che il salasso senese per i contribuenti potrebbe presto
aumentare. Infatti, come si legge nel bilancio 2020 della banca, «nel caso in cui Mps non
dovesse riuscire a trovare un partner con cui aggregarsi lo stato italiano ha garantito
pieno sostegno alla sottoscrizione pro-quota dell'aumento di capitale da 2,5 miliardi che la
banca si troverebbe a dover realizzare». Se a pagare il conto del disastro Mps, quindi,
sono stati tutti gli italiani che dalla sentenza di ieri non trovano oltretutto davanti più
nessun colpevole, a scontare il danno d'immagine sono anche le istituzioni pubbliche
coinvolte in questo disastro. La Consob anzitutto che autorizzò i prospetti informativi dei
ripetuti aumenti di capitale (inutili) del Monte. E la Banca d'Italia che nel 2007 autorizzò
Mussari a strapagare l'istituto di credito spagnolo Santander per comprare la banca
Antonveneta, zavorrando il Monte del peso che l'ha poi affondato. Due dettagli: l'allora
governatore della banca centrale si chiamava Draghi e il banchiere d'affari consulente fra
il Santander e Mussari si chiamava Orcel.

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