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I Mercanti di dubbi e la Strategia del Tabacco

I cambiamenti climatici sono sotto gli occhi di tutti. Anno dopo anno gli effetti disastrosi delle
politiche ambientali fallimentari dei governi di tutto il mondo si fanno sempre più pesanti per la
popolazione.
Eppure, fino al 2004 tutti i media mondiali, sia pubblici e sia privati, trattavano con sufficienza il
cambiamento climatico considerandolo alla stregua di una teoria pseudoscientifica: tutta da
dimostrare.
I cambiamenti climatici erano descritti come un’ipotesi non suffragata da prove scientifiche e,
quindi, non degna d’attenzione.
I media più “sensibili” al richiamo economico e ricattatorio delle sirene delle grandi multinazionali,
dedite allo sfruttamento incontrollato d’ogni risorsa terrestre, descrivevano il fenomeno, all’epoca
già ampiamente in atto, come una fantasia degli ambientalisti.
Con toni, a volte accesi e a volte paternalistici, furono pubblicati articoli su articoli nei quali i
cambiamenti climatici erano descritti come fenomeni assolutamente naturali, per nulla dipendenti
dall’utilizzo intensivo globale e incontrollato dei combustibili di origine fossile e, tantomeno, dalle
attività umane di sfruttamento delle risorse planetarie.
Purtroppo il potere persuasivo dei mezzi d’informazione è riuscito negli anni a cogliere il
drammatico obiettivo di far credere all’opinione pubblica che nulla di grave e irreparabile stia
accadendo.
Una scienziata di nome Naomi Oreskes, docente di chiara fama presso la prestigiosa Università di
Harvard, con uno studio del 2010, ormai passato alla storia, inchiodò alle proprie responsabilità i
più importanti giornali e reti televisive americane dimostrando, in maniera inconfutabile, che per
anni avevano censurato i risultati di quasi mille articoli, tutti soggetti a serratissimi controlli
incrociati, pubblicati sull’argomento dalle più importanti riviste scientifiche internazionali che,
nella quasi totalità, erano d'accordo nel ritenere che la Terra si stesse surriscaldando e che i
responsabili di questi catastrofici cambiamenti climatici erano gli uomini che, con il loro assurdo
sfruttamento selvaggio delle risorse planetarie e con l’assenza di qualsivoglia attenzione per
l’ambiente di chi gestiva le varie attività umane, stavano portando la Terra verso il “punto di non
ritorno”.
Dopo la pubblicazione dei risultati della ricerca di Naomi Oreskes iniziò un dibattito che continua
ancora oggi: è vero che è in atto un cambiamento climatico causato dall’uomo? Quando gli effetti
di questo cambiamento diventeranno irreversibili?
Nel dibattito furono protagonisti attivi, in senso negativo, i grandi mezzi di comunicazione. Iniziata
con la ricerca di Oreskes la censura della verità da parte dei media ha, ormai, creato nell’opinione
pubblica dubbi e incredulità sempre più crescenti.
Questi dubbi sono sfruttati da chi ha tutto l’interesse a posticipare, o evitare del tutto, interventi
legislativi seri per ristabilire l’equilibrio climatico ormai perso. Obiettivo di queste persone è
evitare in ogni modo l’emanazione di leggi o provvedimenti a favore dell’ambiente e del clima.
In quest’operazione di disinformazione un posto di rilievo lo ricoprono sin dagli anni cinquanta
alcuni scienziati di fama mondiale (purtroppo tra questi ci sono anche alcuni italiani) che utilizzano
una tecnica di disinformazione chiamata “strategia del tabacco”.
E’ una tecnica utilizzata con grande successo per condizionare il governo americano e bloccare
ogni tipo di misura che potesse limitare o rallentare il consumo dei prodotti a base di tabacco.
Gli anni cinquanta furono il decennio nel quale s’iniziavano a leggere i primi dati riguardanti
esperimenti e studi epidemiologici che dimostravano un chiaro e lampante nesso tra il consumo di
prodotti legati al tabacco e il cancro polmonare.
Negli U.S.A. e a livello internazionale questo nesso fu considerato, in pochissimo tempo,
scientificamente provato e al di sopra d'ogni plausibile dubbio.
Nonostante ciò, fino a pochi anni fa, il consumo di tabacco non è mai stato combattuto
seriamente, a dispetto della sua estrema pericolosità. E tutto questo perché la strategia messa in
campo dai grandi produttori di tabacco, tesa a creare e diffondere notizie false (quelle che oggi si
chiamano fake news) riguardanti l’effettiva pericolosità del fumo di sigaretta, aveva creato
nell’opinione pubblica dubbi difficili da confutare.
Per condizionare gli americani (e il resto del mondo) e convincerli che il fumo “non fa male” sono
stati erogati in poco più di sessanta anni finanziamenti per decine di miliardi di dollari a Istituti e
Centri di Ricerca, Università, Cliniche, Ospedali, Fondazioni, Associazioni e Istituzioni pubbliche e
private.
I più importanti College hanno ricevuto finanziamenti enormi per creare borse di studio e progetti
di ricerca destinati a dimostrare che il fumo non fa male. A livello di comunicazione globale sono
state create dalle più famose agenzie di pubblicità internazionali campagne per convincere la
pubblica opinione che non esiste alcuna certezza della pericolosità del tabacco.
La scelta decisiva, però, è stata quella di “convincere” molti famosi scienziati, alcuni noti per aver
collaborato al Progetto Manhattan (quello per la creazione della prima bomba atomica) a mentire
spudoratamente sul pericolo per la salute derivante dal tabacco.
Tra questi scienziati furono numerosiquelli scelti perché erano molto ben visti negli ambienti
governativi, cosa molto utile quando una lobby deve bloccare una legge “sgradita”.
La “strategia del tabacco” doveva, però, nel proprio egoistico interesse, rispettare le “regole della
democrazia” e, pertanto, era necessario per i media rispettare il principio delle “pari opportunità”.
Chi era a favore dell’uso senza regole del tabacco e chi, invece, lo contestava, ferocemente,
doveva avere spazi sui giornali e tempi radiotelevisivi uguali per esprimere le proprie convinzioni.
In questo modo subdolo, esattamente com’è avvenuto per il Covid 19, tesi prive di qualsiasi base
scientifica erano contrapposte “alla pari” ai risultati di ricerche scientifiche rigorose e
approfondite.
Nel libro “Merchants of Doubt” scritto nel 2010, Naomi Oreskes ed Erik M. Conway, oltre a
ricostruire questa strategia, dimostrano che essa è stata utilizzata, senza apportare troppe
modifiche, a tutte le grandi emergenze ambientali come, ad esempio quella legata agli ossidi di
zolfo e d’azoto emessi dalle centrali di produzione di energia elettrica alimentate a carbone.
Per bloccare l’adozione di misure efficaci a ridurne la quantità, i media complici della strategia
censurarono i risultati delle ricerche che dimostravano che le emissioni erano la principale causa
delle “piogge acide” che distruggevano pascoli e foreste.
Altro esempio è la messa al bando dei prodotti a base di clorofluorocarburi. Dopo che era stato
provato che l’intensivo utilizzo di queste sostanze chimiche stava distruggendo lo strato di ozono
dell’atmosfera, ci sono voluti anni di dure battaglie per vedere emanati i primi interventi legislativi
che ne vietavano l’uso.
E’ un altro, però, il dato più impressionante citato nel libro di Naomi Oreskes ed Erik M. Conway:
dietro la cosiddetta “strategia del tabacco” si nascondono sempre le stesse multinazionali, gli
stessi “opinion leader” e gli stessi scienziati.
Non a caso queste persone sono state denominate “mercanti di dubbi”. Per queste ragioni
quando sentirete sminuire, ad esempio, i pericoli derivanti dalla presenza di sostanze chimiche nei
prodotti industriali o la sicurezza dell’energia nucleare provate a riflettere con la vostra testa,
fatevi venire ogni sorta di dubbio e, se quel prodotto, quella sostanza o quel comportamento
umano non vi convince affatto, nel dubbio, evitatelo come la peste!

GIUSEPPE CRISTIANO

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