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Lotta per la Terra (1): le sconcertanti strategie

dell’industria dei combustibili fossili


13.11.22 - Germania - Fred Hageneder

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Francese, Tedesco

Quanta influenza esercita l'industria dei combustibili fossili sulla consapevolezza del pubblico? (Foto di
Collage di Fred Hageneder, immagini: Sharomka, Dmitry Galaganov, entrambi shutterstock)

Il recente libro del famoso scienziato del clima Michael E. Mann, La nuova guerra del clima.
Le battaglie per riprenderci il pianeta, avverte con forza che i potenti gruppi di interesse
dell’industria dei combustibili fossili continuano a versare centinaia di milioni di dollari
all’anno per influenzare in modo occulto i dibattiti sulle emissioni di gas serra, sulla
conservazione della natura e sull’azione per il clima. Sono cambiate solo le strategie: dalle
bugie e dalle smentite più evidenti a forme più sottili di disinformazione e inganno. E tutti noi
ci caschiamo sempre di nuovo. Qui, l’ecocentrista Fred Hageneder fornisce un riassunto
esplicativo dell’importante messaggio di Mann.

Parte 1 della serie in 10 parti “Lotta per la Terra”.

Sin dalla fine degli anni ’70, l’industria dei combustibili fossili sapeva che le emissioni incontrollate
di gas a effetto serra avrebbero riscaldato l’atmosfera e causato un’alterazione massiccia del clima e
dei sistemi di supporto alla vita del pianeta. Ma invece di rendere pubbliche le allarmanti scoperte
dei propri scienziati, le grandi compagnie petrolifere hanno preferito nasconderle per decenni.
Eppure sapevano benissimo che  nel giro di una vita umana, l’alterazione del clima globale avrebbe
portato al ritiro delle calotte polari, all’innalzamento del livello dei mari, alla scomparsa di interi
ecosistemi, alla distruzione degli habitat e all’ecocidio, all’aumento dei problemi di disponibilità di
cibo e acqua dolce in molte parti del mondo e a inevitabili migrazioni di massa. (1)
Fig. 1: Documento interno della Exxon del 1982, tratto da “The Guardian” (2) I calcoli mostrati
nel grafico prevedevano l’aumento della temperatura media globale in modo abbastanza accurato.

Perché sapevano anche che la regolamentazione della produzione e del consumo globale di
combustibili fossili avrebbe minacciato il loro core business.

Tra il 2015 e il 2018, una serie di fughe di notizie e un attento giornalismo investigativo hanno
posto fine all’era della negazione della distruzione del clima da parte di Big Oil. (3) E il movimento
per il clima del 2019 ha contribuito a far conoscere queste rivelazioni direttamente al pubblico.
Questo ha portato a un’ondata senza precedenti di cause legali per ritenere l’industria del petrolio e
del gas legalmente responsabile della distruzione della natura causata dai combustibili fossili. Stati
americani come New York, Texas, Massachusetts, Minnesota, Delaware e Connecticut, oltre a
molte città e paesi, stanno citando in giudizio le grandi compagnie petrolifere per frode, mancato
avviso ai consumatori di un prodotto pericoloso, pratiche commerciali ingannevoli e false
affermazioni pubblicitarie. (4) Le associazioni degli azionisti stanno facendo causa a Big Oil per
aver utilizzato il denaro degli azionisti in campagne di disinformazione che minimizzano la crisi
climatica.

I primi successi sono stati raggiunti: Nel maggio 2021, un tribunale dell’Aia ha ordinato a Royal
Dutch Shell di ridurre le sue emissioni globali di carbonio del 45% entro la fine del 2030. (5) A
gennaio di quest’anno, un giudice federale statunitense ha annullato il leasing di oltre 80 milioni di
ettari di riserve di petrolio e gas nel Golfo del Messico. (6) Anche i grandi investitori stanno
iniziando a sviluppare un’avversione per i combustibili fossili – è iniziato un movimento di
disinvestimento nel settore bancario e finanziario. Gli economisti prevedevano già molto prima
dell’attuale crisi energetica che la bolla del carbonio sarebbe scoppiata entro questo decennio. I
governi e i politici di tutto il mondo sono consapevoli della crisi incombente e si impegnano a
parole per l’azione a favore del clima. Anche se mancano per lo più azioni concrete.

M.E. Mann ci avverte però che dobbiamo superare alcuni ostacoli enormi. L’estrazione di
combustibili fossili continua come prima, l’esplorazione di riserve di petrolio e gas prosegue senza
sosta e i sussidi globali hanno raggiunto livelli senza precedenti. (7) Con le spalle al muro, Big Oil
sta investendo più che mai nell’inganno climatico. Le stime parlano di 500 milioni di dollari
all’anno (8), tanto che Mann la definisce “la campagna di PR meglio finanziata e meglio
organizzata della storia”. (9) Tuttavia, “campagna di pubbliche relazioni” è un eufemismo: si tratta
di una vera e propria guerra dell’informazione. (10)

Con l’inizio del collasso climatico ormai visibile a tutti, Big Oil non può più farla franca con la
semplice negazione. La “nuova guerra del clima” condotta dall’industria dei combustibili fossili ha
cambiato marcia. Le nuove strategie sono:

 Disinformazione e inganno;
 Distrazione e diversione;
 Ritardo;
 Creazione di un clima di disperazione e fine del mondo

Con riferimenti accurati, il libro di Mann espone i programmi nascosti. E propone varie
contromisure per non rimanere soggetti a questo lavaggio del cervello e a questa manipolazione.
Quindi, qualsiasi cosa si legga sulla protezione del clima e della natura, sui combustibili fossili e sul
settore energetico, sul libero mercato contro la regolamentazione governativa, sulla crescita
economica contro la decrescita, sui miliardari e sul globalismo, prestate attenzione alle strategie
sopra elencate.

Disinformazione e inganno

Il potere della disinformazione è forse meglio spiegato in un documento interno della lobby dei
combustibili fossili, il famigerato “Memo Luntz” del 2002: “Se il pubblico dovesse credere che le
questioni scientifiche siano state risolte, le sue opinioni sul riscaldamento globale cambierebbero di
conseguenza”. In altre parole, non lasciate che si diffonda la voce che esiste un consenso scientifico
sul riscaldamento globale causato dall’uomo e sui suoi pericoli! Far credere al pubblico che la
scienza del clima è controversa e contestata! La nota suggeriva anche di sminuire il riscaldamento
globale come una semplice “teoria”. E ha consigliato ai suoi destinatari, le lobby dei combustibili
fossili e i politici repubblicani, di usare i termini meno minacciosi possibili, preferendo ad esempio
l’innocuo “cambiamento climatico” a “riscaldamento globale”.

In effetti, l’inganno inizia con il linguaggio, con la scelta delle parole. E gli effetti del memo di
Luntz sono duraturi. Per venti lunghi anni, ad esempio, il termine “gas serra” è stato accantonato,
spostando l’attenzione e le discussioni sul clima unicamente sull’anidride carbonica. Ancora oggi,
la maggior parte delle persone non sa che la CO2 rappresenta solo circa i due terzi dei gas serra.
La seconda sostanza che desta preoccupazione è il metano, 86 volte più dannoso per il clima
rispetto alla stessa quantità di CO2, di cui l’industria dei combustibili fossili emette enormi quantità.
Il metano è entrato nel dibattito pubblico solo con la conferenza sul clima COP26 tenutasi a
Glasgow nel novembre 2021 (per saperne di più si veda la Parte 4).

La maggior parte dei negazionisti del clima negli ultimi decenni si è basata su questo per oscurare i
risultati della scienza. Big Oil trova sempre scienziati marginali disposti a contestare il consenso
della scienza climatica in cambio di “donazioni” estremamente generose. Poi i titoli urlano: “Gli
scienziati dubitano del cambiamento climatico”.

Questa strategia è in realtà vecchia, essendo stata utilizzata dall’industria del tabacco più di mezzo
secolo fa. Gli stessi scienziati dell’industria del tabacco avevano notato i pericoli del fumo per la
salute già nel 1950. Ma invece di mettere in guardia le persone, Big Tobacco ha diffuso messaggi
contrari con studi falsificati e pubblicità su larga scala (per la quale nove aziende del tabacco sono
state alla fine dichiarate colpevoli di frode da un giudice federale nel 2006). (11) In una nota interna
del 1969 si legge: “Il dubbio è il nostro prodotto”.

Successivamente i produttori di pesticidi hanno copiato il manuale dell’industria del tabacco negli
anni ’60 per dissipare i timori che i pesticidi avessero effetti nocivi. Poi è arrivata l’industria dello
zucchero, che è stata particolarmente spietata nell’attaccare e denunciare gli scienziati che
mettevano in guardia sugli effetti malsani del consumo di zucchero. Ora è Big Oil a usare
esattamente lo stesso tipo di tattica: “coprire, negare il problema, finanziare scienziati che mettono
in dubbio la scienza”. Lo stesso schema. E alcuni degli stessi avvocati rappresentano sia il tabacco
che Big Oil”, afferma il procuratore Sharon Eubanks. (11) Questo matrimonio scellerato tra Big
Tobacco e Big Oil si ripropone anche nel trio con Big Pharma (per saperne di più, vedi Parte 8).

Attualmente sono in corso numerosi sforzi di distorsione della realtà intorno al Green New Deal
(GND). In sostanza, il GND si propone di combinare due priorità molto importanti: passare
dall’energia fossile a quella rinnovabile e migliorare la giustizia sociale in generale. Ciò significa
non solo garantire che le famiglie a basso reddito non debbano sostenere il peso dei costi della
transizione energetica, ma anche affrontare l’ingiustizia sociale che esiste già da troppo tempo. Se la
crisi energetica del 2022 ha un aspetto del tutto opposto, ciò dimostra quanto la rete di estrema
destra “libertaria” dello 0,01% abbia presa sulle società occidentali (maggiori informazioni nella
Parte 6).

La proposta americana di un Green New Deal (febbraio 2019;  è precedente al concetto di Building
Back Better dopo la crisi della Corona!) è un quadro di modernizzazione delle infrastrutture,
dell’industria e dei sistemi di trasporto per ridurre in modo massiccio l’inquinamento della natura e
le emissioni di gas serra in tutti i settori dell’economia statunitense e combinare questo con la
sicurezza economica e la prosperità. (12) Nella sua formulazione originale, il GND intende
“garantire a tutti i cittadini degli Stati Uniti un lavoro con un salario che consenta di mantenere la
famiglia, un adeguato periodo di ferie per motivi familiari e medici, congedi retribuiti e una
pensione sicura”. (Ris. 109; pag. 12, H) (13)

Nonostante queste chiare affermazioni, le campagne di disinformazione trascurano deliberatamente


l’aspetto sociale del Green New Deal, alimentando il timore che i prezzi dell’energia aumentino in
modo proibitivo e che l’azione per il clima sia solo una macchina da soldi per “i ricchi” sulle spalle
delle classi più povere. La crisi energetica post-Covid 19, controllata da Big Oil, sembra ora
confermarlo e gioca a favore dell’industria dei combustibili fossili (maggiori informazioni nella
Parte 8).

La copertura del movimento dei gilet gialli in Francia (gilet jaunes) è stata usata impropriamente a
questo scopo. Il movimento è nato da una diffusa frustrazione per l’ingiustizia economica del Paese,
che l’aumento della tassa sul carburante non ha fatto altro che aggravare. Tuttavia, i media di destra
favorevoli al petrolio hanno enfatizzato l’elemento del carburante e alimentato i timori
dell’opinione pubblica che le iniziative nazionali a favore di un’energia più verde potessero portare
solo a ingiustizie per la gente comune. (14) (Maggiori informazioni sul dirottamento dei movimenti
di base nella Parte 8).

Un altro tipo di campagna di disinformazione diffonde il messaggio contraddittorio che l’elemento


sociale del Green New Deal sia un programma occulto socialista/comunista per distruggere
l’America e la società occidentale. Almeno questa è la visione che ci si aspetterebbe dai donatori
della destra ultraconservatrice che sponsorizzano queste campagne. E movimenti come quello dei
gilet gialli sono stati nuovamente abusati per inviare un messaggio ai politici: “Vedete quanto è
pericolosa l’azione per il clima? Non fatelo! La folla di sinistra si solleverà e voi scenderete nei
sondaggi!”. Anche il Presidente Trump ha sostenuto questo argomento fasullo. (15)

Un terzo elemento che allontana gli elettori dal Green New Deal è il mito della “povertà
energetica”. Qui gli industriali improvvisamente versano lacrime di coccodrillo per le nazioni più
povere del Sud globale che presumibilmente hanno bisogno della continuazione dell’era dei
combustibili fossili per rimanere a galla. L’ultimo sostenitore del “mito della povertà energetica” è
Bill Gates. (16) La narrativa della “povertà energetica” ha il grande potenziale di consentire al
fronte fossile di sostenere che il disinvestimento dai combustibili fossili è razzista e ignorante dei
problemi dei Paesi poveri. Quanto l’industria petrolifera sia realmente distruttiva e colonialista è
un’altra questione (per saperne di più, si veda la Parte 4).

Dopotutto, è il Sud del mondo a soffrire maggiormente degli effetti dei cambiamenti climatici.
Anche la Banca Mondiale avverte che “un cambiamento climatico incontrollato spingerà 132
milioni di persone verso la povertà nei prossimi 10 anni”. (17) Per quanto riguarda il ricco Nord: sì,
la transizione energetica costerebbe molto denaro, ma molto meno che affrontare il caos climatico
in corso. E la svolta energetica può essere facilmente pagata con i 5.900 miliardi di dollari di sussidi
diretti e indiretti (nel 2020) che l’industria dei combustibili fossili riceve ogni anno. (7)

Nel nostro tempo (post-Covid-19, post-COP26), l’inganno forse più pericoloso è ” Zero Netto entro
il 2050″. Tutti gli allarmisti climatici – Big Oil e governi obbedienti – si sono affrettati ad adottare
questo come nuovo slogan, ma né “zero netto” né “entro il 2050” sono realistici. Non possiamo
permetterci il lusso di aspettare tre decenni (entro il 2050). E la millantata tecnologia di sequestro
del carbonio su cui si basa inevitabilmente la “rete” di “zero netto” non esiste. L’espressione “Net
Zero 2050” non fa altro che favorire l’industria dei combustibili fossili, incoraggiando un ulteriore
rinvio di una vera azione per il clima. Deve essere cambiato in “Zero 2035” (leggi la parte 3).

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Le 10 parti della serie “Lotta per la Terra” che verranno pubblicate in italiano su Pressenza:

Parte 1: Le sconcertanti strategie dell’industria dei combustibili fossili

Parte 2: Divide et impera


Parte 3: Il pericoloso inganno di “Netto Zero emissioni entro il 2050″

Parte 4: Petrolio sporco: non si tratta solo di carbonio!

Parte 5: I giganti fossili, il libero scambio e la guerra

Parte 6: Come la rete di estrema destra domina (non solo) il dibattito sul clima

Parte 7: La sconvolgente estensione della rete di influenza dell’estrema destra

Parte 8: Crisi climatica, Covid e teorie del complotto

Parte 9: Come le teorie del complotto servono un solo padrone

Parte 10: Il “Grande Reset” e il totalitarismo contro la vera rivoluzione verde

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Note:

Fonte principale: Michael E. Mann 2021. La nuova guerra del clima: le battaglie per riprenderci il
pianeta. Edizioni Ambiente.   http://www.solar-buch.de/mann-propagandaschlacht-2021

1 https://www.europarl.europa.eu/cmsdata/162144/Presentation%20Geoffrey%20Supran.pdf

2 https://www.theguardian.com/environment/2022/jan/18/exxon-texas-courts-critics-climate-crimes

3 https://www.pulitzer.org/finalists/insideclimate-news

4 https://www.law.nyu.edu/centers/state-impact/issues/climate-action/suits-against-oil-companies

https://insideclimatenews.org/news/04042018/climate-change-fossil-fuel-company-lawsuits-
timeline-exxon-children-california-cities-attorney-general

5 https://www.theguardian.com/business/2021/may/26/court-orders-royal-dutch-shell-to-cut-
carbon-emissions-by-45-by-2030

6 https://www.nytimes.com/2022/01/27/climate/federal-court-drilling-gulf.html

7 https://e360.yale.edu/digest/fossil-fuels-received-5-9-trillion-in-subsidies-in-2020-report-finds

8 https://influencemap.org/report/Climate-Lobbying-by-the-Fossil-Fuel-Sector

9 https://www.theguardian.com/environment/2021/feb/27/climatologist-michael-e-mann-doomism-
climate-crisis-interview

10 https://www.zeit.de/2017/51/fake-news-klimawandel-energiekonzerne-
desinformationskampagne

11 https://www.theguardian.com/environment/2021/jun/30/climate-crimes-oil-and-gas-environment
12 https://www.washingtonpost.com/politics/2019/02/11/whats-actually-green-new-deal-democrats/

13 https://s3.documentcloud.org/documents/5729033/Green-New-Deal-FINAL.pdf#page=8

14 https://www.theguardian.com/environment/2021/nov/11/inactivists-tangling-up-the-climate-
crisis-in-culture-wars-manston-airport-kent

15 https://www.businessinsider.com/trump-mocks-emmanuel-macron-over-paris-yellow-vest-riots-
2018-12

16 https://www.gatesnotes.com/energy/two-videos-illuminate-energy-poverty-bjorn-lomborg

17 https://www.worldbank.org/en/topic/climatechange/overview#1

Lotta per la Terra (2): divide et impera


18.11.22 - Fred Hageneder

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Francese, Tedesco

Per quanto tempo ancora possiamo permetterci una distrazione totale? (Foto di Collage di Fred Hageneder,
immagini: Dean Drobot, Narongsak Nagadhana, entrambi shutterstock)

Nel suo libro ” La nuova guerra del clima: la battaglia per riprenderci il pianeta “, lo scienziato
del clima Michael E. Mann racconta come i potenti gruppi di interesse dell’industria dei
combustibili fossili stiano ancora spendendo centinaia di milioni di dollari in operazioni segrete
volte a boicottare un’azione efficace sul clima. Solo sapendo a cosa fare attenzione possiamo
evitare di essere disinformati, ingannati e manipolati. L’ecocentrista Fred Hageneder completa
qui il suo riassunto esplicativo dell’importantissimo messaggio di Mann.

Parte 2 della serie in 10 parti “La battaglia per reclamare il nostro pianeta Terra”.

Distrazione e diversione

La disinformazione da sola non basta. Troppe persone guarderebbero più a fondo e vedrebbero
dietro le bugie superficiali. È proprio qui che entra in gioco un approccio noto in inglese come
Smoke and Mirrors (fumo e specchi). Se la disinformazione e l’inganno sono il fumo che rende
tutto più confuso e sfocato, la distrazione e la diversione sono gli specchi. E cosa c’è di più
distraente che vedere improvvisamente la propria immagine distorta?

Quando il nuovo movimento per il clima ha portato Big Oil sotto i riflettori nel 2019 con la
domanda “Cosa pensate di fare contro l’inquinamento della natura?”, l’industria ha schivato la
domanda e ha girato lo specchio: “È fondamentalmente colpa dei consumatori! Noi stiamo solo
soddisfacendo la domanda”.

Così è iniziata la storia dell’“impronta di carbonio personale”. Dal 2019, lo scaricabarile è stato il
ramo di maggior successo della campagna anti-clima. Sia gli attivisti che il pubblico in generale,
che vogliono davvero aiutare e vivere una vita migliore e più “verde”, ci cascano e si fanno a pezzi
a vicenda: Riscaldate ancora con l’olio, non posso crederci! – Hai ancora una macchina?!? – Non
userai mica ancora l’aereo? – Come si può mangiare carne di manzo se il bestiame è stato nutrito
con soia proveniente dall’Amazzonia?!?

Per alimentare questa discussione infinita, a metà degli anni Duemila fu proprio il gigante del
petrolio BP a promuovere il concetto di “impronta di carbonio personale”. Hanno anche lanciato
uno dei primi calcolatori personali dell’impronta di carbonio. Tutto per distrarre dalle proprie
responsabilità.

Le controversie portano alle divisioni, e questo è nell’interesse del settore. Un pubblico diviso non
può parlare con una sola voce. “Divide et impera”, come consigliava Giulio Cesare.

È indubbiamente vero che le scelte di vita personali si sommano e hanno un impatto sull’impronta
umana globale, ma le scelte dei consumatori sono anche molto limitate. Questo è emerso
chiaramente durante il primo lockdown del 2020: quando le vite personali si sono fermate, ma le
fabbriche e le miniere hanno continuato a funzionare, le emissioni globali di gas serra sono
diminuite solo del 4,5%. In realtà, i maggiori responsabili del clima non sono gli aerei e il trasporto
privato di passeggeri, ma l’agricoltura industriale e l’economia estrattiva (estrazione e lavorazione
delle “materie prime”). Sapevate che in un Paese come il Canada, che esporta combustibili fossili,
l’estrazione e la lavorazione dei combustibili fossili rappresentano da sole il 26% delle emissioni
nazionali di gas serra?

Pertanto, non dobbiamo solo dare l’esempio, ma anche chiedere cambiamenti sistemici di vasta
portata a livello politico e industriale.

Per impedire alle persone di farlo, il gioco della colpa e della vergogna è stato portato all’estremo:
scienziati (climatici) di spicco e ambientalisti sono messi nel “mirino della macchina d’attacco
finanziata dall’industria dei combustibili fossili”, come la definisce Mann: attacchi, invettive e
calunnie.
Un approccio spesso usato è quello di accusare di ipocrisia i più famosi e influenti sostenitori della
lotta al cambiamento climatico. Leonardo Di Caprio, ad esempio, è un attivista impegnato nella
protezione della natura e nell’azione per il clima. Ma le Fake News della destra politica, soprattutto
quelle dell’impero mediatico di Murdoch, producono titoli come “Eco-guerriero o ipocrita?”.
Leonardo Di Caprio va in giro per il mondo con il suo jet a festeggiare… mentre predica sul
riscaldamento globale” (1) e “Leo Di Caprio non è l’unico ipocrita sul cambiamento climatico”
(citando anche il Presidente Obama e persino Papa Francesco). (2)

Tutti conoscono i massicci attacchi diffamatori contro la giovane attivista per il clima Greta
Thunberg. Per evitare i viaggi in aereo, si era persino recata in barca a vela al vertice sul clima di
New York nel settembre 2019, ma è stata poi attaccata perché la barca a vela era in parte fatta di
“plastica non riciclabile” (3). L’autore negazionista continua: “Non ha nemmeno rinunciato al
cellulare o al cibo avvolto nella plastica, eppure vuole che moriamo di fame e che viviamo senza
alcuna tecnologia, compresi i pannelli solari e i generatori eolici, perché impiegano elettronica e
guarnizioni di plastica. La vile Greta e il suo inganno devono essere fermati”. (4)

A parte i numerosi errori di ortografia e di grammatica, questi blog non reggono il confronto con la
realtà. Se la Thunberg e la sua famiglia lo facessero solo per i soldi, perché donare il suo premio
umanitario di un milione di euro a progetti di beneficenza che combattono “la crisi climatica ed
ecologica”? (5)

L’ironia è che né Di Caprio né Thunberg hanno mai detto che gli individui dovrebbero cambiare il
loro stile di vita. Entrambi si limitano ad affrontare la necessità di un cambiamento sistemico.
Quindi l’accusa di ipocrisia non è giustificata. Nessuno può essere ipocrita perché non fa cose che
non ha consigliato ad altri.

Ma qual è l’essenza di una simile accusa? Che chiunque osi alzare la voce quando si tratta della
Terra dovrebbe vivere al cento per cento senza prodotti industriali? Niente plastica, niente consumo
di combustibili fossili, niente elettricità? Il risultato distopico sarebbe che tutti gli attivisti
resterebbero a casa e non se ne sentirebbe più parlare! Esattamente quello che sognano gli
industriali “libertari” di destra. E nel frattempo possono intimidire e indottrinare il pubblico contro
la natura e la protezione del clima gridando: “Loro (gli attivisti) vogliono portarti via l’hamburger!
Vogliono portarti via l’automobile! ”

Quando la deputata statunitense e irriducibile sostenitrice del Green New Deal Alexandria Ocasio
Cortez è stata definita ipocrita per l’uso dell’automobile, lei ha rifiutato di partecipare al gioco della
colpa e della vergogna, rispondendo: “Anch’io volo e uso l’elettricità. Vivere nel mondo così com’è
non è un argomento contro l’impegno per un futuro migliore”. (6)

È proprio questo il risultato che possiamo trarre. Dobbiamo tutti scendere a compromessi e “fare
scelte insostenibili in un sistema in cui la vera sostenibilità è impossibile”, come dice Sami Grover.
Il suo blog “In Defence of Eco-Hypocrisy” (In difesa dell’eco-ipocrisia) è un brillante allenamento
per tutti a guardarsi da questo tipo di assurdità. (7) Nessuno di noi può essere perfetto, quindi
smettiamo di discutere e restiamo uniti.

Ma la guerra per la terra va oltre le questioni legate allo stile di vita. Dobbiamo essere consapevoli
del pericolo sempre presente del “divide et impera”, altrimenti qualsiasi conflitto nella politica
dell’identità – sia esso di genere, di età, di abilità, di razza o di status sociale – fa il gioco
dell’agenda “libertaria” multinazionale (per saperne di più su questo punto, si veda la Parte 6).
Alcune aziende produttrici di combustibili fossili sfruttano anche deliberatamente e senza scrupoli
le questioni sociali. Alimentando l’incomprensione e la tensione tra le due parti in causa, il pubblico
viene diviso. Nel 2020, ad esempio, Chevron si è posizionata pubblicamente come alleata di Black
Lives Matter, ma l’ha segretamente minata sostenendo piattaforme razziste. (8) Come dimostra uno
studio di Yale, negli Stati Uniti le persone di colore sono più favorevoli all’azione per il clima
rispetto agli americani bianchi, ma Big Oil cerca costantemente di mettere le minoranze sociali
contro la protezione della natura (vedi Parte 5). (9)

E funziona! L’opinione pubblica discute più che mai su innumerevoli dettagli su cui le persone
hanno opinioni differenti. In questo senso, la crisi del Covid e le controversie sui vaccini sono state
un’altra manna per l’industria dei combustibili fossili, già viziata dalla fortuna. La distrazione
perfetta. Le persone sono tormentate da profonde paure per la salute e/o per la perdita delle libertà,
e le profonde differenze di opinione – e l’opinionismo – non si sanano rapidamente. Questo può
essere un vantaggio per Big Oil, ma per l’umanità – e per l’intero pianeta – significa altri anni persi
a non concentrarsi sull’emergenza ecologica globale.

Invece di combattere gli uni contro gli altri, uniamoci per un percorso semplice e chiaro:
difendiamo la Terra e tutti i suoi abitanti. Giustizia sociale per tutte le persone, giustizia climatica
per tutti gli esseri viventi. Non ci può essere giustizia su una Terra morta. Qualunque persona si
trovi in piedi o cammini accanto a me, la rispetto naturalmente come un pari, semplicemente perché
è un cittadino della Terra, indipendentemente dalla sua impronta di carbonio personale, dal colore
della sua pelle, dal suo sesso, dalla sua razza, dalla sua età, dalle sue capacità o dal fatto che sia
LGBTQ+. Siamo tutti nella stessa barca (la nave Terra). Difendiamo insieme la vita e usiamo la
nostra spina dorsale eretta finché siamo in tempo.

Ritardo

La strategia di Big Oil per ritardare il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili va
in due direzioni. Un approccio è diretto e primitivo. L’altro è sofisticato e decisamente ingegnoso.
Entrambi sono efficaci. Il climatologo Michael E. Mann li chiama “affondare la concorrenza”. (10)

L’approccio diretto prevede attacchi, diffamazioni e fake news. Non sorprende che le energie
rinnovabili siano facilmente attaccabili in ogni modo possibile. Poiché tutte le tecnologie “verdi”
hanno i loro punti deboli, soprattutto quando vengono impiegate su larga scala, vi sono ampie
possibilità di critica. È sorprendente che le accuse mirino ai punti deboli per respingere poi l’intera
tecnologia (magari gridando “bugie”, “ipocrisia” o “cospirazione”), buttando via il bambino con
l’acqua sporca piuttosto che fare uno sforzo concertato per migliorare idee fondamentalmente
buone.

L’altro approccio, quello sofisticato, è quello di “minare i reali progressi sul clima promuovendo
‘soluzioni’… che non sono affatto vere soluzioni” (Mann). Queste non-soluzioni sono il gas
naturale, i “combustibili ponte”, il “carbone pulito” e il sequestro del carbonio, l’energia nucleare e
la geoingegneria. Tuttavia, poiché continuano a essere discussi seriamente dai media e dai piani alti,
stanno causando un’ulteriore distrazione e un ritardo nella vera azione per il clima (per saperne di
più su questo aspetto, si veda la Parte 3).

Ad esempio, nell’estate del 2019, al culmine del nuovo movimento per il clima, il Dipartimento
dell’Energia degli Stati Uniti (DoE) ha annunciato che il gas naturale è un “gas della libertà” (non è
uno scherzo!) e ha parlato di “molecole della libertà”. (11) Queste affermazioni audaci si riferiscono
al fatto che il gas naturale produce solo circa la metà di CO2 per watt di elettricità generata rispetto
al carbone. È un’ottima notizia per il clima, no?
Ciò che Big Oil non aggiunge è che il gas naturale è per lo più metano e le emissioni di metano
sono un gas serra circa 86 volte più dannose della CO2. (Si veda il mio articolo sulla deliberata
sopravvalutazione del ruolo del carbonio nel cambiamento climatico e sulla trascuratezza del
metano). Oltre a queste emissioni catastrofiche, la maggior parte del gas naturale oggi viene estratto
tramite fratturazione idraulica (“fracking”), che distrugge i paesaggi, genera enormi quantità di
rifiuti radioattivi e di contaminazione e spesso inquina chimicamente le acque sotterranee e quindi
l’acqua potabile (per saperne di più su questo aspetto si veda la Parte 4). Questi “carburanti ponte”
sono un ponte verso il nulla. Per distogliere l’attenzione da questo, ci voleva la guerra in Ucraina e
la crisi del gas (per saperne di più su questo punto si veda la Parte 5).

La genialità della promozione delle non soluzioni da parte di Big Oil sta nel fatto che:

1. E’ prestigioso per la loro rinnovata immagine green poter dire: “Abbiamo offerto delle soluzioni!”.
2. Grandi somme di denaro pubblico stanziate per la ricerca sull’energia “verde” vengono alla fine
sottratte dall’industria dei combustibili fossili per sviluppare tecnologie senza senso. In questo
modo, i giganti multinazionali del fossile ricevono ancora più sussidi pubblici, mentre
3. Scarseggiano i fondi statali per una ricerca sensata sull’energia sostenibile. “Affondare la
concorrenza”.

Creazione di un clima di disperazione e fine del mondo

Quando tutti gli altri metodi iniziano a fallire (ecco la buona notizia: a quanto pare non funziona più
tutto così bene!), l’ultimo fronte della nuova guerra climatica è la creazione di stati d’animo di
disperazione e fine del mondo. Dopo decenni di ostentata negazione dell’alterazione del clima
causata dall’uomo, il fronte fossile è passato direttamente a diffondere un sentimento apocalittico e
a sostenere che non c’è più nulla da fare per fermare la disintegrazione del clima e del mondo
vivente. “È comunque troppo tardi”. (12)

Anche se può sembrare sorprendente, il messaggio che il destino del pianeta è già segnato fa il
gioco delle Big Oil. Il doomismo (credere alla fine del mondo) è così attraente per le élite del
vecchio ordine mondiale fossile perché crea una sconnessione interiore in coloro che vi credono.
Quando non c’è speranza, non c’è futuro, subentrano l’impotenza e l’apatia. “Il doomismo è il
nuovo protezionismo dei profitti per i combustibili fossili. L’impotenza è il nuovo messaggio”,
diagnostica lo scrittore freelance Ketan Joshi. (13)

Questo messaggio è particolarmente sarcastico perché, sin dalla nascita dell’ecologismo moderno
negli anni ’60, i difensori della Terra sono stati accusati di essere “allarmisti” dai conservatori e
dall’estrema destra. In questi decenni è iniziata la sesta estinzione di massa. La Terra ha perso ben
l’83% dei mammiferi terrestri selvatici, l’80% delle balene e dei delfini, il 75% degli insetti, per
citare solo alcune delle cifre spaventose. Eppure, chiunque abbia parlato in modo onesto e
consapevole è stato accusato di allarmismo. Tuttavia, come sottolinea M.E. Mann, c’è una
differenza tra preoccupazione e allarmismo.

E ora che i fatti della distruzione del pianeta stanno diventando evidenti e innegabili per il grande
pubblico, la stessa industria dei combustibili fossili sta promuovendo il doomismo (creazione di
un’atmosfera da fine del mondo, N.d.T.). La paura apocalittica, infatti, disarma le persone e
genera un’inerzia passiva. Anche in questo caso, la crisi del Covid è stata una manna per Big Oil,
perché da allora il livello generale di paura nella popolazione è salito alle stelle. Nel corso di due
anni di pandemia, un senso distopico della fine del mondo si è insinuato nelle società moderne. Chi
si preoccupa del previsto innalzamento del livello del mare entro la fine del secolo quando sono
minacciati la sua esistenza e il suo stile di vita?
Allo stesso tempo, le accuse della destra agli scienziati e agli attivisti del clima di essere allarmisti
continuano a dilagare. Un grande punto di forza dell’estrema destra ultra-conservatrice e
“libertaria” al comando è che sa come lanciare costantemente affermazioni contraddittorie nei suoi
messaggi. In questo caso: “È troppo presto per agire!” e allo stesso tempo “È troppo tardi per
agire!”. Seminare confusione e dubbi è una strategia che logora le persone. “Il dubbio è il nostro
prodotto”, come disse Big Tobacco ai suoi lobbisti nel 1969. Alla fine ci arrendiamo perché non
sappiamo più a cosa credere.

Chi sono le organizzazioni e le persone che stanno dietro a tutto questo? Ne parliamo nella Parte 6.

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Le 10 parti della serie “Lotta per la Terra” che verranno pubblicate in italiano su Pressenza:

Parte 1: Le sconcertanti strategie dell’industria dei combustibili fossili

Parte 2: Divide et impera

Parte 3: Il pericoloso inganno di “Netto Zero emissioni entro il 2050″

Parte 4: Petrolio sporco: non si tratta solo di carbonio!

Parte 5: I giganti fossili, il libero scambio e la guerra

Parte 6: Come la rete di estrema destra domina (non solo) il dibattito sul clima

Parte 7: La sconvolgente estensione della rete di influenza dell’estrema destra

Parte 8: Crisi climatica, Covid e teorie del complotto

Parte 9: Come le teorie del complotto servono un solo padrone

Parte 10: Il “Grande Reset” e il totalitarismo contro la vera rivoluzione verde

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Note:

Fonte principale: Michael E. Mann 2021. La nuova guerra del clima: la battaglia per riprenderci il
pianeta. Edizioni Ambiente.   http://www.solar-buch.de/mann-propagandaschlacht-2021

1 https://www.dailymail.co.uk/tvshowbiz/article-3605779/Eco-warrior-hypocrite-Leonardo-
DiCaprio-jets-world-partying-preaching-global-warming-Title-goes-here.html

2 https://nypost.com/2016/05/26/leo-di-caprio-isnt-the-only-climate-change-hypocrite/

3 https://iowaclimate.org/2019/08/18/doh-climate-messiah-greta-thunbergs-plastic-boat-trip-will-
require-four-transatlantic-flights/

4 https://wattsupwiththat.com/2019/12/07/climate-messiah-greta-thunberg-they-try-so-desperately-
to-silence-us/
5 https://www.bbc.co.uk/news/science-environment-53477604

6 https://twitter.com/AOC/status/1102021054363586561

7 https://medium.com/@sami.grover/in-defense-of-eco-hypocrisy-b71fb86f2b2f

8 https://www.globalwitness.org/en/campaigns/fossil-gas/chevrons-pattern-of-funding-racism-
continues-so-do-its-efforts-to-appear-like-an-ally/

9 https://climatecommunication.yale.edu/publications/race-and-climate-change/

10 Michael E. Mann 2021. La nuova guerra del clima: la battaglia per riprenderci il
pianeta. Edizioni Ambiente.  Capitolo 6.

11 https://www.theguardian.com/business/2019/may/29/energy-department-molecules-freedom-
fossil-fuel-rebranding

12 https://www.theguardian.com/environment/climate-consensus-97-per-cent/2018/oct/08/the-
trump-administration-has-entered-stage-5-climate-denial

13 https://twitter.com/KetanJ0/status/1216118507500457985

Lotta per la Terra (3): il pericoloso inganno di


“Netto Zero emissioni entro il 2050”
04.11.22 - Germania - Fred Hageneder

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Francese, Tedesco


Netto Zero 2050" è davvero la strada giusta per salvare il clima? (Foto di Collage di Fred Hageneder,
materiale immagine: Iven O Schloesser / shutterstock)

Parte 3 della serie in 10 parti “La lotta per reclamare il nostro pianeta Terra”.

L’inganno più pericoloso per la protezione del clima è attualmente “Netto Zero 2050”. Tutti i
maggiori responsabili del disastro climatico, le Big Oil e i governi favorevoli alle imprese, sono
stati rapidi nell’adottare questo nuovo obiettivo climatico. Ma ha due difetti fatali. Uno è il “netto
zero”, l’altro è “entro il 2050”. Entrambi creano un falso senso di sicurezza. Lo zero netto non è
fisicamente possibile, né possiamo permetterci il lusso di aspettare tre decenni, fino al 2050. Ma
il messaggio centrale di “zero netto entro il 2050” viene deliberatamente utilizzato per ritardare
ulteriormente un’azione climatica realistica ed efficace.

Come scrive lo scienziato del clima Peter Kalmus sul Guardian, “questi due errori forniscono una
copertura alle compagnie petrolifere e ai politici che vogliono mantenere lo status quo. Insieme
formano una ricetta letale per l’inazione e un livello catastrofico di cambiamento climatico e
naturale irreversibile”. (1)

Tanto per cominciare, la scadenza del 2050 sembra lontana, incoraggia un ulteriore rinvio
dell’azione per il clima. “Chi sente l’urgenza di una scadenza al 2050?”, si chiede Kalmus. Al
contrario, il Green New Deal presentato dalla deputata statunitense Alexandria Ocasio-Cortez
all’inizio del 2019 propone un arco temporale di soli dieci anni. (2) Poiché l’umanità ha aspettato
troppo a lungo, non ci rimane molto budget di emissione di carbonio per mantenere il riscaldamento
globale al di sotto di 1,5° C.

In secondo luogo, uno stile di vita “netto zero” non è semplicemente possibile per una specie
vivente di mammiferi come l’uomo. Dobbiamo mangiare, muoverci, e tenerci al caldo. Per questo
abbiamo bisogno di energia. Anche le energie “sostenibili” o “verdi” (dal sole, dal vento, dalle
onde) hanno una certa impronta di carbonio (anche se molto più piccola rispetto ai combustibili
fossili), e anche la loro produzione e successiva decostruzione crea una parziale contaminazione,
distruzione di habitat e danni ecologici. L’umanità deve sfidare il mantra della crescita
economica infinita e sviluppare un’economia più sostenibile e inclusiva.

Invece, l’idea di “compensare” l’impatto dell’attività economica dilagante sul sistema Terra è molto
popolare. Questo perché promette che l’attività ordinaria possa continuare, grazie a una
“compensazione” del danno attraverso una sorta di “promessa di riparazione” altrove. Questa
assurdità è l’equivalente ecologico di una licenza di uccidere, semplicemente sponsorizzando un
corso di ostetricia o un programma di vaccinazione infantile altrove.

È vero che dobbiamo pensare e agire sui metodi di sequestro del carbonio in vista dell’emergenza
climatica e della nostra impronta di gas serra, anche perché i gas serra già immessi nell’atmosfera
devono essere eliminati. Ma per ora lo farà la natura, se solo glielo permettessimo:

È ormai opinione diffusa che la piantagione di alberi su larga scala, alias imboschimento, e la
rigenerazione dei suoli vivi, in particolare delle zone umide e delle torbiere, sequestrino enormi
quantità di carbonio e siano il migliore incentivo per la protezione del clima. Le migliori e più utili
strategie di cattura del CO2 che abbiamo sono, ovviamente, la conservazione delle foreste, la
riforestazione, l’agricoltura rigenerativa e il rewilding. Ma la loro attuazione può andare di pari
passo solo con un riorientamento dell’economia e delle nostre coscienze.

La rigenerazione delle foreste e dei suoli potrebbe anche risolvere un giorno l’intera crisi climatica,
ma ci vorranno decenni, se non secoli, e non ci resta molto tempo. Soprattutto con le quantità di
emissioni che stiamo ancora rilasciando. L’unica soluzione sensata è quella di eliminare
immediatamente i combustibili fossili. Come dice Kalmus, “per ridurre la probabilità di un collasso
della civiltà, la società deve passare alla modalità di emergenza”. E deve farlo ora.

Secondo scienziati del clima come Manfred E. Mann, lo scambio di crediti di carbonio ha un grande
potenziale per introdurre un cambiamento nell’economia dei combustibili fossili a livello mondiale.
Nessuno dubita che sia uno strumento imperfetto, però siamo in grave difficoltà.

Ma il modo in cui un sistema corrotto distorce ogni idea per mantenere i suoi obiettivi disonesti è
un’altra questione. Finora, il commercio del carbonio non ha ridotto le emissioni come si sperava.
Ciò che sta accadendo è che aziende e società hanno iniziato ad acquistare su larga scala aree
forestali o zone umide con la “promessa” di proteggere il loro potenziale di sequestro del carbonio.
In cambio, si permette loro di continuare a inquinare l’atmosfera. Questo rapido aumento degli
acquisti di terreni per la “compensazione delle emissioni di carbonio” ha già iniziato a far lievitare i
prezzi e l’affittanza agricola, minando le comunità locali e sfollando i piccoli agricoltori e le
popolazioni indigene.

La Scozia è uno dei primi fronti di questo nuovo sistema globalizzato di creazione di denaro, che sta
anche contribuendo ad allargare ulteriormente il divario generale tra ricchi e poveri. Come ha
recentemente affermato Peter Peacock, ex parlamentare delle Highlands e delle Isole ed esperto
attivista per la riforma agraria: “Le Highlands vengono ancora una volta sottratte alla popolazione
locale e svendute a forze esterne”. (3) In effetti, in Scozia ci sono brutti ricordi delle Highland
Clearances di circa duecento anni fa. Anche in Galles e altrove, le grandi aziende stanno
cominciando a sottrarre vasti tratti di terra alle popolazioni locali.

Nel Sud del mondo si teme addirittura che questa nuova ondata di accaparramenti di terre possa
contribuire a carestie future. Ma queste conseguenze economiche di vasta portata del commercio del
carbonio vengono raramente discusse.
Inoltre, ci sono numerose ragioni etiche per cui Netto Zero e il carbon trading sono sbagliati. Nel
suo nuovo libro, True Economy – From the Greed of Money to an Economy of Care, Vandana
Shiva riassume come il commercio del carbonio violi tutte le nozioni etiche della giurisprudenza
terrena: (4)

“- In primo luogo, l’inquinamento da combustibili fossili e il superamento dei confini planetari


violano i diritti della Madre Terra, di Gaia. Il commercio del carbonio viola i diritti della natura
negando l’integrità dei processi ecologici della Terra. La Terra non esiste per i miliardari, che
possono continuare a sfruttarla per estrarre profitti illimitati. La Terra è il fondamento della nostra
vita e del nostro benessere. Crea l’infrastruttura attraverso i suoi complessi processi ecologici
auto-organizzati per creare, sostenere e rigenerare la vita. Il commercio del carbonio è una
violazione del diritto della Terra al suo carbonio vivo, che è la base della vita.

– In secondo luogo, il carbonio fossile morto e il suo inquinamento non possono essere equiparati
al carbonio vivo delle piante e dei terreni. Un “male” non può essere scambiato con un “bene”.
Parlando di decarbonizzazione non si riconosce che “siamo forme di vita basate sul carbonio”
(André Leu). La vita è carbonio vivo. Equiparare il carbonio vivente al carbonio fossile morto è
una falsa equazione”.

Manie di grandezza: cattura del carbonio e geoingegneria

Senza alcun riguardo per l’etica o la giustizia sociale, Big Oil continua a ingannare il pubblico (vedi
Parte 1). Il concetto di “Netto Zero” si basa su un sogno tecnocratico irrealistico chiamato cattura e
stoccaggio del carbonio (CCS). Sì, c’è un famoso impianto di cattura del carbonio in Islanda che
promette di estrarre il carbonio dall’aria, processarlo e immagazzinarlo nel sottosuolo. In Islanda,
questo può funzionare in misura limitata, perché c’è molta energia termica vulcanica che può essere
utilizzata a questo scopo e cavità adatte negli strati di roccia sotterranei. Anche in questo caso, però,
il metodo è molto costoso e quindi non è adatto all’uso mondiale.

In tutto il mondo esistono circa cinquanta impianti CCS di piccole dimensioni, di cui una ventina in
funzione. Gli altri sono in fase di sviluppo. Gli impianti cercano di catturare il carbonio
direttamente dalle emissioni delle centrali elettriche a carbone. Questo dovrebbe portare al “carbone
pulito”. Una “soluzione” spudoratamente promossa dall’industria carbonifera polacca alla
conferenza sul clima COP24 in Polonia. (5) Ma anche nel migliore dei casi, la CCS può catturare
solo il 90% delle emissioni di carbonio. E cercare di farlo su scala globale e richiedere ai gestori di
centrali elettriche a carbone di dotare i loro impianti di CCS renderebbe il carbone ancora meno
redditizio di quanto non lo sia già. Allora perché non spendere i soldi per le energie rinnovabili?

Ma la CCS non viene utilizzata solo per promuovere il settore del carbone. Tutti i produttori di
combustibili fossili e i loro think tank liberali di destra (vedi Parte 6) amano le soluzioni
tecnologiche come la CCS. Ogni barlume di speranza di domare il carbonio in futuro viene
immediatamente usato come scusa per mantenere i combustibili fossili. “Oh, hanno intenzione di
ripulire la nostra sporcizia in futuro? Allora produciamo più sporcizia! “Anche quando una
tecnologia proposta non è chiaramente una soluzione, la ripetizione costante di queste Fake News
ha un effetto ipnotico. Se si ha una sufficiente influenza sui media, come è chiaramente il caso di
Big Oil (vedi Parte 7), ci vorranno anni prima che il pubblico si renda conto della menzogna.

Il trattamento del carbonio nella CCS richiede un’enorme quantità di energia e l’iniezione del
carbonio negli strati rocciosi rilascerebbe idrocarburi naturali in molti punti, per cui la CCS
potrebbe facilmente creare più carbonio nell’atmosfera di quello che viene rimosso in primo luogo.
(6) L’intera faccenda è una farsa e gli scienziati l’hanno da tempo scartata come soluzione globale.
Eppure, Bill Gates promuove la CCS, le tecniche di geoingegneria e altre soluzioni fasulle e
sognanti nel suo libro del 2021 Come evitare un disastro climatico. (7)

Gates ha ragione nel dire che la tecnologia di stoccaggio del carbonio è efficace in quanto dirotta il
denaro pubblico dai governi all’industria dei combustibili fossili. Investendo in queste soluzioni
fasulle, l’industria dei combustibili fossili può ottenere ancora più sussidi e agevolazioni fiscali.

Ecco una satira australiana ben fatta su questo tema (video in inglese):

“Annuncio governativo onesto – Cattura e stoccaggio del carbonio”.

Videoclip satirico di The Juice Media sulla CCS e sull’abuso di sussidi.

Attenzione: contiene insulti.

“Netto Zero 2050” e la rete degli inganni

Dopo la COP26 di Glasgow in novembre 2021, tutte le grandi compagnie petrolifere (ad esempio
Exxon, Shell, BP, Chevron) (8) sembrano improvvisamente d’accordo e hanno prontamente
annunciato “ambizioni” (Exxon) o “obiettivi” (Chevron) per un “netto zero 2050”. Sono davvero
improvvisamente d’accordo con la protezione del clima, come se i quarant’anni di negazione del
cambiamento climatico non fossero mai esistiti? La bella pubblicità avvicina i consumatori alle
identità aziendali sicure di sé e profondamente verdi. Ma dietro questo scenario rassicurante, i
miliardari che fanno la cresta sui profitti dei combustibili fossili finanziano massicce campagne per
boicottare qualsiasi progresso sul cambiamento climatico (per saperne di più, vedi Parte 6).

Ma questa rete di inganni è diventata fragile. Solo se ci sono sufficienti distrazioni continue (Covid-
19, vaiolo delle scimmie, guerra in Ucraina) nessuno troverà il tempo o il pubblico per mettere in
discussione qualcosa. Anche molti attivisti e gruppi climatici ben intenzionati cadono nella
menzogna del “Netto Zero 2050”, che non fa altro che rimandare ulteriormente un’azione climatica
reale e significativa. E questo è esattamente ciò che vuole Big Oil (vedi Parte 1).

La risposta è eliminare le assurdità, cioè togliere il “netto” da “netto zero”. E cambiare il 2050 in
2035.

Di Fred Hageneder

(Le altre parti di questa serie non sono finora state tradotte in italiano.)

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L’intera serie in 10 parti: “La battaglia per reclamare il nostro pianeta Terra”.

,(Qui i link agli articoli già apparsi in inglese su Pressenza):

Parte 1: Le sconcertanti strategie dell’industria dei combustibili fossili (1)

Parte 2: Le sconcertanti strategie dell’industria dei combustibili fossili (2)


Parte 3: Il pericoloso inganno di “Net Zero entro il 2050″.

Parte 4: Petrolio sporco: non si tratta solo di carbonio!

Parte 5: I giganti fossili, il libero scambio e la guerra

Parte 6: Come la rete di estrema destra domina (non solo) il dibattito sul clima

Parte 7: La sconvolgente estensione della rete di influenza dell’estrema destra

Parte 8: Crisi climatica, Covid e teorie della cospirazione

Parte 9: Come le teorie del complotto servono un solo padrone

Parte 10: Il “Grande Reset” e il totalitarismo contro la vera rivoluzione verde

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Fonti:

1) https://www.theguardian.com/commentisfree/2021/sep/10/net-zero-2050-deadly-procrastination-
fossil-fuels

2) https://s3.documentcloud.org/documents/5729033/Green-New-Deal-FINAL.pdf#page=8

3) https://www.opendemocracy.net/en/oureconomy/scotland-is-on-the-global-frontlines-of-the-
great-net-zero-land-grab

4) https://www.pressenza.com/de/2022/07/manifest-zu-oekonomien-der-fuersorge-und-
erddemokratie/

5) https://www.desmog.com/2018/11/27/polish-coal-company-announced-first-sponsor-un-climate-
talks-katowice/

6) https://www.resilience.org/stories/2021-06-17/the-shining-lies-canadians-are-told-about-
lowering-emissions/

7) https://www.newsweek.com/fact-check-bill-gates-block-sun-conspiracy-theory-scopex-1573108

8) https://corporate.exxonmobil.com/News/Newsroom/News-releases/2022/0118_ExxonMobil-
announces-ambition-for-net-zero-greenhouse-gas-emissions-by-2050

https://www.shell.com/energy-and-innovation/the-energy-future/our-climate-
target.html#iframe=L3dlYmFwcHMvY2xpbWF0ZV9hbWJpdGlvbi8

https://www.bp.com/en/global/corporate/news-and-insights/reimagining-energy/net-zero-by-
2050.html

https://www.chevron.com/stories/chevron-sets-net-zero-aspiration-and-new-ghg-intensity-target

 
Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid. Revisione di Filomena Santoro

Fred Hageneder è autore del libro “Nur die eine Erde – Globaler Zusammenbruch oder global
Heilung – unsere Wahl”.



Lotta per la Terra (4): petrolio sporco – Non si


tratta solo di CO2!
27.11.22 - Fred Hageneder

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Francese, Tedesco

Quello che non vediamo mai (o non vorremmo vedere) è quanto l'estrazione dei combustibili fossili
distrugga interi paesaggi e popolazioni. (Foto di Collage di Fred Hageneder, immagini: Filip Fuxa,
Tigergallery, entrambi shutterstock)

Una discussione sul clima che si concentra esclusivamente sulle emissioni di carbonio dà
l’impressione che le misure climatiche previste dai governi presto colpiranno davvero le
industrie dei combustibili fossili. Ma limitarsi alla CO2 è una scelta che l’industria stessa ha
fatto come il male minore. Il commercio internazionale del carbonio può essere corrotto per
creare un’altra fonte di profitto, ed è una perfetta distrazione dagli altri aspetti negativi dei
combustibili fossili che continuano a distruggere senza controllo habitat e mezzi di
sussistenza.

I combustibili fossili come il petrolio greggio o il gas naturale non vengono semplicemente
“scoperti”, poi estratti con un piccolo impianto di perforazione e miracolosamente trasportati
direttamente alla pompa di benzina o al serbatoio del nostro riscaldamento. Non esiste una buona
“fata del petrolio”, ma piuttosto un’enorme e complessa infrastruttura, tutt’altro che “pulita” in ogni
sua parte.

Vediamo gli altri tre aspetti distruttivi dell’industria petrolifera che non dovrebbero mai essere
dimenticati in tutte le discussioni sui gas serra (anidride carbonica, metano, protossido di azoto N2O
e gas fluorurati).

1. “Esplorazione”

I problemi creati dai combustibili fossili iniziano già con le ricerche dei giacimenti e con il loro
finanziamento. La “scoperta” di giacimenti può sembrare nobile e pionieristica, ma è un enorme
business in sé, in cui le compagnie petrolifere e le banche, ma soprattutto i governi, investono
miliardi. Ad esempio, i governi del G20 spendono circa 88 miliardi di dollari all’anno per
sovvenzionare l’esplorazione di giacimenti petroliferi, di cui 37 miliardi di euro in Germania. (1)

“Investire” è in effetti il termine giusto per le società energetiche e finanziarie, dal momento che
recupereranno di molto le spese sostenute come profitti. Ma per i governi e i contribuenti, “investire
nei combustibili fossili” significa l’opposto: i governi versano i soldi dei contribuenti alle società,
ma non li rivedranno mai più. I profitti dei giganti fossili provengono quindi direttamente dalle
tasche dei cittadini.

L’obiettivo è spingere il prodotto nazionale lordo e la crescita economica, perché questa è la


religione sotto mentite spoglie del nostro tempo.

Il termine “esplorazione” è un altro eufemismo. L’esplorazione sismica di nuovi giacimenti di


petrolio e gas sotto i fondali marini rivela la brutalità e la nefandezza della nostra forma economica
estrattivista:

“I cannoni ad aria compressa (air guns) e gli esplosivi producono suoni a bassa frequenza (sotto i
100 Hz) che danno singoli impulsi o esplosioni continue di energia alle onde sismiche che poi
penetrano in profondità nel fondale marino. Con emissioni sonore di 250 decibel, i cannoni ad aria
compressa sono mille volte più rumorosi del motore di una nave e fanno a pezzi tutto ciò che si
trova nelle loro vicinanze. Nell’Artico, la ricerca sismica di petrolio e gas avviene senza sosta”.
(Hageneder 2021, Solo una terra)

I sonar militari, che provocano spiaggiamenti di massa di balene e delfini, hanno un impatto ancora
più devastante. Anche il rumore costante delle piattaforme petrolifere, delle navi da rifornimento e
delle petroliere è una tortura per innumerevoli creature marine, la maggior parte delle quali possiede
un udito molto sviluppato. Le foche, ad esempio, vengono spesso assordate dal rumore delle navi. I
baffi delle foche sono sensori tattili che aiutano gli animali a “vedere”, immergersi e cacciare anche
al buio. I baffi vibrano a frequenze di 100-300 Hz, una banda di frequenza che oggi è fortemente
oscurata dal rumore dei motori delle navi e delle piattaforme petrolifere.
2. Distruzione di spazi vitali e dei mezzi di sussistenza

L’eufemismo successivo è “estrazione“. Non funziona con un piccolo impianto carino come nel
fumetto di Lucky Luke. La mega-macchina della nostra economia estrattiva si muove come se
stesse colonizzando un pianeta appena scoperto. In primo luogo, le rispettive agenzie governative
locali – nei Paesi del Sud globale spesso anche l’esercito e/o le criminali squadre di sgombero
assunte tramite società fittizie – sono autorizzate a sfrattare gli abitanti del luogo e a distruggere la
flora e la fauna.

A questo punto inizia la vera e propria presa di possesso. Forse nessuno ha descritto tutto questo in
modo più vivido di Alex Perry nella sua opera letteraria sul Mozambico (il paese un tempo idilliaco
sulla costa orientale dell’Africa, di fronte al Madagascar). La provincia di Cabo Delgado, nel nord
del Paese, era caratterizzata da centinaia di chilometri di foresta, spiagge e villaggi di capanne di
fango a malapena collegati al mondo. Poi è arrivata la svolta:

“Nel 2010, un gruppo di esploratori texani ha annunciato di aver trovato uno dei più grandi
giacimenti di gas naturale del mondo al largo della costa e nel 2019, le multinazionali del petrolio e
del gas TotalEnergies (francese) e Exxon-Mobil hanno svelato i piani per spendere rispettivamente
20 e 30 miliardi di dollari per sfruttare il giacimento, facendo di Palma il sito del più grande singolo
investimento straniero in Africa. Il progetto doveva essere realizzato in due fasi. Per prima cosa,
16.370 ettari sulla penisola di Afungi, a sud di Palma, dovevano essere ripuliti da fattorie e villaggi
e poi circondati da due recinzioni parallele alte 3,6 metri, all’interno delle quali gli appaltatori
avrebbero dovuto costruire un porto, un aeroporto, una rete stradale, una centrale elettrica e un
impianto di trattamento delle acque, oltre a un pronto soccorso, caffetteria, bar, palestra e centinaia
di cabine con bagno per i dirigenti della Total, disposte a schiera, collegate da passerelle coperte e
dotate di lampioni. Poi, enormi aree fuori Afungi sarebbero state trasformate in una mezza dozzina
di campi operai giganti – migliaia di cabine da quattro letti, più bagni e mense comuni – per
ospitare 15.000 lavoratori”.

Perry continua: “In un luogo con una sola strada asfaltata esistente, un‘antenna per la telefonia
mobile, un mercato, alcune cliniche di base, quasi nessuna elettricità e una manciata di ostelli per
escursionisti, significava costruire un’intera nuova città da zero”.

In tutto il Paese, gli appaltatori, i trasportatori e i bulli locali hanno visto il “progetto” come una
gallina dalle uova d’oro. 50 miliardi di dollari per lo “sviluppo” di un Paese povero hanno scatenato
un inferno di competizione, di corruzione e di discordia sociale. Cari lettori, non credete nemmeno
per un secondo che l’epoca del colonialismo e della schiavitù sia mai finita.

Perry: “Ma la maledizione delle risorse continua a vivere oggi negli accordi tra le industrie
estrattive e molti dei regimi più repressivi e corrotti del mondo, dove le aziende pagano miliardi ai
governi o ai singoli ministri per sfruttare le ricchezze naturali di un Paese, ma ricompensano le
persone che ci vivono con lavori a basso costo a 200 dollari al mese, se non meno”.

L’opposizione della popolazione locale è stata presa in carica da un gruppo militante islamista. È
interessante notare che la voce di Wikipedia inglese su Cabo Delgado menziona solo il terrorismo
da parte di “estremisti islamici”, ma non dice una parola sull’industria petrolifera del luogo. La
pagina Wiki tedesca, invece, si limita a lodare l’industria petrolifera per aver creato finora 5.000
posti di lavoro.

Leggete l’articolo completo di Alex Perry qui. (2)


3. Contaminazione

Non solo con la combustione, ma già con l’estrazione del greggio o del gas naturale inizia la
molteplice e grave contaminazione dell’ecosfera del nostro pianeta. Ma a parte i super disastri –
come il più recente Deepwater Horizon della BP nel Golfo del Messico – che sono praticamente gli
unici a finire sui giornali, non si sente quasi mai parlare delle catastrofi locali e regionali.

Il numero di incidenti e perdite nell’estrazione, nel trasporto e nella lavorazione dei combustibili
fossili è gigantesco. E non solo in Unione Sovietica, come i media occidentali hanno ripetutamente
sottolineato in modo programmatico durante la Guerra Fredda, ma anche nella madrepatria della
follia del petrolio, gli Stati Uniti.

Secondo Statista, nel 2020 si sono verificati oltre 43.000 “incidenti” negli oleodotti statunitensi (3),
Reuters parla di 4 miliardi di dollari di danni e 122 morti (in questo ordine) in 11 anni (2010-2021)
(4), e il Center for Biological Diversity rivela che negli Stati Uniti dal 1986 “le fuoriuscite dagli
oleodotti sono state in media di 76.000 barili all’anno, o più di 3 milioni di galloni”. Ciò equivale a
200 barili al giorno” (5). 200 barili sono più di 32.000 litri.

Non c’è da stupirsi che le proteste contro l’oleodotto Keystone XL e l’oleodotto Dakota Access
continuano da anni. Ma cosa sto dicendo!!!? Le proteste di Standing Rock (6) non ricevono quasi
nessuna copertura dai media tedeschi! È meglio consultare il Guardian o certi media americani (7).

Video: i pericolosi oleodotti americani

Video grafico degli incidenti di oleodotti segnalati negli USA dal 1986 al 2013.

E questo sta accadendo qui in Occidente! Lontano, dove nessuno guarda, è molto peggio, ad
esempio in Nigeria. L’Istituto per gli Studi sulla Sicurezza sintetizza: “Il Delta del Niger, nel sud
della Nigeria, è uno dei luoghi più inquinati del pianeta. Decenni di contaminazione da petrolio,
dovuti a più di 50 anni di estrazione petrolifera, continuano a compromettere la salute, il benessere e
i mezzi di sussistenza delle comunità locali” (8). I dati mostrano che “delle quasi 6.000 fuoriuscite
confermate di greggio registrate dal 2006, il 32% si è verificato dopo il 2016”.

Sebbene gran parte di ciò possa essere attribuito a gruppi militanti e alla criminalità organizzata,
questo caos civile è emerso solo dopo che Big Oil ha distrutto il tessuto sociale, ambientale ed
economico della regione. È arrivato il momento di giudicare le aziende come responsabili di
ecocidio (per saperne di più leggi la Parte 1). Il 29 gennaio 2021, la Corte d’appello dell’Aia ha
stabilito che la filiale nigeriana di Shell ha violato i diritti umani e ambientali ed è responsabile
delle conseguenze di due fuoriuscite di petrolio in Nigeria (9).

Un altro esempio infernale è il Kuwait. Quando l’invasione irachena ha incendiato i pozzi


petroliferi, le squadre di esperti hanno impiegato mesi per spegnerli. La colonna di fumo era visibile
per 1300 chilometri. 11 milioni di barili di greggio si sono riversati nel Golfo Persico, formando
una marea nera lunga 15 chilometri. Sul suolo del deserto si sono formati quasi 300 laghi di
petrolio.  E ora, a 30 anni di distanza, il Kuwait non sa ancora chi debba ripulire i 19 milioni di
metri cubi di sabbie contaminate (10).

E anche quando le sostanze volatili vengono stoccate in modo sicuro e silenzioso nelle raffinerie o
nei serbatoi e fuori dalle aree di crisi, i contenitori, presumibilmente ben sigillati, perdono e
rilasciano grandi quantità di metano, un gas che è oltre 80 volte più dannoso per il clima della CO2.
Il New York Times ha pubblicato un sorprendente reportage fotografico al riguardo (11).
Un altro problema è la radioattività. Anno dopo anno, l’industria dei combustibili fossili produce
più contaminazione radioattiva dell’energia nucleare.

Il petrolio, i suoi prodotti e i suoi rifiuti sono tra le principali fonti di materiali radioattivi naturali
che vengono portati alla superficie dalle profondità. Il fracking delle rocce di scisto sotterranee, in
particolare, rilascia radioattività incontrollabile (12).

La maggior parte delle trivellazioni produce un liquido salino tossico chiamato salamoia in quantità
molto maggiore del petrolio o del gas vero e proprio, fino a dieci volte di più. E la salamoia è
radioattiva a vari livelli. I lavoratori dell’industria spesso non vengono informati del pericolo
radioattivo e si ammalano di cancro o di ulcere e lesioni cutanee prima del tempo (13).

Per arginare l’ondata di rifiuti tossici, gran parte della salamoia viene pompata nel terreno
attraverso pozzi di iniezione. Il resto è deliberatamente sparso per le strade negli Stati Uniti.
L’industria vende la salamoia radioattiva alle comunità rurali ignoranti, che usano la soluzione
salina come antigelo in inverno e per legare la polvere sulle strade sterrate in estate. Viene persino
sparsa regolarmente su strade che costeggiano campi di mais, pascoli delle mucche o coltivazioni di
alberi da sciroppo d’acero. (14)

Altri materiali radioattivi generati dall’industria dei combustibili fossili sono i rifiuti di
perforazione, le acque reflue, gli sterili grezzi, fanghi, sedimenti e filtri.

Anche i prodotti finiti non sono sempre privi di radioattività prima e durante la combustione. Ma le
autorità sanitarie non vedono alcun pericolo per i consumatori a causa dei bassi livelli di radiazione.
Forse le soglie consentite, come nel caso della telefonia mobile e dell’industria elettrica, sono
fissate così alte da accontentare le industrie piuttosto che la salute delle persone? Perché, come ho
detto, la crescita economica è l’obiettivo a cui tutto il resto deve essere subordinato.

La parte 5 analizzerà quanto spietate possano diventare le industrie estrattive e i “liberi mercati” e
come questo minaccia la democrazia e persino il futuro dell’umanità.

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Le 10 parti della serie “Lotta per la Terra” che verranno pubblicate in italiano su Pressenza:

Parte 1: Le sconcertanti strategie dell’industria dei combustibili fossili

Parte 2: Divide et impera

Parte 3: Il pericoloso inganno di “Netto Zero emissioni entro il 2050″

Parte 4: Petrolio sporco – non si tratta solo di CO2!

Parte 5: I giganti fossili, il libero scambio e la guerra

Parte 6: Come la rete di estrema destra domina (non solo) il dibattito sul clima

Parte 7: La sconvolgente estensione della rete di influenza dell’estrema destra

Parte 8: Crisi climatica, Covid e teorie del complotto


Parte 9: Come le teorie del complotto servono un solo padrone

Parte 10: Il “Grande Reset” e il totalitarismo contro la vera rivoluzione verde

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Note:

1 https://www.heise.de/tp/features/Oel-und-Kohle-Subventionen-ohne-Ende-4879159.html?
seite=all

2 https://www.outsideonline.com/outdoor-adventure/exploration-survival/attack-amarula-hotel-
palma-mozambique-africa/?utm_source=pocket-newtab-global-en-GB

3 https://www.statista.com/statistics/1271787/us-oil-pipeline-spillage/

4 https://www.reuters.com/business/environment/new-research-reveals-us-gas-pipeline-leaks-have-
not-improved-2022-06-23/

5 https://www.biologicaldiversity.org/campaigns/americas_dangerous_pipelines/

6 https://www.google.co.uk/search?
as_q=Standing+Rock&as_epq=&as_oq=&as_eq=&as_nlo=&as_nhi=&lr=&cr=&as_qdr=all&as_sit
esearch=www.theguardian.com&as_occt=any&safe=images&as_filetype=&tbs=

7 https://www.theguardian.com/us-news/gallery/2016/aug/25/north-dakota-pipeline-protest-pictures

8 https://issafrica.org/iss-today/endless-oil-spills-blacken-ogonilands-prospects

9 https://www.rechtspraak.nl/Organisatie-en-contact/Organisatie/Gerechtshoven/Gerechtshof-Den-
Haag/Nieuws/Paginas/Shell-Nigeria-liable-for-oil-spills-in-Nigeria.aspx

10 https://www.theguardian.com/environment/2021/dec/11/the-sound-of-roaring-fires-is-still-in-
my-memory-30-years-on-from-kuwaits-oil-blazes

11 https://www.nytimes.com/interactive/2019/12/12/climate/texas-methane-super-emitters.html

12 https://news.bloomberglaw.com/environment-and-energy/legal-gaps-leave-fracking-a-
radioactive-mess#:~:text=La%20produzione%20di%20petrolio%E2%80%94e%20i%20rifiuti
%20di%20gas%20vengono%20immagazzinati.

13 https://www.rollingstone.com/politics/politics-features/oil-gas-fracking-radioactive-
investigation-937389/

14 https://www.rollingstone.com/politics/politics-features/oil-gas-fracking-radioactive-
investigation-937389/
Lotta per la Terra (5): i giganti del fossile, il
libero commercio e la guerra
03.12.22 - Fred Hageneder

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Francese, Tedesco

Come fa il capitale fossile a trarre vantaggio dal libero scambio e persino dalle guerre? (Foto di Collage di
Fred Hageneder. Immagini: Immersion Imagery, Corona Borealis Studio, LeStudio, tutti shutterstock)

Perché l’umanità è così legata all’industria dei combustibili fossili e incapace di un’azione
significativa per il clima? Quali sono le strutture che rendono Big Oil così invincibile al
cambiamento sistemico verso un’economia veramente sostenibile? Come vengono utilizzati i
conflitti e le guerre nel gioco globale dei combustibili fossili?

Parte 5 della serie in 10 parti “La lotta per reclamare il nostro pianeta Terra”.

L’industria dei combustibili fossili e le altre multinazionali non hanno mai gradito le norme di
protezione dell’ambiente. Sono una seccatura e costano. Lo stesso vale per i diritti del lavoro. Da
quando la globalizzazione neoliberista ha aperto la possibilità di trasferire la produzione in Paesi più
poveri e con minori regolamentazioni (Cina e Sud globale), i desideri dell’industria sono stati
esauditi. E le dimensioni della distruzione della natura, delle emissioni e delle morti sul lavoro sono
salite alle stelle.

Globalizzazione del commercio contro l’azione per il clima

Uno dei motivi principali per cui l’azione dell’umanità a favore del clima è stata così lenta a
decollare è la dinamica della globalizzazione e degli accordi di libero scambio. Il movimento per il
clima e la globalizzazione si sono sviluppati simultaneamente, ma il “libero commercio”
neoliberista ha sempre avuto il sopravvento.

Nel 1992 i governi si sono riuniti per il primo Vertice della Terra a Rio e hanno firmato la
Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Nello stesso anno è
stato firmato l’Accordo di libero scambio nordamericano. Nel 1994 è stata istituita
l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Nel 1997 è stato adottato il Protocollo di Kyoto
per proteggere il clima. Ma mentre tutti gli accordi sul clima rimangono degli “obiettivi” volontari
privi di significato, i “diritti” dell’industria, i suoi investimenti e i suoi brevetti sono protetti in
modo aggressivo dall’OMC.

Un esempio: nel 2010 un’azienda fotovoltaica italiana ha sviluppato moduli solari con un’efficienza
senza pari. L’azienda ha installato la sua linea di produzione in Ontario, soddisfacendo la richiesta
della provincia secondo cui metà della manodopera, dei materiali e dei componenti debba provenire
dalla regione. Gli esperti di tutto il mondo hanno elogiato questo accordo come “la politica più
completa in materia di energie rinnovabili… in tutto il mondo”. (Klein 2014, p. 67) Dopotutto,
“comprare localmente” e “assumere localmente” è la via per un futuro davvero sostenibile.

Per due anni, l’Ontario è stato il più grande produttore di energia solare del Canada. Nel 2012, però,
l’intero accordo ha vacillato perché il Giappone e l’UE hanno ritenuto che le regole dell’Ontario
sulla produzione regionale violassero gli accordi dell’OMC. E infatti l’OMC si è pronunciata contro
il Canada, affermando che le norme sull’acquisto di prodotti locali sono illegali. Il trattamento
preferenziale dell’industria locale, ha affermato, costituisce una “discriminazione” illegale e un
protezionismo nei confronti di potenziali fornitori stranieri. Ebbene sì, senza che l’opinione
pubblica se ne accorga, siamo entrati in un’epoca in cui le grandi imprese possono per legge far
causa ai governi!

Non si tratta di un caso isolato, ma di un modello globalista che ostacola l’azione per il clima: nel
2010, gli Stati Uniti hanno contestato uno dei programmi cinesi di sovvenzione all’energia eolica.
Nel 2013, gli Stati Uniti hanno attaccato il programma indiano di sovvenzione all’energia solare.
Sia la Cina che l’India si sono vendicate prendendo di mira i progetti di energia rinnovabile negli
Stati Uniti. La Cina ha attaccato anche progetti energetici nell’UE, in particolare in Grecia e in
Italia. Naomi Klein riassume: “I maggiori emettitori del mondo stanno correndo all’OMC per
distruggere i rispettivi parchi eolici”. (Klein 2014, p. 65)

L’alleanza anti-clima degli Stati petroliferi

Per far sì che i politici, gli investitori e l’opinione pubblica dubitino della necessità di abbandonare i
combustibili fossili, Big Oil sta combattendo su due fronti: a livello nazionale e internazionale.
Sulla scena internazionale spicca un’alleanza di soli quattro Stati petroliferi: Russia, Arabia Saudita,
Stati Uniti e Kuwait. I primi due hanno causato il triste fallimento della Conferenza di Copenaghen
sui cambiamenti climatici (COP15) nel 2009 attraverso uno scandalo inventato chiamato
“Climategate” che ha diffuso false accuse e calunnie contro gli scienziati del clima. Questa notizia è
stata amplificata da una valanga di messaggi provocatori (trollbot) provenienti da server russi per
inondare i social media occidentali e, nel mondo analogico, dall’impero mediatico di Murdoch. Il
principe saudita Alwaleed Bin Talal è un alleato di Rupert Murdoch e all’epoca era il secondo
maggiore azionista della News Corp di Murdoch (1).

Da allora, gli Stati Uniti sotto Trump e il Kuwait si sono uniti alla coalizione negazionista e tutti e
quattro hanno lavorato insieme per annacquare gli impegni sul clima alla conferenza di Katowice
del 2018 (COP24) (2). Dal punto di vista di Big Oil, ciò era più che mai necessario perché nel 2012
il gigante energetico statale russo Rosneft e la più grande compagnia di combustibili fossili del
mondo, ExxonMobil, avevano firmato un accordo per sviluppare le più grandi riserve di petrolio
non sfruttate al mondo. Si tratta dei giacimenti di petrolio nell’Artico, in Siberia e nel Mar Nero per
un valore stimato di 500 miliardi di dollari”. (Mann, pag. 39)

Questo è stato un buon motivo per il barone del petrolio Putin per interferire nelle elezioni
statunitensi del 2016. Hillary Clinton avrebbe infatti mantenuto le sanzioni alla Russia di Barack
Obama, imposte nel 2014 dopo l’annessione della penisola di Crimea da parte russa. Donald
Trump, invece, ha nominato nientemeno che – sorpresa, sorpresa! – il capo della ExxonMobil Rex
Tillerson come Segretario di Stato.  Tillerson è stato a lungo al centro di importanti accordi
petroliferi tra i due Paesi nella veste di ex direttore della società russo-americana di combustibili
fossili Exxon Neftegas. Naturalmente Trump ha cercato di revocare le sanzioni alla Russia che
ostacolavano l’accordo Rosneft-Exxon, ma senza successo.

Dimenticate la solita opposizione di blocchi politici! C’è solo una morale in questo campo: i dollari
del petrolio. La plutocrazia petrolifera americana e l’oligarchia petrolifera russa guidata da Putin
perseguono gli stessi obiettivi. Lo stesso vale per gli sceicchi arabi del petrolio. Oltre al fatto che
tutti negano l’alterazione del clima, la maggior parte di questi manipolatori condivide anche
atteggiamenti di base come l’elitarismo, il razzismo, l’omofobia, la transfobia e la misoginia. Senza
dubbio vanno molto d’accordo a porte chiuse.

Ma questa analisi regge di fronte all’invasione dell’Ucraina?

Big Oil e la guerra in Ucraina

Pochi giorni dopo l’inizio dell’assedio, il rappresentante dell’Ucraina a un incontro virtuale dei
delegati ONU sul clima ha dichiarato: “Il cambiamento climatico causato dall’uomo e la guerra
all’Ucraina hanno le stesse radici: i combustibili fossili e la nostra dipendenza da essi” (3).

Il giorno prima dell’invasione russa, il 23 febbraio 2022, l’American Petroleum Institute aveva
chiesto misure che da tempo erano comunque in cima alla sua lista di richieste politiche:
l’abolizione delle restrizioni all’estrazione di combustibili fossili nei territori statunitensi, la
riapertura delle trivellazioni offshore e una generale deregolamentazione. La scusa è che il settore
dei combustibili fossili è una questione di sicurezza nazionale e che indebolirlo lascerebbe gli Stati
Uniti e i loro alleati “vulnerabili alle manovre feroci di Vladimir Putin”.

A poche ore dall’inizio dell’invasione, Big Oil ha affermato nei comunicati stampa e sui social
media che la chiave per porre fine alla crisi era quella di consegnare immediatamente le terre e le
acque pubbliche degli Stati Uniti alle compagnie di combustibili fossili e di allentare rapidamente le
normative (4). La plutocrazia petrolifera statunitense si è sempre opposta al commercio energetico
tra la Russia e l’UE. Da qui nascono, ad esempio, le sanzioni del presidente Trump contro il
gasdotto Nordstream 2 nel 2019 (5).

Una settimana dopo l’Heritage Fund, che fa parte della rete di influenza di estrema destra (vedi
parte 7), ha appoggiato l’appello all’amministrazione Biden di liberare immediatamente aree
terrestri e marine statunitensi per nuove esplorazioni di petrolio e gas, piuttosto che “continuare a
tenere gli Stati Uniti in ostaggio dell’infatuazione del presidente Biden per l'”energia verde” e
procedere con misure volte a regolamentare e ridurre l’energia convenzionale”.

Collegando a questa politica la crescente difficoltà di molti americani a riscaldare le proprie case,
l’Heritage Fund utilizza la vecchia tattica di contrapporre l’azione per il clima alla giustizia sociale
(6). Questo espediente sta prendendo piede anche al di fuori degli Stati Uniti: invece di votare per la
protezione del clima contro l’energia fossile, gli elettori ora ambiscono al gas fossile per riscaldare
le loro case. Non essere passati efficacemente alle energie rinnovabili all’inizio del millennio si
rivela oggi come una grande occasione persa.

Più tardi, a marzo, il Competitive Enterprise Institute, un altro importante think tank liberale di
destra, si è unito al coro dei combustibili fossili chiedendo che spariscano “la burocrazia
ambientalista e le controversie che oggi bloccano i nuovi progetti di petrolio e gas naturale” (7).

In Europa, e in particolare nel Regno Unito, i prezzi dell’energia al consumo si erano impennati
molto prima della guerra, portando i profitti dell’industria dei combustibili fossili ai massimi storici
(8). Un’altra buona notizia di guerra per Big Oil: i prezzi dei crediti di carbonio sono crollati subito
dopo l’invasione russa, abbassando di fatto il costo delle emissioni di gas serra per le aziende più
sporche (9). Nel Regno Unito, la prima reazione all’invasione dell’Ucraina – e le idee in Germania
non sembrano molto diverse – è stata una nuova “strategia di sicurezza energetica”, per la quale si
sta valutando la possibilità di revocare il precedente divieto di trivellazione per il gas di scisto, cioè
il fracking (10) e di far uscire dall’armadio una vecchia non-soluzione: l’energia nucleare (vedi
Parte 3).

Temendo una crisi energetica, i Paesi occidentali sono in preda al panico e si affrettano a fissare
ancora di più i combustibili fossili nelle loro economie. Nessun Paese è vicino a raggiungere gli
obiettivi di “ripresa verde” promessi dopo la crisi del Covid. Nella primavera del 2022 le Nazioni
Unite hanno avvertito che questo nuovo corso dei combustibili fossili mancherà addirittura
l’obiettivo dei +2° C di riscaldamento globale (11). Ancora una volta, il futuro (a breve termine)
di Big Oil sembra piuttosto roseo. Anche se l’invasione di Putin ha fatto saltare il mega-accordo tra
Exxon e Rosneft. Tutte le compagnie energetiche occidentali si sono ritirate dalla Russia – e questo
non è difficile per le società fossili, dato che la concorrenza orientale è stata eliminata e la crisi
energetica globale sta portando loro profitti come mai prima d’ora.

Conclusione: nel corso di tre decenni, la globalizzazione e il libero scambio deregolamentato hanno
fatto precipitare l’umanità in una situazione d’ingiustizia sociale, fame, inquinamento della natura e
collasso climatico sempre più grave. La crisi del Covid e la guerra in Ucraina sono chiare
indicazioni che lo smantellamento della globalizzazione colonialista e il cambiamento sistemico
(decentralizzazione, decrescita, localizzazione) sono urgentemente necessari.

Tuttavia, invece di vedere questa guerra come un innegabile campanello d’allarme per la società,
affinché si passi a energie più ecologiche e a un maggiore isolamento termico degli edifici (12), la
plutocrazia petrolifera occidentale sta usando questa guerra come dottrina d’urto e come leva
definitiva per portare avanti le sue argomentazioni sui combustibili fossili e prolungare la sua
esistenza (13).

Quale parte vincerà? Dobbiamo essere chiari su chi o cosa abbiamo di fronte. Maggiori
informazioni nella parte successiva che sarà pubblicata su Pressenza prossimamente in italiano.

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Le 10 parti della serie “Lotta per la Terra” che verranno pubblicate in italiano su Pressenza:

Parte 1: Le sconcertanti strategie dell’industria dei combustibili fossili

Parte 2: Divide et impera


Parte 3: Il pericoloso inganno di “Netto Zero emissioni entro il 2050″

Parte 4: Petrolio sporco – non si tratta solo di CO2!

Parte 5: I giganti del fossile, il libero commercio e la guerra

Parte 6: Come la rete di estrema destra domina (non solo) il dibattito sul clima

Parte 7: La sconvolgente estensione della rete di influenza dell’estrema destra

Parte 8: Crisi climatica, Covid e teorie del complotto

Parte 9: Come le teorie del complotto servono un solo padrone

Parte 10: Il “Grande Reset” e il totalitarismo contro la vera rivoluzione verde

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Note:

Fonti principali: Michael E. Mann 2021. La nuova guerra del clima: la battaglia per riprenderci
il pianeta. Edizioni Ambiente.   http://www.solar-buch.de/mann-propagandaschlacht-2021

Naomi Klein: Capitale contro clima, Castelvecchi Editore 2020.

1 https://observer.com/2017/11/longtime-murdoch-ally-saudi-prince-dumps-1-5b-worth-of-fox-
shares/

2 https://www.theguardian.com/environment/2018/dec/09/us-russia-ally-saudi-arabia-water-down-
climate-pledges-un

3 https://www.motherjones.com/politics/2022/03/ukraine-russia-oil-fracking-natural-gas-shock-
doctrine-green-energy/?utm_source=Connatix&utm_medium=video&utm_campaign=Playspace-
2022-03-04

4 https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/mar/04/oil-gas-lobbyists-us-ukraine-drilling

5 https://www.bbc.co.uk/news/world-europe-50875935

6 https://www.heritage.org/press/heritage-president-unleash-us-energy-production-provide-
americans-relief-hold-russia

7 https://cei.org/opeds_articles/will-ukraine-invasion-spark-another-trans-alaska-pipeline-moment/

8 https://www.theguardian.com/business/2022/feb/03/surging-energy-prices-fuel-shells-highest-
quarterly-profits-in-eight-years#:~:text=Shell%27s%20profitti%20per%2021%20tutti%20i
%20profitti%20delle%20forniture%20globali%20di%20gas.

9 https://www.theguardian.com/environment/2022/mar/02/eu-carbon-permit-prices-crash-after-
russian-invasion-of-ukraine
10 https://www.independent.co.uk/news/uk/politics/energy-crisis-uk-ukraine-russia-invasion-
b2031988.html

11 https://www.theguardian.com/environment/2022/mar/21/ukraine-war-threatens-global-heating-
goals-warns-un-chief

12 https://www.fr.de/politik/ukraine-krieg-bundeswehr-aufruestung-interview-jutta-ditfurth-news-
91380249.html

13 https://tsd.naomiklein.org/shock-doctrine.html

Lotta per la Terra: (6) come l’estrema destra


domina (non solo) il dibattito sul clima
14.12.22 - Fred Hageneder

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese, Spagnolo, Francese, Tedesco

"A volte Satana si presenta come un uomo di pace" - Bob Dylan (Foto di collage di Fred
Hageneder, materiale fotografico: Kraska/shutterstock)

Vi siete mai chiesti perché una specie presumibilmente intelligente, l’Homo sapiens, si dirige a tutta
velocità verso un disastro ecologico globale senza tirare il freno? Perché le emissioni di gas serra
continuano ad aumentare nonostante il collasso del clima sia inequivocabilmente iniziato? Perché la
distruzione degli habitat continua nonostante la sesta estinzione di massa sia in corso? Ci sono forze
in gioco di cui non si parla molto. Vogliamo dare un’occhiata dietro le quinte?
Parte 6 della serie in 10 parti “La lotta per reclamare il nostro pianeta Terra”.

L’energia a basso costo è il motore della nostra civiltà. Purtroppo è anche il motore della
distruzione massiccia del mondo naturale in tutti i suoi aspetti. Mentre l’ecosfera del pianeta Terra
si indebolisce e il suo sistema climatico un tempo stabile e benevolo collassa, anche la civiltà come
la conosciamo è in pericolo. La maggiore resistenza ad allentare la morsa dell’umanità sull’ecosfera
proviene dalle stesse industrie estrattive, in particolare dal settore energetico.

I think tank e il denaro nero

Negli Stati Uniti la plutocrazia petrolifera americana sta investendo più che mai in strategie per
minare la protezione del clima; le stime parlano di 500 milioni di dollari all’anno (1), motivo per cui
il climatologo Manfred E. Mann la definisce “la campagna di PR meglio finanziata e organizzata
della storia” (2).

Questa nuova guerra del clima, guidata dall’industria dei combustibili fossili, utilizza una serie di
strategie (si veda la Parte 1 sulla manipolazione del dibattito sul clima) per seminare dubbi sulla
scienza del clima e sulle energie rinnovabili e per togliere ai cittadini il potere decisionale in
generale. Queste strategie – disinformazione e inganno, distrazione e diversione, ritardo, ansia da
fine del mondo e disperazione – vengono utilizzate su larga scala per impedire il necessario
cambiamento sistemico.

Non si tratta solo di lobbying nel senso tradizionale del termine, in cui i lobbisti lavorano negli
ambienti governativi per influenzare i politici e i legislatori, spingendoli a sostenere cose che non
dovrebbero mai considerare nell’interesse dei cittadini e del pianeta.

Video: La misteriosa “banca interna” delle industrie Koch in Svizzera | Guardian Explainers

Uno sguardo sul denaro che passa attraverso le società fittizie della rete Koch.

I principali attori di questa nuova guerra del clima sono i cosiddetti “think tank”, i cui massimi
dirigenti progettano innumerevoli campagne e operazioni psicologiche (le cosiddette psyops) per
distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali. Lo spettro spazia dalla
commissione di “studi scientifici” corrotti (si veda la Parte 7) per avvalorare le argomentazioni dei
politici conservatori che negano il problema del clima all’inondazione dei media (di destra) e di
Internet con disinformazione, inganno e distrazione. Per creare sentimenti apocalittici, un nutrito
gruppo di collaboratori retribuiti orchestra dei domini internet inventati, falsi account sui social
media e software che creano automaticamente dei messaggi (chiamati bot, N.d.T.). In un giorno
qualsiasi, ad esempio, circa un quarto di tutti i tweet relativi al clima proviene da bot e prima delle
conferenze sul clima si arriva a più di un terzo (3).

Sebbene la loro missione sia quella di influenzare in modo occulto la percezione e l’opinione
pubblica in linea con la loro agenda radicale, per la quale utilizzano il micro-targeting
comportamentale e la manipolazione emotiva, questi “think tank” portano nomi rispettabili e si
presentano come “istituti” e “fondazioni” obiettivi e neutrali. Qui “gli accademici che sostengono
posizioni scettiche sul clima sono addestrati al lavoro di comunicazione per intervenire nelle
discussioni dei media” (4). Dietro a questo sta un’agenda rigorosa finanziata da miliardari libertari
di estrema destra, per lo più con denaro nero attraverso una rete di fondazioni fasulle e la loro
versione di “filantropia”.
La filantropia è senza dubbio una buona cosa. O meglio, lo era. Le persone che possiedono più
denaro di quanto ne abbiano bisogno donano somme consistenti a istituzioni pubbliche come
scuole, ospedali o altre cause benefiche. E i super-ricchi possono donare ancora di più, cosa che
spesso fanno, considerandolo un punto d’onore.

Ma qualcuno si è presto reso conto che le donazioni deducibili dalle tasse possono essere utilizzate
anche per scopi non proprio caritatevoli. Sì, anche per promuovere obiettivi del tutto subdoli che
non servono né al pubblico né al pianeta né a nessun altro, ma solo all’ideologia del ricco donatore.
Questo sistema si basa sulla legge statunitense che non richiede la divulgazione dell’identità dei
donatori di beneficenza. Tutto quello che serve è una rete di “istituzioni” che passano il denaro
finché le tracce non vengono coperte. Si tratta di denaro nero che proviene da quella che Jane
Mayer chiama “filantropia armata”.

Jane Mayer è una giornalista investigativa le cui ricerche in questo settore hanno portato a un libro
acclamato dalla critica: Dark Money: Come un gruppo segreto di miliardari sta cercando di
comprare il controllo politico negli Stati Uniti. Questo è il titolo dell’edizione inglese. L’edizione
originale americana riassume ancora meglio il problema: Dark Money: La storia nascosta dei
miliardari dietro l’ascesa della destra radicale.

Video: Jane Mayer / I fratelli Koch e la filantropia come arma

Discussione con Jane Mayer al forum Etica nella società dell’Università di Stanford

La destra radicale

La destra radicale – ora la questione si fa preoccupante. Non si tratta di mantenere puliti i bilanci e
le politiche delle compagnie petrolifere e del carbone. Si tratta di proprietari privati che utilizzano
parte dei loro profitti per investire in un corso ultra-conservatore e “libertario”. Si tratta dell’élite
superiore, lo 0,01% e la “filantropia armata” mantiene puliti anche i suoi bilanci.

Il loro marchio di “libertarismo” è una grossolana distorsione del significato originale del termine e
della sua storia. Mentre un tempo descriveva l’ambizione di sostenere la giustizia sociale e
l’uguaglianza per tutti, il “libertarismo” di estrema destra dei multimiliardari dei settori dei
combustibili fossili e delle banche vuole la libertà solo per le élite. Sostiene il capitalismo e
l’economia di mercato “libera” e non regolamentata, forti diritti di proprietà privata, ad esempio
sulla terra, sulle infrastrutture e sulle risorse naturali, il globalismo (persino il neocolonialismo), gli
accordi internazionali di libero scambio, la deregolamentazione e i controlli minimi sull’industria
(in particolare sulla conservazione) e forti limiti al potere dei governi. Sostiene l’abolizione
dell’imposta sulle società e la protezione degli sgravi fiscali per i super-ricchi.

Inoltre, l’élite della destra libertaria è favorevole a un’inversione totale del moderno Stato sociale. I
libertari industriali di alto livello vogliono tagliare drasticamente la spesa pubblica, privando
milioni di persone della sicurezza sociale e dell’assistenza sanitaria. L’argomentazione non
potrebbe essere più elitaria: uno stato sociale che sostiene i “perdenti” non fa altro che premiare la
debolezza e produrre ancora più “persone inutili con un’intelligenza limitata” (citazione del
darwinismo sociale, da tempo smentito).

Il rifiuto di tasse e regole non si ferma alla richiesta di una limitata interferenza dello Stato. Molti di
questi super-ricchi vogliono abolire del tutto lo Stato. Come consigliava l’influente stratega della
destra libertaria Grover Norquist: ridurre il governo a una dimensione tale da “poterlo annegare
nella vasca da bagno” (5). E come ha dichiarato il miliardario fossile Charles Koch: “Il nostro
movimento deve distruggere il paradigma prevalente dello Stato” (6).

Questa estremità dello spettro è talmente fanatica che politologi e giornalisti parlano di anarco-
capitalismo o anarco-totalitarismo. Considerano troppo moderati persino George W. Bush e Ronald
Reagan. Non c’è da stupirsi che condannino il minimo pensiero di giustizia sociale, la
socialdemocrazia o la politica verde come una minaccia di sinistra o come comunismo. Attraverso i
loro gruppi politici, i miliardari libertari stanno spingendo per ottenere altri trilioni di riduzioni delle
tasse per i ricchi, da finanziare attraverso tagli alla spesa pubblica, pur sapendo che questo
causerebbe per milioni di persone la perdita dei buoni pasto e per centinaia di migliaia di bambini la
perdita dei sussidi per la mensa scolastica e della copertura assicurativa sanitaria.

Eppure, nonostante la loro generale richiesta di un potere governativo limitato, l’interferenza del
governo è stata improvvisamente benvenuta quando il settore bancario stesso (e quindi la ricchezza
dei ricchi libertari) ha ricevuto un pacchetto di salvataggio da 700 miliardi di dollari dal
Dipartimento del Tesoro del Presidente Bush nel 2008. Perché alla fine i ricchi si sono
“disimpegnati dalla vita civica della nazione e da qualsiasi preoccupazione per il suo benessere, se
non come luogo per un ulteriore bottino”, come ha descritto nel 2012 un membro conservatore della
Commissione Bilancio del Senato (7).

A parte tutto questo, il sistema di valori generale in questi ambienti è elitario, profondamente
razzista, omofobico, misogino e spesso apertamente fascista.

La rete di influenza dell’estrema destra

Fortunatamente per il resto dell’umanità, anche i ricchi hanno opinioni diverse, ma di fronte alla
comune minaccia esistenziale del disinvestimento dai combustibili fossili, due dei dieci uomini più
ricchi del mondo, i fratelli Charles e David Koch, hanno abilmente riunito un gran numero di loro
pari. Dal 2009, ogni anno hanno organizzato una riunione di circa 400 – 500 conservatori scelti
personalmente per “investire” con loro. Queste conferenze sono top secret e solo una volta l’elenco
completo degli invitati è trapelato, nel giugno del 2010. Era dominato da uomini bianchi del settore
finanziario (hedge fund) e dell’industria dei combustibili fossili, nonché da magnati dei media di
destra, politici conservatori e pubblicisti abili che lavorano in think tank di destra.

Gli ospiti d’onore, tuttavia, erano i donatori, che comprendevano diciotto miliardari con un
patrimonio complessivo di oltre 200 miliardi di dollari (nel 2015). Questi magnati del carbone, del
petrolio, del gas e delle miniere costituiscono il nucleo della rete di donatori Koch. Nella fase
successiva alla raccolta delle donazioni, la rete di influenza Koch e la sua rete integrata di
“messaggistica” assicurano che questi fondi siano spesi efficacemente per promuovere il loro
programma, in particolare la lotta contro il cambiamento climatico, le tasse e la regolamentazione
governativa.

Secondo la Scuola di Comunicazione dell’American University, i fratelli Koch “hanno forse


costruito la presenza pubblica, politica ed educativa meglio finanziata e più diversificata del Paese”.
Questo vasto Koch-club multisettoriale pare essere senza precedenti per dimensioni, portata e
finanziamenti” (8). Per una visione mozzafiato di questo polipo dalle molte braccia (“Kochtopus”,
come viene anche chiamato), si veda la Parte 7.

È interessante notare che i fratelli Koch e il loro impero sono completamente sconosciuti in
Germania. Sui principali media tedeschi, che ormai sopravvivono spesso solo grazie ai fondi dei
canali sponsor americani, non è apparso quasi nulla. Anche il libro di Jane Mayer, un bestseller
negli Stati Uniti, non è mai stato tradotto in tedesco. Negli Stati Uniti esiste molta letteratura seria e
si sono tenute grandi manifestazioni contro i fratelli Koch e il resto dell’élite dell’1%, ma nei media
tedeschi non se ne parla praticamente mai.

Video: Il “denaro nero” dei fratelli Koch | Jane Mayer

Intervista a Jane Mayer sull’impero Koch

I fratelli Koch hanno acquisito il loro peso finanziario essendo gli unici proprietari e dirigenti della
Koch Industries, la più grande azienda privata degli Stati Uniti. È un conglomerato multinazionale
che si occupa principalmente di raffinazione, produzione e distribuzione di petrolio, prodotti
chimici, fertilizzanti e materie plastiche. Le basi dell’attività sono state gettate dal padre, Fred
Koch, coinvolgendo i due più terribili dittatori del XX secolo: ha guadagnato i suoi primi 500.000
dollari aiutando Stalin a costruire raffinerie di petrolio in Unione Sovietica. Nel 1933 si è trasferito
nel Terzo Reich di Adolf Hitler, costruendo la terza più grande raffineria di petrolio del Paese ad
Amburgo, un impianto chiave della macchina da guerra nazista.

Ma come dimostrano queste vecchie e oscure radici, la visione di un mondo mercantile liberista di
estrema destra è una marginale reliquia del passato. Come sottolinea Naomi Klein, è solo grazie alle
grandi quantità di denaro in circolazione che le idee di un governo minimo e di un’élite globale
possono essere “alimentate e diffuse in think tank gestiti da personaggi come Charles e David Koch
e ExxonMobil”.

Questo ordine mondiale fascista non potrà esistere ancora a lungo, ma dobbiamo comunque
affrontarlo per depotenziarlo. Nella parte 7 daremo uno sguardo alla rete mediatica dei miliardari di
estrema destra.

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Le 10 parti della serie “Lotta per la Terra” che verranno pubblicate in italiano su Pressenza:

Parte 1: Le sconcertanti strategie dell’industria dei combustibili fossili

Parte 2: Divide et impera

Parte 3: Il pericoloso inganno di “Netto Zero emissioni entro il 2050″

Parte 4: Petrolio sporco – non si tratta solo di CO2!

Parte 5: I giganti del fossile, il libero commercio e la guerra

Parte 6: Come l’estrema destra domina (non solo) il dibattito sul clima

Parte 7: La sconvolgente estensione della rete di influenza dell’estrema destra

Parte 8: Crisi climatica, Covid e teorie del complotto

Parte 9: Come le teorie del complotto servono un solo padrone

Parte 10: Il “Grande Reset” e il totalitarismo contro la vera rivoluzione verde


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Note:

Fonti principali:

Jane Mayer – Dark Money: come un gruppo segreto di miliardari sta cercando di comprare il
controllo politico negli Stati Uniti. Scriba, Londra, 2016.

Michael E. Mann – La nuova guerra del clima: la lotta per riprenderci il nostro pianeta. Scriba,
Londra, 2021.

Naomi Klein – On Fire: The Burning Case for a Green New Deal. Penguin Random House UK,
2019.

Note alla Parte 6:

1 https://influencemap.org/report/Climate-Lobbying-by-the-Fossil-Fuel-Sector

2 https://www.theguardian.com/environment/2021/feb/27/climatologist-michael-e-mann-doomism-
climate-crisis-interview

3 https://www.zeit.de/2017/51/fake-news-klimawandel-energiekonzerne-desinformationskampagne

4 https://www.scientificamerican.com/article/twitter-bots-are-a-major-source-of-climate-
disinformation/

5 https://nationalaffairs.com/publications/detail/beyond-the-tax-pledge

6 https://www.libertarianism.org/publications/essays/business-community-resisting-regulation

7 https://www.theamericanconservative.com/articles/revolt-of-the-rich/

8 https://web.archive.org/web/20180812183408/http://www.investigativereportingworkshop.org/
investigations/the_koch_club/story/Koch_millions_spread_influence_through_nonprofits/

Traduzione dal tedesco di Thomas Schmid.

Revisione di Anna Polo



Categorie: contenuti originali, Ecologia ed Ambiente, Economia, Internazionale


Tag: Big Oil, cambiamento climatico, combustibili fossili, denaro nero, élite bianche, estrema
destra, fascismo, filantropia, fratelli Koch, Jane Mayer, negazionisti del clima.
Fred Hageneder
Fred Hageneder è un naturalista e autore di 8 libri sull'etnobotanica degli alberi e l'ecologia dei
boschi. Alcuni dei suoi lavori sono stati tradotti in 10 lingue. Fred Hageneder è membro fondatore
dell'Ancient Yew Group (AYG), un gruppo di ricerca indipendente che lavora per proteggere i tassi
antichi nel Regno Unito. Le sue due monografie sul tasso europeo hanno riscosso un ampio
consenso accademico e hanno generato inviti a partecipare come relatore a congressi nel Regno
Unito, in Europa e fino alla Turchia. Lavora temporaneamente come lettore esterno al Pacific
Graduate Institute di Carpinteria, California e come peer reviewer all'University of Chicago Press
su argomenti etnobotanici. E' membro di SANASI, un gruppo internazionale multidisciplinare di
scienziati che dal 2013, con il sostegno della Open University, sostiene i guardiani indigeni di tutto
il mondo a proteggere i loro rifugi naturali dall'accaparramento e dalla distruzione delle terre.
Inoltre, è membro dell'Ecocentric Alliance, una rete di professori universitari, ecologisti,
ambientalisti e attivisti che sostengono l'ecocentrismo e l'etica verde profonda. Fred Hageneder
vive in Galles come autore, musicista, grafico e conferenziere.

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