GIDDENS
Domanda portante di tutto il libro: perché la maggior parte delle persone, per la maggior parte
del tempo, agisce come se si potesse ignorare una minaccia di tale portata (quella del
riscaldamento del nostro pianeta) ?
Il riscaldamento globale è un problema diverso dagli altri sia per la sua scala planetaria, sia
perché riguarda principalmente il futuro.
“Paradosso di Giddens”: non essendo i pericoli prodotti dal riscaldamento globale tangibili,
immediati e visibili nel corso della vita quotidiana, molti se ne stanno con le mani in mano e non
fanno niente di concreto per evitarli. Se però si aspetta che i pericoli divengano macroscopici e
gravi prima di essere indotti a un’azione serie, a quel punto sarà ormai troppo tardi.
Il paradosso di Giddens è una sottocategoria di quello che i sociologi sociali chiamano “sconto
iperbolico” (future discounting): gli individui hanno difficoltà ad attribuire al futuro lo stesso
livello di realtà del rpesente. Per questo un piccolo compenso offerto oggi sarà normalmente
preferito a un compenso molto più grande disponibile in una data futura.
Gli scienziati sono ampiamente concordi nel ritenere che il cambiamento climatico (=cc) sia
reale e pericolo, però una piccola minoranza di scienziati, gli scettici, contesta queste
affermazioni e ottiene dai media un’attenzione sproporzionata.
I politici hanno preso coscienza della dimensione e dell’urgenza del problema, ma questo è solo
il primo passo. Il secondo deve essere il radicamento delle questione nelle istituzioni e nella
preoccupazioni quotidiane dei cittadini.
La comunità internazionale è all’opera: negoziati continui ma per ora con limitati risultati
concreti.
I paesi industrializzati sono i principali ad aver scaricato nell’atmosfera la maggior parte delle
emissioni e tocca a loro assumere la principale responsabilità di controllarle nel prossimo futuro
muovendosi in direzione di un’economia a basso contenuto di carbonio e attuando riforme
sociali integrate a questi cambiamenti.
GIDDENS: il suo è un approccio fondato sul realismo, occorre operare con le istituzioni che già
esistono e attraverso modalità rispettose della democrazia.
- Lo stato sarà un attore di primaria importanza.
- I mercati delle emissioni possono funzionare solo se il prezzo del carbonio ha un tetto
- Anche i mercati hanno un ruolo esteso nella lotta contro il cc: possono produrre risultati che
nessuna agenzia pubblica o sistema regolamentato è in grado di ottenere, tuttavia lo stato è
necessario per ripagare ciò che gli economisti definiscono ‘esternalità negative’: costi non pagati
da chi li ha generati, la politica dovrebbe assicurare che ovunque possibile tali costi siano
internalizzati.
- L’importanza dello stato non equivale ad avvallare soluzioni verticistiche, anzi è probabile che
le iniziative più significative nascano dall’azione di individui lungimiranti e dall’energia della
società civile. Gli stati dovranno lavorare con agenzie e organizzazioni, col altri paesi e
organizzazioni internazionali.
- Movimenti verdi: hanno origine nei sentimenti di avversione suscitati dall’industrialismo nei
primi conservazionisti, oggi la maggior parte dei verdi si è allineata al mainstream. Il
conservazionismo “tornare alla natura” non ha nulla a che fare con l’imperativo di combattere il
riscaldamento globale, anzi potrebbe persino intralciare i nostri sforzi. È necessario andare
avanti e non tornare indietro, per questo l’autore respinge una delle idee centrali dei movimenti
verdi: il principio di precauzione sintetizzabile nella frase “non interferire con la natura”.
- pianificazione: inevitabile fare ricorso a forme di pianificazione in politica visto che deve
essere introdotta una prospettiva di lungo termine.
- rapporto tra rischio e incertezza: la mentalità di lungo periodo necessaria per contrastare il cc
deve operare su uno sfondo di incertezza e su una struttura trasversale ai vari partiti così da
resistere ai cambi di governo tipi dei paesi democratici.
-tecnologia: lo stato deve sovvenzionare gli investimenti in risorse energetiche rinnovabili
affinché siano competitive rispetto ai combustibili fossili
- la società moderna dipende fortemente dal petrolio: circa il 90% dei beni in vendita nei negozi
richiede in un modo o nell’altro l’uso di petrolio occorre una combinazione di realismo e
idealismo: dobbiamo creare un modello di futuro a basse emissioni che sia al contempo positivo
e capace di connettersi fin d’ora con la vita ordinaria, di tutti i giorni.
CAPITOLO 1: CAMBIAMENTO CLIMATICO, RISCHIO E PERICOLO
La nostra comprensione delle origini dell’attuale riscaldamento globale risale alle scoperte dello
scienziato francese Jean-Baptiste Joseph Fourier all’inizio del XIX secolo l’energia del Sole
giunge alla Terra nella forma di luce solare, viene assorbita e diffusa di nuovo nello spazio sotto
forma di radiazione infrarossa. Quando Fourier calcolò il differenziale tra energia che arriva sulla
Terra e quella che viene rimandata come radiazione scoprì che il nostro pianeta, in teoria,
dovrebbe essere ghiacciato; la sua conclusione fu che l’atmosfera agisce come un mantello che
trattiene una parte del calore, rendendo il pianeta vivibile per esseri umani, animali e piante.
Osservatori successivi (specie John Tyndall) riuscirono a individuare con esattezza quali
elementi atmosferici intrappolano gli infrarossi, ossia i gas che producono ‘effetto serra’ : vapore
acqueo, anidride carbonica, metano che sono presenti in quantità modeste. Per misurarle si usa il
calcolo delle parti per milione (ppm), 1 ppm = 0,0001%. ( Un’altra unità di misura è la CO2
equivalente cioè la quantità di emissioni di CO2 che sarebbe necessaria per produrre lo stesso
effetto di tutti i gas serra combinati. )
Negli ultimi 150 anni circa i gas serra nell’atmosfera sono aumentati con l’espansione della
produzione industriale e la temperatura della Terra non solo sta aumentando, ma lo fa a un ritmo
sempre più incalzante: negli ultimi 650 000 anni il conenuto di CO2 è sempre stato <290 ppm,
nel 2010 ha raggiunto 389 ppm e sta salendo di circa 2 ppm all’anno ciò potrebbe significare che
i carbon sink (pozzi di assorbimento naturali) della Terra stanno perdendo la loro capacità di
trattenere i gas serra.
Il riscaldamento non è omogeneo: è maggiore sulle terre emerse che sugli oceani e alle latitudini
settentrionali è più alto che altrove. Da 50 anni la calotta artica si è dimezzata e le temperature
artiche sono aumentate di 7° si aprirebbero rotte commerciali transartiche e diventerebbe
possibile spostarsi dal Nord Europa all’Asia orientale o alla costa nordoccidentale degli USA
evitando i canali di Suez e Panama.
L’organismo più autorevole che si occupa di monitorare il cc e le sue implicazioni è l’IPCC =
Intergovernemental Panel on Climate Change delle NU istituito nel 1988. Centinaia di scienziati
e reviewers sono coinvolti nelle sue principali pubblicazioni, sempre complete e minuziose. Il
suo intento è raccogliere più dati scientifici possibili sulle condizioni climatiche, sottoporli a
revisioni e prevenire a conclusioni generali sullo stato dell’opinione scientifica. L’Ipcc valuta le
implicazioni del cc attraverso un certo numero di possibili scenari entro il 2100, ne ha individuati
6 diversi che dipendono da fattori come i livelli di crescita economica, la scarsità di risorse,
l’incremento demografico, l’espansione di tecnologie a bassa emissione di carbonio e
l’intensificarsi delle disuguaglianze regionali. Lo scenario individuato come ‘più probabile’ è
allarmante: combustibili fossili saranno ancora in uso ma controbilanciati da forme più pulite di
generazione di energia, crescita della popolazione sarà sotto controllo, temperature salire di più
di 4°, incremento del livello del mare di 48 cm, precipitazioni piovose ridotte del 20% nelle aree
subtropicali, mentre più a nord o sud maggior pioggia.
Ipcc e Commissione europea hanno dichiarato che l’obiettivo di una politica di controllo delle
emissioni dovrebbe essere limitare il riscaldamento globale a una media di 2° e stabilizzare le
concentrazioni atmosferiche dei gas serra a 450 ppm di CO2.
L’Ipcc avverte che questo secolo potrebbe essere dominato dai conflitti per le risorse.
GLI SCETTICI E I LORO CRITICI :
Fred Singer e Dennis Arvey, per esempio, sostengono che “ il riscaldamento odierno è modesto
e non è provocato dall’uomo “ anzi la principale preoccupazione per il futuro a lungo termine
dovrebbe essere un’imminente era glaciale
Altri scettici adottano un approccio diverso come Patrick Michaels che afferma che i dati e le
proiezioni dell’Ipcc sono intrinsecamente falsi
Lomborg ammette che il riscaldamento sia in atto e che sia stata l’attività umana a produrlo, però
contesta l’idea che i rischi legati ad esso debbano avere la precedenza sugli altri come povertà
nel mondo, diffusione dell’Aids e armi nucleari Friel passa al vaglio il lavoro di Lomborg
citazione per citazione trovandolo lacunoso: L sostiene che il cc non rappresenterà un problema
devastante per il futuro e Friel commenta quanto siano selettivi i materiali usati da L. e quanto lo
siano anche le sue interpretazioni
Altri autori suggeriscono che viviamo in un’età delle paure e il cc non è che una di esse.
Tuttavia gli scettici meritano attenzione e devono essere ascoltati. Lo scetticismo è la linfa vitale
della scienza: è giusto che tutto quanto dicano gli scienziati sul cc e sulle sue conseguenze sia
vagliato con occhio critico (dato che l’Ipcc non è solo un organismo scientifico, ma anche
un’entità politica e burocratica).
LE GUERRE CLIMATICHE :
Novembre 2009 grazie ad hacker sono trapelate sulla stampa circa un migliaio di mail intercorse
tra un gruppo di ricercatori sul clima che lavoravano in USA e UK che per gli scettici
mostravano come gli scienziati in questione stessero manipolando i dati per rafforzare la tesi
secondo cui è in atto un cc indotto dall’uomo e in più, secondo i critici, gli scienziati cercavano
di manipolare il processo di peer review cos’ da bloccare la pubblicazione di articoli critici sul
loro lavoro. Tra i coinvolti c’erano il professore Philip Jones della Cru e Michael Mann
dell’Università di Pennsylvania, entrambi sono stati sottoposti a molte inchieste uscendo
scagionati da tutte. Date le tempistiche si è pensato che fosse stato un tentativo volto a indebolire
il summit di Copenaghen.
Anche l’Ipcc è stato coinvolto in una controversia: in un suo rapporto del 2007 sono venuti alla
luce due errori (1=affermava che i ghiacciai dell’Himalaya avrebbero potuto sparire entro il
2035, ma dovrebbero fondersi a una velocità 35 volte superiore a quella registrata attualmente
per raggiungere quell’esito, 2. Diceva che il 55% del territorio dei Paesi Bassi si trova sotto il
livello del mare e quindi a rischio inondazioni , mentre il 55% della popolazione è a rischio
inondazioni perche il 26% sotto il livello del mare + 29% a rischio a causa delle piene fluviali)
Agenzia olandese di valutazione ambientale ha promosso un’indagine sul rapporto dell’Ipcc per
scovare altre affermazioni dubbie, ma non ha trovato nulla.
Alcuni scienziati si sono espressi in favore di rapporti dell’Ipcc più brevi, da produrre con
maggior frequenza e più adatti a stare al passo con le nuove ricerche e dati. Altri hanno proposto
un processo di revisione basato sul modello di Wikipedia che consente il libero accesso ai dati,
ma esame e controllo dell’affidabilità e dell’esattezza delle voci resta un problema.
Vale la pena distinguere tra gli scettici del cc che si danno da fare per assicurare un approccio di
scrupoloso rigore alla scienza e all’elaborazione politica, da coloro che chiamati “negazionisti”
che usano sei tattiche identificate da Martin McKee:
1. Descrivere un consenso come una cospirazione
2. Mettere in campo pseudoesperti che si schierano con la tesi della manipolazione
3. Scegliere e mettere in risalto le prove in maniera selettiva, continuare a riproporre prove a
proprio favore anche se del tutto screditate
4. Stabilire per i propri oppositori standard ardui o impossibili da rispettare
5. Distorcere le tesi scientifiche dominanti e poi demolire il bersaglio di comodo creato a questo
scopo
6. Far passare l’incertezza scientifica per infondatezza
I RADICALI:
Fred Pearce afferma che il clima non ama i cambiamenti graduali e che ha subito ogni sorta di
mutamento già molto prima che gli esseri umani comparissero sulla scena, ben prima
dell’avvento della moderna produzione industriale. Egli distingue i processi di cambiamento
climatico in due tipi: 1 evolvono lentamente e seguono traiettorie in gran parte delineate dagli
scenari dell’Ipcc, 2 sono radicali e netti: si arriva al raggiungimento di un punto critico e si
scatena uno scarto improvviso da un tipo di sistema all’altro. Oggi è molto grande il potenziale
affinché avvengano cambiamenti di tipo 2.
PERMAFROST: strato di suolo congelato, solido e apparentemente stabile che ricopre la vasta
area di torbiere che si estende dalla Siberia occidentale alla Scandinavia settentrionale, al
Canada e all’Alaska che ha cominciato a scongelarsi. Esso imprigiona enormi quantità di
vegetazione degradata ricca di carbonio: il suo scongelamento fa sì che venga rilasciato non solo
CO2, ma anche metano (gas molte volte più potente della CO2). Secondo una stima il rilascio di
metano in corso nelle torbiere della Siberia occidentale è già superiore ai gas serra emessi dagli
USA in un anno.
EL NINO e la ‘oscillazione meridionale’: Nino significa bambino con riferimento a Gesù, il
nome deriva dal fatto che di norma il fenomeno di insolite condizioni di calore che si sviluppano
nell’Oceano pacifico lungo le coste occidentali di Ecuador e Perù avviene durante il periodo
natalizio. Ogni 3-5 anni El Nino si sposta da una parte all’altra del globo e porta con sé una scia
di sconvolgimenti meteorologici come temperature insolitamente fredde nel Pacifico equatoriale,
ma in anni recenti si è manifestato più spesso e con conseguenze di crescente gravità
James Hansen della Nasa ci fa notare che la Terra è l’unico dei tre pianeti ad avere il giusto
equilibrio di circostanze affinché la vita esista: Venere è però troppo caldo, Marte troppo Freddo.
Secondo Hansen è possibile che si determini sulla Terra un effetto serra estremo come risultato
del riscaldamento globale prodotto dall’uomo perché i meccanismi in passato ritenuti in grado di
ridurlo non avranno il tempo di sviluppare i loro effetti, data la velocità con la quale il fenomeno
sta avanzando.
Lo scienziato britannico Kames Lovelock è persino più cupo: il surriscaldamento globale è non
lineare e suscettibile di produrre improvvise e drammatiche variazioni negli ecosistemi terrestre.
Egli considera l’Ipcc un’organizzazione conservatrice a causa del suo carattere burocratico, non
crede nei tentativi di giungere ad accordi internazionali per ridurre le emissioni di carbonio, è un
sostenitore dell’energia nucleare ritenendola l’unica che possa avvicinarsi alla capacità di
generare l’energia da cui dipende la nostra civiltà. Egli prevede che l’avanzare del cc devasterà
ampie regioni del mondo e le renderà inabitabili, con prolungate siccità e le regioni che
rimarranno abitabili saranno ‘scialuppe di salvataggio’ in cui l’umanità sarà ammassata.
CONCLUSIONE:
- ci sono prove scientifiche sul cc molto concrete e dettagliate
- lo scetticismo è un elemento essenziale della scienza
- le guerre climatiche non hanno avuto praticamente alcun impatto sulle prove relative al cc e ai
suoi pericoli
- le posizioni dei radicali dovrebbero contare più di quelle degli scettici perché essi sono
scienziati in attività
- nessuna delle civiltà che ci hanno preceduto è intervenuta sulla natura in un modo anche
lontanamente paragonabile a ciò che facciamo ogni giorno e su scala globale
CAPITOLO 2: ESAURIMENTO IMMEDIATO O LENTO DECLINO?
Petrolio, gas naturale e carbone sono le tre principali fonti di energia a livello mondiale, sono
tutti combustibili fossili e tutti producono gas serra su larga scala.
In UK la rivoluzione industriale fu alimentata dalle scoperte scientifiche e tecnologiche che
trasformarono il carbone in una dinamica fonte di energia, il passaggio dalla legna al carbone
non fu facile perché comportava una trasformazione delle abitudini, ma tale conversione diede
inizio al mondo che abitiamo oggi, un mondo nel quale l’energia prodotta dal singolo cittadino o
lavoratore è trascurabile rispetto a quella prodotta da risorse inanimate.
Dagli albori del XX il petrolio iniziò a rappresentare una sfida al predominio del carbone. Nei
primi decenni gli USA furono il maggior produttore di petrolio, erano una potenza
antimperialista. Invece, il UK otteneva petrolio dalle sue colonie mediorientali: sulla base di
concessioni fu istituita la Anglo-Iranian Oil Company con condizioni che UK aveva deciso
unilateralmente, in pratica il paese interessato al petrolio forniva le conoscenze e la tecnologia
per localizzarlo ed estrarlo, così i paesi coloniali diventavano ‘stati reniter’: percepivano un
flusso di reddito senza i corrispondenti processi di sviluppo economico. In questo modo la
ricchezza generata dalla presenza di giacimenti petroliferi o altre risorse mineraria era trasferita
all’estero o nelle mani delle élite locali allo scopo di controbilanciare l’influenza delle grandi
compagnie petrolifere fu istituita nel 1960 l’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori di
petrolio, e ne seguì una diffusa e progressiva riappropriazione delle risorse petrolifere da parte di
imprese di proprietà statale. Nel 1973 i leader dell’Opec non gradirono l’appoggio che USA e
altri paesi occidentali diedero a Israele nel conflitto arabo-israeliano e così alzarono del 70% il
prezzo del greggio facendo cadere i paesi industrializzati in una recessione economica. Questo ci
fa capire quanto sia stretta la relazione tra politica internazionale e sicurezza energetica.
In seguito a questo episodio la Francia prese la decisione di diventare più indipendente e investì
massicciamente nel nucleare e oggi le sue emissioni sono nettamente inferiori a quanto
avrebbero potuto essere altrimenti.
Anche il Giappone introdusse politiche per regolare l’uso dell’energia e promuovere risparmio
energetico. La Svezia ha cominciato un percorso di riduzione della dipendenza dal petrolio, in
Giappone e Svezia il riciclo dei rifiuti è maggiore che nel resto del mondo.
La Danimarca negli anni ’70 avviò programmi per trasferire quote della produzione di elettricità
alle fonti energetiche rinnovabili.
Il Brasile decideva di investire nei biocombustibili
Gli USA introdussero misure di risparmio energetico nella forma dell’Energy Policy
Conservation Act conseguendo importanti miglioramenti, però quando la percezione della crisi si
attenuò il consumo di carburanti riprese a crescere.
IL PICCO PETROLIFERO:
Nel 1956 il geologo americano Marion King Hubbert formulò la predizione secondo cui negli
USA la produzione interna di petrolio avrebbe raggiunto il suo picco nel 1970. I calcoli del picco
dipendono dalle ‘riserve ultime’ di un dato paese o giacimento e la nozione non si riferisce alla
quantità di petrolio esistente, ma a quanto può ancora essere estratto.
Ci sono alcuni come Howell e Nakhle che credono che ci sia abbastanza petrolio e gas naturale
per tutti e non c’è bisogno di preoccuparsi delle future fonti di approvvigionamento.
L’idea dominante, invece, è meno ottimistica. L’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ha
predetto nel 2007 che non ci sarà alcun picco prima del 2030, altri credono che il mondo si stia
avvicinando rapidamente a un picco e si tratta di una crisi energetica generata dal conflitto tra la
crescente domanda globale di energia e la nostra crescente incapacità di incrementare la
produzione.
Il disaccordo tra coloro che scrivono di produzione petrolifera è dovuto da due questioni: quanto
petrolio è ancora recuperabile nei giacimenti attualmente sfruttati e quali sono le possibilità di
scoprirne di nuovi. Dei 50 paesi maggior produttori di petrolio, 18 hanno oggi oltrepassato il
proprio picco, includendo i produttori minori sono più di 60 ad averlo superato. Es. Arabia
saudita, uno dei più grandi paesi produttori del mondo, molti ritengono che le dichiarazioni del
governo saudita circa il livello di riserve sia ottimistico o addirittura privo di fondamento, falso,
per non scoraggiare gli investimenti esteri e per timore delle conseguenze sul prezzo del petrolio.
La ricerca di nuove fonti di petrolio ha portato le trivellazioni in luoghi via via più remoti della
Terra e a profondità marine sempre maggiori da piattaforme galleggianti sforzi così estremi
puzzano di disperazione.
Il gas naturale, che produce emissioni più basse sia del petrolio che del carbone, può sostituire il
petrolio? Secondo David Victor e colleghi ci sarà una svolta mondiale verso questa risorsa.
Tuttavia c’è una notevole distanza tra la stima più ottimistica delle riserve recuperabili di gas
(600 trilioni m cubi) e la più bassa (224 trilioni di m cubi). La disponibilità di gas naturale è stata
modificata dalle tecniche di estrazione da scisti bituminosi (roccia sedimentaria) il cui impatto ha
suscitato l’interesse e attratto investimenti di vaste proporzioni in USA, ma anche in Europa,
Asia e Australia. I sostenitori del gas di scisto affermano che la impronta di carbonio sarà la
stessa del gas naturale perché è più largamente disponibile a livello lovale e non deve essere
trasportato a grandi distanze, mentre i critici affermano che il suo impatto sulle emissioni sia
considerevolmente maggiore.
Anche riguardo le riserve di carbone c’è chi ha iniziato a dire che potrebbero essere più limitate
di quanto supposto finora. Energy watch ha calcolato che il picco di carbone potrebbe
raggiungersi convenzionalmente già nel 2025, sebbene l’opinione prevalente sia contraria a
queste conclusioni.
SFRUTTARE AL MASSIMO GLI IMPIANTI :
La produzione di elettricità è una delle maggiori cause di consumo di energia e di generazione di
gas serra.
Nel periodo post IIWW le miniere di carbone furono diffusamente nazionalizzate. Anche la
svolta generalizzata verso il nucleare negli anni ’50 e ’60 fu guidata ovunque dallo stato. Per
molti paesi il nucleare è stato solo una parentesi, in altri le centrali costruite decenni fa restano in
uso ma si avvicinano alla conclusione del loro ciclo.
Dalla fine degli anni ’70 si è assistito a una svolta verso l’apertura alla concorrenza nel settore
della produzione energetica: privatizzazione e liberalizzazione dei mercati dell’energia sono
diventate l’ortodossia (UK nel 1982, poi la maggior parte dei paesi industrializzati). Le imprese
si sono concentrate sull’abbattimento dei costi di gestione e pochi investimenti sono andati alla
riqualificazione degli impianti.
Dall’inizio degli anni duemila è emerso ciò che Helm chiama un “nuovo paradigma energetico”
caratterizzato dall’aumento del prezzo del petrolio e del gas che implica ritorno alla protezione
delle forniture energetiche nazionali, alla modernizzazione degli impianti, all’investimento per il
futuro, al consapevolezza del carattere finito di risorse come petrolio e gas, all’importanza
capitale della politica estera per la sicurezza energetica con la lotta per limitare il cc.
USA dipendono fortemente dai produttori di petrolio del Medio Oriente, così come Europa e
Giappone, mentre la Cina è progressivamente più presente in Medio Oriente, Africa e America
Latina alla ricerca di petrolio, gas, minerali.
la Russia fa leva sulle sue disponibilità di risorse per tornare a essere una grande potenza e i
paesi europei importano grandi quantità di gas e una considerevole parte di petrolio. Gazprom, la
più grande impresa russa controllata dallo stato, è notoriamente inefficiente e mal gestita. La
Russia non ha incontrato difficoltà nello stipulare accordi individuali con paesi membri dell’ue,
indebolendo l’unità europea: esempio è il progetto del gasdotto Nord Stream che ha unito
Gazprom e due delle imprese energetiche più grandi della Germania e la cui conduttura passa per
Finlandia, Svezia, Danimarca, Russia e Germania.
LA LOTTA PER LE RISORSE:
Solo gli USA superano la Cina per consumo di petrolio e gas.
La Cina sta portando avanti una politica estera espansionista: compra giacimenti petroliferi in
diversi paesi per uso proprio, stabilendo localmente le condizioni di vendita, ha fatto ciò in
Venezuela, Indonesia, Iraq, Oman, Yemen e Sudan e ha compiuto massicce incursioni in Medio
Oriente. Infatti, l’Arabia Saudita è diventata il maggior fornitore dei cinesi che sono stati
autorizzati a esplorare il territorio alla ricerca di gas. La Cina ha stretto relazioni anche con l’Iran
da cui importa petrolio e gas e le compagnie petrolifere americane assistono impotenti, nel
frattempo Cina e Russia hanno sospeso temporaneamente l’imposizione delle sanzioni che la
maggior parte degli altri paesi della comunità internazionale applica nel tentativo di impedire
all’Iran di entrare in possesso di armi nucleari e sistemi missilistici.
India non ha ancora adottato una politica estera d’alto profilo, ma ne avrà bisogno perché sta
verificandosi un rapido aumento dell’uso di automobili: Nano è un modello indiano economico
che si progetta di commercializzare in America Latina, Sudest asiatico e Africa.
Alcuni commentatori in materia di sicurezza energetica parlano di “Cindia” con riferimento
all’impatto combinato della crescita economica cinese e di quella indiana sui mercati mondiali
del petrolio e dell’energia. Cindia ha un consumo pro capite pari a un settimo della somma dei
paesi industriali.
La principale divergenza tra gli autori più ottimisti e gli apocalittici del cc riguarda il tempo.
La situazione in Medio Oriente sembra in procinto di cambiare a fondo: sta venendo meno
l’equilibrio strategico grazie al quale gli USA hanno mantenuto il controllo sulla regione
ricevendo la stabilità delle forniture di petrolio. USA e altri paesi sviluppati si sono abituati
all’idea di energia a buon mercato e ora una brusca perdita di influenza degli USA nell’area può
dare una forte scossa e o da un lato produrre un’ondata di investimenti in tecnologie alternative,
o dall’altro incoraggiare atteggiamenti più conservatori come una rinnovata ‘storia d’amore’ con
il carbone.
CAPITOLO 3: I VERDI E OLTRE
Il movimento verde, o alcune correnti di pensiero al suo interno, ha costituito la prima fonte di
una riflessione filosofica sui temi del cambiamento climatico.
Gli economisti ambientali snobbano il pensiero verde perché non è rigoroso e non è espresso in
termini di costi e benefici delle diverse strategie. Essi vedono nel mercato delle emissioni
l’elemento migliore per affrontare il riscaldamento globale.
Per gli autori di sinistra il cc è un’opportunità per rinnovare le critiche ai mercati.
Nicholas Stern “il riscaldamento globale è il più grande fallimento del mercato che il mondo
abbia mai visto”
Sul piano politico il cc offre a quelli di sinistra di recuperare il radicalismo scomparso con la
dissoluzione del socialismo rivoluzionario (= rilancio della critica al capitalismo)
Gli europeisti vedono il cc come una questione per dimostrare agli euroscettici il ruolo cruciale
dell’Ue nell’affrontare problemi globali.
GIDDENS: bisogna evitare di strumentalizzare l’azione contro il cc per giungere ad altri fini. È
essenziale che la politica del cc superi la divisione sinistra/destra e sopravviva ai cambi di
governo nei sistemi democratici.
I VERDI: non esiste un movimento verde, ma una serie diversificata di posizioni, prospettive e
ricette per l’azione.
il pensiero verde è nato dalla Rivoluzione industriale. Nel 1836 Emerson pubblicò il saggio
‘natura’ la cui tesi sosteneva che nell’industria moderna la natura appare assoggettata al servizio
della produzione di merci. Il tema fu ripreso da Thoreau (visse due anni solo nei boschi) 1892
negli USA venne fondato il Sierra Club: prima grande organizzazione ambientalista del mondo
dedita alla protezione delle riserve naturali e oggi concentrata nella battaglia contro il rg, in
particolare contro la sconsiderata politica energetica statunitense.
Anni ’70 del ‘900 in Germania nasce il termine ‘verde’ in ambito politico. Da allora i verdi si
svilupparono in un movimento mondiale e il loro primo incontro avvenne nel ’92 alla
Conferenza di Rio delle Nazioni Unite. Il Global Green Netwkork comprende rappresentanti di
circa 80 paesi che condividono una carta dei principi :
1. Saggezza ecologica ( verdi come avversarsi dello ‘scienticismo’ inteso come illimitata fede
nella scienza e nella tecnologia),
2. Giustizia sociale,
3. Democrazia partecipativa ( opposizione alle grandi istituzioni di potere come uno stato forte o
una grande impresa privata. Contestazione del ‘produttivismo’ = insistenza sulla crescita
economica come valore prioritario),
4. Non violenza,
5. Sostenibilità,
6. Rispetto per la diversità (prime 4 presi dai verdi tedeschi) .
Il filosofo australiano Robert Goodin sostiene che il pensiero politico dei verdi si articoli in due
filoni principali: una teoria verde del valore che dice a cosa essi attribuiscono valore e perché, e
una teoria verde dell’agenzia che dice come perseguono questi valori.
Valore= essere stato creato da processi naturali anziché umani (VS economia per cui valore=
prezzi o benessere)
Goodin accetta l’idea per cui gli oggetti di natura possono avere un valore solo attraverso di noi
perché per parlare di valore deve esserci per forza qualcuno che creda in questo valore. I valori,
quindi, sono relazionali: presuppongono un mondo più grande e ne dipendono. Essi non si
realizzano da sé, ma devono essere connessi a un ‘come’ che spieghi i mezzi con i quali possono
essere realizzati.
Goodin trova che non ci sia alcuna connessione logica tra i valori dei verdi e la tipica struttura
politica dei movimenti verdi (democrazia partecipativa, diffidenza verso il potere e non violenza)
Goodin sostiene che una teoria ‘verde’ del valore dovrebbe prevalere su quella dell’azione in
caso di conflitto.
Giddens: il movimento verde perderà la propria identità mano a mano che la politica ambientale
entrerà a far parte del mainstream. Si perderanno quei valori che non coincidono necessariamente
con quelli connessi al controllo del cambiamento climatico e che, anzi, potrebbero contrastarlo:
esempio principio secondo cui democrazia partecipativa sia l’unico tipo di democrazia che conti,
quello per cui la società migliore cui possiamo aspirare è decentrata o quello per l’impegno alla
nonviolenza, o quello del ‘vivere vicino alla natura’ che potrebbe portare a eccesso di
conservazionismo e opporsi alla costruzione di una centrale nucleare o eolica in una zona di
campagna.
GESTIRE IL RISCHIO: IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
Tale principio è stato formulato nella dichiarazione di Rio del ’92 ed è stato ampliamente
applicato, anche dalla Commissione europea. Tuttavia è molto incoerente.
Questo principio si concentra solo su un lato del rischio: la possibilità di un danno. L’opposto
della precauzione sono l’audacia e l’innovazione: assumere rischi è fondamentale per una serie
di attività fruttuose e costruttive.
Sunstein ha trovato una ventina di definizioni differenti di tale principio: dalle versioni più deboli
secondo cui i governi non dovrebbero pretendere la certezza del rischio prima di intervenire per
disciplinarlo, alle versioni più forti che se strettamente applicate paralizzerebbero ogni azione.
Es. prodotti OGM: il principio di precauzione vorrebbe che fossero del tutto banditi per evitare i
rischi connessi alla salute umana; ma questo implicherebbe accrescere i livelli di fame e
malnutrizione che è un rischio altrettanto scongiurabile. Di conseguenza la visione forte è
contraria sia alla coltivazione sia alla non coltivazione degli OGM.
Perché se è così contraddittorio è anche così tanto usato? Sunstein dice che la ragione risiede
nella percezione sociale del rischio e nel ricorrere ad alcune regole empiriche o euristiche che
spesso sono molto fuorvianti:
1. Euristica della disponibilità: siamo sensibili a certi rischi perché compaiono spesso nei
notiziari (es terrorismo) mentre ignoriamo altre minacce altrettanto rilevanti ma che non vengono
diffuse.
2.Ignorare la probabilità: cioè la tendenza a concentrarsi sugli scenari peggiori, anche se molto
improbabili
3. Avversione alle perdite: persone tendono ad avere un’inclinazione verso lo status quo perché
danno più importanza alle perdite presenti che ai guadagni futuri
4. Fede nella benevolenza della natura che circonda di un alone sospetto i rischi creati dagli
esseri umani
5. Ignorare il sistema: tendenza a trascurare effetti sistemici impedisce alle persone di scorgere
nuove minacce insite nei loro tentativi di evitare rischi già individuati.
Conclusioni di giddens:
1. Non bisogna operare secondo il principio di precauzione, ma secondo il ‘principio
percentuale’, cioè valutare rischi e oppportunità in termini di costi sostenuti in relazione ai
benefici ottenuti
2. Analisi costi-benefici in democrazia presuppone dibattito pubblico, perché implica la scelta tra
diversi rischi. Es energia nucleare può ridurre le emissioni, ma crea pericoli come quelli connessi
allo smaltimento delle scorie radioattive.
3. Ogni valutazione del rischio è contestuale: dipende dai valori che danno forma alle minacce
considerate più rilevanti in un dato momento.
SVILUPPO SOSTENIBILE:
1972 viene pubblicato ‘i limiti dello sviluppo’ del Club di Roma: sosteneva che la nostra civiltà
stesse esaurendo le risorse da cui dipende la continuazione della sua esistenza.
1987 venne introdotta l’espressione ‘sviluppo sostenibile’ dal rapporto della Commissione
mondiale sull’ambiente e sullo sviluppo (rapporto Brundtland). Il rapporto riconosceva la
necessità della crescita economica ai fini di una maggiore prosperità nel mondo in via di
sviluppo, ma lo sviluppo doveva diventare sostenibile, ossia ‘soddisfare i bisogni del presente
senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri’. Il Summit
della Terra di Rio approvò una dichiarazione in cui formularono 27 principi di sviluppo
sostenibile e si raccomandava ciascun paese di definire una strategia nazionale per raggiungere
quei fini. Nel 2001 fu tracciata la Strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile.
l’introduzione di questo concetto ha contribuito a mettere d’accordo i verdi e i fautori della
decrescita con i sostenitori del mercato. Il punto di incontro è stato trovato sul tema della povertà
nel mondo: aveva senso una a-crescita nei paesi industrializzati a favore di una giustizia sociale
globale che desse ai pesi più poveri l’opportunità di diventare più ricchi, ossia di svilupparsi
economicamente.
Oppositori: ‘sostenibilità’ implica continuità ed equilibrio, mentre ‘sviluppo’ comporta
dinamismo e cambiamento. Quindi ambientalisti sono sensibili all’aspetto della sostenibilità,
mentre governi e imprese pongono l’accento sullo sviluppo, di solito inteso in termini di crescita
del PIL.
Al posto di dare una definizione si è pensato di fornire una lista di obiettivi dello sviluppo
sostenibile, così Lafferty e Meadwcroft affermarono “sviluppo sostenibile indica
un’interdipendenza tra i seguenti obiettivi: promuovere il benessere dell’umanità, soddisfare i
bisogni fondamentali, proteggere l’ambiente, considerare la sorte delle generazioni future,
raggiungere equità tra ricchi e poveri, allargare la partecipazione al processo decisionale”
GIDDENS: un elenco così onnicomprensivo svuota la nozione di qualsiasi significato
sostanziale. Così l’autore preferisce considerare i due aspetti separatamente:
- sostenibilità implica che quando si affrontano problemi ambientali le soluzioni debbano essere
durevoli.
Secondo il WEF (World Economic Forum) la sostenibilità ambientale è definita in cinque
elementi:
1 la condizione dei sistemi ecologici come l’aria, il suolo e l’acqua
2 le sollecitazioni cui tali sistemi sono sottoposti, compresi i loro livelli di inquinamento
3 l’impatto di queste sollecitazioni sulla società umana, misurato relativamente a fattori quali la
disponibilità di cibo e l’esposizione a malattie.
4 la capacità sociale e istituzionale di una società di far fronte ai rischi ambientali
5 la capacità di creare una gestione dei beni comuni globali, in particolare l’atmosfera.
-sviluppo ha due significati differenti: 1. Crescita economica (incremento PIL) come accezione
generale di un intero paese, 2 in un’accezione più ristretta può riferirsi al processo economico
che strappa le persone alla povertà. In entrambi i casi significa accumulazione di ricchezza.
Per i paesi sviluppati la crescita è una necessità molto meno urgente, per i paesi più poveri lo
sviluppo è un imperativo e finchè non raggiungeranno almeno un certo livello di ricchezza nel
mondo si continueranno a registrare due traiettorie di sviluppo separate “contrazione e
convergenza” sono il necessario punto di incontro tra i due tipi di sviluppo: processo attraverso il
quale i paesi sviluppati riducono le loro emissioni per primi e in maniera radicale, seguiti dai
paesi più poveri man mano che diventano ricchi (finché non lo diventano possono aumentare le
emissioni per permettere la loro crescita).
SOVRASVILUPPO :
Per i paesi sviluppati la continua espansione economica porta sicuramente benefici, ma i
problemi della ricchezza si accumulano, per tanto non si vuol dire che la crescita economica
debba fermarsi, ma che non dovrebbe essere perseguita senza riguardo per le sue conseguenze.
Il PIL come misura di crescita ha evidenti vantaggi (Es semplicità di calcolo), però ha anche
molte inadeguatezze: non distingue la crescita industriale che agisce per incrementare le
emissioni e quella che non lo fa, non tiene conto delle disuguaglianze economiche.
Sono stati proposti indicatori alternativi:
• GPI Indice di Progresso Autentico nel 199 da Talbert e Cobb: calcolato a partire dalle misure
del consumo personale, ma introduce correttivi che tengano conto della distribuzione del
reddito, del valore del lavoro domestico e volontario, della criminalità e dell’inquinamento.
• ISEW Indice del benessere economico sostenibile: usa sia dati nazionali che locali per
identificare alcuni trend
• SSI Indice di sostenibilità sociale 2006: considera un più vasto assortimento di misure
ambientali come l’esaurimento di zone umide, foreste, terreno agricolo, materie prime non
rinnovabili, livello delle emissioni di carbonio e altre potenziali cause di danno ambientale.
Include anche indici come la distribuzione del reddito, la diffusione del volontariato e la
dipendenza da capitali esteri
Secondo questi indicatori dagli anni ’70 nella maggior parte dei paesi industrializzati la
crescita è stagnante (mentre secondo il PIL si continua a crescere)
CHI INQUINA PAGA è la logica che sta alla base delle imposte sulle emissioni e dei merccati
dei permessi di emissione.
E’ stata coniata la formula della ‘responsabilità estesa dell’inquinatore’ per la quale coloro che
causano emissioni attraverso la produzione dovrebbero assumersi la responsabilità dei beni che
producono lungo tutto il loro ciclo di vita, compreso l’eventuale smaltimento. Nella pratica è
difficile da attuare.
Uno strumento che consente di trattare queste situazioni sono le obbligazioni assicurative:
acquistate dall’impresa o dall’industria per tutelarsi contro possibili effetti negativi sull’ambiente
e rimborsabili con interessi una volta che si sia dimostrato con un ragionevole grado di
affidabilità che il processo produttivo è virtuoso.
Il concetto chi ‘inquina paga’ nonostante le difficoltà interpretative è importante perché incentiva
a modificare i comportamenti, perché sta alla base della responsabilità differenziata dei paesi
sviluppati e in via di sviluppo nella risposta al cambiamento climatico e perché offre i mezzi per
trasformare tali responsabilità in legge.
TEMI NON VERDI:
Un rapporto del governo britannico identifica 5 principali sfide future:
1. Equilibrare domanda e offerta future in modo sostenibile, permettere che siano disponibili
scorte di cibo
2. Ricercare stabilità dei prezzi dei prodotti alimentari proteggendo le persone più vulnerabili
dall’eventualità di variazioni improvvise
3. Raggiungere l’accesso globale al cibo e sconfiggere la fame
4. Radicale riorganizzazione dei sistemi di produzione del cibo per assicurare che l’agricoltura
contribuisca significativamente alla riduzione delle emissioni di carbonio
5. Nutrire il mondo conservando o accrescendo la biodiversità .
E’ probabile che il cc interagisca con il sistema alimentare mondiale in almeno 2 modi: una
maggiore domanda di cibo dovrà essere soddisfatta sullo sfondo di condizioni metereologiche
più estreme (siccità, precipitazioni forti); domanda di cibo per una popolazione crescente deve
essere soddisfatta emettendo meno carbonio. In tutto questo la riforestazione dovrebbe avere la
precedenza sulla messa a coltura di nuove terre. impossibile immaginare di raggiungere lo scopo
senza ricorrere alle biotecnologie, compreso l’uso di OGM.
La quantità di rifiuti che si crea nella catena alimentare globale è enorme: una parte può essere
smaltita con il riciclo, ma per l’altra parte si potrebbe ricorrere all’uso di agenti chimici o
biologici in grado di decomporli.
tutto ciò non esente da rischi, ma ora come ora ci sono meno rischi negli OGM che nel cercare
di fare affidamento solo su processi agricoli preesistenti.
Conciliare l’espansione dell’offerta mondiale di cibo con una diminuzione delle emissioni è
ancora più difficile di quanto possa apparire: agricoltura e allevamento rilasciano una gran
quantità di metano (oltre il 30% delle emissioni di gas serra dell’UE dipende direttamente
dall’agricoltura, al secondo posto l’allevamento di bestiame e i processi metabolici degli animali)
maggior efficienza e meno emissioni = necessari progressi tecnologici (diffusione dei
biocombustibili/ ingegneria genetica) es. modifiche dei caratteri genetici delle alghe per poterle
produrre in ambienti differenti, da alcune alghe si può ricavare olio per biodisel: alghe
geneticamente modificate possono produrre fino a 3000 volte più olio per unità di superficie
coltivata rispetto a biocombustibili convenzionali come canna da zucchero, palma, soia.
LA POLITICA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO: ALCUNI CONCETTI
- passare da principio di precauzione a una modalità più sofisticata di analisi del rischio
- sbarazzarsi del concetto di ‘sviluppo sostenibile e analizzare le due questioni separatamente
- stato garante: stato attivatore il cui compito è contribuire a stimolare i gruppi al fine di trovare
soluzioni a problemi collettivi, ma anche stato che assicura i risultati, che monitora gli obiettivi
dei cittadini i si preoccupa che vengano realizzati
- convergenza politica: idea che si riferisce al grado in cui politiche rilevanti per contenere il
cambiamento climatico si sovrappongono virtuosamente con altre aree dell’intervento pubblico
affinché ognuna possa fare da traino per le altre; es convergenza tra innovazione tecnologica,
politica degli stili di vita, sicurezza e pianificazione energetica.
- convergenza economica: sovrapposizione fra tecnologia a bassa emissione di carbonio, pratiche
imprenditoriali e stili di vita e competitività economica. Ha alcune analogia con ciò che è stato
chiamato ‘modernizzazione ecologica’: idea che politiche progressiste da un punto di vista
ambientale coincidano con un beneficio per l’economia e per più ampi obiettivi politici.
Formulata per la prima volta negli anni ’80, la tesi fondamentale è che questioni ambientali
potrebbero essere risolte al meglio se fossero normalizzate, cioè inscritte nella cornice delle
istituzioni sociali ed economiche (senza contestarle per quello che sono, come facevano i verdi).
Con ‘modernizzazione’ ci si riferiva al ruolo della scienza e delle tecnologie, ma anche alla
riforma delle istituzioni di governo e dei mercati in vista di obiettivi ambientali e si attribuiva
alla società civile un ruolo di rilievo.
Questa impostazione ha ricevuto critiche perché questo approccio ai problemi ambientali non
teneva conto che si sarebbe dovuto giungere a compromessi, a decisioni difficili contrattate e non
sempre favorevoli per tutti.
- mantenere la questione in primo piano (al centro dell’agenda politica) date le sue implicazioni
catastrofiche
- positività degli obiettivi sul cc, per i quali valga la pena darsi da fare
- trascendere la politica: il cc deve essere oggetto di accordi-quadro di carattere generale, in
grado di sopravvivere ai cambi di governo
- principio percentuale: prendere sempre in considerazione un equilibrio tra rischi e opportunità
perché nessuna linea di azione/inazione è priva di rischi
- imperativo dello sviluppo per i paesi più poveri (anche se implica maggiori emissioni)
- sovrasviluppo: nei paesi ricchi la crescita economica è correlata al benessere solo fino a un
certo punto, perché la ricchezza stessa produce una serie di problemi sociali gravi.
- adattamento proattivo: occorre elaborare una politica di adattamento che accompagni quella di
mitigazione
UN CONCORDATO POLITICO :
Radicalismo di centro significa ottenere un ampio sostegno popolare per azioni radicali, cioè per
la coniugazione di innovazione e capacità di pensare sul lungo termine. Il cc e la sicurezza
energetica sono questioni così importanti che implicano la riforma dello stato: il cc è
generalmente materia di competenza del ministero dell’ambiente, spesso separato da quello che
si occupa di trasporti e di energia, di sanitò o di cooperazione internazionale e spesso poco
importante, mentre c’è bisogno che lo diventi.
La possibilità di giungere a un consenso trasversale tra i partiti è stata esplorata da una
commissione nel conteso britannico: alcuni credono che tale consenso sia indesiderabile perché
avrebbe l’effetto di soffocare il dibattito e l’esame critico cui tutte le proposte politiche e scelte
di governo dovrebbero essere sottoposte, e anche perché potrebbe condurre a una perdita di
attenzione pubblica e di consapevolezza del problema, oltre che perché potrebbe significare
optare per un minimo comune denominatore. Tuttavia, la maggioranza ha ammesso che un
consenso tra i partiti sia, invece, necessario oltre che desiderabile, sottolineando anche la
necessità di accordi complessivi sia sui mezzi che sui fini, l’accordo dovrà essere solido
soprattutto quando si dovranno prendere decisioni impopolari.
La commissione raccomandava la costituzione di un organismo indipendente con il compito di
monitorare i progressi ottenuti nel perseguimento degli obiettivi e la scelta del primo ministro in
carica come responsabile del consenso trasversale interpartitico (Climate Change Committee).
Paesi come Danimarca, Paesi Bassi e Giappone hanno successivamente avviato analoghi
programmi.
GIDDENS: al posto di consenso dovremmo parlare di ‘concordato’ perché dovrebbe esistere una
chiara formulazione dei principi pubblicamente sostenuti, dovrebbe contemplare sia i mezzi che i
fini e puntare sia sul breve che sul lungo periodo. Occorrerebbe istituire un organismo di
controllo più forte del Climate Change Committee che non sia solo consultivo, ma che abbia la
capacità di intervenire nel processo legislativo, le sue competenze dovrebbero essere ampliate e
la sua attività dovrebbe essere ben coordinata con quelle di tutte le altre agenzie responsabili per
l’energia e la pianificazione energetica. Sarà essenziale impedire che diventi troppo burocratico e
rigido nelle procedure, stabilendo mandati di durata breve. Dovrà essere sottoposto a regolari
controlli sia da parte del Parlamento, sia da parte dell’opinione pubblica. Infine, governo e la sua
burocrazia dovrebbero essere un esempio: non solo preoccuparsi di stabilire obiettivi, ma essere
in prima fila nel mostrare concretamente come raggiungerli.
STATO E SOCIETA’: IMPRESE E ONG
Secondo la classica visione liberale dei diritti e delle responsabilità individuali ogni individuo
dovrebbe essere libero di perseguire qualunque stile di vita egli scelga, nella misura in cui le sue
scelte non danneggino gli altri. Però lo stato liberale non ha mai esteso questo principio ai beni
ambientale e occorre che i diritti delle generazioni future vengano inseriti nelle normali
procedure democratiche.
Robyn Eckersley suggerisce che i diritti e le responsabilità ambientali dovrebbero comprendere i
seguenti punti: 1. Inclusione delle future generazioni e delle specie non umane come punti di
riferimento morali da parte dello stato, 2. Riconoscimento per legge del ‘diritto di sapere’ in
relazione alle sostanze inquinanti e tossiche che lo stato è tenuto a rispettare con periodicità
regola e quando richiesto da gruppi di cittadini o comunità, 3. Istituzione di fori pubblici in cui
si possa valutare l’impatto ambientale di una nuova tecnologia o di progetti di sviluppo urbano,
4. Riconoscimento giuridico dell’azione legale di terzi per consentire a Ong e cittadini interessati
di assicurare che le norme ambientali siano osservate, 5. Applicazione rigorosa del principio ‘chi
inquina paga’ con sanzioni per i responsabili di danni ambientali, 6. Impegno di cittadini,
imprese e gruppi della società civile a operare come agenti positivi del cambiamento ambientale
e non solo per impedire azioni distruttive.
L’industria è un attore di primaria importanza in campo ambientale: assorbe più di 1/3
dell’energia consumata nel mondo ed è coinvolta nella sua produzione. Dall’altro lato le Ong
stanno diventando sempre più forti e ricevono un alto grado di fiducia da parte dell’opinione
pubblica. Per lungo tempo le Ong hanno considerato le grandi imprese come i principali agenti di
un irresponsabile sperpero di risorse, in particolare le lobby dei combustibili fossili che
rappresentano l’industria pesante, i trasporti, le industrie del carbone e del petrolio, l’industria
chimica. Queste sono negli USA particolarmente ben organizzate e potenti e hanno avuto grande
influenza nell’atteggiamento dell’amministrazione Bush ostile verso l’intraprendere un’azione
concreta contro il riscaldamento globale (capo staff della Casa Bianca era John Sununu scettico
di primo piano del cc). Anche in Europa sono state esercitate forti pressioni lobbistiche contro
l’originaria proposta della Commissione europea di una carbon tax universale.
Dal loro lato anche le Ong sono gruppi lobbistici: non sono elettivi, né sono soggette alla
disciplina di mercato che invece grava sulle organizzazioni produttive. Il Climate Change
Network è un’organizzazione di 365 Ong di diversi paesi e regioni, con 20 milioni di associati,
adotta un approccio a tre vie: 1 fare pressioni sui vari paesi perché si diano obiettivi rigorosi, 2
greening track: percorso di decarbonizzazione che prevede aiuti ai paesi in via di sviluppo per
adottare tecnologie rinnovabili, 3. Adaptation track: assistenza ai paesi più vulnerabili perché si
preparino in previsione delle inevitabili conseguenze del cc. Inoltre le Ong giocano un ruolo nel
coordinamento dell’informazione scientifica e nella sua trasmissione a organi decisionali e
pubblico.
Dall’altro lato i capi delle imprese non sono fatti tutti della stessa pasta: ci sono imprese come
Wal-Mart che hanno abbracciato l’agenda del cambiamento climatico con un programma di
sensibile riduzione delle emissioni chiedendo ai suoi fornitori di fare altrettanto; Tesco si è
impegnata a fornire un’etichettatura del carbonio così che i consumatori sappiano qual è il
volume di fas serra generato dalla loro produzione e si è posta di dimezzare le proprie emissioni
entro il 2012; Nike ha ridotto la sua impronta di carbonio o impronta climatica del 75% in dieci
anni; la Coca-cola è entrata in società con il Wwf per abbracciare la causa della conservazione
dell’acqua, Unilever con Rainforest Alliance, Ikea con Ong brasiliane per regolamentare il
disboscamento della foresta pluviale amazzonica; Alcoa si sta impegnano per ridurre il suo
impatto ambientale dato che nella produzione di alluminio si usano grandi quantità di acqua, di
emissioni di gas serra e di score che andranno in discarica (bauxite viene estratta da miniere a
cielo aperto, nel processo di fusione si producono CO2 e PFC che sono tra i gas serra più
dannosi); anche la Banca Citigroup si è impegnata per ridurre le proprie emissioni e investire in
tecnologie energetiche alternative.
Quando si tratta di valutare le dichiarazioni ambientaliste delle imprese è importante tenere conto
di un problema noto come ‘greenwash’, ossia la fabbricazione di credenziali ambientaliste
artificiose o false (che è anche un modo per ingannare deliberatamente la gente).
In Green Inc di Chrisitne Mac Donald l’autrice critica le Ong che hanno stabilito rapporti con le
imprese perché si sarebbero lasciate corrompere, può essere vero ma è difficile immaginare come
si possano compiere progressi senza partnership attive ed efficaci tra questi gruppo: le Ong
hanno conoscenze e competenze in campo ambientale che di solito manca alle imprese, le
imprese possono fornire finanziamenti e sperimentare le nuove tecnologie.
Stati, imprese e Ong non sono i soli agenti coinvolti in politiche attive per contrastare il cc,
dobbiamo riconoscere l’importanza delle iniziative locali su scala cittadina, ma anche solo
singole personalità Es Per Castedt: concessionario della Ford che aveva trascorso anni in Brasile (produceva
etanolo come carburante per automobili) e aveva partecipato al summit di Rio del ’92, poi tornato in Svezia
cominciò a pensare a come introdurre l’etanolo, all’inizio senza risultati, fino a quando individuò presso la Ford di
Detroit un piccolo programma di veicoli flexifuel attraverso il quale riuscì a introdurre in Svezia 3 auto a etanolo,
poi ne importò altra ma né Ford né altri produttori gli diedero segni di interesse. Allora lui viaggiò per diversi anni
per il paese costruendosi un sostengo in un consorzio di enti locali, imprese e individui interessati al prodotto, riuscì
a convincere una stazione di servizio vicino a casa sua e una a Stoccolma a installare l’etanolo e in seguito visitò
altre stazioni di servizio cercando di persuadere i gestori e se necessario fornire loro finanziamenti. Oggi circa il
15% di veicoli in Svezia è alimentato con biocarburanti, il suo gruppo di ricerca sta cercando biocarburanti che non
siano in competizione con le risorse biocombustibili per produrre cibo con una raffineria già costruita per la produzione di
bioenergia e un’altra in programma.
CARBON TAX:
L’imposizione fiscale è una delle principali leve della politica dello stato e sarà sempre più
importante nello sforzo per ridurre le emissioni.
Da un lato dobbiamo comprendere che le imposte esistenti, seppur non concepite a fini ambientali, possono
comunque servire in qualche modo a tali scopi (es imposte il cui gettito viene investito nel trasporto ferroviario ).
Dall’altro lato dobbiamo comprendere che le imposte possono avere effetti negativi anche se non intenzionali (es
carburante per aerei esenti da imposta applicate ad altre forme di trasporto).
Carbon tax con motivazioni dirette possono essere di due tipi:
1. Quelle il cui gettito è speso per fini ambientali
2. Quelle che hanno lo scopo di incanalare il comportamento in direzioni compatibili con gli
obiettivi del cc
Da un punto di vista economico il senso delle carbon tax è contribuire a eliminare le esternalità
ambientali, il principio è facile da formulare ma difficile da applicare. Il principio di fondo è
‘tassare ciò che è cattivo’ (fonti di emissioni), ma attraverso la tassazione si vuole anche
incoraggiare ‘ciò che è buono’ (investimento in tecnologie rinnovabili).
I pionieri della carbon tax sono stati i paesi nordici:
inizio anni ’90 Danimarca imposte sull’elettricità, sul consumo di energia, sui combustibili fossili e poi imposta
sulle emissioni di CO2 a carico delle famiglie.
1990 Finlandia prima imposta sul CO2 al mondo e riguardava l’industria, i trasporti e le famiglie.
Svezia, Norvegia e Islanda hanno poi seguito percorsi differenti.
Tuttavia il livello assoluto delle emissioni è aumentato per tutti gli anni ’90 in ognuno di questi paesi, eccetto la
Danimarca che ha destinato il gettito fiscale a fini ambientali.
Problema della carbon tax: ha impatti potenzialmente regressivi. Uno studio condotto in UK ha confermato che le
imposte ambientali hanno un impatto negativo significativo sulle famiglie più povere. Infatti, le famiglie più povere
spesso sono già inclini a sacrificare il consumo di energia persino a detrimento della propria salute (Es
riscaldamento) e queste pagano significativamente di più per unità di energia rispetto alle famiglie benestanti, di
conseguenza se fosse stata istituita una carbon tax uniforme sarebbe stata molto regressiva.
Alcuni pacchetti fiscali e provvedimenti di welfare possono mitigare questo effetto, ma verrebbero affondati
politicamente perché implicherebbero che una parte delle persone esposte alla precarietà energetica (fuel poverty)
vedrebbe un ulteriore decisio peggioramento della propria condizione.
Quale approccio potrebbe funzionare? Combinare incentivi e sanzioni: incentivare l’attuazione di
misure di efficienza energetica e punire chi non le rispetta, cioè un servizio nazionale di audit
energetico dovrebbe identificare misure di efficienza che ogni famiglia dovrebbe adottare per
evitare di dover pagare la sovraimposta sul cc. Il piano dovrebbe essere realizzato in un periodo
determinato (10 anni) cominciando dai più benestanti, gli altri a seguire. Ai meno abbienti
bisognerebbe permettere di ottenere mutui a basso costo, finanziati con la sovrimposta gravante
sulle famiglie che non hanno ottemperato nei tempi stabiliti ai miglioramenti prescritti. Per le
abitazioni in affitto l’obbligo graverebbe sul proprietario dell’immobile.
Il rapporto suggerisce che risultati analoghi possono essere ottenuti anche in altre aree come uso
domestico dell’acqua, trasporti e gestione dei rifiuti.
Lo studio è importante perché va nella direzione di una revisione del sistema fiscale alla luce del
problema delle emissioni di carbonio, quindi tiene conto di strumenti fiscali esistenti e cerca di
individuare le conseguenze involontarie di eventuali riforme.
RAZIONAMENTO DEL CARBONIO: a ogni membro della popolazione viene assegnata una
quota annua consentita di carbonio a uso energetico per il consumo domestico e i viaggi, la quota
è uguale per tutti gli adulti, mentre per i bambini è prevista una quota minore. Ogni anno la q
autorizzata sarebbe diminuita seguendo la traiettoria degli obiettivi nazionali di riduzione delle
emissioni. Gli individui che praticano uno stile di vita a basse emissioni potrebbero vendere i
diritti di emissione in eccedenza a chi consuma di più. Le quote sarebbero divise in unità di
carbonio, ognuno sarebbe dotato di una smart card contenente la propria quota annua da usare
ogni volta che paga le bollette.
Sostenitori: amano l’idea per la sua semplicità, il suo carattere universale e la sua natura radicale.
Permetterebbe di eliminare molti dei programmi pubblici più specifici.
Sono state proposte 3 diverse versioni basate su:
1 quote di energia scambiabili: proposta da David Fleming, comprende sia organizzazioni (tra cui Governo)
sia singoli individui. Piano ventennale: per i primi 5 anni le quote sono vincolanti, per gli altri 5 sono ‘ferme’, per gli
ultimi dieci sono ‘previsionali’. Il 40% delle quote totali è dai gratuitamente ai cittadini adulti, il restante 60% è
quotato presso intermediari autorizzati che le rivendono a organizzazioni operanti su un mercato secondario. Il
programma controlla petrolio, gas, elettricità e carbone.
2 quote domestiche scambiabili: presenato da ricercatori del Tyndall Centre si differenziano da 1 perché
comprende anche i voli aerei
3 crediti di carbonio personali: proposto da Hillmane Tina Fawcett prevede la distribuzione dei crediti di
carbonio personali che riguardano singoli individui, si applica al consumo energetico famigliare e ai viaggi
personali, prevede riduzioni annuali delle quote allocate con un lungo preavviso.
Oppositori: considerano questi progetti macchinosi, costosi, esposti a frodi diffuse e inclini a
favorire i benestanti, infattibili politicamente, inapplicabili.
Robert e Thumin si propongono di fornire una precisa analisi di pro e contro del razionamento
del carbonio: esso non necessariamente conduce a frodi su larga scala, ma deve essere legato a
carte d’identità biometriche a loro volta costose e controverse. Ricerche hanno dimostrato che la
maggioranza delle famiglie sa gestire il proprio budget, ma per minoranza che non è in grado di
farlo non è chiaro che cosa accadrebbe (multe o addirittura pene detentive?). Non per forza un
sistema del genere favorisce i benestanti che, anzi, consumando più emissioni dei poveri
dovrebbero da questi ultimi acquistare quote di emissioni, però è probabile che i ricchi trovino il
modo di sfruttare anche questo sistema. E’ impossibile dire se la gente sia pronta o meno ad
accettare un sistema del genere perché non è stata condotta alcuna ricerca.
GIDDENS: la sua impressione è che il razionamento del carbonio sia irrealistico e inattuabile.
IL RITORNO DELL’UTOPIA :
Porto di Malmo in Svezia: nuova area di sviluppo edilizio edifici con massicci pannelli di vetro
accanto a modeste strutture in legno, parchi e vialetti pedonali, parcheggio 0.7 auto per
appartamento, area connessa al resto della città da una fitta rete di trasporto pubblico, elettricità
fornita da turbine eoliche, pannelli solari e teleriscaldamento. Tende solari fotovoltaiche non solo
per energia ma per limitare la necessità di condizionatori in estate. Abitazioni che risparmiano
energia non sono più costose delle tradizionali. Accanto a ogni casa ci sono unità per la raccolta
differenziata abbinate a sistemi di caduta dei rifiuti in condotti pneumatici sotterranei che
provvedono al ricilcaggio.
Oggi è giunto il momento di confrontarsi con i problemi del sovrasviluppo, con l’altra faccia
della ricchezza. Ad esempio: automobile e altri veicoli a motore sono responsabili del 14% delle
emissioni mondiali di CO2 (senza contare le emissioni per la loro fabbricazione). Il fascino
dell’automobile è sempre stato legato alla libertà, mobilità e velocità che offre, ma la
proliferazione dei veicoli a motore nega queste stesse qualità: ingorghi, traffico… Una parte
logica delle eco-towns è spezzare la dipendenza dall’automobile e incoraggiare le persone ad
attribuire un valore positivo al camminare o all’andare in bicicletta.
Uno storico dell’economia, Jean Gimpel, ha mostrato che il progresso tecnologico talvolta si
ottiene attraverso capovolgimenti Kunstler ha affermato che la vita cittadina sarà caratterizzata
da un ‘ritorno a scale di operatività più piccole’ GIDDENS più auspicabile è che questa tendenza
interagisca con il suo opposto, ossia un’ulteriore espansione della mobilità, ma solo laddove il
trasporto cambi la sua natura: macchine senza pilota (conducente robot), trasporto digitale, la
distinzione tra trasporto pubblico e privato potrebbe venire meno (già in USA ci sono i car club
che consenton ai loro membri di avere un accesso privilegiato ai veicoli pur senza esserne i
proprietari).
E’ cruciale che il settore assicurativo inauguri nuovi modi di affrontare l’aggravamento nella
dimensione e nella frequenza dei rischi catastrofici perché altrimenti l’onere per il governo
diventerà insostenibile. I requisiti di capitale sono alti perché in un anno di pesanti perdite i
pagamenti devono aver luogo tutti in quel periodo, quindi l’assicuratore deve costantemente
avere disponibilità di capitale liquido, è necessario che si affermi un nuovo modo di pensare.
Fino a tempi recenti l’assicurazione contro le catastrofi era basata su modelli tradizionali di
gestione del rischio che dipendevano dai calcoli sugli eventi catastrofici precedenti, ma dopo
Andrew e Katrina che han causato danni più grandi di quanto in precedenza fosse concepibile si
sono dovuti elaborare modelli sofisticati con l’obiettivo di ridurre le aree di incertezza.
Nel mercato dei capitali per ripartire il rischio sono stati creati i catastrophe bonds: strumenti
finanziari complessi che mirano a neutralizzare il rischio per l’assicuratore originario, ma
contengono anche meccanismi di salvaguardia per coloro che li acquistano
2007 Allianz in USA e Canada per terremoti e in UK per inondazioni,
Munich Re e Swiss Re: cat bond per proteggere popolazioni povere del Bangladesh e altri paesi
in via di sviluppo, lavorando congiuntamente con fondazioni e Ong
Rockefeller Foundation : // in Asia e Africa subsahariana
Bill and Melinda Gates Foundation ha dato 34 milioni di dollari all’organizzazione
internazionale del lavoro delle NU per il perseguimento di un’iniziativa analoga.
Lo stato dovrebbe puntare sulla creazione delle condizioni finanziarie e fiscali in cui la copertura
da disastri e catastrofi possa essere allargata sotto l’egida del settore assicurativo, non per questo
perderà il suo ruolo di assicuratore di ultima istanza.
In USA ci sono diversi progetti per istituire mercati del carbonio, il più avanzato è quello della California:
legge Ab32 alla fine del 2006 con cui lo stato si è impegnato a ottenere una riduzione del 25% dei gas
serra entro il 2020 e l’80% entro il 2050. La legge ha ricevuto l’opposizione da sindacati e Ong
ambientaliste per il ruolo predominante assegnato al mercato del carbonio, oltre che dai comuni sospettosi
e ostili nei confronti delle politiche di cc.
Per qualche tempo in USA ha funzionato il Chicago CLimate Exchange: borsa di emissioni sorta su base
volontaria, basato sui permessi anziché su un progetto, cioè aveva una capitalizzazione prestabilita. Nel
2010 ha cessato la sua attività perché le imprese non si sono più impegnate per un nuovo ciclo.
Mercati del carbonio di vario tipo sono stati istituiti anche in altri paesi, e sono certamente desinati a
durare, benché al momento resti aperta la questione di come funzionerà l’ETS