Sei sulla pagina 1di 43

LA POLITICA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO

GIDDENS
Domanda portante di tutto il libro: perché la maggior parte delle persone, per la maggior parte
del tempo, agisce come se si potesse ignorare una minaccia di tale portata (quella del
riscaldamento del nostro pianeta) ?
Il riscaldamento globale è un problema diverso dagli altri sia per la sua scala planetaria, sia
perché riguarda principalmente il futuro.
“Paradosso di Giddens”: non essendo i pericoli prodotti dal riscaldamento globale tangibili,
immediati e visibili nel corso della vita quotidiana, molti se ne stanno con le mani in mano e non
fanno niente di concreto per evitarli. Se però si aspetta che i pericoli divengano macroscopici e
gravi prima di essere indotti a un’azione serie, a quel punto sarà ormai troppo tardi.
Il paradosso di Giddens è una sottocategoria di quello che i sociologi sociali chiamano “sconto
iperbolico” (future discounting): gli individui hanno difficoltà ad attribuire al futuro lo stesso
livello di realtà del rpesente. Per questo un piccolo compenso offerto oggi sarà normalmente
preferito a un compenso molto più grande disponibile in una data futura.
Gli scienziati sono ampiamente concordi nel ritenere che il cambiamento climatico (=cc) sia
reale e pericolo, però una piccola minoranza di scienziati, gli scettici, contesta queste
affermazioni e ottiene dai media un’attenzione sproporzionata.
I politici hanno preso coscienza della dimensione e dell’urgenza del problema, ma questo è solo
il primo passo. Il secondo deve essere il radicamento delle questione nelle istituzioni e nella
preoccupazioni quotidiane dei cittadini.
La comunità internazionale è all’opera: negoziati continui ma per ora con limitati risultati
concreti.
I paesi industrializzati sono i principali ad aver scaricato nell’atmosfera la maggior parte delle
emissioni e tocca a loro assumere la principale responsabilità di controllarle nel prossimo futuro
muovendosi in direzione di un’economia a basso contenuto di carbonio e attuando riforme
sociali integrate a questi cambiamenti.
GIDDENS: il suo è un approccio fondato sul realismo, occorre operare con le istituzioni che già
esistono e attraverso modalità rispettose della democrazia.
- Lo stato sarà un attore di primaria importanza.
- I mercati delle emissioni possono funzionare solo se il prezzo del carbonio ha un tetto
- Anche i mercati hanno un ruolo esteso nella lotta contro il cc: possono produrre risultati che
nessuna agenzia pubblica o sistema regolamentato è in grado di ottenere, tuttavia lo stato è
necessario per ripagare ciò che gli economisti definiscono ‘esternalità negative’: costi non pagati
da chi li ha generati, la politica dovrebbe assicurare che ovunque possibile tali costi siano
internalizzati.
- L’importanza dello stato non equivale ad avvallare soluzioni verticistiche, anzi è probabile che
le iniziative più significative nascano dall’azione di individui lungimiranti e dall’energia della
società civile. Gli stati dovranno lavorare con agenzie e organizzazioni, col altri paesi e
organizzazioni internazionali.
- Movimenti verdi: hanno origine nei sentimenti di avversione suscitati dall’industrialismo nei
primi conservazionisti, oggi la maggior parte dei verdi si è allineata al mainstream. Il
conservazionismo “tornare alla natura” non ha nulla a che fare con l’imperativo di combattere il
riscaldamento globale, anzi potrebbe persino intralciare i nostri sforzi. È necessario andare
avanti e non tornare indietro, per questo l’autore respinge una delle idee centrali dei movimenti
verdi: il principio di precauzione sintetizzabile nella frase “non interferire con la natura”.
- pianificazione: inevitabile fare ricorso a forme di pianificazione in politica visto che deve
essere introdotta una prospettiva di lungo termine.
- rapporto tra rischio e incertezza: la mentalità di lungo periodo necessaria per contrastare il cc
deve operare su uno sfondo di incertezza e su una struttura trasversale ai vari partiti così da
resistere ai cambi di governo tipi dei paesi democratici.
-tecnologia: lo stato deve sovvenzionare gli investimenti in risorse energetiche rinnovabili
affinché siano competitive rispetto ai combustibili fossili
- la società moderna dipende fortemente dal petrolio: circa il 90% dei beni in vendita nei negozi
richiede in un modo o nell’altro l’uso di petrolio occorre una combinazione di realismo e
idealismo: dobbiamo creare un modello di futuro a basse emissioni che sia al contempo positivo
e capace di connettersi fin d’ora con la vita ordinaria, di tutti i giorni.
CAPITOLO 1: CAMBIAMENTO CLIMATICO, RISCHIO E PERICOLO
La nostra comprensione delle origini dell’attuale riscaldamento globale risale alle scoperte dello
scienziato francese Jean-Baptiste Joseph Fourier all’inizio del XIX secolo l’energia del Sole
giunge alla Terra nella forma di luce solare, viene assorbita e diffusa di nuovo nello spazio sotto
forma di radiazione infrarossa. Quando Fourier calcolò il differenziale tra energia che arriva sulla
Terra e quella che viene rimandata come radiazione scoprì che il nostro pianeta, in teoria,
dovrebbe essere ghiacciato; la sua conclusione fu che l’atmosfera agisce come un mantello che
trattiene una parte del calore, rendendo il pianeta vivibile per esseri umani, animali e piante.
Osservatori successivi (specie John Tyndall) riuscirono a individuare con esattezza quali
elementi atmosferici intrappolano gli infrarossi, ossia i gas che producono ‘effetto serra’ : vapore
acqueo, anidride carbonica, metano che sono presenti in quantità modeste. Per misurarle si usa il
calcolo delle parti per milione (ppm), 1 ppm = 0,0001%. ( Un’altra unità di misura è la CO2
equivalente cioè la quantità di emissioni di CO2 che sarebbe necessaria per produrre lo stesso
effetto di tutti i gas serra combinati. )
Negli ultimi 150 anni circa i gas serra nell’atmosfera sono aumentati con l’espansione della
produzione industriale e la temperatura della Terra non solo sta aumentando, ma lo fa a un ritmo
sempre più incalzante: negli ultimi 650 000 anni il conenuto di CO2 è sempre stato <290 ppm,
nel 2010 ha raggiunto 389 ppm e sta salendo di circa 2 ppm all’anno ciò potrebbe significare che
i carbon sink (pozzi di assorbimento naturali) della Terra stanno perdendo la loro capacità di
trattenere i gas serra.
Il riscaldamento non è omogeneo: è maggiore sulle terre emerse che sugli oceani e alle latitudini
settentrionali è più alto che altrove. Da 50 anni la calotta artica si è dimezzata e le temperature
artiche sono aumentate di 7° si aprirebbero rotte commerciali transartiche e diventerebbe
possibile spostarsi dal Nord Europa all’Asia orientale o alla costa nordoccidentale degli USA
evitando i canali di Suez e Panama.
L’organismo più autorevole che si occupa di monitorare il cc e le sue implicazioni è l’IPCC =
Intergovernemental Panel on Climate Change delle NU istituito nel 1988. Centinaia di scienziati
e reviewers sono coinvolti nelle sue principali pubblicazioni, sempre complete e minuziose. Il
suo intento è raccogliere più dati scientifici possibili sulle condizioni climatiche, sottoporli a
revisioni e prevenire a conclusioni generali sullo stato dell’opinione scientifica. L’Ipcc valuta le
implicazioni del cc attraverso un certo numero di possibili scenari entro il 2100, ne ha individuati
6 diversi che dipendono da fattori come i livelli di crescita economica, la scarsità di risorse,
l’incremento demografico, l’espansione di tecnologie a bassa emissione di carbonio e
l’intensificarsi delle disuguaglianze regionali. Lo scenario individuato come ‘più probabile’ è
allarmante: combustibili fossili saranno ancora in uso ma controbilanciati da forme più pulite di
generazione di energia, crescita della popolazione sarà sotto controllo, temperature salire di più
di 4°, incremento del livello del mare di 48 cm, precipitazioni piovose ridotte del 20% nelle aree
subtropicali, mentre più a nord o sud maggior pioggia.
Ipcc e Commissione europea hanno dichiarato che l’obiettivo di una politica di controllo delle
emissioni dovrebbe essere limitare il riscaldamento globale a una media di 2° e stabilizzare le
concentrazioni atmosferiche dei gas serra a 450 ppm di CO2.
L’Ipcc avverte che questo secolo potrebbe essere dominato dai conflitti per le risorse.
GLI SCETTICI E I LORO CRITICI :
Fred Singer e Dennis Arvey, per esempio, sostengono che “ il riscaldamento odierno è modesto
e non è provocato dall’uomo “ anzi la principale preoccupazione per il futuro a lungo termine
dovrebbe essere un’imminente era glaciale
Altri scettici adottano un approccio diverso come Patrick Michaels che afferma che i dati e le
proiezioni dell’Ipcc sono intrinsecamente falsi
Lomborg ammette che il riscaldamento sia in atto e che sia stata l’attività umana a produrlo, però
contesta l’idea che i rischi legati ad esso debbano avere la precedenza sugli altri come povertà
nel mondo, diffusione dell’Aids e armi nucleari Friel passa al vaglio il lavoro di Lomborg
citazione per citazione trovandolo lacunoso: L sostiene che il cc non rappresenterà un problema
devastante per il futuro e Friel commenta quanto siano selettivi i materiali usati da L. e quanto lo
siano anche le sue interpretazioni
Altri autori suggeriscono che viviamo in un’età delle paure e il cc non è che una di esse.
Tuttavia gli scettici meritano attenzione e devono essere ascoltati. Lo scetticismo è la linfa vitale
della scienza: è giusto che tutto quanto dicano gli scienziati sul cc e sulle sue conseguenze sia
vagliato con occhio critico (dato che l’Ipcc non è solo un organismo scientifico, ma anche
un’entità politica e burocratica).
LE GUERRE CLIMATICHE :
Novembre 2009 grazie ad hacker sono trapelate sulla stampa circa un migliaio di mail intercorse
tra un gruppo di ricercatori sul clima che lavoravano in USA e UK che per gli scettici
mostravano come gli scienziati in questione stessero manipolando i dati per rafforzare la tesi
secondo cui è in atto un cc indotto dall’uomo e in più, secondo i critici, gli scienziati cercavano
di manipolare il processo di peer review cos’ da bloccare la pubblicazione di articoli critici sul
loro lavoro. Tra i coinvolti c’erano il professore Philip Jones della Cru e Michael Mann
dell’Università di Pennsylvania, entrambi sono stati sottoposti a molte inchieste uscendo
scagionati da tutte. Date le tempistiche si è pensato che fosse stato un tentativo volto a indebolire
il summit di Copenaghen.
Anche l’Ipcc è stato coinvolto in una controversia: in un suo rapporto del 2007 sono venuti alla
luce due errori (1=affermava che i ghiacciai dell’Himalaya avrebbero potuto sparire entro il
2035, ma dovrebbero fondersi a una velocità 35 volte superiore a quella registrata attualmente
per raggiungere quell’esito, 2. Diceva che il 55% del territorio dei Paesi Bassi si trova sotto il
livello del mare e quindi a rischio inondazioni , mentre il 55% della popolazione è a rischio
inondazioni perche il 26% sotto il livello del mare + 29% a rischio a causa delle piene fluviali)
Agenzia olandese di valutazione ambientale ha promosso un’indagine sul rapporto dell’Ipcc per
scovare altre affermazioni dubbie, ma non ha trovato nulla.
Alcuni scienziati si sono espressi in favore di rapporti dell’Ipcc più brevi, da produrre con
maggior frequenza e più adatti a stare al passo con le nuove ricerche e dati. Altri hanno proposto
un processo di revisione basato sul modello di Wikipedia che consente il libero accesso ai dati,
ma esame e controllo dell’affidabilità e dell’esattezza delle voci resta un problema.
Vale la pena distinguere tra gli scettici del cc che si danno da fare per assicurare un approccio di
scrupoloso rigore alla scienza e all’elaborazione politica, da coloro che chiamati “negazionisti”
che usano sei tattiche identificate da Martin McKee:
1. Descrivere un consenso come una cospirazione
2. Mettere in campo pseudoesperti che si schierano con la tesi della manipolazione
3. Scegliere e mettere in risalto le prove in maniera selettiva, continuare a riproporre prove a
proprio favore anche se del tutto screditate
4. Stabilire per i propri oppositori standard ardui o impossibili da rispettare
5. Distorcere le tesi scientifiche dominanti e poi demolire il bersaglio di comodo creato a questo
scopo
6. Far passare l’incertezza scientifica per infondatezza
I RADICALI:
Fred Pearce afferma che il clima non ama i cambiamenti graduali e che ha subito ogni sorta di
mutamento già molto prima che gli esseri umani comparissero sulla scena, ben prima
dell’avvento della moderna produzione industriale. Egli distingue i processi di cambiamento
climatico in due tipi: 1 evolvono lentamente e seguono traiettorie in gran parte delineate dagli
scenari dell’Ipcc, 2 sono radicali e netti: si arriva al raggiungimento di un punto critico e si
scatena uno scarto improvviso da un tipo di sistema all’altro. Oggi è molto grande il potenziale
affinché avvengano cambiamenti di tipo 2.
PERMAFROST: strato di suolo congelato, solido e apparentemente stabile che ricopre la vasta
area di torbiere che si estende dalla Siberia occidentale alla Scandinavia settentrionale, al
Canada e all’Alaska che ha cominciato a scongelarsi. Esso imprigiona enormi quantità di
vegetazione degradata ricca di carbonio: il suo scongelamento fa sì che venga rilasciato non solo
CO2, ma anche metano (gas molte volte più potente della CO2). Secondo una stima il rilascio di
metano in corso nelle torbiere della Siberia occidentale è già superiore ai gas serra emessi dagli
USA in un anno.
EL NINO e la ‘oscillazione meridionale’: Nino significa bambino con riferimento a Gesù, il
nome deriva dal fatto che di norma il fenomeno di insolite condizioni di calore che si sviluppano
nell’Oceano pacifico lungo le coste occidentali di Ecuador e Perù avviene durante il periodo
natalizio. Ogni 3-5 anni El Nino si sposta da una parte all’altra del globo e porta con sé una scia
di sconvolgimenti meteorologici come temperature insolitamente fredde nel Pacifico equatoriale,
ma in anni recenti si è manifestato più spesso e con conseguenze di crescente gravità
James Hansen della Nasa ci fa notare che la Terra è l’unico dei tre pianeti ad avere il giusto
equilibrio di circostanze affinché la vita esista: Venere è però troppo caldo, Marte troppo Freddo.
Secondo Hansen è possibile che si determini sulla Terra un effetto serra estremo come risultato
del riscaldamento globale prodotto dall’uomo perché i meccanismi in passato ritenuti in grado di
ridurlo non avranno il tempo di sviluppare i loro effetti, data la velocità con la quale il fenomeno
sta avanzando.
Lo scienziato britannico Kames Lovelock è persino più cupo: il surriscaldamento globale è non
lineare e suscettibile di produrre improvvise e drammatiche variazioni negli ecosistemi terrestre.
Egli considera l’Ipcc un’organizzazione conservatrice a causa del suo carattere burocratico, non
crede nei tentativi di giungere ad accordi internazionali per ridurre le emissioni di carbonio, è un
sostenitore dell’energia nucleare ritenendola l’unica che possa avvicinarsi alla capacità di
generare l’energia da cui dipende la nostra civiltà. Egli prevede che l’avanzare del cc devasterà
ampie regioni del mondo e le renderà inabitabili, con prolungate siccità e le regioni che
rimarranno abitabili saranno ‘scialuppe di salvataggio’ in cui l’umanità sarà ammassata.
CONCLUSIONE:
- ci sono prove scientifiche sul cc molto concrete e dettagliate
- lo scetticismo è un elemento essenziale della scienza
- le guerre climatiche non hanno avuto praticamente alcun impatto sulle prove relative al cc e ai
suoi pericoli
- le posizioni dei radicali dovrebbero contare più di quelle degli scettici perché essi sono
scienziati in attività
- nessuna delle civiltà che ci hanno preceduto è intervenuta sulla natura in un modo anche
lontanamente paragonabile a ciò che facciamo ogni giorno e su scala globale
CAPITOLO 2: ESAURIMENTO IMMEDIATO O LENTO DECLINO?
Petrolio, gas naturale e carbone sono le tre principali fonti di energia a livello mondiale, sono
tutti combustibili fossili e tutti producono gas serra su larga scala.
In UK la rivoluzione industriale fu alimentata dalle scoperte scientifiche e tecnologiche che
trasformarono il carbone in una dinamica fonte di energia, il passaggio dalla legna al carbone
non fu facile perché comportava una trasformazione delle abitudini, ma tale conversione diede
inizio al mondo che abitiamo oggi, un mondo nel quale l’energia prodotta dal singolo cittadino o
lavoratore è trascurabile rispetto a quella prodotta da risorse inanimate.
Dagli albori del XX il petrolio iniziò a rappresentare una sfida al predominio del carbone. Nei
primi decenni gli USA furono il maggior produttore di petrolio, erano una potenza
antimperialista. Invece, il UK otteneva petrolio dalle sue colonie mediorientali: sulla base di
concessioni fu istituita la Anglo-Iranian Oil Company con condizioni che UK aveva deciso
unilateralmente, in pratica il paese interessato al petrolio forniva le conoscenze e la tecnologia
per localizzarlo ed estrarlo, così i paesi coloniali diventavano ‘stati reniter’: percepivano un
flusso di reddito senza i corrispondenti processi di sviluppo economico. In questo modo la
ricchezza generata dalla presenza di giacimenti petroliferi o altre risorse mineraria era trasferita
all’estero o nelle mani delle élite locali allo scopo di controbilanciare l’influenza delle grandi
compagnie petrolifere fu istituita nel 1960 l’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori di
petrolio, e ne seguì una diffusa e progressiva riappropriazione delle risorse petrolifere da parte di
imprese di proprietà statale. Nel 1973 i leader dell’Opec non gradirono l’appoggio che USA e
altri paesi occidentali diedero a Israele nel conflitto arabo-israeliano e così alzarono del 70% il
prezzo del greggio facendo cadere i paesi industrializzati in una recessione economica. Questo ci
fa capire quanto sia stretta la relazione tra politica internazionale e sicurezza energetica.
In seguito a questo episodio la Francia prese la decisione di diventare più indipendente e investì
massicciamente nel nucleare e oggi le sue emissioni sono nettamente inferiori a quanto
avrebbero potuto essere altrimenti.
Anche il Giappone introdusse politiche per regolare l’uso dell’energia e promuovere risparmio
energetico. La Svezia ha cominciato un percorso di riduzione della dipendenza dal petrolio, in
Giappone e Svezia il riciclo dei rifiuti è maggiore che nel resto del mondo.
La Danimarca negli anni ’70 avviò programmi per trasferire quote della produzione di elettricità
alle fonti energetiche rinnovabili.
Il Brasile decideva di investire nei biocombustibili
Gli USA introdussero misure di risparmio energetico nella forma dell’Energy Policy
Conservation Act conseguendo importanti miglioramenti, però quando la percezione della crisi si
attenuò il consumo di carburanti riprese a crescere.
IL PICCO PETROLIFERO:
Nel 1956 il geologo americano Marion King Hubbert formulò la predizione secondo cui negli
USA la produzione interna di petrolio avrebbe raggiunto il suo picco nel 1970. I calcoli del picco
dipendono dalle ‘riserve ultime’ di un dato paese o giacimento e la nozione non si riferisce alla
quantità di petrolio esistente, ma a quanto può ancora essere estratto.
Ci sono alcuni come Howell e Nakhle che credono che ci sia abbastanza petrolio e gas naturale
per tutti e non c’è bisogno di preoccuparsi delle future fonti di approvvigionamento.
L’idea dominante, invece, è meno ottimistica. L’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ha
predetto nel 2007 che non ci sarà alcun picco prima del 2030, altri credono che il mondo si stia
avvicinando rapidamente a un picco e si tratta di una crisi energetica generata dal conflitto tra la
crescente domanda globale di energia e la nostra crescente incapacità di incrementare la
produzione.
Il disaccordo tra coloro che scrivono di produzione petrolifera è dovuto da due questioni: quanto
petrolio è ancora recuperabile nei giacimenti attualmente sfruttati e quali sono le possibilità di
scoprirne di nuovi. Dei 50 paesi maggior produttori di petrolio, 18 hanno oggi oltrepassato il
proprio picco, includendo i produttori minori sono più di 60 ad averlo superato. Es. Arabia
saudita, uno dei più grandi paesi produttori del mondo, molti ritengono che le dichiarazioni del
governo saudita circa il livello di riserve sia ottimistico o addirittura privo di fondamento, falso,
per non scoraggiare gli investimenti esteri e per timore delle conseguenze sul prezzo del petrolio.

La ricerca di nuove fonti di petrolio ha portato le trivellazioni in luoghi via via più remoti della
Terra e a profondità marine sempre maggiori da piattaforme galleggianti sforzi così estremi
puzzano di disperazione.
Il gas naturale, che produce emissioni più basse sia del petrolio che del carbone, può sostituire il
petrolio? Secondo David Victor e colleghi ci sarà una svolta mondiale verso questa risorsa.
Tuttavia c’è una notevole distanza tra la stima più ottimistica delle riserve recuperabili di gas
(600 trilioni m cubi) e la più bassa (224 trilioni di m cubi). La disponibilità di gas naturale è stata
modificata dalle tecniche di estrazione da scisti bituminosi (roccia sedimentaria) il cui impatto ha
suscitato l’interesse e attratto investimenti di vaste proporzioni in USA, ma anche in Europa,
Asia e Australia. I sostenitori del gas di scisto affermano che la impronta di carbonio sarà la
stessa del gas naturale perché è più largamente disponibile a livello lovale e non deve essere
trasportato a grandi distanze, mentre i critici affermano che il suo impatto sulle emissioni sia
considerevolmente maggiore.
Anche riguardo le riserve di carbone c’è chi ha iniziato a dire che potrebbero essere più limitate
di quanto supposto finora. Energy watch ha calcolato che il picco di carbone potrebbe
raggiungersi convenzionalmente già nel 2025, sebbene l’opinione prevalente sia contraria a
queste conclusioni.
SFRUTTARE AL MASSIMO GLI IMPIANTI :
La produzione di elettricità è una delle maggiori cause di consumo di energia e di generazione di
gas serra.
Nel periodo post IIWW le miniere di carbone furono diffusamente nazionalizzate. Anche la
svolta generalizzata verso il nucleare negli anni ’50 e ’60 fu guidata ovunque dallo stato. Per
molti paesi il nucleare è stato solo una parentesi, in altri le centrali costruite decenni fa restano in
uso ma si avvicinano alla conclusione del loro ciclo.
Dalla fine degli anni ’70 si è assistito a una svolta verso l’apertura alla concorrenza nel settore
della produzione energetica: privatizzazione e liberalizzazione dei mercati dell’energia sono
diventate l’ortodossia (UK nel 1982, poi la maggior parte dei paesi industrializzati). Le imprese
si sono concentrate sull’abbattimento dei costi di gestione e pochi investimenti sono andati alla
riqualificazione degli impianti.
Dall’inizio degli anni duemila è emerso ciò che Helm chiama un “nuovo paradigma energetico”
caratterizzato dall’aumento del prezzo del petrolio e del gas che implica ritorno alla protezione
delle forniture energetiche nazionali, alla modernizzazione degli impianti, all’investimento per il
futuro, al consapevolezza del carattere finito di risorse come petrolio e gas, all’importanza
capitale della politica estera per la sicurezza energetica con la lotta per limitare il cc.
USA dipendono fortemente dai produttori di petrolio del Medio Oriente, così come Europa e
Giappone, mentre la Cina è progressivamente più presente in Medio Oriente, Africa e America
Latina alla ricerca di petrolio, gas, minerali.
la Russia fa leva sulle sue disponibilità di risorse per tornare a essere una grande potenza e i
paesi europei importano grandi quantità di gas e una considerevole parte di petrolio. Gazprom, la
più grande impresa russa controllata dallo stato, è notoriamente inefficiente e mal gestita. La
Russia non ha incontrato difficoltà nello stipulare accordi individuali con paesi membri dell’ue,
indebolendo l’unità europea: esempio è il progetto del gasdotto Nord Stream che ha unito
Gazprom e due delle imprese energetiche più grandi della Germania e la cui conduttura passa per
Finlandia, Svezia, Danimarca, Russia e Germania.
LA LOTTA PER LE RISORSE:
Solo gli USA superano la Cina per consumo di petrolio e gas.
La Cina sta portando avanti una politica estera espansionista: compra giacimenti petroliferi in
diversi paesi per uso proprio, stabilendo localmente le condizioni di vendita, ha fatto ciò in
Venezuela, Indonesia, Iraq, Oman, Yemen e Sudan e ha compiuto massicce incursioni in Medio
Oriente. Infatti, l’Arabia Saudita è diventata il maggior fornitore dei cinesi che sono stati
autorizzati a esplorare il territorio alla ricerca di gas. La Cina ha stretto relazioni anche con l’Iran
da cui importa petrolio e gas e le compagnie petrolifere americane assistono impotenti, nel
frattempo Cina e Russia hanno sospeso temporaneamente l’imposizione delle sanzioni che la
maggior parte degli altri paesi della comunità internazionale applica nel tentativo di impedire
all’Iran di entrare in possesso di armi nucleari e sistemi missilistici.
India non ha ancora adottato una politica estera d’alto profilo, ma ne avrà bisogno perché sta
verificandosi un rapido aumento dell’uso di automobili: Nano è un modello indiano economico
che si progetta di commercializzare in America Latina, Sudest asiatico e Africa.
Alcuni commentatori in materia di sicurezza energetica parlano di “Cindia” con riferimento
all’impatto combinato della crescita economica cinese e di quella indiana sui mercati mondiali
del petrolio e dell’energia. Cindia ha un consumo pro capite pari a un settimo della somma dei
paesi industriali.
La principale divergenza tra gli autori più ottimisti e gli apocalittici del cc riguarda il tempo.
La situazione in Medio Oriente sembra in procinto di cambiare a fondo: sta venendo meno
l’equilibrio strategico grazie al quale gli USA hanno mantenuto il controllo sulla regione
ricevendo la stabilità delle forniture di petrolio. USA e altri paesi sviluppati si sono abituati
all’idea di energia a buon mercato e ora una brusca perdita di influenza degli USA nell’area può
dare una forte scossa e o da un lato produrre un’ondata di investimenti in tecnologie alternative,
o dall’altro incoraggiare atteggiamenti più conservatori come una rinnovata ‘storia d’amore’ con
il carbone.
CAPITOLO 3: I VERDI E OLTRE
Il movimento verde, o alcune correnti di pensiero al suo interno, ha costituito la prima fonte di
una riflessione filosofica sui temi del cambiamento climatico.
Gli economisti ambientali snobbano il pensiero verde perché non è rigoroso e non è espresso in
termini di costi e benefici delle diverse strategie. Essi vedono nel mercato delle emissioni
l’elemento migliore per affrontare il riscaldamento globale.
Per gli autori di sinistra il cc è un’opportunità per rinnovare le critiche ai mercati.
Nicholas Stern “il riscaldamento globale è il più grande fallimento del mercato che il mondo
abbia mai visto”
Sul piano politico il cc offre a quelli di sinistra di recuperare il radicalismo scomparso con la
dissoluzione del socialismo rivoluzionario (= rilancio della critica al capitalismo)
Gli europeisti vedono il cc come una questione per dimostrare agli euroscettici il ruolo cruciale
dell’Ue nell’affrontare problemi globali.
GIDDENS: bisogna evitare di strumentalizzare l’azione contro il cc per giungere ad altri fini. È
essenziale che la politica del cc superi la divisione sinistra/destra e sopravviva ai cambi di
governo nei sistemi democratici.
I VERDI: non esiste un movimento verde, ma una serie diversificata di posizioni, prospettive e
ricette per l’azione.
il pensiero verde è nato dalla Rivoluzione industriale. Nel 1836 Emerson pubblicò il saggio
‘natura’ la cui tesi sosteneva che nell’industria moderna la natura appare assoggettata al servizio
della produzione di merci. Il tema fu ripreso da Thoreau (visse due anni solo nei boschi) 1892
negli USA venne fondato il Sierra Club: prima grande organizzazione ambientalista del mondo
dedita alla protezione delle riserve naturali e oggi concentrata nella battaglia contro il rg, in
particolare contro la sconsiderata politica energetica statunitense.
Anni ’70 del ‘900 in Germania nasce il termine ‘verde’ in ambito politico. Da allora i verdi si
svilupparono in un movimento mondiale e il loro primo incontro avvenne nel ’92 alla
Conferenza di Rio delle Nazioni Unite. Il Global Green Netwkork comprende rappresentanti di
circa 80 paesi che condividono una carta dei principi :
1. Saggezza ecologica ( verdi come avversarsi dello ‘scienticismo’ inteso come illimitata fede
nella scienza e nella tecnologia),
2. Giustizia sociale,
3. Democrazia partecipativa ( opposizione alle grandi istituzioni di potere come uno stato forte o
una grande impresa privata. Contestazione del ‘produttivismo’ = insistenza sulla crescita
economica come valore prioritario),
4. Non violenza,
5. Sostenibilità,
6. Rispetto per la diversità (prime 4 presi dai verdi tedeschi) .
Il filosofo australiano Robert Goodin sostiene che il pensiero politico dei verdi si articoli in due
filoni principali: una teoria verde del valore che dice a cosa essi attribuiscono valore e perché, e
una teoria verde dell’agenzia che dice come perseguono questi valori.
Valore= essere stato creato da processi naturali anziché umani (VS economia per cui valore=
prezzi o benessere)
Goodin accetta l’idea per cui gli oggetti di natura possono avere un valore solo attraverso di noi
perché per parlare di valore deve esserci per forza qualcuno che creda in questo valore. I valori,
quindi, sono relazionali: presuppongono un mondo più grande e ne dipendono. Essi non si
realizzano da sé, ma devono essere connessi a un ‘come’ che spieghi i mezzi con i quali possono
essere realizzati.
Goodin trova che non ci sia alcuna connessione logica tra i valori dei verdi e la tipica struttura
politica dei movimenti verdi (democrazia partecipativa, diffidenza verso il potere e non violenza)

Goodin sostiene che una teoria ‘verde’ del valore dovrebbe prevalere su quella dell’azione in
caso di conflitto.
Giddens: il movimento verde perderà la propria identità mano a mano che la politica ambientale
entrerà a far parte del mainstream. Si perderanno quei valori che non coincidono necessariamente
con quelli connessi al controllo del cambiamento climatico e che, anzi, potrebbero contrastarlo:
esempio principio secondo cui democrazia partecipativa sia l’unico tipo di democrazia che conti,
quello per cui la società migliore cui possiamo aspirare è decentrata o quello per l’impegno alla
nonviolenza, o quello del ‘vivere vicino alla natura’ che potrebbe portare a eccesso di
conservazionismo e opporsi alla costruzione di una centrale nucleare o eolica in una zona di
campagna.
GESTIRE IL RISCHIO: IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE
Tale principio è stato formulato nella dichiarazione di Rio del ’92 ed è stato ampliamente
applicato, anche dalla Commissione europea. Tuttavia è molto incoerente.
Questo principio si concentra solo su un lato del rischio: la possibilità di un danno. L’opposto
della precauzione sono l’audacia e l’innovazione: assumere rischi è fondamentale per una serie
di attività fruttuose e costruttive.
Sunstein ha trovato una ventina di definizioni differenti di tale principio: dalle versioni più deboli
secondo cui i governi non dovrebbero pretendere la certezza del rischio prima di intervenire per
disciplinarlo, alle versioni più forti che se strettamente applicate paralizzerebbero ogni azione.
Es. prodotti OGM: il principio di precauzione vorrebbe che fossero del tutto banditi per evitare i
rischi connessi alla salute umana; ma questo implicherebbe accrescere i livelli di fame e
malnutrizione che è un rischio altrettanto scongiurabile. Di conseguenza la visione forte è
contraria sia alla coltivazione sia alla non coltivazione degli OGM.
Perché se è così contraddittorio è anche così tanto usato? Sunstein dice che la ragione risiede
nella percezione sociale del rischio e nel ricorrere ad alcune regole empiriche o euristiche che
spesso sono molto fuorvianti:
1. Euristica della disponibilità: siamo sensibili a certi rischi perché compaiono spesso nei
notiziari (es terrorismo) mentre ignoriamo altre minacce altrettanto rilevanti ma che non vengono
diffuse.
2.Ignorare la probabilità: cioè la tendenza a concentrarsi sugli scenari peggiori, anche se molto
improbabili
3. Avversione alle perdite: persone tendono ad avere un’inclinazione verso lo status quo perché
danno più importanza alle perdite presenti che ai guadagni futuri
4. Fede nella benevolenza della natura che circonda di un alone sospetto i rischi creati dagli
esseri umani
5. Ignorare il sistema: tendenza a trascurare effetti sistemici impedisce alle persone di scorgere
nuove minacce insite nei loro tentativi di evitare rischi già individuati.
Conclusioni di giddens:
1. Non bisogna operare secondo il principio di precauzione, ma secondo il ‘principio
percentuale’, cioè valutare rischi e oppportunità in termini di costi sostenuti in relazione ai
benefici ottenuti
2. Analisi costi-benefici in democrazia presuppone dibattito pubblico, perché implica la scelta tra
diversi rischi. Es energia nucleare può ridurre le emissioni, ma crea pericoli come quelli connessi
allo smaltimento delle scorie radioattive.
3. Ogni valutazione del rischio è contestuale: dipende dai valori che danno forma alle minacce
considerate più rilevanti in un dato momento.
SVILUPPO SOSTENIBILE:
1972 viene pubblicato ‘i limiti dello sviluppo’ del Club di Roma: sosteneva che la nostra civiltà
stesse esaurendo le risorse da cui dipende la continuazione della sua esistenza.
1987 venne introdotta l’espressione ‘sviluppo sostenibile’ dal rapporto della Commissione
mondiale sull’ambiente e sullo sviluppo (rapporto Brundtland). Il rapporto riconosceva la
necessità della crescita economica ai fini di una maggiore prosperità nel mondo in via di
sviluppo, ma lo sviluppo doveva diventare sostenibile, ossia ‘soddisfare i bisogni del presente
senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri’. Il Summit
della Terra di Rio approvò una dichiarazione in cui formularono 27 principi di sviluppo
sostenibile e si raccomandava ciascun paese di definire una strategia nazionale per raggiungere
quei fini. Nel 2001 fu tracciata la Strategia dell’UE per lo sviluppo sostenibile.
l’introduzione di questo concetto ha contribuito a mettere d’accordo i verdi e i fautori della
decrescita con i sostenitori del mercato. Il punto di incontro è stato trovato sul tema della povertà
nel mondo: aveva senso una a-crescita nei paesi industrializzati a favore di una giustizia sociale
globale che desse ai pesi più poveri l’opportunità di diventare più ricchi, ossia di svilupparsi
economicamente.
Oppositori: ‘sostenibilità’ implica continuità ed equilibrio, mentre ‘sviluppo’ comporta
dinamismo e cambiamento. Quindi ambientalisti sono sensibili all’aspetto della sostenibilità,
mentre governi e imprese pongono l’accento sullo sviluppo, di solito inteso in termini di crescita
del PIL.
Al posto di dare una definizione si è pensato di fornire una lista di obiettivi dello sviluppo
sostenibile, così Lafferty e Meadwcroft affermarono “sviluppo sostenibile indica
un’interdipendenza tra i seguenti obiettivi: promuovere il benessere dell’umanità, soddisfare i
bisogni fondamentali, proteggere l’ambiente, considerare la sorte delle generazioni future,
raggiungere equità tra ricchi e poveri, allargare la partecipazione al processo decisionale”
GIDDENS: un elenco così onnicomprensivo svuota la nozione di qualsiasi significato
sostanziale. Così l’autore preferisce considerare i due aspetti separatamente:
- sostenibilità implica che quando si affrontano problemi ambientali le soluzioni debbano essere
durevoli.
Secondo il WEF (World Economic Forum) la sostenibilità ambientale è definita in cinque
elementi:
1 la condizione dei sistemi ecologici come l’aria, il suolo e l’acqua
2 le sollecitazioni cui tali sistemi sono sottoposti, compresi i loro livelli di inquinamento
3 l’impatto di queste sollecitazioni sulla società umana, misurato relativamente a fattori quali la
disponibilità di cibo e l’esposizione a malattie.
4 la capacità sociale e istituzionale di una società di far fronte ai rischi ambientali
5 la capacità di creare una gestione dei beni comuni globali, in particolare l’atmosfera.
-sviluppo ha due significati differenti: 1. Crescita economica (incremento PIL) come accezione
generale di un intero paese, 2 in un’accezione più ristretta può riferirsi al processo economico
che strappa le persone alla povertà. In entrambi i casi significa accumulazione di ricchezza.
Per i paesi sviluppati la crescita è una necessità molto meno urgente, per i paesi più poveri lo
sviluppo è un imperativo e finchè non raggiungeranno almeno un certo livello di ricchezza nel
mondo si continueranno a registrare due traiettorie di sviluppo separate “contrazione e
convergenza” sono il necessario punto di incontro tra i due tipi di sviluppo: processo attraverso il
quale i paesi sviluppati riducono le loro emissioni per primi e in maniera radicale, seguiti dai
paesi più poveri man mano che diventano ricchi (finché non lo diventano possono aumentare le
emissioni per permettere la loro crescita).
SOVRASVILUPPO :
Per i paesi sviluppati la continua espansione economica porta sicuramente benefici, ma i
problemi della ricchezza si accumulano, per tanto non si vuol dire che la crescita economica
debba fermarsi, ma che non dovrebbe essere perseguita senza riguardo per le sue conseguenze.
Il PIL come misura di crescita ha evidenti vantaggi (Es semplicità di calcolo), però ha anche
molte inadeguatezze: non distingue la crescita industriale che agisce per incrementare le
emissioni e quella che non lo fa, non tiene conto delle disuguaglianze economiche.
Sono stati proposti indicatori alternativi:
• GPI Indice di Progresso Autentico nel 199 da Talbert e Cobb: calcolato a partire dalle misure
del consumo personale, ma introduce correttivi che tengano conto della distribuzione del
reddito, del valore del lavoro domestico e volontario, della criminalità e dell’inquinamento.
• ISEW Indice del benessere economico sostenibile: usa sia dati nazionali che locali per
identificare alcuni trend
• SSI Indice di sostenibilità sociale 2006: considera un più vasto assortimento di misure
ambientali come l’esaurimento di zone umide, foreste, terreno agricolo, materie prime non
rinnovabili, livello delle emissioni di carbonio e altre potenziali cause di danno ambientale.
Include anche indici come la distribuzione del reddito, la diffusione del volontariato e la
dipendenza da capitali esteri
Secondo questi indicatori dagli anni ’70 nella maggior parte dei paesi industrializzati la
crescita è stagnante (mentre secondo il PIL si continua a crescere)
CHI INQUINA PAGA è la logica che sta alla base delle imposte sulle emissioni e dei merccati
dei permessi di emissione.
E’ stata coniata la formula della ‘responsabilità estesa dell’inquinatore’ per la quale coloro che
causano emissioni attraverso la produzione dovrebbero assumersi la responsabilità dei beni che
producono lungo tutto il loro ciclo di vita, compreso l’eventuale smaltimento. Nella pratica è
difficile da attuare.
Uno strumento che consente di trattare queste situazioni sono le obbligazioni assicurative:
acquistate dall’impresa o dall’industria per tutelarsi contro possibili effetti negativi sull’ambiente
e rimborsabili con interessi una volta che si sia dimostrato con un ragionevole grado di
affidabilità che il processo produttivo è virtuoso.
Il concetto chi ‘inquina paga’ nonostante le difficoltà interpretative è importante perché incentiva
a modificare i comportamenti, perché sta alla base della responsabilità differenziata dei paesi
sviluppati e in via di sviluppo nella risposta al cambiamento climatico e perché offre i mezzi per
trasformare tali responsabilità in legge.
TEMI NON VERDI:
Un rapporto del governo britannico identifica 5 principali sfide future:
1. Equilibrare domanda e offerta future in modo sostenibile, permettere che siano disponibili
scorte di cibo
2. Ricercare stabilità dei prezzi dei prodotti alimentari proteggendo le persone più vulnerabili
dall’eventualità di variazioni improvvise
3. Raggiungere l’accesso globale al cibo e sconfiggere la fame
4. Radicale riorganizzazione dei sistemi di produzione del cibo per assicurare che l’agricoltura
contribuisca significativamente alla riduzione delle emissioni di carbonio
5. Nutrire il mondo conservando o accrescendo la biodiversità .
E’ probabile che il cc interagisca con il sistema alimentare mondiale in almeno 2 modi: una
maggiore domanda di cibo dovrà essere soddisfatta sullo sfondo di condizioni metereologiche
più estreme (siccità, precipitazioni forti); domanda di cibo per una popolazione crescente deve
essere soddisfatta emettendo meno carbonio. In tutto questo la riforestazione dovrebbe avere la
precedenza sulla messa a coltura di nuove terre. impossibile immaginare di raggiungere lo scopo
senza ricorrere alle biotecnologie, compreso l’uso di OGM.
La quantità di rifiuti che si crea nella catena alimentare globale è enorme: una parte può essere
smaltita con il riciclo, ma per l’altra parte si potrebbe ricorrere all’uso di agenti chimici o
biologici in grado di decomporli.
tutto ciò non esente da rischi, ma ora come ora ci sono meno rischi negli OGM che nel cercare
di fare affidamento solo su processi agricoli preesistenti.
Conciliare l’espansione dell’offerta mondiale di cibo con una diminuzione delle emissioni è
ancora più difficile di quanto possa apparire: agricoltura e allevamento rilasciano una gran
quantità di metano (oltre il 30% delle emissioni di gas serra dell’UE dipende direttamente
dall’agricoltura, al secondo posto l’allevamento di bestiame e i processi metabolici degli animali)
maggior efficienza e meno emissioni = necessari progressi tecnologici (diffusione dei
biocombustibili/ ingegneria genetica) es. modifiche dei caratteri genetici delle alghe per poterle
produrre in ambienti differenti, da alcune alghe si può ricavare olio per biodisel: alghe
geneticamente modificate possono produrre fino a 3000 volte più olio per unità di superficie
coltivata rispetto a biocombustibili convenzionali come canna da zucchero, palma, soia.
LA POLITICA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO: ALCUNI CONCETTI
- passare da principio di precauzione a una modalità più sofisticata di analisi del rischio
- sbarazzarsi del concetto di ‘sviluppo sostenibile e analizzare le due questioni separatamente
- stato garante: stato attivatore il cui compito è contribuire a stimolare i gruppi al fine di trovare
soluzioni a problemi collettivi, ma anche stato che assicura i risultati, che monitora gli obiettivi
dei cittadini i si preoccupa che vengano realizzati
- convergenza politica: idea che si riferisce al grado in cui politiche rilevanti per contenere il
cambiamento climatico si sovrappongono virtuosamente con altre aree dell’intervento pubblico
affinché ognuna possa fare da traino per le altre; es convergenza tra innovazione tecnologica,
politica degli stili di vita, sicurezza e pianificazione energetica.
- convergenza economica: sovrapposizione fra tecnologia a bassa emissione di carbonio, pratiche
imprenditoriali e stili di vita e competitività economica. Ha alcune analogia con ciò che è stato
chiamato ‘modernizzazione ecologica’: idea che politiche progressiste da un punto di vista
ambientale coincidano con un beneficio per l’economia e per più ampi obiettivi politici.
Formulata per la prima volta negli anni ’80, la tesi fondamentale è che questioni ambientali
potrebbero essere risolte al meglio se fossero normalizzate, cioè inscritte nella cornice delle
istituzioni sociali ed economiche (senza contestarle per quello che sono, come facevano i verdi).
Con ‘modernizzazione’ ci si riferiva al ruolo della scienza e delle tecnologie, ma anche alla
riforma delle istituzioni di governo e dei mercati in vista di obiettivi ambientali e si attribuiva
alla società civile un ruolo di rilievo.
Questa impostazione ha ricevuto critiche perché questo approccio ai problemi ambientali non
teneva conto che si sarebbe dovuto giungere a compromessi, a decisioni difficili contrattate e non
sempre favorevoli per tutti.
- mantenere la questione in primo piano (al centro dell’agenda politica) date le sue implicazioni
catastrofiche
- positività degli obiettivi sul cc, per i quali valga la pena darsi da fare
- trascendere la politica: il cc deve essere oggetto di accordi-quadro di carattere generale, in
grado di sopravvivere ai cambi di governo
- principio percentuale: prendere sempre in considerazione un equilibrio tra rischi e opportunità
perché nessuna linea di azione/inazione è priva di rischi
- imperativo dello sviluppo per i paesi più poveri (anche se implica maggiori emissioni)
- sovrasviluppo: nei paesi ricchi la crescita economica è correlata al benessere solo fino a un
certo punto, perché la ricchezza stessa produce una serie di problemi sociali gravi.
- adattamento proattivo: occorre elaborare una politica di adattamento che accompagni quella di
mitigazione

CAPITOLO 4: COSA SI E’ FATTO FINORA .


In The climate change challenge and the failure of democracy Shearman e Wayne giungono a
una conclusione negativa: gli stati democratici sono troppo dominati da interessi particolari e da
forme estreme di materialismo per poter creare politiche all’altezza della sfida che abbiamo
davanti; dovremmo accettare l’idea che lo sforzo per misurarsi con i dilemmi ambientali imporrà
ai governi un approccio più autoritario.
GIDDENS: occorre ricordare che gli stati totalitari hanno generalmente avuto risultati
ambientali scadenti o disastrosi, come i pasi che hanno sperimentato processi di
‘modernizzazione autoritaria’ (Russia, Cina, Corea del sud).
Stati democratici permettono e incoraggiano lo sviluppo aperto della scienza, consentono la
mobilitazione di movimenti sociali, gruppi di pressione ambientalisti e organizzazioni non
governative.
Gli stati non democratici mantengono un controllo sulle organizzazioni della società civile
(Schedatura dei membri e sorveglianza delle attività), concentrano le loro risorse nello sviluppo
della tecnologia militare e poco nelle altre aree di sviluppo tecnologico.
Si può constatare che i paesi democratici ottengono risultati più ampi nella classifica che si basa
sull’Indice di sostenibilità ambientale.
SVEZIA:
Svezia è il leader assoluto nelle perfomance ambientali: ha compiuto passi avanti dal 1973 dopo
l’embargo petrolifero, infatti subito dopo a causa delle preoccupazioni per la dipendenza dal
petrolio, diverse regioni del paese hanno annunciato programmi di riduzione per l’uso domestico
e commerciale dell’energia petrolifera, così il paese ha fatto ricorso all’energia nucleare e
idroelettrica.
Dagli anni ’80 l’uso del petrolio è diminuito del quasi 50%.
Obiettivo ambizioso è diventare la prima economia libera dal petrolio entro il 2020: ridurre
emissioni dovute ai trasporti attraverso un uso generalizzato dei biocombustibili, ricorso alla
biomassa (pasta di legno).. un consiglio per gli obiettivi ambientale monitora il progressivo
conseguimento degli obiettivi preposti (16 grandi e 72 intermedi) riguardo non solo la riduzione
di emissioni, ma anche la qualità dell’aria, del suolo, delle foreste e del Mar Baltico
NUCLEARE: 1980 referendum decise di abbandonare gradualmente il nucleare, però per 20
anni successivi l’energia nucleare è raddoppiata. Febbraio 2009 il governo di centrodestra ha
annunciato di voler procedere a ulteriori investimenti nelle centrali nucleari, l’opposizione è stata
sostenuta da una maggioranza risicata. Dopo l’incidente in Giappone nella centrale di Fukushima
nel 2001 in Svezia si sono avute manifestazioni, ma il governo va avanti con i suoi programmi.
CARBONE: Svezia è uno dei 6 paesi membri dell’UE ad avere una carbon tax che ha contribuito
a ridurre le emissioni dell’industria e della produzione energetica di circa un terzo tra ’70 e ’90.
L’introduzione della tassa è stata accompagnata dal dimezzamento delle imposte sul reddito così
da neutralizzare l’effetto fiscale complessivo.
GERMANIA: è oggi il maggior utilizzatore di energia eolica ed anche il maggior produttore
mondiale di energia solare fotovoltaica, quasi l’80% della capacità produttiva europea di energia
solare si trova in Germania. Questi successi sono stati influenzati dall’introduzione negli anni ’90
delle tariffe incentivanti per le fonti rinnovabili.
CARBONE : il paese dipende ancora massicciamente dal carbone per la produzione di energia
(circa il 50%, mentre il nucleare per il 27%). Il governo sta appuntando le proprie speranze sui
sistemi di cattura e stoccaggio della CO2.
NUCLEARE: a seguito delle pressioni dei verdi il paese si era impegnato a chiudere le proprie
centrali nucleari. Nel 2000 l’allora cancelliere Scroder annunciò la chiusura di 19 centrali, ma
solo 2 impianti sono stati spenti; poi nel 2007 il governo ha proposto un piano-clima noto come
‘Meseberg programme’ per cui era necessario che gli impianti continuassero a funzionare,
posticipando la chiusura degli impianti al 2034. Con il governo Merkel, nel 2008 la coalizione di
centrodestra si è espressa contro la progressiva chiusura delle centrali, cambiando posizione nel
2001 in seguito a Fukushima.
DANIMARCA: ai tempi dell’embargo dell’Opec il paese dipendeva molto dal petrolio (tutto
importato) e il governo dell’epoca decise di ridurre quel livello di dipendenza: vennero introdotte
imposte sul gas naturale e sul petrolio per stimolare l’efficienza energetica, contemporaneamente
iniziò lo sfruttamento di giacimenti petroliferi appartenenti dalla Danimarca. Inizio anni ’90
introduzione di un sistema di sussidi per facilitare l’espansione dell’energia eolica,
accompagnata dalle importazioni di energia idroelettrica da Svezia e Norvegia e dall’uso di
centrali di cogenerazione a biomasse di vario tipo.
La politica ha subito la variazione dei cambi di governi, tuttavia il paese è riuscito a mantenere
stabile il consumo di energia durante un lungo periodo di crescita economica. Negli ultimi anni,
però, le emissioni di CO2 stanno aumentando nuovamente.
Nel 2001 una commissione di nomina governativa ha condotto uno studio da cui si ricava che
un’economia a emissioni zero potrebbe essere realizzata entro il 2050.
SPAGNA E PORTOGALLO hanno dimostrato che è possibile realizzare una trasformazione
energetica rapidamente.
In 10 anni la spagna è passata da 2 a circa 20% di energia proveniente da fonti rinnovabili. Il
Portogallo nel 2004 ha deciso di ridurre la dipendenza del paese dai combustibili importati e nel
2009 arrivato al 42% di energia proveniente da fonti rinnovabili (nel 2004 era al 17%).
In entrambi i casi i risultati sono stati raggiunti con il sostegno di incentivi fiscali e con una
parziale ristrutturazione del sistema energetico. Portogallo ha privatizzato e ristrutturato imprese
energetiche e ha riportato la rete sotto il controllo statale.
Problemi: consumatori hanno assistito a un aumento del costo dell’energia + effetti della crisi
finanziaria nel 2008 in SP le emissioni di CO2 erano cresciute del 43% dal 1990 e in Portogallo
del 30% perché la recessione iniziava a farsi sentire ed era importante dare spazio al settore
edilizio e ad altre attività ad alta emissione di carbonio, per sostenere lo sviluppo economico.
REGNO UNITO : Margaret Thatcher decise di privatizzare i grandi monopoli energetici di stato
e di passare dalle centrali elettriche alimentate a carbone alle centrali alimentate a gas: circa il
20% del successo del UK nel controllo delle emissioni di CO2 è attribuito a ‘dash for gas’, la
politica di conversione al as nella produzione di energia elettrica. Hanno contribuito anche altri
aspetti della politica ambientali quali l’imposta sul cambiamento climatico e gli accordi
energetici volontari.
Nel 2008 è stato presentato a approvato il Climate Change Bill: entro il 2050 si dovranno ridurre
le emissioni di gas serra dell’80% dal 1990, ogni 5 anni deve essere pubblicato un rapporto sui
progressi realizzati, dovrà essere istituito un carbon budget (tetto massimo delle emissioni) di
durata quinquennale. Inoltre è stata istituita una Commissione sul cambiamento climatico per
forninre consulenza ai governi e, ancora, la legge prevede operazioni di banking (capacità di
stornare quote inutilizzate di carbon budget da un periodo a un altro futuro) e borrowing
(prendere a prestito massimo l’1% dal carbon budget del periodo successivo). In generale le
principali tecnologie di cui si auspicava l’espansione erano l’eolico, il solare, lo sfruttamento
energetico delle maree, il nucleare, il carbone pulito, l’isolamento termico di abitazioni e uffici,
l’efficienza dei veicoli a motore.
Nel frattempo è stato creato un nuovo ministero per l’Energia e il cambiamento climatico e nel
novembre 2008 è stato approvato l’Energy Act (che tra le altre cose prevedeva piani di
costruzione di nuove centrali nucleari).
Secondo un patto con l’UE entro il 2020 il 15% dell’energia del Paese dovrà provenire da fonti
rinnovabili.
Nel maggio 2010 al governo è tornata una coalizione di conservatori e liberaldemocratici che
hanno mantenuto l’impianto della politica ambientale dei predecessori, Cameron ha promesso
che il suo governo sarà ‘il più verde mai esistito’ e benché contrari all’energia nucleare, i
liberaldemocratici, hanno dato il loro assenso alla costruzione di nuove centrali, purché non
sovvenzionate con denaro pubblico.
2011 nuovo Energy Bill per aumentare efficienza energetica e promuovere investimenti in
tecnologia a bassa emissione.
I paesi presentati sono quelli che hanno ottenuto i migliori risultati a livello mondiale, ma autori
della classifica ‘Germanwatch e climate action network’ affermano che nessun paese al mondo
per ora sta seguendo un percorso compatibile con un aumento della temperatura al di sotto dei 2°
LE POLITICHE SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO E GLI USA :
USA: il 4% della popolazione del pianeta consuma il 25% dell’energia globale ogni anno e
genera più del 20% delle emissioni di CO2 al mondo.
Amministrazione Clinton kyoto non ratifica (cap 8)
2002 amministrazione Bush ha fissato l’obiettivo di ridurre l’emissione di gas serra del 18%
entro il 2012. Ha così introdotto alcuni incentivi fiscali per fonti rinnovabili, nucleare e Ccs, per
la conservazione dell’energia e nel 2007 il presidente ha firmato una legge volta a migliorare
l’efficienza energetica delle automobili.
Le più importanti iniziative sono venute dal Congresso, tra cui la proposta di legge Lieberman-
Warner del 2007 che ha causato una profonda frattura tra democratici (favorevoli) e repubblicani
(contro)
2008 Obama presidente ha insistito sulla necessità di una normativa sul cambiamento climatico
sul piano sia nazionale che internazionale. Ma la proposta non passò. Gennaio 2011 in un
discorso Obama ribadì che gli USA dovevano investire in ricerca e sviluppo circa le tecnologia a
basse emissioni di carbonio, tuttavia non ha citato nel suo discorso il riscaldamento globale, né le
misure che potrebbero contenerlo.
Attualmente gli USA, il paese su cui gravano le maggiori responsabilità sul riscaldamento
globale, non ha fatto nulla a livello nazionale. Come è possibile? 1. Separazione dei poteri
sancita dalla costituzione americana che impone al presidente di negoziare con il Congresso, 2.
Enorme capacità di lobby danarose di influire sui singoli membri del congresso, 3 il
cambiamento climatico ha subito una forte polarizzazione politica: destra repubblicana guarda
con sospetto qualsiasi costa che abbia a che fare con un’espansione dei poteri dello stato (sanità,
istruzione, cambiamento climatico). In nessun altro paese le posizioni sul cc sono tanto lontane
tra loro quanto negli odierni USA.
In alcune regioni, stati e città degli USA la situazione contrasta fortemente con quella federale
LEZIONI DA TRARRE:
1. I primi della classifica in termini di riduzione delle emissioni lo sono a ausa della
preoccupazione per la sicurezza energetica e non per la preoccupazione del cambiamento
climatico (eccetto Germania e Danimarca). Tra questi il Brasile, una delle più grande economie
emergenti, tempestivo nell’introdurre l’etanolo come carburante dei veicoli.
2. Benché in alcuni paesi creare un rilevante settore delle energie rinnovabili abbia richiesto
molto tempo, oggi è possibile muoversi rapidamente (sia guardando alle esperienze altrui, sia
sfruttando progressi tecnologici)
3. La dimensione sinistra-destra può influenzare significativamente la continuità delle politiche
energetiche e sul cc. Finora le misure più efficace sono state promosse da governi di
centrosinistra
4. Le carbon-tax funzionano anche se sono raramente facili da applicare. Hanno il vantaggio di
essere universali e vincolanti, ma non hanno trovato il giusto modo di conciliarsi con la giustizia
sociale (i poveri sono i più colpiti). Le tariffe incentivanti in Germania e altrove forniscono un
modello auspicabile da copiare.
5. Per quanto riguarda la limitazione delle emissioni i paesi perseguono una linea fortemente
contraddittoria: le politiche sul cc devono essere olistiche e non applicate in maniera isolata.
L’efficienza energetica è importante per combattere il cc se fa parte di un pacchetto di politiche
ad ampio spettro, sennò di fatto può addirittura aumentare le emissioni, poiché i risparmi
realizzati potrebbero essere spesi in altre attività produttrici di CO2. (Es Spagna e Portogallo che
usano un’alta percentuali di fonti rinnovabili, ma comunque hanno emissioni alte / Giappone
società con alto livello di efficienza energetica, ma con crescenti emissioni di gas serra)
6. Nonostante le molte obiezioni è probabile che il nucleare dovrà far parte della combinazioni di
fonti energetiche più appropriata allo scopo di ridurre le emissioni di carbonio.
7. Inerzia che soggiace agli attuali modi di procedere è molto grande, sia nei sistemi energetici
sia negli stili di vita che ne conseguono. In tutto il mondo ancora nessun paese è in grado di
diminuire le proprie emissioni a un livello compatibile con la limitazione del riscaldamento
globale a <2°.
8. Negli ultimi 20 anni la produzione industriale ha continuato a declinare nei paesi occidentali,
ormai dipendenti dai manufatti cinesi e di altri paesi in via di sviluppo (“trasferimento di
emissioni” a Oriente).
CAPITOLO 5: RITORNO ALLA PIANIFICAZIONE ?
Tesi principali del libro:
1. Paesi industrializzati devono essere in prima fila nella lotto contro il cc
2. Possibilità di successo dipenderanno soprattutto dal governo e dallo stato (quindi da un ampio
sostegno politico da parte dei cittadini, nel contesto dei diritti e delle libertà democratiche)
Ruoli/compiti dello stato 9 punti:
-lo stato deve aiutarci a pensare in anticipo: è responsabilità dei leader elaborare politiche per il
lungo periodo ritorno alla programmazione: obiettivi rigorosi e concentrarsi sui mezzi per
raggiungerli, incoraggiare a pensare al lungo termine anche le imprese, il terzo settore e i singoli
cittadini
- il cambiamento climatico e il rischio energetico devono essere gestiti nel contesto di altri rischi
che le società contemporanee si trovano ad affrontare a livello locale, nazionale e internazionale
- lo stato deve promuovere la convergenza politica ed economica, in quanto forze motrici
essenziali delle politiche sul cambiamento climatico e di quella energetica. Le convergenze
devono essere obiettivi di breve e di lungo periodo, devono costituire il fondamento della
pianificazione. Nel LP ci si deve occupare di molti settori, compresa la preparazione alle
riorganizzazione socioeconomiche su vasta scala che un’economia a basse emissioni di carbonio
inevitabilmente comporterà.
- lo stato deve intervenire sui mercati per istituzionalizzare il principio ‘chi inquina paga’, visto
che in quasi tutti i paesi sviluppati i costi ambientali rimangono esternalizzati. I governi
dovranno ridurre le esternalità negative
- lo stato deve agire per contrastare gli interessi economici che cercano di bloccare le iniziative
sul cc. Questo è un compito arduo perché c’è il problema del ‘carbon leakage’, ossia la fuga delle
imprese (soprattutto grandi imprese) verso paesi con normative meno severe. Se si verificasse
una congiuntura tra i governi e i capi più illuminati delle grandi imprese la situazione potrebbe
capovolgersi e vedere le imprese in prima linea nel mettere la loro forza a disposizione degli
obiettivi ambientali.
- lo stato deve tenere il cc sempre in cima all’agenda politica e il tema dovrebbe figurare nei
programmi di tutte le scuole
- per arrivare a un’economia a basse emissioni di carbonio occorre sviluppare una cornice
economica e fiscale appropriata. È necessario sovvenzionare le nuove tecnologie affinché si
affermino.
- lo stato deve predisporre l’adattamento alle conseguenze del cambiamento climatico, cercare di
anticipare con esattezza come e dove si faranno sentire gli effetti del riscaldamento .
- gli aspetti regionale, nazionale e internazionale delle politiche sul cambiamento climatico
devono essere integrati. Senza consistenti programmi nazionali, gli accordi internazionali non
funzioneranno.
Reagire al cc favorirà e richiederà un’innovazione del governo e del rapporto tra stato, mercato e
società civile.
PIANIFICAZIONE, IERI E OGGI:
Pianificazione è stata di moda per 20/30 anni nei paesi occidentali dopo la IIWW. Ha
rappresentato la base dell’economia nelle società di tipo sovietico: 13 piani nazionali tra 1928e
il 1991.
Nxel periodo postbellico ‘pianificazione’ significava una forte direzione centrale da aprte dello
stato ai fini della prosperità economica generale e della giustizia sociale (nazionalizzazione
dell’industria soprattutt dei settori strategici come energia, siderurgia, comunicazione, creazione
di comunità pianificate, new towns e città giardino).
Cause dell’abbandono della pianificazione:
- nelle società di tipo sovietico era associata a uno stato autoritario e oppressivo
- in Occidente pianificatori erano anonimi burocrati che non si preoccupavano a sufficienza degli
interessi e delle sensibilità locali
- pianificazione centralizzata si dimostrò incapace di affrontare le complessità di un sistema
economico sviluppato
Dagli anni ’80 si impose la controrivoluzione: diffuse privatizzazioni, riduzione al minimo del
governo macroeconomico, la stessa parola ‘pianificazione’ caduta nell’ombra.
In realtà, molte forme di pianificazione hanno continuato ad esserci con discrezione: es governi
monitoravano i processi demografici per provvedere con anticipo alle future esigenze
nell’istruzione, nella sanità e nelle pensioni / qualcosa di analogo per strade e ferrovie… la
pianificazione urbana è proseguita.
Poi si è avuto il fallimento della deregulation (2008!): eccessiva focalizzazione sul breve termine
e corrosione delle istituzioni pubbliche + carenza dei controlli del rischio sistemico.
Ritorno alla pianificazione? Non sarà semplice, dovrà conciliarsi con le libertà democratiche,
dovrà trovarsi un equilibrio tra i bisogni nazionali e i sacrifici locali richiesti per soddisfarli.
Es. new towns: comunità pianificate tornate oggi di moda sotto forma di eco-town costruite o
progettate in molti paesi
Non si deve pensare solo a che forma avrà la pianificazione, ma anche al suo contenuto. Un
modo per affrontarla è la ‘proiezione all’indietro’ (backcasting): chiedersi quali cambiamenti
servono nel presente per pervenire a stati futuri alternativi, parlando di futuri plurali e alternativi,
cui con il passare del tempo vengono apportate correzioni e revisioni (a differenza della
previsione tradizionale lascia molto più spazio alle circostanze impreviste), questo approccio è
usato dall’Ipcc. L’aspetto saliente del backcasting sta nel confrontare opzioni future e obiettivi da
assegnare alle politiche. Ovviamente la previsione (forecasting) non sparirà, backcasting e
forecasting sono complementari: es. pianificazione del futuro dell’industria idrica in Australia,
un paese che soffre di siccità dove l’acqua sta diventando sempre più scarsa. Mitchell e White
sostengono che le previsioni possono identificare politiche di breve termine, mentre per pensare
più radicalmente e suggerire innovazioni di maggior portata è meglio il backcasting: pensare a un
ciclo idrico complessivo tra acqua, acque nere e acque bianche che oggi si considerano sistemi
diversi.
Pianificare sembra un processo lineare, ma al contrario è altamente complesso e condizionato
dalle circostanze, nelle politiche di piano un aspetto decisivo è rappresentato dal tentativo di
modificare gli atteggiamenti delle persone nei confronti del rischio.
CAMBIARE VITA: osservazioni e sondaggi dimostrano che la gente è per la maggior parte
consapevole dei rischi e delle implicazioni del cambiamento climatico, ma non pronta né
preparata a fare grandi sacrifici per arrestarlo (anche perché il cc tende a essere viso come un
rischio di cui sono responsabili le autorità, “noi siamo troppo piccoli perché ciò che facciamo
conti qualcosa, noi non dovremmo agire finché i paesi più grandi non lo fanno”).
Altre osservazioni dimostrano quanto sia grande l’influenza degli scettici, del tutto
sproporzionata rispetto al loro numero nella comunità scientifica.
Inoltre, nelle politiche sul cc si ripropongono i problemi di free riding: comportamento di chi
usufruisce di un bene pubblico eludendone il costo, dal livello dei comuni cittadini (chi guida
veicoli ‘succhia benzina’ rispetto a chi è passato ad auto più piccole/alternative) fino all’arena
internazionale (paesi che fanno poco per ridurre le proprie emissioni rispetto a quelli più attivi).
Sondaggi dimostrano anche che le persone hanno solo una vaga idea delle cause del cc. Altre
indagini condotte a livello globale mostrano che gli abitanti dei paesi in via di sviluppo sono più
preoccupati del cc (60% ha un ‘alto livello di preoccupazione’ in Cina, India, Messico, Brasile,
mentre solo il 22% in UK e Germania).
Una ricerca effettuata in UK dal DEFRA (deparment for Environment, Food and Rural Affairs)
suddivide il pubblico in 7 gruppi in base alla loro valutazione della minaccia del cc e della
disponibilità a reagire nell’ambito della loro vita quotidiana:
1. ‘verdi positivi’ 18% provengono dai settori più agiati della popolazione,
2. ‘controllori degli sprechi’ 12% : cercano di non sprecare più perché hanno risorse scarse che
perché sono sensibili all’ambiente
3. ‘consumatori interessati’ 14%: affermano di fare già molto più di altra gente e non sono per
ora disposti a impegnarsi oltre
4. ‘tifosi a bordo campo’14% : riconoscono il cc come problema, ma non contemplano nella loro
vita alcun cambiamento per esso
5. ‘partecipanti prudenti’ 14%: fanno poco per l’ambiente, ma farebbero di più se lo facessero
anche gli altri
6. ‘bloccati in partenza’: non sanno molto del cc e protestano di essere privi dei mezzi per farci
qualcosa, provengono dalle classi sociali meno abbienti
7. ‘francamente disimpegnati’: scettici o indifferenti nei confronti del cc
Conclusione del DEFRA: le politiche per il cc dovrebbero differenziarsi: per 1 e 2 (anche 3 e 4)
la politica dovrebbe essere finalizzata ad abilitare e impegnare, quindi fornire i mezzi per
migliorare i propri comportamenti; per 5 e 6 l’enfasi dovrebbe essere posta non solo sull’abilitare
e impegnare, ma anche sull’esemplificare (per ridurre in loro gli effetti del sentimento di
ingiustizia suscitato dai free riders)
Il DEFRA ha ospitato un summit di cittadini per verificare come e quanto un processo
deliberativo potrebbe modificare l’atteggiamento del pubblico. Le conclusioni sono state: 1.
Trapela chiaramente il desiderio che lo stato assuma un ruolo guida, 2. I cittadini si sono sentiti
più informati e più propensi a cambiare le proprie vite, 3. Più consapevoli delle responsabilità
individuali di un problema globale, 4. Più preoccupati affinché una decisione venga presa
urgentemente
In UK circa il 40% delle emissioni proviene da fonti domestiche. Molte modifiche quotidiane
potrebbero contribuire a un loro abbassamento:
-decisioni di acquisto una tantum: installazione di un sistema di isolamento domestico, acquisto
di un’auto più efficiente
-attività abituali legate allo stile di vita quotidiano: consumo domestico di energia e frequenza di
uso dell’auto
-decisioni di acquisto occasionali: es acquisto di lampadine a basso consumo
-decisioni di acquisto abituali: acquisto di alimentari e prodotti per la casa
GIDDENS: l’autore ritiene controproducente questi sforzi perché assumono che tutti siano
desiderosi e possano permettersi di vivere come la piccola minoranza dei verdi positivi.
Piuttosto, egli ritiene che sia necessaria un’impostazione diversa che ponga l’accento sugli
aspetti postivi e sulle opportunità oltre che sulle privazioni autoinflitte. Dunque, gli incentivi
devono avere la precedenza su tutti gli altri tipi di interventi, le sanzioni pecuniarie devono
fornire risorse da spendere direttamente per fini ambientali o essere collegate in modo visibile a
un cambio di comportamenti.
Es. Svezia è riuscita ad aumentare l’efficienza energetica delle abitazioni evidenziando i vantaggi di
avere case calde, protette dalle intemperie e capaci di far risparmiare denaro. La maggior parte delle
iniziative che fino ad ora son riuscite a ridurre le emissioni sono state guidate dalla motivazione
dell’aumento dell’efficienza energetica, piuttosto che dal desiderio di porre un limite al cc.
Ciò che importa è l’efficienza energetica nell’economia nel suo complesso, poiché i guadagni di
efficienza in un singolo contesto sono di scarso o nessun valore se i risparmi ottenuti vengono
spesi altrove in attività dissipatrici di energia. Al momento la questione cruciale è far sì che le
fonti di energia pulita siano competitive con quelle basate sui combustibili fossili (sia attraverso
le sovvenzioni pubbliche, sia attraverso l’innovazione tecnologica)
Da inizio anni ’90 alcune imprese erogano servizi di pubblica utilità offrendo ai consumatori
elettricità proveniente da fonti eoliche o solari: all’inizio hanno avuto poca presa perché i prezzi
non erano competitivi, dal 2006 Xcel Energy in Colorado e Austin Energy in Texas hanno
praticato tariffe più basse, in particolare Austin Energy ha incoraggiato i propri clienti a firmare
contratti energetici decennali e si è espanso.
Il ruolo della tecnologia nel promuovere stili di vita a bassa impronta di carbonio è destinato ad
essere considerevole, l’investimento in ricerca e sviluppo è importante, ma per dare risposte al cc
dobbiamo collegare più strettamente scienza, università e imprenditori sociali.
I governi hanno ‘choice editing’, cioè un ruolo importante nel guidare le scelte dei singoli e nel
farlo dovrebbero ispirarsi alle grandi imprese che influenzano le nostre scelte in maniera diretta e
indiretta, es proporre impianti di riscaldamento e di condizionamento progettati affinché ognuno
sappia subito quanto sta spendendo in qualsiasi momento.
DEFINIRE LE PRIORITA’:
Teoria dell’agenda-setting spiega come e perché alcune questioni politiche occupano posizioni di
primo piano nei programmi di governo, mentre altre tendono a scivolare sullo sfondo o a
scomparire completamente. La lunghezza del periodo in cui un dato insieme di problemi riesce a
tenere l’attenzione del pubblico non solo per la sua importanza. Ci sono tre aspetti dell’agenda
politica:
1.agenda dell’opinione pubblica ciò che è avvertito dagli elettori come importante in un preciso
momento
2. Agenda di governo: questioni discusse in Parlamento e altri vari enti collegati
3. Agenda decisionale: insieme limitato di politiche attualmente in fase di promulgazione
Secondo John Kingdom l’agenda politica in un dato momento è il risultato dell’interazione fra
differenti flussi di interessi che egli chiama ‘problemi’, ‘scelte politiche’ e ‘politica’. Essi a volte
convergono e altre procedono in modo indipendente, ciò che effettivamente sarà fatto dipende
dai punti di connessione tra questi flussi. In particolare, il flusso di problemi giunge
all’attenzione dei governanti attraverso indicatori (criteri di misurazione che evidenziano la portata del
problema in questione), eventi focalizzatori (qualcosa che occupa le prime pagine dei giornali) e feedback
(risposte di gruppi particolari o della popolazione nel suo complesso a specifici programmi di azione ). I problemi
che non si accompagnano a potenziali azioni risolutive difficilmente entrano nell’agenda perché
vengono accettati come situazioni con le quali si deve semplicemente convivere. L’entusiasmo
del pubblico per una certa agenda politica raramente dura a lungo, anche se la questione continua
a essere manifestamente importante, perché l’entusiasmo si trasforma in delusione o indifferenza
se il problema si rivela essere non di facile soluzione. In tutto questo i media giocano un ruolo
importantissimo nel determinare gli spostamenti d’attenzione del pubblico.
Un accordo trasversale ai partiti ancorerebbe il cc come preoccupazione permanente all’interno
del flusso delle politiche.
Riprendendo gli studi di Kingdom, Sarah Pralle indica diversi modi in cui l’interesse del
pubblico può essere ‘ricaricato’: ad esempio utilizzando gli indicatori ed evidenziarli soprattutto
quando sono collegabili con eventi focalizzatori, non solo insistendo su minacce di distruzione e
morte, bensì ricollegandoli a esiti potenzialmente positivi, agli sforzi che gruppi e comunità
stanno compiendo per ridurre quelle minacce.
Gli imprenditori di policy, cioè tutti coloro che investono risorse proprie nella promozione di
determinate politiche, dovrebbero sempre connettere i problemi con i rimedi o le soluzioni
potenziali, le quali devono avere ‘salienza’, cioè devono fornire la motivazione ad agire.

UN CONCORDATO POLITICO :
Radicalismo di centro significa ottenere un ampio sostegno popolare per azioni radicali, cioè per
la coniugazione di innovazione e capacità di pensare sul lungo termine. Il cc e la sicurezza
energetica sono questioni così importanti che implicano la riforma dello stato: il cc è
generalmente materia di competenza del ministero dell’ambiente, spesso separato da quello che
si occupa di trasporti e di energia, di sanitò o di cooperazione internazionale e spesso poco
importante, mentre c’è bisogno che lo diventi.
La possibilità di giungere a un consenso trasversale tra i partiti è stata esplorata da una
commissione nel conteso britannico: alcuni credono che tale consenso sia indesiderabile perché
avrebbe l’effetto di soffocare il dibattito e l’esame critico cui tutte le proposte politiche e scelte
di governo dovrebbero essere sottoposte, e anche perché potrebbe condurre a una perdita di
attenzione pubblica e di consapevolezza del problema, oltre che perché potrebbe significare
optare per un minimo comune denominatore. Tuttavia, la maggioranza ha ammesso che un
consenso tra i partiti sia, invece, necessario oltre che desiderabile, sottolineando anche la
necessità di accordi complessivi sia sui mezzi che sui fini, l’accordo dovrà essere solido
soprattutto quando si dovranno prendere decisioni impopolari.
La commissione raccomandava la costituzione di un organismo indipendente con il compito di
monitorare i progressi ottenuti nel perseguimento degli obiettivi e la scelta del primo ministro in
carica come responsabile del consenso trasversale interpartitico (Climate Change Committee).
Paesi come Danimarca, Paesi Bassi e Giappone hanno successivamente avviato analoghi
programmi.
GIDDENS: al posto di consenso dovremmo parlare di ‘concordato’ perché dovrebbe esistere una
chiara formulazione dei principi pubblicamente sostenuti, dovrebbe contemplare sia i mezzi che i
fini e puntare sia sul breve che sul lungo periodo. Occorrerebbe istituire un organismo di
controllo più forte del Climate Change Committee che non sia solo consultivo, ma che abbia la
capacità di intervenire nel processo legislativo, le sue competenze dovrebbero essere ampliate e
la sua attività dovrebbe essere ben coordinata con quelle di tutte le altre agenzie responsabili per
l’energia e la pianificazione energetica. Sarà essenziale impedire che diventi troppo burocratico e
rigido nelle procedure, stabilendo mandati di durata breve. Dovrà essere sottoposto a regolari
controlli sia da parte del Parlamento, sia da parte dell’opinione pubblica. Infine, governo e la sua
burocrazia dovrebbero essere un esempio: non solo preoccuparsi di stabilire obiettivi, ma essere
in prima fila nel mostrare concretamente come raggiungerli.
STATO E SOCIETA’: IMPRESE E ONG
Secondo la classica visione liberale dei diritti e delle responsabilità individuali ogni individuo
dovrebbe essere libero di perseguire qualunque stile di vita egli scelga, nella misura in cui le sue
scelte non danneggino gli altri. Però lo stato liberale non ha mai esteso questo principio ai beni
ambientale e occorre che i diritti delle generazioni future vengano inseriti nelle normali
procedure democratiche.
Robyn Eckersley suggerisce che i diritti e le responsabilità ambientali dovrebbero comprendere i
seguenti punti: 1. Inclusione delle future generazioni e delle specie non umane come punti di
riferimento morali da parte dello stato, 2. Riconoscimento per legge del ‘diritto di sapere’ in
relazione alle sostanze inquinanti e tossiche che lo stato è tenuto a rispettare con periodicità
regola e quando richiesto da gruppi di cittadini o comunità, 3. Istituzione di fori pubblici in cui
si possa valutare l’impatto ambientale di una nuova tecnologia o di progetti di sviluppo urbano,
4. Riconoscimento giuridico dell’azione legale di terzi per consentire a Ong e cittadini interessati
di assicurare che le norme ambientali siano osservate, 5. Applicazione rigorosa del principio ‘chi
inquina paga’ con sanzioni per i responsabili di danni ambientali, 6. Impegno di cittadini,
imprese e gruppi della società civile a operare come agenti positivi del cambiamento ambientale
e non solo per impedire azioni distruttive.
L’industria è un attore di primaria importanza in campo ambientale: assorbe più di 1/3
dell’energia consumata nel mondo ed è coinvolta nella sua produzione. Dall’altro lato le Ong
stanno diventando sempre più forti e ricevono un alto grado di fiducia da parte dell’opinione
pubblica. Per lungo tempo le Ong hanno considerato le grandi imprese come i principali agenti di
un irresponsabile sperpero di risorse, in particolare le lobby dei combustibili fossili che
rappresentano l’industria pesante, i trasporti, le industrie del carbone e del petrolio, l’industria
chimica. Queste sono negli USA particolarmente ben organizzate e potenti e hanno avuto grande
influenza nell’atteggiamento dell’amministrazione Bush ostile verso l’intraprendere un’azione
concreta contro il riscaldamento globale (capo staff della Casa Bianca era John Sununu scettico
di primo piano del cc). Anche in Europa sono state esercitate forti pressioni lobbistiche contro
l’originaria proposta della Commissione europea di una carbon tax universale.
Dal loro lato anche le Ong sono gruppi lobbistici: non sono elettivi, né sono soggette alla
disciplina di mercato che invece grava sulle organizzazioni produttive. Il Climate Change
Network è un’organizzazione di 365 Ong di diversi paesi e regioni, con 20 milioni di associati,
adotta un approccio a tre vie: 1 fare pressioni sui vari paesi perché si diano obiettivi rigorosi, 2
greening track: percorso di decarbonizzazione che prevede aiuti ai paesi in via di sviluppo per
adottare tecnologie rinnovabili, 3. Adaptation track: assistenza ai paesi più vulnerabili perché si
preparino in previsione delle inevitabili conseguenze del cc. Inoltre le Ong giocano un ruolo nel
coordinamento dell’informazione scientifica e nella sua trasmissione a organi decisionali e
pubblico.
Dall’altro lato i capi delle imprese non sono fatti tutti della stessa pasta: ci sono imprese come
Wal-Mart che hanno abbracciato l’agenda del cambiamento climatico con un programma di
sensibile riduzione delle emissioni chiedendo ai suoi fornitori di fare altrettanto; Tesco si è
impegnata a fornire un’etichettatura del carbonio così che i consumatori sappiano qual è il
volume di fas serra generato dalla loro produzione e si è posta di dimezzare le proprie emissioni
entro il 2012; Nike ha ridotto la sua impronta di carbonio o impronta climatica del 75% in dieci
anni; la Coca-cola è entrata in società con il Wwf per abbracciare la causa della conservazione
dell’acqua, Unilever con Rainforest Alliance, Ikea con Ong brasiliane per regolamentare il
disboscamento della foresta pluviale amazzonica; Alcoa si sta impegnano per ridurre il suo
impatto ambientale dato che nella produzione di alluminio si usano grandi quantità di acqua, di
emissioni di gas serra e di score che andranno in discarica (bauxite viene estratta da miniere a
cielo aperto, nel processo di fusione si producono CO2 e PFC che sono tra i gas serra più
dannosi); anche la Banca Citigroup si è impegnata per ridurre le proprie emissioni e investire in
tecnologie energetiche alternative.
Quando si tratta di valutare le dichiarazioni ambientaliste delle imprese è importante tenere conto
di un problema noto come ‘greenwash’, ossia la fabbricazione di credenziali ambientaliste
artificiose o false (che è anche un modo per ingannare deliberatamente la gente).
In Green Inc di Chrisitne Mac Donald l’autrice critica le Ong che hanno stabilito rapporti con le
imprese perché si sarebbero lasciate corrompere, può essere vero ma è difficile immaginare come
si possano compiere progressi senza partnership attive ed efficaci tra questi gruppo: le Ong
hanno conoscenze e competenze in campo ambientale che di solito manca alle imprese, le
imprese possono fornire finanziamenti e sperimentare le nuove tecnologie.
Stati, imprese e Ong non sono i soli agenti coinvolti in politiche attive per contrastare il cc,
dobbiamo riconoscere l’importanza delle iniziative locali su scala cittadina, ma anche solo
singole personalità Es Per Castedt: concessionario della Ford che aveva trascorso anni in Brasile (produceva
etanolo come carburante per automobili) e aveva partecipato al summit di Rio del ’92, poi tornato in Svezia
cominciò a pensare a come introdurre l’etanolo, all’inizio senza risultati, fino a quando individuò presso la Ford di
Detroit un piccolo programma di veicoli flexifuel attraverso il quale riuscì a introdurre in Svezia 3 auto a etanolo,
poi ne importò altra ma né Ford né altri produttori gli diedero segni di interesse. Allora lui viaggiò per diversi anni
per il paese costruendosi un sostengo in un consorzio di enti locali, imprese e individui interessati al prodotto, riuscì
a convincere una stazione di servizio vicino a casa sua e una a Stoccolma a installare l’etanolo e in seguito visitò
altre stazioni di servizio cercando di persuadere i gestori e se necessario fornire loro finanziamenti. Oggi circa il
15% di veicoli in Svezia è alimentato con biocarburanti, il suo gruppo di ricerca sta cercando biocarburanti che non
siano in competizione con le risorse biocombustibili per produrre cibo con una raffineria già costruita per la produzione di
bioenergia e un’altra in programma.

CAPITOLO 6: TECNOLOGIE E IMPOSTE


Il pensatore politico americano Rifkin sostiene che i grandi cambiamenti nella storia del mondo
hanno avuto luogo quando sono emerse nuove fonti di energia in tandem con gli sviluppi nelle
comunicazioni: convergenza tra energia del carbone e stampa = rivoluzione industriale;
comunicazione elettrica + telegrafo e poi telefono + petrolio nei trasporti = seconda riv.
industriale a fine XIX secolo. Oggi siamo sulla soglia della ‘terza rivoluzione industriale’ che
avrà come sfondo lo sviluppo della comunicazione di rete, rappresentata dai pc e da Internet, che
convergono con l’energia rinnovabile. Per Rifkin la fonte di energia rinnovabile migliore è
l’idrogeno, ‘ il combustibile del futuro’, perché è l’elemento più diffuso dell’universo e non
emette alcun gas serra, il regime energetico ad idrogeno ‘sarà il più democratico della storia’
sostituendo quello odierno a struttura verticale in cui dominano petrolio e gas naturale.
ORIZZONTE di Rifkin: economia energetica globale in cui milioni di persone producono
energia rinnovabile e la condividono con altri attraverso reti energetiche nazionali e
internazionali, come accade oggi con l’informazione
LIMITI della previsione di Rifkin:
1. Riflette una visione in cui la storia è guidata dalla tecnologia
2. Datazione e natura della II riv industriale sono vaghe
3. Nessuno sa ancora che ruolo potrebbe giocare l’idrogeno
4. Le tecnologie non operano mai da sé, ma vengono incorporate in più ampie strutture politiche,
economiche e sociali che governano sia il modo in cui esse si sviluppano sia le loro conseguenze
GIDDENS: è possibile che la maggior parte delle famiglie in futuro contribuisca alla creazione
di energia invece di limitarsi a consumarla (come già avviene), ma ci sarà bisogno di una
gestione coordinata dell’energia a livello nazionale e internazionale. Stato e governo devono
svolgere un ruolo significativo nel rendere possibile l’innovazione
TECNOLOGIE: A CHE PUNTO SIAMO
Energia nucleare e idroelettrica sono per ora le tecnologie più note e collaudate nucleare molto
criticato e attualmente non è una fonte rinnovabile / idroelettrica è limitata perché dipende dai
corpi idrici presenti in un certo paese o regione
Altre tecnologie o fonti di energia: idrogeno, carbone purificato (cattura e sequestro del carbonio,
Ccs), energia eolica, energia delle maree, biocarburanti, energia solare, energia geotermica, reti
elettriche intelligenti, tecnologie di ingegneria climatica. Ciascuno di questi potrebbe sovrapporsi
ad altri o integrarsi con delle subtecnologie o con particolari beni durevoli (es macchine
elettriche ricaricabili)
Ognuna delle tecnologie elencate ha i suoi entusiasti sostenitori e i suoi detrattori/scettici.
Es. idrogeno per Rifkin VS gli scettici osservano che non piò essere estratto ma deve essere prodotto da altri
combustibili o dall’acqua con l’elettricità, è una fonte di energia complicata da gestire perché deve essere
immagazzinato ad altissime pressioni, ogni perdita può essere pericolosa .
Energia nucleare: il UK nel 2006 ha generato il 19% dell’elettricità del paese, ma poi man mano che i vecchi
impianti perdono capacità produttiva la quota diminuisce. Molti verdi restano contrari all’uso del nucleari, ma alcuni
hanno cambiato le loro posizioni originarie come Stewart Brand che ha dichiarato di essere diventato filonucleare
perché ‘rischi e problemi abbondando. Ma è il bilancio dei rischi che dobbiamo considerare, non esistono opzioni
prive di rischi’.
Vantaggi: un reattore non produce CO2, l’offerta di uranio è abbondante e non è concentrata in paesi politicamente
instabili. Problematicità: legame con costruzione di armi atomiche, terrorismo nucleare, smaltimeno delle scorie.
Marzo 2001 in seguito a un forte terremoto è avvenuta un’esplosione nella centrale nucleare Fukushima Dai-ichi, in
Giappone, nonostante gli sforzi prodigati di allagare i reattori con acqua e acido borico si è verificata una
significativa fuoriuscita di radiazioni Governo tedesco ha ribaltato la decisione di prolungare la vita degli impianti
nucleare nel paese e due delle più vecchie centrali sono state temporaneamente chiuse e sottoposte a controlli. La
Svizzera ha fatto passi indietro rispetto alle intenzioni di costruire nuovi impianti, idem il governo cinese. L’episodio
aumenta la probabilità che le comunità locali si oppongano alla localizzazione di nuovi impianti nel loro territorio, e
questo potrebbe significare rimanere ancorati al carbone.
Energia eolica, quella prodotta dalle onde marine o dalle maree, l’energia geotermica e
biocarburanti sono tutte tecniche ragionevolmente avanzate. Nessuna è esente da problemi:
impianti eolici producono energia in modo irregolare, c’è il timore che i parchi eolici possano interferire con i radar
usati nel controllo del traffico aereo; entusiasmo per i biocarburanti è calato quando è diventato chiaro che la loro
coltivazione poteva influire negativamente sulla produzione mondiale di cibo. Energia geotermica sembra
promettente: recentemente è stata introdotta una tecnologia che potrebbe superare il limite di questa energia, ossia
quello di trovarsi troppo al di sotto della crosta terrestre per essere accessibile. Consiste nella fratturazione di rocce
calde e nell’iniezione di acqua che si riscalda circolandovi all’interno.
Cattura e sequestro del carbonio (Ccs) e energia solare sono per ora gli sviluppi più promettenti.
CCS Vantaggi: carbone è distribuito in abbondanza, centrali alimentate a carbone sono già molto diffuse
Limiti: la CO2 estratta dal carbone per ‘pulirlo’ dovrà essere sepolta sotto terra in profondità a una pressione alta per
portarla allo stato liquido; costi del processi di estrazione e nello stoccaggio
Esperimenti in corso nel North Dakota (USA), Algeria, Germania, costa norvegese
Però alcuni ambientalisti rifiutano il Ccs visto che l’alto numero di incidenti mortali che si registrano nelle miniere
di estrazione, dove è facile che si diffondano patologie come l’asma e i problemi cardiovascolari, e anche perché
temono che il Ccs diventi solo il pretesto per costruire altre centrali elettriche a carbone
Nei paesi Ocse la quota di mix energetico rappresentata dal carbone è diminuita, però essa è stata
più che compensata dal forte incremento registrato altrove, specialmente in Cina (che oggi
consuma più carbone di USA, Europa e Giappone messi insieme).
Energia solare Vantaggi pratici: può essere strutturata su piccola e su grande scala, una volta installata presenta
alta affidabilità e bassi costi di mantenimento. Difficoltà: come immagazzinare l’elettricità in modo da creare
riserve.
Energia solare assume varie forme, ma la più avanzata è il fotovoltaico che converte la luce solare in energia
elettrica direttamente collegabile alla rete.
Ingegneria climatica: gran parte dei progetti sono ipotetici e con il rischio di effetti collaterali sconosciuti. E’
probabile che l’ingegneria climatica sia tecnicamente fattibile, ma le tecnologie richieste sono ‘a malapena
abbozzate’ e grandi incertezze circondano la loro potenziale efficacia. Esistono due categorie di ingegneria
climatica: 1. si propone di riflettere una parte delle radiazioni solari rispedendole nello spazio, 2. intende rimuovere i
gas serra dall’atmosfera.
1 comporta interventi come la collocazione di scudi o deflettori nello spazio per ridurre la q di energia solare che
raggiunge la Terra, 2 prevede la rimozione dei gas serra dall’atmosfera sia direttamente che usando sistemi a base
naturale (es fertilizzazione deli oceani con sostanze che permettano all’acqua di assorbire maggior CO2).
La Royal Society ha proposto che vengano avviati grandi programmi di ricerca su tutti i metodi considerati, sennò la
discussione sull’ingegneria climatica rischia di restare del tutto astratta.
Intanto, in assenza di soluzioni tecnologiche garantite, dovrebbe essere messo ai primi posti
dell’agenda politica un marcato incremento dell’efficienza energetica: es. costruzione di eco-
abitazioni e altri edifici rispettosi dell’ambiente.
Un’estremizzazione del concetto di ‘efficienza energetica’ è il concetto di ‘capitalismo naturale’
di Amory Lovins: nei sistemi produttivi chiusi ogni prodotto dovrebbe essere restituito
all’ecosistema come un nutriente o diventare un input per un altro manufatto, si dovrebbe
arrivare ad abbandonare la vecchia idea di produrre oggetti da vendere ai consumatori e passare
al noleggio e alla fine di un determinato periodo l’impresa produttrice li ricomprerebbe per
essere poi completamente riciclati.
IL RUOLO DEI GOVERNI:
Le sovvenzioni pubbliche sono necessarie per fornire una piattaforma di partenza perché
praticamente tutte le nuove tecnologie sono più costose dei combustibili fossili.
Christopher Freeman in uno studio distingue differenti livelli di innovazione, ognuno dei quali
dovrebbe essere trattato con una politica industriale differente.
-Innovazioni=miglioramenti graduali all’interno di un dato contesto tecnologico più accurata
progettazione e maggiore efficienza
-Innovazione=nuova invenzione che altera la natura del prodotto
-Innovazione = cambiamento in un sistema nel suo complesso derivante dall’introduzione di
innovazioni tecnologiche (es computer negli uffici)
-Innovazione= effetti in tutti i campi della vita sociale ed economica (es Internet)
La teoria economica dell’innovazione fornisce ai governi indicazioni su come rendere efficaci i
loro interventi: investimenti e sovvenzioni, brevettabilità (il governo deve cercare un equilibrio
appropriato: se i brevetti sono troppo blindati l’innovazione può essere scoraggiata), a livello
internazionale la salvaguardia della proprietà intellettuale.
Industria energetica: energia fornita attraverso reti nazionali è un bene pubblico, ma negli anni
’70-’80 i governi hanno privatizzato le reti. Questo ha comportato un intenso sfruttamento degli
impianti di produzione, accompagnato da un basso livello di investimenti in ricerca e sviluppo.
In seguito c’è stato un processo di deregolamentazione, di speculazione finanziaria (es Enrom
statunitense).
Come agire per risolvere? Da un lato c’è bisogno di un ritorno a provvedimenti dall’alto da parte
dello stato o di agenzie speciali da esso create, all’altro servono anche politiche che incoraggino i
consumatori a diventare parte attiva della catena di distribuzione. In particolare, il governo deve
procedere a una generale revisione delle sovvenzioni antiambientaliste; deve assicurarsi che
l’elettricità consumata da veicoli a bassa emissione di carbonio provenga anch’essa da fonti a
basse emissioni; deve dare sostegno a possibilità tecnologiche varie e diversificate così da non
rischiare che il denaro speso per finanziarie nuove idee finisca sprecato se l’idea risulterà
inefficiente, dall’altro lato la diversificazione e la dispersione degli incentivi potrebbe significare
che le sovvenzioni diventino troppo esigue per sortire gli effetti desiderati. Il governo, ancora,
deve garantire che il finanziamento statale non diventi l’equivalente della dipendenza
dall’assistenza pubblica, cioè coloro che ricevono un sussidio non devono finire per considerarlo
un diritto naturale.
Siccome le tecnologie hanno effetti di ricaduta (spillover): se le ricadute sono positive deve
esserci il supporto dello stato e una cornice normativa appropriata. Siccome qualsiasi svolta
tecnologica fondamentale sarà inevitabilmente avvertita in tutta la società, diventa necessario
pensare in modo olistico.
PROMUOVERE LA CREAZIONE DI POSTI DI LAVORO:
La creazione di posti di lavoro attraverso la diffusione di tecnologie rinnovabili suona come una
forma importante di convergenza economica.
E’ lecito aspettarsi che la transizione a un’economia a basse emissioni di carbonio crei nuovi
posti di lavoro, ma è probabile che questi provengano da evoluzioni dello stile di vita e del gusto
tanto quanto dai mutamenti nell’industria energetica in quanto tale.
UNEP ha pubblicato un’esauriente analisi di come creare posti di lavoro rispettosi dell’ambiente
in quattro modi principali: alcuni nuovi posti di lavoro saranno creati senza sostituirsi ad altri,
alcuni posti di lavoro persi con l’avanzare delle nuove tecnologie saranno sostituiti direttamente
(es da discariche a riciclaggio), altri posti di lavoro spariranno senza essere rimpiazzati, infine
altri posti di lavoro saranno trasformati e ridefiniti (es settore edilizio). In questo processo sarà
vitale il ruolo delle politiche pubbliche: dovranno cessare i finanziamenti a industrie dannose per
l’ambiente, carbon tax, regolazione diretta in molti campi (normative edilizie, leggi sull’efficienza
energetica, sul controllo dell’uso dei suoli e sull’ecoetichettatura ). In tutti i paesi un sensibile aumento dei
posti di lavoro rispettosi dell’ambiente inciderà profondamente sull’educazione e sulla
formazione professionale.
Prima della crisi finanziaria del 2008 Shellenberger e Nordhaus avevano proposto un ‘nuovo progetto Apollo’ volto
a liberare gli USA dalla dipendenza dal petrolio e nello stesso tempo a creare lavoro.
In The Green Economu, Van Jones propone investimenti guidati dallo Stato nell’energia a basse emissioni di
carbono e nell’efficienza energetica come mezzo per sensibilizzare anche i meno abbienti al tema del cc (visto che in
queste due aree non high tech sono richieste competenze medie).
Anche esponenti del think tank Center for American Progress hanno stipulato un programma che prevede
l’intervento del settore pubblico in sei aree principali: miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici,
espansione del trasporto pubblico delle persone e delle merci, creazione di reti elettriche intelligenti, costruzione di
parchi eolici, costruzione di installazione di energia solare, sviluppo di una nuova generazione di biocombustibili.
GIDDENS: favorevole a queste proposte, ma si dovrà prestare molta attenzione ai meccanismi di
attuazione: 1 occorrerà erogare programmi di formazione a tutti i livelli e su ampia scala, 2 investimento in
infrastrutture dovrà essere pianificato su un periodo più lungo di quello strettamente necessario per la ripresa
economica, 3 coerenza tra interventi di questo tipo e scelte politiche prese altrove (es verso l’industria
automobilistica), 4 profonda ristrutturazione degli stessi mercati finanziari e del settore bancario, 5 non ritornare allo
stato tradizionale e non rinunciare ai vantaggi che alcuni strumenti di mercato offrono (es i meccanismi assicurativi
mediante i quali si ripartisce il rischio), 6 lavorare affinché il cc continui a essere il fulcro della competitività
economica, integrarla in più vasti programmi politici ed evitare vuoti morali.

CARBON TAX:
L’imposizione fiscale è una delle principali leve della politica dello stato e sarà sempre più
importante nello sforzo per ridurre le emissioni.
Da un lato dobbiamo comprendere che le imposte esistenti, seppur non concepite a fini ambientali, possono
comunque servire in qualche modo a tali scopi (es imposte il cui gettito viene investito nel trasporto ferroviario ).
Dall’altro lato dobbiamo comprendere che le imposte possono avere effetti negativi anche se non intenzionali (es
carburante per aerei esenti da imposta applicate ad altre forme di trasporto).
Carbon tax con motivazioni dirette possono essere di due tipi:
1. Quelle il cui gettito è speso per fini ambientali
2. Quelle che hanno lo scopo di incanalare il comportamento in direzioni compatibili con gli
obiettivi del cc
Da un punto di vista economico il senso delle carbon tax è contribuire a eliminare le esternalità
ambientali, il principio è facile da formulare ma difficile da applicare. Il principio di fondo è
‘tassare ciò che è cattivo’ (fonti di emissioni), ma attraverso la tassazione si vuole anche
incoraggiare ‘ciò che è buono’ (investimento in tecnologie rinnovabili).
I pionieri della carbon tax sono stati i paesi nordici:
inizio anni ’90 Danimarca imposte sull’elettricità, sul consumo di energia, sui combustibili fossili e poi imposta
sulle emissioni di CO2 a carico delle famiglie.
1990 Finlandia prima imposta sul CO2 al mondo e riguardava l’industria, i trasporti e le famiglie.
Svezia, Norvegia e Islanda hanno poi seguito percorsi differenti.
Tuttavia il livello assoluto delle emissioni è aumentato per tutti gli anni ’90 in ognuno di questi paesi, eccetto la
Danimarca che ha destinato il gettito fiscale a fini ambientali.
Problema della carbon tax: ha impatti potenzialmente regressivi. Uno studio condotto in UK ha confermato che le
imposte ambientali hanno un impatto negativo significativo sulle famiglie più povere. Infatti, le famiglie più povere
spesso sono già inclini a sacrificare il consumo di energia persino a detrimento della propria salute (Es
riscaldamento) e queste pagano significativamente di più per unità di energia rispetto alle famiglie benestanti, di
conseguenza se fosse stata istituita una carbon tax uniforme sarebbe stata molto regressiva.
Alcuni pacchetti fiscali e provvedimenti di welfare possono mitigare questo effetto, ma verrebbero affondati
politicamente perché implicherebbero che una parte delle persone esposte alla precarietà energetica (fuel poverty)
vedrebbe un ulteriore decisio peggioramento della propria condizione.
Quale approccio potrebbe funzionare? Combinare incentivi e sanzioni: incentivare l’attuazione di
misure di efficienza energetica e punire chi non le rispetta, cioè un servizio nazionale di audit
energetico dovrebbe identificare misure di efficienza che ogni famiglia dovrebbe adottare per
evitare di dover pagare la sovraimposta sul cc. Il piano dovrebbe essere realizzato in un periodo
determinato (10 anni) cominciando dai più benestanti, gli altri a seguire. Ai meno abbienti
bisognerebbe permettere di ottenere mutui a basso costo, finanziati con la sovrimposta gravante
sulle famiglie che non hanno ottemperato nei tempi stabiliti ai miglioramenti prescritti. Per le
abitazioni in affitto l’obbligo graverebbe sul proprietario dell’immobile.
Il rapporto suggerisce che risultati analoghi possono essere ottenuti anche in altre aree come uso
domestico dell’acqua, trasporti e gestione dei rifiuti.
Lo studio è importante perché va nella direzione di una revisione del sistema fiscale alla luce del
problema delle emissioni di carbonio, quindi tiene conto di strumenti fiscali esistenti e cerca di
individuare le conseguenze involontarie di eventuali riforme.
RAZIONAMENTO DEL CARBONIO: a ogni membro della popolazione viene assegnata una
quota annua consentita di carbonio a uso energetico per il consumo domestico e i viaggi, la quota
è uguale per tutti gli adulti, mentre per i bambini è prevista una quota minore. Ogni anno la q
autorizzata sarebbe diminuita seguendo la traiettoria degli obiettivi nazionali di riduzione delle
emissioni. Gli individui che praticano uno stile di vita a basse emissioni potrebbero vendere i
diritti di emissione in eccedenza a chi consuma di più. Le quote sarebbero divise in unità di
carbonio, ognuno sarebbe dotato di una smart card contenente la propria quota annua da usare
ogni volta che paga le bollette.
Sostenitori: amano l’idea per la sua semplicità, il suo carattere universale e la sua natura radicale.
Permetterebbe di eliminare molti dei programmi pubblici più specifici.
Sono state proposte 3 diverse versioni basate su:
1 quote di energia scambiabili: proposta da David Fleming, comprende sia organizzazioni (tra cui Governo)
sia singoli individui. Piano ventennale: per i primi 5 anni le quote sono vincolanti, per gli altri 5 sono ‘ferme’, per gli
ultimi dieci sono ‘previsionali’. Il 40% delle quote totali è dai gratuitamente ai cittadini adulti, il restante 60% è
quotato presso intermediari autorizzati che le rivendono a organizzazioni operanti su un mercato secondario. Il
programma controlla petrolio, gas, elettricità e carbone.
2 quote domestiche scambiabili: presenato da ricercatori del Tyndall Centre si differenziano da 1 perché
comprende anche i voli aerei
3 crediti di carbonio personali: proposto da Hillmane Tina Fawcett prevede la distribuzione dei crediti di
carbonio personali che riguardano singoli individui, si applica al consumo energetico famigliare e ai viaggi
personali, prevede riduzioni annuali delle quote allocate con un lungo preavviso.
Oppositori: considerano questi progetti macchinosi, costosi, esposti a frodi diffuse e inclini a
favorire i benestanti, infattibili politicamente, inapplicabili.
Robert e Thumin si propongono di fornire una precisa analisi di pro e contro del razionamento
del carbonio: esso non necessariamente conduce a frodi su larga scala, ma deve essere legato a
carte d’identità biometriche a loro volta costose e controverse. Ricerche hanno dimostrato che la
maggioranza delle famiglie sa gestire il proprio budget, ma per minoranza che non è in grado di
farlo non è chiaro che cosa accadrebbe (multe o addirittura pene detentive?). Non per forza un
sistema del genere favorisce i benestanti che, anzi, consumando più emissioni dei poveri
dovrebbero da questi ultimi acquistare quote di emissioni, però è probabile che i ricchi trovino il
modo di sfruttare anche questo sistema. E’ impossibile dire se la gente sia pronta o meno ad
accettare un sistema del genere perché non è stata condotta alcuna ricerca.
GIDDENS: la sua impressione è che il razionamento del carbonio sia irrealistico e inattuabile.
IL RITORNO DELL’UTOPIA :
Porto di Malmo in Svezia: nuova area di sviluppo edilizio edifici con massicci pannelli di vetro
accanto a modeste strutture in legno, parchi e vialetti pedonali, parcheggio 0.7 auto per
appartamento, area connessa al resto della città da una fitta rete di trasporto pubblico, elettricità
fornita da turbine eoliche, pannelli solari e teleriscaldamento. Tende solari fotovoltaiche non solo
per energia ma per limitare la necessità di condizionatori in estate. Abitazioni che risparmiano
energia non sono più costose delle tradizionali. Accanto a ogni casa ci sono unità per la raccolta
differenziata abbinate a sistemi di caduta dei rifiuti in condotti pneumatici sotterranei che
provvedono al ricilcaggio.
Oggi è giunto il momento di confrontarsi con i problemi del sovrasviluppo, con l’altra faccia
della ricchezza. Ad esempio: automobile e altri veicoli a motore sono responsabili del 14% delle
emissioni mondiali di CO2 (senza contare le emissioni per la loro fabbricazione). Il fascino
dell’automobile è sempre stato legato alla libertà, mobilità e velocità che offre, ma la
proliferazione dei veicoli a motore nega queste stesse qualità: ingorghi, traffico… Una parte
logica delle eco-towns è spezzare la dipendenza dall’automobile e incoraggiare le persone ad
attribuire un valore positivo al camminare o all’andare in bicicletta.
Uno storico dell’economia, Jean Gimpel, ha mostrato che il progresso tecnologico talvolta si
ottiene attraverso capovolgimenti Kunstler ha affermato che la vita cittadina sarà caratterizzata
da un ‘ritorno a scale di operatività più piccole’ GIDDENS più auspicabile è che questa tendenza
interagisca con il suo opposto, ossia un’ulteriore espansione della mobilità, ma solo laddove il
trasporto cambi la sua natura: macchine senza pilota (conducente robot), trasporto digitale, la
distinzione tra trasporto pubblico e privato potrebbe venire meno (già in USA ci sono i car club
che consenton ai loro membri di avere un accesso privilegiato ai veicoli pur senza esserne i
proprietari).

CAPITOLO 7: LA POLITICA DI ADATTAMENTO


Adattamento implica una reazione alle conseguenze del cc una volta che questo sia già avvenuto,
però anche l’adattamento deve essere anticipato e preventivo.
Esiste un Fondo per l’adattamento, istituito dalle Nazioni Unite, e all’inizio largamente criticato,
poi rimpolpato in previsione di dare ai paesi in via di sviluppo la possibilità di accedervi.
- distinzione tra adattamento dopo l’evento (adattamento reattivo) e adattamento orientato ai
possibili scenari futuri (adattamento proattivo) L’adattamento proattivo riguarda la capacità di
diagnosticare e di correggere le vulnerabilità date da un rischio, la vulnerabilità è un fenomeno
economico e sociale che non riguarda solo l’ambiente fisico. L’opposto della vulnerabilità è la
resilienza: capacità adattativa, non solo di far fronte a cambiamenti o shock esterni, ma anche di
rispondervi attivamente e positivamente (es. ambiente fisico consolidamento di vecchi argini,
costruzione di nuove barriere).
L’adattamento sembra una versione del principio di precauzione perché è preventivo, ma in
realtà nel decidere che strategia adottare occorre confrontare rischi e opportunità, quindi
applicare il principio percentuale.
ANALOGIE CON LA MITIGAZIONE:
- importante per le politiche che ci sia convergenza politica ed economica
- importante che lo stato svolga un ruolo guida nell’elaborazione e implementazione delle
politiche, stimoli la creatività della società civile, delle imprese e dell’innovazione
- coinvolgimento dei cittadini mediante una distribuzione dei diritti e delle responsabilità
PROBLEMA: il finanziamento dei progetti di adattamento entrerà in competizione con
l’investimento richiesto per la mitigazione
PREMESSE:
- tracciare una mappa dettagliata delle vulnerabilità locali e nazionali
- pianificazione intesa non solo come ricerca delle vulnerabilità e dei rimedi, ma anche dome
indagine sugli effetti domino, le probabili conseguenze a catena delle strategie di mitigazione
L’ADATTAMENTO NEL CONTESTO EUROPEO:
In Europa nel XX la temperatura media è aumentata dell’1%, un’atmosfera più calda contiene
una percentuale più alta di umidità e comporta un aumento delle piogge, ma i nuovi schemi delle
precipitazioni varieranno di frequenta e intensità: Nord Europa son aumentate, nel Sud diventa
comune la siccità. L’aumento delle temperature ha effetti soprattutto ad alta quota (Alpi):
scioglimento delle nevi, modifica del corso dei fiumi. Le coste saranno colpite da temporali più
frequenti, le pianure alluvionali densamente popolate rischio di bombe d’acqua e inondazioni…
questi cambiamenti colpiranno imprese di ogni dimensione e natura: settore dell’agricoltura e
delle foreste, della pesca e del turismo, ma anche centrali termoelettriche, nucleari e
idroelettriche.
Possibili provvedimenti di adattamento poco costosi: migliorare conservazione dell’acqua,
apportare modifiche alla rotazione delle colture, spostare le date della semina, introdurre varietà
in grado di sopravvivere a siccità
Strategie più costose: introdurre nuovi sistemi di allarme a livello paneuropeo
La chiave della resilienza è la flessibilità, ancor di più mitigazione e adattamento dovrebbero
essere combinati tra loro.
Il principio di sussidiarietà fatto dall’UE dovrebbe entrare pienamente in gioco: principio per cui
le decisioni dovrebbero essere prese e applicate al più basso dei livelli capaci di occuparsene,
cioè nelle comunità locali perché è il livello più vicino ai cittadini, es. Spagna meridionale: coltivatori
consociati con le municipalità locali per iniziative volte a risparmiare acqua . Contemporaneamente il
coordinamento dovrà avvenire a livello europeo, e l’UE dovrà occuparsi dell’Europa allargata:
fino alla costa nordafricana bagnata dal Mediterraneo e la regione del Caucaso.
Programmi della Commissione europea:
-2008 pacchetto di misure per limitare impatto del riscaldamento globale sulla saluta degli esseri umani e
animali, considerando diversi effetti del cc sulla mortalità e sulla morbilità. La direttiva comprende
misure per la previsione e la gestione delle inondazioni che si applicano a tutti gli stati membri
- piani riguardanti la salvaguardia e il ripristino della biodiversità
-Forest focus : monitoraggio del patrimonio boschivo e del suolo in tutta l’UE
- piano d’azione per il consumo e la produzione sostenibili
-programma di gestione integrata del litorale
-programma di riduzione del rischio di disastri
-Fondo sociale europeo che contribuisce agli sforzi volti ad accrescere la consapevolezza sulle tematiche
dell’adattamento
-l’UE finanzia anche politiche e programmi di adattamento in diversi paesi in via di sviluppo e ha già costituito una
partnership con molti di loro

INONDAZIONI NEL REGNO UNITO :


Le inondazioni in UK comportano una pluralità di pericoli. La più violenta tempesta europea avvenuta
finora ha colpito le Shetland all’inizio degli anni ’90, pari a un uragano di categoria cinque, è durata 3
settimane.
Le dighe sono fonte di preoccupazione perché la loro tenuta può essere intaccata dall’incremento
dell’intensità delle precipitazioni. Studi che sono stati condotti hanno dimostrato che vi è un’altissima
probabilità che le inondazioni siano state influenzate dal cc.
Dal 1961 il settore assicurativo del UK si è accordato con il governo affinché a tutte le abitazioni fosse
fornita una copertura a costo contenuto, indipendentemente dal rischio, il risultato è stato un moral hazard
su vasta scala: i governi si sono sentiti autorizzati a costruire in aree a rischio di inondazione (Thames
Gateway) senza badare all’assicurabilità. Nel 2002 le compagnie di assicurazione hanno disdetto
l’accordo e al loro posto gli assicuratori privati hanno accettato di fornire una copertura ai proprietari di
immobili e alle imprese qualora la probabilità di un’inondazione non superi l’1%, al di sopra di tale
livello lo stato deve accollarsi i costi. E il governo deve anche impegnarsi in una serie di misure
preventive: nuovi investimenti per contrastare le inondazioni, restrizioni a nuove edificazioni in aree non
protette, miglioramento dei programmi che forniscono informazioni pubbliche sui pericoli locali di
inondazioni. I futuri edifici che beneficeranno della copertura assicurativa non dovranno essere in aree
esposte a condizioni meteorologiche estreme e all’innalzamento del livello del mare (oppure devono
essere stipulati contratti che incorporino i costi di assicurazione), dovranno essere installati pannelli solari
sui tetti e sulle facciate, i tetti dovranno offrire una superficie che dia un buon segnale riflessivo per i
satelliti radar che monitorano così la stabilità degli edifici, dovrà esserci un alto livello di isolamento delle
pareti e dei tetti, dovranno essere installate apparecchiature elettriche a basso consumo, gli edifici
dovranno essere costruiti con materiali robusti a prova di inondazioni e temporali. Primi anni 2000
l’aumento del numero e dell’intensità delle inondazioni delle aree litoranee ha portato all’introduzione di
una nuova disciplina delle politiche per la gestione delle coste in base alla quale la protezione costiera
doveva essere guidata dal bilanciamento tra rischi e costi. Implicazione: non tutti i luoghi possono o
devono essere protetti (coste basse e scarsamente popolate no) prezzi delle case lì sono precipitati
protesta locale autorità territoriali hanno istituito fondi per proteggere tratti della fascia costiera anche
dove la politica nazionale aveva optato per il non intervento. L’intero sistema dell’amministrazione è in
piena trasformazione, si continua a costruire anche in aree potenzialmente pericolose, alcuni proprietari
stanno provvedendo da sé alla loro protezione, ma situazioni in cui né lo stato né le assicurazione private
forniscono copertura, come in alcune aree costiere, sono intrinsecamente instabili.

ASSICURAZIONI, URAGANI E TIFONI:


Le innovazioni in campo assicurativo stanno diventando sempre più importanti per
l’adattamento, dovranno interessare sia lo stato che il settore privato.
Le più difficili forme di adattamento da gestire riguardano le trasformazioni meteorologiche con
manifestazioni catastrofiche. In uno studio sono state analizzate circa 16 000 catastrofi naturali
avvenute tra il 1980 e il 2005 e sono state raggruppate in sei categorie a seconda delle perdite
assicurative provocate:
1. Perdite limitare (fino a10 milioni di dollari)
2. Perdite di medie dimensioni (10-60 mln)
3. Perdite di dimensioni medio-grandi (60-200 mln)
4. Gravi perdite (200-500 mln)
5. Perdite devastanti (500 mln -1 miliardo)
6. Perdite estreme (>1 mld)
Nel periodo analizzato si è registrato un forte aumento delle 3 categorie maggiori. Il record delle
richieste di risarcimento finora è stato registrato nel 2005, anni di Katrina, Wilma e Rita.
Nei paesi più ricchi il settore assicurativo è più sviluppato e quindi le passività sono maggiori,
ma in termini di tassi di mortalità il più alto livello di perdite umane dovute alle catastrofi si ha in
Asia.
Inoltre le perdite reali possono essere molto maggiori delle perdite assicurate (Katrina: assicurate
49 mld, reali 144 mld).
Nel 2010 in tutto il mondo si è verificata una serie di disastri indotti da fenomeni meteorologici
ma non c’è modo di sapere in che misura ciascuno fosse influenzato dal cc (inondazioni in
Pakistan e del Queensland in Australia, siccità in Russia, inondazioni in Cina, siccità in Brasile..)

E’ cruciale che il settore assicurativo inauguri nuovi modi di affrontare l’aggravamento nella
dimensione e nella frequenza dei rischi catastrofici perché altrimenti l’onere per il governo
diventerà insostenibile. I requisiti di capitale sono alti perché in un anno di pesanti perdite i
pagamenti devono aver luogo tutti in quel periodo, quindi l’assicuratore deve costantemente
avere disponibilità di capitale liquido, è necessario che si affermi un nuovo modo di pensare.
Fino a tempi recenti l’assicurazione contro le catastrofi era basata su modelli tradizionali di
gestione del rischio che dipendevano dai calcoli sugli eventi catastrofici precedenti, ma dopo
Andrew e Katrina che han causato danni più grandi di quanto in precedenza fosse concepibile si
sono dovuti elaborare modelli sofisticati con l’obiettivo di ridurre le aree di incertezza.
Nel mercato dei capitali per ripartire il rischio sono stati creati i catastrophe bonds: strumenti
finanziari complessi che mirano a neutralizzare il rischio per l’assicuratore originario, ma
contengono anche meccanismi di salvaguardia per coloro che li acquistano
2007 Allianz in USA e Canada per terremoti e in UK per inondazioni,
Munich Re e Swiss Re: cat bond per proteggere popolazioni povere del Bangladesh e altri paesi
in via di sviluppo, lavorando congiuntamente con fondazioni e Ong
Rockefeller Foundation : // in Asia e Africa subsahariana
Bill and Melinda Gates Foundation ha dato 34 milioni di dollari all’organizzazione
internazionale del lavoro delle NU per il perseguimento di un’iniziativa analoga.
Lo stato dovrebbe puntare sulla creazione delle condizioni finanziarie e fiscali in cui la copertura
da disastri e catastrofi possa essere allargata sotto l’egida del settore assicurativo, non per questo
perderà il suo ruolo di assicuratore di ultima istanza.

ADATTAMENTO: IL MONDO IN VIA DI SVILUPPO


Haiti è stata deforestata al 98% perché la popolazione povera sull’isola usa il legname per
produrre carbonella, quindi nel 2004 la pioggia è scesa senza incontrare ostacoli e causando 1500
morti, molti sopravvissuti senza casa, raccolti di riso e frutta azzerati e diffusione di epidemie.
La Repubblica Dominicana (che divide la stessa isola a metà con Haiti) non è altrettanto povera e
la sua foresta pluviale è rimasta in gran parte intatta, qui solo 25 morti.
Gennaio 2010 un violento terremoto ha colpito Haiti causando circa 200 000 vittime.
J. Timmons Roberts e Bradley Parks hanno conodtto una ricerca su un gran numero di catastrofi
meteorologiche (cicloni, tifoni, tempeste invernali, grandinate, tempeste di sabbia, temporali, ondate di freddo,
uragani, onde di marea, tornado, tempeste tropicali) nei paesi poveri nel periodo tra 1980 e 1992 e si sono
chiesti “perché alcuni paesi sembrano più resilienti degli altri?” è emersa una correlazione
generale tra il livello di reddito di un paese e la sua capacità di reggere a shock da eventi
meteorologici. Il confronto ha mostrato chiaramente che la vulnerabilità è strettamente correlata
alla debolezza economica e politica. Non è la povertà in sé che accresce la vulnerabilità,
piuttosto parte della responsabilità è da attribuire all’esistenza di governi corrotti e inefficienti,
dipendenza a prodotti tropicali di scarso valore, di sempre più estese baraccopoli e precari
sistemi di comunicazione e di trasporto. 1984 siccità in Africa orientale, particolarmente colpiti Etiopia,
Sudan e Ciad = 500 000 morti, molti di più dovettero patire fame e perdere la casa .
Gli aiuti e l’assistenza finanziaria forniti dai paesi ricchi a quelli poveri devono focalizzarsi
sull’adattamento molto più di quanto è avvenuto finora: valutazioni corrette e dettagliate della
vulnerabilità devono essere la prima linea di difesa nell’adattamento, poiché è impossibile
intraprendere un’azione pratica se la dimensione e la localizzazione dei rischi non sono note.
Grande attenzione dovrebbe essere riservata alla diffusione delle assicurazioni nei paesi più
vulnerabili: negli stati poveri l’assicurazione è meno presente che in quelli ricchi, ma la sua
importanza potenziale è enorme.
Recentemente sono stati introdotti due metodi per fornire assistenza agli agricoltori : 1. Uso di
satelliti e modelli computerizzati per fornire previsioni sulle precipitazioni stagionali, 2. Uso di
nuovi meccanismi di copertura assicurativa è possibile integrare i due metodi, es per i piccoli
coltivatori diretti proprietari del Malawi: chi adatta le colture alle previsioni sulle precipitazioni
potrà accedere a una copertura assicurativa.
In genere anche nelle peggiori condizioni di deprivazione i meno abbienti non sono del tutto
privi di risorse: possiedono beni di investimento e capacità che possono contribuire alla
resilienza e sul loro consolidamento dovrebbero concentrarsi il più possibile le politiche di
adattamento.
Il Bangladesh è uno dei paesi più esposti agli effetti del cc a causa della sua posizione
geografica: si estende a bassissima quota sul livello del mare e sarà uno dei primi a subire le
conseguenze dell’innalzamento degli oceani. Il paese ha istituito un programma di azione
nazionale per l’adattamento e anche nelle aree più povere gli abitanti costruiscono dighe e argini,
cambiano le pratiche agricole e condividono le proprie conoscenze con altri paesi poveri in Asia
e Africa. I giardini galleggianti sono stati introdotti per la prima volta qui, e oggi l’idea viene
copiata in tutto il mondo: un orto galleggiante usa le piante acquatiche come base su cui
innestare coltivazioni, può essere introdotto dove non esiste altra disponibilità di terra per
espandere le capacità produttive, sono realizzabili a basso costo e possono diventare permanenti.

CAPITOLO 8: NEGOZIATI INTERNAZIONALI, UNIONE EUROPEA E


MERCATI DEL CARBONIO
1990 prima valutazione dell’Ipcc sulla situazione globale il relazione al cc 1992 Summit della
Terra d di Rio, 266 paesi firmarono la convenzione quadro delle NU sul cc, ma USA e altri si
opposero agli obiettivi di riduzione delle emissioni, così questi non vennero raggiunti. Fu
concordata la formula ‘responsabilità comuni ma differenziate’: tutti si sarebbero assunti le
proprie responsabilità, ma i paesi sviluppati avevano l’obbligo di agire per primi.
1995 incontri in cui si concordò che i paesi industrializzati avrebbero stabilito i propri obiettivi di
riduzione delle emissioni e anche USA accettarono (dopo qualche esitazione)
1997 Kyoto, Giappone, fu stilato un accordo in base al quale i paesi sviluppati concordavano di
ridurre le proprie emissioni del 5,2% rispetto al 1990 entro 2008-12. Il protocollo poteva entrare
in vigore anche senza l’unanimità, ma doveva essere firmato da un numero di stati sviluppati
sufficiente a raggiungere almeno il 55% delle emissioni dei paesi industrializzato
- la Russia (17%) si oppose e poi accettò nel 2004 perché aveva bisono del sostegno dell’Ue
(guida nelle negoziazioni sul cc) per la sua richiesta di ammissione al WTO.
- gli USA (George Bush) temevano che l’accordo potesse diminuire la propria competitività, a
vantaggio della Cina dato che ai paesi in via di sviluppo non era richiesto alcun taglio USA e
Australia non sottoscrissero gli accordi di Kyoto
RISULTATI troppo lontani dal necessario, accordi erano troppo contenuti e racchiudevano ogni
genere di anomalie:
- Russia legittimata a sperperare energia in casa propria senza curarsi dei danni ambientali
- Australia condusse la trattativa giungendo a un accordo che le consentiva di aumentare le
emissioni anziché ridurle
Poiché sono entrati in vigore solo nel 2005, la maggior parte dei paesi è stata lenta a raggiungere
gli obiettivi. Il protocollo di Kyoto ha introdotto il meccanismo di sviluppo pulito (CDM) che
consente ai paesi industrializzati di ottenere crediti validi ai fini del raggiungimento degli
obiettivi di Kyoto finanziando progetti di energia pulita in paesi in via di sviluppo la riduzione
delle emissioni è stata ottenuta, ma in modo tortuoso e altamente inefficiente mentre gran parte
del denaro è stato risucchiata da pratiche corruttive.
ALTRI NEGOZIATI :
Ciclo di negoziati svolto a Bali nel 2007 con la partecipazione di 12 000 delegati. La roadmap di
Bali era concepita cone un nuovo processo di negoziati per sostituire Kyoto, ma il piano fu solo
un abbozzo, e questa sarebbe dovuta servire da quadro di riferimento alla Conferenza di
Copenaghen indetta nel dicembre 2009. Però prima di arrivare a Copenaghen qualcosa cambiò:
- In USA eletto presidente Obama ha riportato il cc tra le sue competenze
- Australia e Giappone si sono impegnati a diminuire le proprie emissioni
-Novembre 2009 presidente cinese, Hu Jintao, aveva impegnato il suo paese a raggiungere
l’obiettivo di ridurre la sua intensità energetica (rapporto tra consumo di energia e PIL) del
40.45% entro il 2020
-Subito dopo il governo indiano ha introdotto un traguardo di riduzione dell’intensità di carbonio
del 20-25% sempre entro il 2020
-USA e Cina firmarono memorandum di intesa volto a promuovere la cooperazione sulle
politiche energetiche e sul cc
-Leader europei incontrarono i leader cinesi e indiani proclamando l’importanza di raggiungere
risultato concreti a Copenaghen
COPENAGHEN: non sono stati raggiunti accordi di riduzione di emissione del carbonio, lavori
caotici e frammentari, Obama arrivato solo l’ultimo giorno, contrasti tra paesi sviluppati e in via
di sviluppo, conflitti esasperati dagli errori strategici commessi dal paese ospite e dai disaccordi
politici all’interno del governo danese Risultato: strategia a doppio binario, cioè i paesi in via di
sviluppo si sono sentiti offesi dalla divulgazione di una bozza segreta sul The Guardian, la
Danimarca è stata sospettata di difendere solo gli interessi dei paesi sviluppati, l’intero processo
si è dissolto nel disordine.
Dopo l’arrivo di Obama un gruppo di 26 capi di stato iniziò a redigere una nuova bozza del
documento conclusivo e alla fine USA, Cina, Brasile, India e Sudafrica giunsero a un accordo tra
loro noto come ‘Accordo di Copenaghen’ che poneva l’accento sulla necessità di tagli pesanti
delle emissioni per mantenere l’aumento delle temperature medie globali entro i 2°, sottolineava
l’esigenza di invertire il trend della deforestazione e i paesi industrializzati accettavano
l’obiettivo di raccogliere 1000 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per sostenere i paesi in
via di sviluppo nella riduzione delle emissioni di carbonio fu uno shock per i paesi membri
dell’UE che si considerava all’avanguardia nelle politiche sul cc e, invece, neanche un paese
membro figurava tra i cinque che avevano concordato le linee generali dell’accordo; in
compenso coinvolgeva le grandi economie emergenti dando loro un ruolo assolutamente
centrale.
Marzo 2010 avevano firmato l’accordo più di 100 paesi che totalizzavano oltre l’80% delle
emissioni di gas serra del mondo.
Successivo round di incontri Onu sul clima è stato tenuto a Cancùn, in Messico, nel dicembre
2010: c’è chi si è dimostrato molto fiero dei risultati ottenuti ( Oxfam, Hune segretario britannico
per l’Energia e il cc) e c’è chi si è dimostrato deluso (Anderson del Tyndall Centre for Climate
Change Reasearch), a cui Giddens dà ragione: c’è un forte divario tra il passo di lumaca dei
negoziati internazionali e la natura implacabile del cc, inoltre i negoziati fino ad ora han posto
l’attenzione sul ‘che cosa’ delle riduzioni di emissioni e non sul ‘come’, quindi su quali strumenti
potrebbero farle ridurre.
IL RUOLO DELL’UNIONE EUROPEA :
1998 Summit di Cardiff e Vienna l’UE è stata la prima a elaborare una strategia integrata per
affrontare il problema del cc. Fin dall’inizio l’UE ha riconosciuto tra i suoi obblighi quello di
favorire gli sforzi dei paesi più poveri e non concentrarsi solo sui suoi paesi membri.
Gennaio 2007 Commissione europea propone una strategia contro il riscaldamento globale:
tagliare le emissioni del 20% entro il 2020, quando l’energia rinnovabile avrebbe dovuto
costituire il 20% del mix energetico e un uso vincolante di biocombustibili nel trasporto
motorizzato almeno del 10% ; nei successivi dieci anni i paesi in via di sviluppo avrebbero
dovuto fare ogni sforzo per abbassare le loro emissioni. Sistema per lo scambio di quote
concepito come strumento cruciale per consentire ai paesi Ue di mantenere i loro impegni.
Inizio 2008 la Commissione ha emesso una nuova direttiva che riconosceva che sull’energia
rinnovabile i paesi membri partivano da posizioni diverse, si teneva conto delle differenze di PIL
e del suo tasso di crescita stati con basso PIL e grande esigenza di crescita economica avrebbero
potuto aumentare le proprie emissioni di gas serra. Invece, l’obiettivo dell’uso del 10% di
biocombustibili restava costante in tutta l’UE.
Alcuni grandi paesi come FR e GER hanno espresso preoccupazione per gli obiettivi di riduzione
e anche esponenti del mondo delle imprese di diversi paesi si sono dichiarati critici perché
sostenevano che i più alti costi dell’energia avrebbero reso le imprese europee meno competitive
e le avrebbero costrette a delocalizzare.
Ottobre 2008, mentre la crisi dei mercati finanziari cominciava a farsi sentire, un gruppo di stati
membri ribelli (IT con Berlusconi, Polonia con Tusk, Bulgaria, Ungheria, Lettonia, Lituania,
Romania e Slovacchia) fece pressioni per ottenere un rinvio della data in cui i programmi ue
sulle riduzioni delle emissioni sarebbero diventati vincolanti
Intanto la Francia assunse la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea con Sarkozy e il
piano della Commissione venne approvato legando le speranze di raggiungere gli obiettivi
stabiliti al successo dei sistemi di scambio delle emissioni. Inoltre, a causa della recessione, la
produzione di carbonio è diminuita sensibilmente e l’obiettivo di diminuire del 20% entro il 2020
sembra molto più raggiungibile.
I MERCATI DEL CARBONIO :
La creazione di mercati volti a limitare l’inquinamento ha le sue origini negli USA, dove tali mercati sono
stati usati con un certo successo per controllare le emissioni di biossido di zolfo (causa delle ‘piogge
acide’): la proposta originale di Robert Stavins consisteva in un’asta in cui vendere crediti di emissione
alle imprese emettitrici, ma fu bloccata dal Congresso perché avrebbe comportato per le imprese
coinvolte il pagamento di ingenti somme che sarebbero andare al governo federale Di fatto i permessi
furono emessi a titolo gratuito, virtualmente a tutte le società, con un massimo di 8,9 milioni di tonnellate
di emissioni annuali: il sistema ha riscosso un discreto successo e Clinton commissionò la costruzione di
un modello economico dettagliato per studiare le possibilità di estendere il sistema al carbonio.
A Kyoto si abbozzò l’idea di un mercato internazionale del carbonio.
L’ETS (sistema europeo di scambio delle quote di emissione) entrò in vigore nel 2005: i paesi membri
avevano il diritto di istituire dei propri piani di allocazione nazionali e si ebbe un’allocazione di permessi
ultragenerosa con conseguenze non univoche molto denaro è passato di mano nell’Ets, ma per ora il
sistema è stato inefficace rispetto agli scopi che si era preposto perché si era creata una forte eccedenza di
permessi a causa dello scarso rigore dei piani di allocazione nazionali e in più alcune imprese produttrici
di energia hanno realizzato extraprofitti trasferendo sui consumatori il prezzo dei crediti di carbonio (Che
erano stati assegnati loro gratuitamente).
Effetti positivi dell’Ets: probabile riduzione del 7% delle emissioni, il CDM è ancora attivo, ha
incoraggiato la formazione di mercati del carbonio in altre parti del mondo
2008 la Commissione europea ha proposto una versione più rigorosa dell’Ets volti a superare i limiti della
fase 1 chiamata fino ad allora ‘fase di apprendimento’. Modifiche: l’assegnazione dei permessi gestita
centralmente e non lasciata ai paesi membri, piani di allocazione nazionali da esaminare in modo più
accurato, >60% dei permessi dovrà essere messo all’asta e dovranno essere inclusi altri gas serra. Dal
2012 l’Ets è stato esteso alle compagnie aeree

In USA ci sono diversi progetti per istituire mercati del carbonio, il più avanzato è quello della California:
legge Ab32 alla fine del 2006 con cui lo stato si è impegnato a ottenere una riduzione del 25% dei gas
serra entro il 2020 e l’80% entro il 2050. La legge ha ricevuto l’opposizione da sindacati e Ong
ambientaliste per il ruolo predominante assegnato al mercato del carbonio, oltre che dai comuni sospettosi
e ostili nei confronti delle politiche di cc.
Per qualche tempo in USA ha funzionato il Chicago CLimate Exchange: borsa di emissioni sorta su base
volontaria, basato sui permessi anziché su un progetto, cioè aveva una capitalizzazione prestabilita. Nel
2010 ha cessato la sua attività perché le imprese non si sono più impegnate per un nuovo ciclo.

Mercati del carbonio di vario tipo sono stati istituiti anche in altri paesi, e sono certamente desinati a
durare, benché al momento resti aperta la questione di come funzionerà l’ETS

CAPITOLO 9 : GEOPOLITICA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO


Potrebbe sembrare che affrontare il cc debba contribuire alla collaborazione internazionale, ma i
processi e gli interessi fonti di divisione sono forti: es fusione dei ghiacci dell’Artico finché era
solo un’area per le ricerche scientifiche c’era un alto livello di cooperazione, da quando si è
aperta la possibilità di nuove importanti di riserve di petrolio sono nati contrasti di interessi e
frizioni internazionali. L’area è stata considerata per molto tempo ‘territorio internazionale’, ma
ora i paesi confinanti come USA, Russia, Norvegia, Finlandia, Canada e Danimarca ne
rivendicano alcune aree:
-2007 alcuni membri della duma (parlamento russo) si sono imbarcati su un sottomarino per piantare la bandiera
russa a 4000 metri di profondità sotto il Polo Nord
-USA han risposto che l’evidenza scientifica più accreditata suggerisce che le dorsali in questione sono di natura
oceanica e non fanno parte della piattaforma continentale di alcuni stato
-Danimarca nel 2009 ha reso noto un documento della Difesa che proponeva la creazione di un contingente militare
artico con elicotteri da nave in grado di paracadutare truppe ovunque
Russia ha annunciato che creerà un’unità di forze speciali artiche e ha varato un nuovo programma di costruzione
rompighiaccio
-2010 Norvegia ha acquistato 48 caccia adatti al pattugliamento della regione artica e hanno effettuato simulazioni
militari nel Mare Glaciale Artico Russia ha presentato una protesta formale
- Anche Svezia e Canada hanno rafforzato la loro presenza nell’Artico
- Finlandia e Svezia (entrambe fuori dalla Nato) hanno accarezzato l’idea di formare un’alleanza militare
dell’Europa settentrionale con Danimarca, Islanda e Norvegia
I temi del cambiamento climatico, soprattutto quelli in relazione all’approvvigionamento
energetico, potrebbero ritrovarsi militarizzati e dominati dalle preoccupazioni per la sicurezza
con il risultato di arrivare a un progressivo deterioramento della cooperazione internazionale, a
favore di un’idea di sicurezza intesa sempre più come qualcosa di divisibile.
Sono immaginabili diversi percorsi verso l’esplosione di un conflitto violento: governanti che
strumentalizzano le questioni indotte dal cc per accrescere il potere nelle lotte interne (es usare i
migranti come capi espiatori), paese indebolito dalle questioni climatiche potrebbe essere
attaccato da vicini, conflitti armati tra stati per impossessarsi di risorse per le quali la domanda >
offerta (probabile se l’economia dovesse subire una ‘rinazionalizzazione’ e un diffuso ritorno al
protezionismo)…
Prima guerra del cambiamento climatico: Darfur, inaridimento del Lago Ciad è stato uno dei
fattori scatenanti delle migrazioni.
Cina attivamente coinvolta in Sudan a causa del petrolio e dei minerali che il paese possiede: i
cinesi hanno fornito armi e addestramento alle forze governative e per qualche tempo hanno
rifiutati di unirsi alle NU nella condanna del ruolo del governo sudanese nei tragici eventi.
Pivotal states sono i paesi che hanno un’influenza cruciale su un’intera regione: se sono stabili e
godono di un favorevole andamento economico tendono ad allentare le tensioni nella regione, al
contrario se attraversano difficoltà queste potrebbero riversarsi all’esterno e trasmettersi
all’intera area. Questa categoria comprende: Brasile e Messico, Sudafrica e Nigeria, Egitto,
Pakistan e Corea del Sud, poi in modo molto più esteso Cina e India.
Il pentagono ha cominciato a guardare il mondo attraverso il prima della lotta per le risorse
energetiche:
- La crescente influenza cinese nel MO e in Africa è guidata da esigenza di materie prima per la
propria economia, ed è considerata motivo di preoccupazione da parte degli USA
-Ritorno della Russia a un ruolo geopolitico di primo piano è stato sostenuto interamente
dall’aumento dei prezzi del petrolio, del gas e dei minerali d’uso industriale
-Non molto tempo fa la maggior parte delle basi militari statunitensi era localizzata in Europa
occidentale, Corea del Sud e Giappone. Negli ultimi anni è comunicato un trasferimento verso
l’Europa centro-orientale, l’Asia centrale e sud-occidentale e parti dell’Africa dove si trovano
stati sospettati di appoggiare il terrorismo, ma anche più di 4/4 delle riserve mondiali di petrolio
e gas, uranio, rame e cobalto.
- Cina e Russia stanno costruendo le proprie reti di sicurezza in una deliberata sfida al primato
statunitense: Cina attiva in Sudan, in Nordafrica, Angola, Ciad e Nigeria dove è diventata uno dei
principali fornitori di armamenti. In Asia centrale e orientale Russia e Cina hanno costruito un
contraltare della Nato: alleanza militare ‘Organizzazione di Shanghai per la cooperazione’ i cui
stati membri rivendicano con decisione la propria influenza su paesi ricchi di risorse (Kazakistan,
Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan)
UNA COMUNITA’ MONDIALE ILLUSORIA ?
Da alcuni anni, nel momento in cui il mondo avrebbe bisogno di una governance più efficace, le
istituzioni internazionali sembrano più deboli che mai:
-l’Onu ha un ruolo primario nella lotta al cc, però le NU dispongono di scarse risorse proprie e
possono essere paralizzate dall’azione di un blocco di paesi, o uno solo, specialmente nel
Consiglio di sicurezza.
Stiamo assistendo al ritorno a una forma di nazionalismo autoritario, in particolare in Cina e
Russia, e altri paesi minori ma ricchi di petrolio ? Dalle politiche in era George Bush il sistema
internazionale è stato ridefinito in termini di forza e potenza militare, soppiantando l’ondata di
entusiasmo a cavallo del secolo che annunciava un nuovo ordine mondiale basato sulle
organizzazioni internazionali.
Robert Kagan parla di un ‘ritorno alla normalità’: fine dei sogni maturati al termine della Guerra
fredda riguardo il ridimensionamento dello stato-nazione, l’approfondimento della
collaborazione internazionale, l’abbandono dei conflitti ideologici e la liberalizzazione di scambi
e comunicazioni, di cui l’UE si era fatta portavoce. “Era solo un miraggio” afferma Kagan: lo
stato-nazione è più forte che mai, è tornata la competizione tra grandi potenze per accrescere la
propria sfera di influenza e il proprio prestigio internazionale. Cina e Russia cercano di
affermarsi connettendosi all’energia: Russia vuole riconquistare il rango di grande potenza
basandosi su vaste risorse di petrolio e gas, mentre la Cina è alla ricerca di approvvigionamenti
energetici per sostenere la sua continua crescita.
Negli anni ’90 (dopo crollo Urss) la grande scommessa dei paesi membri dell’UE è stata credere
che l’interdipendenza economica e la cooperazione tra nazioni avrebbero trionfato sui concetti
tradizionali di sovranità; hanno tagliato le spese militari convinti che il potere dell’esempio
avrebbe avuto il sopravvento su quello delle armi.
In varie parti del mondo sono state formate associazioni regionali: il North American Free Trade
Agreement (NAFTA) comprendeva USA-Canada-Messico; il MERCOSUR in Sudamerica;
l’ASEAN in Asia queste però non sono mai state niente più che associazioni di libero scambio.
Kagan parla di ‘fine della comunità internazionale’, il Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato
minato dalle divisioni tra democrazie e autocrazie di cui l’accaparramento delle fonti energetiche
ne è una causa.
Kagan suggerisce di istituire un ‘concerto delle democrazie’ così da mettere insieme i paesi
democratici sia del mondo sviluppato che di quello in via di sviluppo.
Per Kagan le grandi potenze che agiscono secondo schemi tradizionali considerano le risorse nei
termini di un gioco a somma zero. Se così è allora la probabilità di evitare la battaglia per le
risorse è scarsa, allora facilmente si giungerebbe a un conflitto armato nel quale le NU sarebbero
paralizzate.
GIDDENS
Fortunatamente, la logica consequenziale di Kagan è vera solo in parte:
1. Onu dall’89 ha assunto la guida di alcuni interventi umanitari di successo, il Summit di Rio ha
dato il via a una nuova e serie agenda ambientalista. Dal ’93 le performance hanno cominciato a
scadere e alcune missioni di primaria importanza (es Bosnia e Ruanda) rimanevano impantanate,
tuttavia gli stati continuano a chiedere aiuto all’Onu per affrontare problemi comuni perché
l’Onu possiede una ‘indispensabilità di fondo’ la comunità internazionale non è illusoria, il
mondo oggi è più interdipendente di quanto sia mai stato e le NU e altre organizzazioni
internazionali svolgono un ruolo fondamentale, l’ONU è stata molto importante anche in campi
come intervento umanitario, gestione della salute e delle emergenze sanitarie, risoluzione dei
conflitto solo che i successo ottengono molta meno attenzione e popolarità degli insuccesso
2. La tesi del ‘ritorno alla normalità’ è del tutto infondata. È vero che lo stato-nazione persiste,
però la sovranità non ha più il significato di un tempo: questo è ovvio a livello economico in cui
stati, grandi e piccoli, non possono regolare i loro affari autonomamente come nei primi anni del
periodo postbellico
3.Bush voleva reintrodurre esattamente il tipo di mondo delineato da Kagan: un mondo in cui ciò
che conta è il potere e gli USA godono di un primato nel suo esercizio. ESITI: la potenza militare
più grande del mondo non è riuscita a pacificare un paese di medie dimensioni, l’Iraq, nonostante
un’iniziale facile vittoria militare; il tentativo di riportare la stabilità in Afghanistan sta
incontrando un successo risicato; hanno l’economia più grande del mondo ma il paese da solo ha
capacità molto limitate di influenzare il mercato mondiale.
L’ULTIMO MILIARDO: un elementare sentimento giustizia sociale dovrebbe indurre i paesi
industrializzati (che han generato le emissioni che provocarono il cc) a tentare di contenere gli
effetti (che sono gravati soprattutto nelle regioni più povere del mondo). Ma anche ragioni più
egoistiche dovrebbero spingere i paesi più ricchi ad aiutare i più svantaggiati: infatti l’estrema
povertà è un elemento potenzialmente destabilizzante nella società mondiale, perché la pressione
demografica si allenta quando i paesi diventano più ricchi.
La dichiarazione del millennio delle NU formulava l’impegno a “non risparmiare gli sforzi per
liberare i nostri simili dalle condizioni abiette e disumanizzanti dell’estrema povertà”. Nel 2011
qualche progresso è stato compiuto: quello di ridurre della metà la povertà assoluta sembra
destinato al successo, lo stesso si può dire per gli obiettivi concernenti l’istruzione, il
contenimento di alcune delle malattie più micidiali e la promozione dell’eguaglianza di genere
nell’istruzione, nell’occupazione e nella sanità.
“Il terzo mondo si è ristretto”: l’80% dei 5 miliardi di persone in condizioni di indigenza oggi
vive in paesi che hanno imboccato la via dello sviluppo, durante gli anni ’80 e ’90 alcuni di
questi paesi hanno sperimentato una rapida crescita del reddito pro capite e un tasso medio di
crescita del PIL superiore al 4% ‘imperativo dello sviluppo’: la crescita economica su larga scala
è la sola via di uscita dalla povertà
Tuttavia, almeno 1 miliardo di persone distribuite in circa 60 paesi (i paesi dell’ultimo miliardo)
sono rimaste escluse dalle dinamiche di sviluppo: il loro reddito è addirittura sceso. Queste
società rimangono indietro perché sono incappate in quelle che Collier chiama le “quattro
trappole”:
1. Trappola della guerra civile: i paesi più poveri devono fare i conti con un 14% di probabilità di
precipitare in una guerra civile ogni 5 anni
2.Trappola del possesso di risorse naturali, in particolare gas e petrolio. Per molti il reddito
ottenuto da queste fonti fornisce solo quanto basta per assicurare un elevato tenore di vita a una
ristretta elite, e dall’altro lato quel reddito scoraggia gli investimenti in altre industrie e rende
poco competitive le esportazioni. Tuttavia, alcuni stati rentier come Kuwait e Arabia Saudita
sono riusciti a sfuggire alla ‘maledizione delle risorse’ soprattutto perché le entrare ricavate sono
enormi.
3.Trappola di essere un paese chiuso senza sbocchi sul mare e con vicini disfunzionali: es Sudan
e Uganda (anche se esempio di Svizzera mostra che è possibile essere chiuso e ricco, ma ha
vicini amichevoli)
4.Trappola del malgoverno : es Bangladesh 134° su 178 tra i più corrotti, però è riuscito a attuare
politiche economiche abbastanza efficaci e ha conseguito un significativo tasso di crescita
economica, ma se il paese non fosse stato corrotto il suo successo sarebbe stato senza dubbio
maggiore.
La riforma politica è sempre possibile e realizzarla è di norma la chiave del progresso in altri
settori, come è stato per la Cina: negli anni ’60 del ‘900 il paese era sull’orlo della rovina a causa
delle politiche di Mao. La leadership che è succeduta ha deciso di cambiare direzione.
I paesi dell’ultimo miliardo rischierebbero di precipitare fuori dalla storia mondiale perché chiusi
dentro un ciclo di deterioramento al quale la maggior parte delle altre nazioni è sfuggita. Le
pressioni create dal cc e dalla crescente scarsità energetica, oltre che pure ragioni etiche,
potrebbero far sì che i problemi dell’ultimo miliardo si riversino sul mondo nel suo complesso.
PETROLIO E GEOPOLITICA :
E’ probabile che la sorte dell’ultimo miliardo abbia una sensibile influenza sulla persistenza del
terrorismo internazionale come carattere saliente dalla scena mondiale. Gli stati in cui vivono i
poveri presentano spesso una letale combinazione di terrorismo, criminalità internazionale, droga
e riciclaggio di denaro sporco.
Nell’immediato dopoguerra il centro di gravità si trovava al Cairo, a Istanbul, Beirut, Casablanca
e Damasco, tutte città cosmopolite che offrivano la speranza di una progressiva
modernizzazione, molti stati musulmani erano liberali e si parlava diffusamente della necessità di
separare stato e chiesa. Tuttavia, a causa della crescente importanza del petrolio e della posizione
dominante in questa produzione da parte degli stati del Golfo e dell’Arabia Saudita, le
interpretazioni conservatrici dell’Islam hanno assunto un rilievo sempre maggiore.
L’Arabia Saudita custodisce due delle moschee più sacre dell’Islam: Mecca e Medina, un patto
cinquantennale con gli USA ha mantenuto in sella la famiglia reale saudita e ha rafforzato il
volto più reazionario dell’islam.
“Il petrolio è nemico della libertà”: un teorema così assurdo si spiega bene con quella che
Friedman chiama la ‘prima legge della petropolitica’ il piccolo regno di Bahrein ha fatto da
battistrada per gli stati del Golfo tenendo libere lezioni parlamentari in cui donne potevano
votare ed essere elette, è stato il primo paese a beneficiare della scoperta del petrolio, ma
recentemente è stato anche il primo in cui si è prospettato l’esaurimento a breve delle riserve
petrolifere, i governanti hanno iniziato a pensare a una diversificazione dell’economia e a una
riforma politica. Nel 2011 (dopo Tunisia ed Egitto) il Bahrein ha sperimentato un tentativo di
rivoluzione democratica: quando sono scoppiate le prime agitazioni diversi governanti hanno
annunciato che avrebbero distribuito denaro ai cittadini per tenerli tranquilli. Friedman ha
analizzato la relazione tra fluttuazioni del prezzo del petrolio e cambiamento politico: più alto è
il prezzo del petrolio, più è probabile che il paese produttore muova verso un regime autocratico.
La rendita petrolifera permette di alleviare il peso del prelievo fiscale (quindi i contribuenti non
pressano sul sapere che fine fanno i loro soldi), promuove il clientelismo, rende possibile la
creazione di un elaborato sistema di polizia, servizi di sicurezza e sorveglianza. Michael Ross
aggiunge che il predominio della rendita petrolifera fa sì che ci sia poca diversificazione
economica, quindi per le donne non c’è possibilità di entrare nella forza lavoro non agricola, a
sua volta ha l’effetto di mantenere alto tasso di natalità. 23 paesi al mondo traggono gran parte
del loro reddito dal petrolio e dal gas, nessuno di loro è una democrazia sotto qualunque aspetto
che non sia il nome.
La Russia oggi è in mano a una ristretta élite che trae il suo potere dai proventi del petrolio, del
gas e delle risorse minerarie. Fornisce all’UE circa il 40% del gas, il 30% del petrolio e il 25%
del carbone di cui ha bisogno. Le relazioni UE-Russia sono in attesa di normalizzazione,
importante è il tema della riapertura dei settori del petrolio e del gas russi agli investimenti
europei e poi di altri paesi esteri necessari per ridurre gli sprechi che caratterizzano la produzione
russa.
La nozione di democrazia di Vladimir Putin ha a che fare con il concetto di sovranità, ossia con
l’affermazione del diritto e della capacità della Russia di agire come grande potenza.
La famigerata ‘maledizione del petrolio’ non si applica solo alle nazioni, ma al sistema mondiale
nel suo insieme: se i paesi industrializzati potessero liberarsi completamente dalla dipendenza dal
petrolio e dal gas naturale ciò sarebbe di grande beneficio per loro e anche per le popolazioni dei
paesi produttori. Non si deve vagheggiare un futuro in cui i paesi sviluppati diventino autonomi
nell’approvvigionamento energetico, l’interdipendenza continuerà a essere una realtà, ma sarà
più agevole di quanto non lo sia oggi provvedere da sé al fabbisogno energetico per chi avrà una
significativa capacità.
COALIZIONI E COLLABORAZIONI :
Il MEF Major Economies Forum rappresenta le 17 più grandi economie del mondo e nel 2009 ha
instituito una Global Partnership per promuovere le tecnologie a basso rilascio di carbonio e
sviluppare altri sistemi per la riduzione delle emissioni tramite dei ‘piani di azione sulle
tecnologie’. Ogni piano fornisce ai governi nazionali programmi dettagliati in cui si analizza il
contributo alla riduzione del carbonio che può derivare da ciascuna tecnologia o programma, si
identificano gli ostacoli e le strategie per superarli, fondate sulle buone pratiche, si specificano le
politiche che possono essere concretamente intraprese.
Il G20 può e deve avere un ruolo in una politica attiva contro il cc.
Sarà importante assicurare che i paesi più poveri non siano esclusi e che la loro voce sia
ascoltata, ma non ci si può aspettare che essi si impegnino nella mitigazione perché per loro è più
urgente lo sviluppo e l’adattamento ha la precedenza sulla mitigazione
STATI UNITI E CINA :
Durante la guerra fredda non c’era apparentemente alcuna possibilità che Usa e Urss potessero
negoziare tra loro, eppure sebbene all’inizio dei colloqui sul controllo degli armamenti ognuno
nutriva estrema diffidenza, alla fine fu raggiunto un effettivo interscambio con risultati concreti
in termini di riduzione degli arsenali.
Lieberman suggerisce un parallelismo tra corsa agli armamenti della guerra fredda e
competizione per le risorse energetiche odierna.
Michael Klare suggeriva che si potrebbe partire con l’istituzione di un summit energetico
annuale USA-Cina con il diretto coinvolgimento dei due presidenti. Nel 2004 è stato firmato un
‘memorandum d’intesa’ preliminare per la creazione di un dialogo sull’energia tra i due paesi.
Nel 2008 è stato annunciato che tre società cinesi avrebbero aderito al Climate Group
(organizzazione non profit sostenuta da importanti imprese occidentali) .
A Copenaghen Cina ha evitato USA finché Obama non è irrotto nella riunione che ha portato
alla messa a punto dell’accordo. Né Obama né Hu Jintau hanno partecipato alla conferenza di
Cancun. I due paesi hanno poi lavorato insieme in Messico, poi gennaio 2011 si sono incontrati a
Washington e hanno concordato la necessità di rafforzare la cooperazione nelle politiche sul cc,
nelle tecnologie delle fonti rinnovabili e nei trasferimenti tecnologici. I programmi congiunti
riguardano la progettazione di edifici energeticamente efficienti, la tecnologia Ccs e i veicoli
elettrici.
INDIA E BRASILE :
Dopo Cancun il primo ministro indiano Manmohan Singh ha dichiarato che i paesi emergenti
non sono nelle condizioni di ridurre le emissioni, perché devono dare la priorità allo sviluppo
economico e ha sostenuto che l’India contribuisce in misura relativamente modesta al totale delle
emissioni globali (in termini di emissione pro capite l’osservazione è corretta, ma in termini
aggregati l’India è la 4 emittente mondiale di gas serra e in più presenta alti tassi di crescita
alimentata da combustili fossili)
La leadership indiana ha avuto un ruolo costruttivo sia a Copenaghen che a Cancun, si è proposta
di ridurre l’intensità energetica del 20% rispetto al 2005 entro il 2020.
Diversi rapporti recenti hanno sottolineato le conseguenze che il cc avrebbe sull’India ed è
probabile che ciò stimoli i leader politici ad assumere un atteggiamento più ambizioso: molti
fiumi diventeranno vulnerabili alla combinazione micidiale di inondazioni e siccità, i litorali
molto popolati sono minacciati dall’aumento del livello del mare.
Le discussioni tra gli stati del gruppo Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) e gli USA saranno
importanti ed è importante che ad essi si unisca l’UE
Il Brasile sotto la presidenza Silva e poi Rousseff ha assunto un ruolo molto più attivo a favore di
strategie internazionali efficaci per combattere il cc. Il Brasile possiede uno degli ecosistemi più
significativi del pianeta ed è quindi in prima linea nella lotta contro deforestazione. Il settore
energetico brasiliano contribuisce in misura limitata alle emissioni di carbonio del paese, circa il
40% dell’offerta energetica del paese è generato da fonti in senso lato rinnovabili costituite da
una combinazione di energia idroelettrica, canna da zucchero e pasta di legno. Dagli anni ’70 il
Brasile ha introdotto un piano per utilizzare l’etanolo nei trasporti e oggi costituisce la più ampia
applicazione commerciale dell’energia da biomassa nei trasporti, alcuni anni fa è stato lanciato
un piano nazionale per aumentare progressivamente il contenuto di biodisel nel gasolio. Nel
2002 il Parlamento ha approvato una legge che consente ai piccoli produttori indipendenti,
comprese le famiglie, di immettere energia nella rete nazionale e nello stesso anno il governo ha
proposto l’iniziativa di incrementare la diffusione dell’energia rinnovabile in tutta l’America
Latina e nei Caraibi. Tra il 2004 e il 2009 il paese ha ridotto del 30% le emissioni di gas serra.
L’America Latina ha le carte in regola per emergere come una regione importante per la
cooperazione sul cc. Diversi paesi, tra cui Brasile, Messico, Perù, Cile e Ecuador, hanno
sperimentato un’insolita sequenza di fenomeni climatici estremi e il Messico ha seguito il Brasile
schierandosi tra i primi paesi che nel 2008 si sono dati specifici obiettivi di riduzione delle
emissioni di carbonio.
IN CONCLUSIONE: PERCHE’ ABBIAMO ANCORA BISOGNO DELL’ONU
Il lento arrancare dei negoziati che si svolgono con la mediazione delle NU deve essere
rinvigorito da idee e interventi più immediati e pratici, le forze in gioco per generare queste
possibilità sono:
1. Azione degli stati esercitata singolarmente, bilateralmente o in coalizioni più grandi
2. Risposte delle imprese, grandi e piccole
3. Emergere di una società civile mondiale variegata e vivace, interconnessa dai mezzi di
comunicazione elettronici e dalla facilità dei moderni sistemi di trasporto.
L’Onu sembra parecchio al di sotto di ciò che molti desidererebbero come strumento di
governance globale, ma ci sono ottime ragioni per cui i negoziati sul cc sotto l’egida delle NU
devono continuare: un trattato firmato e ratificato ha più probabilità di essere rispettato di un
mucchio di impegni generici, affrontare i pericoli del cc potrà essere un mezzo per rilanciare le
stesse NU, i capi di stato potrebbero arrivare a comprendere che non solo non possono fare a
meno dell’Onu ma che la mancanza di un’efficace governance globale è una delle principali
ragioni per cui tali pericoli sono diventati così acuti.

Potrebbero piacerti anche