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Kala: Tempo e tempo nella prima stagione del pensiero indiano.

Di Mario Piantelli
Kalo'smi lokaksayakrt pravrddho lokan samhartum iha pravrttah .

Bhagavadgita

Sulla piana di Kuruksetra, in mezzo a due armate avverse schierate a battaglia , il più formidabile dei guerrieri
dell'epica indiana, l' eroe Arjuna, è preso dallo sgomento di fronte alla lotta fratricida che lo attende, in un contesto
che richiama in qualche misura la saga ellenica dei Sette contro Tebe. L' esito fatale di essa comporta infatti la
morte di venerandi personaggi legati a lui per sangue e per affetti e la rovina della sua stessa dinastia, le cui sorti ha
specialmente a cuore.

La difesa del buon diritto suo e dei suoi fratelli, ingiustamente privati del loro dominio al ritorno dall'esilio, non gli
sembra valere un prezzo tanto esorbitante e, lasciato cadere l'arco invincibile sul fondo del carro da guerra, si
rifiuta di combattere. L'auriga, ch'è il suo saggio consigliere e amico fraterno Krsna, lo ammonisce con parole di
volta in volta mordaci, gravi e colme di dolcezza, dense di riferimenti alla tradizione immemorabile dei Veda e
aperte ad una nuova concezione totalizzatrice della Divinità, ch'egli stesso impersona. Al culmine del suo lungo
discorso, ricorrendo ad un impressionante coup de theatre sapientemente preparato, egli mostra ad Arjuna il
vero aspetto di questa Divinità, dal corpo vasto come lo stesso universo, irto d'innumerevoli membra che
brandiscono armi d'ogni sorta, fulgente come dieci milioni di soli, in atto d'inghiottire i guerrieri con fauci ardenti
dotate d' immense zanne, in cui essi corrono come altrettante misere falene che si precipitino ciecamente nelle
fiamme d'un incendio notturno. Questa "trasfigurazione" meravigliosa e terribile di Krsna è davvero il culmine delle
argomentazioni di volta in volta mitiche, teologiche e mistiche ch'egli viene svolgendo nelle settecento strofe della
Bhagavadgita , forse il maggior classico entro il ricco corpus sapienziale fornitoci dalle porzioni didascaliche
dell'epica indiana e certamente il più noto.

Di fronte alla rivelazione della morte inevitabile dei suoi maestri e parenti, che gli stanno di fronte come altrettanti
implacabili avversari, Arjuna avverte come la propria iniziativa sia a tutti gli effetti insignificante e si rassegna a
combattere: in realtà essi sono già uccisi dalla Divinità, che l'eroe intervenga o meno a funger da esecutore di tale
compito inevitabile. Tremante, sopraffatto dalla gloria insostenibile del Divoratore cosmico, il guerriero osa
tuttavia interrogarlo sulla sua identità, e in risposta l'apparizione dichiara:

" Il Tempo (Kala ) sono, operatore della consunzione/ distruzione/ dissoluzione (ksaya) dei mondi/esseri
(loka), profondo, intento qui a risucchiare/annientare (samhartum) i mondi/ esseri. "1

La coscienza indiana del tempo è come dominata nei millenni da queste parole del Supremo Assoluto
(Parabrahman) personificato. Il volto di questo Assoluto nella sua interazione con gl'individui e le cose non si
presenta ad essa soltanto nella forma benevola di un Manifestatore e Conservatore dei nomi e delle forme
(namarupa) con cui l'Illusione cosmica (la Maya) intesse la fragile rete del cosmo oggettuale, ma in quella più cupa
e insieme solenne del Distruttore, paradigma divino dell'esperienza purificatrice e semplificatrice del mistico, che
riassorbe nel suo silenzio e nelle sue tenebre impenetrabili e trascendenti quegli stessi nomi e forme,
mostrandone tutta l'inconsistenza e precarietà. L'iconografia dell' India classica, specialmente quella legata alle
figure divine di Siva e della sua paredra Uma nei loro aspetti terrifici (Rudra e Rudrani, Bhairava e Bhairavi, etc.),
si compiace d'indugiare sugli elementi simbolici di questo ruolo apparentemente negativo, antitetico rispetto a
quello che in Occidente sarebbe detto "creativo". Tremendi cobra dal veleno mortale s'intrecciano come armille e
collane attorno alle loro membra, ghirlande d' ossami ne adornano d'un biancore sinistro i corpi nudi, neri, rossi o
coperti di ceneri grigiastre, cadaveri divorati da avvoltoi e sciacalli o arsi sui roghi funebri ne incorniciano
l'apparizione, zanne acuminate fuoriescono dalle loro bocche, intente a tracannare sangue umano in coppe
ricavate da teschi. E' Kala, il cui nome significa " il Nero", "il Tempo" e insieme "la Morte"2, a colorire con questi tratti
orribili, eppure stranamente affascinanti, la loro persona veneranda, assimilandoseli a tal punto ch'essi prendono
il nome stesso di lui, divenendo rispettivamente" Il Grande Nero " (Mahakala) e " la Grande Nera " (Mahakali).
Talora Siva è salutato come una sorta di super-Tempo/ Morte, che esercita la sua funzione dissolvitrice fino a
coinvolgere in essa il Distruttore stesso: Kalakala (lett. "Tempo del Tempo"), Mrtyumjaya ("Trionfatore sulla
Morte") o Antakantaka, ("Che mette fine a Colui che mette fine") sono altrettanti epiteti di questo aspetto del nume,
legato al mito della salvezza del fanciullo Markand.eya, reso eternamente vivente nell'attimo stesso del suo
morire. Non si tratta tanto, a ben vedere, di una vittoria della Vita in quanto prerogativa divina sulla potenza
dissolvitrice propria del Tempo, come avviene nella prospettiva occidentale incentrata nella resurrezione, quanto
di una esasperazione dell' operare di questa stessa potenza fino a farla implodere, se ci si passa la figura di
linguaggio, nell' Assoluto privo di qualsiasi determinazione, in cui Morte e Immortalità, come canta l' antico inno
vedico del "Non era"(il Nasadiyasukta )3, non ci sono più (o non ci sono ancora). Non a caso lo stesso Siva, in
quanto ipostasi di tale stato indeterminato e impassibile, assume l'aspetto paradossale di " Gran Cadavere "
(Mahasava) congiunto alla sposa Kali, con una sorta di ierogamia ispirata a necrofilia che ci ricorda l'unione d'Iside
con il morto Osiride, in una delle rappresentazioni simboliche più suggestive, nella loro terribilità, dell'intero
orizzonte simbolico tantrico. Mentre volgiamo alle prime riflessioni indiane sul tempo la nostra attenzione,
converrà tenere presenti tali esiti, già impliciti nel lessico stesso impiegato dai testi più antichi a noi accessibili: in
effetti, nella vicenda intellettuale che inizia in età vedica e giunge ben addentro il periodo classico della civiltà del
subcontinente indiano, il Tempo prenetra e condiziona gli aspetti via via presi in considerazione del tempo. E' in
dipendenza da questo fatto che il tempo permarrà intimamente connesso alla vecchiezza, alla morte, al venir
meno di esseri ed esperienze, secondo un paradigma familiare, mutatis mutandis , anche sotto i cieli d'Occidente,
come attesta tutta una serie di eloquenti simbolismi, dalla ruota alata di Pompei accompagnata da teschio e
squadra alla figura del vegliardo alato con falce e clessidra tanto spesso ripetuta nell'iconografia mitico-allegorica
divulgata a partire dal nostro Rinascimento. Ma è ancora in dipendenza da questo fatto che il Tempo conserverà,
in molte teorizzazioni, il ruolo non facile di volto della Divinità suprema o dell' Assoluto impersonale.

***

Documento particolarmente suggestivo della prima visione indiana articolata del Tempo è il cosiddetto
Kal^asukta , formato da due inni dell'Atharvaveda 4, in lode d'una figura divina estremamente possente, che già
riceve il nome di Kala; essi forniscono un discorso continuo, intessuto di enigmi e rifondente motivi mitico-
simbolici che comparivano già in testi vedici alquanto precedenti, correlati specialmente all' Anno (il dio
Samvatsara), Signore della vita e della morte, e al Sole (Surya, Rohita, etc.), identificato tra l'altro con la Morte in
persona:

" Kala, (qual) cavallo, veicola: dalle sette redini 5, dai mille assi 6 , senza vecchiezza, dallo sperma
abbondante. Ne sono aurighi i Poeti 7sapienti, ne sono ruote i mondi tutti! Sette ruote veicola questo Kala:
sette ne sono i mozzi, l' Immortalità ne è ora l'asse. Egli tutti questi mondi/ esseri (bhuvana) mette in moto,
egli, Kala, rapido incede ora, il Primo Dio! Un vaso pieno 8 è posto al di sopra di Kala: lo discerniamo invero,
come è molteplicemente. Egli è oltre tutti questi mondi/ esseri, Kala lo han proclamato, nel Supremo Spazio
celeste! Egli solo ha portato assieme qui i mondi/ esseri, egli solo ha compiuto la circumambulazione dei
mondi/ esseri assieme .9Essendo (ne) il Padre, è divenuto loro figlio. Non v'è invero fulgore di gloria al di là
del suo! Kala quel Cielo laggiù ha generato, Kala anche queste Terre quaggiù: Kala, invero, quel ch'è stato e
che ha da essere 10 ; (eppure)rimane a parte, immobile! Kala ha sprigionato la Terra, in Kala il Sole rifulge e
riscalda, in Kala invero sono tutti i mondi/ esseri, in Kala l'occhio discerne! In Kala la mente, in Kala il soffio
vitale, in Kala il nome è posto assieme, di Kala che qui sopravviene s'allietano questi esseri tutti 11! In Kala il
Calore 12 , in Kala il Più Anziano 13, in Kala il Brahman 14è posto assieme. Kala invero è il Dominatore 15di
tutto, egli che fu Padre di Prajapati 16! Da lui mosso, da lui nato, in lui invero è fondato Quello: Kala invero,
divenuto il Brahman, porta il Signore Supremo 17! Kala ha sprigionato gli esseri, Kala Prajapati in principio 18
da Kala l' Autogeno Kasyapa 19 , da Kala il Calore nacque! "

" Da Kala le Acque vennero in esistenza, da Kala il Brahman, il Calore, le Direzioni dello spazio, da Kala
sorto il Sole, in Kala di nuovo tramonta! Da Kala il Vento spira, Da Kala la vasta Terra, il vasto Cielo poggia
su Kala: loro figlio, Kala ha generato anticamente ciò ch'è stato e che ha da essere. Da Kala gl'inni vedici
sono venuti in esistenza, le formule sacrificali sono nate da Kala. Kala ha messo in moto il Sacrificio,
indefettibile parte spettante agli Dèi. In Kala i Gandharva e le Apsaras 20stanno ben saldi, in Kala questo
Angiras, il Dio Atharvan 21è saldamente stabilito. E di questo mondo e dell'altro mondo, e dei mondi puri e
degli ordini puri: avendo trionfato di tutti i mondi mediante il Brahman, egli, Kala, rapido incede ora, il
Sommo Dio! "

Il contesto dei due inni privilegia, evidentemente, le valenze cosmogoniche rispetto a quelle legate alla
distruzione, ma non mancano allusioni a queste ultime: si noterà la velocità del tempo più volte sottolineata, che
risponde in qualche misura alla sua fugacità tanto spesso lamentata dai testi occidentali. Il Sole che dal Tempo
nasce e torna a spegnersi in esso è un evidente paradigma della vicenda degli esseri tutti. L'impressione che si
ricava di questo "Primo Dio" è insieme solenne e atta ad intimorire, ma tutto sommato abbastanza generica. Le sue
connotazioni specificamente temporali, come l'allusione al passato e al futuro egualmente ricondotti alla sua
funzione causale, risultano certo meno importanti della identificazione di esso con diverse altre figure divine
legate alla produzione del mondo e dei suoi fenomeni. A partire dagl' inni atharvavedici (la cui datazione è
problematica, ma si congetturano posteriori al -1000 e anteriori al -700) tutta una serie di testi epici, puranici e
tardo-upanisadici sviluppa il discorso sul Tempo e sui suoi poteri. Una delle esposizioni più lucide e insieme
rigorosamente coerenti con il dato vedico è ascritta nella Maitrayanyupanisad 22al saggio Sakayanya, autorevole
interlocutore del re Brhadratha desideroso d'insegnamenti sull' Immortalità:

" Altrove , poi, è detto : il cibo è di questo tutto la vulva, e Kala lo è del cibo, il Sole è la vulva di

Kala. Di lui quella è la forma visibile, che da Kala (consistente delle diverse unità di tempo)a partire dal nimesa
23è portata a compimento come Anno naturato di dodici (mesi): di esso una metà è di Agni 24, una metà di
Varuna 25 Da Magha 26alla metà di Sravistha 27è di Agni, da Sarpa 28 alla metà di Sravistha è di Soma 29.
Quanto a ciò, ciascuno (dei dodici mesi che son parti) del suo corpo consta di nove frazioni in conformità agli
asterismi 30 : a motivo della sottigliezza di quello, tale (ne) è la misura /mezzo di conoscenza (pramana) , da
essa soltanto è misurato /conosciuto Kala. Invero senza misura / mezzo di conoscenza non v'è apprensione
di ciò che va misurato /conosciuto . Ciò che va misurato/conosciuto, poi, giunge alla misurazione/conoscenza
a partire dalla divisione in parti , di modo che possa venir ben compreso dalla mente. Così infatti ha detto (il
veggente): " Fin dove si estendono le porzioni (kala) di Kala, fin lì in esse procede ." Colui che medita Kala
come il Brahman , da lui Kala si ritira assai lungi. Così infatti ha detto (il veggente):" Da Kala fluiscono gli
esseri (bhuta)e da Kala ricevono accrescimento e in Kala tramontano: Kala è il Volto senza volto. " Orbene,
vi sono due forme del Brahman : Kala e Akala . Adunque, quella ch'è antecedente al Sole è Akala, privo di
porzioni, quella ch'è posteriore al Sole è Kala, dotato di porzioni. E di colui ch'è dotato di porzioni quella è la
forma visibile, che è l'Anno. Dall' Anno invero questi esseri nascono come progenie; dall' Anno qui invero
nati s'accrescono, nell' Anno tramontano, sicché l' Anno in verità è Prajapati, Kala, il cibo, il nido del
Brahman e lo stesso Sé 31.Così infatti ha detto (il veggente): " Kala cuoce gli esseri (bhuta)tutti nel Grande
Sé soltanto; ciò in cui è cotto lo stesso Kala; chi lo sa, è uno che sa il sapere. " Ha un corpo, questo Kala , re
delle correnti 32 degli esseri. In lui sta questo (Sole)ch'è chiamato "Impulsore" 33, donde soltanto questi Luna,
costellazioni, pianeti, anni e così via sono generati, dai quali procede tutto questo universo qui: quanto v'è di
bene e di male si vede a questo mondo è da essi che procede, sicché il Brahman è naturato di Sole.
Adunque si mediti il Sole chiamato Kala: " Il Sole è il Brahman" , han detto certuni. "

Alla preoccupazione di glossare il dato tradizionale, si aggiunge qui una minuziosa esposizione sui fondamenti
astrologici della misurazione del tempo. Specialmente interessante è la distinzione tra Tempo e Non-tempo
(Akala). Il secondo è detto "antecedente al Sole", ciò che può leggersi, oltre che spazialmente (nel senso di "ad Est
del Sole"), come una successione temporale. Prima del venire in essere dell' astro, da cui tutti i moti celesti sono
ritenuti dipendere, non si può infatti parlare di tempo: la sua "sottigliezza" impedisce di coglierne la presenza in
assenza d'una misura, ed è il moto del Sole, con il suo passaggio annuale nelle diverse zone del cielo, a fornire
l'unica sua "misura" o pramana; un termine-chiave, questo, che designerà nel lessico tecnico della gnoseologia
indiana classica i diversi mezzi di conoscenza a cominciare dalla percezione, dall'inferenza e dalla testimonianza
autorevole. E' istruttivo, a questo proposito, il dibattito che avrà luogo in seno al sistema del Nyaya-vaisesika tra
l'impostazione tradizionale, rappresentata dai più antichi maestri a cominciare dal semi-mitico Kanada ( forse da
porsi tra il -100 e il +100), secondo cui il tempo, essendo privo di una forma visibile (rupa), è conosciuto soltanto per
inferenza, a partire, oltre che dagli immancabili moti del Sole nel cielo, da nozioni relazionali fondate sulla
percezione di oggetti diversi, come quelle di velocità e lentezza, o simultaneità e successione, e la posizione
innovatrice rappresentata dal maestro Jayanta Bhatta (+900), che lo considera direttamente percepibile, in
associazione agli oggetti in discorso34. Nel testo dell' upanisad , l' Anno, ch'è esso stesso, come s'è detto, una
figura divina di non piccola importanza, è connesso al moto misurabile del Sole, e dunque fornisce appunto una
tale forma visibile (rupa) per questo " Volto senza volto", un suo aspetto che può ricadere entro l'orizzonte
conoscitivo; in assenza di esso, il tempo non ha alcuna connotazione riconoscibile. Senza un tale "corpo", lo si può
ritenere ancora non esistente, soltanto potenziale, ad immagine di quel "Non-ente" (Asat) donde in diversi testi
vedici l' Ente (Sat) emerge in principio, e dunque definito, quasi con un calco semantico di tale termine, appunto
come "Non-tempo", ancora privo di parti , incommensurabile, che soltanto l' apparizione del Sole e del suo moto
trasformerà nel Tempo. Ma se è la misurazione del Tempo che lo fa accessibile in un modo o nell'altro all'esperire
umano, l'elemento determinante della sua realtà consiste nella sua azione sugli esseri, un' azione che comporta
per essi la nascita, la vecchiezza e soprattutto la morte, assai più inquietante e meno facile a dominarsi
intellettualmente. Il nesso che ricollega il tempo misurabile al Tempo che uccide resta un interrogativo insoluto, cui
ci si può accostare soltanto attraverso il filtro una visione rigidamente causale e aperta alle istanze del fatalismo,
legata ancora una volta alle prospettive astrologiche, riconducenti tutti i fenomeni umani, così come quelli in
natura, agl' influssi misteriosi dei corpi celesti. E' attraverso tali influssi, riconducibili all'unica presenza
dominatrice del Sole, donde gli altri astri promanano e traggono la loro energia, che si esercita nel nostro testo la
signoria implacabile del Tempo. I connotati più specificamente temporali della antica figura divina servono, in
definitiva, ad introdurre ancora una volta al suo ruolo cosmico. Solo i depositarii d'un sapere segreto e
trascendente, che si rappresentano il Tempo come un simbolo efficace dell'Assoluto, riescono a tenere questo
tiranno ch'è la Morte lontano. La cottura, nella prospettiva vedica il processo di trasformazione per eccellenza
attraverso cui il Fuoco divinizzato, Agni, rende l'offerta sacrificale partecipe della realtà divina, conferisce
l'immortalità al cadavere cremato e, dimorando nel ventre di ogni essere, muta il cibo assunto in carne, ossa e
sperma, si rivela in una delle strofe citate dall'upanisad anche modus operandi del Tempo, che la esercita nei
confronti degli esseri tutti.

"Cuocere", ossia digerire, assimilare, trasmutare in qualcosa di meno temibile e, al limite, annientare il Tempo
stesso è il sogno dei saggi. Il tema è ripreso in un testo buddhistico popolare, il Jataka 245 del Canone in lingua
Pali:

" Kala divora gli esseri (bhuta) tutti, assieme a se stesso. E colui che diviene divoratore di Kala , costui cuoce
il Cuocitore degli esseri ."

La tradizione tantrica si compiacerà di proporre alla meditazione questo "divorare il Tempo" in molti schemi
suggestivi d'evocazione fantastica (bhavana) incentrati attorno a figure divine terrifiche o allo stesso meditante,
ad esse assimilato. Pur nella vigorosa auto-affermazione dell' Io come realtà trascendente ogni mutamento, ci
troviamo qui innanzi in sostanza ad una fuga dal fato comune a tutti gli esseri, e il Tempo tenderà sempre di più, in
età classica, a confondersi con il Fato, Daiva (lett. "il Divino" , indipendente dal volere umano e stabilito per decreto
di Brahma), e con la Legge universale, Vidhi (epiteto dello stesso Brahma, in quanto Ordinatore, Vidhatr, del
cosmo).

***

Non è, a questo punto, motivo di stupore il rinvenire il Tempo al primo posto in un celebre elenco di dottrine sulla
possibile causa (karana) del mondo e dell' esperienza umana fornitoci dalla Svetasvataropanisad 35; si tratta di
una delle prime testimonianze di un panorama dottrinale variegato nel mondo indiano, che anticipa una ricca serie
di elenchi e cataloghi di posizioni sostenute dall'uno o dall'altro indirizzo di pensiero nei secoli posteriori :

" Kala, l'esser proprio 36, l'interconnessione 37, il caso 38, gli elementi 39, la vulva (yoni), il maschio (purusa)
sono suscettibili d'esser pensati, (così come) l'unione assieme (samyoga)di questi. "

L'idea d'una combinazione del Tempo con le ultime due nozioni, che anticipano la diade formata dal principio
oggettuale attivo e non cosciente (la prak.rti , lett. "natura", un termine che designa anche la vulva) e dal principio
soggettuale cosciente e inattivo (il purusa), propria della visione del sistema Samkhya fin dalle sue origini, è
ancora reperibile in un testo relativamente tardivo come l' Isvaragita del Kurmapurana (tra il IV e l' VIII sec. d.C.),
che in più punti riprende appunto la Svetasvataropanisad :

"Dall' Immanifesto vennero in esistenza Kala, la Natura, il Supremo Maschio. Da essi è nato tutto questo (...)
E si enuncia la coppia di principii consistente nella Natura e nel Maschio: congiungitore (samyojaka)
supremo di questi due è detto Kala senza inizio. Tale triade senza principio e senza fine è saldamente
radicata nell' Immanifesto (...) Vi è trasmigrazione per il Maschio a cagione dell'assenza di discriminazione
da esso (scilicet il senso dell'io), e tale assenza di discriminazione è nella Natura:essa è venuta in esistenza in
associazione a Kala. Kala sprigiona gli esseri , Kala riassorbe la (sua) progenie, tutti sono assoggettati al
dominio di Kala, né Kala è assoggettato al dominio di chicchessia. Esso, eterno, regge dall'interno tutto

quanto questo (universo). Lo si chiama il Beato Soffio (prana), l'onnisciente Maschio Supremo. (...)E' grazie
alla Mia presenza (scilicet di Siva) che questo Kala plasma l'intero universo, lo imbriglia, esso fatto d'infinito.
Tale è l'insegnamento dei Veda. "40

Le ben note connotazioni della figura divina tardovedica vengono qui integrate con una funzione

di cerniera fra soggetto ed oggetto nell'orizzonte dell'esperienza giocata sul senso dell' io
(ahamkara) e sull'erronea identificazione del soggetto con un fascio d'eventi oggettuali quali il pensiero, la
sensazione etc., che l' io rende possibile. La mancanza di un inizio"temporale" del Tempo stesso, la sua
eternità/perennità (nityatva), coesiste con la sua origine a partiredall' Immanifesto (Avyakta), coincidente con
una realtà divina atemporale donde promana tutta la vicenda cosmica: causalità "verticale" opposta alla causalità
intramondana, "orizzontale", che ci ricorda davvicino l'edificio ideale elaborato dal Neoplatonismo in Occidente41.
Il sistema del Nyaya-vaisesika difende questa tradizionale nozione d' eternità/perennità argomentando che
postulare un momento in cui ancora non vi è tempo o un momento in cui non vi è più tempo estenderà
inevitabilmente la presenza del tempo oltre i limiti a tale presenza arbitrariamente assegnati. Passi sul Tempo in
sintonia con quello puranico riportato sono sparsi per tutta l'epica indiana. Il Mahabharata specialmente ne
contiene diversi particolarmente incisivi e spesso citati, in cui il profilo propriamente temporale della figura divina di
Kala diviene anche più netto, nel quadro d'una ricca esemplificazione dei suoi poteri. Questi si esplicano anche
nella nozione del tempo opportuno, necessario perché un dato fenomeno si produca, vicina a quella ellenica del
kairòs:

" Non l'azione, né il pensiero accordano ad alcuno l'attingimento (dei suoi fini), né alcuno può (davvero) largire
altrui: l' Ordinatore ha decretato di età in età che l'uomo ottenga tutto dal solo Kala. Non con l'intelletto, né
con l'applicazione ai testi autorevoli è dato d'attingere alcunché in assenza di Kala (...) In Kala soffia il Vento,
in Kala Parjanya 42tien dietro alle nubi, in Kala il lago si copre di loti bianchi e azzurri, in Kala gli alberi
fioriscono nella foresta. Kala rende chiare od oscure le notti, Kala porta a pienezza l'orbe lunare (...) Fuor di
Kala non si muore, né si nasce, fuor di Kala il bimbo non parla, fuor di Kala non si entra nella pubertà, fuor di
Kala il riso seminato non germina (...) Di questi (scilicet elementi) separatore, Kala si presenta dotato di
numerose distinzioni . Si aderge come Sommo Sé e come Sé degli esseri a seconda della distinzione negli
attributi 43. Unico, (ma)diviso in triplice modo esso compie le varie attività : Brahma sprigiona gli esseri, li
protegge Narayana (il dio Visnu)imperituro, Rudra li porta via, che ha il mondo per volto: è (solo e
sempre)questo Kala, saggio nelle attività! Kala è in effetti fatto di ciò, impensabile, naturato dei tre attributi,
eterno. Esso è immanifesto, esso è inconcepibile, (eppur)dotato di caratteri distinti . Quest'universo è diviso
dalla persona di Kala, eppure se ne sente parlare come se fosse indiviso! (...) Forti o deboli, belli o brutti,
fortunati o sventurati, tutti gli esseri sono rapiti da Kala. Kala è profondo, insondabile, oceano senz'isole.
Dov'è mai l'altra riva di esso ? Non se ne scorgono i limiti. Incessante è il fluire di Kala, Kala ordina tutte le
cose e tutte le cose riassorbe: com'esso tutte le cose produce, così le porta via. Su tutte le cose opera Kala,
tramite Kala tutte le cose finiscono. Kala protegge, Kala distrugge (...) Chi mai può varcare Kala? Non
correndo, né restando fermi ci si può sottrarre a Kala. Taluni hanno dichiarato che il Brahman è Agni, altri
ch'è Prajapati, altri ch'è le stagioni, o i mesi lunari, o le quindicine lunari, o i giorni, o le ore, o mattino,
meriggio e sera, o i nimesa, o gli attimi (ksana) : così un unico Kala viene molteplicemente enunciato dalle
genti. Kala è il Brahman, l' Eterno. " 44

Quest'ultima equivalenza identifica ancora una volta il Tempo con l'Assoluto stesso e trova eco nella
"trasfigurazione" di Krsna come Kala nella Bhagavadgita.^ donde abbiamo preso le mosse: non a caso si tratta di
due porzioni dello stesso vastissimo poema. Sembra di scorgere, in passi come quelli appena ricordati, la
presentazione in forma apoftegmatica d'una vera e propria "dottrina del Tempo " inteso come principio universale.
E' questa il cosiddetto Kalavada, cui alluderebbe in realtà il passo dianzi citato della Svetasvataropanisad .
L'ipotesi è stata avanzata da più parti45, ricordando il contemporaneo emergere nella regione iranica d'una
dottrina eterodossa che tenta di superare il dualismo zoroastriano anteponendo ad Ahura Mazda e al suo
avversario,il Maligno Angra Mainyu, la figura divina del "Tempo Infinito" ( Zrvan Akarana), stimandolo padre di
entrambi . Non mancano, è vero, nel ricchissimo repertorio di miti dell' India degli interessanti paralleli alla genesi
del Maligno da Zrvan, che comportano del pari un acciecamento del genitore dell' uno o dell'altro personaggio
negativo, ad esempio di Siva allorché genera l' asura Andhaka. Il tema è presente, del resto, anche nelle
cosmogonie gnostiche occidentali. Ma si tratta di racconti che, nella prospettiva indiana, sono apparentemente
privi di connessioni specifiche con la figura di Kala. Del resto, qualcuno potrebbe osservare che nel mondo indiano
il mito, ancorché suscettibile di letture allegoriche che non hanno nulla da invidiare al mondo ellenico, resta ben
lontano dalle strutture rigorosamente razionali che di regola formano l'ossatura di un sistema dottrinale (darsana).
Tale non parrebbe, tuttavia, che sia stato il Kalavada, legato com'era al retaggio vedico e più vicino ad una "setta"
religiosa che ad una classica scuola di pensiero. In realtà la stessa ricostruzione del suo edificio concettuale è,
giova ricordarlo, abbastanza problematica. I repertorii dottrinali della letteratura polemica facente capo ai diversi
darsana , che sovente evocano per noi gl'insegnamenti di antiche scuole i cui testi sono andati perduti, sembrano
piuttosto avari di notizie in proposito. I suoi sostenitori sono presentati come " seguaci dei purana insegnanti la
causalità del tempo "46 . Più volte47 viene citata una formulazione sintetica reperibile anche nel primo libro del
Mahabharata , riecheggiante temi ben noti:
" Kala cuoce gli esseri (bhuta), Kala riassorbe la (sua) progenie, Kala è desto tra i dormienti, Kala in verità è
difficilissimo a varcarsi ".

La concisa notizia fornita dall' autore buddhista del Testo autorevole sulla spiegazione del Nirvana ascritto
al Bodhisattva (Arya-)Deva , pervenutoci soltanto in versione cinese, può esser considerata tipica di come un
tale testo è utilizzato:

" La diciassettesima classe di pensatori eterodossi, i Kalavadin, insegna quanto segue: " Kala cuoce tutti gli
elementi (bhuta), Kala produce tutte le cose e Kala disperde tutte le cose. Pertanto nella nostra dottrina
s'insegna che, pur se uno fosse trafitto da centinaia di frecce, senza Kala costui non morrebbe; Ma
essendovi Kala, pur se fosse toccato da un filo d'erba morrebbe. Kala produce tutte le cose, Kala cuoce tutte
le cose, e Kala distrugge tutte le cose. Non vi è nulla che sia al di là di Kala." Sicché i Kalavadin insegnano
che Kala è eterno, che origina tutte le cose e che è detto la causa del Nirvana ."48

Non vi è nulla tra gli elementi di questa visione, a parte il ruolo soteriologico riconosciuto alla figura divina di Kala ("
Nirvana " sta qui per la liberazione dal ciclo delle rinascite), che emerga come una vera novità: le tessere del
mosaico appartengono allo sfondo vedico ed epico, che fornisce anche la chiave del loro montaggio, seguendo le
linee d'una riflessione sovente tutt'altro che tecnicamente rigorosa, come quella che siamo venuti brevemente
esemplificando. La stessa preoccupazione apparentemente "scientifica" in cui ci siamo imbattuti, che mira a
cogliere l'articolazione del tempo passandone in rivista le divisioni fino alle più infinitesime, è in sintonia con l'antica
riflessione sull'Anno; negli inni apotropaici che invocano con mille e otto o cento e otto epiteti il Sole, dio che con l'
Anno è ancora identificato in età classica, figurano, elencate in bell'ordine, le stesse designazioni dei diversi
periodi temporali.

***

E' da notare come, al contrario di quanto apparentemente avveniva per il Kalavada, gli sviluppi dottrinali anzitutto
eterodossi nella prima età del pensiero indiano sistematico, i quali si propongono di render Kala oggetto d'indagine
razionale allo stesso titolo di altri topoi antichi ritenuti specialmente significativi, prescindessero volentieri dal
carattere divino tradizionalmente ascrittogli: al Tempo subentra ormai in essi il tempo. Un' esemplificazione di tale
approccio è reperibile nella elaborazione dogmatica jainistica, in cui il tempo, completamente de-sacralizzato, è
venuto ad aggiungersi abbastanza presto come sesto alle originarie categorie del reale/ corporeo (astikaya),
considerato come una delle varietà di sostanze (dravya) non viventi. In questo sistema di pensiero la sostanza
che forma lo spazio (akasa) e quella del tempo (kala), per quanto presenti ovunque nell'universo senza intervalli di
vuoto, constano di una indefinita moltitudine di unità giustapposte, rispettivamente corrispondenti alla minima
porzione indivisibile di spazio (pradesa , lett. "luogo"), individuata come quella occupata da un atomo (anu, lett.
"sottile, piccolissimo"), ed all'attimo indivisibile(ksana, lett. " transeunte, che subito si distrugge "), individuato
come l'unità di tempo durante cui un atomo, spostandosi con la massima lentezza, percorre un pradesa49. Gli
attimi (ciascuno dei quali è eterno, ad onta del loro nome, invisibile, inattivo e informe), sono presenti nei diversi
pradesa (del pari eterni), nessuno dei quali ne è privo, simili ad una sterminata raccolta di minuscole gemme
contigue e distinte: dalla loro presenza dipende il mutamento che in tali unità spaziali si compie. Il prodursi della
cottura del riso in acqua bollente offre un esempio di questa funzione: il mutamento che si produce insensibilmente
durante questo processo può essere inferito dal suo esito, il riso bollito, evidentemente alterato rispetto al riso
crudo prima che la cottura iniziasse. Questo mutamento è insieme temporale e localizzato, sicché i moti del Sole
attraverso il cielo, normalmente identificati con Kala, sono insufficienti a spiegarlo. Occorre postulare una
sostanza la cui continua presenza (vartana) nel luogo del processo ne renda possibile le fasi. Giova qui ricordare
che il tempo nella visione jainistica è affiancato da altri due quasi-continua , del pari pervadenti lo spazio e
tecnicamente denominati dharma ed adharma, considerati responsabili di moto e quiete rispettivamente. Il
sistema isola così, sdoppiandola, la seconda funzione altrove ascritta al tempo, quella di rendere possibile e di
misurare appunto il moto. L' universo essendo di dimensioni finite, fuori di esso vi è il vuoto assoluto e né la
sostanza spaziale, né quella temporale, né gli altri due quasi-continua ora accennati vi sono presenti. E' ancora
possibile in questa presentazione cosmologica così asettica e minuziosamente "scientifica", cogliere qualche
traccia dell'antico orizzone della speculazione mitica? Anzitutto vi è l'eternità della sostanza-tempo, che immette
nel sistema una classica caratteristica del tempo personalizzato, una caratteristica del resto difesa, come si è
detto, anche da parte degli esponenti del Nyaya-Vaisesika. In secondo luogo, l'esempio della cottura riprende il
modus operandi caratteristico del Tempo, presente anche nella strofe paradigmatica del Kalavada che abbiamo
dianzi riportata e mostra la dipendenza della stessa riflessione sistematica eterodossadai modelli consacrati della
tradizione. Ancora, è specialmente rilevante la scelta del ruolo di "catalizzatore" del mutamento per il tempo: sono
con questa privilegiate le antiche valenze di Kala connesse alla produzione, all'invecchiamento e alla distruzione
degli esseri, che senza mutamento sarebbero affatto impossibili.

Nella parallela teorizzazione buddhistica è proprio questo aspetto dell' operare del Tempo/ Morte a costituire un
centro privilegiato di riflessione: da un lato, il mondo è presentato qui soggetto al dominio di un Maligno che è
chiamato "Colui che fa morire", e " il Nero"50, personaggio che con ogni mezzo cerca di trattenere gli esseri entro
l'eterno, inconcludente ripetersi delle stesse esperienze dolorose; dall'altro, proprio il mutamento continuo di tutte
le cose e il loro correlativo venir meno sono proposti alla considerazione dell' asceta desideroso di liberazione
allorché egli si volge all' analisi impietosa dell'esperienza. Il disagio esistenziale (duhkha) che vizia radicalmente
ogni forma di essa dipende anzitutto dalla presenza universale della morte, ed anzi dalla "morte attimo per attimo"
(ksanikamarana) che accompagna il continuo fluire di fenomeni corporei e mentali che l'uomo prende per un Sé
permanente. Quanto al tempo in se stesso, le posizioni variano da una "setta" all'altra: alla dottrina della sua
eternità/perpetuità, in sintonia con il pensiero d' importanti scuole non buddhistiche51, s'opporrà l'ardita
costruzione dei Sarvastivadin, che riducono la realtà ad un succedersi di attimi (ksana) continuamente nascenti e
precipitanti nel nulla: il tempo diviene identico agli eventi puntiformi, dotati di efficacia e capaci di agire su altri
eventi a differenza del passato e del futuro, la cui realtà non è negata, ma resta in una sorta di limbo metafisico delle
essenze (svabhava) di contro al concreto esserci (bhava) dell'attimo52. Queste concezioni accompagneranno lo
sviluppo della formidabile metafisica istantaneista del Buddhismo del Grande Veicolo, negatrice della
sostanzialità del tempo così come dell'universo esteriore e pronta tuttavia a servire di base per imprevisti recuperi
come quello (avvenuto verso il +1000) della scuola tantrica del Kalacakra ("Ruota del Tempo"), in cui lo stesso
Assoluto nelle vesti del Buddha primordiale (Adi-buddha) assume i tratti d'una sintesi della Vacuità universale e
degli aspetti relativi dell' esperire , questi ultimi essendo riassunti appunto sotto l'etichetta di Kala. Un altro esempio
di sopravvivenza delle più antiche valenze entro la vasta pluralità di dottrine teorizzanti un tempo più o meno
impersonale diffuse nel mondo indiano in età classica ci è fornito dal celebre trattato di filosofia del linguaggio di
Bhartrhari (+450 circa) noto comeVakyapadiya , nel capitolo sul tempo (Kalasamuddesa ) della sua terza parte:
qui vengono vivacemente passate in rivista e scartate tutta una serie di posizioni dottrinali correnti al'epoca dell'
autore, egli stesso, data la sua indubbia originalità, non ricollegabile a scuola alcuna, ma che giunge alla fine a de-
temporalizzare il tempo stesso :

" Taluni espongono Kala in (termini di) totale distinzione rispetto all' agire/ moto , perenne, uno, sostanza
(dravya)onnipervadente, misura per i possessori d' attività/moto (kriya). Le unità di lunghezza, capacità e
peso etc. 53 s' applicano alle suddivisioni relative ad oggetti dotati di aspetto esteriore (murtibheda), ma Kala
alle suddivisioni relative all' attività/ moto : un'enumerazione (samkhya) è il presupposto delle suddivisioni
quanto ad ogni cosa. Rispetto al sorgere, al permanere e altresì al venir meno di quelli che ne (di kriya)son
forniti, solo Kala han dichiarato aver funzione di causa estrinseca (nimitta), esso che permane in se stesso
diviso. Lo espongono come un burattinaio che regga i fili (sutradhara) di questa macchina dell' universo: in
dipendenza da lui, a seconda che lo impedisca o consenta, il tutto è reso oggetto di suddivisioni. S'egli (di
volta in volta) non impedisse e non rimuovesse l'impedimento, le fasi (d'un processo: avastha) si
confonderebbero, rese prive d' anteriorità e posteriorità (. . .) Egli, Kala, con dei continui risollevamenti simili a
quelli prodotti dal rotare d'una ruota ad acqua spingendo/trascinando (kalayan)tutte le cose, ottiene
(appunto)il nome di "Kala", che tutto pervade. E quelle operazioni/ unzioni (vrtti) molteplici dell'universo che
da lui sono (prima)impedite, queste appunto egli (poi) consente, come fa con gli uccelli il filo ( . . .) A quel
modo che una corrente trascina via fili d'erba, foglie, liane etc., Kala pone in essere (via via) delle misure/fasi
(matra) per quelli che son forniti di misure. A quel modo che il Vento, essendo penetrato (in essi) propizia i
moti (di traslazione: gati) per coloro che son forniti di moti, così l'intima realtà di Kala (Kalatman)opera la
gradualità (dei processi in natura: kramarupatam). Le distinzioni relative all' iter (del Sole verso settentrione e
meridione: ayana), gli spostamenti fissi dei luminari (jyotis), il venir meno e il prodursi degli esseri
(bhuta)sono ricollegati strettamente a lui. E quante modificazioni di misure/ fasi vi sono, seguono il volgersi
di Kala. Quanto a quelli che son detti asterismi (lunari, i naksatra), i pianeti (con i loro spostamenti)in essi ad
uno ad uno non fanno che fungere da segni. (. . .)Quello ch'è questo rifulger manifesto (del cosmo)è veduto
come se attraversasse una serie di fasi (kramavan iva), pur essendo l'universo privo di fasi; ciò è
malvagiamente operato (vicestita)da Kala . A quel modo che l' accertamento di lontananza e vicinanza ha
per base la via (da percorrere), l' accertamento d'una durata lunga o breve ha per base Kala. Le tre apparenti
suddivisioni di questo Kala in realtà indiviso (scilicet passato, presente e futuro) è ben certo che sono create in
dipendenza dall'attività/ moto entro la prospettiva convenzionale corrente (vyavahara), esse che il mondo
/volgo è incapace di varcare (. . .) Per taluni vi sono soltanto due vie della potenza di Kala onnipervadente:
con queste due egli opera il dispiegarsi e il ripiegarsi degli esseri. Alcuni insegnano ch'egli, suddiviso per sua
natura in parti oggettivamente distinte, è caratterizzato da una sintesi (illusoria di esse) operata dall'intelletto.
Ch'egli dipenda dal potere dell'esperienza (soggettiva, jn*ananugatasakti) o che realmente sussista all'
esterno (di essa), senza aver fatto ricorso all'intima natura di Kala è impossibile operare entro la prospettiva
convenzionale corrente (. . .) La concezione relativa a Kala è diversa, a seconda che lo si veda come
potenza, come mente o come Divinità . Essa è (in ogni caso)il primum entro la sfera della nescienza, che
nella conoscenza non alligna. "54

L'unità di Kala difesa in queste pagine contro le vecchie concezioni della sua struttura composita non deve
ingannarci: siamo di fronte ancora una volta al tirannico dominatore del mondo e delle vite individuali, che assume i
tratti del Grande Burattinaio intento a muovere la immensa macchina dell'universo. Gli esseri sono suoi prigionieri
impotenti come uccellini dalle zampe legate che di volta in volta l' ammaestratore lascia svolazzare o trattiene.
Esso promuove l'illusione cosmica del divenire nei confronti d'un Essere in realtà privo di distinzioni e di fasi, e tale
sua attività è malvagia, un gioco crudele cui solo il sapiente riesce a sottrarsi, negando, con la contemplazione
dell'Assoluto indifferenziato, lo spettacolo variopinto del divenire e la stessa presenza d'una successione entro la
misteriosa realtà del tempo. Questa opzione radicalmente innovatrice di Bhartrhari anticipa in certo modo le
posizioni del Vedanta non-dualistico nella sua impostazione più matura. Anche qui si giungerà a negare la visione
corrente del tempo, ma attraverso la constatazione ch'esso è soltanto uno pseudo-concetto: Ciò che
sperimentiamo effettivamente sono soltanto i moti del Sole in relazione ai moti di altri oggetti, osserverà il dialettico
Citsukha (+ 1280 circa), volgendo contro i "realisti" la loro concezione di un tempo oggettivamente reale, inferibile
appunto a partire dalla relazione con tali moti dei diversi eventi da essi misurati. Non v'è, invece, egli argomenta,
alcun bisogno di una cosa chiamata "tempo" per metterli in relazione: l'Assoluto stesso, immanente come Sé
cosciente in tutti gli esseri, da cui l'illusione dei diversi oggetti dipende per presentarsi a noi, basta a coordinarla:

" Dal momento che v'è un armonizzarsi del moto tutt'attorno (parispanda)del Sole e delle relazioni coerenti
dei corpi materiali (pindasangati) soltanto in virtù della viva coscienza dell' Onnipervadente, come Kala potrà
esser stabilito? "55

L'antica aspirazione a cuocere il Tempo è qui portata ai suoi esiti ultimi: solo la Coscienza sussiste.

NOTE

1 Bhagavadgita XI, 32. E' degno di nota il frequente richiamo al passo in discorso da parte di esponenti dell'
intellegentsjia occidentale, ad es il fisico Oppenhaimer nella descrizione della prima esplosione atomica a Los
Alamos o il "profeta" della droga Leary nella rievocazione della sua prima esperienza con l' LSD. La dichiarazione
di Krsna trasfigurato è anticipata in X, 33 s.: " Io in persona sono l' imperituro Kala , l'Ordinatore Io, dal viso ovunque
rivolto, e la Morte che tutto rapisce Io (...) ".

2 "Kala"è ricondotto dalle etimologie tradizionali ad una radice kal- che ha il senso di " contare, misurare", ma
sembra in realtà rappresentare la coincidenza di due aggettivi omofoni, uno significane " nocivo", l'altro "scuro,
nero". Quest' ultimo significato è identico a quello del nome stesso di K.rsna ! Una volta passato ad indicare il
tempo, "Kala" ha acquisito altre valenze semantiche: così il termine, oltre che al tempo cronologico, si riferisce in
sanscrito classico al tempo atmosferico. Per una più dettagliata presentazione degli aspetti "sinistri" di Kala e del
suo dominio, cfr Mario Piantelli, "La concezione del tempo nell'esperienza dell'Induismo ", in Sergio Quinzio (a
cura di), Tempo e Apocalisse. Atti dell'incontro 19-20 settembre, Monastero di Montebello, SPES, Milazzo,
1985, pp. 117-156.

3 Rgveda X , 129, 2. " Né Morte era, né Non-morte allora, né vi era segno distintivo di giorno e notte. Respirava
senza vento per il proprio stesso potere Quello, l'Uno. Al di fuori di esso null'altro era. "

4 XIX, 53 e 54. Cfr per una diversa versione dei due inni Jean Varenne, Le Veda, premier livre sacré de l' Inde,
Tome Second, Marabout Université 1967, pp. 538 ss.

5 Rasmi; vi è qui un gioco di parole con il termine omofono che significa "raggio di luce ". Il Sole è collegato ai pianeti
da sette raggi.
6 Aksa; cfr il lat. axis; vi è qui un gioco di parole con il termine omofono che significa "occhio". Il Sole, come anche il
dio Indra, ha mille occhi.

7 Kavi; il termine designa sia i veggenti ispirati cui sono ascritti gl'inni vedici, che il loro prototipo divino.

8Scilicet d'acqua consacrata, ingrediente importante di molti rituali. E' possibile che si alluda qui ad un ricettacolo
delle acque celesti, versate al momento delle piogge.

9 Si tratta del pradaksina, circumambulazione in senso orario attorno ad un oggetto di culto che costituisce un
momento importante di molti rituali, assimilante l'officiante al Sole .

10 Rispettivamente bhuta e bhavya, designazioni in età classica del passato e del futuro.

11 E' questa una manifestazione della loro insipienza, giacché esso comporta in realtà il loro invecchiare e venir
meno. Il tema è spesso ripetuto, ad esempio a proposito del succedersi delle Aurore e delle Stagioni, e resterà un
topos ben noto dell' apoftegmatica indiana successiva .

12 Il Tapas, una potenza impersonale connessa all'ascesi, responsabile della cosmogonia.

13 Probabile designazione del dio Prajapati.

14 Qui il termine denota ancora soltanto una potenza dispensatrice di realtà ed efficacia, tramite i testi rituali, agli
dèi e all'ordine cosmico; solo in seguito, con le upanisad , il termine giungerà in alcuni contesti a denotare l'
Assoluto.

15 Isvara , epiteto in età successiva di Siva e poi di Dio in generale.

16 Lett. " Signore di progenie", il Demiurgo tardovedico, identificato con l'Anno e con il Sacrificio.

17 Paramesthin, epiteto di Prajapati come Veggente cui è ascritto il Nasadiyasukta .

18 V'è qui un'eco d' Atharvaveda XIII, 2:"Rohita (il Sole) fu Kala, Rohita in principio Prajapati".

19 Lett. "Tartaruga", figura di veggente padre di uomini, dèi e svariate specie animali.

20 Si tratta di personaggi semidivini che presentano una lontana parentela con figure occidentali quali
rispettivamente i centauri ellenici (che han conservato lo stesso epiteto) e le valkirie norrene.

21 Archetipo divino di sacerdote del fuoco ch'è il mitico diaschevaste dell' Atharvaveda .

22 VI, 14 s Per un'analisi più dettagliata del passo, cfr Benimadhab


Barua, A History of Pre-Buddhistic Indian
Philosophy , Calcutta 1921, Reprint Motilal Banarsidass, 1981, pp. 206 ss.

23 Lett. "batter d'occhio" , un tempuscolo corrispondente a 3/77 di un periodo di 48 minuti (il muhurta). Non si tratta
certo della più piccola unità temporale indiana: un nimesa corrisponde a 3 lava, un lava a 3 vedha o 7 stoka; uno
stoka a 7 ucchvasa e così via decrescendo fino all'attimo ultimo (anu o ksana), pari a 1/54.657.000 muhurta. In
pratica l' attimo, facendo ricorso all' astrologia e alle misure temporali ch'essa fornisce, viene equiparato al
tempuscolo in cui una stella, corpo visibile ma puntiforme, descrive un arco infinitesimo eguale alla propria stessa
estensione (truti), pari a 1/ 33750 secondi. Cfr Kumar Kishore Mandal, A Comparative Study of the Concepts
of Space and Time in Indian Thought , Chowkamba, Varanasi, 1968, pp. 32 s.; 108 s.

24Cfr. il latino Ignis; si tratta del Fuoco personificato, deità connessa al sacrificio e al Sole, che signoreggia il Sud-
Est : il Sole nel suo corso si sposta verso questa direzione da Giugno a Dicembre.

25 Cfr. il greco Ouranos; si tratta del Signore del cielo notturno e delle acque, che signoreggia l'Ovest: il Sole si
sposta verso questa direzione da Dicembre a Giugno.
26 Uno dei 27 asterismi lunari, attraversati anche dal Sole nel corso dell'anno, sito nella costellazione del Leone.

27 Asterismo nella costellazione del Delfino.

28 Asterismo nella costellazione dell' Idra.

29Si tratta d'una bevanda sacra deificata, connessa alla Luna e alle acque, che signoreggia il Nord-Ovest, in
posizione opposta rispetto ad Agni sulla rosa dei venti indiana.

30 Ogni frazione corrispondendo esattamente ad un quarto di asterismo.

31 Atman; il termine, in origine designante il soffio vitale, è passato a quasi-sinonimo del pronome riflessivo sva
e
designa talora la persona fisica di un uomo o una divinità; nella prospettiva upanisadica, abbastanza presto, esso è
giunto a designare invece la coscienza del soggetto come nucleo immutabile della persona.

32 Epiteto dell' Oceano divinizzato.

33 Savitr o Savitar, invocato con questo nome nella celebre formula in metro gayatri recitata tre volte al dì dai
brahmani: Tat savitur varenyam bhargo devasya dhimahi dhiyo yo nah. pracodayat (" Meditiamo su
quella gloria eccellente del Dio Impulsore, il quale possa incitare a procedere innanzi i nostri intelletti").

34 Cfr. Karl Potter (edited by), Encyclopedia of Indian Philososophies, vol. II: Indian Metaphysics and
Epistemology: the Tradition of Nyaya- Vaisesika up to Gangesa , Princeton University Press e Motilal
Banarsidass, 1977, pp. 90 s. e 363 s.

35 Strofe 2.

36 Dei singoli esseri: svabhava, lett. " esser proprio ".

37 Scilicet di fattori concomitanti: niyati , la necessità predicata dai sostenitori d'un determinismo assoluto come
Gosala Maskariputra, contemporaneo del Jina e del Buddha, fondatore della scuola degli Ajivika. Un testo
relativamente tardivo come lo Yogavasistha (+1000 / 1100) presenta la Niyati come sposa del Tempo / Morte e
l'identifica con Cand.i, una forma di Kali.

38 Lett. " quale garba " (yadrccha); si tratta della nozione opposta alla precedente.

39 Bhuta; si tratta dei quattro elementi noti anche in Occidente, aria, fuoco, acqua e terra, cui in età classica si
affiancherà come quintessenza la sostanza sottile che ricolma lo spazio (akasa).

40 III, 1; 8 s ; 15 ss; 23.

41 Cfr. S. Samburskye SPines, The Concept of Time in Late Neoplatonism, The Israel Academy of Sciences
and Humanities, 1987, e segnatamente alle pp. 11 ss.; Richard Sorabji, Time, Creation

& the Continuum,Theories in Antiquity and the Early Middle Ages, Duckworth, 1983, pp. 20 ss.

42 Dio vedico Signore della tempesta, divenuto qui semplice designazione poetica del monsone.

43 Guna, lett. "fili" di cui è composto un cordone; si tratta delle tre componenti della Natura, ciascuna predominante
in una delle figure della triade funzionale indiana, che subito dopo verranno citate: il rajas , legato all'attività, il
sattva, connesso alla mente e alla serenità, ed il tamas, tenebroso ed opaco.

44 XII, 25 s - app. 53 ss- ; 231 ss

45 E la riporta Giuseppe Tucci, Storia della filosofia indiana, Laterza 1957,pp. 365 s.
46 Kalakaranikah. pauranikah. : così una strofe citata da Bhat .t .otpada commentando la Brhatkatha .

47Ad es. da Gaudapada nel suo commento alle Samkhyakaika ; dal jaina Silanka nel suo commento all' Acaranga ;
dall'esponente del Vedanta non-dualistico Anandajn*ana nell'esposizione della glossa in versi di Suresvara al
commento di Sankara alla Brhadaranyakopanisad . Cfr. Barua, op. cit. , p. 203 n. 1 e Hajime Nakamura, A
History of Early Vedanta Philosophy, Part one, Motilal Banarsidass 1983, pp. 172 e 179, n. 29

48 Cfr. Nakamura, op . cit. , p. 172.

49 La nozione non è soltanto jiainistica: così ad esnel sistema dello Yoga Vyasa (tra +500 e +650 circa) considera il
tempuscolo più breve come quello impiegato da una particella infra-atomica (tanmatra) a spostarsi d' uno spazio
eguale a quello da essa occupato, mentre il maestro visnuita Madhva (1199-1278), fondatore d'una scuola
vedantica dualistica, richiama la nozione dell' attimo (samaya) come il tempo impiegato da un atomo (anu) a
passare al di là di un altro atomo. Cfr. Surendranath Dasgupta, Natural science of the Ancient Hindus , Indian
Council of Philosophical Research, 1987, p. 45.

50 Rispettivamente Mara e Kan*n*a la forma pali di K.rsna; cfr la n. 2 supra . Per un'analisi della figura divina in
questione e in genere degli aspetti negativi del mutamento nell'ottica buddhistica, cfr. Mario Piantelli, " Il
problema del male e della sofferenza nel buddhismo antico" , in Liberaci dal male. Male e vie di liberazione
nelle religioni , EMI 1983, pp.85 ss.

51 E' questa la posizione dei Darstantikae dei Vibhajyavadin. Cfr. André Bareau, Le sectes bouddhiques du
Petit Véhicule, E'cole Française d'Extre^me- Orient, 1955, pp. 163 § 30 e 176 § 33. Si noterà che qui il tempo (kala)
è considerato una sostanza (dravya) a se stante.

52 E' questa la tesi del maestro Vasumitra (+ 200), divenuta fondamentale nella ortodossia della scuola dei
Sarvastivadin attraverso il Gran Commento (la Mahavibhasa ) redatto sotto la sua direzione. La realtà in senso
forte è dunque l'istante presente, dotato di una sua pur minima durata. Questa sarà negata con rigorosa e
paradossale logica dai Sautrantika. Sull'istantaneismo buddhista, cfr per tutti Katsumi Mimaki, La réfutation
bouddhique de la permanence des choses (Sthirasiddhidusana) et la preuve de la momentanéité des
choses (K.sanabhangasiddhi) , Institut de Civilisation indienne, 1976.

53 Distiprasthasuvarnadi. La disti, lett. "(parte) in assegnazione ", è una misura di lunghezza, il prastha, lett.
"estensione", una misura di capacità per liquidi e il suvarna, lett. "oro", una misura di peso in uso presso i gioiellieri.
Mutatis mutandis, possono esser paragonati a metro, litro e grammo.

54 Strofe1-5; 14-15; 41- 44; 46-48; 56-58; 62 . Seguo il testo sanscrito stabilito da Peri Sarveswara Sharma, The
Kalasamuddesa of Bhartrhari's Vakyapadiya together with Helaraja's commentary , Motilal Banarsidass
1972.

55 Cit. in Ashutosh Bhattacharyya, Studies in Post-Sankara Dialectics, Calcutta 1936, Reprint Sri Satguru
publications 1986, p. 167 n. 1.

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