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(3) Non è mancato però neppure chi, in un tentativo di conciliazione delle due opposte
linee esegetiche, abbia creduto di poter scorgere nei Magna Moralia un corso aristotelico,
ma redatto da un discepolo (così R. J. Schächer, Studien zu den Ethiken des Corpus Aristote-
licum, 2 voll., Paderborn 1940).
Una rassegna critica di queste tesi fino al 1931 e, in generale, della posizione dei Magna
Moralia rispetto alle altre due Etiche presenti nel corpus degli scritti aristotelici è stata fornita
da A. Mansion, Autour des Étiques attribuées à Aristote, «Revue de Philosophie de Louvain»
33 (1931), pp. 80-107; 216-236; 360-380.
2
È opportuno segnalare alcuni dei principali motivi in forza dei quali è stata sostenuta
l'inautenticità dei Magna Moralia.
(1) Innanzitutto rilevi di natura stilistica. E, primo tra questi, la forma letteraria dello
scritto. È stato cosi fatto valere in chiave detrattiva il fatto che l’opera è redatta in una forma
schematica, di breve respiro, anzi, fin troppo analitica, come per l’appunto è proprio di un
«wissenschaftliches Handbuch», secondo l’espressione usata da R. Walzer (Magna Moralia
und die aristotelische Ethik, Neue Philologische Untersuchungen hsg. von Werner Jaeger, 7
Helft, Weidman, Berlin 1929, p. 13), ben diversa da quella più fluente e organica dell’Etica
Nicomachea (così, per esempio, L. Lersch, Die Sprachphilosophie der Alten, H. B. König,
Bonn, 1838, pp. 14 s. e H. Steinthal, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen
und Romen, mit besonderer Rücksicht auf die Logik, Berlin 1863; rist. anast., Cambridge
University Press, Cambridge 2013, pp. 23 s.).
(2) Lungo questa medesima linea Walzer ha altresì posto l’accento sull’interesse etimo-
logico e grammaticale che caratterizza i Magna Moralia, in una sensibile differenza dall’Eti-
ca Eudemia e, soprattutto, dall’Etica Nicomachea, un interesse che a suo avviso ricollega lo
scritto a quell’attenzione alla alla schematizzazione terminologica, alla gram-
matica e alla retorica quali peculiarità che s’attestano negli Stoici e nel Peripato teofrasteo
che di stoicismo era pervaso (R, Walzer, Magna Moralia, cit., pp. 159 ss.; in particolare
p. 161 dove si Walzer scrive che «die Priorität der begrifflichen Untersuchung zeigt auch
Theofrast» e cita Hist. Plant., 1, 2, 6).
(3) Nell’ottica complessivamente inerente alla schematicità dei Magna Moralia un
posto del tutto particolare va riservato ai rilievi sull’uso dei sillogismi. Già ad avviso del
Ramsauer, nella seconda metà dell’Ottocento, il loro impiego nel trattato testimonierebbe
una semplificazione (che in alcuni casi avrebbe persino raggiunto la stilizzazione manieri-
stica) incompatibile con la vivezza delle argomentazioni aristoteliche, e in particolare con
quelle formulate nell’Etica Nicomachea. In questo i Magna Moralia rivelerebbero di essere
lo scritto di un discepolo il quale, propostosi d’imitare il maestro, ne avrebbe seguito pe-
dissequamente, dal più al meno, la forma logica senza saper innervare su di essa lo spirito
aristotelico. Egli, insomma, attribuiva ai Magna Moralia il difetto di adottare la forma
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E MAGNA MORALIA…
sillogistica per il solo gusto di un formalismo a sé stante, del tutto sganciato dalla vivezza
della disamina in corso, in contrasto con l’uso che Aristotele faceva di questa struttura argo-
mentativa (G. Ramsauer, Zur Charakteristik der aristotelischen Magna Moralia, Oldenburg
1958; ristampato con un’introduzione di F. Dirlmeier, F. Fromann, Stuttgart 1961, pp.
96 ss.). La tesi, per la verità, formulata in questi termini non ebbe molto successo, anche
perché, oltre a essere visibilmente eccessiva, lo studioso mancava di mettere a confronto
passi paralleli dei Magna Moralia e dell’Etica Nicomachea (cfr. in proposito Von Arnim,
1926, p. 27). Va rilevato a questo proposito come a buona ragione Brink abbia attribuito
notevole importanza all’uso della forma sillogistica nei Magna Moralia, la quale – egli rileva
–, soprattutto nel confronto con i sillogismi dell’Etica Nicomachea, costituisce una com-
ponente di rilevanza primaria tra gli elementi di stile peculiari dell’opera (O. Brink, Still
und Form der pseudoaristotelischen Magna Moralia, Berlin 1931; Ohlau 1933, p. 8). Trattasi
di un rilievo che smentisce in ampia misura le analisi del Ramsauer nel quadro della sua
stessa linea esegetica, giacché ad avviso del Brink i quattro sillogismi dei Magna Moralia
che prende in esame (M. M., 1183 a 1; 32; 1191 b 26; 1196 a 9) attestano l’inautenticità
dello scritto. Per parte mia, nel corso della trattazione avrò cura di documentare come l’uso
della forma sillogistica (a) s’innervi sempre nel vivo della discussine, risultando in tal modo
tutt’altro che un freddo schematismo; (b) in molti casi s’inserisca, in particolare, nel con-
testo di una discussione dialettica, e molte volte assuma la struttura dell’entimema, ossia di
un’argomentazione che per sua stessa natura, lungi dall’essere un mero esercizio scolastico, è
intesa invece a colpire l’attenzione dell’uditorio; (c) esprima in ogni circostanza un’esigenza
di rigorizzazione, contribuendo altresì, in questa valenza, non soltanto a essenzializzare
l’esposizione, ma anche a inquadrare la dottrina nella sua specifica fisionomia.
(4) L’altro elemento di stile che ad avviso di Brink testimonierebbe a favore dell’inau-
tenticità dei Magna Moralia sono le formule di passaggio o di transizione. Lo studioso,
per la verità, accentra l’attenzione su di una in particolare, la congiunzione , il cui
uso frequente darebbe subito la cifra della distanza di quest’opera dagli scritti di indubbia
paternità aristotelica, nei quali questa congiunzione s’incontra più di rado. Così scrive lo
studioso: «nelle 112 pagine della Metafisica (nell’edizione del Bekker) si contano dai 70
agli 80 casi in cui viene usata la congiunzione ; i Magna Moralia con le loro 31 pagine
tengono un terzo delle pagine della Metafisica e in essi è presente 73 volte (lo Euken
ne conta 80). Nella Fisica se ne contano 70 casi; nelle 87 pagine dell’Etica Nicomachea
soltanto 51. In scritti di densa argomentazione, assai vicini per numero di pagine ai Magna
Moralia, si ha che negli Analitici posteriori (29 pagine), è presente 45 volte; l’Etica
Eudemia, di 34 pagine, ne conta 30 casi; il De anima, di 32 pagine, ne conta 20» (Brink,
op. cit., p. 28). Argomento, a dire il vero, assai fragile; ben rintuzzato, del resto, dalla
successiva critica filologica. Scrive ad esempio A. Plebe (Il problema delle tre Etiche ari-
stoteliche, in Zeller E. – Mondolfo R., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, tr. it di
Zeller E., Die Philosophie der Griechen in ihrer Entwicklung, Leipzig 1921, parte seconda:
Da Socrate ad Aristotele, volume VI: Aristotele e i Peripatetici, a cura di A. Plebe, La Nuova
Italia, Firenze 1961, p. 131): «è ormai risultato che l’indagine stilistica, che ha prodotto
opere come quella del Brink sui Magna Moralia o del Brzoska sull’Etica Eudemia, anche
quando giunga a indicare alcune differenze tra la lingua dei Magna Moralia e quella del cor-
pus aristotelico, può tutt’al più legittimare l’ipotesi di un trascrittore peripatetico, ma non
può addurre elementi per negare che questi abbia trascritto un autentico corso di lezioni
aristoteliche diverso dall’Etica Eudemia e dell’Etica Nicomachea». Peraltro – al di là dell’im-
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Moralia hanno dedicato attenzione non tanto per se stessi, ma nel qua-
dro complessivo della questione concernente l’autenticità e la successio-
4
precisione dei numeri denunziata dal Dirlmeier (Magna Moralia, cit., p. 163) – si potrebbe
anche osservare che nella prospettiva esegetica che propongo: un’opera essoterica, dove a
un uditorio non strettamente specialistico si espongono i capisaldi del pensiero etico in una
forma concisa ed essenzializzata, l’uso più frequente di una congiunzione come è ben
congruente e, lungi dall’intaccare l’autenticità dello scritto, che comunque non si decide
in base a quest’elemento, bensì al tipo di contenuto e al modo di presentarlo, la rafforza.
, infatti, se ci si rifà al significato etimologico, costruito sul radicate che costituisce la
base glottologica dei verbi ed esprime l’idea di «consistenza
armonica», usata come «formula di passaggio» significa «in armonia con quanto detto»,
ovvero «di conseguenza». Come tale, è quanto mai opportuna a segnare, e in modo ben
marcato, una linea di continuità di discorso e un concatenamento degli argomenti senza
«appesantire» l’esposizione, che altrimenti risulterebbe inadatta e persino poco avvincente
agli uditori del tipo sopraddetto.
(5) Nel corso di una discussione che ebbe il suo fulcro tra il 1926 e il 1929, uno degli
argomenti di maggior peso addotto dai negatori della paternità aristotelica dei Maga Mora-
lia faceva forza sul rilievo che in esso sarebbero presenti trace di contaminazione dell’etica
aristotelica con dottrine stoiche, le quali ne farebbero spostare la data di composizione in
un periodo posteriore alla morte dello Stagirita, al tempo cioè dello scolarcato di Teofrasto.
(a) In un saggio del 1924 sulle tre Etiche attribuite ad Aristotele il von Arnim indivi-
duava nella classificazione dei Magna Moralia delle virtù e delle due serie di vizi per eccesso
e per difetto un’impronta letteraria di un trattato etico di Teofrasto, e da qui traeva argo-
mento per sostenere che lo scritto non poteva assegnarsi allo Stagirita (H. von Arnim Die
drei aristotelischen Ethiken, «Sitzungsb. d. Akad. d. Wiss. in Wien», Philos.-histor. Kl., 204
Bd., 2 Ab., 1924). Due anni dopo, in un saggio sul compendio della morale peripatetica di
Ario Didimo conservato in Stobeo (II, pp. 116-152, ed. Wachsmuth), lo studioso, oppo-
nendosi sia alla tesi di Diels (1879, pp. 71 ss.) secondo la quale il compendio era fortemente
contaminato di stoicismo e derivava per ampia parte da Antioco d’Ascalona, sia a quella
di H. Strache (De Arii Didymi in morali philosophia auctoritatibus [diss. Berlin], Göttingen
1909) per la quale esso era interamente basato su un’opera di Antioco, sosteneva invece che
esso costituisce un riassunto fedele della morale professata dalla scuola peripatetica e che
attingeva da un manuale antico che si rifaceva direttamente alle Etiche lasciate da Aristo-
tele e ai corsi di morale di Teofrasto. In particolare, contro la tesi di Strache, Von Arnim
dimostrava che la seconda parte del compendio (128, 10 – 152, 25), quella cioè che tratta
esplicitamente delle virtù ed è seguita da una sezione relativa all’economia e alla politica, si
connette strettamente, tramite l’opera intermediaria di Teofrasto, alla morale e alla politica
di Aristotele, e in special modo ai Magna Moralia e all’Etica Eudemia. Mostrava inoltre che
la citazione letterale di Teofrasto (pp. 140, 7 ss.) non appare in questo insieme avulsa ed
estranea al resto dello scritto, cosicché esso poteva considerarsi derivato direttamente dalla
tradizione aristotelica assunta nella sua fonte originaria e senza alcuna contaminazione pro-
veniente da successive correnti di pensiero (Von Arnim, 1926).
(b) In una recensione dello scritto arnimiano del 1924 apparsa in «Deutsche Literatur-
zeitung» il 27 maggio 1027, M. J. L. Stocks muoveva a Von Arnim, tra gli altri rimproveri,
quel d non aver messo in rapporto i Magna Moralia con i Dialoghi, ravvisando in ciò un
motivo di debolezza nei confronti delle posizioni assunte da Jaeger (Aristoteles. Grundlegung
einer Geschichte seiner Entwicklung, Berlin 1923; tr. it. di G. Calogero, Aristotele. Prime
linee di una storia della sua evoluzione spirituale, Firenze, La Nuova Italia 1935, pp. 56
266
E MAGNA MORALIA…
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trova, forse, l’espressione recente più significativa, se non altro per l’am-
piezza e la completezza della disamina che sviluppa, in un lavoro di Pier
Luigi Donini del 19653. A questa posizione farò, esplicitamente o impli-
6
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materia etica che nelle opere di scuola, e dunque nei trattati esoterici,
ha la sua prima esposizione nell’Etica Nicomachea. Insomma, i Magna
Moralia si connettono direttamente all’Etica Nicomachea in quanto pre-
sentano in una forma compiuta e rigorosa, ma, per così dire, più agile e
sobria, per via del tipo d’uditorio al quale sono destinati, le grandi tesi
morali che nell’Etica Nicomachea saranno poi riprese e organizzate per
un uditorio più ristretto quale quello degli allievi del Peripato. Certo,
nella misura in cui, come in altra occasione si è mostrato, la dottrina
dell’Etica Nicomachea non differisce da quella dell’Etica Eudemia, se non
per un’esposizione formalmente meno rigorosa e concisa (donde, si dice-
va, il carattere più maturo dal punto di vista critico e logico del secondo
trattato)6, anche tra i Magna Moralia e l’Etica Eudemia si ritrova una
9
4
Aristotele, Etica Eudemia, Introduzione, traduzione, comento e indici analitici di
Marcello Zanata; testo greco a fronte, Rizzoli, Milano 2012. L’autenticità e la posteriorità
di questo trattato rispetto all’Etica Nicomachea è l’oggetto della disamina dell’Introduzione
(Ivi, pp. 7-143).
5
Circa la questione degli «scritti essoterici» mi permetto di rinviare all’Introduzione ge-
nerale dell’edizione italiana da me curata dei Dialoghi di Aristotele (Rizzoli, Milano 2008,
pp. 23 ss.), dove sono date anche indicazioni sulla relativa bibliografia critica.
6
Cfr. Aristotele, Etica Eudemia, a cura di M. Zanatta, cit., Introduzione.
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7
E. Elorduy, Los Magna Moralia de Aristoteles, «Emerita» 7 (1936), p. 6-70.
270
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9
Sull’uso di in luogo del più frequente uso di da parte di Aristotele per indi-
care l’argomento si veda la dotta disamina condotta dal Dirlmeier, Magna Moralia, cit., pp.
149 s. Su quest’aspetto, sul quale, in linea con Ramsauer, Zur Charakteristik, cit., pp. 21
s. e Brink, Stil und form, cit., pp. 32 s., si è particolarmente soffermato Donimi, L’etica dei
Magna Moralia, cit., pp. 6-7. nota n, 10, si veda il punto n. 3 della nota 1.
10
Su questa specifica valenza del termine e sull’importanza metodologica
che l’esame dei riveste in Aristotele si veda il basilare contributo di G. E. L.
Owen, Tithenai ta phainomena, in Aa. Vv., Aristote et les problèmes de méthode. Commu-
nications présentées au Symposium Aristotelicun tenu à Louvain du 24 août à 1 septembre
1960, Louvain-La-Neuve-Paris, Éditions de l’Institut Supérieur de Philosophie 1961; 2.ème
éd.1980, pp. 83-103; rist. in G. E. L. Owen, Logic, Science and Dialectic. Collected Papers in
Greek Philosophy, edited by Martha Nussbaum, Duckworth, London 1986, pp. 239-251.
11
Ciò è stato ben messo in chiaro da Dirlmeier nella delineazione del primo capitolo
dello scritto da lui eseguita in Magna Moralia, cit., p. 149.
272
E MAGNA MORALIA…
non è conveniente mettere mano senza considerare che cosa è stato det-
to in proposito e sottoporre le relative opinioni a vaglio critico.
Da una siffatta compattezza logica il discorso trae, di conseguenza,
uno sviluppo lineare e organico. Sotto questo profilo il suo procedere
è al tempo stesso limpido nell’ossatura di fondo e rigoroso nella con-
nessine dei concetti. Un discorso, dunque, che ben si presta a essere
argomento di un corso di lezioni per un pubblico colto, ancorché non
stricto sensu specialistico.
Che esso abbia un carattere didattico è evidente già dall’esigenza
di chiarire subito all’inizio l’ambito dell’etica. Un’esigenza di classifica-
zione e d’inquadramento che risponde a un criterio del tutto consono
e pertinente alla pratica dell’insegnamento. Per prima cosa, quando si
presenta una materia, è opportuno definire lo spazio dottrinale entro il
quale si colloca, anche al fine di potersi subito valere delle connotazioni
di questo spazio per iniziare a definire le caratteristiche della materia da
trattare. È esattamente quanto si verifica nel caso in specie. Ma proprio
in ciò salta agli occhi la natura dell’uditorio.
In effetti, che esso non sia un pubblico di scienziati, ossia si speciali-
sti in senso proprio, appare distintamente dal fatto di servirsi di quelle
che nel comune modo d’intendere debbono essere le prerogative della
politica e non già dall’analisi della natura epistemica di questa disci-
plina per stabilire la connessione a essa dell’etica; con più precisione:
per dar esecuzione al compito didattico di presentare l’etica indicando
innanzitutto l’ambito nel quale si colloca e dire che essa si colloca, per
l’appunto, nella politica. Corrisponde, infatti, a un’opinione comune-
mente invalsa nella mentalità greca che la politica debba avere uno spes-
sore etico. Quest’istanza, già patrimonio del generale sentire dell’uomo
greco 13, aveva trovato conferma dottrinale, sia pur sotto profili radical-
16
12
In proposito si veda Aristote, L’Éthique à Nicomaque, Introduction, traduction et
commentaire par R. A, Gauthier et J. Y. Joliv, deuxième édition, Béatrice Nauwelaerts,
Paris-Louvain 1970, vol. II, 1, pp. 56 s.
13
Cfr. G. Reale, I problemi del pensiero antico dalle origini ad Aristotele, Celuc, Milano
1972, pp. 425 ss.
14
In proposito cfr. W. Jaeger, Paideia. Die Formng des griechischen Menschen, Berlin und
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Leipzig, Walter De Gruyter 1944; tr. it. di A. Setti, Paideia. La formazione dell’uomo greco,
La Nuova Italia, Firenze 1970, vol. I, p. 213: «“Retore”, nell’antichità classica, è ancora la
parola con cui si designa l’uomo politico, che in una democrazia doveva essere prima di
tuto oratore; e questo è il senso in cui Gorga si propone di formare “retori”».
15
Cfr. Platone, Gorgia, 452 e, dove il Sofista dichiara che la «virtù» della retorica con-
siste nel far essere «capaci di persuadere i giudici nei tribunali, i consiglieri nel Consiglio, i
membri dell’assemblea popolare nell’Assemblea e così in ogni altra riunione che si tenga fra
cittadini». E ancora 454 b: «dico, o Socrate, che la retorica produce quel tipo di persuasione
che ha luogo nei tribunali e nelle assemblee» (traduzione di G. Reale, Platone Gorgia, La
Scuola, Brescia 1966). Chiaro da queste parole l’ambito globalmente politico dell’esercizio
di tale virtù.
16
In proposito cfr., tra gli altri, K. Hildebrandt, Der Kampf des Geistes und die Macht,
Berlin 1933; tr. it.di G. Colli, Platone. La lotta dello spirito per la potenza, Einaudi, Torino
1947, pp. 159 s.
274
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agli uditori un’istanza a loro ben nota e sulla quale essi non potevano
che essere subito d’accordo. Un’istanza, dunque, che non ha bisogno di
essere dimostrata, ma che s’impone per se stessa, corrispondendo a un
endoxon.
Ben lungi, dunque, dal costituire una banale e pedissequa ripresa di
un tema aristotelico, presentato senza giustificazione alcuna ma asserito
soltanto, proprio perché iscritta in un complessivo scadimento del te-
nore speculativo dell’etica quale è normale riscontrare in un manuale,
come indebitamente hanno inteso coloro che attribuiscono la paterni-
tà dei Magna Moralia a un insulso discepolo dello Stagirita, l’asserita
pertinenza dell’etica alla politica nei termini, nel modo e sulla base dei
presupposti che si sono precisati presenta invece tutte le caratteristiche
per costituire un’attestazione eloquente dell’appartenenza dello scritto
alle opere essoteriche. In questa luce ha spicco l’impiego di un endo-
xon 17 in luogo di quella dimostrazione «scientifica», basata sul sistema
20
17
Si rammenti che Aristotele definisce come « » quelle opinioni che «sembrano a
tutti o alla massima parte o ai sapienti e, se a questi, o a tutti o alla stragrande maggioranza
o a quelli massimamente noti ed illustri» (Top., I, 1,100 b 21-23; tr. italiana di M. Zanatta,
Aristotele, Organon, Introduzione, traduzione, note e indici analitici, Utet, Torino 1966).
18
Posto, infatti, che «ogni arte e ogni ricerca scientifica e similmente ogni azione e ogni
scelta deliberata tende – tutti ne convengono – a un bene», Aristotele rileva che, «perciò a
giusta ragione si è dichiarato che il bene è ciò a cui tutte le cose tendono». Sennonché, «in
tutta evidenza, vi è una certa differenza tra i fini: alcuni, infatti, sono attività, altri certe
opere distinte dalle attività, e nelle cose di cui esistono certi fino distinti dalle attività, in
queste le opere sono per natura superiori alle attività». Ma d’altro canto, «poiché le azioni
e le arti e le scienze sono molteplici, sono molteplici anche i fini»; «ma, tra le arti, tutte
quelle che dipendono da un’unica potenzialità – come dall’equitazione dipendono l’arte di
costruire le briglie e quante altre hanno per oggetto l’equipaggiamento necessario a caval-
care; e l’equitazione e ogni azione concernente la guerra sono subordinate alla strategia; e
nello stesso modo altre arti sono subordinate ad altre –, in tutte quante, i fini di tutte le arti
architettoniche sono più degni di scelta di quelli delle arti a esse subordinate». «Pertanto, se
esiste un fine delle cose che sono oggetto d’azione che vogliamo per se stesso, e le altre cose
a causa di questo; e non scegliamo ogni cosa in vista di altre (così, infatti, si procederebbe
all’infinito, di modo che il desiderio sarebbe vuoto e inutile, è evidente che questo fine sarà
il bene, voglio dire il bene supremo» (E. N., I, 1, 1194 a 1-22; tr. it. di M. Zanatta, Aristo-
tele, Etica Nicomachea, 2 voll., Rizzoli, Milano 1986).
19
Proprio l’assenza dell’analisi del sistema dei fini nel modo dei Magna Moralia di pre-
sentare il rapporto tra l’etica e la politica costituisce, ad avviso di Donini, uno dei motivi-
275
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cardine che attesterebbero il carattere non-aristotelico del nostro scritto e, per converso,
il suo essere un banale riassunto schematico e semplicistico del modo in cui lo Stagirita
delinea detto rapporto (Donini, L’etica dei Magna Moralia, cit., pp. 4 ss.). Ma alla luce delle
considerazioni sopra svolte e nel contesto in cui i Magna Moralia vanno collocati questo
rilievo perde la carica probatoria in senso critico che l’autore pretendeva conferirgli e decade
dall’essere una prova dell’inautenticità aristotelica dello scritto.
20
Lo attesta, in modo inequivocabile, il ricorso a un endoxon quale termine su cui
appoggiare il ragionamento. Il ricorso agli endoxa costituisce, infatti, una delle note che
entrano nella connotazione della dialettica, come risulta da Top., I, 1, 100 a 18-20: «l’in-
tento della trattazione è d trovare un metodo dal quale saremo in guardo di argomentare s
giacché problema proposto a partire da endoxa» (trad. Zanatta; cfr. la nota n. 17). Sull’uso
degli endoxa nelle argomentazioni dialettiche si vedano, tra le altre, le illuminanti note di
E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-Bari 1988, poiché. 22 ss.
276
E MAGNA MORALIA…
2.1.2 In questa stessa direzione volge altresì il rilievo secondo cui oc-
corre sapere che cos’è la virtù e da quali fattori essa si origina non per
soddisfare un’esigenza puramente conoscitiva, ma al fine di praticarla,
a questo scopo essendo funzionale, e indispensabile, detta conoscenza
(1182 a 1-9). La distinzione tra scienze teoretiche e scienze pratiche è
chiaramente presente sullo sfondo del rilievo, che rivela anche in ciò
il carattere aristotelico dello scritto. Ma al tempo stesso è importante
osservare come questa dottrina che, come s’è detto, definisce l’ambito
teorico in cui l’annotazione ha rilevanza, non venga qui richiamata nel-
la sua dimensione scientifica, ma sia, per così dire, ricomposta in una
modulazione tale da renderla confacente al comune modo di pensare.
Corrisponde, infatti, a un’idea largamente diffusa che la virtù va prati-
cata, non semplicemente conosciuta.
Anche il modo di caratterizzare l’etica, nella prospettiva sopra indi-
cata, rivela una chiara tendenza dello scritto a valersi di una concezione
largamente diffusa e corrente della disciplina, non della corrispondente
nozione scientifica: indizio sintomatico del tipo di uditorio al quale si
rivolge il discorso. L’etica, infatti, come appare dalla precisazione suddet-
ta, è asserita essere disciplina ( ) che ha per oggetto i caratteri
( ). Questi, dunque, costituiscono il dominio dell’etica. E
poiché le virtù che concernono il carattere ( ) sono le virtù etiche
( ), a tutta prima potrebbe sembrare che dalla trattazione
dell’etica siano escluse le virtù dianoetiche. Ma del tutto impropriamen-
te, né è questa l’erronea conclusione che si deve trarre dalla precisazione
in oggetto. Se infatti si considera il complessivo tenore del discorso e si
prende atto che esso nel dichiarare l’appartenenza dell’etica alla politica
si vale di un’opinione comunemente ammessa (un endoxon), quell’errata
conclusione immediatamente si mostra priva non soltanto di consisten-
za teorica, ma pure di senso. Ché, le virtù che nel comune modo d’in-
tendere, sul quale poggia il rilievo, deve avere il politico per esercitare
una funzione etica attengono essenzialmente al carattere. Sono, infatti,
queste le qualità che l’opinione comune riconosce immediatamente e
primariamente come prerogative del buon politico, quelle cioè che con
maggior spicco gli attribuisce: il fatto, cioè, di essere giusto, onesto, co-
raggioso, moderato, veridico e così via, e solo in senso secondario, sem-
mai, considera le qualità intellettive: non soltanto la scienza ( ),
l’intelligenza ( ), la sapienza ( ) e l’arte ( ), ma anche la
stessa saggezza ( ), che pur, come Aristotele precisa, è la virtù
per eccellenza del politico. Ma in questo momento il discorso fa riferi-
mento a un modo d’intendere immediato e di più comune portata, non
277
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all’esito di una disamina che ora non potrebbe neppure essere accennata,
giacché non si dispone ancora dei presupposti sui quali impostarla, co-
stituiti dalla divisione delle parti dell’anima, oggetto, nell’economia dei
Magna Moralia, di una esposizione successiva 21. 24
21
Cfr. M. M., I, 13, 1102 b 29 ss.
278