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Marcello Zanatta*

1. Sui Magna Moralia gran parte della storiografia aristotelica ottocen-


tesca e novecentesca ha espresso un giudizio d’inautenticità1, conside-
*
Università della Calabria.
1
Occorre far presente che il dibattito intorno all’autenticità dei Magna Moralia – un
dibattito che in passato non lontano ha diviso gli studiosi in una polemica sovente assurta
a toni di vera acrimonia, come eloquentemente attestano, per esempio, i carteggi tra Ja-
eger, von Arnim, Walzer e Wilamowitz Möllendorf, e tutt’oggi divide gli interpreti – ha
avuto inizio nell’ultimo ventennio dell’Ottocento, quando R. C. Eucken (Die Methode der
aristotelischen Forschung, Berlin 1872) negò la paternità aristotelica del trattato. Da quel
momento la «questione» dell’inautenticità dei Magna Moralia divenne uno dei temi che
più attirarono l’attenzione degli studiosi di filologia classica e di filosofia antica. Schemati-
camente, le tesi che in proposito sono state sostenute possono così prospettarsi:
(A) fino al 1872 (quando, come s’è detto, Eucken sostenne per la prima volta l’inau-
tenticità del testo) ai Magna Moralia era attribuita paternità aristotelica. È da rilevare, però,
che una tale opinione non era il risultato di un esame critico dello scritto, in base al quale,
dalla comparazione con le opere di indubbia autenticità, si derivassero argomenti con cui
concludere che i Magna Moralia sono sicuramente opera di Aristotele. L’istanza risultava
acquisita «per tradizione» e dunque acriticamente, almeno in ampia misura.
(B) Nel corso delle polemiche che dal 1872 ebbero luogo sull’autenticità dello scritto sono
emerse posizioni contrastanti, che in un quadro generale si possono riassumere come segue:
(1) alcuni studiosi – quali Jaeger, Stoks, Kapp, Walzer, Brink e ultimamente Donini
– rifiutano decisamente di riconoscere la paternità aristotelica dei Magna Moralia, conside-
randoli invece opera tarda di un modesto discepolo dello Stagirita, sollecito ad accogliere
nel suo pensiero morale influenze sia del nascente stoicismo che del platonismo dei succes-
sori di Speusippo e Senocrate, in un mosaico ibrido, di scarso valore filosofico.
(2) Altri studiosi, invece, li ritengono autentici (così, per citare i più noti, von Arnim,
Gohlke, Elorduy, Dirlmeier). Costoro tuttavia discordano per quel che riguarda la datazio-
ne dell’opera.
(a) Taluni sostengono che i Magna Moralia furono scritti anteriormente alle altre due
Etiche, in un tempo in cui il distacco di Aristotele dalla morale platonica doveva essere
appena iniziato e quindi poco tematizzato.
(b) Altri datano invece lo scritto in un tempo in cui la critica di Aristotele all’etica di
Platone sarebbe stata in fase già avanzata – quel tempo, cioè, che intercorre tra la stesura
dell’Etica Eudemia, ritenuta essa stessa autentica, e l’Etica Nicomachea, la cui autenticità
non è mai stata messa in dubbio da alcuno.

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randoli per lo più opera di un Peripatetico il quale avrebbe pedissequa-


mente ripreso e riassunto le tesi basilari dell’etica del grande filosofo
senza comprendere, o per lo meno senza specificare ed esibire, la dina-
mica intellettuale che dall’interno le anima, il piano logico secondo cui
si sviluppano e i contesti teorici in cui s’inquadrano. Insomma, una ba-
nale silloge di scarsa importanza sotto il profilo dottrinale e interessante
invece dal punto di vista documentario delle sorti del primo Peripato e
del modo in cui, in campo etico, i suoi esponenti si rapportavano alla
dottrina del maestro2.

(3) Non è mancato però neppure chi, in un tentativo di conciliazione delle due opposte
linee esegetiche, abbia creduto di poter scorgere nei Magna Moralia un corso aristotelico,
ma redatto da un discepolo (così R. J. Schächer, Studien zu den Ethiken des Corpus Aristote-
licum, 2 voll., Paderborn 1940).
Una rassegna critica di queste tesi fino al 1931 e, in generale, della posizione dei Magna
Moralia rispetto alle altre due Etiche presenti nel corpus degli scritti aristotelici è stata fornita
da A. Mansion, Autour des Étiques attribuées à Aristote, «Revue de Philosophie de Louvain»
33 (1931), pp. 80-107; 216-236; 360-380.
2
È opportuno segnalare alcuni dei principali motivi in forza dei quali è stata sostenuta
l'inautenticità dei Magna Moralia.
(1) Innanzitutto rilevi di natura stilistica. E, primo tra questi, la forma letteraria dello
scritto. È stato cosi fatto valere in chiave detrattiva il fatto che l’opera è redatta in una forma
schematica, di breve respiro, anzi, fin troppo analitica, come per l’appunto è proprio di un
«wissenschaftliches Handbuch», secondo l’espressione usata da R. Walzer (Magna Moralia
und die aristotelische Ethik, Neue Philologische Untersuchungen hsg. von Werner Jaeger, 7
Helft, Weidman, Berlin 1929, p. 13), ben diversa da quella più fluente e organica dell’Etica
Nicomachea (così, per esempio, L. Lersch, Die Sprachphilosophie der Alten, H. B. König,
Bonn, 1838, pp. 14 s. e H. Steinthal, Geschichte der Sprachwissenschaft bei den Griechen
und Romen, mit besonderer Rücksicht auf die Logik, Berlin 1863; rist. anast., Cambridge
University Press, Cambridge 2013, pp. 23 s.).
(2) Lungo questa medesima linea Walzer ha altresì posto l’accento sull’interesse etimo-
logico e grammaticale che caratterizza i Magna Moralia, in una sensibile differenza dall’Eti-
ca Eudemia e, soprattutto, dall’Etica Nicomachea, un interesse che a suo avviso ricollega lo
scritto a quell’attenzione alla alla schematizzazione terminologica, alla gram-
matica e alla retorica quali peculiarità che s’attestano negli Stoici e nel Peripato teofrasteo
che di stoicismo era pervaso (R, Walzer, Magna Moralia, cit., pp. 159 ss.; in particolare
p. 161 dove si Walzer scrive che «die Priorität der begrifflichen Untersuchung zeigt auch
Theofrast» e cita Hist. Plant., 1, 2, 6).
(3) Nell’ottica complessivamente inerente alla schematicità dei Magna Moralia un
posto del tutto particolare va riservato ai rilievi sull’uso dei sillogismi. Già ad avviso del
Ramsauer, nella seconda metà dell’Ottocento, il loro impiego nel trattato testimonierebbe
una semplificazione (che in alcuni casi avrebbe persino raggiunto la stilizzazione manieri-
stica) incompatibile con la vivezza delle argomentazioni aristoteliche, e in particolare con
quelle formulate nell’Etica Nicomachea. In questo i Magna Moralia rivelerebbero di essere
lo scritto di un discepolo il quale, propostosi d’imitare il maestro, ne avrebbe seguito pe-
dissequamente, dal più al meno, la forma logica senza saper innervare su di essa lo spirito
aristotelico. Egli, insomma, attribuiva ai Magna Moralia il difetto di adottare la forma

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Questa posizione, nella quale in qualche modo si compendiano, in


essenza, le esegesi di illustri filologi, soprattutto tedeschi, che ai Magna
3

sillogistica per il solo gusto di un formalismo a sé stante, del tutto sganciato dalla vivezza
della disamina in corso, in contrasto con l’uso che Aristotele faceva di questa struttura argo-
mentativa (G. Ramsauer, Zur Charakteristik der aristotelischen Magna Moralia, Oldenburg
1958; ristampato con un’introduzione di F. Dirlmeier, F. Fromann, Stuttgart 1961, pp.
96 ss.). La tesi, per la verità, formulata in questi termini non ebbe molto successo, anche
perché, oltre a essere visibilmente eccessiva, lo studioso mancava di mettere a confronto
passi paralleli dei Magna Moralia e dell’Etica Nicomachea (cfr. in proposito Von Arnim,
1926, p. 27). Va rilevato a questo proposito come a buona ragione Brink abbia attribuito
notevole importanza all’uso della forma sillogistica nei Magna Moralia, la quale – egli rileva
–, soprattutto nel confronto con i sillogismi dell’Etica Nicomachea, costituisce una com-
ponente di rilevanza primaria tra gli elementi di stile peculiari dell’opera (O. Brink, Still
und Form der pseudoaristotelischen Magna Moralia, Berlin 1931; Ohlau 1933, p. 8). Trattasi
di un rilievo che smentisce in ampia misura le analisi del Ramsauer nel quadro della sua
stessa linea esegetica, giacché ad avviso del Brink i quattro sillogismi dei Magna Moralia
che prende in esame (M. M., 1183 a 1; 32; 1191 b 26; 1196 a 9) attestano l’inautenticità
dello scritto. Per parte mia, nel corso della trattazione avrò cura di documentare come l’uso
della forma sillogistica (a) s’innervi sempre nel vivo della discussine, risultando in tal modo
tutt’altro che un freddo schematismo; (b) in molti casi s’inserisca, in particolare, nel con-
testo di una discussione dialettica, e molte volte assuma la struttura dell’entimema, ossia di
un’argomentazione che per sua stessa natura, lungi dall’essere un mero esercizio scolastico, è
intesa invece a colpire l’attenzione dell’uditorio; (c) esprima in ogni circostanza un’esigenza
di rigorizzazione, contribuendo altresì, in questa valenza, non soltanto a essenzializzare
l’esposizione, ma anche a inquadrare la dottrina nella sua specifica fisionomia.
(4) L’altro elemento di stile che ad avviso di Brink testimonierebbe a favore dell’inau-
tenticità dei Magna Moralia sono le formule di passaggio o di transizione. Lo studioso,
per la verità, accentra l’attenzione su di una in particolare, la congiunzione , il cui
uso frequente darebbe subito la cifra della distanza di quest’opera dagli scritti di indubbia
paternità aristotelica, nei quali questa congiunzione s’incontra più di rado. Così scrive lo
studioso: «nelle 112 pagine della Metafisica (nell’edizione del Bekker) si contano dai 70
agli 80 casi in cui viene usata la congiunzione ; i Magna Moralia con le loro 31 pagine
tengono un terzo delle pagine della Metafisica e in essi è presente 73 volte (lo Euken
ne conta 80). Nella Fisica se ne contano 70 casi; nelle 87 pagine dell’Etica Nicomachea
soltanto 51. In scritti di densa argomentazione, assai vicini per numero di pagine ai Magna
Moralia, si ha che negli Analitici posteriori (29 pagine), è presente 45 volte; l’Etica
Eudemia, di 34 pagine, ne conta 30 casi; il De anima, di 32 pagine, ne conta 20» (Brink,
op. cit., p. 28). Argomento, a dire il vero, assai fragile; ben rintuzzato, del resto, dalla
successiva critica filologica. Scrive ad esempio A. Plebe (Il problema delle tre Etiche ari-
stoteliche, in Zeller E. – Mondolfo R., La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, tr. it di
Zeller E., Die Philosophie der Griechen in ihrer Entwicklung, Leipzig 1921, parte seconda:
Da Socrate ad Aristotele, volume VI: Aristotele e i Peripatetici, a cura di A. Plebe, La Nuova
Italia, Firenze 1961, p. 131): «è ormai risultato che l’indagine stilistica, che ha prodotto
opere come quella del Brink sui Magna Moralia o del Brzoska sull’Etica Eudemia, anche
quando giunga a indicare alcune differenze tra la lingua dei Magna Moralia e quella del cor-
pus aristotelico, può tutt’al più legittimare l’ipotesi di un trascrittore peripatetico, ma non
può addurre elementi per negare che questi abbia trascritto un autentico corso di lezioni
aristoteliche diverso dall’Etica Eudemia e dell’Etica Nicomachea». Peraltro – al di là dell’im-

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Moralia hanno dedicato attenzione non tanto per se stessi, ma nel qua-
dro complessivo della questione concernente l’autenticità e la successio-
4

precisione dei numeri denunziata dal Dirlmeier (Magna Moralia, cit., p. 163) – si potrebbe
anche osservare che nella prospettiva esegetica che propongo: un’opera essoterica, dove a
un uditorio non strettamente specialistico si espongono i capisaldi del pensiero etico in una
forma concisa ed essenzializzata, l’uso più frequente di una congiunzione come è ben
congruente e, lungi dall’intaccare l’autenticità dello scritto, che comunque non si decide
in base a quest’elemento, bensì al tipo di contenuto e al modo di presentarlo, la rafforza.
, infatti, se ci si rifà al significato etimologico, costruito sul radicate che costituisce la
base glottologica dei verbi ed esprime l’idea di «consistenza
armonica», usata come «formula di passaggio» significa «in armonia con quanto detto»,
ovvero «di conseguenza». Come tale, è quanto mai opportuna a segnare, e in modo ben
marcato, una linea di continuità di discorso e un concatenamento degli argomenti senza
«appesantire» l’esposizione, che altrimenti risulterebbe inadatta e persino poco avvincente
agli uditori del tipo sopraddetto.
(5) Nel corso di una discussione che ebbe il suo fulcro tra il 1926 e il 1929, uno degli
argomenti di maggior peso addotto dai negatori della paternità aristotelica dei Maga Mora-
lia faceva forza sul rilievo che in esso sarebbero presenti trace di contaminazione dell’etica
aristotelica con dottrine stoiche, le quali ne farebbero spostare la data di composizione in
un periodo posteriore alla morte dello Stagirita, al tempo cioè dello scolarcato di Teofrasto.
(a) In un saggio del 1924 sulle tre Etiche attribuite ad Aristotele il von Arnim indivi-
duava nella classificazione dei Magna Moralia delle virtù e delle due serie di vizi per eccesso
e per difetto un’impronta letteraria di un trattato etico di Teofrasto, e da qui traeva argo-
mento per sostenere che lo scritto non poteva assegnarsi allo Stagirita (H. von Arnim Die
drei aristotelischen Ethiken, «Sitzungsb. d. Akad. d. Wiss. in Wien», Philos.-histor. Kl., 204
Bd., 2 Ab., 1924). Due anni dopo, in un saggio sul compendio della morale peripatetica di
Ario Didimo conservato in Stobeo (II, pp. 116-152, ed. Wachsmuth), lo studioso, oppo-
nendosi sia alla tesi di Diels (1879, pp. 71 ss.) secondo la quale il compendio era fortemente
contaminato di stoicismo e derivava per ampia parte da Antioco d’Ascalona, sia a quella
di H. Strache (De Arii Didymi in morali philosophia auctoritatibus [diss. Berlin], Göttingen
1909) per la quale esso era interamente basato su un’opera di Antioco, sosteneva invece che
esso costituisce un riassunto fedele della morale professata dalla scuola peripatetica e che
attingeva da un manuale antico che si rifaceva direttamente alle Etiche lasciate da Aristo-
tele e ai corsi di morale di Teofrasto. In particolare, contro la tesi di Strache, Von Arnim
dimostrava che la seconda parte del compendio (128, 10 – 152, 25), quella cioè che tratta
esplicitamente delle virtù ed è seguita da una sezione relativa all’economia e alla politica, si
connette strettamente, tramite l’opera intermediaria di Teofrasto, alla morale e alla politica
di Aristotele, e in special modo ai Magna Moralia e all’Etica Eudemia. Mostrava inoltre che
la citazione letterale di Teofrasto (pp. 140, 7 ss.) non appare in questo insieme avulsa ed
estranea al resto dello scritto, cosicché esso poteva considerarsi derivato direttamente dalla
tradizione aristotelica assunta nella sua fonte originaria e senza alcuna contaminazione pro-
veniente da successive correnti di pensiero (Von Arnim, 1926).
(b) In una recensione dello scritto arnimiano del 1924 apparsa in «Deutsche Literatur-
zeitung» il 27 maggio 1027, M. J. L. Stocks muoveva a Von Arnim, tra gli altri rimproveri,
quel d non aver messo in rapporto i Magna Moralia con i Dialoghi, ravvisando in ciò un
motivo di debolezza nei confronti delle posizioni assunte da Jaeger (Aristoteles. Grundlegung
einer Geschichte seiner Entwicklung, Berlin 1923; tr. it. di G. Calogero, Aristotele. Prime
linee di una storia della sua evoluzione spirituale, Firenze, La Nuova Italia 1935, pp. 56

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ne cronologica delle tre Etiche attribuite dalla tradizione ad Aristotele, 5

ss.), il quale aveva tratto significativi risultati dall’applicazione di un metodo d’indagine


completamente opposto.
c) Alle critiche di Stocks, Von Arnim replicò brevemente nell’«Anzeiger» dell’Accademia
di Vienna (14 [1927], pp. 163-173).
d) Agli inizi del 1927 M. E. Kapp – il quale fin dal 1912, nella dissertazione inaugu-
rale del suo insegnamento universitario, aveva difeso l’autenticità dell’Etica Eudemia (M.
E. Kapp, Das Verhältnis der Eudemischen zur Nicomachischen Ethik, Freiburg im Breisgau
1912) – dedicò nella rivista «Gnomon» molte pagine all’analisi dello scritto arnimiano del
1924 (M. E. Kapp, recensione a Von Arnim, Die drei aristotelischen Etiken, cit., in «Gnomon
3 [1927], pp. 19-38; 73-81). Basando la sua indagine sul metodo storico-genetico, inau-
gurato da Jaeger, egli riprende, in merito ai Magna Moralia, la tesi corrente in quegli ani,
adattandola al dato che considerava come acquisito: l’evoluzione del pensiero aristotelico
dal platonismo al «peripatetismo» lungo una sequenza le cui fasi cronologiche, in sede etica,
sono segnate dalla successione Etica Eudemia, Etica Nicomachea. Ora, i Magna Moralia sono
estranei a questa linea evolutiva. Infatti sono l’opera piuttosto mediocre di un discepolo del
periodo successivo, il quale ha recepito influenze molteplici e diverse ed ha utilizzato, in un
modo poco sistematico, ora liberamente, ora con fedeltà pedissequa, le atre due Etiche.
e) Kap non ha polemizzato soltanto con Von Arnim. Nel 1926, in una nota della
12° edizione del Grundriss di Überweg, K. Praechter (Friedrich Überwegs Grundriss der
Geschichte der Philosophie des Altertums, 12° edizione, Berlin 1926, p. 370, nota n. 1) aveva
dichiarato il suo accordo in linea di principio con le opinioni di Von Arnim in merito ai
magna Moralia, pur limitandone la portata. In sostanza egli sosteneva che la tesi dell’au-
tenticità del trattato è valida, ma non per lo scritto tale e quale noi possediamo, ma per
una composizione più corta di esso, di contenuto pressoché identico. A tale conclusione
Praechter giungeva ragionando sulle citazioni a Mentore (M. M., 1197 b 21) e a Dario (M.
M., 1212 a 4), che a suo avviso non potevano concepirsi altrimenti se non riconoscendo
la paternità aristotelica dei passi che le contengono. Al tempo stesso asseriva che lo stato
della dottrina risponde in certi punti a una situazione spirituale che denota la presenza assai
vicina di Platone, così da ipotizzare una redazione pristina dello scritto. Ma più tardi questa
prima redazione aristotelica dovette essere ripresa e rielaborata da un discepolo, che le ha
lasciato un’impronta personale, come attestano certe particolarità di stile.
Ebbene, Kapp, alla fine della sua recensione dello studio del 1924 di Von Arnim, si
sofferma sulla tesi di Praechter osservando che l’interpretazione che egli propone s’appoggia
su riferimenti storici che riportano la datazione dello scritto a un periodo molto posteriore
agli eventi presi in considerazione (Kapp, recensione a Von Arnim, Die drei aristotelischen
Etiken, cit., p. 80). Contesta inoltre a Praecter e a Von Arnim, assertori della tesi secondo
cui il primo capitolo dei Magna Moralia pone in luce un’adesione alla teoria platonica delle
Idee, che ciò che l’autore concede in M.M., 1183 a 30 non è affatto la teoria delle Idee, ma
semplicemente che in uno studio sul bene dev’esserci spazio per parlare dell’idea del bene:
ché, in sede critica, dove non si tratta del bene in generale, ma del bene umano, realizzabile
nella prassi, una tale discussine sarebbe inutile (Ibid.).
f ) Von Arnim ha replicato a Kapp in un lungo articolo pubblicato su Rheinisches Mu-
seum für Philologie nel quale, assumendo esclusivamente posizioni difensive, esamina detta-
gliatamente le critiche mossegli dal detrattore e ne contesta la validità (H. Von Arnim, Die
Echtheit der Großen Ethik des Aristoteles, «Rheinisches Museum für Philologie», N. F. 76,
Bd. 2 u. 3 Heft, pp. 113-137; 225-253). Particolarmente interessante nell’ottica dell’esegesi
che qui si propone la disamina di Von Arnim intesa a mostrare che la divisione dei beni

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trova, forse, l’espressione recente più significativa, se non altro per l’am-
piezza e la completezza della disamina che sviluppa, in un lavoro di Pier
Luigi Donini del 19653. A questa posizione farò, esplicitamente o impli-
6

citamente, costante riferimento nell’analisi esegetica che qui propongo


dei Magna Moralia quale termine contrastivo in riferimento al quale
documentare l’opposta posizione che intendo sostenere, seguendo peral-
tro, nello svilupparla, la stessa via percorsa da Donini (oltre che da altri
eminenti studiosi), e cioè il confronto critico con l’Etica Nicomachea.
Certo, la prospettiva che anche su questo specifico punto e per questo
determinato aspetto separa il mio modo d’intendere il confronto tra le

in e si ritrova in Stobeo (II, 134, 20 ss.) e nei Magna Moralia


(1183 b 19 ss.), e che Alessandro di Afrodisia nel suo commento ai Topici (p. 274, 42 Br. =
fr. 113 Ross) la presenta come proveniente da Aristotele (tale rilievo, del resto, Von Arnim
aveva già sviluppato in Arius Didymus‘ Abriss der peripatetischen Ethik, «Sitzungsb. d. Akad.
d. Wiss. in Wien», Philos.-histor. Kl., 204 Bd., 3 Ab, 1926, p. 51). E poiché tale dottrina
è assente sia dall’Etica Nicomachea che dall’Etica Eudemia, dalle quali, dunque, l’autore
dei Magna Moralia non poteva averla attinta, traeva la conclusione che la testimonianza di
Alessandro manifesta tuta la sua importanza nell’avallare che i Magna Moralia medesimi, ai
quali essa si riferisce come opera dello Stagirita, non possono essere uno scritto del Peripato
post-aristotelico.
g) Nel 1929, tre ani dopo la sua pubblicazione, lo studio di Von Arnim sul compendio
di Ario Didimo veniva fatto oggetto di una serrata critica da parte di R. Walzer (Walzer,
Magna Moralia und die aristotelische Ethik, cit.). A Von Arnim egli muove innanzitutto
un rimprovero di ordine metodologico: anziché dilungarsi nella ricerca delle fonti antiche
sarebbe stato più adeguato sottoporre a vaglio critico il testo dell’epitome. Del quale, ad
avviso di Walzer, nonostante l’apparente unità di composizione e una certa coerenza delle
parti nell’assunto d’insieme, non vi è ragione di mantenere l’unità delle fonti. Ogni passo
deve così essere considerato a parte, onde esaminare in che misura è suscettibile d’essere
ricondotto a Teofrasto e al suo tempo. Ebbene, l’analisi, indirizzata in questo senso, porta
a concludere che tutte le sezioni dello scritto vanno intese in questa prospettiva. Parallela-
mente Walzer mette in luce come tracce di contaminazione stoica sano rintracciabili nelle
divisioni delle virtù morali operate dettagliatamente da Ario Didimo (pp. 146, 15 – 146,
21, ed. Waschmut). Non si tratta né della pura dottrina stoica, né di quella di Aristotele,
bensì di una commistione, talvolta così sottile da essere quasi impercettibile, per la quale
si tende a fondere tra loro due visioni eterogenee e che è impossibile far risalire all’epoca di
Teofrasto (Ivi, pp. 217-219). Di conseguenza, la fonte principale di dette divisioni dev’esse-
re riportata a un periodo considerevolmente posteriore, e deve corrispondere a scritti la cui
esatta data di composizione non può essere ulteriormente precisata (Ivi, p. 219).
Per parte mia, ritengo che se la disamina che propongo sarà in grado di mostrare con
sufficiente rigore e attendibilità teorica la corrispondenza delle dottrine trattate nei Magna
Moralia con quelle delle altre due Etiche e, in particolare, dell’Etica Nicomachea, la più
vicina in ordine cronologico alla prima esposizione morale costituita per l’appunto dai
Magna Moralia, come in altra occasione ho cercato di mostrare, anche le riserve circa la
«contaminazione» stoica sono destinate ipso facto a cadere.
3
P. L. Donini, L’etica dei Magna Moralia, Torino, Giappichelli 1965.

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due opere da quello degli studiosi suddetti è profondamente diversa.


Donini e gli interpreti lungo la cui linea esegetica egli si colloca, vedono,
infatti, nell’Etica Nicomachea, l’espressione più matura e dottrinalmente
più completa della dottrina morale di Aristotele. Al contrario, in una
recente edizione dell’Etica Eudemia mi sono sforzato di mostrare come
questo trattato e non già l’Etica Nicomachea rappresenti l’opera in cui il
pensiero dello Stagirita in campo morale trova la sua formulazione più
rigorosa e compiuta, e che è da datarsi posteriormente all’Etica Nico-
machea4. Dunque, il confronto tra i Magna Moralia e quest’ultima che
7

per gli studiosi sopraddetti è interessante al fine di valutare la dottrina


dei Magna Moralia alla luce della redazione più completa dell’etica di
Aristotele, nella logica e nell’impianto dell’esegesi che qui propongo ha
rilevanza, invece, in rapporto alla tesi, che intendo provare, secondo cui
il nostro scritto costituisce l’esposizione organicamente ordinata per un
corso di lezioni rivolte a un uditorio più vasto di quello della scuola –
ossia uno scritto qualificabile come opera essoterica5 – di tutta quella
8

materia etica che nelle opere di scuola, e dunque nei trattati esoterici,
ha la sua prima esposizione nell’Etica Nicomachea. Insomma, i Magna
Moralia si connettono direttamente all’Etica Nicomachea in quanto pre-
sentano in una forma compiuta e rigorosa, ma, per così dire, più agile e
sobria, per via del tipo d’uditorio al quale sono destinati, le grandi tesi
morali che nell’Etica Nicomachea saranno poi riprese e organizzate per
un uditorio più ristretto quale quello degli allievi del Peripato. Certo,
nella misura in cui, come in altra occasione si è mostrato, la dottrina
dell’Etica Nicomachea non differisce da quella dell’Etica Eudemia, se non
per un’esposizione formalmente meno rigorosa e concisa (donde, si dice-
va, il carattere più maturo dal punto di vista critico e logico del secondo
trattato)6, anche tra i Magna Moralia e l’Etica Eudemia si ritrova una
9

puntuale convergenza dottrinale. Ma, al fine di provarne l’autentica pa-


ternità aristotelica e nel quadro dei rapporti cronologici or ora abbozzato
è evidente che il confronto va effettuato innanzitutto e primariamente
con l’Etica Nicomachea. Giacché questa è la prima redazione nella forma

4
Aristotele, Etica Eudemia, Introduzione, traduzione, comento e indici analitici di
Marcello Zanata; testo greco a fronte, Rizzoli, Milano 2012. L’autenticità e la posteriorità
di questo trattato rispetto all’Etica Nicomachea è l’oggetto della disamina dell’Introduzione
(Ivi, pp. 7-143).
5
Circa la questione degli «scritti essoterici» mi permetto di rinviare all’Introduzione ge-
nerale dell’edizione italiana da me curata dei Dialoghi di Aristotele (Rizzoli, Milano 2008,
pp. 23 ss.), dove sono date anche indicazioni sulla relativa bibliografia critica.
6
Cfr. Aristotele, Etica Eudemia, a cura di M. Zanatta, cit., Introduzione.

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di trattato di scuola di una materia che nei Magna Moralia è esposta in


modo da adattarsi alle prerogative di un uditorio di più vasta composi-
zione che non quello strettamente limitato ai filosofi peripatetici.

1.1 Questa diversa collocazione cronologica del rapporto tra i Magna


Moralia e le altre due Etiche aristoteliche e, in particolare, l’accentua-
zione del carattere sistematico e organico che in essi va riconosciuto
all’esposizione della materia, segnano altresì i tratti maggiormente dif-
ferenzianti l’esegesi dello scritto che qui propongo da quella dell’Elor-
duy 7, che pure vi ha scorto e in esso ha individuato un’opera essoteri-
10

ca dello Stagirita. Ma, prigioniero anch’egli dell’ipotesi evolutiva del


pensiero aristotelico e, in particolare, della concezione secondo cui gli
scritti essoterici presentano una dottrina diversa da quella dei trattati
di scuola, sia perché legata ancora alle tesi di Platone, che ne rappre-
sentano il termine primario di costante riferimento, sia per la minore
radicalità d’impianto che le sorregge, ha scorto nei Magna Moralia un
abbozzo, per così dire, stemperato e fiacco delle gradi tesi professate
dallo Stagirita in campo morale. Ond’è che, mentre da un lato allo
scritto veniva riconosciuta la dignità e l’importanza di un’opera auten-
ticamente aristotelica, dall’altro la si relegava al livello di una trattazione
il cui interesse fondamentale e primario consiste nel documentare il
momento iniziale di un percorso evolutivo i cui esiti vanno raffrontati
alle dottrine di questa trattazione stessa al fine di renderne visibile le
differenze e il mutamento del punto di vista.
Va forse rintracciato in questo modo di leggere e prospettare l’ap-
partenenza dei Magna Moralia alle opere essoteriche di Aristotele, in
ultima analisi alla caratura che secondo l’impostazione evolutiva della
filosofia dello Stagirita viene data a queste opere stesse, la scarsa atten-
zione riscossa dall’ipotesi di Elorduy circa i Magna Moralia quali scritto
essoterico. Un’ipotesi esegetica che, per contro, qui viene ripresa, ma
sulla base di ben altre motivazioni che non quella di presentare una dot-
trina morale inizialmente professata e destinata poi a essere superata, e
una dottrina carente di quel vigore proprio delle tesi etiche dell’Aristo-
tele maestro nel Peripato.

1.2 In una presentazione globale, che l’analisi di un passaggio di parti-


colare rilevo dei Magna Moralia intende portare come prova, in attesa

7
E. Elorduy, Los Magna Moralia de Aristoteles, «Emerita» 7 (1936), p. 6-70.

270
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di una disamina più ampia dell’opera che si sta conducendo 8, possiamo 11

indicare gli aspetti che inducono ragionevolmente a collocare i Magna


Moralia tra gli scritti essoterici nei seguenti tratti loro peculiari:
- nel carattere complessivamente colloquiale del discorso, attestato
innanzitutto dalla presentazione degli argomenti in una forma più
immediata e sciolta, per la quale, in particolare, il nesso di con-
sequenzialità che lega il susseguirsi dei temi è lasciato il più delle
volte intendere all’uditore, al fine di non gravare l’esposizione con
puntualizzazioni che potrebbero anche far perdere di vista il lineare
svilupparsi dell’analisi o, comunque, renderla più pesante e meno
attraente, e l’uso, invece, di formule di transizione quali «dopo ciò
occorre trattare di …»;
- nel fatto che questo stesso modo di passare da un tema all’altro met-
te altresì bene in chiaro, assieme all’unità complessiva della materia
così presentata, lo scandirsi di essa in più momenti, corrispondenti
al susseguirsi delle lezioni del corso;
- nella maggiore sinteticità delle argomentazioni, attestata innanzi-
tutto dal mancato impiego di prosillogismi e, comunque, di dimo-
strazioni introdotte al fine di giustificarne le premesse, senza che
per questo né il loro rigore logico venga minimamente intaccato,
né risultino tralasciati, in esse, momenti ed elementi basilari della
dottrina dell’Etica Nicomachea;
- nell’impiego degli stessi metodi usati nell’Etica Nicomachea (e
nell’Etica Eudemia), ma contrassegnati da una maggiore evidenza sul
piano espositivo, sì che un uditorio costituito anche da non esperti
potesse più agevolmente cogliere i passaggi del ragionamento. Una
caratteristica, questa in oggetto, che attiene all’impiego sia delle pro-
cedure del metodo dialettico, a partire dalla maggiore sinteticità ed
essenzialità della discussione dei e, in particolare, delle
opinioni contrarie, sia del metodo apodittico, eloquentemente atte-
stata dalla maggiore sobrietà delle dimostrazioni.
Insomma, nei Magna Moralia sono rintracciabili i medesimi con-
tenuti dottrinali e gli stessi metodi di analisi dell’Etica Nicomachea (e
dell’Etica Eudemia); è altresì rilevabile un perfetto rigore logico del-
8
Mi riferisco all’edizione dell’edizione italiana dei Magna Moralia che ho in corso di
pubblicazione per i tipi dell’editore Mimesis di Milano. Nella monografia introduttiva di
quest’edizione le conclusioni che qui si presentano quale esito risultante dall’analisi di uno
specifico problema saranno raggiunte e ribadite sulla base di un’indagine estesa a tutte le
tesi dei Magna Moralia, poste a confronto col modo in cui esse vengono raggiunte e pre-
sentate nell’Etica Nicomachea e nell’Etica Eudemia.

271
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le argomentazioni in corrispondenza al metodo secondo cui esse sono


condotte; ma al tempo stesso saltano agli occhi la maggiore sinteticità
espositiva e il modo più immediato di presentare la materia. Ora, se le
prime due caratteristiche sono atte a garantire la paternità aristotelica
dello scritto, la terza ne mette in rilievo una configurazione complessiva
che è tipica delle opere essoteriche dello Stagirita.

2. I lineamenti di quest’impianto si scorgono, nettissimi, già nell’impo-


stazione del problema morale quale è delineato all’esordio dello scritto.
In un discorso del tutto lineare e saldamente compatto nella sequen-
za dei concetti, (1) innanzitutto si pone che l’etica è parte della politica
(1181 a 26: ); (2) indi, che occorre trattare
delle virtù (1182 a 1: […] ) 9; (3) infine 12

si fa presente la necessità di esaminare i corrispondenti phainomena,


ossia le tesi che in proposito sono state sostenute (1282 a 10-11:
) 10. 13

Il collegamento tra queste tre istanze è intrinseco allo sviluppo di


ciascuna di esse 11, per cui la compattezza deriva al discorso dal suo in-
14

terno e non gli è, invece, conferita da riflessioni di contorno, esterne al


suo declinarsi. È possibile fare politica con successo – si precisa – sol-
tanto se si è persona dabbene ( ; 1181 a 26-28), e si è persona
dabbene se si possiedono le virtù (1181 b 1: ), ossia un
carattere moralmente buono (1181 b 24-25: ).
Da qui, dunque, la necessità che il discorso morale tratti della virtù, e
ne tratti non soltanto al fine di conoscerla (istanza, questa, che è una
costante della riflessione morale dello Stagirita. La si ritrova identica in

9
Sull’uso di in luogo del più frequente uso di da parte di Aristotele per indi-
care l’argomento si veda la dotta disamina condotta dal Dirlmeier, Magna Moralia, cit., pp.
149 s. Su quest’aspetto, sul quale, in linea con Ramsauer, Zur Charakteristik, cit., pp. 21
s. e Brink, Stil und form, cit., pp. 32 s., si è particolarmente soffermato Donimi, L’etica dei
Magna Moralia, cit., pp. 6-7. nota n, 10, si veda il punto n. 3 della nota 1.
10
Su questa specifica valenza del termine e sull’importanza metodologica
che l’esame dei riveste in Aristotele si veda il basilare contributo di G. E. L.
Owen, Tithenai ta phainomena, in Aa. Vv., Aristote et les problèmes de méthode. Commu-
nications présentées au Symposium Aristotelicun tenu à Louvain du 24 août à 1 septembre
1960, Louvain-La-Neuve-Paris, Éditions de l’Institut Supérieur de Philosophie 1961; 2.ème
éd.1980, pp. 83-103; rist. in G. E. L. Owen, Logic, Science and Dialectic. Collected Papers in
Greek Philosophy, edited by Martha Nussbaum, Duckworth, London 1986, pp. 239-251.
11
Ciò è stato ben messo in chiaro da Dirlmeier nella delineazione del primo capitolo
dello scritto da lui eseguita in Magna Moralia, cit., p. 149.

272
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E. N., II, 2, 1103 b 26-29 12), ma di poterla praticare. Compito al quale


15

non è conveniente mettere mano senza considerare che cosa è stato det-
to in proposito e sottoporre le relative opinioni a vaglio critico.
Da una siffatta compattezza logica il discorso trae, di conseguenza,
uno sviluppo lineare e organico. Sotto questo profilo il suo procedere
è al tempo stesso limpido nell’ossatura di fondo e rigoroso nella con-
nessine dei concetti. Un discorso, dunque, che ben si presta a essere
argomento di un corso di lezioni per un pubblico colto, ancorché non
stricto sensu specialistico.
Che esso abbia un carattere didattico è evidente già dall’esigenza
di chiarire subito all’inizio l’ambito dell’etica. Un’esigenza di classifica-
zione e d’inquadramento che risponde a un criterio del tutto consono
e pertinente alla pratica dell’insegnamento. Per prima cosa, quando si
presenta una materia, è opportuno definire lo spazio dottrinale entro il
quale si colloca, anche al fine di potersi subito valere delle connotazioni
di questo spazio per iniziare a definire le caratteristiche della materia da
trattare. È esattamente quanto si verifica nel caso in specie. Ma proprio
in ciò salta agli occhi la natura dell’uditorio.
In effetti, che esso non sia un pubblico di scienziati, ossia si speciali-
sti in senso proprio, appare distintamente dal fatto di servirsi di quelle
che nel comune modo d’intendere debbono essere le prerogative della
politica e non già dall’analisi della natura epistemica di questa disci-
plina per stabilire la connessione a essa dell’etica; con più precisione:
per dar esecuzione al compito didattico di presentare l’etica indicando
innanzitutto l’ambito nel quale si colloca e dire che essa si colloca, per
l’appunto, nella politica. Corrisponde, infatti, a un’opinione comune-
mente invalsa nella mentalità greca che la politica debba avere uno spes-
sore etico. Quest’istanza, già patrimonio del generale sentire dell’uomo
greco 13, aveva trovato conferma dottrinale, sia pur sotto profili radical-
16

mente differenti nell’esito, ma identici, per così dire, nell’origine, tanto


nei Sofisti che in Platone, sì da diventare altresì patrimonio dell’uomo
di cultura. È noto, infatti, che i Sofisti – a partire da Protagora e Gorgia
– si presentavano come maestri di virtù, e la virtù cui facevano riferi-
mento era esattamente la virtù politica 14. È quanto in modo del tutto
17

12
In proposito si veda Aristote, L’Éthique à Nicomaque, Introduction, traduction et
commentaire par R. A, Gauthier et J. Y. Joliv, deuxième édition, Béatrice Nauwelaerts,
Paris-Louvain 1970, vol. II, 1, pp. 56 s.
13
Cfr. G. Reale, I problemi del pensiero antico dalle origini ad Aristotele, Celuc, Milano
1972, pp. 425 ss.
14
In proposito cfr. W. Jaeger, Paideia. Die Formng des griechischen Menschen, Berlin und

273
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paradigmatico appare dal discorso che Platone mette in bocca Gorgia


nell’omonimo dialogo 15. E poco importa che qui «virtù (
18
)» val-
ga fondamentalmente come «abilità», come «valentia» nel condurre i
discorsi, esplicantesi nel saper parlare in modo convincente, e che in
questa precisa connotazione sia priva, almeno in linea generale, di quel-
la dimensione etica che ha, invece, e in maniera essenziale, in Platone.
Ciò su cui in questo momento interessa fissare l’attenzione è che per tali
filosofi la virtù si connette strutturalmente con la politica e che lungo
questa direzione si è diretto il contributo che essi hanno dato alla cultu-
ra e alla formazione delle classi intellettuali. Per Platone, al contrario, in
linea con l’insegnamento socratico, la virtù ha una valenza ad un tempo
etica e conoscitiva – etica in quanto si connette alla conoscenza del bene
–, e proprio per questo si lega strutturalmente alla politica, la quale è in
essenza paideia, educazione dei cittadini ai valori morali 16. Tale il com- 19

pito che primariamente compete al legislatore, ossia all’uomo politico,


ed è questo il motivo per il quale, a suo vedere, l’unico vero politico
che Atene ebbe fu Socrate, il quale – paradossalmente – non si occupò
mai di politica nel senso di una diretta attività di governo, ma spese la
sua vita intera a educare i concittadini. La dimensione eminentemente
etica della politica, e il conseguente nesso strutturale tra politica e virtù,
salta qui agli occhi non meno che nella prospettiva dei Sofisti, ancorché
orientata in una opposta direzione, e non meno che nella prospettiva
dei Sofisti contribuì a costituire un patrimonio dell’uomo di cultura.
Ecco pertanto che i Magna Moralia, ponendo che l’etica s’inqua-
dra nella politica perché la politica stessa ha costitutivamente una di-
mensione etica e, in particolare, esige che chi se ne occupa sia persona
dabbene ( ), ossia di buoni costumi, non fa che presentare

Leipzig, Walter De Gruyter 1944; tr. it. di A. Setti, Paideia. La formazione dell’uomo greco,
La Nuova Italia, Firenze 1970, vol. I, p. 213: «“Retore”, nell’antichità classica, è ancora la
parola con cui si designa l’uomo politico, che in una democrazia doveva essere prima di
tuto oratore; e questo è il senso in cui Gorga si propone di formare “retori”».
15
Cfr. Platone, Gorgia, 452 e, dove il Sofista dichiara che la «virtù» della retorica con-
siste nel far essere «capaci di persuadere i giudici nei tribunali, i consiglieri nel Consiglio, i
membri dell’assemblea popolare nell’Assemblea e così in ogni altra riunione che si tenga fra
cittadini». E ancora 454 b: «dico, o Socrate, che la retorica produce quel tipo di persuasione
che ha luogo nei tribunali e nelle assemblee» (traduzione di G. Reale, Platone Gorgia, La
Scuola, Brescia 1966). Chiaro da queste parole l’ambito globalmente politico dell’esercizio
di tale virtù.
16
In proposito cfr., tra gli altri, K. Hildebrandt, Der Kampf des Geistes und die Macht,
Berlin 1933; tr. it.di G. Colli, Platone. La lotta dello spirito per la potenza, Einaudi, Torino
1947, pp. 159 s.

274
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agli uditori un’istanza a loro ben nota e sulla quale essi non potevano
che essere subito d’accordo. Un’istanza, dunque, che non ha bisogno di
essere dimostrata, ma che s’impone per se stessa, corrispondendo a un
endoxon.
Ben lungi, dunque, dal costituire una banale e pedissequa ripresa di
un tema aristotelico, presentato senza giustificazione alcuna ma asserito
soltanto, proprio perché iscritta in un complessivo scadimento del te-
nore speculativo dell’etica quale è normale riscontrare in un manuale,
come indebitamente hanno inteso coloro che attribuiscono la paterni-
tà dei Magna Moralia a un insulso discepolo dello Stagirita, l’asserita
pertinenza dell’etica alla politica nei termini, nel modo e sulla base dei
presupposti che si sono precisati presenta invece tutte le caratteristiche
per costituire un’attestazione eloquente dell’appartenenza dello scritto
alle opere essoteriche. In questa luce ha spicco l’impiego di un endo-
xon 17 in luogo di quella dimostrazione «scientifica», basata sul sistema
20

dei fini, sulla quale si fonda la «dimostrazione» dell’iscriversi dell’etica


nella politica che compare nell’Etica Nicomachea 18: più pesante, meno
21

attraente, meno incisiva e persino inutile se valutata nell’ottica di una


puntualizzazione sistematica di una tesi già ampiamente nota a chi
ascolta e da costui risaputa e condivisa 19. 22

17
Si rammenti che Aristotele definisce come « » quelle opinioni che «sembrano a
tutti o alla massima parte o ai sapienti e, se a questi, o a tutti o alla stragrande maggioranza
o a quelli massimamente noti ed illustri» (Top., I, 1,100 b 21-23; tr. italiana di M. Zanatta,
Aristotele, Organon, Introduzione, traduzione, note e indici analitici, Utet, Torino 1966).
18
Posto, infatti, che «ogni arte e ogni ricerca scientifica e similmente ogni azione e ogni
scelta deliberata tende – tutti ne convengono – a un bene», Aristotele rileva che, «perciò a
giusta ragione si è dichiarato che il bene è ciò a cui tutte le cose tendono». Sennonché, «in
tutta evidenza, vi è una certa differenza tra i fini: alcuni, infatti, sono attività, altri certe
opere distinte dalle attività, e nelle cose di cui esistono certi fino distinti dalle attività, in
queste le opere sono per natura superiori alle attività». Ma d’altro canto, «poiché le azioni
e le arti e le scienze sono molteplici, sono molteplici anche i fini»; «ma, tra le arti, tutte
quelle che dipendono da un’unica potenzialità – come dall’equitazione dipendono l’arte di
costruire le briglie e quante altre hanno per oggetto l’equipaggiamento necessario a caval-
care; e l’equitazione e ogni azione concernente la guerra sono subordinate alla strategia; e
nello stesso modo altre arti sono subordinate ad altre –, in tutte quante, i fini di tutte le arti
architettoniche sono più degni di scelta di quelli delle arti a esse subordinate». «Pertanto, se
esiste un fine delle cose che sono oggetto d’azione che vogliamo per se stesso, e le altre cose
a causa di questo; e non scegliamo ogni cosa in vista di altre (così, infatti, si procederebbe
all’infinito, di modo che il desiderio sarebbe vuoto e inutile, è evidente che questo fine sarà
il bene, voglio dire il bene supremo» (E. N., I, 1, 1194 a 1-22; tr. it. di M. Zanatta, Aristo-
tele, Etica Nicomachea, 2 voll., Rizzoli, Milano 1986).
19
Proprio l’assenza dell’analisi del sistema dei fini nel modo dei Magna Moralia di pre-
sentare il rapporto tra l’etica e la politica costituisce, ad avviso di Donini, uno dei motivi-

275
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Il rilievo mette peraltro sul tappeto in termini altrettanto chiari ed


eloquenti il massiccio impiego nei Magna Moralia, attestato fin dal
capitolo iniziale, del metodo dialettico 20 e del suo coniugarsi con la
23

deduzione, che è procedimento ben marcato nel passaggio dalla prima


alla seconda istanza. Quest’alternanza o, più precisamente, l’impiego
in materia etica di entrambi i metodi attesta una sostanziale affinità
dei Magna Moralia all’Etica Nicomchea, e con ciò la forte plausibilità
che entrambi gli scritti abbiano per autore il medesimo soggetto, e cioè
Aristotele.

2.1 Ma lungo questa medesima linea due ulteriori rilievi s’impongono.

2.1.1 Innanzitutto mette conto fissare l’attenzione sulla massima preci-


sazione che nei Magna Moralia viene data del rapporto di appartenenza
dell’etica alla politica, una precisazione che, a ben vedere, rappresen-
ta una puntualizzazione più determinata e radicale di questo rapporto
stesso in quanto ne specifica la natura e ne mette in luce la portata.
Infatti, non ci si limita a dire che l’etica è «parte della politica» (1181 a
26: ), ma si precisa che, se questo vige perché
la politica stessa deve avere carattere etico, allora la parte che in essa oc-
cupa l’etica è una parte «principiale», ossia di fondamento; talché l’etica
«è parte e principio della politica» (1181 b 25-26: […]
). Ora, nella misura in
cui l’iscriversi dell’etica nell’ambito della politica è istanza indiscuti-
bilmente aristotelica, la precisazione suddetta, con la definizione della
natura di un tale rapporto, rappresenta una testimonianza del carattere
aristotelico dello scritto.

cardine che attesterebbero il carattere non-aristotelico del nostro scritto e, per converso,
il suo essere un banale riassunto schematico e semplicistico del modo in cui lo Stagirita
delinea detto rapporto (Donini, L’etica dei Magna Moralia, cit., pp. 4 ss.). Ma alla luce delle
considerazioni sopra svolte e nel contesto in cui i Magna Moralia vanno collocati questo
rilievo perde la carica probatoria in senso critico che l’autore pretendeva conferirgli e decade
dall’essere una prova dell’inautenticità aristotelica dello scritto.
20
Lo attesta, in modo inequivocabile, il ricorso a un endoxon quale termine su cui
appoggiare il ragionamento. Il ricorso agli endoxa costituisce, infatti, una delle note che
entrano nella connotazione della dialettica, come risulta da Top., I, 1, 100 a 18-20: «l’in-
tento della trattazione è d trovare un metodo dal quale saremo in guardo di argomentare s
giacché problema proposto a partire da endoxa» (trad. Zanatta; cfr. la nota n. 17). Sull’uso
degli endoxa nelle argomentazioni dialettiche si vedano, tra le altre, le illuminanti note di
E. Berti, Le ragioni di Aristotele, Laterza, Roma-Bari 1988, poiché. 22 ss.

276
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2.1.2 In questa stessa direzione volge altresì il rilievo secondo cui oc-
corre sapere che cos’è la virtù e da quali fattori essa si origina non per
soddisfare un’esigenza puramente conoscitiva, ma al fine di praticarla,
a questo scopo essendo funzionale, e indispensabile, detta conoscenza
(1182 a 1-9). La distinzione tra scienze teoretiche e scienze pratiche è
chiaramente presente sullo sfondo del rilievo, che rivela anche in ciò
il carattere aristotelico dello scritto. Ma al tempo stesso è importante
osservare come questa dottrina che, come s’è detto, definisce l’ambito
teorico in cui l’annotazione ha rilevanza, non venga qui richiamata nel-
la sua dimensione scientifica, ma sia, per così dire, ricomposta in una
modulazione tale da renderla confacente al comune modo di pensare.
Corrisponde, infatti, a un’idea largamente diffusa che la virtù va prati-
cata, non semplicemente conosciuta.
Anche il modo di caratterizzare l’etica, nella prospettiva sopra indi-
cata, rivela una chiara tendenza dello scritto a valersi di una concezione
largamente diffusa e corrente della disciplina, non della corrispondente
nozione scientifica: indizio sintomatico del tipo di uditorio al quale si
rivolge il discorso. L’etica, infatti, come appare dalla precisazione suddet-
ta, è asserita essere disciplina ( ) che ha per oggetto i caratteri
( ). Questi, dunque, costituiscono il dominio dell’etica. E
poiché le virtù che concernono il carattere ( ) sono le virtù etiche
( ), a tutta prima potrebbe sembrare che dalla trattazione
dell’etica siano escluse le virtù dianoetiche. Ma del tutto impropriamen-
te, né è questa l’erronea conclusione che si deve trarre dalla precisazione
in oggetto. Se infatti si considera il complessivo tenore del discorso e si
prende atto che esso nel dichiarare l’appartenenza dell’etica alla politica
si vale di un’opinione comunemente ammessa (un endoxon), quell’errata
conclusione immediatamente si mostra priva non soltanto di consisten-
za teorica, ma pure di senso. Ché, le virtù che nel comune modo d’in-
tendere, sul quale poggia il rilievo, deve avere il politico per esercitare
una funzione etica attengono essenzialmente al carattere. Sono, infatti,
queste le qualità che l’opinione comune riconosce immediatamente e
primariamente come prerogative del buon politico, quelle cioè che con
maggior spicco gli attribuisce: il fatto, cioè, di essere giusto, onesto, co-
raggioso, moderato, veridico e così via, e solo in senso secondario, sem-
mai, considera le qualità intellettive: non soltanto la scienza ( ),
l’intelligenza ( ), la sapienza ( ) e l’arte ( ), ma anche la
stessa saggezza ( ), che pur, come Aristotele precisa, è la virtù
per eccellenza del politico. Ma in questo momento il discorso fa riferi-
mento a un modo d’intendere immediato e di più comune portata, non

277
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all’esito di una disamina che ora non potrebbe neppure essere accennata,
giacché non si dispone ancora dei presupposti sui quali impostarla, co-
stituiti dalla divisione delle parti dell’anima, oggetto, nell’economia dei
Magna Moralia, di una esposizione successiva 21. 24

21
Cfr. M. M., I, 13, 1102 b 29 ss.

278

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