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INTRODUZIONE

Lo studio qui presentato nasce dalla lettura spirituale del libro di Padre Herbert Alphonso,
La vocazione personale, che riguarda il principio unificatore di tutta la vita dell’uomo, il
personalissimo volto di Cristo che nella relazione con Dio libera la persona per il cammino di
santificazione. L’idea centrale del lavoro svolto, quindi, ruota attorno a questo concetto, quasi
sconosciuto ai teologi di oggi: quando si parla di elezione e vocazione troppo spesso ci si limita
agli argomenti della grazia o alla diversità di stati di vita tra cui può scegliere il cristiano.

La questione della vocazione personale è ben più profonda, tocca le intime corde
dell’umanità e, se fosse un argomento più frequentato, potrebbe dare nuovo slancio e vigore
alla qualità della testimonianza cristiana. Essa può dare libertà perché trascende i ruoli e le
posizioni, riguarda trasversalmente tutta la dimensione umana e può trasformare interamente
l’uomo e le sue azioni.

Nel contesto comune il termine “elezione” ricorda, quasi sempre, quella di tipo politico.
Questo accostamento rischia di impoverire il senso biblico della nozione, perché presenta due
tipi di riduzionismo. In primo luogo, l’elezione è vista in senso attivo da una sola parte, quella
di colui che elegge: l’eletto non compie nulla, riceve passivamente l’investitura dei cittadini.
La prima riduzione consiste, quindi, nella non circolarità dell’elezione, poiché comprende
solamente una scelta, quella compiuta da un soggetto verso l’altro, che si qualifica come
semplice oggetto inattivo. L’elezione cristiana, si vedrà, concepisce una seconda scelta,
compiuta da colui che è inizialmente passivo, l’uomo, verso l’agente principale che è Dio.

Il secondo riduzionismo intacca la gratuità della scelta di Dio: i cittadini eleggono i loro
rappresentanti perché, solitamente, promettono qualcosa o, al limite, possiedono determinate
posizioni o idee favorevoli all’elettore. Dio, invece, sceglie l’uomo gratuitamente, al di là di
qualsiasi capacità o qualità egli abbia. Ancor più preoccupante, poi, è la dinamica che oggi
2
sembra andare per la maggiore, cioè la scelta della “divinità migliore”: il credente non sceglie
Cristo perché offre più vantaggi degli altri in questa vita, ma in virtù dell’amore del Signore
che lo ha conquistato. Scopo dello scritto qui presentato sarà proprio di combattere queste due
riduzioni che compromettono una seria e profonda comprensione della vocazione personale.

Nel primo capitolo si mostrerà lo sfondo teologico della questione: l’orizzonte biblico nel
quale è inserito, ossia il rapporto di elezione tra Dio ed il popolo dell’alleanza e, più in genere,
con l’uomo. In seguito ed in maniera molto breve data la natura sintetica di questo lavoro,
verranno esposte le posizioni di due dei più importanti teologi del ‘900 sulla questione: Hans
Urs von Balthasar e Karl Rahner. Essi hanno posizioni opposte, ma entrambi dedicano grande
rilevanza all’elezione divina, nel primo caso in relazione alla missione, nel secondo con una
grande caratterizzazione antropologica. Il terzo aspetto che verrà evidenziato è quello
sacramentale, con particolare menzione del battesimo, momento concreto in cui il cristiano
riceve il nome nuovo della sua vocazione (o elezione, i due termini saranno usati come sinonimi
d’ora in poi).

Il secondo capitolo compirà un decisivo passo nella presentazione della vocazione


personale del cristiano. Con l’aiuto dello scritto di Alphonso e di alcuni contributi di natura
soprattutto teologico-spirituale verrà dimostrato come l’argomento dello studio non può e non
deve essere confinato ad un “uso” solamente spirituale. L’elezione dei fedeli in Cristo declinata
esistenzialmente non è un elemento secondario nella vita del cristiano e non lo deve essere
neanche per la teologia, che ha come scopo primario quello di consegnare l’intellectus fidei al
Popolo di Dio di ogni tempo. La dottrina della vocazione personale risulta collegata sia alla
Creazione che all’Incarnazione del Verbo, fonte primaria della divinizzazione dell’uomo, come
rivela uno sguardo alla tradizione dei Padri, che hanno scritto e si sono battuti per
l’affermazione di questo dogma; si pensi, ad esempio, ad Atanasio di Alessandria.

Il terzo capitolo, infine, tratterà della dimensione pratico-morale dell’elezione personale


per una vita di virtù che plasmi le decisioni quotidiane del cristiano. Verranno toccati alcuni
temi generali, da considerare come capisaldi di una morale che tende a realizzare la vocazione
personale scoperta: l’opzione fondamentale, decisione che origina e guida le scelte particolari.
Vengono analizzate, inoltre, le due forze avverse all’uomo ossia i demoni che combattono
l’uomo dall’esterno e la concupiscenza, motore interno di lotta al bene. In ultimo sono mostrate
le forze positive, le schiere degli angeli celesti con il loro aiuto e la grazia che opera la
perfezione della natura dell’uomo.

3
CAPITOLO PRIMO

L’ELEZIONE

Si è deciso di porre in questo primo capitolo una panoramica interdisciplinare


dell’elezione, vero e proprio mistero di grazia che lega la vita di ogni individuo a Dio. Siccome
l’argomento è molto vasto, esso verrà affrontato in tre diversi orizzonti scelti, denotandone ogni
volta la centralità rispetto all’inquadramento teologico: l’orizzonte biblico, nel quale si può
cogliere la presenza trasversale del concetto di “elezione”; l’orizzonte antropologico, in cui si
accennerà al rapporto tra natura e grazia, cercando di capire se l’elezione è un surplus rispetto
alla natura umana, qualcosa di totalmente diverso, o più semplicemente la innalza e completa;
l’orizzonte sacramentario, che consente di inquadrare e comprendere meglio il legame che
intercorre tra elezione e battesimo.

1.1 L’ORIZZONTE BIBLICO

L’Antico Testamento presenta generalmente due verbi per indicare il concetto di


elezione: bahar (reso nel greco eklegomai) e laqah: il primo ha significato proprio di
“scegliere, eleggere”, mentre il secondo quello di “prendere” e si trova, generalmente, nelle
redazioni precedenti al deuteronomista, che predilige soprattutto bahar. L’elezione, attraverso
questi due termini, può percorrere tutta la storia dell’umanità, a partire dal primo uomo del
quale è detto: «Il Signore prese (laqah) l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo
4
coltivasse e lo custodisse»1. L’esser presi da parte di Dio è immagine dell’elezione perché
significa una scelta di esclusività che mette in primo piano rispetto al resto del mondo colui che
è scelto: Dio prende l’uomo e lo inserisce nel proprio orizzonte, rendendolo “separato” dalle
altre creature. Questo concetto è analogo a quello della santità di Dio2: Egli è il tre volte Santo
(cfr. Is 6) perché separato dalla realtà dell’uomo ed appartenente ad una sfera diversa, quella
dei cieli. L’uomo, allo stesso modo, è santificato nell’elezione, separato e innalzato sulla
creazione tutta, tanto che solo dopo la formazione dell’uomo Dio potrà dire di aver fatto cosa
“molto buona”.

Personaggi eminenti nella storia della salvezza per la loro elezione sono i patriarchi:

«Nella storia dei patriarchi si evidenzia ancor più la riflessione di fede sull’elezione. Tra le varie
costanti di quelle antiche tradizioni popolari riguardanti i patriarchi, da Abramo (“l’arameo
errante”) sino a Giuseppe e allo stesso Mosè, si è colpiti dalla libera e sovrana scelta di Dio nel
condurre quelle storie: ciò che vi domina è comunque e sempre l’amore gratuito e benevolo di
Dio»3.

Si evince dalla loro storia che l’initium dipende sempre da Dio il quale nella sua libertà
decide di stabilire una relazione con l’uomo. Questa è possibile definirla come elezione perché
si realizza grazie ad una scelta libera e di amore: Dio gratuitamente elegge un uomo come suo
interlocutore principale per la salvezza di tutto il popolo.

Altri grandi personaggi eletti da Dio sono Mosè, i vari giudici che si susseguono alla guida
di Israele, Saul, il primo Re, ed infine Davide. Nell’epoca della regalità si stabilì la fede per la
quale tutti i Re della dinastia davidica erano eletti di Dio, come testimoniano la raccolta dei salmi
regali e la nascita di un vero e proprio rituale dell’intronizzazione al cui centro era l’unzione,
segno evidente dell’elezione, tanto che questa immagine verrà usata anche per descrivere, nei
Vangeli, l’unzione da parte dello Spirito Santo su Gesù.

Quando la dinastia davidica cade insieme al Regno di Giuda nella deportazione a Babilonia
del 589 a.C. Israele dovette ripensare l’elezione di Dio, che sembrava essere stata perduta, almeno
nel suo rappresentante principale, il Re. In questo contesto storico nasce la figura del Servo

1
Gen 2,15. È interessante cogliere, in questo passo, che la prima elezione dell’uomo già comporta una missione,
quella di coltivare e custodire il giardino di Eden. Questo elemento tornerà spesso nei modelli di elezione biblica
ed anche nella nostra trattazione.
2
Questa concezione della “separazione” è strutturale anche del sacerdozio israelitico, per il quale viene scelta una
tribù, separata dalle altre, quella di Levi, che è sempre più singolarizzata verso il Sommo Sacerdote, culmine del
processo di separazione.
3
L. DE LORENZI, “Elezione” in P. ROSSANO - G. RAVASI - A. GIRLANDA (a cura di), Nuovo dizionario di teologia
biblica, Paoline, Roma 19887, 446.
5
sofferente di JHWH del Deutero-Isaia4. Su di esso ricade l’elezione di Dio per la salvezza del
popolo, con un’accezione nuova, quella dell’espiazione attraverso i dolori e la morte, accezione
per la quale nel Nuovo Testamento questa immagine potrà essere riferita a Gesù5. Questo servo
sofferente in alcune interpretazioni è lo stesso popolo giudaico, perché durante l’esilio Israele era
giunto a considerarsi tutto come oggetto di elezione, sebbene essa non fosse visibile nella
situazione storica vissuta, senza un Re e senza la terra promessa.

Dopo la presentazione generale della tematica lungo la storia dell’Antico Testamento si


possono evidenziare alcuni suoi elementi imprescindibili: essa è sempre opera ed intervento
esclusivo di Dio all’interno della vita del popolo o dell’individuo. In quanto tale è atto gratuito,
non denotato da alcuna necessità; l’uomo ed il popolo non fanno nulla per meritare l’elezione,
ma devono, tuttavia, restarle fedeli, nell’osservanza dei comandi divini; l’elezione è
generalmente legata ad un compito da svolgere, ad una missione, dal compimento della quale
può dipendere anche il rifiuto da parte di Dio, come nel caso di Saul6.

Nel Nuovo Testamento il verbo eklegomai, che corrisponde al verbo ebraico di elezione,
bahar, si trova in ventidue luoghi e nella maggior parte dei casi esso ha il valore usuale di
semplice scelta. Sono di rilevante importanza, invece, tre riferimenti perché in essi è presente il
termine con un significato specifico, Lc 9,35: «καὶ φωνὴ ἐγένετο ἐκ τῆς νεφέλης λέγουσα· οὗτός
ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἐκλελεγμένος, αὐτοῦ ἀκούετε»7, Gv 15,16a: «οὐχ ὑμεῖς με ἐξελέξασθε, ἀλλ᾽
ἐγὼ ἐξελεξάμην ὑμᾶς καὶ ἔθηκα ὑμᾶς ἵνα ὑμεῖς ὑπάγητε καὶ καρπὸν φέρητε»8 ed Ef 1,4: «καθὼς
ἐξελέξατο ἡμᾶς ἐν αὐτῷ πρὸ καταβολῆς κόσμου εἶναι ἡμᾶς ἁγίους καὶ ἀμώμους κατενώπιον
αὐτοῦ ἐν ἀγάπῃ»9.

Questi tre passi citati consentono di tracciare il percorso evolutivo compiuto dalla nozione
di elezione nelle prime comunità cristiane che è poi confluito nei testi del Nuovo Testamento.
Innanzitutto per mezzo dell’applicazione di Is 42,1a10 a Gesù nei momenti culminanti della sua
vita terrena, come la trasfigurazione (Lc 9, 28-36) ed il battesimo, seppure con la variante

4
Cf. i quattro carmi del servo sofferente nei capitoli 42, 49, 50, 52-53 di Isaia. Di grande importanza per il nostro
discorso è il primo, in cui si parla di un servo eletto (Is 42,1), la cui identificazione è ancora incerta tra gli studiosi
(Cf. Childs).
5
A questo proposito si può leggere 1Pt 2,21-25 dove Gesù viene descritto proprio con delle citazioni del quarto
canto del servo sofferente (Is 52,13-53,12).
6
«Di norma, il rifiuto viene giustificato con la defezione dell’eletto rispetto alla sua missione. Si suppone, dunque,
che al dono dell’elezione e all’affidamento di un impegno corrisponda, da pare dell’eletto, una risposta, che può
anche risultare negativa». L. DE LORENZI, “Elezione”.
7
«E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!"».
8
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto».
9
«In lui[=Cristo] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella
carità».
10
«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio».
6
agaphtoj (Lc 3,22), gli autori dei Vangeli insieme a Paolo nelle sue lettere testimoniano che
nell’esperienza umana di Gesù la sua coscienza era quella di essere colui che era stato eletto,
mentre il grande protagonista che compie l’elezione è Dio Padre: «Secondo l’idea del NT Dio
Padre è il vero e proprio soggetto dell’elezione. […] Come dal punto di vista trinitario, il Padre
(in unione col Figlio) manda il Figlio, così l’elezione divina deriva dal Padre (in unione con il
Figlio)»11. L’elezione ha prima di tutto una dimensione intra-trinitaria, nella quale Dio Padre
elegge il Verbo per la missione, il Verbo è eletto in quanto amato dal Padre e procede da Lui.
Allo stesso modo il credente partecipa dell’elezione di Cristo, è scelto da Lui e incaricato della
missione in suo nome.

La storia della salvezza di Israele sviluppatasi a partire dall’elezione del popolo ora
confluisce sulla persona di Gesù, l’unto di Dio, che è venuto con una missione precisa, quella di
operare la salvezza promessa già ad Israele ed estendere l’elezione a tutto il genere umano12. Nel
vangelo di Luca questo passaggio dalla promessa al compimento è narrato al capitolo quarto,
nell’episodio programmatico della sinagoga di Nazareth:

«Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si
alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato
a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la
vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore”. Riavvolse il
rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di
lui. Allora cominciò a dire loro: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”»13.

Questo passo è una mirabile sintesi di ciò che abbiamo finora evidenziato: Gesù è colui che
è stato unto dallo Spirito Santo perché scelto da Dio per l’annuncio della buona notizia
dell’avvento definitivo del Regno di Dio.

Evidenziato questo importante punto si potranno ora capire meglio le altre due citazioni
prima presentate. Gv 15 ci presenta un Gesù che già nel tempo della sua vita terrena ha eletto dei
discepoli in modo diretto per l’apostolato e per metterli “da parte” rispetto al mondo; in virtù
dell’essere stato scelto dal Padre egli sceglie allo stesso modo e rende noto ai suoi discepoli che
non sono loro che umanamente hanno preso l’iniziativa, ma che solo Dio ha la possibilità di
eleggere gratuitamente, essi non hanno alcun merito. Il secondo elemento, già presente nel

11
M. LOHRER, Azione della grazia di Dio come elezione dell’uomo, in J. FEINER – M. LOHRER (a cura di),
Mysterium Salutis, 9, Queriniana, Brescia 1975, 277.
12
Anche la scelta di Israele era per la salvezza di tutta l’umanità, ma in una accezione diversa in quanto ora la
salvezza del genere umano si compie attraverso l’elezione del genere umano in Gesù Cristo, quasi con un rapporto
di coincidenza tra elezione e salvezza, mentre nel primo caso la scelta del popolo era strumentale alla salvezza di
tutti.
13
Lc 4,16-21, il passo letto da Gesù è, invece, Is 61,1s.
7
paradigma vetero-testamentario, è la finalità dell’elezione: essi sono costituiti per un compito in
cui portare frutto.

Dopo la risurrezione la comprensione della scelta compiuta da Dio nei confronti di Gesù
Cristo e poi della Chiesa si accresce ed assume delle forme protologiche, evidenziate nell’inno
della lettera agli Efesini sopra citato: tutti i fedeli in Cristo sono predestinati, eletti dalla
fondazione del mondo, per presentarsi di fronte a Dio in santità e giustizia. L’elezione ha in
questo caso una colorazione escatologica, non relativa soltanto alla vita mortale: non si è chiamati
ad una santità morale, in modo che essa possa essere perseguita con i meriti umani, ma ad una
ontologica, la quale sarà rivelata totalmente solo quando l’uomo si troverà di fronte a Dio.

La ricognizione biblica ha contribuito ad evidenziare diverse caratteristiche essenziali


dell’argomento trattato, ora ripresentati sinteticamente. L’elezione ha sempre origine da Dio
Padre, che gratuitamente elegge nella storia uomini singoli o un determinato popolo. Questa è
nella Scrittura la struttura portante di tutta la storia della salvezza, dell’agire stesso di Dio in
relazione agli uomini. L’eletto per eccellenza di Dio è Gesù, figlio di Davide, che è invece colui
su cui ricade l’elezione regale nell’AT. Cristo porta nel suo stesso nome la sua natura di eletto
ed ha avuto questa consapevolezza interiore durante la sua vita. All’elezione segue una missione,
che si conforma come un obbligo di fedeltà all’amore di Dio in essa rivelatosi. Tutti i credenti
sono eletti da Dio in Cristo e perciò predestinati alla santità. Questa santità è quella del corpo di
Cristo ed ha, quindi, anche una declinazione comunitaria.

1.2 QUALE PARADIGMA PER L’ELEZIONE?

In questo secondo paragrafo verrà analizzato il paradigma antropologico dell’elezione a


partire da due personaggi biblici, i quali contribuiranno a scoprire due diversi modi di
approcciarsi al tema trattato. Queste due figure sono quelle di Mosè e del Re Davide.
Il primo viene chiamato da Dio per attuare la liberazione del popolo dall’Egitto14, mentre
il secondo viene preso mentre pascola il gregge del per essere unto re d'Israele al posto di Saul.
Mosè, in qualche modo, compie attraverso l'elezione di Dio un’opera che era già iscritta
nella sua personalità, infatti egli aveva già tentato di migliorare la situazione sociale degli Ebrei

14
«Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va'!
Io ti mando dal faraone. Fa' uscire dall'Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Es 3,9s.
8
in terra d’Egitto, ma secondo i propri schemi, ricorrendo addirittura all’omicidio15. Dio lo
chiama, lo elegge e realizza attraverso di lui quello per cui Mosè aveva già una certa
predisposizione: non si assiste ad uno sradicamento dalla vita passata, ma ad una trasformazione
totale dei modi in cui l’obiettivo (la liberazione del popolo) viene perseguito, non più con la
forza umana, ma con quella di Dio.
Davide, invece, è l'esempio della situazione avversa: egli non aveva nessuna intenzione
di diventare re del suo popolo, ma si dedicava totalmente al lavoro con il gregge del padre. Dio
attraverso l'elezione ed unzione da parte del profeta Samuele16 rapisce Davide dalla sua
situazione iniziale, dalla realtà di giovane ragazzo di Betlemme e lo trasferisce in una nuova
dimensione, quella della reggia di Gerusalemme da dove per alterne vicende trattate nel primo
libro di Samuele alla fine diventerà re. La chiamata di Davide nel suo progressivo attuarsi è agli
antipodi rispetto a quella di Mosè, infatti in questo caso essa consiste nell’abbandono della
condizione precedente che non ha nessun legame con quella acquistata.
Vengono così alla luce due paradigmi totalmente opposti dell’elezione, quello di una
chiamata che rapisce dalla propria realtà umana per portare altrove e quello che vede l’elezione-
missione con la quale Dio si relaziona all'uomo come un momento di perfezionamento nel senso
latino del termine perficere: compimento di ciò che già per natura era stato donato all'individuo
come nel caso di Mosé.
Questi due esempi tratti dalle Scritture permettono di illustrare due analoghe posizioni
teologiche sull’elezione e la chiamata da parte di Dio, quelle di Rahner e di Balthasar.
Per quanto riguarda l’antropologia rahneriana un ottimo contributo è quello di Ignazio
Sanna che ha elaborato una sintesi degli studi sull’uomo del teologo gesuita17. Innanzitutto,
l’uomo si caratterizza per la sua struttura, creata per essere aperta all’autocomunicazione di
Dio, scrive Sanna:

«L’uomo è spirituale, cioè vive la sua vita in una continua tensione verso l’Assoluto, in una
apertura a Dio. Questo non è un fatto che può verificarsi o meno qua e là nell’uomo, a suo
beneplacito. È la condizione che fa essere l’uomo ciò che è, e deve essere, ed è presente sempre,
anche nelle azioni banali della vita quotidiana. L’uomo è dunque l’essere finito, totalmente aperto
a Dio. La rivelazione di Dio è possibile proprio perché l’uomo presenta un orizzonte aprioristico
di assoluta illimitatezza»18.

Questa apertura continua verso Dio può essere chiamata la “immediatezza per Dio” e va
unita alla grande proprietà dell’uomo, ossia la sua libertà. Questa nell’incontro con Dio riceve

15
Cfr. Es 2,11s.: «Un giorno Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i loro lavori forzati. Vide un
Egiziano che colpiva un Ebreo, uno dei suoi fratelli. Voltatosi attorno e visto che non c'era nessuno, colpì a morte
l'Egiziano e lo sotterrò nella sabbia.»
16
Cfr. 1Sam 16.
17
Cfr. I. SANNA, La cristologia antropologica di P. Karl Rahner, Paoline, Roma 1970.
18
Ivi, 103.
9
la sua pienezza e permette di illustrare il dinamismo della persona: «Dio è la libertà della libertà
umana, per mezzo della grazia della sua autocomunicazione, senza la quale la libera volontà
dell’uomo non potrebbe scegliere se non la schiavitù»19. In questo dinamismo è essenziale,
dunque, la relazione con Dio che nasce dall’elezione: «Tra Dio e l’uomo si intreccia un dialogo
non astratto, ma un genuino dialogo che si realizza e si compie in una chiamata e in una
risposta»20.
Sanna conclude la sua sintesi del pensiero di Rahner chiarendo che l’uomo è una
molteplicità di riferimenti e di relazioni, che però hanno un polo attrattivo, un centro: «Il
coefficiente costitutivo di questa unità è l’amore. Esso è l’autorealizzazione dell’uomo in
quanto tale e in quanto totalità»21.
In uditori della parola Rahner così definisce l’uomo: «l’ente che, amando liberamente, si
trova di fronte al Dio di una possibile rivelazione»22. Possiamo leggere questa “possibile
rivelazione” come quell’atto fondante nella vita dell’individuo in cui scopre la sua elezione-
missione e capiamo come egli vi sia già predisposto: nel suo essere sono già presenti gli
elementi necessari per la rivelazione. È importante sottolineare, tuttavia, che la potentia
oboedientialis, l’apertura alla rivelazione da parte di Dio, è per il nostro autore un elemento che
è ricevuto dall’uomo e non appartenente alla sua natura:

«L’uomo quindi, che riceve questo amore – nello Spirito Santo e nella parola del Vangelo –
riconosce anche che la disposizione esistenziale per quest’amore non gli è dovuta. Partendo da
questa conoscenza riesce a distinguere chiaramente nella sua “essenza” concreta e sempre
indissolubile, ciò che è questa capacità, reale e indebita, di ricevere la grazia, che chiamiamo
esistenziale soprannaturale, e ciò che resta, quando si sottrae questo intimo nucleo dal complesso
della sua essenza concreta, dalla sua “natura”»23.

Da ultimo è da notare il rapporto tra natura e grazia, che può essere visto in analogia con
quello tra esistenza umana ed elezione: «La natura spirituale dev’essere tale da avere
un’apertura a questo esistenziale soprannaturale […] come una ordinazione intima, purché non
sia incondizionata»24. C’è un’ordinazione intima per Rahner tra la nostra natura e la grazia
dell’esistenziale sovrannaturale, come è presente nell’individuo un’intima correlazione tra il
suo vissuto, le sue peculiarità e l’elezione di Dio.
Per Balthasar, invece, Dio nella vocazione compie un atto di rapimento: l'uomo è
totalmente slegato dalla sua vita che aveva fino ad allora vissuto e viene inserito in una realtà

19
Ivi, 113.
20
Ivi, 115.
21
Ibidem.
22
K. RAHNER, Uditori della parola, Borla, Roma 1977, 145.
23
IDEM, Rapporto tra natura e grazia, in IDEM, Saggi di antropologia soprannaturale, Paoline, Roma 1965, 69s.
24
Ivi, 73.
10
nuova a lui precedentemente sconosciuta. Egli giunge a questa tesi analizzando gli episodi di
vocazione che sono narrati nella Scrittura:

«certi individui vengono sorpresi improvvisamente a un certo punto della loro solita vita da una
chiamata e investiti di un ruolo teologico. La sorpresa insperata dell’evento è non soltanto la
regola che non ammette eccezioni, ma questa regola viene molto spesso sottolineata dal fatto
paradossale che proprio l’essere apparentemente più inadatto, colui a cui nessuno avrebbe pensato
(e lui meno di tutti), che forse già perseguiva piani del tutto opposti, diventa oggetto della
chiamata»25.

In questo caso l’autore cerca di evidenziare il primato di Dio e, facendo un’ampia


panoramica di personaggi biblici, dimostra di essere nel giusto: numerosi sono gli eletti che
oppongono a Dio un iniziale rifiuto per l’incapacità o l’indegnità, ma Egli realizza, nonostante
questi ostacoli, la sua scelta e chiamata per una missione da compiere con il suo eletto. Questa
tesi di Balthasar, tuttavia, presenta un problema che anche diversi importanti teologi biblici
hanno segnalato. I racconti narrati dagli autori sacri non vogliono fornire al lettore un
canovaccio valido a riconoscere ogni vocazione, quindi non contengono dei criteri di
discernimento validi e non sono da assolutizzare.
Nel precedente paragrafo si è visto che ogni elezione ha origine da Dio Padre: questo
punto nevralgico è salvaguardato da entrambe le posizioni dei due teologi perché nel caso di
Balthasar è molto evidente che è Dio a compiere il rapimento; per quanto riguarda Rahner,
invece, è stato specificato che sia l'origine della natura, sia quella dell'apertura dell’esistenziale
soprannaturale è da ricercarsi in Dio ed ambedue costituiscono, insieme, già una forma di
elezione da parte di Dio stesso.
Siamo di fronte a due concezioni complementari dell’elezione e quindi della chiamata ad
una determinata missione, poiché Rahner interpreta la questione dal punto di vista
antropologico e quindi scopre la struttura trascendentale portante che permette la rivelazione di
Dio ed il suo ascolto, mentre Balthasar guarda tutto dal punto di vista teologico e scopre la
vocazione-elezione dalla prospettiva di Dio, un evento, quindi, in cui sradica l’uomo dalla sua
“solita vita” per affidargli una nuova missione.
Questa analisi sulla modalità in cui si può vivere l’elezione, la quale ha portato a
conoscere le posizioni dei due grandi teologi appena citati, ora approda alla strutturazione di un
paradigma dell’elezione, attraverso il quale si vogliono indicare gli elementi imprescindibili per
mezzo di una fenomenologia dell’atto creativo.
Al primo posto, come si è già notato, bisogna sicuramente considerare l’iniziativa di Dio
(1). È lui colui che compie l’elezione primordiale dell’uomo ed in questo modo il suo agire

25
H.U. VON BALTHASAR, Teodrammatica, III, Jaca Book, Milano 1983, 246.
11
diventa un agire di grazia che «non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio
che ha misericordia»26 e che invita l’uomo alla risposta. Quest’ultima non deve essere
necessariamente positiva, sebbene «il suo rifiuto non può che essere una profonda minaccia per
la persona: non annienterà la persona nell’uomo, ma potrà sfigurare il suo volto fino a renderlo
irriconoscibile»27.
Secondo agente nel momento dell’elezione è l’uomo (2): egli è primariamente ricettore
della scelta da parte di Dio, ma non del tutto passivo. L’essere umano si costruisce nell’amore
la possibilità di essere realmente ricettivo ad una chiamata da parte di Dio; la struttura
trascendentale aperta alla possibile rivelazione del divino (Rahner) va costantemente nutrita e
sostenuta con scelte fedeli, altrimenti essa rischia di fallire o mancare proprio l’incontro con
Dio per il quale è stata creata. In secondo luogo, all’elezione dall’alto risponderà una nuova
elezione dell’uomo, che lo vede ora protagonista: in questo momento è lui che è chiamato a
scegliere Dio riconoscendolo come colui che lo ha eletto ed amato fin dall’eternità.
Il contenuto della stessa elezione può essere definito e categorizzato secondo le quattro
cause aristoteliche ed ha, direttamente connessa ad esse, una conseguenza immediata. Per
quanto riguarda la causa agente dell’elezione, è stato appena dimostrato che si tratta sempre di
Dio Padre, sia per gli uomini oggi, che per il Cristo nella sua esistenza umana. La causa finale
è quella espressa da Ef 1,3-4: Dio elegge talvolta un popolo o un unico uomo perché esso sia
santo. Si evince per questi motivi che il fine ultimo a cui tende ogni scelta del Padre è la nostra
santità e comunione con Lui.
La causa materiale di cui Egli si serve è la persona divino-umana del Cristo, nel quale
siamo stati eletti (si potrebbe parlare, in questo caso, di un’elezione per partecipazione a quella
di Cristo stesso28): è per mezzo della sua morte e resurrezione che da Israele l’elezione è passata
ai credenti nella Chiesa corpo di Cristo. La causa formale, infine, verrà approfondita nel corso
del lavoro, ma in maniera più breve si può dire, in questo luogo che essa consiste nel fatto che
ogni fedele eletto riceve nel suo statuto ontologico un particolare volto del Cristo, il suo nome
nuovo.
Questo ultimo elemento è di grande importanza perché determina la missione dell’uomo:
portare ciò che si è ricevuto come grazia a tutto il mondo. In altre parole, si tratta di vivere la
propria vita cercando di somigliare sempre di più a ciò che si è diventati nel momento
dell’elezione: «Santificatevi dunque e siate santi, perché io sono santo»29. L’imperativo

26
Rm 9,16.
27
H.U. VON BALTHASAR, Teodrammatica, 248. A questo riguardo abbiamo già parlato nel primo paragrafo
dell’eventualità che l’uomo non corrisponda all’invito di Dio e determini, in questo modo, la sua condanna.
28
Cfr. Mysterium Salutis 9.
29
Lv 11,44.
12
“santificatevi” indica proprio questo dinamismo del processo di santificazione, non isolato in
un momento puntuale, ma spalmato su tutta la vita del credente; è inoltre evidenziato, in questo
passo di Lv 11,44, che si trattandosi della santità umana questa è per partecipazione, poiché ha
origine da quella di Dio e non dal comportamento morale dell’uomo.

1.3 LA DIMENSIONE SACRAMENTALE DELL’ELEZIONE: IL BATTESIMO

Si rende necessario, in questo momento, dare concretezza al percorso finora compiuto in


modo tale che l’esperienza biblica e la struttura paradigmatica presentate abbiano un riscontro
nella vita del credente. L’ambiente che permette di toccare l’oggettività di questi temi è quello
dei sacramenti, in cui la vita cristiana nasce, cresce ed è sostenuta con certezza in forza dell’atto
di fede nella presenza di Cristo operante in essi.
Il sacramento su cui verrà posta l’attenzione è quello che dischiude all’uomo l’accesso
alla vita soprannaturale della grazia, il Battesimo, perché in esso si è incorporati a Cristo e da
esso prende inizio il dinamismo di santificazione appena accennato che viene corroborato per
mezzo dei sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Questo sacramento è denominato porta fidei ed in effetti si configura come quella porta
attraverso la quale l’uomo può entrare in una nuova realtà, come dimostrano le diverse tipologie
bibliche del Nuovo Testamento che vengono usate per parlarne e delle quali verranno
evidenziate le più utili al discorso30. Nella teologia giovannea il battesimo è una rinascita
dall’alto nello Spirito, come testimonia il dialogo tra Gesù e Nicodemo: «In verità, in verità io
ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio»31. Nella teologia paolina,
invece, soprattutto nella lettera ai Galati, viene descritto il battesimo che ci rende figli di Dio:
«tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati
battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo»32. Oltre ad essere figli di Dio c’è in Paolo la
sottolineatura cristologica del rivestirsi di Cristo, come uomini nuovi33. Nella prima Lettera di
Pietro troviamo l’uso della tipologia, l’acqua del battesimo è così collegata all’acqua del diluvio
universale: «nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in
tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Quest'acqua, come immagine del battesimo, ora

30
Cfr. S. CIPRIANI, “Battesimo”, in Nuovo dizionario di teologia biblica.
31
Gv 3,3. È utile leggere tutto il capitolo 3 del Vangelo di Giovanni, non a caso utilizzato nelle catechesi battesimali
e nel ciclo delle letture evangeliche per le Domeniche di Quaresima.
32
Gal 3,26s.
33
Questo elemento ora evidenziato sarà approfondito nel secondo capitolo della trattazione.
13
salva anche voi»34. Il battesimo è, così, una nuova creazione dell’uomo, che lo salva dall’ira di
Dio, come fece l’arca per l’umanità durante il diluvio.
Secondo Pietro Dacquino, autore di una presentazione teologico sistematica dei
sacramenti del battesimo e della cresima35, la formulazione più importante è quella di Giovanni,
poiché, in senso temporale, la più matura. Essa implicherebbe in sé stessa tutte le altre
definizioni che troviamo nel Nuovo Testamento e parla della nascita dall’alto che avviene
durante il rito del battesimo come di un’arcana trasformazione:

«non può trattarsi solo di una trasformazione operativa; vale a dire, soltanto di una conversione
della volontà e del modo di pensare dell’uomo. […] Si tratta dunque di una trasformazione più
profonda, oltre le facoltà operative dell’uomo, nella sua stessa natura umana. In altre parole, si
tratta di una vera e propria trasformazione ontologica che si verifica sul piano stesso
dell’essere»36.

La trasformazione di tipo ontologico permette di introdurre la nozione di “carattere”, cioè


di quella particolare infusione della grazia che fa dell’uomo nuova creatura: «la trasformazione
radicale rispetto a quanto esisteva prima»37. Il carattere battesimale è quel «segno spirituale che
distingue dagli altri, per cui [i sacramenti che imprimono il carattere, cioè battesimo,
confermazione ed ordine] non possono essere reiterati nella stessa persona»38 che lega colui che
lo riceve definitivamente a Cristo ed imprime il suo “marchio” o “sigillo” in modo tale da essere
rappresentanti del Signore in mezzo al mondo, abilitati a portarne il nome.
In questo contesto si può ora evincere il collegamento con l’elezione: in correlazione con
il carattere ricevuto nel rito del battesimo, Dio rende visibile l’elezione che fin dalla fondazione
del mondo ha fatto per il credente. Questa si profila con la fisionomia di una conformazione a
Cristo da cui scaturisce una nuova vita, non più ridotta all’ambito umano-psichico, ma a quello
“dall’alto” (Cfr Gv 3 e la rinascita dall’alto). Si tratta di una vita spirituale, vissuta, cioè, per
mezzo dello Spirito di Cristo. In questo momento l’uomo riceve insieme al carattere il suo nome
nuovo, come rende bene evidente anche la liturgia del battesimo stesso: davanti alla comunità
ecclesiale il battezzato riceve il nome dato dai genitori e la veste bianca, mentre al cospetto di
Dio egli sta per ricevere il suo nome più segreto che solo il Padre conosce; ai suoi occhi il fedele
avrà d’ora in poi, non più le proprie sembianze, ma le stesse fattezze del Cristo, come si può
intuire da ciò che prega il Prefazio delle Domeniche del Tempo Ordinario VII: «così hai amato

34
1Pt 3,20b-21a.
35
Cfr. P. DACQUINO, Battesimo e cresima, Elle Di Ci, Torino-Leumann 1970.
36
Ivi, 22.
37
Ivi, 25.
38
Decretum proArmenis, (DH 1313).
14
in noi ciò che tu amavi nel figlio»39, veramente il Padre ama di ogni uomo la singolare immagine
di Cristo di cui è stato rivestito nel Battesimo e non le sue virtù umane.
Ne “La vocazione personale” di P. Herbert Alphonso, opera che ha ispirato questo lavoro,
l’elezione è definita come «il segreto dell’unità e integrazione nel cuore di un’intera vita,
precisamente perché è l’unico senso nella vita – datoci da Dio»40. Questa nozione sintetizza
ottimamente il discorso fin qui condotto, perché nell’elezione alla santità in Cristo donata nel
battesimo c’è veramente il segreto di unificazione della vita e di dotazione di senso agli atti
umani, che non sono così vissuti come mere azioni isolate, ma come atti volontariamente
condotti a raggiungere questo nome nuovo ricevuto, il quale si presta come loro causa finale,
ossia come desiderio a cui tende tutta la vita dell’uomo credente.
Nel suo breve trattato padre Alphnoso evidenzia come questo nome nuovo che dà senso
all’esistenza e che si riceve nel battesimo è sempre in Cristo,

«la frase del Nuovo Testamento “essere battezzati in Cristo Gesù” (= baptizein eis Christon
Iesoun – e.g., Rom 6,3) ci suggerisce che ognuno di noi è stato “immerso” (= baptizein) in Cristo
Gesù – nel mistero, s’intende. Quindi nel battesimo ognuno di noi “assume” o “si riveste” di Gesù
Cristo in un modo unico e personale. Il Padre, che non può compiacersi in nessun altro se non nel
Figlio suo Gesù, discerne il “volto” di Gesù in ciascuno di noi e dice: “Tu sei il figlio mio
prediletto, in te mi sono compiaciuto” (cf. Mc 1,11). Tutto il resto della nostra vita cristiana – il
progetto cristiano, per così dire – è per ciascuno di noi il “rivestirsi” di questo Gesù unico e
personale fino alla statura di maturità.»41.

Occorre ora seguire questa strada del rivestirsi di Cristo in cui si è eletti e chiamati,
percorrendo due differenti vie: un approfondimento teologico in connessione con i dogmi della
chiamata universale alla santità, dell’Incarnazione e della cristificazione di ogni credente; un
approfondimento di tipo morale, sul tema dell’opzione fondamentale dell’uomo in risposta
all’elezione di Dio ed alle forze che lo sostengono in questa scelta.

39
Messale Romano, a cura di CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, LEV, Città del Vaticano 19832, 341.
40
H. ALPHONSO, La vocazione personale, GBP, Roma 20144, 19.
41
Ivi, 20.
15
CAPITOLO SECONDO

LA CRISTIFICAZIONE

2.1 L’UNIVERSALE CHIAMATA ALLA SANTITÀ E L’ELEZIONE

Al termine del primo capitolo si è giunti a parlare della finalità del dinamismo della nostra
vita, specificato come un dinamismo sacramentale. L’obiettivo di questo processo (che sarà
accompagnato da quello di tipo pragmatico-morale nel terzo capitolo) è stato ben definito dal
Concilio Vaticano II attraverso l’espressione di “vocazione universale alla santità”, titolo del
n° 40 della Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium:

«I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e
della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente
figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con
l'aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto […]. Per
raggiungere questa perfezione i fedeli usino le forze ricevute secondo la misura con cui Cristo
volle donarle, affinché, seguendo l'esempio di lui e diventati conformi alla sua immagine, in tutto
obbedienti alla volontà del Padre, con piena generosità si consacrino alla gloria di Dio e al servizio
del prossimo»42.

Tutti i credenti in Cristo sono stati chiamati per la partecipazione alla vita divina e alla
santità, non per il loro merito, ma per la bontà e la grazia di Dio. Tutto il capitolo V della LG è
concentrato su questa tematica e la declina sotto due differenti visioni: chi è chiamato alla
santità e come si giunge a perfezionare questa vocazione. Dal punto di vista dei soggetti della
santità il Concilio compie una grande svolta in quanto finalmente essa non è più riservata ai

42
LG 40.
16
presbiteri e vescovi insieme ai religiosi, ma a tutti i credenti, qualunque sia il loro stato di vita
–la santità è aperta sia ai ministri ordinati che ai coniugi cristiani – e la loro posizione sociale43.

Il numero 42 della costituzione specifica quali siano le vie ed i mezzi per la santità. In
primo luogo, viene presentata la carità, essenza stessa di Dio, che viene donata al credente con
lo Spirito Santo e che viene continuamente nutrita dall’ascolto della Parola di Dio e dai
sacramenti, a cui vanno aggiunti esercizi di preghiera e virtù. In questo senso si ripresenta
implicitamente la dottrina della carità come forma virtutum: «La carità infatti, quale vincolo
della perfezione e compimento della legge (cfr. Col 3,14; Rm 13,10), regola tutti i mezzi di
santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine»44. Non si tratta di una virtù accanto alle
altre, ma di quell’abito che dirige allo scopo tutto l’agire umano e la crescita morale-spirituale
del cristiano: tutti gli sforzi dell’uomo assumono senso e valenza per la santità solo se guidati
e pervasi della carità divina, che perfeziona le virtù e qualifica la santità ontologica donata nel
battesimo.

Gli altri strumenti privilegiati per realizzare la santità personale sono quello della
testimonianza fino all’effusione del sangue nel martirio ed i tre consigli evangelici: il celibato,
la povertà e l’obbedienza. Questi ultimi vengono legati alla persona di Cristo obbediente ed
umile che «pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio,
ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini»45. I
consigli evangelici “realizzano” la santità morale della persona solo in quanto riproducono in
essa la conformazione a Cristo alla quale ogni cristiano è chiamato: è ciò di cui parla san Paolo
nelle sue lettere quando, al posto della sequela Christi, propone la mimesi Christi, ossia la
conformazione a Cristo, attraverso la quale se ne assume la stessa forma e lo stesso modo di
pensare.

Questa conformazione non si basa, come si è già evidenziato, sulla forza umana, ma si
radica sull’elezione divina: l’uomo scelto da Dio per la santità è chiamato a immedesimarsi a
Cristo in virtù del carattere battesimale che gli ha donato il suo Cristo, chiave di volta della sua
intera vita, motivo ispiratore delle sue azioni, vivente in lui e meta del suo pellegrinaggio.
Fulcro dello studio è l’acquisizione che la chiamata alla santità già presente nell’Antico
Testamento (cfr. Lv 19,2) assume nella nuova alleanza una specificazione particolare per ogni
uomo: ciascuna chiamata da parte di Dio è ora personale, non solo in quanto chi la riceve è

43
Cfr. LG 41.
44
LG 42.
45
Fil 2,6s.
17
persona, ma anche per quanto riguarda Dio, infatti una persona specifica nella divinità, Cristo,
caratterizza ogni vocazione.

«Quindi tutte le vocazioni sono in Cristo Gesù: la personalità di Cristo Gesù è così infinitamente
ricca che abbraccia tutte le chiamate e le vocazioni. Se allora ognuno di noi ha una “vocazione
personale”, questa può essere solo in Cristo Gesù. Ciò significa che vi è una sfaccettatura della
personalità di Gesù Cristo, un volto di Gesù Cristo, che è proprio di ciascuno di noi, di modo che
ognuno di noi può in tutta verità parlare del “mio Gesù” – non soltanto in modo “devoto”, ma in
un profondo senso teologico e dottrinale»46.

Questa vocazione personale va al di là dell’elezione dello stato di vita da parte del


cristiano, infatti riguarda la sua essenza stessa, non una particolare missione. Si potrebbe
affermare, in realtà, che la missione di ogni uomo chiamato alla vita ed alla santità sulla terra è
proprio quella di trovare la propria vocazione personale e realizzarla. La modalità che sceglierà
per raggiungere questo scopo, l’elezione dello stato di vita della seconda settimana degli
esercizi ignaziani, non è più la finalità dell’esistenza stessa, come fin troppo spesso si è portati
a pensare, ma un semplice mezzo, plasmato a sua volta dal fine a cui tende:

«Se dovessi prendere un gruppo di dieci sacerdoti gesuiti, ciascuno di essi avrebbe i seguenti
quattro livelli di vocazione gerarchicamente strutturata: quella cristiana, quella sacerdotale, quella
religiosa e quella gesuitica. Ora la “vocazione personale” di ognuno di essi non sarebbe il quinto
livello di una vocazione gerarchicamente strutturata. No: è piuttosto lo spirito che anima ciascuno
dei quattro livelli sopra menzionati e che sono gerarchicamente strutturati. In altre parole, ognuno
di questi dieci gesuiti possiede il suo modo personale e unico di essere cristiano, sacerdote,
religioso e gesuita»47.

Alla luce di ciò si può rivalutare il primo senso biblico evidenziato per l’elezione – quello
dell’essere messi da parte, ad immagine del Dio separato –, con una nuova declinazione: allo
stesso modo del Dio Trino ed Uno ogni cristiano è chiamato a vivere la sua esistenza in una
maniera personale ed unica, come personale ed unica è la missione del Figlio. L’unicità di Dio
si rivela, allora, nell’unicità mediante la quale ogni battezzato dà forma alla sua vita. Egli nel
battesimo è stato preso e messo da parte in Cristo, per essere sua manifestazione nel mondo,
proprio come il popolo d’Israele era separato dalle altre nazioni attraverso la sua Legge per
essere strumento del disegno di salvezza universale da parte di Dio.

In questa maniera si può riconsiderare il paradigma morale proposto nel secondo capitolo,
precisamente per quanto riguarda il momento dell’opzione fondamentale. Tutta la
santificazione morale del cristiano non ha la sua radice in una scelta volontaristica, ma in una

46
La vocazione personale, 19s.
47
Ivi, 21.
18
nuova natura ricevuta ontologicamente che suscita il desiderio di essere espressa negli atti
umani; allo stesso tempo la finalità della santità morale non è la perfezione nella virtù o il
raggiungimento a-personale del bene, ma l’unione con Dio nella conformazione alla persona di
Cristo, che «mi ha amato e ha consegnato se stesso per me»48, nella consapevolezza concreta
di questo amore ricevuto dal Signore. Solo l’aver sperimentato la vicinanza di Gesù nella
propria vita e provato il suo amore può muovere l’uomo a compiere una scelta seria di vita
cristiana, scelta che sarà guidata dalla scoperta della propria vocazione personale.

Questo è il fondamento del dinamismo interno degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio,


il quale pone al centro della seconda settimana l’elezione dello stato di vita. Il suo discorso ha
come presupposto il desiderio di unirsi a Dio, non, come si notava già prima, il desiderio di una
perfezione solamente umana:

«“Perfezione” significa “perfezione nell’amore verso Dio” e non una perfezione autoreferenziale
che si sviluppa autonomamente a partire dal soggetto in un processo autocentrato di realizzazione.
“Scegliere” significa ordinare la vita sotto l’impulso intimo del desiderio amico della natura
umana (la grazia divina), combattendo il nemico della stessa natura. Il desiderio di “ordinare”
divinamente la vita è un desiderio “operante” nella persona in quanto persona, a doppio titolo: in
quanto “creatura” di Dio e in quanto soggetto-oggetto della grazia di Dio che lo rende “figlio”
suo. Il magnetismo opera nella calamita allo stesso modo: perché la calamita sia attirata deve
“essere” calamita e il magnetismo deve esercitare il suo influsso in modo attuale. L’uomo desidera
Dio perché è sua creatura e perché Dio lo attira sempre a sé volutamente»49.

Il desiderio di cui parla Rossano Zas Friz nel suo articolo è lo stesso che muove, nel
contesto del discorso sull’elezione, il fedele a conformarsi al Cristo: una volta scoperto il
proprio nuovo nome, conosciuto solamente dal soggetto e da Dio, esso agisce come magnete
che lo attira verso Dio.

Ignazio pone la scelta dello stato di vita all’interno della meditazione sul mistero di Gesù:
osservando ed abitando la sua vita l’uomo ne conosce i sentimenti ed i pensieri e mediante essi
l’amore per Dio e per gli uomini che ha animato tutto il suo operare. È questo il contesto nel
quale si può fare, secondo Ignazio, una scelta buona e positiva per la propria vita: «Il mistero
di Gesù darà un nuovo ordine alla vita dell’esercitante perché contemplandolo si approfondisce
il rapporto e l’amore mutuo. Nel contesto di quell’amore si sceglie una forma (stato) di vita,
uno stile di vita. Ciò significa scegliere il modo in cui si costruirà con Dio la via che porterà il
desiderio di Lui alla pienezza escatologica»50. Obiettivo che verrà raggiunto dal cristiano, è la
“pienezza escatologica”: questa dimensione è di grande valore, poiché, per certi versi, parla già

48
Cfr. Gal 2,20.
49
R. ZAS FRIZ, Considerazioni sullo “scegliere” in Sant’Ignazio in Ignaziana 2 (2006), 101s.
50
Ivi, 102.
19
di cosa l’uomo è ontologicamente, un alter Christus che ne incarna una particolare qualità, ma
anche ciò che non è ancora, cioè il totus Christus in cui si troveranno tutti i battezzati al termine
del tempo.

L’elezione personale in Cristo è stata finora analizzata nella sua modalità – i due
paradigmi di Rahner e Balthasar – e nella sua finalità – la santificazione e cristificazione –, ma
rimane da evidenziare il suo fondamento profondo, ossia il suo ancoramento con la creazione
del mondo e di ogni uomo in esso. In Gen 1 è evidente per la sua presenza, quasi come un
ritornello, il verbo dire (11 volte), l’ebraico rma: Dio è colui che fa mediante il suo parlare, la
sua parola è così potente da possedere una qualità creativa51. Secondo la nuova filosofia del
linguaggio potremmo chiamare la Parola di Dio una parola performativa, la quale compi ciò
che dice. Troviamo una dinamica simile anche nella vita di Gesù, Verbo di Dio fatto carne, il
quale compieva i miracoli spesso per mezzo della sua parola, riconosciuta da coloro che la
ascoltavano diversa da quella di tutti gli altri uomini, «Tutti furono presi da timore e si dicevano
l'un l'altro: "Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed
essi se ne vanno?"»52.

Vertice e finalità propria della creazione è l’uomo: «Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra
immagine, secondo la nostra somiglianza […]. E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine
di Dio lo creò: maschio e femmina li creò»53. Egli viene chiamato all’esistenza dal Creatore che
nel suo caso specifico compie la sua opera creando a sua immagine e somiglianza. Questa è la
chiamata primordiale di Dio, un vero e proprio raptus dal non essere all’essere: in questo senso
ha ragione Balthasar nell’affermare che l’azione di Dio porta colui che ne è investito su un
piano sempre nuovo rispetto al precedente. Nella creazione dell’uomo, tuttavia, la somiglianza
divina è indice iniziale del fatto che l’essere umano è fin dalla sua origine capax Dei, è cioè
predisposto all’incontro con il suo Creatore quale interlocutore, come ha colto Rahner con la
sua intuizione della poetentia oboedentialis insita nell’uomo, cioè del suo esistenziale
sovrannaturale.

Si noti che nel testo di Genesi si hanno due distinti nomi per mezzo dei quali Dio crea
l’uomo: l’immagine e la somiglianza. Esiste tra questi due elementi un rapporto di unità e

51
«È tramite la parola di Dio che si determina il rapporto di Dio con la sua creazione. Dio “chiama all’esistenza i
mondi” (cfr. Rom. 4,17; II Pie. 3,5). Attraverso la parola di Dio ciò che non esiste viene all’essere. La modalità
con cui Dio si rapporta con il suo mondo è il linguaggio. Dio dice qualcosa di nuovo, che non fu mai prima […].
Il creare attraverso questa modalità, la parola, mostra l’autorità di Dio». W. BRUEGGEMANN, Genesi, Claudiana,
Torino 2002, 43s.
52
Cfr. Lc 4,36. Ciò è testimoniato nei Vangeli dalla exousia della parola di Gesù, cioè dalla particolare autorità
che aveva nei suoi gesti e nei suoi discorsi. Tale caratteristica è indice, per gli evangelisti, della sua natura divina.
53
Gen 1,26s.
20
continuità, infatti dall’essere ad immagine nasce la somiglianza e l’uno non è da considerarsi
compiuto senza l’altro: l’uomo compie il suo essere ad immagine di Dio solo realizzando nella
sua vita la somiglianza, la quale permette il compimento come ciò che fa passare un ente dalla
potenza all’atto. Se l’immagine di Dio è il nuovo statuto ontologico dell’uomo, la somiglianza
è il suo compito pratico, da attuare secondo il mandato ricevuto di governare il creato con la
stessa autorità di Dio.

Leggendo la Scrittura nell’unità dei due Testamenti è impossibile non intravedere nella
parola con la quale Dio crea il Verbo stesso, che «era presso Dio» (cfr. Gv 1,1). Tutto ciò che
è venuto all’esistenza, prega la Chiesa nel credo, è stato fatto per mezzo di Lui ed in vista di
Lui. A maggior ragione l’immagine vera nella quale l’uomo viene fatto è il Cristo, che il passo
già citato di Fil 2 individua come colui che era nella “forma di Dio”. Nella storia del mondo,
tuttavia, entra il peccato, l’immagine nell’uomo viene distorta, la somiglianza si allontana e
l’uomo è condannato a trovare mediazioni per ricongiungersi alla sua origine, pena la morte
eterna, ossia l’assenza della relazione costitutiva che gli ha dato l’essere. La parola che Dio
pronuncia, infatti, pone l’uomo in un dialogo nativo con Lui: l’uomo sussiste nella sua vera
essenza solo se rimane vicino a questo principio personale che gli rivolge continuamente la
parola, fuori da questa comunione perisce, «come pula che il vento disperde» (Sal 1) e perde la
sua verità: «L’uomo infatti, senza un nucleo unitivo vivificante si rivela come una distorsione
della propria verità. Perciò la sua vita diventa il dramma di un destino che gli si allontana sempre
più»54

L’uomo creato ad immagine di Dio non è solo plasmato perché sia signore del creato
analogamente a Dio Padre, ma è anche “creatura della parola”: ciò rende l’uomo stesso capace
di parola, di discorso, di risposta: «L’uomo, come realtà dialogica, come realtà di qualcuno che
gli ha rivolto la parola, è in ultima istanza un “essere della risposta”. La risposta dell’uomo può
essere benissimo intesa come il rispondere a colui che costantemente, incessantemente, gli
rivolge la parola»55.

Il distacco dalla verità di se stesso avvenuto con il peccato, tuttavia, ha creato una
situazione di frattura nell’umanità che ha perduto la dimensione dialogica della sua esistenza e,
non ascoltando più la parola ad ogni uomo rivolta, ha condannato all’incompiutezza e
all’infelicità tutti gli uomini. Si parla, in questo contesto, dell’homo incurvatus del Proslogion
di Anselmo, quell’uomo, cioè, che a causa della natura intaccata dal peccato non riesce più ad
alzare il capo verso l’alto, verso la liberazione, intellettuale ed ontologica; o più ancora

54
M.I. RUPNIK, Dire l’uomo, Jaca Book, Roma 1997, 70.
55
Ivi, 77.
21
dell’uomo senza speranza e vittima dell’angoscia dell’esistenzialismo ateo del secondo
Novecento; dell’uomo “coccarda situativa” che, non avendo una sua essenza profonda, muta
come un camaleonte a seconda delle situazioni per utilità e sopravvivenza.

3.2 IL RADICAMENTO NELL’INCARNAZIONE

Questa situazione ha avuto bisogno di essere sanata per mezzo dell’Incarnazione: il Verbo
di Dio prendendo la carne umana le ridona di nuovo il “nucleo unitivo” che aveva perso. La
creatura umana partecipando di questo mistero può di nuovo accedere alla relazione con Dio e
giungere al compimento della sua natura: questa è l’elezione di grazia di cui l’uomo è ricettore.
La possibilità di un ricongiungimento nella relazione si dischiude come una possibilità di
divinizzarsi, cioè di rendere reale quella somiglianza di Dio per la quale si è stati creati: «Cristo
personalizza tutta la natura umana nella sua Persona divina. Agli uomini che partecipano alla
sua redenzione è aperta così la possibilità di una reale divinizzazione»56. Atanasio, trai Padri, è
un personaggio cardine soprattutto per la difesa del dogma cristologico e dell’Incarnazione,
infatti nel suo trattato su di essa ne dà anche la motivazione: «venne da sé il Verbo stesso di
Dio per restaurare, lui che è l’immagine, l’uomo creato secondo l’immagine»57: l’incarnazione
è ciò permette all’uomo di divinizzarsi e lo fa con un contenuto nuovo: l’uomo diventa come
Dio in una conformazione cristologica, come evidenziato già parlando del Battesimo. La nuova
creatura è una nuova creatura cristiana, cioè tesa verso la conformazione al Cristo.

La vocazione personale che il cristiano riceve nel Battesimo è radicata nell’Incarnazione.


Cristo personalizza la natura umana e conferisce la capacità ad ogni carne di vivere un tratto
della sua stessa persona divina, in maniera che egli stesso diventi il centro in cui viene
ricapitolato tutto l’universo, tutta l’umanità e la vita di ogni singolo uomo: «Egli l'ha riversata
[la grazia] in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il
mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della
pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla
terra»58. Perciò Alphonso ha potuto descrivere la vocazione personale come il centro unitivo

56
Ivi, 114.
57
ATANASIO, L’Incarnazione del Verbo, a cura di E. BELLINI, Città Nuova, Roma 1976, 61.
58
Ef 1,8-10.
22
della vita, perché si fonda sulla centralità rispetto a tutta la creazione di Cristo, che già i Padri,
specialmente Ireneo, avevano intuito parlando della ricapitolazione universale in Cristo.

A livello esistenziale la vocazione personale permette all’uomo finalmente di ritrovare il


centro di se stesso, perché lo ricollega alla sua creazione, in quanto ridona la relazione perduta
con il peccato ed alla ricreazione avvenuta nel Battesimo, in cui la sua persona diventa possesso
del Cristo e la sua identità riceve un nome nuovo, che egli solo potrà conoscere nella relazione
profonda con Dio che gli è stata riconsegnata. La vera essenza dell’uomo si configura, allora,
come una questione di appartenenza: non più un’identità auto-fondata nelle proprie capacità e
sicurezze, ma l’appartenenza al corpo totale del Cristo, del quale ognuno incarna un frammento
personale e unico. Appresa la propria vocazione personale non si è più come pastori erranti e
senza meta, ma la propria vita comincia ad adeguarsi alla sua nuova finalità: assumere come
statuto il volto di Cristo scoperto come proprio e conformarsi ad esso, perché chiave di volta
dell’intera esistenza.

Questa vocazione profonda e personale esprime, come appena mostrato, un particolare


volto di Cristo, ma non è limitata semplicemente ad una immagine o icona, che muova
solamente gli affetti della persona verso il Signore e nulla di più. Dato che Cristo è il Verbo, la
Parola di Dio ed attraverso di essa è stata compiuta la creazione dell’uomo, bisogna che anche
la ricreazione avvenuta nel Battesimo sia espressa mediante una parola, che determina l’unicità
della persona rispetto a tutto il resto del corpo ecclesiale. Scopo del discernimento del cristiano,
specialmente degli Esercizi Spirituali di Ignazio, non è tanto quello di scoprire lo stato di vita
per il quale si è fatti, ma conoscere questa parola, che è anche l’unica parola che Dio rivolge
all’uomo continuamente, magari con differenti accenti, ma sempre riconducibili alla prima e
primordiale comunicazione di vita che egli ha ricevuto, al modo di una reductio ad unum che è
una riduzione al principio vitale. Questa prima parola non ha una causalità soltanto efficiente,
non è, cioè, solo il “da cosa” uno è creato, ma ha anche causalità finale, in quanto questi è creato
in vista di essere ricongiunto alla parola ed infine ha causalità formale: continuamente essa dà
la forma alla vita di ogni uomo, ne è il modello ispiratore e la forza interna che anima il
dinamismo della conformazione.

Appare che nelle comunità cristiane di oggi vi sia una scarsa considerazione della
vocazione personale, nel migliore dei casi, infatti, essa è banalmente confusa con la vocazione
ad una particolare missione. È vero che dall’elezione nasce un determinato compito intra ed
extra-ecclesiale, ma c’è bisogno di distinguere i due elementi dell’essere e dell’agire: se questi
non vengono separati il rischio è quello di abbandonare la sostanza per occuparsi solamente
dell’azione. Proprio in questo modo si è giunti a perdere la nozione di una stabilità dell’uomo
23
fino a vederlo senza una natura, sempre cangiante a seconda del contesto nel quale è immesso,
del tempo in cui vive, delle relazioni che ha intessuto, proprio come un liquido che prende forma
ad modum recipientis.

È evidentemente necessario ritrovare questa dimensione di ricezione ed ascolto del


proprio essere da parte delle comunità cristiane e dell’uomo in genere, affinché la riflessione
moderna sull’antropologia abbia una base solida su cui poggiare, proprio come Karl Rahner
intuì scrivendo i suoi Saggi di Antropologia Cristologica. Solo un’ottica che pone l’uomo creato
e dotato di un’identità nuova in Cristo permette di coinvolgere l’intelletto, la volontà e gli affetti
della contemporaneità così assetata di un riferimento che le dia fondamenta stabili.

2.3 LA SCOPERTA DELL’ELEZIONE

Finora si è parlato in senso teologico-antropologico della vocazione personale,


illustrandone l’origine nella chiamata di grazia alla santità valida per ogni uomo, la
radicalizzazione nella Creazione e nell’Incarnazione che ne fanno una dinamica personale ed
infine l’importanza per il contesto antropologico moderno. In questo ultimo paragrafo si
mostreranno i mezzi per la scoperta della vocazione personale del credente e della crescita in
esso.

In quanto originata dal Verbo, perché in qualche modo sua “rappresentazione”


innanzitutto il primo compagno nella ricerca della propria vocazione personale è la Parola di
Dio. La meditazione e l’assiduità con la Bibbia, specialmente con i Vangeli, è il presupposto
della ricerca: ogni elezione è nascosta nella Scrittura, perché essa è il luogo in cui a Dio è
piaciuto rivelarsi ed in cui possiamo conoscere il ritratto della sua immagine nel Figlio. La
Parola della Creazione e della Rivelazione cristologica si è prolungata nell’Antico e nel Nuovo
Testamento ed ora chiede di animare la vita in ogni uomo per mezzo di un determinato passo.

La preghiera sulla e con la Scrittura può aiutare nello sviluppare innanzitutto un rapporto
affettivo nei confronti del Cristo che in essa ci si rivela personalmente; conseguenza di questo
legame è la conoscenza amorosa dei lineamenti della sua personalità seguendo due differenti
linee, quella dei pensieri e quella dei desideri del Signore. La Chiesa crede che nella vita umana
di Gesù di Nazareth si sia rivelata tutta la pienezza della divinità, elemento molto sottolineato

24
dalla tradizione mistico-spirituale del ‘50059: a partire da questo si rivela di estrema importanza
apprendere l’atteggiamento che Gesù aveva di fronte agli eventi della vita, la sua ragione
fondamentale, i suoi desideri, le sue passioni, le qualità del suo carattere, il modo di reagire di
fronte al fallimento, solo per menzionare alcuni elementi. Una volta entrati in un rapporto
familiare con la persona del Cristo si scoprirà pian piano che esistono delle sue parole, o dei
suoi desideri che colpiscono di più le corde più intime del nostro animo ed hanno la capacità di
muovere volontà ed intelletto verso delle scelte più evangeliche. Ecco che si è già sulla buona
strada per scovare la propria vocazione personale, perché essa si manifesta anche come la
chiave che apre la possibilità vera di un rapporto amicale e di amore con Cristo: si potrebbe
pregare davanti al Signore per tutta la vita solamente a partire da questa unica parola che egli
ha pronunciato e che a noi muove il cuore.

Un secondo elemento da accostare alla preghiera è quello della purificazione e


liberazione, non solo dai propri peccati o vizi, ma anche da tutto ciò che si è messo al centro
della propria vita: se il nucleo profondo della propria esistenza è occupato da altro, difficilmente
si riuscirà a riconoscere ciò che Dio vi ha inserito. È necessario, allora, un lavoro profondo e su
più livelli che così Padre Alphonso sintetizza nel suo libro presentando ciò che Dio compie nel
corso delle diverse settimane degli esercizi spirituali:

«Attraverso una tale esperienza di preghiera Dio libera la persona dell’esercitante ad un livello
sempre più profondo: non solo sul piano evidente del peccato, imperfezione e disordine (Prima
Settimana), ma più in profondità al livello dei valori e criteri di vita dell’esercitante (Seconda
Settimana – contemplazioni); ancora più in profondità al livello delle sicurezze di vita
gelosamente protette e assicurate dall’esercitante – prima nei recessi oscuri dell’intelletto
(meditazione delle “Due bandiere”), poi nelle motivazioni subdole della volontà (meditazione
delle “Tre classi”), e finalmente nelle pieghe più nascoste del cuore (considerazione sui “Tre modi
di umiltà”)»60.

È interessante notare che la liberazione concerne proprio quegli stessi aspetti dell’umanità
di Gesù che si è invitati a meditare e conoscere profondamente: solo liberati realmente
dall’amor proprio presente nelle nostre facoltà spirituali si comincerà ad evangelizzarle ed esse
stesse ci riveleranno cosa è fatto più precisamente per noi. Questa purificazione potrà portare,

59
Teresa D’Avila nel Castello interiore così esprime l’importanza di conoscere l’umanità di Cristo: «Staccarsi
datutto ciò che è corporeo e bruciare continuamente d'amore va bene per gli spiriti angelici, ma non per noi che
viviamo in corpi mortali. Se abbiamo bisogno di pensare a coloro che, pur avendo il corpo, hanno compiuto per
Dio straordinarie imprese, trattare con loro e ricercarne la compagnia, a maggior ragione non dobbiamo
allontanarci volontariamente da ciò che costituisce tutto il nostro bene e il nostro rimedio, cioè dalla sacratissima
umanità di nostro Signore Gesù Cristo. […] Lo stesso Signore dice che egli è la via; dice anche che è la luce, che
nessuno può andare al padre se non per lui, e che chiunque vede lui, vede il Padre suo». (TERESA D’AVILA, Il
castello interiore, Paoline, Milano 20156, 376s.).
60
La vocazione personale, 23.
25
in ultimo, alla via illuminativa, nella quale si è illuminati sul proprio nome nuovo, ed alla via
unitiva, che altro non è che vivere secondo l’identità oggetto dell’illuminazione.

Si noti che la ricerca dell’elezione personale non è di tipo induttivo o deduttivo, essa non
ha delle regole tecniche per le quali sicuramente si può giungere alla conoscenza della propria
vocazione personale. Si tratta, piuttosto, di vie maestre che possono aprire le porte all’intuizione
fondamentale sulla propria vita: la scoperta è dono di grazia e luce dello Spirito, non oggetto di
ragionamento, perciò l’uomo può preparare il campo del proprio spirito per accogliere la luce,
ma non può essere egli stesso datore di questa luce, non è Prometeo che ruba il fuoco agli dei,
ma nell’umiltà della sua limitatezza accetta la condizione di chi deve avere la pazienza di saper
aspettare un dono che certamente giungerà.

La verifica di questa intuizione, allora, viaggia su un binario temporale: chi pensa di aver
intuito la propria vocazione personale la deve porre davanti al tribunale della sua storia,
guardando al passato, al presente ed al futuro. Una intuizione vera potrà dare luce a tutto ciò
che la persona ha vissuto, in modo tale che essa riuscirà a leggere l’azione che Dio ha compiuto
nella sua storia, al di là di tutto ciò di negativo che essa avrà fatto o vissuto. Nel presente la
vocazione personale permetterà al soggetto di unificare le sue forze spirituali in modo tale da
impegnarle tutte nel rendere a Dio la sua maggior gloria, non più impantanate ne nei desideri
del mondo, ne nei falsi desideri di bene derivanti da un’ascesi autoreferenziale. Rispetto al
futuro il proprio nome nuovo è ciò che ci prepara al giorno dell’incontro con Cristo, perché è
in quel momento che verrà svelato chi veramente siamo: in un certo senso la vocazione
personale è l’unica cosa da perseguire per la preparazione ad una buona morte in vista
dell’apertura dei sigilli del libro della vita.

A proposito della dimensione temporale futura della vocazione personale rimane da


notare che essa può, in un certo senso, cambiare nel tempo: rimane sempre il nucleo fondante
della personalità, ma acquisisce maggiore maturità e profondità. L’uomo non è uno spirito puro
e quindi nel dinamismo relativo alla sua carne la sua intuizione ha bisogno di tempo per arrivare
ad essere completa e può essere sempre più perfezionata, fino al momento in cui si distaccherà
dal suo corpo. Questa componente di sviluppo nella continua identità dell’elezione è un altro
elemento di verifica della stessa:

«Scoprire la vocazione personale sempre uguale, e non sempre proprio uguale, più si avanza negli
anni e con il cambiamento delle circostanze, è quindi un altro mezzo potente di confermare la
propria vocazione. Questo carattere dinamico della vocazione personale dimostra quanto
profondamente sia in relazione con la vita e la trasformazione della vita: lo sviluppo continuo è

26
proprio di ogni organismo vivente, mentre nello stesso tempo rimane radicato nell’unica
medesima identità fondamentale»61.

Ultimo elemento di grande importanza è la mediazione ecclesiale: tutto ciò si può


raggiungere solamente con l’accompagnamento di un direttore spirituale, che aiuti il credente
per una rilettura della propria storia personale, che gli insegni un metodo di preghiera adeguato
alla conoscenza amorosa della persona del Cristo – la storia della spiritualità, come già
accennato, in Sant’Ignazio e Santa Teresa d’Avila ci consegna due significativi testimoni – ,
che lo guidi nel difficile e doloroso compito della liberazione da tutte le false sicurezze e
fondamenta su cui aveva poggiato la sua vita. Egli deve anche essere di sprono per una ricerca
positiva della volontà di Dio e di un equilibrio nella pratica della virtù e dell’ascesi, in modo
che queste non facciano finire il cristiano nella deriva del pelagianesimo, ma egli si apra alla
trasformazione operata dalla grazia.

Dalla scoperta amorosa del volto o della parola di Gesù a cui appartiene tutta vita nasce
naturalmente il desiderio di mimesi: ogni uomo sperimenta la signoria di Cristo nella sua
esistenza, perché scopre la sua azione nel passato, sia quello primordiale nella creazione, sia
quello più prossimo, la sua azione nel presente, quale motore interno delle sue azioni e la sua
promessa di beatitudine per il futuro. Davanti ad una tale novità che sconvolge la vita non può
che scaturire la volontà profonda di cambiare radicalmente il proprio essere, vivendo ora più
che mai la parola di san Paolo: «non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io
vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso
per me»62. Nasce da ciò il processo di cristificazione tanto caro alla teologia orientale, la santità,
quale fine della nostra vita, riceve questa declinazione cristologica: non esiste santità personale
che non sia una santità costruita secondo l’immagine del Verbo di Dio fatto uomo, ossia non
esiste processo di santificazione che non sia un processo di appropriazione dell’identità in
Cristo. Colui che compie questa opera nel cuore e nella carne dell’uomo è lo Spirito Santo, che
donato dal Signore ai suoi fedeli porta a compimento l’opera iniziata nella creazione: ciò
testimonia la dimensione trinitaria della divinizzazione dell’uomo, che non è solo iniziativa del
Figlio, ma dono del Padre, nella persona del Figlio, realizzata per mezzo dello Spirito Santo.

Solo in questo modo potrà avvenire la trasformazione profonda dell’intera vita dell’uomo
ed il passaggio dall’essere ad immagine di Dio all’essere sua somiglianza. Qui si situa lo sforzo
dell’uomo che ha bisogno della grazia descritto dalla teologia morale, perché proprio attraverso
le scelte pratiche egli può realizzare o meno in sé la parola che ne descrive la sua identità. La

61
La vocazione personale, 27.
62
Gal 2,20.
27
vocazione personale ha a che fare con l’opzione fondamentale della vita e con la decisione non
tra bene e male, ma tra più beni:

«In altre parole, in ogni scelta che devo fare, vi è una chiamata a me come essere unico nel suo
genere. Se ambedue le alternative in una scelta concreta da farsi sono di fatto buone, non sono
moralmente libero di scegliere l’una o l’altra – questo sarebbe agire come una persona dell’Antico
Testamento, guidata dal criterio morale del giusto e dello sbagliato, del buono e del cattivo. No,
per me che sono una persona del Nuovo Testamento, vi è la chiamata ad un “più grande amore”:
è la chiamata del mio Gesù personale all’unico e specifico me. E il criterio per discernere questa
chiamata unica e specifica non è altro che la mia “vocazione personale”»63.

63
La vocazione personale, 30.
28
CAPITOLO TERZO

L’OPZIONE DELL’UOMO

Nel primo e nel secondo capitolo si è studiato il fenomeno dell’elezione: quel particolare
modo che Dio ha di scegliere gli uomini per la salvezza, propria e di tutto il genere umano, che
si concretizza, in ultimo, nell’incarnare e rappresentare al mondo una porzione speciale del
volto di Cristo. Si procederà ora, con un percorso inverso: l’uomo dopo essersi scoperto scelto
ed amato da Dio decide di compiere la sua scelta di vita, un’opzione fondamentale, che gli
permetta di portare a compimento l’elezione di Dio. In primo luogo verrà illustrata la tematica
della opzione fondamentale, in secondo luogo le forze che agitano il cuore dell’uomo contro di
essa, i vizi, ed in terzo luogo la grazia, dono di Dio che viene in aiuto contro il tentatore.

3.1 L’OPZIONE FONDAMENTALE

Tutti gli uomini, sebbene non se ne rendano conto, nella loro vita compiono una scelta
che opera da chiave di volta nei confronti di tutte le altre scelte particolari che faranno, ossia la
loro opzione fondamentale. Questa non viene decisa di punto in bianco dall’uomo, ma arriva a
maturazione nell’età adulta e deriva dalla sua formazione, dalla cultura in cui è cresciuto,
dall’ambiente familiare in cui ha vissuto ed anche dal carattere proprio, che può essere più o
meno flessibile rispetto agli elementi recepiti dall’esterno. Tutto ciò non nega che l’uomo,

29
resosi conto dell’inefficacia della sua scelta in vista di una vita felice, possa tornare sui propri
passi e riconsiderare il cardine comportamentale della sua intera esistenza.

Bisogna aver chiaro che qualsiasi opzione che gli esseri umani non è inclinata al male,
almeno in un senso soggettivo, chiunque compie un’azione lo fa perché desidera trarne qualche
bene64. La difficoltà nasce, tuttavia, quando si deve identificare il mezzo che ci conduce al fine
della nostra vita, cioè la beatitudine: per tutta la tradizione cristiana l’uomo possiede per natura
uno strumento molto preciso, la sinderesi che è detta: «instigare ad bonum, et murmurare de
malo»65 da Tommaso. Nel momento in cui si “spegne” la sinderesi l’uomo diventa totalmente
sradicato dalla sua natura e decide autonomamente rispetto al grido che gli sale dalla coscienza,
luogo in cui gli parla Dio66. Cadendo in questo stato nascono le opzioni fondamentali che
generano una vita che al suo centro non ha il Vangelo e rischia di essere una vita mal riuscita,
incompiuta.

Già nella filosofia antica nacquero dei modelli etici i quali si stabilirono su posizioni
molto distanti tra loro: l’etica eudemonistica di Aristotele, la quale intendeva perseguire la
felicità attraverso la pratica delle virtù, al di sopra delle quali era posta la giustizia e l’etica
edonistica di Epicuro, che riteneva principio cardine della vita morale il piacere ed il suo
perseguimento67. Nel corso della storia sono nati, poi, altri modelli morali, come quello
utilitaristico di Jeremy Bentham, che non metteva più il piacere al centro della vita umana, ma
l’utile raggiunto attraverso le proprie azioni, secondo una declinazione che mira
all’accrescimento del bene sociale68; altro modello che si può rinvenire è quello kantiano del
“dovere per il dovere”: il principio cardine delle proprie decisioni deve essere quello di poter
universalizzare la propria scelta, in maniera che sia buono compierla anche per gli altri.

Di questi modelli finora presentati bisogna riconoscere elementi positivi ed elementi


negativi, per giungere a delineare i contorni di una buona opzione fondamentale.

64
«Comunemente si ammette che ogni arte esercitata con metodo, e, parimenti, ogni aizone compiuta in base a
una scelta, mirino ad un bene: perciò a ragione si è affermato che il bene è “ciò cui ogni cosa tende”». ARISTOTELE,
Etica Nicomachea, 1094a.
65
S. Th., I, q. 79, a. 13.
66
«La coscienza è l’originario vicario di Cristo, profetica nelle sue parole, sovrana nella sua perentorietà,
sacerdotale nelle sue benedizioni e nei suoi anatemi; e se mai potesse venir meno nella Chiesa l’eterno sacerdozio,
nella coscienza rimarrebbe il principio sacerdotale ed essa ne avrebbe il dominio». J. H. NEWMAN, Lettera al duca
di Norfolk, Paoline, Milano 1999, 318.
67
«E nell’opera Sul fine egli scrive così: “Io, personalmente, non riesco a concepire che cosa sia il bene, a parte i
piaceri del gusto, i diletti d’amore, quelli dell’udito e quelli estetici». Così scrive di lui Diogene Laerzio nel
racconto della sua vita. (Cfr. DIOG. L., X, 129 in Epicurea, a cura di I. ROMELI, Bompiani, Milano 20073, 767).
68
Questa la definizione del “principio di utilità”: «quel principio che approva o disapprova qualunque azione a
seconda della tendenza che essa sembra avere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui interesse è in
questione». (J. BENTHAM, Introduzione ai princìpi della morale e della legislazione, a cura di E. LECALDANO,
UTET, Torino 1998, 90).
30
L’etica aristotelica ha il grande merito di illustrare la tensione dell’uomo verso il bene ed
il principio per il quale egli, attraverso le virtù può diventare uguale a ciò a cui tende, ossia può
diventare buono69. Il lato negativo è quello dell’assenza, trattandosi di una etica filosofica, della
consapevolezza del limite umano e del bisogno di aiuto per raggiungere il bene.

L’etica edonistica porta in sé un grande valore: evidenzia che il bene è piacevole per
l’uomo e che la spinta fornita dal piacere spesso può far superare all’uomo ostacoli che con il
solo uso del pensiero e dell’idea di virtù non riuscirebbe ad affrontare. Il rovescio della medaglia
è costituito dall’esasperazione del piacere fino ad assumere le tinte del puro piacere sensuale o
sensitivo70.

L’etica utilitaristica, vista secondo alcuni come una evoluzione di quella edonistica, mette
in luce l’aspetto sociale dell’agire umano, ma, allo stesso tempo, rischia di assolutizzare il
criterio dell’utile o eliminando dall’orizzonte il bene del singolo, o accentuando troppo la chiave
economica dell’utile (è interessante notare, in questo caso, che i profitti di un’azienda sono
proprio definiti con questo termine, “utili”).

L’etica deontologica ha in positivo la valorizzazione della coscienza e del rispetto della


sua voce, mentre corre il rischio che l’uomo, seguendola, non capisca il perché delle sue azioni,
concependole solo come dovute71.

L’opzione cristiana della vita ha la capacità di mettere insieme tutti gli aspetti positivi ora
visti e di superare quelli negativi. Essa si configura come la risposta dell’uomo ad un Dio che
lo ha eletto e tiene insieme diverse polarità: grazia e partecipazione dell’uomo, desiderio del
bello, del piacevole e temperanza, bene comune e bene della persona, ascolto della coscienza e
consapevolezza dei fini.

La lettera enciclica Veritatis Splendor tratta della scelta fondamentale dal numero
sessantacinque al sessantotto e, dopo aver sottolineato i pericoli di una scissione tra opzione
fondamentale e scelte concrete (65), la definisce: «Si tratta della scelta della fede,
dell’obbedienza della fede (cfr. Rm 16,26), “con la quale l’uomo si abbandona tutto liberamente

69
«Il bene dell’uomo consiste in un’attività dell’anima secondo la sua virtù». ARISTOTELE, Etica Nicomachea,
1098a. Da questa affermazione Aristotele procede dimostrando che l’unica vita felice è quella secondo virtù,
quindi nel tracciato della sua etica seguirà la trattazione degli habitus (la virtù in generale), degli atti umani e
delle virtù in particolare.
70
Scrive Cicerone negli Accademici secondi, I, 2, 6: «A proposito della vita, dei costumi e delle cose da ricercare
e da fuggire, gli Epicurei la pensano in modo molto semplice: ritengono, infatti, che il bene delle bestie e quello
dell’uomo sia il medesimo». (Epicurea, 593).
71
Con l’obiettivo di stabilire una morale della ragione e basata sulla legge così scrive Kant: «L’essenziale di
ogni determinazione della volontà mediante la legge morale è: che essa venga determinata solo mediante la legge
come volontà libera». (I. KANT, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma-Bari 20107, 159).
31
a Dio liberamente, prestando il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà”»72. L’enciclica
indica anche la distinzione nell’unità tra Antico e Nuovo Testamento: all’origine della morale
israelitica c’è sempre il riconoscimento della divinità di YHWH, che: «imprimendo il senso
originale alle molteplici e varie prescrizioni particolari, assicura alla morale dell’Alleanza una
fisionomia di globalità, di unità e di profondità»73; nel Nuovo Testamento l’attenzione si sposta
su Gesù e sulla sua richiesta di sequela che plasma tutti gli atti del discepolo: «L’appello di
Gesù “vieni e seguimi” segna la massima esaltazione possibile della libertà dell’uomo e, nello
stesso tempo, attesta la verità e l’obbligazione di atti di fede e di decisioni che si possono dire
di opzione fondamentale»74.

Si noterà che in questa citazione finale di Veritatis Splendor 66 viene espresso il rapporto
tra opzione fondamentale nei confronti di Gesù e libertà dell’uomo: solo una libertà che
risponde all’appello di Dio in Cristo può diventare pienamente se stessa e svolgere il suo
compito perché a contatto con la più grande libertà che è quella di Cristo stesso; scrive Cozzoli
a tal riguardo:

«Al principio della libertà cristiana c’è Cristo, crocifisso e risorto, vincitore insieme del peccato
e della morte. Lo afferma chiaramente san Paolo: «Cristo risuscitato dai morti non muore più; la
morte non ha più potere su di lui. Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta
per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio” (Rm 6,9-10. Partecipi per via
battesimale della morte di Cristo – “battezzati nella sua morte (Rm 6,2), “sepolti per mezzo del
battesimo insieme a lui nella morte” (Rm 6,4; cfr. Col 2,12), “morti con Cristo (Rm 6,8) – i
cristiani sono nell’economia liberante della risurrezione (cfr. Col 2,12). “Così – conclude Paolo
– anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù” (Rm 6,11). […]
Lo Spirito del Signore, donato a noi (cfr. Rm 5,5al ,6; Rm 8,9), è in noi principio e fermento di
libertà. Questa è la signoria del Risorto nella nostra vita. Tale signori è la sintonia – accordata
dallo Spirito – della nostra libertà alla libertà di Cristo Risorto»75.

La scelta fondamentale del cristiano lo lega profondamente al mistero di Cristo ed assume


i lineamenti di una chiamata sacramentale, come si è già visto nel primo capitolo, per la
partecipazione alla morte e resurrezione di Cristo. Questa è un’opzione in quanto a seguito del
cambiamento ontologico che avviene nei sacramenti l’uomo può disporre di scelte che orientino
la sua vita a realizzare moralmente e nella prassi la trasformazione in lui avvenuta. Si evince in
questo momento l’importanza dell’argomento nel filo del discorso: l’uomo che apprende la
propria elezione in Cristo è chiamato a compiere una scelta da cui derivano la vita o la morte, la
realizzazione e la felicità o l’incompiutezza e l’angoscia: adeguarsi, sintonizzarsi con la libertà
di Cristo che lo ha scelto – come propone Cozzoli – o rifiutare l’elezione di grazia ricevuta; essere

72
VS 66, la citazione interna è di DV 5.
73
Ibidem.
74
Ibidem.
75
M. COZZOLI, Etica teologica della libertà, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2004, 159s.
32
come Zaccheo, che una volta che il Signore è andato da lui si è deciso per un radicale cambio
della propria vita o come il giovane ricco, che di fronte alla proposta di Gesù per la beatitudine
ed al suo sguardo pieno di amore: «si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti
molti beni»76.

3.2 I VIZI

Accanto a questa scelta fondamentale che viene operata dall’uomo nella sua libertà
constatiamo che sul piano particolare spesso i suoi atti non corrispondono appieno ad essa, infatti
mentre negli angeli la loro opzione fondamentale per Dio è anche l’unica scelta della vita, dalla
quale non possono retrocedere perché sostanze spirituali che stanno sempre di fronte a Dio e,
vedendo il bene, non possono scegliere altrimenti77, l’uomo non possiede questa visio Dei ed
allora come pellegrino gli si può presentare l’occasione della caduta, proprio a ragione della sua
libertà.

Comunemente il peccato è riconosciuto come quell’atto che rompe la comunione con Dio
e deteriora la nostra libertà, creata per il bene, ora lo si riconosce come quel particolare momento
di caduta rispetto al desiderio di rispondere all’elezione ricevuta. Il peccato diventa così una
questione di relazione ed è resa più evidente la triplice declinazione del male compiuto:
ingratitudine e ignoranza verso Dio, lesione della propria integrità verso se stessi, rottura della
comunione degli eletti all’unica chiamata nella santità verso il popolo con cui si è solidali.
Nell’individuo si possono verificare due tipologie di peccato, una come “situazionale” o
“particolare”78 ed un’altra ancora più profonda, quasi opposta all’opzione fondamentale: «il
peccato può essere voluto in modo consueto e abituale, in una libertà fondamentale di male o
debolmente orientata al bene o di mediocrità morale. Espressione, questa, di uno stato di peccato,
che dà luogo a scelte ed atti moralmente eccepibili, cioè cattivi»79.

Quest’ultimo è il caso degli uomini che hanno scelto deliberatamente il male o di quelli
che si sono fatti vincere dalla tentazione del maligno, che sempre tenta di far sì che il progetto di
Dio per l’uomo non si compia attraverso quelli che sono riconosciuti come i suoi più potenti
demoni, ossia i sette vizi capitali, otto per la tradizione greca. Giovanni Cassiano li elenca in
questo modo:

«primo, la gastrimargia, intesa come bramosia della gola; secondo, la fornicazione; terzo, la
filargiria, che vuol dire avarizia,o anche, per esprimerci meglio, l’amore del denaro; quarto, l’ira;

76
Mc 10,22.
77
Cfr. S. Th., I, q. 62, a. 8.
78
Cfr. M. COZZOLI, Etica teologica della libertà, 312ss.
79
Ivi, 315.
33
quinto, la tristezza; sesto, l’accidia, che equivale all’ansietà e al tedio dell’animo; settimo, la
cenodossia, cioè la gloria vana e inutile; ottavio la superbia»80.

Egli tra tutti questi mette al primo posto il vizio della gola, ritenuto l’inizio della lotta contro
gli spiriti perché è: «impossibile infatti che un intestino ripieno di vivande possa sostenere le
battaglie dell’uomo interiore, e neppure risulta decoroso che affronti lotte più difficili uno che
rischia di essere atterrato in combattimenti meno impegnativi».

Esiste in noi – per la nostra natura ferita dal peccato – e fuori di noi – per l’influenza degli
angeli ribelli e di questi spiriti che abbiamo ora presentato, una continua lotta tra la volontà di
aderire al bene e le tendenze carnali che porta l’uomo a non fare «il bene che voglio, ma il male
che non voglio»81. San Tommaso tratta nella quaestio 114 della Summa Theologiae dell’ostilità
dei demoni nei confronti degli uomini e fornisce alcune indicazioni chiare su questa realtà del
peccato e del vizio: è proprio dei demoni la impugnatio, l’attacco o lotta contro gli uomini: «La
lotta, in se stessa, è dovuta alla malvagità dei demoni, i quali, per invidia, cercano di impedire il
perfezionamento dell’uomo [profectum hominum impedire nituntur] e, a causa della loro
superbia, usurpano la somiglianza del potere divino e deputano al proprio servizio determinati
ministri, perché combattano gli uomini»82; le modalità di questa lotta sono duplici, una è
l’istigazione al peccato, l’altra la punizione che arriva al livello fisico. Continuando il discorso
Tommaso sottolinea come l’obiettivo dei demoni sia conoscere l’interiorità umana allo scopo di
poter meglio tentare l’individuo: ciò che essi non conoscono per natura delle inclinazioni e
debolezze della persona cercano di scoprirlo attraverso la lotta mossa all’uomo, in modo da
servirsene per la vittoria83. Bisogna sottolineare, tuttavia, che l’uomo peccherebbe anche senza
la tentazione del diavolo, semplicemente per la sua natura ferita: «per la debolezza umana sarebbe
sufficiente, come prova, la lotta che le muove contro la carne e il mondo; non è sufficiente, però,
per la malizia dei demoni, la quale si serve di entrambi per combattere gli uomini»84.

In maniera indiretta il diavolo è causa di tutti i peccati dell’uomo, e quindi di tutte le


trasgressioni riguardo la chiamata ricevuta: «si dice che il diavolo è causa di tutti i nostri peccati,
poiché fu lui ad istigare il primo uomo a peccare, dal cui peccato è conseguita, in tutto il genere

80
GIOVANNI CASSIANO, Le istituzioni cenobitiche, Scritti Monastici Abbazia di Praglia, Bresseo di Teolo (PD)
20072, 147.
81
Rm 7,19.
82
S. Th, I, q. 114, a. 1, res.
83
«solo Dio, essendo “colui che soppesa gli spiriti”, conosce le condizioni interiori dell’uomo, a causa delle quali
alcuni sono più inclini ad un vizio piuttosto che a un altro. E quindi il diavolo tenta per esplorare le condizioni
interiori dell’uomo, per poi tentarlo in quel vizio verso il quale l’uomo è più proclive». S. Th., I, q. 114, a. 2, ad.
2.
84
Ivi, a. 1, ad. 3.
34
umano, una certa inclinazione verso tutti i peccati»85. Si vedrà, tuttavia, che in maniera diretta,
come si è sopra accennato, non è sempre “colpa” del diavolo: «non tutti i peccati sono commessi
per istigazione del diavolo; ma alcuni [lo sono] per la libertà dell’arbitrio e la corruzione della
carne»86.

A questo riguardo si definiscono due cause del rifiuto fondamentale dell’uomo nei
confronti della sua elezione, la tentazione del diavolo da una parte e quella che Agostino chiama
“passione” dall’altra. Quest’ultimo nel suo dialogo sul Libero Arbitrio – dopo aver confessato
che proprio il problema del male è stato quello che lo ha condotto a peregrinare da una concezione
filosofica all’altra per finire in ultimo alla fede cristiana – fa dire ad Evodio, suo interlocutore:
«è ormai chiaro, infatti, che a dominare nell’intero genere dell’agir male è nient’altro che la
passione (libidinem)»87, il cui altro nome è quello di cupiditatem, la brama o cupidigia e consiste
ne: «l’amore di quelle cose che ognuno può perdere suo malgrado»88.

Più avanti Evodio confermerà la tesi di Agostino ed affermerà: «sono d’accordo sul fatto
che tutti i peccati siano contenuti in quest’unico genere, che si ha quando uno si distoglie dalle
realtà divine e veramente durevoli e si rivolge a quelle mutevoli e incerte»89: il peccato in senso
generale è il sovvertimento, quindi, della legge eterna fissata da Dio, la quale può essere messa
in analogia con l’elezione fin dall’eternità di ogni singola persona; peccando, cedendo alle
passioni ed al demonio, l’uomo può perdere col passare del tempo la sua conformazione alla
chiamata ricevuta.

Per l’uomo moderno esistono due grandi forze di cui si serve il diavolo per far deviare
l’uomo dalla legge iscritta nel suo intimo dal creatore, le quali si conformano proprio come un
amore smisurato di quelle cose che si potrebbero perdere: l’amore per il denaro ed il troppo amore
per se stessi. Il primo deriva dal vizio dell’avarizia, che ha la capacità di legare il cuore umano
al denaro per il denaro, senza che esso sia funzionale all’acquisto di altro: la ricchezza costituisce
quel deposito privato che dona sicurezza alla vita, quindi non può essere spesa in altro. In questo
modo è stata totalmente sovvertita la natura del denaro che da mezzo per l’appropriazione di beni
utili alla vita è pian piano diventato il fine ultimo della vita, bene che crea una falsa stabilità e
non permette più all’uomo di consegnare la propria vita nelle mani di Dio. A livello di elezione
si assiste ad un assottigliamento della loro finalità, in quanto il progetto di vita dell’uomo è volto
ad ottenere il più alto profitto dalle proprie azioni e non a formare la persona e compiere la sua

85
Ivi, a. 3, res.
86
Ibidem.
87
AGOSTINO, Il libero arbitrio, I, iii, 8, in AURELIO AGOSTINO, Tutti i dialoghi, Bompiani, Milano 20082, 899.
88
Ivi, iv, 10, 905.
89
Ivi, xvi, 35, 957.
35
più alta vocazione alla santità in Cristo: le forze dell’uomo sono oggi concentrate nel darsi una
stabilità mondana perché il denaro ha acquistato addirittura il posto del Paradiso al centro del
cuore dell’uomo; non si spera più nella vita beata ed eterna, ma nella ricchezza che dà sicurezza
in questa vita mondana.

L’amore di se stessi, dal canto suo, è quella passione riconosciuta fin dall’antichità come
filautia, considerata dai padri greci e soprattutto da Evagrio come l’origine di tutti i vizi. Thomas
Spidlik nel suo manuale sulla spiritualità dell’Oriente cristiano, così la presenta:

«Massimo il Confessore è giustamente considerato il grande dottore della filautia. La definisce


come “passione verso il corpo”, “tenerezza irragionevole per il corpo”. L'opzione fondamentale
tra lo spirito e i piaceri dei sensi è, nel suo sistema morale, l'opzione tra la felicità e il piacere. Il
phìlautos è “amico di sé contro se stesso”. Si passa dalla filautia alla ricerca del piacere sensibile,
e così, attraverso tutti i vizi, si arriva all'orgoglio»90.

È stretto il collegamento che Massimo il Confessore pone tra la filautia e la lussuria, infatti
questo amore di sé subito trova sfogo nel dare soddisfazione ai desideri della propria carne, che
sempre però sono in contrapposizione con i desideri dello Spirito come insegna San Paolo: «La
carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste
cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste»91. La nostra società è
caratterizzata da questa deviazione verso i desideri della carne nella forma di una
assolutizzazione della presenza della sessualità in ogni ambito della nostra vita, dalla pubblicità
delle auto ai modi di vestire, funzionali ad “esternare” il proprio corpo, tanto che Umberto
Galimberti trattando dei “nuovi vizi” di oggi parla della sessomania che ha portato a spegnere la
sessualità nella sua potenza creativa:

«nonostante il suo innegabile tripudio e la sua ostentazione senza limiti, a me vien da dire che,
nella nostra consumata cultura, non c’è più sessualità, perché ciò che si persegue è la parodia della
sessualità, già ampiamente controllata dai produttori della sessualità, che l’hanno iscritta nella
contrattazione e nella ripetizione, dove ciò che si legge è solo l’estinzione del desiderio e il suo
inganno. Infatti nel proliferare incontrollato di immagini sessuali, sulle strade, sugli schermi, sulla
carta stampata, la sessualità è estinta in ciò che ha di potenzialmente sovversivo e creativo, perché
ciò che si lascia circolare sulle strade, sugli schermi, sulla carta stampata è solo la ripetizione
monotona di una promessa mancata»92.

L’amore smisurato di sé stessi e del proprio corpo ha prodotto nell’uomo moderno


l’incapacità di desiderare ed il totale ripiegamento su se stessi al livello spirituale che insieme

90
T. SPIDLIK, La spiritualità dell’Oriente cristiano. Manuale sistematico, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995,
242. Le citazioni di Massimo il Confessore sono tratte dai Capita de Caritate e dalle Quaestiones ad Thalassium.
91
Gal 5,17.
92
U. GALIMEBRTI, I vizi capitali e i nuovi vizi, Feltrinelli, Milano 2003, 97.
36
impediscono di ascoltare la voce di Dio che lo chiama. Questi due elementi tentano, qualora si
sia scoperta la propria vocazione, di convincere a non seguirla, perché l’elezione è sempre una
chiamata ad uscire fuori da sé, uscita impossibile per coloro che hanno consacrato la vita a se
stessi o al denaro come loro Dio.

3.3 LA GRAZIA

Il percorso finora condotto ha posto al centro la libertà dell’uomo che può decidere come
disporre della sua vita in una opzione fondamentale che anticipa ogni atto particolare, come una
sorta di grande orizzonte nel quale inserire la propria vita ed in seguito le azioni giornaliere.
Questa scelta che l’uomo necessariamente compie indica, in qualche modo, quale sia il valore
centrale della sua vita, se Dio, il denaro, la legge per la legge, l’utilità. L’opzione fondamentale
che nasce dalla fede cristiana mette al centro Cristo che dà nuova vita alla libertà e alla volontà
umana; in questo contesto l’uomo fa esperienza del proprio limite, perché spesso ad una libertà
fondamentale per il bene non corrispondono delle opere singole e particolari nella stessa
direzione: ciò si verifica a causa della fragilità della natura umana e dell’azione tentatrice del
demonio. La prima non è ordinata alla seconda, ma quest’ultima se ne serve per portare fuori
strada la persona che con tanto desiderio di bene ha deciso di ricambiare l’amore rivelatosi nella
elezione di Dio.

Il Padre, che conosce tutto di noi perché nostro Creatore93, non può ovviamente lasciare
l’uomo senza aiuti nella lotta che deve affrontare per corrispondere al suo disegno di amore ed
allora gli fornisce due sostegni, corrispondenti ai due elementi sopracitati in negativo: la grazia
a supporto della natura in modo che essa «non tollat naturam, sed perficiat»94; la custodia degli
angeli contro l’impugnatio dei demoni.

La fragilità della sua natura ha portato nella realtà dell’uomo il peccato, l’unico vero male
e per esso Dio ha mandato il suo Figlio a redimere l’uomo donandogli la grazia: «contro questo
orribile veleno [=il peccato] non vi è altro rimedio che il Sanghe dell’Uomo-Dio, la cui forza ed
il cui frutto è la grazia divina; poiché un male infinito esige contrapposto d’infinita forza ed
efficacia»95. Gli uomini dopo il peccato di Adamo perdono quella capacità di ascolto e ricezione
della Rivelazione di Dio che ha analizzato Rahner ed hanno bisogno della grazia:

93
Un esempio su tutti che testimonia questa consapevolezza nel popolo di Dio è il Salmo 139, Dio conosce perfino
le ossa dell’uomo: «Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità
della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati
quando ancora non ne esisteva uno» (v. 15s.).
94
S. Th., I, q. 1, a. 8, ad 2.
95
M.J. SCHEEBEN, Le meraviglie della grazia divina, LUP, Città del Vaticano 2008, 367s.
37
«L’uomo non può con le sole sue forze cambiare la sua cattiva volontà al punto da sollevarsi di
nuov a Dio, ed abbracciarlo con amore soprannaturale di figlio. Solo la grazia compie tutto questo.
Essa versa nel nostro cuore l’amore soprannaturale dello Spirito Santo per il quale noi ci
attacchiamo di nuovo a Dio, e fa scendere in pari tempo su di noi tutto l’amore del Padre celeste,
cosicchè Egli dimentica i nostri peccati e riguarda l’anima nostra come sua amica e sposa»96.

La grazia compie questa sutura nella relazione tra Dio e gli uomini attraverso la sua azione
santificante nei confronti di questi ultimi, opera unica che tuttavia può essere distinta
concettualmente. C’è un primo atto in cui l’uomo riceve la dignità che ha perduto ed è riabilitato
per la comunicazione con Dio, il peccato è sconfitto, egli è finalmente libero di compiere il bene
e di entrare nel Regno di Dio, essendogli donata la partecipazione alla natura divina: «Questa
eccelsa divina natura, per l’infinita potenza insondabile del suo amore, attira a sé – con la grazia
– la nostra natura, l’immerge in se stessa, come si tuffa il ferro nella fornace ardente. In modo
analogo veniamo noi ad appartenere alla generazione di Dio, come l’aria, illuminata dal
tramonto del sole, diviene essa stessa luminosa»97. Questo primo effetto dell’azione della grazia
è seguito dall’infusione delle virtù – specialmente quelle teologali – in modo che alla
conversione e santità ontologica possa seguire quella pratica, per una vita non più regolata dalla
legge del peccato, ma dallo Spirito. Scheeben paragona queste virtù infuse: «alla fecondità di
un alberetto a cui è stato innestato un ramicello di specie più nobile. Il principale effetto di
queste virtù infuse è di far produrre alle anime nostre frutti di qualità infinitamente superiore,
di una qualità di cui per sua natura l’anima non possedeva nemmeno il germe»98. Fede, carità e
speranza vanno a rafforzare tre facoltà dell’uomo: la ragione in modo che essa si innalzi alla
conoscenza di Dio, in senso sia soggettivo che oggettivo; la volontà, perché così l’uomo ami
Dio come Egli stesso si ama in quanto amore; la potenza che muove all’agire, che la speranza
fa poggiare solo su quella di Dio che sentiamo come nostra99.

Nella tradizione cristiana si è sempre conservata una preghiera verso il proprio angelo
custode a cui si richiede: «illumina, custodisci, reggi e governa me». Questa non è solo
espressione di una pietà popolare per semplici, ma ha un profondo radicamento sia nelle Sacre
Scritture, di cui – come indica anche Tommaso nella Quaestio 113 al Sed Contra – si può
leggere il salmo 90: «Egli per te darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie. Sulle
mani essi ti porteranno, perché il tuo piede non inciampi nella pietra»100; sia teologico:

«in tutte le cose si riscontra che quelle mobili e mutevoli sono mosse e regolate da quelle immobili
e immutabili. […] Ora, è evidente che riguardo alle cose da fare la conoscenza e le affettività

96
Ivi, 369.
97
Ivi, 67.
98
Ivi, 377.
99
Cfr. Ivi. 379.
100
Sal 91,11s.
38
dell’uomo possono mutare e distogliersi dal bene in molti modi. E quindi fu necessario che gli
uomini fossero affidati alla custodia degli angeli, dai quali fossero regolati e sospinti verso il
bene»101.

A chi obietta che l’uomo potrebbe custodirsi da sé per mezzo del libero arbitrio e della
conoscenza della legge naturale Tommaso risponde che egli non può evitare il male totalmente
per le sue sole forze perché «è indebolito nel suo desiderio (affectum) del bene dalle molteplici
passioni dell’anima»102. La figura angelica riveste un ruolo molto importante nell’agire di Dio
nei confronti della creatura umana, perché attraverso gli angeli passa la provvidenza divina
verso gli uomini: «la custodia degli angeli è l’esecuzione della divina provvidenza riguardo agli
uomini»103. Tommaso paragona questa custodia alla scorta fornita a coloro che compiono viaggi
pericolosi:

«l’uomo, nello stato della vita presente, si trova come su una strada, attraverso la quale deve
portarsi verso la propria patria. E su questa strada lo minacciano molti pericoli sia dall’interno sia
dall’esterno […]. E così, come si dà una scorta a quelli che attraversano strade malsicure, così e
assegnato un angelo custode ad ogni uomo, finché è viatore. Invece, quando sarà ormai pervenuto
al termine della vita, non avrà più un angelo custode, ma avrà nel regno un angelo che regna con
lui e nell’inferno un demone che lo punisce»104.

È dunque evidente che questa lotta combattuta dall’uomo non è un agere contra che ha
per fine la mera sconfitta delle proprie passioni o degli angeli cattivi in un inquadramento
puramente ascetico. La lotta del fedele cristiano è un cammino che ha una meta, la comunione
con Dio nella realizzazione piena della sua elezione: in questa strada il Signore Onnipotente
soccorre la creatura – come il Buon Samaritano con il malcapitato sulla via di Damasco (Lc
10,29-37) – perché essa possa continuare la conformazione alla vita divina che le è partecipata
per grazia.

101
S.Th, I,. q. 113, a. 1, res.
102
Ivi, ad. 1.
103
Ivi, a. 2, res.
104
Ivi, a. 4, res.
39
CONCLUSIONE

Il tracciato percorso dallo studio è partito da una presentazione della tematica, con
l’intento non solo di illustrare lo status quaestionis del tema, ma anche di fornire una piccola e
breve sintesi della teologia sull’elezione. Questa parla di una chiamata delineata come
proveniente sempre da Dio, il quale ha la primarietà nell’azione. In secondo luogo l’elezione è
stata collegata all’evento creativo ed alla storia della salvezza, quale struttura paradigmatica del
rapporto Dio-uomo. In ultimo la chiamata divina è stata contestualizzata nella realtà
sacramentale, con particolare attenzione al battesimo. L’elezione si concretizza come la
vocazione profonda dell’uomo, che viene espressa dal nome e dalla veste bianca che sono
ricevuti nel Battesimo e che Dio non ha mai smesso di comunicare all’uomo.

Particolare attenzione è stata conferita alla modalità dell’eleggere di Dio, che ha due
valenze complementari: Egli rapisce dalla dimensione naturale umana, per immettere nella
realtà divina, ma allo stesso tempo crea l’uomo con una struttura capace di recepire questa
trasformazione.

La vocazione personale, nel secondo capitolo, è stata accostata a quella che Lumen
Gentium riconosce essere l’universale chiamata alla santità. Attraverso questo collegamento,
che unisce la chiamata di Dio e la santificazione dell’uomo, consistente nella comunione alla
stessa essenza di Dio, si è dato fondamento teologico alla declinazione cristologica della
vocazione personale: l’uomo la riconosce come una chiamata ad essere un alter Christus
mediante la conformazione al Signore.

L’argomento, che sembra utile alla sola teologia spirituale, in realtà è in relazione ai
dogmi fondamentali della fede, principalmente a quello dell’Incarnazione. Solo in virtù di essa
gli uomini possono aver accesso alla salvezza e possono contemplare l’uomo vero, Cristo Gesù.
L’Incarnazione è fondamento della possibilità che l’uomo ha di essere nella sua vita una
40
particolare qualità della persona del Signore. Dato che Egli si è fatto carico della nostra carne,
ora questa è capace di portare in se stessa la divinizzazione dell’uomo, che comincia con il
giorno del Battesimo, in cui si accede alle realtà soprannaturali. In questo modo la
cristificazione dell’uomo, la cui possibilità è data dall’Incarnazione, va a coincidere con la
salvezza stessa dell’uomo: egli è giustificato e redento da Cristo solo in vista di questa unione
del tutto particolare con la natura divina. Nella misura in cui l’uomo si apre a questo mistero
che lo trasforma interiormente, egli saprà vivere da salvato e risorto in Cristo

Non si è di fronte ad un mero spiritualismo o ad una teologia astratta, ma ad un processo


che si cala nel reale della vita del cristiano: tocca la preghiera e la conoscenza del Signore che
l’uomo può maturare ed entra in dialogo con la consapevolezza di sé che ognuno ha; influenza,
infine, o quantomeno dovrebbe influenzare, le scelte che la persona compie in quanto soggetto
morale.

Dall’intuizione della vocazione personale dipende l’opzione fondamentale dell’uomo


nella vita che sarà per o contro Cristo a seconda di quanto essa lo avrà coinvolto nell’intimo.
La potenza dell’elezione non coincide solamente con una scelta trascendentale
dell’orientamento della propria vita, ma entra in relazione con ogni singola scelta e ne diviene
criterio di discernimento assoluto.

L’uomo che avrà amato la sua vocazione personale, perché ha riconosciuto che solo in
essa sta il segreto della sua felicità e santità, vorrà sempre più conformarsi al Cristo in
quell’aspetto suo proprio ed unico e quindi tenterà di mettere in atto nella sua vita solo decisioni
in consonanza con essa. Platone descrive nel Fedro l’innamoramento che potremmo paragonare
a quello che, per mezzo dell’elezione, si vive per Cristo. Tale innamoramento rende la vita del
cristiano qualcosa di bello e desiderabile, che è già, di per sé, evangelizzazione:

«dopo che ha visto ed è stata irrorata dal flusso d’amore, si sciolgono i condotti che prima si erano
ostruiti e, ripreso respiro, cessa di avere punture e travagli e allora gode, nel momento presente,
di un piacere dolcissimo. Di sua volontà non si allontana e non tiene conto di alcunché più che
del suo bello. Addirittura, si dimentica di madri, di fratelli e di tutti gli amici; e se le sue ricchezze
vanno in rovina, perché non se ne cura più, non gliene importa nulla. In dispregio di tute le buone
regole e delle convenienze di cui si ornava prima di quel momento, essa è disposta a servire e a
giacere con l’amato dovunque le sia concesso, purché si trovi il più vicino possibile a lui. Infatti,
oltre che onorare colui che ha la bellezza, ha trovato in lui l’unico medico dei suoi grandissimi
mali»105.

Nell’introduzione allo scritto sono stati evidenziati due particolari riduzionismi, uno
incidente sull’azione dell’uomo, visto nel contesto spesso come troppo passivo, ed uno sulla

105
PLATONE, Fedro, 251e-252b.
41
qualità della scelta elettiva ed i suoi criteri. È stato dimostrato che l’elezione non è una scelta
da parte di Dio che l’uomo recepisce in maniera passiva, al modo del raptus di Balthasar, ma è
costruzione di una vita nuova, processo in cui la persona è protagonista della sua esistenza.
Proprio in virtù dell’elezione ricevuta da Dio l’uomo può cominciare un lungo cammino di
conformazione che egli deve innanzitutto scegliere a sua volta. Dio viene scelto dall’uomo, per
mezzo dell’opzione fondamentale, come criterio cardine delle sue scelte e di tutta la sua vita,
di statura non solo morale, ma anche vitale.

L’analisi del secondo riduzionismo che concerne l’elezione è di grande aiuto per
l’evangelizzazione della società umana in cui viviamo, perché va a toccare la criteriologia usata
dagli uomini nelle scelte quotidiane, solitamente di tipo utilitaristico o edonistico. Le relazioni
interpersonali presenti oggi, soprattutto tra i giovani, sono modellate sul sistema dei “like”; di
conseguenza un ragazzo o una ragazza valutano se stessi in base a quanto successo hanno sui
social network. Questo sistema penalizza coloro che hanno meno capacità con l’informatica o
un senso estetico diverso dalla maggioranza, tanto da farli scendere nella quantità di “like”
ricevuti. Dio non sceglie gli uomini in base a quante condivisioni in rete o apprezzamenti a
livello culturale o civile hanno, ma in virtù della sua santità, per cui «fa sorgere il suo sole sui
cattivi e sui buoni»106. Coloro che sono chiamati a conformarsi alla Sua santità, incarnatasi nel
Cristo morto per gli uomini quando erano ancora peccatori107 non possono adeguarsi a questo
modo di scegliere le persone, ma imparare da Lui ad eleggere tutti come fratelli.

106
Mt 5,45.
107
Rm 5,8.
42
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44
INDICE

INTRODUZIONE 2

CAPITOLO PRIMO
L’ELEZIONE 4

CAPITOLO SECONDO
LA CRISTIFICAZIONE 16

CAPITOLO TERZO
L’OPZIONE DELL’UOMO 29

CONCLUSIONE 40

BIBLIOGRAFIA 43

INDICE 45

45

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