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Rend. Online Soc. Geol. It., Vol. 13 (2011), 2-26; 12 figg., 1 tab. (DOI: 10.3301/ROL.2011.

01)

Il concetto di specie e la paleontologia:


una rassegna introduttiva

MASSIMO BERNARDI (*) & ALESSANDRO MINELLI (**)

RIASSUNTO spedizione. Gli indigeni di una remota tribù – riferirirà più


tardi MAYR (1982) – dispongono nel loro linguaggio di ben
La specie è l’unità fondamentale alla quale fanno riferimento tutte 136 nomi per indicare altrettante specie di uccelli che ri-
le classificazioni biologiche e le analisi della diversità biotica passata e
presente. Nella pratica, il riconoscimento delle specie sembra spesso conoscono nelle foreste in cui vivono. Nelle stesse foreste,
(ma non sempre) offrire poche difficoltà, tuttavia non vi è accordo tra dopo anni di meticoloso lavoro, ornitologi specialisti ne
gli specialisti su una definizione condivisa di questo concetto. Quale hanno riconosciute 137, concludendo che solo in un caso
risultato delle differenti posizioni sostenute da diversi studiosi si è gli abitanti della zona avevano mancato di distinguere fra
giunti ad una vera proliferazione di concetti di specie, particolarmen-
te in anni recenti. In questo contributo viene fornita una panoramica due specie simili.
sui principali argomenti del contendere, le soluzioni proposte, la loro Allo stesso modo – ed anche più agilmente – chiunque
formalizzazione in definizioni alternative. Speciale attenzione viene sarebbe in grado di distinguere, indicandoli come due spe-
dedicata alle problematiche poste dal materiale fossile con la disa-
mina dei principali contributi pubblicati sull'argomento: dal primo
cie differenti, il cavallo domestico (Equus caballus) dalla
convegno specificamente dedicato al problema della specie in paleon- zebra delle savane africane (Equus burchelli) che pure, ad
tologia alla definizione di unità di rappresentazione, passando per i un’analisi più approfondita, non sono poi così differenti,
principali concetti applicabili in ambito paleontologico. disegno del mantello a parte.
Ma allora, perché tanto dibattito attorno all’argomento
TERMINI CHIAVE: specie, tassonomia, filogenesi, cladistica. “specie”?
Come afferma STANLEY (1982), sembra essere una fon-
ABSTRACT damentale caratteristica dell’uomo, fin dai tempi più an-
tichi, quella di riconoscere delle specie (o “tipi”) tra gli
The species is the fundamental unit, reference for all biologi- organismi viventi con i quali interagisce. A dispetto però
cal classifications and for past and present biodiversity analysis. In di questa apparente abilità, c’è stato e c’è tuttora molto
practice, species seem to be often (but non always) easily identifiable.
There is, however, poor agreement on a definition of this concept. disaccordo su una possibile e condivisibile definizione di
Different views on various issues have led to a proliferation of species specie. Charles Darwin, in una famosa lettera inviata la vi-
concepts, particularly in recent years. In this contribution we present gilia di Natale del 1856 all’amico Joseph Dalton Hooker,
an overview of the most controversial points, the proposed solutions,
and their formalization in alternative definitions. Special attention is
scrisse che, per un naturalista, cercare di definire le specie
given to the fossil species debate by reviewing the main contributions equivale al “tentativo di definire l’indefinibile”.
published on the topic: from the first symposium dedicated to the
species problem in palaeontology, to the definition of units of repre- In buona sostanza, la problematica dalla quale muove
sentation, through the most popular species concept that have been
used in palaeontology. la gran parte delle analisi è riassumibile nella domanda:
intendiamo tutti la stessa cosa, quando parliamo di specie?
O, meglio, utilizziamo tutti gli stessi criteri per definire la
KEY WORDS: species, taxonomy, phylogeny, cladistics. “categoria specie”? (SCOBLE, 1985).
Nel tempo, si è assistito dapprima al faticoso organiz-
IL “PROBLEMA” DELLA SPECIE zarsi di posizioni diverse riguardo al concetto di specie,
poi, come risultato delle accresciute conoscenze e di un
Allo studioso, al lettore interessato, o anche al semplice cambiamento di prospettiva, si è giunti ad una vera pro-
“uomo di strada” che si accinga ad intraprendere l’intricato liferazione di concetti diversi (anche se non sempre e ne-
viaggio all’interno delle multiformi letture che “il problema cessariamente alternativi) e di letteratura teorica sul tema,
della specie” propone, non sfugge di certo la frequenza con particolarmente in anni recenti; si vedano, ad esempio,
la quale capita di imbattersi in un riferimento alla signifi- CLARIDGE et alii (1997), DE QUEIROZ (1999) e WILKINS (2009,
cativa esperienza di Ernst Mayr a proposito degli uccelli 2011). In una celebre rassegna, MAYDEN (1997) ha elencato
della Nuova Guinea che lo zoologo tedesco, poco più che più di venti diversi concetti di specie proposti fino ai nostri
ventenne, ebbe modo di conoscere in natura durante una giorni.
Nell’intento di delineare alcuni degli elementi che stan-
no all’origine delle differenze tra i vari concetti di specie,
____________________
(*) Museo Tridentino di Scienze Naturali, via Calepina 14, HARRISON (2002) sottolinea come differenti approcci con-
38122 Trento; massimo.bernardi@mtsn.tn.it ducano a proporre concetti di specie dichiaratamente ope-
(**) Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Pa- rativi accanto ad altri di natura teorica e con pretese di
dova, via U. Bassi 58/B, 35131 Padova; alessandro.minelli@unipd.it universalità, confidando peraltro che essi possano essere
3 M. BERNARDI & A. MINELLI

utili anche nella pratica tassonomica e applicabili a grup- parte del disaccordo sta nell’interpretare certe proprietà
pi di linee evolutive comprendenti sia forme sessuate che contingenti delle linee evolutive come proprietà necessarie
forme asessuate, consistenti in una singola popolazione (species criteria); ciò porta ad una incompatibilità tra le
interconnessa ovvero in molte popolazioni disgiunte (al- diverse definizioni di specie, sia in teoria (perché sono
lopatriche), o che siano rappresentate da taxa viventi op- basate su differenti proprietà necessarie), sia in pratica
pure da forme fossili. Inoltre, la motivazione per scegliere (perché si arriva a riconoscere taxa differenti). Si origina
un concetto di specie piuttosto che un altro può derivare così una competizione tra i diversi species criteria o le
dall’aver fatto nostro un particolare modello di processo associate definizioni di specie, mentre il tema di fondo
evolutivo, o dalle nostre opinioni al riguardo delle forze che le accomuna tutte tende ad essere oscurato. Secondo
responsabili del mantenimento delle similarità o delle dif- questo autore, riconoscere i tratti comuni di quello che
ferenze tra popolazioni o gruppi di popolazioni. Ancora, le egli stesso ha definito general lineage concept of species
specie possono essere viste come prodotti dell’evoluzione, (DE QUEIROZ, 1999) rappresenterebbe una soluzione
ma si può invece mettere l’accento sulle specie come unità semplice del problema della specie.
protagoniste del cambiamento evolutivo.
Ognuna delle definizioni alternative proposte è oggi Il grande numero di scritti sul concetto di specie in
sostenuta da un gruppo più o meno numeroso, convinto e biologia è certamente testimone dell’importanza che i
agguerrito di studiosi, ma ripetutamente affiora la speran- biologi (e i filosofi) assegnano ad esso, ma questa im-
za che una di queste – o magari una nuova – possa alla fine ponente e continua produzione, schiacciata sotto il pro-
essere condivisa dalla maggior parte dei biologi. Il proble- prio peso, rischia di non raggiungere il fine al quale le
ma è che differenti biologi hanno idee discordanti su qua- opere scientifiche aspirano, quello di divenire patrimo-
le potrebbe eventualmente essere la soluzione dell’annoso nio comune di conoscenza perché parte di un dibattito
problema della specie. che beneficia del contributo di ogni studioso. Nel caso
Molti teorici, poi, sembrano godere del disaccordo, specifico del “problema della specie”, la condivisione
usando questo argomento per sostenere e rafforzare le delle conoscenze e la partecipazione al dibattito sono
loro tesi a sostegno del pluralismo, suggerendo che il pro- rese difficili dall’estrema dispersione della letteratu-
blema della specie è, in definitiva, irrisolvibile (DE QUEI- ra sull’argomento in una miriade di pubblicazioni che
ROZ, 1999). nemmeno i moderni strumenti specifici di censimento e
L’individuazione di un concetto effettivamente appli- valutazione riescono completamente a dominare. MAYR
cabile a tutte le forme di vita (viventi ed estinte), dai bat- (2005), ad esempio, dopo aver analizzato in dettaglio
teri ai funghi, alle piante e agli animali compreso l’uomo, i contributi costituenti il volume Species concepts and
è senza dubbio un’impresa ambiziosa; non c’è quindi da phylogenetic theory (WHEELER & MEIER, 2000) conclude-
stupirsi se una soluzione soddisfacente non è stata ancora va che molti autori dimostravano di ignorare completa-
trovata. mente l’esistenza di molti testi recentemente pubblicati
sul tema. Nello stesso lavoro, il grande zoologo recente-
Il problema della specie è stato illustrato in modo mol- mente scomparso individuava, quale difficoltà aggiun-
to chiaro da Robert O’HARA (1993), che l’ha interpretato tiva per una partecipazione al dibattito, il possesso di
come una parte del problema generale della rappresenta- “un’esperienza concreta piuttosto limitata a proposito
zione della diversità biologica. O’Hara paragona le diffi- di specie” da parte di autori che definiva “tassonomi
coltà che si incontrano in questo campo a quelle poste dal da salotto”. “La lettura di alcuni articoli sulla specie,
tentativo di rappresentare la superficie della Terra in due di fresca pubblicazione, è stata per me un esperienza
dimensioni. Entrambe le discipline, tassonomia e carto- piuttosto sconvolgente” aggiungeva, estendendo infine
grafia, richiedono infatti scelte precise e meditate su quali la critica anche ai sistematici delle passate generazioni.
elementi rappresentare, come rappresentarli e cosa omet- E qui citava le parole di Charles Darwin (in DARWIN F.,
tere. 1887) che già si era espresso sulla necessità da parte
Risulta difficile prevedere come questi problemi pos- degli studiosi di maturare un’adeguata esperienza sul
sano essere risolti. Anzi, non fa meraviglia che qualche campo prima di dedicarsi alla formulazione di principi
studioso, intuite le ragioni della profonda incertezza circa teorici.
il modo più opportuno e produttivo di intendere la specie
biologica, abbia proposto di farne addirittura a meno. Di fatto, il “problema della specie”, al centro del qua-
Alcuni autori, pur sempre con l’intento di sottolineare il le si trova la “nozione biologicamente irrilevante, ma
distacco delle loro posizioni rispetto a quelle più classiche, logicamente cruciale della definizione” (HULL, 1965),
quasi tutte con una precisa connotazione biologico- viene sempre più spesso dibattuto in termini di sapo-
evoluzionistica, hanno preferito parlare – in contesti re filosofico (metafisico, epistemologico) piuttosto che
diversi – di OTU (operational taxonomic unit) (SOKAL & biologico. Ma lo stesso problema risulta molto meno
SNEATH, 1963) o di LITU (least inclusive taxonomic unit) ostico quando lo si voglia affrontare esclusivamente da
(PLEIJEL & ROUSE, 1999; PLEIJEL, 2000), rinunciando un punto di vista pratico.
quindi, deliberatamente, all’uso del termine stesso di I tassonomi basano tradizionalmente le loro
specie. Ritorneremo più avanti su queste posizioni. decisioni sul grado di somiglianza morfologica degli
In controtendenza, DE QUEIROZ (1998) ha affermato organismi che hanno davanti, anche se un numero
che il problema della specie è stato, per la gran parte, sempre maggiore di specie è stato caratterizzato, negli
già risolto; alla ricerca di nuovi modi di intendere la ultimi anni, ad esempio, sulla base di caratteri non
specie, biologi e filosofi hanno trascurato un aspetto morfologici come il comportamento (fig. 1) o i feromoni
e una soluzione relativamente semplici del cosiddetto (MAYR, 2005) o sulla base di sequenze nucleotidiche
“problema della specie”. Secondo de Queiroz, la maggior (TAUTZ et alii, 2003; VOGLER, 2006). In generale, quindi,
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 4

grado di ambiguità dei limiti tra le specie.

LA NATURA DEI PROBLEMI

Come accennato, alcune tematiche relative al con-


cetto di specie hanno decisamente varcato le soglie
dei dipartimenti di biologia per trovare accoglienza
– e magari anche una maggiore attenzione – nelle sedi
del dibattito filosofico ed epistemologico.
Qui di seguito accenneremo, seguendo il ragiona-
mento sviluppato da DE QUEIROZ (1999), ad alcuni dei
nodi centrali del dibattito attuale secondo quanto si
discute nella letteratura ad orientamento teorico-filo-
sofico, e li riassumeremo sostanzialmente nella forma
di indice bibliografico guidato; attenzione particolare
– ma pur sempre nei limiti di un’introduzione generale
al tema – verrà riservata alla problematica della “specie
come individuo”. Per una trattazione più approfondita
sull’argomento si rimanda ad opere più specifiche: limi-
Fig. 1 - In molti animali, il riconoscimento di un potenziale partner tandosi alla letteratura nazionale, citiamo CONTINENZA &
riproduttivo avviene attraverso l’emissione e l’ascolto di segnali so- GAGLIASSO (1996), PIEVANI (2005), SASSI (2008) e CASETTA
nori altamente specifici. Il fenomeno non è ristretto agli esempi, par- (2009).
ticolarmente noti ed evidenti, di rane, grilli e cicale, ma si estende ad
esempio alle crisope, insetti dell’ordine dei Neurotteri dalle ali deli- Una prima controversia riguarda la categoria di spe-
cate. generalmente di colore verde. Le differenze nei “canti” sono par- cie come concetto relazionale ovvero non relazionale.
ticolarmente cospicue fra specie affini che abitano nella stessa area. Per un’analisi in accordo con la nozione relazionale
Delle tre specie qui considerate (Chrysoperla plorabunda, C. adamsi e di specie ci si può riferire ai lavori di MAYR (1957, 1963,
C. johnsoni), le ultime due sono praticamente indistinguibili morfo- 1988) e MAYR & ASHLOCK (1991): le singole specie esistono
logicamente. Secondo MARTINEZ WELLS & HENRY (1992), modificato e in virtù delle loro relazioni con altre specie. La posizione
ridisegnato. alternativa prevede invece che una specie esista non sulla
base delle sue relazioni (ad esempio, e principalmente,
una relazione di reciproca incompatibilità riproduttiva)
una similarità fenetica viene ritenuta sintomatica con altre specie, ma in virtù di una proprietà che unisce
dell’appartenenza ad una stessa specie. Ciò è giustificato gli individui ad essa riferibili nel formare un sistema
dal fatto che la natura vivente, di solito, si presenta che si “autodefinisce” (PATERSON, 1985; LAMBERT et
organizzata in pacchetti discontinui (ELDREDGE, 1995) alii, 1987; WHITE et alii, 1990). Una conseguenza della
nell’ideale spazio delle forme possibili. visione relazionale è l’impossibilità logica per una specie
Non dobbiamo però aspettarci l’esistenza di di esistere senza che esistano altre specie (DE QUEIROZ,
caratteri diagnostici netti per tutte le specie; non di 1992).
rado, di fatto, due specie possono risultare difficilmente Un altro argomento che ha richiamato considerevole
discriminabili l’una dall’altra. Ogni specie presenta attenzione è il dibattito su monismo e pluralismo: per i
al suo interno una variabilità più o meno estesa, che monisti esiste solo un tipo di specie, mentre i pluralisti
può anche tradursi in un articolato polimorfismo. E sostengono la tesi opposta.
non va dimenticato che con la speciazione, quando da Un ulteriore punto di contrasto riguarda la contrap-
una specie se ne formano due, una parte almeno della posizione fra concezioni realiste e nominaliste (o antirea-
variabilità della specie di partenza potrà rimanere liste) della specie biologica.
condivisa dalle due specie figlie. Come Dobzhansky e Secondo la posizione realista, le specie esistono
Mayr conclusero più di cinquant’anni fa, il solco che indipendentemente dal fatto di essere da noi riconosciute:
separa le specie non risiede primariamente nell’entità è la natura, in sé, ad essere divisa in specie discrete. La
delle differenze fenotipiche fra due gruppi di individui, posizione nominalista prevede, invece, che le specie siano
ma è sostanzialmente di natura riproduttiva. divisioni artificiali di un continuum naturale. Secondo i
Alcuni fenomeni come la formazione delle nominalisti, si usa dire, esistono solo gli individui (MAYR,
cosiddette “specie ad anello” (complessi costituiti da 1968). Tutti i raggruppamenti, tutte le classi, sarebbero
un continuum spaziale in cui le popolazioni contigue artefatti della mente umana. SIMONETTA (1988), per
possono liberamente incrociarsi fra loro, mentre i due esempio, sostiene che tutte le categorie tassonomiche
estremi, che geograficamente si sovrappongono, sono (non solo la famiglia, l’ordine, la classe etc., ma anche
rappresentati da popolazioni riproduttivamente isolate) la specie) siano semplicemente modi convenienti di
e, comunque, la situazione fluida delle specie in statu raggruppare insiemi di informazioni essenzialmente
nascendi (incompletamente separate da una o più specie contingenti, relative ai soli esemplari effettivamente
affini) continueranno però a riproporre situazioni nelle osservati.
quali la possibilità di tracciare un confine netto tra due In buona sostanza, è possibile riconoscere delle
gruppi di individui risulterà impossibile. La soluzione unità naturali, oggettivamente definite da qualche
appropriata al problema pratico è, secondo O’HARA proprietà biologica, oppure dobbiamo riconoscere che
(1993), semplicemente quella di accettare un certo le unità fondamentali di un sistema classificatorio non
5 M. BERNARDI & A. MINELLI

Fig. 2 - Quasi tutti i soffioni (Taraxacum; Asteracee) delle nostre regioni rappresentano cloni che si propagano senza fecondazione, anche se
producono ovuli e polline. Fra un clone e l’altro ci possono essere vistose differenze nella forma delle foglie, nel numero dei fiori a linguetta che
formano l’infiorescenza, nelle date di fioritura e in molti altri caratteri. Molti cloni diversi possono coesistere in un’area molto ristretta. Alcuni
botanici trattano questi cloni come specie distinte e a ciascuno di essi assegnano un binomio linneano, anche se non rappresentano altrettante
specie biologiche. Foto grande e foto piccola a sinistra di M.P. Mannucci; foto piccola a destra di S. Piovesana.

possono che essere le nostre astrazioni di comodo, mo di capire a cosa questi due concetti facciano riferi-
convenientemente etichettate? (MINELLI, 1991). mento. Le categorie tassonomiche sono i ranghi, o livelli,
Alcuni autori sostengono che l’adesione all’una o della gerarchia classificatoria. A ciascuno di questi livelli,
all’altra delle posizioni appena riassunte implichi una peraltro, è riferibile un numero più o meno grande di enti-
scelta obbligata nei confronti delle altre; ad esempio, tà, che in sistematica biologica prendono il nome di taxa.
secondo STANFORD (1995) ed ERESHEFSKY (1998), la scelta Homo sapiens, Panthera leo e Rosa canina sono esempi di
pluralistica implica il rifiuto del realismo. taxa riferibili alla categoria tassonomica “specie”; Homo,
Panthera e Rosa sono invece esempi di taxa riferibili alla
AMBIGUITÀ DEL TERMINE SPECIE;
categoria tassonomica “genere”; Mammiferi, Uccelli e An-
SCELTA DELL’UNITÀ DEL DISCORSO tozoi sono esempi di taxa riferibili alla categoria tassono-
mica “classe”, e così di seguito (MINELLI, 1991).
Secondo MAYR (2005), il problema della specie è sorto
a causa dell’utilizzo ambiguo del termine specie, che è
LA SPECIE COME INDIVIDUO
stato impiegato per indicare due entità totalmente diverse:
da un lato, la specie come concetto di categoria; dall’altro,
i singoli taxa specifici. In altri termini, “una cosa è definire Ma che cosa sostiene Ghiselin quando afferma che
il nome di una categoria (che è una classe) come la specie le specie sono individui, un concetto così importante
o lo stato nazionale, un’altra è definire il nome proprio di da indurlo a sottolineare che la distinzione tra classi
individui come Canada e Homo sapiens”: così si esprimeva ed individui “è una delle più fondamentali di tutta la
una delle voci più autorevoli in questo ambito teorico, metafisica”? (GHISELIN, 1987).
Michael T. GHISELIN (1981). In termini rigorosi, si tratta di È evidente che, in questo contesto, non si parla di
distinguere tra specie intesa come categoria tassonomica “individuo” nel senso ordinario, biologico, del termine, ma
(astratta) e specie intesa come taxon (individuale e in un senso più astratto e generale. Per evitare ambiguità,
concreto). converrebbe qui forse parlare di “entità individuali”
Necessariamente quindi, prima di proseguire, cerchia- piuttosto che di individui (MINELLI, 1991).
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 6

Le specie sono individui in quanto sono dotate di unità, Va ricordata infine la posizione di MAYR (1987), che
continuità spazio-temporale, coesione e integrazione e ha sostenuto che né il termine di classe né quello di
sono unità storiche collegate tra loro da un nesso storico- individuo esprimono in modo soddisfacente l’ontologia
genealogico (vedi in proposito CONTINENZA & GAGLIASSO, della specie biologica che andrebbe fondata invece in
1996). termini di popolazioni.
Di conseguenza, riconoscendo la loro natura di entità
individuali, noi veniamo ad implicare che le specie hanno LA SPECIE COME POPOLAZIONE
una nascita (speciazione) e una morte (estinzione), e che
tra l’uno e l’altro evento la specie attraversa una storia L’approccio tipologico che ha accompagnato gli studi
che può anche implicare un accumulo di cambiamenti classificatori da Aristotele fino a Linneo (CONTINENZA &
fenotipici significativi. GAGLIASSO, 1996) ha contribuito in modo decisivo alla defi-
Come c’era da aspettarsi per una visione così poco nizione classica del concetto di specie in biologia; l’utilizzo
tradizionale del problema, il concetto proposto da Ghiselin che facciamo del termine specie, per indicare oggetti ina-
non è stato accettato da tutti gli studiosi ed è divenuto nimati come le specie nucleari o le specie minerali, riflet-
esso stesso oggetto di discussione all’interno del dibattito te ancor oggi questo concetto tipologico classico (MAYR,
teorico sulla specie. 2005).
Per ELDREDGE (1985), ad esempio, una difficoltà che si Fu in seguito al terremoto scatenato da Charles Robert
incontra nel considerare le specie come individui è data Darwin che questa ben radicata impostazione iniziò a va-
dall’assenza di una coesione fisica tra le parti (singoli cillare per finire con l’essere capovolta. La sostituzione del
organismi) di cui sarebbe composto l’individuo-specie: pensiero tipologico con un approccio in termini di popola-
“Nessuno incontrerebbe difficoltà nel definire come zioni può essere considerato uno degli aspetti chiave della
unitaria una cosa limitata, come un oggetto, un organismo rivoluzione darwiniana (MAYR, 1976).
con le sue membrane esterne o un penna. Anche gli atomi Il terreno sul quale si svolge una parte importante
e le galassie, se visti da distante, appaiono solidi, benché del confronto tra i due concetti è quello della variazione
tutte queste unità siano in realtà, per lo più, spazio vuoto.
intraspecifica. Per un sistematico dalla visione tipologica,
I temi collegati dell’assenza di confini e della coesione
all’interno della gamma di variazione intraspecifica alcuni
sono essenziali in ogni ragionamento sull’individualità”
individui sono di regola più rappresentativi della specie (più
(tradotto dagli AA. della presente rassegna: t.d.a.).
“tipici”, appunto) rispetto ad altri, mentre il popolazionista
Sul problema se si possa considerare come individuo
considera la variazione come un aspetto importante
qualcosa che è costituito da parti disgiunte, SCOBLE (1985)
e, all’interno della gamma di variazione intraspecifica,
ha sottolineato che le specie sono più della somma delle loro
nessun individuo è più degli altri rappresentativo della
parti (ovvero gli organismi); le specie sono individui nella
specie stessa.
misura in cui le loro parti (organismi) sono “relativamente
Ancora Ernst Mayr, in un brano dal titolo Typological
irrilevanti” (SPLITTER, 1982).
Ghiselin stesso sottolinea peraltro come il concetto di versus populational thinking, contrapponeva l’approccio
“individuo” possa designare sistemi a vari livelli di inte- tipologico, secondo il quale il tipo è reale e la variazione
grazione, “tanto è vero che un essere umano è un indivi- è solo un’illusione, a quello popolazionista, secondo il
duo nonostante sia costituito di atomi, molecole e cellule” quale il tipo – che è una media – è un’astrazione e solo la
(GHISELIN, 1974; t.d.a.). variazione è reale (MAYR, 1959).
Peraltro, quanti hanno sostenuto che le specie non Con un noto paragone, George Gaylord SIMPSON (1961)
sono individui, come ad esempio CAPLAN (1981) o GREGG ha sottolineato come due individui non vengano definiti
(1950), hanno fatto ritorno al concetto di specie come gemelli perché sono molto simili, ma all’opposto, è la loro
classe universale, storicamente alla base del concetto somiglianza a dipendere da fatto che entrambi derivano
tipologico di specie (SCOBLE, 1985). A questo proposito, nel da uno stesso zigote. Allo stesso modo, l’inclusione di due
dibattito italiano, vale la pena di ricordare la posizione di o più individui in una stessa specie non deriva dalla loro
ZUNINO (2002), secondo il quale, pur con le limitazioni che somiglianza; è la somiglianza, piuttosto, ad essere origina-
lo stato attuale della biologia teorica impone, sostenere ta dalla comune discendenza. “Se è la somiglianza a pren-
che una specie è una classe di organismi individuali, e non dere il sopravvento sulla discendenza, allora l’entità è una
un’entità che esiste indipendentemente dai nostri processi classe ed è quantomeno un candidato per l’inclusione in
cognitivi, appare più difficile che sostenere il contrario. una legge di natura. Per esempio, tutti i particolari cam-
CONTINENZA & GAGLIASSO, nel già citato volume del pioni di oro possono essersi originariamente sviluppati a
1996, così rielaborano storicamente la questione: “Nel partire dall’idrogeno, ma questa genesi è irrilevante perché
1966 Ghiselin avanzò per la prima volta la tesi secondo la qualcosa sia oro per l’attuale teoria fisica. Oro è una clas-
quale la specie sarebbe un “individuo”, contrapponendola se effettiva, un genere naturale. Anche se tutti gli atomi
a quella della specie come classe, ovvero come categoria. con peso atomico 79 cessassero di esistere, se cessasse di
Ciò avrebbe dovuto dirimere l’antica controversia tra esistere l’oro, resterebbe sempre per esso uno spazio nella
nominalismo e realismo, rendendo irrilevante la questione tavola periodica degli elementi, e nel momento in cui do-
stessa della “realtà” della specie, poiché se è possibile vessero ripresentarsi atomi con peso atomico appropria-
considerare le classificazioni in cui le specie sono concepite to essi sarebbero ancora atomi d’oro, indipendentemente
come classi (dal momento che sono astratte, astoriche, dalla loro origine. Se invece a prendere il sopravvento è la
atemporali, universali), come costruzioni mentali, ciò non discendenza, allora l’entità non è una classe e quindi deve
ha più senso se le specie sono considerate come individui, essere esclusa da qualsiasi genuina legge di natura. Perché
cioè concrete, spazio-temporalmente localizzate, uniche e un organismo sia un cavallo deve essere nato da un caval-
irripetibili”. lo, quel che conta è l’origine” (HULL, 1981; t.d.a.).
7 M. BERNARDI & A. MINELLI

Fig. 3 - Per l’intero gruppo dei Rotiferi Bdelloidei, minuscoli animaletti che vivono nelle acque dolci o nel terreno bagnato, non si conoscono
maschi. La riproduzione avviene esclusivamente per partenogenesi telitoca, cioè per produzione di una progenie tutta femminile a partire
da uova non fecondate. I tassonomi che si occupano di questo gruppo ne hanno riconosciuto circa quattrocento “specie”, alle quali è stato
attribuito un binomio linneano. In assenza di riproduzione sessuata, tuttavia, queste entità non possono essere interpretate come specie bio-
logiche. Una di queste specie è il bdelloideo epizoo Embata laticeps, qui fotografato su una larva del tricottero Allogamus auricollis. Foto di G.
Melone.

Seguendo CONTINENZA & GAGLIASSO (1996) potremmo essa può interessare anche organismi comunissimi come i
così giungere a collocare il dibattito sulla specie “al cen- rovi (genere Rubus) e i soffioni (genere Taraxacum; fig. 2) e
tro di una problematica che investe la ricerca di un nuovo interi gruppi come i Rotiferi Bdelloidei (fig. 3).
fondamento per l’unificazione della scienza e impegna a Molti autori hanno asserito che gli organismi a
ridiscutere la natura stessa della spiegazione e delle teorie riproduzione asessuata formano raggruppamenti fenetici
scientifiche, il significato delle leggi nella scienza in gene- (distinti sulla base di caratteri misurabili) integrati proprio
rale e in particolare in biologia, il ruolo della previsione, il come le specie sessuali. In merito è possibile citare lo
valore esplicativo delle narrazioni storiche, la tradizionale studio di HOLMAN (1987), che riguarda appunto i Rotiferi.
distinzione tra scienze esatte e scienze storiche”. I Monogononti costituiscono forse il taxon fratello – sono
cioè i parenti più prossimi – rispetto ai Bdelloidei, ma
LA SPECIE: CONCETTI E DEFINIZIONI il loro ciclo biologico prevede di regola un’alternanza
fra partenogenesi e riproduzione biparentale. Holman
Con il termine agamospecie (ASC = Agamospecies ha dimostrato che le specie (o “specie”?) dei Rotiferi
Concept), in seguito a volte sostituito da sinonimi, ad Bdelloidei riconosciute dagli specialisti non sono meno
esempio microspecie, furono definite dal britannico distinte fra loro, morfologicamente, di quelle dei Rotiferi
Arthur James CAIN (1954) quelle unità tassonomiche il cui Monogononti. I casi dei rovi o dei soffioni, o quello
ambito si riferisce solamente ad organismi a riproduzione degli Hieracium (Asteracee) (fig. 4) discusso da MAYNARD
asessuata o uniparentale (senza fecondazione). Che la SMITH (1986), si prestano però ad interpretazioni molto
questione meriti specifica attenzione è dovuto al fatto che problematiche da parte dei tassonomi che, in alcuni casi,
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 8

Fig. 4 - Le composite del genere Hieracium rappresentano uno dei gruppi di piante più intricati dal punto di vista tassonomico, per la frequente
comparsa della partenogenesi anche in popolazioni morfologicamente molto simili ad altre in cui si ha normale fecondazione degli ovuli da
parte dei gameti pollinici. Nella foto, Hieracium pilosella. Foto di R. Casarotto.

sono arrivati a riconoscere centinaia di “specie” dove altri Appare evidente che le “specie” definite riferendosi a
ne avevano descritta soltanto una. questo concetto possono risultare polifiletiche (tab. 1, pag.
Le “specie asessuali” sono certamente un importante 9). Nella maggior parte dei casi, questi taxa sono definiti
argomento di discussione per la biologia moderna. Di praticamente in base a caratteri morfologici condivisi.
fronte a questi organismi, alcuni studiosi ritengono Per quanto riguarda i procarioti (archeo ed eubatteri)
sia utile riconoscere che non tutti gli esseri viventi che, essendo prevalentemente a riproduzione asessuata,
devono necessariamente appartenere ad una specie e sono un vasto terreno di possibile applicazione di questo
che le cosiddette agamospecie rappresentano, appunto, concetto, si rimanda ai lavori di ROSSELLÓ-MORA & AMANN
altrettanti aspetti della biodiversità che sfuggono ai (2001) e di COHAN (2002).
nostri tentativi di inquadrarle sensatamente come specie.
Con una bella metafora, Michael GHISELIN (1984) ha L’origine del concetto biologico di specie (BSC
paragonato le agamospecie a foglie morte, accumulatesi = Biological Species Concept) può essere ricercata
ai piedi dell’albero (filogenetico) dal quale hanno preso in un’antica intuizione del grande naturalista francese
origine ma al quale, ormai, non appartengono più. Georges-Louis Leclerc conte di Buffon, secondo la quale
In alcuni casi (come in molti gruppi di insetti stecco, la specie deve essere intesa come comunità riproduttiva. In
compresi i Bacillus della regione mediterranea (fig. 5); tempi più recenti, tale concetto è stato sovente riformulato,
SCALI, 1982; SCALI & MANTOVANI, 1989) tali agamospecie in particolar modo da DOBZHANSKY (1935, 1937a, 1970)
possono essere parte di un complesso nel quale sono e soprattutto da MAYR (1940, 1942, 1963, 1970; MAYR &
presenti anche “vere” specie a riproduzione bisessuale. Il ASHLOCK, 1991). Secondo MAYR & ASHLOCK (1991) “una
termine “microspecie”, recentemente proposto, si usa di specie è un gruppo di popolazioni naturali interfeconde,
solito in riferimento a specie apomittiche obbligate, nelle riproduttivamente isolato da altri gruppi consimili”. Il
quali cioè non avviene meiosi. concetto biologico di specie costituisce la base teorica
9 M. BERNARDI & A. MINELLI

Fig. 5 - Gli insetti stecco (Fasmodei) sono un gruppo d’insetti diffuso soprattutto nelle regioni tropicali, rappresentato nell’area mediterranea
da un piccolo gruppo di entità, alcune delle quali si riproducono esclusivamente per partenogenesi; sono anche frequenti le forme di origine
ibrida. Nelle foto, Bacillus atticus (a sinistra) e Clonopsis gallica (a destra), due forme di origine ibrida a partenogenesi obbligata. Foto di V.
Scali.

sulla quale – o in posizione critica rispetto alla quale – esempio JEANMONOD, 1984) hanno dimostrato meno
molti dei concetti di specie alternativi sono stati proposti. interesse per il BSC rispetto agli zoologi. Alcuni botanici,
Insieme a molti pregi, questo concetto presenta obiettive in effetti, ne hanno apertamente criticato l’applicabilità
difficoltà di applicazione in alcune specifiche situazioni: alle piante (ad esempio RAVEN, 1980), alcuni altri, invece,
organismi a riproduzione uniparentale; organismi nei si sono apertamente schierati a favore della sua validità,
quali la compatibilità riproduttiva sia variabile nel tempo come ad esempio GRANT (1971, 1992) o, più recentemente,
e nello spazio, o risulti incompleta (fig. 6); popolazioni RIESEBERG et alii (2006). In pratica, non è sempre facile,
allopatriche; organismi estinti (vedi oltre). Malgrado ciò, o possibile, riconoscere un limite netto fra popolazioni
come nota TURNER (1995), alcuni studiosi sono inamovibili interfertili e popolazioni riproduttivamente isolate. In
nel dichiarare l’assoluta validità del concetto biologico di situazioni estreme, come quella delle numerosissime
specie (ad esempio COYNE et alii, 1988). forme di pesci della famiglia dei Ciclidi presenti nel
MINELLI (1993) ha fatto notare che i botanici (ad Lago Vittoria, le comunità riproduttive sembrano
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 10

letteralmente farsi e disfarsi sotto ai nostri occhi un gruppo di individui. Il filosofo Ludwig Wittgenstein,
(SPINNEY, 2010). Nel tempo, tra i sistematici è emersa teorizzando un concetto molto affine al CSS, aveva pro-
ripetutamente l’esigenza di un concetto, e di un termine, posto il termine “Family Resemblance” (WITTGENSTEIN,
per indicare l’ “insieme delle specie o semispecie tra le 1953; se ne veda l’interpretazione di HULL, 1965 e PI-
quali in natura si verifica, frequentemente o in maniera GLIUCCI, 2003). TEMPLETON (1989) introdusse questo con-
occasionale, ibridazione” (VAN OPPEN et alii, 2001; t.d.a.). cetto per superare il problema della non applicabilità
È, questa, una recente definizione di “singameone”, un dei concetti biologici di specie in senso lato all’infuori
termine introdotto per la prima volta da LOTSY (1925) degli organismi a riproduzione sessuata.
e poi usato principalmente dai botanici (es., RIESEBERG
& BURKE, 2001). In zoologia, a parte il riferimento L’ecospecie (EcSC = Ecological Species Concept)
precedente (VAN OPPEN et alii, 2001) che proviene da è una nozione introdotta dal biologo Leigh VAN VALEN
uno studio sui coralli del genere Acropora, il termine (1976). Come riportato da RIDLEY (2006), “secondo il con-
singameone non è popolare. Va segnalato, peraltro, cetto ecologico di specie le popolazioni formano i rag-
il suo impiego in paleoantropologia (es., HOLLIDAY, gruppamenti fenetici distinti che noi riconosciamo come
2006). In ambito zoologico, DUBOIS (1982) ha proposto specie, in quanto i processi ecologici ed evolutivi che con-
una definizione operativa di genere che praticamente trollano le modalità di suddivisione delle risorse tendono
coincide con quella di singameone. a produrre raggruppamenti di quel tipo”. È bene notare
che in tale concetto viene introdotto l’elemento tempo: la
Possiamo poi riferirci al concetto di cladospecie linea evolutiva è composta dagli organismi che, nel tempo,
(ClSC = Cladistic Species Concept) nel riconoscere si isolano grazie a quel processo che in termini ecologici
unità basate su un’esplicita (anche se comunque ipote- potremmo definire “occupazione di una specifica nicchia”.
tica) ricostruzione degli effettivi rapporti di parentela Le molteplici modificazioni evolutesi presso i parassiti
tra le forme attuali ed estinte delle quali ci occupiamo. sono spesso citate come esempi delle modalità attraverso
Quale definizione possiamo ricordare quella proposta da le quali i processi ecologici potrebbero produrre variazioni
Mark RIDLEY (1989) in un suo lavoro dal titolo significa- in una specie: parassiti di una stessa specie tenderanno
tivo “The cladistic solution to the species problem”, nel ad evolvere adattamenti diversi in risposta alle condizioni
quale viene espressa in termini di “gruppo di organismi alle quali ospiti diversi li espongono, divenendo presumi-
compreso tra due eventi di speciazione o tra un evento bilmente, con il tempo, specie distinte.
di speciazione ed uno di estinzione”. Questo concetto,
che MAYDEN (1997) etichetta come minimalistico, tratta Il concetto evoluzionistico di specie (ESC = Evolu-
le specie come individui. Per definizioni simili si veda tionary Species Concept) è stato originariamente svilup-
KORNET (1993). pato dal paleontologo americano George Gaylord SIMPSON
(1951, 1961) come risposta ad una generale insoddisfa-
Il concetto di specie come unità di coesione (CSC zione nei confronti dell’approccio non-dimensionale (che
= Cohesion Species Concept), introdotto da Alan TEM- prescinde cioè dalle dimensioni reali, non puntiformi, nel-
PLETON (1989), fa riferimento ad un criterio di potenzia- lo spazio e nel tempo) insito nel concetto biologico di spe-
le coesione fenotipica, capace di dare unità al “più in- cie. L’ESC è stato così ridefinito da WISHLEY (1978): “una
clusivo gruppo di organismi tra i quali possono avvenire specie evolutiva è una linea evolutiva di popolazioni lega-
scambi genetici e/o demografici” (t.d.a.). L’autore teoriz- te dalla relazione antenato-discendente, che mantiene la
za tale concetto in termini di linee evolutive la cui uni- propria identità rispetto ad altre linee così definite, e che
tarietà è delimitata da specifici (anche se diversi) mec- ha tendenze evolutive e destino storico propri e specifici”
canismi capaci di mantenere l’omogeneità fenotipica di (t.d.a.). Anche se i criteri che possono essere utilizzati per

TABELLA 1. Terminologia cladistica utilizzata nel testo.


11 M. BERNARDI & A. MINELLI

Fig. 6 - La morfologia degli ibridi è spesso, ma non sempre, intermedia fra quella dell’una e dell’altra delle due specie parentali. Singoli individui
ibridi, peraltro, possono condividere in diversa misura i caratteri propri delle due specie, come avviene per le foglie degli ibridi fra Quercus
grisea e Q. gambelii. Secondo FUTUYMA (2005), semplificato e ridisegnato.

verificare l’applicabilità di questo concetto ad ogni parti- Il concetto genetico di specie (GSC = Genetic
colare caso non sono esplicitati nella definizione, ciò non Species Concept) è stato definito già a partire dalla
rappresenta uno svantaggio, poiché la definizione non ne- prima metà del ventesimo secolo. Il saggio Criteria for
cessita di essere cambiata nel caso in cui nuovi criteri ven- genera, species and subspecies in zoology and paleontology
gano scoperti; pertanto, questa definizione presenta anche di George Gaylord SIMPSON (1943) viene generalmente
un maggior valore euristico rispetto a una definizione pu- ricordato quale uno tra i primi testi in cui compare una
ramente operativa (HULL, 1968; ASHLOCK, 1980). definizione completa di tale concetto.
Secondo WILEY (1978) l’accettazione di un concetto Pochi anni dopo, Theodosius DOBZHANSKY (1950) pro-
evoluzionistico di specie implica una serie di corollari pose una formalizzazione molto simile dello stesso con-
(vedi anche BROTHERS, 1985): in primo luogo, ogni orga- cetto, articolandolo come: “la più estesa comunità ripro-
nismo del passato o del presente appartiene ad una qual- duttiva di individui sessuati interfertili che condividono
che specie evolutiva; inoltre, le specie devono essere ripro- un comune pool genico” (t.d.a.).
duttivamente isolate, condizione necessaria perché esse si Il cuore del concetto di “specie genetica” è stato bril-
mantengano distinte; terzo, le specie possono presentare lantemente sintetizzato da CARSON (1957) nell’espressione:
o meno differenze fenetiche riconoscibili, ma nella mag- “the species as a field for gene recombination”. Il criterio
gior parte dei casi ne presentano, anche se tali differenze utilizzato obbliga dunque ad una restrizione del possibile
possono essere alle volte difficili da individuare: nel caso spettro di applicazione del concetto agli eucarioti a ripro-
degli organismi a riproduzione sessuata, per esempio, le duzione sessuata biparentale. Come suggerisce PATERSON
specie devono per lo meno differire in qualche aspetto (1985), però, il concetto genetico di specie come conce-
dei loro mate recognition systems, i meccanismi percettivi pito dagli autori citati solleva due evidenti questioni: che
specie-specifici che consentono il riconoscimento corretto cosa limita il campo della ricombinazione genica? E poi,
di un possibile partner conspecifico (vedi RSC; PATERSON, come nascono questi limiti? I differenti concetti di specie
1979); quarto, nessuna singola linea può essere suddivisa fondati sulle caratteristiche genetiche si distinguono, so-
in serie di specie antenato-discendente, il che implica il stanzialmente, in base a come rispondono a queste due
rifiuto della paleospecie (vedi oltre). domande. I casi di ibridazione, inoltre, comportano ulte-
Wiley affermava inoltre che l’ESC si applica in egual riori difficoltà nell’applicazione del GSC (fig. 7).
modo ad organismi a riproduzione sessuata oppure ases-
suata, perché i processi evolutivi danno origine in entram- Il concetto di specie hennigiana (HSC = Hennigian
bi i casi a linee filetiche soggette a modificazioni nel tem- Species Concept) può essere visto come un derivato
po. Secondo DE QUEIROZ (1999), su un ideale segmento della nozione di specie introdotta dall’entomologo
di retta costituito da tutti i concetti di specie proposti, le tedesco Willi Hennig, definita sulla base delle relazioni
“specie evolutive” rappresentano un estremo teorico. Per tocogenetiche (genitore-figlio) esistenti all’interno di
una ridefinizione recente ma sostanzialmente assimilabi- una comunità. L’opera di riferimento è il testo classico
le a quelle citate, si veda il più recente lavoro di WILEY & contenente il programma della futura scuola cladista,
MAYDEN (2000). Grundzüge einer Theorie der Phylogenetischen Systematik
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 12

Fig. 7 - Nelle cellule delle piante, il materiale genetico è ripartito in tre complessi: il genoma nucleare, quello mitocondriale e quello plastidiale
(dei cloroplasti). In caso di ibridazione fra due specie affini, ciascuna di queste tre componenti può comportarsi in maniera distinta dalle altre
due, dando così origine ad una serie di forme intermedie con diverso assortimento di geni delle tre frazioni. Il fenomeno è stato studiato con
particolare cura nel genere Helianthus. Nella foto, Helianthus tuberosus, il topinambur. Foto di R. Casarotto.

(1950) (Fondamenti per una teoria della sistematica termine “specie” non compare nella denominazione pro-
filogenetica), divenuto però maggiormente noto solo nella posta da questi due specialisti di Policheti, e quindi que-
sua successiva (e parzialmente modificata) edizione in ste unità operative, probabilmente, non dovrebbero essere
lingua inglese Phylogenetic systematics (HENNIG, 1966). incluse in un elenco relativo ai “concetti di specie”: in ef-
La versione di questo concetto di specie recentemente fetti, come accennato in precedenza, gli autori intendono
proposta da MEIER & WILLMANN (2000) sviluppa solo una smarcarsi dalla tassonomia tradizionale, partendo proprio
parte della definizione di HENNIG (1950) e la inquadra dall’eliminazione del problematico sostantivo; questa ope-
all’interno dell’impianto tipico del concetto biologico razione peraltro, secondo MINELLI (2006), non arreca so-
di specie: le specie, sostengono Meier e Willmann, sono stanzialmente alcun vantaggio. Le LITU sono, in poche pa-
“popolazioni naturali, o gruppi di popolazioni naturali, role, gruppi tassonomici definibili sulla base di apomorfie.
riproduttivamente isolate, originatesi dalla dissoluzione di Non fanno riferimento ad alcun livello gerarchico, né sono
una stem species in un evento di speciazione, e che cessano necessariamente etichettate con binomi linneani.
di esistere per estinzione o per speciazione” (t.d.a.). Per Alcuni autori hanno adottato quello che potremmo
questo BONDE (1977) ha definito l’HSC come “biospecie definire (MINELLI, 1993) come un approccio nichilista al
temporale”. La specie hennigiana, però, a differenza dalla problema della specie. NELSON (1989) e LIDÈN (1992) han-
classica specie biologica, va considerata dimensionale, no sostenuto che in natura non ci sono oggetti o processi
perché applicabile anche in situazioni allopatriche (ove gli come le specie o i fenomeni di speciazione, perché riten-
areali sono completamente separati) e allocroniche (ove le gono che nessun aspetto della diversità biologica possa es-
specie non sono coeve). sere riferito in modo non ambiguo ad un ipotetico livello
di specie in quanto, a causa della comune discendenza dei
La Least Inclusive Taxonomic Unit (LITU) è stata viventi, è solo possibile riconoscere rapporti di inclusione
proposta da PLEIJEL & ROUSE (1999) e da PLEIJEL (2000). Il relativa di un taxon minore all’interno di un taxon mag-
13 M. BERNARDI & A. MINELLI

giore, senza che all’uno o all’altro possa essere attribuito


un rango, compreso quello di specie. Non diversa è la po-
sizione espressa da CRACRAFT (1983, 1987a) il quale applicò
questo concetto “nichilista” di specie nella sua revisione
tassonomica di una famiglia di uccelli, quella degli uccelli
del Paradiso (CRACRAFT, 1992). All’interno di questo grup-
po, gli autori precedenti, lavorando secondo il concetto
biologico di specie, avevano riconosciuto 40-42 specie,
27 delle quali divise in sottospecie, per un totale di circa
100 sottospecie. Oltre a descrivere due nuove specie e a
mettere tra loro in sinonimia 35 sottospecie degli autori
precedenti, Cracraft ha elevato ben 65 sottospecie al rango
di specie, concludendo così con un nuovo totale di circa
90 specie. La nozione di specie adottata ha così, di fatto,
annullato la possibilità di riconoscere un livello non ar-
bitrario, privilegiato, di unicità nella diversità dei viventi
riducendo l’entità specie a mero raggruppamento diagno-
sticabile non meglio qualificato.

Il concetto di morfospecie (MSC = Morphological


Species Concept) è probabilmente il riferimento più
comunemente utilizzato nel riconoscimento delle specie
da parte dei tassonomi. Definizioni riconducibili alla
moderna nozione di morfospecie sono state articolate nel
corso dei secoli da molti autori fra i quali Aristotele, Linneo,
Owen, Agassiz e, più di recente, dal botanico americano
Arthur CRONQUIST (1978). Una versione chiara e semplice
di morfospecie fu fornita dall’ittiologo REGAN (1926): una
specie è “una comunità o un numero di comunità connesse,
i cui caratteri morfologici distintivi sono, nell’opinione di
un competente sistematico, sufficientemente definiti per
qualificare essa o esse con un nome specifico” (t.d.a.). Se
applicata alla lettera, questa definizione di morfospecie
porta a definire delle classi (BROTHERS, 1985), in quanto
l’appartenenza di un determinato organismo ad una specie
viene determinata unicamente dalla sua condivisione
di caratteri diagnostici con gli altri individui inquadrati
nella medesima classe. Le critiche più notevoli rivolte a
Fig. 8 - Esempi di gruppi monofiletici, parafiletici e polifiletici.
questo concetto di specie riguardano la sua mancata
applicabilità nel caso delle “specie gemelle” (o criptiche),
o nella trattazione di organismi che mantengano caratteri (t.d.a.). Monofilia, parafilia - ovvero le proprietà di un
plesiomorfi (ancestrali; tab. 1). Il riconoscimento delle gruppo che includa, rispettivamente, tutti o solo alcuni dei
specie fossili è sostanzialmente basato su questo concetto; discendenti del loro ultimo antenato comune – e polifilia –
la tematica verrà quindi trattata in modo più approfondito ove non sia incluso l’ultimo antenato comune di tutti i suoi
nella sezione successiva. membri – non vengono prese in considerazione, in quanto
i sostenitori di questa versione del concetto filogenetico
Fornire una singola definizione del concetto filoge-
di specie ritengono che tali criteri siano applicabili solo a
netico di specie (PSC = Phylogenetic Species Concept)
appare sostanzialmente impossibile: troppo diversificate livelli tassonomici più inclusivi (cioè più “elevati”) rispetto
sono le opinioni dei differenti studiosi. Quale carattere co- a quello di specie (fig. 8, tab. 1).
mune, la “specie filogenetica” identifica la più piccola en- ROSEN (1978) e DE QUEIROZ & DONOGHUE (1988), sono
tità biologica che sia diagnosticabile e/o monofiletica (tab. tra i principali sostenitori dell’approccio che MAYDEN
1). Nel suo ben documentato censimento delle nozioni di (1997) identifica come PSC2 (monophyly version). Secon-
specie proposte fino alla metà degli anni ‘90, MAYDEN (1997) do questi autori, si qualifica come specie un gruppo mo-
raggruppava in tre classi generali (PSC1, PSC2, PSC3) le nofiletico di individui caratterizzato da una o più autoa-
definizioni più note, sulla base dei differenti aspetti sui pomorfie (tab. 1), ovvero da caratteri derivati presenti solo
quali i vari autori pongono l’accento: diagnosticabilità, all’interno del gruppo considerato.
monofilia, o concomitanza di entrambe le proprietà. Il PSC3 sensu MAYDEN (1997) incorpora le definizioni
Nel PSC1 (diagnosable version) rientrano le definizioni che enfatizzano entrambi gli aspetti che stanno alla base
proposte ad esempio da ELDREDGE & CRACRAFT (1980), delle due precedenti accezioni del PSC. Pur non avendo
NELSON & PLATNIK (1981) e NIXON & WHEELER (1990); formulato una vera definizione, MCKITRICK & ZINK (1988)
secondo CRACRAFT (1983) la specie è “il più piccolo vengono ricordati come sostenitori di questa diagnosable
raggruppamento di organismi identificabile, all’interno del and monophyly version del concetto filogenetico di specie.
quale esista un pattern di rapporto antenato-discendente” Sia WARREN (1992) che MAYDEN (1997) hanno sottolineato
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 14

la rilevanza operativa del concetto filogenetico di specie Un contributo ulteriore alla comprensione di questo con-
(in generale), senza però specificare se l’una o l’altra delle cetto di specie verrà fornito nella successiva sezione in quan-
definizioni citate debba servire quale riferimento primario. to, soprattutto di recente, il RSC ha assunto una considerevo-
le importanza nella definizione della specie in paleontologia.
La fenospecie (PhSC = Phenetic Species Concept) è
stata rigorosamente definita a partire dalla seconda metà All’interno della nozione nota come Successional
del XX secolo da autori quali BECKNER (1959), SOKAL & Species Concept (SSC) si è soliti raggruppare
SNEATH (1963) e SNEATH & SOKAL (1973); tuttavia, la ver- denominazioni e concetti di specie apparsi in letteratura
sione classica del concetto fenetico di specie affonda nel- con terminologie differenti, ma riferibili ad uno stesso
la storia le sue profonde radici con l’approccio tipologico principio: il Chronospecies Concept, proposto da T.N.
allo studio della diversità biotica (RIDLEY, 2006). La ver- GEORGE (1956), ed il Paleospecies Concept, elaborato da
sione moderna di questo concetto fu sviluppata dai segua- G.G. SIMPSON (1961), infatti, sono entrambi riferibili al SSC
ci della tassonomia numerica che, alla ricerca di una clas- in quanto propongono sostanzialmente la stessa soluzione
sificazione oggettiva e riproducibile, proposero di stimare alla necessità avvertita dagli studiosi di taxa fossili: definire
le relazioni tra gli organismi sulla base della somiglianza delle unità tassonomiche fondamentali a partire da
complessiva, senza tenere conto della loro storia evoluti- elementi frammentari, spesso difficilmente interpretabili
va. La “specie” è stata definita semplicemente come rag- e comunque diacronici, cioè di età geologica differente.
gruppamento fenetico – spesso determinato con metodi Come vedremo meglio tra poco, la distinzione tra le diverse
statistici – e viene trattata come se non fosse nulla più che nozioni di “successional species” deriva principalmente
un gruppo di organismi simili, senza riguardo alle rela- dall’arbitraria suddivisione di divergenti morfologie o
zioni esistenti tra questi organismi in termini di processi dall’assunto che le discontinuità morfologiche o temporali
biologici quali l’interfecondità e la discendenza comune rappresentino effettivamente limiti tra specie.
(cfr. KITCHER, 1984; HULL, 1997; RIDLEY, 2006). Nella defi-
nizione elaborata da SNEATH (1976), “il livello di specie è LA SPECIE IN PALEONTOLOGIA
quello al quale possono essere osservati distinti raggrup-
pamenti fenetici” (t.d.a.). Se, nell’immagine richiamata La fossilizzazione è un evento raro e imperfetto e i
in precedenza del segmento di retta sul quale si possono suoi effetti sono spesso di difficile interpretazione; a parte
allineare i vari concetti di specie proposti, ESC rappre- casi eccezionali, inoltre, essa interessa solo quegli anima-
sentava l’estremo teorico, secondo DE QUEIROZ (1999) la li e quelle piante che possiedono parti “dure”, mineraliz-
fenospecie ne rappresenta l’estremo pratico. “Rinuncian- zate (gusci, denti, ossa) o meno (carapaci chitinosi, fusti
do ad ogni implicazione di carattere storico o evolutivo, lignei).
al tassonomo fenetico non resta che l’osservazione, la più Un fossile è quindi solo il “ricordo” di un organismo, o
impersonale possibile, delle caratteristiche degli oggetti una traccia della sua attività. In quanto tale, difficilmente
da confrontare” (MINELLI, 1991). L’acronimo OTU, che esso potrà fornire allo studioso alcuna informazione
vale operational taxonomic unit, è stato di conseguenza ulteriore rispetto a ciò che egli può concludere
proposto in sostituzione del termine “specie”. L’unità tas- semplicemente osservandolo e misurandolo (anche se lo
sonomica operativa è, in buona sostanza, una classe di sviluppo di tecniche di indagine quali l’anatomia digitale
organismi che condividono la maggior parte di una serie o l’imaging biomedico stanno rendendo sempre più
di caratteri il cui stato viene codificato in una stringa di dettagliati i risultati di tali studi; si vedano, ad esempio,
numeri che ne permette una efficiente utilizzazione ope- SUTTON, 2008; ZOLLIKOFER & PONCE DE LEÓN, 2005). I resti
rativa all’interno di una elaborazione secondo opportuni fossili, inoltre, sono solitamente costituiti da frammenti,
algoritmi. dei quali a volte non è possibile riconoscere una relazione
di omologia con strutture o parti di organismi attuali (fig.
Il Recognition Species Concept (RSC) è stato svi- 9). Di regola, dunque, non possiamo conoscere alcuna
luppato da PATERSON (1979, 1985, 1993) rielaborando la caratteristica fisiologica o etologica e nemmeno l’anatomia
definizione tradizionale del concetto biologico di specie. interna degli organismi che ci hanno lasciato quei resti.
Secondo Paterson le specie sono comunità riproduttive,
definite come raggruppamenti di organismi che condi- STORIA
vidono un comune Fertilization System o, meglio, uno
Specific Mate Recognition System (SMRS), vale a dire un La figura di riferimento nell’integrazione della paleon-
codice interpretativo per una serie di informazioni – ad tologia con la biologia evoluzionistica, una svolta fonda-
esempio segnali acustici oppure feromoni – che vengono mentale per il senso stesso della disciplina, fu indubbia-
scambiate tra i partner permettendo il reciproco ricono- mente George Gaylord Simpson, eminente paleontologo
scimento, attraverso sistemi complementari perché coa- esperto in vertebrati (TURNER, 1995). Eravamo, allora, “in
dattati (per una definizione degli stessi si vedano SHERMAN quell’esaltante periodo del revival evoluzionistico degli
et alii, 1997). L’isolamento riproduttivo, sostiene PATERSON anni Trenta e Quaranta del Novecento” (ELDREDGE, 2006)
(1985), deriva quindi da uno specifico adattamento piut- ed il suo obiettivo, dichiarato sin dalla prefazione all’im-
tosto che da un accidentale prodotto della divergenza fra portante volume Tempo and Mode in Evolution (SIMPSON,
due popolazioni. Chiaramente, l’identificazione di una 1944), era quello di effettuare una riconciliazione – più
specie in riferimento a questo concetto presuppone lo che mai necessaria – tra la paleontologia e la “nuova sinte-
studio e la conoscenza degli SMRS; obiettivo, questo, che si” allora emergente, fondata soprattutto sulla genetica.
alle volte non è possibile raggiungere, oppure è inapplica- Simpson, Mayr, Dobzhansky e Stebbins, fra gli altri,
bile, come nel caso limite degli organismi a riproduzione costituirono il nucleo della cosiddetta Teoria Sintetica che
uniparentale. dettò i canoni non solo della moderna teoria dell’evolu-
15 M. BERNARDI & A. MINELLI

L’integrazione delle varie discipline non fu certo sem-


plice, in particolar modo nel caso della paleontologia,
tanto che SIMPSON (1944) così dipinse l’atmosfera: “Non
molto tempo fa i paleontologi avevano l’impressione che
un genetista fosse una persona che si chiude in una stan-
za, abbassa le tapparelle, osserva piccole mosche che se
la spassano dentro una bottiglia e pensa di studiare la na-
tura. Una ricerca tanto distaccata dalla realtà della vita,
sostenevano, non ha alcun significato per il vero biologo.
I genetisti, d’altro canto, affermavano che la paleontologia
non aveva più alcun contributo da offrire alla biologia,
che il suo unico scopo era stato quello di offrire una di-
mostrazione tangibile della realtà dell’evoluzione, e che si
trattava di un argomento così esclusivamente descrittivo
da non meritare il nome di “scienza”. Erano convinti che
il paleontologo somigliasse ad un uomo che intraprende
lo studio dei principi del motore a combustione interna
piazzandosi all’angolo di una strada a osservare le auto-
mobili che sfrecciano rombando”.

Secondo Simpson, le ipotesi sul processo


dell’evoluzione, in particolar modo quelle basate su
dati paleontologici, dovevano essere confrontate con
maggior rigore con ciò che realmente si osserva in natura.
Simpson, ad esempio, pur addebitando la mancanza di
buoni esempi di cambiamento graduale a livello specifico
alle lacune della documentazione fossile, sosteneva
che “l’andamento a scala più ampia delle comparse
improvvise di gruppi maggiori di organismi […]
rispecchia non una documentazione scarsa, in cui milioni
di anni di cambiamento graduale impercettibile [“serie
insensibilmente graduate”, come si usava dire allora] non
hanno lasciato tracce, ma il fatto che di solito l’evoluzione
di questi nuovi gruppi avviene molto rapidamente, in
raffiche veloci di cambiamento evolutivo che chiamò
quantum evolution” (ELDREDGE, 2006).

La maggior parte dei progressi avvenuti nei decenni


successivi è stata compiuta nel tentativo di decifrare quello
che Simpson chiamò Tempo and Mode dell’evoluzione. Le
biblioteche sono state riempite di pagine su tassi di cam-
biamento morfologico, evoluzione tassonomica, forme
Fig. 9 - La frammentarietà del materiale fossile diviene ancor più
problematica nell’analisi dei resti vegetali dove, alla dispersione post
delle cladogenesi, pattern di estinzione, radiazioni adatta-
mortem dei frammenti disarticolati, si aggiunge spesso una disper-
tive, storie biogeografiche e coevoluzione (FOREY, 2004).
sione naturale in vita. Classico è il caso di Sigillaria e Stigmaria, la cui
Gli architetti della Teoria Sintetica, sostenuti da fer-
relazione (fusto-foglia e radice della stessa licofita) fu compresa solo
vido ottimismo, hanno illuminato la strada dello studio
dopo che esemplari dei due “generi” furono rinvenuti in connessione
dell’evoluzione, ma ciò che evidentemente ancora manca-
anatomica. Per una recente trattazione dei problemi tassonomici e
va era una chiara comprensione del concetto di specie e
nomenclaturali affrontati dai paleobotanici si rimanda, ad esmepio, dei meccanismi di speciazione (TURNER, 1995).
a CLEAL & THOMAS (2010). Collezioni MTSN. Specie e speciazione sono due temi strettamente legati
tra loro; “se le specie sono unità storiche, con una nascita
ed una morte, avremo bisogno di una teoria per la specia-
zione, ma anche di una “nuova sistematica”. Risalgono a zione e una per l’estinzione”, sintetizzava ELDREDGE (1985)
questo periodo gli importanti studi di DOBZHANSKY (1935, in una sua dissertazione sulla “specie come individuo”.
1937a, 1937b), citati nelle pagine che precedono, nonché In questo contributo però, come detto, l’attenzione
l’introduzione dell’espressione New Systematics, nel 1940, viene rivolta esclusivamente al dibattito sulla specie;
ad opera di Julian Huxley. Questi studiosi fecero emergere i riferimenti alla speciazione saranno del tutto
le connessioni tra sistematica e biologia evoluzionistica, marginali.
anche nel tentativo di riscattare lo studioso di sistema-
tica dall’immagine ormai corrente – che, in buona parte, PROPOSTE E SOLUZIONI
interessava anche il paleontologo – di un personaggio ai
margini della scienza, catalogatore di collezioni musea- In paleontologia le specie sono state per lungo tempo
li, pedante osservatore e descrittore di minuzie e dettagli concepite come un problema.
(CONTINENZA & GAGLIASSO, 1996). Alcuni paleontologi hanno preferito ignorare la di-
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 16

scussione, come ad esempio fece ROMER (1933); altri han- questa definizione di specie anche nella descrizione delle
no semplicemente sostenuto l’impossibilità di definire del- forme fossili (cfr. LEVINTON & SIMON, 1980; LEVINTON 1988)
le “specie fossili” (ad es., JEPSEN, 1933; SCOTT & JEPSEN, e, soprattutto negli ultimi decenni, si sono fatte strada al-
1936). Più in generale, nel descrivere le specie, differenti cune posizioni differenti (vedi oltre).
paleontologi, in tempi diversi, hanno utilizzato i criteri più
diversi, tanto da rendere praticamente impossibile il com- L’introduzione al piccolo volume risultante dal
pito di riassumerli tutti (SIMPSON, 1943). meeting della Systematics Association del 1954 fu
Una prova iniziale, però, dell’esistenza di un interesse curata da SYLVESTER-BRADLEY (1956). In quel contributo
per il concetto stesso di specie in paleontologia e di un venivano riassunti i temi fondamentali del dibattito allora
dibattito tra gli studiosi – paleontologi, ma non solo –, può esistente tra i paleontologi, la maggior parte dei quali
essere letta nella decisione della Systematics Association denunciava l’assenza di una definizione di specie che si
britannica di tenere, nell’ormai lontano 1954, un meeting potesse applicare ai fossili. La diffusa convinzione che il
interamente dedicato a questa tematica. Tale evento ven- pattern gradualista potesse ben descrivere i cambiamenti
ne seguito con vivo interesse anche dalla comunità pale- osservabili nella documentazione fossile accentuò il
ontologica italiana. Ne è prova il contributo apparso nel problema di come distinguere le specie. RHODES (1956)
1963 sul Giornale di Geologia a firma Vittorio Vialli, che sosteneva che la classificazione paleontologica avrebbe
di certo fu profondamente ispirato dal dibattito che si era dovuto sforzarsi di dare indicazioni sulle relazioni filetiche
svolto all’interno della Systematics Association. Nell’ampia (un suggerimento che evoca, a posteriori, nozioni simili
carrellata sulle varie posizioni sostenute all’interno del di- a quella di specie filogenetica, alla quale si è accennato
battito sul problema della specie VIALLI (1963) riportò in- in precedenza). Secondo ARKELL (1956) le unità della
fatti ampi spezzoni del volume degli atti del meeting della paleontologia dovevano essere arbitrarie: “occuparsi degli
Systematics Association, dandogli risalto e garantendone aspetti teorici della tassonomia è di certo un rischio per la
la diffusione anche nel nostro paese. paleontologia” (t.d.a.), affermava, aggiungendo che l’unico
criterio tassonomico nella paleontologia doveva essere
FOREY (2004), in un meticoloso lavoro, ha fornito la praticità; un contributo, questo, destinato a rivelarsi
un’ampia ricapitolazione dei maggiori contributi nei qua- lungimirante. Altri ancora, come JOYSEY (1956), ritenevano
li tematiche di ambito sistematico sono state intrecciate che una classificazione basata su intervalli cronologici
con quelle paleontologiche; partendo dalle opere di Louis definiti, anche arbitrari, fosse necessaria. Tutto questo
Agassiz – uno dei primi studiosi, dopo Lamarck e Cuvier, accadeva più di cinquant’anni fa, ed il dibattito potrebbe
ad aver classificato organismi viventi e fossili assieme – sembrare distante da noi; ma l’incertezza riguardo alla
questa affascinante rassegna giunge sino alle più recenti natura del taxon specie in paleontologia continua ad essere
pubblicazioni che vanno ad alimentare un dibattito in co- riflessa nella letteratura e oggetto di acceso dibattito.
stante evoluzione. Nel 1961 G.G. Simpson, “che non accettò mai il “concetto
biologico di specie”, ritenendo assurda qualsiasi nozione
La descrizione delle specie da parte dei tassonomi, di specie che esplicitamente negasse una componente
come detto, si basa per buona parte, oggi come nel pas- temporale alla loro esistenza” (ELDREDGE, 1995; cfr. anche
sato, su uno studio prevalentemente morfologico. Dalla Mayr, 1980; ELDREDGE, 1985, 1993), propose che le specie
fine del secolo scorso questo si avvale, quando necessario, fossero definite sulla base della loro posizione all’interno
di ausili tecnologici quali la microscopia elettronica o la di una sequenza antenato-discendente, il concetto
scansione digitalizzata dei campioni, o ancora di analisi denominato Evolutionary Species Concept (SIMPSON,
molecolari condotte a livello di segmenti di DNA opportu- 1951, 1961). Questa definizione è storicamente quella che
namente scelti. ha raggiunto la più ampia popolarità tra i paleontologi,
Questo modo di procedere è giustificato dal fatto che i anche se in tempi a noi più vicini il favore di cui godeva
caratteri fenetici condivisi da un gruppo di organismi sono sta declinando (MINELLI, 1991). Rimangono però alcuni
generalmente indicatori della loro capacità di incrociarsi sostenitori come MILLER (2001) o WILEY & MAYDEN (2000),
generando prole feconda, cioè dell’esistenza di un flusso anche se, come ha affermato GEE (2006), appare evidente
genico; la base teorica è quindi fornita dal concetto biolo- che “una volta capito che il tempo profondo non ci permette
gico di specie, ma ciò, in taluni casi, pone alcuni proble- di raccontare l’evoluzione in forma narrata, siamo costretti
mi. Le peculiari caratteristiche del materiale su cui lavora ad accettare che praticamente tutto ciò che pensavamo
il paleontologo tendono ad acuire ancor più, se possibile, sull’argomento è sbagliato. È sbagliato raccogliere una
queste incongruenze. serie di fossili dal tempo profondo, metterli in un ordine
Innanzitutto, la specie corrispondente al BSC è estre- cronologico e affermare che la sequenza così ottenuta
mamente circoscritta nel tempo e nello spazio, e per que- rappresenta una linea evolutiva di discendenza”.
sto, in alcuni lavori come quello di MAYDEN (1997), essa Il coevo Paleospecies Concept, concepito dallo stesso
viene considerata anche come parte di un Non-dimensio- SIMPSON (1961) sulla traccia del Chronospecies Concept
nal Species Concept (NDSC). Se la necessità di estendere proposto da T.N. GEORGE (1956), rappresenta invece
di fatto in dimensione spaziale l’applicazione del concetto un’astrazione prettamente operativa; si basa sull’idea che, in
biologico genera non pochi dubbi al neontologo (zoologo, assenza di altri criteri, le linee evolutive fossili, intese come
botanico), la corrispondente estensione temporale rischia entità morfologicamente conservative estese su un intervallo
di invalidare l’operato del paleontologo: quanto vicini nel di tempo più o meno lungo, possano essere suddivise
tempo devono essere due individui (o due popolazioni) in modo arbitrario in specie, in punti convenienti della
perché abbia senso affermare che appartengono alla stessa successione stratigrafica (MINELLI, 1991). Particolarmente
specie? (MINELLI, 1991). Molti sono gli studiosi che han- rilevanti a tale proposito sono gli studi sull’applicazione
no ritenuto illegittimo rimanere concettualmente legati a (nella pratica biostratigrafica), ma anche sul significato
17 M. BERNARDI & A. MINELLI

teorico (il concetto di specie sotteso), dei macroforaminiferi individuano discontinuità morfologiche. Dovremmo inve-
orbitoidiformi da parte della “scuola di Utrecht” fondata ce considerare la repentina apparizione di una forma qua-
da C.W. Drooger (si veda, ad esempio, DROOGER 1954; le reale prova del cambiamento evolutivo; nella documen-
PIGNATTI, 2003 per un resoconto divulgativo). tazione fossile, l’evento di speciazione, l’istante nel quale
L’incertezza sul fatto che i limiti tra le differenti fissare il limite stratigrafico inferiore della nuova specie,
specie corrispondano effettivamente a reali discontinuità apparirà proprio come un “punto di rottura in un mare di
biologiche e non ad intervalli accidentali nella stabilità”.
documentazione fossile, tuttavia, non permette alle Il mutato atteggiamento deriva, in buona sostanza,
cosiddette “specie sequenziali” di riflettere l’esistenza di dall’assunto che sia possibile rivolgersi alla documentazio-
reali unità in natura (BROTHERS, 1985). ne fossile con maggiore fiducia verso le informazioni che
Questi tentativi, così, si sono dimostrati insoddisfa- essa ci consegna.
centi. È necessario, però, rendere merito a chi ha cercato Molti studiosi hanno accolto favorevolmente l’ipotesi
di affrontare con determinazione, sul piano operativo ol- proposta da Eldredge e Gould – nota anche come “ipotesi
tre che su quello teorico, un tema centrale del dibattito: la saltazionista” – e molti sono gli studi che hanno fornito
difficoltà dell’uomo nel rapportarsi con storie la cui durata ulteriori, convincenti prove in aggiunta a quelle sulle quali
è difficilmente confrontabile con il tempo che egli ha tra- i due paleontologi avevano basato le loro prime deduzioni
scorso sulla terra. (GOULD, 1969; ELDREDGE, 1972). STANLEY (1982), ad esem-
L’arduo compito di riconoscere e definire le specie pa- pio, ha affermato che “le testimonianze fossili contraddi-
leontologiche è ritornato negli ultimi decenni – anche se cono l’idea secondo la quale l’evoluzione filetica realizza le
con rinnovati approcci – a confrontarsi con il più antico ed maggiori transizioni evolutive. I fossili, invece, testimonia-
intuitivo fra i concetti di specie, cioè la morfospecie (cfr. no che la speciazione è la sede dei maggiori cambiamenti.
HALLAM, 1988; KOTSAKIS, 1988). La presenza apparentemente universale di fossili viventi
come rappresentanti recenti di cladi longevi e poveri di
OGGI specie […] rafforza l’idea che senza speciazione vi è poca
evoluzione” (t.d.a.).
Negli annali della biologia evoluzionistica degli ultimi Ricordiamo qui alcuni importanti contributi
decenni, “non vi è idea che abbia suscitato più interesse, sull’argomento. CHEETHAM (1986) ha mostrato come
che abbia innescato più discussioni, che sia stata più sequenze complete di briozoi neogenici presentino
universalmente citata, e più seriamente fraintesa, di quella cambiamenti istantanei su scala geologica, e lavori
degli ‘equilibri intermittenti’” (ELDREDGE, 1999).Questa come quello di STANLEY & YANG (1987) hanno sostenuto
prende origine dal concetto di discontinuità messo in l’esistenza di vasti intervalli lungo i quali i cambiamenti
evidenza da Simpson, anche se questo autore riteneva che i morfologici sono quasi del tutto assenti.
pattern di discontinuità separassero taxa di livello superiore AYALA (1982) e con lui altri studiosi hanno però soste-
alla specie, mentre la teoria degli “equilibri intermittenti” nuto che l’ipotesi saltazionista non convince, almeno per
li vuole leggere a livello di specie; “Con Simpson, Gould due aspetti: la dimensione temporale (la scala geologica
ed io proponemmo che i pattern siano il prodotto dei viene confusa con quella delle interazioni biologiche effet-
processi dell’evoluzione e non artefatti tafonomici [ovvero tive, o scala ecologica) e il significato biologico delle mor-
legati alla preservazione selettiva degli organismi allo fospecie fossili.
stato fossile]. Adottammo però la concezione di specie di La presenza di importanti discontinuità ed in partico-
Dobzhansky e Mayr, ed attribuimmo la discontinuità dei lare la prevalenza delle fasi di stasi nella documentazio-
pattern paleontologici a livello di specie alla speciazione. ne fossile sembra però essere oggi largamente accettata
In contrasto con Dobzhansky e Mayr, abbiamo introdotto (JACKSON & CHEETHAM, 1999; JABLONSKI, 2000; BENTON &
il concetto di stasi. Gli equilibri intermittenti, quindi, PEARSON, 2001).
attingono alla concettualizzazione della specie di L’argomento attorno al quale ruota la prima delle
Dobzhansky e Mayr, seguendo l’approccio metodologico due critiche esula dagli argomenti di cui ci occupiamo in
di Simpson applicato alla documentazione fossile” queste pagine; gli stessi Eldredge e Gould hanno affron-
(ELDREDGE, 1995). Un’esaustiva trattazione dell’argomento tato questo problema in numerose opere (ad esempio in
è ben lungi dall’essere l’obiettivo di questa breve rassegna, GOULD, 2003).
ma alcuni aspetti dell’ipotesi degli equilibri intermittenti, Il secondo aspetto centra uno dei punti chiave di
teorizzata dapprima nel lavoro di ELDREDGE (1971) e poi in questa rassegna: ci possiamo fidare della somiglianza
quello congiunto dei due paleontologi ELDREDGE & GOULD morfologica fra due fossili quale prova dell’appartenen-
(1972), costituiscono un punto di riferimento necessario za ad una stessa specie?
per la comprensione di un modo attualmente molto diffuso
di guardare alla specie nella documentazione fossile. IL CONCETTO BIOLOGICO DI SPECIE E
La teoria degli equilibri intermittenti è una presa di LA DOCUMENTAZIONE FOSSILE
posizione relativa all’evoluzione morfologica (ERWIN &
ANSTEY, 1995b); da essa si deduce che, nell’analisi di una Le specie, secondo il BSC, sono gruppi di individui
successione stratigrafica che riteniamo plausibilmente che si assomigliano in quanto fanno parte di una stessa
completa, non dovremmo attenderci di dover riconoscere comunità riproduttiva; peraltro, come si può facilmente
una nuova specie all’interno di una serie pressoché infinita osservare anche all’interno della specie umana, questa so-
di cambiamenti impercettibili nella morfologia degli indi- miglianza non è assoluta: siamo tutti leggermente diversi.
vidui di una popolazione; e nemmeno rassegnarci ad un Ogni specie, cioè, presenta un campo di variazione fene-
inevitabile arbitrio nel fissare i limiti della stessa in punti tica che può essere più o meno ampio. Tale variazione si
che stabiliamo essere convenienti, come zone nelle quali si può manifestare all’interno di ciascuna popolazione loca-
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 18

le, ma può rappresentare anche un elemento differenziale


fra popolazioni che occupano parti distinte dell’areale di
una specie (MINELLI, 1991).
Per definire una specie, il paleontologo deve stabilire
un criterio atto a delimitarne il campo di variazione consi-
derando le caratteristiche dei dati che possiede, e nel fare
ciò lo strumento statistico ha consentito alla tassonomia
paleontologica moderna di assumere un certo rigore for-
male (KOTSAKIS, 1988; per le metodologie più utilizzate si
veda HAMMER & HARPER, 2006). La procedura classica è
quella di rilevare una discontinuità morfologica costan-
te tra due popolazioni, ottenuta dall’analisi di numerosi
caratteri, e di interpretarla quale indice della presenza di
isolamento riproduttivo. La variazione intra e interspecifi-
ca deve essere interpretata cautamente, considerando apo-
morfie, dimorfismo sessuale e polimorfismo, quantificata e
comparata tramite analisi multivariata (ovvero compren-
dendo simultaneamente nell’analisi più componenti; si
veda BRUNER, 2004). La variazione morfologica dei taxa
fossili può essere messa a confronto con quella dei taxa
attuali, la cui comparabilità, però, deve essere accurata-
mente valutata (PLAVCAN & COPE, 2001). In taluni casi è Fig. 10 - I trilobiti del genere Phacops sono particolarmente abbon-
anche possibile confrontare i dati paleontologici con quelli danti nelle rocce devoniane di Nord America ed Africa. Le specie ven-
molecolari, come è stato fatto ad esempio per i primati gono distinte in base all’organizzazione degli occhi. L’abbondanza di
(GOODMAN et alii, 1998). forme differenti ha fatto si che il genere Phacops sia divenuto oggetto
I casi più difficili da esaminare, evidentemente, di una celebre serie di lavori corredati da opportune analisi statis-
sono quelli nei quali gli eventi di speciazione non sono tiche, in particolare i ben noti studi di ELDREDGE (1971) e di ELDREDGE
“istantanei” su scala geologica. & GOULD (1972). Collezioni MTSN.
Questo tipo di analisi presenta alcuni grandi limiti, il
più evidente dei quali è quello di poter essere applicata solo
a taxa ampiamente rappresentati nella documentazione rappresentati nella documentazione fossile e quelli “rari”.
fossile: in sostanza, devono essere disponibili molti cam- Documentazioni evidentemente differenti si traducono
pioni sui quali eseguire l’analisi. Questa situazione non si in approcci diversi nei confronti della filogenesi: nel caso
presenta molto frequentemente (fanno eccezione i nano- dei taxa scarsamente rappresentati nella documentazione
e microfossili, alcune famiglie di Molluschi, Brachiopodi fossile (tipicamente, i vertebrati) i dati disponibili servono
e Briozoi, alcuni ordini di Trilobiti (fig. 10) e pochi altri) come base per ricostruire la filogenesi, mentre, all’opposto,
e per numerosi taxa il rischio del “pezzo unico” è reale. nel caso dei taxa ben rappresentati (ad es. microfossili) è la
Con questa espressione si fa generalmente riferimento al filogenesi ad essere utilizzata per “ritagliare” le specie.
bizzarro trattamento tassonomico spesso riservato a molti Vi sono poi alcuni casi nei quali, indipendentemente
macrofossili, soprattutto macrovertebrati. Il ritrovamento dalla frequenza con la quale il taxon in esame è rappre-
di un campione – di solito frammentario – è decisamente sentato nella documentazione fossile, il paleontologo è del
un evento raro se confrontato con quello dei taxa appe- tutto impotente: le specie che dovrebbe riconoscere sono
na citati, e in alcuni casi addirittura eccezionale; spesso il semplicemente non distinguibili nella documentazione
problema della variabilità interspecifica viene affrontato fossile. Vi sono infatti specie – fra i rappresentanti attua-
con assoluta leggerezza e ad ogni nuova scoperta si fa se- li dei gruppi più diversi di organismi – che, pur essendo
guire la designazione di un nuovo taxon o si crede di poter perfettamente incompatibili tra loro, in termini riprodut-
stravolgere una filogenesi sino a quel momento accettata. tivi, risultano identiche in base a criteri morfologici: sono
A tal proposito sono ben noti casi nei quali sono state le sibling species o specie gemelle (CHALINE & MEIN, 1979;
descritte due specie separate che poi si sono dimostrate MINELLI, 1991).
corrispondere ai due sessi di una medesima specie, e casi All’interno del genere Drosophila, ad esempio, sono
in cui differenti stadi ontogenetici sono stati ritenuti spe- noti molti casi di questo tipo, come la coppia Drosophila
cie distinte e denominati di conseguenza. persimilis e Drosophila pseudoobscura (TAN, 1946; RIZKI,
Alcuni studi di tipo morfometrico (cfr. lo storico lavoro 1951). Le specie gemelle sono comuni nei Mammiferi e ne-
di CARPENTER & CURRIE, 1990) tentano di dirimere una par- gli Uccelli (ad es. GRAHAM, 1996) e sono state riconosciute
te delle querelle legate a queste situazioni, ma frequente- in tutti i maggiori gruppi nei quali sono stati compiuti gli
mente permangono opinioni diverse tra quanti tendono a studi necessari per identificarle, nel regno animale come
dividere i fossili in gruppi strettamente omogenei (i cosid- in quello vegetale. Gli esempi botanici vengono soprattut-
detti splitter) e quanti accettano invece un più ampio gra- to dalle Asteracee, ad esempio con Layia platyglossa e L.
do di variabilità all’interno dello stesso gruppo (i lumper) septentrionalis, e per molte specie del genere Holocarpha
(BRIZIO, 2003; per la terminologia, originariamente utiliz- (AYALA, 1982); questo problema è stato discusso anche in
zata in ambito nosologico, si veda MCKUSICK, 1969). relazione agli Ominidi da TATTERSALL (1986). PFENNINGER
I dati forniti dalla letteratura di ambito paleontolo- & SCHWENK (2007) hanno recentemente concluso che le
gico dimostrano chiaramente importanti disparità, nelle specie gemelle, in definitiva, sono distribuite in modo
conoscenze e nei metodi di studio, tra i taxa che sono ben omogeneo tra i taxa e le regioni biogeografiche.
19 M. BERNARDI & A. MINELLI

Altro caso problematico, di natura opposta rispetto uniamo forme troppo differenti sotto uno stesso nome”
al precedente, riguarda le popolazioni allopatriche di una (WAAGEN, 1887).
stessa specie che presentano chiare differenze morfologi- Il contributo di SHAW (1969), ripreso anche nell’ar-
che tra loro: sull’argomento sono disponibili molti studi, ticolo di RIEDEL (1978), ha però decisamente riportato
ad esempio su serpenti, salamandre, uccelli e insetti (cfr. all’attenzione del mondo scientifico l’esistenza e la forza
AYALA, 1982) ed su molti tipi di piante (cfr. CARR, 1976). concettuale dell’atteggiamento di totale distacco di alcuni
AYALA (1982) ha mostrato un atteggiamento critico sul studiosi rispetto ai metodi della paleontologia tradiziona-
tema della validità delle morfospecie fossili, sostenendo le: “Il concetto di specie in paleontologia è governato dal
che le prove neontologiche indicherebbero chiaramente proposito per il quale i paleontologi erigono specie che
che morfologia e genotipo evolvono, in gran parte, indi- non sono in relazione con oggettivi attributi degli organi-
pendentemente dalla comparsa dell’isolamento riprodut- smi d’origine. Il concetto di specie è totalmente soggettivo
tivo. e quindi non può essere utile come mezzo di comunicazio-
Certamente, l’impossibilità per il paleontologo di deli- ne nella paleontologia ad un livello professionale” (t.d.a.).
mitare in modo non ambiguo le specie in situazioni quali MELLO (1970), REIF (1984) e molti altri si sono espressi
quelle ora citate è inevitabile causa di sottostima o sovra- sostanzialmente negli stessi termini; secondo ERWIN &
stima del numero di specie. Simili problemi affliggono ANSTEY (1995b) “le distinzioni tra specie fossili riflettono
però anche i neontologi, come nel caso in cui i dati sulla spesso giudizi soggettivi dei tassonomi” (t.d.a.). Si è fatta
riproduzione vengano a mancare; si pensi, ad esempio, così strada l’ipotesi – oggi sostenuta da molti studiosi –
all’abituale restrizione dell’analisi al solo materiale presen- che nelle forme riconosciute nella documentazione fossile
te nelle collezioni museali. non sia possibile di riconoscere altro se non unità di rap-
Numerosi studi si sono occupati di verificare la validità presentazione della diversità degli oggetti studiati, secon-
delle morfospecie fossili; tra i più noti vi è quello condotto do una nozione di specie formulata in modo esplicito da
su briozoi cheilostomi da JACKSON & CHEETHAM (1990). I O’HARA (1993).
risultati – ottenuti su forme viventi affini a quelle estinte, RIEDEL (1973) ha sostenuto che i normali metodi della
con esperimenti di incrocio e analisi elettroforetica di pro- paleontologia sono di fatto fallimentari. La soluzione da
teine enzimatiche – hanno mostrato che le caratteristiche lui proposta implica un nuovo modo di lavorare con i dati
scheletriche del tipo classicamente rinvenibile nel materia- tassonomici, cosicché questi possano essere utilizzati in-
le fossile sono, in questo caso, sufficienti per discrimina- dipendentemente dalla nomenclatura linneana; il nome di
re le varie specie di briozoi cheilostomi viventi. Gli autori una specie fossile, afferma, non porta alcuna informazione
concludono dunque che i paleontologi sono legittimati nel sul fatto che gli individui sui quali viene definita siano par-
riconoscere le specie attraverso i metodi classici dell’ana- te di un raggruppamento riproduttivamente isolato (sensu
lisi della documentazione fossile. Non per tutti i taxa si è MAYR, 1969), ma serve come surrogato dei caratteri mor-
giunti, però, a simili conclusioni. fologici utilizzati nella descrizione specifica di quel taxon.
CURNOE & THORNE (2003), ad esempio, hanno eseguito Partendo dal presupposto per cui “in molti gruppi fossili
una dettagliata analisi cromosomica e della distanza gene- non ci sono sufficienti basi per giudicare quale procedura
tica sulle ventitré specie di ominidi che vengono collocate permetta la formazione di gruppi il più possibile appros-
dalle tassonomie attuali sulla linea evolutiva che porta ad simanti le specie biologiche”, RIEDEL (1978) propone l’uti-
Homo sapiens. Le conclusioni permettono di legittimare lizzo di un sistema di descrittori morfologici che permetta
l’esistenza di sole cinque specie; i dati molecolari, in que- di definire unità tali da sostituire le specie. “La procedura
sto caso, sembrano suggerire che i limiti della variabilità non risolve il problema di come identificare le specie bio-
morfologica intraspecifica usati da molti paleoantropologi logiche, ma semplicemente ci permette di evitarlo o di rin-
sono troppo restrittivi. viarlo quando il nostro obiettivo è tale per cui una defini-
zione biologica di specie non è assolutamente necessaria”
LA SPECIE COME UNITÀ (RIEDEL, 1978; t.d.a.). Questo è il caso, ad esempio, delle
DI RAPPRESENTAZIONE correlazioni stratigrafiche. Il biostratigrafo, infatti, utiliz-
za spesso le specie (o, in generale, i taxa) senza affrontare
In un noto articolo apparso sul Journal of Paleontology, il problema del loro significato e della loro corretta defini-
RIEDEL (1978) si è fatto portavoce di quei contributi che, zione; rileva le comparse e scomparse di certi taxa solo con
nella letteratura paleontologica della seconda metà del l’esigenza di poter comunicare agli altri ricercatori il loro
Novecento, avevano rivelato insoddisfazione verso le significato stratigrafico (RAFFI & SERPAGLI, 1993).
procedure convenzionalmente utilizzate nella descrizione Di fatto, ciò che spesso accade è che la “specie” viene
e nella nomenclatura degli organismi estinti. confusa con qualcosa di diverso, ovvero il morfotipo
Già William J. ARKELL (1956), come ricordato in pre- (MERRILL, 1998). Quello che si propone, dunque, è la
cedenza, aveva dichiarato che le unità della paleontologia sostituzione del concetto di “specie” fossili – un concetto
avrebbero dovuto essere arbitrarie e negli annali di questa che implica una serie di assunzioni che si rivelano
scienza vi erano state molte altre voci convinte del fatto insostenibili – con l’unità tassonomica operativa (OTU,
che il nome di una specie, in paleontologia, non corrispon- operational taxonomic unit) che abbiamo già ricordato nella
desse ad altro che ad una classe di oggetti che condividono precedente sezione di questa rassegna; “Il componente
un certo grado di somiglianza fenetica. essenziale del sistema di descrizione è una stringa di
Ancora prima, nella seconda metà del XIX secolo, il numeri […] che corrisponde approssimativamente a nome
paleontologo tedesco Wilhelm Heinrich Waagen aveva af- specifico più descrizione e diagnosi nel sistema linneano.
fermato che “il nome dato ad una conchiglia è semplice- […] La stringa di informazioni codificate è utilizzata per
mente uno strumento per veicolare una concreta idea di descrivere un’immagine piuttosto che un’entità biologica
ciò che significa, e questo proposito non è raggiunto se noi […] ma non ha alcun significato gerarchico e non dice
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 20

Fig. 11 - Alcuni caratteri morfologici di indubbia utilità tassonomica e relativi a parti anatomiche fossilizzabili sono soggetti a importanti
variazioni legate all’età dell’animale. Un esempio sono le corna di molti Mammiferi, come lo stambecco. Foto di R. Maistri/Arch. MTSN e M.
Bedin/Arch. MTSN.

nulla a proposito di interfecondità o di relazioni filetiche” CHAMBERLAIN (1989) sostengono che, non essendo possibi-
(RIEDEL, 1978; t.d.a.). Soprattutto in anni recenti, molti le stabilire una relazione necessaria tra speciazione e cam-
paleontologi hanno prudenzialmente preferito definire i biamento morfologico, risulta difficile determinare criteri
loro strumenti di lavoro, le loro unità morfologiche, come validi per identificare le specie nella documentazione fos-
semplici OTU. sile, ma qualcosa si può fare
Paterson, come già ricordato, ha definito la specie come
IL “RECOGNITION SPECIES CONCEPT” “la più inclusiva popolazione di organismi biparentali
APPLICATO AI FOSSILI che condividono un comune Specific Mate Recognition
System” (PATERSON, 1986; t.d.a.); questo concetto, secondo
Certo, come paventava GOULD (1980), “i paleontologi TURNER & CHAMBERLAIN (1989), implica che solo i caratteri
possono scegliere di operare fuori dai vincoli di una visio- legati agli SMRS cambieranno necessariamente negli
ne genetica delle specie, ma in questo caso l’intera impresa eventi di speciazione: “I caratteri legati al fertilization
dello studio dei fossili rischia seriamente di divenire una system rimarranno quindi stabili durante l’esistenza di
forma di collezionismo di francobolli” (t.d.a.). una specie, mentre altri potrebbero cambiare in risposta
Soprattutto VRBA (1980, 1984a, 1984b, 1985a, 1985b) e alla pressione selettiva se la popolazione si venisse a
TURNER (1985, 1986, 1995; TURNER & CHAMBERLAIN, 1989) trovare in un nuovo contesto” (TURNER, 1995; t.d.a.). La
sostengono che l’accettazione da parte dei paleontologi specifica natura di questi segnali determinerà la capacità
dell’importanza del Recognition Species Concept propo- del paleontologo di rilevare cambiamenti nella morfologia
sto da PATERSON (1979, 1985, 1993) porterebbe significa- dei campioni analizzati: SMRS legati a segnali chimici
tivi vantaggi. TURNER (1995) afferma che “prima che fosse o uditivi avranno presumibilmente meno riscontro nei
sviluppato il Recognition Concept […] stavamo davvero caratteri morfologici rispetto, ad esempio, a SMRS legati
brancolando nel buio, forniti di idee inadeguate su cosa a segnali visivi; ELDREDGE (1995) ricorda il caso degli
costituisca una specie, come operi la speciazione, e come invertebrati marini, la maggior parte dei quali rivela poco
integrare i processi teorici con i pattern di speciazione che o nulla degli SMRS nell’esoscheletro; tra gli organismi
appaiono nella documentazione fossile” (t.d.a.). TURNER & bentonici sessili (ad eccezione dei cirripedi), ad esempio,
21 M. BERNARDI & A. MINELLI

Dopo il 1960, però, il trend è cambiato: i paleontologi


hanno iniziato a scegliere come esemplari tipo crani
e/o scheletri completi, ove possibile utilizzando, nella
diagnosi di una specie, più di un individuo e assegnan-
do particolare importanza ai caratteri legati agli SMRS.
“Specie” differenti sono state così, ad esempio, ricondot-
te entro serie ontogenetiche o reinterpretate come fenoti-
pi sessuali (per un esempio recente si vedano HORNER &
GOODWIN, 2009) (fig. 12), approcci peraltro già utilizzati
in altri settori della paleontologia come, ad esempio, nel-
la micropaleontologia (ad esempio nello studio dei num-
mulitidi).
La percentuale di specie descritte e correntemente
considerate non valide è oggi simile per gli organismi
estinti – ad esempio, dinosauri (40%; BENTON, 2008b) e
mammiferi fossili (28%; ALROY, 2002) – e quelli attuali,
animali (31%; GASTON & MOUND, 1993) e piante (66%;
WORTLEY & SCOTLAND, 2004).

PALEONTOLOGIA NOMOTETICA

Il “problema della specie fossile” e le soluzioni che


Fig. 12 - Cranio di un esemplare adulto di Pachycephalosaurus
(Ornithischi, Marginocefali) dal Cretaceo Superiore del Nord America
sono state proposte per affrontarlo sono parte fondante
(A) ed una sequenza ontogenetica (B) riconosciuta grazie all’analisi del dibattito di quella che GOULD (1980) ha definito una
dello spostamento relativo di una serie di marker, evidenziati dai “paleontologia nomotetica”, una disciplina cioè che,
colori, in tre crani di pachicefalosauridi, sulla sinistra in vista dorsale, conscia dei propri limiti ma non chiusa su se stessa,
sulla destra in vista laterale. Le forme già descritte come Dracorex sia volta alla formulazione di teorie onnicomprensive,
hogwartsia e Stygimoloch spinifer sono state riconosciute come partendo da quella che egli ha definito come la sua base
“momenti” (rispettivamente, giovanile e subadulto) in un continuum insostituibile: la teoria dell’evoluzione. In un celebre
di crescita di Pachycephalosaurus wyomingensis. Risultano evidenti intervento, a vent’anni di distanza dalle parole di GOULD
le implicazioni di tali scoperte nelle valutazioni della diversità (1980), CONWAY MORRIS (1998) ha mostrato come i
interspecifica (disparità) dei dinosauri, così come nella tassonomia del
fossili, negli ultimi decenni, siano stati concepiti ed
gruppo (sinonimie). Secondo HORNER & GOODWIN (2009), modificato.
analizzati usando nuovi strumenti e linguaggi; la statica
documentazione fossile è divenuta una documentazione
questi “sono necessariamente limitati alla compatibilità di transizioni evolutive che oggi possono essere spiegate
chimica di uova e spermi e a tempistiche per il rilascio e messe in relazione a cambiamenti biologici, ecologici,
degli stessi in acqua” (ELDREDGE, 1995). climatici e tettonici (HALL, 2002).
Certamente, infatti, BSC e RSC possono essere viste L’ultima sorgente di fresche energie, per una paleon-
come “facce di una stessa medaglia” (BRUNER, 2004). tologia sempre più nomotetica, “è l’evo-devo, i cui lin-
Secondo questa interpretazione, in ambito paleontologico guaggi forniscono una nuova base sulla quale interpreta-
il Recognition Concept presenterebbe gli stessi problemi re il cambiamento anatomico, nei materiali e nella mec-
del BSC, oltre alla difficoltà nell’interpretazione delle canica” (HALL, 2002). In quest’ottica interdisciplinare, la
strategie riproduttive e comportamentali (TATTERSALL, paleontologia, una scienza tradizionalmente assimilata
1989; MASTERS, 1993). Il Recognition Concept non è di – specialmente in Italia – alla geologia, e ancor più il dia-
certo una panacea per tutti i problemi di identificazione logo tra essa e le discipline di estrazione biologica come
che deve affrontare il paleontologo (TURNER, 1995). l’evo-devo, devono costituire un ponte lanciato oltre il
Tuttavia, quando i fossili in questione costituiscono i vuoto tuttora esistente tra i dipartimenti di geologia e di
resti di organismi a riproduzione biparentale, l’analisi
biologia, che spesso sembrano confrontarsi fra loro come
dei caratteri legati al sistema riproduttivo della specie
se si occupassero di due mondi diversi. Le distinzioni tra
– come i genitali negli insetti, le corna nei bovidi (fig.
le varie discipline, o le attribuzioni scollegate delle rispet-
11), i palchi nei cervidi, o le ornamentazioni craniche
nei dinosauri (TURNER, 1995) – aiuterà a individuare tive competenze (qui gli aspetti teorici, lì quelli pratici),
con maggiore affidabilità specie corrispondenti a unità non possono rappresentare la soluzione ai dubbi, alle in-
biologiche riproduttivamente isolate (BSC). certezze e ancor meno all’ignoranza dello studioso verso
Ove possibile, i paleontologi hanno iniziato, di fatto, ciò che lo circonda.
a usare il Recognition Concept. Tra il 1820 ed il 1960, ad Per essere compreso a fondo, in buona sostanza, il
esempio, la maggior parte delle nuove specie di dinosau- “problema della specie”, come ogni altro problema, deve
ri fu descritta utilizzando materiale che Mike Benton ha essere reso parte di una visione condivisa alla quale par-
ripreso in esame e definito, nella vasta maggioranza dei tecipino i contributi di studiosi provenienti dalle più di-
casi, come mal conservato e incompleto (BENTON, 2008a). verse tradizioni accademiche.
IL CONCETTO DI SPECIE E LA PALEONTOLOGIA 22

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Manoscritto ricevuto il 17 Maggio 2010; accettato il 25 Novembre 2010; responsalità editoriale F.M. Petti

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