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Il caso particolare delle specie ad anello, come quello delle specie gemelle
(morfologicamente indistinguibili ma isolate dal punto di vista riproduttivo, come il
coleottero Notiophilius), possono essere utili per gettare uno sguardo sulla complessità del
“problema della specie”. Utilizzando una definizione biologica di specie, che dà maggiore
attenzione all’isolamento riproduttivo delle popolazioni, un concetto ecologico, legato alla
nozione di nicchia ecologica e che mette l’accento sull’area adattiva occupata da una specie,
oppure una definizione incentrata sulle somiglianze morfologiche, l’insieme di individui
identificato come appartenente alla medesima specie cambia radicalmente.
Il dibattito sul concetto di specie caratterizza la storia della filosofia della biologia sin dalle
sue origini e si radica dal punto di vista concettuale nella difficoltà di definire e inquadrare la
realtà fisica e naturale, sfumata complessa e indefinita, in schemi mentali precisi, funzionali
alla ricerca di classificazione e di semplificazione della mente umana. La semplificazione del
quadro naturale per renderlo intellegibile è uno dei processi che caratterizza in senso forte la
fondazione della scienza naturale moderna. Già nei libri dedicati alla filosofia naturale di
Aristotele, primo classificatore delle specie animali, e negli scritti del suo discepolo
Teofrasto, che si dedicò con attenzione alla classificazione del mondo vegetale, emerge la
logica classificatrice insita nel concetto di specie. Il processo di classificazione e definizione
delle specie, e il ruolo di centralità che questo concetto possiede, maturano attraverso il
lavoro di Linneo, che nel “Systema naturae” (1759) adotta una definizione morfologica di
specie, “appartengono alla stessa specie individui tra loro simili fisicamente e tali individui
non sono legati da alcuna relazione particolare”. Il primato ontologico della specie si impone
come paradigma fondante con l’avvento della Nuova Sintesi, dove la specie acquisisce anche
il ruolo di unità biologica fondamentale, e, insieme ai singoli individui e ai geni, diventa uno
degli oggetti sui quali agisce la selezione naturale. La difficoltà del compito è ben sintetizzata
da Joseph Hooker, che nel 1856 descriveva il tentativo di definire il concetto di specie come
tentativo di definire l’indefinibile.
Per dare una approssimativa panoramica delle differenti definizioni di specie possiamo
iniziare dalla distinzione tra specie come unità tassonomica e specie come taxon, ovvero
come biopopolazione individuale, ad esempio Homo sapiens, tematizzata da Ernst Mayr. Il
problema della definizione del concetto di specie, e della sua pluralità, ad oggi abbiamo più
di venti definizioni, si dipana tra queste due nozioni e riguarda prevalentemente il concetto
tassonomico. Possiamo delineare due grandi filoni nella ricerca della definizione di specie
come categoria tassonomica, tendenzialmente inquadrati in un’ottica storica, ma talvolta
anche compresenti. Ritroviamo le letture tipologico-morfologiche, caratterizzate
concettualmente da una visione monista ed essenzialista, ed appartenenti in prevalenza alla
storia pre-darwiniana, e quelle storico-causali, storicamente nate dalla teoria dell’evoluzione.
Le prime vanno alla ricerca dell’essenza di una specie, della caratteristica peculiare che
permette di definire una specie come tale, le seconde invece privilegiano l’aspetto
relazionale, tentano di definire un insieme tramite relazioni causali. L’aspetto storico di
questa analisi va considerato nell’ambito delle tendenze di lungo periodo, infatti troviamo
definizioni tipologiche successive al viaggio del Beagle e alla pubblicazione dell’Origine
della Specie, e definizioni che calcano la mano sull’aspetto relazionale. Un celebre esempio è
l’interpretazione del naturalista francese, caro a Jean-Jacques Rousseau, Buffon, che mette al
centro la possibilità di perpetrare la tipicità attraverso la copulazione. L’importanza di questo
aspetto sarà analizzata più nel dettaglio poco più di trecento anni dopo da Mayr
nell’elaborazione del concetto biologico di specie. Le specie sono caratterizzate da pool
genetici la cui coesione è garantita dall’interfecondità della prole, quindi l’isolamento
riproduttivo diventa il criterio centrale per definire all’interno di una popolazione un insieme
tassonomico finito, che possiamo definire come specie isolata. Oltre alla definizione
biologica di specie possiamo portare altre tre definizioni che nella storia del concetto di
specie hanno assunto una posizione di valore. La definizione ecologica, che, tramite il
concetto, non univocamente definito, di nicchia ecologica, identifica la specie come quella
linea di discendenza che occupa una nicchia ecologica definita; questo concetto, non esente
da difficoltà, insite nella nozione di nicchia ecologica, ha la forza di riuscire a classificare
anche le specie asessuate, che invece rimanevano escluse dalla definizione biologica.
Entrambi i concetti sono impossibili da applicare nelle ricerche paleontologiche che devono
necessariamente rifarsi a caratteristiche morfologiche. Una terza definizione di specie è
quella filogenetica, particolarmente legata alla scuola cladistica, filone che ammette solo la
cladogenesi come solo processo di origine dei taxa monofiletici. Le specie sono quei gruppi
di organismi compresi tra due eventi di speciazione, o tra un evento di speciazione e uno di
estinzione; secondo questa definizione sarebbero propriamente specie solo le specie estinte,
quindi le specie perdono la possibilità di evolversi e il loro primato sancito dalla sintesi
moderna. In ultima istanza ritroviamo le definizioni fenetiche che appartengono alle
definizioni tipologico-morfologiche. Questa definizione, neutrale dal punto di vista teorico,
crea degli insiemi attraverso l’identificazione del grado di similarità complessiva e un
processo di analisi comparata. Queste quattro definizioni sono strutturalmente in conflitto,
tutte riescono a identificare nuclei più o meno definiti di organismi da collocare al livello
tassonomico delle specie, ma gli insiemi possono essere molto diversi.
Importanti studi sulla biogeografia delle isole, in particolare “The Theory of Island
Biogeography”, sono quelli compiuti da Robert MacArthur e Edward O. Wilson nel 1967,
quasi cento anni dopo le pubblicazioni di Alfred Russel Wallace, “The Malay Archipelago” e
“The geographical distribution of animals”, fondamentali nello sviluppo della biogeografia.
Questi studi rappresentano un passo importante per la biogeografia delle isole, qui si mostra
come la biodiversità delle isole dipenda da fattori geografici come superfice e isolamento. In
particolare, formalizzano le idee che il tasso di colonizzazione decresce all’aumentare
dell’isolamento geografico dell’isola, il tasso di estinzione decresce all’aumentare dell’area
dell’isola, mentre il tasso di speciazione aumenta all’aumentare dell’isolamento e dell’area
dell’isola. Queste teorie sono state riprese e corroborate ad uno studio recente ad opera di
Luis Valente, biologo evoluzionista all’università di Groningen. Le isole sono il laboratorio
ideale per elaborare e affinare le teorie della selezione naturale, oggi come ai tempi di
Wallace e Darwin.