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LA POLITICA DEL CAMPO.

SULLA PRODUZIONE DI DATI


IN ANTROPOLOGIA1

Jean-Pierre Olivier de Sardan

Soc::i_glogia, antr()pologia e storia condividono una sola e ug~aJ_~ ~pjg~molo-


S!a2. Tale affermazione sta alla base di questa rivista. Essenzialmente sono loro
comuni o trasversali le procedure interpretative, le problematiche teoriche, i
punti di vista euristici, i paradigmi e le modalità di costruzione dell'oggetto.
Tuttavia non producono necessariamente i loro dati nello stesso modo. Que-
ste discipline affini sembrano distinguersi __'rp.algrado t4tto' pe_r J~ forme di
i.gc;l_::i,gi_g~-~mpJ!jçC1_çgç_çJe1§ç11mi.__g.t_~~$~_J2_g_yilegia. Gli archivi per lo storico,
l'inchiesta con questionari per la sociologia, il 'campo' per l'antropo-logia: ecco
tre modi di produzione dei dati distinti, tre specifiche configurazioni metodo-
logiche, che appaiono a prima vista come rispettivamente 'inerenti' a ciascuna
di queste scienze sociali affini.
Sj converrà, però1 di buon gracloche ~i tratta soltanto cli_fatt:_2_tL_g...9_minanti
e s;he nCJn_ cJLr~4<? _si vada _acl -~ttlQ.gere dal vicino. La ricerca sul campo, in
particolare, si è guadagnata uno spazio non trascurabile in sociologia. Di fat-

1 Edizione originale: La politique du terrain. Sur la production des données en anthropologie,

in "Enquete", n. 1, pp. 71-109, 1995. (Tutte le citazioni in inglese sono state tradotte in italiano
[NdT].
2 Vedi J.-C. Passeron (1991). Ringrazio per le loro osservazioni sulle diverse versioni pre-

cedenti di questo testo T. Bierschenk, J. Bouju, J. Boutier, V. Dorner, D. Fassin, J.-L. Fabiani,
Y. Jaffré, G. Lenclud, E. Paquot, M. Tidjani Alou.

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VIVERE L'ETNOGRAFIA

to non vi è alcuna differenza fondamentale nel modo di produzione dei dati


tra la sociologia detta talvolta 'qualitativà3 e l'antropologia. Del resto qui si
fondono chiaramente due tradizioni fondatrici: quella dei primi etnologi sul
campo (Boas e, soprattutto, Malinowski) e quella dei sociologi della Scuola
di Chicago. E faremo qui riferimento allo stesso modo ai loro rispettivi suc-
cessori.
Petto ql!~~to, l_a ricerca sul campo, per chi non la pratica, rimane_~y_yg_\!~
ir.i -~°-"'é!rtisti~~jndet~!!l_i!.l;t,t~zza che d1i la pratica non si preoccupa troppg _çlj
diradare. A causa di questo carattere spesso poco chiaro o misterioso della
produzione dei dati sul campo, l'antropologia, vista dall'esterno, è al tempo
stesso la più sconosciuta, la più affascinante e la pfo contestata delle scienze
sociali. Spesso si riconosce all'antropologia la sua empatia e all'antropologo il
suo vissuto. Altrettanto spesso, al contrario, si contesta all'una come all'altro
il peccato d'impressionismo e di soggettivismo. Gli aspetti sovente irritanti e
talvolta grotteschi del mito del campo, quando l'antropologo se ne autopro-
clama eroe spettacolarizzando le difficoltà incontrate4 , finiscono per confon-
dere il cammino. Ora, la ricerca sul campo è soltanto uno tra i tand_modi di
produzione dei dati nelle scienze sociali. Essa ha, come gli altri, ma _alfa.~
~aniera, i suoi vantaggi e i suoi inconvenienti. Ha le sue forme di vigilanza
meJ:odologica e ha tutto da guadagnare dall'esplicitazione della 'politicà che
la gyj_g.~. Quest~ 'Jp.determinatezza' del campo deve dunque essere quanto_Jilii
possibile diradata.
Indubbiamente bisogna prendere atto dell'evidente contrasto che oppone
la ricerca con questionari alla ricerca sul campo. Esse si presentano come due
poli o come due tipi-ideali (fortunatamente esistono delle forme intermedie
o combinate, non se ne abbiano a male gli integralisti dei due fronti), diversi
sia per le rispettive modalità di produzione dei dati e per la natura di questi
ultimi, ~er ilj9ro approccio al problenia della rappresentatività. L'inchie-
sta cQ'.fi"' questionari preleva_delle informazioni .circoscritte e codificabili suJla
base dfèampìoni ragionati e dotati di criteri di rappresentatività statistica~ i11

3 È questa una denominazione frequente negli Stati Uniti (vedi, tra gli altri, J. Kirk e M.

Miller 1986; H. Schwartz e J. Jacobs 1979) che ha, evidentemente, i suoi inconvenienti, in parti-
colare quello di lasciar intendere che la sociologia "qualitativa" non si occuperebbe di grandezze
o di cifre, il che è falso (si vedano più avanti quelli che io ho chiamato "procedimenti di cen-
simento"). Per contro, chiamare "sociologia quantitativa" la sociologia per questionari significa
rischiare di far credere che questa non emetta né giudizi di valore né interpretazioni non quanti-
ficate e che non si basi anch'essa su dati al di fuori delle cifre.
4 Il campo diventa allora una "mistica" (O. Schwartz 1993: 270-271), o un "titolo di gloria"
(entitlement; vedi H. Schwartz e J. Jacobs 1979: 125). Si veda la critica a due esempi tra tanti in
J.-P. Olivier de Sardan (1988: 527-540). Non si può non sottoscrivere la seguente osservazione
lapidaria: «I soggetti delle etnografie, non lo si dovrebbe mai dimenticare, sono sempre molto più
interessanti dei loro autori» (Smith, citato in R. Sanjek 1991: 610).

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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

~I1a_~ituazione artificiale di interrogazione le cui risposte s_o11g_ fot:Q!t~ .trami-


te l'i~rm_ed~.:i,zione di itnervistatorj reJribujti. In compenso, l'inchiesta di
tip(antropolo~ vuole avvicinarsi il più possibile alle sin,igzionj_n~mrn.li dei
sogg~ff:....: vifa -quotidiana, conversa;zi_o11i -, in una situazio11~ cli _im~m;zione
prolungata tra il ricercatore stesso e le popola~i_o11i l()_c::~!i, _aJ_fine di produrre
d~ll~ _conoscenze in situ, contestualizzate, trasversali, voJte a render c:_onto del
'e!!!JJ:C>_gi_vis_ta deU 'attore', delle rappresenta_ziQ_11i_ qrcl_in;;ii;i~_,_ d~l_k_prntiche con-
~1,!~t~_ ~-d~i_loro_s_ig11,i_f_ì_catj:;i11toctoni. La ricerca statistica è piuttosto d'ordine
estensivo (vedi la nozione anglosassone di survey), la ricerca sul campo è piut-
tosto d'ordine intensivo (vedi le connotazioni di terrain in francese) 5•
Ciascuna ha le sue forme di rigore, cioè proprie forme specifiche per rende-
re validi o plausibili i dati prodotti. Ma il rigore dell'inchiesta sul campo non
è misurabile, a differenza dell'inchi~sta con questionari, che lo è in parte. È
chiaro che la validità statistica non è la sua specialità e che non si può giudi-
care con il metro della quantificazione. Tuttavia la pratica anuopolQgica non
ç_sqltanto una semplice questione di 'feeli_ng', ma incorpora e mobjlit;:i_for.m!!-
zione e competenza. Il problema è che questa competenz_a fa capQ_ a_ un _fllf!_çr
fare e che la formazione avviene nell'apprs!Jefi~t.f!lg. In altre parole, l'inchiesta
sul campo non si può imparare in un manuale. Non ci sono procedure for-
malizzabili che basterebbe rispettare, come ne esistono, almeno in parte, nella
cosiddetta inchiesta 'quantitativa'. Di qui la natura molto insoddisfacente dei
manuali di etnografia6 (o dei manuali di interviste non pilotate). Il fatto èche

5 A. Strauss (1987: 2) osserva che la forza della ricerca qualitativa risiede nel tener presente
i contesti, mentre la forza della ricerca quantitativa è di essere multivariata (multivariate) e com-
parativa su ampia scala (cross-comparative).
6 I manuali di "prima generazione" erano essenzialmente del tipo "inventario di domande",

legati all'approccio monografico classico: si trattava di non dimenticare nulla nella descrizione
sistematica di una cultura. È il caso dei celebri Notes and Queries, del 1874, regolarmente ag-
giornati e solo di recente abbandonati. Si nota chiaramente il ritardo francese nell'approccio sul
campo: il primo manuale fu pubblicato soltanto nel 1947, partendo da appunti presi prima della
guerra durante i corsi di Mauss, il quale non svolse mai attività sul campo (M. Mauss 1947). I
manuali di M. Griaule (1957) e di M. Maget (1962), di cui il secondo è nettamente superiore al
primo, appartengono a questa categoria degli inventari di domande. Ai nostri giorni non sono
quasi più utilizzabili.
Oggi compaiono negli Stati Uniti dei manuali di "seconda generazione", che si allontano dalla
monografia, rinunciano all'inventario e diffidano delle ricette, cercando soprattutto di fornire
un sostegno per l'acquisizione di un saper fare (si possono segnalare J. Spradley e D. McCurdy
1972; P. Pelto e G. Pelto 1978; M. Agar 1980; M. Agar 1986; J. Spradley 1979; J. Spradley 1980;
D. Silverman 1985). In Francia troviamo soltanto un tentativo già datato, non privo d'interesse
ma incompleto ed eteroclito, in bilico tra la descrizione di tecniche di inchieste specializzate,
i consigli utili o pii, e la presentazione di campi di ricerca (R. Cresswell e M. Godelier 1976).
Segnaliamo pertanto tre brevi testi pedagogici di Fassin (in D. Fassin e Y. Jaffré (a cura di) 1990:
68-86, 97-106, 107-125) e la riflessione approfondita di Schwartz, che sviluppa orientamenti
epistemogici e metodologici molto simili ai nostri (O. Schwartz 1993): ma è significativo che

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VIVERE L'ETNOGRAFIA

Jaricerca sul campo innanzitutto è una questione di 'ai?HJrà' ~procede a colpi


di _intuizi_~~L)mprovvisazjoni e bricolage. Il carattere 'iniziatico' del campo,
più volte rilevato, spesso sarcasticamente, dai commentatori della tradizione
antropologica, non è soltanto una faccenda di mito o di rito, è anche, e senza
dubbio soprattutto, una faccenda di apprendimento pratico, nel senso che chi
apprende impara innanzitutto facendo. Bisogna aver condotto personalmente
delle interviste con una traccia prefabbricata di domande per rendersi conto
di quanto gli interlocutori restino inibiti da un quadro troppo stretto o troppo
unidirezionale. Bisogna essersi confrontati con numerosi malintesi tra chi fa
l'indagine e chi ne è oggetto per essere capaci di individuare i controsensi che
cospargono ogni conversazione di ricerca. Bisogna aver imparato a padroneg-
giare i codici locali di cortesia e buona creanza per sentirsi infine a proprio
agio nelle chiacchierate e conversazioni improvvisate, che sono spesso le più
ricche di informazioni. Bisogna aver dovuto spesso improvvisare con goffag-
gine per diventare poco alla volta capaci di improvvisare con abilità. Bisogna,
sul campo, aver perduto tempo, tanto tempo, una quantità enorme di tempo,
per capire che questi tempi morti erano tempi necessarF.
Tu!to iJ paradosso ddle righe seguenti è che in e~se si cerca di r~r.igfr
cqntQ pe_.riscriq:9_dLun. mi.sct1glio. .di 'abilità' ~. dLpreQccupazim1Ldi.dg~
eh~ !Q,_r~:,ilt~_11on si posson.9 .a.pprendere se non nell'esperienza stessa del .Cc!ID.-
_PQ; È possibile avventurarsi in questa zona intermedia tra l'epistemologia (i
cui enunciati per quanto giudiziosi siano non portano quasi mai a dei saper
fare: quale uso pratico si può fare dei testi, per quanto interessanti siano, di
Sperber (1982)?) e la metodologia (a cui la pratica etnografica sembra ribelle:
ogni collocazione in una 'scatola degli attrezzi' si trasforma rapidamente in
caricatura)? Tra la riflessione ttQdc:a astratt:i e:_iLlil;,rn qjd_çette di çucina c'è
4J1..gran vuoto: qui non si tenterà di colmarlo completamente, ma di porvi
almeno qualche punto di riferimento. A questo scopo si proporrà un excur-
sus analitico dei principali modi di produzione dei dati propri della ricerca
sul campo. Successivamente la prospettiva sarà ampliata per delineare una
'politica del campo' nella sua ricerca accidentata di plausibilità, al fine di far
emergere, malgrado i diversi 'fattori di disturbo' che investono la ricerca e

questi articoli siano stati in qualche modo pubblicati di nascosto, uno in un libro che intendeva
presentare l'antropologia a del personale sanitario (D. Fassin e Y. Jaffré 1990) l'altro come postfa-
zione alla riedizione di un classico della Scuola di Chicago (N. Anderson 1993).
7 Si potrebbe considerare che la ricerca sul campo attiene ali' "analisi naturale" (Schatzman,

citato da A. Strauss 1987: 3), in un senso analogo a quello in cui si parla di "linguaggio naturale"
o, ancora, nel modo in cui si è potuto dire che le scienze sociali opererebbero secondo il registro
del "ragionamento naturale" (J.-C. Passeron 1991). La differenza con le analisi pragmatiche di
chiunque sia posto in condizioni analoghe non è di natura, ma di esperienza, di saper fare, di
riflessività e di controllo.

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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

attraverso la loro gestione, alcune delle condizioni pratiche di questa validità


antropologica, di questa esigenza metodologica, di questo 'rigore del qualita-
tivo' che noi auspichiamo.
M.9ltQ_schematicamente, la ricerca sul campo, o _ricerca_J~tnografiç~.9__ti--
cerca socio-antropologica, si basa sulla combinazione di quattro gran4Lforme
di produzione di dati~l"o~servazione partecipante (l'inserimento prol~gato
del ricercatore nell'ambiente di vita delle persone oggetto della ricerca);i"l col-
Joguig (le interazioni discorsive deliberatamente suscitate dal ricercatore\..!.)~
procedyre di _censimeQtp (il ricorso a dei dispositivi costruiti per l'indagine
sistematicam raccolta di fopti scritte 8 •

L'osservazione partecipante

Poco importa se l'espressione, spesso contestata, sia felice o meno 9 • Ciò che
essa connota è relativamente chiaro. A,ttrc1yer~Q__!!ll sgggiop1q_p.r21!1:P.gato pres-
_sCJ) _sg_gg~~ti 4Luna ricerca ~_.:m,r~v.~r_s_oJ~:i.p_pr:~_nqjm_çlltQ __ c:lç_lJ.~.liDgua locale
St':....9_1::!C::~!~_gli _è sconosciut~), l'.i.nqqpologq i.11 carne_ e qs~_;i si ~c::9g_tra con la
r<:altà cheintçnde studiare. La può così studiare, se non 'dall'interno' in senso
stretto, almeno il più vicino possibile a quelli che la vivono, e in interazione
permanente con essi. Possiamo scomporre analiticamente (e dunque artificial-
mente) questa situazione di b_as_e in due tipi di situazioni distinte: quelle che
rientrano nel campo del~o):l.èl (il ricercatore è testimone) e quelle che
rientrano nel campo delltliiterazion~drl ricercatore è coattore). Le situazioni
normali combinano secondo dosaggi diversi l'una e l'altra delle componenti.
In tutti i casi, le informazioni e le conoscenze acquisite possono essere sia
registrate più o meno sistematicamente dal ricercatore, sia restare informali o
latenti. ~eJ_~__Qsservazioni e le interazioni sono rçgistr_a_te, es§~ §.ÌJI~§form~p9 in
dati e corpus._Altrimenti esse giocano non di_meno un ruolo,cheèdell'orc,line
dell'impregnazione.

I dati e il corpus
Par~ic1mo daU'osser\Tazione~ -~~il ricerqt_!()re _si d~ dc1_fa,r:c::_J2~_r__moltielicare e or-
g~.Qi_zzare le _sue ()SSe_!ya,~iC>n~, ~P~t<::<?_!l_st:r~arl)é:_gac::cia il più a luf!gQ_ROssibilç.

8 Si troveranno diversi abbozzi di una "storia" della ricerca sul campo in antropologia (e

dell'evoluzione delle riflessioni metodologiche ed epistemologiche su tale argomento) in D. Jong-


mans e P. Gutkind (a cura di) 1967; Stocking (a cura di) 1983; Van Maanen 1988; R. Sanjek (a
cura di) 1990.
9 Molto significativamente, sembra che questa espressione a forte connotazione antropolo-

gica di osservazione partecipante sia stata coniata nel 1924 da un sociologo, Lindeman, legato
alla Scuola di Chicago (J. Kirk e M. Miller 1986: 76).

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VIVERE L'ETNOGRAFIA

Deve dunque procedere a prendere appunti, sul campo o a posteriori, e tentare


di organizzare la conservazione di ciò a cui ha assistito, in generale sotto for-
ma di descrizione scritta (talvolta registrata in video). Tsamit~ tali pJ:.o_c~41:!-r~
pro4urrà_cle_i _q;iti _e_<::ostitui~~ dei c;()rpusc:he saranno 9ggetto di spoglio e trat-
tati ulteriormente. Questi corpus non sono, come per lo storico, degli archivi,
essi assumono la forma concreta del taccuino, in cui l'antropologo registra
sistematicamente quello che vede e che sente. Di qui l'importanza di questi
taccuini: solo quello che vi è scritto continuerà a esistere sotto forma di dati,
farà funzione di corpus e potrà in seguito essere spogliato, trattato, restituito.
È del tutto evidente che i dati, così come li intendiamo qui, non sono 'pez-
zi di realtà' colti e conservati tali e quali dal ricercatore (illusione positivista),
non più di quanto siano pu~ostruzioni del suo spirito e della sua sensibilità
(illusione soggettivista). ~~1>no la trasformazione in tracce_ oggettivat~
di 'pezzi di realtà' come sono stati selezionati e percepiti dal ric~_rcatqi:e._10 •
Certo l'osservazione pura e 'ingenua' non esiste ed è da molto tempo che il
positivismo scientista ha perso la partita nelle scienze sociali. Sappiamo che
le osservazioni del ricercatore sono strutturate da quello che ricerca, dal suo
linguaggio, dalla sua problematica, dalla sua formazione, dalla sua persona-
lità. Ma non dobbiamo pertanto sottovalutare 'l'intento empirico' dell'an-
tropologia. Il desiderio di conoscenza del ricercatore e la sua formazione alla
ricerca possono avere la meglio almeno parzialmente sui suoi pregiudizi e le
sue emozioni (altrimenti nessuna scienza sociale empirica sarebbe possibile) 11 •
Una problematica iniziale può, grazie all'osservazione, modificarsi, spostarsi,
ampliarsi. L'oss~rvazione non è la colorazione di un disegno tracciato preliraj-
narmente: è la prova del reale a cui è sottomessa una curiosità preprogr_;l,!Il}D<l:-
ta. La competenza del ricercatore sul campo sta tutta nd pQ!er 9sser~~re ciò
a cuinon era preparato (mentre sì sa quanto forte sia la normale prop~rrsigQ,e
a scop!!I~_s9J.!:~11:t()_quello che ci si aspetta) e nell'esser~ in grado _di p_rQ__q1ure i
. dati che l'obbHgheranno a modificare le proprie ipo_te§J. La ricerca sul campo
deve darsi il compito di smentire il proverbio bambara: "Lo straniero vede
solo quello che già sa" (citato in Fassin 1990: 97).
Allo stesso modo, l'eterno dibattito (da Heisenberg a Gadamer) sulla mi-
sura in cui l'osservazione modifica i fenomeni osservati non è privo di risvolti
pratici.

10 Goffman parla di strip (sequenza) per designare i "pezzi di reale" a cui l'analista si interes-

sa (E. Goffman [1974] 1991). Ma la loro intelligibilità presuppone un linguaggio concettuale di


descrizione "già-qui"; è quanto sottolinea Passeron, che ricorda Bachelard: il "vettore epistemo-
logico" va dal razionale al reale, e non viceversa (J.-C. Passeron 1994: 73-74).
Il "Se ci sono davvero dei problemi nella descrizione etnografica, non saranno un lavoro sul
campo e una stesura scritta meno dettagliati a risolverli" (D. Parkin 1990: 182).

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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

1. U11a_part_e_ nont.rascurahikdd çqrri,p9Jt;i,m~nd, j_pf9,lli,.J1.Q!t~_m.odj_fì_ca-


ta, o_lo _è _in __ minima parte,_dalla presenza dell'antropologo, e una d~
d~II1ensio11_i ~el sap_c::!__ far~ _g.~!_ riç~rca~<?r.e -~ __ çli _~i_t1S.~_i_r~_~yalm_are quale.
Becker ha sottolineato che per un gruppo un ricercatore è spesso una
costrizione o una posta in gioco trascurabile rispetto alle costrizioni
o alle poste in gioco che pesano quotidianamente sul gruppo stesso
{Becker 1970: 46-47). La presenza prolungata dell'etnologo è evidente-·
mente il principale fattore che riduce i fattori di disturbo indotti dalla
sua presenza: semplicemente ci si abitua a lui (Agar 1986: 36-37;-Bouju
1990: 157; Schwartz 1993: 278-279).
2. Quanto al problema posto da quella parte di comportamenti modi-
ficati in modo significativo dalla presenza del ricercatore, ci sono due
soluzioni radicali:
• L;i. pri_rp,a è quella di tentare di_ aQ.p,~larç __q~~stQ_ç_;!_rn_b.i~mento con
divç:rse_p_i;Qcedu_re aventi tutte lo scop9 dj !:!liminare:: c:iè> _çhç l_o_sJatus._gj
9sseryatpr:e .h~ _cli_~s.ter_iore e _di jl.s_s.imH~rc;:_ .U _1jç~i:_carc;>r~__a,_1J.p_inmgeno
non distinguibile dagli altri nel gioco locale: si avrà così da un lato !'en-
do-etnologia, o anche la formazione di ricercatori 'indigeni' (vedi, per
esempio, Labov 1976), e dall'altro la 'conversione', il 'mascheramento'
o la 'indigenizzazione' {vedi, per esempio, Favret-Saada 1977).
• _L.~ se~onda ~()lu#<me ~?- ~Lc:2.11.t_ra_r.~_~,_Qi__t.,::ar~e_pr.'!fit_t:o_; jp. questo caso
--~jl_processo stesso di qu_est:i l_Iloclifo::_a,~i.C>Il~_a,_cliy~Il!~~___Qggetto di
ricerca. L'inchiesta si prend~e_'..=4uak:Qe modo in considerazione e
rivela se stessa. In Francia, è Devereux ç[1967] 1980) che ha cercato,
senza dubbio per primo, di ri erreresull' "utilizzo delle perturbazio-
ni create dall'osservazione" nelle scienze sociali. In seguito Althabe
(1990: 130) ha insistito sulle implicazioni metodologiche derivanti
dal fatto che l'antropologo "è uno degli attori del campo sociale che
studia''. Utilizzare la propria presenza in quanto ricercatore come me-
todo d'indagine diventa allora una delle dimensioni del saper fare
dell'antropologo.

Qi f~tto, la pqsi~iqg~ a.dqttat~ g_i soli!Q~_.;i,m,çtis.tra.g~__t;_qt q11_ç5-tj_qµçJ1ttçg-


gi~~-e~!i_ ~~~retlli._ !,'antrop2!<>go u11_ p_o'_ ;ill_:i _YQh~-~__Ill,_çtt_ç:, __~_s_q_prattutto viene
l_!less_()__ gr11ppo d 'accoglien~a, in_ una posi:licme.4~. ~~-~~3:niero _~impatizzantt;'
e>,_c:li 'compagno di yic!,ggi_o_'. l,a su,a 'integr:tJ;!Q_l].C:{è_ rçlativa ma reale. Ciò co-
munque non lo dispensa dall'osservare gli effetti indotti dalla sua presenza, ivi
compresa la forma di 'integrazione' che gli viene él,ttribuita.
I.:atteggiamento di osservazione comprende evidentemente non solo i
comportamenti quotidiani o i rituali caratteristici, cioè gli 'spettacoli' triviali

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VIVERE L'ETNOGRAFIA

o elaborati che si offrono spontaneamente alla vista, ma riguarda anche le in-


terazioni discorsive locali nelle quali il ricercatore è poco o per nulla coinvolto,
cioè quello che gli capita di sentire. Il rjc:çrç_::i,_t_ore .è_ l!n_osservatore, ma él!J:f..h.e
un '<:'ls_cohatorl.JdiétlQgg_i _g~lle_persor1e tra cli loro hanno lo stessClyétlc;>,tç di
qu~lli che htJ hcJ.__ç_op loro 12 •
Tuttavia questi ultimi non sono pertanto trascurabili. In dfettUl ricçrç!!_--
tore è jp_ces,santememe impegnato in molteplici interazioni. Lungi dall'~ssere
u,1;1._mern _testimone, egli ç_çq,stc1ntemente immerso in relazioni sociali ve_rl;>ali e
QQA yç.rbaU,_semplicie ç_gmplesse: conversazioni, chiacchiere, giochi, formalità,
sollecitazioni e così via. L'antropologo evolve nel registro della comunicazione
banale, "sposa le forme del dialogo ordinario" (Althabe 1990: 126), incontra
gli attori locali in situazioni quotidiane, nel mondo del loro "atteggiamento
naturale" (Schutz 1987). Ora, numerosi argomenti o atti del registro della co-
municazione banale di cui l'antropologo è parte rientrano nel campo della sua
curiosità professionale, cioè riguardano direttamente o indirettamente il suo
tema di ricerca. Talvolta questi argomenti o questi atti sono modificati poco
o nulla dalla partecipazione del ricercatore all'interazione. Talvolta ne sono
modificati in maniera significativa. Si ritorna così al problema di prima.
Come per la semplice_ osservazione, il ricercatore si sforza dunque, qgni
v<:>k~b~_..f_ÌQ_p9,s,s~essé:_re utile,__çli .t_rasforrnare le interazioni perti11~nti in d<:'l!k
cioè di_ orgapizza~11,e _l~.t~acc:i_a,Ja c:le_s_crJzione, il ricordo sul taCCl!!!lO, sicJ..Q!e
qt1este interazioni siano signifìcati\'amente dipendenti dal ruolo_ assegnato al-
1'al!_tJQ_polo_gQ ge_l_ giQco locaJ~_si~çlt_e_ _J:J,Q.n lo siano.
Si sarà compreso che questo taccuino, dal carattere spesso ossessivo, non
senza ragione, e talvolta circondato da un'aura di mistero che pure non merita,
non attiene né al diario personale, né al taccuino dell'esploratore, bensl alla
strumentazione professionale di base. È il luogo dove si opera la conversione
dell'osservazione partecipante in dati trattabili ulteriormente. Per riprendere
il titolo dell'opera di Sanjek, gli appunti sul campo sono la "fabbrica dell'an-
tropologia" (Sanjek (a cura di) 1990).

L'impregnazione
Il ricercatore sul campo o~serva e interagisce anche senza prestarvi troppa at-
tenzione, se11~:i élvereJ'i!llpressio11e__ di lavorare, e d_unque senza_ prendere ap-
E!:!:.I!!h_t!~_clura,11:_t_~Qé doRo'. NC>_Il_S_i§~nte.5-.er:r,.pr~ i._11 servizio, fort_1:!!_l.~tamente pe~

12 A questo proposito A. Richard ha parlato fin dal 1939 ~;;~~~ggi~ in azione'', speech-

in-action (R. Sanjek 1991: 212). Il ricorso sempre più massiccio a1 solt-c:olloqui o interviite, così
come certe esortazioni a una antropologia 'dialogica', che privilegi l'interazione verbale tra il
ricercatore e le popolazioni (J. Fabian 1983; J. Clifford e G. Markus (a cura di) 1986) fanno
talvolta dimenticare questa dimensione pertanto fondamentale dell'osservazione partecipante.

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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

lt1t Mangia, fa conversazione, chiacchiera, scherza, corteggia, gioca, guarda,


ascolta, ama, detesta. Vivendo osserva, suo malgrado in un certo verso, e tali
osservazioni vengono 'registrate' nel suo inconscio, il suo subconscio, la sua
soggettività, il suo 'io', o quello che volete. Non si trasformano in corpus e non
si iscrivono nel quaderno di campo. Nonostante ciò giocano un ruolo, indiret-
to ma _itnportante, in questa 'familiarizzazione' dell'antropoJogo_c:~n la cultur_:J.
l~cale,_nella capacità di_4~c2_~Hìcare, all~_fì11_ fìt~e_s~n~a_pres~r_y_i neanche at-
. tenzf~ne, i fatti e i gesti degli altri, nel modo in cui_ interpreterà qt.I~~i_ mecca-
nicamente questa oquella situazione. Diverse delle interazioni quotidiahe in
cui il ricercatore è impegnato non sono legate alla ricerca, non sono registrate
nel taccuino e quindi non sono trasformate in dati. Non per questo sono prive
d'importanza. I rapporti di buon vicinato, o la giovialità delle chiacchierate
serali, le battute scherzose scambiate con la vicina carina, il giro nel bistrot, o
la festa di battesimo del bambino dell'affittacamere, tutto ciò accade al di fuori
delle ore di lavoro. Eppure è così che s'impara a padroneggiare i codici della
buona creanza (e questo interverrà molto indirettamente e inconsciamente,
ma molto efficacemente, nel modo di condurre i colloqui); è così che s'impara
a sapere di cosa è fatta la vita di tutti i giornl e di cosa si parla spontaneamente
nel villaggio (e questo interverrà molto indirettamente e inconsciamente, ma
molto efficacemente, nel modo di interpretare i dati relativi alla ricerca).
Possiamo ·-considerare il 'cervello' del··---···
- -··. -· - ··--··--- - ... -·· --·-·---
ricercatore
._
come una 'scatola nera' e
... -- ·- .. -· -- . . --------- -----.

non occu_parsi del suo funzionamento~_Ma ciò che egH_(?_§Ser~a, vede, ascolta,
d_!!!~Q!e_ u~ soggior_ll() _~ul c:1111,p(), c_osì com~J~_pr_q_pri~_§_perienze nei ra1morti
._C:()~_gli :1lgi, tutto ciò-'~:11.tr_erà'. nella sciltol_a_ n~x_atp!ocJug~ -~kgli e/fçttUn, §~@
~J2 ~()__ tr1<':c:~aI1ismo di concettualizzaziol!e, a,n_alisi, intt1izione, i11terpretazio-
ne, pe_r poi 'y~çir~~in pirte dalla__smtola nei:a contr.ibue.n.d.o a strµgm:are le sue
i~terpn~tazioni, nel cor_~() del processo di rj,c:erca1 che_ sia durante_ il lavoro sul
c~mp()_, _nel corso dell'analisi del corpus o qua,ndo vien~ il 111otr1ent()_ d_isç_r_ive-
re. Qui sta tutta la differenza, particolarmente sensibile nei lavori descrittivi,
tra un ricercatore sul campo che ha di quello di cui parla una conoscenza
sensibile (per impregna~cc~:icercatore di biblioteca che lavora su dati
raccolti da altri. Quesd1-.,p_~~nan~èhe un ricercatore acquisisce del sistema
di senso del gruppo presso cm fat' mchiesta si acquisisce per una buona parte
in modo inconscio, come la lingua, attraverso la pratica.

I colloqui

L~ produzjone da eatIL~~rcarore di dati sulla base_dLdiscorsi autoctoni


che lui stesso avrà~f{)~_!?: gn el<:_:p:i~Jl!Q__ c::<::I_!t,rale di ogi:i_i_ ricerca sul
f~ffiJ.20, Primo, perché foss~vazione partecipante _npn. per.mt:tte di ac:c~d_er_~

35
VIVERE L'ETNOGRAFIA

ny_n:ien::i~~j_nformazioni pure necessarie alla dc_erca: per questo si deve ricorrere


al sapere o al ricordo degli attori locali. Secondo, perché le rappresenta,#oni
c;legli ~ttorilocali sono un elemento indispensabile in ogni comprensigne d~l
sociale. Rendere conto del 'punto di vista' dell'attore è la grande ambizione del-
l'antropologia13. Il colloquio resta un mezzo privilegiato, spesso il più econo-
mico, per produrre dei dati discorsivi che danno accesso alle rappresentazioni
emiche (emic), autoctone, indigene, locali. Gli appunti e le trascrizioni di collo-
qui costituiscono la parte più consistente dei corpus di dati dell'antropologo.
Contrariamente a quanto spesso affermato, io non penso che ci siano delle
'tecniche' di colloquio. Questo tuttavia non sig11i.6.s.1.cc.he.non vi siano dei 'sa-
per fare'. Più precisamente, si può parlare di unà(iiolitica
,._____ del colloqùio',
.-
di cui
si possono indicare gli assi portanti. ---- - · ·

Consulenza e racconto
In generale i colloqui oscillano tra due poli: la consulenza e il racconto. Colui
che talvolta chiamiamo 'informatore' è quindi ora un consulente, ora un nar-
ratore, spesso entrambe le cose.
I. Il colloquio verte qualche volta su referenti sociali_ o culturfilL$l!i__Qua-
_li sJ 'consulta' l'interlocutore. Invitato a dire dò che p~nsag__s:_onosce
rispetto a questo o queH'argomento, si suppone che egli rifletta alt11ç-
no parzialmente un sapere comune e condiviso con altri attori loc~-
l~i addirittura con l'insieme del gruppo sociale considerato. È la sua
Q_ç9Inpetenz;() sulla società locale o su uno dei segmenti di essa a essere
sollecitata. Questa comp~tenza non significa necessariamente che egli
sia considerato ur1C'.esperto) in seno alla società locale, e ancor meno che
si debba accettare il principio dell' 'informatore privilegiato', un grande
erudito su cui il ricercatore si baserèbbe per produrre un racconto 'col-
lettivo'. La nozione di 'consulente' qui rimanda a un registro specifico
di discorso nelle situazioni di colloquio, non a uno statuto particolare
dell'interlocutore. Allo stesso modo, la nozione di 'competenza' qui ri-
manda alla semplice capacità di questo interlocutore di aver qualcosa
da dire su un referente esteriore alla propria esperienza diretta e non
sottintende alcun giudizio di valore sul suo livello di sapere.

13 L'antropologia è spesso definita come "actor-oriented" (N. Long e A. Long (a cura di)

1992: 9). A questo riguardo essa mette in pratica la sociologia comprensiva che Weber invocava,
paradossalmente senza dotarsi di strumenti empirici. Ricordiamo l'introduzione di Malinowski
agli Argonauti: lo scopo finale dell'etnografo è "afferrare il punto di vista dell'indigeno, il suo
rapporto con la vita, di rendersi conto della sua visione del suo mondo" (corsivo dell'autore; B.
Malinowski [1922], infra p. 20).

36
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

2. Il s9ggetto. del c:9ll9qµio,. per2Lp_!!Q_taJ11olté! _e!i§ere_§gllec:iqt_!g -~iguardo


<!-Ila st1a c;sperie:QZ,;;t personale. Gli ..si chieçlerà di racçontare_ qu~_st_Q Q_q}J..d
frammento della. sua yita, .çli render conto di avvenimenti di c4.L~glU
stato un attore. In qyeste_ occasioni verrà p_r_iyile.:ghJ.tgJLi:~gistro del rac-
çQQ!Qjg_ p_rima persong., Una forma pa.rtiç9la~~ e sistematica di queste
forme di colloquio è evidentemente la ~diyÌta;-in cufl'autobiografia
'guidata' dell'interlocutore diventa il tema stesso del colloquio, perfino
della ricerca. Su questa questione esiste una letteratura particolarmente
abbondante. Ma molto più facilmente accessibili e utilizzabili sono le. 'se-
quenze di vita', vale a dire racconti di episodi biografici delimitati scelti in
funzione della loro pertinenza per la ricerca (verranno così evocati, a se-
conda dei temi della ricerca, una partenza di emigrazione, i diversi rimedi
terapeutici utilizzati nel corso di una malattia, la conversione a una nuova
religione, la storia di un divorzio o le tappe di un apprendistato, ecc.).

Il colloquio come interazione


~l-~9Jl<:>quio, comunque, non dev'essere inteso come una miniera perl'<':_.s1rnzione
çl_i.informazioni. I_nfutti iç_a.sL il cqlloqtJiQ c;li_r..icerca è un'im~rn.iio_n~,j_l_.suo svol-
gtmetlto dipende evidentemente sia dalle strategie_clddue (o_più) partl!~rçlelt:in-
terazione, e dalle loro risorse cognitive, sia dal contesto _in cui ~sso_sLsl.tua.
Questa interazione può essere analizzata da diversi punti di vista. I.:opera
di Briggs (1986) è per esempio tutta basata sulla constatazione della realtà
interattiva del colloquio. Giustamente egli critica il fatto che questa realtà
interattiva venga generalmente dimenticata e denuncia le 'mistificazioni' del
colloquio, 'l'illusione realista' e la 'falsa coscienza di oggettività' che ne deri-
vano. Le caratteristiche culturali e linguistiche della situazione del colloquio
e del suo contesto comportano numerosi fattori di disturbo rispetto ai con-
tenuti referenziali, che troppo spesso sociologi e antropologi prendono alla
lettera. Briggs, invece, insiste sul fatto che il collo_g_uio è un incontro intercul-
t_ll_r_a1~_iù o meno imposto dal ric~rc::g_()i:~1..cf.gve si_c:_c_:m._frqQ!3=.f!2__~Ue norme
trl_<::~acomunicative cli:fferenti e Jalor~jqc.9mpa,tJb,HJ. Egli tende però all'eccesso
opposto, correndo il pericolo di omologare tutti i tipi di colloquio per fare le
sue dimostrazioni. Privilegiando sistematicamente l'analisi delle norme me-
tacomunicative e dei significati indessicali, trasforma ogni colloquio in un
corpus di analisi sociolinguistica. D'un tratto (ed è anche, sia detto per inci-
so, la tendenza dell'etnometodologia) trascura o sminuisce eccessivamente le
funzioni referenziali del colloquio, vale a dire l'informazione che bene o male
è fornita pur attraverso fattori di disturbo14 • Ora, la ricerca e la valutazione

14 Del resto, insistendo troppo sugli effetti di egemonia comunicativa indotti dall'intervi-
sta caratterizzata come modello occidentalocentrico, Briggs sottovaluta le capacità di reazione

37
VIVERE L'ETNOGRAFIA

di tale informazione restano al centro della 'politica del colloquio'. La messa


in conto del contesto metacomunicativo è indispensabile per massimizzare i
diversi livelli d'informazione ricercati, non per disinteressarsene.

Il colloquio come conversazione


Ayyi_cir~are.aJ tr1assirpp il_cggoqlli9 _g_y,i4~tg__~t l},!1~ ~Atu~zione di b_ag.tle intera-
'?_i!:)_p~ 9,ll.<?tJcli:rna, doè di _c::011ver~azi_nr1:e., _è _llna strategia ricorrente del collo-
quio etnQgrafì<::a15, che mira per l'appunto a dclurre al minimo l'artificialità
della situazione di colloquio e l'imposizione da parte del ric~rcatore di norme
metacomunicative di disturbo.
-··- ---~···-~- ... - .. ·---··---~~~--
Il 'dialogo', elemento costitutivo di ogni conversazione, non è qui consi-
derato come un'esigenza ideologica, contrariamente ai discorsi moralizzatori
dei postmoderni. È una costrizione metodologica, mirante a creare, se ve n'è
bisogno, una situazione d'ascolto tale che l'informatore dell'antropologo pos-
sa disporre di una reale libertà di parola e non si senta in una condizione di in-
terrogatorio. In altre parole, si tratta di avvicinare il più possibile il colloquio a
un modo di comunicazione riconosciuto nella cultura locale16 • Il colloquio sul
campo tende così a situarsi agli antipodi della situazione di somministrazione
di questionari, che rivela un forte coefficiente di artificialità e unidirezionalità
e che rappresenta piuttosto bene la suddetta prospettiva del colloquio come
miniera di informazioni.
Ciò ha delle implicazioni molto pratiche sul modo di condurre i colloqui.
Vi sono dei colloqui che in effetti mantengono una struttura da questiona-

degli intervistati (le loro risorse per resistere, sviare o contro-manipolare). Preferibile sarà l'at-
teggiamento misurato di Schwartz, che mette in guardia dagli eccessi massimalisti delle analisi
"critico-analitiche" sugli effetti della situazione della ricerca (O. Schwartz 1993: 276-277) e che
sottolinea il rischio di dissoluzione del referente: "se le 'cose dette' non sono delle informazioni
sul mondo direttamente vere [...] non per questo si deve diminuire il loro valore informativo
o cognitivo" (ibid.: 283-284). Si può anche dire che ogni colloquio sollecita almeno potenzial-
mente tre livelli strettamente collegati di decifrazione, nessuno dei quali deve essere trascurato
·malgrado la complessità della loro costante interconnessione: (a) informazioni sul mondo (su dei
'fatti'); (6) informazioni sul punto di vista dell'interlocutore sul mondo; (c) informazioni sulla
struttura comunicativa del colloquio.
15 Non è sempre stato così. Si sa per esempio che Griaule e altri etnologi coloniali usavano

e talvolta abusavano dell'unidirezionalità; vedi W. Van Beek 1991: 139-158.


16 Questo corrisponde all'incirca a quella che Cicourel chiama la "validità ecologica" (eco-

logica! validity); A. Cicourel 1982: 11-20), in altre parole "il grado in cui le circostanze create
dalle procedure del ricercatore si combinano con quelle della realtà quotidiana dei soggetti"
(C. Briggs 1986: 24). Per questa ragione si consiglia spesso di iniziare i colloqui con una chiac-
chierata informale, o con delle domande dette "descrittive" che sollecitano l'interlocutore su un
registro di enunciazione che gli sia familiare o confacente. Spradley insiste in modo particolare
su questo tipo di domande descrittive (J. Spradley 1979: 81-83). Anch'egli mette in parallelo
conversazioni e colloqui etnografici, come due tipi simili di "speech event" di cui analizza somi-
glianze e differenze.

38
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

rio, anche se le domande sono definite 'aperte'. La guida al colloquio rischia


in questo modo di limitare il ricercatore a una lista di domande standard
pre-programmate, a discapito dell'improvvisazione che ogni vera discussione
richiede. Ci si allontana allora dal registro della conversazione. Non sarà dun-
que inutile propotr.e u a_gi,~ti?zione tra una guida al colloquio e un canovaccio
di colloquio. L ,- ·uida al colloqiifg)organizza_in anticip9 le 'domande c~e uno
pg.q( _e_ pu2 tendere versoìfque_sfi()t1_3:r!9 _()J}11terrogatorio. Il r~a.!}ovajjf) di
colloquio fa c:::i.p9 ~_UI1 ~pr9m~ll}<>ria'. pe_rs9i,:iale che P~frnet_te,_ris_pe.n_c1,ncfo la di-
riami.sa_pr.2pi:la. di una clisç_ussi,on_e, di_11,qg__cl.irn~p.tJc~re._gli a.rgQm&nti fo112or-
(Delaleu, Jacob e Sabelli 1983: 80; Fielding 1993: 135-136). Ci si limita
alle 'domande che uno si pone', lasciando all'improvvisazione e al 'mestiere' la
cura di trasformarle nel corso del colloquio in 'domande che uno pone'.
In effetti, le domande che il ricercatore si pone sono specifiche per la sua
problematica, il suo oggetto, il suo linguaggio. Non hanno pertinenza se non
nel suo universo di senso. Non hanno spontaneamente senso per il suo in-
terlocutore. Bisogna dunque trasformarle in domande che abbiano un senso
per lui. È qui che il saper fare 'informale' acquisito attraverso l'osservazione
partecipante (così come attraverso le difficoltà e le incomprensioni dei primi
colloqui) è reinvestito, spesso inconsciamente, nella capacità di conversare sul
terreno stesso dell'interlocutore, utilizzandone anche i codici.

La ricorsività del colloquio


L.1Jngi.dall'essere sernplicemente_concepirn_pe.r 9ne.ne.re çleJk. ~bm~ne risposte',
U!!..fQU2g_µio g_l rjc:exq1 çlevç__a.Qçhe pe.rJJ!.e.qeg: _cli formµlare QllQ.Y.e_domande (o
di riformulare vecchie domande). Pure qui vi è una delle grandi differenze tra
il colloquio condotto da un ricercatore e il questionario subappaltato a degli
intervistatori, e si tratta anche qui di una questione di saper fare informale17•
A...fi.!!ll,_egere. i gtij_çli parqk e.le digression,i_cleffJn.-te._r!Qçut9_r~_çç>me pure le sue
e~itazio11i o le su<:_contracldizioni, t1on è se111plice111~11Je. t1na, q~e.§ti<:>ne. di 'met-
t_ere 3: proprio agio', è una questione g.i ?:fte.ggi3:rrn;11fp episte.m.,.gLQgJçg_.
~o_ UJJ._ i11terlocut()re_ è _'fu()r,i tema', o qwmdo le sue. xisp()ste SOJl_Q___ ço11fuse,_ H
r.Jc.~r_c~to_re_ tencl.erà _ancor. piy. l'orecchjo, e _lungi g_aJ_g.Jsg~gnare l'aneddqJ;Q.,,
!g;:.,~Jl.~<_::iterà, perché esso 'parla', aprendo ny.oye pjg(:_. Si potrebbe parlare di
:~ico~el. col~oqui?, sul c~mpo (Schwartz e Jacobs 1979: 45), in quant~
sì fnllta d1bas:i.rs1 su_c10 che_e statQ d.~ttp_p_IT_produrre nuove dom...a_l),ill:. Tali
domande indotte da_lle risposte sc:mo sia ~dqgiande _çhe uno si pon~' (liyC:J!9

17 "Dal processo di interazione tra l'intervistatore e gli intervistati si vedono emergere do-

mande appropriate o rilevanti [...]; il successo di quanto intrapreso in definitiva è condizionato


dall'abilità e dalla sensibilità dell'intervistatore (H. Schwartz e J. Jacobs 1979: 40).

39
VIVERE L'ETNOGRAFIA

strategic:o qelf~v9-!_g~iQ!!~..sk:ll.11p.rnbler:n~tic.i) si~. _'g9111g!lQ~_çge_uno pope:;' W::


vello tattico dell'e_voluzi~r<: <:fel C:lJ:1_oy~ccio di coll~quio).
Questa capacità di 'decifrazione istantanea', che permette di reperire, tal-
volta nel corso stesso del colloquio, ciò che permetterà di illustrare una con-
clusione, di riformulare un problema, di riorganizzare un insieme di fatti, è il
cuore stesso del saper fare del ricercatore sul campo. A tal proposito il còllo-
quio è, come l'osservazione partecipante, un luogo privilegiato di produzione
di "modelli interpretativi emersi sul campo" 18 e testati a mano a mano che
emergono.

Il colloquio come 'negoziazione invisibile'


L'intervistato_ non ha gH stessi 'interessi' _del ri__cerc:ttore né lt': _st~s_s~_l"__~J2!~en-
tazioni di quel che è il colloquio. In un certo senso ciascuno cerc_a di '~anI122-
lare' .1'altro. L'informatore è lungi dall'essere una pedina mossa dal ricercatore
o una vittima intrappolata dalla sua irrefrenabile curiosità. Non rinuncia a
utilizzare strategie attive miranti a trarre profitto dal colloquio (aumento di
prestigio, riconoscimento sociale, retribuzione economica, speranza in ulte-
riori appoggi, legittimazione del punto di vista personale, ecc.) o strategie di
difesa miranti a ridurre al minimo i rischi della parola (dare poche informa-
zioni o informazioni errate, sbarazzarsi quanto prima di un tipo importuno,
far piacere rispondendo quello che si ritiene l'intervistatore si aspetti, ecc.) 19 •
U pi;9ble111a del ricercatore, ed è questo ui:i ~i!C'::lll!Ila che fa capo al d_o11:ble
bind (doppio legame), è che deve allo stesso tempo mantenere il controlJo del
colloquio (poiché si tratta per lui di far progredire la sua ricerca) e lasciare l'ii:t_-
terlocutore esprimersi come gli pare e a modo suo (poiché è una condizio[J._ç
per il st1cces~<:>del co~l<?_quio).

Il realismo simbolico nel colloquio


Ecco un'altra richiesta contraddittoria tipica nella gestione del colloquio da
parte del ricercatore. Questi è in qualche modo professionalmente tenuto ad
accordare credito ai discorsi del suo interlocutore (per quanto estranei o so-
spetti possano apparire nell'universo di senso del ricercatore). Non si tratta
semplicemente di un'astuzia del ricercatore. E' la condizione d'accesso alla
logica e all'universo di senso di coloro che l'antropologo studia, ed è pren-
dendo questo sul serio che può combattere J propri pregiudizi e i propri pre-
concetti. È quello che Bellah chiama "lf~alismo simbolic6-~~:.(Schwartz e Jacobs
--- --·--·-- -~····
18 È la traduzione meno brutta che io abbia trovato dell'espressione inglese ''grounded theo-

ry" (B. G. Glaser e A. Strauss 1973). A. Strauss (1987: 10) parla di "interpretazioni in successiva
evoluzione fatte nel corso dello studio".
19 Vedi ancora van Beek quando analizza i modi di rispondere dei Dogon (W. Van Beek 1991).

40
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

1979: 48-49). La 'realtà' che si deve accordare alle parole degli informatori è
~el significato che costoro ci mettono. Nello stesso tempo una indispensabile
attenzione critica mette in guardia il ricercatore dal prendere per oro colato
tutto ciò che gli viene detto. _Non si tratta di confondere i discorsi di qualcuno
_sµ una realtà_ con qqesta stessa realtà.
Ecco un vero dilemma. Come mettere insieme empatia e distanza, rispet-
to e diffidenza? Come per ogni dilemma, non vi è una soluzione radicale. È
senza dubbio, però, una buona politica di ricerca tentare di differire nel tempo
le due operazioni. Loperazione della presa sul serio imperturbabile precederà
quella del dubbio metodico: la prima è anzi una condizione di quest'ultima.
Durante il colloquio si dà credito alle affermazioni sul senso dell'interlocu-
tore: in effetti non si può accedere a questo senso se non prendendo sul serio
integralmente quello che viene detto. Il colloquio è dunque gestito partendo
da questo pregiudizio favorevole. Successivamente, la decifrazione critica, per-
fino sospettosa, verterà sul senso di questo senso, e sul rapporto di chi enuncia
con l'enunciato, con il referente e con il contesto.

Il colloquio e la durata
Linserimento del colloquio in una dimensione diacronica costituisce un'altra
forma di contrasto con la 'prospettiva del colloquio come miniera di informa-
zioni'. Un colloquio è, almeno potenzialmente, l'inizio di una serie di coU()qaj
e, glv~ aciò, cl.i una relazione (anche se, spesso, questa è senza esito). Un col-
loquio non è un incartamento chiuso ermeticamente, bensì una pratica aper-
ta, che si può sempre arricchire. Diversi colloqui con lo stesso interlocutore
sono un modo per avvicinarsi alla modalità della conversazione. Un colloquio
successivo permette spesso di sviluppare e commentare questioni sollevate in
occasione di un colloquio precedente. Inoltre, in ciascun nuovo colloquio con
lo stesso interlocutore, quest'ultimo riconosce all'intervistatore una maggiore
competenza: questo riconoscimento è per il ricercatore una carta vincente. In
effetti, più si ha la sensazione di avere a che fare con un estraneo incompeten-
te, più gli si possono raccontare storie (Bouju 1990: 161).

I procedimenti di censimento

Sia nel quadro dell'osservazione che in quello deLcolloqµio guid:à!!Q1.Ji f~ tal-


volta appello a delle particolari operazioni di produzione di dati che lQ chi_~mo
qui procedimenti di censimento, non perché si tratti di censire delle popola-
zioni {come nel censimento vero e proprio), ma perché si_ tratta diprodurre
sistematicamente dei dati intensivi in numero finito: con ciò intendo dire con-
teggi, inventari, nomenclature, piani, liste, genealogie, ecc. Non si può stilare

41
VIVERE L'ETNOGRAFIA

un elenco di queste tecniche, nella misura in cui per diecimila problemi dif-
ferenti si dovrebbero ideare diecimila tecniche da costruire per conto proprio
(qui, la collocazione spaziale dei cooperatori in occasione di un'assemblea ge-
nerale; là, i tempi di lavoro giornalieri di una donna e di suo marito; o ancora
il diagramma delle relazioni di parentela in seno a un consiglio municipale, la
lista dei terapeuti consultati da ciascuno dei membri di un gruppo domestico
in tre mesi, i tempi di parola in una conversazione, ecc.).
l;itppggc11?,~a _di__ques_t() tipo dipr9duzione di dati 110n d_eve a~solutame_nte
essere sot_t_ovalutata: __c:osì_che s'impara_H 'mestiere' ed è impegnandosi nel~
i:_ic;_~!_ca _c:l__i_ct_::i._g._5:J:!1:pi!j_c:l .c.tYe.I:!ti un grado_ ragionevole_ di sistematici_tà e di _q~-
nizzazione che il ricercatore assume il distacco necessario ri§pe:t~()__-~i discor~i
(de.gli altri) e alle impre§§i~mi (le .e_r.gpr[~). È qui che la raccolta di dati 'emici'
(dati discorsivi che intendono dare accesso alle rappresentazioni autoctone de-
gli attori) si combina con la raccolta di dati 'etici' (dati costruiti con dispositivi
di osservazione o di misura).
Nell'antropologia anglosassone l'opposizione emicletic generalmente assu-
me la forma di un'opposizione tra 'categorie indigene di pensiero/categorie
di pensiero dell'etnologo' ovvero 'rappresentazioni autoctone/interpretazioni
degli studiosi'. A me sembra, però, preferibile servirsene per mettere in oppo-
sizione due tipi di dati (dati derivanti da enunciati indigeni / dati derivanti da
procedimenti di censimento), essendo l'interpretazione tutto un altro tipo di
operazione, che si esercita su e attraverso dati sia emici che etici.
I procedimenti di censimento offrono diversi vantaggi. Talvolta fornisco-
no cifre, anche se non si tratta necessariamente di percentuali o campiona-
ture20. Dunque non si tratta più di 'qualitativo', ma di un certo 'quantitativo'
intensivo su piccoli insiemi. I procedimenti di censimento permettono anche,
se ben pensati, di fungere da indicatori per i quali l'indagine non modifica,
se non in modo trascurabile, i dati prodotti (unobstrusive measures) (Schwartz
e Jacobs 1979: 75).
I procedimenti di censimento non sono altro che i dispositivi_d'osserva_,-
Z_!<?.Qe 9 dJ J:Dlsura,?}()r:ie..c:h~J'.?:11tr.opgJ<>go si fabbrica s_ul campq, se necessario,
e a modo suo, cioè calibrandoli in funzione della problematica di ricerca del
momento (sempre in evoluzione), delle domande (continuamente rinnovate) e
della sua conoscenza del campo (relativamente cumulativa). Se certi procedi-
menti di censimento sono ormai standardizzati (come per esempio i diagram-
mi di parentela o le planimetrie), è nella misura in cui essi sono legati a certi

20 "La ricerca qualitativa comporta un'implicazione nelle attività sul campo. Non comporta

un'implicazione nella innumerabilità" (J. Kirk e M. Miller 1986: 10). Becker ricorda l'utilità di
quelle che chiama "quasi-statistiche": "cifre campionate ed enumerate in modo impreciso" (H.
Becker 1970: 81).

42
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

temi di ricerca divenuti classici e a certe problematiche divenute ortodosse21 •


Il loro apprendimento appare necessario per la formazione professionale de-
gli antropologi. Bisogna però insistere sulla capacità del ricercatore non solo
di utilizzare l'uno o l'altro dei procedimenti di censimento già sul mercato,
adattandolo ai propri bisogni o al contesto del suo campo, ma soprattutto di
costruire da sé e di inventare dei procedimenti di censimento convenienti per
la novità del suo oggetto o del suo approccio22 •
Questi procedimenti possono intervenire in fasi molto differenti del pro-
cesso di ricerca e quindi interessare vari significati. All'inizio dellà' ricerca
sul campo, si tratterà soprattutto di costruire una sorta di 'fondi di carta',
sia nel senso reale che metaforico, che permetteranno di collocare gli attori
principali, gli spazi pertinenti, i ritmi fondamentali, che forniranno al nuovo
arrivato punti di riferimento, entrate, segnali, piste, che permetteranno al ri-
cercatore di acquisire un sapere globale minimamente organizzato. Alla fine
dell'inchiesta, si tratta piuttosto di verificare delle intuizioni, di fornire degli
elementi più 'oggettivabili', di mettere insieme prove e conferme: i procedi-
menti di censimento sono meno polivalenti e più 'mirati'.

Le fonti scritte

Non devono essere dimenticate o sminuite, per quanto siano più classiche e
non specifiche della ricerca sul campo. Dobbiamo così evocarle, per ricordar-
le, senza dilungarci.
Alcune di queste fonti sono raccolte in parte prima della ricerca sul campo
(come la letteratura scientifica sull'ambito considerato - antropologia, storia,
ecc. - e la letteratura 'grigi~pporth_-i1;al?tazioni, perizie, ec. c. - ) e in questo
caso permettono una 'fa~azion_i,,~,_Ql~glio, l'elab<?!~zione di ipotesi
esplorative e di domande particolarC-.Altre so1}9j11sçindjbili_ d;illa ricerca_sul
campo,_e_sono a esse.integrate, (come le produzioni scritte degli attori - qua-
derni di scuola, lettere, diari personali, volantini, ecc. -, gli archivi locali, la
stampa locale). Alt~e, infine, po~s.011() _c:ogitt1ire c9-i:pµs_ ;iµt9n.qmj_,__ distinti e
compkr_nentari a quelli prodgtJLdalla ricerca sul camvo (stampa, archivi).
La frequente - e abusiva - assimilazione dell'antropologia allo studio delle
'società senza scrittura', così come il fatto che la ricerca sul campo trascrive dei
dati per la maggior parte di origine orale, fanno spesso dimenticare che non
vi sono società sulle quali non si sia scritto e non vi sono più società in cui la
scrittura non giochi alcun ruolo. Quindi _le fo11_ti sçfitte S.Q!1-9 ...RçrJ~.iU!tJQ].2Qill-

21 Il manuale di R. Cresswell e M. Godelier (1976) ne fornisce diversi esempi.


22 Vedi i diversi esempi citati in Becker 1970.

43
VIVERE L'ETNOGRAFIA

go allo stesso tempo sia uno strumento di messa in prospettiva diacronic_a_5;


di indispensabile a!Jlpliamento del contesto e della scala, sia un'e11g~~~ nella
c<>11te.giporaneità di coloro che studia.

La combinazione dei dati

La combinazione quasi continua di questi diversi tipi di dati passati in rassegna


è una delle peculiarità della ricerca sul campo. Questa combinazione, ancor
meno di questo o di quel modo particolare di produrre dati, non può essere og-
getto di una ricetta. Ci accontenteremo di citarne due aspetti tra molti altri.

L'eclettismo dei dati


La ricerca sul campo sfrutta qualsiasi mezzo. Il suo empirismo è risolutatne!lte
eclettico e si fonda_ su tutti_ i _modi possibili di raccolta di dati. Chiaramen-
te~ i qiiaìiro tipi di dati distinti prima non solo si intersecano di frequente,
ma anche entrano spesso in sinergia. L'osservazione partecipante consente di
scegliere degli interlocutori appropriati e di dare ai colloqui con loro un tono
più vicino alla conversazione. I colloqui in situ sono una forma particolare di
interazione e contribuiscono anche all'inserimento del ricercatore nella cul-
tura locale. I procedimenti di censimento passano da un lato per il parlato (e
quindi dai colloqui) e da un altro per il visuale (e dunque dall'osservazione).
Le fonti scritte locali rimangono legate agli attori e agli avvenimenti locali,
intersecando la vita quotidiana a cui il ricercatore partecipa così come i collo-
qui che egli sollecita.
L'eclettismo delle fontiha t1_n grarig.e _vamaggi9_rispetto alle ricerche fon-
_date su un solo Jip9_ di d_a,ti, Consente çli tener me.gUQ_ qgi!.Q_dei_rnolteplici
reg1std e della stratificazione della realtà sociale studiata dal ricerca,f()_.l,A_p_erctò
m.al si ço_lTlp.t:e.n,dono le perentorie affermazioni di superiorità essenziale di un
tipo di dati su un altro. Di fronte a un Harris, che mette in cima alla gerarchia
le procedure 'etiche' e osservative in nome di un'ecologia culturale fortemente
positivistica, si erge un Fabian che invece privilegia le interazioni verbali in
nome di un'antropologia dialogica che può ricordare certi eccessi postmoder-
nisti (Harris 1976: 329-350; Fabian 1983). Tutto, al contrario, suggerisce di
prendere in considerazione dati che siano di riferimento, di pertinenza e di
affidabilità variabili, di cui ciascuno permetta di apprendere pezzi di realtà di
natura diversa e di cui il confronto incrociato, la convergenza e la conferma
siano una garanzia di accresciuta plausibilità23 •

23 Altri hanno già sottolineato questo aspetto: H. Becker 1970: 32, 56 e 57; P. Pelta e G.

Pelta 1978: 53; A. Strauss 1987: 27.

44
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

Il colloquio, tuttavia, è spesso utilizzato come un modo quasi esclusivo di


produzione di dati, scollegato in maniera particolare dall'osservazione parte-
cipante. In questo caso si tende talvolta a standardizzarlo, a livello dei metodi
di raccolta (qualche volta precisati con le definizioni di intervista guidata,
intervista libera, intervista semi-direttiva o intervista semi-strutturata), o a
livello dei metodi di trattamento (analisi del contenuto, software di analisi
del discorso). La sociologia dell'intervista diventa allora una configurazione
metodologica particolare, rendendo autonoma la procedura dell'intervista in
quanto modo centrale di produzione dei dati 24 • Si tende allora ad allontan'arsi
da quella che io qui chiamo la ricerca sul campo, che è fondamentalmente
1f
-~-
61Tmòr=fa\
..
-- ·-- ~-~· ....
Lo studio di casi
Una forma di combinazione particolarmente feconda - ma ve ne sono altre
- è lo 'studio di casi', il quale fa convergere i quattro tipi di dati da noi distin-
ti intorno a un'unica sequenza sociale, circoscritta nello spazio e nel tempo.
J.m9r._119 _a_ t111a situ:iz.i9ne sociale partkqlare,__ch~ q)§titµ_i_~_c~un ~p_.t:oblema'
p_~!-:__g!U_!_l_t{'.~essati, un_problema sociale e/o un pr9b._km.::1_igdjvidµal~~J':rntr_Q.-
E~t<:>gofarà un confronto incrociato delle fonti; l'osservazione, i colloqui, i
censimenti, i dati scritti. Un'accusa di stregoneria in un villaggio, un conflitto
fondiario, un rituale politico o religioso, una malattia: i 'casi' la cui descrizio-
ne e decifrazione possono dimostrarsi cruciali per ricerche con obiettivi più
generali sono innumerevoli.
La Scuola di Manchester è stata certamente la prima a fare in antropo-
logia un uso ragionato e deliberato di questo metodo (vedi Garbett 1970:
214-237, van Velsen [1967] 1978 e Mitchell 1983: 187-211), benché esso fosse
già presente nella pratica da molto tempo, probabilmente dagli inizi dell'an-
tropologia sul campo: Malinowski ([1922] 1978) o Evans-Pritchard (1972),
per limitarsi a loro, hanno abbondantemente dato la parola a dei 'casi'. Allo
stesso modo la micro-storia italiana di recente ha importato e sistematizzato
alla sua maniera questo orientamento nel campo della storia (Levi 1989;
1991; Revel 1989), benché questa vi abbia sempre più o meno fatto ricorso.
Del resto gli impieghi interpretativi e teorici dello studio di casi sono mol-
teplici. Alcuni si limitano all'illustrazione, altri descrivono e analizzano le
situazioni locali nei loro significati intrinseci, altri ancora fanno delle estra-
polazioni a partire da un caso di riferimento per produrre quelle analisi di

24 J.-P. Briand e J.-M. Chapoulié (1991) vi riconoscono una peculiarità della sociologia
francese, meno portata rispetto alla sociologia americana a praticare l'osservazione. Ma Sanjek
rileva questa tendenza nell'antropologia urbana anglosassone, di cui deplora il suo essere troppo
"interview-based" (R. Sanjek 1991: 247).

45
VIVERE L'ETNOGRAFIA

'media portata' che costituiscono un livello privilegiato della teorizzazione


socio-antropologica25 •

La politica del campo

Il processo di ricerca sul campo si può anche intendere in forma sintetica, al


livello di certe esigenze metodologiche generali che 'malgrado tutto' fanno
dell'antropologia una scienza sociale empirica e non una forma colta di gior-
nalismo, di cronaca o di autobiografia esotica. Questo campo, che accumula
le diverse forme di produzione dei dati passate prima in rassegna, fa infatti
capo a una 'strategia scientifica' del ricercatore, una strategia che può esse-
re relativamente esplicita o restare in larga misura implicita. L implicito può
camuffare innumerevoli pigrizie metodologiche; il nostro tentativo, invece,
consisterà nell'esplicitare il più possibile ciò che può esserlo, al fine di mettere
in luce alcuni dei 'prindpi' che ci sembra possano regolare o ottimizzare la
'politica del campo'.

La triangolazione
La triangolazione è il principio di base di ogni inchiesta, che sia_poliziesca o
etnografica: le informazioni devono avere dei riscontri! Ogni informatione
prqvenie11te da un'unica persona è da verificare: questo vale per un alibi comç
per una rappresentazione rituale_. Ciò sembra appartenere al buon senso e gli
storici hanno da molto tempo messo in atto questo principio. Esiste tuttavia
una certa tradizione etnologica che talvolta va contro il buon senso, facendo
di un solo individuo il depositario del sapere di tutta una società.
Con la triangolazione semplice il ricercatore fa un confronto incrociato tra
gli informatori, per non essere prigioniero di un'unica fonte. Ma si potrebbe
parlare di triangolazione complessa, dal momento in cui si tenta di analizzare
la scelta di tali molteplici informatori. La triangolazione complessa intende far.
variare gli informatori in funzione del loro rapporto con il problema trattato.
Vuole incrociare i punti di vista quando ritiene che la loro differenza produca
sen~'?.· Quindi non si tratta più di 'confermare' o di 'verificare' delle infor-
mazioni per arrivare a una 'versione veritiera', quanto piuttosto di ricercare
dei discorsi in contrasto, di rendere l'eterogeneità delle a_rgomentazioni un
oggetto di studio, di basarsi sulle variazioni piuttosto che volerle cancellare o
appiattire, in una parola di costruire una strategia di studio sulla ricerca delle
differenze significative.

25 B.G. Glaser e A.L. Strauss (1973: 152) fanno notare che i 'case studies' possono limìtarsi
ad esemplificare delle teorie generali preesistenti cosl come possono generare nuove teorie.

46
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

Si giunge così al concett() qi 'gruppo strategico'. C:q_tl dò si P!:lQ!!}t~1;1dere


un'aggregazione di_ indivjqui_ che hagno glol::i~.l~en!e, di_ frottfe_ ~_l!no stesso
'problema', uno stesso atteggiamento, determinato in}arga misµrq_d~ un rap-
porto sociale simile rispetto ;:i quç:sto probkm_a (qui si deve intendere 'rapporto
sociale' in senso ampio, può essere un rapporto culturale o simbolico come
pure politico o economico). Contrariamente alle classiche definizioni socio-
logiche dei gruppi sociali (come la classe sociale della tradizione marxista), i
'gmppi strategici' per noi non sono costituiti una volta_peI" ~lltte _e p_e_t:f!!!È.n.!i
g_ucl.l!,lnql!e_ ~ail problema. Essi variano a seconda dei problemi consideràti.
Talvolta rinvieranno a delle caratteristiche statutarie o socio-professionali (ses-
so, casta, mestiere, ecc.), talvolta a delle affiliazioni di lignaggio o a delle reti
di solidarietà o di clientela, talvolta a dei percorsi biografici e a delle apparte-
nenze a fazioni. La nozione di gruppo strategico è dunque essenzialmente di
_q!di11~-~mP-irico (Evers e Schiel 1988; Bierschenk 1988: 146-160; Bierschenk
e Olivier de Sardan 1994: 35-43; Olivier de Sardan 1995). Presuppone sem-
plicc::m~l_!~~-c::he in una data collettività non tutti gli~tt_orL-1:b.hi~l!Q. p.~ gli stessi
in!eI"~ssi né le stesse rappresentazioni e c:he, _a secoI1da q~i_F_I".2Q_lemi'1 i loro
J11_!e_r_e_s_s_i Je loro rappre~e11~~zioni si_a,gg~hlJ!QJl!m~.n.k.ra diversa. ma non
in maniera casuale. Si possono dunque fare delle ipotesi su cosa siano i gruppi
strategici di fronte a un dato 'problema': la ricerca mostrerà chiaramente se
queste ipotesi sono giuste o meno, e se i gruppi strategici all'arrivo sono gli
stessi di quelli previsti alla partenza. Un altro compito empirico sarà deter--
minare se questo o quel gruppo strategico sia formato semplicemente da una
somma di comportamenti individuali simili e non concertati, dovuti a delle
'posizioni' omolog~>di.JrQ~n dato 'problema', o se abbia una morfologia
propria, se sia un.::__1½_r.u12po corpor~' (corporate group), se si tratti di una rete
che collega tra loro f suoi· membri, ecc.
C_ol)viene_anche prendere in consider;izione l'esistenza di grµppi_'.invisi-
bilLg~s:sr~rni',indispen.sabili_per_Qgni triapgolazione. Il colloquio con degli
individu~igiriàli{rispetto al 'problema' considerato), non coinvolti, distac-
cati, è spe~o uno dei modi migliori per far variare i punti di vista. Parimenti,
all'interno di un gruppo strategico, le 'persone in basso', i 'soldati semplici',
non devono essere dimenticati a favore dei soli leader, animatori più o meno
carismatici, o portavoce autoproclamati.
Un approccio del genere si oppone evidentemente .i_ un certo pt1_nt_<u:!i
_vista culturalistico, che postulal'omo~neitàe la_c::Qerenza di una 'cultura'. Il
pa,-ttitq pr~s_Q _'_anticoerenz;i' (Agar 19~<?: 49-50)_ eµrisJiç~mem_~pjù fecondo.
Così come lo è un approccio a una società attraverso i suoi conflitti, quantun-
que sia vero che la situazione di un'inchiesta possa a volte suscitare discorsi
d'accusa (rivolti dagli intervistati contro altri attori), la cui pertinenza dipende
soprattutto dall'autolegittimazione (di fronte al ricercatore), e che non pregiu-

47
VIVERE L'ETNOGRAFIA

dicano l'esistenza di cooperazioni su altri livelli con gli attori stigmatizzati


(Althabe 1997: 67-77 ripreso in Schwartz 1993: 273).

L'iterazione
La ricerca sul campo pr()_c:~<ie pei:_it_eraz_i<;_>p.eLc:i()è P~! -~11_qate ei;itorni, va e
vieni. Si potrebbe parlare di iterazione concreta (l'inchiesta procede il!.!!1.2.9-9
non lineare tra gli informatori e Je informazioni), o di iterazione astratta. {w.
prodm:ione di dati modifica la problematica che modifica la produz.iqne di
da,!ic:he modifi:ca_la px9blematig).
Nella sua forma più semplice e concreta, l'iterazione ricorda i va e vieni di
un ricercatore sul campo. Infatti, a differenza di un ricercatore 'da questio-
nari', che comincia da un capo della strada o dell'elenco telefonico per finire
nell'altro, il ricercatore va da X, che gli dice di andare da Y dall'altra parte del
villaggio o della città, poi ritorna da Z che abita vicino a X. Il fatto è che i suoi
i11terlocutori non sono scelti in anticipo con un metodo di _selezione (statisti-
ca, per probabilità), ma prendono posto secondo un contint10 compr.9m~sso
tra,) piani del ricercatore, le disponibilità dei suoi interlocuçor.i, le occasioni
che si presentano, i canali di parentela o di amicizia già costituiti, e qualche
aJga, __va,riabile, Così la scelta degli interlocutori si opera in buona parte per
'ramificazioni' o 'arborescenza': da ogni colloquio nascono nuove piste, nuo-
vi interlocutori possibili, suggeriti direttamente o indirettamente nel corso
del colloquio. La dinamica dell'inchiesta crea così il proprio cammino, in
partenza largamente imprevedibile, illegittimo per un intervistatore dell'IN-
SEE26, ma dove si riflettono le reti 'reali' dell'ambiente studiato. Le persone
della ricerca sul campo non sono persone astratte dalle loro condizioni con-
crete di esistenza, dalle loro affiliazioni personali, familiari o clientelari, dai
loro modi di sociabilità (a differenza delle persone dell'inchiesta su campioni,
che per definizione e per necessità sono rappresentative di variabili astratte
e standardizzate). La ricerca sul campo si adegua dunque ai diversi circuiti
sociali locali, alla loro complessità, ai loro intrecci, alle loro distorsioni. Non
ha niente di lineare.
L'iterazione è, però, anche, in un senso più astratto, un va e vieni tra
problematica e dati, interpretazione e risultati. Qgni __r::_olloquio, og_~i_~~~
vazio11e,_ggni interazione sono aJt~~tt~nt_~_ occasioni di trovare nt1()v:e piste di
ricerca! dj mCl4i_.fìc;u~ ip_ot~si,__<li el~~or:g_!!~nùov:~- Durante tutto il soggiorno
sul campo il ricercatore interpreta senza interruzione, nel corso degli incontri,
delle osservazioni e dei colloqui, benché più in forma latente che esplicita. La
fase della produzione di dati può così essere analizzata come un'incessante
ristrutturazione della problematica quando viene in contatto con essi, e come

26 lnstitut National de la Statistique et des Etudes Economiques [NdC].

48
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

una continua ridisposizione del quadro interpretativo a mano a mano che si


accumulano gli elementi empirici 27•

L'esplicitazione interpretativa
Questo punto è legato al precedente. Effettivamente il_[auo che le interpreta-
. ~ioni e le rifor_giulazio11i clell'()ggetto.di ricerca si9perino dttr_a_nteJ~ pr_pduzio-
.ne dei dati sfocia spesso ig _una c:ontradg.izign~ 9j_!lJJll..{2~E!.dosso. Il campo
prolungato, essendo fatto di processi incessanti di retroazioni tra produzione
di dati e interpretazioni, risposte e domande, presuppone una verbalizzazione
continua, una concettualizzazione continua, un'autovalutazione continua, un
dialogo intellettuale continuo. Ma l'inserimento prolungato comporta piut-
tosto un lavoro solitario, di cui il meno che si possa dire è che non favorisce
affatto la verbalizzazione, la concettualizzazione, l'autovalutazione o il dia-
logo intellettuale. Il ricercatore deve dialogare con se stesso, ma tale dialogo
rimane in larga misura virtuale, incompiuto, implicito.
U_diario del campo gioca un ruolo a questo proposit<>Lpqmettet!_do di
'fare il Qlll!çc/ regolarmente e. di ovviare alla mancanza di dialogo sde11tHìçg
n_<tl_~Clrso di u11.'inchj~s~_a che ~::gll_!~!D._q.t!d9 rend~jndi_~pensabile. Certamente
il diario di campo ha altre funzioni possibili, più spesso evidenziate. Così,
talvolta, è la fonte di uno specifico prodotto finito (da I:Africa fantasma o da
Tristi tropici alle Lance del crepuscolo), ma è anche, durante la fase stessa del
campo, un supporto dei processi d'interpretazioni legati alla produzione dei
dati e un metodo di esplicitazione solitaria. Generalmente tale funzione viene
ignorata, nonostante il ruolo strategico che riveste nel corso di tutta l'inchie-
sta. Essa può anche essere assicurata dalla redazione continua di schede in-
terpretative. È l'operazione che Strauss chiama memoinlf8 , a cuiegHass~gm,
<forante la fase del campo, un ruolo centrale, accanto alla produzion~_ c:U. dati
(dt!Jt! collectio_n)_ _all_a, loro. codific_~zi_one (coding).
La verbalizzazione può pure essere assicurata dal dialogo con un 'assistente
di ricerca', in generale una persona istruita proveniente dall'ambiente locale,
che instaura una collaborazione di lunga durata con il ricercatore, iniziandosi
un po' alla volta al suo metodo e alle sue domande. Naturalmente anche l'as-
sistente di ricerca è fonte di fattori di disturbo (Rabinow [1977] 1988). Può
tuttavia costituire un aiuto prezioso nella 'traduzione semiologica' (cioè nel
passaggio tra il sistema di senso locale e il sistema di senso del ricercatore),

27 Baldamus (citato da H. Seur 1992: 137) parla cosl di "doppio adattamento reciproco"

(reciprocai double jitting) e a sostegno di questo concetto evoca l'immagine di un falegname che
riparerebbe una porta piallando alternativamente la cornice e la porta.
28 "Scrittura in cui il ricercatore riporta domande teoriche, ipotesi, riassunti di codici, ecc."

(A. Strauss 1987: 22).

49
VIVERE L'ETNOGRAFIA

al di là della semplice funzione di interprete che spesso riveste (la 'traduzione


linguistica').
Infine, c'è la soluzione del lavoro di sgL1::1_dra 1 _çbç _fç~t~troppo raro. La
verbalizzazione e l'oggettivazione sono allora assicurate dalla presenza di IJ!!
g.ibattito nel cuore stesso del pr.Q.ç~-~~_Q__ç!J_rjç_e.rs::a em12irica. Conosciamo il ruo-
lo centrale che il dibattito ha o dovrebbe avere nelle scienze sociali (è proba-
bilmente la sola garanzia epistemologica della plausibilità). Il dibattito, però,
in generale - e nel migliore dei casi - non avviene che ex post (dopo la fase
della redazione) e in forme 'inasprite'. Anche il fatto di introdurre, attraverso
un lavoro collettivo, il dibattito nella ricerca, al livello stesso della produzione
di dati e delle strategie interpretative che vi si manifestano, è una procedura
da non sottovalutare.

La costruzione di 'descrittori' ~r.-.--~··--·--·----~


Ecco un certo modo di praticare 1~0attraverso la ricerca di dati
ad hoc che trasformano le interpretazioni rendendole 'osservabili'. ~LfissanQ
dei mediatori tra concetti interpret:a.t~vi e corpu§_empirici. La Jjc:çrca di datj
coçr.enti e significativi (di§.corsivi o no) per verificare, smen~ke.. o correg~e
UJ!_!]29_t<::si, come per prodµr.!!e. p:a.1,·Je.1JclQ__ _d~jJ:.1t!J-j:zi9,Qi più o meno esplicite,
permette di combinare il meto4g ce>,t1- l'i!11P!".QV\':!$azJ9µe._e.__ di__mettere ordine
e, ~igemadcità )11 __µn lavoro_ sµJ c:aJ11:p_Q _per. JLse~to soggetto in larga __mjsura
agli umori e alle imprèssioni. Si potrebbe usare anche il termine di indicatore,
benché esso abbia per il senso comune una forte connotazione quantitativa.
Si tratta infatti di costruire degli insiemi pertinenti di dati 'qualitativi', che
consentano di confermare o di smentire, o più spesso di modificare, specifiche
proposizioni interpretative. Quali particolari 'osservabili' si fissano per mette-
re alla prova l'una o l'altra congettura particolare?
Ogni ricerca sul campo costruisce così i propri 'indici' molteplici, eterocli-
ti, mai standardizzati, bensì circoscritti e precisati.

La saturazione
E allora, quand'è che si può metter fine alla fase del campo? Quest'ultima non
include nei suoi dispositivi un segnale di 'fine', contrariamente all'inchiesta su
campione. Di fatto ci si accorge ab(J.:a.sta1-1._z~_.P.!~§tç> qu:a.ndo, su un prnblema,
decresce la produttivitàclelle osserv~z~~~~A_ei C()_lloqui. A ogni nuova seque,Q-
za, _a ognJ nuovo colloquio, si ottengono sempre meno informazioni nuove. A
questo punto uno ha più o meno 'fatto il giro' delle rappresentazioni per un
dato ambito d'indagine, o ha percorso il ventaglio delle strategie relative a una
particolare arena. La durata di questo processo dipende evidentemente dalle
proprietà empiriche di questo ambito o di questa arena, cioè dalle caratteristi-
che del tema di ricerca che il ricercatore si è dato in questa società locale.

50
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

Glaser e Strauss sono stati i primi a sviluppare questo concetto di satu-


razione. Essi vi hanno però dato un senso più teorico, benché praticamente
equivalente, associandolo alla costruzione progressiva di 'categorie' (una sorta
di tipi-ideali) che consentono il paragone tra gruppi e società: "Saturazione
significa che non vengono trovati dati aggiuntivi_ con i qua_li il sociologo_p_~g
sviluppare proprietà della categoria. Quando vede e rivede casi §i.1pili, il riçer-
catore acquisisce la sicmezza empirica çh.e_11na categor_i~_~_satura" (Glaser e
Strauss 1973: 61).
Evidentemente il principio di saturazione è più di un segnale di fine: è urta
garanzia metodologica di primaria importanza, complementare alla triango-
lazione. Ritardando la fine della ricerca su un tema o un sottotema finché non
si raccolgono più dati nuovi su tale tema o sottotema, ci si obbliga a non ac-
contentarsi di dati insufficienti o occasionali, ci si sottomette a una procedura
di validàzione relativa dei dati, ci si apre alla possibilità di confrontarsi con dei
dati divergenti o contradditori. "Ci diamo delle costrizioni che obbligano a
differire l'induzione" (Schwartz 1993: 286).
Prendere in considerazione dei 'contro-esempi' appare effettivamente
come una delle esigenze e una delle carte vincenti della ricerca sul campo, an-
che se esistono, per questa come per altre questioni, dei ricercatori il cui forte
non è la vigilanza metodologica. Laddove un'inchiesta sta!istica ~i-~s:_ç_o_.gtenta
in larga misura di spiegare 1'80% delle situazioni, la ric~rca s1.!1 camp<trratta
l'eccezione, il 'caso negativo' (Becker 1970: 68 e 107), con la stessa atten'?~Qfil:
di_ un cas9 _stati_stk~m~pte frequente. La distanza rispetto ai comportamenti
correnti o ai discorsi normali è allora un fattore rivelatore o un indicatore
potente tanto delle norme quanto delle modalità di scarto rispetto alle norme.
Il 'principio di saturazione' mira così a descrivere lo spazio delle possibilità in
un dato spazio-tempo su un determinato 'problema'.

Il gruppo sociale testimone


J.!1_ g<;i~<;rak r~s1.1lt1: utile,_ p<:!rfino necessariq,_g~_r.§i_ 1.J.1.1. Jµ_ogQ.j_gtensivo di ricerca,
_Ro_ggj~_nte s1.1 un insieme sociale di conoscenza reciproca ch~_pq:5~a J q _ ~
~ervire da base ~i _riferif!l~!!tQ per_delle ricerche più estensive. Questo 'gruppo
testimone' varia evidentemente secondo i temi della ricerca e può essere di
dimensioni diverse, benché sempre ridotte: una famiglia, un villaggio, una
banda di giovani, un laboratorio, un quartiere, una città, ecc. Su uno stesso
spazio sociale si sovrappongono contemporaneamente l'osservazione parteci-
pante, i colloqui approfonditi, le tecniche di censimento, la ricerca di docu-
menti scritti. In ogni caso, una certa durata della conoscenza reciproca in UIL
gruppo, una rete o una società è una condizione dell'osservazione partecipan-
te. :Cintensività permette anche di effettuare continuamente dei confronti tra
diverse fonti d'informazione. Permette inoltre di mettere in rapporto, visto

51
VIVERE L'ETNOGRAFIA

che si lavora su scala ridotta e in profondità, conoscenze di ordine diverso e


di vario registro, di avere un approccio trasversale, 'olistico' (nel senso pura-
mente metodologico del termine), dove gli attori sociali vengono colti nella
diversità dei loro ruoli. Così il religioso, la parentela, la politica, la sociabilità,
il clientelismo, la produzione, tra altre configurazioni sociali impossibili da
cogliere simultaneamente in modo empirico su vasta scala, possono essere
messi in rapporto quando si è vicini agli attori sociali e alle loro interrelazioni
effettive. Questi attori in realtà si 'muovono' senza sosta tra tali configurazio-
ni. Il ricercatore_ allaccia relazioni personali e 'moltiplici-complesse' con_ gli
un_i e con gli altri. La messa in rapporto di 'sfere' o di 'livelli' della pratica, SQ-
dale abituaJmente disgiunti tramite l'analisi è una carta vincente qella rJçerca
sul campo 1 e questo anche se, o acidirittura soprattutto se, si lavora su_ un tema
'preciso' o specializzato29 •
La trappola in cui molti sono caduti è ovviamente quella di rinchiudersi
in questo 'gruppo testimone' e limitarsi a produrre monografie esaustive di
microcomunità. Sembra in effetti indispensabile il passaggio a una ricerca
più estensiva, nella quale i soggiorni in un sito si contino in giorni e non
più in mesi. Il lavoro anteriore presso il 'gruppo testimone' permette allora
di rendere redditizio un lavoro estensivo, fornendo un calibro di riferimen-
to. Com'è infatti possibile comparare senza avere una base di comparazione?
Si può esprimere la cosa in altro modo: tanto una lunga permanenza in un
'gruppo testimone' sembra una buona strategia di ricerca, tanto è ugualmente
indispensabile uscirne ed effettuare dei 'passi a lato'. Distaccandosi, con delle
inchieste condotte 'altrove', si ottengono delle nuove prospettive, si procede a
dei 'ritocchi', che spesso confermano, ma anche completano, smentiscono o
relativizzano il quadro già dipinto.
Precisiamo infine che un 'gruppo sociale testimone' può talvolta rinviare a
un solo gruppo strategico, considerato centrale. Nella maggior parte dei casi,
però, include persone che appartengono a più gruppi strategici.

Gli informatori privilegiati


I..:'info~matore privilegiato' può_c~iaramente essere considerato come un cag>
estremo di gruppo sodale testimone ristretto a un solo individuo. In num~tQ.~i
casi la strategia del ricorso a un infotr"Q~tore privilegiato nasconde u11 p_tJ-!!tQ___di
vista culturalista c~~J~<!i, µn ~o_l()_i11~jyidu() c_o11siderato esperto il qçpositado
g_i t1n\11tera cultura. Questo punto di vista culturalista si combina inoltre con
una strategia di ricerca pigra. Ma il problema degli informatori privilegiati va
ben al di là degli usi discutibili che talvolta ne sono stati fatti.

29 A proposito dell'antropologia dello "sviluppo" ( e circa un "olismo metodologico" distin-

to da un "olismo ideologico") vedi Olivier de Sardan 1995.

52
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

Intendiamoci bene: non vi è un ricercatore che non abbia i suoi informa-


tori privilegiati, ma il ricorso preferenziale a questo o a quell'interlocutore può
e deve combinarsi con il principio di triangolazione. È in effetti impossibile
fare a meno di informatori privilegiati, e ciò per molteplici ragioni. Perché
le affinità personali rivestono un ruolo importante nella ricerca sul campo.
Perché da un argomento di ricerca all'altro, da un 'problema' all'altro, le com-
petenze locali variano e sono disuguali. Perché le capacità di comunicazione
del ricercatore con ognuno, e viceversa, sono molto variabili. Perché non tutti
i consulenti e i narratori si equivalgono, in termini di qualità o di quantità
delle informazioni.
.Qel resto si devono forse disdngu~re più tipi_ c:li inforrn::itori priytl~gl::l!!·
_AJ.cuni sono dei generalisti, che danno chiaramente e comodame,1.1te gç:ç秧Q
a_Ue_ rappresentazioni usuali. Altri sono_ dei 'ti;_a,_m_iJL,~1!1-ediatori' o 'portinai',
_che aprono la strada verso altri _attori-~hiave o verso scene cu!turali di difficile
accesso30 • Altri, infine, sono d~gli 'esperti', con un ruolo cli co11.s..11knza o ili
n~rrazione. Se da un ambito all'altro, da un tema all'altro, i criteri dell'exper-
tise possono variare, ciascun ambito o tema ha comunque i suoi esperti, dal
punto di vista del ricercatore.
Le forme del ricorso a degli informatori privilegiati, così come il tipo di
informatore privilegiato a cui si ricorre, variano a seconda delle diverse fasi del
processo di ricerca. Cercare un mediatore, un 'tramite', una 'persona risorsa'
su cui appoggiarsi, è certamente una necessità all'inizio di una ricerca, e un
rischio che bisogna correre. Emanciparsene avviene generalmente in una fase
successiva.

La gestione dei "fattori di disturbo" 31

La ricerca sul campo ha evidentemente le sue perturbazioni, come ogni ricerca


tramite questionari. La 'politica del campo' viene condotta navigando a vista
tra questi fattori di disturbo, ma non ci si può sfuggire. L'obiettivo del ricerca-
tore è più modesto: si tratta di cercare di padroneggiarli o di controllarli. Ne
citeremo qui quattro.

30 Vedi la nozione di gatekeeper (H. Schwartz e J. Jacobs 1979: 55).


31 Si è scelto di tradurre il termine francese biais di volta in volta con "fattori di disturbo,

perturbazioni, elementi perturbanti" per sottolineare l'effetto di distorsione che possono produr-
re sulla ricerca tali particolari prospettive [NdC].

53
VIVERE L'ETNOGRAFIA

L'"incliccaggio " 32
l.:inserimento del ricercatore in unasocietà _f!Q.D- si fa_ rnélJ con lél società nel
suo insieme, ma attraverso dei gruppi particolari. Si inserisce in cc;:rte reti e
non in altre. Questo effetto e_erturbante .è. tanto temibile_ quanto inevita_gile.
Il ricercatore può sempre essere assimilato, spesso suo malgrado, ma talvolta
con la sua complicità, a una 'clique' o una 'fazione' locale, il che comporta due
inconvenienti. Da un lato il rischio di diventare troppo la voce della 'clique'
d'adozione e di riprenderne i punti di vista, dall'altro il pericolo di vedersi
chiudere la porta in faccia dalle altre 'cliques' locali. L''incliccaggio', sia essa
per scelta dell'antropologo, per sua inavvertenza, o per una strategia della cli-
que in questione, è sicuramente uno dei principali problemi della ricerca sul
campo. Il fatto stesso che in un dato spazio sociale gli attori locali siano in
larga misura legati tra di loro sotto forma di reti fa sì che, per produrre i suoi
dati, l'antropologo sul campo dipenda necessariamente da tali reti. Egli diven-
ta facilmente prigioniero dell'una o dell'altra. Il ricorso a un interprete, che è
sempre anche un 'informatore privilegiato', introduce delle forme particolari
di 'incliccaggio': il ricercatore dipende allora dalle affinità e ostilità proprie al
suo interprete, così come dalle appartenenze o dagli ostracismi a cui lo espone
lo statuto di quest'ultimo33 •

Il monopolio delle fonti


l_l f!10nopolio che spesso un ric:ercatore_e1>~rc:tta, sui clati, dal11i pr9_d,c:mi, perfino
s~lla popolazione presso cui ha lavora~o, è incontestabilmente un pro~lema
metodologico tipico delle ricerche sul campo. La possibilità che hanno gli
storici di accedere alle fonti dei loro colleghi e di rivedere continuamente i dati
primari contrasta con la solitudine spesso gelosa e deliberata dell'etnologo.
Come operare una critica delle fonti o ciò che potrebbe sostituirla?
Questo problema non ha che due soluzioni. La prima è che_ più _éln_tr.ppolo-
gi lavorino successi_y~rp.ente o copternpora,nea,_m_{:gte ~ll_ c::aJn]Ji vic:;tni o identici.
Si conoscono alcune celebri polemiche nate da situazioni del genere, Redfìeld/
Lewis o Mead/Freeman, e i molteplici problemi posti dalla decifrazione di
tali divergenze 34 . Ma il confronto, spesso indiretto e differito, degli studiosi

32 "Il termine deriva da clique che, in base a una definizione stretta nella teoria dei social
networks, si riferisce a 'un insieme di individui in cui ogni membro è legato positivamente a ogni
altro membro' [... ] Essa, insomma, rimanda a gruppi di persone fortemente interattive. In ita-
liano si dice spesso che quel tale fa parte di quel 'giro' " (L. Piasere, L'etnografo imperfetto, Roma
e Bari, 2002, p. 162) [NdC].
33 Vedi l'esempio molto chiaramente analizzato in Berreman 1962.
34 Un bilancio delle controversie di questo genere si trova in M. Shipman 1988. Ricordo
inoltre il già citato articolo di van Beek su Griaule (1991).

54
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

su uno stesso campo, non sempre assume delle forme così contrapposte. Può
rientrare nella complementarietà e talora perfino nella convergenza.
La seconda soluzione è _fornjre: un 3cccesso_ ~lm~110 rçJ~tiy.9._alle proprie
fo1:1ti, ai corpus prodotti o a campiçni_ cii_qt1i=gi_ç_Q!]2U§1__ aJfip,e._d.i_<)._!,!!orizzare
successive reinterpretaziot!_.L_ da parte di aJtri. Una forma minimale è quella di
permettere al lettore di rendersi conto il più possibile di chi parla in ciascuna
fase del testo etnografico, dando a ciascuno ciò che è suo, al fine di discolparsi
il più possibile dal "sospetto di intuizionismo" (Schwartz 1993: 284) ,9 dal-
l'accusa di voler imporre un certo senso. Le interpretazioni dell'antropologo
non devono essere confuse con le parole dei suoi informatori, le fonti delle
descrizioni devono essere identificate, lo stile indiretto non deve celare amal-
gami e concatenazioni degli enunciatori reali: l'esemplificazione e l'attribuzio-
ne dei discorsi sono allora l'espressione di una necessaria prudenza scientifica.
Ricordiamo Malinowski: "lo ritengo che siano di indubbio valore scientifico
solo quelle fonti etnografiche in cui possiamo tracciare una linea fra i risultati
dell'osservazione diretta e le affermazioni e le interpretazioni degli indigeni,
da una parte, e le deduzioni dell'autore [... ] dall'altro" (Malinowski [1922],
infra p. 3).
Certo un tale vincolo è più facile da proclamare che da applicare, e non vi
è antropologo o sociologo che non contravvenga a questa regola. Del resto è
diventato un esercizio di stile epistemologico quello di rileggere e analizzare i
classici dell'antropologia per sottolineare l'ambiguità dei procedimenti narra-
tivi utilizzati, in particolare lo stile indiretto che non permette di identificare
l'enunciatore di ciascun enunciato (Borel 1990; Geertz 1988): Ma nessuno,
neanche i critici che vigilano sulle approssimazioni degli altri, può sfuggi-
re totalmente a questi aloni di nebulosità. L'attribuzione dei discorsi 'il più
possibile' e la precisazione delle condizioni di raccolta delle informazioni (sia
colloqui che osservazioni) sono delle garanzie relative e non assolute 35 • È il
motivo per cui è ancora più indi~pensahile darsi. delle regole _e nonsLpossono
rn;m ~ot,tosc::rivere.i._4t1e_'pr1nc::ìpf.Ai_~Pt.?:dle,:y: il_prjn,çJeJg di identificazione dei
di$S,Q!§i (language identification principle) e JLR.!!!lç!_R!Q,9-.e.U~çit_~_z;ione testuale
(verbatim principle) (J. Spradley 1979: 71-73) 36 •

35 Pelto chiama "operationalism" questa necessaria esplicitazione dei dati particolari su cui si
fondano gli enunciati antropologici: "Una stretta resa operativa di tutte le osservazioni sul cam-
po sarebbe quasi impossibile da raggiungere [...]. Il bisogno di rendere operativo un costrutto
descrittivo nella ricerca dipende dal livello di uso di particolari tipi di informazione" (P. Pelto e
G. Pelto 1978: 44).
36 Segnaliamo del resto che questa garanzia deve essere applicata fin dal taccuino sul campo,

con l'uso di convenzioni (virgolette, parentesi, ecc.) che permettono di distinguere tra citazioni
di informatori (essendo questi ultimi sempre identificati), riassunti di discorsi di informatori e
descrizioni o percezioni del ricercatore. Qualcuno ha perfino proposto delle convenzioni stan-

55
VIVERE L'ETNOGRAFIA

Rappresentazioni e rappresentatività .. .
Parlare indebitamel1te il linguaggio della M.pp!,e_~et1E~_!Jyjt~ è lll1 altr9_p_ossibile
fattore di disturbo. Succede quando le testimonianze di alcune p_ernme sono
presentate come sedflettessero 'µna cultura,\_~!;;t_essa la cultur3:._çli una classe
sociale (cultura operaia, cultura popolare) qpp.Yr.(':Ja cultma di ug_p_Qp.illQ_
~4Luna 'etnia'. !,.a__riçerca sul campo parla più frequenteme11~~ . Hi.r,app.r~
~entazi~.o.di _pf~tich,<::,_ non dell;;t .i-ap2r.~~~11!ativ~t~. delle I"appr.~~_e:ntazioni. o
~piaticlie. Permette di descrivere lo spazio delle rappresentazioni o delle
pratiche correnti o prevalenti in un dato gruppo sociale, senza possibilità di
fare affermazioni sulla loro distribuzione statistica, anche se il ricorso a dei
procedimenti di censimento consente talvolta di produrre dei dati esaustivi
e/o numerici. Non si deve far dire all'inchiesta sul campo più di quanto essa
possa dire. Così, essa potrà proporre una descrizione delle principali rappre-
sentazioni che i principali gruppi di attori locali si fanno a proposito di un
dato 'problema', né più né meno. Così, analogamente, permetterà di descrive-
re lo spazio delle diverse logiche d'azione o delle diverse strategie messe in atto
in un dato contesto, né più né meno. Non dirà nulla della rappresentatività
quantificata di queste rappresentazioni o di queste strategie, salvo fare appello
a un'altra configurazione metodologica.

La soggettività del ricercatore


Come abbiamo già visto, ilX1=!9l<?_P~.1:§()na!e del ricer,cafore ~- una risoK_s_aL2er
e_~!!J-P.i?. ~!.~~:_iy~_rso)' impr.egnazio11.e_ eh.e gH dà t1n p()'. alla _y()l~~-~c:c~§§Q ai _co-
q_i~~--e .:,ill.e_n_orr,ne locali,._ ma è aJ:~fhe _un de1nent_o _perturbante. La maggior
parte dei dati è prodotta attraverso le sue interazioni con gli altri, attraverso la
mobilitazione della sua soggettività, attraverso la sua 'regia'. Questi dati incor-
porano dunque un innegabile 'fattore individuale'. Questo fattore di disturbo
è inevitabile: non deve essere né negato (atteggiamento positivista) né esaltato
(atteggiamento soggettivistico). Può soltanto essere controllato, talvolta utiliz-
zato, talvolta ridotto al minimo.
Qn\1._l~ra fu~~i(}t1~ ciel g~à menzionat() diario sul campo è allor<]. aiut;ire
il rkerç~tore_ a, gestireJ<:: sue i1I1pf<::§J!QnÌ_§Qgg~_!_tJve. Gli permette di valuta-
re le sue emozioni, di dare testimonianza delle modalità del suo coinvolgi-
mento personale. Serve da documento per quelle appendici o introduzioni,
di carattere allo stesso tempo metodologico e biografico, che accompagnano
parecchie opere classiche o contemporanee e che esplicitano per il lettore la
'posizione' del ricercatore, senza per questo cadere nell'autocompiacimento o

dard per prendere gli appunti (vedi J. Kirk e M. Miller 1986: 57). Del resto, quando la ricerca è
stata condotta in un'altra lingua, la pubblicazione, in appendice o nelle note, delle trascrizioni in
lingua vernacolare delle citazioni utilizzate è un'esigenza metodologica troppo spesso disattesa.

56
La politica del campo. Sulla produzione di dari in antropologia

nel narcisismo. Si tratta all'occorrenza non solo di esplicitare 'da dove si parla',
ma anche 'da dove si sono prodotti i dati', e come, nè più né meno. IlJ~voro
in squadra, anch'esso già menzionato, trova qui un altro dei §tJ,oi vantagg!!. La
collaborazione e la complementarietà valgono anche come contr9llo recip_ro-
ço delle soggettività. Questo controllo resta certamente relativo, ma non per
questo è trascurabile.
Si potrebbero sollevare numerosi altri problemi. La 'questione della sog-
gettività' è troppo complessa per poter essere trattata qui in modo sistem~fico.
Mi accontenterò di segnalare i due seguenti problemi contigui.
Primo problema contiguo, quello delle incessanti pressioni degli stereotipi
e delle ideologie sullo sguardo dell'antrotologo. L'antropologo non è affatto il
solo a essere sottoposto a tali pressioni. E il destino d_i tutte le_~çk_t_g,e sociali
eh~,. clalla costruzione del tema di ricerç~ fino ai molteplici_J~y~!!Ldi interpg-
ta.z,Jo.vJd..él _e.~s_e messe iQ_ <1-tto, sono conti11u:111J~11te minacciate_ d:i m_isio.t~r_pre-
tazioni. e sovrainterpretazioni.
Il secondo problema contiguo, anch'esso senza soluzione definitiva ma
negoziabile nella pratica, è che tutti quelli con cui l'antropologo entra in)n-
terazi9µe, dall'interlocutore c;isuale all' inform:irore priviJegiatp, __ effem1a.n..o
P.t1re loro delle continue operazioni_ di 'regia', 11~i confmm_i sq9i_ e.d~glLaltrj.
Siamo dunque nell'universo descritto dalla problematica anglosassone della
'gestione della presentazione del sé' (i,mpression management) in larga misura
analizzato da Goffman, e su cui si trova già da vecchia data una riflessione in
antropologia37• Anche su questo punto tutte le scienze sociali, quali che siano
i loro dati, devono affrontare lo stesso problema.

Conclusione: plausibilità e validità

S<iiì:Q-·stati fatti molti tentativi contemporanei per definire le condizioni della


~qlid.itàih etnografia; tutti si inseriscono in un contesto in larga misura libe-
rato dalle posizioni positiviste un tempo dominanti38 • A titolo d'esempio si
possono citare i tre 'criteri' proposti da Sanjek: essi combinano a modo loro
vari elementi ricordati prima: 1) In che misura le teorizzazioni dell'ant.IQpo-
l9go si_ fondano sui dati di camp9 fornitLçgllle_ 'prove' 39 ? 2) Si_élrnQjI?,fat:rriati

37 Vedi il lavoro pionieristico di G.D. Berreman (1962).


38 Vedi M. Agar 1986; J. Spradley 1980; R. Sanjek 1991. Quanto a Passeron, egli parla di
"veridicità" Q.-C. Passeron 1994: 79).
39 È quella che Sanjek chiama "fieldwork evidence": "La relazione tra la prova delle anno-

tazioni fatte sul campo e le conclusioni etnografiche dovrebbe essere resa esplicita" (R. Sanjek
1991: 621).

57
VIVERE L'ETNOGRAFIA

st1l'perccmo ciel camp()', cioè suchi sono gli informatori e su corne_sonQ_§_tate


racç9_l_te_k_loro informazioni40 ? 3) Le dec;;isioni im~rpreJ~tive_çffettuate a mano
a mano sul_ campo sono esplicitate4 1?
Non sono poi così sicuro che si debba parlare di 'criteri', né che si possa de-
limitarli così. Ma che la preoccupazione per la validità dei dati - che è un altro
nome per indicare questa richiesta di rigore del 'qualitativo' di cui ho cercato
di precisare alcuni elementi - debba essere al centro del lavoro sul campo mi
sembra la condizione di ogni pretesa di plausibilità dell'antropologia. Sitratta
di_f.9_11çla_g: k~ffe:rrrg'.?io11,i it1terpret~t_iye ddl'aJ1trop9l9go sui daJi prodotti nel
corso clell;,i .ticerça <:: di g::1.rantire il più possibile la pertine11z~ _el'<!fficl_::i._bilità
diquesti dati. Ora, la plausibilità è in buona parte assicurata da quella che
potrebbe essere chiamata una 'presenza finale dei dati' nel prodotto scritto del
ricercatore, al di là del loro impiego come supporto interpretativo.
Certi dati saranno effettivamente utilizzati, allo stato più o meno 'grezzo'
o rielaborato, per fondare, argomentare o esemplificare le asserzioni del ricer-
catore all'interno stesso della trama narrativa e analitica conclusiva. Laddove
il sociologo che lavora a partire dai questionari 'posiziona' le sue tabelle e le
sue analisi fattoriali, l'antropologo 'posiziona' i suoi brani di colloqui, le sue
descrizioni, i suoi censimenti, i suoi studi di casi. Certo questi dati, estratti
dai corpus,· prelevati dai taccuini del campo, sono 'montati' (come si dice
delle immagini di un film), cioè selezionati, ritagliati, incollati, messi in sce-
na, in funzione dell'intenzione dimostrativa e narrativa del ricercatore 42 • Le
descrizioni sono riscritte, talvolta lungi dagli appunti stenografici dei taccuini
sul campo (e sono sovente sature di annotazioni interpretative, secondo la
'descrizione densa' di Geertz 1973). I colloqui sono presentati attraverso delle
citazioni relativamente brevi, sotto forma di traduzioni, e in modo alquanto
lontano dalle loro condizioni di enunciazione. Gli studi di casi sono riassunti,
impoveriti, talvolta concentrati in un caso standard, le loro molteplici fonti
sono ridotte e appiattite, la loro complessità semplificata. Eppure, malgrado

4° Ciò che egli chiama "portray of the ethnographer's path in conducting fieldwork" (ritratto
del percorso dell'etnografo nella conduzione del lavoro sul campo): "Un etnografo raggiunge una
maggiore validità quando identifica la gamma degli informatori incontrati, i tipi di informazione
che essi hanno fornito, i loro rapporti in termini di criteri sociali e culturali rispetto alla totalità
delle persone che abitano il luogo descritto dall'etnografo" (ibidem).
41 Ciò che egli chiama "ethnographic candour" (franchezza etnografica): "Un'etnografia ha

più validità quando è esplicita sulle decisioni teoriche che strutturano il lavoro sul campo, sia
quelle basate sulle teorie significative con cui arriva nell'ambiente di ricerca che sulle teorie di
significato che sono specifiche del campo e che emergono nella pratica etnografica" (ibidem).
42 Anche Marcus utilizza la metafora del montaggio (G. Marcus 1990: 2-12) ma in favore di
un'argomentazione "postmoderna" (che, come si sarà capito, non faccio mia), ponendo l'accento
sull'artificialità delle procedure narrative e la dissoluzione di ogni realismo. Non entrerò qui nel
dibattito, largamente alimentato da alcuni anni, sulla "scrittura" etnografica.

58
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

tutti questi limiti,_ 1~ presegz~ sin1g_lt_a,nea _dL cl_~_~_c::xt~Jgl}!1_çit~:ziori.i,._ççg§.i__!!lenti


e__ç::isi riflette sul prodotto antropologico 6.nale (rapporto, artic<>lo, libn>) _il
\~y~__ro empii:ic::9 _s_~\ _C~!!J:po, 11e garan~is_ce la validità e ne cori.sçmç J~__çritica.
Questa validità rinvia da una parte al 'patto etnografìco'43, che attesta per
il lettore che l'antropologo non si è inventato i discorsi di cui rende conto
e non si è sognato le descrizioni da lui proposte. Questo 'effetto _ di_realtà',
doy.u.tg _a,llarnobilitazione sekniv_a_dLd~tLp..rc:>doui s.u.Lç_ampo, non è soltanto
1-!11. proç~dimento _.r;etQtiço, T~stimonhJ_a1.whe dell'.!!mbJxlqnç_empiriç_;,i._dell 'an:-
t)."opologia .. Funge da, barrie_ra per sepa,rai:e_ l'jriçerpretaiione etn.Rl9g_~ç5Lem-
piric:a.rp.e11te fondat.t_ 4all 'f:J:tneneutica libt:rn, __çlaJJ~_§._peculazio!J.e_ filosofica o
d~lla saggistica. Nella fase della redazione si possono anche vedere tracce e
testimoni dei dati risultanti dalla fase del campo. Il lettore non viene soltanto
gratificato con modelli astratti, ma gli si procurano aiuti, supporti, esempi o
citazioni, che lo avvicinano in modo più sensibile all'universo di significato
descritto, gli offrono carne viva, forniscono un accesso alle parole impiegate
o alle scene vissute. Il ricorso a quelli che Geertz definisce "concetti vicini
all'esperienza" (Geertz 1986: 73), o a quelli che Glaser e Strauss chiamano
"concetti di sensibilizzazione" {sensitizing concepts) (Glaser e Strauss 1973: 38)
va nello stesso senso, anche se il termine di concetto sembra in questo caso
inappropriato.
In ogni caso si sarà compreso che non si tratta con ciò di ricercare una
purezza preinterpretativa dei dati, o di prelevare questi ultimi in una realtà
sociale esteriore. La ricerca sul campo n<>11 sfugge a,J yJ_n,c<>li _fielta_ c<>struzione
dell'ogg~~to çl_i _rice!~acomu11i a tuttele_sdenze_socia.,li. Allo_stesso_modo an-
c!i'essa_devepreoccuparsi di rompere con le evidenze del senso comune. Certo
bisognerà modificare un po' la nozione bachelardiana di frattura epistemo-
logica che a suo tempo fu importata nelle scienze sociali quasi senza modi-
fiche (Bourdieu, Chamboredon e Passeron 1968). Si dovrebbero distinguere
differenti livelli di discorsi e di rappresentazioni. Il ricercatore deve rompere
con i pregiudizi del proprio senso comune (che può essere quello della propria
parrocchia o quello in voga nell'intellighenzia), il quale non è condiviso da
tutti. E, in.: una sit4azio11e i11t~rcµltµra,1';, ~J'~~çe§.~Q ;J.l [çmg_çomune dei grup-
pt studiati a essere molto spesso ilmezz9 cieJla,_r9tçµrn, ç.p.isJ:erw~lo.gk:b..p.oiché
il _sens~ _c:Clpmne _di C:!!! ç9g-y_içr._iç__ giJfafa!e _~ __quello che proietta.,Jingli altri gli
s~ereotipi ciell'esotismo (Fassin 1990: 69; Olivier de S-ardan 1992}. sia esso un
esotismo_vicino o_un esotismo lontano.

43 Questo termine s'ispira al concetto di "patto autobiografico" proposto da P. Lejeune


1975. Inizialmente ho tentato di applicarlo al documentario etnologico {vedi J.-P. Olivier de
Sardan 1994).

59
VIVERE L'ETNOGRAFIA

In realtà la ricerca sul campo, nei paesi del Nord come nei pa,~~i_ del Sud.,
nel cuore delle culture occidep.tali come nel cuorç_ delle cult_ll~_Qon-occiden-
tali, in città come i11 campagna, rimane regolata dal prog~ttQ sci~_rrtifì_cQ.. di
descrivc::re, comprendere e comparare delle logiche d'azione e_diJ:aR12resent;,s.-
ziÒne - e i loro sistemi di vincoli - che non corrispondono alle norme ;;i_Qi_!uali
dell'universo del ricercatoi:~. Ciò induce a innumerevoli malintesi. Il saper
fare del ricercatore, così come l'abbiamo evocato, consiste in fondo nel non
soccombere a questi malintesi e nel riuscire a trasformare l'esotico o il pitto-
resco in qualcosa di banale o familiare. Si è cosl potuto dire che al termine
del suo campo il ricercatore doveva essere capace di agire come quelli che
studiava, se fosse stato al loro posto. "La comprensione può essere espressa in
vari modi. Un test classico a cui alcuni etnografi aspirano è che se si pensa di
capire X allora si dovrebbe essere capaci di agire come X. Per esempio, questo
scopo è rappresentato dalla definizione di Goodenough (1957) di "cultura" in
quanto conoscenza necessaria per comportarsi in modo appropriato" (Agar
1986: 54). Questo criterio di 'realizzazione' del campo etnografico è larga-
mente condiviso: "Credo di sentire abbastanza profondamente la verità delle
parole di Evans-Pritchard quando, in sostanza, si dice capace di ragionare con
la logica di quelli che studia" (Augé 1975: 315).
In buona parte la validità dei dati prodotti sul campo dipende da un "cri-
terio" del genere. Ma evidentemente neanche qu~sto è più formalizzabile,
oggettivabile e quantificabile dei dati che dovrebbe permettere di valutare.
Eppure le ricerche non sono tutte uguali, non tutti i dati sono validi in modo
uguale, non tutti gli enunciati descrittivi hanno la stessa veridicità e la plau-
sibilità delle asserzioni interpretative varia anche in funzione della qualità dei
riferimenti empirici su cui si fondano. È proprio per questo che è necessaria
una politica del campo.

Traduzione dal francese di Nadia Breda e Franca Trentin.

60
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia

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