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in "Enquete", n. 1, pp. 71-109, 1995. (Tutte le citazioni in inglese sono state tradotte in italiano
[NdT].
2 Vedi J.-C. Passeron (1991). Ringrazio per le loro osservazioni sulle diverse versioni pre-
cedenti di questo testo T. Bierschenk, J. Bouju, J. Boutier, V. Dorner, D. Fassin, J.-L. Fabiani,
Y. Jaffré, G. Lenclud, E. Paquot, M. Tidjani Alou.
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
3 È questa una denominazione frequente negli Stati Uniti (vedi, tra gli altri, J. Kirk e M.
Miller 1986; H. Schwartz e J. Jacobs 1979) che ha, evidentemente, i suoi inconvenienti, in parti-
colare quello di lasciar intendere che la sociologia "qualitativa" non si occuperebbe di grandezze
o di cifre, il che è falso (si vedano più avanti quelli che io ho chiamato "procedimenti di cen-
simento"). Per contro, chiamare "sociologia quantitativa" la sociologia per questionari significa
rischiare di far credere che questa non emetta né giudizi di valore né interpretazioni non quanti-
ficate e che non si basi anch'essa su dati al di fuori delle cifre.
4 Il campo diventa allora una "mistica" (O. Schwartz 1993: 270-271), o un "titolo di gloria"
(entitlement; vedi H. Schwartz e J. Jacobs 1979: 125). Si veda la critica a due esempi tra tanti in
J.-P. Olivier de Sardan (1988: 527-540). Non si può non sottoscrivere la seguente osservazione
lapidaria: «I soggetti delle etnografie, non lo si dovrebbe mai dimenticare, sono sempre molto più
interessanti dei loro autori» (Smith, citato in R. Sanjek 1991: 610).
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
5 A. Strauss (1987: 2) osserva che la forza della ricerca qualitativa risiede nel tener presente
i contesti, mentre la forza della ricerca quantitativa è di essere multivariata (multivariate) e com-
parativa su ampia scala (cross-comparative).
6 I manuali di "prima generazione" erano essenzialmente del tipo "inventario di domande",
legati all'approccio monografico classico: si trattava di non dimenticare nulla nella descrizione
sistematica di una cultura. È il caso dei celebri Notes and Queries, del 1874, regolarmente ag-
giornati e solo di recente abbandonati. Si nota chiaramente il ritardo francese nell'approccio sul
campo: il primo manuale fu pubblicato soltanto nel 1947, partendo da appunti presi prima della
guerra durante i corsi di Mauss, il quale non svolse mai attività sul campo (M. Mauss 1947). I
manuali di M. Griaule (1957) e di M. Maget (1962), di cui il secondo è nettamente superiore al
primo, appartengono a questa categoria degli inventari di domande. Ai nostri giorni non sono
quasi più utilizzabili.
Oggi compaiono negli Stati Uniti dei manuali di "seconda generazione", che si allontano dalla
monografia, rinunciano all'inventario e diffidano delle ricette, cercando soprattutto di fornire
un sostegno per l'acquisizione di un saper fare (si possono segnalare J. Spradley e D. McCurdy
1972; P. Pelto e G. Pelto 1978; M. Agar 1980; M. Agar 1986; J. Spradley 1979; J. Spradley 1980;
D. Silverman 1985). In Francia troviamo soltanto un tentativo già datato, non privo d'interesse
ma incompleto ed eteroclito, in bilico tra la descrizione di tecniche di inchieste specializzate,
i consigli utili o pii, e la presentazione di campi di ricerca (R. Cresswell e M. Godelier 1976).
Segnaliamo pertanto tre brevi testi pedagogici di Fassin (in D. Fassin e Y. Jaffré (a cura di) 1990:
68-86, 97-106, 107-125) e la riflessione approfondita di Schwartz, che sviluppa orientamenti
epistemogici e metodologici molto simili ai nostri (O. Schwartz 1993): ma è significativo che
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
questi articoli siano stati in qualche modo pubblicati di nascosto, uno in un libro che intendeva
presentare l'antropologia a del personale sanitario (D. Fassin e Y. Jaffré 1990) l'altro come postfa-
zione alla riedizione di un classico della Scuola di Chicago (N. Anderson 1993).
7 Si potrebbe considerare che la ricerca sul campo attiene ali' "analisi naturale" (Schatzman,
citato da A. Strauss 1987: 3), in un senso analogo a quello in cui si parla di "linguaggio naturale"
o, ancora, nel modo in cui si è potuto dire che le scienze sociali opererebbero secondo il registro
del "ragionamento naturale" (J.-C. Passeron 1991). La differenza con le analisi pragmatiche di
chiunque sia posto in condizioni analoghe non è di natura, ma di esperienza, di saper fare, di
riflessività e di controllo.
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
L'osservazione partecipante
Poco importa se l'espressione, spesso contestata, sia felice o meno 9 • Ciò che
essa connota è relativamente chiaro. A,ttrc1yer~Q__!!ll sgggiop1q_p.r21!1:P.gato pres-
_sCJ) _sg_gg~~ti 4Luna ricerca ~_.:m,r~v.~r_s_oJ~:i.p_pr:~_nqjm_çlltQ __ c:lç_lJ.~.liDgua locale
St':....9_1::!C::~!~_gli _è sconosciut~), l'.i.nqqpologq i.11 carne_ e qs~_;i si ~c::9g_tra con la
r<:altà cheintçnde studiare. La può così studiare, se non 'dall'interno' in senso
stretto, almeno il più vicino possibile a quelli che la vivono, e in interazione
permanente con essi. Possiamo scomporre analiticamente (e dunque artificial-
mente) questa situazione di b_as_e in due tipi di situazioni distinte: quelle che
rientrano nel campo del~o):l.èl (il ricercatore è testimone) e quelle che
rientrano nel campo delltliiterazion~drl ricercatore è coattore). Le situazioni
normali combinano secondo dosaggi diversi l'una e l'altra delle componenti.
In tutti i casi, le informazioni e le conoscenze acquisite possono essere sia
registrate più o meno sistematicamente dal ricercatore, sia restare informali o
latenti. ~eJ_~__Qsservazioni e le interazioni sono rçgistr_a_te, es§~ §.ÌJI~§form~p9 in
dati e corpus._Altrimenti esse giocano non di_meno un ruolo,cheèdell'orc,line
dell'impregnazione.
I dati e il corpus
Par~ic1mo daU'osser\Tazione~ -~~il ricerqt_!()re _si d~ dc1_fa,r:c::_J2~_r__moltielicare e or-
g~.Qi_zzare le _sue ()SSe_!ya,~iC>n~, ~P~t<::<?_!l_st:r~arl)é:_gac::cia il più a luf!gQ_ROssibilç.
8 Si troveranno diversi abbozzi di una "storia" della ricerca sul campo in antropologia (e
gica di osservazione partecipante sia stata coniata nel 1924 da un sociologo, Lindeman, legato
alla Scuola di Chicago (J. Kirk e M. Miller 1986: 76).
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
10 Goffman parla di strip (sequenza) per designare i "pezzi di reale" a cui l'analista si interes-
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
L'impregnazione
Il ricercatore sul campo o~serva e interagisce anche senza prestarvi troppa at-
tenzione, se11~:i élvereJ'i!llpressio11e__ di lavorare, e d_unque senza_ prendere ap-
E!:!:.I!!h_t!~_clura,11:_t_~Qé doRo'. NC>_Il_S_i§~nte.5-.er:r,.pr~ i._11 servizio, fort_1:!!_l.~tamente pe~
12 A questo proposito A. Richard ha parlato fin dal 1939 ~;;~~~ggi~ in azione'', speech-
in-action (R. Sanjek 1991: 212). Il ricorso sempre più massiccio a1 solt-c:olloqui o interviite, così
come certe esortazioni a una antropologia 'dialogica', che privilegi l'interazione verbale tra il
ricercatore e le popolazioni (J. Fabian 1983; J. Clifford e G. Markus (a cura di) 1986) fanno
talvolta dimenticare questa dimensione pertanto fondamentale dell'osservazione partecipante.
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
non occu_parsi del suo funzionamento~_Ma ciò che egH_(?_§Ser~a, vede, ascolta,
d_!!!~Q!e_ u~ soggior_ll() _~ul c:1111,p(), c_osì com~J~_pr_q_pri~_§_perienze nei ra1morti
._C:()~_gli :1lgi, tutto ciò-'~:11.tr_erà'. nella sciltol_a_ n~x_atp!ocJug~ -~kgli e/fçttUn, §~@
~J2 ~()__ tr1<':c:~aI1ismo di concettualizzaziol!e, a,n_alisi, intt1izione, i11terpretazio-
ne, pe_r poi 'y~çir~~in pirte dalla__smtola nei:a contr.ibue.n.d.o a strµgm:are le sue
i~terpn~tazioni, nel cor_~() del processo di rj,c:erca1 che_ sia durante_ il lavoro sul
c~mp()_, _nel corso dell'analisi del corpus o qua,ndo vien~ il 111otr1ent()_ d_isç_r_ive-
re. Qui sta tutta la differenza, particolarmente sensibile nei lavori descrittivi,
tra un ricercatore sul campo che ha di quello di cui parla una conoscenza
sensibile (per impregna~cc~:icercatore di biblioteca che lavora su dati
raccolti da altri. Quesd1-.,p_~~nan~èhe un ricercatore acquisisce del sistema
di senso del gruppo presso cm fat' mchiesta si acquisisce per una buona parte
in modo inconscio, come la lingua, attraverso la pratica.
I colloqui
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
Consulenza e racconto
In generale i colloqui oscillano tra due poli: la consulenza e il racconto. Colui
che talvolta chiamiamo 'informatore' è quindi ora un consulente, ora un nar-
ratore, spesso entrambe le cose.
I. Il colloquio verte qualche volta su referenti sociali_ o culturfilL$l!i__Qua-
_li sJ 'consulta' l'interlocutore. Invitato a dire dò che p~nsag__s:_onosce
rispetto a questo o queH'argomento, si suppone che egli rifletta alt11ç-
no parzialmente un sapere comune e condiviso con altri attori loc~-
l~i addirittura con l'insieme del gruppo sociale considerato. È la sua
Q_ç9Inpetenz;() sulla società locale o su uno dei segmenti di essa a essere
sollecitata. Questa comp~tenza non significa necessariamente che egli
sia considerato ur1C'.esperto) in seno alla società locale, e ancor meno che
si debba accettare il principio dell' 'informatore privilegiato', un grande
erudito su cui il ricercatore si baserèbbe per produrre un racconto 'col-
lettivo'. La nozione di 'consulente' qui rimanda a un registro specifico
di discorso nelle situazioni di colloquio, non a uno statuto particolare
dell'interlocutore. Allo stesso modo, la nozione di 'competenza' qui ri-
manda alla semplice capacità di questo interlocutore di aver qualcosa
da dire su un referente esteriore alla propria esperienza diretta e non
sottintende alcun giudizio di valore sul suo livello di sapere.
13 L'antropologia è spesso definita come "actor-oriented" (N. Long e A. Long (a cura di)
1992: 9). A questo riguardo essa mette in pratica la sociologia comprensiva che Weber invocava,
paradossalmente senza dotarsi di strumenti empirici. Ricordiamo l'introduzione di Malinowski
agli Argonauti: lo scopo finale dell'etnografo è "afferrare il punto di vista dell'indigeno, il suo
rapporto con la vita, di rendersi conto della sua visione del suo mondo" (corsivo dell'autore; B.
Malinowski [1922], infra p. 20).
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
14 Del resto, insistendo troppo sugli effetti di egemonia comunicativa indotti dall'intervi-
sta caratterizzata come modello occidentalocentrico, Briggs sottovaluta le capacità di reazione
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
degli intervistati (le loro risorse per resistere, sviare o contro-manipolare). Preferibile sarà l'at-
teggiamento misurato di Schwartz, che mette in guardia dagli eccessi massimalisti delle analisi
"critico-analitiche" sugli effetti della situazione della ricerca (O. Schwartz 1993: 276-277) e che
sottolinea il rischio di dissoluzione del referente: "se le 'cose dette' non sono delle informazioni
sul mondo direttamente vere [...] non per questo si deve diminuire il loro valore informativo
o cognitivo" (ibid.: 283-284). Si può anche dire che ogni colloquio sollecita almeno potenzial-
mente tre livelli strettamente collegati di decifrazione, nessuno dei quali deve essere trascurato
·malgrado la complessità della loro costante interconnessione: (a) informazioni sul mondo (su dei
'fatti'); (6) informazioni sul punto di vista dell'interlocutore sul mondo; (c) informazioni sulla
struttura comunicativa del colloquio.
15 Non è sempre stato così. Si sa per esempio che Griaule e altri etnologi coloniali usavano
logica! validity); A. Cicourel 1982: 11-20), in altre parole "il grado in cui le circostanze create
dalle procedure del ricercatore si combinano con quelle della realtà quotidiana dei soggetti"
(C. Briggs 1986: 24). Per questa ragione si consiglia spesso di iniziare i colloqui con una chiac-
chierata informale, o con delle domande dette "descrittive" che sollecitano l'interlocutore su un
registro di enunciazione che gli sia familiare o confacente. Spradley insiste in modo particolare
su questo tipo di domande descrittive (J. Spradley 1979: 81-83). Anch'egli mette in parallelo
conversazioni e colloqui etnografici, come due tipi simili di "speech event" di cui analizza somi-
glianze e differenze.
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
17 "Dal processo di interazione tra l'intervistatore e gli intervistati si vedono emergere do-
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
ry" (B. G. Glaser e A. Strauss 1973). A. Strauss (1987: 10) parla di "interpretazioni in successiva
evoluzione fatte nel corso dello studio".
19 Vedi ancora van Beek quando analizza i modi di rispondere dei Dogon (W. Van Beek 1991).
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
1979: 48-49). La 'realtà' che si deve accordare alle parole degli informatori è
~el significato che costoro ci mettono. Nello stesso tempo una indispensabile
attenzione critica mette in guardia il ricercatore dal prendere per oro colato
tutto ciò che gli viene detto. _Non si tratta di confondere i discorsi di qualcuno
_sµ una realtà_ con qqesta stessa realtà.
Ecco un vero dilemma. Come mettere insieme empatia e distanza, rispet-
to e diffidenza? Come per ogni dilemma, non vi è una soluzione radicale. È
senza dubbio, però, una buona politica di ricerca tentare di differire nel tempo
le due operazioni. Loperazione della presa sul serio imperturbabile precederà
quella del dubbio metodico: la prima è anzi una condizione di quest'ultima.
Durante il colloquio si dà credito alle affermazioni sul senso dell'interlocu-
tore: in effetti non si può accedere a questo senso se non prendendo sul serio
integralmente quello che viene detto. Il colloquio è dunque gestito partendo
da questo pregiudizio favorevole. Successivamente, la decifrazione critica, per-
fino sospettosa, verterà sul senso di questo senso, e sul rapporto di chi enuncia
con l'enunciato, con il referente e con il contesto.
Il colloquio e la durata
Linserimento del colloquio in una dimensione diacronica costituisce un'altra
forma di contrasto con la 'prospettiva del colloquio come miniera di informa-
zioni'. Un colloquio è, almeno potenzialmente, l'inizio di una serie di coU()qaj
e, glv~ aciò, cl.i una relazione (anche se, spesso, questa è senza esito). Un col-
loquio non è un incartamento chiuso ermeticamente, bensì una pratica aper-
ta, che si può sempre arricchire. Diversi colloqui con lo stesso interlocutore
sono un modo per avvicinarsi alla modalità della conversazione. Un colloquio
successivo permette spesso di sviluppare e commentare questioni sollevate in
occasione di un colloquio precedente. Inoltre, in ciascun nuovo colloquio con
lo stesso interlocutore, quest'ultimo riconosce all'intervistatore una maggiore
competenza: questo riconoscimento è per il ricercatore una carta vincente. In
effetti, più si ha la sensazione di avere a che fare con un estraneo incompeten-
te, più gli si possono raccontare storie (Bouju 1990: 161).
I procedimenti di censimento
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
un elenco di queste tecniche, nella misura in cui per diecimila problemi dif-
ferenti si dovrebbero ideare diecimila tecniche da costruire per conto proprio
(qui, la collocazione spaziale dei cooperatori in occasione di un'assemblea ge-
nerale; là, i tempi di lavoro giornalieri di una donna e di suo marito; o ancora
il diagramma delle relazioni di parentela in seno a un consiglio municipale, la
lista dei terapeuti consultati da ciascuno dei membri di un gruppo domestico
in tre mesi, i tempi di parola in una conversazione, ecc.).
l;itppggc11?,~a _di__ques_t() tipo dipr9duzione di dati 110n d_eve a~solutame_nte
essere sot_t_ovalutata: __c:osì_che s'impara_H 'mestiere' ed è impegnandosi nel~
i:_ic;_~!_ca _c:l__i_ct_::i._g._5:J:!1:pi!j_c:l .c.tYe.I:!ti un grado_ ragionevole_ di sistematici_tà e di _q~-
nizzazione che il ricercatore assume il distacco necessario ri§pe:t~()__-~i discor~i
(de.gli altri) e alle impre§§i~mi (le .e_r.gpr[~). È qui che la raccolta di dati 'emici'
(dati discorsivi che intendono dare accesso alle rappresentazioni autoctone de-
gli attori) si combina con la raccolta di dati 'etici' (dati costruiti con dispositivi
di osservazione o di misura).
Nell'antropologia anglosassone l'opposizione emicletic generalmente assu-
me la forma di un'opposizione tra 'categorie indigene di pensiero/categorie
di pensiero dell'etnologo' ovvero 'rappresentazioni autoctone/interpretazioni
degli studiosi'. A me sembra, però, preferibile servirsene per mettere in oppo-
sizione due tipi di dati (dati derivanti da enunciati indigeni / dati derivanti da
procedimenti di censimento), essendo l'interpretazione tutto un altro tipo di
operazione, che si esercita su e attraverso dati sia emici che etici.
I procedimenti di censimento offrono diversi vantaggi. Talvolta fornisco-
no cifre, anche se non si tratta necessariamente di percentuali o campiona-
ture20. Dunque non si tratta più di 'qualitativo', ma di un certo 'quantitativo'
intensivo su piccoli insiemi. I procedimenti di censimento permettono anche,
se ben pensati, di fungere da indicatori per i quali l'indagine non modifica,
se non in modo trascurabile, i dati prodotti (unobstrusive measures) (Schwartz
e Jacobs 1979: 75).
I procedimenti di censimento non sono altro che i dispositivi_d'osserva_,-
Z_!<?.Qe 9 dJ J:Dlsura,?}()r:ie..c:h~J'.?:11tr.opgJ<>go si fabbrica s_ul campq, se necessario,
e a modo suo, cioè calibrandoli in funzione della problematica di ricerca del
momento (sempre in evoluzione), delle domande (continuamente rinnovate) e
della sua conoscenza del campo (relativamente cumulativa). Se certi procedi-
menti di censimento sono ormai standardizzati (come per esempio i diagram-
mi di parentela o le planimetrie), è nella misura in cui essi sono legati a certi
20 "La ricerca qualitativa comporta un'implicazione nelle attività sul campo. Non comporta
un'implicazione nella innumerabilità" (J. Kirk e M. Miller 1986: 10). Becker ricorda l'utilità di
quelle che chiama "quasi-statistiche": "cifre campionate ed enumerate in modo impreciso" (H.
Becker 1970: 81).
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
Le fonti scritte
Non devono essere dimenticate o sminuite, per quanto siano più classiche e
non specifiche della ricerca sul campo. Dobbiamo così evocarle, per ricordar-
le, senza dilungarci.
Alcune di queste fonti sono raccolte in parte prima della ricerca sul campo
(come la letteratura scientifica sull'ambito considerato - antropologia, storia,
ecc. - e la letteratura 'grigi~pporth_-i1;al?tazioni, perizie, ec. c. - ) e in questo
caso permettono una 'fa~azion_i,,~,_Ql~glio, l'elab<?!~zione di ipotesi
esplorative e di domande particolarC-.Altre so1}9j11sçindjbili_ d;illa ricerca_sul
campo,_e_sono a esse.integrate, (come le produzioni scritte degli attori - qua-
derni di scuola, lettere, diari personali, volantini, ecc. -, gli archivi locali, la
stampa locale). Alt~e, infine, po~s.011() _c:ogitt1ire c9-i:pµs_ ;iµt9n.qmj_,__ distinti e
compkr_nentari a quelli prodgtJLdalla ricerca sul camvo (stampa, archivi).
La frequente - e abusiva - assimilazione dell'antropologia allo studio delle
'società senza scrittura', così come il fatto che la ricerca sul campo trascrive dei
dati per la maggior parte di origine orale, fanno spesso dimenticare che non
vi sono società sulle quali non si sia scritto e non vi sono più società in cui la
scrittura non giochi alcun ruolo. Quindi _le fo11_ti sçfitte S.Q!1-9 ...RçrJ~.iU!tJQ].2Qill-
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
23 Altri hanno già sottolineato questo aspetto: H. Becker 1970: 32, 56 e 57; P. Pelta e G.
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
24 J.-P. Briand e J.-M. Chapoulié (1991) vi riconoscono una peculiarità della sociologia
francese, meno portata rispetto alla sociologia americana a praticare l'osservazione. Ma Sanjek
rileva questa tendenza nell'antropologia urbana anglosassone, di cui deplora il suo essere troppo
"interview-based" (R. Sanjek 1991: 247).
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
La triangolazione
La triangolazione è il principio di base di ogni inchiesta, che sia_poliziesca o
etnografica: le informazioni devono avere dei riscontri! Ogni informatione
prqvenie11te da un'unica persona è da verificare: questo vale per un alibi comç
per una rappresentazione rituale_. Ciò sembra appartenere al buon senso e gli
storici hanno da molto tempo messo in atto questo principio. Esiste tuttavia
una certa tradizione etnologica che talvolta va contro il buon senso, facendo
di un solo individuo il depositario del sapere di tutta una società.
Con la triangolazione semplice il ricercatore fa un confronto incrociato tra
gli informatori, per non essere prigioniero di un'unica fonte. Ma si potrebbe
parlare di triangolazione complessa, dal momento in cui si tenta di analizzare
la scelta di tali molteplici informatori. La triangolazione complessa intende far.
variare gli informatori in funzione del loro rapporto con il problema trattato.
Vuole incrociare i punti di vista quando ritiene che la loro differenza produca
sen~'?.· Quindi non si tratta più di 'confermare' o di 'verificare' delle infor-
mazioni per arrivare a una 'versione veritiera', quanto piuttosto di ricercare
dei discorsi in contrasto, di rendere l'eterogeneità delle a_rgomentazioni un
oggetto di studio, di basarsi sulle variazioni piuttosto che volerle cancellare o
appiattire, in una parola di costruire una strategia di studio sulla ricerca delle
differenze significative.
25 B.G. Glaser e A.L. Strauss (1973: 152) fanno notare che i 'case studies' possono limìtarsi
ad esemplificare delle teorie generali preesistenti cosl come possono generare nuove teorie.
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
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VIVERE L'ETNOGRAFIA
L'iterazione
La ricerca sul campo pr()_c:~<ie pei:_it_eraz_i<;_>p.eLc:i()è P~! -~11_qate ei;itorni, va e
vieni. Si potrebbe parlare di iterazione concreta (l'inchiesta procede il!.!!1.2.9-9
non lineare tra gli informatori e Je informazioni), o di iterazione astratta. {w.
prodm:ione di dati modifica la problematica che modifica la produz.iqne di
da,!ic:he modifi:ca_la px9blematig).
Nella sua forma più semplice e concreta, l'iterazione ricorda i va e vieni di
un ricercatore sul campo. Infatti, a differenza di un ricercatore 'da questio-
nari', che comincia da un capo della strada o dell'elenco telefonico per finire
nell'altro, il ricercatore va da X, che gli dice di andare da Y dall'altra parte del
villaggio o della città, poi ritorna da Z che abita vicino a X. Il fatto è che i suoi
i11terlocutori non sono scelti in anticipo con un metodo di _selezione (statisti-
ca, per probabilità), ma prendono posto secondo un contint10 compr.9m~sso
tra,) piani del ricercatore, le disponibilità dei suoi interlocuçor.i, le occasioni
che si presentano, i canali di parentela o di amicizia già costituiti, e qualche
aJga, __va,riabile, Così la scelta degli interlocutori si opera in buona parte per
'ramificazioni' o 'arborescenza': da ogni colloquio nascono nuove piste, nuo-
vi interlocutori possibili, suggeriti direttamente o indirettamente nel corso
del colloquio. La dinamica dell'inchiesta crea così il proprio cammino, in
partenza largamente imprevedibile, illegittimo per un intervistatore dell'IN-
SEE26, ma dove si riflettono le reti 'reali' dell'ambiente studiato. Le persone
della ricerca sul campo non sono persone astratte dalle loro condizioni con-
crete di esistenza, dalle loro affiliazioni personali, familiari o clientelari, dai
loro modi di sociabilità (a differenza delle persone dell'inchiesta su campioni,
che per definizione e per necessità sono rappresentative di variabili astratte
e standardizzate). La ricerca sul campo si adegua dunque ai diversi circuiti
sociali locali, alla loro complessità, ai loro intrecci, alle loro distorsioni. Non
ha niente di lineare.
L'iterazione è, però, anche, in un senso più astratto, un va e vieni tra
problematica e dati, interpretazione e risultati. Qgni __r::_olloquio, og_~i_~~~
vazio11e,_ggni interazione sono aJt~~tt~nt_~_ occasioni di trovare nt1()v:e piste di
ricerca! dj mCl4i_.fìc;u~ ip_ot~si,__<li el~~or:g_!!~nùov:~- Durante tutto il soggiorno
sul campo il ricercatore interpreta senza interruzione, nel corso degli incontri,
delle osservazioni e dei colloqui, benché più in forma latente che esplicita. La
fase della produzione di dati può così essere analizzata come un'incessante
ristrutturazione della problematica quando viene in contatto con essi, e come
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La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
L'esplicitazione interpretativa
Questo punto è legato al precedente. Effettivamente il_[auo che le interpreta-
. ~ioni e le rifor_giulazio11i clell'()ggetto.di ricerca si9perino dttr_a_nteJ~ pr_pduzio-
.ne dei dati sfocia spesso ig _una c:ontradg.izign~ 9j_!lJJll..{2~E!.dosso. Il campo
prolungato, essendo fatto di processi incessanti di retroazioni tra produzione
di dati e interpretazioni, risposte e domande, presuppone una verbalizzazione
continua, una concettualizzazione continua, un'autovalutazione continua, un
dialogo intellettuale continuo. Ma l'inserimento prolungato comporta piut-
tosto un lavoro solitario, di cui il meno che si possa dire è che non favorisce
affatto la verbalizzazione, la concettualizzazione, l'autovalutazione o il dia-
logo intellettuale. Il ricercatore deve dialogare con se stesso, ma tale dialogo
rimane in larga misura virtuale, incompiuto, implicito.
U_diario del campo gioca un ruolo a questo proposit<>Lpqmettet!_do di
'fare il Qlll!çc/ regolarmente e. di ovviare alla mancanza di dialogo sde11tHìçg
n_<tl_~Clrso di u11.'inchj~s~_a che ~::gll_!~!D._q.t!d9 rend~jndi_~pensabile. Certamente
il diario di campo ha altre funzioni possibili, più spesso evidenziate. Così,
talvolta, è la fonte di uno specifico prodotto finito (da I:Africa fantasma o da
Tristi tropici alle Lance del crepuscolo), ma è anche, durante la fase stessa del
campo, un supporto dei processi d'interpretazioni legati alla produzione dei
dati e un metodo di esplicitazione solitaria. Generalmente tale funzione viene
ignorata, nonostante il ruolo strategico che riveste nel corso di tutta l'inchie-
sta. Essa può anche essere assicurata dalla redazione continua di schede in-
terpretative. È l'operazione che Strauss chiama memoinlf8 , a cuiegHass~gm,
<forante la fase del campo, un ruolo centrale, accanto alla produzion~_ c:U. dati
(dt!Jt! collectio_n)_ _all_a, loro. codific_~zi_one (coding).
La verbalizzazione può pure essere assicurata dal dialogo con un 'assistente
di ricerca', in generale una persona istruita proveniente dall'ambiente locale,
che instaura una collaborazione di lunga durata con il ricercatore, iniziandosi
un po' alla volta al suo metodo e alle sue domande. Naturalmente anche l'as-
sistente di ricerca è fonte di fattori di disturbo (Rabinow [1977] 1988). Può
tuttavia costituire un aiuto prezioso nella 'traduzione semiologica' (cioè nel
passaggio tra il sistema di senso locale e il sistema di senso del ricercatore),
27 Baldamus (citato da H. Seur 1992: 137) parla cosl di "doppio adattamento reciproco"
(reciprocai double jitting) e a sostegno di questo concetto evoca l'immagine di un falegname che
riparerebbe una porta piallando alternativamente la cornice e la porta.
28 "Scrittura in cui il ricercatore riporta domande teoriche, ipotesi, riassunti di codici, ecc."
49
VIVERE L'ETNOGRAFIA
La saturazione
E allora, quand'è che si può metter fine alla fase del campo? Quest'ultima non
include nei suoi dispositivi un segnale di 'fine', contrariamente all'inchiesta su
campione. Di fatto ci si accorge ab(J.:a.sta1-1._z~_.P.!~§tç> qu:a.ndo, su un prnblema,
decresce la produttivitàclelle osserv~z~~~~A_ei C()_lloqui. A ogni nuova seque,Q-
za, _a ognJ nuovo colloquio, si ottengono sempre meno informazioni nuove. A
questo punto uno ha più o meno 'fatto il giro' delle rappresentazioni per un
dato ambito d'indagine, o ha percorso il ventaglio delle strategie relative a una
particolare arena. La durata di questo processo dipende evidentemente dalle
proprietà empiriche di questo ambito o di questa arena, cioè dalle caratteristi-
che del tema di ricerca che il ricercatore si è dato in questa società locale.
50
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
51
VIVERE L'ETNOGRAFIA
52
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
perturbazioni, elementi perturbanti" per sottolineare l'effetto di distorsione che possono produr-
re sulla ricerca tali particolari prospettive [NdC].
53
VIVERE L'ETNOGRAFIA
L'"incliccaggio " 32
l.:inserimento del ricercatore in unasocietà _f!Q.D- si fa_ rnélJ con lél società nel
suo insieme, ma attraverso dei gruppi particolari. Si inserisce in cc;:rte reti e
non in altre. Questo effetto e_erturbante .è. tanto temibile_ quanto inevita_gile.
Il ricercatore può sempre essere assimilato, spesso suo malgrado, ma talvolta
con la sua complicità, a una 'clique' o una 'fazione' locale, il che comporta due
inconvenienti. Da un lato il rischio di diventare troppo la voce della 'clique'
d'adozione e di riprenderne i punti di vista, dall'altro il pericolo di vedersi
chiudere la porta in faccia dalle altre 'cliques' locali. L''incliccaggio', sia essa
per scelta dell'antropologo, per sua inavvertenza, o per una strategia della cli-
que in questione, è sicuramente uno dei principali problemi della ricerca sul
campo. Il fatto stesso che in un dato spazio sociale gli attori locali siano in
larga misura legati tra di loro sotto forma di reti fa sì che, per produrre i suoi
dati, l'antropologo sul campo dipenda necessariamente da tali reti. Egli diven-
ta facilmente prigioniero dell'una o dell'altra. Il ricorso a un interprete, che è
sempre anche un 'informatore privilegiato', introduce delle forme particolari
di 'incliccaggio': il ricercatore dipende allora dalle affinità e ostilità proprie al
suo interprete, così come dalle appartenenze o dagli ostracismi a cui lo espone
lo statuto di quest'ultimo33 •
32 "Il termine deriva da clique che, in base a una definizione stretta nella teoria dei social
networks, si riferisce a 'un insieme di individui in cui ogni membro è legato positivamente a ogni
altro membro' [... ] Essa, insomma, rimanda a gruppi di persone fortemente interattive. In ita-
liano si dice spesso che quel tale fa parte di quel 'giro' " (L. Piasere, L'etnografo imperfetto, Roma
e Bari, 2002, p. 162) [NdC].
33 Vedi l'esempio molto chiaramente analizzato in Berreman 1962.
34 Un bilancio delle controversie di questo genere si trova in M. Shipman 1988. Ricordo
inoltre il già citato articolo di van Beek su Griaule (1991).
54
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
su uno stesso campo, non sempre assume delle forme così contrapposte. Può
rientrare nella complementarietà e talora perfino nella convergenza.
La seconda soluzione è _fornjre: un 3cccesso_ ~lm~110 rçJ~tiy.9._alle proprie
fo1:1ti, ai corpus prodotti o a campiçni_ cii_qt1i=gi_ç_Q!]2U§1__ aJfip,e._d.i_<)._!,!!orizzare
successive reinterpretaziot!_.L_ da parte di aJtri. Una forma minimale è quella di
permettere al lettore di rendersi conto il più possibile di chi parla in ciascuna
fase del testo etnografico, dando a ciascuno ciò che è suo, al fine di discolparsi
il più possibile dal "sospetto di intuizionismo" (Schwartz 1993: 284) ,9 dal-
l'accusa di voler imporre un certo senso. Le interpretazioni dell'antropologo
non devono essere confuse con le parole dei suoi informatori, le fonti delle
descrizioni devono essere identificate, lo stile indiretto non deve celare amal-
gami e concatenazioni degli enunciatori reali: l'esemplificazione e l'attribuzio-
ne dei discorsi sono allora l'espressione di una necessaria prudenza scientifica.
Ricordiamo Malinowski: "lo ritengo che siano di indubbio valore scientifico
solo quelle fonti etnografiche in cui possiamo tracciare una linea fra i risultati
dell'osservazione diretta e le affermazioni e le interpretazioni degli indigeni,
da una parte, e le deduzioni dell'autore [... ] dall'altro" (Malinowski [1922],
infra p. 3).
Certo un tale vincolo è più facile da proclamare che da applicare, e non vi
è antropologo o sociologo che non contravvenga a questa regola. Del resto è
diventato un esercizio di stile epistemologico quello di rileggere e analizzare i
classici dell'antropologia per sottolineare l'ambiguità dei procedimenti narra-
tivi utilizzati, in particolare lo stile indiretto che non permette di identificare
l'enunciatore di ciascun enunciato (Borel 1990; Geertz 1988): Ma nessuno,
neanche i critici che vigilano sulle approssimazioni degli altri, può sfuggi-
re totalmente a questi aloni di nebulosità. L'attribuzione dei discorsi 'il più
possibile' e la precisazione delle condizioni di raccolta delle informazioni (sia
colloqui che osservazioni) sono delle garanzie relative e non assolute 35 • È il
motivo per cui è ancora più indi~pensahile darsi. delle regole _e nonsLpossono
rn;m ~ot,tosc::rivere.i._4t1e_'pr1nc::ìpf.Ai_~Pt.?:dle,:y: il_prjn,çJeJg di identificazione dei
di$S,Q!§i (language identification principle) e JLR.!!!lç!_R!Q,9-.e.U~çit_~_z;ione testuale
(verbatim principle) (J. Spradley 1979: 71-73) 36 •
35 Pelto chiama "operationalism" questa necessaria esplicitazione dei dati particolari su cui si
fondano gli enunciati antropologici: "Una stretta resa operativa di tutte le osservazioni sul cam-
po sarebbe quasi impossibile da raggiungere [...]. Il bisogno di rendere operativo un costrutto
descrittivo nella ricerca dipende dal livello di uso di particolari tipi di informazione" (P. Pelto e
G. Pelto 1978: 44).
36 Segnaliamo del resto che questa garanzia deve essere applicata fin dal taccuino sul campo,
con l'uso di convenzioni (virgolette, parentesi, ecc.) che permettono di distinguere tra citazioni
di informatori (essendo questi ultimi sempre identificati), riassunti di discorsi di informatori e
descrizioni o percezioni del ricercatore. Qualcuno ha perfino proposto delle convenzioni stan-
55
VIVERE L'ETNOGRAFIA
Rappresentazioni e rappresentatività .. .
Parlare indebitamel1te il linguaggio della M.pp!,e_~et1E~_!Jyjt~ è lll1 altr9_p_ossibile
fattore di disturbo. Succede quando le testimonianze di alcune p_ernme sono
presentate come sedflettessero 'µna cultura,\_~!;;t_essa la cultur3:._çli una classe
sociale (cultura operaia, cultura popolare) qpp.Yr.(':Ja cultma di ug_p_Qp.illQ_
~4Luna 'etnia'. !,.a__riçerca sul campo parla più frequenteme11~~ . Hi.r,app.r~
~entazi~.o.di _pf~tich,<::,_ non dell;;t .i-ap2r.~~~11!ativ~t~. delle I"appr.~~_e:ntazioni. o
~piaticlie. Permette di descrivere lo spazio delle rappresentazioni o delle
pratiche correnti o prevalenti in un dato gruppo sociale, senza possibilità di
fare affermazioni sulla loro distribuzione statistica, anche se il ricorso a dei
procedimenti di censimento consente talvolta di produrre dei dati esaustivi
e/o numerici. Non si deve far dire all'inchiesta sul campo più di quanto essa
possa dire. Così, essa potrà proporre una descrizione delle principali rappre-
sentazioni che i principali gruppi di attori locali si fanno a proposito di un
dato 'problema', né più né meno. Così, analogamente, permetterà di descrive-
re lo spazio delle diverse logiche d'azione o delle diverse strategie messe in atto
in un dato contesto, né più né meno. Non dirà nulla della rappresentatività
quantificata di queste rappresentazioni o di queste strategie, salvo fare appello
a un'altra configurazione metodologica.
dard per prendere gli appunti (vedi J. Kirk e M. Miller 1986: 57). Del resto, quando la ricerca è
stata condotta in un'altra lingua, la pubblicazione, in appendice o nelle note, delle trascrizioni in
lingua vernacolare delle citazioni utilizzate è un'esigenza metodologica troppo spesso disattesa.
56
La politica del campo. Sulla produzione di dari in antropologia
nel narcisismo. Si tratta all'occorrenza non solo di esplicitare 'da dove si parla',
ma anche 'da dove si sono prodotti i dati', e come, nè più né meno. IlJ~voro
in squadra, anch'esso già menzionato, trova qui un altro dei §tJ,oi vantagg!!. La
collaborazione e la complementarietà valgono anche come contr9llo recip_ro-
ço delle soggettività. Questo controllo resta certamente relativo, ma non per
questo è trascurabile.
Si potrebbero sollevare numerosi altri problemi. La 'questione della sog-
gettività' è troppo complessa per poter essere trattata qui in modo sistem~fico.
Mi accontenterò di segnalare i due seguenti problemi contigui.
Primo problema contiguo, quello delle incessanti pressioni degli stereotipi
e delle ideologie sullo sguardo dell'antrotologo. L'antropologo non è affatto il
solo a essere sottoposto a tali pressioni. E il destino d_i tutte le_~çk_t_g,e sociali
eh~,. clalla costruzione del tema di ricerç~ fino ai molteplici_J~y~!!Ldi interpg-
ta.z,Jo.vJd..él _e.~s_e messe iQ_ <1-tto, sono conti11u:111J~11te minacciate_ d:i m_isio.t~r_pre-
tazioni. e sovrainterpretazioni.
Il secondo problema contiguo, anch'esso senza soluzione definitiva ma
negoziabile nella pratica, è che tutti quelli con cui l'antropologo entra in)n-
terazi9µe, dall'interlocutore c;isuale all' inform:irore priviJegiatp, __ effem1a.n..o
P.t1re loro delle continue operazioni_ di 'regia', 11~i confmm_i sq9i_ e.d~glLaltrj.
Siamo dunque nell'universo descritto dalla problematica anglosassone della
'gestione della presentazione del sé' (i,mpression management) in larga misura
analizzato da Goffman, e su cui si trova già da vecchia data una riflessione in
antropologia37• Anche su questo punto tutte le scienze sociali, quali che siano
i loro dati, devono affrontare lo stesso problema.
tazioni fatte sul campo e le conclusioni etnografiche dovrebbe essere resa esplicita" (R. Sanjek
1991: 621).
57
VIVERE L'ETNOGRAFIA
4° Ciò che egli chiama "portray of the ethnographer's path in conducting fieldwork" (ritratto
del percorso dell'etnografo nella conduzione del lavoro sul campo): "Un etnografo raggiunge una
maggiore validità quando identifica la gamma degli informatori incontrati, i tipi di informazione
che essi hanno fornito, i loro rapporti in termini di criteri sociali e culturali rispetto alla totalità
delle persone che abitano il luogo descritto dall'etnografo" (ibidem).
41 Ciò che egli chiama "ethnographic candour" (franchezza etnografica): "Un'etnografia ha
più validità quando è esplicita sulle decisioni teoriche che strutturano il lavoro sul campo, sia
quelle basate sulle teorie significative con cui arriva nell'ambiente di ricerca che sulle teorie di
significato che sono specifiche del campo e che emergono nella pratica etnografica" (ibidem).
42 Anche Marcus utilizza la metafora del montaggio (G. Marcus 1990: 2-12) ma in favore di
un'argomentazione "postmoderna" (che, come si sarà capito, non faccio mia), ponendo l'accento
sull'artificialità delle procedure narrative e la dissoluzione di ogni realismo. Non entrerò qui nel
dibattito, largamente alimentato da alcuni anni, sulla "scrittura" etnografica.
58
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
59
VIVERE L'ETNOGRAFIA
In realtà la ricerca sul campo, nei paesi del Nord come nei pa,~~i_ del Sud.,
nel cuore delle culture occidep.tali come nel cuorç_ delle cult_ll~_Qon-occiden-
tali, in città come i11 campagna, rimane regolata dal prog~ttQ sci~_rrtifì_cQ.. di
descrivc::re, comprendere e comparare delle logiche d'azione e_diJ:aR12resent;,s.-
ziÒne - e i loro sistemi di vincoli - che non corrispondono alle norme ;;i_Qi_!uali
dell'universo del ricercatoi:~. Ciò induce a innumerevoli malintesi. Il saper
fare del ricercatore, così come l'abbiamo evocato, consiste in fondo nel non
soccombere a questi malintesi e nel riuscire a trasformare l'esotico o il pitto-
resco in qualcosa di banale o familiare. Si è cosl potuto dire che al termine
del suo campo il ricercatore doveva essere capace di agire come quelli che
studiava, se fosse stato al loro posto. "La comprensione può essere espressa in
vari modi. Un test classico a cui alcuni etnografi aspirano è che se si pensa di
capire X allora si dovrebbe essere capaci di agire come X. Per esempio, questo
scopo è rappresentato dalla definizione di Goodenough (1957) di "cultura" in
quanto conoscenza necessaria per comportarsi in modo appropriato" (Agar
1986: 54). Questo criterio di 'realizzazione' del campo etnografico è larga-
mente condiviso: "Credo di sentire abbastanza profondamente la verità delle
parole di Evans-Pritchard quando, in sostanza, si dice capace di ragionare con
la logica di quelli che studia" (Augé 1975: 315).
In buona parte la validità dei dati prodotti sul campo dipende da un "cri-
terio" del genere. Ma evidentemente neanche qu~sto è più formalizzabile,
oggettivabile e quantificabile dei dati che dovrebbe permettere di valutare.
Eppure le ricerche non sono tutte uguali, non tutti i dati sono validi in modo
uguale, non tutti gli enunciati descrittivi hanno la stessa veridicità e la plau-
sibilità delle asserzioni interpretative varia anche in funzione della qualità dei
riferimenti empirici su cui si fondano. È proprio per questo che è necessaria
una politica del campo.
60
La politica del campo. Sulla produzione di dati in antropologia
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