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3. STATUTI
Questa sezione è una riflessione sullo statuto conoscitivo delle storie di vita nella ricerca antropologica.
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La demologia italiana non ha mai avuto una tradizione empirica e un orizzonte di monografie centrate su
descrizioni obiettive di un gruppo, un villaggio o un popolo. Anche a causa del provincialismo, in Italia si è
rinunciato al tentativo di fornire teorie e leggi generali, dando sempre rilievo all’autonomia del documento,
a differenza della visione totalizzante e realistica che si è largamente diffusa in Europa.
Questa rinuncia le ha consentito di salvarsi dalla crisi di cui parlava Geertz, nonostante sia ancora
notevolmente attardata e deludente.
Geertz concepisce l’antropologo come un “uomo nudo”, armato solo delle sue capacità di vedere,
elaborare mentalmente e scrivere nel carnet. Sulla scia di questa considerazione si pone anche il suo
rifiuto verso l’uso di tecnologie di riproduzione, considerate fuorvianti.
Per Clemente, questo modello è poco efficace per comprendere la diversità culturale.
Andando “oltre il pensiero di Geertz”, che in linea di massima condivide, Clemente propone un’innovazione
tecnica e metodologica in campo antropologico che includa anche FONTI ORALI e DOCUMENTI VISIVI.
Solo ascoltando la voce della gente comune si può aprire la conoscenza allo studio delle diversità.
4. INTERPRETAZIONI
Le STORIE DI VITA sono indispensabili per capire le culture e, quindi, l’antropologia: aiutano a vedere la
cultura come qualcosa di dinamico, aperto, in cui l’individuo ha un ruolo diversificante.
Le storie di vita (Egidio Mileo) non solo arricchiscono il punto di vista dello studioso nei confronti della
società analizzata, ma esercitano a sviluppare quella che Clemente definisce “IMMAGINAZIONE MORALE”:
tramite esse, infatti, l’Io del lettore è stimolato a compiere un salto immaginativo e di immedesimazione
all’interno della realtà narrativa. Così facendo, è in grado di “decodificare dal basso” gli orizzonti di vita
vissuta, estraniandosi dalle ricostruzioni storico-sociali (“analisi dall’alto”) del contesto in questione. Nel
guardare l’altro, nell’entrare nella sua intimità soggettiva, il lettore si guarda e si sente guardato,
oggettivato: riscopre sé stesso specchiandosi nell’altro.
In questo consiste lo spirito della moderna ANTROPOLOGIA RIFLESSIVA. Le storie di vita permettono di
«vedere una cultura dall’interno di una vita, e una vita dall’interno di una cultura».
Chiaramente, l’utilità di una storia di vita non prescinde dalla conoscenza approfondita del contesto (storia,
politica, società): per ovviare a ciò si ricorre alla CONTESTUALIZZAZIONE, ovvero all’inserimento di
avvertenze, informazioni e consigli su come affrontare il testo. Questa operazione, atta a creare vere e
proprie “cornici interpretative”, è importante per comprendere il testo ed evitare fraintendimenti.
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Nella scrittura biografica di Delia si può comprendere l’intersecarsi tra militanza politica e lotte contadine
nel mondo colonico del dopoguerra: un contesto vissuto “dall’interno”, con il sentimento vivo della dignità,
della difficoltà nel ricostruire la vita quotidiana, della precarietà e della solidarietà.
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arrende allo scorrere del tempo. V’è quindi un senso di sdoppiamento, un poter guardare sé stessi come
oggetto, che è alla base dell’atteggiamento riflessivo che rende possibile scrivere la propria storia.
Prendendo spunto da questa novella, nel film Kaos i fratelli Taviani raccontano di un figlio che torna in
pellegrinaggio sui luoghi della madre, immergendosi un una nostalgia dei ricordi della madre bambina
(ormai morta). Nel film, la madre invita a «guardare le cose con gli occhi di quelli che non le vedono più»: il
ricordo è l’unica arma a nostra disposizione contro la dissipazione delle vite e la conseguenze interruzione
del dialogo intergenerazionale.
Maurizio Bettini, trattando di mondo romano, tratta della GESTIONE CULTURALE DELLA TEMPORALITÀ
attraverso la lingua e, con essa, attraverso la cultura. Nel suo viaggio nel tempo dei romani, connette
l’importanza culturale del “davanti” (corpo, cerimonie, potere) alla spazializzazione del tempo nel senso
“dietro=passato” e “davanti=futuro”. Questa operazione è una segnalazione dell’importanza del futuro
rispetto al passato: l’espressione “il passato di fronte agli occhi” interessa molto la postura del ricordante, il
quale, avendo il passato davanti agli occhi, deve aver prima compiuto una torsione, giacché esso sta
dietro le spalle (proprio per quell’eredita che Bettini ha segnalato).