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Allegato

a.s. 2007/2008
corsista: Alessandro Botta
elaborato relativo a:

EUROPA E INTERCULTURA.
Dimensione europea - Conoscere la cittadinanza e le culture europee.
Stereotipo e sociotipo, di G. Serragiotto.

PRESENTAZIONE DELLA ATTIVITÀ

Proposta

La conoscenza non diretta della cultura, fondata solamente sul sentito dire, dà adito a stereotipi, opinioni
concepite irrazionalmente e scarsamente suscettibili di modifiche, che impediscono una valutazione
obiettiva. Le opinioni possono essere positive o negative, e ognuno di noi ha sicuramente in serbo una
scorta di luoghi comuni per avvalorare questa affermazione. Molte volte capita che non conoscendo le
altre culture direttamente, ci fidiamo di modi di dire che provengono dagli altri senza averli verificati.
Questa tendenza a generalizzare porta ad un appiattimento della realtà ed in casi estremi può arrivare al
pregiudizio o addirittura ad una forma di razzismo.
Nemmeno l'atteggiamento opposto ovviamente significa semplice accettazione in toto dei comportamenti
delle altre culture. Si deve comunque affrontare uno studio sistematico delle differenze, viste non come
qualcosa di diverso che può spaventare, ma come proposte per diverse letture degli stessi problemi.
Un percorso guidato di riflessione pertanto porta a muoversi in modo ragionato e consapevole nel quadro
contestuale in cui si iscrive il caso ed eventualmente ad applicare le soluzioni adottate ad altri contesti.

Obiettivi

- analizzare in modo acritico i vari fenomeni per arrivare a definire dei tratti salienti trovando delle
motivazioni per certi comportamenti
- riflettere e valutare in modo diverso i comportamenti delle altre culture
- approfondire e tematizzare le motivazioni culturali degli individui

Concludi

Si considerino (tra quelli sotto indicati) almeno due stereotipi riferiti ad altre culture, e se ne faccia
un’analisi ( tratti salienti, motivazioni, ecc.) e si invii l’elaborato sulla piattaforma.

INGLESI: amano i parchi e gli animali (per animali domestici vengono usati i pronomi HE e SHE come le
persone), il cibo non è buono, poco eleganti nel vestire, la pulizia, sono freddi.

TEDESCHI: seri, puntuali, freddi, distaccati, sportivi, militareschi, tradizioni culinarie arretrate, razionali,
amanti della birra.

SPAGNOLI: fanno confusione, sempre a far festa, amano la notte, la movida, la corrida, sono passionali
(Latin lover)

FRANCESI: grandeur, vino, cucina, moda, con la puzza sotto il naso.

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Il sonno (di una mente pigra) genera…
stereotipi!

Dalla enciclopedia ENCARTA (il grassetto è mio).

Stereotipo: immagine semplicistica e riduttiva di un individuo, un gruppo, una religione, una cultura,
ecc. Il termine, che deriva dal greco stereós (duro, solido) e túpos (impressione, tipo), significa
letteralmente 'immagine rigida'. La nozione di stereotipo è impiegata quasi sempre in un'accezione
negativa, in quanto riduce la capacità di valutazione della persona, che rimane imprigionata in formule
prefissate, incapace di modificare i propri giudizi alla luce di nuove esperienze e percezioni della
realtà. Lo stereotipo, quindi, è alla base del pregiudizio ed è fortemente irrazionale, in quanto non si
basa su un'effettiva sintesi dell'esperienza.

Ho voluto iniziare con la citazione della voce “stereotipo” della enciclopedia


Encarta perché essa mi offriva lo spunto per svolgere alcune utili riflessioni.
Appare evidente che lo stereotipo è una forma di conoscenza della realtà,
uno degli strumenti (pronto all’uso e di facile utilizzo!) per classificare e
interpretare il mondo.
Tuttavia lo stereotipo è una forma di conoscenza particolare, con
determinate caratteristiche: esso si struttura sostanzialmente in assenza di
“esperienza diretta” (valutazione di dati oggettivi, di informazioni verificabili)
e ha una componente largamente appresa, culturale. Ed è qui che entra in
gioco quello che io ho chiamato (scherzosamente ) il “sonno” della mente
(pigra!). Lo stereotipo è qualcosa che si forma sulla base del “sentito dire”,
del “già detto”, del “tutti lo dicono/lo pensano”. Sulla base dunque non di un
processo di valutazione razionale della realtà, dei dati in nostro possesso,
(sulla base di un metodo latamente definibile come “razionale”- “scientifico”)
ma sulla base di atteggiamenti ascientifici ed emotivi, di un affidarsi agli
altri, ad ipotetiche autorità “esterne” (all’ipse dixit), siano essi la famiglia, la
TV, gli amici, i giornali, ecc…
Una forma di conoscenza della realtà, quindi, che instilla (lentamente e
inconsapevolmente; anche perché gli stereotipi ci “assediano” fin da
bambini!) nel soggetto un atteggiamento di acriticità, e passività, che
produce un forma mentis rigida, scarsamente analitica, votata
all’irrazionalità e alla subordinazione.
Portare gli allievi di una classe a riflettere con lucidità e razionalità su alcuni
dei molti stereotipi che affollano la nostra società (e quindi le nostre menti) è
secondo me uno degli esercizi più utili e stimolanti per combattere quel
“sonno” della ragione (con tutte le nefaste conseguenze di cui discorrevo
poco sopra) che troppo spesso caratterizza i giovani di oggi (beh!, per dirla
tutta non solo loro ma anche un numero troppo grande ahimè dei cosiddetti
adulti; sia sufficiente citare il caso di quanti credono agli oroscopi e si
rivolgono ai maghi, ma non divaghiamo…).
Credo fermamente, infatti, che la scuola debba tenacemente combattere
tale atteggiamento e stimolare invece nei ragazzi autonomia di giudizio e

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capacità di analisi razionale: insegnare cioè un corretto metodo di
conoscenza e di approccio al reale.1
Prendiamo dunque due stereotipi tra quelli proposti nell’attività presente
sulla piattaforma e usiamoli come base per progettare una discussione in
classe con i ragazzi, un “percorso” (guidato dall’insegnante) che li porti non
tanto (o almeno non solo) a rivedere le proprie convinzioni “stereotipate” su
un gruppo o un popolo (cosa già importante di per sé) ma a riflettere (cosa a
mio parere ben più importante) sui modi e sui metodi con cui essi si formano
le proprie convinzioni, esprimono i propri giudizi, strutturano le proprie
conoscenze. Un “percorso” che li sensibilizzi riguardo alla importanza
cruciale della “ricerca” (intesa come curiosità, voglia di porsi delle domande,
di indagare, di approfondire, in definitiva di sapere!) e del “metodo”, quali
antidoti ai veleni dilaganti dell’indifferenza, del conformismo,
dell’indottrinamento.

Gli Inglesi
a) vestono male; sono poco eleganti nel vestire;
b) sono freddi;

1)
Fase di preparazione.
Dibattito in classe (brainstorming) sulle “caratteristiche degli Inglesi come
popolo. Alla lavagna si scrivono le principali caratteristiche citate
liberamente dai ragazzi e poi le si organizzano in categorie (cibo, moda,
carattere, ecc.).

2)
Vengono proposti alla classe i due stereotipi sopraccitati.
Discussione: chi è d’accordo / chi non è d’accordo (formazione dei due
gruppi per un confronto).
Si invitano i ragazzi a motivare (a dare – nei limiti del possibile – una
spiegazione e una giustificazione) la loro risposta e alla lavagna si
raggruppano le motivazioni in categorie (“esperienza personale”; “”sentito
dire…”; “letture”; ecc.).
Discussione di gruppo (l’insegnante fa da guida e stimola la riflessione):
“sulla base di quali prove, di quali evidenze, di quali processi mentali si crede
a oppure si rifiuta lo stereotipo”?

3)
Attività di analisi.

1
Altre osservazioni sull’importanza del metodo e degli strumenti di conoscenza sono nel secondo
paragrafo del cap. II e nel Diario di bordo, n.2, secondo punto.

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Quali dati, quali “prove” si possono raccogliere per suffragare o confutare
tali affermazioni? (i due stereotipi presentati). Come procedere?
(metodologia).

4)
La ricerca di prove e argomenti (pro / contro).
Dove?
In Internet, nei libri, nei giornali, dagli amici (esperienze personali), ecc.

5)
Valutazione delle informazioni ottenute e dibattito.
La “bontà” dei dati ottenuti e delle argomentazioni addotte.
Dati oggettivi (per esempio ricerche e statistiche) vs. dati soggettivi (per
esempio testimonianze di persone che hanno vissuto in Inghilterra o di
Inglesi);
Fonti autorevoli (esperti, specialisti: per esempio sociologi, antropologi,
giornalisti inviati all’estero) vs. fonti ingenue (l’uomo comune).

Un mio “contributo”
(assai modesto).

Per lo stereotipo a (vestono male; sono poco eleganti nel vestire) ho


proposto una ricerca:
1) tra le riviste di moda, con rilevazione degli articoli o delle pubblicità
inerenti marche inglesi (Elle, Glamour, Vogue, Vogue Uomo, Marie Claire,
Vanity Fair, Gentleman, ecc.);
2) in Internet di informazioni riguardo alla moda inglese e ai brand più
famosi.

Tra le marche più famose e di alta qualità abbiamo trovato:


- Burberry
- Dunhill
- Aquascutum
- Paul Smith
- Church's

Tra gli stilisti inglesi oggi più affermati abbiamo trovato:


- Stella McCartney
- Alexander McQueen

Inoltre abbiamo trovato le seguenti informazioni:


(http://libreriarizzoli.corriere.it/libro/sherwood_james-
the_london_cut_savile_row_larte_inglese_della_sartoria.aspx?ean=9788831791540)

«Savile Row, storica via londinese, è sede da oltre duecento anni dei più esclusivi laboratori sartoriali del
mondo. Abiti unici, fatti su misura, bespoke. Per una clientela eccellente e variegata. Dal 1806 a oggi i

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sarti di Savile Row hanno vestito non solo tutti i famosi, ma anche tutti quelli, uomini e donne, che
volevano distinguersi per quel mix speciale fatto di eleganza ed eccentricità. L'elenco dei clienti dei sarti
di Savile Row è lunghissimo: il Duca di Windsor, l'Ammiraglio Nelson, Sir Winston Churchill, Fred Astaire,
Cary Grant e John Lennon. E oggi i Principi William e Harry e tutti i reali d'Inghilterra, Mick Jagger, David
Beckham, Brad Pitt, Tom Cruise e Pete Doherty, tra i tanti. Il libro contiene informazioni sui sarti di Savile
Row e dintorni e un ricco apparato iconografico. Racconta non solo la storia di oltre due secoli di
indiscussa eleganza, ma anche la contemporaneità di uno stile che a tutt'oggi rappresenta la haute
couture maschile. Uno stile di cui si nutre la moda stessa: Ralph Lauren, Gianni Versace, Calvin Klein e
Tom Ford sono e sono stati clienti della celebre strada, come Stella McCartney e Alexander McQueen
che hanno fatto la loro gavetta nella Row».

Per lo stereotipo b (sono freddi) ho proposto:


1) una ricerca in Internet: informazioni raccolte nei “forum” dedicati alle
vacanze e ai viaggi;
2) una mia esperienza personale.

In Internet (http://www.sognandolondra.com/it/forum/contribuisci-con-recensioni-ed-
abbiamo trovato la seguente “informazione”, certamente più uno
articoli/)
spunto di riflessione che un dato obiettivo, però…

«Una settimana fa su questo sito domandavo informazioni sui mezzi di trasporto di Londra, ora sono
tornato e voglio buttare giù due righe su questa bellissima esperienza. Potrei parlare della bellezza dei
monumenti, dei parchi con gli scoiattoli che stavano sulle nostre mani, della vivacità della città o della
caratteristica Camden Town con i suoi mille colori e i variegati odori.
Invece no, voglio parlarvi della gentilezza e dell'educazione dei londinesi.
C'è una premessa importante da fare: questo è il mio primo viaggio che faccio con mia moglie e il mio
piccolo di un anno, e questo avrà inciso sicuramente non poco sul racconto che vi sto per fare.
Quattro sono le immagini che porterò nello scrigno dei miei ricordi:
la delicatezza di una signora anziana che dopo una mia richiesta di informazioni mi salutava con un dolce
"my love", una ragazza di colore che per niente infastidita dal mio scarso understending ci chiedeva per
diverse volte se poteva aiutarci a sollevare e trasportare mio figlio con il passeggino per i troppi scalini di
una fermata di treno, una ragazza, che avendoci visto con i nasi all'insù per decifrare i diversi cambi di
metropolitana, dopo essere già scesa nei binari risaliva le scale per spiegaci il percorso, donandoci infine
la sua mappa della metro, e dulcis in fundo, un uomo, vedendo una cerniera mezzo aperta del mio zaino
a spalla, e io con una mano impegnata fra carrozzina e figlio, l'altra attaccata al corrimano del vagone, mi
chiedeva se poteva chiudere il mio zaino spiegandomi che eravamo a Londra, una grande città.
Con lo zaino chiuso finisce troppo presto la mia vacanza a Londra. Se era possibile,però, mi sarebbe
piaciuto, nelle stesse condizioni, girare per le diverse capitali del mondo, e osservare le differenze nel
comportamento degli abitanti».

Per quanto riguarda la mia esperienza personale, eccola! (non dimenticando


che in questo caso più che mai si tratta solo di uno spunto di riflessione più
che di un dato “obiettivo”).
«Nel febbraio del 2006, ho partecipato a un matrimonio a Liverpool, tra un
mio amico di Milano e Marion, di Liverpool appunto.
Ebbene, il ricevimento mi è sembrato “caldo”: non sono mancati i brindisi in
quantità, gli “evviva gli sposi” (letterali, in italiano!), i discorsi (del padre e
dei fratelli), le urla, le risate, gli scherzi, i balli scatenati fino a tarda sera.
Tutti sono stati molto gentili ed accoglienti con gli “italiani”. Non solo! Io, mia
moglie, un mio amico e sua moglie siamo stati ospitati dalla zia della sposa,
la quale ci ha lasciato casa sua a completa disposizione (con tanto di
frigorifero riempito per l’occasione) per un giorno e mezzo».
Certo, si trattava pur sempre di una grande festa (normale quindi un clima di
allegria) e noi eravamo gli amici dello sposo, però…

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Considerazioni finali.

A conclusione di tale percorso, mi sembra importante tirare le fila e trarre


qualche conclusione (non provvisoria). Emerge con chiarezza che ciò che
importa non è tanto stabilire la veridicità o la falsità di uno stereotipo (cosa
forse non possibile in senso assoluto) né illustrare la sua origine (cosa molto
impegnativa che richiede competenze pluridisciplinari – sociologiche,
antropologiche, psicolocighe, ecc. – che vanno ben oltre le capacità dei nostri
ipotetici allievi e certamente anche delle mie). Ciò che importa è, attraverso
un percorso del tipo ipotizzato sopra (o uno similare), portare i ragazzi, come
ho detto, a interrogarsi sulle modalità con cui essi si formano le loro
conoscenze e i loro giudizi riguardo al mondo; portare i ragazzi a decidere
della fondatezza di una informazione o di una credenza (sia essa classificata
come “stereotipo” o “verità scientifica”): “fondatezza” nel senso letterale del
termine, cioè di quanto tale conoscenza si appoggi, si fondi sui dati oggettivi,
su informazioni verificabili, o nasca invece da atteggiamenti irrazionali,
passivi, acritici. In definitiva portare i ragazzi ad una riflessione (e si spera ad
una presa di coscienza) sull’importanza (oggi più che mai, in una società
inondata di informazioni) di un metodo razionale, di un atteggiamento critico
e consapevole nel misurasi con la realtà.

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