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Libreremo

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dall’attuale repressione di qualsiasi tipo di copia privata messa in atto da SIAE, governi e
multinazionali, sono la gran parte degli studenti che, considerati gli alti costi che hanno
attualmente i libri, non possono affrontare spese eccessive, costretti già a fare i conti con affitti
elevati, mancanza di strutture, carenza di servizi e borse di studio etc...
Questo va evidentemente a ledere il nostro diritto allo studio: le università dovrebbero
fornire libri di testo gratuiti o quanto meno strutture e biblioteche attrezzate, invece di creare di
fatto uno sbarramento per chi non ha la possibilità di spendere migliaia di euro fra tasse e libri
originali... Proprio per reagire a tale situazione, senza stare ad aspettare nulla dall’alto,
invitiamo tutt* a far circolare il più possibile i libri, approfittando delle enormi possibilità che ci
offrono al momento attuale internet e le nuove tecnologie, appropriandocene, liberandole e
liberandoci dai limiti imposti dal controllo repressivo di tali mezzi da parte del capitale.
Facciamo fronte comune davanti ad un problema che coinvolge tutt* noi!
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Manuale Merck
Indice generale

1. Disturbi della nutrizione

2. Malattie endocrine e metaboliche

3. Malattie gastrointestinali

4. Malattie del fegato e delle vie biliari

5. Malattie muscolo-scheletriche del tessuto connettivo

6. Malattie dell’apparato respiratorio

7. Malattie dell’orecchio, del naso e della gola

8. Patologie oftalmologiche

9. Malattie dei denti e del cavo orale

10. Affezioni dermatologiche

11. Ematologia e oncologia

12. Immunologia; malattie allergiche

13. Malattie infettive

14. Malattie del sistema nervoso

15. Disturbi psichiatrici

16. Malattie dell’apparato cardiovascolare

17. Disordini genitourinari

18. Ginecologia e ostetricia

19. Pediatria

20. Malattie dovute ad agenti fisici

21. Argomenti speciali

22. Farmacologia clinica

23. Avvelenamenti

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Disturbi della nutrizione

Manuale Merck

1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE

1. Considerazioni generali

Nutrizione nella medicina

Supporto nutrizionale

Nutrizione enterale

Nutrizione parenterale

Interazioni tra sostanze nutritive e farmaci

Additivi e contaminanti alimentari

2. Malnutrizione

Digiuno

Malnutrizione proteico-energetica

Deficit di carnitina

Deficit di acidi grassi essenziali

3. Carenza, dipendenza e tossicità delle vitamine

Deficit di vitamina A

Tossicità da vitamina A

Deficit e dipendenza da vitamina D

Rachitismo ereditario vitamina D-dipendente

Tossicità della vitamina D

Deficit di vitamina E

Intossicazione da vitamina E

Carenza di vitamina K

Intossicazione da vitamina K

Carenza e tossicità della tiamina

Deficit di riboflavina

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Disturbi della nutrizione

Carenza di niacina

Carenza e dipendenza da vitamina B6

Tossicità della vitamina B6

Carenza e dipendenza da biotina

Carenza di acido pantotenico

Carenza di vitamina C

4. Carenza e tossicità dei minerali

Ferro

Iodio

Fluoro

Zinco

Cromo

Selenio

Manganese

Molibdeno

Rame

Carenza acquisita di rame

Carenza ereditaria di rame

Tossicosi da rame

Malattia di Wilson

5. Obesità

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Considerazioni generali

Manuale Merck

1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE


La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI

Sommario:

Introduzione
Sostanze macronutrienti
Sostanze micronutrienti
Altre sostanze alimentari
Necessità nutrizionali
Informazioni nutrizionali per il pubblico

La scienza della nutrizione si occupa della natura e della distribuzione delle


sostanze nutritive negli alimenti, dei loro effetti metabolici e delle conseguenze di
una loro inadeguata assunzione. Le sostanze nutritive sono dei composti chimici,
contenuti negli alimenti, che vengono assorbiti e utilizzati per migliorare lo stato di
salute. Alcune sostanze nutritive sono indispensabili perché non possono essere
sintetizzate dall'organismo e quindi devono essere assunte con la dieta. Le
sostanze nutritive essenziali comprendono le vitamine, i minerali, gli aminoacidi,
gli acidi grassi e alcuni carboidrati come fonte di energia. Le sostanze nutritive
non essenziali sono, invece, quelle che l'organismo può sintetizzare dagli altri
composti, sebbene possano essere ricavate anche dalla dieta. Le sostanze
nutritive sono solitamente divise in macro- e micronutrienti.

Sostanze macronutrienti

Le sostanze macronutrienti compongono la maggior parte degli alimenti e


forniscono l'energia e le sostanze nutritive essenziali, necessarie per la crescita,
il sostentamento e l'attività fisica. I carboidrati, i grassi (compresi gli acidi grassi
essenziali), le proteine, i macrominerali e l'acqua sono sostanze macronutrienti. I
carboidrati sono convertiti in glucoso e altri monosaccaridi; i grassi, in acidi grassi
e glicerolo e le proteine, in peptidi e aminoacidi. Queste sostanze macronutrienti
sono intercambiabili come fonti di energia; i grassi forniscono 9 kcal/g; le proteine
e i carboidrati forniscono 4 kcal/g. L'etanolo, che di solito non è considerato una
sostanza nutriente, fornisce 7 kcal/g.

I carboidrati e i grassi permettono di risparmiare le proteine. Queste, infatti, non


vengono usate per il sostentamento dei tessuti, per il loro rinnovamento e per la
crescita, a meno che siano indisponibili, dalle fonti alimentari e dai depositi
tissutali, sufficienti quantitativi di calorie non proteiche. In questo caso, per
ottenere un bilancio azotato positivo, sarà necessario un apporto proteico
alimentare considerevolmente superiore alla norma.

Gli aminoacidi essenziali (Essential Amino Acids, EAA) sono i componenti delle
proteine che rendono queste ultime essenziali nella dieta. Dei 20 aminoacidi
contenuti nelle proteine, 9 sono essenziali, cioè, necessari nella dieta perché non
possono essere sintetizzati dall'organismo. Otto EAA sono necessari per tutti gli
esseri umani. I lattanti necessitano di un aminoacido in più, che è l'istidina.

L'apporto dietetico raccomandato (Recommended Dietary Allowance, RDA) per

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Considerazioni generali

le proteine diminuisce da 2,2 g/kg nei bambini di 3 mesi a 1,2 g/kg nei bambini di
5 anni e a 0,8 g/kg negli adulti. La necessità delle proteine alimentari è, infatti,
correlata al tasso di crescita che varia nei differenti periodi del ciclo vitale. La
necessità delle diverse proteine si riflette nella necessità di EAA (v. Tab. 1-1). La
quantità totale di EAA necessaria per i lattanti (715 mg/kg/die) rappresenta il 32%
della loro necessità totale di proteine; i 231 mg/kg/die necessari per un bambino
di 10-12 anni ne rappresentano il 20% e gli 86 mg/ kg/die necessari per gli adulti
ne rappresentano l'11%.

La composizione in aminoacidi delle proteine è molto variabile. Il valore biologico


(VB) di una proteina è determinato dalla percentuale della composizione
aminoacidica che più si avvicina a quella dei tessuti animali. La migliore
corrispondenza è quella della proteina dell'uovo che ha un valore di 100. Le
proteine animali contenute nel latte e nella carne hanno un elevato VB (~90),
mentre le proteine contenute nei cereali e nei vegetali hanno un basso VB (~40)
e alcune proteine derivate, come la gelatina, che non contiene il triptofano e la
valina, hanno un VB di 0. La complementarità delle diverse proteine contenute
nella dieta determina il suo VB totale. L'RDA per le proteine presuppone che la
dieta mista media abbia un VB di 70.

Gli acidi grassi essenziali (Essential Fatty Acids, EFA) sono necessari in
quantità pari al 6-10% dei grassi assunti (equivalente a 5-10 g/die). Essi
comprendono gli acidi grassi ðw-6 (n-6), l'acido linoleico (acido cis 9,12-
ottodecadienoico) e l'acido arachidonico (acido cis-5,8,11,14-eicosatetrenoico),
gli acidi grassi ðw-6 (n-3), l'acido linolenico (acido cis- 9,12,15-ottodecatrienoico),
l'acido cis- 5,8,11,14,17-eicosapentenoico e l'acido cis- 4,7,10,13,16,19-
docosaesenoico. Gli EFA devono essere forniti dalla dieta: gli olii vegetali
forniscono l'acido linoleico e l'acido linolenico, mentre gli olii di pesce di mare
forniscono l'acido eicosapentenoico e l'acido docosaesenoico. Tuttavia, alcuni
EFA possono essere sintetizzati a partire dagli altri. Per esempio, l'organismo
può sintetizzare l'acido arachidonico da quello linoleico, mentre l'acido
eicosapentenoico e l'acido docosaesenoico possono essere sintetizzati, in parte,
dall'acido linoleico, anche se l'olio di pesce ne rappresenta una fonte migliore. Gli
EFA sono necessari per la sintesi di numerosi eicosanoidi, tra cui le
prostaglandine, i trombossani, le prostacicline e i leucotrieni (v. anche Deficit di
acidi grassi essenziali nel Cap. 2). Gli acidi grassi ðw-3 sembrano, poi, svolgere
un ruolo fondamentale nel ridurre il rischio di malattie coronariche (v.
Modificazioni della dieta nel Cap. 202). Tutti gli EFA sono acidi grassi polinsaturi
(Polyunsaturated Fatty Acids, PUFA), ma non tutti i PUFA sono EFA.

Negli esseri umani, i macrominerali (sodio, cloro, potassio, calcio, fosforo e


magnesio) sono necessari nell'ordine di grandezza di un grammo al giorno, i (v.
Tab. 1-2). Anche l'acqua è considerata un macronutriente in quanto è necessaria
nella quantità di 1 ml/kcal di energia spesa o di circa 2500 ml/die (v. Acqua e
metabolismo del sodio nel Cap. 12).

Sostanze micronutrienti

Le vitamine, che sono classificate in idro e liposolubili, e gli elementi oligominerali


sono sostanze micronutrienti (v. Tab. 1-2). Le vitamine idrosolubili sono
rappresentate dalla vitamina C (acido ascorbico) e dagli otto componenti del
complesso vitaminico B, tiamina (vitamina B1), riboflavina (vitamina B2), niacina,
piridossina (vitamina B6), acido folico, cobalamina (vitamina B12), biotina e acido
pantotenico. Le vitamine liposolubili comprendono il retinolo (vitamina A), il
colecalciferolo e l'ergocalciferolo (vitamina D), l'ða-tocoferolo (vitamina E) e il
fillochinone e il menachinone (vitamina K). Solo le vitamine A, E e B12 sono
immagazzinate in quantità significative nell'organismo.

Gli elementi oligominerali essenziali comprendono il ferro, lo iodio, il fluoro, lo


zinco, il cromo, il selenio, il manganese, il molibdeno e il rame. A eccezione del
fluoro e del cromo, ciascuno di questi minerali viene incorporato negli enzimi o
negli ormoni necessari per il metabolismo. Il fluoro forma un composto con il

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Considerazioni generali

calcio (CaF2), che stabilizza la matrice minerale dell'osso e dei denti e previene
la carie dentaria. Nei paesi industrializzati, le carenze dei microminerali, ad
eccezione di ferro e zinco, non vengono osservate di frequente nella pratica
clinica (v. Cap. 3 e 4).

Altri elementi oligominerali implicati nella nutrizione animale (cioè, l'alluminio,


l'arsenico, il boro, il cobalto, il nichel, il silicio e il vanadio) non sono considerati
necessari per gli esseri umani. Tutti gli oligoelementi minerali sono tossici in
quantità elevate e alcuni (l'arsenico, il nichel e il cromo) sono stati implicati tra le
cause del cancro. Nell'organismo, il piombo, il cadmio, il bario e lo stronzio sono
tossici, mentre l'oro e l'argento, in quanto componenti dei denti, sono inerti.

Altre sostanze alimentari

La dieta giornaliera dell'uomo contiene più di 100000 sostanze chimiche (p. es.,
una tazza di caffè ne contiene 1000). Di queste, solo 300 possono essere
classificate come sostanze nutritive e 45 come sostanze nutritive essenziali.
Tuttavia, molte delle altre sostanze sono utili. Per esempio, gli additivi alimentari
(p. es., i conservanti, gli emulsionanti, gli antiossidanti e gli stabilizzanti)
migliorano la produzione, la lavorazione, l'immagazzinamento e il
confezionamento dei cibi. Gli elementi in tracce (p. es., le spezie, gli aromi, gli
odori, i coloranti, le sostanze fitochimiche e molti altri prodotti naturali) migliorano
l'aspetto, il gusto e la stabilità del cibo.

Anche le fibre, che sono presenti sotto varie forme (p. es., cellulosa,
emicellulosa, pectina e resine), sono utili. I diversi componenti delle fibre
alimentari agiscono in modo differente, a seconda della loro struttura e solubilità.
Le fibre migliorano la motilità GI e aiutano nella prevenzione della stipsi e nel
trattamento della malattia diverticolare (v. Cap. 27 e 33). I cibi ricchi di fibre
solubili riducono l'aumento postprandiale della glicemia e sono a volte utilizzati
nel trattamento del diabete mellito (v. Cap. 13). La frutta e i vegetali ricchi di
resine di guar e di pectina tendono a ridurre il colesterolo plasmatico, stimolando
la conversione epatica del colesterolo in acidi biliari. Si pensa che le fibre
aumentino l'eliminazione delle sostanze cancerogene prodotte dai batteri
nell'intestino crasso. Evidenze epidemiologiche supportano con forza
l'associazione tra il cancro del colon e la bassa assunzione di fibre e l'effetto
benefico delle fibre sulle patologie funzionali dell'intestino, sull'appendicite, sul
morbo di Crohn, sull'obesità, sulle vene varicose e sulle emorroidi, anche se il
meccanismo è poco chiaro.

La tipica dieta occidentale è povera in fibre (circa 12 g/die) a causa di un'elevata


assunzione di farina di grano altamente raffinata e una scarsa assunzione di
frutta e vegetali. Una maggiore assunzione di fibre, fino a 30 g/die, attraverso un
aumentato consumo di cereali, vegetali e frutta, è generalmente raccomandata.

Necessità nutrizionali

L'obiettivo di un'alimentazione adeguata è di raggiungere e mantenere una ideale


composizione dell'organismo e un elevato potenziale per il lavoro fisico e
mentale. Le necessità alimentari quotidiane di sostanze nutritive essenziali,
incluse le fonti di energia, dipendono dall'età, dal sesso, dall'altezza, dal peso e
dall'attività metabolica e fisica. Il Food and Nutrition Board della National
Academy of Sciences/National Research Council e il US Department of
Agriculture (USDA) rivede periodicamente la letteratura scientifica sui fabbisogni
umani delle 45 sostanze nutritive essenziali. Ogni 5 anni, il Food and Nutrition
Board pubblica gli apporti dietetici raccomandati (RDA), calcolati sulle necessità
delle persone sane, con un significativo fattore di sicurezza (v. Tab. 1-3). Per le
vitamine e i minerali, su cui vi sono minori conoscenze, è stato stabilito l'apporto
dietetico quotidiano, considerato sicuro e adeguato (v. Tab. 1-4).

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Considerazioni generali

Per mantenere uno stato di buona salute, la composizione corporea deve essere
mantenuta entro limiti ragionevoli. Ciò richiede un equilibrio tra l'energia assunta
e quella spesa. Se l'energia assunta eccede quella spesa o quest'ultima
diminuisce, il peso corporeo aumenta, causando l'obesità (v. Cap. 5). Al
contrario, se l'energia assunta è inferiore a quella spesa, vi è un calo ponderale. I
valori del peso corporeo corretto per l'altezza (v. Tab. 1-5) e per l'indice di massa
corporea, che è uguale al peso (in chilogrammi) diviso per il quadrato dell'altezza
(in metri), sono utilizzati come guida per la composizione corporea ideale (v.
oltre).

Le diete per le donne in gravidanza sono trattate nella Terapia prenatale nel
Cap. 249 e le diete per i neonati nella Nutrizione neonatale nel Cap. 256.

Informazioni nutrizionali
per il pubblico

Originariamente, l’USDA propose i Basic Four Food Groups (prodotti caseari,


carne e vegetali ricchi di proteine, cereali e pane, frutta e vegetali) come guida
per una dieta bilanciata. Nel 1992, l’USDA ha proposto come guida migliore la
Food Guide Pyramid (v.Fig. 1-1). Rispetto a prima, nella piramide è stata
aumentata l’assunzione dei cereali (da 4 a 6-11 porzioni), la frutta e i vegetali
sono stati divisi in 2 gruppi (rispettivamente, con 2-4 e 3-5 porzioni), è rimasta
stabile l’assunzione dei derivati del latte e dei prodotti carnei (2-3 porzioni),
mentre è stato creato un gruppo di grassi, olii e dolci (che deve essere usato
"con moderazione"). Il numero delle porzioni raccomandate è basato sulle
necessità energetiche della persona che possono variare da 1600
a > 2400 calorie/die.

La nuova guida alimentare raccomanda di ridurre l’assunzione dei grassi a circa


il 30% delle calorie e di aumentare l’assunzione della frutta, dei vegetali e dei
cereali. Il suo proposito è quello di fornire le sostanze nutritive essenziali
nell’ambito di una dieta salutare. A questo fine, il Department of Health e l’Human
Science of the USDA hanno sviluppato delle linee guida nutrizionali generali che
completano la Food Guide Pyramid.

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Manuale Merck - Tabella 1-1

TABELLA 1–1. FABBISOGNO DEGLI AMINOACIDI ESSENZIALI IN MG/KG


DI PESO CORPOREO

Fabbisogno Lattante Bambino Adulto

(4-6mesi) (10-12anni)

Istidina (29) - -
Isoleucina 88 28 10
Leucina 150 44 14
Lisina 99 49 12
Metionina e 72 24 13
cistina
Fenilalanina e 120 24 14
tirosina
Treonina 74 30 7
Triptofano 19 4 3
Valina 93 28 13

Totale 715 231 86


aminoacidi
essenziali
(esclusa
l’istidina)

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Malnutrizione

Manuale Merck

1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE


La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

2. MALNUTRIZIONE

DEFICIT DI ACIDI GRASSI ESSENZIALI

Gli acidi grassi essenziali (EFA) comprendono l'acido linoleico e l'acido


arachidonico, che sono acidi grassi w-6 (n-6) e l'acido linolenico, l'acido
eicosapentenoico e l'acido docosaesenoico, che sono acidi grassi w-3 (n-3) (v.
anche Cap. 1). Nell'organismo umano, l'acido arachidonico può essere
sintetizzato dall'acido linoleico, mentre gli adici eicosapentenoico e
docosaesenoico possono essere sintetizzati dall'acido linolenico. Gli oli vegetali,
come l'olio di mais, l'olio di semi di cotone e l'olio di soia, sono importanti fonti di
acido linoleico e di acido linolenico; gli olii di pesce sono, invece, le fonti
dell'acido eicosapentenoico e dell'acido docosaesenoico. Il fabbisogno di EFA è
pari all'1-2% delle calorie giornaliere per gli adulti e al 3% per i lattanti, con un
rapporto consigliato di acidi grassi w-6 e w-3, pari a 10:1.

Gli EFA sono necessari per molti processi fisiologici, inclusi il mantenimento
dell'integrità cutanea e delle strutture delle membrane cellulari e la sintesi delle
prostaglandine e dei leucotrieni. L'acido eicosapentenoico e l'acido
docosaesenoico sono importanti componenti del cervello e della retina.

I neonati a termine, alimentati con latte scremato, a basso contenuto di acido


linoleico, possono avere un ritardo di crescita, una trombocitopenia, l'alopecia e
una dermatite esfoliante generalizzata, che ricorda l'ittiosi congenita, con
un'aumentata perdita di liquidi dalla cute. Questa sindrome è reversibile con la
somministrazione di acido linoleico. Con l'uso di diete bilanciate, è difficile che si
verifichi un deficit, anche se il latte di mucca ha soltanto il 25% circa della
quantità di acido linoleico contenuto nel latte di donna. Sebbene l'assunzione
totale di grassi sia molto bassa in diversi paesi in via di sviluppo, la maggior parte
dei grassi è di origine vegetale e contiene quindi molto acido linoleico e anche
dell'acido linolenico.

Il deficit di acidi grassi essenziali era una frequente complicanza della NPT a
lungo termine e priva di grassi, ma le emulsioni lipidiche, ora in uso, prevengono
il problema (v. Nutrizione parenterale nel Cap. 1). Un esempio ne è l'emulsione di
olio di soia al 10% che contiene circa 56 g/l di acido linoleico e 8 g/l di acido
linolenico. È stato riportato un solo caso di carenza di acido linolenico,
caratterizzato da una neuropatia periferica e da una visione sfocata, in una
bambina di 6 anni affetta da una sindrome da intestino corto dopo 9 mesi di una
terapia EV con una preparazione lipidica contenente 77 g di acido linoleico e solo
0,1 g di acido linolenico/l. I sintomi e i segni sono stati corretti con la
somministrazione di acido linolenico.

Negli stadi precoci del deficit di EFA, i livelli plasmatici dell'acido linoleico e
dell'acido arachidonico sono ridotti ed è presente l'acido 5,8,11-eicosatrienoico,
un prodotto anomalo derivante dalla desaturazione dell'acido oleico. Un valore
plasmatico di 0,2 è stato suggerito come limite superiore di normalità del rapporto
acido eicosatrienoico/eicosatetranoico (arachidonico). Una carenza di EFA
diagnosticata sulla base di questo rapporto è stata osservata nei pazienti con
malassorbimento lipidico, traumi gravi e ustioni.

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Malnutrizione

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Considerazioni generali

Manuale Merck

1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE


La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI

SUPPORTO NUTRIZIONALE

Nutrizione parenterale

Sommario:

Introduzione
Nutrizione parenterale totale

La nutrizione parenterale viene somministrata endovena. La nutrizione


parenterale parziale supplisce solo in parte alle necessità nutrizionali quotidiane
del paziente, agendo come supplemento all'alimentazione per via orale. Molti
pazienti ospedalizzati ricevono in questo modo le soluzioni di glucoso o di
aminoacidi che fanno parte della loro terapia di routine.

Nutrizione parenterale totale

La NPT supplisce a tutte le richieste nutrizionali quotidiane del paziente. Una


vena periferica può essere utilizzata solo per brevi periodi di tempo in quanto
l'uso prolungato ne può causare facilmente la trombosi. È quindi generalmente
necessario un accesso venoso centrale. La NPT viene utilizzata non solo in
ospedale per le somministrazioni a lungo termine, ma anche a casa (NTP
domiciliare), permettendo a molte persone che hanno perso la funzione del
piccolo intestino di condurre una vita produttiva.

Indicazioni: i pazienti gravemente malnutriti che devono essere preparati per un


intervento chirurgico, per la radioterapia o per la chemioterapia per cancro, sono
sottoposti a NPT prima e dopo il trattamento, per migliorare e mantenere il loro
stato nutrizionale. Negli interventi di chirurgia maggiore, nei casi di ustioni gravi e
di fratture multiple, specialmente in presenza di sepsi, la NPT riduce la morbilità e
la mortalità correlate, promuove la riparazione tissutale e aumenta la risposta
immunitaria. Gli stati di coma e di anoressia prolungati spesso richiedono una
NPT dopo la somministrazione di una nutrizione enterale intensiva nelle fasi
precoci. Le condizioni che richiedono il riposo completo dell'intestino (p. es.,
alcuni stadi del morbo di Crohn, la colite ulcerosa e la pancreatite grave) e le
malattie GI pediatriche (p. es., le anomalie congenite, le diarree protratte non
specifiche) spesso rispondono bene alla NPT.

Requisiti di base: la NPT prevede la somministrazione di acqua (da 30 a 40 ml/


kg/die), di energia (da 30 a 60 kcal/kg/die) a seconda del dispendio energetico e
di aminoacidi (da 1 a 3 g/kg/die) a seconda del grado del catabolismo. I
fabbisogni di queste sostanze, delle vitamine e dei minerali, nei pazienti adulti,
sono riassunti nella Tab. 1-9.

Le soluzioni base della NPT sono di solito preparate in lotti da un litro secondo
formule standard o modificate. Un paziente che non presenta ipermetabolismo o
patologie croniche gravi, necessita di 2 l di formula standard al giorno o di
quantità variabili di una formula modificata. Le emulsioni lipidiche, che forniscono

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Considerazioni generali

un supplemento di acidi grassi essenziali e di trigliceridi (v. Tab. 1-10), possono


essere utilizzate in associazione alle soluzioni di base.

Procedura: le soluzioni devono essere preparate in maniera asettica sotto una


cappa con aria filtrata mediante flusso laminare. Il posizionamento del catetere
venoso centrale non viene mai eseguito in urgenza e richiede condizioni di
completa asepsi e un'assistenza adeguata. Di solito viene posizionato un
catetere di Broviac o di Hickman nella vena succlavia. Viene identificato un punto
subito al di sotto della metà della clavicola, in cui viene inserito l'ago che poi
procede attraverso il muscolo pettorale nella vena succlavia e nella vena cava
superiore. Dopo il posizionamento del catetere o dopo ogni suo spostamento
bisogna eseguire una rx del torace per confermare la posizione della sua punta.
La via venosa centrale attraverso cui si infonde la NPT non deve essere usata
per altri scopi. La parte esterna del catetere deve essere medicata q 24 ore,
quando si cambia la sacca. Non è raccomandato l'uso di filtri lungo la via venosa.
L'impiego di speciali medicazioni occlusive, che devono essere sostituite, in
genere, q 48 ore nel rispetto di tutte le precauzioni per una totale sterilità e
asepsi, è una parte essenziale della cura del catetere.

Precauzioni durante l'infusione: all'inizio la soluzione viene infusa lentamente,


al 50% delle necessità calcolate per il paziente, completando il bilancio dei liquidi
con soluzioni glucosate al 5%. Le fonti di energia e di azoto devono essere
somministrate contemporaneamente. La quantità di insulina pronta da
somministrare (aggiunta direttamente alla soluzione della NPT) dipende dai valori
della glicemia; se la glicemia è normale

(70-110 mg/dl [3,89-6,10 mmol/l]a digiuno) la dose iniziale è in genere di 5-10 U


di insulina pronta/l di NPT con una concentrazione totale di glucoso pari al 25%.
Devono essere prese delle precauzioni per evitare l'ipoglicemia da rebound dopo
l'interruzione della somministrazione di glucoso ad alte concentrazioni.

Formule: generalmente viene utilizzata una grande varietà di formule. Per


soddisfare le necessità del paziente si potranno aggiungere un'emulsione lipidica
o quantità calibrate di elettroliti.

I pazienti con un'insufficienza d'organo richiedono preparati opportunamente


modificati. I pazienti con insufficienza epatica o renale necessitano di preparati a
basso contenuto di aminoacidi, quelli con insufficienza cardiaca richiedono che il
volume (liquido) somministrato sia limitato, mentre quelli con insufficienza
respiratoria necessitano che la maggior parte delle calorie non proteiche sia
fornita da un'emulsione lipidica per evitare l'aumento della produzione di CO2.
Anche i bambini che necessitano di NPT hanno delle particolari necessità
nutrizionali.

Monitoraggio: i seguenti parametri devono essere monitorati quotidianamente: il


peso corporeo, l'azotemia, la glicemia (diverse volte al giorno fino alla
stabilizzazione), l'emocromo, l'emogasanalisi e il bilancio accurato dei liquidi,
delle urine delle 24 h e degli elettroliti. Quando il paziente si stabilizza, la
frequenza di questi esami può essere considerevolmente ridotta. I test di
funzionalità epatica e la misurazione delle proteine plasmatiche, del tempo di
protrombina, della osmolarità plasmatica e urinaria, dei livelli sierici di calcio,
magnesio e fosfato (non misurati durante l'infusione di glucoso) devono essere
eseguiti due volte alla settimana. Le variazioni devono essere annotate su di una
scheda. La valutazione dello stato nutrizionale e della frazione C3 del
complemento deve essere ripetuta ogni due sett.

Complicanze: il maggiore deterrente all'uso della NPT è l'insorgenza di una o più


complicanze. Quando è stato adottato un lavoro di équipe, le complicanze sono
state ridotte a meno del 5%. Le complicanze possono essere metaboliche,
correlate alla composizione della formula nutrizionale, o non metaboliche, dovute
a problemi nelle modalità di somministrazione.

Le complicanze metaboliche comprendono l'iperglicemia e l'iperosmolarità, che


devono essere evitate con un attento monitoraggio e con la somministrazione di
insulina. L'ipoglicemia è causata dall'improvvisa interruzione di un'infusione

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Considerazioni generali

costante di glucoso ad alta concentrazione. Il trattamento consiste nella infusione


periferica di glucoso al 5% o al 10% per 24 ore prima di ricominciare
l'alimentazione attraverso la via venosa centrale. Le alterazioni degli elettroliti e
dei minerali devono essere identificate mediante un attento monitoraggio prima
che compaiano i disturbi. Il trattamento comprende un'adeguata modificazione
delle soluzioni successive o, se la correzione è richiesta con urgenza,
un'appropriata infusione attraverso una vena periferica. Le carenze di vitamine e
di minerali si verificano con maggiori probabilità nei casi di NPT a lungo termine
(v. Cap. 3 e 4). Frequentemente, durante la NPT, si ha un aumento del valore
dell'azotemia, che può essere dovuto a una disidratazione iperosmolare,
correggibile con la somministrazione di acqua libera sotto forma di glucoso al 5%
attraverso una vena periferica. Con le soluzioni di aminoacidi attualmente
disponibili, l'iperammoniemia, di solito, non rappresenta un problema negli adulti.

Nei lattanti i segni dell'iperammoniemia comprendono la letargia, gli spasmi


muscolari e le convulsioni generalizzate; la correzione consiste nella
somministrazione di un supplemento di arginina fino a un totale di 0,5-1,0 mmol/
kg/die. La patologia ossea metabolica che si manifesta, in alcuni pazienti
sottoposti a NPT per un lungo periodo, con intenso dolore periarticolare agli arti
inferiori e al dorso, si associa a bassi livelli sierici di 1,25(OH)2D3(calcitriolo).
L'unico trattamento conosciuto in questi casi è l'interruzione temporanea o
permanente della NPT. All'inizio della NPT è frequente una disfunzione epatica
evidenziata da un aumento, di solito temporaneo, delle transaminasi, della
bilirubina e della fosfatasi alcalina (v. anche Cap. 37). Queste variazioni vengono
identificate attraverso il regolare monitoraggio. Aumenti tardivi o persistenti di
questi parametri possono essere correlati all'infusione di aminoacidi e richiedono
una riduzione dell'apporto proteico. Un'epatomegalia dolorosa fa pensare a un
accumulo di grassi e richiede una riduzione dell'apporto dei carboidrati. Gli effetti
collaterali delle emulsioni lipidiche (p. es., la dispnea, le reazioni allergiche
cutanee, la nausea, la cefalea, la lombalgia, la sudorazione e le vertigini) non
sono frequenti, ma si possono manifestare all'inizio della terapia. Si può verificare
anche un'iperlipemia transitoria, comune soprattutto nei casi di insufficienza
renale ed epatica. Gli effetti collaterali tardivi delle emulsioni lipidiche
comprendono l'epatomegalia, un lieve rialzo degli enzimi epatici, la
splenomegalia, la trombocitopenia, la leucopenia e le alterazioni dei test di
funzionalità polmonare, specialmente nei neonati prematuri con sindrome da
distress respiratorio. In questi casi può essere indicata l'interruzione temporanea
o permanente dell'infusione dell'emulsione lipidica.

Tra le complicanze non metaboliche, il pneumotorace e la formazione di un


ematoma sono le più comuni, ma sono stati riportati anche danni ad altre
strutture e le embolie gassose. L'esatto posizionamento della punta del catetere
nella vena cava superiore deve essere sempre confermato da una rx del torace
prima di iniziare l'infusione della NPT. Le complicanze correlate all'inserimento
del catetere centrale devono essere < 5%. Le gravi complicanze della terapia con
NPT sono le tromboembolie e la sepsi correlata al catetere. I microrganismi più
comunemente coinvolti comprendono: lo Staphylococcus aureus, la Candida, la
Klebsiella pneumoniae, lo Pseudomonas aeruginosa, lo S. albus e le specie di
Enterobacter. Durante la NPT va controllata la temperatura corporea. Se non
vengono trovate altre cause e la temperatura rimane elevata per > 24-48 h, deve
essere interrotta l'infusione attraverso il catetere centrale. Prima che il catetere
venga rimosso, deve essere eseguito un prelievo di sangue per l'emocoltura
direttamente dal catetere venoso centrale e dal punto di inserzione del catetere.
Dopo la rimozione, 2-3 cm della parte terminale del catetere devono essere
tagliati con un bisturi o con una forbice sterile, posti in una provetta sterile
contenente un terreno di cultura secco e inviati per un esame colturale per batteri
e funghi. Un sovraccarico idrico si può verificare quando, per soddisfare delle
elevate richieste energetiche giornaliere, sono necessarie grandi quantità di
liquidi. Il peso corporeo va monitorato ogni giorno: un incremento > 1 kg/die fa
pensare a un sovraccarico idrico e quindi alla necessità di ridurre l'apporto dei
liquidi.

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Considerazioni generali

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1–9. Fabbisogni giornalieri basali


per la nutrizione parenterale totale

Sostanza nutritiva Quantità

Acqua (/kg peso corporeo/die) 30-40ml

Calorie* (/kg peso corporeo/die)

Paziente medico 30kcal


Paziente nel postoperatorio 30-45kcal
Paziente in ipercatabolismo 45-60kcal

Aminoacidi (/kg peso corporeo/die)

Paziente medico 1,0g


Paziente nel postoperatorio 2,0g
Paziente in ipercatabolismo 3,0g

Minerali (adulti)

Acetato/gluconato 90mEq

Calcio 15mEq

Cloro 130mEq

Cromo 15µg

Rame 1,5mg

Iodio 120µg

Magnesio 20mEq

Manganese 2mg

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Manuale Merck - Tabella

Fosforo 300mg

Potassio 100mEq

Selenio 100µg

Sodio 100mEq

Zinco 5mg

Vitamine (adulti)

Acido ascorbico 100mg

Biotina 60µg

Cobalamina 5µg

Acido folico 400µg

Niacina 40mg

Acido pantotenico 15mg

Piridossina 4mg

Riboflavina 3,6mg

Tiamina 3mg

VitaminaA 4000UI

VitaminaD 400UI

VitaminaE 15mg

VitaminaK 200µg

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Manuale Merck - Tabella

*I fabbisogni calorici aumentano del 12% per °C di


febbre.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1–10. Emulsioni di lipidi per uso parenterale

Contenuto in Contenuto
acido in acido
linoleico linolenico

Contenuto % %
Osmolarità calorico grassi grassi
Prodotto Olio (mOsm/l) (kcal/ml) totali g/dl totali g/dl

Intralipid® Olio di
soia
260 1,1 50 5,0 9,0 0,90

LiposynI Olio di
girasole 280 1,1 77 7,7 0,3 0,03

LiposynII® Olio di
girasole e
olio di
soia 320 1,1 66 6,6 4,2 0,42

Le emulsioni elencate sono al10%; sono disponibili anche le emulsioni al


20%, in cui il valore calorico e il contenuto in lipidi per dl sono raddoppiati. Il
LiposynI è stato usato fino al 1982, quando è stata dimostrata la sua
carenza di acido linolenico; da allora, viene usato il LiposynII, che è
addizionato con olio di soia.
Dati raccolti da Nelson JK: "Appendix 14: Parenteral nutrition solutions," nel
Mayo Clinic Diet Manual: A Handbook of Dietary Practices, 6a ed., edito da
CM Pemberton, KE Moxness, JK Nelson, et al. Philadelphia, B.C. Decker,
1988, p.573; riproduzione autorizzata dalla Mayo Foundation.

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Screening e valutazione diagnostica

Manuale Merck

4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

37. SCREENING E VALUTAZIONE DIAGNOSTICA

Sommario:

Introduzione
Esami di laboratorio
Esami per immagini
Biopsia epatica

Il fegato è un organo complesso con funzioni metaboliche, secretorie e di difesa


interdipendenti. Nessun test semplice è in grado da solo di valutare la sua
funzione globale perché la sensibilità e la specificità dei diversi test sono limitate.
L'uso di più esami di screening migliora le possibilità di rilevare anomalie
epatobiliari, aiuta nel differenziare le patologie sospettate clinicamente e
definisce la gravità della malattia epatica. Sono disponibili molti esami, ma
relativamente pochi incidono in modo positivo sulla terapia del paziente.

Esami di laboratorio

Tra le analisi comuni, le più utili sono la bilirubina sierica, la fosfatasi alcalina e le
aminotransferasi (transaminasi). Il colesterolo e la LDH sono meno utili. Il tempo
di protrombina è un indice della gravità della malattia epatica. Solo pochi esami
sierologici e biochimici sono patognomonici (p. es., l'antigene di superficie
dell'epatite B [HbsAg] per la presenza del virus dell'epatite B, il rame e la
ceruloplasmina sierici per la malattia di Wilson e l'a1-antitripsina nella malattia da
deficit dell'a1-antitripsina).

Bilirubina: l'iperbilirubinemia piò essere causata da un'aumentata produzione di


bilirubina, da una ridotta captazione o coniugazione epatica o da una ridotta
secrezione biliare (v. Ittero nel Cap. 38). L'aumentata produzione di bilirubina
(p. es., dall'emolisi) o le ridotte captazione o coniugazione epatiche (p. es., la
malattia di Gilbert) causano un aumento dei valori sierici della bilirubina non
coniugata (o libera). La ridotta formazione ed escrezione della bile (colestasi)
innalza il livello di bilirubina coniugata nel siero e ne permette il passaggio nelle
urine.

La reazione di van den Bergh misura la bilirubina sierica attraverso il


frazionamento. Una reazione diretta misura la bilirubina coniugata. L'aggiunta di
metanolo causa una reazione completa che misura la bilirubina totale
(coniugata + non coniugata); la differenza rappresenta la bilirubina non coniugata
(reazione indiretta).

La bilirubina sierica può non essere un indice particolarmente sensibile della


disfunzione epatica o della prognosi della malattia, ma è un test ormai
consolidato. La bilirubina totale di norma è < 1,2 mg/dl (20 mmol l). La sola utilità
del frazionamento della bilirubina nelle sue componenti è di determinare
l'iperbilirubinemia non coniugata (presente quando la frazione non coniugata
è > 15% della bilirubina totale). Il frazionamento è di solito necessario nei casi in
cui viene riscontrata un'elevazione isolata della bilirubina (cioè, quando gli altri
esami di funzionalità epatica, convenzionali, sono normali) o nell'ittero neonatale.
Con tecniche sofisticate si possono isolare i diversi coniugati della bilirubina, ma
ciò non aggiunge nulla di clinicamente rilevante.

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Screening e valutazione diagnostica

La bilirubina è normalmente assente nelle urine. La sua presenza, prontamente


rilevata al letto del paziente con un esame delle urine su striscia, indica la
presenza di una malattia epato- biliare. La bilirubina non coniugata è saldamente
legata all'albumina, non viene filtrata dai glomeruli e non è presente nelle urine
neanche quando i suoi livelli sierici sono aumentati. Un test positivo per la
presenza di bilirubina nelle urine conferma che i livelli sierici dipendono da
un'iperbilirubinemia coniugata. Non è necessario il frazionamento della bilirubina
plasmatica totale. La bilirubinuria può essere un segno iniziale di una malattia
epato-biliare, come avviene nell'epatite virale acuta ancora prima della comparsa
clinica dell'ittero. Comunque, in altre circostanze può essere assente malgrado
l'incremento della bilirubina sierica. Risultati falsi negativi si verificano nei casi di
prolungata conservazione del campione urinario con possibile ossidazione della
bilirubina o in presenza nelle urine di acido ascorbico (per ingestione di
vitamina C) o di nitrati (a causa di un'urosepsi).

L'urobilinogeno è normalmente presente in tracce nelle urine (10 mg/l [17 mmol/
l]) e può essere valutato con i test commerciali su striscia. Questo metabolita
intestinale della bilirubina aumenta a causa di un'emolisi (eccesso di formazione
del pigmento) o di un modesto deficit di captazione ed escrezione epatica (cioè,
quando la circolazione enteroepatica di questo pigmento supera la capacità
epatica di captazione e di secrezione). Il deficit di secrezione della bilirubina nel
piccolo intestino riduce la formazione dell'urobilinogeno tanto che all'esame delle
urine potrebbe risultare falsamente basso o assente. Per questo motivo
l'urobilinogeno, sebbene sia un indice sensibile in caso di lievi malattie epatiche,
è troppo poco specifico e di difficile interpretazione.

Fosfatasi alcalina: questi isoenzimi possono idrolizzare i legami degli esteri


fosforici organici in un ambiente alcalino, generando un radicale organico e un
fosfato inorganico. La loro funzione biologica è sconosciuta.

La fosfatasi alcalina nel siero normalmente deriva dal fegato, dalle ossa e,
durante la gravidanza, dalla placenta. È presente in alcuni tumori (p. es., nel
carcinoma broncogeno). L'accrescimento osseo causa un'elevazione, dipendente
dall'età, dei valori normali, specialmente nei bambini < 2 anni e negli adolescenti.
In seguito, dopo un picco che corrisponde alla maggiore crescita durante
l'adolescenza, l'attività della fosfatasi alcalina diminuisce raggiungendo i normali
valori dell'adulto. L'enzima torna, poi, fisiologicamente a valori lievemente
aumentati negli anziani. Durante la gravidanza, infine, il livello sierico aumenta di
2-4 volte entro il 9o mese e ritorna alla norma nell'arco di 21 gg dopo il parto.

La fosfatasi alcalina aumenta notevolmente nelle malattie che danneggiano la


formazione della bile (colestasi) e, in minor grado, nelle patologie epatocellulari. I
valori della fosfatasi alcalina aumentano fino a 4 volte nella colestasi, sia da
cause intraepatiche (cirrosi biliare primitiva, epatopatia da farmaci, rigetto di
trapianto epatico), che da reazione immunologica del trapianto verso l'ospite o da
cause extraepatiche (ostruzione duttale per stenosi, calcolosi o tumori).
L'aumento non è discriminatorio. Nella patologia epatocellulare (p. es., nelle varie
forme di epatiti, nella cirrosi e nelle malattie infiltrative), i livelli sierici della
fosfatasi alcalina tendono a essere in qualche modo più bassi, anche se con
alcune sovrapposizioni.

Gli aumenti isolati (cioè, quando gli altri esami epatici sono normali) si verificano
nelle malattie epatiche granulomatose o focali (p. es., ascessi, infiltrazione
neoplastica, ostruzione parziale dei dotti biliari). Il meccanismo che causa
l'aumento in alcune neoplasie extraepatiche senza metastasi epatiche, è
sconosciuto. Il carcinoma broncogeno, per esempio, può produrre una propria
fosfatasi alcalina; l'ipernefroma nel 15% dei casi provoca un'epatite non specifica
che potrebbe essere la causa dell'elevazione dell'enzima. Nel linfoma di Hodgkin,
il motivo dell'elevazione isolata della fosfatasi alcalina è sconosciuto. In genere,
l'aumento della sola fosfatasi alcalina nei soggetti anziani, peraltro asintomatici,
non richiede ulteriori indagini. Nella maggior parte dei casi origina dalle ossa
(p. es., nella malattia di Paget).

5'-Nucleotidasi: la misurazione della 5'-nucleotidasi è più semplice e utile


rispetto a quelle delle diverse fosfatasi alcaline, soprattutto al fine di distinguerne

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Screening e valutazione diagnostica

l'origine ossea da quella epatica. La 5'-nucleotidasi differisce dal punto di vista


biochimico dalla fosfatasi alcalina e si trova solamente nelle membrane
plasmatiche della cellula epatica. I valori sono bassi durante l'infanzia,
aumentano gradualmente durante l'adolescenza e raggiungono un plateau dopo i
50 anni. La 5'-nucleotidasi è di norma elevata nel corso dell'ultimo trimestre di
gravidanza. Questo enzima sierico aumenta nelle patologie epatobiliari, ma non
nelle malattie ossee. È utile nello studio del paziente anitterico. A causa della sua
specificità per le malattie del fegato, la 5'-nucleotidasi, pur non potendo
differenziare una malattia ostruttiva da una epatocellulare, offre alcuni vantaggi
rispetto alla fosfatasi alcalina. I due enzimi possono, o meno, aumentare e
diminuire nello stesso modo.

g-Glutamil transpeptidasi (GGT): conosciuta anche come g-glutamiltransferasi,


la GGT (presente nel fegato, nel pancreas e nel rene) catalizza il trasferimento
del gruppo g-glutammico da un peptide a un altro o a un l-aminoacido. I livelli
della GGT sono elevati nelle malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas
quando il coledoco è ostruito. In caso di colestasi, i livelli della GGT aumentano
insieme a quelli della fosfatasi alcalina e della 5'-nucleotidasi. L'estrema
sensibilità della GGT (maggiore di quella della fosfatasi alcalina), ne limita l'utilità,
ma aiuta a identificare una malattia epato-biliare come causa di un aumento
isolato della fosfatasi alcalina. I livelli della GGT sono normali in gravidanza e in
presenza di patologie ossee. Poiché non è fisiologicamente aumentata durante la
gravidanza o l'adolescenza, la GGT può permettere l'identificazione delle malattie
epatobiliari in tali condizioni. L'uso delle droghe e l'ingestione di alcol, che
inducono gli enzimi microsomiali, possono causare un aumento della GGT.
Come marker dell'epatopatia alcolica, la GGT non ha molto valore se usata da
sola, mentre è più affidabile in combinazione con la misurazione delle
transaminasi.

Transaminasi: l'aspartato transaminasi (AST) e l'alanina aminotransferasi (ALT)


sono dei sensibili indicatori delle lesioni epatiche. L'AST è presente nel cuore, nel
muscolo scheletrico, nel cervello, nel rene e nel fegato. I livelli dell'AST
aumentano in corso di infarto del miocardio, di scompenso cardiaco, di lesioni
muscolari, di malattie del SNC e in altre patologie extraepatiche. Malgrado l'AST
sia relativamente aspecifica, i suoi elevati livelli indicano un danno epatocellulare
ed è, quindi, un esame affidabile nello screening di routine delle patologie
epatiche. Valori > 500 UI/l indicano la presenza di un'epatite acuta, virale o
tossica e si possono verificare sia nei casi di insufficienza cardiaca importante
(epatite ischemica) che, a volte, in presenza di una calcolosi del coledoco. La
misura dell'aumento non ha un significato prognostico e non è correlata al grado
del danno epatico. Le determinazioni ripetute permettono un buon monitoraggio:
un ritorno ai valori normali indica la guarigione, a meno che non corrisponda al
quadro finale di una necrosi epatica massiva.

L'ALT si trova principalmente nelle cellule epatiche e perciò ha una grande


specificità per le epatopatie. La sua titolazione offre, comunque, solo un modesto
vantaggio aggiuntivo. Nella maggior parte delle malattie epatiche, l'aumento
dell'AST è inferiore a quello dell'ALT (rapporto AST/ALT < 1), a eccezione delle
epatopatie su base alcolica in cui il rapporto è, spesso, > 2. Questo ridotto
aumento dell'ALT è dovuto alla ridotta concentrazione nell'alcolista della
piridossina 5'-fosfato (vitamina B6), un importante cofattore per l'enzima. Anche
se dal punto di vista pratico l'uso di questo rapporto è limitato, un rapporto AST/
ALT > 3 con un marcato aumento delle GGT (più di 2 volte il valore della fosfatasi
alcalina) è altamente suggestivo di una lesione epatica correlata all'uso dell'alcol
(p. es., l'epatite alcolica).

Lattico deidrogenasi: la LDH, comunemente inserita nelle analisi eseguite di


routine, non è un sensibile indicatore del danno epatocellulare, ma piuttosto
dell'emolisi, dell'infarto del miocardio o dell'embolia polmonare. Può essere molto
elevata, anche in corso di neoplasie che interessano il fegato.

Proteine sieriche: il fegato sintetizza la maggior parte delle proteine sieriche: le


a- e b-globuline, l'albumina e i fattori della coagulazione (ma non le g-globuline
che sono prodotte dai linfociti B). Anche gli epatociti producono proteine
specifiche: l'a1-antitripsina (assente in caso di deficit di a1-antitripsina), la
ceruloplasmina (ridotta nella malattia di Wilson), la transferrina e la ferritina

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Screening e valutazione diagnostica

(rispettivamente saturata con il ferro e molto aumentata nell'emocromatosi).


Queste e alcune altre proteine sieriche aumentano in modo aspecifico in risposta
a un danno tissutale (p. es., nell'infiammazione) con il rilascio di citochine.
Queste reazioni della fase acuta possono produrre dei valori falsamente normali
o elevati.

L'albumina sierica è la principale responsabile della pressione oncotica


plasmatica ed è un vettore di trasporto di numerose sostanze (p. es., la bilirubina
non coniugata). La sua concentrazione nel siero è determinata dall'equilibrio tra
la sua sintesi e la sua degradazione o perdita, dalla sua distribuzione intra- ed
extravascolare e dal volume plasmatico. Nell'adulto, il fegato normalmente
sintetizza da 10 a 15 g (0,2 mmol)/die di albumina, che rappresentano circa il 3%
del pool totale dell'albumina corporea. La sua emivita biologica è di circa 20 gg;
quindi, i livelli sierici non riflettono la funzione epatocellulare nelle malattie
epatiche acute. L'albumina sierica (e la sua sintesi) è diminuita nelle malattie
epatiche croniche (p. es., cirrosi, ascite), soprattutto a causa di un aumentato
volume di distribuzione. Anche l'alcolismo, l'infiammazione cronica e la
malnutrizione proteica deprimono la sintesi dell'albumina. L'ipoalbuminemia può
essere dovuta a un'eccessiva perdita renale (sindrome nefrosica), intestinale
(gastroenteropatia proteino-disperdente) e cutanea (ustioni).

Le immunoglobuline sieriche aumentano nella maggior parte dei casi di


epatopatia cronica quando il sistema reticoloendoteliale è deficitario o bypassato
dagli shunt venosi portali. L'incapacità di depurare il sangue venoso dalla
normale flora batterica, in corso di batteriemia transitoria, causa una continua
stimolazione antigenica del tessuto linfoide extraepatico e
un'ipergammaglobulinemia. Il livello delle globuline sieriche aumenta lievemente
nelle epatiti acute e più marcatamente nelle epatiti croniche attive,
particolarmente nella varietà autoimmune. Le modalità con cui aumentano le
diverse Ig aggiungono poco: le IgM sono molto elevate nella cirrosi biliare
primitiva, le IgA nella patologia epatica su base alcolica e le IgG nelle epatiti
croniche attive.

Anticorpi: le proteine specifiche possono essere diagnostiche. La presenza dei


diversi antigeni e anticorpi virali è associata a delle cause specifiche di epatiti (v.
Epatite virale acuta nel Cap. 42 e Mononucleosi infettiva in Infezioni virali nel
Cap. 265).

Gli anticorpi antimitocondriali sono diretti contro gli antigeni delle membrane
mitocondriali interne di parecchi tessuti. L'antigene M2 è quello più strettamente
associato alla cirrosi biliare primitiva. Gli anticorpi antimitocondriali sono positivi,
generalmente con un alto titolo, in > 95% dei pazienti con una cirrosi biliare
primitiva. Questi anticorpi eterogenei sono presenti anche in circa il 30% dei casi
di epatite cronica attiva autoimmune e in alcuni casi di epatite da farmaci e di
collagenopatia vascolare. Sono assenti, invece, in presenza di un'ostruzione
meccanica della via biliare e nella colangite sclerosante primitiva e hanno, quindi,
un importante valore diagnostico, specialmente quando il quadro istopatologico
del fegato è equivoco.

Nell'epatite cronica attiva autoimmune si trovano anche altri anticorpi: gli anticorpi
anti-muscolo liscio, diretti specialmente contro l'actina, sono riscontrati nel 70%
dei casi e gli anticorpi anti-nucleo, responsabili di una omogenea (diffusa)
fluorescenza e sempre positivi a titoli elevati. Alcuni pazienti con epatite cronica
attiva mostrano anche l'anticorpo antimicrosoma del fegato e del rene (Liver-
Kidney-Microsome, LKM-1). Tuttavia, nessuno di questi anticorpi è diagnostico di
per sé e nessuno rivela la patogenesi della malattia.

a-Fetoproteina (AFP): sintetizzata dal fegato fetale, l'AFP è normalmente


elevata nella madre e nel neonato. Entro un anno di vita, l'AFP nel bambino
raggiunge i valori dell'adulto (normalmente < 20 ng/ml). Nel carcinoma
epatocellulare primitivo si osserva un suo marcato aumento, proporzionato alle
dimensioni del tumore. In questi casi, l'AFP è un utile esame di screening, perché
sono poche le altre condizioni (teratocarcinoma embrionario, epatoblastoma, rare
metastasi epatiche da neoplasie del tratto gastrointestinale, alcuni
colangiocarcinomi) che ne causano un aumento dei valori > 400 ng/ml.
Nell'epatite fulminante, l'AFP può essere > 1000 ng/ml; elevazioni meno marcate

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Screening e valutazione diagnostica

(da 100 a 400 ng/ml) si verificano nelle epatiti acute e croniche. Questi valori
possono indicare anche la rigenerazione epatica.

Tempo di protrombina (TP): il TP risente delle interazioni tra i fattori I


(fibrinogeno), II (protrombina), V, VII e X che sono sintetizzati dal fegato (v.
anche la trattazione in Emostasi nel Cap. 131). Il TP può essere espresso in
unità di tempo (s) o come il rapporto tra il TP misurato e il TP di controllo, detto
INR. La vitamina K è necessaria per la conversione della protrombina. I
precursori dei fattori VII, IX, X e probabilmente del V, ne hanno bisogno per la
loro attivazione attraverso una reazione di carbossilazione, che è essenziale per
il loro funzionamento come fattori della coagulazione. Il deficit di vitamina K
dipende da un inadeguato apporto o da un malassorbimento. Poiché la
vitamina K è liposolubile, sono necessari i sali biliari per il suo assorbimento
intestinale che, quindi, dovrebbe diminuire in corso di colestasi. Il
malassorbimento della vitamina K come causa di un prolungato TP può essere
differenziato ripetendo il dosaggio del TP 24-48 ore dopo la somministrazione di
vitamina K, alla dose di 10 mg SC. In corso di epatopatie parenchimali si verifica
un miglioramento minimo o nullo.

Il TP è un esame relativamente poco sensibile per la diagnosi delle disfunzioni


epatocellulari lievi. Comunque, a causa della breve emivita biologica dei fattori
della coagulazione coinvolti (da ore a pochi gg.), il TP ha un elevato valore
prognostico in corso di patologie epatiche acute. Nelle epatiti acute, virali o
tossiche, un TP > 5 s rispetto al controllo è un indicatore precoce di
un'insufficienza epatica fulminante.

Test per il metabolismo e per il trasporto epatico: diversi test possono


misurare la capacità del fegato di trasportare il materiale organico e di
metabolizzare i farmaci. I dosaggi della bilirubina sono usati frequentemente,
mentre altri esami, sebbene molto sensibili, sono complessi, costosi e aspecifici.

Gli acidi biliari sono specifici per il fegato poiché sono sintetizzati solo in questo
organo, costituiscono il fattore che promuove la formazione della bile e sono
soggetti a un'estrazione del 70-90% al primo passaggio epatico. Le
concentrazioni sieriche degli acidi biliari normalmente sono estremamente basse
(circa 5 mmol/ l). Gli aumenti sono specifici e molto sensibili per le malattie
epatobiliari, ma non aiutano nella diagnosi differenziale né indicano la prognosi. I
valori sono normali nell'iperbilirubinemia isolata (p. es., nella sindrome di Gilbert).
Le sofisticate analisi dei singoli acidi biliari nel siero possono avere valore nelle
ricerche cliniche sulla terapia con acidi biliari della calcolosi e della cirrosi biliare
primitiva.

Esami per immagini

La scintigrafia, l'ecografia (ECO), la TC e la RMN hanno sostituito le tecniche per


immagini tradizionali (p. es., la colecistografia orale e la colangiografia EV). Le
tecniche radiologiche invasive (p. es., la CPRE) si avvalgono di strumentazioni
sofisticate e permettono di eseguire delle procedure terapeutiche.

Radiografia diretta dell'addome: la sua utilità è limitata all'identificazione di


calcificazioni nel fegato o nella colecisti, di calcoli radiopachi e di aria nella via
biliare. Possono essere evidenziate anche le epato- o splenomegalie e l'ascite.

Colecistografia orale: questo esame è semplice, affidabile e relativamente sicuro


per la visualizzazione della colecisti; il 25% dei pazienti lamenta, però, diarrea
dopo l'esame. Raramente, si osserva una reazione da ipersensibilità al mezzo di
contrasto iodato. Uno studio anormale include la mancata visualizzazione della
colecisti dopo una seconda dose di contrasto e dopo aver escluso le cause più
ovvie: il vomito, l'ostruzione pilorica, il malassorbimento, la sindrome di Dubin-
Johnson o una significativa malattia epatocellulare. La sensibilità nella diagnosi
delle malattie della colecisti (p. es., la calcolosi della colecisti) è di circa il 95%,
ma la specificità è molto più bassa. Al contrario, i calcoli e le lesioni neoplastiche
sono facilmente identificati e differenziati. La colecistografia orale, oltre che

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Screening e valutazione diagnostica

definire l'anatomia della colecisti, evidenzia anche con chiarezza la pervietà del
dotto cistico e, in misura minore, la funzione di concentrazione della colecisti
stessa. Il riempimento radiologico della colecisti è un criterio importante nella
valutazione dell'indicazione alla terapia con i sali biliari, piuttosto che alla
litotripsia biliare extracorporea, per sciogliere i calcoli. Questa tecnica è anche più
utile dell'ECO nel determinare il numero e il tipo di calcoli (la trasparenza indica
che i calcoli sono composti da colesterolo). Tuttavia, l'ECO e la scintigrafia biliare
hanno largamente sostituito questo esame, un tempo di riferimento, a causa della
loro maggior facilità d'uso e minor incidenza di risultati falsi negativi. La
scintigrafia è migliore anche nell'evidenziare il riempimento e lo svuotamento
della colecisti.

Ecografia: i reperti ottenuti all'ECO sono di carattere morfologico e indipendenti


dalla funzione. L'ECO è l'esame più importante per lo screening delle anomalie
della via biliare e delle lesioni occupanti spazio nel fegato. È inoltre più utile nella
diagnosi delle lesioni focali (> 1 cm di diametro) che in quella delle patologie
diffuse (p. es., steatosi, cirrosi). In generale, le cisti sono prive di echi; le lesioni
solide (p. es., neoplasie, ascessi) tendono a essere ecogene. La capacità di
localizzare delle lesioni focali permette di eseguire delle biopsie e delle
aspirazioni ecoguidate.

L'ECO è la tecnica meno costosa, più sicura e più sensibile per la visualizzazione
del sistema biliare e, in particolare, della colecisti. L'accuratezza per la diagnosi
delle patologie della colecisti o da calcoli è prossima al 100%, anche se è
necessaria una discreta abilità da parte dell'esecutore dell'esame. I calcoli
emettono degli intensi echi con cono d'ombra posteriore e possono essere mobili
per la forza di gravità. La dimensione dei calcoli può essere definita
accuratamente, ma può essere difficile determinarne il numero, quando sono
tanti, a causa della loro sovrapposizione. I criteri per la diagnosi di colecistite
acuta includono un ispessimento della parete della colecisti, la presenza di un
liquido pericolecistico, la presenza di un calcolo occludente il colletto della
colecisti e la dolorabilità alla palpazione (segno di Murphy). I polipi della colecisti
sono un frequente reperto accidentale. Il carcinoma si presenta come una massa
solida, senza caratteristiche specifiche.

L'ECO è la procedura di scelta per valutare la colestasi e per differenziare le


cause intraepatiche da quelle extraepatiche dell'ittero. I dotti biliari appaiono
come strutture tubulari anecogene. Il coledoco ha un diametro che normalmente
è inferiore ai 6 mm, aumenta lievemente con l'età e raggiunge i 10 mm dopo la
colecistectomia. La presenza di dotti dilatati è in pratica patognomonica per
un'ostruzione extraepatica, ma la presenza di dotti normali non esclude
l'ostruzione, poiché questa potrebbe essere intermittente o di recente insorgenza.
L'ECO non evidenzia facilmente i calcoli nel coledoco, ma la loro presenza può
essere dedotta in caso di dilatazione del dotto stesso e in presenza di calcoli
nella colecisti. La visualizzazione del pancreas, del rene e dei vasi sanguigni è un
ulteriore vantaggio. Il riscontro di un ingrandimento della testa del pancreas o
della presenza di una massa a questo livello, può rivelare la causa di una
colestasi o di un dolore localizzato nei quadranti superiori dell'addome.

L'ecodoppler misura la variazione di frequenza delle onde a ultrasuoni riflesse


dal movimento dei GR. Questa metodica può mostrare con chiarezza la
vascolarizzazione epatica, in particolare la vena porta, e la direzione del flusso
ematico. L'ecodoppler può mostrare la trombosi dell'arteria epatica dopo un
trapianto di fegato. Può anche identificare delle strutture vascolari anomali
(p. es., la trasformazione cavernomatosa della vena porta).

Scintigrafia con radionuclidi: questa procedura comporta la captazione epatica


di un radiofarmaco iniettato nella circolazione sistemica e che di solito è
rappresentato dal Tecnezio 99m (99mTc).

Per la scintigrafia epato-splenica si usa il 99mTc-solfuro-colloide, che è


rapidamente estratto dal sangue da parte delle cellule del sistema
reticoloendoteliale. Normalmente, la radioattività è distribuita in modo uniforme.
Nel caso di una lesione occupante > 4 cm (p. es., una cisti, un ascesso, una
metastasi, un tumore epatico), la parte di fegato sostituita appare come una zona
"fredda". Le malattie epatiche generalizzate (p. es., la cirrosi, l'epatite),

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Screening e valutazione diagnostica

provocano una diminuzione eterogenea della captazione da parte del fegato e un


suo incremento da parte della milza e del midollo osseo. L'ostruzione della vena
sovraepatica si associa a una diminuita visualizzazione del fegato, a eccezione
del lobo caudato che ha un drenaggio indipendente nella vena cava inferiore.
L'ECO o la TC hanno largamente sostituito la scintigrafia con radionuclidi per la
diagnosi delle lesioni occupanti spazio e delle malattie parenchimali diffuse.

Colescintigrafia: per studiare il sistema escretorio epato-biliare, la


colescintigrafia impiega dei derivati dell'acido imminodiacetico marcati con il
tecnezio99m. Queste radiosostanze sono anioni organici, che il fegato capta
avidamente dal plasma e secerne nella bile soprattutto sotto forma di bilirubina. È
necessario un digiuno di almeno 2 h. Un esame normale mostra una captazione
epatica rapida e uniforme, una pronta escrezione nei dotti biliari e la
visualizzazione della colecisti e del duodeno entro 1 h. Nella colecistite acuta
(con ostruzione del dotto cistico) la colecisti non è visibile entro 1 h. Una
colecistite acuta acalcolotica può essere identificata nello stesso modo. La
colecistite cronica è più problematica: può essere ragionevolmente diagnosticata
se la visualizzazione della colecisti è ritardata di oltre 1 h, a volte fino a 24 h, o se
la colecisti non viene visualizzata per nulla, ma la diagnosi è resa dubbia dai
numerosi risultati falsi positivi e falsi negativi. Diversi fattori, infatti, possono
contribuire alla mancata visualizzazione della colecisti (p. es., una colestasi
importante con un marcato incremento della bilirubina, il mancato digiuno, un
digiuno > 24 h, alcuni farmaci).

La colescintigrafia valuta anche l'integrità del sistema epato-biliare (spandimenti


biliari possono essere importanti specie dopo un intervento chirurgico o un
trauma) e la sua anatomia (dalle cisti congenite del coledoco alle anastomosi
coledoco-enteriche). Dopo la colecistectomia, la scintigrafia biliare può
quantificare il drenaggio biliare ed essere di ausilio nell'identificazione di una
disfunzione dello sfintere di Oddi. Nell'ittero neonatale, lo studio per immagini del
sistema epato-biliare consente la differenziazione tra l'epatite neonatale e
l'atresia biliare.

Tomografia computerizzata: la TC rileva le variazioni di densità delle differenti


lesioni epatiche. L'uso del mezzo di contrasto EV aiuta a distinguere le più sottili
differenze tra i tessuti molli e a identificare il sistema vascolare e la via biliare. La
TC mostra le strutture epatiche in modo più coerente dell'ECO; l'obesità e i gas
intestinali non interferiscono con la loro visualizzazione. La TC è particolarmente
utile per studiare le lesioni occupanti spazi (p. es., metastasi) nel fegato e le
masse nel pancreas. Può evidenziare anche un'infiltrazione grassa del fegato e
un'aumentata densità epatica da sovraccarico di ferro. È un esame costoso e
richiede l'esposizione a radiazioni; entrambi i fattori ne riducono l'uso di routine
nei confronti dell'ECO.

Risonanza magnetica nucleare: la RMN è un'interessante, sebbene costosa,


tecnologia che può portare dei vantaggi nell'identificazione delle neoplasie e nello
studio del flusso ematico del fegato. I vasi ematici sono facilmente identificati
senza mezzi di contrasto. Anche se ancora in evoluzione, la RMN è confrontabile
con la TC per l'identificazione delle lesioni occupanti spazio e può visualizzare i
vasi periepatici e il sistema biliare. La colangio-RMN sta diventando un esame di
screening sempre più interessante, da utilizzare prima di passare a tecniche più
invasive.

Colangiografia intraoperatoria: questa procedura richiede l'iniezione diretta del


mezzo di contrasto nel dotto cistico o nel coledoco durante l'intervento chirurgico.
Si ottiene un'eccellente visualizzazione della via biliare. Questo approccio
diagnostico è indicato nei casi di calcolosi biliare quando è presente un ittero o
quando si sospetta una calcolosi del coledoco. Le difficoltà tecniche ne hanno
limitato l'uso durante la colecistectomia eseguita per via laparoscopica. La
visualizzazione diretta del coledoco può essere ottenuta anche con la
coledocoscopia. La colangiografia EV, eseguita per la visualizzazione del
coledoco, è stata di fatto abbandonata a causa del suo scarso potere
diagnostico, per i rischi di una reazione da ipersensibilità e per l'avvento della
CPRE.

Colangiopancreatografia retrograda endoscopica (CPRE): la CPRE combina

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Screening e valutazione diagnostica

(1) l'endoscopia (per l'endoscopia del tratto gastrointestinale superiore, v.


Cap. 19) per l'identificazione e l'incannulamento dell'ampolla di Vater nella
seconda porzione duodenale e (2) lo studio rx dopo iniezione del mezzo di
contrasto nei dotti biliare e pancreatico. Con questa tecnica si posiziona nel
duodeno discendente un endoscopio a visione laterale, si identifica e si incannula
la papilla di Vater e poi si inietta un mezzo di contrasto per visualizzare il dotto
pancreatico e il sistema dei dotti biliari. Otre a ottenere delle eccellenti immagini
della via biliare e del pancreas, la CPRE permette la visualizzazione del tratto
gastrointestinale superiore e dell'area periampollare. Possono essere eseguite
delle biopsie e delle procedure interventistiche (p. es., la sfinterotomia,
l'estrazione di calcoli biliari o il posizionamento di una protesi biliare attraverso
una stenosi). La CPRE è una procedura ambulatoriale che, in mani esperte, ha
un rischio relativamente basso (principalmente di pancreatite nel 3% dei casi
dopo sfinterotomia). Ha rivoluzionato la diagnosi e il trattamento delle patologie
pancreatico-biliari. È particolarmente preziosa nella valutazione della via biliare in
caso di ittero persistente e nella ricerca di una lesione suscettibile di trattamento
(p. es., calcoli, stenosi, disfunzioni dello sfintere di Oddi). In caso di ittero e
colestasi, la CPRE deve essere preceduta dall'ECO per valutare il diametro del
coledoco.

Colangiografia transepatica percutanea (CTP): questa procedura comporta la


puntura del fegato con un ago da 22 gauge, sotto controllo fluoroscopico o
ecografico, per entrare in un dotto biliare intraepatico periferico a monte del dotto
epatico comune. La CTP ha un elevato potere diagnostico, ma soltanto per
quanto riguarda il sistema biliare. È possibile eseguire alcune procedure
terapeutiche (p. es., la decompressione del sistema biliare, il posizionamento di
un'endoprotesi). Di solito, si preferisce la CPRE, soprattutto se i dotti non sono
dilatati (p. es., colangite sclerosante). La CTP viene usata dopo il fallimento di
una CPRE o quando un'alterata anatomia (gastroenterostomia) preclude
l'accesso all'ampolla. Può essere di complemento alla CPRE nelle lesioni ilari
localizzate alla porta hepatis. La CTP è generalmente sicura, ma ha comunque
una maggiore incidenza di complicanze (p. es., sepsi, sanguinamento,
spandimenti di bile) rispetto alla CPRE. La scelta tra la CTP e la CPRE viene
operata spesso dagli specialisti locali.

Biopsia epatica

La biopsia epatica percutanea fornisce delle valide informazioni diagnostiche


con un rischio relativamente modesto e un piccolo fastidio per il paziente.
Praticata al letto del paziente in anestesia locale, questa procedura comporta una
biopsia mediante aspirazione (usando l'ago di Menghini o l'ago di Jamshidi,
disponibile come un set monouso e, quindi, sempre affilato) o mediante il taglio
(usando il Trucut monouso, una variante dell'ago di Vim-Silverman). Previa
anestesia, l'ago è inserito in uno spazio intercostale, anteriormente alla linea
ascellare media e appena sotto il punto di massima ottusità in espirazione. Il
paziente giace immobile e rimane in espirazione. L'ago procede quindi,
rapidamente, nel fegato con l'aspirazione collegata (Jamshidi) o con la parte
tagliente avanzata (Trucut). La procedura impiega 1-2 s per fornire un frustolo
epatico del diametro di 1 mm, lungo 2 cm. Occasionalmente, è necessario
ripetere la manovra una seconda volta; se un secondo o un terzo tentativo
risultano infruttuosi, si deve eseguire l'ago-biopsia sotto guida ECO o TC. La
biopsia ecoguidata eseguita con una pistola per biopsia, che ha un dispositivo a
scatto che fa avanzare un ago Trucut modificato, è meno dolorosa e fornisce una
resa maggiore. La guida ecografica è particolarmente utile per eseguire prelievi
da lesioni focali o per evitare le formazioni vascolari (p. es., gli emangiomi).

Al momento della biopsia, l'inserimento dell'ago permette di valutare la


consistenza del parenchima epatico: una sensazione di durezza suggerisce, a
esempio, la diagnosi di cirrosi. La biopsia viene sottoposta di routine a esame
istopatologico. In casi selezionati possono essere utili l'esame citologico, l'esame
colturale e le sezioni al criostato. Nel sospetto di malattia di Wilson si deve
misurare il contenuto in rame. L'aspetto macroscopico fornisce alcune
informazioni: la frammentazione del pezzo bioptico suggerisce la diagnosi di
cirrosi; un fegato steatosico è di color giallo pallido e galleggia nella formaldeide;

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Screening e valutazione diagnostica

il carcinoma è biancastro.

La biopsia epatica è una procedura sufficientemente sicura da essere eseguita


ambulatorialmente. Dopo la biopsia, il paziente è monitorato per 3-4 h, che
rappresentano il periodo durante il quale è più probabile il verificarsi delle
complicanze (p. es., l'emorragia intra-addominale, la peritonite biliare, la
lacerazione epatica). I pazienti dimessi devono rimanere a non più di un'ora di
distanza dall'ospedale, poiché un sanguinamento tardivo si può verificare anche
dopo 15 gg. È frequente un lieve fastidio al quadrante superiore destro
dell'addome, talvolta irradiato dal diaframma all'apice della spalla, che risponde
alla somministrazione di blandi analgesici. La mortalità è bassa, pari allo 0,01%;
le complicanze maggiori sono riportate in circa il 2% dei casi.

Le indicazioni alla biopsia percutanea del fegato sono elencate nella Tab. 37-1.
La biopsia ecoguidata con ago sottile, rivela la presenza di carcinomi metastatici
in almeno il 66% dei casi e può permettere la diagnosi anche se gli altri esami
per immagini sono negativi; l'esame citologico del liquido ottenuto con la biopsia
fornisce dei risultati positivi in un altro 10% dei casi. I risultati sono meno validi in
caso di linfoma e sono scarsamente correlati con l'impressione clinica di
interessamento epatico. La biopsia è utile specialmente per evidenziare la TBC e
le altre infiltrazioni granulomatose e può chiarire i problemi del fegato trapiantato
(lesione ischemica, rigetto, patologia della via biliare, epatite virale).

I limiti della procedura comprendono: (1) la necessità di un istopatologo esperto


(molti patologi hanno una scarsa esperienza con gli agoaspirati); (2) gli errori di
prelievo (nell'epatite e nelle altre epatopatie diffuse il tessuto prelevato è quasi
sempre significativo, ma non altrettanto si verifica nel caso della cirrosi e delle
lesioni occupanti spazio);

(3) l'incapacità a differenziare eziologicamente l'epatite (p. es., virale o da


farmaci); (4) gli errori occasionali o le incertezze nei casi di colestasi.

Le controindicazioni relative includono la tendenza emorragica o un disturbo della


coagulazione (un tempo di protrombina > 3 s rispetto ai valori di controllo
[INR > 1,2] nonostante la somministrazione di vitamina K, un tempo di
sanguinamento > 10 min), una grave trombocitopenia (50000 ml), una grave
anemia, la peritonite, l'ascite di grado elevato, l'ostruzione biliare di grado
marcato e l'infezione o un versamento sottofrenico o pleurico destro.

La biopsia epatica transvenosa viene eseguita, utilizzando un Trucut


modificato, attraverso un catetere che viene inserito nella vena giugulare interna
destra, passa nell'atrio destro e nella vena cava inferiore fino a raggiungere la
vena sovraepatica. Da qui l'ago viene sospinto nel parenchima epatico. Con
questa tecnica è anche possibile misurare la pressione nella vena sovraepatica e
la pressione di incuneamento. Può essere usata anche quando il paziente ha
un'importante patologia della coagulazione, sebbene il campione ottenuto sia
relativamente piccolo e l'operatore debba essere molto esperto nelle tecniche
angiografiche. È una procedura molto ben tollerata e richiede al massimo una
modesta sedazione, fatta eccezione per i pazienti che non collaborano. La
metodica, in mani esperte, fornisce una quantità di tessuto epatico sufficiente in
oltre il 95% dei casi. La percentuale di complicanze è molto bassa: nello 0,2% dei
casi si verifica un'emorragia dal punto di ingresso nella capsula epatica. Un
centro non ha riportato alcun decesso in oltre 1000 biopsie transvenose eseguite.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck

4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO

ITTERO

La malattia epatica ha numerose manifestazioni cliniche, alcune delle quali sono


osservate sia nei disordini acuti che in quelli cronici, mentre altre si presentano
solo nelle epatopatie croniche.

Sommario:

Introduzione
Metabolismo della bilirubina
Approccio clinico all'ittero
Sintomi e segni
Esami di laboratorio

Colorazione gialla della cute, delle sclere e di altri tessuti causata da un eccesso
di bilirubina circolante.

Un ittero lieve, osservato esaminando le sclere alla luce naturale, è di solito


evidenziabile quando la bilirubina sierica raggiunge i 2-2,5 mg/dl (34-43 mmol/l).

Metabolismo della bilirubina

Il catabolismo dell'eme porta alla produzione dei pigmenti biliari; i suoi precursori
sono l'Hb dei GR in disfacimento, i precursori dei GR nel midollo osseo, nonché
le proteine contenenti questo gruppo prodotte nel fegato e in altri tessuti. Non
esiste alcuna prova circa l'esistenza di una sintesi diretta della bilirubina a partire
dai precursori dell'eme. La bilirubina, un anione organico pigmentato,
strettamente correlato alle porfirine e ad altri composti tetrapirrolici, è un prodotto
insolubile del catabolismo. Per essere escreta deve essere convertita in una
forma idrosolubile; questa trasformazione rappresenta l'obiettivo finale del
metabolismo della bilirubina, che si svolge attraverso 5 tappe fondamentali:

1. Formazione: ogni giorno si formano circa 250-350 mg di bilirubina; il 70-80%


deriva dalla distruzione dei GR invecchiati. Il restante 20-30% (la bilirubina
precocemente marcata) deriva dalle altre proteine contenenti l'eme, localizzate
principalmente nel fegato e nel midollo osseo. Il gruppo eme dell'Hb viene
degradato dall'enzima microsomiale eme-ossigenasi, a ferro e a biliverdina, un
prodotto intermedio. Un altro enzima, la biliverdina riduttasi, converte, poi, la
biliverdina a bilirubina. Questi passaggi avvengono principalmente nelle cellule
del sistema reticoloendoteliale (fagociti mononucleati). L'aumentata emolisi dei
GR rappresenta la causa più importante dell'aumentata formazione della
bilirubina. Un aumento della bilirubina precocemente marcata si verifica in alcuni
disordini ematologici con eritropoiesi inefficace, ma di solito non è clinicamente
rilevante.

2. Trasporto plasmatico: a causa dei legami idrogeno interni, la bilirubina non è


idrosolubile. La bilirubina non coniugata (a reazione indiretta) è perciò
trasportata nel plasma legata all'albumina e non può attraversare la membrana
glomerulare e quindi non compare nelle urine. Il legame si indebolisce in alcune

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

condizioni (p. es., l'acidosi), mentre alcune sostanze (p. es., certi antibiotici e i
salicilati) competono con la bilirubina per i siti di legame dell'albumina.

3. Captazione epatica: sono ancora poco chiari i dettagli della captazione della
bilirubina da parte del fegato e l'importanza delle proteine di legame (binding
proteins) intracellulari (p. es., la ligandina o la proteina Y). La captazione della
bilirubina avviene attraverso un trasporto attivo ed è rapida, ma non include la
quota legata all'albumina sierica.

4. Coniugazione: la bilirubina libera concentrata nel fegato viene coniugata con


l'acido glicuronico a formare la bilirubina diglicuronide o bilirubina coniugata (a
reazione diretta). Questa reazione, catalizzata dall'enzima microsomiale
glicuronil-transferasi, rende il pigmento idrosolubile. In alcune circostanze, la
glicuronil-transferasi forma solamente bilirubina monoglicuronide e la seconda
molecola di acido glicuronico viene aggiunta a livello del canalicolo biliare, ad
opera di un diverso sistema enzimatico, ma questa reazione non è da tutti
considerata fisiologica. Oltre al diglicuronide vengono formati altri composti
coniugati della bilirubina di significato sconosciuto.

5. Escrezione biliare: la bilirubina coniugata viene escreta nei canalicoli biliari


insieme agli altri costituenti della bile. Questo processo è complesso e può
essere influenzato dalla presenza di farmaci o di altri anioni organici.
Nell'intestino, la flora batterica deconiuga e riduce la bilirubina a composti
denominati stercobilinogeni. La maggior parte di questi viene escreta con le feci
a cui dà la colorazione marrone; una quota importante viene assorbita e di nuovo
escreta nella bile, mentre una piccola quantità passa nelle urine come
urobilinogeno. Il rene può eliminare la bilirubina diglicuronide, ma non la
bilirubina non coniugata. Ciò spiega le urine scure tipiche dell'ittero epatocellulare
o colestatico e l'assenza dei pigmenti biliari nelle urine dei soggetti con ittero
emolitico.

Le alterazioni che si verificano in ognuna di queste tappe possono causare ittero.


Un'aumentata formazione, una compromessa captazione epatica o una ridotta
coniugazione possono causare un'iperbilirubinemia non coniugata. Una ridotta
escrezione biliare causa, invece, un'iperbilirubinemia coniugata. In pratica, sia
le affezioni epatiche che le ostruzioni biliari determinano delle alterazioni multiple,
che causano un'iperbilirubinemia di tipo misto. Inoltre, quando la bilirubina
coniugata aumenta nel plasma, una parte di essa viene legata in modo covalente
all'albumina sierica. Questa frazione legata alle proteine (d-bilirubina) non è
misurabile con le tecniche di routine, ma spesso rappresenta una componente
fondamentale della bilirubina circolante, specialmente durante la fase di
regressione dell'ittero.

Nei pazienti affetti da una chiara malattia epato-biliare, non è molto importante,
dal punto di vista diagnostico, conoscere i valori della bilirubina coniugata e di
quella non coniugata. In particolare, questo non permette di differenziare l'ittero
epatocellulare da quello colestatico, perché l'iperbilirubinemia è di tipo misto
indipendentemente dalla causa di base. Il frazionamento è utile solo se si
sospettano dei disordini di tipo non coniugato (v. oltre); questi disordini
determinano un ittero in assenza di un'epatopatia dimostrabile.

Approccio clinico all'ittero

La valutazione clinica e di laboratorio deve rispondere ad alcune specifiche


domande: l'ittero è causato da un'emolisi o da un disordine isolato del
metabolismo della bilirubina (raro), da una disfunzione epatocellulare (comune) o
da un'ostruzione della via biliare (di frequenza intermedia)? Se è presente una
patologia epato-biliare, si tratta di una condizione acuta o cronica? Si tratta di
un'epatopatia primitiva o delle manifestazioni epatiche di una malattia sistemica?
Ne sono responsabili un'infezione virale, l'alcol o un altro farmaco? La colestasi è
di origine intra- o extraepatica? È necessaria una terapia chirurgica? Sono
presenti delle complicanze? Una dettagliata anamnesi e un completo esame
obiettivo sono fondamentali, perché gli errori diagnostici sono, di solito, causati

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

da un'inadeguata valutazione clinica e da un eccessivo affidamento sui dati di


laboratorio.

Sintomi e segni

Un ittero lieve senza urine ipercromiche, indirizza verso un'iperbilirubinemia di


tipo non coniugato causata dall'emolisi o da una sindrome di Gilbert, piuttosto
che da una malattia epato-biliare. Un ittero più grave o la comparsa di urine
ipercromiche indicano una malattia epatica o biliare ( per gli altri reperti che
indicano un disordine epatocellulare o colestatico, v. oltre). I segni
dell'ipertensione portale, l'ascite o le alterazioni cutanee ed endocrine,
solitamente implicano un processo cronico piuttosto che acuto. I pazienti spesso
notano l'emissione delle urine scure prima della comparsa della colorazione
giallastra della cute; allora, il momento della comparsa della coluria fornisce la
migliore indicazione circa la durata dell'ittero. La nausea e il vomito, che si
manifestano prima dell'ittero, in genere indicano un'epatite acuta o un'ostruzione
coledocica di origine litiasica; il dolore addominale e la febbre con brivido
depongono per quest'ultima. Un'anoressia e un malessere più insidiosi si
verificano in molte situazioni, ma indicano in particolare una epatopatia alcolica o
un'epatite cronica.

Si deve comunque considerare anche la possibilità che si tratti di una malattia


sistemica; p. es., il turgore delle vene giugulari, in un paziente con epatomegalia
e ascite, indica uno scompenso cardiaco congestizio o una pericardite costrittiva.
L'aspetto cachettico e un fegato insolitamente duro o nodulare sono causati più
frequentemente dalla presenza di metastasi piuttosto che da una cirrosi. Una
linfoadenopatia diffusa suggerisce la mononucleosi infettiva in un ittero insorto
acutamente e un linfoma o una leucemia in situazioni croniche.
L'epatosplenomegalia senza altri segni di epatopatia cronica può essere causata
da un processo infiltrativo (p. es., un linfoma, l'amiloidosi), anche se l'ittero è, di
solito, minimo o assente in tali affezioni; in zone endemiche, questo quadro è
prodotto dalla malaria e dalla schistosomiasi.

Esami di laboratorio

Una lieve iperbilirubinemia, con valori normali delle aminotransferasi e della


fosfatasi alcalina, è, di solito, l'espressione di un'emolisi o di una sindrome di
Gilbert, piuttosto che di un'epatopatia; ciò viene generalmente confermato dal
frazionamento della bilirubina. Per contro, l'entità dell'ittero e il frazionamento
della bilirubina non sono utili per la diagnosi differenziale tra ittero epatocellulare
e ittero colestatico. Un aumento delle aminotransferasi > 500 U depone per
un'epatite o per un episodio di ipossia acuta; un incremento sproporzionato della
fosfatasi alcalina fa pensare a una malattia colestatica o infiltrativa. In
quest'ultimo caso, la bilirubinemia è generalmente normale o aumentata di poco.
Valori della bilirubina > 25-30 mg/dl (428-513 mmol/l) sono di solito causati da
un'emolisi o da un'alterata funzione renale sovrapposta a una grave malattia
epato-biliare; quest'ultima, da sola, raramente causa un ittero così grave. Bassi
valori di albumina ed elevati valori di globuline indicano un'epatopatia cronica
piuttosto che una forma acuta. La riduzione di un tempo di protrombina anormale,
dopo la somministrazione di vitamina K (5-10 mg IM per 2-3 gg), depone per un
processo colestatico piuttosto che epatocellulare, ma questo test ha un valore
diagnostico limitato, perché anche i pazienti affetti da una malattia epatocellulare
possono migliorare a seguito dell'assunzione di vitamina K.

Gli esami per immagini sono molto utili per la diagnosi delle patologie infiltrative e
colestatiche (v. oltre Colestasi). L'ecografia addominale, la TC e la RMN
evidenziano frequentemente le lesioni metastatiche e le altre lesioni focali del
fegato e, a questo fine, hanno sostituito la scintigrafia epatica. Tuttavia, queste
metodiche non sono altrettanto utili nella diagnosi delle malattie epatocellulari
diffuse (p. es., la cirrosi), poiché i reperti sono, solitamente, aspecifici.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

La biopsia epatica percutanea ha un grande valore diagnostico, ma è raramente


necessaria in caso di ittero. La peritoneoscopia (laparoscopia) permette la
visualizzazione diretta del fegato e della colecisti senza comportare il trauma
della laparotomia ed è utile in casi selezionati. Raramente, in alcuni pazienti con
ittero colestatico o con un'epatosplenomegalia inspiegabile, può essere
necessaria una laparotomia esplorativa. Queste tecniche sono trattate in modo
più esauriente nei Cap. 19 e 37.

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

Manuale Merck

4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

38. ASPETTI CLINICI DELLE MALATTIE DEL FEGATO

ITTERO

COLESTASI

(Ittero ostruttivo) Una sindrome clinica e biochimica causata da un ostacolato


deflusso della bile.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Il termine "colestasi" viene preferito a "ittero ostruttivo" in quanto non è


necessario che sia presente un'ostruzione meccanica. Per la trattazione della
colestasi nel lattante Difetti gastrointestinali nel Cap. 261.

Eziologia

Il deflusso della bile può essere alterato a qualsiasi livello, dal canalicolo biliare
all'ampolla di Vater. Dal punto di vista clinico, è fondamentale la distinzione tra
cause intraepatiche e cause extraepatiche.

Le cause intraepatiche più comuni sono l'epatite (v. Cap. 42), la tossicità indotta
dai farmaci (v. Cap. 43) e l'epatopatia alcolica (v. Cap. 40). Le cause meno
frequenti includono la cirrosi biliare primitiva (v. Cap. 41), la colestasi della
gravidanza (v. Disordini epatici nel Cap. 251), il carcinoma metastatico e
numerose malattie più rare.

Le cause extraepatiche più comuni sono la litiasi del coledoco e il carcinoma del
pancreas. Le cause meno frequenti includono la stenosi benigna del coledoco
(solitamente in rapporto a un pregresso intervento chirurgico), il carcinoma delle
vie biliari, la pancreatite o la pseudocisti pancreatica e la colangite sclerosante.

Fisiopatologia

La colestasi è espressione di un difetto della secrezione biliare; i meccanismi


sono complessi, perfino nell'ostruzione meccanica. Tra i fattori che
contribuiscono alla colestasi si può osservare un'interferenza con gli enzimi
idrossilanti microsomiali, che conduce alla formazione di acidi biliari scarsamente
solubili; un'alterata attività della Na+, K+-ATPasi, necessaria per il corretto
deflusso della bile lungo i canalicoli; un'alterata composizione e fluidità dei lipidi

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

di membrana; un'interferenza con la funzione dei microfilamenti (ritenuti


importanti per la funzione canalicolare); un aumento del riassorbimento tubulare
dei costituenti della bile.

Gli effetti fisiopatologici della colestasi sono dovuti al reflusso dei costituenti della
bile (principalmente la bilirubina, i sali biliari e i lipidi) nella circolazione sistemica
e alla loro mancata eliminazione, data l'impossibilità a raggiungere l'intestino. La
ritenzione di bilirubina produce un ittero a iperbilirubinemia mista con emissione
di pigmenti biliari coniugati nelle urine; le feci spesso sono acromiche perché una
scarsa quantità di bilirubina raggiunge l'intestino. Il prurito è spesso imputato agli
elevati livelli di sali biliari circolanti, ma la correlazione è scarsa e la sua
patogenesi rimane oscura. Poiché i sali biliari sono necessari per l'assorbimento
dei grassi e della vitamina K, un ostacolo all'escrezione dei sali biliari può
causare steatorrea e ipoprotrombinemia. Se la colestasi è di vecchia data (p. es.,
nella cirrosi biliare primitiva) si possono verificare nel tempo un'osteoporosi o
un'osteomalacia dovute al concomitante malassorbimento di Ca e di vitamina D.
La ritenzione di colesterolo e di fosfolipidi causa un'iperlipemia, a cui possono
contribuire anche un aumento della sintesi epatica e una diminuzione
dell'esterificazione plasmatica del colesterolo; i valori dei trigliceridi non
subiscono modificazioni. I lipidi circolano sotto forma di un'unica lipoproteina
alterata, a bassa densità, chiamata lipoproteina X.

Sintomi e segni

L'ittero, le urine ipercromiche, le feci chiare e il prurito generalizzato


rappresentano le caratteristiche cliniche della colestasi. La forma cronica può
essere responsabile di una pigmentazione cutanea bruno-verdastra, di
escoriazioni da grattamento, di una diatesi emorragica, di dolori ossei e di
depositi cutanei di lipidi (xantelasmi o xantomi). Queste caratteristiche sono
indipendenti dalla causa della colestasi. Il dolore addominale, i sintomi sistemici
(p. es., l'anoressia, il vomito, la febbre) o altri segni obiettivi addizionali sono
invece le manifestazioni della causa di base, piuttosto che della colestasi e,
quindi, rappresentano delle utili indicazioni eziologiche.

Diagnosi

La colestasi intraepatica deve essere differenziata da quella extraepatica. Sono


importanti una dettagliata anamnesi e un esame obiettivo completo, dal
momento che la maggior parte degli errori diagnostici deriva da un'inadeguata
valutazione clinica e da un eccessivo affidamento sui dati di laboratorio.
Depongono per una diagnosi di colestasi intraepatica i sintomi dell'epatite,
l'eccessiva assunzione di alcol o la recente assunzione di farmaci potenzialmente
colestatici, nonché i segni di un'epatopatia cronica (p. es., gli spider-nevi, la
splenomegalia, l'ascite). La natura extraepatica della colestasi viene per contro
suggerita dal dolore biliare o pancreatico, dalla febbre con brivido o dalla
presenza di una colecisti palpabile.

Gli esami di laboratorio hanno una limitata utilità diagnostica. L'alterazione più
tipica è data da un valore sierico, sproporzionatamente elevato, della fosfatasi
alcalina dovuto più a un aumento della sintesi epatica che a un'ostacolata
escrezione, ma che, comunque, non aiuta a identificare la malattia di base. Allo
stesso modo, i valori della bilirubinemia riflettono la gravità, ma non la causa,
della colestasi e la bilirubinemia frazionata non aiuta a distinguere una forma
intraepatica da una extraepatica. I valori dell'aminotransferasi dipendono
ampiamente dalla causa di base, ma solitamente sono solo leggermente
aumentati. Un aumento marcato suggerisce un processo epatocellulare, ma si
verifica occasionalmente anche nella colestasi extraepatica, specialmente nel
caso di un'ostruzione acuta causata da un calcolo nel coledoco. Un'amilasemia
elevata, solitamente indica un'ostruzione extraepatica. La riduzione del tempo di
protrombina dopo la somministrazione di vitamina K indica un'ostruzione
extraepatica, ma anche le malattie epatocellulari possono rispondere nello stesso

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

modo. La presenza di anticorpi antimitocondriali suggerisce con forza una cirrosi


biliare primitiva.

Gli esami per immagini del tratto biliare sono fondamentali (v. Cap. 37).
L'ecografia, la TC e la RMN mostrano la dilatazione dei dotti biliari, anche se
l'assenza di questo segno non indica necessariamente una colestasi intraepatica,
specialmente nelle situazioni acute. Questi esami possono evidenziare la causa
dell'ostruzione; in genere, i calcoli biliari vengono visti meglio con l'ecografia e le
lesioni pancreatiche con la TC. La maggior parte dei centri usa l'ecografia come
primo esame in caso di colestasi, per il costo relativamente basso.

La CPRE permette la visualizzazione diretta dell'albero biliare ed è


particolarmente utile nel definire la causa dell'ostruzione extraepatica; anche la
colangiografia transepatica percutanea (CTP) può essere usata a questo scopo.
Entrambe le tecniche hanno delle potenzialità terapeutiche. Anche le immagini
dirette dell'albero biliare ottenute alla RMN possono mostrare i calcoli e le altre
lesioni del coledoco e questo esame sta diventando un'alternativa non invasiva
alla CPRE.

La biopsia epatica, di solito permette la diagnosi nei casi di colestasi


intraepatica; tuttavia, si possono verificare degli errori, specialmente nel caso di
esaminatori inesperti. La biopsia è un procedimento sicuro nella maggior parte
dei casi di colestasi, ma è rischioso nel caso di un'ostruzione extraepatica grave
o di lunga durata, che deve perciò essere esclusa con gli esami per immagini
prima di eseguire la biopsia.

La colestasi non rappresenta un'emergenza a meno che il paziente non sia


affetto da una colangite suppurativa. La diagnosi deve essere basata sul giudizio
clinico e su alcune tecniche speciali, quando disponibili. Se la diagnosi è incerta,
deve essere eseguita un'ecografia (o una TC). Un'ostruzione meccanica può
essere diagnosticata con sicurezza se l'esame mette in evidenza una dilatazione
delle vie biliari, specialmente in un paziente con una colestasi progressiva; un
ulteriore approfondimento con una colangiografia diretta (CTP, CPRE, RMN) può
essere preso, poi, in considerazione. Se all'ecografia non si evidenzia una
dilatazione biliare, è più probabile che ci sia un problema intraepatico e si deve
pensare a eseguire una biopsia epatica.

Quando gli esami speciali non sono disponibili, deve essere considerata
l'opportunità di una laparotomia diagnostica, se il giudizio clinico indirizza verso
un'ostruzione meccanica e se la colestasi peggiora progressivamente. Tuttavia,
l'intervento chirurgico deve essere evitato nei pazienti con epatite colestatica,
virale o alcolica.

Terapia

Nella colestasi intraepatica, solitamente è sufficiente il trattamento della causa di


base. Il prurito che si verifica nelle affezioni irreversibili (p. es., la cirrosi biliare
primitiva) risponde in genere alla colestiramina, 4-16 g/die PO, suddivisi in 2 dosi,
che si lega ai sali biliari nell'intestino. A meno che non sia presente un grave
danno epatocellulare, l'ipoprotrombinemia solitamente migliora con la
somministrazione di fitonadione (vitamina K1) a dosi di 5-10 mg/die SC per 2-
3 gg. Nei casi di colestasi irreversibile di vecchia data, vengono spesso
somministrati dei supplementi di Ca e di vitamina D, ma la loro reale utilità nel
ritardare la malattia degenerativa delle ossa è deludente. I supplementi di
vitamina A prevengono il deficit di questa vitamina liposolubile e la grave
steatorrea può essere ridotta al minimo con la parziale sostituzione dei grassi
alimentari con dei trigliceridi a catena media.

L'ostruzione biliare extraepatica in genere richiede un trattamento operativo,


chirurgico o endoscopico, con l'estrazione dei calcoli dal coledoco o con il
posizionamento di protesi e di cateteri di drenaggio in caso di stenosi (spesso
maligne) o di ostruzioni parziali. Per le ostruzioni maligne inoperabili, è possibile
in genere eseguire un drenaggio biliare palliativo, inserendo una protesi per via

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Aspetti clinici delle malattie del fegato

transepatica o endoscopica (v. Prognosi e terapia sotto Colangite sclerosante


primitiva nel Cap. 48). La papillotomia endoscopica con l'estrazione dei calcoli ha
largamente sostituito l'intervento laparotomico nei pazienti affetti da una calcolosi
del coledoco. La litotripsia biliare può essere necessaria per facilitare l'estrazione
di grossi calcoli duttali selezionati.

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Malattie del fegato e delle vie biliari

Manuale Merck

4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

36. Anatomia e fisiologia

37. Screening e valutazione diagnostica

38. Aspetti clinici delle malattie del fegato

Ittero

Disturbi del metabolismo della bilirubina

Colestasi

Epatomegalia

Ipertensione portale

Ascite

Encefalopatia porto-sistemica

Altri sintomi e segni delle malattie del fegato

Alterazioni sistemiche

Alterazioni cutanee ed endocrine

Alterazioni ematologiche

Alterazioni renali ed elettrolitiche

Modificazioni circolatorie

39. Fegato grasso

40. Epatopatia alcolica

41. Epatopatia cronica

Fibrosi

Cirrosi

Cirrosi biliare primitiva

Deficit di a1-antitripsina

42. Epatite

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Malattie del fegato e delle vie biliari

Epatite virale acuta

Epatite cronica

43. Farmaci e fegato

Metabolismo dei farmaci

Effetti dell’epatopatia sul metabolismo dei farmaci

Epatotossicità causata da farmaci

Necrosi epatocellulare

Colestasi

Reazioni di vario tipo

Epatopatie croniche

44. Epatopatie postoperatorie

45. Granulomi epatici

46. Lesioni vascolari

Lesioni dell’arteria epatica

Lesioni delle vene sovraepatiche

Malattia veno-occlusiva

Sindrome di Budd-Chiari

Lesioni della vena porta

Trombosi della vena porta

Lesioni dei sinusoidi epatici

Disordini associati a malattie sistemiche

Insufficienza circolatoria

Anemia a cellule falciformi

Teleangiectasia emorragica ereditaria

47. Tumori del fegato

Tumori benigni del fegato

Cisti epatiche

Metastasi epatiche

Carcinoma epatico primitivo

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Malattie del fegato e delle vie biliari

Carcinoma epatocellulare

Altre neoplasie primitive del fegato

Neoplasie ematologiche e fegato

48. Malattie delle vie biliari extraepatiche

Colelitiasi

Colecistite

Coledocolitiasi

Colangite sclerosante primitiva

Tumori della via biliare

Altre cause di ostruzione extraepatica

Colesterolosi della colecisti

Diverticolosi della colecisti

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Anatomia e fisiologia

Manuale Merck

4. MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

36. ANATOMIA E FISIOLOGIA

Il fegato è l'organo più grande e metabolicamente più complesso. È costituito


anatomicamente da molte unità funzionali microscopiche, tradizionalmente
denominate lobuli, delimitate dalle triadi portali e dalle vene centrali. Secondo
Rappaport, tuttavia, la divisione funzionale del fegato è fisiologica: ciascuna
triade portale è concepita come il centro, e non come la periferia, di un'unità
funzionale microvascolare o acino. Ciascun acino è diviso in 3 zone sulla base
della distanza dai vasi nutritivi; la tradizionale regione centrozonale del lobulo in
realtà è la parte periferica (zona 3) di 2 o più acini.

A fini clinici, il fegato può essere considerato in termini di vascolarizzazione, di


epatociti, di canali biliari, di cellule di rivestimento dei sinusoidi e di matrice
extracellulare. La vascolarizzazione del fegato origina sia dalla vena porta che
dall'arteria epatica; la prima fornisce circa il 75% del flusso ematico totale, che si
aggira intorno ai 1500 ml/min. Le piccole diramazioni di ciascuno dei due sistemi,
rispettivamente la venula portale terminale e l'arteriola epatica terminale, entrano
in ogni acino a livello della triade portale (zona 1). Le due correnti ematiche
confluiscono poi lungo i sinusoidi delimitati dalle lamine degli epatociti. Lo
scambio delle sostanze nutritive avviene a livello dello spazio di Disse, che
separa gli epatociti dalla porosa parete sinusoidale. Il flusso sinusoidale
proveniente da acini adiacenti confluisce a livello delle venule epatiche terminali
(vene centrali, zona 3). Questi piccoli vasi confluiscono tra loro e, alla fine,
formano le vene sovraepatiche che drenano nella vena cava inferiore tutto il
sangue efferente. Il fegato è provvisto anche di una ricca rete di vasi linfatici. La
vascolarizzazione del fegato risulta compromessa nella cirrosi e in altre
epatopatie croniche che si manifestano abitualmente con un'ipertensione portale
(v. Cap. 38).

Gli epatociti (cellule parenchimali) formano la maggior parte della massa epatica.
Queste cellule poligonali sono adiacenti ai sinusoidi ripieni di sangue e sono
organizzate in lamine o placche che si irradiano da ciascuna triade portale verso
le vene centrolobulari adiacenti. Gli epatociti sono responsabili del ruolo centrale
che il fegato riveste nel metabolismo dell'intero organismo. Le importanti funzioni
cui sono deputati includono la formazione e l'escrezione della bile, la regolazione
dell'omeostasi dei carboidrati, la sintesi dei lipidi e la secrezione delle lipoproteine
plasmatiche, il controllo del metabolismo del colesterolo, la sintesi dell'urea,
dell'albumina sierica, dei fattori della coagulazione, di molti enzimi e di numerose
altre proteine e, infine, il metabolismo e l'inattivazione di farmaci e di altre
sostanze estranee all'organismo. Gli epatociti situati nelle differenti regioni
dell'acino dimostrano un'eterogeneità metabolica nell'eseguire questi processi
complessi (p. es., la gluconeogenesi è una funzione svolta principalmente dalle
cellule della zona 1, mentre la glicolisi avviene principalmente nelle cellule della
zona 3). Nella maggior parte delle epatopatie, si verificano delle disfunzioni
epatocellulari di grado variabile, che determinano diverse alterazioni dei
parametri clinici e di laboratorio.

Le vie biliari originano come sottili canalicoli delimitati da epatociti contigui.


Queste strutture, rivestite da microvilli, confluiscono poi progressivamente nei
duttuli, nei dotti biliari interlobulari e quindi nei dotti epatici maggiori. Oltre l'ilo del
fegato, il dotto epatico principale confluisce con il dotto cistico a formare il dotto
biliare comune o coledoco, che convoglia la bile nel duodeno. Un ostacolo al
deflusso della bile, a qualsiasi livello lungo la via biliare, produce il quadro clinico
e biochimico caratteristico della colestasi (v. Cap. 38).

Le cellule che rivestono i sinusoidi comprendono almeno 4 distinte popolazioni


cellulari: le cellule endoteliali, le cellule del Kupffer, le cellule perisinusoidali di

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Anatomia e fisiologia

deposito dei grassi e le cellule foveolari. (1) Le cellule endoteliali differiscono


dagli altri endoteli vascolari poiché sono prive della membrana basale e
contengono numerosi pori (fenestrature) che permettono lo scambio delle
sostanze nutritive e delle macromolecole con i vicini epatociti, attraverso lo
spazio di Disse. Inoltre, le cellule endoteliali fagocitano varie molecole e
particelle, sintetizzano proteine che influenzano la composizione della matrice
extracellulare e svolgono un ruolo nel metabolismo delle lipoproteine. (2) Le
cellule fusiformi del Kupffer rivestono i sinusoidi e formano una parte rilevante del
sistema reticolo-endoteliale; derivano da precursori del midollo osseo e si
comportano come macrofagi tissutali. Le funzioni più importanti comprendono la
fagocitosi delle particelle estranee, la rimozione delle endotossine e di altre
sostanze tossiche e la modulazione della risposta immunitaria. Il fegato, per la
presenza delle cellule del Kupffer e per la ricca irrorazione sanguigna, è spesso
interessato, secondariamente, da infezioni e da altre malattie sistemiche. (3) Le
cellule perisinusoidali di deposito dei grassi (cellule di Ito) rappresentano la sede
del deposito anche della vitamina A, sintetizzano diverse proteine della matrice e
possono trasformarsi in fibroblasti in risposta a danni epatici. Rappresentano,
probabilmente, il principale responsabile della fibrosi epatica. (4) Le rare cellule
foveolari si ritiene siano linfociti tissutali con funzioni di cellule killer naturali. Il loro
ruolo nelle patologie epatiche è sconosciuto.

La matrice extracellulare del fegato comprende la struttura reticolare, costituita


da diverse forme molecolari di collagene, dalla laminina, dalla fibronectina e da
altre glicoproteine extracellulari. Le funzioni e le interazioni della matrice non
sono state completamente comprese.

Specifiche malattie tendono a interessare le diverse componenti con quadri


prevedibili, spesso con conseguenze cliniche e biochimiche caratteristiche
(p. es., l'epatite acuta virale si manifesta principalmente con un danno
epatocellulare, la cirrosi biliare primitiva con un'alterazione della secrezione
biliare e la cirrosi criptogenetica con una fibroneogenesi e la conseguente
interferenza con il flusso vascolare). In alcune malattie (p. es., l'epatopatia
alcolica grave), tutte le strutture epatiche possono essere interessate, causando
degli sconvolgimenti funzionali multipli.

I sintomi di una malattia epatica riflettono in genere la necrosi epatocellulare o la


compromissione della secrezione biliare. Questi danni sono, di solito, reversibili
perché il fegato ha una notevole capacità rigenerativa in risposta a una lesione
epatocellulare. I meccanismi della necrosi epatocellulare sono estremamente
complessi; recentemente, l'attenzione si è focalizzata sull'apoptosi, una forma di
morte cellulare programmata, regolata dal codice genetico della cellula e dalle vie
di trasmissione della matrice. Anche le estese necrosi irregolari possono guarire
completamente (p. es., nell'epatite virale acuta). L'incompleta rigenerazione e la
fibrosi, comunque, possono essere il risultato di un danno confluente che unisce
interi acini o di un danno meno pronunciato, ma cronico. La fibrosi, peraltro, non
causa sintomi di per sé; le manifestazioni cliniche sono, in genere, dovute
all'ipertensione portale che ne deriva.

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Indice figure

FIG. 1-1 Piramide guida dell’alimentazione quotidiana.

FIG. 2-1 Stadi della malnutrizione causati da un’eccessiva o da


un’inadeguata assunzione di sostanze nutritive.

FIG. 3-1 Effetto del trattamento con vitamina D2 (50 mg/die) sui valori
plasmatici del calcio, del fosforo, della fosfatasi alcalina e dei
metaboliti della vitamina D in un bambino affetto da rachitismo.

FIG. 3-2 Carbossilazione dell’acido glutammico.

FIG. 3-3 Ciclo della vitamina K.

FIG. 8-1 Biosintesi degli ormoni tiroidei.

FIG. 12-1 Quadri ECG nell’ipokaliemia e nell’iperkaliemia.

FIG. 14-1 Prodotti intermedi ed enzimi della via biosintetica dell’eme.

FIG. 61-1 Dito a martello.

FIG. 62-1 Ginocchio del corridore.

FIG. 63-1 Misurazione dell’ippocratismo digitale ("clubbing").

FIG. 64-1 Spirometria e volumi polmonari normali.

FIG. 64-2 Spirometria e volumi polmonari nelle patologie restrittive.

FIG. 64-3 Spirometria e volumi polmonari nelle patologie ostruttive.

FIG. 64-4 Curva flusso-volume.

FIG. 64-5 Equazione per il calcolo della PO2 alveolare (PAO2)

FIG. 64-6 Alterazione dei rapporti / nella broncopneumopatia cronica


ostruttiva

FIG. 65-1 La cricotiroidectomia d’emergenza.

FIG. 67-1 Curva pressione-volume in un paziente affetto dalla sindrome da


distress respiratorio dell’adulto.

FIG. 68-1 Interrelazioni tra broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD),


bronchite cronica, enfisema e asma.

FIG. 68-2 Abitudine al fumo, FEV1 ed età.

Fig. 82-1 Audiogramma dell’orecchio destro di un paziente normoacusico.

Fig. 82-2 Audiogramma in un paziente con otosclerosi prima (sinistra) e


dopo (destra) intervento di stapedectomia.

Fig. 82-3 La registrazione elettronistagmografica di risposte normali e il


movimento oculare osservato durante la prova calorica.

FIG. 84-1 (A) Membrana timpanica dell’orecchio destro; (B) cavo del
timpano dopo la rimozione della membrana timpanica.

FIG. 84-2 Perforazioni della membrana timpanica (orecchio Dx).

FIG. 86-1 Seni paranasali

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MSD Italia

FIG. 90-1 Sezione trasversale dell’occhio.

FIG. 101-1 Siti delle lesioni delle vie ottiche superiori e difetti corrispondenti
del campo visivo.

FIG. 102-1 Vizi di rifrazione. (A) Emmetropia; (B) miopia; (C) ipermetropia; (D)
astigmatismo.

FIG. 102-2 Cheratotomia radiale.

FIG. 102-3 Cheratotomia astigmatica.

FIG. 106-1 Identificazione dei denti.

FIG. 106-2 Sezione di un canino.

FIG. 107-1 Bendaggio di Barton.

FIG. 129-1 Gruppi compatibili di GR.

FIG. 130-1 Valutazione della eritrocitosi.

FIG. 131-1 Coagulazione.

FIG. 131-2 Reazioni generali della fibrinolisi.

FIG. 142-1 Il ciclo cellulare.

FIG. 146-1 Modello dei due segnali per l’attivazione delle cellule T.

Fig. 146-2 Risposta all’inoculazione intradermica di antigene.

FIG. 146-3 Schema della molecola immunoglobulinica che mostra le catene


pesanti e le catene leggere.

FIG. 146-4 Vie di attivazione del complemento.

FIG. 146-5 Attivazione della via classica.

FIG. 146-6 Attivazione e regolazione della via alternativa.

FIG. 146-7 Formazione delle C5-convertasi.

FIG. 149-1 Illustrazione schematica del complesso maggiore di


istocompatibilità (MHC) nell’uomo.

FIG. 165-1 Schema del Mini-Mental Status Examination.

FIG. 165-2 Dermatomeri delle sensibilità.

FIG. 165-3 Distribuzione cutanea dei nervi: arto superiore.

FIG. 165-4 Distribuzione cutanea dei nervi: arto inferiore.

FIG. 166-1 Schema della neurotrasmissione.

FIG. 169-1 Aree dell’encefalo.

FIG. 173-1 Stadi del sonno nell’adulto in una notte.

FIG. 174-1 Arterie dell’encefalo.

FIG. 182-1 Sezione trasversa del midollo spinale.

FIG. 187-1 Curva di Yerkes-Dodson raffigurante il rapporto tra l’insorgenza di


un’emozione (ansia) e la prestazione.

FIG. 197-1 Normale profilo del polso venoso giugulare.

FIG. 197-2 Rappresentazione schematica dei rilievi obiettivi in un paziente


con stenosi aortica e insufficienza mitralica.

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FIG. 198-1 Rappresentazione schematica dei vasi polmonari come


evidenziati all’RX del torace in proiezione frontale nell’adulto in
posizione eretta (polmone destro).

FIG. 198-2 Rappresentazione schematica dell’ecocardiografia M-mode del


cuore, dall’apice (1) alla base (4) del cuore.

FIG. 198-3 Quattro proiezioni comunemente utilizzate nell’ecocardiografia


bidimensionale.

FIG. 198-4 Rappresentazione del flusso transmitralico mediante Doppler


spettrale.

FIG. 198-5 Rappresentazione schematica del ciclo cardiaco, che mostra le


curve di pressione dei grossi vasi e delle camere cardiache, i toni
cardiaci, il polso venoso giugulare e l’ECG.

FIG. 202-1 Infarto miocardico acuto in sede anteriore, tracciato registrato


entro poche ore dall’esordio.

FIG. 202-2 Infarto miocardico acuto in sede anteriore dopo le prime 24 ore.

FIG. 202-3 Infarto miocardico acuto in sede anteriore diversi giorni dopo
l’esordio.

FIG. 202-4 Infarto miocardico acuto infero-posteriore, tracciato registrato


entro poche ore dall’esordio dei sintomi.

FIG. 202-5 Infarto miocardico acuto infero-posteriore dopo le prime 24 ore.

FIG. 202-6 Infarto miocardico acuto infero-posteriore diversi giorni dopo


l’esordio.

FIG. 203-1 Curve di Frank-Starling.

FIG. 203-2 Curva di dissociazione dell’ossiemoglobina.

FIG. 203-3 Rappresentazione schematica delle cardiomiopatie, in funzione


dei meccanismi fisiopatologici di base.

FIG. 205-1 Tracciati di ritmo cardiaco da un ECG ambulatoriale delle 24 ore


(Holter).

FIG. 205-2 Registrazioni da uno studio elettrofisiologico invasivo.

FIG. 205-3 Potenziali tardivi. (A) Rappresentazione tempo-voltaggio di due


derivazioni elettrocardiografiche.

FIG. 205-4 Battiti ectopici atriali (BEA).

FIG. 205-5 Insorgenza di flutter atriale.

FIG. 205-6 Registrazioni durante fibrillazione atriale.

FIG. 205-7 Insorgenza di fibrillazione atriale (FA).

FIG. 205-8 Tachicardia a QRS stretto.

FIG. 205-9 Inizio di una tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare.

FIG. 205- Tachicardia a QRS stretto: Tachicardia reciprocante ortodromica


10 che usa una via accessoria in un paziente con sindrome di Wolff-
Parkinson-White.

FIG. 205- Sindrome di Wolff-Parkinson-White.


11

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FIG. 205- Sindrome di Lown-Ganong-Levine.


12

FIG. 205- Sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW).


13

FIG. 205- Tachicardia atriale vera.


14

FIG. 205- Battiti ectopici ventricolari (BEV).


15

FIG. 205- Tachicardia ventricolare.


16

FIG. 205- Tachicardia ventricolare a QRS largo.


17

FIG. 205- Torsione di punta.


18

FIG. 205- Insorgenza di fibrillazione ventricolare.


19

FIG. 205- Blocco del nodo atrioventricolare.


20

FIG. 205- Blocco di branca destra.


21

FIG. 205- Malattia del nodo del seno sintomatica.


23

FIG. 205- Blocco di branca sinistra.


22

FIG. 206-1 Ventilazione dell’adulto mediante aria espirata.

FIG. 206-2 Ventilazione con aria espirata nel bambino.

FIG. 209-1 Pressioni nella pericardite costrittiva.

FIG. 214-1 Massima osmolarità urinaria dopo test di privazione dell’acqua


(colonne ombreggiate) versus Osmolarità urinaria dopo
somministrazione di vasopressina esogena (colonne aperte)

FIG. 215-1 La normale minzione si verifica quando la contrazione vescicale è


coordinata con il rilasciamento dello sfintere uretrale.

FIG. 223-1 Emofiltrazione continua veno-venosa.

FIG. 224-1 Classificazione sierologica e istopatologica della glomerulonefrite


rapidamente progressiva (a semilune).

FIG. 224-2 Caratteristiche della microscopia elettronica nella malattie


immunologiche glomerulari.

FIG. 226-1 Citotossicità renale da analgesici.

FIG. 234-1 L’asse SNC-ipotalamo-ipofisi-gonadi-organi bersaglio.

FIG. 234-2 Modificazioni dei livelli dell’ormone luteinizzante (LH), dell’ormone


follicolo-stimolante (FSH) e dell’estradiolo (E2) nel sangue
periferico.

FIG. 234-3 Pubertà - quando si sviluppano i caratteri sessuali femminili.

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FIG. 234-4 Il ciclo ovarico.

FIG. 234-5 Le ideali modificazioni cicliche delle gonadotropine ipofisarie,


dell’estradiolo (E2), del progesterone (P), dei follicoli ovarici e
dell’endometrio uterino durante il normale ciclo mestruale.

FIG. 235-1 Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, della


maturazione del seno umano.

FIG. 235-2 Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, dello


sviluppo dei peli pubici nelle ragazze.

FIG. 242-1 Posizioni per l’esame della mammella.

FIG. 248-1 La placenta e l’embrione.

FIG. 256-1 Valutazione dell’età gestazionale; nuovo punteggio di Ballard.

FIG. 256-2 Raccomandazioni per la prevenzione in pediatria.

FIG. 256-3 Altezza ed età equivalenti nei ragazzi e nelle ragazze.

FIG. 256-4 Velocità di crescita lineare (altezza) nei ragazzi e nelle ragazze in
cm/anno.

FIG. 256-5 (V. pagina accanto) Calendario delle vaccinazioni raccomandato


per l’infanzia*; Stati Uniti, Gennaio-Dicembre 1998.

FIG. 256-6 Schema del riflesso di rilascio del latte.

FIG. 258-1 Variazioni della composizione corporea con la crescita e


l’invecchiamento.

FIG. 258-2 Dosaggi di teofillina e concentrazioni plasmatiche.

FIG. 259-1 Nomogramma per il calcolo della superficie corporea dei bambini.

FIG. 259-2 Formula di Holliday-Segar.

FIG. 260-1 Curve di accrescimento intrauterino in base al peso alla nascita e


all’età gestazionale in bambini nati vivi, da gravidanza singola, di
razza bianca.

FIG. 260-2 Livello di crescita intrauterina in base all’età gestazionale, alla


lunghezza del corpo (A) e alla circonferenza cranica (B) alla
nascita.

FIG. 260-3 Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B


(GBS) a esordio precoce mediante colture di screening in epoca
prenatale, a 35-37 sett. di gestazione.

FIG. 260-4 Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B


(GBS) a esordio precoce secondo i fattori di rischio, senza colture
di screening prenatali.

FIG. 261-1 Circolazione normale con rappresentazione delle pressioni del


cuore destro e sinistro (in mm Hg).

FIG. 261-2 Il difetto del setto interatriale è caratterizzato da aumento del


flusso ematico polmonare e da aumento del volume dell’AD e del
VD.

FIG. 261-3 Il difetto del canale atrioventricolare è caratterizzato da aumento


del flusso ematico, aumento del volume delle camere cardiache,
e, spesso, da aumento delle resistenze vascolari polmonari.

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MSD Italia

FIG. 261-4 Il difetto del setto interventricolare è caratterizzato da aumento del


flusso ematico polmonare e da aumento del volume dell’AS e del
VS.

FIG. 261-5 Nella tetralogia di Fallot, il flusso ematico polmonare è diminuito, il


VD è ipertrofico, e in Ao entra sangue non ossigenato.

FIG. 261-6 Nella trasposizione dei grossi vasi, in Ao entra sangue non
ossigenato, il VD è ipertrofico e il forame ovale è sede di un
minimo mescolamento di sangue.

FIG. 261-7 Il dotto arterioso pervio è caratterizzato da aumento del flusso


ematico polmonare, aumento dei volumi dell’atrio sinistro e del
VS, e aumento di volume dell’AO ascendente.

Fig. 261-8 Tipi di fistola tracheo-esofagea.

FIG. 261-9 Rappresentazione delle diverse bande cromosomiche osservate


con i metodi di colorazione Q-, G-e R-; rappresentazione del
centrometro solo con il metodo di colorazione Q.

FIG. 263-1 Nomogramma di Rumack-Matthew per l’avvelenamento acuto da


paracetamolo.

FIG. 263-2 Patogenesi dell’alterazione dell’equilibrio acido-base


nell’avvelenamento da salicilato.

FIG. 263-3 Tecnica di compressione toracica.

FIG. 263-4 Sequenza del trattamento per la rianimazione neonatale


(protocollo da eseguire in sala parto).

Fig. 263-5 Sequenza del trattamento per la rianimazione neonatale

FIG. 263-7 Colpo sull’addome nel paziente in piedi o seduto (cosciente).

FIG. 263-6 Colpo sull’addome nel paziente che giace a terra (cosciente o
meno).

FIG. 269-1 Metabolismo del galattoso.

FIG. 276-1 (A) Regola del nove e (B) diagramma di Lund-Browder per
valutare l’estensione delle ustioni.

FIG. 286-1 Simboli per costruire l’albero genealogico di una famiglia.

FIG. 286-2 Ereditarietà autosomica dominante.

FIG. 286-3 Ereditarietà autosomica recessiva.

FIG. 286-4 Ereditarietà dominante legata al cromosoma X.

FIG. 286-5 Ereditarietà recessiva legata al cromosoma X.

FIG. 291-1 Sostenere un paziente durante la deambulazione.

FIG. 291-2 Altezza corretta del bastone.

FIG. 295-1 Interpretazione di un risultato del test per l’esterasi leucocitaria in


una donna con 30% di probabilità a priori di una IVU, simulante
una coorte di 100 000 donne con le stesse caratteristiche.

FIG. 295-2 Distribuzione dei risultati di un test.

FIG. 295-3 Albero decisionale relativo all’opportunità di trattamento quando


non è disponibile nessun test.

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MSD Italia

FIG. 295-4 Analisi di sensibilità a una via di un albero di soglia di un test.

FIG. 296-1 Clearance della creatinina corretta per età in uomini normali.

FIG. 298-1 Relazione esemplificativa tra concentrazione plasmatica e tempo,


dopo una singola dose orale di un farmaco ipotetico.

FIG. 299-1 Declino della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A


dopo la somministrazione EV di una dose singola di 320 mg di
aminofillina.

FIG. 299-2 Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina


nel paziente A dopo una singola somministrazione orale di 300 mg
di aminofillina.

FIG. 299-3 Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina


durante l’infusione EV di 45 mg/h di aminofillina a velocità
costante, senza e con somministrazione EV di una dose di carico
di 530 mg di aminofillina.

FIG. 299-4 Accumulo di teofillina dopo somministrazione orale di 300 mg di


aminofillina q 6 h.

FIG. 300-1 Curva dose-risposta ipotetica.

FIG. 300-2 Confronto tra le curve dose-risposta dei farmaci X, Y e Z.

FIG. 301-1 Fattori genetici, ambientali e di sviluppo che possono interagire


reciprocamente causando variazioni nella risposta ai farmaci tra i
diversi pazienti.

FIG. 303-1 Concentrazioni plasmatiche di teofillina nei pazienti A, B e C,


aventi rispettivamente una clearance di 20, 40 e 80 ml/min,
durante la somministrazione di teofillina per infusione EV a 36 mg/
h.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 1-1.Piramide guida dell'alimentazione quotidiana.

file:///F|/sito/merck/figure/00101.html02/09/2004 2.00.44
Manuale Merck - Figura

file:///F|/sito/merck/figure/00201.html (1 of 2)02/09/2004 2.00.44


Manuale Merck - Figura

FIG. 2-1. Stadi della malnutrizione causati da un'eccessiva o da un'inadeguata assunzione di


sostanze nutritive. Modificata da Olson RE: "Pharmacology of nutrients and nutritional disease," in
Principles di Pharmacology, edito da PL Munson. New York, Munson, Chapman e Hall, 1995;
riproduzione autorizzata.

file:///F|/sito/merck/figure/00201.html (2 of 2)02/09/2004 2.00.44


Manuale Merck - Figura

FIG. 3-1. Effetto del trattamento con vitamina D2 (50 mg/die) sui valori plasmatici del calcio,
del fosforo, della fosfatasi alcalina e dei metaboliti della vitamina D in un bambino affetto da
rachitismo.
L'intervallo dei valori normali è indicato dalle linee orizzontali. Da "Rickets in a breastfed infant."
Nutrition Reviews 42 (11): 380-382, 1984; riproduzione autorizzata.

file:///F|/sito/merck/figure/00301.html02/09/2004 2.00.45
Manuale Merck - Figura

FIG. 3-2.Carbossilazione dell'acido glutammico. La vitamina K idrochinone (KH2) agisce come


un substrato per l'enzima γ-glutammil carbossilasi, che catalizza l'aggiunta dell'anidride carbonica al
carbone γ dell'acido glutammico legato alle proteine. R1 e R2 rappresentano gli altri aminoacidi
nella sequenza della proteina.

file:///F|/sito/merck/figure/00302.html02/09/2004 2.00.45
Manuale Merck - Figura

FIG. 3-3. Ciclo della vitamina K. Questo ciclo ha lo scopo di conservare la vitamina K. Basato
sull'assunzione della vitamina K, il ciclo si ripete da 200 a 2000 volte al giorno negli uomini. Il
prodotto della γ-carbossilazione della vitamina K idrochinone è la vitamina K epossido, che è
nuovamente ridotto a vitamina K idrochinone in due fasi. I farmaci cumarolici inibiscono in maniera
significativa queste due riduttasi.

file:///F|/sito/merck/figure/00303.html02/09/2004 2.00.45
Manuale Merck - Figura

FIG. 8-1. Biosintesi degli ormoni tiroidei. ATP = adenosina trifosfato; cAMP = adenosina 3´:5´-
monofosfato ciclico; I = ioduro; NADPH = forma ridotta del nicotinamide adenin dinucleotide fosfato;
PTU = propiltiouracile; T3 = triiodotironina; T4 = tiroxina; TBG = globulina legante la tiroxina; TBPA =
prealbumina legante la tiroxina (transtiretina); TSH = ormone tireo-stimolante.

file:///F|/sito/merck/figure/00801.html02/09/2004 2.00.46
Manuale Merck - Figura

FIG. 12-1. Quadri ECG nell'ipokaliemia e nell'iperkaliemia. (Il potassio sierico è espresso in mEq/
l.)

file:///F|/sito/merck/figure/01201.html02/09/2004 2.00.46
Manuale Merck - Figura

FIG. 14-1. Prodotti intermedi ed enzimi della via biosintetica dell'eme.

file:///F|/sito/merck/figure/01401.html02/09/2004 2.00.47
Manuale Merck - Figura

FIG. 61-1 Dito a martello. Una flessione forzata dell'articolazione interfalangea


distale derivante da un trauma tendineo a da avulsione ossea.

file:///F|/sito/merck/figure/06101.html02/09/2004 2.00.47
Manuale Merck - Figura

FIG. 62-1. Ginocchio del corridore.


La parte inferiore della gamba subisce una intrarotazione, tirando verso l'interno la rotula, mentre il
quadricipite la spinge in fuori. Questo provoca uno sfregamento della rotula contro il condilo laterale
del femore, con conseguente dolore.

file:///F|/sito/merck/figure/06201.html02/09/2004 2.00.47
Manuale Merck - Figura

FIG. 63-1. Misurazione dell'ippocratismo digitale ("clubbing").


Il rapporto tra il diametro antero-posteriore del dito al letto ungueale (a-b) e quello alla giunzione
interfalangea distale (c-d) è una semplice misura dell'ippocratismo digitale. Esso può essere
ottenuto in maniera rapida e riproducibile con un calibro. Se il rapporto è >1, l'ippocratismo è
presente. Questo è anche caratterizzato dalla perdita del normale angolo a livello del letto
ungueale.

file:///F|/sito/merck/figure/06301.html02/09/2004 2.00.48
Manuale Merck - Figura

FIG. 64-1. Spirometria e volumi polmonari normali.


ERV = FRC-RV; VC = TLC-RV; RV ≅ 25% della TLC; FRC ≅ 40% della TLC; FEV1≥ 75% della FVC.
Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06401.html02/09/2004 2.00.48
Manuale Merck - Tabella

Tabella 64–1. ABBREVIAZIONI RELATIVE


ALLA FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA

A-aDO2 Differenza (gradiente) alveolo-arteriosa di PaO2 Pressione parziale della O2


PO2 arteriosa

DLCO Capacità di diffusione per il monossido di PB Pressione barometrica


carbonio (ml/min/mmHg)

ERV Volume di riserva espiratoria PCO2 Pressione parziale di CO2

FEF 25-75% Flusso espiratorio forzato medio tra il 25 e il PetCO2 Pressione parziale della CO2 di
75% della FVC fine espirazione

FEV1(l) Volume espiratorio forzato in 1s, in litri PEF Picco di flusso espiratorio (l/min)

FEV1 %FVC Volume espiratorio forzato in 1s espresso in PiO2 Pressione parziale di O2 inspirato
percentuale della FVC

FIO2 Percentuale di O2 inspirato PO2 Pressione parziale di O2

FRC Capacità funzionale residua P Pressione parziale nel sangue


venoso misto (arterioso polmonare)

FVC Capacità vitale forzata P O2 Pressione parziale di O2 venoso


misto

[H+] Concentrazione idrogenionica (nanomoli/l) P CO2 Pressione parziale di CO2 venosa


mista

IC Capacità inspiratoria Perfusione (l/min)

IRV Volume di riserva inspiratoria Raw Resistenza delle vie aeree

MEF 50% FVC Flusso espiratorio massimale al 50% della RV Volume residuo
FVC

MEP Massima pressione espiratoria (cmH2O) TLC Capacità polmonare totale

MIF 50% FVC Flusso inspiratorio massimale al50% della Ventilazione (l/min)
FVC
MIP Massima pressione inspiratoria (cmH2O) VC Capacità vitale

MVV Massima ventilazione volontaria A Ventilazione alveolare (l/min)

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Manuale Merck - Tabella

PaCO2 Pressione parziale della CO2 alveolare CO2 Produzione di CO2 (l/min)

PaO2 Pressione parziale della O2 alveolare Vd Volume dello spazio morto

PaCO2 Pressione parziale della CO2 arteriosa O2 Consumo di O2 (l/min)

Vt Volume corrente

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Manuale Merck - Figura

FIG. 64-2. Spirometria e volumi polmonari nelle patologie restrittive.


I volumi polmonari sono tutti diminuiti, il RV in misura minore della FRC, della FVC, della TLC.
Il FEV1% FVC è normale o maggiore del normale. Il respiro corrente è rapido e superficiale.
Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06402.html02/09/2004 2.00.49
Manuale Merck - Figura

FIG. 64-3. Spirometria e volumi polmonari nelle patologie ostruttive.


Il RV e la FRC sono aumentati. La TLC è an-che aumentata ma in misura minore, cosicché la VC
risulta diminuita.
L'espirazione è prolungata. Il FEV1 è 75% della FVC. Si noti l'incisura tipica dell'enfisema.
Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06403.html02/09/2004 2.00.49
Manuale Merck - Figura

FIG. 64-4. Curva flusso-volume.


(A) Normale. La parte inspiratoria della curva è simmetrica e convessa. La parte espiratoria è
lineare.
Spesso vengono misurati i flussi espiratori a metà della VC. Il MIF 50%FVC è > MEF 50%FVC a
causa della compressione dinamica delle vie aeree.
A volte il picco di flusso espiratorio è utilizzato per valutare il grado di ostruzione delle vie aeree ma
è molto influenzato dallo sforzo del paziente.
I flussi espiratori nel 50% inferiore della FVC (cioè, nei pressi del RV) sono indici sensibili dello
stato delle piccole vie aeree.
(B) Patologie restrittive (p. es., sarcoidosi, cifoscoliosi). L'aspetto della curva è stretto per via dei
diminuiti volumi polmonari, ma la forma è sostanzialmente come in (A).
I flussi sono normali (in realtà maggiori del normale a parità di volume polmonare, poiché
l'aumentato ritorno elastico
dei polmoni e/o della gabbia toracica mantiene aperte le vie aeree).
(C) COPD, asma. Sebbene tutti i flussi polmonari siano diminuiti, il prolungamento dell'espirazione
predomina e il MEF è < MIF.
(D) Ostruzione fissa delle vie aeree superiori (p. es., stenosi tracheale, paralisi bilaterale delle

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Manuale Merck - Figura

corde vocali, gozzo). La parte alta e bassa della curva sono appiattite, cosicché la forma ricorda
quella di un rettangolo. L'ostruzione fissa limita i flussi sia durante l'inspirazione che durante
l'espirazione e il MEF = MIF.

FIG. 64-4. (E) Ostruzione extratoracica variabile (p. es., paralisi delle corde vocali). Quando una
sola corda vocale è paralizzata, essa si muove passivamente secondo il gradiente di pressione
attraverso la glottide. Durante l'inspirazione forzata, essa è tirata all'interno, causando un plateau di
flusso inspiratorio diminuito. Durante l'espirazione forzata, essa viene passivamente spinta di lato e
il flusso espiratorio è mantenuto, cioè, il MIF 50%FVC è (F) Ostruzione intratoracica variabile (p.
es., tracheomalacia). Durante l'inspirazione forzata, una pressione pleurica negativa mantiene
aperta la trachea mobile. Con l'espirazione forzata, la perdita del supporto strutturale provoca il
restringimento della trachea e un plateau di flusso diminuito (un breve periodo di flusso conservato
è osservabile prima che si manifesti la compressione della via aerea).
Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06404.html (2 of 2)02/09/2004 2.00.50


Manuale Merck - Figura

FIG. 64-5. Equazione per il calcolo della PO2 alveolare (PAO2).


Vengono riportate la PO2 e la PCO2 in una persona sana durante un'inspirazione normale nel
percorso dalla bocca agli alveoli e alle arterie sistemiche.
La PCO2 del gas inspirato è trascurabile (0,3 mm Hg). La PO2 del sangue venoso misto (P O2)
è normalmente 35-45 mm Hg ed è un indice molto sensibile dell'adeguatezza del trasporto di O2 ai
tessuti.
Se la combinazione della gittata cardiaca, dell'Hb e della PaO2 è inadeguata alle richieste tissutali di
O2,

la P O2 di-minuisce per via dell'aumentata estrazione di O2 dai tessuti.


I campioni di sangue arterioso polmonare sono rappresentativi del sangue venoso misto e sono
facilmente ottenibili
attraverso un catetere in arteria polmonare nei reparti di terapia intensiva, permettendo di valutare
l'adeguatezza del trasporto tissutale di O2.
Dei cateteri a fibre ottiche in arteria polmonare permettono il monitoraggio continuo della P O2.
Le abbreviazioni sono spiegate nella TAB. 64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06405.html02/09/2004 2.00.51
Manuale Merck - Figura

FIG. 64-6. Alterazione dei rapporti / nella broncopneumopatia cronica ostruttiva.


La ventilazione dell'alveolo a sinistra è diminuita (p. es., a causa di secrezioni o di broncospasmo);
la vasocostrizione riflessa diminuisce il flusso sanguigno nelle aree scarsamente ventilate, ma la
è ancora > e l'ossigenazione del sangue venoso misto è incompleta, causando ipossiemia
arteriosa. Con un piccolo aumento della PIO2 attraverso l'aumento della FIO2, l'O2 si diffonderà
rapidamente all'interno di quelle aree, aumentando la PAO2 e quindi la PaO2. L'alveolo a destra è
ben ventilato ma scarsamente perfuso; la broncocostrizione riflessa diminuisce la ventilazione nelle
aree di insufficiente perfusione, ma la è ancora > , portando a una ventilazione sprecata o
inefficace. Le aree ventilate ma non perfuse sono dette spazio morto. Le abbreviazioni sono
spiegate nella TAB.64-1.

file:///F|/sito/merck/figure/06406.html02/09/2004 2.00.51
Manuale Merck - Figura

FIG. 65-1. La cricotirotomia d'emergenza. Il paziente giace supino con il collo in estensione.
Dopo preparazione sterile, il laringe è afferrato con una mano mentre con una lama si procede
all'incisione della cute, del tessuto sottocutaneo e della membrana cricotiroidea precisamente sulla
linea mediana, guadagnando un accesso alla trachea. Un tubo cavo viene utilizzato per tenere
aperta la via aerea.

file:///F|/sito/merck/figure/06501.html02/09/2004 2.00.52
Manuale Merck - Figura

FIG. 67-1. Curva pressione-volume in un paziente affetto dalla sindrome da distress


respiratorio dell'adulto.
La pendenza della curva è poco ripida sotto il punto di inflessione inferiore e sopra quello di
inflessione (deflessione) superiore.
L'obiettivo della somministrazione di piccoli volumi correnti è quello di mantenere il paziente sul
tratto ripido della curva, con maggiore compliance, senza superare il punto di inflessione superiore.
La pressione positiva di fine espirazione deve essere abbastanza elevata da spostare la pressione
di fine espirazione al di sopra del punto di inflessione inferiore.

file:///F|/sito/merck/figure/06701.html02/09/2004 2.00.52
Manuale Merck - Figura

FIG. 68-1. Interrelazioni tra broncopneumopatia cronica ostruttiva (COPD), bronchite cronica,
enfisema e asma.
Le aree delimitate in questo diagramma di Venn non sono proporzionali alle reali dimensioni delle
patologie. I tre cerchi sovrapposti rappresentano i pazienti con bronchite cronica, con enfisema e
con asma. Le aree più scure rappresentano quelli con COPD. I pazienti asmatici con ostruzione al
flusso aereo completamente reversibile (area 9) non sono considerati affetti da COPD. I pazienti
con asma la cui ostruzione bronchiale non regredisce completamente sono spesso quasi
indistinguibili da quelli affetti da bronchite cronica ed enfisema con ostruzione del flusso aereo
parzialmente reversibile e iperreattività bronchiale.
Pertanto, i pazienti affetti da asma con ostruzione persistente sono classificati all’interno della
COPD (area 6, 7 e 8). La bronchite cronica e l’enfisema con ostruzione bronchiale di solito si
manifestano insieme (area 5) e alcuni pazienti sono affetti anche da asma (area 8). I pazienti con
asma esposti cronicamente a fattori irritanti, come il fumo di sigaretta, possono sviluppare una
tosse produttiva cronica, una caratteristica della bronchite cronica (area 6). Negli USA, tali pazienti
sono spesso definiti affetti da bronchite asmatica o da COPD asmatica. I pazienti con bronchite
cronica o enfisema senza ostruzione al flusso aereo (aree 1, 2 e 11) non sono considerati affetti da
COPD. I pazienti con ostruzione delle vie aeree dovute a patologie a eziologia nota o a patologie
specifiche, come la fibrosi cistica o la bronchiolite fibrosa obliterante (area 10), non sono compresi
in questa definizione.

Modificato da American Thoracic Society: "Linee guida per la diagnosi e il trattamento dei pazienti
con broncopneumopatia cronica ostruttiva" American Journal of Respiratory and Critical Care
Medicine, 1995;152:S77-S120; riproduzione autorizzata.

file:///F|/sito/merck/figure/06801.html02/09/2004 2.00.53
Manuale Merck - Figura

FIG. 68-2.Abitudine al fumo, FEV1 ed età. Sono rappresentati tre gruppi confrontabili, seguiti dai
45 agli 85 anni di età. I non fumatori (curva superiore) mostrano un declino del FEV1 secondo un
tragitto curvilineo; all'età di 85 anni, il FEV1 non è ancora sceso sotto 0,8 l (indicato da una linea
orizzontale), livello al quale la dispnea gen-eralmente compare durante le attività quotidiane (ADL).
Il FEV1 dei fumatori (curva inferiore) diminuisce con una pendenza più ripida rispetto ai non
fumatori, fino a raggiungere 0,8 l prima dei 70 anni. Alla fine del settimo e nell'ottavo decennio di
vita, i fumatori diventano dispnoici per sforzi di lieve entità e cominciano ad affollare le cliniche
respiratore e le unità di terapia intensiva e a morire a causa della COPD. Negli ex-fumatori (curva di
mezzo) che hanno fumato almeno 20 sigarette al giorno per 25 anni e che hanno smesso di fumare
all'età di 45 anni, il FEV1 non diminuisce per 5 anni e poi si riduce secondo un percorso parallelo a
quello dei non fumatori. Il FEV1 non scende a 0,8 l fino all'età di 85 anni. La cessazione del fumo di
sigaretta a 45 anni ritarda la comparsa della dispnea di circa 15 anni.
Modificato da Snider GL: "Chronic obstructive pulmonary disease," in Stein JH, editor: In-ternal
Medicine, ed. 5, St. Louis, 1998, Mosby-Year Book, Inc.; riproduzione autorizzata.

file:///F|/sito/merck/figure/06802.html02/09/2004 2.00.53
Manuale Merck - Figura

FIG. 82-1. Audiogramma dell'orecchio destro di un paziente normoacusico.


La linea tratteggiata orizzontale indica il limite dell'udito normale. L'udito può essere misurato anche
alle mezze ottave, indicate dalle linee tratteggiate verticali.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 82-2. Audiogramma in un paziente con otosclerosi prima (sinistra) e dopo (destra)
intervento di stapedectomia. L'audiogramma preoperatorio mostra un'ipoacusia di tipo
trasmissivo in entrambe le orecchie. È presente un gap via aerea-via ossea di 40-dB. Inoltre,
sembra essere presente una perdita uditiva a 2 kHz (tacca di Carhart) che scompare assieme
all'ipoacusia di trasmissione dopo la stapedectomia dell'orecchio sinistro.

file:///F|/sito/merck/figure/08202.html02/09/2004 2.00.55
Manuale Merck - Figura

FIG. 82-3. La registrazione elettronistagmografica di risposte normali e il movimento oculare


osservato durante la prova calorica. Il movimento oculare si registra dopo stimolazione con
acqua calda e fredda. RW (Right eye, Warm water) = occhio destro, acqua calda; RC (Right eye,
Cool water) = occhio destro, acqua fredda; LC (Left eye, Cool water) = occhio sinistro, acqua
fredda; LW (Left eye, Warm water) = occhio sinistro, acqua calda.

file:///F|/sito/merck/figure/08203.html02/09/2004 2.00.55
Manuale Merck - Figura

FIG. 84-1. (A) Membrana timpanica dell'orecchio destro; (B) cavo del timpano dopo la
rimozione della membrana timpanica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 84-2. Perforazioni della membrana timpanica (orecchio Dx).

file:///F|/sito/merck/figure/08402.html02/09/2004 2.00.56
Manuale Merck - Figura

FIG. 86-1. Seni paranasali.

file:///F|/sito/merck/figure/08601.html02/09/2004 2.00.57
Manuale Merck - Figura

FIG.90-1. Sezione trasversale dell'occhio. La zonula di Zinn tiene il cristallino sospeso, mentre il
muscolo del corpo ciliare ne modifica la curvatura. Il corpo ciliare secerne l'umore acqueo, che
riempie la camera posteriore, passa attraverso il forame pupillare nella camera anteriore e viene
drenato attraverso il canale di Schlemm. L'iride regola la quantità di luce che entra nell'occhio,
modificando l'ampiezza della sua apertura centrale, la pupilla. L'immagine visiva viene focalizzata
sulla retina, essendo la fovea (centrale) l'area dell'acuità visiva più fine. La congiuntiva si interrompe
bruscamente al livello del limbus. La cornea è coperta da un epitelio che differisce per molti aspetti
dall'epitelio congiuntivale.

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Manuale Merck - Figura

FIG.101-1. Siti delle lesioni delle vie ottiche superiori e difetti corrispondenti del campo
visivo.

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Manuale Merck - Figura

FIG.102-1.Vizi di rifrazione. (A) Emmetropia; (B) miopia; (C) ipermetropia; (D) astigmatismo.

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Manuale Merck - Figura

FIG.102-2.Cheratotomia radiale.

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Manuale Merck - Figura

FIG.102-3.Cheratotomia astigmatica.

file:///F|/sito/merck/figure/10203.html02/09/2004 2.00.59
Manuale Merck - Figura

FIG.106-1.Identificazione dei denti. I denti di ogni quadrante della bocca sono contrassegnati da
un simbolo: le lettere per i denti decidui e i numeri per i denti permanenti. Una linea orizzontale, che
indica lo spazio tra i mascellari, e una linea verticale, che indica la linea mediana della faccia,
vengono utilizzate con i simboli per indicare in quale quadrante si trova il dente. Per esempio,
indica il primo molare mandibolare sinistro deciduo; indica il primo molare mascellare destro
permanente.

file:///F|/sito/merck/figure/10601.html02/09/2004 2.00.59
Manuale Merck - Figura

FIG.106-2. Sezione di un canino.

file:///F|/sito/merck/figure/10602.html02/09/2004 2.01.00
Manuale Merck - Figura

FIG.107-1. Bendaggio di Barton.

file:///F|/sito/merck/figure/10701.html02/09/2004 2.01.00
Manuale Merck - Figura

FIG.129-1. Gruppi compatibili di GR.

file:///F|/sito/merck/figure/12901.html02/09/2004 2.01.01
Manuale Merck - Figura

FIG. 130-1. Valutazione della eritrocitosi. BM (Bone Marrow) = midollo osseo; COHb =
carbossiemoglobina; Dx = diagnosi; 51Cr = cromo radioattivo marcato; 125I = radioiodio marcato;
P50 = pressione parziale di O2 per cui l'Hb è satura al 50%. (Da Berk PD, et al: "Therapeutic
recommendations in policythemia vera study group protocols." Seminars in Hematology 23(2):132-
143, 1986; riproduzione autorizzata.)

file:///F|/sito/merck/figure/13001.html02/09/2004 2.01.01
Manuale Merck - Figura

FIG. 131-1. Coagulazione. (In alto a destra) Reazioni iniziate in vitro quando il sangue è esposto a
una superficie carica negativamente. (In alto a sinistra) Reazioni generate quando il sangue è
esposto al fattore tissutale, una lipoproteina presente sulla superficie della membrana di alcune
cellule. (Per semplificare, non è stato illustrato il ruolo degli ioni CA nella formazione di tutti i
complessi, nell'attivazione del fattore IXa da parte del fattore XIa e nell'attivazione del fattore XIII).
CAPM = chininogeno ad alto peso molecolare; Kal = callicreina; Prek = precallicreina; TF = fattore
tissutale. (Modificata da West JB: Physiological Basis of Medical Practice, ed.12. Baltimore,
Williams &Wilkins Co.,1989;riproduzione autorizzata.)

file:///F|/sito/merck/figure/13101.html02/09/2004 2.01.01
Manuale Merck - Figura

FIG. 131-2. Reazioni generali della fibrinolisi. (Modificata da Rapaport SI: "Normal Hemostasis,"
In Textbook of Internal Medicine, edito da WN Kelley. Philadelphia, Lippincott-Raven Publishers,
1989; riproduzione autorizza-ta).

file:///F|/sito/merck/figure/13102.html02/09/2004 2.01.01
Manuale Merck - Figura

FIG. 142-1. Il ciclo cellulare. G0 = fase di riposo (cellule non proliferanti); G1 = fase variabile che
precede la sintesi del DNA (da 12 h ad alcuni giorni); S = sintesi di DNA (di solito 2-4 h); G2 = fase
che segue la sintesi del DNA (dura 2-4 h); nelle cellule si ritrova un contenuto tetraploide di DNA;
M1 = mitosi (1-2 h).

file:///F|/sito/merck/figure/14201.html02/09/2004 2.01.02
Manuale Merck - Figura

FIG. 146-1. Modello dei due segnali per l'attivazione delle cellule T. La perdita del 2° segnale
ha come risultato l'anergia o la tolleranza. MHC = complesso maggiore di istocompatibilità; TCR =
recettore della cellula T.

file:///F|/sito/merck/figure/14601.html02/09/2004 2.01.02
Manuale Merck - Figura

Fig. 146-2. Risposta all'inoculazione intradermica di antigene. Ag = antigene; CD = cluster di


differenziazione; GM-LCR = fattore stimolante le colonie dei granulociti e dei macrofagi; IFN =
interferon; IL = interleuchina; MAF = fattore attivante i macrofagi; MIF = fattore di inibizione della
migrazione; MPCA = attività procoagulante dei macrofagi; MPIF = fattore inducente la
procoagulazione dei macrofagi; Mø = macrofago; T = linfocita T; TCR = recettore della cellula T;
TNF = tumor necrosis factor.

file:///F|/sito/merck/figure/14602.html02/09/2004 2.01.02
Manuale Merck - Figura

FIG. 146-3. Schema della molecola immunoglobulinica che mostra le catene pesanti e le
catene leggere. CH = regione costante della catena pesante; CL = regione costante della catena
leggera; Fab = frammento legante l'antigene; Fc = frammento cristallizzabile; VH = regione variabile
della catena pesante; VL = regione variabile della catena leggera.

file:///F|/sito/merck/figure/14603.html02/09/2004 2.01.03
Manuale Merck - Figura

FIG. 146-4. Vie di attivazione del complemento. I componenti sono elencati tra parentesi; le
proteine regolatorie sono tra parentesi quadre, in corsivo. MBL = Lectina legante il mannano.

file:///F|/sito/merck/figure/14604.html02/09/2004 2.01.03
Manuale Merck - Figura

FIG. 146-5. Attivazione della via classica.

file:///F|/sito/merck/figure/14605.html02/09/2004 2.01.03
Manuale Merck - Figura

FIG. 146-6. Attivazione e regolazione della via alternativa.

file:///F|/sito/merck/figure/14606.html02/09/2004 2.01.04
Manuale Merck - Figura

FIG. 146-7. Formazione delle C5-convertasi.

file:///F|/sito/merck/figure/14607.html02/09/2004 2.01.04
Manuale Merck - Figura

FIG. 149-1. Illustrazione schematica del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC)


nell'uomo. I geni allelici presenti in ciascuno dei loci determinano gli antigeni della membrana
cellulare. Le cellule di ogni individuo espri-mono due antigeni per ciascun locus. Tuttavia, a causa
della possibilità dell'omozigosi in un locus o della presenza di alleli per i quali i sieri tipizzanti non
sono disponibili, la tipizzazione tissutale con l'impiego delle tecniche siero-logiche può mancare di
identificare tutti gli antigeni HLA posseduti da un individuo. Una persona può avere fino a quattro
geni DRB (due su ciascun cromosoma); in questo modo possono esserci fino a quattro antigeni DR
differenti sulla superficie di una cellula. (Il numero dei possibili alleli è quello noto fino al 1996.)

file:///F|/sito/merck/figure/14901.html02/09/2004 2.01.05
Manuale Merck - Figura

FIG. 165-1. Schema del Mini-Mental Status Examination.

file:///F|/sito/merck/figure/16501.html02/09/2004 2.01.05
Manuale Merck - Figura

FIG. 165-2. Dermatomeri delle sensibilità. (Ridisegnato da Keegan JJ, Garrett FD, Anatomical
Record 102:409-437, 1948; riproduzione autorizzata del Wistar Institute, Philadelphia,
Pennsylvania.)

file:///F|/sito/merck/figure/16502.html02/09/2004 2.01.05
Manuale Merck - Figura

FIG. 165-3. Distribuzione cutanea dei nervi: arto superiore. (Ridisegnata da Anatomy, ed. 5,
edited by R O'Rahilly. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986; riproduzione autorizzata)

file:///F|/sito/merck/figure/16503.html02/09/2004 2.01.06
Manuale Merck - Figura

FIG. 165-4. Distribuzione cutanea dei nervi: arto inferiore. (Ridisegnata da Anatomy, ed. 5,
edited by R O'Rahilly. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986; riproduzione autorizzata)

file:///F|/sito/merck/figure/16504.html02/09/2004 2.01.06
Manuale Merck - Figura

FIG. 166-1. Schema della neurotrasmissione. I potenziali d'azione aprono i canali assonali del
calcio (non mostra-to). Il Ca++ attiva il rilascio dei neurotrasmettitori (NT) dalle vescicole in cui sono
immagazzinati. Le molecole di NT riempiono il solco sinaptico. Alcune si legano ai recettori
postsinaptici, iniziando una reazione. Le altre sono pompate indietro nell'assone e immagazzinate o
diffuse nei tessuti circostanti.

file:///F|/sito/merck/figure/16601.html02/09/2004 2.01.07
Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 169-1. Aree dell'encefalo.

file:///F|/sito/merck/figure/16901.html (2 of 2)02/09/2004 2.01.07


Manuale Merck - Figura

FIG. 173-1. Stadi del sonno nell'adulto in una notte. Il sonno a movimenti oculari rapidi (REM)
avviene ciclica-mente durante la notte ogni 90-120 min. Lo stadio 1 ammonta al 2-5% del tempo; lo
stadio2, al 45-55%; lo stadio 3, al 3-8%; lo stadio 4, al 10-15% e il REM, al 20-25%. Brevi risvegli
avvengono normalmente durante la notte, specialmente alla fine di ogni ciclo di sonno.

file:///F|/sito/merck/figure/17301.html02/09/2004 2.01.07
Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 174-1. Arterie dell'encefalo.

file:///F|/sito/merck/figure/17401.html (2 of 2)02/09/2004 2.01.08


Manuale Merck - Figura

FIG. 182-1. Sezione trasversa del midollo spinale.

file:///F|/sito/merck/figure/18201.html02/09/2004 2.01.08
Manuale Merck - Figura

FIG. 187-1. Curva di Yerkes-Dodson raffigurante il rapporto tra l'insorgenza di un'emozione


(ansia) e la prestazione. Adattata da Yerkes RM, Dodson JD: "The relation of strength of stimulus
to rapidity of habit formation". Journal of Comparative Neurology and Psychology 18:459-482, 1908.

file:///F|/sito/merck/figure/18701.html02/09/2004 2.01.08
Manuale Merck - Figura

FIG. 197-1. Normale profilo del polso venoso giugulare. L'onda c è dovuta all'impulso carotideo
trasmesso, ma è di rado osservabile clinicamente.

file:///F|/sito/merck/figure/19701.html02/09/2004 2.01.09
Manuale Merck - Figura

FIG. 197-2. Rappresentazione schematica dei rilievi obiettivi in un paziente con stenosi
aortica e insufficienza mitralica. Sono rappresentati i soffi, le loro caratteristiche, l'intensità e le
irradiazioni. Il tono di chiusura della valvola polmonare segue il tono di chiusura della valvola
aortica. Sono individuabili l'itto del ventricolo sinistro, piuttosto prominente, e un impulso
ventricolare destro. Sono presenti un quarto tono (S4) e un fremito sistolico (TS); a = tono di
chiusura della valvola aortica; p = tono di chiusura della valvola polmonare; S1 = primo tono; S2 =
secondo tono; 3/6 = intensità del soffio in crescendo-decrescendo (si irradia ai vasi del collo
bilateralmente); 2/6 = intensità del soffio apicale olosistolico in crescendo; 1+ = lieve impulso
precordiale da ipertrofia ventricolare destra (la freccia indica la direzione dell'impulso); 2+ = itto
ventricolare sinistro, di entità moderata (la freccia indica la direzione dell'impulso).

file:///F|/sito/merck/figure/19702.html02/09/2004 2.01.09
Manuale Merck - Figura

FIG. 198-1. Rappresentazione schematica dei vasi polmonari come evidenziati alla rx del
torace in proiezione frontale nell'adulto in posizione eretta (polmone destro). (A) Vasi
polmonari normali. Notare che i vasi periferici di maggior calibro si trovano nei campi polmonari
inferiori. (B) Aumento generalizzato della prominenza dei vasi polmonari, tipico degli ampi shunt
sinistro-destro che si riscontrano nelle cardiopatie congenite e degli stati di alta gittata (p. es.,
anemia, gravidanza, iperidratazione). (C) Aumento del calibro dei vasi dei campi polmonari
superiori con vasi relativamente più piccoli nei campi inferiori (che possono non essere visibili in
presenza di edema), tipico dello scompenso cronico del cuore sinistro (p. es., stenosi mitralica
grave). (D) Arterie polmonari principali dilatate e tortuose con arterie polmonari periferiche di calibro
relativamente piccolo, quadro tipico dell'ipertensione pol-monare acquisita cronica grave dovuta a
elevate resistenze periferiche e polmonari. (Modificata da: "Nomenclature and Criteria for Diagnosis
of Diseases of the Heart and Great Vessels", ed. 8. New York, New York Heart Association, 1979;
riproduzione autorizzata.) .

file:///F|/sito/merck/figure/19801.html02/09/2004 2.01.09
Manuale Merck - Figura

FIG. 198-2. Rappresentazione schematica dell'ecocardiografia M-mode del cuore, dall'apice


(1) alla base (4) del cuore. PAVD = parete anteriore del ventricolo destro; VD = cavità del
ventricolo destro; SD = versante destro del setto interventricolare; SS = versante sinistro del setto
interventricolare; VS = cavità ventricolare sinistra; MPP = muscolo papillare posteriore; PPVS =
parete posteriore del ventricolo sinistro; EN = endocardio posteriore del ventricolo sinistro; EP =
epicardio posteriore del ventricolo sinistro; PER = pericardio; LAVM = lembo anteriore della valvola
mitrale; LPVM = lembo posteriore della valvola mitrale; PPAS = parete posteriore dell'atrio sinistro;
VA = valvola aortica; Ao = aorta; AS = cavità dell'atrio sinistro. (Da Feigenbaum H: "Clinical
applications of echocardiography." Progress in Cardiovascular Diseases 14:531-558, 1972;
riproduzione autorizzata da WB .

file:///F|/sito/merck/figure/19802.html02/09/2004 2.01.10
Manuale Merck - Figura

FIG. 198-3. Quattro proiezioni comunemente utilizzate nell'ecocardiografia bidimensionale.


LX (Long Axis) = asse lungo; SX (Short Axis) = asse corto; 4C = quattro camere; 2C = due camere;
VS = ventricolo sinistro; Ao = aorta; AS = atrio sinistro; VD = ventricolo destro; AD = atrio destro.
(Da Feigenbaum H: Echocardiography, ed. 5, Lea & Febiger, Malvern, PA, 1994; riproduzione
autorizzata.)

file:///F|/sito/merck/figure/19803.html02/09/2004 2.01.10
Manuale Merck - Figura

FIG. 198-4. Rappresentazione del flusso transmitralico mediante Doppler spettrale. VD =


ventricolo destro; AD = atrio destro; VS = ventricolo sinistro; AS = atrio sinistro; E = flusso
protodiastolico; A = flusso diastolico secondario alla contrazione atriale. (Da Feigenbaum H:
Echocardiography, ed. 5, Lea & Febiger, Malvern, PA, 1994; riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 198-5. Rappresentazione schematica del ciclo cardiaco, che mostra le curve di
pressione dei grossi vasi e delle camere cardiache, i toni cardiaci, il polso venoso giugulare
e l'ECG. Ao = aorta; AP = arteria polmonare; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinis-tro; AD = atrio
destro; VD = ventricolo destro. A sco-po didattico, gli intervalli di tempo sono stati modificati e il
punto z è stato prolungato. (Adattata da The Heart, ed. 5, pubblicato da JW Hurst, et al. New York,
Mc-Graw-Hill, Inc., 1982; e A Primer of Cardiology, ed. 4, di GE Burch. Philadelphia, Lea & Febiger,
1971; riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-1. Infarto miocardico acuto in sede anteriore, tracciato resgistrato entro poche ore dall'esordio.
Notare l'importante sopraslivellamento del tratto ST in: I, aVL, V4, e V6 e il sottoslivellamento reciproco nelle
altre derivazioni.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-2. Infarto miocardico acuto in sede anteriore dopo le prime 24 ore. Notare che il
sopraslivellamento del tratto ST è meno accentuato; notare anche la comparsa di onde Q significative e la
decurtazione delle onde R in: I, aVL, V4 e V6.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-3. Infarto miocardico acuto in sede anteriore diversi giorni dopo l'esordio. Le onde Q significative e
l'amputazione delle onde R persistono. Il tratto ST è ora essenzialmente isoelettrico. L'ECG probabilmente si
modificherà molto lentamente nei mesi successivi.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-4. Infarto miocardico acuto infero-posteriore, tracciato registrato entro poche ore dall'esordio dei
sintomi. Notare il sopraslivellamento iperacuto del tratto ST in II, III e aVF e il sottoslivellamento reciproco nelle
altre derivazioni.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-5. Infarto miocardico acuto infero-posteriore dopo le prime 24 ore. Notare la comparsa di onde Q
significative nelle derivazioni II, III e aVF e la riduzione del sopraslivellamento del tratto ST nelle stesse
derivazioni.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 202-6. Infarto miocardico acuto infero-posteriore diversi giorni dopo l'esordio. Il tratto ST adesso è
isoelettrico. Sono presenti onde Q patologiche in II, III e aVF, che indicano che la cicatrice miocardica persiste.

file:///F|/sito/merck/figure/20206.html02/09/2004 2.01.13
Manuale Merck - Figura

FIG. 203-1. Curve di Frank-Starling. L'ordinata (pressione sistolica, gittata sistolica, gittata
cardiaca, lavoro pulsatorio, lavoro cardiaco) rappresenta la capacità del ventricolo di assolvere alla
sua funzione di pompa. L'ascissa (lunghezza diastolica del muscolo, pressione telediastolica,
volume telediastolico) rappresenta la misura diretta o indiretta della lunghezza o dello stiramento
delle fibre miocardiche. Le linee tratteggiate indicano i valori normali a riposo; la curva normale
passa attraverso il punto di intersezione delle linee tratteggiate. In condizioni normali, la pressione
sistolica del ventricolo sinistro, la gittata sistolica e il lavoro aumentano rapidamente a mano a
mano che la fibra miocardica si allunga in telediastole. Esiste una famiglia di curve di funzione
ventricolare che illustrano la funzione cardiaca in condizioni normali e patologiche. Nello
scompenso cardiaco (Heart Failure, HF) causato da una contrattilità ridotta, la funzione ventricolare
si riduce bruscamente (punto A). La riduzione della gittata sistoli-ca aumenta il volume telediastolico
con conseguente stiramento del muscolo cardiaco in diastole. La curva di funzione ventricolare si
sposta a destra e diviene relativamente piatta, al fine di mantenere una funzione cardiaca
relativamente normale a riposo (punto B). Perciò, un'adeguata funzione cardiaca a riposo consegue
all'aumento del volume e della pressione diastolica. La terapia con un farmaco inotropo migliora la
curva della funzione ventricolare (punto C), che, tuttavia, resta patologica. La riduzione del
postcarico può avere effetti simili. Questa figura mostra una relazione diretta fra la lunghezza
diastolica del muscolo e la pressione e il volume telediastolici, una relazione che è generalmente
vera quando la contrattilità ventricolare è ridotta. Questa relazione non si applica allo scompenso
cardiaco dovuto all'aumento della rigidità ("stiffness") diastolica del miocardio: in tal caso, la gittata
cardiaca è solitamente normale, la pressione telediastolica è elevata, ancora la lunghezza delle
fibre muscolari può essere normale. Il problema delle patologie che provocano un'aumentata rigidità
diastolica è la marcata riduzione della distensibilità ("compliance") miocardica e quindi il patologico
aumento delle pressioni di riempimento ventricolari e la congestione, pur in presenza di una
normale fase eiettiva. (Adattata da Spann JF, Mason DT, Zelis R: "Recent advances in the
understanding of congestive heart failure (II)." Modern Concepts of Cardiovascular Dis-ease 39:79-
84, 1970; riproduzione autorizzata da American Heart Association, Inc.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 203-2. Curva di dissociazione dell'ossiemoglobina. La saturazione arteriosa di


ossiemoglobina (ordinata) è messa in relazione con la pressione parziale di O2 (ascissa). P50 (PO2
al 50% di saturazione) è normalmente di 27 mm Hg. La curva di dissociazione è spostata verso
destra dall'aumento della concentrazione di idrogenioni (H+) e dall'aumento del contenuto di
difosgoglicerato (DPG) nei GR. La curva è spostata verso sinistra dalla riduzione di H+ e da ridotti
livelli di difosfoglicerato nei GR. L'Hb caratterizzata dallo spostamento a destra della curva ha una
ridotta affinità per l'O2; l'Hb caratterizzata dallo spostamento a sinistra della curva ha un'aumentata
affinità per l'O2.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 203-3. Rappresentazione schematica delle cardiomiopatie, in funzione dei meccanismi


fisiopatologici di base. (A) Cuore normale; (B) disfunzione sistolica; (C-G) disfunzione diastolica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-1. Tracciati di ritmo cardiaco da un ECG ambulatoriale delle 24 ore (Holter). Nota le
tipiche modificazioni della frequenza al momento dell'inizio del sonno e al risveglio (frecce).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-2. Registrazioni da uno studio elettrofisiologico invasivo. I, aVF e V1 sono derivazioni
di superficie. Vengono anche mostrati l'elettrogramma dell'atrio destro (EAD), l'elettrogramma del
fascio di His (His Bundle Electrogram, HBE) e l'elettrogramma del ventricolo destro (EVD). Durante
pacing regolare del ventricolo destro (S1), due extrasistoli (S2 e S3) iniziano una tachicardia
ventricolare monomorfa. Notare la dissociazione dell'attiv-ità dell'atrio destro.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-3. Potenziali tardivi. (A) Rappresentazione tempo-voltaggio di due derivazioni


elettrocardiografiche. Fra le linee verticali tratteggiate si rileva un'attività elettrica a basso voltaggio
che supera il livello del rumore di fondo. L'espressione "potenziali tardivi" si riferisce a questa
attività elettrica che, nel caso specifico, è stata rilevata in un paziente con tachicardia ventricolare
monomorfa ricorrente dopo un infarto miocardico. È più chiaramente visibile nel tracciato più in
basso, che utilizza una derivazione inferiore. (B) Complessi QRS analizzati con il metodo dell'analisi
vettoriale e amplificati. Questa tecnica acquisisce informazioni da tre derivazioni ECG ortogonali e
ne fa la somma con una metodica digitale. Le linee tratteggiate verticali indicano l'inizio e la fine del

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Manuale Merck - Figura

complesso QRS. Sulla base di una definizione arbitraria dell'energia terminale del complesso QRS
in relazione al tempo, la parte terminale rappresenta l'attività tardiva ed è patologica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-4. Battiti ectopici atriali (BEA). Viene mostrato un tracciato ECG in derivazione II. Dopo
il secondo battito di origine sinusale, l'onda T è deformata da un BEA. Dal momento che il BEA si
verifica relativamente presto durante il ciclo sinusale, il pacemaker del nodo del seno viene
resettato e una pausa meno che compensatoria precede il battito sinusale successivo.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-5. Insorgenza di flutter atriale. Il tracciato ECG mostrato è in V1. Dopo il secondo battito
sinusale normale, un BEA con un intervallo di accoppiamento di 140 ms dà origine a un ritmo atriale
sostenuto con una lunghezza del ciclo di 200 ms (frequenza di 300 bpm) e un grado variabile di
blocco atrioventricolare.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-6. Registrazioni durante fibrillazione atriale. Sono registrate le derivazioni: I, II e V1,
l'elettrogramma atriale (EA), l'elettrogramma del fascio di His (HBE); i marker per il tempo sono a
intervalli di 10 e 100 ms. L'attività elettrica atriale individuata all'elettrogramma atriale non è
regolare. All'interno dell'atrio si ha una serie continua e caotica di fronti d'onda: ciò rappresenta una
fibrillazione atriale. Ciascun complesso QRS è preceduto da una depolarizzazione del fascio di His:
ciò indica l'origine sopraventricolare del QRS.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-7. Insorgenza di fibrillazione atriale (FA). In II, i primi due battiti di origine sinusale sono
seguiti da un singolo battito ectopico atriale. Il ritmo ritorna sinusale, ma solo per poco; è infatti
seguito da un altro battito ectopico atriale, che inizia la fibrillazione atriale.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-8. Tachicardia a QRS stretto. Le onde P non sono visibili perché cadono all'interno dei
complessi QRS. Questo paziente ha una tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare. Notare
l'alternanza del QRS (alternanza dell'ampiezza del QRS; anche altre caratteristiche, quali la
morfologia o il timing, possono essere soggette a fenomeni di alternanza). In passato, si pensava
che tale rilievo fosse specifico delle tachicardie che utilizzano una via accessoria (tachicardia
reciprocante), ma l'alternanza del QRS può verificarsi in ogni tipo di tachicardia a QRS stretto.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-9. Inizio di una tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare. Notare l'onda P
anomala (P´) e il ritardo della conduzione attraverso il nodo atrioventricolare (P´ R lungo).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-10. Tachicardia a QRS stretto: Tachicardia reciprocante ortodromica che usa una
via accessoria in un paziente con sindrome di Wolff-Parkinson-White. L'attivazione avviene
come segue: nodo atrioventricolare, sistema di His-Purkinje, ventricoli, via accessoria, atri. Notare
che l'onda P segue da vicino il complesso QRS, cosicché PR > RP.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-11. Sindrome di Wolff-Parkinson-White. Le derivazioni ECG sono: I, II e V1,


elettrogramma atriale (EA), elettrogramma del fascio di His (HBE); i marker per il tempo sono a
intervalli di 10 e 100 ms. La depolarizzazione del fascio di His (HBE) si verifica in corrispondenza
dell'inscrizione della caratteristica onda d. La morfologia del QRS rappresenta il risultato
dell'attivazione ventricolare attraverso due vie indipendenti.

file:///F|/sito/merck/figure/20511.html02/09/2004 2.01.18
Manuale Merck - Figura

FIG. 205-12. Sindrome di Lown-Ganong-Levine. (A) Le derivazioni I, II e III, l'elettrogramma


atriale (EA) e l'elettrogramma del fascio di His (HBE), i marker del tempo a intervalli di 10 e 100 ms
sono mostrati durante ritmo sinusale regolare. L'accorciamento dell'intervallo PR a 110 ms è
funzione del breve tempo di conduzione del nodo atrioventricolare (intervallo AH di 80 ms). (B)
Nonostante il breve intervallo PR in ritmo sinusale, il prolungamento della conduzione nodale
atrioventricolare (un intervallo AH lungo) è responsabile della tachicardia da rientro sostenuta
durante tachicardia a QRS stretto.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-13. Sindrome di Wolff-Parkinson-White (WPW). Le derivazioni I, II, III, V1 e V6 (in alto a
sinistra e al centro) mostrano le caratteristiche tipiche della sindrome di WPW, con un intervallo PR
breve e un'onda δ in ritmo sinusale. Durante la registrazione ECG, il paziente sviluppa fibrillazione
atriale (derivazioni V2 e V4 in alto a destra) con una risposta ventricolare molto rapida (sono
registrati intervalli PR di 160 ms). Subito dopo, si sviluppa fi-brillazione ventricolare (striscia di ritmo
in II in basso).

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file:///F|/sito/merck/figure/20513.html02/09/2004 2.01.19
Manuale Merck - Figura

FIG. 205-14. Tachicardia atriale vera. Questa rara tachicardia a QRS stretto prende origine da un
focus automatico patologico o da un circuito localizzato di rientro intra-atriale. Le onde P precedono
i complessi QRS; PR < RP.

file:///F|/sito/merck/figure/20514.html02/09/2004 2.01.19
Manuale Merck - Figura

FIG. 205-15. Battiti ectopici ventricolari (BEV). La II derivazione mostra un ritmo sinusale
regolare con un'onda P positiva (primo ciclo) seguita da una depolarizzazione prematura dei
ventricoli. L'onda P prematura invertita (secondo ciclo) che segue questo BEV è il risultato della
conduzione ventricoloatriale. Dopo il BEV, si ripristina il ritmo sinusale

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-16. Tachicardia ventricolare. L'elevata frequenza ventricolare con dissociazione


atrioventricolare permette di fare diagnosi. Sono registrati simultaneamente l'elettrogramma atriale
(EA) e la II derivazione. Sebbene le onde P non siano evidenti all'ECG, l'elettrogramma atriale
mostra onde P nette, con una lunghezza del ciclo considerevolmente inferiore rispetto a quella dei
complessi QRS: questo indica l'origine ventricolare della tachicardia.

file:///F|/sito/merck/figure/20516.html02/09/2004 2.01.20
Manuale Merck - Figura

FIG. 205-17. Tachicardia ventricolare a QRS largo. La durata del QRS è di 160 ms. Un'onda P
indipendente può essere individuata in V1 (freccia). C'è una deviazione frontale estrema dell'asse
elettrico.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-18. Torsione di punta. Dopo la somministrazione di procainamide, una singola


extrasistole (2) provoca una torsione di punta, che mostra le tipiche modificazioni continue del
vettore. HBE = elettrogramma del fascio di His.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-19. Insorgenza di fibrillazione ventricolare. In questa registrazione continua, i primi


battiti ventricolari mostrano una certa organizzazione dell'attività elettrica ventricolare, ma subito la
traccia degenera. È mostrata l'ora (AM).

file:///F|/sito/merck/figure/20519.html02/09/2004 2.01.21
Manuale Merck - Figura

FIG. 205-20. Blocco del nodo atrioventricolare. (A) Prolungamento della conduzione del nodo
atrioventricolare (blocco atrioventricolare di primo grado). Le derivazioni sono: I, II e III;
l'elettrogramma atriale (EA); l'elettro-gramma del fascio di His (HBE); i marker per il tempo sono a
intervalli di 10 e 100 ms. L'intervallo PR è prolungato perché la conduzione dall'atrio al fascio di His
(intervallo AH) è anormalmente lunga (180 ms). Il prolungamento dell'intervallo PR risulta
generalmente da un ritardo della conduzione nodale atrioventricolare. (B) Conduzione 2:1 del nodo
atrioventricolare. Una depolarizzazione atriale di origine sinusale su due non riesce ad attraversare
il nodo atrioventricolare e ad attivare il fascio di His; ne consegue un blocco atrioventricolare 2:1 a
livello del nodo atrioventricolare.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-21. Blocco di branca destra. Sono registrate le derivazioni vettoriali ortogonali X, Y e Z
(sistema di Frank), l'elettrogramma del fascio di His (HBE) e i marker temporali sono fissati a
intervalli di 100 ms. Viene mostrato il rallentamento della parte terminale del QRS, diretta verso
destra e anteriormente, insieme con un intervallo HV normale, che indica che il resto del sistema di
conduzione intraventricolare è normale.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 205-23. Malattia del nodo del seno sintomatica. Sono mostrate alcune strisce di ritmo di un
ECG 24 ore (variante bradicardia-tachicardia). Notare gli episodi di asistolia, di fibrillo-flutter atriale
e i battiti ectopici ventricolari. Le ore sono quelle indicate (AM). .

file:///F|/sito/merck/figure/20523.html02/09/2004 2.01.22
Manuale Merck - Figura

FIG. 205-22. Blocco di branca sinistra. Sono registrate le derivazioni vettoriali X, Y e Z (sistema
di Frank); l'elettrogramma di His (HBE); i marker temporali sono fissati a intervalli di 100 ms. Il tipico
rallentamento con asse verso sinistra della porzione media e terminale del QRS è evidenziato nella
derivazione X. Il normale asse medio del QRS sul piano frontale (Y) e il prolungamento
dell'intervallo HV (110 ms) sono caratteristici di questa forma di blocco di branca sinistra e riflettono
una patologia trifascicolare del sistema di conduzione.

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Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 206-1. Ventilazione dell'adulto mediante aria espirata. (A) Posizione per aprire le vie aeree.
(B) Respirazione di soccorso: corretto posizionamento delle mani e del paziente per ottenere la
pervietà delle vie aeree e per la respirazione bocca a bocca. (C) Posizione corretta per la
respirazione bocca-naso. (Adattata da "Standards and Guidelines for Cardiopulmonary
Resuscitation [CPR] and Emergency Cardiac Care [ECC]," in Journal of the American Medical
Association 25:2916 e 2918, 6 giugno 1986. Copyright 1986, American Medical Association.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 206-2. Ventilazione con aria espirata nel bambino. (A) Posizione a testa in giù: rimozione di
corpi estranei dalla trachea o dai bronchi. (B) Posizione per la respirazione bocca a bocca. (C)
Respirazione combinata bocca e naso. (Adattato da "Standards and Guidelines for
Cardiopulmonary Resuscitation [CPR] and Emergency Cardiac Care [ECC]," in Journal of the
American Medical Association 25:2956 e 2959, 6 Giugno 1986. Copyright 1986, American Medical
Association.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 209-1. Pressioni nella pericardite costrittiva. VS = ventricolo sinistro; VD = ventricolo


destro. Modificato da Diagnosis in Color: Physical Signs in Cardiology, di N Fowler et al. St. Louis,
Mosby International, in stampa; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 214-1 Massima osmolarità urinaria dopo test di privazione dell'acqua (colonne
ombreggiate) versus osmolarità urinaria dopo somministrazione di vasopressina esogena
(colonne aperte). DI = diabete insipidus. (Dati tratti da Miller M, et al: "Recognition of partial
defects in antidiuretic hormone secretion." Annals of Internal Medicine 73[5]:721-729, 1970.)

file:///F|/sito/merck/figure/21401.html02/09/2004 2.01.24
Manuale Merck - Figura

FIG. 215-1. La normale minzione si verifica quando la contrazione vescicale è coordinata con
il rilasciamento dello sfintere uretrale. Il SNC inibisce la diuresi fino al momento opportuno e
coordina e facilita gli stimoli vescicali per iniziare e completare la minzione. Il sistema simpatico
contrae la muscolatura dello sfintere liscio attraverso le fibre α-adrenergiche del nervo ipogastrico. Il
sistema parasimpatico contrae il muscolo detrusore vescicale attraverso le fibre colinergiche del
nervo pelvico. Il sistema nervoso somatico contrae lo sfintere muscolare striato attraverso le fibre
colinergiche il nervo pudendo. (Adattata dal DuBeau CE, Resnick NM, con the Massachusetts De-
partment of Health EDUCATE project collaborators. Urinary incontinence in the Older Adult: An
Annotated Speaker/Teacher Kit, 1993; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 223-1. Emofiltrazione continua veno-venosa.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 224-1. Classificazione sierologica e istopatologica della glomerulonefrite rapidamente


progressiva (a semilune). GN = glomerulonefrite; ANCA = antineutrophil cytoplasmic autoantibody
(autoanticorpi contro il citoplasma dei neutrofili); MBG = membrana basale glomerulare. (Adattata da
MKSAP in the Subspecialty of Nephrology and Hypertension. Book 1 Syllabus and Questions, 1994.
American College of Physicians).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 224-2. Caratteristiche della microscopia elettronica nella malattie immunologiche


glomerulari.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 226-1. Citotossicità renale da analgesici. Adattata da Schreiner GE et al: "Clinical analgesic
nefropathy." An-nals of Internal Medicine 141:56, 1981.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 234-1. L'asse SNC-ipotalamo-ipofisi-gonadi-organi bersaglio. Gli ormoni ovarici hanno


effetti diretti e indiretti sugli altri tessuti (p. es., ossa, cute, muscoli). FSH = ormone follicolo-
stimolante; GnRH = ormone per il rilascio delle gonadotropine; LH = ormone luteinizzante.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 234-2. Modificazioni dei livelli dell'ormone luteinizzante (LH), dell'ormone follicolo-
stimolante (FSH) e dell'estradiolo (E2) nel sangue periferico. I livelli dell'LH e dell'FSH sono
aumentati alla nascita (non mostrato). Il periodo puberale è ampliato. (Modificata da Rebar RW:
"Normal physiology of the reproductive system," Endo-crinology and Metabolism Continuing
Education Program, American Association of Clinical Chemistry, Novem-ber 1982. Copyright 1982
by the American Association for Clinical Chemistry; riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 234-3. Pubertà: sviluppo dei caratteri sessuali femminili. Le barre indicano i valori normali.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 234-4. Il ciclo ovarico. I follicoli sono racchiusi nella corticale. Il follicolo selezionato (primario)
matura e scoppia, rilasciando il cumulo ooforo (l'oocita e alcune cellule della granulosa che lo
circondano).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 234-5. Le ideali modificazioni cicliche delle gonadotropine ipofisarie, dell'estradiolo


(E2), del progesterone (P), dei follicoli ovarici e dell'endometrio uterino durante il normale
ciclo mestruale. I giorni del sanguinamento mestruale sono indicati con M. FSH = ormone follicolo-
stimolante; LH = ormone luteinizzante. (Modificata da Rebar RW: "Normal physiology of the
reproductive system." Endocrinology and Metabolism Continuing Educa-tion Program, American
Association of Clinical Chemistry, November 1982. Copyright 1982 by the American Association for

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Manuale Merck - Figura

Clinical Chemistry; riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 235-1. Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, della maturazione


del seno umano. Da Marshall WA, Tanner JM: "Variations in patterns of pubertal changes in girls."
Archives of Disease in Childhood 44:291-303, 1969; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 235-2. Rappresentazione schematica degli stadi di Tanner, da I a V, dello sviluppo dei
peli pubici nelle ragazze. Da Marshall WA, Tanner JM: "Variations in patterns of pubertal changes
in girls." Archives of Disease in Childhood 44:291-303, 1969; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 242-1. Posizioni per l'esame della mammella. Paziente seduta o in piedi (A) con le braccia
lungo i fianchi; (B) con le braccia sollevate sopra la testa, per sollevare la fascia pettorale e le
mammelle; (C) con le mani che spingono con forza contro le anche o (D) con le palme spinte una
contro l'altra davanti alla fronte, per contrarre i muscoli pettorali. (E) Palpazione dell'ascella; le
braccia sostenute come illustrato, per rilasciare i muscoli pettorali. (F) Paziente supina con un
cuscino sotto la spalla e il braccio sollevato al di sopra della testa dal lato che viene esaminato. (G)
Palpazione della mammella con movimento circolare dal capezzolo verso l'esterno.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 248-1. La placenta e l'embrione.

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Manuale Merck - Figura

FIG.256-1. Valutazione dell’età gestazionale; nuovo punteggio di Ballard. (Modificato da


Ballard JL, Khoury JC, Wedig K, et al: "New Ballard score, expande to include extremely premature
infants." The Journal of Pediatrics 119 (3):417-423, 1991; Riproduzione autorizzata da CV Mosby

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Company.)

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Manuale Merck - Figura

Ogni bambino e ogni famiglia sono unici; di conseguenza queste Raccomandazioni per la
prevenzione in pediatria sono redatte per la cura dei bambini che ricevono cure familiari
appropriate, che non presentano manifestazioni di rilevanti problemi di salute, che presentano un
accrescimento e uno sviluppo soddisfacenti. Visite supplementari possono divenire necessarie se
le condizioni suggeriscono variazioni dalla norma. Queste linee guida rappresentano un consenso da
parte della Commissione sulla Medicina Ambulatoriale con la consulenza di commissioni e sezioni
nazionali dell'American Academy of Pediatrics (AAP). La Commissione mette in rilievo la grande
importanza della continuità delle cure, comprensivamente di una supervisione di salute e la
necessità di evitare una frammentazione delle cure. Si raccomanda una visita prenatale in caso di
genitori ad alto rischio, genitori alla prima gravidanza e genitori che richiedono un colloquio. La visita
prenatale deve includere consigli anticipatori e una accurata anamnesi clinica. Ogni bambino deve
essere valutato, dopo la nascita, in epoca neonatale.

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Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

1. Si incoraggia l'allattamento al seno e si forniscono istruzioni e supporto.


2. Per neonati dimessi prima delle 48 ore di vita.
3. Problemi di sviluppo, problemi psicosociali e relativi a malattie croniche in bambini e adolescenti
possono richiedere frequenti visite di consulenza e di trattamento, separatamente dalle visite di cura
preventiva.
4. Se un bambino viene in cura per la prima volta in un punto qualsiasi del preogramma, o se alcuni
esami non vengono effettuati all'età suggerita, egli deve mettersi in pari con il programma nel più
breve tempo possibile.
5. Se il paziente non è collaborante, effettuare un nuovo controllo entro sei mesi.
6. Alcuni esperti raccomandano una valutazione oggettiva dell'udito nel periodo neonatale. La Joint
Committee sull'Udito nei Bambini ha identificato i pazienti a rischio significativo di ipoacusia. Tutti i
bambini che presentano questi requisiti devono essere valutati oggettivamente.
7. Mediante storia ed esame obiettivo adeguato; se vi sono sospetti, mediante test di valutazione
dello sviluppo.
8. Ad ogni visita è essenziale un esame obiettivo completo, con neonati completamente svestiti,
bambini più grandi svestiti e coperti in modo adeguato.
9. Questi possono essere modificati, a seconda del punto di entrata nel programma e dei bisogni
individuali.
10. Gli screening metabolici (p. es., tiroide, emoglobinopatie, PKU, galattosemia) devono essere

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eseguiti in accordo alle leggi nazionali.


11. Programma(i) secondo la Committee on Infectious Diseases, pubblicato periodicamente su
Pediatrics. Ogni visita deve rappresentare una opportunità per aggiornare e completare le
vaccinazioni di un bambino.
12. Valutazione del tasso ematico di piombo secondo la dichiarazione dell'AAP "Lead Poisoning:
From Screening to Primary Prevention" (1993).
13. Devono essere esaminate tutte le adolescenti mestruate.
14. Eseguire esame delle urine mediante stick per la ricerca di leucociti in adolescenti di sesso
maschile e femminile.
15. Test della tubercolina secondo la dichiarazione dell'AAP "Screening for Tuberculosis in Infants
and Children" (1994). Il test deve essere eseguito in base al riconoscimento di fattori di rischio
elevato. Se i risultati sono negativi, ma permane la condizione di rischio elevato, il test deve essere
ripetuto annualmente.
16. Valutazione della colesterolemia in pazienti ad alto rischio secondo la dichiarazione dell'AAP
"Statement on Cholesterol" (1992). Se la storia familiare non può essere accertata e sono presenti
altri fattori di rischio, lo screening deve essere effettuato a discrezione del medico.
17. Tutti i pazienti sessualmente attivi devono essere esaminati per malattie sessualmente trasmesse
(Sexually Transmitted Diseases, STDs).
18. In tutte le pazienti di sesso femminile sessulamente attive deve essere effettuato un esame
pelvico. Un esame pelvico e uno striscio di routine con il metodo di Papanicolau (Pap) devono essere
effettuati come parte della tutela preventiva della salute nell'età compresa tra 18 e 21 anni.
19. Una discussione e consigli appropriati devono essere parte integrante di ciascuna visita.
20. Dall'età di 12 anni, in riferimento al programma di prevenzione dei traumi dell'AAP (TIPPr), come
descritto in "A Guide to Safety Counseling in Office Practice" (1994).
21. Una valutazione iniziale precoce dei denti può essere indicata per alcuni bambini. Esami
successivi come prescritti dal dentista.

Chiavi: • = da eseguire * = nei pazienti a rischio S = soggettiva in base alla storia O=


obiettiva, in base a test standardizzati = il periodo durante il quale un servizio deve essere
fornito, con il punto che indica l'età consigliata

NB: Eseguire i test dopo l'età neonatale (p. es., errori congeniti del metabolismo, anemia falciforme,
ecc.) è a discrezione del medico. Queste raccomandazioni non indicano una serie esclusiva di
trattamenti o servono come standard di cure mediche. Possono essere appropriate delle variazioni, in
base alle circostanze individuali.

FIG.256-2. Raccomandazioni per la prevenzione in pediatria. Utilizzata con l'autorizzazione


dell'American Academy of Pediatrics, Pediatrics, 96:2, 1995.

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FIG. 256-3. Altezza ed età equivalenti nei ragazzi e nelle ragazze.

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FIG. 256-4. Velocità di crescita lineare (altezza) nei ragazzi e nelle ragazze in cm/anno.

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Manuale Merck - Figura

* Questo schema indica l'età raccomandata per la somministrazione di routine dei vaccini per
l'infanzia attualmente autorizzati; i vaccini sono posti sotto le età alle quali sono abitualmente
raccomandati. Catch-up della vaccinazione deve essere effettuato ad ogni visita, quando possibile.
Sono disponibili alcune associazioni di vaccini e possono essere utilizzate quando è indicata la
somministrazione di tutti i componenti del vaccino. Il medico deve leggere il foglietto illustrativo per
le raccomandazioni dettagliate.
†I bambini nati da madri HBsAg-negative devono ricevere 2.5 mg di vaccino Merck (Recombivax
HB) o 10 mg di vaccino SmithKline Beecham (SB) (Engerix-B). La seconda dose deve essere
somministrata almeno 1 mese dopo la prima dose. La terza dose deve essere somministrata
almeno 2 mesi dopo la seconda, ma non prima dei 6 mesi di vita. I bambini nati da madri HBsAg-
positive devono ricevere 0.5 mL di immunoglobuline specifiche per l'epatite B (HBIG) entro 12 h
dalla nascita , e 5 mg di vaccino Merck (Recombivax HB) oppure 10 mg di vaccino SB (Engerix-
B) in sedi differenti. La seconda dose è raccomandata all'età di 1-2 mesi e la terza dose all'età di
6 mesi. I bambini nati da madri la cui condizione sierologica nei confronti dell'HBsAg non è
conosciuta devono ricevere 5 mg di vaccino Merck (Recombivax HB) oppure 10 mg di vaccino SB
(Engerix-B) entro 12 h dopo la nascita. La seconda dose di vaccino è raccomandata all'età di 1
mese e la terza dose all'età di 6 mesi. Deve essere eseguito un prelievo ematico al momento del
parto per determinare la condizione sierologica materna nei confronti dell'HBsAg; se positiva, il
bambino deve ricevere le HBIG il più presto possibile (non più tardi di 1 sett di vita). La dose e il
momento della somministrazione delle successive dosi di vaccino devono decidersi in base alla
condizione sierologica della madre nei confronti dell'HBsAg.
§I bambini e gli adolescenti che non sono stati vaccinati nei confronti dell'epatite B durante l'infanzia
possono iniziare la serie nell'ambito di qualunque visita. Quelli che precedentemente non hanno
ricevuto le tre dosi di vaccino antiepatite B devono iniziare o completare la serie nell'ambito delle
visite di routine presso una struttura sanitaria all'età di 11-12 anni e gli adolescenti più grandi non
vaccinati devono essere vaccinati appena possibile. La seconda dose deve essere somministrata
almeno 1 mese dopo la prima dose e la terza dose deve essere somministrata almeno 4 mesi dopo
la prima dose e almeno 2 mesi dopo la seconda dose.
¶ I tossoidi difterico e tetanico e il vaccino antipertosse acellulare (DTaP) rappresentano il vaccino

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Manuale Merck - Figura

di scelta per tutte le dosi nelle serie di vaccinazione, compreso il completamento della serie nei
bambini che hanno ricevuto una o più dosi di vaccino con tossoidi difterico e tetanico e antipertosse
a cellule intere (DTP). Il DTP a cellule intere rappresenta una alternativa accettabile al DTaP. La
quarta dose (DTP o DTaP) può essere somministrata già a partire dai 12 mesi di vita, assicurandosi
che siano passati 6 mesi dalla terza dose e se è improbabile che il bambino ritorni all'età di 15-18
mesi. I tossoidi tetanico e difterico, adsorbiti, per adulti (Td), sono raccomandati all'età di 11-12 anni
se sono passati almeno 5 anni dall'ultima dose di DTP, DTaP o tossoide difterico e tetanico,
adsorbiti, per uso pediatrico (DT). Si raccomandano routinariamente richiami successivi di Td ogni
10 anni.
**Tre vaccini coniugati antiH. influenzae di tipo b (Hib) sono autorizzati per uso pediatrico. Se il
vaccino coniugato antiHaemophilus b (coniugato ad una proteina meningococcica) (PRP-OMP)
(PedvaxHIB [Merck]) è somministrato all'età di 2 e 4 mesi, si richiede una dose all'età di 6 mesi.
††Due vaccini antipoliovirus sono attualmente autorizzati e distribuiti negli Stati Uniti: il vaccino
antipoliovirus inattivato (IPV) e il vaccino antipolivirus orale (OPV). I programmi vaccinali seguenti
sono tutti riconosciuti dalla ACIP, AAP e AAFP. I genitori e il personale sanitario possono scegliere
tra queste opzioni: (1) due dosi di IPV seguite da due dosi di OPV; (2) quattro dosi di IPV o (3)
quattro dosi di OPV. La ACIP raccomanda due dosi di IPV all'età di 2 e 4 mesi seguite da una dose
di OPV all'età di 12-18 mesi e all'età di 4-6 anni. L'IPV è l'unico vaccino antipoliovirus raccomandato
nei soggetti immunodepressi e nei conviventi.
§§ La seconda dose del vaccino antimorbillo-parotite-rosolia (MMR) è raccomandata di routine
all'età di 4-6 anni ma può essere somministrata nell'ambito di qualunque visita, assicurandosi che
sia passato almeno 1 mese dalla prima dose e che entrambe le dosi siano somministrate iniziando
a 12 mesi o successivamente. Coloro che non hanno ricevuto precedentemente la seconda dose
devono completare il programma vaccinale non più tardi della visita di routine presso una struttura
sanitaria all'età di 11-12 anni.
¶¶I bambini a rischio di contagio possono ricevere il vaccino antivaricella (Var) nell'ambito di
qualunque visita dopo il primo compleanno e coloro che non hanno una affidabile anamnesi positiva
per varicella devono essere vaccinati durante la visita di routine presso una struttura sanitaria all'età
di 11-12 anni. I bambini a rischio di contagio di età ≥ 13 anni devono ricevere due dosi ad almeno 1
mese di distanza.

Approvata dalla Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP), dalla Accademia


Americana di Pediatria (AAP) e dalla Academy of Physicians (AAFP).

FIG.256-5. Calendario delle vaccinazioni raccomandato per l'infanzia*; Stati Uniti, Gennaio-
Dicembre 1998. Da American Academy of Pediatrics, Committee on Infectious Disease:
"Recommende Childoo Immunization Schedule-United States, January-December, 1998."
Pediatrics 101:155-156, 1998

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Manuale Merck - Figura

FIG. 256-6. Schema del riflesso di rilascio del latte. Quando il bambino succhia dal seno
materno, vengono stimolati i meccanorecettori a livello del capezzolo e dell’areola, che inviano uno
stimolo lungo le vie nervose all’ipotalamo, che stimola il rilascio di ossitocina da parte della
neuroipofisi. L’ossitocina viene trasportata dal torrente circolatorio alla ghiandola mammaria e
all’utero. L’ossitocina stimola le cellule mioepiteliali a contrarsi e a rilasciare il latte dall’alveolo. La
prolattina, che viene secreta dall’adenoipofisi in risposta alla suzione, è responsabile della
produzione di latte a livello alveolare. Lo stress, così come il dolore e l’ansia, possono inibire il
riflesso di rilascio del latte. La vista o il pianto di un bambino possono stimolare il rilascio di
ossitocina, ma non della prolattina. (Da Breastfeeding: A Guide for the Medical Profession, ed. 4, di
RA Lawrence. St. Louis, CV Mosby, 1994, p. 250; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 258-1.Variazioni della composizione corporea con la crescita e l’invecchiamento. (Da


Puig M: "Body composition and growth," in Nutrition in Pediatrics, ed. 2, edito da WA Walker e JB
Watkins. Hamilton, Ontario, BC Decker, 1996; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 258-2. Dosaggi di teofillina e concentrazioni plasmatiche. (Pannello superiore) Dosi di


teofillina (in mg/kg/die) stimate come necessarie per mantenere una concentrazione plasmatica di
10 mg/l. (Pannello inferiore ) Concentrazioni plasmatiche di teofillina allo "steady state", con un
dosaggio mantenuto a 20 mg/kg/die. Le aeree tratteggiate indicano i livelli terapeutici ipotetici per le
attivit&agrave; broncodilatatoria e anti-apnoica. CpSS = Concentrazione plasmatica allo "steady
state". (Da Aranda JV: "Maturational changes in theophylline and caffeine metabolism and
disposition: Clinical implications," in Proceedings of the Second World Conference on Clinical
Pharmacology and Therapeutics, 31 Luglio-5 Agosto, 1983, edito da L Lemberger e MM
Reidenberg. Copyright della American Society for Pharmacology and Experimental Therapeutics,
Bethesda, 1984, p. 870; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG.259-1. Nomogramma per il calcolo della superficie corporea dei bambini. (Modificata da
Geigy Scientific Ta-bles, ed. 8, vol. 1, edited by C Lentner. Basle, Switzerland, Ciba-Geigy Ltd., 1981,
pp. 226-227; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 259-2. Formula di Holliday-Segar. Stima del dispendio calorico in condizioni basali (curva
inferiore), in condizioni di riposo a letto (curva centrale) e in condizioni di completa attività (curva
superiore). La curva centrale può essere divisa in 3 segmenti a seconda della pendenza: da 0 a 10
kg = 100 kcal/kg; da 10 a 20 kg = 50 kcal/kg; > 20 kg = 20 kcal/kg. Queste curve possono essere
utilizzate per effettuare una stima accettabile del dispendio calorico per la terapia idrica di
mantenimento, senza ricorrere ai grafici. Così, il dispendio calorico stimato per un bambino di 23 kg
= (100 kcal/kg × per i primi 10 kg) + (50 kcal/kg × per gli altri 10 kg) + (20 kcal/kg × per gli ultimi 3
kg) = 1560 kcal. (Da Holliday MA, Segar WE: "The maintenance need for water in parenteral fluid
therapy." Pediatrics 19:823, 1957; per gentile concessione di Pediatrics.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 260-1. Curve di accrescimento intrauterino in base al peso alla nascita e all'età
gestazionale in bambini nati vivi, da gravidanza singola, di razza bianca. Il punto A
rappresenta un bambino prematuro, mentre il punto B indica un bambino di peso alla nascita simile,
a termine, ma piccolo per l'età gestazionale. Le curve di accrescimento rappresentano il 10o e il 90o
percentile per tutti i neonati del campione considerato. (Modificata da Sweet AY: "Classification of
the low-birth-weight-infant", in Care of the High-Risk Neonate, ed. 3, edited by MH Klaus e AA
Fanaroff. Philadelphia, WB Saunders Company, 1986; riproduzione autorizzata.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 260-2. Livello di crescita intrauterina in base all'età gestazionale, alla lunghezza del
corpo (A) e alla circon-ferenza cranica (B) alla nascita. (Modificata da Lubchenco LC, Hansman
C, Boyd E: "Intrauterine growth in length and head circumference as estimated from live births at
gestational ages from 26 to 42 weeks." Pediatrics 37:403, 1966; per gentile concessione di
Pediatrics. )

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Manuale Merck - Figura

FIG. 260-3. Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B (GBS) a esordio
precoce mediante colture di screening in epoca prenatale, a 35-37 sett. di gestazione.
Modificata da "Group B streptococcal infections," in 1997 Red Book: Report of the Committee on
Infectious Diseases, ed. 24, edited by G Peter. Elk Grove Village, IL, American Academy of
Pediatrics, 1997, pp. 498-499.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 260-4. Strategia preventiva per la malattia da streptococco di gruppo B (GBS) a esordio
precoce secondo i fattori di rischio, senza colture di screening prenatali. Modificata da "Group
B streptococcal infections," in 1997 Red Book: Report of the Committee on Infectious Diseases, ed.
24, edited by G Peter. Elk Grove Village, IL, American Academy of Pediatrics, 1997, pp. 498-499.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 261-1. Circolazione normale con rappresentazi-one delle pressioni del cuore destro e
sinistro (in mm Hg). Rappresentazione delle camere cardiache e della saturazione arteriosa di O2
in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro;
AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS =
vena cava superiore.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 261-2. Il difetto del setto interatriale è caratterizzato da aumento del flusso ematico
polmonare e da aumento del volume dell'AD e del VD. Rappresentazione delle camere
cardiache e della saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore;
AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD =
atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 261-3. Il difetto del canale atrioventricolare è caratterizzato da aumento del flusso
ematico, aumento del volume delle camere cardiache e, spesso, da aumento delle resistenze
vascolari polmonari. Rappresentazione delle camere cardiache e della saturazione arteriosa di O2
in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro;
AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS =
vena cava superiore.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 261-4. Il difetto del setto interventricolare è caratterizzato da aumento del flusso ematico
polmonare e da aumento del volume dell'AS e del VS. Rappresentazione delle camere
cardiache e della saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore;
AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD =
atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

file:///F|/sito/merck/figure/26104.html02/09/2004 2.01.35
Manuale Merck - Figura

FIG. 261-5. Nella tetralogia di Fallot, il flusso ematico polmonare è diminuito, il VD è


ipertrofico, e in Ao entra sangue non ossigenato. Rappresentazione delle camere cardiache e
saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava inferiore; AS = atrio sinistro;
VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare; AD = atrio destro; VD =
ventricolo destro; VCS = vena cava superiore.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 261-6. Nella trasposizione dei grossi vasi, in Ao entra sangue non ossigenato, il VD è
ipertrofico e il forame ovale è sede di un minimo mescolamento di sangue. Rappresentazione
delle camere cardiache e saturazione arteriosa di O2 in percentuale. Ao = aorta; VCI = vena cava
inferiore; AS = atrio sinistro; VS = ventricolo sinistro; AP = arteria polmonare; VP = vena polmonare;
AD = atrio destro; VD = ventricolo destro; VCS = vena cava superiore. .

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Manuale Merck - Figura

FIG. 261-7. Il dotto arterioso pervio è caratterizzato da aumento del flusso ematico
polmonare, aumento dei volumi dell'atrio sinistro e del VS e aumento di volume dell'Ao
ascendente. Rappresentazione delle camere cardiache e saturazione arteriosa di O2 in
percentuale. Ao = aorta; AP = arteria polmonare.

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Manuale Merck - Figura

Fig. 261-8. Tipi di fistola tracheo-esofagea. (Da Diseased of the Newborn, ed. 4, edited by AJ
Schaffer e ME Av-ery. Philadelphia, WB Saunders Company, 1977, pag. 110; riproduzione
autorizzata) .

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Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 261-9. Rappresentazione delle diverse bande cromosomiche osservate con i metodi di
colorazione Q- G- e R- ; rappresentazione del centrometro solo con il metodo di colorazione
Q. Ogni cromosoma appare come una singola catena unita a livello del centromero o con una
costrizione centrale. Le 23 paia di cromosomi sono scelte sulla base delle dimensioni, della
posizione del centromero e del tipo di bandeggio e gli autosomi sono numerati da 1 a 22. I
cromosomi sessuali conservano le classiche designazioni di X e Y. Viene anche mostrato il vecchio
modo di raggruppare i cromosomi attribuendo ad ogni gruppo una lettera; questo metodo è stato
utilizzato prima dell'introduzione delle tecniche di bandeggio. (Adattata da McKusick VA: Mendelian
Inheritance in Man, ed. 8, Appendix B- The Human Gene Map, pp. xlii-xliii. Baltimore, The Johns
Hopkins University Press, 1988; riproduzione autorizzata)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 263-1. Nomogramma di Rumack-Matthew per l'avvelenamento acuto da paracetamolo.


Grafico semi-logaritmico dei livelli plasmatici di paracetamolo vs. tempo. Norme per l'uso di questo
grafico: (1) Le coordinate del tempo si riferiscono al momento dell'ingestione. (2) I livelli sierici
riscontrati prima di 4 h dall'ingestione possono non indicare il picco ematico. (3) Il grafico deve
essere utilizzato solo in riferimento a una ingestione acuta. (4) La linea continua del 25% al di sotto
del nomogramma standard è inclusa per comprendere possibili errori nella determinazione
plasmatica del paracetamolo e del tempo trascorso dalla ingestione di dosi tossiche. (Adattata da
Rumack BH, Matthew H: "Acetaminophen poisoning and toxicity." Pediatrics 55 (6):871-876, 1975;
riproduzione autorizzata da Pediatrics.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 263-2. Patogenesi dell'alterazione dell'equilibrio acido-base nell'avvelenamento da


salicilato. (Da Done AK: "Drug intoxication." The Pediatriac Clinics of North America 7 (2):235-255,
1960; riproduzione autorizzata della WB Saunders Company.)

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Manuale Merck - Figura

FIG. 263-3. Tecnica di compressione toracica. (A) La compressione toracica a due pollici è
preferibile nei neonati e nei lattanti, il cui torace durante il massaggio cardiaco può essere
completamente avvolto con le mani (inset ). Se il massaggio è effettuato in neonati molto piccoli, i
pollici devono sovrapporsi. (B) Nei lattanti si utilizza il massaggio cardiaco a due dita. Durante il
massaggio cardiaco le dita devono essere mantenute nella posizione estesa. Nel neonato, questa
tecnica comporterebbe una posizione fin troppo bassa, cioè a livello o al disotto dell'appendice
xifoidea dello sterno; la posizione corretta del massaggio è poco al di sotto della linea
intermammaria. (C) Posizione delle mani per il massaggio cardiaco nel bambino piccolo. (Adattata
da American Heart Association: Standards and Guidelines for CPR. Journal of the American
Medical Association 1992; 268:2251-2281. Copyright 1992, American Medical Association.)

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Manuale Merck - Figura

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Manuale Merck - Figura

FIG. 263-4. Sequenza del trattamento per la rianimazione neonatale (protocollo da eseguire
in sala parto). TET = tubo endotracheale. (Adattata da Kattwinkel J, et al: Perinatal Continuing
Education Program, University of Virginia at Charlottesville, e dalle Linee Guida proposte
dall'American Heart Association.)

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Manuale Merck - Figura

Fig. 263-5. Sequenza del trattamento per la rianimazione pediatrica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 263-7. Colpo sull'addome nel paziente in piedi o seduto (cosciente).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 263-6. Colpo sull'addome nel paziente che giace a terra (cosciente o meno).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 269-1. Metabolismo del galattoso: (1) galattochinasi, (2) galattoso-1-fosfato


uridiltransferasi, (3) UDPgalat-toso 4-epimerasi, (4) pirofosforilasi.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 276-1. (A) Regola del nove e (B) diagramma di Lund-Browder per valutare l'estensione
delle ustioni. (Ridisegnato da The Treatment of Burns, ed. 2, by CP Artz and JA Moncrief.
Philadelphia, WB Saunders Company, 1969; riproduzione autorizzata).

file:///F|/sito/merck/figure/27601.html02/09/2004 2.01.40
Manuale Merck - Figura

FIG. 286-1. Simboli per costruire l'albero genealogico di una famiglia.

file:///F|/sito/merck/figure/28601.html02/09/2004 2.01.40
Manuale Merck - Figura

FIG. 286-2. Ereditarietà autosomica dominante.

file:///F|/sito/merck/figure/28602.html02/09/2004 2.01.41
Manuale Merck - Figura

FIG. 286-3. Ereditarietà autosomica recessiva.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 286-4. Ereditarietà dominante legata al cromo-soma X.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 286-5. Ereditarietà recessiva legata al cromosoma X. Un mezzo cerchio ombreggiato indica
una femmina portatrice identificabile con il test.

file:///F|/sito/merck/figure/28605.html02/09/2004 2.01.42
Manuale Merck - Figura

FIG. 291-1. Sostenere un paziente durante la deambulazione. Se il paziente sta indossando una
cintura, la mano sinistra viene utilizzata per afferrarla da dietro.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 291-2. Altezza corretta del bastone. Il gomito del paziente deve essere ricurvo un < di 45°
quando viene applicata la forza massima.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 295-1. Interpretazione di un risultato del test per l'esterasi leucocitaria in una donna con
30% di probabilità a priori di una IVU, simulante una coorte di 100000 donne con le stesse
caratteristiche.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 295-2. Distribuzione dei risultati di un test. I pazienti con la malattia sono mostrati nella
distribuzione superiore; i pazienti senza la malattia sono mostrati nella distribuzione inferiore. La
relazione tra le percentuali di veri positivi e di falsi positivi a un test (per i differenti punti di
demarcazione o di soglia) può essere rappresentata come una curva ROC (Receiver-Operator
Characteristic). L'area al di sotto di tale curva corrisponde al potere discriminante del test.

file:///F|/sito/merck/figure/29502.html02/09/2004 2.01.43
Manuale Merck - Figura

FIG. 295-3. Albero decisionale relativo all'opportunità di trattamento quando non è


disponibile nessun test. Quando il problema è limitato a una singola malattia e a un singolo
trattamento in pazienti che hanno la malattia, l'utilità della somministrazione del trattamento è
indicata come Umalattia-trattamento, l'utilità di evitare il trattamento come Umalattia-nessun trattamento, e le
differenze di queste utilità come il beneficio del trattamento. Nei pazienti che non hanno la malattia,
l'utilità di non somministrare il trattamento è indicata come Unessuna malattia-nessun trattamento, l'utilità
della somministrazione del trattamento come Unessuna malattia-trattamento e le differenze di queste
utilità come il rischio del trattamento.

file:///F|/sito/merck/figure/29503.html02/09/2004 2.01.43
Manuale Merck - Figura

FIG. 295-4. Analisi di sensibilità a una via di un albero di soglia di un test.

file:///F|/sito/merck/figure/29504.html02/09/2004 2.01.43
Manuale Merck - Figura

FIG. 296-1. Clearance della creatinina corretta per età in uomini normali. Una linea retta che
unisce l'età del paziente con la sua clearance della creatinina interseca il percentile. (Da Aging-Its
Chemistry, edito da A Dietz. Washington, DC, American Association for Clinical Chemistry, 1980, p
8; riproduzione autorizzata.)

file:///F|/sito/merck/figure/29601.html02/09/2004 2.01.44
Manuale Merck - Figura

FIG. 298-1. Relazione esemplificativa tra concentrazi-one plasmatica e tempo, dopo una
singola dose orale di un farmaco ipotetico. L'area al di sotto della curva concentrazione
plasmatica-tempo è indicata dall'ombreggiatura.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 299-1. Declino della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A dopo la
somministrazione EV di una dose singola di 320 mg di aminofillina. Rappresentazione in scala
lineare (A) e semilogaritmica (B). Curva osservata = (—); curva prevista in base ai valori dei
parametri forniti = (---).

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Manuale Merck - Figura

FIG. 299-2. Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A
dopo una singola somministrazione orale di 300 mg di aminofillina.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 299-3. Andamento temporale della concentrazione plasmatica di teofillina nel paziente A
durante l'infusione EV di 45 mg/h di aminofillina a velocità costante, senza e con
somministrazione EV di una dose di carico di 530 mg di aminofillina. A = senza dose di carico;
B = con dose di carico; C = quantità di farmaco rimanente dopo la dose di carico.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 299-4. Accumulo di teofillina dopo somministrazione orale di 300 mg di aminofillina q 6


h. Curva A = paziente A; curva B = paziente B, la cui clearance è 1/2 di quella del paziente A; curva
C = paziente C, la cui clearance è il doppio di quella del paziente A. Le linee tratteggiate
rappresentano i limiti terapeutici abituali, che racchiudono la finestra terapeutica.

file:///F|/sito/merck/figure/29904.html02/09/2004 2.01.45
Manuale Merck - Figura

FIG. 300-1. Curva dose-risposta ipotetica.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 300-2. Confronto tra le curve dose-risposta dei farmaci X, Y e Z. Il farmaco X, che ha una
maggiore attività biologica per dosaggio equivalente, è più potente del farmaco Y o di quello Z. I
farmaci X e Z hanno la stessa efficacia, indicata dalla loro risposta massima (effetto massimo)
raggiungibile. Il farmaco Y è più potente del farmaco Z, ma la sua efficacia massima è minore.

file:///F|/sito/merck/figure/30002.html02/09/2004 2.01.46
Manuale Merck - Figura

FIG.301-1. Fattori genetici, ambientali e di sviluppo che possono interagire reciprocamente


causando variazioni nella risposta ai farmaci tra i diversi pazienti.

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Manuale Merck - Figura

FIG. 303-1. Concentrazioni plasmatiche di teofillina nei pazienti A, B e C, aventi


rispettivamente una clearance di 20, 40 e 80 ml/min, durante la somministrazione di teofillina
per infusione EV a 36 mg/h. La clearance zero è rappresentata dalla linea punteggiata. Il range
terapeutico compreso tra 5 e 20 mg/l è indicato dall'area ombreggiata.

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Manuale Merck
Indice tabelle

TABELLA 1-1 Fabbisogno degli aminoacidi essenziali in mg/kg di peso


corporeo

TABELLA 1-2 Vitamine, minerali e acidi grassi essenziali

TABELLA 1-3 Apporti dietetici raccomandati,* rivisti nel 1989

TABELLA 1-4 Apporti alimentari giornalieri stimati sicuri e adeguati per


alcune vitamine e minerali*

TABELLA 1-5 Range del peso corporeo

TABELLA 1-6 Esami di laboratorio usati per valutare lo stato nutrizionale

TABELLA 1-7 Valori comunemente usati per classificare lo stato nutrizionale

TABELLA 1-8 Alcuni integratori dietetici disponibili in commercio

TABELLA 1-9 Fabbisogni giornalieri basali per la nutrizione parenterale


totale

TABELLA 1-10 Emulsioni di lipidi per uso parenterale

TABELLA 1-11 Esempi degli effetti collaterali dei farmaci sullo stato
nutrizionale

TABELLA 2-1 Fattori di rischio per la sottonutrizione

TABELLA 2-2 Fattori di rischio per la sopranutrizione

TABELLA 2-3 Classificazione dello stato nutrizionale in base all’indice di


massa corporea

TABELLA 2-4 Area muscolare del braccio negli adulti

TABELLA 2-5 Reperti biochimici nei bambini della tailandia del nord in
buona salute e affetti da una malnutrizione proteico-
energetica

TABELLA 3-1 Azioni della vitamina D e dei suoi metaboliti

TABELLA 3-2 Cause di rachitismo e di osteomalacia

TABELLA 3-3 Segni clinici della carenza di vitamina E

TABELLA 6-1 Neurormoni ipotalamici

TABELLA 7-1 Cause di ipopituitarismo

TABELLA 7-2 Cause di iperprolattinemia

TABELLA 7-3 Cause frequenti di poliuria

TABELLA 8-1 Classificazione laboratoristica dell'ipertiroidismo

TABELLA 8-2 Valutazione di laboratorio della funzione tiroidea in diverse


situazioni cliniche

TABELLA 8-3 Trattamento della crisi tireotossica

TABELLA 8-4 Effetti del propranololo sull'ipertiroidismo

TABELLA 9-1 Reperti di laboratorio suggestivi di morbo di addison

TABELLA 9-2 Diagnosi differenziale dell'iperaldosteronismo

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TABELLA 10-1 Condizioni associate con i tre tipi di neoplasie endocrine


multiple (MEN)

TABELLA 11-1 Caratteristiche delle sindromi dadeficit polighiandolare di tipo I


e II

TABELLA 12-1 Cause piu' frequenti di aumento del gap osmolare plasmatico

TABELLA 12-2 Cause principali di deplezione di volume del liquido


extracellulare

TABELLA 12-3 Cause principali di sovraccarico di volume del liquido


extracellulare

TABELLA 12-4 Cause principali di iponatriemia

TABELLA 12-5 Condizioni associate con la sindrome da inappropriata


secrezione di ormone antidiuretico

TABELLA 12-6 Cause principali di ipernatriemia

TABELLA 12-7 Cause principali di ipercalcemia

TABELLA 12-8 Modificazioni primitive e conseguenti meccanismi di


compenso nei disturbi semplici dell'equilibrio acido-base*

TABELLA 12-9 Cause principali di acidosi e alcalosi metabolica primitiva

TABELLA 13-1 Caratteristiche generali delle principali forme cliniche di


diabete mellito

TABELLA 13-2 Criteri diagnostici del national diabetes data group

TABELLA 13-3 Andamento temporale dell'azione delle preparazioni


insuliniche*

TABELLA 13-4 Caratteristiche delle sulfaniluree e dei farmaci antiperglicemici

TABELLA 13-5 Cause principali di ipoglicemia clinicamente evidente

TABELLA 14-1 Enzimi della via biosintetica dell'eme e malattie associate con
i loro deficit

TABELLA 14-2 Caratteristiche principali delle tre porfirie piu' comuni

TABELLA 14-3 Test di screening per le porfirie

TABELLA 14-4 Alcuni dei farmaci principali considerati poco sicuri e sicuri
nelle porfirie acute*

TABELLA 15-1 Caratteristiche delle iperlipoproteinemie primitive

TABELLA 15-2 Farmaci ipolipemizzanti

TABELLA 22-1 Cause comuni di sanguinamento gastrointestinale

TABELLA 25-1 Cause comuni di dolore addominale e approccio al


trattamento

TABELLA 25-2 Anamnesi dei pazienti con dolore addominale

TABELLA 27-1 Fattori alimentari che possono peggiorare la diarrea

TABELLA 27-2 Sostanze usate per trattare la stipsi

TABELLA 30-1 Cause di malassorbimento

TABELLA 30-2 Istologia digiunale in alcuni disordini del malassorbimento

TABELLA 31-1 Elementi che differenziano il morbo di crohn e la colite


ulcerosa

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MSD Italia

TABELLA 37-1 Indicazioni alla biopsia epatica percutanea

TABELLA 38-1 Classificazione e cause principali dell’ipertensione portale

TABELLA 42-1 Alcune malattie od organismi associati con l’infiammazione


epatica

TABELLA 42-2 Caratteristiche dei virus dell’epatite

TABELLA 49-1 Caratteristiche differenziali della mano nell’artrite reumatoide


e nell’osteoartrosi

TABELLA 49-2 Classificazione delle malattie reumatiche

TABELLA 49-3 Classificazione dei versamenti sinoviali

TABELLA 49-4 Diagnosi differenziale basata sulla classificazione del liquido


sinoviale (classificazione parziale)

TABELLA 50-1 Criteri diagnostici rivisti dell’artrite reumatoide (1987)

TABELLA 50-2 Terapia con farmaci antiinfiammatorinon steroidei dell’artrite


reumatoide

TABELLA 50-3 Criteri dell’american college of rheumatology per la


classificazione del lupus eritematoso sistemico*

TABELLA 50-4 Protocollo per la chemioterapia con ciclofosfamide e mesna


per via endovenosa

TABELLA 50-5 Caratteristiche infiammatorie e di presentazione di alcune


malattie vasculitiche

TABELLA 52-1 Patologie associate all’artropatia neurogena

TABELLA 53-1 Condizioni associate a necrosi avascolare

TABELLA 54-1 Fattori di rischio per artrite infettiva

TABELLA 55-1 Esame microscopico dei cristalli

TABELLA 60-1 Classificazione e terapia delle distorsioni della caviglia

TABELLA 60-2 Disordini associati a talalgia in base alla localizzazione del


dolore

TABELLA 62-1 Sport alternativi dopo una lesione traumatica

TABELLA 62-2 Esercizio del "manico di secchio"

TABELLA 62-3 Sollevamenti sulle dita e rotazioni esterne

TABELLA 62-4 Esercizi per rinforzare il vasto mediale

TABELLA 62-5 Esercizi per rinforzare i muscoli posteriori della coscia

TABELLA 62-6 Esercizi per il rachide lombare

TABELLA 62-7 Esercizi per rinforzare gli estensori del polso

TABELLA 62-8 Esercizi per rinforzare i flessori e pronatori del polso

TABELLA 62-9 Esercizi per rinforzare le spalle

TABELLA 63-1 Cause di emottisi

TABELLA 64-1 Abbreviazioni relative alla funzionalita' respiratoria

TABELLA 64-2 Modificazioni funzionali caratteristiche nelle diverse patologie

TABELLA 64-3 Modificazioni funzionali caratteristiche nelle pneumopatie


restrittive ed ostruttive di diversa gravita'

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TABELLA 64-4 Cause fisiopatologiche di ipossiemia

TABELLA 65-1 Applicazioni della broncoscopia a fibre ottiche

TABELLA 65-2 Situazioni che richiedono il controllo della pervieta’ delle vie
aeree

TABELLA 67-1 Insufficienza sistemica multiorganica nella sindrome da


distress respiratorio dell’adulto

TABELLA 68-1 Alcune cause di ostruzione cronica al flusso aereo in base


alla localizzazione

TABELLA 68-2 Complicanze di un attacco acuto di asma

TABELLA 68-3 Classificazione dell’asma in base alla gravita' prima del


trattamento

TABELLA 68-4 Livelli del trattamento a lungo termine dell’asma

TABELLA 68-5 Dosaggi di alcuni b2-agonisti nelle riacutizzazioni dell’asma

TABELLA 68-6 Differenze anatomo-patologiche tra asma e


broncopneumopatia cronica ostruttiva

TABELLA 68-7 Espressione dei fenotipi nel deficit di a1 antitripsina

TABELLA 68-8 Stadiazione della gravita’ della broncopneumopatia cronica


ostruttiva*

TABELLA 68-9 Indicazioni per l’ossigeno-terapia a lungo termine

TABELLA 72-1 Fattori di rischio per la tromboembolia venosa

TABELLA 72-2 Rischio di embolia polmonare nei pazienti chirurgici

TABELLA 72-3 Regolazione della somministrazione endovenosa dell’eparina

TABELLA 73-1 Diagnosi dei microrganismi patogeni nel paziente defedato

TABELLA 75-1 Fattori che influenzano la tossicita' degli agenti inalati

TABELLA 75-2 Effetto della sede di deposizione sulla risposta respiratoria

TABELLA 76-1 Reazioni da ipersensibilita'

TABELLA 76-2 Esempi di polmoniti da ipersensibilita'

TABELLA 76-3 Caratteristiche delle polmoniti eosinofile

TABELLA 76-4 Criteri diagnostici per l’aspergillosi broncopolmonare*

TABELLA 81-1 Sindromi paraneoplastiche (neoplasie polmonari)

TABELLA 82-1 Diagnosi differenziale tra ipoacusie cocleari e retrococleari

TABELLA 82-2 Cause auricolari di otalgia

TABELLA 82-3 Cause extraauricolari di otalgia

TABELLA 95-1 Diagnosi differenziale delle comuni malattie acute dell’"occhio


rosso"

TABELLA 95-2 Diagnosi diffrenziale delle congiuntiviti acute

TABELLA 100- Classificazione dei glaucomi basata sull’eziologia


1

TABELLA 100- Fattori di rischio del glaucoma primario ad angolo aperto


2

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MSD Italia

TABELLA 100- Farmaci utilizzati nella terapia del glaucoma


3

TABELLA 105- Alcune malattie del cavo orale per siti di coinvolgimento
1 predominanti

TABELLA 106- Cause di malocclusione


1

TABELLA 108- Alcune condizioni che mimano le disfunzioni


1 temporomandibolari

TABELLA 109- Sedi delle lesioni nelle malattie cutanee


1

TABELLA 110- Potenza relativa di corticosteroidi topici selezionati


1

TABELLA 111- Cause di dermatite allergica da contatto


1

TABELLA 111- Principi generali di trattamento della dermatite cronica delle


2 mani e dei piedi

TABELLA 112- Differenze tra cellulite e trombosi venosa profonda all’esame


1 clinico

TABELLA 112- Diagnosi differenziale tra ssss e necrolisi epidermica tossica


2 (NET)

TABELLA 115- Tipi di virus delle verruche e loro correlazioni cliniche


1

TABELLA 118- Tipi di reazioni a farmaci ed agenti chimici causali


1

TABELLA 119- Tipi di pelle e rispettiva sensibilita’ ai raggi solari


1

TABELLA 121- Caratteristiche cliniche e genetiche di alcune ittiosi ereditarie


1

TABELLA 122- Stadi di formazione delle piaghe da pressione


1

TABELLA 125- Classificazione dei nevi


1

TABELLA 125- Caratteristiche cliniche del nevo displastico e dei nevi


2

TABELLA 126- Melanoma maligno con sopravvivenza a 5 anni, in funzione


1 dello spessore abbreviazioni utilizzate in questo capitolo

TABELLA 127- Caratteristiche delle anemie comuni


1

TABELLA 127- Classificazione delle anemie in base alla causa


2

TABELLA 127- Correzione del volume del campione nei test coagulativi, in
3 base al valore dell’ematocrito

TABELLA 127- Diagnosi differenziale dell’anemia microcitica


4

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TABELLA 127- Cause di deficit di vitamina B12*


5

TABELLA 127- Cause di carenza di folato*


6

TABELLA 127- Caratteristiche delle talassemie


7

TABELLA 128- Classificazione delle emosiderosi e delle emocromatosi


1

TABELLA 129- Cause di rinvio per una donazione di sangue


1

TABELLA 129- Caratteristiche e reazioni dei gruppi sanguigni del sistema


2 abo

TABELLA 129- Indicazioni per plasmaferesi e citaferesi secondo l’American


3 Association of Blood Banks

TABELLA 130- Classificazione delle malattie mieloproliferative


1

TABELLA 130- Criteri per la diagnosi di policitemia vera*


2

TABELLA 130- Diagnostica di laboratorio in un paziente con eritrocitosi


4 assoluta

TABELLA 130- Classificazione dell’eritrocitosi


3

TABELLA 130- Condizioni associate alla mielofibrosi


5

TABELLA 130- Cause di trombocitemia secondaria


6

TABELLA 131- Componenti delle reazioni emocoagulative


1

TABELLA 131- Esami di laboratorio per lo studio dell’emostasi


2

TABELLA 131- Difetti ereditari nei disordini dei fattori della coagulazione del
3 sangue

TABELLA 133- Classificazione delle trombocitopenie


1

TABELLA 133- Rilievi del sangue periferico nelle trombocitopenie


2

TABELLA 133- Cause e associazioni della porpora trombotica


3 trombocitopenica-sindrome uremico-emolitica

TABELLA 135- Classificazione delle neutropenie


1

TABELLA 135- Infezioni associate a neutropenia


2

TABELLA 135- Regimi antimicrobici disponibili come terapia iniziale ed


3 empirica per infezione in corso di neutropenia acuta

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MSD Italia

TABELLA 135- Cause di linfocitopenia


4

TABELLA 136- Cause importanti di eosinofilia


1

TABELLA 136- Anomalie presenti nei pazienti con sindrome ipereosinofila


2 idiopatica

TABELLA 137- Le sindromi istiocitiche


1

TABELLA 137- Sistema di raggruppamento per l’istiocitosi


2

TABELLA 138- Classificazione franco-americana-britannica delle leucemie


1 acute

TABELLA 138- Classificazione della leucemia linfoblastica acuta in base


2 all’immunofenotipo

TABELLA 138- Reperti alla diagnosi nei tipi piu' comuni di leucemia
3

TABELLA 138- Fattori clinici importanti nella leucemia acuta*


4

TABELLA 138- Stadiazione clinica della leucemia linfocitica cronica


5

TABELLA 138- Sindrome mielodisplastica: esami del midollo osseo e


6 sopravvivenza

TABELLA 139- Sottotipi istopatologici del morbo di Hodgkin


1

TABELLA 139- Stadiazione di ann arbor per il morbo di Hodgkin e per i


2 linfomi non Hodgkin

TABELLA 139- Prognosi in base al gruppo di rischio definito dall’International


3 Prognostic Index

TABELLA 140- Classificazione delle discrasie plasmacellulari


1

TABELLA 141- Cause comuni di ipersplenismo


1

TABELLA 141- Indicazioni per la splenectomia o la radioterapia


2 nell’ipersplenismo

TABELLA 142- Alterazioni cromosomiche associate a neoplasie


1

TABELLA 142- Comuni cancerogeni chimici


2

TABELLA 142- Disposizioni dell‘american cancer societyriguardo alle


3 procedure di screening

TABELLA 144- Percentuale di sopravvivenza libera da malattia a 5 anni in


1 relazione al trattamento

TABELLA 144- Farmaci antineoplastici


2

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MSD Italia

TABELLA 146- Citochine principali


1

TABELLA 146- Componenti del complemento e proteine di regolazione


2

TABELLA 146- Proteine di membrana


3

TABELLA 147- Disordini con aumento della suscettibilita' alle infezioni


1 inusuali

TABELLA 147- Classificazione, ereditarieta' e caratteristiche associate dei


2 disordini da immunodeficienza primaria

TABELLA 147- Disordini da immunodeficienza secondaria


3

TABELLA 147- Quadri clinici caratteristici di alcuni disordini da


4 immunodeficienza primaria

TABELLA 147- Esami di laboratorio nelle immunodeficienze


5

TABELLA 147- Prognosi delle immunodeficienze primarie


6

TABELLA 148- Dosaggio, somministrazione e preparazioni di alcuni


1 antagonisti h1

TABELLA 148- Farmaci antinfiammatori per via inalatoria nasale


2

TABELLA 148- Diete di eliminazione: cibi consentiti


3

TABELLA 148- Malattie con probabile patogenesi autoimmunitaria


4

TABELLA 149- Sopravvivenza del trapianto a un anno, nei trapianti d'organo*


1

TABELLA 149- Lista di attesa nazionale UNOS* per trapianti d’organo


2

TABELLA 152- Immunoglobuline e antitossine disponibili negli usa


1

TABELLA 152- Vaccini in commercio negli USA


2

TABELLA 152- Vaccinazioni abituali per gli adulti (negli USA)


3

TABELLA 153- Complicazioni della terapia antibiotica


1

TABELLA 153- Posologia per gli aminoglicosidi


2

TABELLA 153- Profilassi antibiotica in chirurgia


3

TABELLA 157- Tipi di tularemia*


1

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MSD Italia

TABELLA 157- Condizioni selezionate associate ad infezioni da clostridio


2

TABELLA 157- Linee guida per la vaccinazione contro il tetano in pazienti con
3 ferite aperte

TABELLA 157- Condizioni causate spesso da microrganismi misti anaerobi


4 (spesso con aerobi)

TABELLA 157- Raccommandazioni per il trattamento antibiotico della malattia


5 di Lyme nell’adulto*

TABELLA 157- Schemi terapeutici consigliati per la tubercolosi


6

TABELLA 158- Farmaci preferiti nel trattamento delle infezioni fungine


1 sistemiche

TABELLA 159- Infezioni da bartonella


1

TABELLA 161- Raccolta e manipolazione dei campioni per la diagnosi di


1 laboratorio delle infestazioni parassitarie

TABELLA 161- Caratteristiche diagnostiche delle specie di plasmodium nei


2 vetrini

TABELLA 161- Farmaci usati per il trattamento della malaria acuta


3

TABELLA 161- Farmaci usati per la chemioprofilassi della malaria


4

TABELLA 162- Virus presenti principalmente nell’uomo*


1

TABELLA 162- Virus zoonotici*


2

TABELLA 162- Comuni decongestionanti nasali simpaticomimetici*


3

TABELLA 162- Sindromi causate da adenovirus


4

TABELLA 162- Profilassi antirabbica in seguito a esposizione


5

TABELLA 162- Malattie da arbovirus e arenavirus


6

TABELLA 163- Patologie attribuibili all’HIV o complicate dall’HIV (categoria b)


1

TABELLA 163- Patologie indicative di aids (categoria c)


2

TABELLA 163- Farmaci antiretrovirali


3

TABELLA 164- Classificazione della sifilide


1

TABELLA 165- Distinzione tra compromissione del primo e del secondo


1 motoneurone

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MSD Italia

TABELLA 165- Distinzione tra ipostenia neurogena e muscolare


2

TABELLA 165- Anomalie del lcr in varie patologie


3

TABELLA 166- Esempi di patologie associate a difetti nella


1 neurotrasmissione

TABELLA 166- Esempi di secondi messaggeri nel sistema nervoso


2

TABELLA 167- Analgesici non oppioidi


1

TABELLA 167- Analgesici oppiacei


2

TABELLA 167- Dosi equianalgesiche di analgesici oppioidi per il dolore


3 grave*

TABELLA 167- Metodi analgesici non farmacologici


4

TABELLA 168- Cause di cefalea secondaria


1

TABELLA 168- Trattamento dell’emicrania


2

TABELLA 170- Cause piu frequenti di stupor e coma


1

TABELLA 170- Segni clinici delle cause piu'frequenti dello stato di


2 incoscienza

TABELLA 170- Linee guida per la determinazione della morte cerebrale (in
3 pazienti >1 anno d'eta')

TABELLA 171- Diagnosi differenziale tra delirium e demenza*


1

TABELLA 171- Cause metaboliche e tossiche del delirium


2

TABELLA 171- Criteri diagnostici per il delirium


3

TABELLA 171- Cause di demenza


4

TABELLA 171- Criteri diagnostici per la demenza


5

TABELLA 172- Cause di crisi comiziali


1

TABELLA 172- Manifestazioni delle crisi comiziali parziali in base alla


2 localizzazione del focolaio epilettogeno

TABELLA 172- Farmaci somministrati per il trattamento dell'epilessia


3

TABELLA 173- Modi per migliorare il sonno


1

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MSD Italia

TABELLA 173- Ipnotici di uso comune


2

TABELLA 174- Diagnosi differenziale per lo stroke


1

TABELLA 174- Fattori di rischio per lo stroke


2

TABELLA 174- Criteri di esclusione per la somministrazione dell'attivatore


3 tissutale del plasminogeno nello stroke*

TABELLA 175- Glasgow Coma Scale


1

TABELLA 176- Terapia antibiotica delle meningiti batteriche acute


1

TABELLA 176- Dosaggi antibiotici comuni per le meningiti batteriche


2

TABELLA 176- Cause di meningite asettica


3

TABELLA 177- Classificazione per sede dei tumori primitivi del snc
1

TABELLA 177- Sintomi dei meningiomi a seconda della sede


2

TABELLA 178- Disturbi della motilità oculare


1

TABELLA 178- Nervi cranici


2

TABELLA 179- Sindromi distoniche


1

TABELLA 179- Farmaci somministratti nel morbo di parkinson


2

TABELLA 179- Segni di malattia cerebellare


3

TABELLA 179- Principali caratteristiche cliniche di alcune malattie


4 spinocerebellari

TABELLA 180- Diagnosi differenziale della sclerosi multipla


1

TABELLA 182- Effetti del danno midollare a seconda del livello


1

TABELLA 183- Classificazione delle patologie dell'unità motoria


1

TABELLA 183- Sintomi delle radicolopatie più comuni a seconda del livello
2 midollare

TABELLA 183- Diagnosi di neurofibromatosi


3

TABELLA 187- Sintomi dell’attacco di panico


1

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MSD Italia

TABELLA 187- Benzodiazepine per l’ansia


2

TABELLA 189- Cause comuni di depressione e mania sintomatiche


1

TABELLA 189- Manifestazioni cliniche degli stati depressivi e maniacali


2

TABELLA 189- Caratteristiche dell’ansia e della depressione


3

TABELLA 189- Diagnosi differenziale tra pseudodemenza depressiva e


4 demenza primaria (degenerativa)

TABELLA 189- Diagnosi differenziale fra psicosi affettiva e psicosi


5 schizofrenica

TABELLA 189- Antidepressivi in commercio negli usa


6

TABELLA 190- Fattori di alto rischio per il suicidio


1

TABELLA 191- Meccanismi di difesa


1

TABELLA 192- Alcune possibili cause mediche di disfunzioni sessuali


1

TABELLA 193- Farmaci antipsicotici classici


1

TABELLA 193- Farmaci antipsicotici depot


2

TABELLA 193- Abnormal Involuntary Movement Scale


3

TABELLA 193- Farmaci antipsicotici di nuova generazione


4

TABELLA 194- Trattamento farmacologico dei pazienti psichiatrici agitati


1

TABELLA 194- Trattamento degli effetti collaterali acuti degli antipsicotici


2

TABELLA 195- Potenziale di dipendenza con le sostanze di uso


1

TABELLA 195- Dipendenza fisica con alcuni sedativi ed ansiolitici di uso


2 comune

TABELLA 197- Caratteristiche del polso carotideo e patologie associate


1

TABELLA 197- Sede dei fremiti rilevabili alla palpazione del torace e
2 patologie associate

TABELLA 197- Intensita' dei soffi cardiaci rilevati con l’auscultazione


3

TABELLA 198- Agenti di perfusione miocardica a base di 99mtecnezio


1

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MSD Italia

TABELLA 198- Usi clinici dell’ecocardiografia


2

TABELLA 198- Complicanze associate al cateterismo venoso centrale


3

TABELLA 198- Indicazioni alla cateterizzazione dell'arteria polmonare


4

TABELLA 198- Normali valori pressori delle camere cardiache e dei grossi
5 vasi

TABELLA 198- Valori emogasanalitici normali


6

TABELLA 198- Valori normali dell’indice cardiaco e dei parametri a esso


7 correlati

TABELLA 198- Equazioni della gittata cardiaca


8

TABELLA 199- Prevalenza delle’ipertensione arteriosa in uomini e donne


1 negli usa

TABELLA 199- Classificazione della pressione arteriosa negli adulti*


2

TABELLA 199- Terapia farmacologica iniziale dell’ipertensione arteriosa


3

TABELLA 199- Associazioni farmacologiche utilizzate nella terapia


4 dell'ipertensione arteriosa

TABELLA 199- Diuretici orali utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa


5

TABELLA 199- B-bloccanti utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa


6

TABELLA 199- Ca-antagonisti utilizzati nella terapia dell’ipertensione


7 arteriosa

TABELLA 199- Ace-inibitori e antagonisti del recettore per l’angiotensina ii


8 utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa

TABELLA 199- Inibitori adrenergici utilizzati nella terapia dell’ipertensione


9 arteriosa

TABELLA 199- Farmaci utilizzati per via parenterale nelle emergenze


10 ipertensive

TABELLA 199- Vasodilatatori utilizzati nella terapia dell’ipertensione arteriosa


11

TABELLA 202- Classificazione dei grassi contenuti negli alimenti


1

TABELLA 202- Raccomandazioni circa l'esercizio fisico dell'"American


2 College of Sports Medicine"

TABELLA 202- La mortalita’ nell’infarto miocardico acuto in relazione alla


3 classe killip*

TABELLA 202- Caratteristiche dei farmaci trombolitici disponibili per uso ev


4

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MSD Italia

TABELLA 203- Proprieta’ farmacocinetiche dei diuretici


1

TABELLA 203- Eziologia e classificazione fisiopatologica delle cardiomiopatie


2

TABELLA 203- Diagnosi e terapia delle cardiomiopatie


3

TABELLA 204- Cause di perdita di liquidi nello shock ipovolemico


1

TABELLA 204- Meccanismi che causano shock cardiogeno


2

TABELLA 204- Catecolamine inotrope


3

TABELLA 205- Classificazione di Vaughan Williams dei farmaci antiaritmici


1

TABELLA 205- Codici internazionali per i pacemaker e i dispositivi


2 impiantabili

TABELLA 206- L’abc della rianimazione cardiorespiratoria


1

TABELLA 206- Tecniche di rianimazione cardiorespiratoria


2

TABELLA 207- Caratteristiche del soffio olosistolico da insufficienza mitralica


1

TABELLA 208- Procedure che richiedono la profilassi antibiotica per


1 l‘endocardite

TABELLA 208- Profilassi per l‘endocardite raccomandata durante procedure


2 a livello del cavo orale, dell'esofago e del tratto respiratorio

TABELLA 208- Profilassi per l'endocardite raccomandata durante procedure


3 a livello del tratto gastrointestinale e genitourinario

TABELLA 210- Sintomi e segni dei mixomi cardiaci


1

TABELLA 212- Trombosi venosa in relazione alla sede anatomica


1

TABELLA 214- Cilindri urinari


1

TABELLA 214- Elementi urinari figurati


2

TABELLA 214- Criteri clinici e di laboratorio per la diagnosi dell’infezione delle


3 vie urinarie

TABELLA 214- Localizzazione delle infezioni del tratto urinario


4

TABELLA 214- Test di funzionalita’ renale


5

TABELLA 215- Farmaci che provocano incontinenza


1

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MSD Italia

TABELLA 215- Incontinenza stabilizzata causata da alterazioni del tratto


2 inferiore della via urinaria

TABELLA 215- Diario minzionale di una persona incontinente


3

TABELLA 215- Cause di nicturia


4

TABELLA 215- Farmaci per l’iperattivita’ del detrusore


5

TABELLA 217- Cause di uropatia ostruttiva


1

TABELLA 218- Scala di punteggio sintomatologico dell’iperplasia prostaica


1 benigna dell’ american urological association

TABELLA 220- Alcuni farmaci che possono causare disfunzione erettile


1

TABELLA 222- Principali cause di insufficienza renale acuta


1

TABELLA 222- Indici diagnostici nell’insufficienza renale acuta


2

TABELLA 222- Principali cause di insufficienza renale cronica


3

TABELLA 222- Classificazione dell’insufficienza renale acuta versus cronica


4

TABELLA 223- Complicanze della terapia dialitica


1

TABELLA 224- Livelli di complemento sierico nelle malattie glomerulari


1

TABELLA 224- Malattie associate a sindrome nefritica acuta


2

TABELLA 224- Terapia delle glomerulopatie


3.

TABELLA 224- Classificazione sierologica della glomerulonefrite rapidamente


4 progressiva

TABELLA 224- Malattie associate con la sindrome polmonare-renale


5

TABELLA 224- Malattie associate a sindrome ematurica-proteinurica


6 asintomatica

TABELLA 224- Malattie associate a sindrome nefrosica


7

TABELLA 225- Cause di nefrite tubulointerstiziali acute


1

TABELLA 225- Farmaci associati a nefrite tubulointerstiziale da


2 ipersensibilita’

TABELLA 226- Comuni agenti nefrotossici


1

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MSD Italia

TABELLA 226- Agenti indirettamente nefrotossici


2

TABELLA 226- Alcuni farmaci eliminati principalmente per via renale


3

TABELLA 226- Domande da porre nella diagnosi della nefropatia tossica


4

TABELLA 227- Patogeni della via urinaria


1

TABELLA 230- Principali gruppi di nefropatie cistiche


1

TABELLA 230- Varianti della malattia cistica midollare


2

TABELLA 231- Antigeni associati a malattia renale immunologica


1

TABELLA 231- Quadri delle malattie renali immunologicamente mediate


2

TABELLA 233- Stadiazione del tumore prostaico


1

TABELLA 235- Cause di amenorrea


1

TABELLA 235- Cause di insufficienza ovarica prematura


2

TABELLA 237- Tipi di dolore pelvico


1

TABELLA 238- Tipi di vaginite


1

TABELLA 238- Farmaci per la vaginite da candida


2

TABELLA 238- Regimi terapeutici per la malattia infiammatoria della pelvi*


3

TABELLA 239- Stadi dell’endometriosi


1

TABELLA 239- Terapia farmacologica per l’endometriosi


2

TABELLA 241- Stadiazione del carcinoma dell’endometrio*


1

TABELLA 241- Stadiazione chirurgica del carcinoma dell’ovaio*


2

TABELLA 241- Classificazione di bethesda della citologia cervicale


3

TABELLA 241- Stadiazione clinica del carcinoma della cervice*


4

TABELLA 241- Stadiazione del carcinoma vulvare*


5

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MSD Italia

TABELLA 241- Sistema di stadiazione clinica del carcinoma vaginale*


6

TABELLA 241- Stadiazione chirurgica e anatomopatologica del carcinoma


7 delle tube di falloppio*

TABELLA 241- Sistema di punteggio della malattia trofoblastica gestazionale


8 secondo la WHO

TABELLA 242- Rischio di tumore della mammella


1

TABELLA 244- Esame della vittima presunta di violenza carnale


1

TABELLA 246- Controindicazioni all’uso dei contraccettivi orali


1

TABELLA 247- Rischio della nascita di un bambino con un’anomalia


1 cromosomica

TABELLA 247- Alcuni disordini mendeliani che possono essere diagnosticati


2 in epoca prenatale*

TABELLA 249- Categorie di farmaci sicuri in gravidanza secondo la fda


1

TABELLA 250- Valutazione del rischio in gravidanza


1

TABELLA 251- Trattamento del diabete mellito in gravidanza


1

TABELLA 252- Terminologia dell‘aborto


1

TABELLA 252- Livelli di bilirubina nel liquido amniotico


2

TABELLA 256- Fattori neonatali di rischio elevato per ipoacusia


1

TABELLA 256- Funzione uditiva normale nel bambino molto piccolo*


2

TABELLA 256- Livelli di pressione arteriosa al 90° e 95° percentile di pa in


3 soggetti di sesso maschile di eta' compresa tra 1 e 17 anni

TABELLA 256- Livelli di pressione arteriosa al 90° e 95° percentile di pa in


4 soggetti di sesso femminile di eta' compresa tra 1 e 17 anni

TABELLA 256- Eta' di eruzione dei denti


5

TABELLA 256- Tappe di sviluppo


6

TABELLA 256- Calendario vaccinale per i bambini non vaccinati durante il


7 primo anno di vita*

TABELLA 256- Media dei fabbisogni di acqua nei bambini alle differenti eta' in
8 condizioni normali

TABELLA 256- Fabbisogni calorici alle diverse eta'*


9

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MSD Italia

TABELLA 257- Elementi di coordinamento delle cure nel bambino con


1 invalidita' cronica

TABELLA 258- Effetto della maturita' fetale e dell’eta' sul dosaggo dei farmaci
1 nei neonati

TABELLA 259- Segni ed esami di laboratorio per valutare lo stato di


1 idratazione

TABELLA 259- Approccio alle alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico


2

TABELLA 259- Valutazione clinica dell’entita' della disidratazione


3

TABELLA 259- Deficit abituali di elettroliti in corso di disidratazione


4

TABELLA 259- Composizione approssimativa dei liquidi costituenti le perdite


5 anomale esterne

TABELLA 259- Rapporto fra consumo calorico e fabbisogno per il


6 mantenimento

TABELLA 259- Valori di riferimento per il metabolismo basale


7

TABELLA 259- Perdite approssimative e proporzionate di liquidi ed elettroliti


8

TABELLA 260- Alterazioni radiologiche nella sindrome del distress


1 respiratorio

TABELLA 260- Ambiente termoneutrale*


2

TABELLA 260- Cause di iperbilirubinemia neonatale


3

TABELLA 260- Cause esogene di ipoacusia congenita neurosensoriale


4

TABELLA 260- Cause endogene di ipoacusie congenite e ad esordio precoce


5

TABELLA 260- Dosaggio raccomandato per gli antibiotici usati nel neonato
6 per via parenterale

TABELLA 260- Dosi raccomandate nel neonato per alcuni antibiotici da


7 somministrare per via orale

TABELLA 260- Rapporto (in %) dei livelli nel lcr e dei livelli sierici*
8

TABELLA 260- Classificazione diagnostica della sifilide congenita


9

TABELLA 261- Eta’ d’insorgenza e cause comuni di scompenso cardiaco in


1 eta' pediatrica

TABELLA 261- Dosi pediatriche di digossina (orale o ev) rapportate all’eta'


2 del paziente*

TABELLA 261- Sindromi cranio-facciali comuni


3

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MSD Italia

TABELLA 261- Esempi di sindromi geniche contigue


4

TABELLA 261- Cause e caratteristiche dello pseudoermafroditismo maschile


5

TABELLA 262- Alcune cause di ritardo di accrescimento organico


1

TABELLA 262- Dati essenziali nell’anamnesi del ritardo di accrescimento


2 organico

TABELLA 262- Modello del fuori-gioco


3

TABELLA 262- Sottotipi specifici di dislessia


4

TABELLA 262- Livelli di sostegno per i ritardati mentali


5

TABELLA 262- Cause genetiche e cromosomiche di ritardo mentale*


6

TABELLA 262- Test per lo sviluppo specifico e psicologico per bambini con
7 ritardo mentale

TABELLA 262- Test per alcuni casi di ritardo mentale


8

TABELLA 263- Misure di prevenzione dei traumi


1

TABELLA 263- Scala del coma secondo Glasgow modificata per lattanti e
2 bambini

TABELLA 263- Sintomi dell’avvelenamento da paracetamolo


3

TABELLA 263- Fonti comuni di piombo


4

TABELLA 263- Classificazione dell’avvelenamento da piombo


5

TABELLA 263- Domande di screening per valutare l’esposizione al piombo


6

TABELLA 263- Scheda dei test diagnostici per un bambino con una PBE
7 elevata durante la valutazione di screening

TABELLA 263- Schedule di dosaggio dei chelanti


8

TABELLA 263- Sintomi dell’avvelenamento da ferro


9

TABELLA 263- Livelli ematici di ferro*


10

TABELLA 263- Problemi che possono richiedere rianimazione del neonato


11

TABELLA 263- Guida alla rianimazione pediatrica – misure dei presidi


12 strumentali e meccanici

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MSD Italia

TABELLA 263- Punteggio di Apgar


13

TABELLA 263- Stadiazione clinica dell’encefalopatia postasfittica


14

TABELLA 263- Guida alla rianimazione pediatrica – dosaggi dei farmaci


15

TABELLA 263- Scala delle categorie delle capacita’ cerebrali in eta’


16 pediatrica

TABELLA 263- Scala delle categorie delle capacita' globali in eta' pediatrica*
17

TABELLA 265- Criteri di Rochester per basso rischio di infezioni batteriche


1 gravi nell’infanzia

TABELLA 265- Dosi dei farmaci antibiotici per le infezioni delle vie urinarie nel
2 bambino

TABELLA 265- Cause note di gastroenterite*


3

TABELLA 265- Sintomi e trattamento della disidratazione


4

TABELLA 265- Terapia antibiotica orale per le gastroenteriti acute*


5

TABELLA 265- Segni associati alle infezioni orbitali e periorbitali


6

TABELLA 265- Diagnosi differenziale tra epiglottite e croup


7

TABELLA 265- Diagnosi differenziale dei piu'comuni esantemi


8

TABELLA 265- Diagnosi differenziale dell’ingrandimento della parotide o di


9 altre ghiandole salivari

TABELLA 265- Classificazione degli enterovirus e dei rhinovirus umani


10

TABELLA 265- Sindromi provocate da enterovirus


11

TABELLA 265- Classificazione dell’ HIV pediatrico per bambini di eta’ < 13
12 anni

TABELLA 265- Categorie cliniche per bambini di eta’ < 13 anni con infezione
13 da HIV*

TABELLA 265- Diagnosi di infezione da HIV in bambini < 13 anni


14

TABELLA 265- Protocollo per ridurre la trasmissione perinatale dell’HIV


15 mediante zidovudina*

TABELLA 265- Raccomandazioni per la profilassi contro pneumocystis carinii


16 nei lattanti e nei bambini esposti all’HIV

TABELLA 265- Dosaggio e somministrazione di farmaci antiretrovirali nei


17 bambini

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MSD Italia

TABELLA 265- Stadiazione della sindrome di Reye


18

TABELLA 265- Criteri per la diagnosi di sindrome di Kawasaki


19

TABELLA 268- Cause organiche dei dolori addominali ricorrenti


1

TABELLA 269- Cause di bassa statura


1

TABELLA 269- Cause endocrine di bassa statura


2

TABELLA 269- Alterazioni enzimatiche nell’iperplasia


3

TABELLA 269- Caratteristiche delle glicogenosi


4

TABELLA 269- Anomalie del metabolismo degli aminoacidi


5

TABELLA 270- Profilassi per l’endocardite raccomandata durante procedure


1 sul tratto oro-dentale, respiratorio ed esofageo nei bambini

TABELLA 270- Profilassi dell’endocardite raccomandata durante procedure


2 sull’apparato gastrointestinale o genitourinario nei bambini

TABELLA 270- Tipi di sindrome di Ehlers-Danlos


3

TABELLA 270- Mucopolisaccaridosi genetiche


4

TABELLA 270- Tipi di nanismo osteocondrodisplasico


5

TABELLA 270- Tipi di nanismo letale ad arti corti*


6

TABELLA 275- Cause principali di maturazione sessuale ritardata


1

TABELLA 278- Tassi annuali di irradiazione (dose-equivalente) negli USA


1

TABELLA 279- Differenze fra il colpo di calore e il collasso da calore


1

TABELLA 285- Confronto tra l’embolia gassosa e la malattia da


1 decompressione

TABELLA 287- Criteri diagnostici della sindrome da affaticamento cronico


1

TABELLA 290- Benefici della sospensione del fumo sulla salute


1

TABELLA 290- Farmaci utilizzati per la sospensione del fumo


2

TABELLA 291- Valori normali dei range di movimento delle articolazioni*


1

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MSD Italia

TABELLA 291- Gradi di forza muscolare


2

TABELLA 291- Indicazioni per il trattamento con ultrasuoni in riabilitazione


3

TABELLA 292- Terapia con ossigeno iperbarico per l'osteoradionecrosi a


1 seconda dello stadio

TABELLA 293- Modificazioni selezionate fisiologiche eta'-correlate della


1 funzione e composizione corporea

TABELLA 293- Disturbi frequenti negli anziani


2

TABELLA 295- Interpretazione di un risultato al test della esterasi leucocitaria


1 in una donna con un'alta probabilità a priori (77%) di una IVU

TABELLA 295- Livelli di troponina i cardiaca nella cardiopatia ischemica


2 acuta

TABELLA 295- Interpretazione dei risultati della troponina i cardiaca


3 utilizzando il teorema di Bayes

TABELLA 295- Confronto per costo-efficacia tra le strategie di trattamento a e


4 b

TABELLA 295- Calcolo di un rapporto costo-efficacia marginale


5

TABELLA 296- Effetti dell'invecchiamento sui valori di laboratorio


1

TABELLA 296- Valori normali di laboratorio


2

TABELLA 296- Range terapeutici dei farmaci


3

TABELLA 296- Test di laboratorio comuni e loro associazioni con le malattie


4

TABELLA 296- Modificazioni nelle urine e nel sangue degli elettroliti, del ph e
5 del volume in diverse condizioni

TABELLA 297- Equivalenze del sistema metrico-non metrico*


2

TABELLA 297- Sistema metrico


1

TABELLA 297- Equivalenze sistema metrico-non metrico di uso comune*


3

TABELLA 297- Pesi atomici di alcuni elementi comuni


4

TABELLA 297- Equivalenze centigradi-fahrenheit


5

TABELLA 298- Entita’ del legame di alcuni farmaci nel plasma


1

TABELLA 298- Esempi di farmaci che possiedono metaboliti di importanza


2 terapeutica

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MSD Italia

TABELLA 298- Esempi di sostanze che interagiscono con gli enzimi del
3 citocromo p-450

TABELLA 299- Formule di definizione dei parametri farmacocinetici


1 fondamentali

TABELLA 300- Alcuni tipi di proteine fisiologiche con funzioni recettoriali per i
1 farmaci

TABELLA 301- Farmaci che possono provocare interazioni farmacologiche


1 gravi

TABELLA 301- Esempi di interazioni farmacologiche


2

TABELLA 301- Cause di mancanza di compliance


3

TABELLA 303- Indicazioni al monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche


1 dei farmaci

TABELLA 303- Esempi di farmaci comunemente sottoposti a monitoraggio


2

TABELLA 303- Esempi di farmaci occasionalmente sottoposti a monitoraggio


3

TABELLA 303- Dati attinenti alla valutazione della concentrazione plasmatica


4 dei farmaci

TABELLA 303- Cause di riscontro di concentrazioni plasmatiche inattese allo


5 stato stazionario

TABELLA 304- Effetto dell'invecchiamento sul metabolismo* e l'eliminazione


1 dei farmaci

TABELLA 304- Effetto dell'invecchiamento sulla risposta ai farmaci


2

TABELLA 304- Farmaci ad alto rischio nell'anziano


3

TABELLA 304- Interazioni farmaco-malattia nell'anziano


4

TABELLA 304- Interazioni farmaco-farmaco nell'anziano


5

TABELLA 305- Steroidi anabolizzanti comunemente utilizzati dagli atleti


1

TABELLA 306- Alcuni nomi commerciali di farmaci di uso comune


1

TABELLA 307- Sostanze generalmente non tossiche in caso di ingestione*


1

TABELLA 307- Linee guida per la terapia chelante*


2

TABELLA 307- Sintomatologia e trattamento di avvelenamenti specifici


3

TABELLA 308- Serpenti velenosi


1

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MSD Italia

TABELLA 308- Gradazione dell'avvelenamento da crotalidi


2

TABELLA 308- Ragni pericolosi presenti negli USA


3

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 1-2. VITAMINE, MINERALI E ACIDI GRASSI ESSENZIALI

Sostanze Fonti principali Funzioni Effetti della Abituale


nutritive carenza e della posologia
tossicità terapeutica*
Vitamina A Come vitamina Meccanismo Carenza: Carenza primaria:
(retinolo) preformata: olii di fotorecettore
fegato di pesce, della retina, Nictalopia, 10000-20000µg/
fegato, tuorlo integrità degli ipercheratosi perifolli die (3000060000UI/
d’uovo, burro, epiteli, stabilità colare, xeroftalmia, die) di retinolo
panna, margarina dei lisosomi, cheratoma lacia, palmitato per
arricchita con sintesi delle aumentate morbilità alcuni giorni
vitamina A glicoproteine e mortalità nel
bambino piccolo Malassorbimento:
Come carotenoidi
provitaminici: Tossicità: 10000-25000µg/
verdure a foglia
die (60000-
verde scuro, frutti
Cefalea, 150000UI/die)
gialli, olio di palma
desquamazione
rossa
della cute,
epatosplenomegalia,
ispessimento osseo
Vitamina D Irradiazione Assorbimento di Carenza: Carenza primaria:
(colecalciferolo, ultravioletta della calcio e fos foro;
ergocalciferolo) cute (fonte riassorbimento, Rachitismo (talvolta 50-200µg/die
principale); latte arr mineral izzazione associato a tetania), (2000-8000 UI/die)
icchito (fonte e maturazione osteomalacia di vitaminaD3 per
alimentare princi del tessuto 3sett.
pale); olii di fegato di osseo;
Tossicità:
pesce, burro, tuorlo riassorbimento
Carenza
d’uovo, fegato tubulare del
Anoressia, metabolica:
calcio
insufficienza renale,
calcificazioni 12µg/die di 1,25
metastatiche (OH)2D3 o di 1a-
OH-D3
Gruppo Olio vegetale, germe Antiossidante Carenza: Carenza primaria:
vitamina E (a- di grano, verdure a intracellulare,
tocoferolo e altri foglia, tuorlo d’uovo, depura le emolisi dei GR, 60-100mg/die per
tocoferoli) margarina, legumi membrane biolog danno neurologi co, 2sett.
iche dai radicali creatinuria, depositi
liberi ceroidi nei muscoli Malassorbimento:

Tossicità: 100-1000mg/die

Interferenza con gli


enzimi
Gruppo Verdure a foglia, Formazione della Carenza: Carenza primaria:
vitamina K carne di maiale, protrombina, 1mg/die per 1sett.
(fillochinone e fegato, olii vegetali, degli altri fattori Emorragia da deficit nei neonati; 10mg/
menachinoni) flora intes tinale della coag di protrombi na e di die per 1sett. negli
dopo il periodo ulazione e delle altri fattori, adulti
neonatale proteine ossee osteoporosi

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Manuale Merck - Tabella

Acidi grassi Olii di semi vegetali Precursori delle Carenza: Carenza primaria:
essenziali (acidi (mais, gira sole, prostaglandine,
linoleico, cartamo), margarine, dei leucotrieni, Arresto 15-20% delle
linolenico, olii di pesce marino delle dell’accrescimento, calorie per 1mese
arachidonico, prostacicline, dei dermatosi, perdita di (15g/ die nei
eicosapentenoico trombossani e liquidi, neuropatia bambini; 50g/die
e degli acidi grasi periferica negli adulti)
docosaesenoico) idrossilati;
strutture di
membrana
Tiamina Lievito di birra, Metabolismo dei Carenza: Carenza primaria:
(vitaminaB1) cereali integrali, carboidrati,
carne (specialmente funzione delle Beriberi infantile o 5-25mg/die per
maiale, fegato), cellule nervose dell’adulto 2sett.
prodotti arricchiti con centrali e (neuropatia
cereali, noci, legumi, periferiche, periferica, insuffi Stati di
patate funzione del cienza cardiaca, dipendenza:
miocardio sindrome di
Wernicke-
25-500mg/die
Korsakoff), stati di
dipendenza
Riboflavina Latte, formaggio, Molti aspetti del Carenza: Carenza primaria:
(vitaminaB2) fegato, carne, uova, metabolismo
prodotti arricchiti con energetico e Cheilosi, stomatite 10-30mg/die per
ce reali proteico, integrità angolare, 2sett.
delle membrane vascolarizzazione
mucose della cornea,
ambliopia, dermatosi
seborroica
Niacina (acido Lievito di birra, Reazioni di Carenza: Carenza primaria:
nicotinico, fegato, carne, ossidazione-
niacinamide) pesce, legumi, riduzi one, Pellagra (dermatosi, 300-500mg/die per
prodotti di grano metabolismo dei glossite, disfunzione 4sett.
integrale arricchiti carboid rati GI e del SNC)
con cereali
Stati di dipendenza:

50-250mg/die
Gruppo Lievito di birra, Molti aspetti del Carenza: Carenza primaria:
vitamina B6 fegato, interiora, metabolismo
(piridossina, cereali integrali, azotato (p.es., Convulsioni 50-100mg/die per
piridossale, pesce, legumi transaminazio ni, nell’infanzia, ane 4sett. negli adulti;
piridossammina) sintesi delle mie, neuropatia, 35mg/die nei
porfirine e lesioni cutanee simil- lattanti
dell’eme, seborroiche; stati di
conversione del dipendenza Stati di
triptofano a
dipendenza:
niacina),
Tossicità:
metabolismo
dell’acido 50-250mg/die negli
linoleico Neuropatia adulti; 5-10mg/die
periferica nei lattanti

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Manuale Merck - Tabella

Acido folico Verdure fresche a Maturazione dei Carenza: Carenza primaria:


foglia verde, frutta, GR, sintesi delle
interiora, fegato, purine, delle Pancitopenia, 12mg/die per 4sett.
lievito secco pirimidine e della megaloblastosi
metionina (specialmente Stati di
durante la gravi dipendenza:
danza, l’infanzia, il
malassorbi mento),
50-100mg/die
stati di dipendenza
Vitamina B12 Fegato, carne Maturazione dei Carenza: Carenza primaria
(cobalamina) (specialmente bue, GR, funzione o secondaria:
maiale, interiora), nervosa, sintesi Anemia perniciosa,
uova, latte e derivati del DNA correlata anemie 1mg 2/sett. IM per
del latte ai coenzimi folati, megaloblastiche da 6sett., seguito da
sintesi della botriocefalo lato e 1mg/mese IM
metionina dei vegetariani,
malattia Stati di
multisistemica, stati dipendenza:
di dipendenza (v.
Cap.127)
1mg/die IM
Biotina Fegato, rene, tuorlo Carbossilazione Carenza: Carenza primaria:
d’uovo, lievi to, e decarbos
cavolfiori, noci, silazione Dermatite, glossite, 150-300µg/die per
legumi dell’acido acidosi metabolica, 2sett.
ossaloace tico; stati di dipendenza
metabolismo
Stati di
degli aminoacidi
dipendenza:
e degli acidi
grassi
5-20mg/die
Vitamina C Agrumi, pomodori, Essenziale per il Carenza: Carenza primaria:
(acido ascorbico) patate, cavoli, tessuto oste oide,
peperoni verdi la formazione di Scorbuto 100-500mg/die per
colla geno, la (emorragie, perdita 2sett.
funzione dei denti, gengiviti,
vascolare, la malattia delle ossa)
respirazione
tissutale e la
guarigione delle
ferite
Sodio Ampia Equilibrio acido- Carenza: Carenza:
distribuzionecarne di base, pressione
bue, maiale, sardine, osmotica, pH Iponatremia, NaCl per via orale
formaggio, olive ematico, con confusione, coma ed EV (v. Disordii
verdi, pane di trattilità del Metabolismo
granturco, patate muscolare, dell’Acqua e del
Tossicità:
fritte, crauti trasmis sione Sodio nel Cap.12)
nervosa, pompe
del sodio Ipernatriemia,
confusione, coma

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Manuale Merck - Tabella

Cloruro Ampia Equilibrio acido- Carenza: Carenza:


distribuzioneprincipal base, pressione
mente prodotti osmotica, pH Alcalosi NaCl per via orale
animali ma an che ematico, funzi ipocloremica, ed EV (v. Cap.12)
alcuni vegetali; one renale alcalosi
simile al sodio ipokaliemica;
insufficiente crescita
nei lattanti

Tossicità:

Aumento del volume


extracellu lare,
ipertensione
Potassio Ampia Attività Carenza: Carenza:
distribuzionelatte muscolare,
intero e scremato, trasmissione Ipokaliemia, paralisi, KCl per via orale
banane, prugne, nervosa, disturbi cardiaci ed EV (v. Disordini
uva, carne equilibrio acido- del metabolismo
base del potassio nel
Tossicità:
intracellulare e Cap.12)
ritenzione di
acqua Iperkaliemia,
paralisi, disturbi
cardiaci
Calcio Latte e prodotti del Formazione delle Carenza: Carenza (tetania):
latte, carne, pesce, ossa e dei den ti,
uova, prodotti con coagulazione del Ipocalcemia e 10-30ml di calcio
cerea li, fagioli, sangue, irritabilità tetania, gluconato 10% in
frutta, vegetali neuromuscolare, ipereccitabilità 1l di soluzione
contrattilità neuromuscolare glucosata al5% per
muscolare, 24h fino alla
conduzione scomparsa dei
Tossicità:
miocardica sintomi
Ipercalcemia, atonia
GI, insuffi cienza
renale, psicosi
Fosforo Latte, formaggio, Formazione delle Carenza: Carenza:
carne, pollame, ossa e dei den ti,
pesce, cereali, noci, equilibrio acido- Ipofosfatemia, Monofosfato di
legumi base, componenti irritabilità, de potassio per via
degli acidi nuclei bolezza, disordini orale per fornire
ci, produzione di ematologici, 1,0g di fosforo/die
energia disfunzioni del tratto o, per via
GI e renali parenterale, per
fornire 0,5g di fos
Tossicità: foro/die

iperfosfatemia
nell’insufficienza
renale

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Manuale Merck - Tabella

Magnesio Verdure a foglia Formazione delle Carenza: Carenza:


verde, noci, cere ali, ossa e dei den ti,
frutti di mare conduzione Ipomagnesemia, 24ml di una
nervosa, con irritabilità soluzione di
trazione neuromuscolare magnesio solfato
muscolare, al 50%/die IM per
attivazione parecchi giorni
Tossicità:
enzimatica (fino a quando il
magnesio
Ipermagnesemia,
plasmatico ritorna
ipotensione,
normale)
insufficienza
respiratoria, dis turbi
cardiaci
Ferro Ampia distribuzione Formazione Carenza: Carenza:
(eccetto nei prodotti dell’emoglobina e
caseari)farina di della mioglobina, Anemia, disfagia, Solfato o
soia, carne di bue, enzimi del coilonichia, gluconato di ferro
rene, fegato, fagi oli, sistema dei enteropatia, ridotta 300mg PO tid per
molluschi, pesche citocromi, pro capacità lavorativa e 48sett.
teine con ferro e di apprendimento
Ferro-eme nella zolfo
carne ben assorb ito Tossicità:
(1030%); ferro non-
eme nei vegetali
Emocromatosi,
scarsamente
cirrosi, diabete
assorbito (110%)
mellito,
pigmentazione
cutanea
Iodio Frutti di mare, sale Formazione della Carenza: Carenza primaria:
iodato, uova, tiroxina (T4) e
prodotti caseari, della Gozzo semplice 1,5mg di iodio/die
acqua da bere in triiodotironina (colloide, endem come potassio io
quantità variabili (T3), meccanismi ico), cretinismo, duro per parecchie
di controllo sordomutismo, sett.
energetico, alterata crescita
differenziazione fetale e alterato
del feto sviluppo cerebrale

Tossicità:

Ipertiroidismo o
mixedema
Fluoro Frutti di mare, Formazione delle Carenza: Carenza:
vegetali, cereali, tè, ossa e dei den ti
caffè, acqua Predisposizione alle Fluoruro di sodio
fluorurata (fluoruro di carie den tarie, 1,12,2mg/die PO
sodio 1,02,0ppm) osteoporosi per prevenire le
carie dentali
Tossicità:
Non raccomandato
Fluorosi, chiazzatura a dosi maggiori per
e bucherel lamento il trattamento
dei denti dell’osteoporosi
permanenti, esostosi
della colonna

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Manuale Merck - Tabella

vertebrale
Zinco Carne, fegato, uova, Componente di Carenza: Carenza:
ostriche, arachidi, enzimi; integrità
cereali integrali; cutanea, Ritardo di crescita, Solfato di zinco 30-
biodisponibilità guarigione delle ipogonadismo e 150mg/die PO per
variabile nelle fonti fer ite, crescita ipogeusia. 6mesi
vegetali
La cirrosi e
l’acrodermatite enter
opatica causano un
deficit di zinco
(secondario)
Rame Interiora, ostriche, Componente di Carenza: Carenza:
noci, legumi secchi, enzimi, emopoi
cereali integrali esi, formazione Anemia nei bambini Solfato di rame 10-
delle ossa malnutriti, sindrome 20mg/die PO
di Menkes (malattia
dei capelli nodosi)

Tossicità:

Degenerazione
epatolenticolare,
alcune cirrosi biliari
Cromo Lievito di birra, Favorisce la Carenza: Carenza:
fegato, carni tolleranza al glu
lavorate, cereali coso Alterata tolleranza al Cloruro di cromo
integrali, spezie glucoso nei bambini 200µg/die PO per
malnutriti, in certi dia 4sett.
betici e in alcune
persone an ziane
Selenio Ampia distribuzione- Componente Carenza: Carenza:
carni e altri prodotti della glutatione
animali; il contenuto perossidasi e Cardiomiopatia di Selenio sodico
nelle piante è della iodinasi dell’ Keshan, de bolezza 100µg/die PO
influenzato dalla ormone tiroideo muscolare
concentrazione nel
suolo
Tossicità:

Perdita dei capelli e


delle unghie,
nausea, dermatite,
polineurite
Manganese Cereali integrali, Componente Carenza primaria: Carenza:
vegetali a foglia degli enzimi
verde, noci, tè manganese- Discutibile Manganese solfato
specifici: 10mg/die PO per
glicosiltransferasi, diverse settimane
Carenza
fosfoe nolpiruvato o fino alla scom
secondaria dovuta
carbossichinasi, parsa dei sintomi
all’idralazina:
manganese-
superossido
dismutasi Artralgia, neuralgia,
epatosplenomegalia

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Manuale Merck - Tabella

Molibdeno Latte, fagioli, pane, Componente del Carenza: Carenza:


cereali coenzima per la
solfito ossidasi, la Tachicardia, cefalea, Ammonio
xantina nausea, molibdato 300µg/
deidrogenasi e di disorientamento die (EV o PO) per
un’aldeide (sindrome da 4sett.
ossidasi intossicazione di
solfito)
*Le dosi necessarie per prevenire la carenza rappresentano l’apporto dietetico raccomandato o RDA
(v. Tab.1-3). L’RDA deve essere assunto, come dose di mantenimento, alla fine del regime terapeutico
raccomandato.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1-3. Apporti dietetici raccomandati,* rivisti nel 1989

Vitamine liposolubili Minerali


Vitamine idrosolubili

Peso Altezza Proteine


Vitamina
Età Vitamina Vitamina E Vitamina Vitamina Niacina Vitamina Acido Vitamina
(aa) A D (mg α- K C Tiamina Riboflavina (mg B6 folico B12 Calcio
Categoria
o (µg RE) (µg) ‡ TE) (µg) (mg) (mg) (mg) NE) (mg) (µg) (µg) (mg) Fosforo Magnesio Ferro Zinco Iodio Selenio
condizione (kg) (lb) (cm) (in) (g) (mg) (mg) (mg) (mg) (µg) (µg)
Lattanti 0,0-0,5 6 13 60 24 13 375 7,5 3 5 30 0,3 0,4 5 0,3 25 0,3 400 300 40 6 5 40 10

0,5-1,0 9 20 71 28 14 375 10 4 10 35 0,4 0,5 6 0,6 35 0,5 600 500 60 10 5 50 15

Bambini 1-3 13 29 90 35 16 400 10 6 15 40 0,7 0,8 9 1,0 50 0,7 800 800 80 10 10 70 20

4-6 20 44 112 44 24 500 10 7 20 45 0,9 1,1 12 1,1 75 1,0 800 800 120 10 10 90 20

7-10 28 62 132 52 28 700 10 7 30 45 1,0 1,2 13 1,4 100 1,4 800 800 170 10 10 120 30

Uomini 11-14 45 99 157 62 45 1000 10 10 45 50 1,3 1,5 17 1,7 150 2,0 1200 1200 270 12 15 150 40

15-18 66 145 176 69 59 1000 10 10 65 60 1,5 1,8 20 2,0 200 2,0 1200 1200 400 12 15 150 50

19-24 72 160 177 70 58 1000 10 10 70 60 1,5 1,7 19 2,0 200 2,0 1200 1200 350 10 15 150 70

25-50 79 174 176 70 63 1000 5 10 80 60 1,5 1,7 19 2,0 200 2,0 800 800 350 10 15 150 70

51 + 77 170 173 68 63 1000 5 10 80 60 1,2 1,4 15 2,0 200 2,0 800 800 350 10 15 150 70

Donne 11-14 46 101 157 62 46 800 10 8 45 50 1,1 1,3 15 1,4 150 2,0 1200 1200 280 15 12 150 45

15-18 55 120 163 64 44 800 10 8 55 60 1,1 1,3 15 1,5 180 2,0 1200 1200 300 15 12 150 50

19-24 58 128 164 65 46 800 10 8 60 60 1,1 1,3 15 1,6 180 2,0 1200 1200 280 15 12 150 55

60 1,1 1,3 15 1,6 180 2,0 800 800 280 15 12 150 55


25-50 63 138 163 64 50 800 5 8 65

60 1,0 1,2 13 1,6 180 2,0 800 800 280 10 12 150 55


51+ 65 143 160 63 50 800 5 8 65

70 1,5 1,6 17 2,2 400 2,2 1200 1200 320 30 15 175 65


Gravidanza 60 800 10 10 65

95 1,6 1,8 20 2,1 280 2,6 1200 1200 355 15 19 200 75


1° semestre 65 1300 10 12 65
Allattamento
2° 20 2,1 2,6 1200 1200 15 16 200 75
62 1200 10 11 65 90 1.6 1,7 260 340
semestre

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Manuale Merck - Tabella

* Gli apporti, espressi come assunzioni giornaliere medie nel tempo, sono calcolati tenendo conto delle variazioni individuali nella
maggior parte delle persone in buona salute che vive negli USA, in usuali condizioni ambientali. La dieta deve essere basata su di una
varietà di cibi comuni per fornire le altre sostanze nutritive per le quali sono stati defin iti in modo meno preciso i fabbisogni umani.
† Il peso e l'altezza di riferimento degli adulti sono in realtà dei valori mediani della popolazione americana dell'età considerata, come
riportato da NHANESII (National Health and Nutrition Examination Survey [1976 1980], National Center for Health Statistics).
‡ Come colecalciferolo (10µg colecalciferolo=400UI di vitaminaD).
RE=equivalenti di retinolo (1 equivalente di retinolo=1µg di retinolo o 6µg di b-carotene); α- TE=equivalenti di α-tocoferolo (1mg di d-α-
tocoferolo=1 α-TE);
NE=equivalenti di niacina (1equivalente di niacina=1mg di niacina o 60mg di triptofano nella dieta).
Da Recommended Dietary Allowances, © 1989 della National Academy of Sciences, National Academy Press, Washington, DC. Nel
1998, il Food and Nutrition Board ha pubblicato i Dietary Reference Intakes, che includono gli RDA, per alcune sostanze nutritive
essenziali. Le principali variazioni hanno riguardato l'RDA dell'acido folico che è raddoppiato in tutti i gruppi di età, della vitaminaD che è
aumentato a 10µg per le persone<51anni e di calcio che è aumentato da 1200 a 1300mg per la maggior parte dei gruppi carenti.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1-4. Apporti alimentari giornalieri stimati sicuri e adeguati


per alcune vitamine e minerali*

Vitamine Oligoelementi minerali†

Acido
Categoria Età Biotina pantotenico Rame Manganese Fluoro Cromo Molibdeno
(aa) (mg) (mg) (mg) (mg) (mg) (mg) (mg)

Lattanti 00,5 10 2 0,4-0,6 0,3-0,6 0,1-0,5 10-40 15-30

0,51 15 3 0,6-0,7 0,6-1,0 0,2-1,0 20-60 20-40

Bambini e 13 20 3 0,7-1,0 1,0-1,5 0,5-1,5 20-80 25-50


adolescenti
46 25 3-4 1,0-1,5 1,5-2,0 1,0-2,5 30-120 30-75
710 30 4-5 1,0-2,0 2,0-3,0 1,5-2,5 50-200 50-150
11+ 30-100 4-7 1,5-2,5 2,0-5,0 1,5-2,5 50-200 75-250

Adulti 30-100 4-7 1,5-3,0 2,0-5,0 1,5-4,0 50-200 75-250

*Poiché ci sono minori informazioni su cui basare gli apporti di queste vitamine e minerali, questi dati
non sono stati inclusi nella Tab.1-3 e gli apporti raccomandati sono riportati qui.

†Poiché i livelli tossici di molti oligoelementi minerali sono pari a un aumento anche solo di diverse
volte l’apporto usuale, i livelli superiori riportati in questa tabella non devono essere abitualmente
superati.

Da Recommended Dietary Allowances, © 1989 del National Academy of Sciences, National Academy
Press, Washington, DC.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1–5. Range del peso corporeo

Peso senza vestiti

Uomini Donne

Desiderabile Obesi Desiderabile Obese


Altezza senza scarpe
Piedi/pollici Centimetri (lb) (kg) (lb) (kg) (lb) (kg) (lb) (kg)

4’10’’ 147 92-121 42 131 59


55

4’11’’ 150 95-124 43 134 60


56

5’0’’ 152 98-127 45 137 63


58

5’1’’ 155 105-134 48 61 144 65 101- 46 140 64


130 59

5’2’’ 157 108-137 49 62 148 67 104- 47 145 66


134 61

5’3’’ 160 111-141 50 64 152 69 107- 49 149 68


138 63

5’4’’ 162 114-145 52 66 157 71 110- 50 152 69


142 65

5’5’’ 165 117-149 53 68 161 73 114- 52 156 71


146 66

5’6’’ 167 121-154 55 70 166 76 118- 54 162 73


150 68

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Manuale Merck - Tabella

5’7’’ 170 125-159 57 72 172 78 122- 55 166 76


154 70

5’8’’ 172 129-163 59 74 176 80 126- 57 172 78


159 72

5’9’’ 175 133-167 60 76 180 82 130- 59 177 81


164 75

5’10’’ 178 137-172 62 78 186 84 134- 61 183 83


169 77

5’11’’ 180 141-177 64 80 191 86

6’0’’ 183 145-182 66 83 196 90

6’1’’ 185 149-187 68 85 202 92

6’2’’ 188 153-192 70 87 207 94

6’3’’ 190 157-197 71 90 213 97

Nota: Per le donne tra i 18 e i 25 anni sottrai 1lb per ogni anno al di sotto dei 25. Il
valore dato nella colonna degli obesi, che corrisponde a un aumento del 20% del
peso medio desiderabile, è il peso soglia per l’obesità: un peso maggiore di questo
valore può indicare l’obesità.

Adattata dal Metropolitan Desirable Weight Table del 1959, preparata dalla
Metropolitan Life Insurance Company; tratta principalmente dai dati del Body and
Blood Pressure Study, Society of Actuaries, 1959.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 1-6. ESAMI DI LABORATORIO


USATI PER VALUTARE LO
STATO NUTRIZIONALE
1. Emocromo completo, incluso l’ematocrito,
l’emoglobina, la conta dei GR,
gli indici dei GR, i GB, i linfociti e la formula
leucocitaria
2. Proteine plasmatiche, incluse l’albumina, le
globuline, la prealbumina,
la transferrina e la retinol binding protein
3. Azotemia, BUN, creatinina, acido urico
4. Lipidi plasmatici, inclusi il colesterolo totale, i
trigliceridi,
il colesterolo LDL e il colesterolo HDL
5. Elettroliti plasmatici: Na+, K+, Cl, HCO32, Mg2
+, Ca2+, HPO42
6. Vitamine e sostanze dipendenti dalle vitamine:
vitaminaA, vitaminaE, 25(OH)D3,
vitaminaK, vitaminaC, acido folico e
vitaminaB12 nel plasma; tiamina,
riboflavina e N’-metilnicotinammide nelle urine;
e la transchetolasi e glutatione reduttasi nei
GR
7. Minerali: ferro, zinco, rame e manganese nel
plasma; sodio,
zinco, rame, manganese e fos foro nelle urine
8. Azoto urinario, urea, creatinina, acido urico,
idrossiprolina, 3-metilistidina
9. Test antigenici cutanei (per valutare l’immunità
cellulo-mediata)

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1-7. Valori comunemente usati per classificare


lo stato nutrizionale

Misura Normale Malnutrizione Malnutrizione


moderata grave

Peso ideale, %* 90-110 65-80 <65

Albumina sierica (g/ 3,5-5,0 2,4-3,0 <2,4


dl)

Transferrina sierica 220-400 150-200 <150


(mg/dl)

Conta linfocitica 2000-3500 800-1500 <800


totale (per mm3)

Indice di 2 1 0
ipersensibilità
ritardata

*V. Tab.1-5 per i dati.

L’indice di ipersensibilità ritardata quantizza l’entità dell’indurimento


causato dal test cutaneo con un antigene comune, come quelli derivati
dalle specie di Candida o dalle specie di Trichophyton. Grado di
indurimento 0=<0,5cm, 1=0,5 0,9cm, 2=≥1,0cm.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1 - 8. Alcuni integratori dietetici disponibili in commercio


Carboid Azoto
Proteine rati Grassi non Sodio
Densità (g/% (g/% (g/% proteico (mg/ Potassio
calorica kcal) Fonte kcal) Fonte dei kcal) Fonte dei (kcal:N) mOsm/ mEq) (mg/mEq) Vitamine e
Formula (kcal/ml) proteica carboidrati grassi kg minerali Descrizione
Preparazio
ni a base
di latte
Compleat® 1,07 43/16 Purea di 130/48 Mal 43/36 Purea di 131:1 450 1300/57 1400/36 Vitamine A, Bottiglie e
Formula carne, todestri na, carne, olio B1, B2, B6, lattine da
regolare latte in vegetali, di grano B12, C, D, 250ml,
liquida polvere lattoso E, K, pronte per
senza (24g), niacina, l’uso
grassi frutta pantotenato,
Ca, Cl, Cr,
Cu, Fe, I,
Mg, Mn, Mo,
P, Se, Zn
Sustacal® 1,2 88/30 Latte 200/68 Sciroppo di 3,0/2 Grassi del 59:1 1000 1380/60 4042/104 Vitamine A, Confezioni
in polvere senza cereali, latte B1, B2, B6, da 57g;
grassi, lattoso, B12, C, D, elevato
latte intero destroso E, K, contenuto
niacina, calorico,
pantotenato, basso
acido folico, contenuto di
biotina, Ca, grassi
Cl, Cu, Fe,
Mg, Mn, P,
Zn
Preparazio
ni senza
lattoso

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Manuale Merck - Tabella

Isocal 1,06 34/12 Caseinati 135/50 Maltodestri 44/38 Olio di 164:1 300 530/23 1320/34 Vitamine A, Confezioni
Liquid® di Ca e na soia, MCT B1, B2 , B6, da 240ml,
Na, isolato (olio di B12, C, D, 360ml e da
di proteine cocco E, K, 950ml (1qt)
di soia frazionato), niacina,
lecitina pantotenato,
acido folico,
biotina,
colina, Ca,
Cl, Cr, Cu,
Fe, I, Mg,
Mn, Mo, P,
Se, Zn
Ensure® 1,06 37/14 Caseinati 143/55 Sciroppo di 37/1 Olio di 153:1 470 833/36 1542/40 Vitamine A, Confezioni
di Ca e cereali, sac grano, B1, B2 , B6, da 236,5ml
Na, isolato caroso lecitina, B12, C, D, (8oz) e
di proteine soia E, K, 950ml (1qt)
di soia niacina, pan pronte
totenato, aci all’uso; gusti
do folico, assortiti
biotina,
colina, Ca,
Cl, Cr, Cu,
Fe, I, Mg,
Mn, Mo, P,
Se, Zn
Elementari

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Manuale Merck - Tabella

Amin- Aid® 2,0 19/4 Aminoaci 366/75 Mal 46/21 Olio di 783:1 700 345/15 0/0 Nessuno Per
Bevanda in di essen todestri na, soia, leciti insufficienza
polvere ziali e sacca roso na, mono- renale acuta
istantanea istidina gliceri di e o cronica
di-gliceridi
A basso
contenuto di
N, Na e K

Confezioni
aromatizzate
da 162g
Trava 1,1 30/11 Aminoacidi 215/77 Glucoso, 15/12 MCT, olio 199:1 600 235/10 882/23 Vitamine A, Per
sorb® oligo- di girasole, B1, B2, B6, insufficienza
Formula saccaridi, lecitina B12, C, D, epatica
epatica in saccaroso E, K,
polvere niacina, A basso
pantotenato, contenuto di
acido folico, N, con MCT
biotina,
colina, Ca,
Confezioni
Cl, Cu, Fe,
di polpa di
I, Mg, Mn,
frutta di
P, Zn
162g
Trauma- 1,5 83/22 Aminoaci 145/38 Sciroppo di 69/40 MCT, olio 90:1 490 1180/51 1390/36 Vitamine A, A elevato
Cal® di cereali, di soia B1 , B2 , contenuto di
Liquida essenziali saccaroso B6 , B12, C, N
a catena D, E, K,
ramificata niacina, Per traumi/
pantotenato, ustioni
biotina,
colina, Ca,
Cl, Cu, Fe,
I, Mg, Mn,
P, Zn

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Manuale Merck - Tabella

MCT=trigliceridi a catena media; N=azoto.

Modificata da Nelson JK: "Appendix 13: External nutrition formulas," nel Mayo Clinic Diet Manual: A Handbook of Dietary Practices, 6a ed., edito da CM Pemberton, KE Moxness, JK Nelson, et al.
Philadelphia, B. C. Decker, 1988, pp558569; riproduzione autorizzata dalla Mayo Foundation.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 1-11. ESEMPI DEGLI EFFETTI COLLATERALI


DEI FARMACI SULLO STATO NUTRIZIONALE

Effetto Farmaci
Aumento dell’appetito Alcol, insulina, steroidi, ormone tiroideo,
sulfoniluree, alcuni farmaci psicoattivi,
antiistaminici
Riduzione dell’appetito Agenti massa (metilcellulosa, gomma guar),
glucagone, indometacina, morfina,
ciclofosfamide, digitale
Malassorbimento Neomicina, kanamicina, clortetraciclina,
fenindione, acido p-ammi nosalicilico,
indometacina, metotrexato
Iperglicemia Analgesici narcotici, fenotiazine, diuretici
tiazidici, probenecid, fenitoi na, cumarina
Ipoglicemia Sulfonammidi, aspirina, fenacetina, b-bloccanti,
inibitori delle monoam mino ossidasi,
fenilbutazone, barbiturici
Riduzione dei lipidi Aspirina e acido p-amminosalicilico, l-
plasmatici asparaginasi, clortetraciclina, colchicina,
destrani, fenflurammina, glucagone, fenindione,
sulfin pirazone, trifluperidolo
Aumento dei lipidi Contraccettivi orali (tipo estrogeno-
plasmatici progestinico), corticosteroidi surre nalici,
clorpromazina, etanolo, tiouracile, ormone della
crescita, vitaminaD
Riduzione del Tetraciclina, cloramfenicolo
metabolismo pro teico

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 2-1. FATTORI DI RISCHIO


PER LA SOTTONUTRIZIONE
Grave sottopeso: peso per altezza o BMI<80%
del valore standard

Perdita10% del peso corporeo usuale durante


un periodo di 3 mesi

Assunzione di alcol>170ml (6oz) equivalenti di


etanolo al giorno

Nessuna assunzione orale per>10giorni

Perdita protratta di sostanze nutritive dovuta


alle sindromi da malassorbimento, sindromi da
intesti no corto, fistole, diabete, dialisi renale,
ascessi se cernenti o ferite

Aumentati fabbisogni metabolici dovuti a ustioni


estese, infezione, trauma, febbre protratta o
iperti roidismo

Assunzione di farmaci con proprietà antinutrienti


o cataboliche, p.es., depressivi dell’appetito,
corti costeroidi, immunosoppressivi, farmaci
antitu morali

BMI=indice di massa corporea

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 2-2. FATTORI DI RISCHIO


PER LA SOPRANUTRIZIONE
Buon appetito combinato con l’assenza di
esercizio fisico e aumento di peso (nei bambini
e negli adul ti)

Dieta ad alto contenuto di grassi e di sale

Elevate dosi di acido nicotinico per


l’ipercolestero lemia

Elevate dosi di piridossina per la sindrome


premes truale

Elevate dosi di vitaminaA per disturbi cutanei

Elevate dosi di ferro e di altri oligoelementi


minerali senza una prescrizione medica

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 2-3. CLASSIFICAZIONE DELLO STATO


NUTRIZIONALE IN BASE ALL'INDICE
DI MASSA CORPOREA
Indice di massa Variazione
Stato corporea rispetto al
nutrizionale (Peso [kg]/altezza peso
[m]2) desiderabile
Sottonutrito
Grado2 <16 >30
Grado1 16-17,9 30 - 21
Magro 18-19,9 20 - 11
Normale 20-25 10 - +10
Grasso 25,1-26,9 +11 - +20
Obeso
Grado1 27-29,9 +21 - +32
Grado2 30-40 +33 - +77
Grado3 >40 >+77

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 2–4. Area muscolare del braccio negli adulti

Standard Uomini Donne Massa


(%) (cm2) (cm2) muscolare

100±20* 54±11 30±7 Adeguata

75 40 22 Al limite

60 32 18 Depleta

50 27 15 Deperita

*Massa muscolare del braccio media


±1deviazione standard dal National
Health and Nutrition Examination
SurveysI e II.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 2–5. Reperti biochimici nei bambini della tailandia del nord
in buona salute e affetti da una malnutrizione proteico-energetica

Costituenti del Kwashiorkor


sangue e del Controlli Marasma marasmico Kwashiorkor
plasma Unità (n=50) (n=62) (n=72) (n=61)

Emoglobina g/dl 11,7 ± 0,3 10,0 ± 0,3 9,0 ± 0,3 9,7 ± 0,3
Proteine totali g/dl 7,2 ± 0,1 6,8 ± 0,7 4,9 ± 0,1 3,9 ± 0,1

Albumina g/dl 3,7 ± 0,1 2,8 ± 0,1 1,9 ± 0,1 1,5 ± 0,1
Transferrina (TI µg/dl 357,0 ± 7,0 239,0 ± 1,5 138,0 ± 7,3 110,0 ± 7,1
BC)
Fe µg/dl 69,0 ± 4,0 70,7 ± 9,5 54,1 ± 3,9 70,1 ± 5,7
(µmol/l) (12,4 ± 0,7) (12,7 ± 1,7) (9,7 ± 0,7) (12,5 ± 1,0)
Colesterolo mg/dl 129,0 ± 5,0 109,0 ± 5,9 92,9 ± 6,0 81,5 ± 5,0
(mmol/ (3,34 ± (2,82 ± (2,41 ± 0,16) (2,11 ± 0,13)
l) 0,13) 0,15)
Acido folico ng/ml 25,0 ± 1,0 9,4 ± 1,2 7,5 ± 0,9 5,1 ± 0,6
(nmol/l) (57 ± 2) (21 ± 3) (17 ± 2) (12 ± 1)
VitaminaB12 pg/ml 443,0 ± 711,0 ± 1306,0 ± 295,0 906,0 ± 203,0
60,0 82,0
(pmol/l) (327 ± 44) (525 ± 60) (964 ± 218) (669 ± 150)
VitaminaE mg/dl 0,4 ± 0,1 0,3 ± 0,1 0,3 ± 0,1 0,21 ± 0,1
(µmol/l) (9,3 ± 2,3) (7,0 ± 2,3) (7,0 ± 2,3) (4,9 ± 2,3)
VitaminaA µg/dl 54,0 ± 5,4 38,2 ± 4,5 21,2 ± 2,0 23,6 ± 4,0
(µmol/l) (1,88 ± (1,33 ± (0,74 ± 0,07) (0,82 ± 0,14)
0,19) 0,16)
Retinol binding µg/dl 28,0 ± 1,6 23,1 ± 2,6 21,5 ± 3,0 19,7 ± 5,7
protein
TIBC=Capacità totale di legame del ferro (Total Iron-Binding Capacity).

Da Olson RE: "The effect of variations in protein and calorie intake on the rate of recovery
and selected physiological responses in Thai children with protein-calorie malnutrition," in
Protein-Calorie Malnutrition, edito da RE Olson. New York, Academic Press, 1975, pp.275-
297; riproduzione autorizzata.

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TABELLA 3-1. AZIONI DELLA VITAMINA D


E DEI SUOI METABOLITI

Organo Azioni
Intestino Favorisce il trasporto di Ca e
PO4 (assorbimento)
Reni Favorisce il riassorbimento
tubulare del Ca
Inibisce la sintesi della 1α-id
rossilasi
Stimola la sintesi della 24-idros
silasi
Osso Stimola gli osteoblasti a
produrre più fosfatsi alcalina e
osteocal cina (una proteina
vitamina K dipendente) e
meno collageno, che
favoriscono tutti la formazione
dell’osso
Stimola (a dosi maggiori) le cel
lule mononucleari a differen
ziarsi in macrofagi, che si
fondono con gli osteoclasti e
aumentano la mobilizzazione
del Ca
Paratiroidi Inibisce la secrezione del PTH
Sistema Stimola l’attività immunogenica
linfomidollare e antitumorale
Ca=calcio; PO4=fosfato; PTH=ormone paratiroideo.

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TABELLA 3-2. CAUSE DI RACHITISMO


E DI OSTEOMALACIA

Categoria Causa
Carenza di Bassa assunzione alimentare
VitaminaD
Elevata assunzione di fitato o
fosfato
Mancanza di luce solare
Sindrome da malassorbimento
Difetti correlati alla Epatopatia (malattia avanzata
produzione di 25 parenchimale e colestatica)
(OH)D3
Uso di anticonvulsivanti
(prolungato uso di fenobarbitale,
fenitoina)
Difetti correlati Rachitismo vitaminaD
all’azione del 1,25 dipendente (pseudocarenza di
(OH)2D3 vitaminaD) tipoI, dovuto a un
difetto nella 1- idrossilazione del
25(OH)D3
Rachitismo vitaminaD
dipendente tipo II [diverse
forme; recettori mancanti o
difettosi per il 1,25(OH)2D3]
Altro Rachitismo familiare ipofos
fatemico (vitamina D resistente)
(difetto tubulare renale nel
trasporto dei fosfati)
Insufficienza renale cronica
(osteodistrofia renale)
Sindrome di Fanconi
Acidosi tubulare renale
Diabete mellito (aumentata
incidenza di osteopenia,
osteoporosi e di alcune fratture)
Ipoparatiroidismo

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TABELLA 3–3. SEGNI CLINICI DELLA CARENZA DI VITAMINA E

Malattia Carenza
cronica Altri disordini da genetica
Abetalipo- epatobiliare malassorbimento di
Segni proteinemia colestatica dei grassi vitaminaE

Iporeflessia, areflessia ++ ++ ++ ±
Atassia cerebellare ++ ++ ++ ++
Perdita del senso di ++ ++ + ±
posizione
Perdita del senso di ++ ++ ++ ++
vibrazione
Perdita della sensibilità + ± +
tattile e dolorifica
Oftalmoplegia + + +
Ptosi + + ±
Debolezza muscolare + + + +
Retinopatia pigmentosa ++ ± +
Disartria + ± + ±
++=sempre presente; +=comunemente presente; ±=incostantemente presente;
=assente.

Da Sokol RJ: "Vitamin E deficiency and neurologic disease." Annual Review of


Nutrition 8:351373, 1988; modificata con autorizzazione, dall’Annual Review of
Nutrition, volume 8, ©1988, da Annual Reviews, Inc.

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TABELLA 6-1. NEUROORMONI IPOTALAMICI

Neuroormone Struttura Ormoni Effetto


controllati
Ormone di rilascio della tireotropina (TRH) Peptide di 3 aminoacidi TSH Stimolazione
PRL Stimolazione
Ormone di rilascio delle gonadotropine Peptide di 10 aminoacidi LH Stimolazione*
(GnRH) FSH Stimolazione*
PRL (?) Stimolazione
(?)*
Dopamina Amina biogena PRL Inibizione
LH Inibizione
FSH Inibizione
TSH Inibizione
Ormone di rilascio della corticotropina (CRH) Peptide di 41aminoacidi ACTH Stimolazione
Ormone di rilascio dell’ormone della crescita Peptide di 40-44 aminoacidi GH Stimolazione
(GHRH)
Somatostatina Peptide di 14 aminoacidi GH Inibizione
TSH Inibizione
*In condizioni fisiologiche e quando viene somministrato dall’esterno in maniera pulsatile (v. testo).
ACTH=ormone adrenocorticotropo (corticotropina); FSH=ormone follicolo-stimolante; GH=ormone della
crescita; LH=ormone luteinizzante; PRL=prolattina; TSH=ormone tireo-stimolante.

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TABELLA 7-1. CAUSE DI IPOPITUITARISMO

Cause che interessano primitivamente la ghiandola ipofisaria


(ipopituitarismo primitivo)
Tumori ipofisari
Adenomi
Craniofaringiomi
Infarto o necrosi ischemica dell'ipofisi
Shock, specialmente post-partum (sindrome di Sheehan), oppure nel diabete mellito o
nell'anemia falciforme
Trombosi o aneurismi vascolari,
specialmente dell'arteria carotide interna
Infarto emorragico (apoplessia ipofisaria)
Processi infiammatori
Meningite (tubercolare, batterica, micotica, malarica)
Ascessi ipofisari
Sarcoidosi
Malattie infiltrative
Istiocitosi a cellule di Langerhans (malattia di Hand-Schüller-Christian)
Emocromatosi
Deficit ormonali ipofisari idiopatici, isolati o multipli
Cause iatrogene
Irradiazione
Ablazione chirurgica
Disfunzione autoimmunitaria dell'ipofisi (ipofisite linfocitaria)
Cause che interessano primitivamente l'ipotalamo (ipopituitarismo secondario)
Tumori ipotalamici
Pinealomi
Meningiomi
Ependimomi
Tumori metastatici
Processi infiammatori, come la sarcoidosi
Traumi (talora associati a frattura della base cranica)
Deficit neuroormonali ipotalamici, isolati o multipli
Sezione chirurgica del peduncolo ipofisario

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TABELLA 7-2. CAUSE DI IPERPROLATTINEMIA

Fisiologiche Acromegalia

Stimolazione del capezzolo Morbo di Cushing


nell'uomo e nella donna
Ipotiroidismo primitivo
Gravidanza
Insufficienza renale cronica
Periodo post-partum
Malattie epatiche
Stress
Produzione ectopica di prolattina
Ingestione di cibo
Carcinoma broncogeno
Rapporto sessuale in alcune donne (non squamocellulare; per
lo più microcitoma
Sonno indifferenziato)

Ipoglicemia Ipernefroma

Prima infanzia (fino ai 3mesi) Lesioni della parete toracica

Patologiche Cicatrici chirurgiche

Malattie ipotalamiche Traumi

Tumori ipotalamici Neoplasie della parete


toracica
Infiltrazione ipotalamica non
tumorale Herpes zoster

Sarcoidosi Farmacologiche

Istiocitosi a cellule di Farmaci psicoattivi


Langerhans (malattia di Hand-
Schüller-Christian) Fenotiazine

Post-encefalite Antidepressivi triciclici

Galattorrea idiopatica Butirrofenoni (aloperidolo)


(presunta alterazione della
secrezione di dopamina) Benzamidi
(metoclopramide, sulpiride)

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Traumi cranici
Farmaci antiipertensivi
Tumori ipofisari prolattino-secernenti
Reserpina
Sezione chirurgica del peduncolo
ipofisario e altre lesioni del peduncolo αMetildopa

Sindrome della sella vuota Calcioantagonisti

Contraccettivi orali

Ormone di rilascio della


tireotropina
Modificata da Rebar RW: "Practical evaluation of hormonal status," in
Reproductive Endocrinology; Physiology, Patho physiology and Clinical
Management, edito da SSC Yen and RB Jaffe. Philadelphia, WB
Saunders Company, 1978, p. 493; riprodotta con autorizzazione.

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TABELLA 7-3. CAUSE FREQUENTI DI POLIURIA

Poliuria sensibile alla vasopressina

Diminuzione della sintesi di ADH

Diabete insipido primitivo

Ereditario (solitamente autosomico


dominante)

Associato a diabete mellito, atrofia ottica,


sordità neurosensoriale e atonia vescicale
e ureterale

Diabete insipido acquisito (cause elencate


nel testo)

Diminuzione del rilascio di ADH (polidipsia com


pulsiva o diabete insipido dipsogenico)

Poliuria resistente alla vasopressina

Diabete insipido nefrogenico congenito


(solitamente recessivo legato al cromosoma X)

Diabete insipido nefrogenico acquisito

Malattie renali croniche

Malattie sistemiche o metaboliche (p.es.,


mieloma, amiloidosi, nefropatie
ipercalcemiche o ipocalcemiche, anemia
falciforme)

Farmaci (litio, demeclociclina)

Diuresi osmotica

Glucoso (diabete mellito)

Soluti scarsamente riassorbibili


(mannitolo, sorbitolo, urea)

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TABELLA 8-1. CLASSIFICAZIONE LABORATORISTICA


DELL'IPERTIROIDISMO

Alta captazione tiroidea di iodio


radioattivo con stimolatori tiroidei
circolanti

Morbo di Graves (gozzo tossico


diffuso)

Secrezione inappropriata di TSH

Gravidanza molare

Coriocarcinoma

Iperemesi gravidica

Alta captazione tiroidea di iodio


radioattivo senza stimolatori tiroidei
circolanti

Morbo di Plummer (gozzo tossico


uninodulare o multinodulare)

Ipertiroidismo autosomico dominante


non autoimmune

Gozzo indotto dal litio

Bassa captazione tiroidea di iodio


radioattivo

Malattie infiammatorie (tiroiditi)

Tireotossicosi factitia

Ingestione di iodio

Carcinoma tiroideo metastatico

Struma ovarii

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TSH=ormone tireo-stimolante.

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TABELLA 8-2. VALUTAZIONE DI LABORATORIO


DELLA FUNZIONE TIROIDEA IN DIVERSE
SITUAZIONI CLINICHE

THBR Captazione di
(captazione radioiodio nelle 24h
TSH della T su (tiroide)
3
Stato fisiologico sierico T sierica T sierica resina)
4 3
Ipertiroidismo, non trattato Basso Alta Alta Alto Alta
Ipertiroidismo, T3 tossicosi Basso Normale Alta Normale Normale
Ipotiroidismo, non trattato Alto Bassa Bassa Basso Bassa o normale
Eutiroidismo, in terapia con Normale Normale Normale Normale Bassa
iodio
Eutiroidismo, in terapia con Normale Alta o Alta con la T3, Normale Bassa
ormoni tiroidei esogeni o basso normale con normale con la T4
la T4, bassa
con la T3
Eutiroidismo, in terapia con Normale Alta Alta Basso Normale
estrogeni
Eutiroidismo, in terapia con Normale Bassa o Bassa o normale Alto o Normale
feni toina normale normale
Euthyroid sick syndrome Normale, Normale o
Bassa Normale o
Normale
basso o bassa alto
alto
TSH=ormone tireo-stimolante; T4=tiroxina; T3=triiodotironina; THBR (Thyroid Hormone-Binding Ratio)=tasso di
legame degli ormoni tiroidei.

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TABELLA 8-3. TRATTAMENTO DELLA CRISI TIREOTOSSICA

Iodio: 15gocce/die di soluzione satura di ioduro


di potassio o 30gocce/die di soluzione di Lugol
al giorno in 3 o 4dosi frazionate PO; oppure 1 g
di ioduro di sodio in infusione EV lenta in 24h o
ip odato di sodio 0,5g bid

Propiltiouracile: da 900 a 1200mg/die PO o per


sondino nasogastrico

Propranololo: 160mg/die PO in 4dosi


frazionate; oppure 1mg EV lentamente q 4h
sotto stretto controllo; la velocità di
somministrazione non deve superare 1mg/min;
una dose ripetuta di 1mg può essere
somministrata dopo 2min

Soluzioni glucosate EV

Correzione della disidratazione e dello


squilibrio elettrolitico

Copertura refrigerante per l'ipertermia

Digossina se necessario

Trattamento della patologia sottostante, come


un‘infezione

Corticosteroidi: da 100 a 300mg/die di idrocorti


sone EV o IM

La terapia definitiva dopo il controllo della


crisi consiste nell'ablazione della tiroide con
131I o escissione chirurgica

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TABELLA 8-4. EFFETTI DEL PROPRANOLOLO SULL'IPERTIROIDISMO

Fenomeni migliorati Fenomeni non migliorati


Tachicardia Consumo di ossigeno: sebbene l'eccesso di
catecolamine (come nei pazienti con
Tremore feocromocitoma) aumenti il consumo di O2, il
principale stimolo al con sumo di O2 è
l'aumento di attività dell'ATPasi Na+, K+
Sintomatologia
mentale indotto dagli ormoni tiroidei

Intolleranza al Gozzo
caldo e
sudorazione Soffio
(occasionali)
Livelli di tiroxina circolante
Diarrea
(occasionale) Calo ponderale (può essere stabilizzato, ma
non migliorato)
Miopatia
prossimale Esoftalmo
(occasionale)

file:///F|/sito/merck/tabelle/00804.html02/09/2004 2.02.01
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TABELLA 9-1. REPERTI DI LABORATORIO


SUGGESTIVI DI MORBO DI ADDISON

Ematochimici Riduzione del Na sierico (<130mEq/l)

Aumento del K sierico (>5mEq/ l)

Rapporto Na:K sierico <30:1

Riduzione della glicemia a digiuno (<50 mg/


dl [<2,78mmol/l])

Riduzione dei bicarbonati plasmatici


(<28mEq/l)

Aumento dell'azotemia (>20mg/ dl


[>7,1mmol/l])
Ematologici Aumento dell'ematocrito

Riduzione del numero dei GB

Linfocitosi relativa

Aumento degli eosinofili


Radiografici Evidenza di:

Riduzione dell'ombra cardiaca

Calcificazioni nelle ombre


surrenaliche

Tubercolosi renale

Tubercolosi polmonare

file:///F|/sito/merck/tabelle/00901.html02/09/2004 2.02.02
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TABELLA 9-2. DIAGNOSI DIFFERENZIALE


DELL'IPERALDOSTERONISMO

Iperaldosteronismo Iperaldosteronismo
primitivo secondario
Parametro clinico Adenoma Iperplasia Ipertensione Edema
PA ↑↑ ↑ ↑↑↑↑ N, ↑

Edema Assente Assente Assente Presente

Na sierico N, ↑ N N, ↓ N, ↓

K sierico ↓ N, ↓ ↓ N, ↓

Attività ↓↓ N, ↑ ↑↑ ↑
reninica
plasmati
ca*

Aldosterone ↑ ↑ ↑↑ ↑

*Se corretta per età. Le persone più anziane hanno un'attività reninica
media più bassa.

↑↑↑↑=aumento molto notevole; ↑↑=aumento notevole; ↑=aumento;


↓↓=diminuzione notevole; ↓=diminuzione; N=normale.

file:///F|/sito/merck/tabelle/00902.html02/09/2004 2.02.02
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TABELLA 10-1. CONDIZIONI ASSOCIATE CON I TRE TIPI


DI NEOPLASIE ENDOCRINE MULTIPLE (MEN)

Condizione MEN-I MEN-IIA MEN-IIB


Adenomi paratiroidei
≥90% 25% Rari
Tumori insulari pancreatici 30-75%
Adenomi ipofisari 50-65%
Carcinoma midollare della tiroide >90% >90%
Feocromocitoma 50% 60%
Neuromi mucosi/habitus marfanoide ≅100%

file:///F|/sito/merck/tabelle/01001.html02/09/2004 2.02.02
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TABELLA 11-1. CARATTERISTICHE DELLE SINDROMI DA


DEFICIT POLIGHIANDOLARE DI TIPO I E II

Caratteristica Tipo I Tipo II


Età all'esordio Infanzia Età adulta (picco a 30
(picco a 12 anni) anni)
Tipi HLA A28, A3 Principalmente B8, DW3,
DR3, DR4; altri se ne
osservano in malattie
specifiche
Rapporto 1,4/1,0 1,8/1,0
maschi/femmine
Manifestazioni cliniche

Morbo di Addison 67% 100%


Malattie tiroidee* 10-11% 69%
Anemia perniciosa 13-15% <1%
Diabete mellito 2-4% 52%
Insufficienza gonadica 45% 3,5%
Ipoparatiroidismo 82% Non osservato
Vitiligine 4% 5-50%
Candidosi mucocutanea 73-78% Non osservata
cronica
Epatite cronica attiva 11-13% Non osservata
Alopecia 26-32% Non osservata
Malassorbimento 22-24% Non osservato
Morbo celiaco Non osservati Incidenza incerta
e miastenia gravis
*Solitamente tiroidite linfocitaria cronica, ma anche morbo di Graves.

Adattata da Trence DL, Morley JE, Handwerger BS: "Polyglandular


autoimmune syndromes." American Journal of Medi cine 77(1):107-116,
1984 e da Leshin M: "Polyglandular autoimmune syndromes." American
Journal of Medical Sciences 290(2):77-78, 1985; riprodotta con
l’autorizzazione.

file:///F|/sito/merck/tabelle/01101.html02/09/2004 2.02.03
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 12-1. CAUSE PIÙ FREQUENTI DI


AUMENTO DEL GAP OSMOLARE PLASMATICO

Etanolo

Alcol isopropilico

Metanolo

Glicol etilenico

Mannitolo

Glicina (dopo resezione prostatica


transuretrale)

file:///F|/sito/merck/tabelle/01201.html02/09/2004 2.02.03
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 12-2. CAUSE PRINCIPALI DI DEPLEZIONE


DI VOLUME DEL LIQUIDO EXTRACELLULARE

Extrarenali

Tratto GI: vomito, diarrea, aspirazione nasogastrica

Cute: sudorazione

Dialisi: emodialisi, dialisi peritoneale

Perdite dal terzo compartimento: lume intestinale, cavità


peritoneale, retroperitoneo

Ustioni, traumi

Renali/surrenaliche

Insufficienza renale cronica; malattie renali con perdite


elettrolitiche (malattia midollare cistica, nefrite
interstiziale, alcuni casi di pielonefrite e mieloma)

Insufficienza renale acuta: fase poliurica di guarigione

Diuretici

Diabete mellito con chetoacidosi o glicosuria es trema

Sindrome di Bartter

Malattie surrenaliche: morbo di Addison (deficit di


glucocorticoidi), ipoaldosteronismo

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 12-3. CAUSE PRINCIPALI DI SOVRACCARICO


DI VOLUME DEL LIQUIDO EXTRACELLULARE

Ritenzione renale di sodio

Scompenso cardiaco congestizio, compreso il cuore


polmonare

Cirrosi epatica

Gravidanza ed edema premestruale

Malattie renali, specialmente la sindrome nefrosica

Farmaci (minoxidil, FANS, estrogeni, fludrocortisone)

Diminuzione della pressione oncotica plasmatica

Sindrome nefrosica

Enteropatia protidodisperdente

Riduzione della sintesi di albumina (malattie epatiche,


malnutrizione)

Aumento della permeabilità capillare

Sindrome settica

Sindrome da difficoltà respiratoria dell'adulto

Ustioni, traumi

Terapia con interleuchina 2

Angioedema

Edema idiopatico

file:///F|/sito/merck/tabelle/01203.html02/09/2004 2.02.03
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 12-4. CAUSE PRINCIPALI DI IPONATRIEMIA

Iponatriemia con ipovolemia (diminuzione


dell’TBW e del Na; diminuzione relativamente
maggiore del Na)

Perdite extrarenali

GI: vomito, diarrea

Perdite dal terzo compartimento:


pancreatite, peritonite, ostruzione
dell'intestino tenue, rab domiolisi, ustioni

Perdite renali

Diuretici

Diuresi osmotica (glucoso, urea,


mannitolo)

Deficit di mineralcorticoidi

Nefropatie con perdite elettrolitiche

Iponatriemia con euvolemia (aumento


dell’TBW; Na totale corporeo quasi normale)

Diuretici

Ipotiroidismo

Deficit di glucocorticoidi

Condizioni con aumento del rilascio di


ADH (nar cotici postoperatori, dolore,
stress emotivo)

Sindrome da inappropriata secrezione di


ADH

Polidipsia primitiva

Iponatriemia con ipervolemia (aumento del

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Manuale Merck - Tabella

Na to tale corporeo; aumento relativamente


maggiore dell’TBW)

Malattie extrarenali

Scompenso cardiaco congestizio

Cirrosi epatica

Malattie renali

Sindrome nefrosica

Insufficienza renale acuta

Insufficienza renale cronica

TBW=(Total Body Water), acqua totale


corporea.

file:///F|/sito/merck/tabelle/01204.html (2 of 2)02/09/2004 2.02.03


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TABELLA 12-5. CONDIZIONI ASSOCIATE CON LA SINDROME


DA INAPPROPRIATA SECREZIONE DI ORMONE ANTIDIURETICO

Tumori maligni

Polmone

Duodeno

Pancreas

Linfomi

SNC

Malattie polmonari

Polmonite

Ascesso polmonare

Tubercolosi

Aspergillosi

Respirazione a pressione
positiva

Malattie del SNC

Encefalite

Meningite

Ascesso cerebrale

Sindrome di Guillain-Barré

Emorragia subdurale o
subaracnoidea

Psicosi acute

Ictus

Porfiria acuta intermittente

file:///F|/sito/merck/tabelle/01205.html (1 of 2)02/09/2004 2.02.04


Manuale Merck - Tabella

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TABELLA 12-6. CAUSE PRINCIPALI DI IPERNATRIEMIA

Ipernatriemia con ipovolemia


(diminuzione dell’TBW e del Na;
diminuzione relativamente
maggiore dell’TBW)

Perdite extrarenali

Tratto GI: vomito, diarrea

Cute: ustioni, sudorazione


eccessiva

Perdite renali

Diuretici dell'ansa

Diuretici osmotici (glucoso,


urea, mannitolo)

Malattie renali intrinseche

Ipernatriemia con euvolemia


(diminuzione dell’TBW; Na totale
corporeo quasi normale)

Perdite extrarenali

Apparato respiratorio:
tachipnea

Cute: febbre, sudorazione


eccessiva

Perdite renali

Diabete insipido centrale

Diabete insipido
nefrogenico

Altre

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Impossibilità di accedere
all'acqua

Ipodipsia primitiva

Reset osmostatico

Ipernatriemia con ipervolemia


(aumento del Na; TBW normale o
aumentata)

Somministrazione di liquidi
ipertonici (soluzioni saline
ipertoniche, NaHCO3,
nutrizione parenterale
totale)

Eccesso di mineralcorticoidi

Iatrogeno

Tumori surrenalici
secernenti desossicorticos
terone

Iperplasia surrenalica
congenita (causata da
deficit di 11-idrossilasi)

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Manuale Merck - Tabella

TBW=Total Body Water (acqua totale


corporea).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 12-7. CAUSE PRINCIPALI DI IPERCALCEMIA

Eccessivo riassorbimento osseo

Eccesso di ormone
paratiroideo:
iperparatiroidismo primitivo,
carcinoma paratiroideo,
ipercal cemia ipocalciurica
familiare,
iperparatiroidismo
secondario in fase avanzata

Ipercalcemia umorale
paraneoplastica: cioè,
ipercalcemia associata a
tumori maligni in assenza
di metastasi ossee

Tumori maligni con


metastasi ossee:
specialmente carcinomi,
leucemie, linfomi e
mieloma multiplo

Ipertiroidismo

Tossicità da vitaminaD;
tossicità da vitaminaA

Immobilizzazione:
specialmente nei soggetti
giovani in fase di
accrescimento e in quelli
con morbo di Paget
dell'osso; anche negli
anziani con osteoporosi,
paraplegia e tetraplegia

Eccessivo assorbimento e/o


apporto GI di calcio

Milk-alkali syndrome

Tossicità da vitaminaD

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Manuale Merck - Tabella

Sarcoidosi e altre malattie


granulomatose

Aumento di concentrazione
delle proteine plasmatiche

Meccanismo incerto

Mixedema, morbo di
Addison, morbo di Cushing
post-operatorio

Terapia con diuretici


tiazidici

Ipercalcemia dell'infanzia

Miscellanea

Intossicazione da litio,
intossicazione da teofillina

Osteomalacia indotta
dall'alluminio

Sindrome maligna da
neurolettici

Da artefatti

Prolungata stasi venosa


nel corso del prelievo di
sangue

Esposizione del sangue a


vetreria contaminata

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TABELLA 12-8. MODIFICAZIONI PRIMITIVE E CONSEGUENTI


MECCANISMI DI COMPENSO NEI DISTURBI SEMPLICI
DELL'EQUILIBRIO ACIDO-BASE*

Disordine [H+] pH [HCO3–] PCO2 Compenso


Acidosi ↑ ↓ ⇑ ↓ ↓ della PCO2 da 11 a 13 mm
metabolica Hg per q 10 mmol di ⇓ della
[HCO3–]
Alcalosi ↓ ↑ ⇓ ↑ ↑ della PCO2 da 6 a 7 mm
metabolica Hg per q 10 mmol di ⇑
della [HCO3–]
Acidosi ↑ ↓ ↑ ⇓ Acuta: ↑ della [HCO3–] di
respiratoria 1,0 mmol per q 10 mm Hg di
⇑ della PCO2

Cronica: ↑ della [HCO3–] di


3,5 mmol per q 10 mm Hg di
⇑ della PCO2
Alcalosi ↓ ↑ ↓ ⇑ Acuta: ↓ della [HCO3] di
respira toria 2,5mmol per q 10mm Hg di
⇓ della PCO2

Cronica: ↓ della [HCO3] di


5mmol per q 10mm Hg di ⇓
della PCO2
*Le modificazioni primitive sono indicate con una doppia freccia.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 12-9. CAUSE PRINCIPALI DI ACIDOSI


E ALCALOSI METABOLICA PRIMITIVA

Acidosi metabolica

Con gap anionico elevato

Chetoacidosi (diabete,
alcolismo cronico)

Acidosi lattica

Insufficienza renale

Intossicazioni
(glicoletilenico, metanolo,
paraldeide, salicilati)

Con gap anionico normale

Perdite GI di alcali (diarrea,


ileostomia, colosto mia)

Acidosi tubulare renale

Nefropatie interstiziali

Ureterosigmoidostomia,
condotto ureteroileale

Terapia con acetazolamide

Ingestione di cloruro di
ammonio

Alcalosi metabolica

Responsiva ai cloruri

Vomito o drenaggio
nasogastrico

Abuso surrettizio di lassativi

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Manuale Merck - Tabella

Diuretici

Stati post-ipercapnici

Resistente ai cloruri

Deficit grave di Mg o K

Diuretici (tiazidi, diuretici


dell'ansa)

Ipermineralcorticoidismo
(sindrome di Cushing,
iperaldosteronismo
primitivo, stenosi
dell'arteria renale)

Acido glicirizinico (liquirizia,


tabacco da masticare)

Malattie ereditarie
(sindrome di Bartter,
sindrome di Gitelman)

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 13-1. CARATTERISTICHE GENERALI


DELLE PRINCIPALI FORME CLINICHE DI DIABETE MELLITO

Caratteristica DM di tipo I (DM DM di tipo II (DM


insulino- non insulino-
dipendente, diabete dipendente)
giovanile)
Età all'esordio Più comunemente Più comunemente
< 30 anni > 30 anni
Obesità associata No Molto comune
Tendenza alla Si No
chetoacitosi con
necessità di terapia
insulinica
Secrezione di insulina Livelli di insulina e Livelli significativi ma
endogena peptide C da variabili di secrezione
estremamente bassi insulinica, che
a indosabili risultano bassi
rispetto ai livelli
glicemici e
accompagnati da
insulino-resistenza
Concordanza tra gemelli ≤50% > 90%
Associazione con Si No
specifici antigeni HLA-D
Presenza di anticorpi anti- Si No
insulari alla diagnosi
Patologie insulari Insulite, perdita Insule di dimensioni
selettiva della ridotte e aspetto
maggior parte delle normale; frequente
cellule β deposizione di
amiloide (amilina)
Rischio associato di Si Si
retinopatia, nefropatia,
neuropatia e malattia
vascolare aterosclerotica
coronarica e periferica
nella maggior parte delle
popolazioni occidentali
Iperglicemia responsiva No Si, inizialmente in
alle sulfanil uree molti pazienti
DM=diabete mellito.

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TABELLA 13-2. CRITERI DIAGNOSTICI


DEL NATIONAL DIABETES DATA GROUP

Criteri per la diagnosi di diabete mellito e di ridotta tolleranza al glucoso Criteri per la diagnosi di
(tutti i livelli glicemici sono espressi inmg/dl [mmol/l]) diabete gestazionale
(100g di OGTT)
Test Normale Diabete mellito Ridotta tolleranza al Glicemia venosa
glucoso
Adulti Bambini Adulti Bambini Adulti Bambini ≥105mg/dl [5,83mmol/l] a
digiuno
GD <115 <130 ≥140* ≥140 115-139 130-139 ≥190mg/dl [10,54mmol/l] a 1h

[6,38] [7,22] [7,77] [7,77] [6,38-7,71] [7,22-7,71]


OGTT <140 <140 ≥200 ≥200 140-199 140-199 ≥165mg/dl [9,16mmol/l] a 2h

[7,77] [7,77] [11,1] [11,1] [7,77-11,04] [7,77-11,04] ≥145mg/dl [8,05mmol/l] a 3h


*Recentemente, la American Diabetes Association ha raccomandato che i pazienti con glicemia a digiuno >126mg/
dl (>6,99mmol/l) vengano considerati affetti da diabete mellito.

OGTT=test di tolleranza al carico orale di glucoso (almeno 2 livelli); GD=glicemia a digiuno.

Da Harris M, et al. for the National Diabetes Data Group: "Classification and diagnosis of diabetes mellitus and
other cate gories of glucose intolerance." Diabetes 28:1049, 1979. Copyright 1979 by American Diabetes
Association, Inc.; riprodotta con l’autorizzazione.

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TABELLA 13-3. ANDAMENTO TEMPORALE DELL'AZIONE


DELLE PREPARAZIONI INSULINICHE*

Preparazione insulinica Inizio Picco dell’azione Durata dell’azione


dell’azione (h) (h)
Regolare ad azione rapida 15-30min 2-4 6-8

Semilenta ad azione rapida 1½-2h 4-9 10-16


(sospensione pronta di zinco-insulina)

Ad azione intermedia (NPH e lenta) 1-3h 6-12 18-26

Ad azione prolungata (ultralenta e 4-8h 14-24 28-36


PZI)

*Gli ampi intervalli indicati sono dovuti alle notevoli variabilità tra i pazienti.
Iniezione sottocutanea.
NPH=Insulina neutra protamina di Hagedorn; PZI=Insulina zinco-protamina.

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TABELLA 13-4. CARATTERISTICHE DELLE SULFANILUREE


E DEI FARMACI IPOGLICEMIZZANTI

Nome generico Range di Durata di Commenti


dosaggio azione (h)
giornaliero (mg)
Sulfaniluree
Tolbutamide 500-3000 6-12

Clorpropamide 100-750 60

Acetoesamide 250-1500 12-24

Tolazamide 100-1000 12-24


Somministrate come monoterapia o
Glibenclamide 1,25-20 12-24 come terapia di associazione con
altri agenti orali o con insulina.
Glipizide 2,5-40 12-24 Comportano rischio di ipoglicemia.

Glimepiride 1-8 24

Gliburide 0,15-6 12-24


micronizzata
5-20 24-36
Glipizide-GITS
Farmaci ipoglicemizzanti
Metformina 500-2550 6-10 Somministrata come monoterapia o
frazionati con i come terapia di associazione con
pasti una sulfanilurea. Controindicata
nelle malattie renali ed epatiche e
in caso di rischio di acidosi lattica.
Acarbosio 75-300 frazionati 2-6 Somministrato come monoterapia o
con i pasti come terapia di associazione con
una sulfanilurea per ridurre la
glicemia post-prandiale. Sono
frequenti gli effetti collaterali GI.
Troglitazone 200-600 una 24 Somministrato soltanto in
volta al giorno associazione con l'insulina. Può
verificarsi grave epatotossicità.
Repaglinide 0,5-4 con i pasti, Emivita di Somministrata come monoterapia.
fino a 16mg/die eliminazione Elimi nata principalmente con le
≈1h feci (<0,2% escreta immodificata
con le urine).

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Manuale Merck - Tabella

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TABELLA 13-5. CAUSE PRINCIPALI DI IPOGLICEMIA


CLINICAMENTE EVIDENTE

Da farmaci (la causa più comune)

Insulina, alcol e sulfaniluree sono


responsabili di >50% di tutti i casi
ospedalizzati

Cause occasionali: salicilati,


propranololo, pentamidina,
disopiramide, ipoglicina A (frutto
akee ac erbo), chinino nella
malaria da falciparum

Da altre cause

1.Ipoglicemia a digiuno

Caratteristica della prima o


seconda infanzia

Nesidioblastosi

Ipoglicemia chetosica

Deficit ereditari degli enzimi


epatici che riducono il
rilascio epatico di glucoso:
glucoso-6-fosfatasi;
fosforilasi; piruvato
carbossilasi;
fosfoenolpiruvato
carbossichinasi; fruttoso-
1,6-difosfatasi; glicogeno
sintetasi

Difetti ereditari
dell'ossidazione degli acidi
grassi, compreso il deficit
sistemico di carnitina

Difetti ereditari della


chetogenesi

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Caratteristica o prevalente nell'età


adulta

Adenomi o carcinomi delle


cellule insulari

Ipoglicemia associata a
tumori mesenchimali di
grandi dimensioni

Ipoglicemia autoimmune
nei non diabetici

Ipoglicemia da anticorpi
anti-recettore insulinico

Malattie epatiche gravi

Malattie renali gravi

Meno correlata all'età

Cachessia

Shock endotossinico

Ipopituitarismo con deficit


sia di ormone della crescita
sia di cortisolo

2.Ipoglicemia reattiva

Caratteristica della prima o


seconda infanzia

Intolleranza ereditaria al
fruttoso

Galattosemia

Ipersensibilità alla leucina

Caratteristica dell'età adulta

Ipoglicemia alimentare

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Ipoglicemia alimentare
idiopatica

Diabete mellito non


insulino-dipendente in fase
precoce di esordio (?)

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TABELLA 14-1. ENZIMI DELLA VIA BIOSINTETICA


DELL'EME E MALATTIE ASSOCIATE CON I LORO DEFICIT

Enzima
N. Nome Localizzazione Malattia Ereditarietà
cromosomica
1 Acido delta-aminolevulinico Xp11,21 Anemia sideroblastica Recessiva legata al
sintetasi (eritroide) legata al cromosomaX cromosomaX

3p21 Non conosciuta


(non eritroide)

2 Acido delta-aminolevulinico 9q34 Porfiria da deficit di acido Autosomica recessiva


deidratasi delta-aminolevulinico
deidratasi*
3 Porfobilinogeno deaminasi† 11q24,1->q24,2 Porfiria acuta Autosomica dominante
intermittente
4 Uroporfirinogeno III cosintetasi 10q25,2->q26,3 Porfiria eritropoietica Autosomica recessiva
congenita
5 Uroporfirinogeno decarbossilasi 1p34 Porfiria cutanea tarda‡ Autosomica dominante
Porfiria epato- Autosomica recessiva
eritropoietica
6 Coproporfirinogeno ossidasi 9 Coproporfiria ereditaria Autosomica dominante
7 Protoporfirinogeno ossidasi 1q23 Porfiria variegata Autosomica dominante
8 Ferrochelatasi 18q21,3 o 22 Protoporfiria Autosomica dominante
eritropoietica
*Deficit secondari di questo enzima si verificano in seguito all'esposizione a determinate sostanze chimiche
(piombo, stirene) e nella tirosinemia ereditaria (inibizione da parte del succinilacetone).

†Questo enzima è noto anche come idrossimetilbilano sintetasi e precedentemente come uroporfirinogeno
I sintetasi.

‡La porfiria cutanea tarda è dovuta principalmente a un deficit epatico di uroporfirinogeno decarbossilasi
che sembra essere acquisito. Un deficit ereditario di questo enzima a livello epatico e di altri tessuti è
parzialmente responsabile della forma familiare (tipo II) della porfiria cutanea tarda.

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TABELLA 14-2. CARATTERISTICHE PRINCIPALI


DELLE TRE PORFIRIE PIÙ COMUNI

Porfiria Sintomi di Fattori Principali test Terapia


presentazione esacerbanti di screening
AIP Neuroviscerali Farmaci Porfobilinogeno Eme;
(acuta) (soprattutto gli urinario glucoso
induttori del
citocromo P-450);
progesterone;
restrizioni
dietetiche
PCT Lesioni Ferro; alcol; Porfirine Flebotomia;
cutanee estrogeni; virus plasmat iche (o clorochina
vescicolari dell'epatiteC; urinarie) a basse
(cronica) idrocarburi dosi
alogenati
EPP Cute dolente e Nessuno Porfirine Beta
tumefatta (per plasmatiche (o carotene
lo più acuta) eritrocitarie)
AIP=porfiria acuta intermittente; PCT=porfiria cutanea tarda; EPP=protoporfiria
eritropoietica.

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TABELLA 14-3. TEST DI SCREENING PER LE PORFIRIE

Sintomatologia suggestiva di porfiria


Sintomatologia
Tipo di test neuroviscerale acuta Fotosensibilità
Primo livello ALA e PBG nelle urine Porfirine totali
(quantitativo; su campione o plasmatiche*
sulle urine delle 24h)
Secondo livello (quando ALA, PBG e porfirine totali Porfirine eritrocitarie
i test di primo livello nelle urine† (quantitativo;
sono signifi cativamente sulle urine delle 24h) ALA, PBG e porfirine
alterati) totali nelle urine†
Porfirine totali nelle feci† (quantitativo; sulle urine
delle 24h)
PBG deaminasi eritrocitaria
Porfirine totali nelle feci†
Porfirine totali plasmatiche*
*Il metodo preferito è quello della spettrofotometria in fluorescenza diretta.

†Il dosaggio frazionato delle porfirine fecali e urinarie si esegue soltanto se sono
aumentati i livelli totali.

ALA=acido d-aminolevulinico; PBG=porfobilinogeno.

file:///F|/sito/merck/tabelle/01403.html02/09/2004 2.02.07
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TABELLA 14-4. ALCUNI DEI FARMACI PRINCIPALI


CONSIDERATI POCO SICURI E SICURI NELLE PORFIRIE ACUTE*

Poco sicuri Sicuri


Barbiturici† Acido valproico† Analgesici
narcotici
Antibiotici sulfonamidici† Pirazoloni (aminopirina,
antipirina) Aspirina
Meprobamato†
Griseofulvina† Paracetamolo
Carisoprodolo†
Alcaloidi della segale Fenotiazine
Glutetimide† cornuta
Penicillina e
Metiprilone Metoclopramide† derivati

Etclorvinolo† Rifampicina† Streptomicina

Fenitoina† Pirazinamide† Glucocorticoidi

Mefenitoina Diclofenac† Bromuri

Succinimidi Progesterone e Insulina


(etosuccimide, metsuccimide) progestinici di sintesi†
Atropina
Carbamazepina† Danazol
Cimetidina
Clonazepam Alcol
< Ranitidina,† §
Primidone† Nifedipina e altri
calcioantagonisti‡ ? Estrogeni,† ||

Felbamato

Dioni (trimetadione,
parametadione)

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Manuale Merck - Tabella

*Non vengono riportati i farmaci che in base alle informazioni disponibili non sono
chiaramente classificabili come poco sicuri o sicuri.

†La porfiria è compresa tra le controindicazioni, gli avvertimenti, le precauzioni o


gli effetti collaterali presenti nei foglietti illustrativi di questi farmaci negli USA.

‡Esistono solide prove sperimentali e alcune evidenze cliniche che questi agenti
possano essere dannosi.

§Sebbene la porfiria sia compresa tra le precauzioni presenti nel foglietto


illustrativo di questo farmaco negli USA, altre fonti lo considerano sicuro.

||Le prove a sostegno della pericolosità degli estrogeni da soli nelle porfirie acute
sono modeste. Essi sono stati considerati pericolosi fondamentalmente sulla base
dell'esperienza con i preparati estroprogestinici combinati e a causa del fatto che
possono esacerbare la porfiria cutanea tarda.

Modificata da Anderson KE: "The porphyrias," in Cecil Textbook of Medicine, edito


da CJ Bennett and F Plum. Philadel phia, WB Saunders Company, 1996, pp. 1124-
1131; riprodotta con l’autorizzazione.

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TABELLA 15-1.CARATTERISTICHE DELLE


IPERLIPOPROTEINEMIE PRIMITIVE

Tipo Altri nomi Forma Specie Livello Livello plasmatico di Principali cause Rischio di Presentazione Terapia
genetica principali di plasmatico trigliceridi secondarie aterosclerosi clinica
lipoproteine di
interessate colesterolo
I Ipertrigliceridemia esogena Autosomica Chilomicroni: Normale o Molto notevolmente LES; Rischio non Pancreatite, xantomi Dieta: basso
Ipertrigliceridemia familiare recessiva; rara notevolmente lievemente aumentato disgammaglobulinemie; aumentato eruttivi, contenuto di
Chilomicronemia familiare aumentati aumentato diabete mellito in epatosplenomegalia, lipidi, no alcol
Iperlipidemia familiare indotta dal HDL: sulinopenico lipemia retinica
grasso diminuite
Iperchilomicronemia
II Quattro diverse condizioni Autosomica LDL: Notevolmente Normale Eccesso di colesterolo Rischio molto Aterosclerosi Dieta: basso
genetiche: dominante; notevolmente aumentato (nell'iperlipoproteinemia nella dieta; alto, specie per accelerata, contenuto di
comune aumentate di tipo IIa) ipotiroidismo; nefrosi; l'aterosclerosi xantelasmi, xantomi colesterolo
Lievemente aumentato mieloma multiplo; coronarica tendinei e tuberosi, Farmaci:
A.Ipercolesterolemia (nell'iperlipoproteinemia porfiria; epatopatie arco corneale sequestranti,
familiare di tipo IIb) ostruttive giovanile niacina,
Iperbetalipoproteinemia (a) Normale statine
familiare (b) Lievemente Possibile
Xantomatosi aumentato chirurgia;
ipercolesterolemica aferesi delle
familiare LDL
B.Iperlipidemia combinata
familiare
C.Deficit familiare
dell'apolipoproteina B
D.Ipercolesterolemia
poligenica

III Disbetalipoproteinemia familiare Ereditarietà IDL: Notevolmente Notevolmente Disgamma globuline Rischio molto Aterosclerosi Dieta: ritorno
Malattia della banda beta allargata non chiara; notevolmente aumentato aumentato mie; ipotiroidis mo alto, specie accelerata delle al peso
Floating betalipoproteinemia non comune aumentate nelle arterie coronarie e delle ideale;
ma neanche periferiche e arterie periferiche, mantenimento
rara nelle coronarie xantomi piani, di bassi livelli
xantomi tubero- di colesterolo,
eruttivi e tendinei dieta
bilanciata
Farmaci:
niacina,
fibrati, ?
statine

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IV Due diverse condizioni genetiche: Comune, VLDL: Normale o Notevolmente Eccessivo consumo di Rischio Possibile Dieta:
spesso aumentate lievemente aumentato alcol; con traccettivi possibile, specie aterosclerosi riduzione di
sporadica HDL: aumentato orali; diabete mellito; per accelerata, peso, basso
A. sebbene diminuite? glicogenosi; l'aterosclerosi intolleranza al contenuto di
Iperprebetalipoproteinemia familiare; gravidanza; coronarica (in glucoso, iperuricemia carboidrati, no
familiare geneticamente glucocorticoidi; particolare alcol
Ipertrigliceridemia eterogenea retinoidi; sequestranti nell'iperlipidemia Farmaci:
endogena degli acidi biliari; combinata niacina,
Iperprobetalipoproteinemia sindrome nefrosica; familiare) gemfibrozil
familiare stress
Trigliceridemia indotta dai
carboidrati
B.Iperlipidemia combinata
familiare

V Ipertrigliceridemia mista Non comune VLDL: Normale o Molto note volmente Alcolismo; di abete Rischio non Pancreatite,xantomi Dieta:
Ipertrigliceridemia combinata ma neanche aumentate lievemente aumentato mellito insulino- chiaramente eruttivi, riduzione di
esogena ed endogenaIperlipemia rara; Chilomicroni: aumentato dipendente; nefrosi; aumentato epatosplenomegalia, peso, basso
mista geneticamente aumentati disgammaglobulinemie neuropatia sensitiva, contenuto di
eterogenea HDL: lipemia retinica, grassi, no
diminuite iperuricemia, alcol
intolleranza al Farmaci:
glucoso niacina,
gemfibrozil
HDL=lipoproteine ad alta densità; LES=lupus eritematoso sistemico; LDL=lipoproteine a bassa densità; IDL=lipoproteine a densità intermedia; VLDL=lipoproteine a bassissima densità.

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TABELLA. 15-2. FARMACI IPOLIPEMIZZANTI

Effetto sul
metabolismo
Effetti delle
Categoria collaterali Indicazioni Meccanismo lipoproteine Farmaco Dosaggio
Sequestranti Costipazione, Aumento Legano gli acidi Aumentano la Colestiramina 8-32 g/die
degli acidi dolore delle HDL biliari clearance delle
biliari addominale, nell'intestino, LDL attraverso Colestipolo 10-40 g/die
(colestiramina nausea, interrompendo il l'aumento
e colestipolo) gonfiore, loro circolo dell'attività del
interazioni enteroepatico loro recettore
farmacologiche,
aumento dei
trigliceridi
Inibitori della 3- Epatite, Aumento Inibiscono Aumentano la Atorvastatina 10-80 mg/die
idrossi- 3- miosite, delle HDL competitivamente clearance delle
metilglutaril rabdomiolisi, la fase precoce LDL attraverso Cervistatina 0,3 mg/die
coenzima A innalzamento della biosintesi l'aumento
reduttasi degli enzimi del colesterolo dell'attività del
Lovastatina e 20-80 mg/die
(statine) epatici loro recettore fluvastatina
20-40 mg/die
Pravastatina
5-80 mg/die
Sinvastatina
Niacina (acido Epatite, gotta, Aumento Probabilmente Riduce la sintesi 1-3 g tid
nicotinico) iperglicemia, delle LDL e inibisce la lipolisi delle VLDL e la
ulcerogenesi, delle VLDL, negli adipociti e clearance delle
acanthosis diminuzione la produzione HDL
nigricans, ittiosi delle HDL epatica di
trigliceridi
Derivati Colelitiasi, Diminuzione Probabilmente Aumentano il Gemfibrozil 600 mg bid
dell'acido epatite, delle HDL, aumentano catabolismo non
fibrico aumento delle aumento l'attività della splancnico delle Clofibrato 1 g bid
(clofibrato, LDL, riduzione delle VLDL e lipoprotein lipasi VLDL e
gemfibrozil e della libido, delle LDL probabilmente
Fenofibrato
fenofibrato) miosite, aritmie aumentano la
ventricolari, sintesi delle HDL
aumento
dell'appetito,
dolore
addominale,
nausea
LDL=lipoproteine a bassa densità; HDL=lipoproteine ad alta densità; VLDL=lipoproteine a bassissima densità.

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TABELLA 22–1. CAUSE COMUNI DI SANGUINAMENTO GASTROINTESTINALE

Tratto GI superiore
Ulcera duodenale (20-30%)

Erosioni gastriche o (20-30%)


duodenali

Varici (15-20%)

Ulcera gastrica (10-20%)

Sindrome di Mallory- (510%)


Weiss

Esofagite erosiva (510%)

Angioma (510%)

Malformazione (<5%)
arterovenosa

Tratto GI inferiore
(le percentuali variano nelle diverse fasce di età)

Malattia diverticolare
Carcinoma del colon
Polipi del colon
Malattia infiammatoria dell’intestino:

colite/proctite
ulcerosa,
morbo di Crohn,
colite infettiva

Colite: attinica, ischemica


Angiodisplasia (ectasia vascolare)
Emorroidi interne
Ragadi anali
Lesioni del piccolo intestino

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Diverticolo di Meckel, tumori,


angiomi, malformazioni arterovenose

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TABELLA 25–1. CAUSE COMUNI DI DOLORE ADDOMINALE


E APPROCCIO AL TRATTAMENTO

Organo o indicazione Indicazioni alla terapia chirurgica Indicazioni alla terapia medica
Esofago Perforazione iatrogena in corso di Esofagite da reflusso, spasmo esofageo
endoscopia, cateterismo, dilatazione
con palloncino; perforazione da
vomito (sindrome di Boerhaave)
Stomaco Ulcera perforata, ernia paraesofagea, Ulcera gastrica benigna non complicata,
cancro dello stomaco gastritie, gastroenterite acuta, ernia iatale da
scivolamento
Duodeno Ulcera duodenale perforata Ulcera duodenale non complicata
Digiuno, ileo Ostruzione intestinale, diverticolo di Gastroenterite, morbo di Crohn
Meckel
Appendice Appendicite
Colon-retto Diverticolo perforato o stenosante, Colite ulcerosa, morbo di Crohn, diverticolite
volvolo (del ceco, del sigma), cancro, (lieve), fecalomi, dolore colico funzionale,
invaginazione, ostruzione del colon, disturbi della motilità, diarrea, costipazione,
fistola perianale, ragade anale ileo
Fegato Adenoma epatocellulare, sindrome di Malattia infiltrativa del fegato con
Budd-Chiari, ascessi distensione della capsula, ematoma
sottocapsulare
Via biliare Calcolosi, colecistite acuta, colangite Calcolosi
acuta
Milza Rottura, ascessi
Pancreas Pancreatite (grave), pseudocisti Pancreatite (lieve)
Vasi Aneurisma aortico; trombosi o
embolia dell’arteria o della vena
mesenterica; angina abdominis
Rene Calcolosi Pielonefrite
Vescica Calcolosi Cistite
Organi genitali maschili Torsione del testicolo Prostatite, epididimite
Organi genitali femminili Gravidanza ectopica, ascessi tubo- Dismenorrea, dolore intermestruale, malattia
ovarici, aborto incompleto, cisti pelvica infiammatoria, cisti ovarica (piccola,
ovarica (grande o maligna, torta o benigna), endometriosi, gravidanza normale
sanguinante)
Peritoneo Peritonite o emoperitoneo da causa Tubercolosi; peritonite primitiva; peritonite
sconosciuta, deiscenza anastomotica da talco o da amido; emoperitoneo
postoperatoria, ascesso secondario agli anticoagulanti; dolori
intraperitoneale (pelvico, sottofrenico, "urenti" (eccetto da ulcera peptica); febbre
sottoepatico, laterale tra le anse) tifoide; radicolite
Ernia Esterna o interna (non complicata,
incarcerata, o strangolata)
Trauma (penetrante il Tutti i casi
peritoneo)

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Trauma (chiuso) Tutti i casi con segni peritoneali, Pazienti emodinamicamente stabili con
rottura traumatica del diaframma lavaggio peritoneale diagnostico o
tomografia computerizzata dell’addome,
negativi; tutti i casi senza segni peritoneali,
lacerazione splenica limitata in un bambino

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TABELLA 25–2. ANAMNESI DEI PAZIENTI CON DOLORE ADDOMINALE

Domanda Possibili risposte e indicazioni


Il dolore è iniziato di Cronico: lieve fastidio cronico, localizzato in un’area
recente o dura da (ulcera duodenale perforata o diverticolo perforato)
settimane, mesi, o
anni? Acuto: attacchi ricorrenti di grave dolore a tipo colica
(calcoli della colecisti, calcoli renali, subocclusione
intestinale causata da un tumore benigno, come un
carcinoide)
L’inizio è stato Improvviso: grave dolore improvviso che causa uno
improvviso? svenimento (ulcera perforata, pancreatite acuta,
aneurima rotto, rottura di una gravidanza ectopica nelle
donne)

Meno improvviso: dolore crampiforme seguito da un


grave dolore fisso (ostruzione intestinale da
strozzamento)
Quanto è durato il Dolore regredito prima dell’esame obiettivo (colica
dolore? epatica o renale); dolore iniziato violentemente, poi
diminuito e poi di nuovo aumentato (ulcera peptica
perforata con possibile peritonite)
Quanto è intenso il Dolore molto intenso (perforazione di un viscere nella
dolore? cavità peritoneale, aneurisma aortico rotto); dolore più
intenso di quanto giustificato dai reperti obiettivi (trombosi
o embolia dell’arteria o della vena mesenterica)
Dov’è localizzato il Dolore epigastrico (dolore gastrico, duodenale,
dolore? intestinale, colecistico, o pancreatico); dolore epigastrico
che si sposta nel quadrante inferiore destro (appendicite);
dolore renale (complicanze renali); dolore testicolare
(torsione testicolare)
Il dolore si irradia in Scapola destra (dolore colecistico); spalla sinistra (milza
qualche altra parte del rotta, pancreatite); pube o vagina (dolore renale); dorso
corpo? (aneurisma aortico rotto)
Com’è il dolore? Intenso dolore a pugnalata, soprattutto se associato a un
quadro di shock (emergenza); dolore urente (ulcere
peptiche); improvvise ondate di dolore acuto costrittivo
che "toglie il respiro" (colica biliare o renale); dolore
lacerante (aneurisma dissecante); dolore (appendicite);
dolore sordo in regione renale (pielonefrite); dolore a
colica che diventa fisso (appendicite, ostruzione
intestinale da strozzamento, un accidente vascolare
molto grave)

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Che cosa allevia il Antiacidi (malattia peptica ulcerosa); il camminare (colica


dolore? biliare); lo stare sdraiati il più fermi possibile (peritonite)
Quali altri sintomi si Il vomito precede il dolore ed è seguito dalla diarrea
associano al dolore? (gastroenterite); un grave vomito precede un intenso
dolore epigastrico, un dolore toracico o un dolore alla
spalla (perforazione da vomito dell’esofago intraaddomi
nale); vomito che si verifica una o due volte all’ora dopo
l’inizio del dolore (appendicite); vomito tardivo (ostruzione
intestinale acuta; sempre più tardivo in caso di ostruzione
più distale)

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TABELLA 27–1. FATTORI ALIMENTARI CHE POSSONO PEGGIORARE LA DIARREA

Fattore alimentare Fonte


Lattoso Latte, gelato, gelato di yogurt,
yogurt, formaggi leggeri,
cioccolato
Fruttoso (in quantità Succo di mela, succo di pera,
superiori alla capacità di uva, miele, datteri, noci, fichi,
assorbi mento bibite (specialmente al gusto di
dell’intestino) frutta)
Esitoli, sorbitolo e Succo di mela, succo di pera,
mannitolo gomme e mente senza zucchero
Sucroso Tavolette di zucchero
Antiacidi contenenti Mg Antiacidi
Caffeina Caffè, tè, cola, prodotti da banco
per la cefalea
Adattata da Bayless T: "Chronic diarrhea." Hospital practice
Jan. 15, 1989, p131; con autorizzazione.

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TABELLA 27-2. SOSTANZE USATE PER TRATTARE LA STIPSI

Agente Tipo Dosaggio Inizio Meccanismo d’azione Effetti collaterali Costo per
dell’azione uso*
Crusca Fibra Fino a 1 tazza/ Giorni Aumento della massa Meteorismo, Varia
die fecale, riduzione del flatulenza,
tempo di transito colico, malassorbimento di
aumento della motilità ferro e calcio
GI
Psillio Fibra Fino a 30g/die Giorni Stessi della crusca Meteorismo, +
in dosi flatulenza
frazionate di
2,5-7,5g
Metilcellulosa Fibra Fino a 6g/die in Giorni Stessi della crusca Minor meteorismo ++
dosi frazionate rispetto alle altre fibre
di 0,45-3g
Policarbofil Fibra 26 compresse/ Giorni Stessi della crusca Meteorismo, +
calcico die flatulenza
Docusato di Emolliente 100mg bid o tid 12-72h Stimolazione dell’AMP Inefficace nella stipsi +
sodio delle feci ciclico a secernere grave
acqua, Na e Cl nel lume
Sorbitolo Agente 15-30ml PO 24-48h Disaccaridi non Sapore dolciastro, +
iperosmolare della soluzione assorbibili metabolizzati crampi addominali
al 70% una o dai batteri colici in acido transitori, flatulenza
due volte/die; acetico e altri acidi
120ml della grassi a catena corta
soluzione al 25-
30% per via
rettale
Lattuloso Agente 10-20g (15- 24-48h Stesso del sorbitolo Stessi del sorbitolo +++
iperosmolare 30ml)/die o bid
Glicole Agente Fino a 3,8 l in 0,5-1h Aumento osmotico dei Incontinenza (causata ++++
polietilene iperosmolare un periodo di liquidi nel lume dalla potenza)
4h
Glicerina Supposte 2- Fino a una volta 0,25-1h Defecazione indotta Irritazione del retto +
3g tutti i giorni dalla stimolazione locale
del retto
Bisacodile Stimolante Supposte da 10 0,25-1h Simili agli antrachinoni Incontinenza, ++
mg fino a 3 ipokaliemia, crampi
volte/sett.; 5-15 addominali, bruciore
mg/ die PO rettale con l’uso
giornaliero delle
supposte
Antrachinoni Stimolante Dipende dalla 8-12h Alterazione del trasporto Degenerazione dei ++
marca usata degli elettroliti da parte plessi di Meissner e
dei fluidi nel lume, Auerbach,
stimolazione del plesso malassorbimento,
mioenterico, aumento crampi addominali,
della motilità disidratazione,
melanosi del colon
Fenolftaleina Stimolante 30-270 mg/die 6-8h Simili agli antrachinoni Rash, +
malassorbimento,
disidratazione

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Magnesio Lassativo 15-30ml/die o 1-3h Aumento osmotico dei Tossicità da +


salino bid; latte di liquidi nel lume del magnesio,
magnesio, 30- piccolo intestino, disidratazione, crampi
60ml/die; citrato stimolazione della addominali,
di magnesio, 11- colecistochinina, incontinenza
25g/die (fino a riduzione del tempo di
360ml) transito colico

Olio di Lubrificante 15-45ml 6-8h Lubrificazione delle feci Polmonite lipidica +++
vasellina esogena,
malassorbimento delle
vitamine liposolubili,
disidratazione,
incontinenza
Clistere con Clistere 100-250ml/die 6-8h Lubrificazione e Incontinenza, trauma +++
olio di per via rettale ammorbidimento delle meccanico
vasellina feci

Clistere con Clistere 500 ml per via 5-15min Defecazione indotta Trauma meccanico Solo per la
acqua di rettale dalla distensione del preparazione
rubinetto colon, lavaggio
meccanico
Clistere con Clistere 1U per via 5-15min Stesso del clistere con Danno progressivo +++
fosfati rettale acqua di rubinetto della mucosa rettale,
iperfosfatemia, trauma
meccanico
Clistere con Clistere 1500 ml per via 2-15min Stesso del clistere con Danno progressivo +++
acqua rettale acqua di rubinetto della mucosa rettale,
saponata iperfosfatemia, trauma
meccanico
*Il costo relativo è espresso, dal meno costoso (+) al più costoso (++++).

AMP=adenosina monofosfato.

Adattata da Romero Y, Evans JM, Fleming KC, Phillips SF: "Constipation and fecal incontinence in the elderly population."

Mayo Clinic Proceedings 71: 8192, 1996; con autorizzazione.

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TABELLA 30–1. CAUSE DI MALASSORBIMENTO

Meccanismo Malattia
Inadeguato Gastroenterostomia
mescolamento gastrico Gastrectomia sec. BillrothII
Fistola gastrocolica

Deficit degli agenti Pancreatite cronica


digestivi Fibrosi cistica
Insufficienza epatica cronica
Ostruzione biliare
Deficit di lattasi
Deficit di sucrasi-isomaltasi

Ambiente intestinale Sindrome di Zollinger-Ellison (basso pH


inadeguato duodenale)
Eccessiva crescita batterica anse cieche
(deconiugazione dei sali biliari)
Diverticoli

Anomalia epiteli ale Infezioni intestinali acute


acuta Neomicina
Alcol

Anomalia epiteli ale Malattia celiaca


cronica Sprue tropicale
Malattia di Whipple
Amiloidosi
Ischemia
Morbo di Crohn

Intestino corto Resezione intestinale per morbo di Crohn


Volvolo
Invaginazione
Infarto

Alterato trasporto Blocco linfatico---linfoma


Linfangiectasia
Morbo di Addison---
enzimi di trasporto?
Abetalipoproteinemia?

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TABELLA 30–2. ISTOLOGIA DIGIUNALE IN ALCUNI


DISORDINI DEL MALASSORBIMENTO

Disordine Caratteristiche istologiche


Normale Villi digitiformi con un rapporto villi:cripte di circa 4:1; cellule
epiteliali colon nari con numerosi microvilli normali (orletto a
spazzola); lieve infiltrazione di cellule rotonde nella lamina
propria
Morbo celiaco non Assenza quasi completa dei villi e delle cripte allungate;
trattato aumento delle cellule rotonde (specialmente plasmacellule)
nella lamina propria; cellule epiteliali cuboidali con microvilli
sparsi e irregolari
Sprue tropicale Alterazioni minime nell’altezza dei villi; moderato danno
cellulare epiteliale
Lieve
Grave Simile al morbo celiaco non trattato, eccetto che per la
predominanza dei linfociti nella lamina propria
Malattia di Whipple Lamina propria densamente infiltrata con macrofagi positivi
alla colorazione con l’acido periodico di Schiff; le strutture
villose possono essere obliterate nelle lesioni gravi
Linfangectasia Dilatazione e telangiectasia dei linfatici intramucosi
intestinale

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TABELLA 31–1. ELEMENTI CHE DIFFERENZIANO


IL MORBO DI CROHN E LA COLITE ULCEROSA

Morbo di Crohn Colite ulcerosa


Il piccolo intestino è interessato La malattia interessa solo il colon.
nell’80% dei casi.
Il tratto rettosigmoideo è di solito Il tratto rettosigmoideo è sempre
risparmiato; la porzione di colon interessato; la porzione di colon
interessata è solitamente quella interessata è solitamente quella
destra. sinistra.
La rettorragia è assente nel 15-25% La rettorragia è sempre presente.
dei casi.
Lo sviluppo di fistole, tumefazioni e Le fistole non si formano.
ascessi è frequente.
Le lesioni perianali sono significative Le lesioni perianali significative
nel 25-35% dei casi. non ci sono mai.
Alle rx, la parte intestinale è La parete intestinale è interessata
interessata in maniera asimmetrica e in modo simmetrico e continuo dal
segmentaria, con "aree libere" tra i retto in senso prossimale.
segmenti interessati.
L’aspetto endoscopico è irregolare, L’infiammazione è uniforme e
con ulcerazioni distinte, separate da diffusa.
segmenti di mucosa di aspetto
normale.
Infiammazione microscopica e L’infiammazione è confinata alla
fistolizzazione estesa per via mucosa ad eccezione dei casi
transmurale; le lesioni hanno spesso gravi.
una distribuzione altamente focale.
Granulomi epiteliodi (simil sarcoideo) Non sono presenti granulomi
presenti nella parete intestinale o nei epiteliali tipici.
linfonodi nel 25-50% dei casi
(patognomonici).

file:///F|/sito/merck/tabelle/03101.html02/09/2004 2.02.10
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TABELLA 37–1. INDICAZIONI ALLA BIOPSIA


EPATICA PERCUTANEA

Epatosplenomegalia da causa sconosciuta

Test di funzionalità epatica


inspiegabilmente anormali

Diagnosi e stadiazione dell’epatopatia


alcolica

Epatite da farmaci

Epatite atipica

Diagnosi e follow-up dell’epatite cronica

Colestasi intraepatica

Sospetta neoplasia maligna (lesioni


occupanti spazio)

Febbre di origine sconosciuta

A seguito di trapianto del fegato

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TABELLA 38–1. CLASSIFICAZIONE E CAUSE


PRINCIPALI DELL’IPERTENSIONE PORTALE

Classificazione Causa
Pre-epatica Trombosi della vena porta o della vena
splenica

Flusso portale aumentato: fistola


arterovenosa, splenomegalia massiva da
malattia ematologica primitiva

Epatica Presinusoidale: schistosomiasi, al tri


disordini periportali (p.es., cirro si biliare
primitiva, sarcoidosi, fi brosi epatica
congenita), iperten sione portale idiopatica

Sinusoidale: cirrosi (tutte le eziologie)

Postsinusoidale: malattia veno- occlusiva

Post-epatica Trombosi delle vene sovraepatiche


(sindrome di Budd-Chiari)

Ostruzione membranosa della vena cava


inferiore

Cause cardiache (p.es., pericardite


costrittiva, cardiomiopatia restrittiva)

file:///F|/sito/merck/tabelle/03801.html02/09/2004 2.02.11
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TABELLA 42–1. ALCUNE MALATTIE OD ORGANISMI


ASSOCIATI CON L’INFIAMMAZIONE EPATICA

Malattia o Manifestazioni
organismo
Virus
Epstein-Barr Mononucleosi infettiva. Epatite clinica con ittero nel 5-10% dei casi;
interessamento epatico sub-clinico negli altri. Importante causa di epatite
acuta nei giovani adulti.
Febbre gialla Ittero con segni di intossicazione sistemica, sanguinamento. Necrosi epatica
con scarsa reazione infiammatoria.
Cytomegalovirus Nei neonati: epatomegalia, ittero, difetti congeniti. Negli adulti: malattia simile
alla mononucleosi con epatite; si può verificare dopo le trasfusioni.
Altro Occasionalmente, epatite da virus dell’herpes simplex, reovirus, coxsackie-
virus, vi rus della rosolia, del morbillo o della varicella.
Batteri
Tubercolosi Frequente interessamento epatico. Infiltrazione granulomatosa. In genere,
decorso sub-clinico; raro l’ittero. Sproporzionato aumento della fosfatasi
alcalina.
Actinomicosi Reazione granulomatosa del fegato con ascessi necrotizzanti progressivi.
Ascessi piogenici Grave infezione acquisita per piemia portale, colangite o per diffusione
ematogena o diretta. Implicati vari organismi, specialmente gram - e
anaerobi. Il paziente è grave, con un quadro settico, ma con una lieve
disfunzione epatica. Vanno differenziati dagli ascessi amebici. Devono
essere drenati chirurgicamente o aspirati sotto guida ecografica.
Altro Epatite focale lieve in numerose infezioni sistemiche (frequente, di solito a
decorso sub-clinico).
Funghi
Istoplasmosi Granulomi nel fegato e nella milza, di solito subclinici, che guariscono con
calcificazioni residue.
Altro Infiltrazione granulomatosa talora in corso di criptococcosi,
coccidioidomicosi, blastomicosi, ecc.
Protozoi
Amebiasi Malattia importante, spesso senza un’importante dissenteria. Di solito, un
solo, grosso ascesso con liquefazione. Paziente grave; epatomegalia
dolente, disfunzione epatica sorprendentemente lieve. Deve essere
differenziato dagli ascessi piogenici.
Malaria Causa importante di epatosplenomegalia nelle aree endemiche. Ittero
assente o lieve, a meno che non ci sia un processo di emolisi attiva.
Toxoplasmosi Infezione transplacentare. Nei neonati: ittero, manifestazioni sistemiche e a
carico del SNC.
Kala-azar Infiltrazione del sistema reticoloendoteliale da parte del parassita.
Epatosplenomegalia.

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Elminti
Schistosomiasi Reazione granulomatosa periportale alle uova, con progressiva
epatosplenomegalia, fibrosi, ipertensione portale e varici. Conservata la
funzione epatocellulare; non è una vera cirrosi.
Clonorchiasi Infestazione della via biliare; colangite, calcoli, colangiocarcinoma.
Fascioliasi Acuta: epatomegalia dolente, febbre, eosinofilia. Cronica: fibrosi biliare,
colangite.
Echinococcosi Una o più cisti idatidee, di solito, con contorni calcifici. Possono essere
grandi, ma spesso sono asintomatiche; la funzione epatica è conservata. Si
possono rompere nella cavità addominale o nella via biliare.
Ascaridiasi Ostruzione biliare causata dai vermi adulti e granulomi parenchimali causati
dalle larve.
Toxocariasi Sindrome della larva migrans viscerale. Epatomegalia con granulomi,
eosinofilia.
Spirochete
Leptospirosi Febbre acuta, prostrazione, ittero, sanguinamento, danno renale. Necrosi
epatica spesso modesta, nonostante l’ittero grave.
Sifilide Congenita: epatosplenomegalia neonatale, fibrosi. Acquisita: epatite
variabile nella stadio secondario, gomme con cicatrici irregolari nello stadio
terziario.
Febbre ricorrente Infestazione da Borrelia. Sintomi sistemici, epatomegalia, talvolta ittero.
Sconosciuto
Sarcoidosi Comune l’infiltrazione granulomatosa, di solito a decorso sub-clinico; raro
l’ittero. A volte infiammazione progressiva con cicatrizzazione, ipertensione
portale.
Epatite Infiammazione granulomatosa cronica attiva non legata a cause note
granulomatosa (variante della sarcoidosi?). Possono dominare i sintomi sistemici, con
idiopatica febbre e malessere.
Colite ulcerosa Ampio spettro di epatopatie, specialmente nella colite ulcerosa. Si può avere
morbo di Crohn una fl ogosi periportale (pericolangite), una colangite sclerosante, un
colangiocarcinoma, un’epatite autoimmune. Scarsa correlazione con l’attività
o con il trattamento del disordine intestinale.

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TABELLA 42–2. CARATTERISTICHE DEI VIRUS DELL’EPATITE

Virus
Virus Virus Virus Virus Virus Epatite
Epatite A Epatite B Epatite C Epatite D Epatite E G
Fattore

Acido nucleico RNA DNA RNA * RNA RNA


Diagnosi IgM anti- HA HBsAg Anti- HCV Anti- HDV Anti-HEV
sierologica
Principale via di Oro-fecale Sangue Sangue Ago Acqua ?
trasmissione
Epidemie Si No No No Si ?
Cronicità No Si Si Si No Si
Cancro del fegato No Si Si Si No ?
*RNA incompleto, necessita della presenza del virus dell’epatite B per replicarsi.

HBsAg=antigene di superficie dell’epatite B; =non disponibile; ?=sconosciuto.

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TABELLA 49-1. CARATTERISTICHE DIFFERENZIALI DELLA MANO NELL’ARTRITE


REUMATOIDE E NELL’OSTEOARTROSI

Criteri Artrite reumatoide Osteoartrosi


Carattere della tumefazione Sinoviale, capsulare, Ossea con speroni
da "tessuti molli"; irregolari; cisti molli
ossea soltanto nelle occasionali
fasi avanzate
Dolorabilità Abituale Assente o minima tranne
che nell’occasionale
esordio acuto
Interessamento Insolito, tranne che nel Abituale
interfalangeo distale pollice
Interessamento Abituale Frequente
interfalangeo prossimale
Interessamento Abituale Raro
metacarpofalangeo
Interessamento del polso Abituale o frequente Raro, tranne che alla
base del pollice (prima
articolazione
metacarpofalangea)
Adattata da Bilka P.J.: "Physical examination of the arthritic patient" Bulletin on
the Rheumatic Diseases 20: 596-599, 1970, Riproduzione autorizzata da The
Arthritis Foundation.

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TABELLA 49-2.CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE REUMATICHE

I. Malattie diffuse del tessuto connettivo

A. Artrite reumatoide

B. Artrite giovanile

1. Esordio sistemico

2. Esordio poliarticolare

3. Esordio oligoarticolare

C. Lupus eritematoso sistemico

D. Sclerodermia diffusa e forme limitate di sclerodermia

E. Polimiosite o dermatomiosite

F. Vasculite necrotizzante ed altre vasculopatie

1. Gruppo della poliarterite nodosa (comprese l‘arterite


associata ad epatiteB, la poliarterite cutanea, la
granulomatosi allergica di Churg- Strauss)

2. Vasculiti da ipersensibilità (compresa la porpora di


Schönlein-Henoch)

3. Granulomatosi di Wegener

4. Arterite a cellule giganti

a. Arterite temporale

b. Arterite di Takayasu

5. Sindrome dei linfonodi mucocutanei (sindrome di


Kawasaki)

6. Sindrome di Behçet

7. Crioglobulinemia (comprese le forme associate ad


epatiteB e C)

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Manuale Merck - Tabella

8. Dermatomiosite giovanile

G. Sindrome di Sjögren

H. Sindromi da sovrapposizione ("overlap syndromes", compresa la


malattia mista del tessuto connettivo)

I. Altre (compresa la polimialgia reumatica, l‘eritema nodoso, la


policondrite recidivante)

II. Artriti associate a spondilite

A. Spondilite anchilosante

B. Sindrome di Reiter (artrite reattiva); post-dissenterica-Shigella,


Salmonella, Yersinia ed altri; post-uretrite-Chlamidia, Ureoplasma

C. Artrite psoriasica

D. Artrite associata a malattia infiammatoria cronica dell‘intestino

E. Spondilartropatia sieronegativa associata ad AIDS

III. Malattie articolari degenerative (osteoartrosi, malattie


degenerative articolari)

A. Primarie (comprende l‘osteoartrosi erosiva)

B. Secondarie

IV. Artriti, tenosinoviti e borsiti associate ad agenti infettivi

A. Dirette

1. Batteriche

a. Cocchi gram+ (stafilococco, altri)

b. Cocchi gram (gonococco, altri)

c. Bacilli gram

d. Micobatteri

e. Spirochete (compresa la sifilide, la malattia di

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Lyme)

f. Altri

2. Virali

3. Fungine

4. Parassitarie

5. Di origine sconosciuta o sospetta (malattia di Whipple)

B. Indirette o inspiegate (reattive o da complessi immuni); batteriche


(compresa la febbre reumat ica acuta, i bypass intestinali)

V. Malattie endocrine e metaboliche associate a patologie reumatiche

A. Malattie da cristalli

1. Urato monosodico (gotta)

2. Pirofosfato di calcio diidrato (pseudogotta,


condrocalcinosi)

3. Idrossiapatite

4. Ossalato

B. Anomalie biochimiche

1. Amiloidosi

2. Deficienza di vitaminaC (scorbuto)

3. Condizioni di deficit di enzimi specifici (compresa la


malattia di Fabry, l‘alcaptonuria, l‘ocronosi, la sindrome di
Lesch-Nyhan, malattia di Gaucher)

4. Iperlipoproteinemie (tipi II, IIa, IV)

5. Mucopolisaccaridosi

6. Emoglobinopatie (HbS, altre)

7. Patologie vere del tessuto connettivo (Ehlers- Danlos,

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Manuale Merck - Tabella

Marfan, pseudoxanthoma elasticum, altre)

8. Emocromatosi

9. Malattia di Wilson

10. Altre

C. Malattie endocrine

1. Diabete mellito

2. Acromegalia

3. Iperparatiroidismo

4. Malattie della tiroide (ipertiroidismo, ipoti roidismo,


tiroidite)

5. Altre

D. Sindromi da immunodeficienza (immunodefi cienza primaria, AIDS)

E. Altre malattie ereditarie

1. Artrogriposi congenita multipla

2. Sindromi da ipermobilità

3. Miosite ossificante progressiva

VI. Tumori

A. Primitivi (sinovioma)

B. Metastatici

C. Mieloma multiplo

D. Leucemia e linfomi

E. Sinovite villonodulare pigmentosa

F. Osteocondromatosi

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Manuale Merck - Tabella

G. Altri

VII. Malattie neurologiche

A. Articolazioni di Charcot

B. Neuropatie da compressione

1. Intrappolamento periferico (sindrome del tun nel carpale,


altre)

2. Radicolopatie

3. Stenosi vertebrale

C. Distrofia simpatica riflessa

D. Altre

VIII. Malattie ossee e cartilaginee associate a manifestazioni articolari

A. Osteoporosi

1. Generalizzata

2. Localizzata (distrettuale)

B. Osteomalacia

C. Osteoartropatia ipertrofica

D. Iperostosi idiopatica diffusa dello scheletro (compresa l‘iperostosi


anchilosante della colonna vertebrale)

E. Osteite

1. Generalizzata (osteite deformante malattia di Paget


ossea)

2. Localizzata (osteite condensante dell‘ileo; osteite del


pube)

F. Osteonecrosi, necrosi avascolare

G. Osteocondrite (malattia di Legg-Calvé-Perthes, malattia di

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Manuale Merck - Tabella

Scheuermann)

H. Displasie ossee ed articolari

I. Lussazione dell‘epifisi femorale

J. Osteolisi e condrolisi

K. Osteocondrite (comprende la sindrome di Tietze)

L. Osteomielite

IX. Reumatismi non articolari

A. Sindrome del dolore miofasciale

1. Generalizzata (fibrosite, fibromialgia)

2. Distrettuale

B. Lombalgia e lesioni dei dischi intervertebrali

C. Tendiniti (tenosinoviti) e/o borsiti

1. Borsite sottoacromiale/sottodeltoidea

2. Tendinite del bicipite, tenosinovite

3. Borsite olecranica

4. Epicondilite laterale o mediale dell‘omero

5. Tenosinovite di de Quervain

6. Capsulite adesiva della spalla (spalla congelata)

7. Dito (indice) "a grilletto"

D. Cisti gangliari

E. Fascite

F. Stiramento cronico dei legamenti e dei muscoli

G. Disturbi vasomotori

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Manuale Merck - Tabella

1. Eritromelalgia

2. Malattia o fenomeno di Raynaud

H. Sindromi dolorose varie (particolare sensibilità agli agenti atmosferici,


sindromi psicogene)

I. Altre miopatie

X. Malattie varie frequentemente associate ad artrite

A. Traumi (diretto)

B. Malattia pancreatica

C. Sarcoidosi

D. Reumatismo palindromico

E. Idrartro intermittente

F. Emofilia

G. Eritema nodoso

H. Sindrome di Weber-Christian

I. Fasciti eosinofile diffuse (comprese le forme in relazione al triptofano)

J. Malattia di Still dell‘adulto

K. Reticuoloistiocitosi multicentrica

L. Febbre mediterranea familiare

M. Sindrome di Goodpasture

N. Amiloidosi associata alla dialisi ed altre sindromi

O. Sinovite da corpi estranei

P. Acne ed idrosadenite suppurativa

Q. Pustulosis palmaris et plantaris

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R. Sindrome di Sweet

S. Sindrome da anticorpi antifosfolipidi

T. Anomalia interna delle articolazioni


(comprende la condromalacia della rotula, i corpi liberi)

U. Epatite cronica attiva

V. Altre sindromi reumatiche indotte da farmaci

AIDS=Sindrome da immunodeficienza acquisita.

Adattata da Decker JL, et al: "American Rheumatism Association Nomenclature


and Classification of Arthritis and Rheu matism (1983)" Arthritis Rheumatism vol.
26, 1983; Riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 49-3. CLASSIFICAZIONE DEI VERSAMENTI SINOVIALI

Normale Non Infiammatorio Settico


infiammatorio
Esame
macroscopico:
Viscosità Alta Alta Bassa Variabile

Colore Assente Giallo Giallo Variabile

Trasparenza* Trasparente Trasparente Traslucente Opaca

Esami di
laboratorio di
routine
Conta GB† <200/µl 200-2000/µl 2000-100000/ µl >100000/
µl
PMN%† <25 <25 >50 >75

Coltura Negativa Negativa Negativa Spesso


positiva
*Versamenti torbidi od opachi possono anche essere prodotti da cristalli,
frammenti di tessuto, amiloide, e GB.

†La conta dei GB e la % dei PMN nell’artrite settica sono più basse se il
microrganismo è meno virulento o parzialmente trattato. Alcuni versamenti nel
Lupus eritematoso sistemico ed in altre malattie del collagene sono infiammatori
in modo ambiguo, con una conta di GB di 500-2000/ml.

GB=globuli bianchi; PMN=leucociti polimorfonucleati.

Adattata da Gatter R, Schumacher HR: A Practical Handbook of Joint Fluid


Analysis. Philadelphia, Lea & Fabiger, 1991; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 49-4. DIAGNOSI DIFFERENZIALE BASATA SULLA CLASSIFICAZIONE DEL


LIQUIDO SINOVIALE (CLASSIFICAZIONE PARZIALE)

Non infiammatorio Infiammatorio Settico Emorragico


Amiloidosi Sinovite acuta da Infezioni Terapia
cristalli (gotta e batteriche anticoagulante
Sindrome di Ehlers-Danlos pseudogotta)
Emangioma
Osteoartropatia polmonare Spondilite anchilosante
ipertrofica Emofilia
Malattia di Lyme
Malattie metaboliche che Artropatia neurogena
causano osteoartrosi Infezioni batteriche (neuropatica)
poco virulente o
Artropatia neurogena parzialmente trattate Sinovite villonodulare
(neuropatica) pigmentosa
Artrite psoriasica
Osteoartrosi Scorbuto
Artrite reattiva Trombocitopenia
Osteocondrite dissecante
Osteocondromatosi Enterite regionale Trauma con o senza
frattura
Malattia drepanocitica Sindrome di Reiter
Infiammazione in fase di Tumore
remissione o nelle prime fasi Artrite reumatoide

Colite ulcerosa

Traumi
Sclerosi Sistemica Progressiva

Febbre reumatica

Lupus Eritematoso Sistemico

Adattata da Gatter R, Schumacher HR: A Practical Handbook of Joint Fluid Analysis.


Philadelphia, Lea & Fabiger, 1991; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 50-1. CRITERI DIAGNOSTICI RIVISTI


DELL’ARTRITE REUMATOIDE (1987)

Quattro dei seguenti criteri devono essere presenti per


classificare i pazienti come affetti da AR:

Rigidità mattutina per 1h.*

Artrite a carico di 3 o più articolazioni*

Artrite delle articolazioni della mano (polso,


metacarpofalangea o delle articolazioni
interfalangee prossimali)*

Artrite simmetrica*

Noduli reumatoidi

Presenza del FR sierico (con una metodica che


dia risultati positivi in<5% dei soggetti sani di
controllo)

Alterazioni radiografiche (alterazioni rx della


mano tipiche per l’AR, che devono comprendere
processi d’erosione o una chiara
decalcificazione ossea)

*Deve essere presente per almeno 6 sett.


AR=artrite reumatoide.
Adattata da Arnett FC, Edworthy S, Block DA, et al:
"The American Rheumatism Association 1987 revised
criteria for the classification of rheumatoid arthritis."
Arthritis Rheuma tism 31:315-324, 1988; riproduzione
autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 50-2. TERAPIA CON FARMACI ANTIINFIAMMATORI


NON STEROIDEI DELL’ARTRITE REUMATOIDE

Dose
giornaliera
massima
Farmaco Dosaggio Abituale raccomandata
Diclofenac 75mg bid o 50mg tid, 100mg 150mg
una volta/die retard
Fenoprofene 300-600mg qid 3200mg

Flurbiprofene 100mg bid o tid 300mg

Ibuprofene 400-800mg qid 3200mg

Indometacina 25mg da tid a qid, 75mg bid 200mg


retard
Ketoprofene 50-75mg qid, 200mg una volta/ 300mg
die retard
Meclofenamato 50mg tid o qid 300mg

Nabumetone 1000-2000mg/die in dose unica 2000mg


o frazionata
Naprossene 250-750mg bid 1250mg

Oxaprozin 1200mg una volta/die 1200mg

Piroxicam 20mg una volta/die 20mg

Sulindac 150-200mg bid 400mg

Tolmetin 400mg tid 1600mg

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 50-3. CRITERI DELL’AMERICAN COLLEGE


OF RHEUMATOLOGY PER LA CLASSIFICAZIONE
DEL LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO*

Per la classificazione del lupus eritematoso


sistemico, si richiedono almeno 4 dei seguenti
reperti:

Rash malare

Rash discoide

Fotosensibilità

Ulcere orali

Artrite

Sierosite

Disordini renali

Leucopenia (<4000/µl), linfopenia


(<1500/µl), anemia emolitica, o
trombocitopenia (<100000/ µl)

Disordini neurologici

Anticorpi anti-DNA, anticorpi anti-Sm, o


evidenza di anticorpi antifosfolipidi (con
uno dei molteplici test)

Anticorpi antinucleari a titolo elevato

*Questi non sono criteri per la diagnosi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 50-4. PROTOCOLLO PER LA CHEMIOTERAPIA


CON CICLOFOSFAMIDE E MESNA PER VIA ENDOVENOSA

Da effettuarsi sotto costante supervisione, in relazione alla


tolleranza, nel corso dell’intera procedura.

1.Utilizzare 50 ml di soluzione fisiologica, con ondansetron 10 mg


e desametasone 10 mg ed infondere in 10-30 min.

2.Utilizzare 250 ml di soluzione fisiologica, con mesna 250 mg ed


infondere in 1h.

3.Utilizzare 250 ml di soluzione fisiologica, con ciclofosfamide 500


mg e infondere in 1h. Il paziente deve aspettare 2h prima di
cominciare la seconda dose di mesna.

4.Utilizare 250 ml di soluzione fisiologica, con mesna 250 mg e


infondere insieme con 500 ml di soluzione fisiologica usando
differenti accessi venosi (p.es., 500 ml di soluzione fisiologica in
bolo). Il paziente deve assumere ondansetron 8 mg PO il mattino
successivo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 50-5. CARATTERISTICHE INFIAMMATORIE


E DI PRESENTAZIONE DI ALCUNE MALATTIE VASCULITICHE

Malattia o Tipo di infiammazione Presentazione


Disordine clinica
Sindrome di Infiammazione prevalente della Porpora
Henoch-Schonlein, venula post-capillare con palpabile
setticemia da infiltrazione neutrofila che
Pseudomonas, conduce al tipico aspetto
vasculite indotta da istologico di angite leucocitoclas
farmaci tica
Eritema nodoso Infiammazione vascolare del Papule rosse,
pannicolo dermico profondo, dolenti,
mediata prevalentemente da profonde,
linfociti settali perivascolari indurate sulle
braccia e sulle
gambe
Poliarterite nodosa Infiammazione delle arterie Febbre,
muscolari di medio calibro con malessere,
caratteristiche istologiche di un ulcere cutanee
infil trato pleomorfo transmurale, necrotiche,
necrosi fibrinoide, distruzione perdita di peso,
della lamina elastica interna e for mononeurite
mazione di aneurismi multipla o una
postinfiammatori catastrofe
vascolare
Arterite temporale Infiammazione largamente Grave cefalea
confinata all’albero carotideo
extracranico e associata con un
infiltrato linfocitico e la formazione
di cellule giganti aggregate
intorno alla parte luminale della
lamina elastica interrotta
Arterite di Takayasu Infiammazione dei grandi vasi Perdita dei
centrali (p.es. aorta e le sue polsi principali
branche), mediata principalmente con o senza
da infiltrazione linfocitica ipertensione da
dell’avventizia o della media e occlusione
formazione di cicatrici fibrose con dell’arteria
tendenza alla stenosi post- renale
infiammatoria

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 52-1. PATOLOGIE ASSOCIATE ALL’ARTROPATIA NEUROGENA

Diabete mellito

Tabe dorsale

Siringomielia

Malformazione d’Arnold-Chiari

Spina bifida con


mielomeningocele (nei bambini)

Lebbra

Tumori e traumi dei nervi periferici


e del midollo spinale

Malattia degenerativa del midollo


spinale con compressione delle
radici nervose

Degenerazione subacuta del


midollo spinale

Neuropatia da amiloidosi
(amiloidosi secondaria)

Gigantismo con neuropatia


ipertrofica

Insensibilità congenita al dolore

Neuropatie familiari-ereditarie:

Atrofia muscolare
peroneale (malattia di
Charcot- Marie-Tooth)

Neuropatia sensoriale
ereditaria

Neuropatia ipertrofica
interstiziale (malattia di

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Manuale Merck - Tabella

Dejerine-Sottas)

Disautonomia familiare
(sindrome di Riley-Day)

Polineuropatia familiare da
amiloidosi

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 53-1. CONDIZIONI ASSOCIATE A NECROSI AVASCOLARE

Associazione definita

Frattura del collo femorale

Dislocazione d’anca

Malattia da decompressione

Malattia drepanocitica
("sickle cell")

Radioterapia

Malattia di Gaucher

Terapia corticosteroidea ad
alte dosi

Associazione possibile

Lupus eritematoso
sistemico

Trapianto renale

Policitemia vera

Sindrome di Cushing

Diabete mellito

Arteriosclerosi

Chemioterapia citotossica

Abuso di alcol

Steatosi epatica

Psoriasi

Pancreatite

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Manuale Merck - Tabella

Cancro del pancreas

Gotta

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 54-1. FATTORI DI RISCHIO PER ARTRITE INFETTIVA

Età avanzata (50% dei casi negli adulti si verificano in età


>60anni)

Alcolismo

Anemia

Artrocentesi o intervento chirurgico

Malattia medica cronica (p.es., malattia polmonare o epatica)

Diabete

Emofilia

Immunodeficienza, compreso il virus dell’im munodeficienza


umana

Terapia immunosoppressiva, compresi i corti costeroidi

Tossicodipendenza (specialmente nelle grandi aree urbane)

Tumori

Impianto di protesi articolari

Insufficienza renale

Artrite reumatoide

Malattia drepanocitica ("sickle cell")

Infezioni cutanee

Lupus eritematoso sitemico

file:///F|/sito/merck/tabelle/05401.html02/09/2004 2.02.15
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 55-1. ESAME MICROSCOPICO DEI CRISTALLI

Tipo di cristallo Birifrangenza Allungamento* Forma Lunghezza


Cristalli di urato Forte Negativo Ad ago o 2-15µm
monosodico bacchetta
Cristalli di Debole Positivo Romboidali, 2-15µm
pirofosfato di squadrati o a
calcio diidrato bacchetta
Cristalli di Debole o forte Positivo o Bipiramidali 5-30µm
ossalato di indeterminato
calcio†
Cristalli di Non Brillanti, simili a 3-65µm
fosfato di calcio birifrangenti monete o
basico‡ con la luce leggermente
polarizzata irregolari
*I cristalli che hanno un allungamento negativo sono gialli paralleli all’asse di
vibrazione lenta segnata sul compensatore; l’allungamento positivo appare blu nella
stessa direzione.

†Si verificano primariamente in pazienti con insufficienza renale.

‡Possono essere marcati con alizarina rossa S per confermare che contengono
calcio.

file:///F|/sito/merck/tabelle/05501.html02/09/2004 2.02.15
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TABELLA 60-1. CLASSIFICAZIONE E TERAPIA


DELLE DISTORSIONI DELLA CAVIGLIA

Classificazione Tipo di Sintomi e segni Terapia


distorsione
Grado1 Distorsione lieve Lieve dolorabilità con Legatura con bendaggi
o minima senza scarsa tumefazione elestici o garza;
strappo dei immobilizzazione con
legamenti gambaletto di pasta di
Unna; sollevamento
seguito da esercizio
leggero e deambulazione
Grado2 Distorsione Tumefazione Immobilizzazione in gesso
moderata con evidente, ecchimosi, per 3 sett.
rottura difficoltà alla
incompleta o deambulazione
parziale
Grado3 Strappo Tumefazione, Immobilizzazione in gesso
completo dei emorragia, instabilità o intervento chirurgico
legamenti della caviglia,
incapacità a
camminare

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 60-2. DISORDINI ASSOCIATI A TALALGIA


IN BASE ALLA LOCALIZZAZIONE DEL DOLORE

Localizzazione del dolore Disordini associati


Superficie plantare del tallone Sindrome dello sperone calcaneare
(fascite plantare)
Margine mediale e laterale del tallone (nei Epifisite del calcagno (malattia di Sever)
bambini)
Posteriore al tendine di Achille Borsite posteriore del tendine di Achille
(deformazione di Haglund)
Anteriore al tendine di Achille a livello dello Frattura del tubercolo talare postero-
spazio retromalleolare laterale Borsite

(borsite retromalleolare, borsite anteriore


del tendine di Achille)

Nevralgia del nervo tibiale posteriore


Inserzione calcaneare del tendine di Achille Sindrome da abuso (negli atleti)

Irrigidimento della corda del tallone


secondario ad anormale struttura e
funzione del piede

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TABELLA 62-1. SPORT ALTERNATIVI DOPO UNA LESIONE TRAUMATICA

Siti della lesione Sport alternativi


Gamba e piede Ciclismo, nuoto, sci, canottaggio,
pattinaggio su ghiaccio o a rotelle
(talvolta)
Parte superiore Jogging in piano o su trampolino,
dell’arto inferiore nuoto, canottaggio (talvolta)
Parte inferiore della Ciclismo, nuoto
schiena
Spalla e braccio Jogging, pattinaggio su ghiaccio o
a rotelle, sci

file:///F|/sito/merck/tabelle/06201.html02/09/2004 2.02.16
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TABELLA 62-2. ESERCIZIO DEL "MANICO DI SECCHIO"

1.Avvolgere un panno attorno al


manico di un secchio vuoto.

2.Sedere su un tavolo alto


abbastanza da non far toccare i
piedi al suolo.

3.Posizionare il manico del


secchio sulla porzione anteriore
della scarpa.

4.Sollevare lentamente
l’avampiede estendendo (flettendo
dorsalmente) la caviglia, quindi
flettere (plantarmente) lentamente.
Eseguire l’esercizio 10 volte,
facendo seguire alcuni secondi di
riposo, quindi effettuare altre 2
serie da 10 ripetizioni.

5.Per aumentare lo sforzo,


aggiungere dell’acqua nel secchio
ma non in quantità tale da provare
dolore nell’esecuzione
dell’esercizio.

Modificata da Mirkin G, Shangold


M: The Complete Sports Medicine
Book for Women. New York,
Simon & Schuster, 1985, p96;
riproduzione autorizzata da The
Miller Press.

file:///F|/sito/merck/tabelle/06202.html02/09/2004 2.02.16
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TABELLA 62-3. SOLLEVAMENTI SULLE DITA


E ROTAZIONI ESTERNE

Sollevamenti sulle dita

In posizione eretta sollevarsi


lentamente sulle dita dei piedi e
poi ridiscendere lentamente con i
talloni a terra. Eseguire
quest’esercizio 10 volte, facendo
seguire 1min di riposo e quindi
effettuando altre 2 serie di 10
ripetizioni. Quando l’esercizio
viene eseguito con facilità,
utilizzare dei pesi da tenere nelle
mani sempre più pesanti.

Rotazioni esterne

In posizione eretta ruotare


lentamente le caviglie all‘esterno
(pronare le caviglie, portare il
piede in eversione) in modo da
sollevare la porzione mediale della
pianta del piede dal suolo, quindi
riportarla lentamente a toccare di
nuovo il suolo. Eseguire 3 serie di
10 ripetizioni.

file:///F|/sito/merck/tabelle/06203.html02/09/2004 2.02.16
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 62-4. ESERCIZI PER RINFORZARE IL VASTO MEDIALE

In posizione eretta con entrambe le ginocchia estese (il


quadricipite deve essere contratto e la rotula sollevata).
Mantenere questa posizione per 10 s, quindi rilasciare il muscolo.
Ripetere frequentemente l’esercizio nell’arco della giornata.

Sedere a terra con le ginocchia estese e le gambe bene aperte.


Le punte dei piedi devono essere ruotate il più lateralmente
possibile, quindi sollevare ed abbassare lentamente la gamba
interessata mantenendo il ginocchio esteso. Effettuare 3 serie di
10 ripetizioni a sere alterne.

Sedere a terra con 2 cuscini sotto il ginocchio, per ottenere una


flessione di 135°. Posizionare un peso di 2 kg sulla caviglia;
sollevare lentamente il piede fino ad estendere il ginocchio, quindi
abbassare lentamente il piede. Effettuare 3 serie di 10 ripetizioni.
Aumentare la difficoltà dell’esercizio aumentando il peso, non il
numero delle ripetizioni.

Modificata da Mirkin G, Shangold M: The Complete Sports


Medicine Book for Women. New York, Simon & Schuster, 1985,
p.101; riproduzione autorizzata da The Miller Press.

file:///F|/sito/merck/tabelle/06204.html02/09/2004 2.02.16
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TABELLA 62-5. ESERCIZI PER RINFORZARE


I MUSCOLI POSTERIORI DELLA COSCIA

Per rinforzare i muscoli posteriori della coscia, in


particolare gli alti (dopo uno stiramento prossimale
dei muscoli posteriori della coscia):

Posizionare un peso da 2kg al piede, distendersi su un


letto in posizione prona, con la parte del corpo al di sotto
della cintura al di fuori del letto; le dita dei piedi devono
toccare il pavimento. La gamba deve essere sollevata ed
abbassata lentamente a gi nocchio esteso. Effettuare 3
serie di 10 ripetizioni a giorni alterni. Man mano che la
forza aumenta vanno usati pesi maggiori.

Per rinforzare i muscoli posteriori della coscia, in


particolare i bassi (dopo uno stiramento distale dei
muscoli posteriori della coscia):

Posizionare un peso da 2 kg al piede del lato affetto,


quindi stare in posizione eretta sul piede controlaterale. Il
piede col peso (lato affetto) va sollevato lentamente fino
alle natiche flettendo il ginocchio e quindi abbassato al
suolo estendendolo. Effettuare 3 serie di 10 ripetizioni a
giorni alterni. Man mano che la forza aumenta, vanno
usati pesi maggiori.

Modificata da Mirkin G, Shangold M: The Complete


Sports Medicine Book for Women. New York, Simon &
Schuster, 1985, p.102; riproduzione autorizzata da The
Miller Press.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 62-6. ESERCIZI PER IL RACHIDE LOMBARE

Nutazioni pelviche (per appianare Il "cigno" (esercizi per elasticizzare la


l’iperlordosi lombare) colonna)

1. Distendersi sulla schiena con le 1. Distendersi prono, con i gomiti


ginocchia flesse e le piante dei piedi a flessi e le mani che toccano le
terra. orecchie.

2. Mettere il peso sui talloni. 2. Sollevare contemporaneamente


le gambe e le spalle da terra. Le
3. Abbassare le reni in modo da ginocchia non devono essere
toccare il suolo e sollevare la parte piegate. Se provoca dolore,
inferiore del bacino di 11,5 cm dal l’esercizio va interrotto subito.
suolo (ruotando il bacino verso l’alto).
3. Mantenere la posizione per 10
4. Contrarre i muscoli addominali. s. ripetere 20 volte. L‘esercizio va
effettuato giornalmente.
5. Mantenere la posizione per 10 s e
ripetere 20 volte. L‘esercizio va Esercizi di rinforzo del quadricipite
effettuato ogni giorno.
Stretching dei muscoli anteriori della
Esercizi di rinforzo dei dorsali coscia (stretch del muscolo retto del
---utilizzare un vogatore. femore)

"Curls" addominali (per rinforzare i muscoli 1. Stare in posizione eretta con un


addominali) piede a terra ed il ginocchio
dell’altra gamba flesso a 90°.
1. Stendersi sulla schiena con le
ginocchia flesse. 2. Stringere la caviglia della gamba
piegata con la mano dello stesso
lato.
2. Mettere le mani sull’addome.

3. Tirare la caviglia, mantenendo le


3. Sollevare lentamente la testa
ginocchia a contatto tra di loro.
mantenendo le spalle a terra.

4. Mantenere la posizione per 10 s.


4. Sollevare lentamente le spalle di
circa 25 cm e quindi riabbassarle
lentamente. 5. Ripetere con l’altra gamba.

5. Effettuare 3 serie di 10ripetizioni. 6. Ripetere 10 volte.

6. Quando l’esercizio diventa troppo Ginocchia al petto (stretch dei muscoli


facile, avvolgere un peso in un panno posteriori della coscia e inarcamento
e mantenerlo con le mani dietro al lombare della colonna)

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collo. Aumentare il peso man mano


1. Distendersi sulla schiena con le
che la forza aumenta.
ginocchia flesse a 90° e le piante a
terra.
Flessioni del tronco in posizione seduta
(stretching dei dorsali)
2. Mantenendolo flesso, prendere
un ginocchio con ambo le mani e
1. Sedere a terra con le ginocchia portarlo al petto.
estese e le gambe il più aperte
possibile.
3. Mantenere la posizione per 10
s; abbassare lentamente la gamba
2. Mettere entrambe le mani su un e ripetere l’esercizio con l’altra.
ginocchio.
4. Ripetere 10 volte.
3. Muovere lentamente le mani lungo
la gamba fino alla caviglia.
Interrompere se l’esercizio provoca
dolore

4. Rilasciare lentamente e ripetere con


l’altra gamba. L‘esercizio va ripetuto
10 volte.

Modificata da Mirkin G, Shangold M: The Complete Sports Medicine Book for Women.
New York, Simon & Schuster, 1985, pp105-107. riproduzione autorizzata da The Miller
Press.

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TABELLA 62-7. ESERCIZI PER RINFORZARE


GLI ESTENSORI DEL POLSO

1. Sedere su una sedia vicino a un tavolo.

2. Poggiare l’avambraccio sul tavolo con il palmo


verso il basso, il gomito esteso e la mano e il polso
sporgenti oltre il ciglio.

3. Tenere un peso da ½ kg nella mano.

4. Sollevare e abbassare lentamente la mano


flettendo ed estendendo il polso.

5. Eseguire l’esercizio 10 volte, riposarsi per 1min


e quindi effettuare altre 2 serie da 10 ripetizioni (va
interrotto subito se provoca dolore e ritentato
nuovamente dopo 2 giorni l’esercizio va effettuato
a giorni alterni).

6. Man mano che l’esercizio diventa più facile, il


peso nella mano va aumentato.

Poi,

1. Con i palmi verso il basso, avvolgere un peso da


½ kg attaccato con una fune ad un bastone di
legno del diametro di un manico di scopa.

2. Ripetere per 10 volte, ma interrompere se si


avverte dolore; l’esercizio va effettuato a giorni
alterni.

3. Aumentare gradualmente il peso. Il numero di


ripetizioni non va aumentato.

Modificata da Mirkin G, Shangold M: The Complete


Sports Medicine Book for Women. New York,
Simon & Schuster, 1985, p. 109; riproduzione
autorizzata da The Miller Press.

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TABELLA 62-8. ESERCIZI PER RINFORZARE


I FLESSORI E PRONATORI DEL POLSO

1. Sedere su una sedia vicino ad


un tavolo.

2. Poggiare l’avambraccio sul


tavolo con il palmo verso l‘alto e la
mano ed il polso sporgenti oltre il
ciglio.

3. Tenere un peso da ½ kg nella


mano.

4. Sollevare ed abbassare
lentamente la mano estendendo e
flettendo il polso.

5. Ripetere l’esercizio 10 volte,


riposarsi per 1min e quindi
effettuare altre 2 serie da 10
ripetizioni. Se si avverte dolore,
l’esercizio va interrotto subito e
ritentato il giorno dopo.

6. Man mano che l’esercizio


diventa più facile, aumentare il
peso nella mano.

Poi,

1. Con i palmi verso l’alto,


avvolgere un peso da ½ kg
attaccato con una fune ad un
bastone di legno del diametro di
un manico di scopa.

2. Ripetere per 20 volte.


Interrompere se si avverte dolore;
aumentare gradualmente il peso.
Il numero di ripetizioni non va
aumentato.

Infine, diverse volte al giorno, ogni


volta che sia possibile, stringere
dolcemente una palla di spugna

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morbida e poi rilasciare.

Modificata da Mirkin G, Shangold


M: The Complete Sports Medicine
Book for Women. New York,
Simon & Schuster, 1985, p109;
riproduzione autorizzata da The
Miller Press.

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TABELLA 62-9. ESERCIZI PER RINFORZARE LE SPALLE

Trazioni alla lat-machine

La lat-machine ha un peso al suolo. Al peso è attaccata


una fune che passa in una puleggia ad almeno ½ metro al
di sopra della testa. La fune ridiscende verso la testa ed è
attaccata ad una barra che viene impugnata con le mani.

1. Impugnare la barra al di sopra della testa con i


gomiti flessi (le mani non devono essere al di
sopra delle spalle).

2. Tirare la barra verso il basso e quindi lasciare


che il peso la faccia lentamente risalire.

3. Effettuare 3 serie di 10 ripetizioni a giorni alterni.

4. Man mano che la forza aumenta, incrementare il


peso, non il numero delle ripetizioni.

Bicipiti con bilanciere

1. Impugnare un bilanciere nelle mani con i pollici


verso l’interno di fronte al quadricipite; la schiena
va mantenuta dritta.

2. Sollevare lentamente il bilanciere sollevando e


flettendo i gomiti, quindi abbassare lentamente il
bilanciere.

3. Effettuare 3 serie da 10 ripetizioni.

4. Man mano che la forza aumenta, incrementare il


peso, non il numero delle ripetizioni.

Distensioni su panca orizzontale


(ATTENZIONE: questo esercizio va iniziato con un peso
molto leggero perchè vengono sollecitati i muscoli lesi.)

1. Distendersi sulla schiena su una panca apposita


o con un collega robusto che lo aiuti a sollevare il
peso una volta terminato l’esercizio.

2. Impugnare il bilanciere con le mani, i pollici

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Manuale Merck - Tabella

verso l‘interno.

3. Sollevare lentamente il peso dal petto e quindi


riabbassarlo lentamente;

4. Effettuare 3 serie da 10 ripetizioni,


interrompendo immediatamente se viene avvertito
dolore.

5. Man mano che la forza aumenta, incrementare il


peso.

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Tabella 63–1. CAUSE DI EMOTTISI

Laringe e faringe Bronchiettasie Embolia/infarto polmonare

Linfoma Sequestro Ipertensione polmonare


broncopolmonare primitiva
Carcinoma
Bronchite cronica Fistola arterovenosa
Ulcera tubercolare polmonare
Trauma
Trachea e grossi bronchi Mixoma atriale
Parenchima polmonare
Tumori primitivi benigni o Mediastinite fibrosa con
maligni (carcinoma e adenoma) Tumore primitivo o ostruzione delle vene
metastatico polmonari
Teleangectasia
Infarto Aneurisma aortico con
sanguinamento nel
Erosione da aneurisma aortico
parenchima polmonare
Ascesso
Cisti broncogena
Difetti di coagulazione
Patologia granulomatosa
Broncolitiasi atti va (TBC, micotica,
parassitaria, luetica) Trombocitopenia

Erosione da linfonodo caseoso-


Micetoma (aspergilloma) in Deficit dei fattori vitamina
calcifico
una vecchia cavità K- dipendenti: protrombina
(II), fattore Stuart (X),
Erosione da tumore a partenza fattoreVII, fattore
linfonodale, esofagea o da altre Polmonite acuta
Christmas (IX)
strutture mediastiniche
Emosiderosi idiopatica
Coagulazione
Bronchite acuta grave intravascolare disseminata
Sindrome di Goodpasture
Trauma e sue varianti
Terapia anticoagulante

Strutture bronchiali di minor calibro Trauma


Terapia fibrinolitica:
urochinasi, streptochinasi
Carcinoma Cuore e vasi sanguigni
Miscellanea di difetti
Adenoma (carcinoide o cilindro Insufficienza ventricolare coagulativi congeniti
matoso) sinistra

Bronchite acuta Stenosi mitralica

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 64–2. MODIFICAZIONI FUNZIONALI CARATTERISTICHE


NELLE DIVERSE PATOLOGIE

Malattie ostruttive delle vie


aeree
Malattie polmonari Centrali, Affezioni
Test restrittive Convenzionali* fisse† neuromuscolari Obesità
VC ↓ No↓ N No↓ No↓
TLC ↓‡ ↑ N No↓ ↓
RV/FRC ↓/↓‡ ↑/↑‡ N/N N/N N/↓‡
FEV1%FVC No↑ ↓‡ ↓ N N
FEF25-75% ↓ ↓ ↓ N N
MVV N ↓‡ ↓ ↓‡ N
MEF 50% No↓ ↓ ↓‡ N N
FVC
MIF 50% N N ↓‡ N N
FVC
MIP, MEP N N N ↓‡ N
Distribuzione ± alterata alterata‡ N‡ N N
della
ventilazione
DLCO ↓ ↓ nell’enfise N N No↓
ma; N nella
bronchite
*P.es., broncopneumopatia cronica ostruttiva.

†P.es., stenosi tracheale.

‡Caratteristiche distintive.

N=normale; ↓=ridotto; ↑=aumentato.


Le altre abbreviazioni sono spiegate nella Tab.64-1.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 64–3. MODIFICAZIONI FUNZIONALI CARATTERISTICHE


NELLE PNEUMOPATIE RESTRITTIVE ED OSTRUTTIVE DI DIVERSA GRAVITÀ

Pneumopatie restrittive
Alterazione Assente Lieve Moderata Grave Gravissima
VC (% >80 60-80 50-60 35-50 <35
predetto)
FEV1%FVC >75 >75 >75 >75 >75
MVV (% >80 >80 >80 60-80 <60
predetto)
RV (% 80-120 80-120 70-80 60-70 <60
predetto)
DLCO N ↓E ↓R ↓ ↓↓
PaO2 N N ↓E ↓ ↓↓
PaCO2 N N ↓ ↓ ±↑
Dispnea 0 + ++ +++ ++++
(gravità)
Broncopneumopatia cronica ostruttiva
VC (% >80 >80 >80 ↓ ↓↓
predetto)
FEV1 % >75 60-75 40-60 <40 <40
FVC
MVV (% >80 65-80 45-65 30-45 <30
predetto)
RV (% 80-120 120-150 150-175 >200 >200
predetto)
DLCO N N N ↓ ↓↓
PaO2 N ↓E ↓ ↓ ↓↓
PaCO2 N N No↑ ↑E ↑R
Dispnea 0 + ++ +++ ++++
(gravità)
N=normale; E=esercizio; R=riposo; ↓=ridotto; ↑=aumentato.
Le altre abbreviazioni sono spiegate nella Tab.64-1.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 64–4. CAUSE FISIOPATOLOGICHE DI IPOSSIEMIA

Meccanismo Esempi A-aDO2


Riduzione della PIO2 Vita ad alta quota, aerei ad alta Normale
quota
Ipoventilazione Sindrome da ipoventilazione Normale
dell’obeso, apnee nel sonno,
affezioni neuromuscolari,
intossicazione da farmaci
Alterato rapporto / (corretto COPD, asma, la maggior parte Aumentato
con piccoli incrementi della delle malattie interstiziali polmonari
FIO2)
Shunt destro-sinistro Edema polmonare, sindrome da Molto
(ipossiemia resistente distress respiratorio dell‘adulto, aumentato
all’aumento della FIO2) atelettasia, polmonite
Alterata diffusione Embolia polmonare; patologie Aumentato
polmonari inter stiziali
(probabilmente non significativa a
livello del mare)
Le altre abbreviazioni sono spiegate nella Tab.64-1.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 65-1. APPLICAZIONI DELLA BRONCOSCOPIA A FIBRE OTTICHE

Diagnosi Terapia
Diagnosi e stadiazione dei pazienti con segni Rimozione di secrezioni ristagnanti, di pus, di
di neoplasia polmonare sangue e di corpi estranei dall‘albero tracheo-
bronchiale mediante aspirazione, lavaggio o
Definizione delle cause di tosse, respiro strumenti per l‘estrazione
sibilante o stridore ad eziologia ignota
Gestione delle macroatelettasie resistenti alla
Valutazione dell’emottisi ad eziologia ignota terapia fisica o farma cologica

Identificazione degli agenti patogeni causa di Terapia della proteinosi alveolare attraverso il
infezioni respiratorie lavaggio

Definizione delle cause di addensamenti Instillazione di farmaci in una specifica zona del
polmonari, di febbre o di turbe degli scambi polmone
gassosi in pazienti immunocompromessi
Guida al posizionamento di un tubo naso-
Raccolta di biopsie bronchiali transpolmonari e tracheale od orotracheale
di campioni di liquido di lavaggio
broncoalveolare per la diagnosi di patologie
polmonari interstiziali specifiche, per la guida
della terapia e per la valutazione della risposta
alla terapia

Raccolta di campioni di tessuto dai bronchi,


dal parenchima polmonare e dai linfonodi
mediastinici

Valutazione del laringe e delle vie aeree dei


pazienti dopo inalazione di fumi, ustioni delle
vie respiratorie, aspirazione o trauma

Valutazione di una sospetta fistola tracheo-


esofagea

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 65-2. SITUAZIONI CHE RICHIEDONO IL CONTROLLO


DELLA PERVIETA’ DELLE VIE AEREE

Emergenze Urgenze
Arresto cardiaco Insufficienza respiratoria

Arresto respiratorio o apnea (p.es., per malattie del Necessità di supporto ventilatorio (p.es., nella
SNC, farmaci o ipossia) sindrome da distress respiratorio dell’adulto, nelle
esacerbazioni della COPD o dell’asma, in malattie
Coma profondo, quando la lingua perdendo tono diffuse del parenchima polmonare, infettive o di
chiude la glottide altra natura, in malattie neuromuscolari, nella
depressione dei centri respiratori)
Edema laringeo acuto
Estremo affaticamento dei muscoli respiratori con
apnea imminente (p.es., nel respiro alternante o
Laringospasmo
nel movimento paradosso del diaframma)

Corpo estraneo nel laringe (p.es., la sindrome detta


Necessità di diminuire il lavoro respiratorio nei
"cafè coronary" causata da cibo)
pazienti in shock, con bassa gittata cardiaca o con
sovraccarico miocardico che deve essere ridotto
Annegamento
Grave avvelenamento da monossido di carbonio
Inalazione di fumo o di sostanze tossiche
Prima del lavaggio gastrico nei pazienti con
Ustioni delle vie respiratorie (termiche o chimiche) intossicazione da farmaci assunti per os e stato di
coscienza alterato
Aspirazione del contenuto gastrico
Altissimo consumo di O2 (p.es. nelle peritoniti, nei
Trauma delle vie aeree superiori casi di limitata riserva respiratoria)

Lesioni craniche o del midollo spinale più craniale Prima della broncoscopia nei pazienti con
funzionalità respiratoria ridotta

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 67-1. INSUFFICIENZA SISTEMICA MULTIORGANICA


NELLA SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO DELL’ADULTO

Apparato Segni
Insufficienza cardiovascolare Ipotensione che non risponde all’infusione di
liquidi EV

Bradicardia grave

Tachicardia ventricolare o fibrillazione


ventricolare

Acidosi metabolica (lattica) con pH <7,25


Insufficienza renale Oliguria

Insufficienza renale con BUN ≥75mg/dl e/o


creatininemia ≥3mg/dl
Insufficienza epatica Bilirubinemia totale >3mg/dl

AST ed ALT sierici >500UI/l


Insufficienza gastro-intestinale Emorragia che richiede trasfusioni

Ileo per >24h


Scompenso ematologico Presenza di coagulazione intravascolare
disseminata

GB ≤1000cell/µl

Piastrine ≤25000cell/µl

Ematocrito ≤20%
Scompenso neurologico Grado del coma ≤6 della scala di Glasgow
(senza sedazione)
Scompenso nutrizionale Albuminemia <2g/dl

Colesterolemia <100mg/dl

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 68-1. ALCUNE CAUSE DI OSTRUZIONE CRONICA


AL FLUSSO AEREO IN BASE ALLA LOCALIZZAZIONE

Localizzazione Disturbo Reperto


Vie aeree Paralisi delle corde vocali Può non dare disfonia; causa
superiori false caratteristici reperti della curva
flusso-volume; può essere difficile
da diagnosticare
Stenosi tracheali, tumori Spesso causano stridore e
tracheali, policondrite retrazione inspiratoria delle fosse
tracheale sovraclavicolari; si manifestano con
caratteristici reperti alla curva flusso-
volume; l’anamnesi è fondamentale
per la diagnosi
Vie aeree di Bronchiettasie associate a Ostruzione bronchiale cronica a
medio calibro bronchioliti, che possono volte grave; enfisema di solito
essere idiopatiche o minimo o assente
associate a fibrosi cistica o
a discinesia ciliare (a volte
con situs inversus)
Bronchioli Bronchiolite fibrosa Ostruzione al flusso aereo da lieve a
obliterante as sociata con grave, enfisema di solito minimo o
infezioni (p.es., sin drome di assente; prove di funzionalità
Swyer-James- MacLeod), respiratoria necessarie per
inalazione di sostanze quantificare l’ostruzione ma di
tossiche (biossido di zolfo, scarsa utilità per distinguere la
biossido di azoto), malattie bronchiolite dall’enfisema
del tessuto connettivo o
trapianti

Panbronchiolite diffusa Più frequente fra gli asiatici

Bronchiolite in corso di Interessa anche le vie respiratorie


bronchite cronica grandi e intermedie

Asma Interessa anche le vie respiratorie


intermedie
Parenchima Enfisema Può essere causato da un deficit di
α1-antitripsina o dal deficit di α1-
antichimotripsina
Linfangiomiomatosi con o Immagini patognomoniche alla TC
senza sclerosi tuberosa

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 68-2. COMPLICANZE DI UN ATTACCO ACUTO DI ASMA

Complicanza Frequenza Commenti


Pneumotorace Non frequente Indicato da un improvviso
peggio ramento della
difficoltà respiratoria, con
dolore toracico trafittivo e
segni di spostamento del
mediastino; conferma con rx
Atelettasia Relativamente comune Colpisce di solito il lobo
medio a destra ma può
interessare un intero
polmone; solitamente è
necessaria la rx per la
diagnosi, a meno di un
massivo collasso di
parenchima polmonare
Enfisema mediastinico e Occasionale Causato da una rottura
sottocutaneo alveolare e dalla diffusione
dell’aria lungo i vasi
Cuore polmonare Occasionale in forma acuta; Evidenziabile all’ECG
raro in forma cronica

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Tabella 68-3. CLASSIFICAZIONE DELL’ASMA IN BASE


ALLA GRAVITÀ PRIMA DEL TRATTAMENTO

Gravità Sintomi Funzionalità


respiratoria
Lieve Sintomi ≤2 volte alla settimana FEV1 o PEF ≥80%
intermittente predetto
Nessun sintomo e PEF normale tra le
esacerbazioni Variabilità del
PEF<20%
Esacerbazioni di breve durata (da poche
ore a pochi giorni); l’intensità può variare

Sintomi notturni ≤2 volte al mese


Lieve Sintomi >2 volte alla settimana ma non FEV1 o PEF ≥80%
persistente quotidiani predetto

Esacerbazioni che a volte limitano l’attività Variabilità del PEF


20- 30%
Sintomi notturni >2 volte al mese
Moderato Sintomi quotidiani FEV1 o PEF >60-
persistente 80% predetto
Uso quotidiano di β2-agonisti a breve durata
d’azione Variabilità del PEF
>30%
Esacerbazioni che limitano l’attività

Esacerbazioni ≥2 volte alla settimana;


possono durare dei giorni

Sintomi notturni >1 volta alla settimana


Grave Sintomi continui FEV1 o PEF ≤60%
persistente predetto
Limitazione dell’attività fisica
Variabilità del
Frequenti esacerbazioni PEF>30%

Frequenti sintomi notturni


PEF=picco di flusso respiratorio; FEV1 =volume espiratorio forzato in 1s.

Modificata dal National Asthma Education Program, Expert Panel ReportII,


National Heart, Lung & Blood Institute, 1997.

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Manuale Merck - Tabella

file:///F|/sito/merck/tabelle/06803.html (2 of 2)02/09/2004 2.02.21


Manuale Merck - Tabella

Tabella 68-4. LIVELLI DEL TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE DELL’ASMA

Livello * Gravità Farmaci che controllano i Farmaci che alleviano la


meccanismi di base sintomatologia
1 Lieve Non è necessario alcun Un broncodilatatore (β2-
intermittente farmaco agonista inalatorio), a breve
durata d’azione, al bisogno
ma meno di 1 volta alla
settimana

La gravità della
riacutizzazione determina
l‘aggressività del trattamento

Utilizzo di un β2-agonista a
breve durata d‘azione, del
cromoglicato o del
nedocromile prima
dell’esercizio o
dell’esposizione agli
allergeni
2 Lieve per Farmaci di uso quotidiano: Un broncodilatatore a breve
sistente durata d’azione (β -agonisti
2
Corticosteroidi inalatori† inalatori) al bisogno ma non
200-500µg, più di 3-4volte al giorno
cromoglicato†,
nedocromile† o una
teofillina a lento rilascio

Se necessario, il
dosaggio dei
corticosteroidi inalatori
può essere aumentato
(p.es. da 500µg a
800mg), o può essere
associato un
broncodilatatore a lunga
durata d’azione (un β2-
agonista ad azione
ritardata inalatorio o per
os o una teofillina a lento
rilascio), soprattutto in
presenza di sintomi
notturni

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Manuale Merck - Tabella

3 Moderato Farmaci di uso quotidiano: Come per la forma lieve


per sistente persistente
Corticosteroidi inalatori†
800-2000µg

Un broncodilatatore a
lunga durata d’azione
(un β2-agonista ad
azione ritardata
inalatorio o per os o una
teofillina a lento rilascio),
soprattutto in presenza
di sintomi notturni

4 Grave per Farmaci di uso quotidiano: Un broncodilatatore (β2-


sistente agonista inala torio) a breve
Corticosteroidi inalatori† durata d’azione al bisogno
800-2000µg o più

Un broncodilatatore a
lunga durata d’azione
(un β2-agonista ad
azione ritardata
inalatorio e/o uno per os
e/o una teofillina a lento
rilascio)

Corticosteroidi orali a
lungo termine

*La scelta del trattamento dipende dal livello di gravità dell’asma. Salita di livello: se
l’asma non è controllato, il trattamento può essere incrementato al livello superiore
dopo aver riesaminato la tecnica di assunzione dei farmaci, la compliance e
l’evitamento degli allergeni e degli altri fattori scatenanti da parte del paziente.
Discesa di livello: il trattamento deve essere rivisto ogni 36 mesi. Se si è mantenuto
un buon controllo per ≥3 mesi, il trattamento può essere gradualmente ridotto di livello.
Un trattamento di emergenza con prednisone o prednisolone può rendersi necessario
in ogni momento.

†Trattamenti di prima scelta.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 68-5. DOSAGGI DI ALCUNI β2-AGONISTI


NELLE RIACUTIZZAZIONI DELL’ASMA

Farmaco Dosaggio per gli Dosaggio per i bambini Commenti


adulti
β2agonisti inalatori a breve durata d’azione
Salbutamolo
Soluzione 2,5-5 mg q 20 min 0,15 mg/kg (dose minima Sono raccomandati
nebulizzata per 3 dosi, poi 2,5- 2,5 mg) q 20 min per 3 solamente i β2-agonisti
(5mg/ ml) 10 mg q 1-4h al dosi, poi 0,15-0,3 mg/kg, selettivi; per una
bisogno, o 10-15 fino a 10 mg, q 1-4h al somministrazione
mg/h in bisogno, o 0,5 mg/ kg/h in ottimale diluire fino a
somministrazione somministrazione continua un minimo di 4ml ad
continua (massimo dosaggio 15 mg/ un flusso di 6-8l/ min
h)
Spray 4-8 puff q 20 min 4-8 puff q 20 min per 3 Efficace quanto la
predosato fino a 4h, poi q 1- dosi, poi q 1-4h al bisogno terapia nebulizzata se
(90µg/ 4h al bisogno il paziente sa
puff) coordinare la manovra
inspiratoria; utilizzare
dei distanziatori/
spaziatori
β2-agonisti sistemici (per via iniettiva)
Adrenalina 1:1000 0,3-0,5 mg q 20 0,01mg/kg fino a 0,3-0,5mg Nessun vantaggio
(1mg/ml) min per 3 dosi SC q 20 min per 3 dosi SC provato della terapia
sistemica rispetto a
quella areosolica
Terbutalina (1mg/ 0,25 mg q 20 min 0,01mg/kg q 20 min per 3 Nessun vantaggio
ml) per 3 dosi SC dosi, poi q 2-6h al bisogno provato della terapia
SC sistemica rispetto a
quella areosolica
Modificata dal National Asthma Education and Prevention Program, Expert Panel Report II,
National Heart, Lung & Blood Institute, 1997.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 68-6. DIFFERENZE ANATOMO-PATOLOGICHE


TRA ASMA E BRONCOPNEUMOPATIA
CRONICA OSTRUTTIVA

Reperto Asma COPD


Eosinofili Aumentati Normali
Neutrofili Normali Aumentati
Rapporto tra linfociti 4:1 1:4
CD4 e CD8
Espressione dei geni Aumentata Non
IL4 ed IL5 aumentata
IL=interleuchina.

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Manuale Merck - Tabella

Tabelle 68-7. ESPRESSIONE DEI FENOTIPI NEL DEFICIT DI α1- ANTITRIPSINA

Fenotipo Livello ematico Rischio di


di α1-antitripsina enfisema
PI*ZZ 2,5-7mmol (me Fortemente au
dia, 16% del mentato soprat
normale) tutto nei fumatori
PI*MZ 12-35mmol (me Non aumentato
dia, 57% del
normale)
PI*SZ 8-19mmol (me Lievemente
dia, 37% del aumentato
normale)
PI*SS 15-33mmol (me Non aumentato
dia, 52% del
normale)
PI*null- 0 Fortemente
null aumentato
PI*Z-null <2,5mmol Fortemente
aumentato

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 68-8. STADIAZIONE DELLA GRAVITA' DELLA


BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA*

Diagnosi e Stadio I Stadio II Stadio III (FEV1<35%


trattamento (FEV 150% del (FEV1 35-49% del predetto)

predetto) del predetto)
Altri test di Emogasanalisi non Emogasanalisi essenziale per rilevare
funzionalità indispensabile l’ipercapnia e per determinare la gravità
respiratoria (l’ipossiemia è dell’ipossiemia e dell’ipercapnia
lieve)
Spirometria dopo Spirometria dopo broncodilatatore utile
broncodilatatore per decidere sull’uso dei corticosteroidi
opzionale†
Volumi polmonari e capacità di diffusione
opzionali
Rx torace in Richiesta per escludere altre patologie, come il cancro del
postero- anteriore polmone e le polmoniti
e in laterale
Programma di Importante
cessazione del
fumo
Prevenzione delle Vaccino anti-influenzale somministrato annualmente e vaccino
infezioni anti-pneumococcico una sola volta, da ripetere possibilmente
a distanza di 6 anni
Terapia β2-agonisti per In aggiunta ai β2-agonisti per aerosol
farmacologica aerosol dosato o dosato e alle teofilline orali, può essere
teofilline orali a provato l'ipratropio per aerosol dosato.
lento rilascio I corticosteroidi orali vengono
somministrati se la risposta al
broncodilatatore è > 25% del FEV1; i cicli
di antibiotici vanno iniziati
autonomamente dai pazienti durante le
esacerbazioni
Ossigeno-terapia Non necessaria Necessaria Di solito necessaria
a raramente
lungo termine

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Manuale Merck - Tabella

Programma di Non necessario Sono di solito Si rende necessario un


riabilitazione sufficienti programma riabilitativo
l’educazione e multispecialistico, con
la prescrizione fisioterapia respiratoria
di regolare per aiutare a
esercizio e gli mobilizzare le
altri elementi di secrezioni
riabilitazione
suggeriti dal
medico
Grado di Medico generalista Valutazione da Generalmente uno
competenza parte di uno specialista pneumologo
medica specialista
pneumologo,
poi seguito dal
medico
generalista con
visite al
bisogno
Circostanze che Emottisi, pneumotorace spontaneo, polmonite grave o
richiedono la insufficienza respiratoria acuta
consultazione di
uno specialista
pneumologo
*I criteri sono quelli dell’American Thoracic Society.

†N.d.t.=è necessaria alla prima valutazione per differenziare la COPD dall’asma.

Modificata da Snider GL: "Chronic obstructive pulmonary diseases", in Stein Jh,


editor: Internal Medicine, ed. 5, St. Louis, 1998, MosbyYear Book, Inc.; per gentile
concessione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 68-9. INDICAZIONI PER L’OSSIGENO-TERAPIA A LUNGO TERMINE

Assolute

Nei pazienti sottoposti per almeno 30giorni* a un trattamento farmacologico


ottimale con

PaO2 ≤55 mm Hg o SaO2≤88%†

Nei pazienti affetti da cuore polmonare o da policitemia (ematocrito>55%) con

PaO2=55-59 mm Hg o SaO2≤89%†

Opzionali

Nei pazienti con PaO2 ≤55 mm Hg o SaO2≤88%† durante esercizio fisico o nel
sonno respirando aria ma con valori diurni pari a

PaO2≥60 mm Hg o SaO2≥90%

*I pazienti affetti da una patologia respiratoria acuta in via di risoluzione che


soddisfano i criteri sopra elencati devono ricevere l’ossigeno-terapia ed essere
rivalutati respirando aria dopo 30giorni.

†Livelli arteriosi di O2 misurati a riposo respirando aria.

PaO2=pressione parziale arteriosa di ossigeno; SaO2= saturazione arteriosa in


O 2.

Modificata da Snider GL: "Chronic obstructive pulmonary disease", in Stein JH,


editor: Internal Medicine, ed. 5, St. Louis, 1998, Mosby-Year Book, Inc.; per
gentile conces sione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 72-1. FATTORI DI RISCHIO PER LA TROMBOEMBOLIA VENOSA

Età avanzata

Immobilità prolungata

Paralisi

Neoplasie maligne

Precedenti tromboembolie venose

Obesità

Fibrillazione atriale

Scompenso cardiaco

Infarto del miocardio

Ictus

Fratture del bacino, dell’anca o della gamba

Chirurgia maggiore

Condizioni di ipercoagulabilità, come i deficit di


antitrombinaIII, di proteina C o di proteina S;
attivazione anomala del plasminogeno; presenza di
anticorpi anti-cardiolipina e di anticoagulante lupico;
policitemia vera; sindromi da iperviscosità; anomalie
del fattore V della coagulazione (mutazione di Leiden);
iperomocisteinemia

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 72-2. RISCHIO DI EMBOLIA POLMONARE


NEI PAZIENTI CHIRURGICI

Rischio Situazione chirurgica Misure di prevenzione


Basso Chirurgia minore senza complicanze in Nessuna misura preventiva
pazienti con<40anni senza fattori clinici oltre alla mobilizzazione
di rischio precoce
Moderato Chirurgia maggiore in pazienti Calze elastiche; LDUH (q
con>40anni senza altri fattori di rischio 12h) o IPC
Alto Chirurgia maggiore in pazienti LDUH (q 8h), LMWH o IPC e
con>40anni con altri fattori clinici di calze elastiche
rischio o infarto del miocar dio
Altissimo Chirurgia maggiore in pazienti IPC in aggiunta a LDUH (q
con>40anni con precedenti episodi 8h), o a LMWH o a dosi
trombo-embolici o malattie ne oplastiche individualizzate di warfarin
LDUH=basse dosi di eparina non frazionata;
IPC=compressione pneumatica intermittente;
LMWH=eparina a basso peso molecolare.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 72-3. REGOLAZIONE DELLA SOMMINISTRAZIONE


ENDOVENOSA DELL’EPARINA

Cambiamento della
APT T velocità di infusione
(s) (ml/h)* Altri interventi†
≤45 +6
46-54 +3
55-85 0
86-110 -3 Eparina sospesa per 1h
>110 -6 Eparina sospesa per 1h
*Concentrazione di eparina=40U/ml, di solito pari a
20000U/500ml.

†In generale, l’APTT deve essere controllato 4-6h dopo la


correzione.

APTT=tempo parziale di tromboplastina attivata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 73–1. DIAGNOSI DEI MICRORGANISMI PATOGENI


NEL PAZIENTE DEFEDATO

Esempio della malattia o


della terapia associata con
Malattia del paziente l‘alterazione Probabili microrganismi patogeni
Alterazioni dei polimorfo-
nucleati neutrofili
Neutropenia Leucemia acuta, anemia Batteri gram-, Staphylococcus aureus,
aplastica, chemioterapia As pergillus sp, Candida sp
antitumorale
Alterata chemiotassi Diabete mellito S. aureus, aerobi gram-
Alterati meccanismi di Malattia granulomatosa S. aureus
distruzione intracellulare cronica
Deficit della via alternativa Malattia a cellule falciformi S. pneumoniae, H. influenzae
Deficit di C5 Malattia congenita S. pneumoniae, S. aureus, batteri gram-
Alterazione dell‘immunità Morbo di Hodgkin, Micobatteri; virus (herpes simplex,
cellulo-mediata (deficit/ chemioterapia antitumorale, citomeg alovirus), Strongyloides sp,
disfunzione delle celluleT) terapia con corticosteroidi miceti opportunisti (Aspergillus, , Mucor,
Cryptococcus sp), Nocardia sp,
Toxoplasma sp
AIDS Pneumocystis carinii, Toxoplasma sp,
citomegalovirus, herpes simplex, miceti
opportunisti (Aspergillus, Mucor,
Cryptococcus sp), micobatteri
Deficit dell‘immunità Mieloma multiplo, S. pneumoniae, H. influenzae, Neisseria
umorale (deficit/disfunzione agammaglobulinemia meningitidis
delle celluleB)
Deficit selettivi: IgA, IgG, IgM S. pneumoniae, H. influenzae
Ipogammaglobulinemia P. carinii, citomegalovirus, S.
pneumoniae, H. influenzae

file:///F|/sito/merck/tabelle/07301.html02/09/2004 2.02.23
Manuale Merck - Tabella

Tabella 75-1. FATTORI CHE INFLUENZANO LA TOSSICITÀ


DEGLI AGENTI INALATI

Proprietà fisiche Stato fisico (particelle, nebbia,


vapore o gas); solubilità,
dimensione, forma, densità,
penetrabilità, concentrazione,
radioattività
Proprietà Acidità, alcalinità, fibrogenicità,
chimiche antigenicità
Sensibilità Integrità delle difese corporee,
individuale stato immunologico (p.es.,
atopia, istotipo HLA, geometria
delle vie aeree)
Modificata da Occupational Lung Diseases, ed. 3,
by WKC Morgan and A. Seaton. Philadelphia, WB
Saunders Company, 1995; per gentile
concessione.

file:///F|/sito/merck/tabelle/07501.html02/09/2004 2.02.23
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 75-2. EFFETTO DELLA SEDE DI DEPOSIZIONE


SULLA RISPOSTA RESPIRATORIA

Sede Risposta respiratoria Meccanismo o agente


Naso Riniti, febbre da fieno Reazione antigene-anticorpo
Perforazione del setto TBC, uso di cocaina
Cancro del naso Segatura di diversi legni,
cromo
Trachea e Broncocostrizione Reazione antigene-anticorpo
bronchi
Induzione farmacologica

Irritazione come meccanismo


riflesso
Bronchiti Polveri inerti
Cancro del polmone Polveri e gas radioattivi
Parenchima Polmoniti da Polveri organiche
pol monare ipersensibilità
Pneumoconiosi Polveri minerali
Danno polmonare Alcuni gas e vapori irritanti (p.
acuto, edema es. Hg, cadmio, biossido di
polmonare, bronchioliti azoto)
Modificata da Occupational Lung Diseases, ed. 3, by WKC Morgan and
A. Seaton. Philadelphia, WB Saunders Company, 1995; per gentile
concessione.

file:///F|/sito/merck/tabelle/07502.html02/09/2004 2.02.24
Manuale Merck - Tabella

Tabella 76-1. REAZIONI DA IPERSENSIBILITÀ

Tipo Descrizione Meccanismo Esempio


I Atopica o Causata dal rilascio di mediatori (p.es., istamina, Asma allergico
anafilattica leucotrieni) da basofili e mastcellule sensibilizzati (estrinseco)
dalle IgE dopo il contatto con l’antigene
II Citotossica Coinvolge anticorpi fissanti il complemento con Sindrome di
conseg uente lisi cellulare o meccanismi di Goodpasture
citotossicità mediata da anticorpi
III Mediata da Associata a complessi antigene-anticorpo solubili, Lupus
immunocomplessi componenti attivati del complemento, chemiotassi dei eritematoso
leucociti polimorfonucleati, con conseguente vasculite sistemico
IV Cellulo-mediata o Causata dal rilascio di linfochine (che coinvolgono Ipersensibilità
ritardata altre cellule causando danno tissutale) da parte di alla tubercolina
linfociti T sensibilizzati (CD4+Th1) dopo contatto con
l’antigene; anche la lesione diretta di cellule bersaglio Granulomatosi
da parte di linfociti T citotossici (CD8+) può causare polmonari
danni ai tessuti dell’ospite

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 76-2. ESEMPI DI POLMONITI DA IPERSENSIBILITÀ

Malattia Antigene Fonte delle particelle


Polmone del contadino Micropolyspora faeni o Fieno ammuffito
Thermoactinomyces
vulgaris
Polmone degli allevatori di Proteine del siero ed Pappagalli, piccioni, galline
uccelli, polmone degli escrementi degli uccelli
allevatori di piccioni,
polmone degli addetti ai
pollai
Polmone da condizionatore M. faeni, T. vulgaris, ecc. Condizionatori e
(o da umidificatori) d’aria umidificatori d’aria
Bagassosi T. vulgaris o M. faeni Bagasse (fibra secca della
canna da zucchero)
Polmone dei coltivatori di M. faeni o T. vulgaris Concime per funghi
funghi
Suberosi (polmone dei Polvere di sughero Sughero ammuffito
lavoratori del sughero) ammuffito
Malattia da corteccia Cryptostroma corticale Corteccia d’acero infetta
d’acero
Polmone dei lavoratori del Aspergillus fumigatus o A. Orzo malto ammuffiti
malto clavatus
Sequoiosi Pullularia pullulans o Segatura di sequoia
Graphium sp ammuffita
Polmone dei lavoratori del Penicillium sp Formaggio ammuffito
formaggio
Malattia dei mugnai Sitophilus granarius Farina di grano infestato
Polmone delle persone che Proteine sieriche bovine o Estratti ipofisari eterologhi
utilizzano estratti ipofisari suine e antigeni ipofisari in polvere
per insufflazione
Polmone dei lavoratori del Polvere dei chicchi di caffè Chicchi di caffè
caffè
Polmone dei lavoratori dei Sconosciuto Paglia, canne, ecc.,
tetti di paglia utilizzate come materiale di
copertura
Polmone dei lavoratori Isocianati (TDI, MDI), Lavorazioni in poliuretano
chimici anidride ftalica, cloruro di (schiuma, modellatura,
vinile, ecc. isolanti, gomma sintetica,
involucri ed etichette, ecc.)
TDI=toluene diisocianato; MDI=difenilmetano diisocianato.

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 76-3. CARATTERISTICHE DELLE POLMONITI EOSINOFILE

Associazione Grado di
con asma eosinofilia Interessament
Malattia Eziologia bronchiale periferica o sistemico Prognosi
Polmonite Sconosciuta Assente Normale o Assente Buona
eosinofila acuta elevato
Aspergillosi Aspergillus fumigatus Quasi Elevato Assente Discreta
broncopolmonare (occasionalmente altre costante
allergica specie)
Granulomatosi Sconosciuta Costante Elevato Comune Da
allergica (sindrome discreta ad
di Churg- Strauss) ?Farmaci infausta
Polmonite Sconosciuta Usuale Elevato (può Raro Buona
eosinofila cronica essere minimo
Farmaci o normale)

Parassiti
Sindrome Ingestione di l- triptofano Assente Elevato Usuale Buona
eosinofilia-mialgia contaminato
Sindrome Sconosciuta Assente Elevato Costante Discreta
ipereosinofila
Polmonite Sconosciuta Rara Moderato Raro Eccellente
eosinofila semplice
(sindrome di Farmaci
Löffler)
Parassiti
Eosinofilia tropicale Parassiti Occasionale Elevato Occasionale Buona

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 76–4. CRITERI DIAGNOSTICI PER L’ASPERGILLOSI BRONCOPOLMONARE*

Principali

Asma bronchiale

Infiltrati polmonari transitori


o stabili

Eosinofilia nel sangue e


nell’escreato

Reazione eritemato-
pomfoide al test cutaneo
con antigene di Aspergillus

Precipitine sieriche contro


l’antigene di Aspergil lus

IgE sieriche elevate

Bronchiettasie prossimali

Minori

Aspergillus fumigatus
nell’escreato

Dato anamnestico di
escreato con stampi o zaffi
brunastri

Reattività cutanea a
insorgenza ritardata all’anti
gene di Aspergillus

*Le micosi broncopolmonari


allergiche possono anche essere
causate da altri agenti fungini, p.
es., Penicillium, Candida,
Curvularia o Helminthosporium sp.

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 81-1. SINDROMI PARANEOPLASTICHE (NEOPLASIE POLMONARI)

Sistema interessato Sindromi


Scheletro/ articolazioni Osteoartropatia
Endocrino Ipercalcemia

Ipofosfatemia

Sindrome di Cushing (da secrezione di ACTH)

Sindrome da somatostatinoma (vomito, dolore


addominale, diarrea, diabete lieve, litiasi biliare)

Sindrome da secrezione inappropriata di ormone


antidiuretico (SIADH)
Neuromuscolare Sindrome di Eaton-Lambert

Polimiosite

Degenerazione cerebellare subacuta

Degenerazione spinocerebellare

Neuropatia periferica
Cardiovascolare/ Endocardite non batterica (marantica)
ematologico
Tromboflebite migrante (sindrome di Trousseau)

Coagulazione intravasale disseminata


ACTH=ormone adrenocorticotropo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 82-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA


IPOACUSIE COCLEARI E RETROCOCLEARI

Test Ipoacusia cocleare Ipoacusia


retrococleare
Discriminazione verbale Decremento Decremento marcato
moderato
Discriminazione con Migliora Peggiora
l'incremento di intensità
Recruitment Presente Assente
Reflex Decay Test Assente o lieve Presente
Tone Decay Assente o lieve Marcato
Potenziali evocati uditivi Morfologia normale, Assenti o con latenze
con normali latenze prolungate in maniera
patologica
Otoemissioni acustiche Assenti Presenti

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 82-2. CAUSE AURICOLARI DI OTALGIA

Localizzazione Condizione
Orecchio esterno Miringite bollosa

Cerume, occludente

Otite esterna diffusa

Corpi estranei

Foruncoli

Herpes zoster oticus

Cheratosi occlusiva
(colesteatoma del condotto
uditivo esterno)

Otite esterna maligna

Neoplasia

Otomicosi

Pericondrite

Trauma
Orecchio medio o Otite media acuta da barotrauma
processo mastoideo
Ostruzione acuta della tuba di
Eustachio

Mastoidite acuta

Otite media acuta

Otite media cronica

Complicanze dell'otite media e


della mastoidite

Neoplasia

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Manuale Merck - Tabella

Otalgia post-chirurgica

Trauma

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 82-3. CAUSE EXTRAAURICOLARI DI OTALGIA

Nervo cranico
interessato Localizzazione Condizione
V nervo Rinofaringe Adenoidectomia

Infezione

Neoplasia
Sistema nervoso Neuralgia sfenopalatina

Neuralgia trigeminale
Naso e seni Infezioni
paranasali
Neoplasia
Ghiandole salivari Calcoli

Infezione
Denti e articolazione Eruzione di un molare

Malocclusione

Artrite temporo- mandibolare


VII nervo Sistema nervoso Neuralgia del ganglio genicolato
IX e X nervo Base cranio Processo stiloideo allungato
Base cranio Neuralgia del glosso-faringeo

Neuralgia timpanica
Esofago Corpo estraneo

Reflusso gastro-esofageo

Ernia iatale

Neoplasia
Laringe Infiammazione

Neoplasia

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Manuale Merck - Tabella

Faringe Tonsillite acuta

Neoplasia

Ascesso parafaringeo o
retrofaringeo

Ascesso peritonsillare

Tonsillectomia
Lingua Infiammazione

Neoplasia

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 95-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLE COMUNI MALATTIE


ACUTE DELL’"OCCHIO ROSSO"

Segni Congiuntivite acuta Irite acuta Glaucoma Episclerite/


acuto Sclerite
Dolore Urente, ma non grave Abbastanza Molto grave, Episclerite-
grave, fotofobia associato con irritazione
nausea e vomito
Sclerite-forte
dolore
Visione Normale Moderatamente Notevolmente Generalmente
ri dotta ridotta nor male
Tono oculare Normale Generalmente Aumentato Normale
nor male o
ridotto
Lacrimazione Secrezione mucosa o Lacrimazione Lacrimazione Lacrimazione
o secrezione mucopurulenta
Iperemia Iperemia superficiale Pericheratica Pericheratica ed Larghe zone di
della congiuntiva episclerale iperemia bulbare
bulbare e palpebrale (20- 100%)
Cornea Normale Trasparente; Torbida Normale
sulla su perficie
posteriore
possono
essere pre
senti precipitati
Camera Di profondità normale Di profondità Fortemente Di profondità
anteriore normale ridotta normale
Iride Normale Velata e Congesta e Normale
rigonfia protrusa
anteriormente
Pupilla Normale Piccola, In media midriasi Normale
irregolare
Riflesso alla Normale Minimo Minimo Normale
luce

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 95-2. DIAGNOSI DIFFRENZIALE DELLE CONGIUNTIVITI ACUTE

Secrezione; Interessamento
Eziologia tipo di cellule Edema palpebrale linfonodale Prurito
Batterica Purulenta; leucociti Modesto No No
polimorfonucleati
Virale Chiara; cellule Minimo Si No
mononucleate
Allergica Chiara, mucoide, viscosa; Da modesto a No Intenso
eosinofili grave

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 100-1. Classificazione dei glaucomi basata sull’eziologia

I.Glaucomi cronici ad angolo aperto (idiopatici)

A.Glaucomi ad alta pressione

B.Glaucomi a pressione normale

(entrambe le categorie includono numerosi tipi di glaucoma)

II.Glaucomi da blocco pupillare

A.Glaucoma acuto da chiusura d’angolo

B.Glaucoma subacuto da chiusura d’angolo

C.Glaucoma cronico da chiusura d’angolo

D.Glaucoma da meccanismo combinato

III.Glaucomi da alterazioni dello sviluppo

A.Glaucoma congenito (infantile)

B.Glaucoma giovanile

C.Sindrome di Axenfeld-Rieger

D.Anomalia di Peters

E.Aniridia

F.Altre anomalie dello sviluppo

IV.Glaucomi associati ad altre patologie oculari

A.Glaucomi associati a disordini dell’endotelio corneale

Sindrome iridocorneale endoteliale

Distrofia polimorfa posteriore

Distrofia endoteliale di Fuchs

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Manuale Merck - Tabella

B.Glaucomi associati a patologie dell’iride e del corpo ciliare

Glaucoma pigmentario

Iridoschisi

Iride plateau

C.Glaucomi associati a patologie del cristallino

Sindome esfoliativa

Glaucomi ad angolo aperto indotti dalla lente

Glaucomi associati a intumescenza e dislocazione della lente

D.Glaucomi associati a patologie della retina, della coroide e del vitreo

Glaucomi associati a distacco di retina e anomalie vitreoretiniche

Glaucoma neovascolare

E.Glaucomi associati a tumori intraoculari

V.Glaucomi associati a elevata pressione delle vene episclerali

A.Patologie sistemiche associate a elevata pressione intraoculare e


glaucoma

B.Glaucoma indotto da corticosteroidi

VI.Glaucomi associati a infiammazione e trauma

A.Glaucomi associati a cheratiti, episcleriti e scleriti

B.Glaucomi associati a uveiti

C.Glaucomi associati a traumi oculari

D.Glaucomi associati a emorragie

VII.Glaucomi conseguenti a chirurgia intraoculare

A.Glaucoma da blocco ciliare (maligno)

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Manuale Merck - Tabella

B.Glaucomi nell’afachia e pseudofachia

C.Proliferazione epiteliale, fibrosa e endoteliale

D.Glaucomi associati a chirurgia corneale

E.Glaucomi associati a chirurgia vitreoretinica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 100-2. FATTORI DI RISCHIO DEL GLAUCOMA


PRIMARIO AD ANGOLO APERTO

Elevata pressione intraoculare* Diabete

Età avanzata† Ipertensione

Storia familiare‡ Miopia

Razza nera§ Uso di corticosteroi di||

*Il 50% dei pazienti ha una pressione iniziale intraoculare inferiore a


22mmHg al momento dello screening.

†Sebbene il glaucoma possa manifestarsi a tutte le età, è una


patologia sei volte più frequente nei soggetti che hanno più di
60anni. La prevalenza stimata di glaucoma primario ad angolo
aperto e di glaucoma a bassa pressione è dell’1/ 2% nei
sessantenni, quasi del 3% nei settantenni e circa del14% negli
ottantenni.

‡Questipazienti hanno possibilità 15volte superiori di sviluppare il


glaucoma.

§Questi pazienti sviluppano facilmente il glaucoma in forma grave e


a un’età inferiore. In essi la possibilità di sviluppare il glaucoma è da
tre a quattro volte superiore, mentre quella di andare incontro a
cecità lo è da sei a otto volte.

||Circail5% della popolazione (ma il 95% dei pazienti affetti da


glaucoma primario ad angolo aperto) può andare incontro a un
aumento della pressione intraoculare in risposta all’assunzione di
corticosteroidi sia per via topica che orale (steroid responder).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 100-3. FARMACI UTILIZZATI NELLA TERAPIA DEL GLAUCOMA

Tipo Farmaco Meccanismo d’azione


Miotici, ad azione diretta Pilocarpina Inducono miosi, aumento
(agonisti colinergici; del deflusso dell’umore
topici) Carbacolo acqueo e accomodazione
Miotici, ad azione Fisostigmina* Inducono miosi, aumento
indiretta (inibitori della del deflusso dell’umore
colinesterasi, topici) Neostigmina* acqueo e accomodazione

Demecarium†

Ecotiopato ioduro†

Isofluorfato†
Inibitori dell’anidrasi Acetazolamide Riducono la produzione
carbonica (orali, EV, (orale, EV) di umore acqueo
topici)
Diclorfenamide
(orale)

Metazolamide
(orale)

Etozolamide (orale)

Dorzolamide
(topico)
Agonisti adrenergici non Adrenalina Provocano midriasi,
selettivi (topici) aumento del deflusso
Dipivefrina dell’umore acqueo e
riduzione della sua
produzione
Agonisti adrenergici α2- Apraclonidina Provocano riduzione della
selettivi (topici) produzione dell’umore
Brimonidina‡ acqueo, aumento del suo
deflusso uveo-sclerale e
possono causare midriasi

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Manuale Merck - Tabella

β-bloccanti (topici) Timololo Riducono la produzione


dell’umore acqueo; non
Betaxololo§ alterano il diametro
pupillare
Levobunololo

Carteololo

Metipranololo
Analoghi delle Latanoprost Aumentano il deflusso
prostaglandine (topici) (topico) dell’umore acqueo tramite
la via uveo-sclerale
piuttosto che il deflusso
convenzionale (via
trabecolo-canalicolare)
Diuretici osmotici (orali, Glicerina (orale) L’ipertonicità plasmatica
EV) favorisce la fuoriuscita di
Mannitolo (EV) fluido dall’occhio

Isosorbide (orale)
*Reversibile.

†Irreversibile; può essere catarattogeno; rischio aumentato di distacco


retinico.

‡Più α-selettiva rispetto all’apraclonidina.

§β1-selettivo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 105-1. Alcune malattie del cavo orale per siti di coinvolgimento
predominanti

Sito Malattia Descrizione


Aspecifico Gengivostomatite Vescicole diffuse che si ulcerano
erpetica acuta
Sindrome di Ulcere aftose multiple del cavo orale
Behçet associate a ulcere del pene e oculari
Pemfigoide Bolle che si rompono rapidamente,
cicatriziale lasciando ulcere; le lesioni oculari
compaiono successivamente a quelle
orali
Condiloma Verruca trasmessa per via venerea
acuminato che forma delle lesioni a cavolfiore
Discheratosi È associata all’eritroplachia, alla
leucoplachia (area bianca sulla
mucosa che non si rimuove
sfregando) e alle lesioni miste bianche
e rosse; precancerosa
Eritema multiforme Bolle multiple che si rompono
rapidamente, lasciando ulcere
emorragiche; comprende la sindrome
di Stevens- Johnson
Emangioma Lesioni di colore da porpora a rosso
scuro, simili al colore del vino porto;
benigno
Teleangiectasia Vasi sanguigni dilatati localizzati
emorragica
ereditaria
Lichen planus Le lesioni riproducono un aspetto
"merlettato" (strie di Wickham),
talvolta erosive; possono diventare
maligne
Linfangioma Tumefazione o alterazione del colore
localizzate; benigno
Mucocele (cisti da Nodulo molle; se superficiale, è
ritenzi one coperto da epitelio sottile; appare
mucosa) bluastro
Noma Piccole vescicole o ulcere che
rapidamente si allargano e diventano
necrotiche

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Manuale Merck - Tabella

Pemfigoide Piccole bolle tese, gialle o


emorragiche; possono persistere per
vari giorni prima della rottura
Pemfigo Bolle che si rompono rapidamente,
lasciando ulcere
Sindrome di Peutz- Macchie di melanina brune o nere,
Jeghers con poliposi GI
Stomatite aftosa Piccole ulcere dolorose oppure grandi
ricorrente (ulcera ulcere dolorose che guariscono
aftosa) lasciando cicatrici
Sifilide Sifiloma primario (papule rosse che si
trasformano rapida mente in ulcere
indolenti con una crosta sieroematica),
placca mucosa, gomma; adenopatia
presente nelle prime due condizioni
Labbra Atrofia attinica Mucosa atrofica sottile con aree
erosive; predispone alla neoplasia
Angioedema Tumefazione acuta di origine allergica
Cheilite angolare Fissurazioni agli angoli della bocca,
(cheilosi) spesso con macerazione; frequente
negli edentuli
Cheilite Ghiandole labiali nodulari ingrossate
ghiandolare con dotti secretori dilatati e infiammati;
talvolta labbra ipertrofiche rovesciate
Cheilite Labbra diffusamente gonfie,
granulomatosa soprattutto il labbro inferiore
Cheilite esfoliativa Desquamazione cronica delle cellule
fissurale mucose superficiali
Cheratoacantoma Un tumore epiteliale benigno
localmente destruente che somiglia al
carcinoma a cellule squamose;
regredisce spontaneamente in circa 6
mesi
Herpes simplex Vescicola a breve vita seguita da
secondario (ulcera piccola ulcera dolorosa sul bordo
fredda) vermiglio
Verruca volgare Superficie con protuberanze
Mucosa Ustione da aspirina Area bianca dolorosa; se viene
buccale rimossa strofinando, espone un’area
infiammata
Granuli di Fordyce Ghiandole sebacee con aspetto simile
a macule color crema di circa 1 mm di
diametro; benigne

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Manuale Merck - Tabella

Malattia mano- Piccole vescicole ulcerate


piede-bocca
Erpangina Vescicole nella parte posteriore della
bocca
Fibroma da A superficie liscia, a forma di cupola,
irritazione sessile
Macchie di Koplik Macule bianco grigiastre molto piccole
con margini rossi vicino all’orifizio del
dotto parotideo; prodromo del morbillo
Linea alba Linea bianca sottile, tipicamente
bilaterale, a livello del pi ano
occlusale; benigna
Lesione da Corrugata, bianca o grigia; di solito
tabacco non dietro il labbro inferiore; tende alla
fumato malignità
Carcinoma A crescita lenta, esofitico, di solito ben
verrucoso differenziato; nel sito di applicazione
del tabacco da fiuto; metastasi rara,
che si verifica tardivamente
Nevo bianco Pieghe bianche spesse sulla maggior
spongioso parte della mucosa buccale a
eccezione delle gengive; benigno
Palato Mononucleosi Petecchie alla giunzione tra palato
infettiva duro e molle
Sarcoma di Kaposi Macchie indolori di colore da rosso a
porpora che si trasformano in papule
dolorose
Scialometaplasia Estesa, si trasforma rapidamente in
necrotizzante ulcera, spesso indolore; appare molto
maligna; guarisce spontaneamente in
1-3 mesi
Iperplasia Tessuto spongioso rosso che viene
infiammatoria rimpiazzato da pieghe di tessuto
papillare fibroso; benigna
Palato dei fumatori Aree punteggiate di rosso sui dotti
di pipa (stomatite delle ghiandole salivari minori, spesso
da nicotina) con leucoplachia grave, di solito
benigna
Herpes simplex Piccole papule che presto si uniscono
secondario in grappoli di ulcere
Toro palatino Escrescenza di osso sulla linea
mediana; benigno

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Manuale Merck - Tabella

Granulomatosi di Granuloma della linea mediana letale,


Wegener con distruzione, sequestro e
perforazione di osso
Lingua e Anchiloglossia Incapacità di protrusione della lingua
pavimento
della bocca
Cisti linfoepiteliale Nodulo giallognolo sulla parte ventrale
benigna della lingua o su quella anteriore del
pavimento della bocca
Glossite migrante Quadri variabili di ipercheratosi ed
benigna (lingua a eritema sul dorso e sui bordi; papille
carta geografica, filiformi desquamate in un quadro
eritema migrante) circinato irregolare, spesso con un
centro infiammato e un bordo bianco o
giallo
Cisti dermoide Gonfiore del pavimento della bocca
Ingrossamento Localizzato o generalizzato a seconda
della lingua della quantità di denti mancanti; i denti
adiacenti possono formare insenature
sulla lingua
Lingua fissurata Profonde fessure sulle aree dorsali e
(scrotale) laterali
Glossite Lingua dolente e rossa; spesso
secondaria a un’altra malattia allergica
o idiopatica
Lingua pelosa Papille filiformi allungate e di colore
(villosa) scuro
Linea alba Sottile linea bianca sui bordi della
lingua, di solito bilaterale
Nodulo tiroideo Massa nodulare a superficie liscia di
linguale follicoli di tessuto tiroideo, sul dorso
più posteriore della lingua, di solito
sulla linea mediana
Angina di Ludwig Può compromettere le vie aeree
costringendo la lingua superiormente
e posteriormente
Glossite Area rossa (di solito) sulla linea
romboidale mediana della lingua, senza papille
mediana
Neurilemmoma Tumefazione persistente, talvolta in
corrispondenza di un trauma
precedente
Anemia perniciosa Lingua pallida liscia, spesso con
glossodinia o glossopirosi

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Manuale Merck - Tabella

Ranula Mucocele esteso che infiltra il muscolo


miloioideo; può approfondirsi nel collo;
gonfiore del pavimento della bocca
Cisti del dotto Tumefazione della linea mediana che
tireoglosso si muove in alto quando la lingua
protrude
Tubercolosi Ulcere sul dorso, adenopatia cervicale
Ghiandole Lesione Ingrossamento mono o bilaterale delle
salivari linfoepiteliale ghiandole salivari; spesso con
benigna (malattia secchezza della bocca e degli occhi
di Mikulicz)
Scialoadenite Tumefazione, spesso dolente;
benigna
Scialolitiasi Tumefazione (p. es., del pavimento
della bocca) che aumenta al momento
dei pasti o dopo aver mangiato cibi in
salamoia
Sindrome di V. Cap.50
Sjögren
Xerostomia Bocca secca

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck

5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL


TESSUTO CONNETTIVO

50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO

SINDROME DI SJÖGREN

Malattia infiammatoria sistemica cronica a eziologia sconosciuta, caratterizzata


da secchezza delle fauci, degli occhi e di altre mucose, spesso associata a
malattie reumatiche che hanno in comune alcune caratteristiche autoimmunitarie
(p. es., l'AR, la sclerodermia, il LES) e nella quale è presente l'infiltrazione
linfocitaria delle mucose e di altri tessuti.

Sommario:

Introduzione
Fisiopatologia, sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi e terapia

La sindrome di Sjögren (SS) è più comune del LES ma meno comune della AR.
Una associazione è stata trovata tra gli antigeni

HLA-DR3 e la SS primaria nei bianchi. Altri fattori genetici possono essere


importanti in altri gruppi etnici.

Fisiopatologia, sintomi e segni

La SS può colpire soltanto gli occhi o la bocca (SS primaria, sicca complex, sicca
syndrome), oppure può essere associata a una collagenopatia vascolare
generalizzata (SS secondaria). L'artrite si verifica in circa il 33% dei pazienti e ha
una distribuzione simile a quella dell'AR; in ogni caso, i sintomi articolari della SS
primaria tendono a essere più lievi e raramente portano alla distruzione
articolare. Alcuni pazienti, affetti da SS non diagnosticata e con sintomi reumatici,
possono non lamentare la sicca syndrome; la SS viene in questi casi
diagnosticata in base ai dati di laboratorio.

Le ghiandole salivari e lacrimali vengono infiltrate da linfociti T CD4+ e da


linfociti B. I linfociti T producono citochine flogogene (p. es., interleuchina-2, g-
interferon). Anche le cellule dei dotti delle ghiandole salivari producono citochine,
che alla fine danneggiano i dotti secretori. L'atrofia dell'epitelio secretorio delle
ghiandole lacrimali causa l'essiccamento della cornea e della congiuntiva
(cheratocongiuntivite secca, v. Cap. 96). Questo molto spesso produce una
sensazione di secchezza o di irritazione. Nei casi più avanzati, la cornea viene
gravemente danneggiata, realizzando un quadro di cheratite filamentosa
caratterizzata dalla presenza di frange epiteliali che pendono dalla superficie
della cornea e la vista può essere alterata.

Un terzo dei pazienti affetti da SS presenta un ingrandimento delle ghiandole


parotidi che sono generalmente dure, lisce, di grandezza variabile e leggermente
dolenti. L'ingrossamento cronico delle ghiandole salivari raramente dà dolore.
L'infiltrazione linfocitica e la proliferazione cellulare intraduttale nella ghiandola
parotide, causano la stenosi dei lumi e alla fine la formazione di strutture cellulari

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Malattie del tessuto connettivo

compatte, chiamate isole epimioepiteliali. Quando le ghiandole salivari si


atrofizzano, la saliva diminuisce e la conseguente estrema secchezza della
bocca e delle labbra (xerostomia) rende difficoltosa la masticazione e la
deglutizione e promuove la caduta dei denti e la calcolosi dei dotti salivari. Si può
avere una diminuzione del senso del gusto e dell'olfatto.

Allo stesso modo può comparire secchezza della pelle, delle mucose del naso,
della gola, della laringe, dei bronchi, della vulva e della vagina. La secchezza del
tratto respiratorio può causare infezioni polmonari e talvolta, polmoniti. Vi può
essere alopecia.

I danni a carico dell'apparato GI (p. es., disfagia) sono legati all'atrofia delle
mucose e delle sottomucose e all'infiltrazione plasmacellulare e linfocitaria
diffusa. Si possono verificare malattie epatobiliari croniche e pancreatite (il
tessuto esocrino pancreatico è simile a quello delle ghiandole salivari). La
pericardite fibrinosa è una complicanza occasionale. La neuropatia sensitiva è
comune. Vasculite del SNC può anche verificarsi nella SS. Circa il 20% dei
pazienti affetti da SS presenta acidosi renale tubulare; in molti è dimostrabile un
diminuito potere di concentrazione renale. La nefrite interstiziale è comune, ma la
glomerulonefritie è rara. Nei pazienti che presentano ingrossamento delle
parotidi, splenomegalia e linfoadenopatia si può sviluppare uno pseudolinfoma o
un linfoma maligno. Il rischio che si manifesti un linfoma nei pazienti affetti da SS
è 44 volte maggiore che per il resto della popolazione; questi pazienti sono inoltre
più esposti al rischio di insorgenza di una macroglobulinemia di Waldenström.

Diagnosi

L'occhio viene esaminato per la secchezza. Il test di Schirmer misura la quantità


di lacrime secrete in 5 min in risposta all'irritazione provocata da una striscia di
carta da filtro posta sotto ogni palpebra inferiore. Una persona giovane normale
imbibisce circa 15 mm di ogni striscia. Poiché l'ipolacrimazione peggiora con
l'età, il 33% delle persone anziane sane può bagnare la striscia di soli 10 mm in
5 min. La maggior parte delle persone affette da SS bagna < 5 mm in 5 min,
anche se il 15% dei risultati è falso-positivo e un altro 15% falso-negativo. La
colorazione della congiuntiva e della cornea mediante una goccia di soluzione di
rosa-Bengala è altamente specifica. Infatti nella SS, la parte dell'occhio visibile
all'apertura della palpebra assorbe il colore e si creano alcuni triangoli rossi con
le basi rivolte verso il limbus. Un'altra indagine utile è l'esame con la lampada a
fessura.

Le ghiandole salivari possono essere ulteriormente esaminate sulla base del


flusso salivare, della scialografia e della scintigrafia salivare. La biopsia delle
ghiandole salivari labiali minori, facilmente accessibili, conferma la diagnosi
quando vengano evidenziate grandi infiltrazioni focali multiple di linfociti con
atrofia del tessuto acinoso.

È caratteristica della SS la reattività immunologica rilevata nel siero; la maggior


parte dei pazienti ha alti livelli di Ac anti-gammaglobuline (FR), anti-proteine
nucleari e contro numerosi costituenti tissutali. Anticorpi precipitanti Ag nucleari
(identificati con l'immunodiffusione), denominati anticorpi anti SS-B, sono
frequentemente presenti ma non specifici della SS primitiva. IL FR è presente in
più del 70% dei casi, la VES è elevata nel 70%, il 33% ha anemia e il 25% ha
leucopenia ed eosinofilia. L'analisi delle urine può rilevare una proteinuria,
svelando una nefrite interstiziale.

Prognosi e terapia

La prognosi della SS è spesso legata a malattie associate del tessuto connettivo,


anche se la malattia è cronica e la morte può occasionalmente sopravvenire per
un'infezione polmonare e, più raramente, per un'insufficienza renale o un linfoma.

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Malattie del tessuto connettivo

Non vi è terapia specifica per il processo di base. Le manifestazioni locali


possono essere trattate in modo sintomatico.

Sintomi oculari: v. Cheratocongiuntivite Secca nel Cap. 96.

Complicanze orali: il trattamento delle complicanze orali mira a evitare la


secchezza delle fauci che promuove la calcolosi del dotto e la carie dentaria:
p. es., facendo sorseggiare liquidi nel corso della giornata, masticare gomma
senza zucchero e usando un sostituto della saliva contenente
carbossimetilcellulosa per gli sciacqui. I farmaci che diminuiscono la secrezione
salivare (p. es., gli antiistaminici e altri anticolinergici) dovrebbero essere evitati.
Sono essenziali un'accurata igiene orale e regolari controlli dentistici. I calcoli
devono essere rimossi immediatamente, mantenendo il tessuto salivare intatto. Il
trattamento migliore per il dolore localizzato alle ghiandole salivari ingrossate è
quello con i soli analgesici. La pilocarpina può essere usata per stimolare la
produzione salivare se le ghiandole non sono gravemente atrofizzate.

Interessamento del tessuto connettivo: poiché l'interessamento del tessuto


connettivo abitualmente è lieve e cronico, i farmaci steroidei e gli
immunosoppressori sono indicati soltanto occasionalmente (p. es., nei pazienti
affetti da una forma grave di vasculite o con interessamento viscerale.)
L'irradiazione e i farmaci che aumentano il rischio di malattie linfoproliferative e di
infezioni vanno evitati.

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Patologie della cornea

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

96.PATOLOGIE DELLA CORNEA

Perdita o danneggiamento dell'epitelio dalla superficie corneale di uno o entrambi


gli occhi, caratterizzato da piccole erosioni puntiformi e disseminate.

CHERATOCONGIUNTIVITE SECCA

(Cheratite secca)

Essiccazione cronica, bilaterale della congiuntiva e della cornea dovuta a un


inadeguato volume di lacrime (cheratocongiuntivite secca da iposecrezione
lacrimale) o perdita eccessiva di lacrime da eccessiva evaporazione a causa di
un'alterazione qualitativa (cheratocongiuntivite secca da evaporazione).

Sommario:

Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Sintomi e segni

I pazienti lamentano prurito, bruciore, fotofobia, sensazione di sabbia nell'occhio,


pressione dietro l'occhio o sensazione di corpo estraneo. Alcuni pazienti notano
un'ipersecrezione lacrimale dopo un'irritazione grave. I sintomi sono aggravati
dagli sforzi visivi prolungati, come la lettura, il lavoro al computer, la guida o
guardare la televisione. Particolari ambienti possono anche aggravare i sintomi,
come i locali polverosi o fumosi e secchi, p. es., gli aerei, i centri commerciali, le
giornate con basso tasso di umidità e le aree dove sono utilizzati i condizionatori
d'aria (soprattutto in automobile), i ventilatori o le stufe. Alcuni farmaci sistemici
possono aggravare i sintomi, inclusi l'isotretinoina, i calmanti, i diuretici, gli
antiipertensivi, i contraccettivi orali e tutti gli anticolinergici (inclusi gli antistaminici
e molti farmaci per il sistema gastrointestinale). I sintomi possono aumentare
durante giornate fredde, piovose o nebbiose o in altri ambienti con alto tasso di
umidità, come le docce. Sebbene la cheratocongiuntivite secca raramente
provochi una visione ridotta, a volte i pazienti lamentano una grave irritazione
oculare.

Diagnosi

In entrambe le forme di cheratocongiuntivite secca, la congiuntiva è iperemica e


ci sono spesso perdite sparse, piccole, puntate di epitelio corneale (cheratite
puntata superficiale) e/o congiuntivale. Le aree coinvolte sono per lo più tra le
palpebre (la zona intrapalpebrale o zona di esposizione) e tali aree si colorano
con fluoresceina. I pazienti spesso ammiccano in maniera frequente anche se, in
alcuni casi, è proprio la rarità dell'ammiccamento a provocare la secchezza
oculare.

Nella cheratocongiuntivite secca da insufficiente produzione di lacrime, la


congiuntiva può apparire asciutta e senza brillantezza con pieghe ridondanti.
Questa forma di cheratocongiuntivite secca si presenta più spesso in maniera
isolata e idiopatica e colpisce prevalentemente donne in post-menopausa. Meno

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Patologie della cornea

frequentemente, essa può essere secondaria ad altre condizioni che provocano


cicatrizzazione dei dotti lacrimali, p. es., pemfigoide cicatriziale, sindrome di
Stevens-Johnson o tracoma o, come risultato di una ghiandola lacrimale
danneggiata o malfunzionante, p. es., reazione graft-versus-host, dopo terapia
radiante locale o nella disautonomia familiare.

Un test di Schirmer viene effettuato usando striscioline standard di carta bibula


collocate, senza anestesia topica, alla giunzione tra il terzo medio e il terzo
laterale della palpebra inferiore. Un'area di 5 mm o meno di carta bagnata, dopo
5 min in due misurazioni successive conferma la diagnosi di occhio secco da
secrezione insufficiente. Raramente, una essiccazione grave, avanzata, cronica
può portare a cheratinizzazione della superficie oculare o perdita dell'epitelio
corneale con cicatrizzazione, vascolarizzazione, infezioni, ulcerazione e possibile
perforazione. In questi casi gravi, interviene una perdita significativa dell'acuità
visiva.

Nella cheratocongiuntivite secca da eccessiva evaporazione, può essere


presente un'abbondante lacrimazione sotto forma di schiuma sui margini
palpebrali. Di solito, vi è un'associazione con blefarite e acne rosacea (v.
Cap. 116). Molto raramente, in questa forma di occhio secco l'essiccamento può
essere sufficiente a provocare una perdita dell'epitelio corneale o riduzione
dell'acuità visiva. I risultati del test di Schirmer sono in genere normali.
L'instillazione di una piccola quantità di fluoresceina a elevata concentrazione
può rendere visibile il film lacrimale, rivelando una eccessiva perdita di un film
intatto (break-up test lacrimale).

Pazienti affetti da sindrome di Sjögren (v. Cap. 50) presentano


cheratocongiuntivite secca da scarsa secrezione e bocca secca. Questa
sindrome può presentarsi come fenomeno isolato (sindrome di Sjögren primaria)
o in associazione con patologie sistemiche del tessuto connettivo come l'artrite
reumatoide o SLE (sindrome di Sjögren secondaria). Molto utili ai fini della
diagnosi sono la sierologia e la biopsia delle ghiandole salivari. Pazienti con
forma sia primaria che secondaria di sindrome di Sjögren sviluppano linfomi di
Hodgkin 40 volte di più dei soggetti normali e richiedono un follow-up accurato da
parte del loro medico.

Terapia

L'uso frequente di lacrime artificiali può essere utile in entrambe le forme di


cheratocongiuntivite secca. Le lacrime artificiali a viscosità maggiore coprono la
superficie oculare più a lungo e sono particolarmente utili nella
cheratocongiuntivite secca da evaporazione. Le pomate a base di lacrime
artificiali applicate prima del sonno sono particolarmente utili quando i pazienti
soffrono di lagoftalmo notturno e/o presentano irritazione al mattino al risveglio.
La maggior parte dei casi viene trattata adeguatamente per tutta la vita del
paziente con questa terapia sostitutiva. Può spesso essere di aiuto evitare gli
ambienti secchi, ventilati e usare gli umidificatori. In casi resistenti è indicata
l'occlusione del puntino lacrimale. Nei casi gravi la tarsorrafia parziale può ridurre
la perdita di lacrime attraverso l'evaporazione.

I pazienti con cheratocongiuntivite secca da evaporazione trovano spesso


beneficio dalla cura della blefarite concomitante, che include impacchi caldi, la
pulizia dei margini palpebrali o le tetracicline PO (v. Cap. 94).

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck

10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE

116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE


GHIANDOLE SEBACEE

ROSACEA

Dermatosi cronica a carattere infiammatorio che colpisce abitualmente gli


individui di mezza età od oltre ed è caratterizzata da teleangectasie, eritema,
papule e pustole che colpiscono prevalentemente l’area centrale del viso.

Sommario:

Introduzione
Terapia

Un’ipertrofia dei tessuti è spesso presente, particolarmente a livello del naso


(rinofima). Occasionalmente la rosacea può colpire le estremità e il tronco.

La causa è sconosciuta; molto spesso la dermatosi insorge in individui con


carnagione chiara. Molto probabilmente, la dieta non gioca alcun ruolo nella
patogenesi. Spesso la rosacea assume un aspetto acneico, ma in questo caso si
nota l’assenza di comedoni; la diagnosi differenziale comprende anche le
eruzioni cutanee da farmaci (specialmente da ioduri e bromuri), i granulomi
cutanei, la dermatite periorale e il lupus eritematoso.

Terapia

Il metronidazolo topico, in gel o in crema, oppure gli antibiotici orali ad ampio


spettro sono in genere il trattamento più efficace. La tetraciclina, 1g/die in dose
frazionata durante i pasti e la sera, è risultata la più efficace e i suoi effetti
collaterali, con impiego a lungo termine, sono minori. Il dosaggio va ridotto una
volta raggiunta una risposta terapeutica positiva. Spesso, dosi di appena 250 mg/
die o a giorni alterni, sono capaci di controllarne il decorso. Ma se la tetraciclina
risulta inefficace o non viene tollerata, la minociclina, l’eritromicina e la doxiciclina
rimangono comunque efficaci alternative. I casi ostinati spesso rispondono
all’isotretinoina orale (v. Acne, sopra). I corticosteroidi fluorurati topici possono
aggravare il quadro clinico della rosacea e quindi sono assolutamente
controindicati. In caso di rinofima occorre ricorrere a interventi di plastica
ricostruttiva. In ogni caso, l’uso di schermanti solari è fortemente raccomandato,
in quanto la luce solare può esacerbare la rosacea.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Manuale Merck

10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE

116. MALATTIE DEI FOLLICOLI PILIFERI E DELLE


GHIANDOLE SEBACEE

ACNE

Comune infiammazione delle ghiandole pilosebacee, caratterizzata da comedoni,


papule, pustole, cisti superficiali suppurate, noduli infiammati e, nei casi estremi,
fistolizzazioni e raccolte tuberose suppurate, a forma di vere e proprie sacche.

Sommario:

Patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Patogenesi

Un’interazione tra ormoni, cheratina, sebo e batteri determina il decorso e la


prognosi della patologia. L’acne ha inizio solitamente in età puberale, quando un
aumento degli androgeni causa una ipertrofia funzionale dell’apparato
pilosebaceo. Le lesioni dell’acne infiammatoria comprendono papule, pustole e
noduli o cisti. Le lesioni di un’acne non infiammatoria comprendono comedoni
aperti e chiusi (cioè, punti neri e punti bianchi). All’inizio, l’ipercheratosi
intrafollicolare determina l’ostruzione del follicolo pilosebaceo; successivamente,
si formano i comedoni, composti da sebo, cheratina e microrganismi,
particolarmente il Propionibacterium acnes. Le lipasi del P. acnes scindono i
trigliceridi del sebo in acidi grassi liberi (AGL) che sono molto irritanti per le pareti
del follicolo pilifero. La ritenzione di sebo e la dilatazione del follicolo possono
portare alla formazione di cisti. La rottura del follicolo, con la liberazione nei
tessuti di AGL, prodotti batterici e cheratina, induce una reazione infiammatoria
che solitamente sfocia nella formazione di un ascesso. Questi ascessi vanno
incontro a guarigione, con residui cicatriziali, nei casi più gravi. Di solito, l’acne
guarisce spontaneamente, ma il tempo per la remissione non è prevedibile.

Sintomi e segni

Spesso l’acne si esacerba in inverno per migliorare in estate, probabilmente a


causa del benefico effetto dei raggi solari. La dieta ha un effetto molto limitato;
tuttavia, se un cibo è sospetto, va eliminato per diverse settimane e quindi
assunto in quantità notevole per determinare se l’acne peggiora. L’acne può
subire variazioni durante il ciclo mestruale e può migliorare o peggiorare durante
la gravidanza. Sebbene raramente i cosmetici determinino un peggioramento
dell’acne, il classico consiglio di evitare i preparati grassi resta il più prudente.

Acne superficiale: i punti neri (comedoni aperti) o i punti bianchi (comedoni


chiusi), le papule infiammate, le pustole e le cisti superficiali sono lesioni
caratteristiche. Occasionalmente possono comparire grosse cisti, il più delle volte
determinate da manipolazioni o traumi capaci di scatenare violente reazioni
infiammatorie. La prognosi per una guarigione senza formazione di cicatrici è
buona per l’acne superficiale, ma i tentativi di far fuoriuscire i punti neri o le cisti
superficiali e il grattamento delle lesioni che si sono aperte possono aumentare
gli esiti cicatriziali.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Acne profonda: questa forma ha le stesse caratteristiche di base della


precedente, ma con la formazione di noduli infiammatori profondi o cisti a
contenuto purulento, le quali spesso si rompono e divengono ascessi. Alcuni
ascessi fistolizzano sulla superficie cutanea, rilasciandovi i propri contenuti. Le
lesioni sono più comuni al volto; ma anche il collo, il torace, il dorso e le spalle
possono essere interessati. Gli esiti cicatriziali sono frequenti.

Diagnosi

I comedoni sono quasi sempre presenti e le varie lesioni in diverso stadio


evolutivo coesistono nello stesso momento. La diagnosi differenziale viene fatta
con la rosacea, che però non dà luogo a comedoni e con le lesioni acneiformi
indotte da corticosteroidi, che solitamente presentano pustole follicolari nello
stesso stadio evolutivo e nessun comedone.

Terapia

Sebbene l’acne sia oramai universale, crea imbarazzo negli adolescenti che
tendono a isolarsi, usando l’acne come una scusa per evitare la socializzazione.
Può essere utile un’assistenza psicologica sia per il paziente che per i suoi
genitori. Gli erronei convincimenti di una possibile relazione fra acne e dieta,
sport e attività sessuale sono comuni e vanno discussi con il paziente. Il
trattamento dipende dalla gravità delle lesioni.

Acne superficiale: sebbene i numerosi lavaggi giornalieri abbiano uno scarso


effetto sulle lesioni, si può comunque ottenere un miglioramento dell’aspetto
lucido del viso, con l’uso costante di un qualsiasi buon detergente. I saponi
antibatterici non offrono alcun beneficio, mentre quelli abrasivi determinano
un’irritazione che rende difficile l’uso di farmaci topici specifici (v. oltre).

Nell’acne pustolosa superficiale, l’applicazione topica di clindamicina o


eritromicina usata da sola o associata a uno dei saponi abrasivi in seguito
menzionati, è probabilmente il trattamento più efficace. La luce solare è utile
perché causa lieve secchezza e fine desquamazione. Comunque, la luce solare
non è sempre disponibile e il suo effetto è difficilmente riproducibile con lampade
artificiali. Una crema con acido azelaico al 20%, che ha effetto antiproliferativo e
antibatterico, può risultare efficace nell’acne comedonica o in fase infiammatoria.

La tretinoina (acido retinoico) allo 0,025%, 0,05%, 0,1% in crema, allo 0,1% in
lozione oppure allo 0,01% o 0,025% in gel è spesso efficace. Un nuovo retinoide
topico, l’adapalene allo 0,1% in gel, è stato recentemente approvato negli USA e
risulta essere lievemente meno irritante della tretinoina topica. Questi retinoidi
vanno applicati con molta cautela, ricoprendo con un solo strato l’intera area
interessata, di sera o a sere alterne, in caso di forte irritazione. Vanno protetti
dall’applicazione gli occhi, i solchi nasogenieni e le piccole rugosità labiali. La
tretinoina in forma liquida deve essere applicata con l’ausilio di un cotton fioc.
L’esposizione alla luce solare e l’uso di altri topici devono essere limitati per
evitare gravi fenomeni irritativi. Con l’uso della tretinoina o dell’adapalene, l’acne
può inizialmente peggiorare; infatti, per un miglioramento è necessario attendere
di solito 3-4 settimane.

Altri medicinali ad uso topico comprendono il benzoilperossido al 5-10%,


l’ossitetraciclina e varie associazioni di resorcina solforosa; di solito, vanno
impiegate due volte al giorno, oppure con un preparato applicato la sera e un
altro il mattino successivo. Le tetracicline orali possono essere di aiuto nell’acne
pustolosa superficiale.

Acne profonda: si richiede un trattamento vigoroso per ridurre al minimo i


possibili esiti cicatriziali. In caso di lesioni gravi e profonde, il trattamento topico
risulta insoddisfacente; un antibiotico orale ad ampio spettro è generalmente

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

efficace, in quanto riduce la presenza di microrganismi batterici. Le tetracicline


risultano avere il migliore rapporto costo-beneficio; vanno somministrate tra i
pasti e prima di coricarsi per 4 settimane alle dosi di 250 mg qid o di 500 mg bid
e poi ridotte alla dose minima efficace. A volte, occorre aumentare il dosaggio a
500 mg qid. Poiché le ricadute sono frequenti dopo brevi cicli di terapia, la terapia
tetraciclinica va continuata per mesi o anni, sebbene il dosaggio con 250 o
500 mg al giorno risulti spesso sufficiente. Molti dermatologi considerano la più
costosa minociclina l’antibiotico sistemico di scelta per la sua efficacia, per
l’assenza di effetti collaterali GI, per la semplice posologia durante i pasti e per la
mancanza di fotosensibilità. Gli effetti collaterali comprendono le vertigini e le
discromie della cute e delle mucose. Altri antibiotici sistemici che possono essere
usati sono l’eritromicina e la doxiciclina. Entrambi possono causare effetti
collaterali GI e, inoltre, la doxiciclina è spesso fotosensibilizzante. Antibiotici
sistemici a pieno dosaggio (tetraciclina 500 mg bid, minociclina 100 mg bid,
doxiciclina 100 mg bid ed eritromicina 333 mg tid) vanno somministrati per
4 settimane per poi ridurre il dosaggio. Ottimi risultati terapeutici vengono
raggiunti nell’arco di 6-12 settimane.

Nelle donne, il più noto effetto collaterale dovuto all’utilizzo di prolungate terapie
antibiotiche è la candidiasi vaginale. Se la terapia locale e sistemica non riesce a
eradicare la Candida, occorrerà sospendere la terapia antibiotica per l’acne.
L’uso di antibiotici per lungo tempo può inoltre provocare follicoliti pustolose da
gram – al centro del viso o intorno al naso. Questa rara sovrainfezione può
essere difficile da eliminare e va preferibilmente trattata con isotretionina orale,
dopo la sospensione della terapia antibiotica.

L’isotretinoina orale rappresenta il miglior trattamento nei pazienti in cui gli


antibiotici non sono efficaci o in quelli con una grave forma di acne profonda.
Questo farmaco ha rivoluzionato il trattamento dell’acne, ma va prescritto
solamente da medici che ne conoscano gli effetti collaterali. Dato che
l’isotretinoina è teratogena, le donne che assumono il farmaco devono usare, per
maggior sicurezza, due metodi contraccettivi non solo dal mese precedente e
durante tutto il corso della terapia, ma anche un mese dopo l’interruzione della
stessa. Sono importanti i test di gravidanza effettuati prima di iniziare la terapia e
a intervalli mensili.

Il dosaggio dell’isotretinoina solitamente è di 1mg/kg/die per 20 sett.; nei casi


ostinati, la dose va aumentata a 2 mg/kg/die; ma se il paziente non riesce a
tollerare questi dosaggi per gli effetti collaterali, la dose può essere ridotta a
0,5 mg/kg/ die. Anche alla sospensione della terapia, il miglioramento dell’acne
può continuare. La maggior parte dei pazienti non necessita di un secondo ciclo
di terapia; quando questo è invece necessario, bisogna attendere almeno 4 mesi
dall’interruzione del primo ciclo del farmaco. Molto spesso un nuovo trattamento
è necessario in quei casi in cui la dose iniziale è stata bassa (0,5 mg/kg/die). Con
questo dosaggio (molto usato in Europa) si verificano infatti meno effetti
collaterali, anche se spesso un trattamento prolungato è necessario comunque.

Gli effetti collaterali possono manifestarsi potenzialmente in ogni paziente; i più


comuni tra questi sono la secchezza delle congiuntive e delle mucose dei genitali
e le screpolature labiali. Solitamente, la vaselina migliora la secchezza cutanea e
mucosa. Si possono anche verificare sintomi muscolo-scheletrici, dolore o rigidità
delle grandi articolazioni o del basso bacino, in circa il 15% dei pazienti. Prima di
ciascun trattamento vanno controllati i livelli di colesterolo e di trigliceridi, la
funzione epatica e l’esame emocromocitometrico. Ulteriori controlli, escluso
l’esame emocromocitometrico, vanno effettuati dopo 4 sett. di terapia e in
assenza di valori anomali non vanno ripetuti fino alla fine della terapia stessa. Il
livello dei trigliceridi raramente può aumentare sino al punto di dover sospendere
il farmaco. La funzionalità epatica viene compromessa soltanto occasionalmente.

Per le lesioni nodulari acneiche (cistiche) è utile un’infiltrazione di 0,1 ml di una


sospensione di triamcinolone acetonide 2,5 mg/ml (la sospensione da 10 mg/
ml va diluita) all’interno della cisti infiammata o dell’ascesso; l’atrofia locale
(dovuta all’azione del corticosteroide o alla distruzione dei tessuti da parte della
cisti) solitamente è transitoria. Per le lesioni isolate molto purulente, l’incisione e il
drenaggio sono spesso efficaci, ma possono esitare in cicatrici.

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Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Talvolta è utile la dermoabrasione per le piccole cicatrici, ma il suo effetto a lungo


termine è controverso. La roentgenterapia è ingiustificata. I corticosteroidei topici,
specialmente se fluorurati, possono peggiorare l’acne. Quando le altre misure
falliscono e l’acne sembra essere in relazione con i cicli mestruali, possono
essere prescritti contraccettivi estroprogestinici; questa terapia necessita di
6 mesi per dare i primi risultati favorevoli.

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Affezioni dermatologiche

Manuale Merck

10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE

109. Diagnosi delle malattie cutanee

Indagini diagnostiche speciali

Lesioni cutanee primitive

Lesioni cutanee secondarie

Prurito

110. Principi di terapia dermatologica topica

111. Dermatiti

Dermatite da contatto

Dermatite atopica

Dermatite seborroica

Dermatite nummulare

Dermatite cronica palmo-plantare

Dermatite esfoliativa generalizzata

Dermatite da stasi

Lichen simplex cronico

112. Infezioni batteriche cutanee

Cellulite

Linfangite acuta

Linfoadenite

Erisipela

Ascessi cutanei

Infezioni sottocutanee necrotizzanti

Sindrome combustiforme da stafilococco

Follicolite

Foruncoli

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Affezioni dermatologiche

Idrosadenite suppurativa

Carbonchio

Paronichie

Eritrasma

113. Micosi cutanee

Infezioni da dermatofiti

Tinea corporis

Tinea pedis

Tinea unguium

Tinea capitis

Tinea cruris

Tinea della barba

Dermatofitidi o reazioni idiche

Infezioni da lieviti

Candidiasi

Tinea versicolor

114. Infezioni parassitarie della cute

Scabbia

Pediculosi

Larva migrans cutanea

115. Infezioni virali cutanee

Verruche

Mollusco contagioso

116. Malattie dei follicoli piliferi e delle ghiandole sebacee

Acne

Rosacea

Dermatite periorale

Ipertricosi

Alopecia

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Affezioni dermatologiche

Pseudofollicolite della barba

Cisti cheratiniche

117. Malattie da carattere desquamativo

Psoriasi

Pitiriasi rosea

Lichen ruber planus

Pityriasis rubra pilaris

118. Reazioni infiammatorie

Dermatite da farmaci

Necrolisi epidermica tossica

Eritema multiforme

Eritema nodoso

Granuloma anulare

119. Reazioni alla luce solare

Ustioni

Effetti cronici della luce solare

Fotosensibilità

120. Malattie bollose

Pemfigo

Pemfigoide bolloso

Dermatite erpetiforme

Dermatosi a iga lineari

121. Disturbi della cheratinizzazione

Ittiosi

Cheratosi pilare

Calli e corni cutanei

122. Ulcere da pressione

123. Disturbi della pigmentazione

Ipopigmentazione

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Affezioni dermatologiche

Iperpigmentazione

124. Disturbi della sudorazione

Miliaria

Iperidrosi

125. Tumori benigni

Nevi

Nevi displastici

Fibromi penduli

Lipomi

Angiomi

Granuloma piogenico

Cheratosi seborroica

Dermatofibroma

Cheratoacantoma

Cheloide

126. Tumori maligni

Carcinoma basocellulare

Carcinoma squamocellulare

Morbo di bowen

Melanoma maligno

Malattia di Paget della mammella

Sarcoma di Kaposi

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Diagnosi delle malattie cutanee

Manuale Merck

10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE

109. DIAGNOSI DELLE MALATTIE CUTANEE

Molte malattie cutanee possono essere diagnosticate attraverso il solo esame


fisico. L’esame obiettivo deve includere l’ispezione delle unghie e delle zone
poco accessibili a un autoesame (p. es., mucosa orale, regione anogenitale,
cuoio capelluto). È indispensabile avere una buona illuminazione. La diagnosi
richiede l’identificazione morfologica delle lesioni cutanee primitive e secondarie
(v. oltre).

Inoltre, la disposizione delle lesioni può essere significativa. La disposizione a


grappolo delle vescicole si riscontra nell’herpes simplex e nello zoster, con una
successiva tipica disposizione lineare in quest’ultimo. La tendenza a formare
cerchi o anelli è caratteristica nel granuloma anulare, nell’eritema multiforme,
nell’eritema fisso da medicamenti, nelle infezioni da dermatofiti, in alcune forme
della malattia di Lyme e nella sifilide secondaria. L’ordinamento lineare si verifica
nei nevi epidermici, nella sclerodermia lineare e nella dermatite da contatto. Nel
fenomeno di Köbner (isomorfismo reattivo) le lesioni della psoriasi, del lichen
planus e delle verruche piane mimano l’aspetto di un trauma cutaneo (p. es., da
grattamento, sfregamento o altro insulto meccanico). Di solito, la distribuzione
delle lesioni ha un aspetto caratteristico (v. Tab. 109-1). L’anamnesi può inoltre
fornire preziose indicazioni.

file:///F|/sito/merck/sez10/1090841a.html02/09/2004 2.02.33
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 109-1. SEDI DELLE LESIONI NELLE MALATTIE CUTANEE

Patologia Sede
Acne Volto, collo, torace, dorso,
l’intero tronco può essere
coinvolto nell’acne tropicale
(acne volgare severa)
Dermatite atopica Area poplitea e antecubitale,
volto, mani; nei bambini può
essere limitata al volto o
all’area del pannolino
Lupus eritematoso Volto, cuoio capelluto,
discoide cronico orecchie, collo
Eritema multiforme Sede palmo-plantare,
mucose; può essere diffuso
Eritema nodoso Estremità distale degli arti
inferiori, specialmente la
superficie pretibiale
Lichen planus Mucosa orale, polsi
(superficie flessoria), tronco,
genitali; può essere diffuso
Reazioni di Area esposta alla luce
fotosensibilità naturale o artificiale, inclusa
la zonaV del collo, le braccia
al disotto delle maniche, il
volto (in particolare le
guance e il naso a
esclusione della zona
sottomentoniera); può
essere confusa con la
dermatite da contatto
Pityriasis rosea Tronco, estremità prossimali
(l’asse maggiore delle lesioni
ovalari decorre parallelo alle
linee di clivaggio); può
interessare esclusivamente
le estremità, risparmiando il
tronco
Psoriasi Superficie estensoria di
gomiti e ginocchia, cuoio
capelluto, dorso, regione
anogenitale, unghie; può
manifestarsi anche sulle
superfici flessorie, l’apice del
pene, o a livello palmare

file:///F|/sito/merck/tabelle/10901.html (1 of 2)02/09/2004 2.02.33


Manuale Merck - Tabella

file:///F|/sito/merck/tabelle/10901.html (2 of 2)02/09/2004 2.02.33


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Diagnosi delle malattie cutanee

Manuale Merck

10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE

109. DIAGNOSI DELLE MALATTIE CUTANEE

INDAGINI DIAGNOSTICHE SPECIALI

La biopsia è un esame che risulta essenziale per la diagnosi istologica di


dermatiti idiopatiche, specialmente se croniche, e per lesioni con sospetto di
malignità. Generalmente per l’esecuzione di una biopsia viene scelta una lesione
tipica, ben manifesta, ma in caso di eruzioni vescicolose, bollose o pustolose, è
preferibile effettuare il prelievo sulla lesione iniziale. La procedura più semplice è
la "punch biopsy" mediante la quale un bisturi circolare (di diametro 2 mm) viene
inserito fino al sottocute e il frammento di tessuto viene tagliato alla base con le
forbici. Un’adeguata biopsia di lesioni relativamente friabili (p. es., cheratosi
seborroiche) si può ottenere raschiando con un’affilata curette oppure mediante
"shaving". Per ottenere un campione di tessuto più ampio oppure per eseguire
una biopsia su lesioni che interessano gli strati più profondi (derma profondo,
ipoderma), viene asportato un cuneo di tessuto e suturata l’area di incisione. Per
la maggior parte dei piccoli tumori, diagnosi e terapia si conseguono mediante
completa escissione con piccoli bordi di cute sana perilesionale. Tutte le lesioni
pigmentate, compresi i nevi, vanno asportate profondamente in modo da poter
valutare istologicamente l’invasività della lesione stessa. Le biopsie superficiali
sono spesso inadeguate per la diagnosi istologica, specialmente in caso di
lesioni pigmentate oppure in caso di sospetta infezione micotica o micobatterica
profonda.

L’esame microscopico del materiale raschiato aiuta nell’identificazione delle


infezioni micotiche superficiali. Le squame vengono prelevate dai bordi della
lesione, in fase evolutiva e coperte con idrossido di potassio al 20%. Le matrici
deformi di peli spezzati in una lesione del cuoio capelluto devono essere
esaminate, in quanto i capelli normali non vengono sempre contagiati (p. es.,
nella tinea capitis). Nelle dermatofitosi sono presenti ife fungine, fin dall’esordio,
mentre nella tinea versicolor e nella candidosi c’è una crescita graduale sia di
lieviti che di ife.

Terreni di coltura e test di sensibilità antibatterica sono indicati nelle infezioni


cutanee acute di origine batterica, ma non devono ritardare la terapia. La scelta
di un campione adeguato è essenziale. Per lesioni francamente pustolose è
sufficiente disporre di un comune tampone, che deve essere immediatamente
posto in opportuno brodo di coltura. Nelle infezioni croniche (p. es., TBC o micosi
profonde), nelle quali la flora può essere mista e in parte dispersa, potrebbe
essere necessario eseguire prelievi più ampi (compresi campioni di biopsie
profonde) da mettere in colture speciali. Le colture per infezioni fungine
superficiali hanno talora esito positivo anche quando il materiale cutaneo
raschiato risulta negativo.

L’esame alla luce di Wood richiede l’ispezione della cute in ambiente buio sotto
una luce ultravioletta filtrata attraverso la lampada di Wood ("luce nera"). La tinea
versicolor da una lieve fluorescenza dorata, mentre l’eritrasma appare rosso
arancio. La Tinea capitis determinata da Microsporum canis e da Microsporum
audouinii, ha una fluorescenza color verde chiaro (ma la maggior parte delle
infezioni da tinea capitis è determinata dalla specie Trichophyton che molto
raramente risulta fluorescente). Il primo indizio di un’infezione da Pseudomonas,
in special modo nelle ustioni, può essere una fluorescenza verde, mentre la
depigmentazione da vitiligine può essere differenziata dalle lesioni ipopigmentate
per la tipica colorazione bianco-avorio alla luce di Wood.

Il test di Tzanck è un esame rapido e affidabile (per personale esperto) per


determinare la diagnosi di herpes simplex, herpes zoster e pemfigo. Lo striscio di

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Diagnosi delle malattie cutanee

materiale cellulare viene prelevato dal fondo e dalle pareti della vescicola e
colorato con soluzione di Wright o colorazione di Giemsa. Cellule giganti
multinucleate sono presenti nell’herpes simplex, nell’herpes zoster e nella
varicella, ma non nella vaccinia. Il pemfigo può essere diagnosticato per la
rilevata presenza di cellule acantolitiche, con grandi nuclei e scarso citoplasma e
una perduta adesività intercellulare.

Le colture per i virus sono più sensibili e facili da interpretare di quanto non lo
sia il test di Tzanck e l’identificazione dell’agente patogeno, viene solitamente
effettuata nell’arco di 2 o 3 giorni. Se si sospetta un’infezione virale, il liquido
proveniente dalle vescicole può essere posto in speciali mezzi di coltura da
trasporto nella maggior parte dei centri medici.

I test di immunofluorescenza (IF) che utilizzano la microscopia a fluorescenza


(v. Disordini da reazioni di ipersensibilità di tipo II, nel Cap. 148) sono di notevole
ausilio nella diagnosi e nel controllo di alcune patologie cutanee. I test di
immunofluorescenza indiretta (valutazione del siero per anticorpi circolanti)
rivelano che il siero dei pazienti con pemfigo o pemfigoide bolloso contiene
anticorpi specifici per i diversi strati dell’epidermide. Nel pemfigo il titolo degli
anticorpi circolanti è correlato alla gravità della malattia. Nei test di
immunofluorescenza diretta (valutazione cutanea del paziente per deposito di
anticorpi in vivo), i campioni di biopsie su pazienti affetti da pemfigo, pemfigoide,
dermatite erpetiforme, herpes gestationalis, LES e lupus eritematoso discoide
(LED), confermano i modelli diagnostici del deposito anticorpale. Pertanto il test
di immunofluorescenza diretta, nella maggior parte di queste patologie, risulta di
migliore aiuto diagnostico rispetto all’ordinario esame istologico.

Altre indagini diagnostiche speciali comprendono i patch-test usati nella


dermatite allergica da contatto (v. Diagnosi in Dermatite da contatto nel Cap. 111
e Reazioni da ipersensibilità di tipo IV nel Cap. 148), l’esame in campo oscuro
nella sifilide (v. Cap. 164), il materiale cutaneo raschiato nella scabbia e la conta
dei capelli nell’alopecia.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO II

Sommario:

Introduzione
Diagnosi

Esempi di danno cellulare in cui un anticorpo reagisce con le componenti


antigeniche di una cellula sono le anemie emolitiche Coombs-positive, la porpora
trombocitopenica indotta da anticorpi, la leucopenia, il pemfigo, il pemfigoide, la
sindrome di Goodpasture e l’anemia perniciosa. Queste reazioni si presentano
nei pazienti che ricevono trasfusioni incompatibili, nella malattia emolitica del
neonato e nella trombocitopenia neonatale e possono svolgere un ruolo anche
nelle malattie da ipersensibilità a carattere sistemico (p. es. il LES). Per una
descrizione delle conseguenze sul rene, v. Cap. 231.

Il meccanismo del danno cellulare viene esemplificato nel modo migliore dagli
effetti sui GR. Nelle anemie emolitiche i GR vengono distrutti per emolisi
intravascolare o per fagocitosi macrofagica, soprattutto all’interno della milza.
Studi in vitro hanno dimostrato che in presenza del sistema complementare
alcuni anticorpi leganti il complemento (p. es. gli anticorpi dei gruppi sanguigni
anti-A e anti-B) provocano una rapida emolisi; altri (p. es. gli anticorpi anti-LE)
provocano una lisi cellulare lenta; altri ancora non danneggiano le cellule in modo
diretto, ma ne causano l’adesione e la distruzione da parte dei fagociti. Al
contrario, gli anticorpi anti-Rh sui GR non attivano il complemento e distruggono
le cellule soprattutto per fagocitosi extravascolare.

Esempi in cui l’antigene è un componente tissutale sono rappresentati dal rigetto


acuto precoce (iperacuto) di un rene trapiantato, il quale è dovuto alla presenza
di anticorpi contro l’endotelio vascolare e la sindrome di Goodpasture, dovuta alla
reazione degli anticorpi con la membrana basale dell’endotelio glomerulare e
alveolare. Nella sindrome di Goodpasture sperimentale il complemento è un
mediatore importante del danno, ma nel rigetto acuto precoce dei trapianti il suo
ruolo non è stato chiaramente determinato.

Esempi di reazioni dovute al legame di apteni con cellule o tessuti comprendono


molte delle reazioni di ipersensibilità ai farmaci (p. es. l’anemia emolitica indotta
dalla penicillina, v. Ipersensibilità ai farmaci, oltre).

Le reazioni di ipersensibilità anti-recettore alterano le funzioni cellulari a seguito


del legame dell’anticorpo ai recettori di membrana. In molte malattie (p. es. la
miastenia gravis, il morbo di Graves, il diabete insulino-resistente) sono stati
descritti anticorpi diretti contro recettori delle membrane cellulari. In modelli
animali di miastenia gravis, la produzione di anticorpi ottenuta con
l’immunizzazione contro il recettore per l’acetilcolina ha provocato la tipica
affaticabilità e debolezza muscolare osservata nell’uomo. Questo anticorpo è
dimostrabile nel siero e sulle membrane delle cellule muscolari anche nell’uomo.
Inoltre, quando il siero o la sua frazione IgG provenienti da pazienti affetti da
miastenia gravis vengono trasfusi in primati non umani, si produce una sindrome
miastenica autolimitantesi. Questi anticorpi impediscono il legame
dell’acetilcolina endogena con il suo recettore, inibendo così l’attivazione
muscolare. In alcuni pazienti diabetici con resistenza all’insulina di grado estremo
è stata dimostrata la presenza di anticorpi contro i recettori per l’insulina, i quali

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Disordini da ipersensibilità

pertanto impediscono il legame dell’insulina con il suo recettore. Nei pazienti


affetti da morbo di Graves è stato identificato un anticorpo contro il recettore per
l’ormone tireo-stimolante (Thyroid-Stimulating Hormone, TSH) che simula l’effetto
del TSH sul suo recettore, provocando un ipertiroidismo.

Le reazioni di citotossicità mediata da anticorpi si verificano quando una cellula


ricoperta di anticorpi viene danneggiata dalle cellule killer. Sono disponibili
tecniche di laboratorio per la determinazione delle sottopopolazioni di cellule B e
T dei linfociti circolanti. Un’altra sottopopolazione non possiede marker cellulari B
né T; queste cellule sono chiamate cellule null e comprendono le cellule killer e
natural killer. Le cellule killer si legano alle cellule ricoperte da IgG per mezzo dei
loro recettori per l’Fc e sono in grado di distruggere la cellula bersaglio. Le cellule
natural killer non necessitano del rivestimento anticorpale della cellula per il suo
riconoscimento e possono indurre la lisi di cellule tumorali, cellule infettate da
virus e cellule fetali. Questi meccanismi sono stati dimostrati in modelli animali e
in studi di ipersensibilità in vitro, ma il loro ruolo nella patologia umana non è
stato ancora stabilito.

Diagnosi

I test per confermare l’esistenza di questo meccanismo di danno immunologico


comprendono la ricerca della presenza di anticorpo o complemento su una
cellula o un tessuto, oppure la ricerca della presenza nel siero di anticorpi contro
un antigene della superficie cellulare, un antigene tissutale, un recettore o un
antigene estraneo (esogeno). Nonostante il complemento sia spesso necessario
per indurre il danno cellulare di tipo II e la sua presenza possa essere rivelata
sulle cellule o sui tessuti, l’attività emolitica complementare totale del siero non è
diminuita, come avviene spesso nelle reazioni di ipersensibilità da
immunocomplessi (IC) (di tipo III; v. oltre).

Il test dell’antiglobulina (di Coombs) diretto e il test diretto delle anti-


globuline non-γ rivelano rispettivamente la presenza di anticorpi e di
complemento sui GR. Questi test utilizzano antisieri di coniglio, uno contro le
immunoglobuline (Ig) e l’altro contro il complemento. Quando questi reagenti
vengono miscelati con GR rivestiti da Ig o da complemento, ha luogo
l’agglutinazione. Gli anticorpi eluiti da queste cellule mostrano sia specificità per
gli antigeni dei gruppi sanguigni dei GR sia la capacità di fissare il complemento,
dimostrando così di essere veri e propri autoanticorpi e di essere responsabili
della presenza del complemento sui GR nel test diretto non γ−globulinico.

Il test dell’antiglobulina indiretto rivela la presenza di un anticorpo circolante


contro gli antigeni dei GR. Il siero del paziente viene incubato con GR dello
stesso gruppo sanguigno (per evitare risultati falsi positivi dovuti a
incompatibilità); su questi GR si esegue poi il test dell’antiglobulina.
L’agglutinazione conferma la presenza di anticorpi circolanti contro gli antigeni
dei GR.

Nell’anemia emolitica indotta dalla penicillina, il paziente ha un test di Coombs


diretto positivo durante la somministrazione di penicillina, ma ha un test
dell’antiglobulina indiretto negativo se si utilizzano GR dello stesso tipo di quelli
del paziente. Il siero del paziente, tuttavia, agglutinerà i GR nel test indiretto se
essi vengono ricoperti con penicillina.

La microscopia a fluorescenza viene usata per lo più per rivelare la presenza di


Ig o di complemento nei tessuti (mediante la tecnica diretta) e può anche essere
utilizzata per determinare la specificità di un anticorpo circolante (mediante la
tecnica indiretta). Nell’immunofluorescenza diretta, un anticorpo di origine
animale specifico per le Ig o il complemento dell’uomo viene marcato con un
colorante fluorescente (solitamente fluoresceina) e poi stratificato sul tessuto.
Quando si esamina il tessuto al microscopio a fluorescenza, una tipica
colorazione fluorescente (verde per la fluoresceina) indica la presenza di Ig o di
complemento umani nel tessuto. L’immunofluorescenza diretta può essere usata
anche per rivelare la presenza di altre proteine sieriche, di componenti tissutali o

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Disordini da ipersensibilità

di antigeni esogeni, purché sia possibile produrre anticorpi animali specifici diretti
contro di essi. La tecnica di per sé non indica la presenza di un antigene
citospecifico, a meno che l’anticorpo non possa essere eluito dal tessuto e possa
essere determinata la sua specificità per gli antigeni tissutali.

Nella sindrome di Goodpasture il pattern dell’immunofluorescenza appare come


una fluorescenza lineare lungo la membrana basale renale e polmonare. Quando
l’anticorpo viene eluito dal rene di un paziente con sindrome di Goodpasture e
stratificato su un rene o un polmone normali, esso si lega alla membrana basale
e determina lo stesso pattern di fluorescenza lineare se saggiato con anticorpi
contro le γ-globuline umane marcati con fluoresceina (immunofluorescenza
indiretta).

Nel pemfigo, l’immunofluorescenza diretta rivela la presenza di anticorpi diretti


contro un antigene presente nel cemento intercellulare dello strato delle cellule
spinose; nel pemfigoide, di anticorpi diretti contro un antigene della membrana
basale. In entrambe le malattie, l’anticorpo sierico si può identificare con la
tecnica dell’immunofluorescenza indiretta. Questa tecnica di immunofluorescenza
viene usata per rivelare la presenza di anticorpi tessuto-specifici circolanti in
molte altre malattie; p. es. anticorpi anti-tiroide nelle tiroiditi e anticorpi anti-nucleo
e anti-citoplasma nel LES.

Esistono in commercio kit per l’esecuzione di test anti-recettoriali per rivelare la


presenza di anticorpi diretti contro i recettori per l’acetilcolina, ma i test per i
recettori insulinici e quelli tiroidei non sono ancora disponibili. Non esistono
situazioni cliniche nelle quali sia necessario eseguire il test di citotossicità
anticorpo-dipendente. V. anche Disordini autoimmuni, oltre.

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Disordini genitourinari

Manuale Merck

17. DISORDINI GENITOURINARI

214. Valutazione clinica dei disordini genitourinari

215. Incontinenza urinaria

Incontinenza transitoria

Incontinenza stabilizzata

216. Disordini mioneurogeni

Vescica neurogena

Sindrome della megavescica

Disfunzione ureterale

217. Uropatie ostruttive

218. Malattie della prostata

Iperplasia prostatica benigna

Prostatite

219. Malattie dell’apparato genitale maschile

Disordini del pene

Priapismo

Malattia di Peyronie

Disordini dello scroto

Epididimite

Traumi dell’apparato genitale

220. Disfunzione erettile

221. Calcolosi urinaria

222. Insufficienza renale

Insufficienza renale acuta (IRA)

Insufficienza renale cronica (IRC)

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Disordini genitourinari

223. Dialisi

Emodialisi

Dialisi peritoneale

Considerazioni sul trattamento non dialitico

Aspetti psicosociali del trattamento dialitico cronico

224. Malattie glomerulari

Sindrome nefritica

Sindrome nefritica acuta

Glomerulonefrite rapidamente progressiva

Sindrome renale ematurica-proteinurica primitiva

Sindrome nefritica-proteinurica cronica

Sindrome nefrosica

Malattia a lesioni minime

Glomerulosclerosi focale segmentaria

Glomerulonefrite membranosa

Glomerulonefrite membranoproliferativa

Glomerulonefrite mesangioproliferativa

Sindromi nefrosiche congenite

Malattie multisistemiche che si presentano con


sindrome nefrosica

225. Malattia tubulo-interstiziale

Nefrite tubulo-interstiziale acuta

Nefrite tubulo-interstiziale cronica

Nefrite tubulo-interstiziale da farmaci

Nefrite tubulo-interstiziale metabolica e tossica

226. Nefropatia tossica

227. Infezioni delle vie urinarie

Infezioni batteriche

Infezioni micotiche

Infezioni parassitarie

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Disordini genitourinari

Cistite interstiziale

228. Malattie nefrovascolari

Ostruzione dell’arteria renale

Ostruzione dell’arteriole e della microvascolarizzazione renale

Malattia renale ateroembolica

Necrosi corticale renale

Nefroangiosclerosi arteriolare benigna

Nefroangiosclerosi arteriolare maligna

Sclerodermia renale

Nefropatia da malattia drepanocitica

Trombosi della vena renale

229. Sindromi da anomalie del trasporto renale

Acidosi tubulare renale

Glicosuria renale

Diabete insipido nefrogenico (DIN)

Sindrome di Bartter

Sindrome di Liddle

230. Disordini renali ereditari e congeniti

Nefropatie cistiche

Malattie policistiche renali

Nefronoftisi e malattia cistica midollare

Rene a spugna midollare

Nefropatie non cistiche

Nefrite ereditaria

Malattia della membrana basale sottile

Nail-patella syndrome (sindrome unghia-rotula)

231. Malattia renale immunologicamente mediata

232. Traumi della via urinaria

Trauma renale

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Disordini genitourinari

Trauma vescicale

Trauma ureterale

Trauma uretrale

233. Neoplasie genitourinarie

Carcinoma renale

Neoplasia renale secondaria

Neoplasia della pelvi renale e dell’uretere

Tumori della vescica

Neoplasia della prostata

Neoplasia uretrale

Neoplasia del pene

Neoplasie del testicolo

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

Manuale Merck

17. DISORDINI GENITOURINARI

214. VALUTAZIONE CLINICA DEI DISORDINI


GENITOURINARI

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Esami di laboratorio

I disordini genitourinari possono presentarsi in modo aspecifico, ma di solito lo


fanno con manifestazioni cliniche o anormalità degli esami di laboratorio tali da
essere indicative di malattia renale primitiva o di malattia sistemica associata a
patologia renale.

Normalmente, un adulto urina 4-6 volte/die, per lo più durante il giorno, con una
diuresi totale di 700-2000 ml/die.

Sintomi e segni

Pazienti asintomatici con malattia renale possono avere ipertensione o reperti


ematici o urinari alterati. Possono avere un’anamnesi familiare positiva per
patologie renali (p. es., malattia policistica, nefropatia ereditaria). L’ecografia
prenatale, eseguita di routine, può scoprire alterazioni renali del feto.

In pazienti sintomatici, in caso di neoplasia renale, insufficienza renale in fase


avanzata e IVU sono reperti comuni febbre, calo ponderale e malessere.
Caratteristicamente, i sintomi renali comprendono alterazioni della minzione,
della diuresi o dell’aspetto dell’urina; ematospermia nell’uomo; oppure dolore,
edema, sintomi aspecifici e segni correlati all’insufficienza renale.

La pollachiuria senza aumento del volume della diuresi è un sintomo di ridotta


capacità di riempimento vescicale. Infezioni, corpi estranei, calcoli o neoplasie
possono ledere la mucosa vescicale o le sottostanti strutture, causando
un’infiltrazione flogistica ed edema. Una moderata distensione della vescica, una
ridotta elasticità vescicale, una massa pelvica o un utero gravido provocano una
riduzione funzionale della capacità vescicale, provocando dolore e urgenza
minzionale (necessità impellente e irresistibile di urinare). Se la minzione non è
immediata, si può verificare incontinenza. Il volume urinario è solitamente scarso
e il desiderio di urinare può essere quasi costante, finché non si risolve il
processo irritativo.

La poliuria (diuresi > 2500 ml/die) può essere causata da aumentata assunzione
di liquidi (p. es., disturbo compulsivo del bere), da diuresi osmotica (p. es.,
glicosuria da diabete mellito scompensato), da diminuito rilascio di vasopressina
dovuto a patologia dell’ipotalamo o dell’ipofisi posteriore o diminuita risposta
all’ADH da parte dei tubuli renali da ipercalcemia, carenza di K o diabete insipido
nefrogeno (DIN), congenito o acquisito.

L’oliguria (diuresi < 500 ml/die negli adulti o < 24 ml/kg/die nei bambini) tende a
essere acuta e a essere causata da diminuzione della perfusione renale (fattori
prerenali), da ostruzione ureterale o dello sbocco vescicale (fattori postrenali) o
da una malattia renale primitiva. Si può verificare uremia.

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

L’anuria (diuresi < 100 ml/die negli adulti), sebbene rara, può essere il segno di
un’insufficienza renale acuta, dello stadio finale di un’insufficienza renale cronica
progressiva o, raramente, d’infarto renale o necrosi corticale. Può essere anche
dovuta a ostruzione urinaria reversibile. L’anuria prolungata dà luogo
inevitabilmente a insufficienza renale.

La nicturia (minzione durante la notte) è un sintomo anormale, ma non specifico.


Può verificarsi senza che vi sia una malattia; p. es., quale risultato di eccessiva
assunzione di liquidi a tarda sera. Può essere conseguenza di una ritenzione
urinaria secondaria a ostruzione del collo vescicale (p. es., ipertrofia prostatica).
Meno frequentemente può essere un indice precoce di malattia renale e di
poliuria dovuta a una diminuzione della capacità di concentrazione delle urine o a
insufficienza cardiaca ed epatica, senza evidenza di malattia intrinseca del
sistema urinario.

L’enuresi (emissione involontaria di urine a letto durante la notte) è fisiologica


durante i primi 2 o 3 anni di vita; ma in età successive diventa un problema più
serio (v. in Disturbi del comportamento nel Cap. 262). Può essere causata da
una ritardata maturazione neuromuscolare della via urinaria inferiore o da
un’affezione organica; p. es., infezione o stenosi uretrale distale nelle ragazze,
valvole uretrali posteriori nei ragazzi o vescica neurogena in entrambi i sessi.

La stranguria (minzione dolorosa) è indice di irritazione o infiammazione del collo


vescicale o dell’uretra, dovuta di solito a infezione batterica. Sintomi persistenti
senza infezione richiedono un’attenta valutazione della vescica e dell’uretra (v.
anche Cap. 215).

I sintomi ostruttivi (ritardo o necessità di sforzarsi per iniziare la minzione,


diminuzione della forza e del calibro del mitto urinario, sgocciolamento
postminzionale) sono di solito dovuti a un’ostruzione distale rispetto alla vescica.
Negli uomini, questa è generalmente causata da una stenosi a livello della
prostata o, meno frequentemente, da una valvola nell’uretra posteriore (che nei
ragazzi può essere congenita). In entrambi i sessi, sintomi simili possono essere
indice di stenosi del meato.

L’incontinenza urinaria (perdita involontaria di urina) può essere causata da


estrofia vescicale, epispadia, fistola vescico-vaginale, orifizi ureterali ectopici,
disfunzione vescicale neurogena congenita o acquisita (neuropatia periferica,
ictus, demenza), o da lesioni dovute all’intervento chirurgico di prostatectomia o
al parto (v. anche Cap. 215). Nelle donne, l’incontinenza determinata da uno
sforzo fisico di lieve entità (p. es., tosse, riso, corsa o sollevamento di qualche
oggetto) è frequentemente dovuta all’atrofia dell’uretra da mancanza di estrogeni,
al cistocele che si forma come conseguenza dell’invecchiamento o dello
stiramento dei muscoli del pavimento pelvico durante il parto. La perdita di urina
dovuta a ostruzione della regione cervico-uretrale oppure a vescica flaccida può
produrre un’incontinenza da sovradistensione, quando la pressione intravescicale
supera la resistenza della regione cervico-uretrale. Con l’incontinenza da
sovradistensione è sempre presente residuo postminzionale.

La pneumaturia (passaggio di gas nelle urine) è rara. Di solito indica la presenza


di una fistola tra la via urinaria e l’intestino e può costituire la complicanza di una
diverticolite, con formazione di un ascesso, di enterocolite, di un tumore del colon
o di una fistola vescico-vaginale. Raramente la pneumaturia può essere dovuta
alla formazione di gas in corso d’infezione batterica delle basse vie urinarie.

Le alterazioni del colore o dell’aspetto dell’urina riconoscono molte cause.


L’urina può essere chiara durante la diuresi da carico idrico oppure di colore
giallo intenso quando è molto concentrata per la presenza di pigmenti (p. es.,
urobilina). Se si può escludere l’escrezione di pigmenti alimentari (di solito urine
di colore rosso) o di farmaci (marrone, nero, blu, verde o rosso), colori diversi dal
giallo suggeriscono la presenza di ematuria, emoglobinuria, mioglobinuria, piuria,
porfiria o di melanoma. Un’urina torbida è solitamente dovuta alla precipitazione
di sali di fosfati amorfi in un’urina alcalina; meno frequentemente, è indice di
piuria dovuta a IVU. L’urina lattescente può essere prodotta da fosfati precipitati

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

in un’urina alcalina. L’urina a polvere di mattone è solitamente prodotta da urati


precipitati in un’urina acida. L’esame microscopico e chimico dell’urina ne può, di
solito, identificare la causa.

L’ematuria (sangue nell’urina) può produrre una variazione del colore che va dal
rosso al marrone secondo la quantità di sangue presente e dell’acidità dell’urina.
Un’ematuria lieve può non dare variazioni di colore e può essere diagnosticata
soltanto con l’analisi microscopica e chimica. L’ematuria senza dolore è
solitamente dovuta a un’affezione renale, vescicale o prostatica. In assenza di
cilindri ematici (che di solito indicano glomerulonefrite, v. Tab. 214-1),
un’ematuria asintomatica può essere causata da neoplasia della vescica o del
rene. Di solito, questi tumori sanguinano a intermittenza e il fatto che il
sanguinamento si interrompa spontaneamente non deve essere motivo di
tranquillità. In corso di nefropatia da IgA, si può anche verificare ematuria
intermittente, ricorrente. Altre cause di ematuria asintomatica comprendono
calcoli, malattia policistica, cisti renali, malattia drepanocitica (anemia a cellule
falciformi), idronefrosi e iperplasia prostatica benigna. Ematuria accompagnata
da dolore lancinante (colica renale) indica il passaggio di un calcolo o di un
coagulo formatosi in seguito a un sanguinamento renale. L’ematuria con disuria è
associata anche a infezioni vescicali o a litiasi.

La chiluria (presenza di linfa nell’urina) è provocata dalla rottura di un vaso


linfatico, dovuta principalmente ad anomale connessioni tra i linfatici
retroperitoneali ostruiti e il sistema collettore renale oppure alla filariasi, al linfoma
o a neoplasie occulte.

L’ematospermia (sangue nello sperma) ricorre in < 2% delle consulenze


urologiciche. La maggior parte dei pazienti ha episodi ricorrenti di ematospermia,
anche se qualcuno ne riferisce uno solo. Generalmente è idiopatica. La causa
può essere una patologia delle vescicole seminali dovuta a un’infezione non
identificata o a congestione vascolare. Può essere associata a una prolungata
astinenza sessuale, a coito frequente o interrotto. Il disturbo è di solito benigno e
raramente associato a neoplasie o a gravi infezioni. Tuttavia ,questi pazienti
dovrebbero essere valutati per infezioni prostatiche o stenosi uretrali.
Occasionalmente, l’ematospermia è dovuta a coagulopatia. Il trattamento è
empirico, a meno che non venga riconosciuta una causa. Alcuni urologi
preferiscono un ciclo di 5-7 giorni di tetraciclina 250 mg qid, seguita da un
delicato massaggio prostatico.

Il dolore renale è solitamente riferito al fianco o al dorso tra la 12a costa e la


cresta iliaca, con occasionale irradiazione all’epigastrio. La distensione della
capsula renale, che è sensibile allo stimolo algogeno, ne è la probabile causa.
Questa si può verificare in qualsiasi condizione che causi tumefazione del
parenchima (p. es., glomerulonefrite acuta, pielonefrite, ostruzione ureterale
acuta). Vi è spesso una marcata dolorabilità nella zona al di sopra del rene,
nell’angolo costovertebrale formato dalla 12a costa e dalla colonna lombare.
Infiammazione e/o distensione acuta della pelvi renale o dell’uretere causano
dolore al fianco e all’ipocondrio, con irradiazione nella fossa iliaca ipsilaterale e
spesso alla parte superiore della coscia, al testicolo o alle grandi labbra. Il dolore
è intermittente, ma non scompare mai del tutto tra una colica e l’altra.
L’ostruzione cronica solitamente è asintomatica.

Il dolore vescicale è molto frequentemente causato da cistite batterica; è


comunemente riscontrabile nell’area sovrapubica e, durante la minzione, viene
avvertito nell’uretra distale. La ritenzione acuta d’urina causa dolore molto
intenso, mentre la ritenzione urinaria cronica dovuta a ostruzione del collo
vescicale o a vescica neurogena solitamente provoca pochi disturbi.

Il dolore prostatico dovuto alla prostatite può essere avvertito come un vago
fastidio o un senso di pesantezza nell’area perineale o rettale, ma la patologia
prostatica è generalmente priva di sintomatologia dolorosa.

Il dolore testicolare, dovuto a trauma o infezione, è solitamente intenso.

L’edema rappresenta in genere un eccesso di acqua e di Na nello spazio

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

extracellulare dovuto a escrezione renale anormale, ma può essere causato


anche da una malattia cardiaca o epatica. Inizialmente, l’edema si evidenzia
soltanto con un aumento di peso, ma in seguito diventa palese. L’edema
associato a patologia renale può essere talora notato per la prima volta come
pienezza delle gote piuttosto che come gonfiore nelle parti declivi o inferiori del
corpo. Se la ritenzione di liquidi prosegue, si può verificare l’anasarca (edema
generalizzato) con trasudati fluidi (versamenti) nelle cavità pleurica e peritoneale;
più frequentemente è associato a proteinuria continua e grave (sindrome
nefrosica).

L’uremia (condizione tossica associata a eccessivo accumulo nel sangue di


prodotti del metabolismo proteico) si verifica quando la GFR scende a < 10%
della norma, con conseguenti alterazioni di molteplici sistemi d’organo. I sintomi e
segni più comuni sono: calo ponderale, debolezza, fatica, dispnea, anoressia,
nausea e vomito, prurito, ritardo di crescita, tetania, neuropatia periferica,
pericardite e convulsioni. La maggior parte di questi può però essere migliorata o
risolta con la dialisi o il trapianto renale, e con un’adeguata dieta.

L’ipertensione può essere secondaria a una patologia renale (anomalie od


ostruzione vascolare, glomerulonefrite, insufficienza renale progressiva).
Tuttavia, il 5% delle ipertensioni negli adulti è dovuto a cause nefrovascolari (con
stenosi dell’arteria renale principale o dell’arteria segmentaria e con un aumento
dimostrabile di renina dal lato ostruito).

Le alterazioni della cute possono comprendere pallore, indizio di anemia,


comunemente associata a malattia renale; escoriazioni, probabilmente causate
da prurito e infezioni (p. es., lesioni pustolose della cute, cellulite) che possono
essere dovute a glomerulonefrite. Lesioni cutanee da vasculite o da endocardite
possono indicare una possibile causa di malattia renale.

Le alterazioni della retina all’esame oftalmoscopico possono comprendere


emorragie, essudati e papilledema, quale segno di edema cerebrale associato a
ipertensione maligna, o alterazioni metaboliche.

Altre alterazioni, indici di patologia del sistema urinario, comprendono: stomatiti,


un alito con odore di ammoniaca e l’ingrandimento dei reni, della vescica o della
prostata alla palpazione.

Esami di laboratorio

Esami ematologici: una valutazione ematologica può suggerire la presenza di


malattia renale. L’anemia (soprattutto quella normocitica-normocromica da
carenza di eritropoietina) può essere un indizio di insufficienza renale, ma
bisogna escludere molte altre cause (p. es., neoplasie, patologie infiammatorie
sistemiche). La policitemia si può riscontrare nel carcinoma renale o nella
malattia policistica, ma le cause più frequenti andrebbero considerate per prime .

Gli esami ematochimici sono spesso anormali nell’insufficienza renale, ma le


alterazioni sono aspecifiche. L’ipernatriemia, per esempio (v. Cap. 12) è per lo
più dovuta a mancanza di un’adeguata assunzione di acqua in un paziente
obnubilato, ma può essere provocata da una perdita eccessiva di acqua per un
difetto di concentrazione renale dovuto a un’affezione tubulo-interstiziale (p. es.,
diabete insipido nefrogeno [DIN], nefropatia ipercalcemica o da deplezione di
potassio). Il HCO3 sierico può diminuire in conseguenza di acidosi metabolica
dovuta a malattia renale, di acidosi lattica o di chetoacidosi. In assenza di un
danno muscolare acuto, un persistente aumento della creatinina sierica è
altamente specifico per patologia renale (v. Misurazione della funzione renale,
oltre ).

Esame chimico dell’urina: l’esame chimico delle urine è la miglior guida per
evidenziare malattie GU intrinseche e comprende l’esame microscopico del
sedimento e la valutazione qualitativa di proteine, glucoso, chetoni, sangue, nitriti

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

ed esterasi leucocitaria. In condizioni standard, la concentrazione di soluto


dell’urina (osmolarità o p. sp.) o il pH urinario possono assumere significato
diagnostico. L’esame chimico delle urine di routine in pazienti asintomatici è
raramente positivo e altrettanto raramente induce la richiesta di ulteriori indagini o
cambiamenti terapeutici. Solo nelle donne gravide vi sono buone ragioni per
eseguire lo screening della batteriuria (per prevenire serie complicanze materne
e fetali) e della proteinuria (per individuare la preeclampsia). Tuttavia, l’esame
chimico delle urine per batteriuria ha il 2% di falsi negativi e quindi si raccomanda
un esame colturale con conta delle colonie. La ripetizione del test per nitriti in un
campione di urina del primo mattino può essere un metodo utile ed economico
per seguire le donne in gravidanza in fase avanzata dopo un esame colturale
negativo.

Elementi particellari nell’urina, che possono venire separati e concentrati


forzando l’urina attraverso un filtro membranoso, richiedono speciali tecniche di
colorazione per la microscopia ma forniscono un dato permanente.
Generalmente, si centrifugano 10-15 ml di urina emessa da poco, per 5 min e a
bassa velocità (1500 giri/ min). Dopo aver scartato il sopranatante, si esamina il
residuo in una speciale camera emocitometrica a volume fisso, ma può essere
sufficiente anche un comune vetrino da microscopio con coprioggetto. Usando
una luce ridotta con un obiettivo a piccolo ingrandimento, vengono esaminati
diversi campi. Aumentando la luce, con l’obiettivo a forte ingrandimento, vengono
identificati cilindri e cellule specifiche (v. Tab. 214-2). Una stima semiquantitativa
della quantità di questi elementi figurati viene fatta tramite un conteggio nei campi
a piccolo e forte ingrandimento (p. es., da 10 a 15 GB/campo microscopico ad
alto ingrandimento).

L’urina normale contiene poche cellule e altri elementi figurati, riversati in essa
durante l’intero percorso nel sistema urinario. In presenza di una malattia, queste
cellule aumentano e possono aiutare a localizzare la sede e il tipo di lesione.
Nelle donne, l’urina emessa contiene anche cellule del tratto genitale. Una
malattia del sistema urinario è indicata in un uomo da > 1 GB, GR o cellule
epiteliali per campo ad alta risoluzione (400 ⋅), vale a dire > 1000 cellule/ml o in
una donna da > 4 GB per campo ad alta risoluzione, cioè, > 4000 cellule/ml nelle
urine centrifugate. Leucociti in numero eccessivo possono indicare infezione o
altre malattie infiammatorie. In pazienti sintomatici il riscontro di > 10 leucociti/µl è
fortemente indicativo di batteriuria significativa. Trovare batteri occasionali in un
sedimento urinario centrifugato non indica necessariamente la presenza di IVU.
Tuttavia, batteri in un campione non centrifugato di urina appena emessa con
urinocolture con una conta di colonie 105 unità formanti colonie (colony-forming
unit, CFU)/ml sono indice di un’IVU piuttosto che di contaminazione.

Una quantità eccessiva di GR può indicare la presenza di infezione, tumore,


calcoli o infiammazione a carico di un qualsiasi punto del sistema urinario.
Quando 80% dei GR è dismorfico (ampio intervallo di variazioni morfologiche),
l’ematuria è probabilmente di origine glomerulare (v. Cap. 224). In alcune
condizioni cliniche, l’analisi della morfologia dei GR può essere irrealizzabile. Per
esempio, nella diuresi forzata, nella macroematuria con glomerulonefrite o
nell’insufficienza renale può ritrovarsi eritrocituria isomorfa. Un quadro
morfologico vario di GR urinari si può verificare nella glomerulonefrite da IgA, una
causa frequente di ematuria glomerulare. La recente identificazione di acantociti
(GR rotondi con una o più protrusioni di differenti forme e ampiezza) è un marker
più specifico di sanguinamento glomerulare. Alcuni studi indicano che se il 5%
dei GR urinari totali è composto di acantociti, allora può essere diagnosticata,
con un alto indice di sensibilità (71%) e specificità (98%), una sottostante malattia
glomerulare.

Si possono ritrovare cristalli di vari sali (p. es., ossalati, fosfati, urati) o di farmaci
(p. es., sulfamidici) quando le loro concentrazioni e il pH urinario superino i limiti
della loro solubilità.

Nel sedimento urinario, i cilindri (masse cilindriche di mucoproteine nelle quali


possono essere intrappolati elementi cellulari, proteine o goccioline grasse) sono
importantissimi per distinguere un’affezione renale primitiva da patologie delle vie
urinarie (v. Tab. 214-1).

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La proteinuria è riscontrabile in modo semplice e rapido mediante i test reattivi


disponibili in commercio. Questa tecnica è sensibile alla presenza di basse dosi,
5-20 mg/dl, di albumina, la proteina predominante nella maggioranza delle
affezioni renali, ma è meno sensibile alle globuline e alle mucoproteine e può
essere negativa in presenza di proteina di Bence-Jones. L’elettroforesi,
l’immunoelettroforesi e test radioimmunologici sono in grado anche di separare o
quantificare varie proteine urinarie.

I principali meccanismi che provocano proteinuria sono: alte concentrazioni


plasmatiche di proteine normali o anormali (proteinuria da "iperafflusso" p. es.,
lisozimuria nella leucemia mielomonocitica, proteinuria di Bence-Jones);
aumentata secrezione da parte delle cellule dei tubuli (proteinuria di Tamm-
Horsfall); minore riassorbimento tubulare di proteine normalmente filtrate e
aumento di proteine filtrate causato da un’alterata permeabilità dei capillari
glomerulari.

Negli adulti, la proteinuria viene riscontrata come reperto occasionale durante


una normale visita medica. La proteinuria può essere intermittente, ortostatica
(presente soltanto nella posizione eretta) o costante (persistente). La maggior
parte dei pazienti con proteinuria intermittente od ortostatica non mostra alcun
deterioramento della funzione renale e in circa il 50% di essi la proteinuria
scompare dopo diversi anni. La presenza, però, di proteinuria costante è un
problema più serio. Sebbene il decorso sia asintomatico senza altri segni di
malattia renale (p. es., ematuria microscopica), la maggior parte dei pazienti ha
proteinuria per molti anni; molti sviluppano un sedimento urinario anormale e
ipertensione, e una minoranza progredisce fino all’insufficienza renale.

Le misurazioni dell’escrezione di proteine sono utili per la diagnosi e per seguire


il decorso dei pazienti, specialmente se la proteinuria è costante. Si può
effettuare la misura dell’escrezione di proteine totali nella 24 ore (valori normali,
< 150 mg/die). Alternativamente, viene misurato, in un campione casuale di
urine, il rapporto proteine/creatinina (valori normali < 0,2). Una grave proteinuria
(> 2 g/m2/die o un rapporto proteina/creatinina > 2) solitamente si riscontra in
pazienti con sindrome nefrosica da glomerulonefrite (v. Cap. 224).

La proteinuria è di solito minima, intermittente o assente nelle patologie tubulo-


interstiziali (p. es., pielonefrite, nefropatia da analgesici, nefrosclerosi benigna,
nefropatie da ipercalcemia e da deplezione di potassio).

La proteinuria da sforzo si verifica a volte in maratoneti, pugili e jogger. È


accompagnata da un aumento di catecolamine e può essere associata a
emoglobinuria, ematuria o persino mioglobinuria.

Per la glicosuria il test con stick reattivi è specifico e sensibile, essendo in grado
di dimostrare anche la presenza di una piccola quantità di glucoso, come 100 mg/
dl (5,5 mmol/l). La causa più frequente di glicosuria è l’iperglicemia con normale
trasporto renale di glucoso. Tuttavia, se la glicosuria persiste con normali
concentrazioni ematiche di glucoso, si dovrebbe prendere in considerazione una
disfunzione dei tubuli renali.

Per la chetonuria il reagente degli stick è più sensibile all’acido acetoacetico che
all’acetone e non reagisce con l’acido β-idrossibutirrico. La chetonuria di solito è
aspecifica e l’acido acetoacetico, l’acetone e l’acido β-idrossibutirrico vengono
tutti escreti nell’urina. Il riscontro di uno di questi 3 componenti nelle urine è in
genere sufficiente per diagnosticare la chetonuria. La chetonuria è un indice
dell’eziologia dell’acidosi metabolica. È presente nel digiuno prolungato, nel
diabete mellito scompensato e talvolta nell’intossicazione da etanolo. Non è
specifica di un’affezione intrinseca del sistema urinario.

Per l’ematuria il reagente delle strisce reattive è sensibile alla Hb libera e alla
mioglobina. Un test positivo in assenza di GR all’esame microscopico è indice di
emoglobinuria o di mioglobinuria ed è un indizio importante dell’eziologia in un
paziente con insufficienza renale acuta.

Per la nitrituria il test dipende dalla trasformazione di nitrato (derivato da

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metaboliti dietetici) in nitrito tramite l’azione di alcuni batteri nell’urina.


Normalmente non si rileva la presenza di nitriti. In presenza di batteriuria
importante, il test sarà positivo nell’80% dei casi in cui l’urina è rimasta per
almeno 4 h nella vescica. Quindi, un test positivo è un indice affidabile di
batteriuria significativa. Comunque un test negativo non la esclude. Le ragioni di
un test negativo in presenza di batteriuria comprendono: insufficiente tempo
d’incubazione nella vescica per la trasformazione di nitrato in nitrito, scarsa
escrezione urinaria di nitrato, assenza in alcuni microrganismi urinari patogeni
degli enzimi che trasformano il nitrato in nitrito e riduzione dei nitrati in azoto da
parte di enzimi batterici.

L’esterasi leucocitaria, si ritrova nei granuli azzurrofili o principali dei neutrofili. Il


suo rilevamento, che indica la presenza di GB, è un surrogato per rilevare la
presenza di batteriuria, ma in realtà è suggestiva della presenza di un processo
flogistico di qualsiasi natura, il più comune dei quali è l’infezione batterica. Si
possono verificare falsi negativi in presenza di urine molto concentrate, di
glicosuria, di urobilinogeno, di fenazopiridina, di nitrofurantoina, di rifampicina e di
grandi quantità di vitamina C.

L’osmolarità è la concentrazione totale di soluti nelle urine, espressa come


mOsm/kg (mmol/kg) di acqua urinaria. La miglior determinazione si ottiene con
un osmometro. La normale osmolarità urinaria varia tra i 50 e i 1200 mOsm/kg
secondo il titolo circolante di vasopressina e dell’indice di escrezione di soluti
urinari. Sebbene la perdita della capacità di concentrazione urinaria sia un test
sensibile di disfunzione renale, la misurazione dell’osmolarità urinaria (o del peso
specifico) in un campione di urina raccolta casualmente è di aiuto soltanto
quando è maggiore di 700 mOsm/ kg (peso specifico 1020), poiché esclude
un’importante patologia tubulo-interstiziale. Valori dell’osmolarità più bassi
possono essere normali o anormali a seconda del precedente stato di idratazione.

Il peso specifico dell’urina viene misurato per mezzo di un urinometro o


mediante l’indice di rifrazione (rifrattometro) o mediante strisce reattive. Sebbene
la correlazione con l’osmolarità non sia lineare, essa è sufficiente per le
applicazioni cliniche tranne quando siano presenti grandi quantità di glucoso o di
soluti ad alto peso molecolare quali sostanze proteiche od organiche iodate
(mezzi di contrasto radiografico). Diversamente dall’urinometro e dal rifrattometro
che danno valori anormalmente elevati in contrasto con valori bassi di osmolarità,
le strisce reattive per la valutazione del peso specifico risentono della presenza di
queste sostanze nell’urina.

Il pH urinario viene misurato da uno stick reattivo impregnato con vari coloranti
che cambiano colore quando il pH varia tra 5 a 9. Sebbene questo esame sia
eseguito di routine, non identifica né esclude i pazienti con patologia del sistema
urinario. Tuttavia, spesso aiuta a identificare i vari cristalli che possono trovarsi
nell’urina all’esame microscopico. L’esame del pH urinario mediante pH-metria è
un punto critico nella diagnosi dell’acidosi tubulare renale di tipo distale, che è
suggerita da un pH urinario > 5,5 dopo un carico acido. Il pH urinario in pazienti
con altri tipi di affezione renale generalmente varia in modo relativamente
normale, anche se la capacita di eliminare acido titolabile e ammoniaca può
essere ridotta.

Urinocoltura quantitativa: si deve ottenere un campione per urinocoltura che


rappresenti l’urina della vescica senza contaminazione da altre fonti. Ciò si può
ottenere direttamente con un catetere uretrale o con aspirazione sovrapubica con
ago dalla vescica. Tecniche non invasive, che utilizzino urine del mitto intermedio
raccolte sterilmente e metodi di coltura quantitativa, di solito possono fornire
informazioni adeguate senza i rischi di una manovra strumentale.
L’interpretazione del numero delle colonie batteriche deve tener conto delle
condizioni cliniche del paziente (v. Tab. 214-3).

Le indagini per la localizzazione dell’infezione (v. Tab. 214-4) si basano


sull’ipotesi che i batteri provenienti dagli ureteri siano indicativi d’infezione renale
(v. anche Cap. 227). La maggior parte dei pazienti con IVU ha batteriuria
vescicale senza evidenza di invasione tissutale, che risponde prontamente a un
trattamento antibiotico adeguato (a meno che non vi sia un’ostruzione urinaria).
Indagini per la localizzazione non sono indicate. Tuttavia, nel paziente con

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frequenti recidive di infezioni, le indagini di localizzazione possono aiutare a


scoprirne la causa e portare a un diverso trattamento terapeutico. Il metodo del
"washout" vescicale è probabilmente la procedura meno invasiva di
localizzazione, poiché evita la cistoscopia e la cateterizzazione ureterale.

Misurazione della funzionalità renale: i test di funzionalità renale (v. Tab. 214-
5) sono utili nel valutare la gravità della patologia renale e nel seguirne
l’evoluzione.

La creatinina sierica può essere adoperata come un indice della funzionalità


renale, poiché la produzione e l’escrezione di creatinina sono ragionevolmente
costanti in assenza di malattie muscolari. La concentrazione plasmatica di
creatinina varia inversamente alla GFR ed è di conseguenza un utile indice della
GFR stessa, se si considerano la sua produzione (in rapporto alla massa
muscolare e all’età) e metabolismo (maggiore nell’uremia). Il limite più alto di
concentrazione plasmatica di creatinina in uomini con una GFR normale è di
1,2 mg/dl (110 µmol/l); nelle donne, di 1 mg/dl (90 µmol/l).

La creatinina clearance negli uomini è di 140-200 l/die (70 ± 14 ml/min/m2) e


nelle donne di 120-180 l/die (60 ± 10 ml/min/m2). Negli uomini, si può calcolare la
creatinina clearance (Clcreat) dalla concentrazione sierica di creatinina come:

Nelle donne, i valori calcolati vengono moltiplicati per 0,85.

La clearance della creatinina non è utile per scoprire lesioni renali precoci a
causa dell’ipertrofia dei glomeruli residui. Dopo la perdita dal 50 al 75% della
normale superficie di filtrazione glomerulare, si evidenzia chiaramente una
diminuzione della clearance della creatinina. Quindi, una clearance della
creatinina normale non può escludere la presenza di una patologia renale di
modesta entità.

Diversamente dalla creatinina sierica, l’azoto ureico (Blood Urea Nitrogen, BUN)
non è utilizzabile come unico indice di valutazione della funzionalità renale poiché
è influenzato da variazioni del flusso urinario e dalla produzione e metabolismo
dell’urea. Il rapporto BUN:creatininemia è spesso usato per differenziare
l’iperazotemia prerenale, renale o postrenale (ostruttiva). Un rapporto > 15 è
anormale e indica un’iperazotemia prerenale o postrenale. Il rapporto azoto
ureico:creatininemia si eleva ogni qual volta la produzione di urea aumenta con la
dieta, con la nutrizione parenterale totale o con terapia steroidea, con alcune
neoplasie e antibiotici e con l’ipercatabolismo proteico, come si osserva nelle
infezioni e nel diabete mellito scompensato. Le cause di iperazotemia prerenale
comprendono shock, perdita di liquidi extracellulari, emorragia massiva GI, grave
insufficienza epatica e cardiaca e stenosi serrata bilaterale dell’arteria renale. Il
rapporto azoto ureico:creatininemia è normale nell’iperazotemia di origine renale.
Si riscontra un rapporto basso in gravidanza, in caso d’iperidratazione, nella
grave epatopatia e nella malnutrizione.

I test per la capacità di concentrazione renale sono semplici e


diagnosticamente utili. Una perdita della capacità di concentrazione in presenza
di un’adeguata stimolazione da parte della vasopressina è associata a malattia
tubulo-interstiziale (edema, infiltrato, fibrosi), tranne quando vi sia un diabete
insipido nefrogeno (DIN). La perdita della capacità di concentrazione è
frequentemente presente molto prima che sia misurabile una diminuzione della
GFR. I test migliori per valutare la capacità di concentrazione del rene sono
quello della privazione di acqua per un periodo di 12-14 ore e quello della
risposta alla vasopressina esogena. Dopo che il paziente ha digiunato per 12-
14 ore durante la notte, vengono misurati l’osmolarità della prima urina del
mattino e dei successivi campioni raccolti ogni ora. La massima capacità di
concentrazione è stata raggiunta con la privazione di acqua quando vi è una
differenza di < 30 mOsm/kg o di gr < 0,001 peso specifico nelle misurazioni
consecutive di ogni ora. Vengono somministrate 5 U SC di vasopressina acquosa
o 10 µg di desmopressina per insufflazione nasale e l’osmolarità urinaria viene

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misurata dopo un’altra ora. I risultati di questo tipo di esame sono mostrati nella
Fig. 214-1. (Attenzione: nei pazienti con insufficienza renale, la privazione di
acqua può essere pericolosa e di solito non è utile per la diagnosi; la capacità di
concentrazione è sempre anormale quando la GFR è ridotta in modo
significativo.) Se non si ha risposta né alla privazione di acqua né alla
vasopressina esogena, vi può essere un difetto intrinseco della concentrazione
renale che può essere dovuto a una o più delle seguenti cause di danno
funzionale tubulare: congenito (p. es., diabete insipido nefrogeno, DIN, sindrome
di Fanconi) o acquisito (p. es., diuresi osmotica, alcuni diuretici [furosemide,
bumetanide, acido etacrinico], deficit di potassio o ipercalcemia). Altrimenti, si
deve prendere in considerazione una malattia tubulo-interstiziale, come si
osserva nella malattia drepanocitica, nella nefrite tossica, nella pielonefrite, nella
nefrosclerosi o in qualsiasi altra patologia renale tanto grave da produrre
iperazotemia. Per altre risposte a questi test e per le loro interpretazioni, v.
Terapia in Diabete insipido nel Cap. 7.

La misurazione del flusso plasmatico renale non è clinicamente più utile della
GFR ma è più difficile e costosa.

Test speciali addizionali della funzione tubulare renale richiedono solitamente


laboratori di ricerca specializzati e vengono riservati a pazienti con problemi
specifici. Tuttavia, i test che misurano fosfati e urati plasmatici, aminoacidi urinari
e pH urinario sono facilmente ottenibili e possono dimostrarsi utili nello screening
di specifici problemi clinici.

Tecniche di diagnostica per immagini: la radiografia diretta dell’addome


(rene, uretere, vescica) può rivelare la dimensione e la posizione dei reni ma è
stata ormai superata dall’ecografia. Poiché le affezioni GI e GU tendono a
confondersi quanto a sintomi, la radiografia può essere utile nella diagnosi
differenziale. Tuttavia, il contorno renale può essere nascosto dal contenuto
intestinale, dalla mancanza del grasso perirenale o da un ematoma o ascesso
perirenale. Questa difficoltà può essere superata dalla TC. Può venire svelata
l’assenza congenita di un rene. Se entrambi i reni sono insolitamente grandi, ci si
può trovare in presenza di una malattia policistica renale, di un mieloma, di un
linfoma, di amiloidosi o d’idronefrosi. Se entrambi i reni sono piccoli, si deve
prendere in considerazione lo stadio finale di una displasia renale bilaterale o di
una malattia sclerosante (p. es., glomerulonefrite, nefrite tubulo-interstiziale,
nefroangiosclerosi). Un ingrandimento monolaterale suggerisce un tumore
renale, una cisti o un’idronefrosi, mentre un rene piccolo monolaterale, è
compatibile con displasia congenita, con pielonefrite atrofica o con un rene
ischemico. Normalmente, il rene sinistro è più lungo di 0,5 cm del destro.

Nel 90% dei casi, il rene destro è più basso del sinistro in quanto spostato dal
fegato. Gli assi maggiori dei reni sono obliqui rispetto alla colonna vertebrale e
tendono a essere paralleli rispetto ai margini dei muscoli psoas. Se entrambi i
reni sono paralleli alla colonna vertebrale, bisogna pensare alla possibilità di reni
a ferro di cavallo. Se soltanto un rene è dislocato, vi può essere un tumore o una
cisti.

Poiché la radiografia è bidimensionale, è praticamente impossibile fare diagnosi


di calcolosi della via urinaria, a meno che non vi sia un calcolo "a corna di cervo".
Tuttavia si possono notare formazioni radiopache sospette nelle regioni
surrenalica, renale, ureterale, vescicale o prostatica. Per poter localizzare
calcificazioni soprattutto all’interno di queste strutture sono necessarie radiografie
oblique e laterali e la visualizzazione della via urinaria con mezzo di contrasto,
con l’ecografia e con la TC.

L’urografia endovenosa (UE, chiamata comunemente, ma non correttamente


PEV, pielografia endovenosa) è effettuata per visualizzare il rene e il tratto
inferiore della via urinaria. Viene eseguita con infusione EV di un derivato iodato
dell’acido benzoico. La molecola iodata fornisce la radiopacità, mentre l’acido
benzoico viene rapidamente filtrato dal rene. Un mezzo di contrasto dopo
infusione EV si concentra nei tubuli renali in 5 min, fornendo un nefrogramma. La
TC renale viene spesso eseguita per mostrare i contorni renali che possono
altrimenti essere nascosti dal gas sovrastante o dal contenuto intestinale. Inoltre,
si possono frequentemente differenziare le cisti dalle neoplasie solide. Più tardi il

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mezzo di contrasto appare nel sistema collettore, tracciando i contorni della pelvi
renale, degli ureteri e, in ultimo, della vescica. La visualizzazione dipende dalla
concentrazione del mezzo di contrasto nei reni e nel sistema collettore. Quindi, i
migliori radiogrammi si ottengono nei pazienti con una GFR normale non
diuretizzati al momento della somministrazione del mezzo di contrasto. Uno
studio adeguato è generalmente difficile da ottenere in pazienti con BUN > 50 mg/
dl (> 17,8 mmol urea/ l) o con creatininemia > 3 mg/dl (270 µmol/l). Per i pazienti
con iperazotemia, sono meno rischiose e vengono quindi preferite altre tecniche
di visualizzazione renale (p. es., l’ecografia o, se indicata, la TC).

L’urografia endovenosa è indicata per individuare la causa di IVU ricorrenti o


quando la sede di un’ostruzione provoca idronefrosi, reflusso vescico-ureterale,
ipertensione e urolitiasi. Se si sospetta una lesione renale, l’urografia confermerà
che il rene non leso è normale e fornirà informazioni funzionali sul rene colpito.
Comunque in caso di trauma del sistema urinario, si preferisce la TC (o talvolta
l’angiografia).

(Attenzione: in seguito a procedure contrastografiche, occasionalmente, si nota


insufficienza renale acuta [incidenza < 0,5%]in pazienti a basso rischio. Il
meccanismo è sconosciuto, ma i fattori concomitanti di rischio per nefropatia da
mezzo di contrasto comprendono: preesistente insufficienza renale, diabete
mellito, età avanzata, disidratazione e mieloma multiplo. Quando vengono
eseguiti studi contrastografici in pazienti ad alto rischio, un’idratazione adeguata,
un mezzo di contrasto non ionico e una riduzione del dosaggio possono ridurre il
rischio.)

Nella pielografia retrograda, i mezzi di contrasto radiopachi, simili a quelli


impiegati per l’urografia endovenosa, vengono introdotti direttamente nella via
urinaria previa cistoscopia e cateterizzazione dell’uretere. La pielografia
ascendente fornisce un’opacizzazione più intensa del sistema collettore e
minzionale, quando l’urografia ha avuto insuccesso per la modesta funzionalità
renale o non ha visualizzato il rene, quando vi è un sanguinamento delle alte vie
urinarie con una normale urografia, o quando questa mostra un difetto di
riempimento. Inoltre, una valutazione per via retrograda può essere indicata per
stabilire il grado di ostruzione ureterale o quando il paziente è allergico ai mezzi
di contrasto EV. È anche utile per un esame dettagliato del sistema collettore
pelvicaliceale, degli ureteri (compreso il sospetto di fistola ureterovaginale) e
della vescica. Gli svantaggi sono: rischio di infezione, distorsione dei calici per
iperdistensione; fenomeni di flusso retrogrado ("backflow") che oscurano il
dettaglio, edema ureterale acuto, ostruzione per stenosi secondaria e la
necessità dell’anestesia.

Nella pielografia anterograda, il mezzo di contrasto viene introdotto nella pelvi


renale mediante visualizzazione radiografica. Questa indagine può essere
indicata quando la pielografia retrograda non può essere effettuata per
l’impossibilità di incannulare un uretere, per la presenza di una grave patologia
vescicale, per la presenza di un uretere ectopico o reimpiantato o per
l’impossibilità di iniettare il mezzo di contrasto al di sopra del punto ostruito
nell’uretere.

La cistografia, che è una fase dell’urografia endovenosa, può rivelarsi


insoddisfacente per una scarsa opacizzazione o per un riempimento incompleto.
È allora necessaria una cistografia retrograda (riempimento controllato della
vescica tramite catetere) per un’adeguata visualizzazione. La cistografia
retrograda è consigliabile per studi sulla vescica neurogena, sulle rotture
vescicali o sulle infezioni ricorrenti della via urinaria. Cause quali reflusso vescico-
ureterale o fistole vescicali possono essere diagnosticate con questa tecnica o
con scintigrafia vescicale. I radiogrammi vengono scattati durante e dopo la
minzione per essere sicuri di un adeguato svuotamento vescicale.

L’uretra maschile può essere esaminata durante la minzione, al termine della


cistografia (uretrocistografia minzionale). Se non può essere inserito un catetere
uretrale, viene utilizzata l’iniezione retrograda di un mezzo di contrasto per
delineare una patologia uretrale (uretrocistografia retrograda).

La TC è più costosa dell’ecografia e della urografia. Tuttavia la TC è utilissima

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

nel valutare il carattere e l’estensione delle masse renali o nel determinare


l’eziologia di una massa retroperitoneale che deforma il normale profilo del via
urinaria (p. es., un linfonodo addominale ingrandito). Le cisti renali hanno una
bassa densità alla TC. Dopo iniezione EV di mezzo di contrasto, non vi è alcun
immagine di rinforzo; piuttosto, la cisti spicca come una "lucentezza" prominente
contro il parenchima contenente il contrasto. Al contrario, il carcinoma renale è
generalmente isodenso alla scansione senza contrasto, mentre con il contrasto
EV può mostrare una maggiore densità provocata dall’ipervascolarizzazione della
lesione. Un rafforzamento del contrasto aiuta spesso a dimostrare aree
necrotiche dentro la massa e aree a contenuto grasso che suggeriscono la
presenza di un angiomiolipoma. Spesso è possibile determinare l’estensione
dell’interessamento extrarenale da parte del tumore. Quando si sospetta o sia
nota la presenza di un carcinoma vescicale, la TC, con immissione sequenziale
intravescicale di aria e mezzo di contrasto, rappresenta un’altra tecnica efficace.

L’angiografia è la tecnica di diagnostica per immagini più invasiva e viene


riservata per indicazioni particolari. I mezzi di contrasto possono essere introdotti
per via retrograda, in cui un catetere viene inserito in un’arteria periferica
(femorale, ascellare) e spinto nel lume aortico fino all’area desiderata, e per via
translombare, ora impiegata raramente, in cui si punge l’aorta per via percutanea.
La tecnica retrograda è più sicura e più semplice, e fornisce angiogrammi
migliori. In molte istituzioni l’arteriografia convenzionale è stata sostituita dalle
tecniche digitali, che sono più sicure poiché possono essere usate minori
quantità di mezzo di contrasto e cateteri più piccoli.

L’angiografia trova la sua indicazione nella diagnosi di: possibili lesioni vascolari
(p. es., aneurisma); massa di incerta natura evidenziata alla TC; embolizzazione
di un tumore renale; inadeguata visualizzazione alla TC delle vene renali o della
vena cava inferiore. A volte, in caso di tumori voluminosi, l’arteriografia è indicata
per tracciare una mappa della vascolarizzazione. L’angiografia può anche essere
utile in caso di sospetta ipertensione nefrogena; anomalie renali congenite di
struttura, posizione o vascolarizzazione; sanguinamento renale monolaterale
persistente in presenza di una normale urografia; ridotta funzionalità renale di
relativamente recente esordio quando la pielografia retrograda è normale o se la
cateterizzazione retrograda ureterale non ha avuto successo e nei casi in cui sia
necessaria un’accurata conoscenza della vascolarizzazione prima di un
intervento chirurgico (p. es., per una nefrectomia parziale o per un trapianto da
donatore vivente). Le complicanze comprendono lesioni dei vasi incannulati e
degli organi limitrofi, reazioni al mezzo di contrasto, emorragia.

Nella venografia la vena cava inferiore viene visualizzata per motivi diagnostici
tramite puntura percutanea della vena femorale. Poche sono state le
complicanze registrate con questa procedura, limitate a uno stravaso di sangue e
di mezzo di contrasto nell’area dell’iniezione. La cateterizzazione della vena
renale consente di prelevare campioni, per la misurazione della renina nella vena
renale, per la diagnosi di trombosi della vena renale e per valutare l’estensione di
una neoplasia renale maligna, quando l’ecografia o la TC non forniscono risposte
attendibili.

L’ecografia (ECO), tecnica relativamente innocua e non invasiva, presenta


alcuni vantaggi in quanto la visualizzazione non dipende dalla funzionalità. Ciò
nondimeno, si possono dedurre alcune informazioni funzionali, specialmente nel
feto, in cui i reni possono essere identificati dopo circa 20 sett. di gestazione,
permettendo la misurazione della quota di produzione di urina mediante stime
seriate del volume della vescica. Per i neonati, l’ECO rappresenta la tecnica di
prima scelta per investigare masse addominali, IVU e anomalie sospette del
sistema urinario, poiché è atraumatica e ottiene risultati molto accurati.

Il rene può essere delineato efficacemente e il quadro ecografico pelvicaliceale


può essere esaminato criticamente con scansioni fatte nelle diverse posizioni.
L’ECO è particolarmente efficace nel diagnosticare le malattie policistiche del
rene, nel differenziare tra cisti renali e tumori, nel rivelare idronefrosi e raccolte di
fluido perirenale o emorragia intrarenale, nel valutare la dimensione dei reni e nel
localizzare la sede ottimale per la biopsia renale percutanea o per la nefrostomia.
L’ECO costituisce il metodo diagnostico migliore in un paziente uremico quando
non è consentita la somministrazione di mezzo di contrasto e di radioisotopi.

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

L’ECO è efficace nella valutazione del trapianto renale in casi di improvvise


modificazioni delle dimensioni dei reni; nel rivelare ostruzione, linfocele o
emorragia perirenale; nell’indicare patologie retroperitoneali quali tumore,
linfoadenopatia o emorragia. L’eco Doppler può mostrare la pervietà delle arterie
e delle vene e la quantità nonché la velocità del flusso sanguigno, utili nella
valutazione dei pazienti trapiantati di rene o di pazienti particolari con
ipertensione.

La vescica ripiena di urina viene delineata velocemente dagli ultrasuoni.


Normalmente, le modificazioni del contorno della parete vescicale dipendono
dalla quantità di urina presente. L’assenza di modificazioni del normale contorno,
la distorsione della posizione della vescica, o un anormale ispessimento della
parete indicano una patologia pelvica o della parete vescicale. Anche se
l’ecografia può evidenziare tumori della vescica, la TC costituisce una tecnica di
valutazione migliore.

La RMN fornisce ulteriori informazioni riguardo masse renali che non si riescono
a definire con altre indagine radiologiche. Consente di ottenere immagini nei piani
trasversale, coronale, sagittale. I dati morfologici sono ottenuti dalla ricostruzione
tridimensionale del tessuto. Le lesioni renali solide e cistiche sono diagnosticate
altrettanto precocemente con la TC, ma la RMN fornisce informazioni riguardo al
liquido della cisti per la diagnosi differenziale tra emorragia e infezione. Inoltre, la
RMN definisce le strutture vascolari e perirenali, permettendo la diagnosi di
trombosi, di aneurisma, di fistola artero-venosa o di infiltrazione neoplastica. A
livello pelvico, la RMN mostra ogni piano tissutale e può evidenziare le vescicole
seminali e l’estensione dell’invasione parietale di una neoplasia vescicale. La
RMN riconosce i propri limiti nel movimento respiratorio e nella peristalsi. Le
calcificazioni intrarenali sono mal definite poiché hanno protoni poco mobili.

La RMN, effettuata impiegando come contrasto l’acido penteico gadolinico


somministrato in bolo, e la tecnica di immagini a rapida sequenza, viene sempre
più adoperata. Questa tecnica fornisce informazioni sulla GFR e sulla funzione
tubulare.

Studi morfologici: la biopsia renale viene eseguita per stabilire la diagnosi


istologica; per aiutare a valutare la prognosi e la potenziale reversibilità o
progressione della lesione renale, l’efficacia delle terapie in atto e per
determinare la storia naturale delle patologie renali. L’unica controindicazione
assoluta alla biopsia è la presenza di un disordine emorragico incontrollabile. La
biopsia di un monorene nativo è una controindicazione relativa, da soppesare a
fronte della necessità di informazioni. Vengono frequentemente eseguite biopsie
di un rene trapiantato funzionante, per diagnosticare i vari tipi di nefropatia
(p. es., rigetto, tossicità da farmaci, recidiva della malattia renale primitiva). Le
condizioni associate a una maggiore morbosità in seguito a biopsia sono
considerate come controindicazioni relative: p. es., tumori renali, voluminose cisti
renali, idronefrosi, ascessi perirenali, grave riduzione del volume ematico o
plasmatico, ipertensione grave e insufficienza renale avanzata con sintomi di
uremia.

La biopsia a cielo aperto è raramente necessaria; soltanto quando ha avuto


insuccesso il metodo percutaneo o quando il controllo visivo diretto della biopsia
è importante. Per la tecnica percutanea, il paziente viene sedato e il rene viene
visualizzato con tecniche radiografiche o ecografiche. Il paziente viene messo in
posizione prona; dopo aver anestetizzato la cute sovrastante e i muscoli del
dorso, viene inserito l’ago da biopsia; il tessuto ottenuto serve per la microscopia
ottica, elettronica e a immunofluorescenza.

La citologia urinaria è utile nello screening di possibili neoplasie della via


urinaria in popolazioni ad alto rischio (p. es., i lavoratori delle industrie
petrolchimiche e i pazienti con ematuria senza dolore dovuta a cause non renali)
e nel controllo a distanza di pazienti già sottoposti a resezione di tumori vescicali.
Si devono esaminare numerosi campioni consecutivi di urina, a partire da quella
iniziale, alla ricerca di cellule esfoliative anormali. Si riscontra una citologia
anormale nel 70-85% dei pazienti con neoplasia epiteliale della via urinaria già
nota, ma lesioni iperplastiche reattive o infiammatorie della via urinaria o farmaci
citotossici assunti per neoplasie non urogenitali possono dare falsi positivi. In

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Valutazione clinica dei disordini genitourinari

pazienti asintomatici, l’incidenza di cellule neoplastiche nelle urine è di circa


lo 0,1%. I reperti falsamente negativi sono solitamente associati a neoplasie con
un basso grado istologico. L’accuratezza diagnostica per le neoplasie vescicali
può essere aumentata effettuando un vigoroso lavaggio vescicale con soluzione
di NaCl allo 0,9% (50 ml immessi e quindi aspirati per mezzo di una siringa,
attraverso un catetere). Le cellule raccolte nella soluzione fisiologica sono quindi
concentrate ed esaminate.

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Pediatria

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

255. Introduzione

256. Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Fisiologia perinatale

Cure iniziali

Esame obiettivo

I primi giorni di vita

Controllo del bambino sano

Screening

Valutazione dell’udito nel bambino

Accrescimento e sviluppo fisico

Sviluppo psicomotorio e intellettivo

Vaccinazioni nell’infanzia

La nutrizione nel lattante

Patologia gastrointestinale e comuni errori alimentari

Rigurgito

Vomito

Sottoalimentazione

Sovralimentazione

Diarrea

Stipsi

Coliche addominali

Farmaci e allattamento materno

257. Trattamento del bambino malato e della sua famiglia

Legame genitore-figlio: il neonato malato

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Pediatria

Invalidità permanenti nel bambino

258. Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

Dosaggi dei farmaci

Effetti collaterali e tossicità

Compliance

259. Squilibri idro-elettrolitici nell’infanzia

Deficit

Iperidratazione

Fabbisogno idrico di mantenimento

260. Patologia del neonato e del lattante

Il prematuro

Il postmaturo

Il neonato piccolo per l’età gestazionale

Il neonato grande per l’età gestazionale

Traumi da parto

Traumi del capo

Traumi dei nervi cranici

Lesioni del plesso brachiale

Traumi di altri nervi periferici

Traumi del midollo spinale

Emorragie endocraniche

Fratture

Traumi delle parti molli

Patologia respiratoria

Uso della ventilazione meccanica

Sindrome del distress respiratorio

Displasia broncopolmonare

Tachipnea transitoria del neonato

Apnea della prematurità

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Pediatria

Ipertensione polmonare persistente del neonato

Sindrome da aspirazione di meconio

Sindrome dell’air-leak polmonare

Problemi ematologici

Anemia neonatale da sanguinamento

Anemia emolitica neonatale

Emoglobinopatie

Iperviscosità dovuta alla policitemia

Patologia metabolica nel neonato

Ipotermia

Ipoglicemia

Iperglicemia

Ipocalcemia

Ipernatremia

Iperbilirubinemia

Ittero nucleare

Sindrome feto-alcolica

Sindrome di astinenza da cocaina

Sindrome di astinenza da altri farmaci

Convulsioni neonatali

Deficit uditivi nei bambini

Retinopatia del prematuro

Infezioni neonatali

Infezioni neonatali nosocomiali

Congiuntivite neonatale

Diarrea acuta infettiva neonatale

Sepsi neonatale

Polmonite neonatale

Meningite neonatale

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Pediatria

Listeriosi neonatale

Rosolia congenita

Infezione neonatale da herpes simplex virus

Epatite neonatale da virus b

Infezione congenita e perinatale da


citomegalovirus

Toxoplasmosi congenita

Sifilide congenita

Tubercolosi perinatale

Enterocolite necrotizzante

Sindrome della morte improvvisa

Sindrome dello shock emorragico ed encefalopatia

261. Anomalie congenite

Cardiopatie congenite

Difetti del setto interatriale

Difetti completi del canale atrioventricolare

Difetti parziali del canale atrioventricolare

Difetti del setto ventricolare

Sindrome del ventricolo sinistro ipoplasico

Tetralogia di Fallot

Trasposizione dei grossi vasi

Cardiopatia congenita cianotizzante complessa

Stenosi valvolare aortica

Stenosi della valvola polmonare

Stenosi dei vasi polmonari periferici

Pervietà del dotto arterioso

Coartazione aortica

Persistenza del tronco arterioso

Anomalie meno comuni

Vasculopatia polmonare

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Pediatria

Scompenso cardiaco

Anomalie gastrointestinali

Ostruzioni intestinali alte

Ostruzioni dell’ileo e del colon

Difetti della parete addominale

Emergenze chirurgiche varie

Atresia biliare ed epatite neonatale

Patologie muscolo-scheletriche

Anomalie cranio-facciali

Anomalie spinali

Anomalie dell’anca, delle gambe e dei piedi

Miscellanea di anomalie dell’osso e della cartilagine

Amputazioni congenite

Artrogriposi congenita multipla

Anomalie muscolari

Anomalie del sistema nervoso

Anomalie cerebrali

Spina bifida

Difetti congeniti degli occhi

Glaucoma congenito

Cataratta congenita

Malformazioni renali e genitourinarie

Rene

Uretere

Vescica

Pene e uretra

Testicoli e scroto

Anomalie nel trasporto renale

Cistinuria

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Pediatria

Sindrome di Fanconi

Rachitismo ipofosfatemico

Malattia di Hartnup

Iminoglicinuria familiare

Anomalie cromosomiche

Anomalie autosomiche

Sindrome di Down

Trisomia 18

Trisomia 13

Sindromi da delezione

Anomalie dei cromosomi sessuali

Sindrome di Turner

Sindrome della tripla X

Rare anomalie del cromosoma X

Sindrome di Klinefelter

Sindrome 47,XYY

Stati intersessuali

262. Problemi di sviluppo

Ritardo di crescita

Disturbi del comportamento

Disturbi di alimentazione

Disturbi del sonno

Disturbi del controllo sfinterico

Ansia di separazione

Paure e fobie

Iperattività

Disturbi di apprendimento

Dislessia

Disturbi dell’attenzione

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Pediatria

Ritardo mentale

263. Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Ferite

Avvelenamenti

Avvelenamento da paracetamolo

Avvelenamento da aspirina e da altri salicilati

Ingestione di caustici

Avvelenamento da piombo

Avvelenamento da ferro

Avvelenamento da idrocarburi

Rianimazione cardiopolmonare

264. Maltrattamento e incuria verso il bambino

265. Infezioni nei bambini

Infezioni batteriche

Difterite

Pertosse

Batteriemia occulta

Infezione delle vie urinarie

Gastroenterite acuta infettiva

Cellulite periorbitale e orbitale

Epiglottite acuta

Tracheite batterica

Ipertrofia adenoidea

Ascesso retrofaringeo

Impetigine ed ectima

Infezioni virali

Morbillo

Panencefalite sclerosante subacuta

Parotite

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Pediatria

Rosolia

Panencefalite progressiva da rosolia

Roseola infantum

Eritema infectiosum

Varicella

Infezione da virus respiratorio sinciziale

Croup

Bronchiolite

Mononucleosi infettiva

Malattie da enterovirus

Infezione da virus dell’immunodeficienza umana


nel bambino

Infezioni varie

Sindrome di Reye

Febbre di origine sconosciuta

Sindrome di Kawasaki

Infestazione da ossiuri

266. Neoplasie

Tumore di Wilms

Neuroblastoma

Retinoblastoma

267. Fibrosi cistica

268. Patologia gastrointestinale

Dolori addominali ricorrenti

Malattia ulcerosa

Reflusso gastroesofageo

Diverticolo di Meckel

269. Malattie endocrine e metaboliche

Gozzo congenito

Ipotiroidismo

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Pediatria

Ipertiroidismo

Bassa statura da ipopituitarismo

Bassa statura causata da cause eterogenee

Iperplasia surrenalica congenita

Ipogonadismo maschile

Errori congeniti del metabolismo dei carboidrati

Galattosemia

Malattie da accumulo di glicogeno

Alterazioni del metabolismo del fruttoso

Pentosuria

Difetti del metabolismo del piruvato

Alterazioni del metabolismo degli aminoacidi

Fenilchetonuria classica

Forme varianti di iperfenilalaninemia

270. Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Febbre reumatica

Artrite reumatoide giovanile

Disturbi comuni a carico dell’anca, ginocchio e piede

Difetti ereditari del tessuto connettivo

Sindrome di Ehlers-danlos

Sindrome di Marfan

Cutis laxa

Mucopolisaccaridosi

Le osteocondrodisplasie

Le osteopetrosi

Osteosclerosi

Displasia craniotubulare

Iperostosi craniotubulare

Le osteocondrosi

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Pediatria

Malattia di Legg-Calvé-Perthes

Malattia di Osgood-Schlatter

Malattia di Scheuermann

Morbo di Köhler

271. Malattie neurologiche

Corea di Sydenham

Paralisi cerebrali

272. Disturbi di naso e gola

Corpi estranei

Angiofibroma giovanile

Papillomi giovanili

273. Strabismo

274. Situazioni d’interesse psichiatrico nell’infanzia e nell’adolescenza

Psicosi dell’infanzia

Autismo

Disturbo pervasivo dello sviluppo a esordio


infantile

Disturbo disintegrativo dell’infanzia

Schizofrenia infantile

Depressione infantile

Turbe psichiatriche dell’adolescenza

Disturbi di adattamento

Disturbo da stress post-traumatico

Disturbi da sostanze d’abuso

Alterazioni del comportamento sociale

Disturbi somatoformi

Depressione negli adolescenti

Disturbo bipolare

Suicidio in bambini e adolescenti

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Pediatria

275. Condizioni fisiche dell’adolescenza

Accrescimento e sviluppo

Maturazione sessuale ritardata

Pubertà precoce

Scoliosi idiopatica

Dislocazione dell’epifisi della testa femorale

Gravidanza dell’adolescente

Incidenti e atti di violenza

Obesità

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Introduzione

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

255. INTRODUZIONE

Dalla metà del XX secolo la pediatria ha ampliato il proprio campo d’azione


includendo la perinatologia e l’adolescentologia; è stata posta particolare
attenzione alla promozione della salute, alla prevenzione e alla diagnosi precoce
di malattia, mediante appropriati controlli periodici; è stata riconosciuta
l’importanza e l’interdipendenza degli aspetti organici, funzionali,
comportamentali, sociologici, economici e politici della cura del bambino. La
maggior parte di tali novità è stata indotta dai cambiamenti sociali che hanno
prodotto una disgregazione all’interno della famiglia, della scuola e della società.
Per molti, questo ha determinato un impoverimento dei processi educativi e delle
aspirazioni individuali al successo e alla felicità e un aumento dello stress,
dell’autosvalutazione, dell’uso di droghe, della violenza, della depressione e dei
comportamenti autodistruttivi.

I gruppi di età utilizzati in questa sezione sono definiti come segue: neonato,
dalla nascita a 1 mese di vita; lattante, da 1 mese a 1 anno; prima infanzia, da 1
a 4 anni; seconda infanzia, da 5 a 10 anni; adolescenza, da 11 a 17 anni. Il
termine "bambino" può essere usato in modo generico dalla nascita in poi, a
esempio parlando del numero dei figli in una famiglia.

La diagnosi prenatale e la consulenza genetica sono trattate nel Cap. 247. Le


malattie e i disturbi che si verificano in età pediatrica, ma che sono più frequenti
negli adulti, sono affrontati più dettagliatamente in altre sezioni del Manuale.

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Ginecologia e ostetricia

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

234. Endocrinologia della riproduzione

235. Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Sindrome premestruale

Dismenorrea primaria

Dismenorrea secondaria

Amenorrea

Insufficienza ovarica prematura

Sanguinamento uterino anomalo

Sanguinamento uterino disfunzionale

236. Menopausa

237. Dolore pelvico

238. Infiammazioni e infezioni ginecologiche

Malattie del tratto genitale inferiore

Infezioni vulvovaginali

Infezioni del tratto genitale superiore

Malattia infiammatoria della pelvi

239. Endometriosi

240. Fibromi uterini

241. Neoplasie ginecologiche

Cancro dell’endometrio

Cancro dell’ovaio

Cancro della cervice uterina

Cancro della vulva

Cancro della vagina

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Ginecologia e ostetricia

Cancro delle tube di Falloppio

Malattia trofoblastica gestazionale

242. Malattie della mammella

Malattie benigne della mammella

Mastodinia, cisti, noduli multipli

Fibroadenomi

Secrezione del capezzolo

Infezioni

Ginecomastia

Cancro della mammella

Malattia di Paget

Cistosarcoma filloide

243. Disfunzione sessuale nelle donne

Disturbi dell’eccitazione sessuale

Disordini dell’orgasmo femminile

Dispareunia

Vaginismo

244. Esame medico della vittima di violenza carnale

245. Infertilità

Alterazioni del liquido seminale

Disfunzione ovulatoria

Disfunzione tubarica

Alterazione del muco cervicale

Infertilità inspiegata

Tecniche di riproduzione assistita

246. Pianificazione familiare

Contraccezione

Sterilizzazione

Aborto provocato

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Ginecologia e ostetricia

247. Valutazione e consulenza genetica prenatali

Indicazioni alla diagnosi prenatale

Screening prenatale dell’a-fetoproteina

Tecniche di diagnosi prenatale

Principi della consulenza genetica

248. Concepimento e sviluppo prenatale

249. Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Fisiologia

Cure prenatali

Farmaci in gravidanza

Gestione del travaglio fisiologico

Gestione del parto fisiologico

250. Gravidanza ad alto rischio

Fattori di rischio

251. Gravidanza complicata dalla malattia

Malattie cardiache

Malattia tromboembolica

Ipertensione

Malattia renale

Infezione delle vie urinarie

Diabete mellito

Malattie della tiroide

Malattie epatiche

Malattie infettive

Anemia

Emoglobinopatie

Asma

Malattie autoimmuni

Tumori maligni

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Ginecologia e ostetricia

Patologie che necessitano di intervento chirurgico

252. Anomalie della gravidanza

Aborto spontaneo

Gravidanza ectopica

Iperemesi gravidica

Preeclampsia ed eclampsia

Distacco prematuro della placenta

Placenta previa

Eritroblastosi fetale

Herpes gravidico

Papule e placche orticarioidi pruriginose della gravidanza

253. Anomalie e complicanze del travaglio e del parto

Induzione o stimolazione del travaglio

Travaglio pre-termine

Rottura prematura delle membrane

Prolasso del cordone ombelicale

Embolia di liquido amniotico

Gravidanza protratta e post-maturità

Primo e secondo stadio del travaglio

Terzo stadio del travaglio

254. Assistenza nel post-partum

Infezioni puerperali

Emorragia nel post-partum

Inversione uterina

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Endocrinologia della riproduzione

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

234. ENDOCRINOLOGIA DELLA RIPRODUZIONE

Sommario:

Introduzione
Secrezione ormonale: dall’infanzia alla pubertà
Pubertà
Sviluppo del follicolo ovarico
Ciclo mestruale
Modificazioni cicliche
Regolazione neuroendocrina del ciclo mestruale

La normale funzione riproduttiva dipende da una complessa interazione


ormonale tra gli organi endocrini e gli organi bersaglio. Una normale funzione è
essenziale per lo sviluppo sessuale nella pubertà e per i processi ciclici
dell’ovulazione e della mestruazione.

L’ipotalamo secerne un peptide di piccole dimensioni, l’ormone per il rilascio delle


gonadotropine (GnRH), conosciuto anche come ormone per il rilascio
dell’ormone luteinizzante, che regola la dismissione, da parte dell’ipofisi
anteriore, dell’ormone luteinizzante (LH) e dell’ormone follicolo-stimolante (FSH)
(v. Fig. 234-1 e Cap. 6 e 7). L’LH e l’FSH promuovono la maturazione dell’ovulo e
stimolano la secrezione di estrogeni e progesterone da parte delle ovaie.

Gli estrogeni e il progesterone sono dei composti policiclici (con gli atomi di
carbonio strutturati in 4 anelli) derivati dal colesterolo. Questi circolano nel
torrente ematico quasi interamente legati a delle proteine plasmatiche, anche se
solo quelli non legati sembrano essere biologicamente attivi. Stimolano gli organi
bersaglio del sistema riproduttivo (cioè, mammelle, utero e vagina) ed esercitano
delle azioni di feedback, positivo e negativo, sull’asse SNC-ipotalamo-ipofisi,
inibendo o stimolando la secrezione delle gonadotropine.

Praticamente tutti gli ormoni sono secreti in maniera pulsatile a intervalli di 1-


3 ore e, quindi, la descrizione dei comportamenti ormonali è una
rappresentazione ideale. Questo aspetto deve essere tenuto presente quando si
interpretano i singoli valori ormonali.

Secrezione ormonale: dall’infanzia alla pubertà

I livelli di LH e di FSH sono elevati alla nascita, ma nel corso di pochi mesi vanno
incontro a una notevole riduzione e si mantengono su valori bassi per tutto il
periodo prepuberale con l’FSH generalmente di poco più elevato dell’LH (v.
Fig. 234-2).

I livelli degli androgeni surrenalici, del deidroepiandrosterone (DHEA) e del DHEA


solfato cominciano ad aumentare diversi anni prima della pubertà. Questi
aumenti possono essere importanti per l’inizio della crescita dei peli pubici e
ascellari (cioè, l’adrenarca) e per gli altri eventi della pubertà. Poiché i valori di
ACTH e di cortisolo non aumentano in questa fase, l’inizio della secrezione degli
androgeni surrenalici potrebbe essere stimolato da un peptide ipofisario non
identificato.

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Endocrinologia della riproduzione

I meccanismi responsabili dell’inizio della pubertà sono poco chiari. Influenze


centrali potrebbero inibire il rilascio pulsatile del GnRH durante l’infanzia e, poi,
stimolare la sua dismissione per indurre la pubertà nella fase precoce
dell’adolescenza.

All’inizio della pubertà, una ridotta sensibilità dell’ipotalamo agli ormoni sessuali
causa un aumento della secrezione dell’LH e dell’FSH, che stimolano la
secrezione degli ormoni sessuali (principalmente di estrogeni) e lo sviluppo dei
caratteri sessuali secondari. La secrezione dell’LH e dell’FSH aumenta,
inizialmente, solo durante il sonno e successivamente durante tutto l’arco delle
24 h. Le caratteristiche degli aumentati livelli basali di LH e di FSH sono differenti
nei ragazzi e nelle ragazze, ma in entrambi, l’LH aumenta più dell’FSH.

Pubertà

La sequenza di eventi attraverso la quale un bambino raggiunge lo sviluppo e la


maturità sessuale.

Le modificazioni fisiche della pubertà si verificano in modo sequenziale durante


l’adolescenza. Lo sviluppo iniziale del seno è, in genere, la prima modificazione
evidente nelle fanciulle, seguito a breve distanza dalla comparsa dei peli pubici e
ascellari (v. Fig. 234-3). Il menarca (il primo ciclo mestruale di una donna) si
verifica circa 2 anni dopo l’inizio dello sviluppo delle mammelle. Il rapido
accrescimento puberale inizia, solitamente, prima dello sviluppo mammario, ma
viene riconosciuto di rado. Le ragazze raggiungono la massima velocità di
accrescimento staturale in una fase precoce della pubertà, prima del menarca;
dopo il menarca, invece, il potenziale della crescita è limitato. Si modifica
l’aspetto fisico e aumenta la percentuale del grasso corporeo.

L’età a cui inizia la pubertà è variabile, evidentemente influenzata dallo stato di


salute generale, dall’alimentazione, dalle condizioni socio-economiche e da fattori
genetici. Nei paesi industrializzati l’età di inizio è notevolmente diminuita; p. es.,
nell’Europa Occidentale l’età al menarca è diminuita di 4 mesi per ogni decennio
tra il 1850 e il 1950, ma non è diminuita negli ultimi 4 decenni. Un’obesità
moderata si associa a un menarca più precoce, mentre è facile osservare un
ritardo del menarca nelle ragazze molto al di sotto del peso normale e denutrite.
Queste osservazioni indicano che per il menarca è necessario un peso corporeo
critico. La pubertà si verifica precocemente anche nelle ragazze che vivono nelle
aree urbane, nelle non vedenti e in quelle le cui madri avevano avuto uno
sviluppo sessuale precoce.

Sviluppo del follicolo ovarico

Entro la 6a sett. dello sviluppo fetale, le cellule germinali primordiali (oogoni)


migrano con movimenti ameboidi dal loro luogo di origine nel sacco vitellino alle
creste genitali (le ovaie primitive). Gli oogoni proliferano vivacemente per mitosi
fino al 4o mese, dopo di che la maggior parte di essi va incontro all’atresia.
Durante il 3o mese, alcune cellule iniziano a dividersi per meiosi invece che per
mitosi ed entro il 7o mese, tutte le cellule vitali si arrestano nello stadio diplotene
della profase meiotica; queste cellule rappresentano gli oociti primari. Tra il 7o e il
9o mese, l’ovaio fetale è organizzato e ciascun oocita diventa parte di un follicolo
primordiale, che consiste di una membrana basale, di uno strato singolo di cellule
epiteliali squamose della granulosa e di un oocita. I follicoli primordiali
costituiscono il pool dei follicoli rimanenti e che in parte va incontro a una crescita
(da cui si sviluppano tutti i follicoli maturi) e in parte evolve in atresia. I
meccanismi che stimolano la crescita del follicolo e dell’oocita sono poco chiari,
ma non necessitano delle gonadotropine.

La donna nasce con un limitato numero di cellule uovo, il 99,9% delle quali andrà

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Endocrinologia della riproduzione

incontro ad atresia. Poiché ciascun oocita rimane fermo nella profase meiotica
fino a quando non si verifica l’ovulazione, queste cellule sono tra quelle che
vivono di più nell’organismo umano (dall’embrione a circa 50 anni di età). La
lunga sopravvivenza può essere responsabile dell’aumentata incidenza di
gravidanze geneticamente anormali tra le madri meno giovani.

Durante gli anni riproduttivi di una donna, vari follicoli destinati alla crescita sono
reclutati durante ciascun ciclo, ma solo uno viene, di solito, selezionato per
l’ovulazione (v. Fig. 234-4). Questo follicolo si trasforma in un follicolo di Graaf
(preovulatorio), che può rispondere al picco di LH di metà ciclo. Il meccanismo
della selezione è sconosciuto.

Il follicolo di Graaf contiene un antro (una cavità piena di liquido) costituito dalla
proliferazione delle cellule della granulosa che secernono fluido e
mucopolisaccaridi. L’aumento delle dimensioni del follicolo è dovuto
principalmente a un accumulo di liquido follicolare, sotto il controllo dell’FSH, che
induce anche lo sviluppo di recettori specifici per l’LH sulle cellule della
granulosa. I recettori per l’LH sono responsabili della stimolazione della
secrezione di progesterone prima dell’ovulazione e della produzione continua di
progesterone durante la fase luteinica. Le cellule della granulosa all’interno del
follicolo sviluppano anche dei recettori di membrana specifici per la prolattina,
che diminuiscono di numero quando il follicolo va incontro a maturazione; il loro
ruolo fisiologico è poco chiaro.

Ciclo mestruale

La mestruazione rappresenta la ciclica, all’incirca mensile, eliminazione per via


vaginale dell’endotelio desquamato che si ripete per tutta la vita riproduttiva di
una donna; il flusso ematico viene definito mestruazione o flusso mestruale.

Il primo giorno delle mestruazioni è il giorno 1 del ciclo mestruale. La durata


media delle mestruazioni è di 5 (± 2) giorni. La lunghezza mediana del ciclo
mestruale è di 28 giorni, ma solo il 10-15% dei cicli dura esattamente 28 giorni; la
normale variazione della durata di un ciclo ovulatorio è di circa 25-36 giorni. Di
solito, la variazione è massima e gli intervalli intermestruali sono più lunghi negli
anni che seguono immediatamente il menarca e in quelli prima della menopausa,
quando sono più frequenti i cicli anovulatori. La perdita ematica media per ciclo è
di 130 ml (intervallo, 13-300 ml) ed è, di solito, maggiore al 2o giorno. Un
assorbente o un tampone interno completamente imbevuti assorbono da 20 a
30 ml. In genere, il sangue mestruale non coagula (a meno che il flusso non sia
molto abbondante), probabilmente a causa della fibrinolisina e di altri fattori che
inibiscono la coagulazione.

Il ciclo mestruale può essere diviso in tre fasi sulla base degli eventi endocrini (v.
Fig. 234-5). La fase follicolare (preovulatoria) va dal primo giorno delle
mestruazioni al giorno precedente il picco preovulatorio di LH; la sua lunghezza è
la più variabile tra le diverse fasi. Durante la prima metà di questa fase, la
secrezione di FSH è leggermente aumentata, per stimolare la crescita di un
gruppo di 3-30 follicoli che sono stati reclutati per una crescita accelerata durante
l’ultimo giorno del ciclo precedente. Quando i livelli di FSH diminuiscono, uno dei
follicoli reclutati viene selezionato per l’ovulazione; questo va incontro alla
maturazione, mentre gli altri vanno incontro all’atresia. I livelli di LH circolante
aumentano lentamente, a partire da 1-2 giorni dopo l’aumento dell’FSH. La
secrezione di estrogeni e del progesterone da parte delle ovaie è relativamente
costante e si mantiene su bassi livelli all’inizio di questa fase.

Circa 7-8 giorni prima del picco di LH, la secrezione ovarica di estrogeni, in
particolare dell’estradiolo, da parte del follicolo selezionato, aumenta lentamente
all’inizio e poi più rapidamente, per raggiungere il massimo, di solito, il giorno del
picco di LH. L’aumento del livello di estrogeni è accompagnato da un lento, ma
costante incremento di LH e da una riduzione dei livelli di FSH. I livelli di LH e di
FSH possono essere divergenti perché la secrezione dell’FSH è
preferenzialmente inibita dagli estrogeni (in confronto alla secrezione dell’LH) ed

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Endocrinologia della riproduzione

è specificamente inibita dall’inibina. Anche i livelli di progesterone iniziano ad


aumentare in modo significativo subito prima del picco di LH.

Nella fase ovulatoria, una serie di complessi eventi endocrini culmina nel picco di
LH, il massivo rilascio preovulatorio di LH, da parte dell’ipofisi. Il picco di LH è
determinato in parte dal feedback positivo degli estrogeni. Contemporaneamente,
si verifica un più modesto aumento della secrezione di FSH, il cui significato non
è chiaro. Con l’aumento dei livelli di LH, diminuiscono i livelli di estradiolo, mentre
i livelli del progesterone continuano ad aumentare. Il picco di LH dura solitamente
36-48 ore ed è costituito da molteplici liberazioni di ormone in grande quantità,
secreto in modo pulsatile. Il picco di LH, che determina la completa maturazione
del follicolo, è necessario per l’ovulazione, il rilascio della cellula-uovo da parte
del follicolo di Graaf maturo, che, in genere, si verifica da 16 a 32 ore dopo l’inizio
del picco. Il meccanismo dell’ovulazione non è chiaro.

Durante il picco di LH il follicolo aumenta di volume e sporge sull’epitelio ovarico.


Uno stigma, o area avascolare, compare sulla superficie del follicolo. Sullo
stigma si forma poi una piccola vescicola che si rompe permettendo l’espulsione
del cumulo ooforo (l’oocita e alcune cellule della granulosa che lo circondano). La
produzione di prostaglandine da parte del follicolo, forse regolata dall’LH e/o
dall’FSH, sembra essenziale per l’ovulazione. Gli enzimi proteolitici presenti nelle
cellule della granulosa e nelle cellule epiteliali che ricoprono il follicolo
preovulatorio possono giocare un ruolo importante, insieme a fattori di crescita
locali e alle citochine. L’oocita rimane nella profase meiotica fino a dopo il picco
di LH. Entro 36 ore dal picco di LH, l’oocita completa la prima divisione meiotica,
in cui ciascuna cellula riceve 23 dei 46 cromosomi originali e il primo corpuscolo
polare viene eliminato. La seconda divisione meiotica, in cui ciascun cromosoma
si divide longitudinalmente in due copie identiche, non si completa e il secondo
corpuscolo polare non viene eliminato, fino a che l’uovo non viene penetrato dallo
spermatozoo.

Nella fase luteinica (postovulatoria) le cellule della granulosa e della teca, che
formano il follicolo, si riorganizzano per formare il corpo luteo (corpo giallo), da
cui la fase prende il nome. La lunghezza di questa fase è la più costante,
misurando in media 14 giorni nelle donne non gravide e terminando il primo
giorno delle mestruazioni successive. La lunghezza corrisponde al periodo di vita
funzionale del corpo luteo, che secerne progesterone ed estradiolo per circa
14 giorni e poi degenera, se non si verifica la gravidanza. Il corpo luteo supporta
l’impianto dell’uovo fecondato secernendo quantità crescenti di progesterone,
fino a un massimo di circa 25 mg/die, 6-8 giorni dopo il picco di LH. Poiché il
progesterone è termogenico, la temperatura corporea basale aumenta di 0,5°C
durante la fase luteinica e rimane elevata fino alle mestruazioni. La regolazione
della lunghezza della vita del corpo luteo è poco compresa, ma possono essere
coinvolti le prostaglandine e il fattore di crescita insulino-simile II.

Se avviene la fecondazione, la gonadotropina corionica umana (hCG), prodotta


dall’uovo fecondato, supporta il corpo luteo fino a quando l’unità feto-placentare
non è in grado di sostenersi da sola, dal punto di vista endocrinologico. L’hCG è
strutturalmente e funzionalmente simile all’LH; tuttavia, i test di gravidanza
utilizzano solitamente, degli anticorpi che sono specifici per la subunità β
dell’hCG e che hanno una reattività crociata con l’LH, minima o nulla.

Durante la maggior parte della fase luteinica, i livelli di LH circolante e di FSH


diminuiscono e rimangono bassi, per ricominciare ad aumentare con le
mestruazioni (ciclo successivo).

Modificazioni cicliche
negli altri organi riproduttivi

Endometrio: le modificazioni cicliche nell’endometrio culminano nel


sanguinamento mestruale. L’endometrio, che consiste di ghiandole e stroma, ha
tre strati: lo strato basale, lo strato spongioso intermedio e lo strato superficiale di
cellule epiteliali compatte che riveste la cavità uterina. Lo strato basale non viene

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Endocrinologia della riproduzione

eliminato durante le mestruazioni e rigenera gli altri due strati, che vengono
invece eliminati. Le modificazioni istologiche durante il ciclo mestruale sono
caratteristiche e le biopsie dell’endometrio possono essere usate per stabilire in
modo accurato la fase del ciclo e accertare la risposta tissutale agli steroidi
gonadici.

All’inizio della fase follicolare, l’endometrio è sottile (circa 2 mm), con ghiandole
sottili e dritte rivestite di un basso epitelio colonnare. Lo stroma è compatto.
Quando aumentano i livelli di estradiolo alla fine della fase follicolare,
l’endometrio cresce, rapidamente e progressivamente, con numerose mitosi
(cioè, rigenerazione dallo strato basale) fino a uno spessore di 11 mm, la mucosa
diventa spessa e le ghiandole tubulari si allungano e diventano spiraliformi.
L’endometrio può essere osservato mediante un’ecografia transvaginale;
caratteristicamente, in questa fase, ha un aspetto trilaminare, ma dopo
l’ovulazione diventa omogeneo.

Durante la fase luteinica, le ghiandole tubulari, sotto l’influenza del progesterone,


si dilatano, si riempiono di glicogeno e diventano secretorie e aumenta la
vascolarizzazione dello stroma. Alla fine della fase luteinica, con la riduzione dei
livelli di estradiolo e di progesterone, lo stroma diventa edematoso, si verifica una
necrosi dell’endometrio e dei suoi vasi e inizia il sanguinamento mestruale.

Cervice: durante la fase follicolare aumentano progressivamente la


vascolarizzazione, la congestione, l’edema e la secrezione mucosa. L’orifizio
uterino esterno si apre di circa 3 mm al momento dell’ovulazione per poi tornare
a 1 mm. L’aumento dei livelli di estrogeni causa un aumento della quantità del
muco cervicale di 10-30 volte. Le caratteristiche del muco sono clinicamente utili
per valutare lo stadio del ciclo e lo stato ormonale della paziente.

L’elasticità del muco (filanza) aumenta, come accade per l’arborizzazione


(arborizzazione a foglia di felce del muco essiccato su un vetrino ed esaminato al
microscopio), che diventa più evidente subito prima dell’ovulazione.
L’arborizzazione indica l’aumentata concentrazione di NaCl nel muco cervicale,
un effetto degli estrogeni. Durante la fase luteinica, il progesterone determina un
ispessimento del muco cervicale che diventa meno fluido e perde la sua elasticità
e la capacità di determinare l’arborizzazione a "foglia di felce".

Vagina: la proliferazione e la maturazione dell’epitelio vaginale sono influenzate


dagli estrogeni e dal progesterone. Quando, all’inizio della fase follicolare, la
secrezione degli estrogeni ovarici è scarsa, l’epitelio vaginale è sottile e pallido.
Non appena il livello degli estrogeni aumenta, durante la fase follicolare, le cellule
squamose maturano e diventano cheratinizzate e, di conseguenza, l’epitelio si
ispessisce. Nel corso della fase luteinica, aumenta il numero delle cellule
intermedie non ancora cheratinizzate, così come aumenta il numero dei leucociti
e dei detriti, quando le cellule squamose mature desquamano. Le modificazioni
dell’epitelio vaginale possono essere quantificate istologicamente e possono
essere usate come un indice qualitativo della stimolazione estrogenica.

Regolazione neuroendocrina del ciclo mestruale

La secrezione pulsatile dell’LH e dell’FSH è determinata dalla secrezione


pulsatile del GnRH. La frequenza e l’ampiezza dei picchi di secrezione di LH e di
FSH sono modulate dagli ormoni ovarici e variano nel corso del ciclo mestruale.
Non è stato identificato un ormone di rilascio specifico per l’FSH. Vi sono delle
evidenze circa il fatto che alcune cellule contengano sia l’LH che l’FSH e che,
quindi, la secrezione differenziata di LH e di FSH deve dipendere dall’interazione
di vari fattori (p. es., il GnRH, l’estradiolo, l’inibina). Inoltre, le diverse emivite
dell’LH (20-30 min) e dell’FSH (2-3 h) influenzano i livelli degli ormoni circolanti.

Tra gli ormoni ovarici, il 17β-estradiolo è il più potente inibitore della secrezione
delle gonadotropine, agendo sull’ipotalamo e sull’ipofisi. L’inibina, un ormone
peptidico prodotto dalle cellule granulose dell’ovaio, inibisce in particolare il
rilascio di FSH. L’asportazione chirurgica delle ovaie porta a un rapido

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Endocrinologia della riproduzione

incremento dei livelli circolanti di FSH e di LH; la somministrazione di estradiolo a


donne con ipoestrinismo causa una rapida diminuzione di questi livelli. Tuttavia,
perché avvenga l’ovulazione, l’estradiolo deve esercitare un’influenza positiva
sulla secrezione delle gonadotropine. Gli effetti di feedback dell’estradiolo
sembrano essere tempo e dose-dipendenti. All’inizio della fase follicolare, le
cellule basofile dell’ipofisi anteriore contengono un quantitativo relativamente
ridotto di FSH e di LH disponibile per il rilascio da parte dell’ipofisi anteriore
stessa. I livelli di estradiolo (prodotto dai follicoli selezionati) aumentano,
stimolando la sintesi di FSH e di LH, ma inibendone la secrezione. Alla metà del
ciclo, gli elevati livelli di estradiolo esercitano un effetto di feedback positivo;
questi livelli, insieme al GnRH e ai bassi, ma crescenti livelli di progesterone
circolante, inducono il picco di LH. Non si sa se la secrezione pulsatile di GnRH
sia aumentata a metà del ciclo; il picco di metà ciclo potrebbe essere causato da
un rapido aumento del numero dei recettori per il GnRH (stimolato dagli
estrogeni) sulle cellule basofile dell’ipofisi.

La menopausa, cioè il momento in cui cessa la funzione ciclica dell’ovaio che si


manifesta con le mestruazioni, è trattata nel Cap. 236.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

6. Asse ipotalamo-ipofisario

Fattori di regolazione ipotalamici

Funzione dell'ipofisi anteriore

Funzione dell'ipofisi posteriore

7. Malattie dell'ipofisi

Malattie dell'ipofisi anteriore

Iposecrezione degli ormoni dell'ipofisi anteriore

Ipersecrezione degli ormoni dell'ipofisi anteriore

Malattie dell'ipofisi posteriore

Diabete insipido

8. Malattie della tiroide

Gozzo eutiroideo

Euthyroid sick syndrome

Ipertiroidismo

Ipertiroidismo subclinico

Ipotiroidismo

Ipotiroidismo subclinico

Tiroidite

Tiroidite linfocitaria silente

Tiroidite subacuta

Tiroidite di Hashimoto

Tumori della tiroide

Carcinoma papillare

Carcinoma follicolare

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Malattie endocrine e metaboliche

Carcinoma anaplastico

Carcinoma midollare

Carcinoma indifferenziato della tiroide

Carcinoma della tiroide indotto da radiazioni

9. Malattie del surrene

Ipofunzione della corteccia surrenale

Morbo di Addison

Insufficienza corticosurrenalica secondaria

Iperfunzione della corteccia surrenale

Virilismo surrenalico

Sindrome di Cushing

Iperaldosteronismo

Feocromocitoma

Masse surrenaliche non funzionanti

10. Sindromi da neoplasie endocrine multiple (men)

11. Sindromi da deficit polighiandolare

12. Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Metabolismo dell'acqua e del sodio

Disordini del metabolismo dell'acqua e del sodio

Deplezione di volume del liquido


extracellulare

Espansione di volume del liquido


extracellulare

Iponatriemia

Ipernatriemia

Metabolismo del potassio

Disordini del metabolismo del potassio

Ipokaliemia

Iperkaliemia

Metabolismo del calcio

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Malattie endocrine e metaboliche

Disordini del metabolismo del calcio

Ipocalcemia

Ipercalcemia

Metabolismo del fosfato

Disordini del metabolismo del fosfato

Ipofosfatemia

Iperfosfatemia

Metabolismo del magnesio

Disordini del metabolismo del magnesio

Ipomagnesiemia

Ipermagnesiemia

Metabolismo acido-base

Disturbi del metabolismo acido-base

Acidosi metabolica

Alcalosi metabolica

Acidosi respiratoria

Alcalosi respiratoria

13. Disordini del metabolismo dei carboidrati

Diabete mellito

Chetoacidosi diabetica

Chetoacidosi alcolica

Coma iperglicemico-iperosmolare non chetosico

Ipoglicemia

14. Le porfirie

Porfirie più comuni

Porfiria acuta intermittente

Porfiria cutanea tarda

Protoporfiria eritropoietica

Porfirie meno comuni

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Malattie endocrine e metaboliche

Deficit di acido delta-aminolevulinico deidratasi

Porfiria eritropoietica congenita

Porfiria epato-eritropoietica

Coproporfiria ereditaria

Porfiria variegata

Porfirie doppie

15. Iperlipidemia

Iperlipoproteinemia di tipo I

Iperlipoproteinemia di tipo II

Aumenti primitivi delle LDL

Aumenti secondari delle LDL

Iperlipoproteinemia di tipo III

Iperlipoproteinemia di tipo IV

Iperlipoproteinemia di tipo V

Ipertrigliceridemia secondaria

Deficit familiare di lecitina colesterolo aciltransferasi

16. Ipolipidemia e lipidosi

Ipolipidemia

Ipoalfalipoproteinemia

Ipobetalipoproteinemia

Abetalipoproteinemia

Malattia di Tangier

Lipidosi

Malattia di Gaucher

Malattia di Niemann-Pick

Malattia di Fabry

Malattia di Wolman

Malattia da accumulo di esteri del colesterolo

Xantomatosi cerebrotendinea

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Malattie endocrine e metaboliche

b-sitosterolemia e xantomatosi

Malattia di Refsum

Altre lipidosi

17. Tumori carcinoidi

Sindrome da carcinoide

18. Amiloidosi

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Asse ipotalamo-ipofisario

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

6. ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO

La ghiandola pituitaria (ipofisi) non è più considerata la "ghiandola maestra". è


l'ipotalamo la via finale comune che riceve informazioni praticamente da tutte le
altre aree del SNC e che invia informazioni all'ipofisi.

L'ipotalamo modula l'attività dei lobi anteriore e posteriore dell'ipofisi in due modi
diversi. I neurormoni da esso sintetizzati raggiungono l'ipofisi anteriore
(adenoipofisi) direttamente attraverso un sistema vascolare portale
specializzato e regolano la sintesi e la secrezione dei sei principali ormoni
peptidici dell'ipofisi anteriore. Gli ormoni ipofisari, a loro volta, regolano la
funzione delle ghiandole endocrine periferiche (tiroide, surreni e gonadi), oltre
all'accrescimento e alla lattazione. Non esistono connessioni neurali dirette tra
l'ipotalamo e l'ipofisi anteriore. Al contrario, l'ipofisi posteriore (neuroipofisi) è
costituita da assoni che originano dai corpi cellulari di neuroni localizzati
nell'ipotalamo. Questi assoni servono come siti di deposito per due ormoni
peptidici sintetizzati nell'ipotalamo, i quali a livello periferico hanno la funzione di
regolare il bilancio idrico, l'emissione del latte e la contrazione della muscolatura
uterina. In alcune specie animali e nel corso dello sviluppo fetale dell'uomo è
presente un lobo intermedio localizzato tra il lobo anteriore e quello posteriore,
ma nell'uomo adulto, nel quale non è riconoscibile alcuna ghiandola intermedia,
le sue cellule sono disperse nel contesto dei lobi anteriore e posteriore.

Praticamente tutti gli ormoni prodotti dall'ipotalamo e dall'ipofisi vengono secreti


in maniera pulsatile o a poussée, in cui si alternano brevi periodi di inattività e di
attività secretoria. Inoltre alcuni ormoni (p. es., l'ormone adrenocorticotropo
[AdrenoCorticoTropic Hormone, ACTH], l'ormone della crescita [Growth
Hormone, GH] e la prolattina) hanno un preciso ritmo circadiano o giornaliero,
con aumento della secrezione durante determinate ore del giorno; altri ormoni
(p. es., l'ormone luteinizzante [Luteinizing Hormone, LH] e l'ormone follicolo-
stimolante [Follicle-Stimulating Hormone, FSH] durante il ciclo mestruale) hanno
ritmi mensili con ritmi circadiani sovrapposti.

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Asse ipotalamo-ipofisario

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

6. ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO

FATTORI DI REGOLAZIONE IPOTALAMICI

Quando gli ormoni ipotalamici di rilascio e di inibizione raggiungono l'ipofisi


anteriore attraverso il sistema vascolare portale, si legano a specifici recettori
delle membrane cellulari e danno inizio a sequenze di eventi metabolici che
stimolano o inibiscono il rilascio degli ormoni ipofisari nella circolazione generale.
Fino a ora sono stati identificati sei neurormoni ipotalamici importanti dal punto di
vista fisiologico (v. Tab. 6-1). Con l'eccezione dell'amina biogena dopamina, sono
tutti peptidi di piccole dimensioni. Diversi di essi vengono prodotti a livello
periferico, oltre che nell'ipotalamo, ed esplicano la loro funzione anche nel
contesto di sistemi paracrini locali, specialmente nel tratto GI. Questi neurormoni
possono modulare il rilascio di più di un ormone ipofisario, ma sono specifici nei
loro effetti. La regolazione della maggior parte degli ormoni dell'ipofisi anteriore
dipende da segnali ipotalamici di tipo stimolatorio positivo; solo la prolattina è
sottoposta principalmente a un controllo inibitorio (v. oltre).

L'ormone di rilascio della tireotropina (Thyrotropin-Releasing Hormone, TRH)


induce la sintesi e la secrezione sia dell'ormone tireo-stimolante (Thyroid-
Stimulating Hormone, TSH) sia della prolattina. Non è noto se l'induzione del
rilascio della prolattina da parte del TRH sia fisiologica. In condizioni patologiche,
il TRH può stimolare anche la produzione e il rilascio del GH.

L'ormone di rilascio delle gonadotropine (Gonadotropin-Releasing Hormone,


GnRH), conosciuto anche come ormone di rilascio dell'ormone luteinizzante
(Luteinizing Hormone-Releasing Hormone, LHRH), stimola la secrezione dell'LH
e dell'FSH, sia in condizioni fisiologiche sia quando viene somministrato
dall'esterno in maniera pulsatile. Quando viene somministrato GnRH esogeno
per infusione continua, il rilascio di FSH e LH viene inizialmente stimolato, ma
poco dopo viene inibito a causa dell'inibizione dell'espressione dei recettori
ipofisari per il GnRH da parte del GnRH stesso. Questa osservazione ha portato
allo sviluppo farmacologico di agonisti del GnRH a lunga durata d'azione, i quali
trovano impiego clinico nei casi in cui può essere indicata una castrazione
medica. Gli analoghi del GnRH vengono utilizzati con successo per sopprimere la
secrezione androgenica negli uomini affetti da carcinoma prostatico, per
sopprimere la secrezione steroidea ovarica nelle donne affette da endometriosi
(v. Cap. 239) e leiomiomi uterini e per sopprimere la secrezione steroidea
gonadica nei bambini affetti da pubertà precoce vera (v. Pubertà precoce nel
Cap. 275). In alcune situazioni il GnRH pulsatile può stimolare anche la
secrezione di prolattina.

La somatostatina esercita un controllo inibitorio sulla sintesi e sulla secrezione


sia del GH sia del TSH. Il rilascio del GH è stimolato dall'ormone di rilascio
dell'ormone della crescita (Growth Hormone-Releasing Hormone, GHRH) e
inibito dalla somatostatina; il tasso di produzione del GH dipende dalla forza
relativa di questi due stimoli. La somatostatina è inoltre in grado di inibire la
secrezione di insulina.

L'ormone di rilascio della corticotropina (Corticotropin-Releasing Hormone,


CRH) stimola il rilascio di ACTH dall'ipofisi (v. oltre).

La dopamina è il principale fattore di regolazione della prolattina e ne inibisce la


sintesi e il rilascio. Quando il peduncolo ipofisario (che connette l'ipofisi
all'ipotalamo) viene sezionato, la secrezione di prolattina aumenta, mentre il
rilascio di tutti gli altri ormoni anteroipofisari diminuisce. In alcune circostanze, la

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Asse ipotalamo-ipofisario

dopamina può inibire anche il rilascio di LH, FSH e TSH.

Il peptide intestinale vasoattivo (Vasoactive Intestinal Peptide, VIP) è


anch'esso presente nei neuroni dell'ipotalamo e stimola il rilascio della prolattina
sia in vivo sia in vitro. Come per il TRH, non è noto se il VIP sia un fattore
importante per il rilascio della prolattina in condizioni fisiologiche.

Molte patologie dell'ipotalamo, tra le quali neoplasie, encefaliti e altre lesioni


infiammatorie, possono alterare la secrezione dei neurormoni ipotalamici e quindi
modificare la funzione ipofisaria. Le sindromi cliniche che conseguono a tali
lesioni si presentano come aberrazioni della funzione ormonale ipofisaria e
vengono trattate in dettaglio nei Cap. 7 e 229. Poiché i vari neurormoni vengono
sintetizzati in nuclei diversi all'interno dell'ipotalamo, in alcuni disordini possono
essere interessati soltanto uno o pochi neuropeptidi. Nella sindrome di Kallmann,
per esempio, un deficit di GnRH ipotalamico causa ipogonadismo (v.
Ipogonadismi maschili nel Cap. 269). Tuttavia, le lesioni ipotalamiche possono
ridurre la secrezione di tutti i neurormoni, determinando un panipopituitarismo
secondario con iperprolattinemia e galattorrea (dovuta alla riduzione del rilascio
di dopamina). Le lesioni ipotalamiche possono portare anche a ipersecrezione di
neurormoni e possono essere responsabili di alcuni casi di pubertà precoce e di
sindrome di Cushing.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

275. CONDIZIONI FISICHE DELL’ADOLESCENZA

ACCRESCIMENTO E SVILUPPO

PUBERTA' PRECOCE

Si parla di pubertà precoce quando la maturazione sessuale inizia prima degli


8 anni nella femmina e dei 9 nel maschio.

Sommario:

Introduzione
Eziologia e incidenza
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

La pubertà precoce vera è dovuta all’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisario


con conseguente sviluppo e maturazione delle gonadi, comparsa dei caratteri
sessuali secondari, della spermatogenesi o dell’oogenesi.

La pseudopubertà precoce, invece, è lo sviluppo delle caratteristiche sessuali


secondarie a causa di livelli elevati in circolo di estrogeni e androgeni, che
possono essere secreti da un tumore gonadico o surrenalico, ma senza
attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisario. Nei ragazzi, le cause di pseudopubertà
precoce sono tumori secernenti gonadotropine, come gli epatoblastomi e i rari
tumori della ghiandola pineale, tumori testicolari, difetti enzimatici e
testotossicosi. Nelle ragazze, le cause comprendono le cisti follicolari dell’ovaio,
tumori a cellule della granulosa e/o della teca, difetti degli enzimi surrenalici e,
raramente, tumori surrenalici femminilizzanti.

La testotossicosi è un disordine raro dei ragazzi che comporta una pubertà


precoce gonadotropino-indipendente familiare. In questa sindrome, sono
stimolate sia la gametogenesi che la steroidogenesi senza un aumento delle
gonadotropine.

La sindrome di McCune-Albright è costituita dalla classica triade:


pseudopubertà precoce con displasia fibrosa poliostotica e pigmentazione caffè-
latte. L’asse ipotalamo-ipofisario generalmente ha caratteristiche prepuberali ed è
associato a cisti ovariche responsabili della maturazione sessuale.

Si parla di pubarca precoce quando si ha soltanto la comparsa di peli pubici


prima degli 8 anni nella femmina e di 9 anni nel maschio, di adrenarca precoce
se si ha solo la comparsa di peli ascellari e pubici prima degli 8 anni nella
femmina e di 9 nel maschio, di telarca prematuro, se si ha lo sviluppo della
ghiandola mammaria prima degli 8 anni nel soggetto di sesso femminile. Queste
manifestazioni possono annunciare l’inizio della pubertà, ma il telarca, il pubarca
e l’adrenarca prematuri si verificano indipendentemente da ogni ulteriore
sviluppo. Quando queste condizioni si verificano senza nessun segno di
maturazione puberale, sono generalmente benigne. Un controllo attento di tutte
queste condizioni è necessario, specialmente per verificare la progressione dello
sviluppo puberale.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Eziologia e incidenza

Nella maggior parte dei casi di pubertà precoce vera nelle femmine >4 anni, può
non essere rilevata nessuna causa specifica, anche se le lesioni del SNC si
riscontrano frequentemente nelle bambine con età < 4 anni con pubertà precoce
vera. Invece, il 60% dei maschi ha alla base una patologia identificabile. Le
cause organiche in entrambi i sessi sono rappresentate da tumori intracranici, in
particolare affezioni ipotalamiche (amartomi, raramente craniofaringiomi) o della
regione pineale (teratoma, pinealoma), neurofibromatosi e alcune malattie rare.
L’incidenza della pubertà precoce vera è 2-5 volte più alta nelle femmine.

Sintomi, segni e diagnosi

Nella pubertà precoce, sia vera che falsa, i maschi possono presentare sviluppo
di peli ascellari, pubici e del viso, accrescimento del pene, aspetto maschile. I
soggetti di sesso femminile mostrano sviluppo del seno e comparsa dei peli
pubici e ascellari. Nella pubertà precoce vera, nella donna, si avrà molto più
comunemente la comparsa del ciclo mestruale, ma la mestruazione può
presentarsi ugualmente nella pseudopubertà precoce (come nella sindrome di
McCune-Albright). Un tipico odore corporeo e l’acne, così come le modificazioni
del comportamento, possono essere presenti in entrambi i sessi. L’accrescimento
staturale è in un primo tempo rapido in ambedue i sessi, ma la statura definitiva
sarà compromessa per la precoce saldatura delle epifisi. L’aumento di volume
dei testicoli e delle ovaie generalmente manca nella pseudopubertà precoce.
Tuttavia, si possono evidenziare delle cisti ovariche in alcuni casi di sindrome di
McCune-Albright o in associazione a sporadiche mestruazioni.

Le indagini di laboratorio dipendono dalla valutazione clinica iniziale dopo


un’anamnesi accurata e un attento esame obiettivo. Possono essere dosati i
livelli dei seguenti ormoni: β-gonatropina corionica umana, estradiolo sierico,
testosterone, deidroepiandrosterone solfato, 17-idrossiprogesterone, ormone
luteinizzante (LH), ormone follicolo-stimolante (FSH) e prolattina. Gli studi
radiologici comprendono la radiografia della mano e del polso di sinistra per
stabilire l’età ossea, così come l’ecografia pelvica e surrenalica e la RMN o TAC
del cranio. La pubertà precoce indipendente dalle gonadotropine può essere
diagnosticata quando si hanno valori prepuberali di gonadotropine in risposta al
releasing hormone ipotalamico esogeno (GnRH, anche conosciuto come
luteinizing hormone-releasing hormone) nei maschi o nelle femmine in assenza
di tumori o altre cause di pubertà precoce. Una risposta puberale al test di
stimolazione con GnRH richiede ulteriori indagini per escludere lesioni del SNC
prima di far diagnosi di pubertà precoce idiopatica.

Terapia

Si può effettuare la seguente terapia per la pubertà precoce vera al fine di


sopprimere la secrezione delle gonadotropine ipofisarie (LH e FSH) fino all’inizio
della normale pubertà: un agonista del GnRH (un analogo del GnRH), come
l’istrelin acetato alla dose di 10 µg/kg/die SC; o il nafarelin acetato 1600 µg/die
per via intranasale in due dosi q 12 h; o il leuprolide acetato 0,2-0,3 mg/kg/ dose
(minimo, 7,5 mg) IM q 4 sett. Si devono controllare le risposte dei pazienti al
trattamento modificando in modo corrispondente i dosaggi dei farmaci.

Nel caso della pubertà precoce non dipendente dalle gonadotropine


(testotossicosi nei maschi e sindrome di McCune-Albright), gli antagonisti degli
androgeni (p. es., spironolattone o ciproterone acetato) riducono gli effetti
dell’eccesso di androgeni. Il farmaco antimicotico ketoconazolo riduce il
testosterone nei maschi affetti da testotossicosi. Il testolattone, un inibitore
dell’aromatasi, riduce l’estradiolo sierico ed è efficace nel trattamento delle
ragazze affette da sindrome di McCune-Albright.

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Condizioni fisiche dell’adolescenza

Nella maggior parte dei casi, si devono asportare i tumori ormono-producenti,


in modo specifico, nelle ragazze, i tumori delle cellule della granulosa. Tuttavia, è
necessaria una sorveglianza prolungata per la possibilità di recidive nell’altro
ovaio. L’escissione è ugualmente una possibilità per le numerose neoplasie che
causano la pseudopubertà nei maschi. Tuttavia, alcuni di questi tumori sono in
genere violentemente maligni e associati a elevata mortalità.

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

IPOGONADISMO MASCHILE

Si tratta di una diminuita funzionalità dei testicoli (di origine endocrinologica,


gametogenica o di entrambi), che provoca un ritardo della pubertà e/o
un’insufficienza della riproduzione.

(Per le sindromi da resistenza agli androgeni, v. Stati intersessuali nel Cap. 261;
per le alterazioni congenite dei testicoli e dello scroto v. Malformazioni renali e
genitourinarie sempre nel Cap. 261.)

Sommario:

Classificazione
Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Terapia

Classificazione

Gli ipogonadismi possono essere distinti in tre forme: (1) Nell’ipogonadismo


primitivo (ipergonadotropo) il danno delle cellule di Leydig compromette la
produzione di androgeni (testosterone) e/o altera i tubuli seminiferi, con
conseguente oligospermia o azoospermia e aumento delle gonadotropine. (2)
Nell’ipogonadismo secondario (ipogonadotropo) le alterazioni della ghiandola
ipofisi o dell’ipotalamo compromettono la secrezione delle gonadotropine e
questo può determinare impotenza e/o sterilità. (3) Nel caso della resistenza
all’azione degli androgeni, la risposta agli androgeni disponibili è inadeguata (v.
anche Stati intersessuali nel Cap. 261).

Ipogonadismo primitivo: la sindrome di Klinefelter, che è la causa più


frequente di ipogonadismo primitivo, è una disgenesia dei tubuli seminiferi
associata al cariotipo 47,XXY, in cui un cromosoma X supplementare è acquisito
attraverso una non-disgiunzione meiotica materna (e in minor grado paterna). Gli
aspetti clinici sono descritti sotto la voce Anomalie dei cromosomi sessuali nel
Cap. 261. La diagnosi resta incompiuta nella maggior parte dei pazienti fino alla
pubertà, quando si riscontra uno sviluppo sessuale inadeguato, oppure
successivamente quando si compiono indagini sulla sterilità. Le gonadotropine
sono elevate non appena si raggiunge l’epoca normale della pubertà, mentre il
testosterone presenta livelli ematici ai limiti inferiori della norma o al di sotto della
norma.

Nella anorchia bilaterale (sindrome dei testicoli scomparsi), i testicoli erano


presumibilmente presenti ma si sono riassorbiti prima della nascita o subito dopo.
Questi pazienti presentano genitali esterni normali e normali strutture derivanti
dal dotto di Wolff ma sono privi di strutture derivanti dal dotto di Muller. Pertanto,
il tessuto testicolare deve essere stato presente durante le prime 12 sett. di
embriogenesi poiché la differenziazione testicolare si è realizzata e sono stati
prodotti sia il testosterone che il fattore inibitorio mulleriano. Questi pazienti
presentano un quadro clinico simile a quello del criptorchidismo bilaterale, a
eccezione del fatto che non c’è incremento del testosterone ematico dopo
somministrazione parenterale di gonadotropina corionica umana (hCG).

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Malattie endocrine e metaboliche

È indicata la correzione precoce del criptorchidismo per cercare di prevenire


neoplasie maligne o la torsione testicolare. (V. anche i testicoli ritenuti sotto
Malformazioni renali e genitourinarie nel Cap. 261.)

Nella aplasia delle cellule di Leydig, l’assenza congenita delle cellule di Leydig
è una causa di pseudoermafroditismo maschile associato ad ambiguità dei
genitali esterni. Nonostante ci sia un certo sviluppo del dotto di Wolff, si ha una
produzione di testosterone non sufficiente a indurre la differenziazione normale in
senso maschile dei genitali esterni. Le strutture mulleriane sono assenti a causa
della produzione normale da parte delle cellule del Sertoli dell’ormone inibitore
delle strutture mulleriane. Si riscontrano concentrazioni elevate di gonadotropine
e basse di testosterone e non c’è l’aumento del testosterone circolante dopo
iniezioni di hCG.

La sindrome di Noonan (sindrome di Turner maschile) si può manifestare


sporadicamente o come una malattia autosomica dominante. Le anomalie
somatiche comprendono l’iperelasticità della pelle, l’ipertelorismo, la ptosi,
l’impianto basso delle orecchie, bassa statura, 4o osso metacarpale corto, palato
ogivale e anomalie cardiovascolari principalmente del settore destro come la
stenosi valvolare polmonare e la pervietà interatriale. I testicoli sono spesso
piccoli o criptorchidi. Il testosterone ematico può essere basso con elevati livelli di
gonadotropine.

Circa l’80% dei maschi affetti da distrofia miotonica ha un’insufficienza


testicolare primitiva, con delle biopsie testicolari che mostrano disturbi della
spermatogenesi, ialinizzazione e fibrosi. Insieme alla debolezza e all’atrofia
muscolare, si possono riscontrare calvizie frontale, ritardo mentale, cataratta,
diabete mellito, ipoparatiroidismo primitivo e iperostosi cranica. Come per le altre
cause di ipogonadismo primitivo, le gonadotropine sono elevate e i livelli di
testosterone sono bassi o al limite inferiore della normalità.

Patologie dei tubuli seminiferi negli adulti: l’oligospermia o l’azoospermia


associati a sterilità possono essere riscontrate in uomini che presentano una
insufficienza idiopatica dei tubuli seminiferi o secondaria a infezioni testicolari
(p. es. parotite o gonorrea), criptorchidismo, uremia, agenti antineoplastici,
alcolismo, irradiazione, lesioni vascolari o traumi. Oltre all’analisi dello sperma
alterata, possono essere elevati i livelli sierici dell’ormone follicolo-stimolante
(FSH), anche se è possibile che siano normali nel caso di oligospermia lieve. Le
concentrazioni sieriche di testosterone e dell’ormone luteinizzante (LH) sono di
solito normali, sebbene ci possa essere un eccessivo incremento dell’LH in
seguito alla stimolazione con l’ormone che favorisce il rilascio delle
gonadotropine (GnRH), che suggerisce una lieve insufficienza di androgeni. Negli
adolescenti o negli adulti, un campione di sperma raccolto mediante
masturbazione dopo 2 giorni di astinenza dall’eiaculazione fornisce un eccellente
indice della funzione dei tubuli seminiferi. Lo sperma normale ha un volume che
va da 1 a 6 ml, > 20 106 spermatozoi/ml, dei quali il 60% presenta una morfologia
normale ed è mobile (v. anche Alterazioni del liquido seminale nel Cap. 245).

Difetti enzimatici: sono stati descritti dei difetti di tutti i processi enzimatici
necessari alla produzione di diidrotestosterone. Questi difetti congeniti possono
associarsi a iperplasia surrenalica congenita e possono determinare gradi
differenti di ambiguità dei genitali esterni, cioè lo pseudoermafroditismo maschile.

Ipogonadismo secondario: il panipopituitarismo si può verificare per un


substrato anatomico o congenito, così come nella displasia setto-ottica o nella
malformazione di Dandy-Walker, determinando deficit dei fattori di liberazione
ipotalamici o degli ormoni ipofisari. L’ipopituitarismo acquisito può conseguire a
tumori benigni e maligni o al trattamento di questi, a malattie vascolari, a processi
infiltrativi come la sarcoidosi o l’istiocitosi a cellule di Langerhans, a infezioni
come encefalite o meningite e a trauma. L’ipopituitarismo nell’infanzia può
causare ritardo di accrescimento, ipotiroidismo, diabete insipido, iposurrenalismo
e assenza di sviluppo sessuale al momento fisiologico della pubertà.
L’ipopituitarismo acquisito negli adulti può causare ipotiroidismo, diabete insipido,
iposurrenalismo, impotenza, riduzione della libido e atrofia testicolare. Questi
disturbi possono essere rilevati mediante lo studio di immagini del SNC. I deficit

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Malattie endocrine e metaboliche

ormonali possono essere differenti e multipli, a seconda che dipendano


dall’ipofisi anteriore o dalla posteriore.

La sindrome di Kallmann è caratterizzata da anosmia dovuta ad agenesia dei


lobi olfattori e ipogonadismo secondario al deficit del GnRH ipotalamico. La
causa è l’assenza di migrazione dei neuroni fetali che secernono GnRH dal
placode olfattivo all’ipotalamo. L’eredità è generalmente legata al sesso. Le altre
manifestazioni comprendono micropene e criptorchidismo associati a difetti della
linea mediana e ad agenesia renale unilaterale.

Il ritardo costituzionale della pubertà consiste nell’assenza dello sviluppo


puberale in un ragazzo di almeno 14 anni (v. Bassa statura da ipopituitarismo).
Spesso c’è una storia familiare di ritardo dello sviluppo sessuale in un genitore o
un fratello. La maggior parte dei ragazzi presenta qualche evidenza di maturità
sessuale verso i 18 anni o quando l’età scheletrica raggiunge i 12 anni, età media
in cui si inizia a rilevare l’ingrossamento testicolare. Questi ragazzi generalmente
presentano bassa statura durante l’infanzia e/o l’adolescenza ma alla fine
raggiungono l’altezza geneticamente stabilita. La diagnosi di ritardo
costituzionale è di esclusione; cioè, bisogna escludere il deficit di GH,
l’ipotiroidismo, l’ipogonadismo, sia primitivo che da deficit di gonadotropine.
Tipicamente, i bambini con ritardo costituzionale hanno una velocità di crescita in
altezza quasi normale con un andamento della curva parallelo a quello dei
percentili inferiori. Quando l’età ossea è riportata sulla curva di crescita, essa è
essenzialmente sovrapponibile al percentile dell’altezza genetica.

Nel deficit isolato di LH (sindrome dell’eunuco fertile), i pazienti hanno una


perdita isolata della secrezione di LH mentre la secrezione di FSH rimane
normale. Alla pubertà questi ragazzi presentano un crescita dei testicoli, poiché
la maggior parte del volume testicolare è rappresentata dai tubuli seminiferi che
sono sensibili all’FSH. Si può avere la spermatogenesi man mano che lo sviluppo
tubulare prosegue. Tuttavia, l’assenza dell’LH determina l’atrofia delle cellule di
Leydig e il deficit di testosterone. Perciò, questi pazienti non sviluppano i caratteri
sessuali secondari normali e continuano a crescere, raggiungendo delle
proporzioni eunucoidi per la mancata saldatura epifisaria.

La sindrome di Prader-Willi è caratterizzata da riduzione dei movimenti fetali,


obesità, ipotonia muscolare, ritardo mentale e ipogonadismo ipogonadotropo. La
sindrome è causata dalla delezione o alterazione di un gene o di geni del braccio
lungo prossimale del cromosoma paterno 15 o dalla disomia materna del
cromosoma 15. Le alterazioni dello sviluppo durante la prima infanzia
comprendono difficoltà di accrescimento per ipotonia e problemi alimentari, che
generalmente migliorano dopo i 6-12 mesi di vita. Dal dodicesimo-diciottesimo
mese in poi, una iperfagia incontrollabile determina incremento ponderale
ingravescente e problemi psicologici, così che una fame insaziabile con obesità
pletorica diventano l’aspetto clinico più evidente. Il rapido aumento ponderale
continua ma si associa a bassa statura finale nel paziente adulto. Gli aspetti
comportamentali comprendono labilità emotiva, scarsa e grossolana abilità
motoria, alterazioni cognitive e fame insaziabile. Tra le alterazioni facciali si
riscontra una distanza bitemporale ridotta, occhi a mandorla e una bocca con il
labbro superiore sottile e le commissure rivolte in basso. Sono presenti
ipogonadismo ipogonadotropo, criptorchidismo e pene e scroto ipoplasici nei
maschi o labbra vulvari ipoplasiche nelle femmine. Le alterazioni scheletriche
comprendono scoliosi, cifosi e osteopenia. Tra le anomalie degli arti si
riscontrano mani e piedi piccoli.

Sia malattie acute che disturbi sistemici cronici, come l’insufficienza renale o
l’anoressia nervosa, possono essere associati a ipogonadismo ipogonadotropo,
che migliora dopo la guarigione dal disturbo sottostante.

Sintomi e segni

L’età d’esordio dei deficit degli steroidi sessuali condiziona la presentazione


clinica.

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Malattie endocrine e metaboliche

Il deficit di androgeni o della funzione di questi nel primo trimestre (< 12 sett.
intrauterine) causa una differenziazione inadeguata dei dotti di Wolff interni e dei
genitali esterni. Le manifestazioni cliniche possono andare dalla ambiguità dei
genitali esterni o pseudoermafroditismo maschile alla femminilizzazione totale dei
genitali esterni.

Il deficit di androgeni nel secondo e terzo trimestre può causare micropene e


discesa testicolare incompleta o assente.

Nell’infanzia, il deficit di androgeni comporta poche conseguenze, ma se si


verifica al momento in cui è attesa la pubertà, lo sviluppo sessuale secondario
viene compromesso. I pazienti con ipogonadismo hanno uno scarso sviluppo
muscolare, un timbro di voce alto, crescita inadeguata del pene e dei testicoli,
scroto piccolo, peli pubici e ascellari radi e assenza di peli sul corpo. Essi
possono sviluppare ginecomastia e raggiungere proporzioni scheletriche
eunucoidi (apertura delle braccia > altezza di 5 cm; distanza pube-suolo >
distanza pube-vertice di 5 cm) dovuto alla saldatura ritardata delle epifisi e alla
crescita continua delle ossa lunghe.

Negli adulti, la carenza di androgeni si manifesta variamente a seconda del


grado e della sua durata. Sono comuni la diminuzione della libido, della potenza
sessuale e in generale della forza. In un ipogonadismo di lunga durata si
possono verificare atrofia testicolare, comparsa di piccole rughe attorno agli occhi
e alle labbra e una rada villosità. Si possono sviluppare, inoltre, osteopenia e
ginecomastia.

Esami di laboratorio

Determinazione del testosterone sierico: le concentrazioni di testosterone


aumentano durante tutta la pubertà da < 20 ng/dl (< 0,7 nmol/l) a valori compresi
tra 300 e 1200 ng/dl (10,5 e 41,5 nmol/l) nell’età adulta. La secrezione del
testosterone sierico è pulsatile e circadiana. Nella seconda parte della pubertà, i
livelli sono più elevati di notte che di giorno. Un singolo prelievo ematico è
sufficiente per stabilire se i livelli di testosterone circolante sono normali. Poichè
il 98% del testosterone è legato a proteine di trasporto nel sangue (testosterone-
binding globulin), le alterazioni dei livelli di queste proteine inficiano la
concentrazione del testosterone ematico totale.

Determinazione dei livelli sierici dell’ormone luteinizzante (LH) e del


follicolo-stimolante (FSH): l’LH e l’FSH devono essere determinati in tre
campioni di sangue prelevati a distanza di 20 minuti poiché le secrezioni pulsatili
si verificano a intervalli di 90-120 minuti e si deve documentare la loro presenza o
assenza. Le concentrazioni sieriche di LH e FSH sono in genere < 5 mUI/ml
prima della pubertà, presentano un incremento notturno nell’ultima parte della
pubertà e fluttuano in modo pulsatile tra valori di 5 e 20 mUI/ml negli adulti. Nei
maschi adulti con livelli ematici bassi di testosterone e alti di gonadotropine, si
deve sospettare un’insufficienza testicolare primitiva, mentre livelli di
gonadotropine bassi o normali e bassi di testosterone indicano un disturbo
ipotalamico o ipofisario. Nei bambini con bassa statura e sviluppo puberale
ritardato, i livelli bassi di testosterone e gonadotropine possono anche essere
compatibili di ritardo costituzionale.

Test di stimolazione con la gonadotropina corionica umana (hCG): l’hCG


stimola le cellule di Leydig, così come fa l’LH, con cui condivide una subunità
della sua struttura, e la produzione testicolare di testosterone. Il test di
stimolazione con hCG serve a valutare l’integrità della funzione testicolare e
consiste nel somministrare 500 UI/ 1,7 m2 negli adulti o 100 UI/kg nei bambini di
hCG. I livelli di testosterone dovrebbero almeno raddoppiare dopo 3-4 giorni.

Test con citrato di clomifene: il clomifene citrato è un estrogeno debole che


inibisce il legame dell’estradiolo ai recettori degli estrogeni e quindi l’attivazione
recettoriale. Poichè l’estradiolo è un inibitore importante della secrezione delle

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Malattie endocrine e metaboliche

gonadotropine plasmatiche, il blocco recettoriale da parte del clomifene


determina una riduzione del feedback negativo sulla secrezione delle
gonadotropine da parte degli estrogeni circolanti. La risposta normale di tipo
adulto al clomifene citrato, 100 mg PO bid, consiste in un incremento del 50%-
250% dell’LH, del 30-200% dell’FSH e del 30-200% del testosterone. Questi
incrementi sono ridotti o assenti nel caso di disturbi ipotalamici o ipofisari.

Test di stimolazione con ormone stimolante le gonadotropine (GnRH): la


somministrazione di 100 µg (2,5 µg/kg nei bambini) di GnRH mediante
iniezione EV rapida stimola in modo diretto l’ipofisi a secernere LH e FSH, che
vengono determinati ogni 20-30 minuti per 2 ore. La risposta al GnRH negli adulti
consiste soprattutto nell’aumento dell’FSH con uno scarso o assente incremento
dell’LH. Durante la pubertà, l’LH e l’FSH aumentano più o meno allo stesso modo
di due o tre volte. Nell’età adulta, l’LH aumenta di due-cinque volte rispetto al
valore di base, mentre l’FSH aumenta di due volte. Nei pazienti con
ipopituitarismo questo test determina un aumento inadeguato o assente di
gonadotropine, mentre i pazienti con malattie ipotalamiche possono presentare
un aumento normale o insufficiente, dovuto quest’ultimo all’atrofia gonadotropica
da stimolazione endogena di GnRH insufficiente. Nei pazienti con malattie
ipotalamiche, come la sindrome di Kallmann (v. sopra), la somministrazione di
boli ripetuti di GnRH può riportare la secrezione gonadotropica ai livelli normali.

Biopsia testicolare: è raramente necessaria per la diagnosi di un ipogonadismo.


È generalmente riservata agli uomini che presentano azoospermia pur avendo
testicoli di grandezza normale per distinguere tra l’ostruzione duttale e la carenza
di spermatogenesi.

Terapia

La terapia dei pazienti con ipogonadismo ipogonadotropo deve essere indirizzata


a correggere la disfunzione ipotalamo-ipofisaria sottostante, se non si è trovato
altro.

I bambini con pubertà ritardata costituzionale, che raggiungono i 15 anni senza


nessun’evidenza di sviluppo puberale, possono essere trattati con testosterone
enantato alla dose di 50 mg IM 1 volta/mese per 4-8 mesi. Queste dosi basse
determineranno un certo grado di virilizzazione e stimoleranno la pubertà senza
compromettere la potenziale altezza definitiva.

Gli adolescenti con deficit di androgeni devono essere trattati con testosterone
enantato o cipionato iniettabile a lunga durata d’azione in una dose da
incrementare in un periodo di 18-24 mesi da 50 fino a 200 mg q 2-4 sett.

Gli adulti con deficit androgenico devono essere trattati fino al periodo della
normale andropausa con una dose di 200 mg di testosterone iniettabile q 2-
4 sett. oppure con testosterone per via transdermica mediante cerotto, due cerotti
al giorno a meno che non ci sia una controindicazione maggiore. Gli effetti
collaterali potenziali sono la ritenzione idrica, l’acne e occasionalmente la
ginecomastia transitoria. La terapia previene o riduce il rischio di osteopenia e
instabilità vasomotoria, aumenta la libido e previene l’impotenza. Gli androgeni
per via orale non devono essere utilizzati perché comportano il rischio di
insufficienza epatocellulare o di oncogenesi. Gli uomini con ipogonadismo
ipogonadotropo che vogliono stimolare la spermatogenesi possono essere trattati
con gonadotropine menopausali che contengono 75 UI di FSH e LH alla dose di
1-2 fiale IM 3 volte/sett. insieme a 2000 UI di hCG IM 3 volte/sett. Questo
trattamento deve essere effettuato per almeno 3 mesi per attivare la
spermatogenesi. In alternativa, può essere sperimentata la somministrazione
sottocutanea di GnRH mediante una pompa da infusione portatile, se è presente
una riserva gonadotropa sufficiente, come nella sindrome di Kallmann.

La terapia della sindrome di Kallmann con gonadotropina corionica (hCG) può


correggere il criptorchidismo e ristabilire la fertilità, anche in maschi adulti. La
terapia pulsatile con GnRH erogato per via sottocutanea in pompa portatile

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Malattie endocrine e metaboliche

stimola la secrezione endogena di steroidi sessuali, la progressiva virilizzazione e


anche la fertilità.

Nel deficit isolato di FSH, la saldatura delle epifisi viene indotta normalmente dal
testosterone attraverso la sua conversione a estrogeno mediata dall’aromatasi.

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Anomalie congenite

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

261. ANOMALIE CONGENITE

Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE

STATI INTERSESSUALI

Condizioni nelle quali l’aspetto dei genitali esterni è ambiguo o in disaccordo con
il sesso cromosomico o gonadico della persona.

(V. anche Iperplasia surrenalica congenita nel Cap. 269)

Sommario:

Eziologia e classificazione
Diagnosi
Terapia

Eziologia e classificazione

I genitali si formano durante i primi tre mesi di gestazione attraverso una serie di
eventi determinati dal cariotipo fetale e mediati in gran parte dagli steroidi
sessuali. Le alterazioni di questa sequenza di eventi sono responsabili delle
ambiguità genitali, con conseguente sviluppo di stati intersessuali. La
classificazione si basa per maggior praticità sulla istologia delle gonadi.

Gli pseudoermafroditi femminili hanno ovaie e genitali interni femminili normali,


ma genitali esterni ambigui; sono geneticamente femmine normali con un
cariotipo 46,XX. I genitali esterni ambigui dipendono dalla esposizione a
eccessive quantità di androgeni in utero. Gli androgeni responsabili possono
essere esogeni (p. es., progesterone somministrato alla madre per impedire
l’aborto) ma più comunemente sono endogeni, p. es., derivanti da un blocco
enzimatico della steroidogenesi, determinato da aberrazioni genetiche del
cromosoma 6 (v. anche virilismo surrenalico o sindrome adreno-genitale,
Virilismo surrenalico nel Cap. 9).

Gli pseudoermafroditi maschili presentano tessuto gonadico di tipo solo


testicolare e di solito hanno un cariotipo 46,XY. I genitali esterni sono di solito
ambigui, ma questa caratteristica è variabile e nella forma completa di sindrome
da femminilizzazione testicolare (sindrome da insensibilità agli androgeni) il
fenotipo è femminile. L’eziologia è complessa, ma in termini generali il disordine
deriva da una inadeguata produzione di androgeni, inadeguata risposta agli
androgeni o persistenza di elementi mulleriani, come mostrato nella Tab. 261-5.

Nell’ermafroditismo vero coesistono tessuto ovarico e testicolare e genitali con


strutture di tipo maschile e femminile, in base al tipo di tessuto, ovarico o
testicolare, predominante. Negli USA, la maggior parte degli ermafroditi veri ha
un cariotipo 46,XX, ma il quadro può essere variabile. Di rado,
nell’ermafroditismo vero i genitali esterni sono completamente mascolinizzati.

I soggetti con la disgenesia gonadica mista hanno sia tessuto testicolare sia
tessuto gonadico primitivo detto "streak". Questi pazienti presentano di solito

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Anomalie congenite

mosaicismo 46,XY/45,X0 del cariotipo, genitali ambigui e da adulti tendono a


essere di bassa statura. Quando gli streak sono bilaterali, il disordine si definisce
disgenesia gonadica pura. Tali pazienti fenotipicamente appaiono come donne.

Diagnosi

I soggetti con ambiguità dei genitali, i fenotipi femminili con gonadi palpabili e i
fenotipi maschili con gonadi non palpabili devono essere studiati per sospetto di
ermafroditismo. I maschi con gradi minori di ipospadia non richiedono esami
particolari, se presentano ambedue i testicoli in sede e palpatorialmente normali.

La valutazione dei neonati affetti è urgente non solo per l’attribuzione del sesso
(specialmente a causa di implicazioni sociali), ma anche per individuare i pazienti
affetti da sindrome adrenogenitale congenita con perdite di sali (v. anche Cap. 9),
prima che si instauri un’iponatremia pericolosa per la vita. Si deve effettuare
immediatamente un prelievo ematico per individuare il cariotipo, i cui risultati
possono richiedere diversi giorni. Nel frattempo, un’ecografia pelvica o una
genitografia possono documentare la presenza di elementi mulleriani. Se si
sospetta una sindrome adrenogenitale nella forma virilizzante (SAG), a causa di
gonadi non palpabili e della persistenza di strutture mulleriane, si devono
monitorizzare attentamente gli elettroliti sierici, e deve essere determinato il 17-
idrossiprogesterone sierico per documentare il blocco enzimatico. Nei casi dubbi
di intersesso, per stabilire una diagnosi definitiva, possono rendersi necessarie la
laparoscopia o l’esplorazione chirurgica con biopsia gonadica,. Se possibile
l’assegnazione del sesso non deve essere ritardata oltre i primi giorni di vita.

Terapia

L’appropriata attribuzione del sesso è fondamentale. Di solito al soggetto con


pseudoermafroditismo femminile è attribuito il sesso femminile, mentre allo
pseudoermafrodita con fenotipo maschile, il sesso è attribuito in base allo
sviluppo dei genitali e all’attività ormonale. Anche agli ermafroditi veri il sesso
viene correttamente assegnato in base allo sviluppo dei genitali, tuttavia in molti
casi è stata effettuata una ricostruzione chirurgica di tipo maschile, che
rappresenta una valida opzione terapeutica per quei bambini con testicoli normali
in sede, che possono provvedere alla funzione ormonale nel periodo puberale.
Gli pseudoermafroditi maschi affetti da sindrome da femminilizzazione testicolare
completa sono considerati di sesso femminile, ma per molti altri è più appropriata
l’attribuzione al sesso maschile. Nei casi limite può essere utile effettuare 1 o
2 cicli di testosterone propionato (25 mg IM in solvente oleoso) per valutare la
capacità dei genitali a rispondere agli androgeni, requisito essenziale per
l’attribuzione al sesso maschile.

I pazienti con disgenesia gonadica mista sono più correttamente considerati di


sesso femminile, non soltanto per la bassa statura, ma anche per la tendenza
delle loro gonadi a sviluppare tumori (gonadoblastoma). In genere viene
raccomandata la ricostruzione precoce dei genitali esterni con gonadectomia.
Pazienti affetti da disgenesia gonadica pura sono fenotipicamente femmine e
devono essere educate come tali.

Il momento migliore per la ricostruzione chirurgica dei genitali è variabile. I


soggetti assegnati al sesso femminile, a parte quelli con virilizzazione, devono
subire, quanto prima possibile, la resezione del clitoride iperplasico, per essere
accettate come femmine dai familiari. Nelle pazienti affette da SAG, l’intervento
dovrà essere differito di alcuni mesi, finché non si raggiunga una situazione
endocrinologica stabile con la terapia steroidea. La ricostruzione vaginale viene
preferibilmente differita fino alla pubertà, a causa della alta incidenza di stenosi
se effettuata troppo precocemente. La correzione dell’ipospadia nei maschi in
genere viene effettuata tra 1 e 2 anni di età (v. Pene e Uretra, sopra).

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Anomalie congenite

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Malattie endocrine e metaboliche

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

269. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

IPERPLASIA SURRENALICA CONGENITA

(Sindrome adrenogenitale; virilizzazione surrenalica)

Consiste nella modificazione istologica risultante dalla aumentata increzione


cronica di ACTH e nelle alterazioni sistemiche dovute al deficit di produzione di
cortisolo.

(V. anche Amenorrea nel Cap. 235.)

L’incremento di ACTH è causato da livelli bassi di cortisolo, la cui sintesi è


compromessa dall’assenza o dalla riduzione di uno dei cinque enzimi necessari
per la sua produzione dal colesterolo. Ciascun blocco enzimatico determina un
deficit caratteristico e l’accumulo di precursori specifici degli ormoni surrenalici (v.
la Tab. 269-3). Nelle forme più comuni di iperplasia surrenalica congenita (SAG),
i precursori prossimali al blocco enzimatico si accumulano e sono convogliati
verso la sintesi di androgeni surrenalici. Quando il blocco enzimatico (p. es., il
deficit di 21-idrossilasi) causa accumulo di androgeni, il disturbo che ne
consegue è una forma virilizzante di SAG, causando gradi differenti di
virilizzazione di un feto femmina affetto. Se il blocco enzimatico compromette la
sintesi di androgeni, si ha una forma ipovirilizzante, per la virilizzazione
inadeguata di un feto maschio affetto.

Diverse alterazioni autosomiche recessive possono essere causa di SAG. Un


lattante affetto si può presentare con ambiguità dei genitali esterni, fornendo,
quindi, pochi indizi diagnostici iniziali, perché un maschio ipovirilizzato e una
femmina ipervirilizzata non possono essere distinti sulla base dell’esame
obiettivo. L’esame dei genitali esterni rivela tipicamente una struttura simil-fallica,
che sembra più lunga e più larga di un clitoride ma più piccola di un pene,
un’apertura singola alla base di questo fallo, che è il seno urogenitale, e gradi
diversi di fusione incompleta delle pieghe labio-scrotali. Livelli basali di 17-
idrossiprogesterone > 8 ng/ml sono praticamente diagnostici di SAG dovuta a
deficit di 21-idrossilasi. È necessario il test di stimolazione con ACTH per
distinguere le varie cause di SAG. Le concentrazioni dei precursori degli ormoni
surrenalici sono determinate prima e 30 minuti dopo la somministrazione EV di
250 µg di ACTH sintetico. L’incremento e il rapporto dei vari precursori sono
diagnostici di ciascun difetto enzimatico.

In alcuni dei deficit enzimatici meno gravi (p. es., deficit della 21-idrossilasi a
esordio tardivo o della 11-β-idrossilasi), la virilizzazione può non diventare
evidente che nella tarda infanzia, nell’adolescenza o durante l’età adulta. I
sintomi possono comprendere ingrossamento del pene o del clitoride, irsutismo,
seborrea, abbassamento del tono della voce, accelerazione dell’accrescimento
con chiusura precoce delle epifisi (cartilagini di accrescimento delle ossa lunghe)
che comporta bassa statura, aumento delle masse muscolari, calvizie in sede
temporale, amenorrea e oligomenorrea durante l’età adulta.

Deficit di 21-idrossilasi: questo deficit causa il 90% di tutti i casi di SAG.


L’incidenza oscilla da 1/10000 a 1/15000 nati vivi. C’è aumentata produzione di
progesterone, 17-OH-progesterone, deidroepiandrosterone (DHEA), che è un
androgeno debole responsabile di mascolinizzazione dei lattanti di sesso
femminile affetti, e androstendione, con cortisolo e aldosterone plasmatici in
basse concentrazioni o assenti. I metaboliti urinari di questi precursori (17-
ketosteroidi e pregnantriolo) sono presenti in quantità superiori alla norma. La

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Malattie endocrine e metaboliche

ridotta secrezione di aldosterone determina perdita di sale con iponatremia e


iperkaliemia; l’attività reninica plasmatica è, pertanto, elevata. Nei difetti
enzimatici parziali, il deficit di aldosterone non viene espresso e i pazienti sono
normonatriemici e normokaliemici. Si è riscontrata un’associazione non casuale
con alcuni aplotipi HLA. È possibile effettuare sia la diagnosi che il trattamento
prenatali. Si può anche rilevare lo stato di portatore (eterozigote) nei bambini e
negli adulti.

La terapia del deficit di 21-idrossilasi si effettua con la somministrazione


sostitutiva di glucocorticoidi (idrocortisone, cortisone acetato o prednisone) e,
quando necessario, con il ripristino della omeostasi normale di sodio e potassio
con i mineralcorticoidi. La somministrazione orale di idrocortisone (da 15 a 25 mg/
m2 /die in 3 dosi) o prednisone (3-4 mg/m2 /die in 2 dosi) viene adeguata per
mantenere i precursori degli androgeni entro l’intervallo appropriato per l’età. Il
cortisone acetato IM da 18 a 36 mg/m2 ogni 3 giorni può anche essere utilizzato
nei lattanti quando la terapia orale non è affidabile. La terapia è finalizzata alla
normalizzazione sia dell’androstendione, del 17-OH-progesterone e della attività
reninica plasmatici che dei metaboliti urinari (17-ketosteroidi e pregnantriolo). Il
fludrocortisone per via orale (0,1 mg/die) va somministrato se c’è perdita di sale. I
lattanti spesso richiedono un supplemento di sale per os. È difficile il
monitoraggio stretto durante la terapia. L’ipertrattamento con glucocorticoidi
determina la malattia di Cushing iatrogena, che si manifesta nell’infanzia con
obesità, crescita ridotta e ritardo dell’età ossea. L’ipo-trattamento con
glucocorticoidi non riesce a sopprimere la secrezione di ACTH con conseguente
iperandrogenismo, che si manifesta nell’infanzia con virilizzazione e velocità di
crescita superiore alla norma e infine interruzione precoce dell’accrescimento con
bassa statura finale. Bisogna assicurare la compliance al trattamento,
l’accrescimento deve essere rigorosamente monitorizzato e l’età ossea valutata
ogni anno. I lattanti femmine affetti possono richiedere una ricostruzione
chirurgica con clitoroplastica riduttiva e creazione di un’apertura vaginale.
Spesso, un ulteriore intervento chirurgico è necessario da adulti, ma con una
cura e un’attenzione particolare per le problematiche psico-sessuali, è possibile
ottenere una vita sessuale normale e la fertilità.

Deficit di 11b-idrossilasi: questo deficit è responsabile del 3-5% di tutti i casi di


SAG. Il profilo steroideo è caratterizzato dal l’incremento dell’11-deossicortisolo
(e dei 17-idrossicorticosteroidi urinari) e del deossicorticosterone. A causa
dell’attività mineralcorticoide del deossicorticosterone, i pazienti presentano
ritenzione salina e ipertensione arteriosa con alkalosi ipokaliemica. L’attività
reninica plasmatica è bassa. Si realizza anche virilizzazione. Il trattamento
consiste nella terapia sostitutiva con cortisolo; può anche essere necessaria
quella con mineralcorticoidi.

Deficit di 3b-idrossisteroidodeidrogenasi: questo disturbo molto raro


comporta l’accumulo di DHEA, che viene convertito in testosterone
perifericamente nel tessuto extrasurrenalico. Il trattamento consiste anche qui di
glucocorticoidi con mineralcorticoidi quando necessario.

Deficit di colesterolo-desmolasi e di 17a-idrossilasi: questi disturbi provocano


la virilizzazione dei lattanti femmine affetti e l’ipovirilizzazione di quelli maschi.

Deficit di corticosterone 18-metilossidasi di tipo II: la manifestazione è quella


tipica della carenza di aldosterone: iperkaliemia cronica e bassa aldosteronemia.
Non sono presenti alterazioni della differenziazione sessuale.

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO


UTERINO ANOMALO

AMENORREA

Assenza di mestruazioni, o perché mai verificatesi o perché cessate


successivamente.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Diagnosi
Esami di laboratorio
Terapia

L’amenorrea è tradizionalmente divisa in primaria (il menarca non si è verificato


entro i 16 anni) o secondaria (le mestruazioni non si sono verificate per 3 mesi in
donne che in precedenza le avevano avute), anche se spesso questa distinzione
non ha alcuna utilità clinica. È più utile un approccio funzionale.

Eziologia

L’amenorrea è sempre patologica, a eccezione di quella che si verifica prima


della pubertà, durante la gravidanza o all’inizio dell’allattamento e dopo la
menopausa. L’amenorrea indica il fallimento dell’interazione ipotalamo-ipofisi-
gonadi-utero nella produzione delle modificazioni cicliche dell’endometrio, che
causano le mestruazioni. L’amenorrea può essere causata da anomalie
anatomiche; da disfunzioni endocrine, ipotalamiche, ipofisarie o di altro tipo; da
un’insufficienza ovarica o da difetti genetici (v. Tab. 235-1). In funzione della
causa, l’amenorrea può essere associata ad altre alterazioni, quali l’irsutismo,
l’obesità e la galattorrea.

L’anovulazione cronica rappresenta la più frequente forma di amenorrea tra le


donne in età riproduttiva che non sono gravide. Nessuna anomalia anatomica
degli organi bersaglio impedisce la mestruazione. L’anovulazione cronica può
essere vista come una situazione stabile in cui non è più operante il ritmo
mensile che provoca le mestruazioni. Il termine anovulazione cronica implica
l’esistenza di follicoli ovarici in grado di funzionare e la possibilità di indurre o di
ripristinare l’ovulazione con un opportuno trattamento. L’unità ipotalamo-ipofisaria
sembra intatta, ma esiste un’alterazione funzionale che causa un’anomala
secrezione gonadotropinica. L’anovulazione cronica può essere dovuta a una
disfunzione ipotalamica, ipofisaria o di altro tipo o a un inappropriato feedback
ormonale (v. Tab. 235-1). Ci sono delle evidenze che indicano come la forma
ipotalamica rappresenti un gruppo eterogeneo di disturbi che determinano delle
manifestazioni simili e a cui contribuiscono in varia misura gli stress emozionali e
fisici, la dieta, la struttura corporea, l’attività fisica, i fattori ambientali e altri fattori
sconosciuti. Un inappropriato feedback può essere dovuto a un anomalo
tamponamento che coinvolge la globulina che lega gli ormoni sessuali (p. es.,
nelle epatopatie), a un’eccessiva produzione extraghiandolare di estrogeni
(p. es., nell’obesità), a un eccesso funzionale di androgeni (ovarici o surrenalici) o

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

a disturbi quali la sindrome dell’ovaio policistico. L’anovulazione cronica è


caratterizzata da livelli bassi o normali di gonadotropine, da un ipoestrogenismo
relativo e dall’amenorrea; tuttavia, un irregolare e profuso sanguinamento uterino
può verificarsi a causa di una stimolazione estrogenica non controbilanciata (v.
Sanguinamento uterino disfunzionale, oltre).

La sindrome dell’ovaio policistico (talvolta detta anovulazione cronica


iperandrogenica) è un disturbo benigno. Può causare amenorrea ma, di solito, è
caratterizzata da irregolarità mestruali, obesità di grado moderato e irsutismo,
che compaiono, solitamente, nel periodo puberale e si aggravano col tempo. La
maggior parte delle pazienti presenta un’abbondante quantità di muco cervicale
all’esame obiettivo ed elevati livelli di estrogeno libero. I valori della maggior parte
degli androgeni circolanti tendono a essere leggermente aumentati. Le ovaie
possono essere aumentate di volume, con capsula liscia e ispessita, o possono
avere un volume normale. Solitamente, le ovaie contengono un gran numero di
cisti follicolari, di diametro compreso tra i 2 e i 6 mm, ed è presente un’iperplasia
della teca che circonda le cellule della granulosa. Possono, inoltre, essere
presenti grosse cisti che contengono cellule atrofiche. Deve essere valutata la
presenza di un irsutismo. Lo scopo della valutazione diagnostica è quello di
identificare una causa (p. es., un tumore) che possa essere trattata in maniera
definitiva.

Diagnosi

Un ritardo del primo ciclo mestruale deve essere studiato se una ragazza non
mostra i segni della pubertà entro i 13 anni, se il menarca non si è verificato entro
i 16 anni, o se 5 anni sono trascorsi senza il menarca dall’inizio della pubertà. Le
donne in età riproduttiva che hanno avuto le mestruazioni devono essere studiate
se sono amenorroiche per 3 mesi, se hanno meno di 9 mestruazioni all’anno, o
se sono preoccupate per una modificazione del ritmo mestruale.

L’anamnesi e l’esame obiettivo possono spesso accertare la causa


dell’amenorrea. Per prima cosa si deve escludere una gravidanza. L’anamnesi
deve includere le notizie su eventuali anomalie della crescita e dello sviluppo e
anomalie genetiche familiari, sulle abitudini alimentari e sportive, sullo stile di vita
e sugli stress ambientali. Deve essere ricercata anche l’evidenza di disturbi
psicologici.

Per la diagnosi è fondamentale annotare le alterazioni ormonali del processo


puberale e delle caratteristiche sessuali secondarie. Si possono manifestare i
segni della virilizzazione (mascolinizzazione) dovuti a un’aumentata secrezione
androgena (iperandrogenismo) e in particolare l’irsutismo (un aumento dei peli
stimolato dagli androgeni). Gli altri segni di iperandrogenismo includono la
stempiatura, l’abbassamento del timbro della voce, l’aumento della massa
muscolare, la clitoridomegalia, l’aumento della libido e una riduzione delle
caratteristiche sessuali secondarie femminili (defemminilizzazione), come la
riduzione di volume del seno e l’atrofia vaginale. Si può verificare anche la
galattorrea (secrezione non puerperale di latte).

Si deve esaminare il seno, annotandone lo sviluppo con il metodo di Tanner (v.


Fig. 235-1). Con la paziente in posizione seduta, si devono evidenziare le
secrezioni mammarie esercitando una pressione su ogni porzione della
mammella, partendo dalla base e procedendo fino al capezzolo. Le secrezioni
devono essere esaminate al microscopio per la presenza di globuli di grasso, a
parete spessa, perfettamente rotondi e di varia grandezza, che provano la natura
lattea della secrezione.

La quantità e la distribuzione dei peli devono essere considerate alla luce


dell’anamnesi familiare. L’ipertricosi (crescita eccessiva dei peli sugli arti, sulla
testa e sul dorso) non deve essere confusa con l’irsutismo vero e proprio o con la
virilizzazione. Deve essere annotato lo stadio di sviluppo dei peli pubici (v.
Fig. 235-2).

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

La presenza di anomalie genitali indica i disturbi della differenziazione sessuale,


come lo pseudoermafroditismo femminile o maschile e le anomalie dei dotti
mülleriani.

Le anomalie interne possono ostruire il flusso mestruale, causando un


ematocolpo (accumulo di sangue mestruale nella vagina) e un’ematometra
(sovradistensione dell’utero). Durante l’esame dell’addome e l’esplorazione
rettale (che può anche identificare altre patologie pelviche, come i tumori) si può
notare la tipica presenza di una vagina sporgente e di una massa pelvica, ma
può essere difficile stabilire se la causa è un’agenesia vaginale, un setto vaginale
o un imene imperforato. In questi disturbi, i genitali esterni e le altre
caratteristiche sessuali secondarie si sviluppano normalmente (perché la
funzione ovarica è normale); comunque, nel 15-40% delle pazienti con
un’agenesia vaginale o un setto vaginale sono presenti anche delle alterazioni
delle vie urinarie e scheletriche.

Nella sindrome da insensibilità agli androgeni (femminilizzazione testicolare), i


genitali esterni possono sembrare normali, ma i peli pubici e ascellari sono
diminuiti, lo sviluppo delle mammelle è incompleto e la vagina ha una lunghezza
variabile in assenza della cervice o dell’utero.

Se si sospetta un disturbo intersessuale si deve studiare il cariotipo (v. Stati


intersessuali nel Cap. 261). La fusione delle labbra e l’ingrandimento del clitoride
(con o senza la formazione di un’uretra peniena) si verificano nelle donne
esposte agli androgeni durante i primi 3 mesi di sviluppo fetale e nelle pazienti
con iperplasia surrenalica congenita, ermafroditismo vero o virilizzazione indotta
dai farmaci (v. Iperfunzione della corteccia surrenalle nel Cap. 9 e Iperplasia
surrenalica congenita nel Cap. 269). Lo sviluppo di un’importante clitoridomegalia
dopo la nascita è dovuto a una marcata stimolazione ormonale o, se l’anamnesi
per l’uso di steroidi esogeni è negativa, è fortemente suggestivo della presenza di
un tumore androgeno-secernente.

L’ispezione visiva della mucosa vaginale e del muco cervicale è importante


perché entrambi sono molto sensibili agli estrogeni. Influenzata dagli estrogeni, la
mucosa vaginale si trasforma, durante la maturazione sessuale, da un tessuto
rosso brillante con scarse secrezioni acquose a un’opaca superficie rugosa grigio-
rosa con copiose secrezioni dense.

Un carico di progesterone può aiutare a valutare la pervietà dell’ultimo tratto


genitale e il livello degli estrogeni endogeni. Viene somministrato
medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO per 5 giorni, o progesterone, 100-
200 mg IM in soluzione oleosa. Il sanguinamento conferma la presenza di un
normale endometrio e di una quantità di estrogeni sufficiente a stimolare la
crescita endometriale e aiuta a fare la diagnosi (p. es., le donne con
un’anovulazione cronica sanguinano, mentre quelle con un’insufficienza ovarica
prematura no). Se non si verifica il sanguinamento, la somministrazione per via
orale di estrogeni attivi (p. es., 2,5 mg/die di estrogeni coniugati per 21 giorni, più
5-10 mg di medrossiprogesterone acetato, PO, per gli ultimi 5 giorni del ciclo)
causa un’emorragia da deprivazione, se non ci sono alterazioni a carico
dell’utero. Le donne con la sindrome di Asherman o con un’infezione tubercolare
dell’endometrio possono non avere il sanguinamento.

Esami di laboratorio

I livelli sierici basali dell’ormone follicolo-stimolante (FSH), della prolattina e


dell’ormone stimolante la tiroide (TSH) devono essere misurati in tutte le donne
con amenorrea, per confermare l’impressione clinica. La prolattina è aumentata
in > 30% delle donne con amenorrea. Se la prolattina è aumentata (di solito,
> 20 ng/ml [> 888 pmol/l]), deve essere titolata una seconda volta perché
l’aumento può essere dovuto a stimoli aspecifici, inclusi lo stress, il sonno e
l’ingestione del cibo. Se la funzione tiroidea è normale e la prolattina è
aumentata, è necessaria un’ulteriore valutazione per escludere la presenza
dell’ormone ipofisario secernente prolattina e di altri disturbi. Un aumento del

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

TSH (> 5 mU/l) senza un aumento della prolattina indica un ipotiroidismo


primitivo. Tuttavia, in quest’ultima condizione, l’aumentata secrezione
dell’ormone per il rilascio della tireotropina stimola, in alcune donne, la
produzione di prolattina e di TSH. L’aumento dell’FSH (> 30 IU/l) indica
un’insufficienza ovarica.

Se i livelli di prolattina, TSH e FSH sono normali o bassi, l’ulteriore valutazione si


basa sulla presentazione clinica. I livelli dell’ormone tiroideo devono essere
misurati se è sospettata una disfunzione tiroidea. Il testosterone sierico totale e il
deidroepiandrosterone solfato (DHEAS) devono essere misurati nelle donne con
irsutismo. I livelli di testosterone > 200 ng/dl indicano un tumore che produce
androgeni, più frequentemente di origine ovarica. Se i livelli del DHEAS sono
aumentati a valori pari ad almeno il doppio del valore massimo normale, deve
essere ricercata la presenza di una neoplasia surrenalica. Se il testosterone e il
DHEAS sono molto elevati, non è necessaria una ricerca estesa perché le cause
gravi sono state già eliminate. Livelli di testosterone e/ o di DHEAS lievemente
aumentati indicano una sindrome dell’ovaio policistico, ma, nelle donne con
irsutismo affette da questa sindrome, i livelli di questi ormoni sono a volte
normali, perché la clearance metabolica degli androgeni e i livelli delle proteine
che legano gli androgeni sono alterati.

Le forme di iperplasia surrenalica congenita che iniziano nell’età adulta devono


essere prese in considerazione se una donna ha un irsutismo importante che
inizia alla pubertà, un’anamnesi familiare fortemente positiva per l’irsutismo, una
statura più bassa di quella attesa in confronto agli altri membri della famiglia o dei
livelli sierici di DHEAS 500 µg/dl. I livelli di 17-idrossiprogesterone sono aumentati
nelle donne con iperplasia surrenalica congenita. Se si sospetta una sindrome di
Cushing, la paziente deve essere studiata per un eccesso di cortisolo (v. Cap. 9).

La misurazione dei livelli sierici basali di ormone luteinizzante (LH) può aiutare a
differenziare la sindrome dell’ovaio policistico da una disfunzione ipotalamica o
ipofisaria. Nella sindrome dell’ovaio policistico, i livelli circolanti di LH sono
spesso aumentati, come è aumentato il rapporto LH/FSH. Nelle disfunzioni
ipotalamiche o ipofisarie i livelli di LH e di FSH sono, invece, normali o diminuiti.

Le rx della sella turcica sono indicate nelle donne eutiroidee con iperprolattinemia
e nelle donne con bassi livelli di gonadotropine (solitamente < 7 UI/l per l’LH e
l’FSH), indipendentemente dal livello di prolattina, per escludere una neoplasia
ipofisaria (v. Cap. 7). Le rx della sella non devono essere eseguite nelle donne
ipotiroidee con un’iperprolattinemia lieve e un’amenorrea-galattorrea perché la
sella turcica ritorna a un normale volume dopo la somministrazione dell’ormone
tiroideo. La TC o la RMN della sella possono accertare se la paziente ha
un’estensione soprasellare di una neoplasia ipofisaria o la sindrome della sella
vuota (in cui la sella turcica è ingrossata, ma contiene principalmente LCR). Un
test formale del campo visivo è indicato quando una neoplasia ipofisaria ha un
diametro 10 mm alle rx o c’è un’evidente estensione soprasellare. I test ipofisari,
specialmente della funzione surrenalica e tiroidea, sono necessari quando è
presente un grosso tumore o è sospettato un panipopituitarismo.

L’ecografia e la TC, di solito, possono localizzare una neoplasia che produce


androgeni prima dell’asportazione chirurgica. La flebografia selettiva delle vene
surrenalica e ovarica, raramente indicata, deve essere eseguita solo in centri
specializzati. Durante l’intervento devono essere eseguiti dei prelievi bioptici delle
neoplasie per definirne il potenziale di malignità.

Terapia

Il trattamento dipende dalla causa. Non esiste una terapia ideale per la sindrome
dell’ovaio policistico. Le pazienti possono aver bisogno di una terapia per indurre
l’ovulazione se è desiderata una gravidanza (v. Disfunzione ovulatoria nel
Cap. 245), per prevenire un’iperplasia endometriale indotta dagli estrogeni o per
minimizzare l’irsutismo e gli effetti a lungo termine dell’iperandrogenismo (p. es.,
la malattia cardiovascolare, l’ipertensione).

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Per le donne che hanno una sindrome dell’ovaio policistico e desiderano


una gravidanza, il clomifene citrato, 50-100 mg/die per 5 gg è il farmaco di prima
scelta per indurre l’ovulazione a causa della sua semplicità e dell’elevata
percentuale di successo (75% di ovulazioni, 35-40% di gravidanze). Gli altri
metodi per indurre l’ovulazione includono le gonadotropine esogene, l’FSH
umano purificato, la somministrazione pulsatile di ormone per il rilascio delle
gonadotropine (GnRH), la resezione cuneiforme dell’ovaio e la perforazione delle
formazioni cistiche (ovarian drilling). La resezione cuneiforme e l’ovarian drilling
sono impiegate solo quando tutti gli altri metodi sono falliti, specialmente se vi è
un problema di fertilità, perché si possono formare delle aderenze pelviche dopo
l’intervento chirurgico.

Alle donne affette da anovulazione che hanno una sindrome dell’ovaio


policistico, non sono irsute e non desiderano una gravidanza, deve essere
somministrata una terapia intermittente con progestinici (p. es.,
medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO per 10-14 gg q 1-2 mesi) o con
contraccettivi orali, per ridurre l’aumentato rischio di un’iperplasia endometriale e
di un cancro e per ridurre al minimo i livelli di androgeni circolanti. I contraccettivi
orali devono essere somministrati solo alle donne che sono in pre-menopausa,
non fumano e non hanno altri fattori di rischio significativi (v. Contraccettivi orali
nel Cap. 246). Le donne che assumono progestinici in modo intermittente devono
essere avvertite circa la necessità di una contraccezione a causa della possibile
(sebbene non provata) associazione di difetti alla nascita con l’uso di questi
ormoni nella fase precoce della gravidanza.

Per le donne con anovulazione che hanno una sindrome dell’ovaio


policistico, un irsutismo e non desiderano una gravidanza, devono essere
incoraggiati i trattamenti fisici (p. es., decolorazione, elettrolisi, epilazione,
epilazione con cera, depilazione). Non esiste una terapia farmacologica ideale o
completamente efficace. I contraccettivi orali sono la terapia di prima scelta per
l’irsutismo lieve. Sopprimono la secrezione delle gonadotropine degli ormoni
sessuali e aumentano la produzione delle proteine che legano gli ormoni
sessuali, riducendo, quindi, i livelli di testosterone libero, biologicamente attivo. I
risultati, spesso scarsi, non sono evidenti per vari mesi. Tutte le formulazioni
sembrano egualmente efficaci, ma si preferiscono contraccettivi orali con minimi
effetti androgenici collaterali. Quando i contraccettivi orali sono sgraditi o
controindicati, può essere impiegato un progestinico orale
(medrossiprogesterone acetato, 5-20 mg/die). Gli effetti collaterali dei progestinici
includono la mastodinia, il meteorismo intestinale e la depressione.

Altri farmaci utilizzati per trattare l’irsutismo includono il ciproterone acetato, un


potente progestinico e antiandrogeno, che sembra controllare l’irsutismo nel 50-
75% delle donne affette. È usato per trattare le donne con irsutismo in tutto il
mondo, ma non è stato approvato negli USA perché causa il tumore della
mammella nei bracchi inglesi e delle anomalie fetali quando somministrato alle
ratte gravide. Lo spironolattone è un blando diuretico che inibisce la biosintesi
degli androgeni e compete con essi per i loro recettori nei tessuti bersaglio. Dosi
di 100-200 mg/die PO sono efficaci. Gli effetti collaterali comprendono l’aumento
della diuresi, le alterazioni pressorie posturali (p. es., la sincope e l’ipotensione),
la mastodinia e le perdite ematiche irregolari. I suoi effetti a lungo termine sono
sconosciuti, come lo sono i suoi effetti sul feto in via di sviluppo e quindi, deve
essere somministrata in associazione una terapia contraccettiva.

I glucocorticoidi non sono indicati nella maggior parte delle donne irsute perché
non è stato dimostrato alcun vantaggio con la soppressione surrenalica rispetto a
quella ovarica e perché l’origine dell’eccesso di androgeni nella maggioranza
delle donne irsute è, in massima parte, ovarica. I glucocorticoidi devono essere
usati solo per una documentata iperfunzione surrenalica o per un difetto
enzimatico nella catena della steroidogenesi. Gli agonisti e gli antagonisti del
GnRH possono essere utili nel trattamento dell’irsutismo. Questi farmaci
inibiscono le gonadotropine e, di conseguenza, la secrezione degli ormoni
sessuali, causando un’ovariectomia medica. Si stanno cercando degli
antiandrogeni efficaci per via topica.

Per le donne con una disfunzione ipotalamica, il supporto psicologico o un

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

cambiamento nello stile di vita spesso inducono l’ovulazione, mentre il clomifene


citrato raramente la induce. Se queste misure sono inefficaci, può essere
necessario il trattamento con gonadotropine esogene o con una terapia pulsatile
di GnRH.

Per la prevenzione dell’osteoporosi, alle donne che hanno un’anovulazione


cronica di tipo ipotalamico o ipofisario e bassi livelli di estrogeni circolanti
e non desiderano una gravidanza possono essere somministrati degli
estrogeni coniugati orali, 0,625-1,25 mg/die, estrogeni esterificati, 0,625-1,25 mg/
die, 17β-estradiolo micronizzato, 0,5-1,0 mg/die o 17β-estradiolo transdermico,
0,05-0,1 mg due volte la settimana più medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg,
giornalmente nei primi 12-14 giorni di ciascun mese o medrossiprogesterone
acetato, 2,5 mg/die per tutto il mese. Le donne sessualmente attive possono
usare, come terapia sostitutiva, dei contraccettivi orali.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 235-1. CAUSE DI AMENORREA

Causa Esempi
Anomalie anatomiche Sindrome di Asherman

Stenosi cervicale (rara)

Imene imperforato

Pseudoermafroditismo maschile

Setto vaginale trasverso

Aplasia vaginale e uterina

Disfunzione Anoressia nervosa*


ipotalamica
Esercizio fisico eccessivo

Anovulazione ipotalamica cronica*

Sindrome di Kallmann

Sindrome di Prader-Willi

Fattori psicogeni, grave stress

Tumori (p.es., amartomi, craniofaringiomi, gliomi)

Calo ponderale (acuto), malnutrizione (cronica)

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Manuale Merck - Tabella

Disfunzione ipofisaria Amenorrea-galattorrea (iperprolattinemia)*

Adenoma ipofisiario maligno

Ipopituitarismo* (p.es., dovuto a sindrome di Sheehan. a


trauma cranico o a neoplasia)

Deficit isolato di gonadotropina*

Panipopituitarismo*

Tumori ipofisari* (p.es., sindrome di Forbes-Albright)

Farmaci psicomimetici

Insufficienza ovarica Disordini autoimmuni

Chemioterapia e irradiazione pelvica

Aplasia timica congenita

Galattosemia

Disgenesia gonadica

Altre disfunzioni Iperplasia surrenalica congenita*


endocrine
Sindrome di Cushing*

Farmaci (antipsicotici, antidepressivi)

Ipertiroidismo*

Ipotiroidismo*

Neoplasie secernenti androgeni, estrogeni o gonadotropine


corioniche umane*

Obesità*

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Manuale Merck - Tabella

Difetti genetici Sindrome dell’ovaio policistico*

Sindrome da insensibilità androgenica

Sindrome di Turner (v.Cap.261)

*Questi disordini causano anovulazione cronica.

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Anomalie congenite

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

261. ANOMALIE CONGENITE

Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE CROMOSOMICHE

ANOMALIE DEI CROMOSOMI SESSUALI

SINDROME DI TURNER

(Sindrome di Turner; sindrome di Bonnevie-Ullrich)

Anomalia dei cromosomi sessuali in cui vi è una completa o parziale assenza di


uno dei due cromosomi sessuali, con produzione di un fenotipo femminile.

La sindrome di Turner si riscontra in circa 1/ 4000 femmine nate vive. Il 99% dei
concepimenti 45,X esitano in aborti. L’80% delle nate vive con monosomia X ha
perso il cromosoma X paterno.

Le anomalie cromosomiche nelle femmine affette sono variabili. Circa il 50% ha


un cariotipo 45,X. Molte pazienti presentano mosaicismi (p. es., 45,X/46,XX
oppure 45,X/47,XXX). Il fenotipo varia da quello tipico della sindrome di Turner a
quello normale. In alcuni casi le donne colpite presentano un cromosoma X
normale e un X che ha formato un cromosoma ad anello. Affinché ciò si verifichi,
deve essere perso un segmento da entrambe le braccia (p e q) del cromosoma X
anomalo. In altri casi, invece, si riscontra un cromosoma X normale e un
isocromosoma delle braccia lunghe, costituito da due braccia lunghe del
cromosoma X per perdita delle braccia corte. Questi soggetti tendono ad avere
molte delle caratteristiche fenotipiche della sindrome di Turner. In questo modo la
delezione del braccio corto del cromosoma X sembra giocare un ruolo
fondamentale nella determinazione del fenotipo della sindrome.

Le neonate colpite si possono presentare con marcato linfedema del dorso delle
mani e dei piedi e con linfedema o pterigio della regione posteriore del collo.
Comunque, molte femmine con sindrome di Turner sono colpite in maniera molto
lieve. L’aspetto tipico è caratterizzato da bassa statura, pterigio del collo, bassa
attaccatura dei capelli sulla nuca, ptosi palpebrale, torace largo con capezzoli
molto distanziati, nevi pigmentati multipli, accorciamento del 4o metacarpo e
metatarso, falangi distali prominenti con spirali nei dermatoglifi delle estremità
delle dita, ipoplasia delle unghie, coartazione aortica, bicuspidia della valvola
aortica e valgismo del gomito. Sono comuni malformazioni renali ed emangiomi.
In alcuni casi possono comparire teleangectasie nel tratto gastrointestinale con
conseguente emorragia digestiva. Raro è il ritardo mentale. Tuttavia in molti casi
si riscontra una certa compromissione di una specifica abilità percettiva e di
conseguenza un basso punteggio nei test attitudinali e matematici, anche se si
riscontrano punteggi nella media e oltre nei test verbali relativi al calcolo del
quoziente intellettivo. Nel 90% delle persone affette si riscontrano disgenesia
gonadica con mancato sviluppo puberale, scarso sviluppo di tessuto mammario o
assenza del menarca. La terapia sostitutiva con ormoni sessuali femminili
consente lo sviluppo puberale. Le ovaie sono sostituite da banderelle di tessuto
fibroso (streak), di solito prive di oocellule in via di sviluppo. Tuttavia, il 5-10%
delle ragazze affette raggiunge il menarca spontaneamente, ma, molto
raramente, sono risultate fertili e hanno avuto dei bambini.

Si deve effettuare un’analisi citogenetica e uno studio con sonde specifiche per il
cromosoma Y in tutti i pazienti con disgenesia gonadica, per escludere casi di

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Anomalie congenite

mosaicismo con una linea cellulare in cui è presente il cromosoma Y; p. es., 45,
X/ 46,XY. Di solito questi soggetti presentano un fenotipo femminile con
caratteristiche variabili di sindrome di Turner. Essi sono esposti ad alto rischio di
tumori maligni delle gonadi, soprattutto gonadoblastoma e devono essere
sottoposti ad asportazione profilattica delle gonadi, non appena effettuata la
diagnosi.

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

235. ALTERAZIONI MESTRUALI E SANGUINAMENTO


UTERINO ANOMALO

SANGUINAMENTO UTERINO ANOMALO

SANGUINAMENTO UTERINO DISFUNZIONALE

(Sanguinamento uterino funzionale)

Sanguinamento uterino atipico non associato a neoplasie, infiammazioni o


gravidanze.

Sommario:

Introduzione
Terapia

La diagnosi di un sanguinamento uterino disfunzionale, la causa più comune di


sanguinamento uterino atipico, è una diagnosi di esclusione. Il sanguinamento si
verifica più frequentemente agli estremi dell’età feconda; più del 50% dei casi si
verifica in donne di età > 45 anni e il 20% nelle adolescenti. Si può verificare
durante cicli sia anovulatori (> 70% degli episodi) che ovulatori. Il sanguinamento
che si verifica nelle donne che non ovulano è, in genere, dovuto alla stimolazione
non bilanciata dell’endometrio da parte degli estrogeni (p. es., nelle donne che
assumono estrogeni esogeni o con un’anovulazione normogonadotropica) che
può causare un’iperplasia endometriale. L’endometrio, ispessito ad opera degli
estrogeni, desquama in modo incompleto e irregolare e il sanguinamento risulta
irregolare, prolungato e a volte profuso. Nei cicli ovulatori, il sanguinamento
atipico è, generalmente, dovuto ad alterazioni della fase luteinica. Il
sanguinamento uterino disfunzionale è comune nelle donne affette da una
sindrome dell’ovaio policistico. Circa il 20% delle donne con un’endometriosi (v.
Cap. 239) ha un sanguinamento uterino disfunzionale dovuto a meccanismi
sconosciuti.

L’anamnesi e l’esame obiettivo non sono in grado di stabilire se è presente


un’iperplasia endometriale. La misurazione dello spessore endometriale durante
l’ecografia transvaginale può aiutare ad accertare l’iperplasia. Nelle donne con
anovularietà, uno spessore di 4 mm è raramente associato all’iperplasia; uno
spessore > 4 mm può essere normale o indicare un’iperplasia o un cancro. Le
donne di età > 35 anni, quelle con una sindrome dell’ovaio policistico e/o con una
lunga storia di sanguinamenti con cicli anovulatori e le donne obese devono
essere sottoposte a una biopsia dell’endometrio prima di iniziare una qualsiasi
terapia medica, perché sono ad alto rischio per lo sviluppo di un carcinoma
dell’endometrio (v. Cap. 241). Devono essere misurati l’Htc e l’Hb per valutare la
cronicità e la gravità del sanguinamento.

Terapia

La terapia varia in relazione all’età della paziente, all’entità del sanguinamento, al


quadro istologico endometriale e ai desideri della paziente. Anche gli episodi
acuti di sanguinamento profuso in donne con anovularietà possono essere, in
genere, trattati con la somministrazione di contraccettivi orali combinati, q 6 h,

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Alterazioni mestruali e sanguinamento uterino anomalo

per 5-7 gg. Il sanguinamento deve cessare nell’arco di 12-24 h, ma può


ricominciare, spesso accompagnato da dolori crampiformi, 2-4 giorni dopo la
sospensione della terapia. Le recidive si prevengono somministrando dei
contraccettivi combinati PO, ciclicamente, per almeno 3 mesi. Se non
ricominciano dei cicli normali e se non si desidera avere una gravidanza o se
l’uso dei contraccettivi orali è controindicato, la paziente può essere trattata con
un progestinico (medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO per 10-14 gg
ogni mese).

Un sanguinamento acuto durante un ciclo anovulatorio può essere trattato anche


con gli estrogeni coniugati, 25 mg EV q 4 h fino alla scomparsa delle perdite.
Contemporaneamente o dopo 2-3 gg dall’inizio della terapia estrogenica, va
somministrato un progestinico (medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg/die PO
per 10 gg). Alla sospensione del trattamento, si ha un’emorragia da deprivazione.
La paziente è poi trattata con dei contraccettivi orali per almeno tre cicli.

La revisione della cavità uterina è indicata se la paziente non risponde alla


terapia ormonale (come indicato da una successiva biopsia) o se persiste il
sanguinamento atipico.

Le donne con sanguinamenti anovulatori non profusi che non desiderano avere
una gravidanza, possono essere trattate ciclicamente con contraccettivi orali o
con progestinici.

In quelle che desiderano una gravidanza si può indurre l’ovulazione con il


clomifene citrato. Il clomifene citrato può essere usato per trattare delle
disfunzioni luteiniche, così come può essere utilizzata la gonadotropina corionica
umana, 1500-2500 UI IM q secondo o terzo giorno, iniziando il secondo giorno
dopo l’ovulazione e il progesterone, 50 mg/die IM in soluzione oleosa o 50 mg bid
sotto forma di ovuli vaginali.

Poiché le donne con un’iperplasia adenomatosa atipica (identificata alla biopsia)


sono a rischio di sviluppare un adenocarcinoma dell’endometrio, devono essere
eseguiti una dilatazione progressiva e una revisione della cavità uterina nonché
un’isteroscopia, per escludere un coesistente carcinoma prima che sia iniziata
una qualunque terapia. È raccomandato il medrossiprogesterone acetato, 20-
40 mg/die PO, per 3-6 mesi. Se una biopsia endometriale ripetuta mostra la
scomparsa dell’iperplasia, la donna può essere trattata con la somministrazione
ciclica di medrossiprogesterone acetato (5-10 mg/die PO per 10-14 gg al mese)
o, se è desiderata una gravidanza, con il citrato di clomifene per indurre
l’ovulazione. L’isterectomia è eseguita solo se la terapia farmacologica è
inefficace. Le donne con un’iperplasia cistica benigna o con un’iperplasia
adenomatosa possono, di solito, essere trattate ciclicamente con il
medrossiprogesterone acetato, ma una biopsia deve essere ripetuta dopo circa
3 mesi.

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Endometriosi

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

239. ENDOMETRIOSI

Patologia benigna caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale


funzionante al di fuori della cavità uterina..

Sommario:

Introduzione
Eziologia ed epidemiologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

L’endometriosi è generalmente limitata alle superfici peritoneali o sierose degli


organi addominali, comunemente le ovaie, i legamenti larghi, il cavo del Douglas
e i legamenti uterosacrali. Meno comunemente interessa la superficie sierosa
dell’intestino, tenue o crasso, gli ureteri, la vescica, la vagina, le cicatrici
chirurgiche, le pleure e il pericardio.

Eziologia ed epidemiologia

L’ipotesi più diffusamente accettata è che alcune cellule endometriali migrino


dalla cavità uterina e si impiantino in sedi ectopiche. Il flusso retrogrado di
tessuto mestruale attraverso le tube di Falloppio potrebbe essere la causa
dell’endometriosi intra-addominale; i sistemi linfatico o circolatorio potrebbero
trasportare le cellule endometriali in sedi lontane (p. es., la cavità pleurica).
Un’altra ipotesi è la trasformazione dell’epitelio celomatico in ghiandole simil-
endometriali (cioè, la metaplasia celomatica).

L’incidenza dell’endometriosi è maggiore (del 6%) nelle parenti di primo grado di


donne affette da endometriosi rispetto alla popolazione generale, suggerendo
che l’ereditarietà possa essere un fattore causale. L’incidenza è anche maggiore
nelle donne che ritardano la gravidanza, che sono di discendenza asiatica o che
hanno delle anomalie del dotto mülleriano.

Sebbene le incidenze riportate siano molto variabili, l’endometriosi viene


riscontrata comunemente nel 10-15% delle donne che hanno le mestruazioni e
sono tra i 25 e i 44 anni di età. Si verifica anche tra le adolescenti. È stato stimato
che il 25-50% delle donne infertili abbia un’endometriosi. Nelle pazienti con una
grave endometriosi e con un’anatomia pelvica alterata, l’incidenza di infertilità è
elevata perché sono alterati i meccanismi di raccolta e di trasporto tubarico
dell’oocita. Tuttavia, sono infertili anche alcune pazienti con un’endometriosi di
minima entità e una normale anatomia pelvica. In queste pazienti, possono
essere responsabili della diminuita fertilità un’aumentata incidenza
dell’insufficienza del corpo luteo, una sindrome del follicolo ovarico luteinizzato
non rotto (oocita intrappolato), un aumento della produzione peritoneale di
prostaglandine, un aumento dell’attività macrofagica peritoneale o un endometrio
non recettivo.

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Endometriosi

Sintomi e segni

Le manifestazioni cliniche sono rappresentate dal dolore pelvico, dalla presenza


di una massa in sede pelvica, da un’alterazione del ciclo e dall’infertilità. Alcune
donne con endometriosi estesa possono essere asintomatiche, mentre altre con
lesioni minime possono avere un dolore invalidante. Possono verificarsi una
dispareunia e un dolore pelvico mediano, prima o durante le mestruazioni, in
particolare con esordio improvviso dopo vari anni di cicli senza dolore. Una
dismenorrea di questo tipo è un’importante prova diagnostica. Le lesioni
sull’intestino crasso o sulla vescica possono provocare dolore durante la
defecazione, distensione addominale, rettorragia durante le mestruazioni o
dolore sovrapubico durante la minzione. Il tessuto endometriosico impiantato
sull’ovaio o sulle strutture annessiali può formare un endometrioma (una massa
cistica > 2-3 cm, localizzata su di un ovaio) o delle aderenze annessiali che
determinano la formazione di una massa pelvica. Talora, la rottura o la
fissurazione di un endometrioma causa un dolore addominale acuto.

L’esame obiettivo della pelvi può essere normale, o rivelare, raramente, delle
lesioni visibili sulla vulva o sulla cervice, nella vagina, sull’ombelico o in sede di
cicatrici chirurgiche. Può essere presente un utero retroverso e fisso, un aumento
di volume delle ovaie o una nodularità dei legamenti utero-sacrali.

Diagnosi

La diagnosi viene sospettata sulla base dei sintomi o sui reperti clinici, ma può
essere confermata solo visualizzando le lesioni, di solito con l’endoscopia pelvica
e con la loro biopsia. La diagnosi può anche essere fatta con la biopsia durante
una laparotomia, una sigmoidoscopia o una cistoscopia. Istologicamente, gli
impianti endometriosici sono costituiti da ghiandole e da stroma, strutturalmente
identiche all’endometrio uterino (la maggior parte delle lesioni può sanguinare
durante le mestruazioni). Per definizione, per porre diagnosi di endometriosi
devono essere presenti sia le ghiandole che lo stroma. Questi tessuti contengono
recettori per gli estrogeni e per il progesterone, che permettono loro di crescere e
differenziarsi in risposta alle variazioni dei livelli ormonali durante il ciclo
mestruale. Per questo motivo, l’aspetto macroscopico (p. es., chiaro, rosso,
bruno, nero) e le dimensioni degli impianti sono variabili. Il sanguinamento da
parte degli impianti peritoneali è ritenuto responsabile dell’inizio del processo
infiammatorio, seguito dalla deposizione di fibrina, dalla formazione di aderenze e
dalla cicatrizzazione finale che causa la distorsione delle superfici peritoneali e
della normale anatomia della pelvi. Altre procedure diagnostiche (p. es.,
l’ecografia, il clisma opaco, l’urografia EV, la TC e la RMN) possono essere utili
per dimostrare l’estensione della malattia e per seguirne il decorso, ma non sono
specifiche né sufficienti per porre diagnosi. I dosaggi dei marker sierici
dell’endometriosi (p. es., i livelli dell’antigene neoplastico sierico 125 e degli
anticorpi anti-endometrio) possono aiutare il medico a monitorare l’andamento
della malattia, ma richiedono ulteriori studi. Può essere indicata la valutazione
dell’infertilità (v. Cap. 245).

La stadiazione della malattia aiuta il medico nel decidere il piano terapeutico e


valutare la risposta alla terapia. I nuovi criteri di stadiazione dell’American Society
for Reproductive Medicine si basano sulla sede degli impianti, sulla presenza di
endometriosi superficiale o profonda e di aderenze sottili o spesse.
L’endometriosi può essere classificata di grado I (minima), II (lieve), III
(moderata) o IV (grave, v. Tab. 239-1). Un altro sistema di classificazione è
basato principalmente sul dolore pelvico. Tuttavia, nella valutazione
dell’endometriosi la variabilità nell’osservatore e tra gli osservatori è alta nella
valutazione dell’endometriosi e si sta cercando un metodo più utile per la
stadiazione della malattia.

Terapia

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Endometriosi

Il trattamento deve essere individualizzato sulla base dell’età della paziente, dei
sintomi, del desiderio di una gravidanza e dell’estensione della patologia. Le
opzioni includono la soppressione farmacologica della funzione ovarica per
arrestare la crescita e l’attività degli impianti endometriali, la resezione chirurgica
conservativa di quanto più tessuto endometriosico possibile, una combinazione
delle due terapie e l’isterectomia totale per via addominale, di solito con salpingo-
annessiectomia.

I farmaci che sopprimono la funzione ovarica e la crescita del tessuto


endometriale sono elencati nella Tab. 239-2. I contraccettivi orali continui sono
usati frequentemente. Sono ora disponibili altri farmaci (p. es., gli agonisti
dell’ormone per il rilascio della gonadotropina [GnRH]) che producono
un’ipoestrogenemia relativa e reversibile. Tuttavia, il trattamento con gli agonisti
del GnRH è limitato a 6 mesi perché l’uso a lungo termine è associato a una
perdita di tessuto osseo. Il danazolo, un’antigonadotropina, inibisce l’ovulazione,
ma ha dei significativi effetti collaterali androgenici, che ne limitano l’utilità. I
contraccettivi orali somministrati ciclicamente o in modo continuo, dopo il
trattamento con danazolo o con gli agonisti dell’GnRH, possono rallentare la
progressione della malattia e sono raccomandati nelle donne che vogliono
ritardare la gravidanza. Il tasso di gravidanza con la terapia medica oscilla tra il
40 e il 60%. Non è chiaro se i tassi di fertilità sono migliorati dal trattamento
dell’endometriosi lieve o minima. La terapia medica o quella chirurgica
conservativa in realtà non curano l’endometriosi, in quanto questa recidiva nella
maggior parte delle pazienti, una volta interrotto il trattamento. Solo la completa
ablazione della funzione ovarica previene la recidiva dell’endometriosi.

I casi moderati e gravi sono trattati al meglio con l’asportazione o l’escissione di


quanti più impianti possibile preservando il potenziale riproduttivo. Le indicazioni
alla terapia chirurgica sono rappresentate dalla presenza di endometriomi, di
aderenze pelviche significative, di un’ostruzione tubarica e di dolore pelvico
invalidante e resistente alla terapia medica. Nel corso degli interventi devono
essere usate delle tecniche microchirurgiche per prevenire la formazione di
aderenze. Durante la laparoscopia, è talvolta possibile un’elettrocoagulazione
delle lesioni ovariche o peritoneali o la loro vaporizzazione o asportazione con un
laser a CO2, ad argon o al neodimio:ittrio-alluminio-garnet (Nd:YAG laser). Dopo
questo trattamento le percentuali di gravidanza sono del 40-70%, inversamente
proporzionali alla gravità dell’endometriosi. Se l’asportazione delle lesioni è
incompleta, una terapia soppressiva aggiuntiva con contraccettivi orali o con gli
agonisti del GnRH può migliorare la percentuale di fertilità. Per le pazienti con
dolore pelvico mediano, la resezione laparoscopica dei legamenti uterosacrali,
con l’elettrocauterio o con il laser, può ridurre il dolore.

L’isterectomia dovrebbe essere riservata alle pazienti con dolore pelvico


intrattabile che non vogliono più avere gravidanze. Dopo l’asportazione dell’utero
e delle ovaie, la terapia estrogenica sostitutiva può essere cominciata già nel
postoperatorio o, se è stata lasciata in situ una quantità significativa di tessuto
endometriale, può essere differita di 4-6 mesi; durante questo periodo può
rendersi necessaria l’associazione di una terapia medica soppressiva. La terapia
progestinica continua (p. es., il medrossiprogesterone acetato, 2,5 mg PO al
giorno) deve essere somministrata con la terapia estrogenica perché il tessuto
residuo può crescere e si possono sviluppare iperplasia o neoplasie maligne se
gli estrogeni sono somministrati da soli. Nelle pazienti più giovani bisogna
cercare di preservare la funzione ovarica, anche se sono state riportate delle
recidive di endometriosi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 239-1. STADI DELL’ENDOMETRIOSI

Stadio Grado di Descrizione


malattia
I Minima Pochi impianti superficiali
II Lieve Più impianti, leggermente più
profondi
III Moderata Molti impianti profondi, piccoli
endometriomi su una o
entrambe le ovaie e alcune
tenui aderenze
IV Grave Molti impianti profondi,
endometriomi voluminosi su
una o entrambe le ovaie e
alcune aderenze strette,
talvolta con il retto che
aderisce alla faccia posteriore
dell’utero

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 239-2. TERAPIA FARMACOLOGICA PER L’ENDOMETRIOSI

Classe Farmaco Dosaggio Effetti collaterali


Contraccettivi Etinil estradiolo 30- 1 cp/die per 4- Distensione
orali 35 µg più un 6 mesi addominale,
combinati progestinico mastodinia, aumento
estro- dell’appetito, edema,
progestinici nausea,
sanguinamento da
sospensione, trombosi
venosa profonda
Progestinici Medrossiprogesterone 20-30 mg/die Sanguinamento da
acetato PO per 6 mesi, sospensione, labilità
seguiti da emotiva, depressione,
100 mg IM vaginite atrofica
q 2 sett. per
2 mesi, poi
200 mg IM al
mese per
4 mesi
Androgeni Danazolo 400-800 mg/die Aumento di peso,
PO per 4-6 mesi acne, abbassamento
della voce, irsutismo,
vampate, vaginite
atrofica, edema,
crampi muscolari,
sanguinamento da
sospensione,
riduzione di volume
delle mammelle,
labilità emotiva,
disfunzione epatica,
sindrome del tunnel
carpale, effetto
sfavorevole sui lipidi
Agonisti del Nafarelin 400-800 mg/die Vampate, secchezza
GnRH per via vaginale,
Leuprolide intranasale demineralizzazione
ossea, labilità emotiva
Leuprolide depot 1mg/die SC

3,75mg IM q
28gg
GnRH=ormone per il rilascio delle gonadotropine.

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Manuale Merck - Tabella

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Neoplasie ginecologiche

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

241. NEOPLASIE GINECOLOGICHE

CANCRO DELL’ENDOMETRIO

Sommario:

Introduzione
Eziologia e anatomia patologica
Sintomi, segni e diagnosi
Stadiazione, prognosi e trattamento

Negli USA, il cancro dell’endometrio è la più frequente neoplasia maligna


ginecologica e la quarta più frequente neoplasia maligna, nelle donne, dopo
quelle della mammella, del colon-retto e del polmone. Circa 34000 nuovi casi di
cancro endometriale sono stati diagnosticati nel 1996. Interessa principalmente le
donne in post-menopausa, con un picco di incidenza tra i 50 e i 60 anni; < 5% dei
casi si verifica tra le donne < 40 anni.

Eziologia e anatomia patologica

Il cancro endometriale è più frequente nei paesi industrializzati dove è elevata


l’assunzione di grassi con la dieta. Il fattore di rischio più significativo è l’obesità,
che aumenta il rischio da 3 a 10 volte. Il cancro endometriale è più frequente
nelle donne in cui esistono condizioni che tendono a creare una predominanza
estrogenica (elevati livelli circolanti di estrogeni senza o con bassi livelli di
progesterone), quali una terapia sostitutiva estrogenica non bilanciata, l’obesità,
la sindrome dell’ovaio policistico, la nulliparità, la menopausa tardiva, i tumori che
producono estrogeni, l’anovulazione o l’oligo-ovulazione. Le donne con una storia
di radioterapia della pelvi o con una storia personale o familiare di cancro della
mammella o dell’ovaio sono a maggior rischio. Una piccola percentuale di casi
può essere ereditaria.

L’iperplasia endometriale di solito precede il cancro dell’endometrio ed è


classificata in base al grado di atipia citologica. Il suo trattamento consiste nella
terapia con progestinici o nella terapia chirurgica, in base alla complessità della
lesione e al desiderio della paziente di evitare l’isterectomia.

Questo tumore si può diffondere dalla superficie della cavità uterina all’interno del
canale cervicale; attraverso il miometrio alla sierosa e alla cavità peritoneale;
attraverso il lume delle tube di Falloppio, alle ovaie, al legamento largo e alla
superficie del peritoneo; attraverso il circolo ematico, dando luogo a metastasi a
distanza, o attraverso i vasi linfatici. Più alto (meno differenziato) è il grado del
tumore, maggiore è la probabilità di un’invasione del miometrio, di metastasi ai
linfonodi pelvici para-aortici o di una diffusione extrauterina.

Un adenocarcinoma è responsabile di > 80% dei casi di cancro endometriale. I


sarcomi sono responsabili di circa il 5% di tutte le neoplasie maligne dell’utero e
includono i tumori misti del mesoderma, i leiomiosarcomi e i sarcomi dello stroma
endometriale. I sarcomi tendono a essere più aggressivi, causano con maggiori
probabilità delle metastasi locali, regionali e a distanza e hanno una prognosi
peggiore.

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Neoplasie ginecologiche

Sintomi, segni e diagnosi

Più del 90% delle pazienti affette da un cancro dell’endometrio ha un


sanguinamento uterino anomalo (p. es., un sanguinamento postmenopausale,
una ricorrente metrorragia premenopausale). Circa 1/3 delle donne con un
sanguinamento postmenopausale ha un carcinoma dell’endometrio. Nelle donne
in post-menopausa delle perdite vaginali possono precedere il sanguinamento di
varie settimane o mesi.

Se un test di Papanicolaou (Pap test) mostra delle cellule endometriali in una


donna in post-menopausa o delle cellule endometriali anormali in una donna di
qualunque età, è indicata un’ulteriore valutazione. Tuttavia, il Pap test non
identifica in maniera accurata le neoplasie maligne dell’utero.

Un prelievo tissutale dell’endometrio, di solito eseguito nello studio del medico, è


la procedura diagnostica definitiva. Questa procedura ha un’accuratezza > 90%,
in confronto alla dilatazione frazionata con curettage in isteroscopia, eseguita in
sala operatoria. Quest’ultima viene impiegata quando il prelievo ambulatoriale
non è diagnostico. Può essere utile anche un’ecografia transvaginale.

Una volta che è stata fatta la diagnosi istologica di cancro dell’endometrio, la


valutazione pre-trattamento include le analisi di laboratorio sul siero, i test di
funzionalità epatica, un emocromo, una rx del torace e un ECG. Studi addizionali
endoscopici e radiologici non sono necessari di routine. Una TC pelvica e
addominale può essere d’aiuto se si sospetta una malattia extrauterina o
metastatica.

Stadiazione, prognosi e trattamento

La stadiazione è basata sulla differenziazione istologica (grado) del tumore e sui


reperti intraoperatori, inclusi la profondità dell’invasione, l’interessamento
cervicale (interessamento ghiandolare versus invasione stromale) e le metastasi
extrauterine, quali quelle annessiali, linfonodali e della cavità peritoneale (v.
Tab. 241-1). Viene eseguita un’adeguata incisione addominale, per il prelievo del
liquido peritoneale da valutare con esame citologico e l’esplorazione dell’addome
e della pelvi, con la biopsia o l’escissione delle lesioni extrauterine sospette.
Nelle situazioni ad alto rischio i linfonodi pelvici e para-aortici devono essere
bioptizzati e, se sospetti, rimossi. Un’isterectomia radicale con la dissezione dei
linfonodi pelvici e para-aortici è indicata se si sospetta un interessamento
cervicale.

La prognosi è influenzata dall’aspetto istologico del tumore e dal grading, dall’età


della paziente (le donne anziane hanno una prognosi peggiore) e dalla diffusione
metastatica. Complessivamente, il 63% delle pazienti è libero dal tumore 5 anni
dopo il trattamento. Per le pazienti affette da una malattia in stadio I, la
percentuale di sopravvivenza riportata a 5 anni è del 70-95%; la percentuale di
sopravvivenza a 5 anni per quelle affette da una malattia in stadio III o IV è
del 10-60%.

Nello stadio I, il cancro endometriale di grado 1 è, di solito, localizzato, senza


invasione profonda del miometrio; la probabilità di metastasi linfonodali è < 2%.
L’intervento chirurgico può generalmente essere limitato a un’isterectomia totale,
con una ovarosalpingectomia bilaterale e l’esame citologico del liquido
peritoneale. Per i gradi 2 e 3 e per il grado 1 con invasione profonda del
miometrio, può essere aggiunta una linfadenectomia pelvica e para-aortica.

Ben poche pazienti con un cancro limitato all’utero hanno una recidiva.
Un’accurata stadiazione chirurgica permette nel 50-75% delle pazienti con una
malattia in stadio I di eseguire una radioterapia postoperatoria. Il cancro
extrapelvico è trattato, sulla base della sede e dell’estensione, con un

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Neoplasie ginecologiche

ampliamento del campo di irradiazione, con la chemioterapia sistemica o con la


terapia ormonale. La maggior parte delle pazienti affette da una malattia allo
stadio IV è trattata al meglio con la chemioterapia sistemica.

La terapia progestinica, utilizzata nei casi di malattia avanzata o ricorrente,


determina una regressione nel 35-40% delle pazienti. Il progesterone può indurre
la regressione delle metastasi polmonari, vaginali e mediastiniche. Il trattamento
è continuato indefinitamente se la risposta è favorevole. La durata della
remissione varia, ma può durare anche 2-3 anni.

Diversi farmaci citotossici (specialmente la doxorubicina e il cisplatino) sono attivi


contro il cancro endometriale metastatico e recidivante. I regimi mensili, che
combinano la doxorubicina, 60 mg/m2 e il cisplatino, 75 mg/m2 EV possono
avere una percentuale globale di risposta 50%. Il paclitaxel è attivo contro
questo cancro.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 241-1. STADIAZIONE DEL CARCINOMA


DELL’ENDOMETRIO*

Stadio† Definizione
IA Tumore limitato all’endometrio
IB Invasione<1/2 miometrio
IC Invasione>1/2 miometrio
IIA Tumore che interessa solo le ghiandole
endocervicali
IIB Invasione dello stroma cervicale
IIIA Invasione della sierosa e/o degli annessi e/o
risultati citologici peritoneali positivi
IIIB Metastasi vaginali
IIIC Metastasi ai linfonodi pelvici e/o paraaortici
IVA Invasione della mucosa della vescica o
dell‘intestino
IVB Metastasi a distanza, inclusi i linfonodi intra-
addominali e/o inguinali
*Come descritta dall’International Federation of
Gynecology and Obstetrics (FIGO), 1988. Il cancro
dell’endometrio è ora stadiato chirurgicamente e quindi i
precedenti sistemi di stadiazione non vengono più
utilizzati. Tuttavia, la stadi azione clinica adottata dalla
FIGO nel 1971 è ancora utilizzata per quelle poche
pazienti che sono trattate primariamente con la
radioterapia, ma deve essere specificata. Idealmente,
nella stadiazione attuale si deve confrontare lo
spessore del miometrio con la profondità dell’invasione
tumorale.

†In tutti gli stadi a eccezione del IVB, la percentuale del


tumore con uno sviluppo solido non squamoso o non
morulare è indicata da G1 (5%), G2 (650%) o G3
(>50%). La presenza di una notevole atipia nucleare,
inappropriata per il grado di differenziazione, aumenta il
grado di 1livello. Negli adenocarcinomi sierosi, a cellule
chiare e a cellule squamose, l’atipia nucleare ha un
valore prevalente. Gli adenocarcinomi con una
differenziazione squamosa sono classificati in base al
grado di atipia nucleare della componente ghiandolare.

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Infertilità

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

245. INFERTILITÀ

DISFUNZIONE OVULATORIA

Sommario:

Introduzione
Monitoraggio dell'ovulazione
Terapia

Le donne con mestruazioni regolari (da 26 a 35 gg) accompagnate da una


sindrome premestruale (turgore mammario, dolore ai quadranti inferiori
dell’addome, cambiamento dell’umore) sono generalmente ovulatorie. Per quelle
con cicli irregolari o amenorrea, la causa dovrebbe essere stabilita prima di
iniziare il trattamento ovulatorio. Il ciclo mestruale è descritto nel Cap. 234; la
valutazione dell’amenorrea, nel Cap. 235.

Monitoraggio dell'ovulazione

La misurazione giornaliera della temperatura corporea basale (TCB) è


stata usata per controllare l’ovulazione. Un picco minimo della TCB
suggerisce l’imminente ovulazione; un aumento di 0,5°C ( 0,9°F)
caratterizza il periodo postovulatorio. Tuttavia, questo metodo non è
attendibile né accurato; al meglio, può predire l’ovulazione solo in un
intervallo di 2 giorni. Molto più accurati sono i monitoraggi con l’ecografia
pelvica del diametro dei follicoli ovarici e i kit di predizione dell’ovulazione
che evidenziano un aumento nell’escrezione urinaria dell’ormone
luteinizzante (LH) nelle 24-36 ore precedenti l’ovulazione. Diversi altri
parametri biochimici possono essere usati per accertare se è avvenuta
l’ovulazione, p. es., un aumento del progesterone sierico ( 4 ng/ml
[ 13 nmol/l]) o di uno dei suoi metaboliti urinari, il pregnandiolo-glucuronide.

L’aspetto qualitativo dell’ovulazione può essere valutato con una biopsia


endometriale eseguita tardivamente nella fase luteinica (10-12 gg dopo
l’ovulazione). Un ritardo nella maturazione endometriale > 2 giorni (in
confronto con l’inizio del ciclo mestruale successivo) indica un’inadeguata
fase luteinica (insufficienza luteinica, difetto della fase luteinica) in cui la
produzione o l’azione del progesterone sono inadeguate. Per fare questa
diagnosi si deve verificare un ritardo in 2 cicli mestruali.

Terapia

La scelta di farmaci che inducono l’ovulazione dipende dal problema


specifico. La bromocriptina è il farmaco di scelta nelle pazienti con cicli
anovulatori od oligo-ovulatori a causa di un’iperprolattinemia.

Sindrome dell’ovaio policistico o anovulazione cronica: il clomifene

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Infertilità

citrato (un anti-estrogeno orale derivato dal dietilstilbestrolo) è il farmaco


più appropriato. Prima, deve essere indotto il sanguinamento uterino con il
medrossiprogesterone acetato, 5-10 mg, 1 volta/die per 5-10 gg. Il
clomifene è iniziato al 5o giorno di sanguinamento, spontaneo o indotto, e
somministrato per 5 gg. L’ovulazione generalmente si verifica 5-10 gg
(media, 7 gg.) dopo l’ultimo giorno di somministrazione del clomifene; nei
cicli ovulatori, le mestruazioni si verificano entro 35 gg.

Se l’amenorrea persiste dopo questo trattamento, devono essere eseguiti


un test di gravidanza e un’ecografia pelvica o un esame obiettivo della
pelvi. Se le ovaie non sono aumentate di volume in maniera significativa,
viene indotto il sanguinamento da deprivazione e il clomifene, 50 mg, viene
somministrato di nuovo come descritto sopra. Se dopo 2 cicli non si verifica
l’ovulazione, il dosaggio viene aumentato a 100 mg/ die per 5 gg e
successivamente di altri 50 mg ogni 2 cicli fino a un massimo di 200 mg/die
per 5 gg (sebbene il clomifene 100 mg/die sia approvato, numerosi studi
hanno documentato l’efficacia e la sicurezza dei dosaggi più elevati). Una
volta determinata la dose soglia per l’ovulazione, il trattamento deve
essere continuato per almeno 3-4 cicli. Il tasso di concepimento è massimo
intorno al 4o ciclo ovulatorio.

Gli effetti collaterali del clomifene citrato includono le vampate vasomotorie


(10%), la distensione addominale (6%), la mastodinia (2%), la nausea
(3%), i sintomi visivi (1-2%) e la cefalea (1-2%). L’incidenza di gravidanze
multiple (principalmente gemellari) e di iperstimolazione ovarica (v. oltre) è
di circa il 5% ciascuna.

L’assunzione di clomifene citrato per più di 12 cicli può aumentare il rischio


di insorgenza di neoplasie dell’ovaio. I meccanismi di questa potenziale
causalità sono sconosciuti e l’associazione del clomifene e di altri farmaci
per la fertilità con il cancro dell’ovaio richiede ulteriori studi.

Le gonadotropine menopausali umane (Human Menopausal


Gonadotropins, HMG), estratte dalle urine delle donne in post-menopausa,
possono essere utilizzate se l’ovulazione o il concepimento non si
verificano durante il trattamento con il clomifene. Sono disponibili due
forme. Le menotropine sono disponibili sotto forma di fiale di 2 ml pari a
un’attività di 75 UI di LH e di 75 UI di ormone follicolo-stimolante (FSH) o di
150 UI per ciascun ormone. L’urofollitropina è pari a un’attività di 75 UI di
FSH per fiala, con una modesta attività per quanto riguarda l’LH. Sono
disponibili anche le gonadotropine per somministrazione sottocutanea e le
gonadotropine umane ricombinanti. Le preparazioni vengono usate in
maniera simile. Le gonadotropine iniettabili sono piuttosto costose e
possono avere effetti collaterali significativi; pertanto, i anomalie dello
sperma e le disfunzioni tubariche devono essere valutati adeguatamente
prima di iniziare un trattamento e i cicli di trattamento devono essere
attentamente controllati da un medico esperto nell’uso di questi farmaci.

Le HMG sono somministrate IM ogni giorno, iniziando tra il 3o e il 5o dopo il


sanguinamento spontaneo o da sospensione, per stimolare la maturazione
di 2-4 follicoli in 7-14 gg, come indicato dai livelli sierici di estradiolo e
dall’ecografia transvaginale. Una volta che i follicoli sono maturati, viene
somministrata gonadotropina umana corionica (hCG) IM per indurre
l’ovulazione.

I maggior rischi della terapia con HMG sono rappresentati dalle gravidanze
multiple (10-30%) e dalla sindrome da iperstimolazione ovarica (10-
20%). In questa sindrome, potenzialmente fatale, le ovaie sono molto
aumentate di volume e c’è un passaggio di liquidi intravascolari nello
spazio peritoneale, che causa ipovolemia, oliguria, emoconcentrazione e
ascite massiva. La sindrome può, di solito, essere evitata con uno stretto

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Infertilità

monitoraggio della paziente e sospendendo le hCG se la risposta ovarica


diventa eccessiva.

Gli agonisti dell’ormone per il rilascio delle gonadotropine (GnRH) (v. oltre)
sono usati sempre più frequentemente nei disturbi ovulatori (p. es., la
sindrome dell’ovaio policistico) per abolire la secrezione endogena di
gonadotropine e aumentare l’efficacia del successivo trattamento con HMG
e GnRH pulsato. Questo approccio non è stato convalidato.

Amenorrea ipotalamica: la gonadorelina acetata, un GnRH di sintesi per


infusione EV pulsatile, può essere usata per indurre l’ovulazione. Questo
farmaco stimola l’ipofisi a rilasciare LH e FSH in maniera fisiologica;
dunque, di solito, solo un follicolo dominante è stimolato a ovulare in un
periodo di 14 gg di trattamento. Dato che il rischio di iperstimolazione
ovarica è basso, non è necessario uno stretto monitoraggio. Dopo
l’ovulazione, l’GnRH può essere continuato durante la fase luteinica o
possono essere somministrate le hCG in un’unica dose di 1500 U IM q
3 gg per 4 volte.

Deficit della fase luteinica: possono essere usati il clomifene citrato, 50-
100 mg/die per 5 gg, cominciando dal 3o-5o giorno del ciclo mestruale, o il
progesterone sotto forma di ovuli vaginali, 50 mg bid per 14 gg,
cominciando 2 gg dopo l’ovulazione. Se si verifica il concepimento durante
un ciclo di trattamento, la terapia con progesterone viene proseguita
ininterrottamente fino alla 10a sett. di gravidanza.

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Pianificazione familiare

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

246. PIANIFICAZIONE FAMILIARE

CONTRACCEZIONE

Sommario:

Introduzione
Contraccettivi di barriera
Astinenza periodica
Contraccettivi orali
Iniezioni di progestinici
Impianti sottocutanei
Contraccezione d'emergenza
Dispositivi intrauterini

I metodi contraccettivi più comunemente usati negli USA sono (in ordine di
popolarità) i contraccettivi orali (ormoni), il profilattico, il coito interrotto,
l’astinenza periodica dai rapporti, le iniezioni di progestinici, gli spermicidi, il
diaframma, gli impianti sottocutanei di progestinici e i dispositivi intrauterini
(Intrauterine Devices, IUD). Ciascun metodo ha dei vantaggi e degli svantaggi e
ciascun metodo, al di là dell’astinenza completa, può fallire. Il diaframma, i
profilattici, gli spermicidi e il coito interrotto falliscono con maggiori probabilità,
specialmente se chi li usa è inesperto, rispetto ai metodi che non sono correlati al
coito (p. es., i contraccettivi orali, i IUD). Nel corso di diversi anni, le percentuali di
gravidanza sono < 1%/anno con i contraccettivi orali, i IUD, le iniezioni di
progestinici e l’impianto sottocutaneo di progestinici e del 5%/anno, circa, con i
metodi correlati al coito. Tuttavia, i profilattici hanno l’ulteriore vantaggio di
proteggere contro le malattie trasmesse sessualmente. La contraccezione di
emergenza, assunta dopo che si è verificata la fecondazione, non deve essere
usata come un regolare metodo di contraccezione.

Contraccettivi di barriera

L’uso del profilattico è l’unico metodo maschile, efficace e reversibile al di


là del coito interrotto. Se usato in modo appropriato, il profilattico fornisce
una considerevole protezione contro le malattie trasmesse sessualmente
(solo i profilattici in lattice possono proteggere contro il HIV) e può
prevenire le modificazioni premaligne nella cervice. Il profilattico deve
essere applicato prima della penetrazione e non deve essere troppo stretto
(la parte distale deve eccedere di circa 1/2 cm il pene per raccogliere
l’eiaculato); deve essere rimosso con cautela in modo che nulla del
contenuto fuoriesca. La percentuale di gravidanza con un uso accorto è
del 3-4%/anno. L’associazione di uno spermicida, incluso nel lubrificante
del profilattico o inserito in vagina, può ridurre questa percentuale.

Il diaframma, costituito da un cappuccio di gomma a forma di cupola, con


margine flessibile, che si fissa sopra la cervice, agisce come una barriera
per gli spermatozoi. Il diaframma è di diverse dimensioni e deve essere
adattato con cautela da un operatore sanitario, che dovrà mostrare alla
donna come inserirlo in modo che la cervice ne sia ricoperta. Gli spermicidi

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Pianificazione familiare

devono essere sempre associati al diaframma per aumentare l’efficacia


contraccettiva nel caso il dispositivo si dovesse spostare durante il coito. Il
diaframma non causa fastidi a nessuno dei due partner. Deve essere
inserito prima del coito e deve rimanere al suo posto per almeno 8 h dopo
l’ultimo rapporto. Per aumentare l’efficacia, si deve usare anche uno
spermicida prima di ogni rapporto. Quando il diaframma è usato in maniera
appropriata, l’incidenza di gravidanze è pari al 3%/anno, ma con l’uso
comune l’incidenza è di circa il 14%/anno.

Il cappuccio cervicale è simile al diaframma, è disponibile in diverse


misure e deve essere applicato da un operatore sanitario. Può rimanere in
sede per 48 h. L’incidenza di gravidanze è simile a quella osservata con il
diaframma.

La schiuma, la crema e gli ovuli vaginali devono essere applicati in


vagina prima di ogni rapporto. Questi agenti contengono uno spermicida,
in genere il nonoxinolo 9, che immobilizza o uccide lo spermatozoo al
contatto; creano, inoltre, una barriera fisica alla sua penetrazione. Nessun
tipo di schiuma o di ovuli si è dimostrato più valido degli altri. L’efficacia di
tutte queste preparazioni aumenta costantemente mano a mano che la
donna invecchia, sia perché diviene più esperta nel loro uso e sia perché
la sua fertilità diminuisce. Il tampone contraccettivo non è più in
commercio.

Astinenza periodica

Questo metodo (chiamato anche pianificazione familiare naturale) richiede


l’astensione dai rapporti durante il periodo fertile. L’ovulazione, di solito, si
verifica circa 14 giorni prima della successiva mestruazione. Anche se
l’oocita umano può, probabilmente, essere fecondato soltanto durante un
periodo di poche ore dopo l’ovulazione, lo sperma può fecondare l’oocita
anche diversi giorni dopo essere entrato nel canale cervicale; quindi, la
fecondazione può essere causata da un rapporto che si è verificato fino a
5 giorni prima dell’ovulazione.

Il metodo del calendario è la tecnica di pianificazione familiare naturale


meno efficace, anche in quelle donne che hanno dei cicli mestruali molto
regolari. Il periodo di astensione è calcolato sottraendo 18 giorni dalla
durata del più breve e 11 giorni dalla durata del più lungo dei 12 cicli
precedenti. Quindi, se i cicli della donna variano da 26 a 29 giorni, la
coppia deve astenersi dal rapporto dall’8o al 18o giorno di ogni ciclo. Con
variazioni più ampie nella lunghezza dei cicli, sono necessari periodi di
astensione maggiori.

Altri metodi più efficaci richiedono un alto grado di motivazione e di


addestramento. Una donna può misurare la temperatura corporea basale
tutte le mattine prima di alzarsi. La temperatura basale aumenta di circa
0,5°C (0,9°F), in genere al di sopra dei 37°C, dopo l’ovulazione. La coppia
si deve astenere dai rapporti per almeno 48-72 h dopo l’aumento della
temperatura. Un’aumentata quantità di muco cervicale (che si ha, in
genere, in prossimità del momento dell’ovulazione) indica, in maniera più
accurata, il periodo fertile. I rapporti sono possibili, a giorni alterni (in modo
da non confondere il muco con lo sperma) dalla fine delle mestruazioni fino
a quando non viene osservato un aumento della secrezione del muco. È
necessario poi astenersi fino a 4 giorni dopo il picco di massima
secrezione. Il metodo sintotermico, che è il metodo più efficace per
stabilire la durata del periodo di astinenza, combina l’osservazione dei
cambiamenti del muco cervicale con quelli della temperatura e di altri
sintomi associati all’ovulazione. Tuttavia, anche con un addestramento

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Pianificazione familiare

attento, l’incidenza di gravidanze è di circa il 10%/anno.

Contraccettivi orali

I contraccettivi orali (CO) esercitano un feed-back negativo sull’ipotalamo,


inibendo l’ormone per il rilascio delle gonadotropine, cosicché l’ipofisi non
produce gonadotropine a metà ciclo per stimolare l’ovulazione.
L’endometrio diventa sottile e il muco cervicale si ispessisce e diventa
impermeabile allo sperma.

I contraccettivi orali (CO) principali sono quelli combinati (un estrogeno di


sintesi più un progestinico di sintesi) e quelli costituiti da soli progestinici.
Le preparazioni combinate sono assunte ogni giorno per 3 sett. e poi
sospese durante la 4a sett. per permettere il sanguinamento da
deprivazione. Il solo progestinico è somministrato ogni giorno in piccole
dosi; questo regime è associato a un’incidenza relativamente alta di
sanguinamenti irregolari e a un tasso di gravidanze del 2-8%/anno ed è
raccomandato soltanto quando la somministrazione di estrogeni è
controindicata, p. es., durante l’allattamento.

Non c’è una differenza significativa nell’efficacia delle diverse preparazioni


combinate: se non si dimentica di prendere qualche pillola, l’incidenza di
gravidanze è inferiore allo 0,2% dopo 1 anno. Alle donne che ne iniziano
ora l’assunzione devono essere prescritte le formulazioni a basso
dosaggio, con 20-35 µg di etinilestradiolo, mentre alle donne che
assumono le formulazioni con 50 µg di estrogeni deve essere consigliato di
passare alle formulazioni a basso dosaggio. Queste ultime sono efficaci
quanto quelle a dosaggio più elevato, ma l’incidenza del sanguinamento
intermestruale può essere maggiore nel corso dei primi mesi di
assunzione. Le preparazioni con più di 50 µg di estrogeni comportano una
più alta incidenza di effetti collaterali e, quindi, non devono essere più
prescritte.

Le donne sane che non fumano possono assumere continuativamente dei


CO a basso dosaggio sino alla menopausa, come accertato da un elevato
livello di FSH. Non sono stati documentati benefici derivanti
dall’interruzione intermittente della terapia. Per le donne di età superiore ai
35 anni che fumano sigarette o che presentano altri fattori di rischio
cardiovascolare (p. es., l’ipertensione non controllata) e che usano dei CO
con 50 µg di estrogeno, è stato riportato un rischio maggiore di morte per
malattie cardiovascolari compresi l’ictus cerebrale e l’infarto del miocardio.
Le attuali raccomandazioni prevedono che le donne > 35 anni che fumano
sigarette non assumano CO combinati. Altre controindicazioni sono
elencate nella Tab. 246-1.

Effetti collaterali e controindicazioni: se il sanguinamento intermestruale


persiste, la donna deve assumere una combinazione con una dose
maggiore di estrogeni (cioè, una formulazione più estrogenica). Se si
sviluppa l’amenorrea, la componente progestinica deve essere ridotta.
Molti effetti collaterali (p. es., nausea, mastodinia, ritenzione di liquidi, PA
elevata) sono correlati alla dose di estrogeni. I progestinici possono
causare in alcune pazienti degli effetti androgenici, quali aumento di peso,
acne e sensazione di nervosismo. Il norgestimato e il desogestrel hanno
una ridotta attività androgenica rispetto ad altri progestinici usati nei CO,
come levonorgestrel, noretindrone, noretindrone acetato ed etinodiolo
diacetato.

In un piccolo gruppo di donne, l’inibizione dell’ovulazione persiste per


alcuni mesi dopo la sospensione dei CO, ma questi non provocano una

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Pianificazione familiare

sterilità permanente e non pregiudicano l’esito di una gravidanza concepita


dopo la loro sospensione. I CO assunti accidentalmente nel primo periodo
della gravidanza non sono teratogeni.

Le attività metaboliche delle componenti ormonali sintetiche dei CO


influenzano, praticamente, ogni sistema dell’organismo. Tuttavia, con le
formulazioni a basso dosaggio, le gravi complicanze sono rare.

La maggior parte delle modificazioni delle proteine plasmatiche che si


verifica durante l’uso dei CO non è pericolosa, ma i risultati di alcuni test
clinici di laboratorio sono alterati. Alcuni test di funzionalità tiroidea sono
alterati nella stessa misura in cui lo sono durante la gravidanza; p. es., la
capacità della thyroxine-binding globulin aumenta, mentre la tiroxina libera
rimane normale. I CO non modificano i livelli dell’ormone stimolante la
tiroide e non alterano la funzione tiroidea.

L’incidenza di tromboflebiti venose profonde e di tromboembolie nelle


giovani donne sane che assumono delle formulazioni contenenti 30-35 µg
di estrogeni è stimata essere 3-4 volte maggiore rispetto a quella nelle
donne che non ne fanno uso. L’incidenza dei disturbi tromboembolici è
regolarmente diminuita mano a mano che è stato ridotto il quantitativo di
estrogeni nei CO. La formazione di trombi sembra essere collegata
all’aumento dei fattori della coagulazione (e, forse, all’aumentata adesività
piastrinica) prodotto dalla componente estrogenica. Gli aumentati livelli
delle globuline coinvolte nel processo della coagulazione, in particolare i
fattori VII e X, provocano uno stato di ipercoagulabilità. Non ci sono prove
che l’aumentato rischio di tromboembolia sia ulteriormente aumentato nelle
donne con varici degli arti inferiori. Se una donna mostra segni di
tromboflebite venosa profonda o di embolia polmonare mentre sta
assumendo dei CO, deve interrompere l’assunzione e si deve sottoporre
ad accertamenti diagnostici (v. Cap. 72). A causa dell’aumentato rischio di
disturbi tromboembolici, i CO devono essere interrotti un mese prima di
qualsiasi intervento chirurgico maggiore elettivo e non ricominciati prima
che sia passato almeno un mese.

Gli effetti sul SNC dei CO comprendono la nausea, il vomito, la cefalea e


la depressione. Prima si pensava che il rischio di un accidente
cerebrovascolare fosse più elevato nei soggetti che assumono CO, ma
studi epidemiologici recenti, nei quali sono state usate formulazioni a più
basso dosaggio di estrogeni, non hanno mostrato differenze nell’incidenza
tra i soggetti sani che usavano CO e quelli sani della stessa età che non li
usavano. Le donne che lamentano più frequentemente cefalea o che
sviluppano sintomi neurologici periferici, lipotimie o afasia durante
l’assunzione di CO, ne devono interrompere l’assunzione, perché questi
sintomi possono essere i prodromi di un ictus. La depressione e i disturbi
del sonno si verificano nell’1-2% delle donne che assumono i CO.

Un aumento della PA si verifica in alcune donne perché gli estrogeni


determinano un aumento della produzione di angiotensina; con le
formulazioni a basso dosaggio di estrogeni l’incidenza è minore. La PA
deve essere controllata in tutte le donne prima e durante il trattamento con
i CO. Se la PA aumenta, la somministrazione dei CO deve essere
interrotta; di solito, la PA torna a valori normali.

Le alterazioni del metabolismo del glucoso, sia la diminuzione della


tolleranza ai glucidi che l’aumento dei livelli di insulina circolante dovuto
alla resistenza periferica all’insulina, sono state associate alla componente
progestinica. Queste variazioni sono in genere reversibili e si verificano
raramente con le attuali formulazioni che hanno un basso contenuto di
progestinici. I CO possono essere prescritti alle donne che hanno
un’iperglicemia, ma che non sono correntemente diabetiche. Una

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Pianificazione familiare

misurazione della glicemia dopo 2 ore dalla fine del pasto deve essere
eseguita ogni anno in tutte le donne che usano i CO e che sono a rischio di
sviluppare un diabete mellito, p. es., quelle che hanno una storia familiare
o che hanno avuto dei figli macrosomi alla nascita o che hanno una storia
di morti fetali inspiegate. Se la glicemia risulta alterata, si deve eseguire
una curva da carico e, se anche questa è anormale, deve essere iniziato
l’opportuno trattamento. I CO sono sconsigliati nelle donne diabetiche
insulino-dipendenti con alterazioni vascolari, dato che il loro uso può
aumentare il rischio di eventi tromboembolici.

Gli estrogeni possono causare una ritenzione di sodio; alcune donne


presentano anche degli edemi e possono aumentare di peso in ragione di
1,5-2,5 kg. I progestinici sono anabolizzanti e quindi alcune donne
aumentano di peso perché aumenta l’appetito. Allora, se una donna
aumenta più di 4,5 kg (> 10 libbre)/anno, si deve usare un CO con un
progestinico meno potente o, se la donna ha tentato senza successo di
perdere peso, può essere necessaria la sospensione del CO.

I livelli sierici di alcuni vitamine, minerali e lipidi possono risultare


alterati durante l’assunzione dei CO. I livelli della piridossina, dell’acido
folico e della maggior parte delle altre vitamine del gruppo B, dell’acido
ascorbico, del calcio, del manganese e dello zinco diminuiscono; i livelli
della vitamina A aumentano. Il significato clinico di queste modificazioni è
sconosciuto e le donne che assumono dei CO non hanno bisogno di un
supplemento di vitamine. I livelli sierici delle lipoproteine ad alta densità
(HDL) sono ridotti dalle formulazioni con alte dosi di progestinici, ma sono,
di solito, aumentati da quelle a basse dosi. Questo effetto rappresenta
un’altra ragione per ridurre la dose dei progestinici quando possibile.

L’incidenza di colelitiasi nelle donne che usano i CO aumenta durante i


primi anni di assunzione e poi diminuisce. Quindi, i CO accelerano la
formazione di calcoli della colecisti, ma non inducono la formazione di
nuovi. Le donne che sviluppano l’ittero idiopatico ricorrente della
gravidanza (colestasi della gravidanza) possono anche diventare itteriche
in corso di trattamento con i CO e quindi non li devono usare. Sebbene
una malattia epatica in fase attiva rappresenti un’altra controindicazione
all’uso dei CO, un’epatite seguita da una guarigione completa non
costituisce una controindicazione assoluta. Se una donna ha un’anamnesi
di malattia epatica, i test di funzionalità epatica devono risultare nella
norma, prima di prescrivere i CO. Raramente insorgono adenomi epatici
benigni che possono andare incontro a rottura spontanea. L’incidenza, che
è in relazione alla durata e al dosaggio del trattamento, è stimata essere di
circa 1 caso ogni 30000-500000 persone che usano i CO. Gli adenomi, in
genere, regrediscono spontaneamente dopo la sospensione della terapia.
La trombosi delle vene epatiche con la sindrome di Budd-Chiari, si può
verificare nelle donne che fanno uso dei CO, ma non è stata stabilita una
relazione causale.

Il cloasma, simile a quello che si ha durante la gravidanza, si verifica in


alcune donne che fanno uso di CO. È accentuato dall’esposizione al sole e
scompare lentamente dopo la sospensione dei CO. Il trattamento è difficile
(v. Iperpigmentazione nel Cap. 123) e quindi i CO devono essere sospesi
non appena compare il cloasma.

Il rischio di sviluppare un cancro della mammella è leggermente


aumentato durante l’assunzione dei CO, ma diminuisce dopo la
sospensione e non risulta aumentato tra le donne che usavano i CO e che
ne hanno interrotto l’assunzione da 10 anni. Inoltre, nelle donne che
assumono o che hanno assunto dei CO, il rischio di sviluppare un cancro
della mammella avanzato è inferiore a quello delle donne di uguale età che
non li assumono. Il rischio di cancro della mammella non è ulteriormente

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Pianificazione familiare

aumentato nei sottogruppi delle pazienti ad alto rischio, come quelle con
malattie benigne del seno o con una familiarità per cancro del seno.

Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che l’incidenza del cancro


della cervice, in particolare dell’adenocarcinoma della cervice, è
aumentata nelle donne che usano i CO, particolarmente in quelle che li
hanno usati per più di 5 anni. Una relazione causale non è stata stabilita,
ma le donne che usano i CO devono eseguire un test di Papanicolaou
almeno una volta l’anno.

Benefici: numerosi studi hanno dimostrato che l’uso dei CO riduce il


rischio dei tumori letali dell’endometrio e dell’ovaio di circa il 50%; questa
riduzione del rischio persiste per almeno 10-15 anni dopo l’interruzione.
Altri benefici documentati derivanti dall’uso dei CO comprendono la minore
incidenza di sanguinamenti uterini anormali (inclusa la menorragia), di
dismenorrea, di tensione premestruale, di anemia sideropenica, di
patologia mammaria benigna e di cisti ovariche funzionali; la ridotta
incidenza di gravidanze ectopiche e di salpingiti associata all’uso dei CO
dovrebbe migliorare l’infertilità. Questi vantaggi comportano una riduzione
delle ospedalizzazioni, stimata intorno a 50000 l’anno negli USA.

Interazioni farmacologiche: anche se gli ormoni sessuali sintetici


possono ritardare la biotrasformazione di alcuni farmaci (p. es., la
meperidina) a causa della competizione del substrato, tale interferenza non
è clinicamente importante. Alcune sostanze (p. es., i barbiturici, la
ciclofosfamide, la rifampicina) possono interferire clinicamente con l’azione
dei CO, inducendo la produzione di enzimi epatici che accelerano la loro
biotrasformazione, convertendo gli ormoni in metaboliti dotati di una
maggiore polarità e di una minore attività biologica. È stata riportata
un’incidenza relativamente elevata di insuccesso dei CO nelle donne che
assumono la rifampicina e quindi questi 2 farmaci non vanno somministrati
contemporaneamente. I dati clinici riguardanti il fallimento dei CO nelle
donne che assumono altri antibiotici (p. es., la penicillina, l’ampicillina, i
sulfamidici) e altri farmaci (p. es., la fenitoina, il fenobarbitale) sono basati
su riscontri aneddotici e sono quindi meno chiari. Comunque, quando
vengono prescritte dosi terapeutiche di antibiotici, può essere consigliabile
l’uso di un metodo di barriera in aggiunta ai CO. Le donne affette da
epilessia e che assumono anticonvulsivanti, devono usare formulazioni con
50 µg di estrogeni, poiché presentano un’aumentata incidenza di
sanguinamenti anomali con le formulazioni contenenti dosi minori di
estrogeni.

Inizio del trattamento con i CO: tutte le donne devono essere visitate
prima di iniziare la terapia con i CO, dopo 3 mesi (per vedere se la PA si è
modificata) e, successivamente, almeno una volta all’anno. Quando
l’anamnesi personale o familiare suggerisce un aumentato rischio di
diabete mellito o di malattie cardiovascolari su base arteriosclerotica, si
devono eseguire una glicemia a distanza di 2 ore dal pasto e un profilo
lipidico completo. Se la glicemia o la lipemia sono anormali, si possono
utilizzare CO a basso dosaggio, ma questi parametri metabolici devono
essere controllati ad ogni visita per essere sicuri che non divengano
alterati. Ad ogni controllo si devono eseguire una visita ginecologica e un
esame delle mammelle e il fegato deve essere palpato. Si devono, inoltre,
controllare la PA e il peso ed eseguire annualmente un test di
Papanicolaou.

Uso dei CO dopo la gravidanza: dopo un aborto, l’ovulazione, di solito, si


verifica tra la 2a e la 4a sett. e, generalmente, precede la prima
mestruazione. La prima mestruazione dopo un parto a termine, in una
madre che non allatta, è, di solito, anovulatoria, ma a volte si può verificare
l’ovulazione dopo 4 o 5 sett. dal parto. Le mamme che allattano, in genere,

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Pianificazione familiare

non ovulano prima della 10a-12a sett. dopo il parto, ma possono ovulare
prima della prima mestruazione. Dopo l’aborto, spontaneo o indotto, di un
feto di meno di 12 sett. di gestazione, la somministrazione di CO può
essere iniziata immediatamente. Dopo l’interruzione di una gravidanza, tra
la 12a e la 28a sett., la somministrazione di CO va procrastinata di una sett.
Poiché il rischio di tromboembolie è normalmente aumentato dopo il parto
e può essere aumentato dall’uso dei CO, le donne che hanno partorito
dopo la 28a sett. di gestazione e che non stanno allattando, dovrebbero
aspettare 2 sett. prima di iniziare l’assunzione dei CO. Durante
l’allattamento i CO, che contengono estrogeni, riducono la quantità di latte
prodotto e la sua concentrazione di proteine e di grassi. Pertanto, i CO
combinati non sono indicati per le madri che allattano; si devono usare
preparati con i soli progestinici.

Iniezioni di progestinici

Il medrossiprogesterone acetato depot (DMPA), la formulazione del


medrossiprogesterone acetato iniettabile e a lunga azione (MPA), è una
sospensione cristallina di questo ormone. La dose efficace di
contraccettivo è di 150 mg q 3 mesi, somministrata per iniezione profonda
nei muscoli gluteo o deltoide, da cui il progestinico viene rilasciato
lentamente nella circolazione sistemica. L’area non deve essere
massaggiata, in modo che il farmaco sia rilasciato lentamente e mantenga
la sua efficacia contraccettiva per almeno 4 mesi.

Il DMPA è estremamente efficace; la percentuale di gravidanze a 1 anno è


solo dello 0,1% e a 2 anni la percentuale cumulativa di gravidanze è
dello 0,4%. I livelli sierici di MPA variano tra le donne, ma dopo l’iniezione
risalgono stabilmente ai livelli ematici efficaci per la contraccezione
(> 0,5 ng/ml) in 24 h e, dopo un plateau di 3 mesi, gradualmente si
riducono. La prima iniezione deve essere eseguita durante i primi 5 gg del
ciclo mestruale per prevenire l’ovulazione. Se l’intervallo tra le iniezione è
> 13 sett., il medico deve sincerarsi che la paziente non sia gravida prima
della somministrazione del farmaco.

A causa dell’intervallo di tempo necessario a eliminare il DMPA dalla


circolazione, la ripresa dell’ovulazione è ritardata di un periodo variabile,
fino a 1 anno dopo l’ultima iniezione. Dopo questo iniziale ritardo, la fertilità
ritorna a livelli simili a quelli che si hanno dopo la sospensione di un
contraccettivo di barriera. Alle donne che stanno prendendo in
considerazione questo metodo di contraccezione bisogna dire che può
avere una durata d’azione molto lunga.

Il principale effetto collaterale del DMPA è la completa alterazione del ciclo


mestruale. Nei 3 mesi dopo la prima iniezione, circa il 30% delle donne è
amenorroico e un altro 30% ha un sanguinamento irregolare e delle perdite
ematiche per > 11 gg ogni mese. Il sanguinamento è, di solito, modesto e
non causa un’anemia. Con la terapia continua, l’incidenza del
sanguinamento diminuisce progressivamente, mentre l’incidenza
dell’amenorrea aumenta costantemente, cosicché alla fine dei 2 anni, circa
il 70% delle donne in trattamento con il DMPA è amenorroico.

Solitamente, le donne aumentano di peso, da 1,5 a 4 kg durante il primo


anno di terapia con il DMPA e continuano ad aumentare di peso anche in
seguito; ma, l’aumento di peso può non essere correlato all’uso del DMPA.
Alle donne che usano il DMPA e che aumentano di peso deve essere
consigliato di ridurre l’apporto calorico e di aumentare il dispendio
energetico.

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Pianificazione familiare

Sebbene lo sviluppo di cefalee sia il più frequente problema medico


riportato da coloro che usano il DMPA e una frequente ragione per la sua
sospensione, nessuno studio comparativo suggerisce che l’uso del DMPA
aumenta l’incidenza o la gravità della cefalea da tensione o dell’emicrania.

Poiché il DMPA non contiene estrogeni, nessuna alterazione dei fattori


ematici della coagulazione, o dei livelli di angiotensina, è associata al suo
uso. A differenza dei CO, il DMPA non è stato associato con un’aumentata
incidenza di ipertensione o di tromboembolia. Il leggero peggioramento
nella tolleranza al glucoso tra le donne che usano il DMPA, non ha
probabilmente alcun significato clinico e la tolleranza al glucoso ritorna a
valori normali dopo l’interruzione del DMPA. Sebbene le modificazioni a
carico dei lipidi con l’uso del DMPA non siano benefiche, non ci sono prove
che esse accelerino l’aterosclerosi.

Si sta valutando l’effetto riportato del DMPA sulla ridotta densità ossea in
studi longitudinali a lungo termine.

Il DMPA, come gli altri ormoni contraccettivi, non sembra accrescere il


rischio globale di sviluppare un cancro della mammella. Tra le donne che
usano il DMPA, il rischio di sviluppare un cancro dell’endometrio è
significativamente ridotto, ma il rischio di sviluppare un cancro dell’ovaio o
un cancro invasivo della cervice non è modificato.

L’uso del DMPA riduce il rischio di sviluppare un’anemia sideropenica e


una malattia infiammatoria della pelvi. Nelle donne affette da una malattia
delle cellule falciformi, il DMPA migliora i parametri ematologici e riduce
l’incidenza dei problemi clinici.

Impianti sottocutanei

Le capsule di polisiloxano contenenti il levonorgestrel vengono posizionate


nel sottocute del braccio attraverso una piccola incisione; questa
procedura ambulatoriale richiede solo un’anestesia locale. Sei capsule
vengono inserite con un trocar da 10, disponendole a ventaglio, per
ottenere livelli di levonorgestrel circolante sufficientemente alti da
raggiungere l’efficacia contraccettiva. L’incisione guarisce senza sutura. Il
farmaco inibisce l’ovulazione e determina un ispessimento del muco
cervicale, prevenendo la penetrazione dello sperma. Le capsule rimangono
in sede e sono efficaci per 5 anni, con un’incidenza globale di gravidanze
di circa l’1% a 5 anni.

I principali effetti collaterali sono costituiti da un sanguinamento uterino


irregolare e dall’amenorrea, che possono richiedere la rimozione delle
capsule, così come la cefalea e l’aumento ponderale. Con una consulenza
appropriata, molte donne scelgono di continuare a usare questo metodo
contraccettivo dopo 5 anni ma, poiché le capsule non sono biodegradabili,
debbono essere rimosse e sostituite. La tecnica della rimozione è simile al
posizionamento, ma più difficoltosa a causa della fibrosi che si sviluppa
intorno alle capsule. Con la rimozione si ha l’immediato ripristino della
normale funzione ovarica e della fertilità.

Contraccezione d'emergenza

La contraccezione d’emergenza si riferisce all’uso di ormoni entro 72 h da


un singolo coito non protetto, a metà del ciclo. All’inizio, venivano

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somministrate delle elevate dosi di estrogeni per 5 gg. Questo trattamento


era efficace, ma gli effetti collaterali erano frequenti. Due compresse di un
CO contenente etinilestradiolo 50 µg e norgestrel, 0,5 mg, seguite da altre
due compresse 12 h più tardi sono efficaci quanto gli estrogeni ad alte dosi
e hanno minori effetti collaterali. Questo regime è il metodo di
contraccezione di emergenza più frequentemente usato. La percentuale di
gravidanza è di circa l’1,5%, ma il 50% delle donne lamenta nausea e
il 20% vomito. Due dosi di levonorgestrel da 0,75 mg, prese a 12 h di
distanza (senza estrogeni) o una dose di mifepristone da 600 mg (RU 486)
sono riportate essere efficaci quanto il trattamento con CO e con una
minore incidenza di effetti collaterali.

È efficace anche l’inserimento di un dispositivo intrauterino (IUD) entro 5 o


10 gg da un singolo rapporto sessuale a metà del ciclo, con una
percentuale di gravidanze dello 0,1%, ma l’elevato costo del IUD limita il
suo uso per la contraccezione di emergenza.

Dispositivi intrauterini

Solo un milione circa di donne, negli USA, usano dei IUD per la
contraccezione, anche se sono molto efficaci. Il IUD presenta alcuni
vantaggi rispetto ai CO: il suo effetto è limitato all’apparato genitale della
donna e l’inserimento richiede soltanto una decisione contraccettiva da
parte della paziente.

Solo 2 tipi di IUD sono attualmente in commercio negli USA: il IUD a


rilascio di progesterone, che deve essere inserito annualmente, e il T380A,
che contiene rame e che è efficace per almeno 10 anni. Con il IUD al
rame, la percentuale cumulativa di gravidanze a 10 anni è < 2%, simile a
quella della sterilizzazione femminile. Le percentuali di interruzione dell’uso
del IUD al rame sono più alte nel primo anno (ma pari al 10-15% delle
pazienti che ricevono una consulenza adeguata) rispetto agli anni
successivi.

Di solito viene raccomandato di inserire il IUD durante le mestruazioni, ma


può essere inserito in qualsiasi momento del ciclo, purché la donna non sia
gravida. Deve essere inserito in alto, sul fondo della cavità uterina per
essere efficace.

L’inserimento del IUD causa una contaminazione batterica della cavità


endometriale, che determina una reazione infiammatoria da corpo
estraneo e attrae i neutrofili. La cavità endometriale, di solito, ritorna sterile
in 24 h, ma l’infiammazione persiste. I prodotti del catabolismo dei neutrofili
sono tossici per lo sperma e questa azione spermicida previene la
fecondazione. La reazione infiammatoria cessa quando il IUD viene
rimosso. L’incidenza mensile del concepimento, nel primo anno dopo la
rimozione di un IUD, è la stessa di quando si interrompe l’uso del
profilattico o del diaframma; dopo un anno il 90% delle donne che
desiderano iniziare una gravidanza vi riesce.

Effetti collaterali e complicanze: i sanguinamenti e il dolore sono le


principali ragioni mediche che inducono alla rimozione di un IUD, essendo
responsabili di oltre il 50% delle interruzioni; questi problemi si verificano
all’incirca nel 15% delle donne durante il primo anno e nel 7% durante il
secondo anno di uso.

La percentuale delle espulsioni per la maggior parte dei dispositivi è


maggiore durante il primo anno (circa il 10%) e si verifica, in massima
parte, nei primi mesi dopo l’inserimento. La percentuale di espulsione è più

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Pianificazione familiare

alta nelle donne giovani e nelle nulligravide. Se si inserisce un nuovo IUD


ci sono buone possibilità che esso venga trattenuto. Circa il 20% delle
espulsioni avviene senza che la paziente se ne renda conto e può essere
seguito da una gravidanza indesiderata; quindi, deve essere attaccato un
filo di plastica al IUD, in modo che la donna possa controllarne
periodicamente la posizione.

La perforazione dell’utero è un problema potenzialmente grave, ma poco


comune, che si verifica durante il posizionamento (1 ogni
1000 posizionamenti coi dispositivi attualmente in uso). A volte soltanto la
porzione distale del IUD penetra nella muscolatura dell’utero durante
l’inserimento; nei mesi successivi, le contrazioni uterine lo spingono nella
cavità peritoneale. Si deve sempre sospettare una perforazione quando la
donna non riesce a sentire il filo, ma non ha notato l’espulsione del IUD.
Se non si riesce a visualizzare il dispositivo o il filo durante la visita
ginecologica, si deve sondare la cavità uterina (a meno che non si sospetti
una gravidanza). Se il IUD non viene localizzato con l’isterometro o con
uno strumento da biopsia, si deve eseguire un’ecografia. Se il IUD non si
vede, una rx dell’addome deve essere eseguita per essere certi che il IUD
non sia nella cavità peritoneale. Tutti i dispositivi che si trovano all’interno
della cavità peritoneale devono essere rimossi perché possono causare
aderenze intestinali (specialmente il IUD in rame). La laparoscopia è il
metodo preferito per la rimozione.

La contaminazione batterica della cavità uterina che si verifica al


momento dell’inserimento, si risolve di solito dopo 24 h. I fili del IUD non
rappresentano un tramite per l’ingresso di batteri all’interno dell’utero.
Tuttavia, non si deve applicare un IUD in una donna che abbia i segni
clinici di una cervicite, perché il posizionamento causerebbe l’introduzione
di batteri patogeni addizionali. Le infezioni pelviche che si verificano dopo
che un IUD è stato inserito da 30 giorni o più, sono trasmesse
sessualmente e non sono causate dal IUD; possono essere trattate senza
rimuovere il dispositivo a meno che l’infezione non sia grave o che la
donna non sia gravida. Anche se le portatrici di un IUD hanno un’incidenza
di salpingite clinica 3 volte maggiore rispetto alle donne che non lo usano,
un aumentato rischio con il IUD al rame si ha soltanto durante i primi
4 mesi dopo l’inserimento ed è dovuto alla contaminazione batterica
avvenuta durante l’applicazione. Poiché il rischio di infezione dopo
l’inserimento di un IUD è basso, la profilassi antibiotica sistemica al
momento dell’inserimento non è vantaggiosa dal punto di vista economico.

L’incidenza di difetti congeniti nei bambini nati da madri con un IUD in


sede, al rame o al progesterone, non è superiore a quella della
popolazione generale; l’incidenza di morte fetale non è aumentata, mentre
lo è significativamente quella dell’aborto spontaneo (circa il 55%). Se una
donna diventa gravida con un IUD in sede e desidera portare avanti la
gravidanza e il filo è visibile, si deve rimuovere il dispositivo poiché la
percentuale degli aborti si riduce di circa il 20% una volta asportato il IUD.
Il IUD non si trova all’interno del sacco amniotico, poiché l’impianto non si
verifica vicino al dispositivo. Se il filo non è visibile, la localizzazione del
IUD può essere determinata con un’ecografia. L’incidenza delle gravidanze
settiche non è aumentata tra le donne che concepiscono con qualcuno dei
IUD correntemente in commercio (tutti costituiti da un monofilamento) in
sede. Se il IUD rimane nell’utero e la gravidanza va avanti con un feto
vitale, il rischio di un parto pre-termine è aumentato di 3-4 volte.

Entrambe le gravidanze intrauterina ed extrauterina (ectopica) sono


efficacemente prevenute da un IUD al rame, perché le possibilità di un
concepimento sono basse. La percentuale di gravidanze ectopiche con un
IUD al rame è di circa lo 0,1% nel primo anno di uso e diminuisce negli
anni successivi. Tuttavia, tra le donne che diventano gravide con un IUD al
rame in sede, l’incidenza di gravidanze ectopiche è di circa il 5%. Il IUD

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Pianificazione familiare

che rilascia progesterone previene le gravidanze intrauterine, ma non


quelle ectopiche. Dopo un aborto indotto per il fallimento con un tipo o
l’altro di IUD, il contenuto dell’utero deve essere esaminato istologicamente
per accertare se la gestazione era intrauterina.

Vari studi epidemiologici hanno dimostrato che non c’è un aumento del
rischio di adenocarcinoma dell’endometrio o di carcinoma cervicale con
l’uso di un IUD.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 246-1. CONTROINDICAZIONI ALL’USO


DEI CONTRACCETTIVI ORALI

Assoluta Relativa
Fumo dopo i 35 anni Depressione

Gravidanza Emicrania

Epatopatia acuta Amenorrea da causa


non diagnosticata
Ipertensione incontrollata
Tabagismo importante
Diabete mellito con alterazioni nelle donne <35anni
vascolari

Immobilizzazione prolungata di
un arto inferiore

Storia di eventi tromboembolici,


tromboflebite, coronaropatia,
ictus, neoplasie estrogeno-
dipendenti, adenoma epatico o
ittero colestatico della gravidanza

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Embolia polmonare

Manuale Merck

6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

72. EMBOLIA POLMONARE

Improvvisa localizzazione di un coagulo di sangue in un'arteria polmonare con


conseguente ostacolo all'apporto di sangue al parenchima polmonare.

Sommario:

Eziologia e fisiopatologia
Fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi e diagnosi differenziale
Prognosi
Profilassi
Terapia

Eziologia e fisiopatologia

Il tipo più comune di embolia polmonare è un trombo migrato comunemente da


una vena degli arti inferiori o della pelvi. La maggior parte di quelli che causano
gravi conseguenze emodinamiche si origina a livello di una vena ileofemorale o
ex novo o per propagazione da trombi delle vene del polpaccio. Le
tromboembolie si originano raramente dalle vene delle braccia o dalle cavità
cardiache destre.

Una volta immesse nel circolo venoso, le tromboembolie si distribuiscono in


entrambi i polmoni in circa il 65% dei casi, al polmone destro nel 25% dei casi e
al polmone sinistro nel 10% dei casi. I lobi inferiori sono coinvolti quattro volte più
frequentemente dei lobi superiori. La maggior parte delle tromboembolie si
localizza nelle arterie polmonari di grosso e di medio calibro (elastiche o
muscolari); il 35% o meno raggiunge le arterie di piccolo calibro.

Sono cause più rare gli emboli di grasso, che si possono formare dopo fratture
ossee, e gli emboli di liquido amniotico. Questi ostruiscono primariamente la
microcircolazione polmonare (arteriole e capillari piuttosto che arterie polmonari),
il che può comportare lo sviluppo della sindrome da distress respiratorio
dell'adulto (v. Cap. 67). Per la descrizione dell'embolia di aria e di gas, v.
Cap. 129 e 285.

L'embolia polmonare (EP) acuta è un processo dinamico. I trombi cominciano a


lisarsi immediatamente dopo aver raggiunto il polmone. Di solito, la completa lisi
si realizza in diverse settimane in assenza di preesistente patologia
cardiorespiratoria; in certi casi, trombi anche grossi possono lisarsi in alcuni
giorni. Le alterazioni funzionali diminuiscono nel giro di ore o giorni, man mano
che migliora il circolo polmonare. Tuttavia, emboli massivi possono invece
portare a morte nel giro di pochi minuti od ore, prima che un infarto abbia tempo
di svilupparsi. Raramente, gli episodi embolici ricorrono nel giro di mesi o anni,
causando una progressiva ostruzione arteriosa polmonare con ipertensione
polmonare cronica, dispnea ingravescente e cuore polmonare.

La patogenesi della trombosi venosa è trattata nel Cap. 212. Il rischio è


aumentato nei soggetti affetti da alcuni disturbi ematologici, in quelli immobilizzati

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Embolia polmonare

e in quelli sottoposti a chirurgia dell'anca o a sostituzione protesica del ginocchio.


In molti pazienti possono anche non rilevarsi fattori predisponenti.

Fisiopatologia

Le alterazioni fisiopatologiche che si hanno in seguito all'EP comprendono turbe


della emodinamica, degli scambi gassosi e della meccanica polmonare.
L'alterazione della funzione cardiorespiratoria è proporzionale all'estensione
dell'ostruzione, che varia con la dimensione e il numero degli emboli che
ostruiscono le arterie polmonari e con le condizioni cardiorespiratorie precedenti
l'embolia del paziente. Le modificazioni fisiopatologiche che ne risultano possono
comprendere l'ipertensione polmonare con insufficienza ventricolare destra e
shock, la dispnea con tachipnea e iperventilazione, l'ipossiemia arteriosa e
l'infarto polmonare.

L'ipertensione polmonare è il risultato dell'aumento delle resistenze vascolari


polmonari. Di conseguenza, il ventricolo destro deve generare una maggiore
pressione arteriosa polmonare per mantenere una normale gittata cardiaca.
Sebbene un certo grado di ipertensione polmonare possa manifestarsi dopo ogni
EP, un'ipertensione polmonare significativa (pressione media > 25 mm Hg) si
osserva di solito in un polmone, precedentemente sano, solo quando viene
occluso più del 30-50% dell'albero arterioso polmonare. Si può avere un ulteriore
aumento dell'ipertensione polmonare in presenza di preesistenti affezioni
cardiorespiratorie (p. es., stenosi mitralica o COPD). La pressione sistolica
arteriosa polmonare può innalzarsi fino a 100 mm Hg durante l'embolia acuta, ma
può raggiungere solo i 70-80 mm Hg se si sviluppa un'insufficienza tricuspidale
rilevante. Pressioni più alte sono riscontrabili più frequentemente nei pazienti con
affezioni cardiorespiratorie preesistenti rispetto a quelli con storia clinica negativa.

Il meccanismo primario dell'aumentata resistenza è l'ostruzione dell'arterie


polmonari da parte dei trombi, cioè una riduzione dell'area totale della sezione
trasversa del letto vascolare polmonare. La vasocostrizione polmonare sembra
giocare un ruolo significativo ma secondario. La vasocostrizione è parzialmente
mediata dall'ipossiemia, dal rilascio di serotonina dalle piastrine aggregate nei
trombi e forse da altre sostanze umorali, comprese le prostaglandine.

Se le resistenze vascolari polmonari aumentano acutamente fino al punto in cui il


ventricolo destro non è in grado di generare una pressione sufficiente a
mantenere la gittata cardiaca, si sviluppa ipotensione e aumento della pressione
media venosa centrale e atriale destra. Lo shock cardiogeno si manifesta in
persone senza preesistenti malattie polmonari solo dopo EP massiva che
coinvolge almeno il 50% e solitamente il 75% o più del letto vascolare polmonare.
Con l'ipotensione grave e lo shock, la pressione venosa centrale media tende a
cadere.

La tachipnea, spesso con dispnea, compare quasi sempre dopo EP. Essa
sembra essere dovuta a stimolazione dei recettori iuxtacapillari delle membrane
alveolocapillari per effetto del rigonfiamento dello spazio interstiziale
interalveolare. Tale stimolazione incrementa l'attività vagale afferente riflessa,
che a sua volta stimola i neuroni respiratori bulbari. La conseguente
iperventilazione alveolare si manifesta con un abbassamento della PaCO2.

Dopo l'occlusione dell'arteria polmonare, si hanno aree polmonari ventilate ma


non perfuse, con conseguente ventilazione "sprecata", la caratteristica
fisiopatologica dell'EP, che contribuisce ulteriormente allo stato iperventilatorio.

La deplezione del surfattante alveolare entro alcune ore dall'evento embolico


causa una riduzione del volume e della compliance del polmone. La riduzione del
volume polmonare secondaria all'atelettasia o all'infarto dopo EP può essere
evidenziata alla rx del torace dal sollevamento del diaframma.

I volumi polmonari diminuiti e forse la ridotta Pco2 delle vie aeree possono
causare broncocostrizione e provocare sibili espiratori. L'eparina sembra ridurre

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Embolia polmonare

l'entità della broncocostrizione, come dimostra il miglioramento della velocità dei


flussi espiratori massimali. Le alterazioni della meccanica polmonare sono di
solito transitorie, di scarsa entità e pertanto di scarsa importanza nella genesi
della dispnea prolungata. Tuttavia, esse probabilmente contribuiscono allo
sviluppo dell'ipossiemia arteriosa.

L'ipossiemia arteriosa si manifesta tipicamente con una diminuzione della


saturazione arteriosa (SaO2 _ 94-85%), ma la SaO2 può essere normale.
L'ipossiemia è dovuta allo shunt destro-sinistro nelle aree di atelettasia parziale o
completa non interessate dall'embolia. Caratteristicamente, l'atelettasia può
essere corretta parzialmente con atti respiratori profondi volontari o indotti da
respiratori a pressione positiva.

Anche un alterato rapporto ventilazione/perfusione (/) contribuisce probabilmente


all'ipossiemia. I meccanismi responsabili dell'alterato rapporto / e dell'atelettasia
non sono ben definiti. Nell'EP massiva, una grave ipossiemia può risultare
dall'ipertensione atriale destra che comporta uno shunt destro-sinistro di sangue
attraverso un foramen ovale pervio. Una bassa tensione venosa di O2 può anche
contribuire allo sviluppo di una ipossiemia arteriosa.

L'infarto polmonare (IP) è un consolidamento emorragico (spesso seguito da


necrosi) del parenchima polmonare. Esso non si verifica nella maggior parte delle
embolie polmonari. Quando la circolazione bronchiale è integra e normale,
raramente si sviluppa un IP (10% dei casi). Un circolo arterioso bronchiale
collaterale mantiene probabilmente adeguata la vitalità del tessuto polmonare
nonostante l'assenza del flusso arterioso polmonare. Tuttavia, i pazienti con
alterata circolazione polmonare sono predisposti all'IP. L'IP è talvolta una
conseguenza della trombosi in situ delle arterie polmonari, come può accadere
nelle cardiopatie congenite associate a grave ipertensione polmonare o in
disordini ematologici (p. es., anemia falciforme). Gli infarti possono risolversi con
il riassorbimento e la fibrosi, residuandone una cicatrice lineare, o possono
riassorbirsi completamente, lasciando un normale tessuto polmonare (infarto
incompleto)

Sintomi e segni

Le manifestazioni cliniche dell'EP non sono specifiche e variano per frequenza e


intensità, a seconda dell'entità dell'occlusione vascolare polmonare, della
funzione cardiopolmonare preembolica e dello sviluppo di IP. Piccole
tromboembolie possono essere asintomatiche.

Le manifestazioni dell'EP di solito si sviluppano repentinamente nel giro di minuti;


quelle dell'IP nel giro di ore. Spesso durano parecchi giorni, in rapporto alla
velocità di lisi del coagulo e ad altri fattori, ma di solito si riducono di intensità
giorno dopo giorno. Nei pazienti con microembolia polmonare cronica ricorrente, i
sintomi e i segni di cuore polmonare cronico tendono a svilupparsi
insidiosamente nel giro di settimane, mesi o anni.

L'embolia senza infarto causa dispnea. La tachipnea è un aspetto regolarmente


presente, spesso di notevole entità. L'ansia e l'irrequietezza possono essere
rilevanti.

L'ipertensione polmonare, se di grave entità, può causare una sofferenza


toracica retrosternale sorda dovuta alla distensione dell'arteria polmonare o
all'eventuale ischemia miocardica. Si può accentuare la componente polmonare
del secondo tono sui focolai della base o si possono sdoppiare le componenti
aortica e polmonare del 2° tono, ma con minore sdoppiamento durante
l'inspirazione. Se l'EP è massiva, può comparire una disfunzione acuta del
ventricolo destro, con distensione delle vene del collo e fremito del VD, galoppo
presistolico (S4) o protodiastolico (S3), talora con ipotensione arteriosa e segni di
vasocostrizione periferica. Un numero significativo di pazienti si può presentare
con sensazione di mancamento, sincope, convulsioni e deficit neurologici, di

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Embolia polmonare

solito come manifestazione di una caduta transitoria della gittata cardiaca con
ischemia cerebrale secondaria. La cianosi di solito si manifesta solo nei pazienti
con EP massiva. Un piccolo embolo nella periferia di un polmone può causare
infarto senza ipertensione polmonare.

I reperti obiettivi del polmone risultano di solito normali in assenza di IP. Talvolta
si possono auscultare sibili, specialmente in presenza di patologia
broncopolmonare o cardiaca.

I segni che possono indicare IP comprendono tosse, emottisi, dolore toracico di


tipo pleuritico, febbre, segni di addensamento polmonare o di versamento
pleurico e, talora, sfregamenti pleurici.

Diagnosi e diagnosi differenziale

La diagnosi di EP con o senza IP è spesso difficile da stabilire senza l'uso di


metodiche speciali; le più importanti sono la scintigrafia polmonare perfusionale
con radioisotopi e l'arteriografia polmonare. Nei pazienti con embolia polmonare
massiva, la diagnosi differenziale si pone nei confronti dello shock settico,
dell'IMA e del tamponamento cardiaco. In assenza di infarto, i sintomi e i segni
clinici del paziente possono essere attribuiti a uno stato di ansia con
iperventilazione, a causa della scarsità dei reperti obiettivi polmonari. In caso di
IP, la diagnosi differenziale si pone nei confronti della polmonite, dell'atelettasia,
dello scompenso cardiaco e della pericardite. Di seguito viene indicato un
approccio sistematico per porre una diagnosi definitiva.

In assenza di infarto, la rx del torace può essere normale o possono essere


notati segni di diminuita vascolarizzazione polmonare nelle aree sede di embolia.
In caso di infarto, la rx mostra frequentemente un addensamento periferico, che
spesso coinvolge l'angolo costofrenico, con sollevamento del diaframma e
versamento pleurico dal lato interessato. La dilatazione delle arterie polmonari
nella zona ilare, della vena cava superiore o della vena azygos sono segni di
ipertensione polmonare e di sovraccarico ventricolare destro. Poiché le
modificazioni dell'ECG sono tipicamente transitorie, tracciati ripetuti sono
spesso di aiuto per diagnosticare o escludere l'IMA. Le alterazioni osservate più
spesso nell'EP sono rappresentate dall'onda P polmonare, dal blocco di branca
destra, dalla deviazione assiale destra e dalle aritmie sopraventricolari.

Le determinazioni degli enzimi sierici mancano di sensibilità e specificità e


raramente sono utili per la diagnosi. La triade costituita dall'aumento dei livelli
sierici di LDH e di bilirubina con normale AST si ha in < 15% dei pazienti con EP
e IP acuti. Un aumento dell'LDH può verificarsi nell'85% dei pazienti con IP, ma
manca di specificità, osservandosi anche nello scompenso cardiaco, nello shock,
nella gravidanza, in affezioni renali ed epatiche, nell'anemia, nella polmonite e
nel carcinoma, oltre che dopo interventi chirurgici. I livelli ematici dei prodotti di
degradazione della fibrina, come il d-dimero, possono aumentare dopo EP, sia
che si verifichi o meno l'IP. Comunque, la specificità è bassa perché i falsi positivi
sono frequenti e i livelli sono alti in altre condizioni, come nel periodo
postoperatorio. Estrema attenzione è stata raccomandata nell'uso del dosaggio
del d-dimero perché gli studi sono limitati. Alcuni gruppi scientifici suggeriscono
che quando il sospetto clinico è basso, un normale d-dimero aumenta la
probabilità che una tromboembolia non sia presente.

La scintigrafia polmonare perfusionale utilizza l'iniezione EV di particelle di


albumina biodegradabile marcata con tecnezio 99m con diametro di 20-50 mm.
Tali particelle si vanno a localizzare nelle piccole arteriole precapillari di entrambi
i polmoni. Circa il 100% delle particelle rimane nei polmoni a meno che non sia
presente uno shunt destro-sinistro a livello cardiaco o polmonare. La
distribuzione regionale di tali particelle è relativamente omogenea nelle persone
sane, ma dipende dalla posizione del paziente e dalla distribuzione del flusso
ematico polmonare al momento dell'iniezione. La radioattività rilevabile è
massima alla base e si riduce gradualmente fino all'apice, riflettendo gli effetti
gravitazionali sulla perfusione quando il paziente è seduto. Deficit di perfusione,

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Embolia polmonare

con radioattività ridotta o assente, possono verificarsi in caso di ostruzione


vascolare, di spostamento di un polmone da versamento pleurico, di masse del
torace e di ogni condizione che causa ipertensione polmonare arteriosa o venosa
o perdita di parenchima polmonare come nell'enfisema polmonare. Deficit di
perfusione basali, nei quali la radioattività non è concentrata alle basi polmonari,
possono svilupparsi in assenza di EP; questi possono essere causati da
qualunque processo che comporti un aumento della pressione venosa polmonare
(p. es., uno scompenso cardiaco, una patologia mitralica o una patologia
occlusiva venosa), che può ridistribuire il flusso ematico polmonare.

Una scintigrafia normale esclude un'EP potenzialmente letale con un alto grado
di accuratezza. Viceversa, difetti marginali di aspetto cuneiforme singoli o
multipli, specialmente se a distribuzione segmentale o lobare, sono altamente
suggestivi di un'ostruzione vascolare. Le patologie acute delle vie aeree,
compresi l'asma o la COPD possono produrre un quadro di deficit perfusionali
localizzati, ma questi deficit sono tipicamente accompagnati da un
corrispondente difetto della ventilazione polmonare che non si riscontra
abitualmente nella PE.

Quando la diagnosi differenziale tra EP e COPD è difficile, può essere di aiuto la


scintigrafia polmonare ventilatoria con xenon 133. Il gas radioattivo inalato si
distribuisce con l'aria respirata. In caso di EP acuta con ampi difetti di perfusione,
la scintigrafia mostra di solito una ventilazione relativamente normale delle aree
coinvolte, con squilibri del rapporto /. Le aree interessate da un'affezione
parenchimale (p. es., la polmonite lobare) di solito mostrano alterazioni sia della
perfusione che della ventilazione (un difetto equilibrato) con una ventilazione
ritardata e un intrappolamento del gas radioattivo. Difetti equilibrati di / possono
verificarsi anche nell'edema polmonare. A volte, difetti equilibrati di / si
manifestano anche nell'EP, specialmente se la scintigrafia viene eseguita > 24 h
dopo l'evento.

I risultati della scintigrafia sono comunemente espressi in termini di gradi


crescenti di probabilità di EP e devono essere interpretati con prudenza. Se la
scintigrafia polmonare è completamente normale, si può praticamente escludere
la diagnosi di EP; se questa è classificata come altamente probabile, il valore
predittivo positivo si avvicina al 90%. Tuttavia, sebbene praticamente tutti i
pazienti con EP hanno delle scintigrafie anormali, < 50% rientra nella categoria di
alta probabilità. La valutazione clinica aiuta a stabilire se è indicata l'arteriografia
polmonare.

L'arteriografia polmonare dimostra gli emboli ed è il test diagnostico definitivo.


Deve essere eseguita se la diagnosi è dubbia e la necessità di una diagnosi certa
è urgente. I due criteri diagnostici principali per l'EP sono i difetti di riempimento
intra-arteriosi e la completa ostruzione (interruzione improvvisa) dei rami arteriosi
polmonari. Altri reperti, frequenti ma meno diagnostici, sono rappresentati
dall'ostruzione parziale di rami arteriosi polmonari, con aumento del calibro
prossimale e riduzione del calibro distale al restringimento, dalle zone poco
irrorate e dalla persistenza del mezzo di contrasto nella porzione prossimale
dell'arteria durante la fase tardiva (venosa) dell'arteriogramma. Nei segmenti
polmonari con ostruzione arteriosa, il riempimento venoso col mezzo di contrasto
è ritardato o assente.

Possono essere utili indagini diagnostiche ulteriori per stabilire la presenza o


l'assenza della malattia trombotica venosa ileofemorale, in particolare quando i
segni di embolizzazione ricorrente, nonostante la terapia anticoagulante o le
controindicazioni alla terapia anticoagulante, fanno prendere in seria
considerazione l'interruzione della vena cava inferiore (v. oltre). Per la trattazione
dell'ecografia bidimensionale, della pletismografia e della venografia con
contrasto, v. Diagnosi in Trombosi venosa nel Cap. 212.

Prognosi

La mortalità dopo il primo evento tromboembolico varia in rapporto all'estensione

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Embolia polmonare

dell'EP e alle condizioni cardiorespiratorie preesistenti del paziente. La


probabilità che un paziente con una marcata compromissione della funzione
cardiorespiratoria muoia dopo un'EP rilevante è alta (probabilità > 25%). Tuttavia,
è improbabile che un paziente in normali condizioni cardiorespiratorie giunga a
morte, a meno che l'occlusione non interessi più del 50% del letto vascolare
polmonare. Quando l'evento embolico iniziale è fatale, la morte è spesso
improvvisa e sopraggiunge entro 1 o 2 h.

La probabilità di un'embolia recidivante in un paziente non trattato è di circa


il 50% e quasi la metà di queste recidive sono fatali. La terapia anticoagulante
riduce la frequenza delle recidive al 5% circa; solo il 20% circa di esse avrà esito
fatale.

Profilassi

In vista delle limitazioni del trattamento, la profilassi è molto importante. La scelta


e l'intensità delle misure preventive sono determinate dai fattori clinici che
favoriscono la stasi venosa e le tromboembolie (v. Tab. 72-1).

La somministrazione di eparina a basse dosi (LDUH, LMWH) è efficace nel


ridurre l'incidenza delle trombosi venose profonde (TVP) (del polpaccio) e dell'EP
in pazienti che si sottopongono a interventi di chirurgia maggiore in elezione. A
un livello ematico di circa 1/5 di quello richiesto per prevenire della estensione del
trombo, l'eparina attiva l'antitrombina III in modo sufficiente a inibire il fattore Xa,
necessario per la conversione della protrombina in trombina nelle prime fasi del
processo coagulativo. Questa azione previene l'avvio della formazione del
coagulo, ma è inefficace una volta che il fattore Xa sia stato attivato e sia già
avviato il processo coagulativo.

Sia l'LDUH che l'LMWH sono somministrate SC e il monitoraggio di laboratorio


non è necessario. Sebbene gli studi randomizzati controllati con placebo non
dimostrino un significativo aumento dei sanguinamenti importanti, l'incidenza
degli ematomi delle ferite è aumentata con entrambi. Di solito si somministra
LDUH preoperatoriamente (5000 U SC) 2 h prima e poi q 8-12 h per 7-10 gg o
finché il paziente non sia normalmente deambulante. Tra i preparati di LMWH, la
dalteparina (anti-fattore Xa IU) può essere somministrata alla dose di 2500 U una
volta la giorno e l'enoxiparina è solitamente prescritta alla dose di 30 mg bid.

Dosi individualizzate di warfarin sono efficaci nella prevenzione della TVP. Il


warfarin può essere somministrato a una dose fissa di 2 mg/die o a una dose
individualizzata per prolungare di poco il tempo di protrombina (INR tra 1,5 e 2,0).

I dispositivi di IPC realizzano una compressione esterna solo alle gambe o alle
gambe e alle cosce. La loro efficacia è approssimativamente equivalente a quella
dell'LDUH nel ridurre l'incidenza di TVP in chirurgia generale ma è inadeguata
nella chirurgia dell'anca o del ginocchio.

Le calze elastiche graduate riducono l'incidenza della TVP, ma l'effetto


protettivo sulla TVP prossimale e sull'EP è incerto. Comunque, l'associazione
delle calze elastiche con le altre misure di prevenzione può offrire una migliore
protezione contro le tromboembolie venose che ciascun presidio da solo.

Particolari considerazioni riguardanti la profilassi assumono importanza in alcune


condizioni con alta incidenza di tromboembolie venose, come la frattura dell'anca
e la chirurgia ortopedica degli arti inferiori (v. Tab. 72-2). Sia l'LDUH che l'aspirina
sono inadeguate per la chirurgia della frattura dell'anca o di sostituzione
protesica dell'anca; sono raccomandate l'LMWH o dosi individualizzate di
warfarin. Per la sostituzione protesica completa del ginocchio, la riduzione del
rischio apportata dall'LMWH e dalla IPC sono confrontabili e l'associazione deve
essere presa in considerazione per i pazienti con altri fattori di rischio. Gli schemi
preventivi per la chirurgia ortopedica possono essere iniziati preoperatoriamente
e devono essere continuati per almeno 7-10 giorni nel postoperatorio. In pazienti
selezionati a rischio molto elevato sia per tromboembolia che per il

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Embolia polmonare

sanguinamento, una misura preventiva alternativa è l'interruzione della vena


cava inferiore con il posizionamento di un filtro.

Un'alta incidenza di tromboembolie è anche associata con gli interventi


neurochirurgici di elezione, con le lesioni acute del midollo spinale e con i traumi
multipli. Anche se i metodi fisici (IPC, calze elastiche) sono stati usati nei pazienti
neurochirurgici per il timore del sanguinamento intracranico, l'LMWH sembra
essere un'alternativa valida. L'associazione della IPC con l'LMWH può essere più
efficace di ciascun singolo presidio nei pazienti ad alto rischio. Sono limitati i dati
che sostengono l'associazione della IPC, delle calze elastiche e dell'LMWH nelle
lesioni del midollo spinale o nei traumi multipli. Per i pazienti ad altissimo rischio,
può essere necessaria l'interruzione della vena cava inferiore.

Le più comuni condizioni internistiche, nelle quali è indicata la profilassi, sono


l'IMA e l'ictus ischemico. Per i pazienti affetti da IMA, l'LDUH è efficace e la IPC e/
o le calze elastiche possono essere utilizzate quando gli anticoagulanti sono
controindicati. L'LDUH o l'LMWH possono essere utilizzate in pazienti con ictus;
la IPC e/o le calze elastiche possono essere di beneficio.

Altre indicazioni internistiche comprendono l'LDUH per i pazienti con scompenso


cardiaco; dosaggi individualizzati di warfarin (INR 1,3-1,9) per le pazienti con
metastasi da cancro della mammella e warfarin 1 mg/die per i pazienti neoplastici
portatori di catetere venoso centrale.

Terapia

Evento tromboembolico iniziale: la terapia è di supporto. Vanno somministrati


analgesici se il dolore pleurico è notevole. Sebbene l'ansia costituisca spesso un
aspetto preminente, la sedazione, specialmente con barbiturici, deve essere
eseguita con cautela. La terapia con O2 è indicata quando è presente
un'ipossiemia arteriosa rilevabile (PaO2 < 60-65 mm Hg), in particolare se la
gittata cardiaca è ridotta. L'O2 va somministrato continuativamente, di solito
attraverso maschera o cannule nasali, in concentrazione sufficiente a far salire la
PaO2 e la SaO2 a livelli normali (da 85 a 95 mm Hg e dal 95 al 98%
rispettivamente) o il più vicino possibile alla norma (PaO2 _ 60 mm Hg,
SaO2 > 90%).

Nei pazienti con segni clinici indicativi di ipertensione polmonare e di cuore


polmonare acuto, specialmente in attesa delle procedure diagnostiche (p. es., la
scintigrafia o l'arteriografia polmonare), una stimolazione b-adrenergica può
aiutare a mantenere la perfusione tissutale, in virtù dell'effetto vasodilatatore
polmonare e cardiotonico. L'isoproterenolo a 2-4 mg/l in soluzione glucosata
al 5% può essere infuso a velocità sufficiente a mantenere la PA sistolica da 90 a
100 mm Hg sotto monitoraggio con ECG continuo. Anche la dopamina e la
noradrenalina sono state usate con successo nel trattamento dell'ipotensione che
complica l'EP; la norepinefrina va preferita quando la gittata cardiaca è molto
bassa. Farmaci appropriati possono essere utili nel bloccare e prevenire
tachiaritmie sopraventricolari (v. Tachicardie regolre QRS stretto nel Cap. 205).
La digitale va evitata in fase di ipossiemia acuta, a meno che non sia
assolutamente necessaria (p. es., per gravi aritmie o per scompenso cardiaco).
In caso di somministrazione di digitale EV, di solito è consigliabile una dose
iniziale modesta (da 0,25 a 0,5 mg di digossina). Nei casi nei quali si sospetta
una compromissione emodinamica con cuore polmonare acuto, la risposta alla
terapia può essere controllata con ripetute determinazioni dell'emogasanalisi
arteriosa e dei parametri emodinamici. Un catetere con palloncino (Swan-Ganz)
per la misurazione delle pressioni può essere utilizzato per determinare la
pressione polmonare arteriosa e di incuneamento, la saturazione e/o il contenuto
in O2 del sangue venoso misto e la gittata cardiaca con la tecnica della
termodiluizione.

Dopo EP massiva: il trattamento dopo EP massiva, specialmente se con


ipotensione o dopo EP submassiva in pazienti con preesistente patologia

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Embolia polmonare

cardiorespiratoria, può comprendere la terapia trombolitica o l'endoarteriectomia


polmonare.

La terapia trombolitica è attualmente un'alternativa all'embolectomia, in caso di


EP massiva non complicata da ipotensione o quando si riesce a mantenere la PA
sistolica intorno a 90-100 mm Hg con dosi moderate di farmaci vasopressori. La
streptochinasi, l'urochinasi e l'attivatore tissutale del plasminogeno (tPA)
aumentano la conversione del plasminogeno a plasmina, l'enzima fibrinolitico
attivo. Le controindicazioni alla terapia trombolitica sono rappresentate da:
patologia intracranica, ictus nei due mesi precedenti, emorragia in atto di
qualunque origine, diatesi emorragica preesistente (come in caso di disturbi della
funzione epatica o renale), gravidanza, ipertensione grave o accelerata
(pressione diastolica > 110 mm Hg) e intervento chirurgico nei 10 giorni
precedenti, un importante limite della terapia trombolitica.

Se il paziente è in trattamento con eparina, si deve far scendere il tempo di


tromboplastina parziale a < 2 volte rispetto al controllo prima di iniziare la terapia
fibrinolitica. Una premedicazione con idrocortisone succinato sodico alla dose di
100 mg EV ripetuta q 12 h minimizza le reazioni allergiche e pirogene alla
streptochinasi. Dopo la determinazione basale dei livelli di fibrinogeno o del
tempo di trombina, si somministrano 250000 U di streptochinasi EV in 30 min,
seguite dalla infusione continua di 100000 U/h per 24 h. Dopo 3-4 h, i livelli di
fibrinogeno devono essere nella norma e il tempo di tromboplastina parziale
attivata (APTT), il tempo di trombina o il tempo di lisi dell'euglobulina devono
essere prolungati, dimostrando la fibrinolisi. Se non vi sono cambiamenti, il
paziente è resistente alla streptochinasi e gli può essere somministrata una
terapia trombolitica alternativa. Si somministra una dose di attacco di urochinasi
EV a 4400 U/kg in un periodo di 10 min, seguita da 4400 U/kg/h per 12 h. La
maggior parte dei dati più recenti riguarda il tPA. Il tPA può essere somministrato
EV a 50 mg/h per 2 h. Se gli angiogrammi polmonari ripetuti non mostrano segni
di lisi del coagulo e nessuna complicanza emorragica preclude l'ulteriore terapia,
si possono somministrare altri 40 mg nel giro delle successive 4 h (10 mg/h).
Dopo l'infusione di un farmaco trombolitico, si deve lasciare che il APTT scenda a
1,5-2,5 volte rispetto al valore basale prima di iniziare un'infusione prolungata di
eparina, senza bolo d'attacco.

Tutti i pazienti sottoposti a terapia trombolitica presentano un aumentato rischio


di sanguinamento, specialmente dalle recenti ferite operatorie, dai siti delle
punture, dai siti delle procedure invasive e dal tratto GI. Pertanto le procedure
invasive devono essere evitate. Per bloccare il sanguinamento si rendono di
solito necessari bendaggi sotto pressione; i sanguinamenti gravi o catastrofici
richiedono l'interruzione della terapia trombolitica e la somministrazione di
plasma crioprecipitato o fresco congelato. Inoltre, l'acido aminocaproico 5 g EV e
successivamente 1 g/h per 6-8 h o fino a che il sanguinamento non cessi, può
indurre la regressione dello stato fibrinolitico.

L'embolectomia polmonare deve essere presa in considerazione quando la PA


sistolica è _ 90 mm Hg, la diuresi è _ 20 ml/h e la PaO2 è _ 60 mm Hg fino a 1 h
dopo l'EP massiva. Prima della embolectomia è fortemente consigliata la
conferma angiografica dell'EP; l'interruzione della vena cava inferiore e la terapia
eparinica EV generalmente seguono l'embolectomia. Nel caso di un arresto
cardiaco dopo EP massiva, le consuete misure di rianimazione risultano inefficaci
perché il flusso sanguigno attraverso i polmoni è ostruito. In tali circostanze, un
bypass parziale d'emergenza (venoarterioso femorale), in attesa
dell'embolectomia polmonare, può salvare la vita.

L'interruzione parziale della vena cava inferiore con un filtro va presa in


considerazione in particolari situazioni: quando gli anticoagulanti sono
controindicati, quando le embolie recidivano nonostante un'adeguata terapia
anticoagulante, per le tromboflebiti settiche della pelvi con emboli solo se gli
antibiotici e l'eparina non hanno successo e quando si esegue l'embolectomia
polmonare. Il filtro viene posizionato attraverso la cateterizzazione della giugulare
interna o attraverso le vene femorali. La posizione migliore per il filtro è appena al
di sotto dell'immissione delle vene renali. I pazienti che siano stati sottoposti a
posizionamento di un filtro cavale possono richiedere un trattamento
anticoagulante almeno per i 6 mesi seguenti al fine di trattare la TVP sottostante.

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Embolia polmonare

Prevenzione dell'ulteriore formazione ed embolizzazione dei trombi: dopo il


trattamento iniziale, la prevenzione diventa il punto focale del trattamento. Può
essere somministrata eparina EV q 4-6 h o per infusione continua EV con
pompa. Tuttavia, un disordine della coagulazione o un punto di sanguinamento
attivo sono delle controindicazioni assolute alla terapia eparinica;
l'embolizzazione settica è anch'essa solitamente una controindicazione. Le
complicanze emorragiche si riducono con l'infusione continua, che evita i picchi e
le cadute dei livelli ematici che si verificano con l'iniezione intermittente.

Dopo una dose di eparina di attacco EV rapida di 100 U/kg, l'eparina è


somministrata a un dosaggio tale da mantenere il APTT di 1,5-2 volte il valore di
controllo. Raggiungere un APTT terapeutico nelle prime 24 h è critico, perché il
non riuscirvi si associa con un'alta frequenza di tromboembolie ricorrenti. Il APTT
può essere controllato q 4 h dopo che il trattamento è cominciato e dosi
aggiuntive in bolo possono essere usate per raggiungere un adeguato APTT,
seguite dall'aggiustamento della frequenza di infusione (v. Tab. 72-3). La dose di
mantenimento per infusione continua è di solito di 10-50 U/kg/h. Una volta
stabilito il livello terapeutico, il APTT deve essere controllato solo 1 o 2 volte/die.

Il warfarin sodico per via orale può essere iniziato dal primo giorno della terapia
con eparina. Il warfarin e l'eparina vanno dati in associazione per 5-7 gg,
permettendo al warfarin di diventare efficace, finché l'INR non sia nel range
terapeutico per due giorni consecutivi. Il primo giorno si possono somministrare
10 mg di warfarin sodico, modificando il dosaggio quotidiano in seguito per
mantenere l'INR tra 2,0 e 3,0. Gli anziani tendono a essere particolarmente
sensibili al warfarin.

La durata della terapia anticoagulante si stabilisce individualmente. In quelli con


una causa definita e reversibile (p. es., il decorso postoperatorio), gli
anticoagulanti possono essere interrotti dopo 2-3 mesi. Altrimenti, possono
essere continuati empiricamente per 3-6 mesi. I pazienti con una malattia cronica
associata a un'alta incidenza di tromboembolie possono richiedere una terapia
anticoagulante a lungo termine o per tutta la vita.

Complicanze della terapia anticoagulante: I pazienti trattati con anticoagulanti


sono inclini ai sanguinamenti, alcuni dei quali possono essere gravi. Si
raccomandano una conta periodica delle piastrine (nei pazienti sotto eparina, v.
Trombocitopenia indotta dall'eparina nel Cap. 133), insieme con l'ematocrito e
con i test per il sangue occulto nelle feci. Ai pazienti in terapia anticoagulante non
si deve somministrare nessun farmaco contenente aspirina o altri FANS, potendo
esso deprimere ulteriormente i meccanismi emostatici. Molti altri farmaci, con vari
meccanismi, possono causare delle interazioni farmacologiche clinicamente
significative con gli anticoagulanti orali, aumentando o diminuendo il loro effetto.
Per esempio, i farmaci che riducono la sintesi intestinale di vitamina K o che
interferiscono con altri componenti dell'emostasi normale, quelli che
interferiscono con l'assorbimento o con il legame proteico e quelli che aumentano
o riducono il metabolismo epatico, possono modificare la farmacocinetica e la
farmacodinamica del warfarin. La direzione e l'entità degli effetti di queste
interazioni non sono completamente prevedibili, ma sono indicate la vigilanza e la
determinazione più frequente del tempo di protrombina quando qualsiasi farmaco
viene aggiunto o cancellato dallo schema terapeutico di un paziente stabilizzato
in terapia con anticoagulanti orali. Inoltre, i pazienti devono essere messi in
guardia dal non prendere farmaci da banco o farmaci prescritti da altri medici
senza informare preventivamente il loro medico generico.

Le altre complicanze della terapia anticoagulante comprendono sanguinamenti di


minor entità (ecchimosi al sito dell'iniezione, ematuria microscopica,
sanguinamenti delle gengive) che di solito possono essere controllati
sospendendo la somministrazione successiva prevista di eparina e riducendo le
dosi successive. Se si verificano sanguinamenti di maggior entità, per
neutralizzare l'effetto anticoagulante dell'eparina va usata la protamina solfato,
una proteina che si lega all'eparina formando un complesso inattivo. Una
soluzione di cinquanta milligrammi (5 ml) diluita in 20 ml di soluzione di cloruro di
sodio allo 0,9% e iniettata EV in 10 min (Precauzioni: l'iniezione rapida può
causare ipotensione, dispnea e bradicardia) neutralizza circa 5000 U di eparina e
di solito è sufficiente a fronteggiare il sovradosaggio eparinico. Dare > 100 mg di

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Embolia polmonare

protamina in un tempo breve non è consigliabile a causa dei suoi effetti


anticoagulanti. L'effetto terapeutico della protamina può essere determinato dal
APTT. Per grosse perdite ematiche le emotrasfusioni si possono rendere
necessarie ma esse non riducono l'effetto anticoagulante del sovradosaggio
eparinico. La terapia con eparina a lungo termine porta a osteoporosi e a
ipoaldosteronismo, che causa ritenzione di potassio. Effetti collaterali non
frequenti comprendono la trombocitopenia, occasionalmente con grave shock
tromboembolico (v. Trombocitopenia indotta dall'eparina nel Cap. 133); l'orticaria
e lo shock anafilattico.

Come con l'eparina, la maggiore complicanza della terapia con il warfarin è il


sanguinamento. I sanguinamenti minori solitamente si controllano sospendendo il
farmaco o modificandone il dosaggio. Per le emorragie più gravi, possono essere
somministrati 5-25 mg (raramente, fino a 50 mg) di vitamina K per via
parenterale. Nelle emergenze con grave emorragia, i fattori della coagulazione
possono essere normalizzati infondendo 200-500 ml di sangue intero fresco o di
plasma fresco congelato o somministrando il complesso del fattore IX per via
parenterale. I preparati a base del fattore IX purificato non devono essere usati
perché non aumentano i livelli di protrombina, del fattore VII o del fattore X.

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Malattie dell'apparato respiratorio

Manuale Merck

6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

63. Approccio al paziente con patologia respiratoria

Tosse

Dispnea

Dolore toracico

Respiro sibilante

Stridore

Emottisi

Cianosi

Ippocratismo digitale

64. Prove di funzionalità respiratoria

65. Indagini speciali

Diagnostica per immagini del torace

Toracentesi

Agobiopsia pleurica percutanea

Toracoscopia

Toracostomia con tubo di drenaggio

Broncoscopia

Agoaspirato toracico percutaneo

Mediastinoscopia

Mediastinotomia

Toracotomia

Aspirazione tracheale

Ripristino e mantenimento della pervietà delle vie respiratorie

Drenaggio posturale

Riabilitazione polmonare

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Malattie dell'apparato respiratorio

Respirazione a labbra socchiuse

66. Insufficienza respiratoria

67. Sindrome da distress respiratorio dell’adulto

68. Malattie ostruttive croniche delle vie aeree

Asma

Broncopneumopatia cronica ostruttiva

Bolle giganti

69. Bronchite acuta

70. Bronchiettasie

71. Atelettasia

72. Embolia polmonare

73. Polmonite

Polmonite pneumococcica

Polmonite stafilococcica

Polmonite streptococcica

Polmoniti causate da bacilli gram –

Polmonite causata da Haemophilus influenzae

Polmonite della malattia dei legionari

Polmonite da micoplasma

Polmonite da clamidia

Psittacosi

Polmonite virale

Polmonite da Pneumocystis carinii

Polmoniti micotiche

Polmonite nel paziente defedato

Polmonite postoperatoria e post-traumatica

Polmonite da inalazione

74. Ascesso polmonare

75. Malattie respiratorie occupazionali

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Malattie dell'apparato respiratorio

Malattie da polveri inorganiche

Silicosi

Pneumoconiosi dei lavoratori del carbone

Asbestosi e malattie correlate

Berilliosi

Malattie da polveri organiche

Asma occupazionale

Bissinosi

Malattie da gas irritanti e altre sostanze chimiche

Sindrome dell’edificio malato

76. Malattie polmonari da ipersensibilità

Polmonite da ipersensibilità

Polmoniti eosinofile

Aspergillosi broncopolmonare allergica

77. Sindrome di Goodpasture

78. Malattie interstiziali idiopatiche del polmone

Fibrosi polmonare idiopatica

Polmonite interstiziale desquamativa

Polmonite interstiziale acuta

Bronchiolite respiratoria associata a pneumopatia interstiziale

Bronchiolite obliterante con polmonite produttiva idiopatica

Polmonite interstiziale linfocitica

Granulomatosi da cellule di Langerhans

Granuloma eosinofilo

Emosiderosi polmonare idiopatica

79. Proteinosi alveolare polmonare

80. Malattie della pleura

Pleurite

Versamento pleurico

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Malattie dell'apparato respiratorio

Fibrosi e calcificazioni della pleura

Pneumotorace

81. Tumori del polmone

Carcinoma broncogeno

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

Manuale Merck

6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

63. APPROCCIO AL PAZIENTE CON PATOLOGIA


RESPIRATORIA

La diagnosi e il trattamento delle malattie respiratorie richiedono l'anamnesi,


l'esame obiettivo e, di solito, la radiografia del torace. Possono essere necessarie
le prove di funzionalità respiratoria, l'emogasanalisi arteriosa, gli esami chimici e
microbiologici o speciali procedure diagnostiche (p. es., l'endoscopia, il lavaggio
broncoalveolare, la biopsia o la scintigrafia); tali indagini e procedure particolari
vengono trattate altrove nel Manuale.

La raccolta dell'anamnesi fornisce informazioni essenziali e avvia alla


comprensione del paziente come persona, del suo ambiente, delle sue
aspettative e delle sue paure; rappresenta la via migliore per creare un rapporto
di fiducia e collaborazione. Le informazioni da richiedere comprendono quelle
relative alle esposizioni professionali o di altra natura; l'anamnesi familiare, i
viaggi e i contatti; il resoconto sulle pregresse malattie e sull'assunzione di
farmaci; i risultati di indagini (p. es., i test cutanei alla tubercolina o la rx torace).
Le cose più importanti, tuttavia, sono le seguenti: una chiara definizione della
patologia in atto; la presenza di sintomi sistemici (p. es., astenia, calo ponderale
o febbre) e i principali sintomi respiratori quali tosse, espettorato, dispnea, dolore
toracico, sibili ed emottisi. Un genitore o un tutore può rispondere al posto di un
lattante o di un bambino; se una persona anziana soffre di demenza senile, si
devono raccogliere ulteriori informazioni da parenti o da amici.

L'esame obiettivo segue per importanza l'anamnesi. Alcune informazioni (le


condizioni generali, il comportamento, il disagio, l'ansia, la dispnea da sforzo)
vengono percepite in modo quasi subcosciente nel momento in cui il paziente
cammina dalla sala d'attesa all'ambulatorio, mentre altri aspetti obiettivi generali
e respiratori devono essere indagati attivamente. Durante l'esame obiettivo
toracico deve essere rispettata la sequenza di ispezione, palpazione,
percussione e auscultazione. In alcuni pazienti, l'esame del torace può non dare
informazioni, anche in presenza di una grave patologia; in altri casi, esso fornisce
informazioni molto importanti (p. es., incoordinazione di gruppi di muscoli
respiratori, sfregamenti pleurici o sibili monofonici localizzati.)

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

Manuale Merck

6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

63. APPROCCIO AL PAZIENTE CON PATOLOGIA


RESPIRATORIA

TOSSE

Improvvisa manovra espiratoria esplosiva finalizzata a liberare le vie aeree da


materiale (espettorato).

Sommario:

Introduzione
Terapia

La tosse protegge i polmoni dall'aspirazione. Le differenze tra i vari siti, da cui


possono prendere origine gli stimoli della tosse, possono riflettersi in variazioni
della sonorità e del tipo di tosse. La stimolazione del laringe produce un tipo di
tosse soffocante non preceduta da inspirazione. Il paziente con inadeguati
meccanismi di clearance mucociliare (come nelle bronchiettasie o nella fibrosi
cistica) può manifestare un tipo di tosse con accelerazione d'aria meno violenta e
con una serie di espirazioni interrotte, non intervallate da atti inspiratori. La
consapevolezza della tosse varia notevolmente. Una tosse può essere mal
sopportata quando compare bruscamente, specialmente se accompagnata da
dolore toracico, da dispnea o da abbondanti secrezioni. Una tosse che si
sviluppa nel giro di decenni (p. es., in un fumatore con bronchite cronica di lieve
entità) può essere difficilmente notata o può essere considerata normale dal
paziente.

L'anamnesi dovrebbe determinare da quanto tempo la tosse è presente, se è


comparsa all'improvviso, se il paziente ha notato una modificazione del suo
carattere, quali fattori la modificano (p. es., l'aria fredda, la postura, parlare,
mangiare o bere, le diverse ore della giornata) e se si associa a produzione di
escreato, a dolore toracico, retrosternale o alla gola, a dispnea, a raucedine, a
vertigini o ad altri sintomi. Va chiesto al paziente quale sia a suo parere la causa
della tosse; egli può dire "qualcosa nei miei polmoni che deve essere
espettorato", oppure "qualcosa che mi solletica dietro la gola". Il tipo di tosse o i
fattori precipitanti possono guidare verso le cause della tosse; p. es., il paziente
può aver notato un'associazione con il lavoro o lo sforzo fisico. Una tosse indotta
da modificazioni della postura può suggerire un ascesso polmonare cronico, una
TBC cavitaria, delle bronchiettasie o un tumore peduncolato, mentre una tosse
associata all'ingestione di cibo suggerisce un disturbo del meccanismo della
deglutizione o, eventualmente, una fistola tracheo-esofagea. Una tosse che
compare in occasione di esposizione ad aria fredda o sotto sforzo è suggestiva di
asma. Una tosse mattutina, che persiste fino all'espettorazione, caratterizza la
bronchite cronica. Una tosse associata a rinite, a respiro sibilante o con
ricorrenza stagionale può essere di natura allergica.

Durante la raccolta dell'anamnesi, il medico accorto nota la tosse spontanea,


perché la sua sonorità può fornire utili informazioni (p. es., un rumore udibile di
secrezioni; la tosse irritante, secca e abbaiante associata a tracheite acuta; o la
tosse a bassa tonalità, soffiante, "bovina" senza un inizio esplosivo che si ascolta
nel paziente con paralisi di un nervo ricorrente). Se il paziente non tossisce
spontaneamente, gli si deve domandare di farlo dopo l'esame obiettivo del
torace. È raccomandabile aspettare il completamento dell'esame obiettivo, dal
momento che i rumori o i crepitii delle secrezioni a livello delle basi possono
essere eliminati dai colpi di tosse prima di essere rilevati. È utile effettuare

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

l'auscultazione dei polmoni invitando il paziente a tenere la bocca aperta, sia


prima che dopo la tosse, poiché gli spostamenti delle secrezioni possono
modificare drasticamente i rilievi obiettivi. D'altra parte, dopo i colpi di tosse
possono comparire dei crepitii, in particolare nelle lesioni tubercolari dei lobi
superiori.

La principale funzione del riflesso della tosse è quella di aiutare a liberare le vie
aeree dalle secrezioni e, in particolare, di aiutare a espellerle attraverso il laringe.
La produzione di escreato deve essere indagata durante la raccolta
dell'anamnesi; le domande sulla tosse e sull'escreato sono di solito associate,
ma, occasionalmente, una persona che afferma di non tossire, può ammettere di
produrre escreato. Le domande possono determinare l'aspetto dell'escreato e
quanto facilmente venga espettorato. Le modificazioni dell'aspetto (p. es., da
muco perfettamente bianco a materiale purulento giallastro, verde o marrone)
rappresentano importanti segni di infezione. Le striature di sangue o un'emottisi
franca sono segni importanti e di solito vengono notati dal paziente. Materiale
sabbioso nell'escreato, caratteristico della broncolitiasi, può essere notato meno
facilmente e il paziente può negarne la presenza la prima volta che gli venga
richiesto, ma può notarlo e riferirlo successivamente.

Se possibile, il paziente deve espettorare un campione di escreato durante la


visita. È necessario osservare l'aspetto macroscopico dell'espettorato. L'esame al
microscopio di una piccola goccia prelevata dalla porzione più densa
dell'escreato raccolto di fresco (posto su vetrino porta-oggetti senza essere
colorato, coperto con vetrino coprioggetti ed esaminato a basso ingrandimento)
può fornire utili informazioni. La presenza di cellule epidermoidali suggerisce che
il materiale proviene da sopra il laringe; l'espettorato vero proveniente dalle vie
aeree è caratterizzato dalla presenza di macrofagi alveolari. La colorazione di
Wright mostra la percentuale di eosinofili; l'eosinofilia è suggestiva di allergia. I
neutrofili predominano più spesso nell'escreato purulento, indicando un processo
infiammatorio, di solito infettivo. La colorazione di Gram documenta la presenza
di batteri e rappresenta il primo passo verso la loro caratterizzazione.

Terapia

Il trattamento della tosse consiste essenzialmente nel trattare le cause che la


provocano. Quando la tosse è produttiva non deve essere soppressa, a
eccezione di alcune circostanze speciali (p. es., quando la tosse debilita
fortemente il paziente o ne impedisce il riposo e il sonno), e in generale fin
quando non ne sia stata individuata la causa. Sopprimere una tosse produttiva è
meno consigliabile perché le secrezioni bronchiali devono essere espettorate. Le
medicine per la tosse sono raggruppate nelle categorie degli antitussigeni ed
espettoranti. A volte vengono utilizzati dei mucolitici, degli enzimi proteolitici, degli
antiistaminici e dei broncodilatatori.

Antitussigeni: questi farmaci possono agire a livello centrale o periferico. I


farmaci antitussigeni ad azione centrale inibiscono o sopprimono il riflesso
tussigeno deprimendo il centro bulbare della tosse o centri superiori a esso
correlati. I farmaci di questo gruppo più comunemente usati sono il
destrometorfano e la codeina.

Il destrometorfano, un farmaco del gruppo dell'analgesico narcotico levorfanolo,


non ha significative proprietà analgesiche e sedative, non deprime l'attività
respiratoria al dosaggio usuale e non dà dipendenza. Non è stata documentata
assuefazione nell'uso a lungo termine. Le dosi medie sono per l'adulto 15-30 mg
1-4 volte/die, in compresse o sciroppo; per i bambini, 1 mg/kg/ die, in dosi
frazionate. Dosaggi molto alti possono causare depressione respiratoria.

La codeina, dotata di un effetto antitussigeno, analgesico e leggermente


sedativo, è particolarmente utile nel trattamento della tosse dolorosa. Possiede
anche un'azione disidratante sulla mucosa delle vie respiratorie; ciò può essere
utile (p. es., nella broncorrea) o dannoso (p. es., quando le secrezioni bronchiali
sono già vischiose). La dose media richiesta per l'adulto è 10-20 mg PO q 4-6 h a

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

seconda dei casi; ma possono essere necessarie dosi fino a 60 mg. La dose
orale complessiva giornaliera che normalmente viene impiegata nei bambini è 1-
1,5 mg/kg/die in dosi frazionate q 4-6 h. A queste dosi, la codeina ha minimi
effetti deprimenti sul centro del respiro. Possono verificarsi nausea, vomito, stipsi,
tolleranza agli effetti antitussigeni e analgesici e dipendenza fisica, ma il rischio di
assuefazione è basso.

Altri farmaci antitussigeni ad azione centrale sono, tra i farmaci non stupefacenti,
il clofedianolo, il levopropossifene e la noscapina, mentre tra gli stupefacenti vi
sono l'idrocodone, l'idromorfone, il metadone e la morfina.

I farmaci antitussigeni ad azione periferica possono agire sia sulla via afferente
che su quella efferente del riflesso della tosse. Sulla via afferente, l'antitussigeno
può ridurre lo stimolo alla tosse agendo come blando analgesico o anestetico
sulla mucosa delle vie aeree, modificando la viscosità delle secrezioni o
rilasciando la muscolatura liscia dei bronchi in presenza di broncospasmo. Sulla
via efferente, un antitussigeno può rendere le secrezioni più facilmente
espettorabili e migliora quindi l'efficacia del meccanismo della tosse. I farmaci ad
azione periferica sono classificati in demulcenti, anestetici locali, aerosol
fluidificanti e inalazioni di vapori.

I demulcenti sono utili nel trattamento della tosse che si genera dalle prime vie
aeree, al di sopra del laringe. Essi formano uno strato protettivo che riveste la
mucosa faringea irritata. Vengono di solito somministrati in sciroppi o pastiglie e
comprendono l'acacia, la liquirizia, la glicerina, il miele e gli sciroppi di ciliege
selvatiche.

Gli anestetici locali (p. es., la lidocaina, la benzocaina, la exilcaina cloruro e la


tetracaina), vengono usati per inibire il riflesso della tosse in particolari
circostanze (p. es., prima della broncoscopia o della broncografia). Il benzonatato
(100 mg PO tid), farmaco simile alla tetracaina, è un anestetico locale; il suo
effetto antitussigeno può essere dovuto alla combinazione dell'anestesia locale,
alla depressione dei recettori di stiramento polmonari e a una depressione
centrale aspecifica.

Gli aerosol fluidificanti e le inalazioni di vapore esercitano un effetto antitussigeno


agendo come demulcenti e riducendo la viscosità delle secrezioni bronchiali.
L'inalazione di acqua in forma di aerosol o di vapore, con l'aggiunta o meno di
medicamenti (cloruro di sodio, tintura di composti del benzoino, eucaliptolo), è il
sistema più diffuso di umidificazione. L'efficacia dei medicamenti aggiunti non è
stata ancora chiaramente provata.

Espettoranti: questi farmaci si usano per aiutare a espellere le secrezioni


bronchiali dalle vie aeree riducendone la viscosità e facilitandone così la
rimozione; aumentano la quantità di fluido nelle vie aeree, esercitando un'azione
demulcente sul rivestimento mucoso. La maggior parte degli espettoranti
aumenta le secrezioni bronchiali tramite un'irritazione riflessa della mucosa
bronchiale. Alcuni, come gli ioduri, agiscono anche direttamente sulle cellule
secretorie dei bronchi e vengono secreti nell'albero bronchiale.

L'uso degli espettoranti è molto controverso. Nessun dato sperimentale obiettivo


dimostra che gli espettoranti, attualmente disponibili, riducono la viscosità delle
secrezioni e migliorano l'espettorazione. La mancanza di dati sperimentali può
essere messa in relazione con l'inadeguatezza dei mezzi diagnostici in grado di
dimostrarne la reale efficacia. Pertanto, l'uso e la scelta degli espettoranti si basa
spesso sulla tradizione e sull'impressione diffusa che questi farmaci siano efficaci
in alcune situazioni cliniche.

Una corretta idratazione è l'accorgimento singolo più importante che può essere
adottato per favorire l'espettorazione. Se ciò non è sufficiente, con l'aggiunta di
un farmaco espettorante si può raggiungere l'effetto desiderato.

Gli ioduri sono usati come fluidificanti per le secrezioni bronchiali vischiose
(p. es., nella bronchite in stadio avanzato, nelle bronchiettasie e nell'asma). Una
soluzione satura di ioduro di potassio è il preparato meno costoso e più
comunemente adoperato. La dose iniziale è 0,5 ml PO qid, in un bicchiere di

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

acqua, di succo di frutta o di latte, dopo i pasti e prima di coricarsi; la dose viene
aumentata gradatamente a 1-4 ml qid. Per essere efficace, la dose di ioduro da
usare è vicina alla soglia di intolleranza. L'utilità di queste sostanze è limitata
dalla scarsa disponibilità del paziente ad assumerle perché hanno un sapore
sgradevole e sono frequenti le reazioni collaterali (p. es., eruzioni cutanee
acneiformi, corizza, eritema del volto e del torace, edema doloroso delle
ghiandole salivari). Tutte le reazioni collaterali sono reversibili e regrediscono con
la sospensione del farmaco. La glicerina iodata ha una migliore tollerabilità, ma è
probabilmente meno efficace. La dose orale consigliata è 60 mg in compresse o
sotto forma di elisir qid; non deve essere somministrata ai pazienti con
intolleranza allo iodio. L'uso prolungato di ioduri o di glicerina iodata può causare
ipotiroidismo.

Lo sciroppo di ipecacuana 0,5 ml PO qid (Nota: questa dose è molto inferiore a


quella usata per stimolare il vomito) può essere utilizzato nei pazienti con
intolleranza allo iodio. Esso riduce lo spasmo laringeo nei bambini affetti da crup
e facilita la rimozione di muco denso e vischioso dai bronchi.

La guaifenesina (100-200 mg PO q 2-4 h) è l'espettorante più comunemente


presente nei prodotti da banco per la tosse. Non dà reazioni collaterali importanti,
anche se non esistono chiare prove della sua efficacia.

Molti altri espettoranti tradizionali (p. es., cloruro di ammonio, terpina idrato,
creosoto e squilla) si ritrovano in numerosi prodotti antitussigeni da banco. La
loro efficacia è dubbia, in particolare ai dosaggi della maggior parte delle
preparazioni.

Farmaci di uso meno frequente: gli agenti mucolitici (p. es., l'acetilcisteina)
possiedono gruppi sulfidrilici liberi che rompono i legami disolfuro delle
mucoproteine, riducendo così la viscosità del muco. In genere, l'utilità dei farmaci
è limitata a poche situazioni cliniche, come la fluidificazione delle secrezioni
mucopurulente dense e vischiose (p. es., nella bronchite cronica e nella fibrosi
cistica). L'acetilcisteina viene somministrata come soluzione al 10-20% per
nebulizzazione o per instillazione. In alcuni pazienti, i mucolitici possono
aggravare l'ostruzione delle vie aeree provocando broncospasmo. Se ciò
avviene, questi pazienti possono inalare prima del mucolitico un broncodilatatore
simpaticomimetico o assumere un preparato contenente acetilcisteina al 10% e
isoproterenolo allo 0,05%, prima di prendere il mucolitico.

Gli enzimi proteolitici (p. es., la dornasi pancreatica), sono utili soltanto quando
l'espettorato francamente purulento è un problema importante. Non sembrano
offrire alcun vantaggio rispetto ai mucolitici. L'irritazione locale della mucosa
buccale e faringea e le reazioni allergiche si sviluppano comunemente dopo
ripetute dosi. L'alfa- dornasi, il nuovo ricombinante umano altamente purificato
della deossiribonucleasi I (rhDNasi), diverrà probabilmente importante nel
trattamento della fibrosi cistica, sebbene il suo ruolo non sia ancora ben definito.

Gli antistaminici trovano indicazioni scarse o nulle nella terapia della tosse. La
loro azione disidratante sulla mucosa delle vie respiratorie può essere utile nella
fase congestizia precoce della corizza acuta, mentre può essere dannosa nei
pazienti con tosse non produttiva per ristagno di secrezioni vischiose nelle vie
aeree. Essi possono anche essere efficaci nella tosse cronica dovuta a scolo
retronasale associato alle sinusiti allergiche.

I broncodilatatori come l'efedrina e la teofillina possono essere utili se la tosse è


complicata da broncospasmo. L'atropina è un farmaco da evitare perché
aumenta la densità delle secrezioni bronchiali. Il farmaco anticolinergico
ipratropio bromuro spesso può migliorare una tosse di tipo irritativo e non
interferisce con le secrezioni mucose. I corticosteroidi inalatori rappresentano il
cardine del trattamento della tosse nell'asma.

Associazioni farmacologiche: molte preparazioni antitosse, sia prescrivibili che


da banco, sono costituite da due o più farmaci, di solito sotto forma di sciroppo.
Queste possono contenere un sedativo della tosse ad azione centrale, un
antistaminico, un espettorante e un decongestionante. Sono spesso presenti
anche broncodilatatori e antipiretici. Tali associazioni hanno lo scopo di alleviare

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

molti dei sintomi di un'infezione acuta delle prime vie respiratorie e non devono
essere utilizzati solamente per gestire la tosse. Alcune associazioni di farmaci
antitussigeni sono indicate per la tosse (p. es., l'associazione di un farmaco
antitussigeno ad azione centrale, come il destrometorfano, con uno sciroppo
demulcente ad azione periferica per la tosse che ha origine al di sopra del
laringe). Tuttavia, gli ingredienti di alcune associazioni hanno effetti opposti sulle
secrezioni delle vie respiratorie (p. es., gli espettoranti e gli antistaminici), mentre
molti altri preparati contengono sostanze potenzialmente utili ma a dosaggi
subottimali o inefficaci.

Scelta della terapia farmacologica: di norma, quando la tosse è di per sé un


problema importante, è preferibile agire su una specifica componente del riflesso
della tosse con un solo farmaco a dosi piene. Per sedare semplicemente una
tosse non produttiva, il destrometorfano è il farmaco preferito, anche se la
codeina può essere utile. I più potenti antitussigeni stupefacenti devono essere
impiegati quando è necessaria un'azione analgesica e sedativa e quando la
causa sembra essere temporanea. Per aumentare la secrezione bronchiale e
fluidificare il muco è consigliabile un'idratazione adeguata (bevendo acqua o
inalando vapori); se ciò non è sufficiente, si può aggiungere una soluzione satura
di ioduro di potassio PO o uno sciroppo di ipecacuana. Per calmare la tosse che
origina dal faringe, si usa uno sciroppo emolliente o pastiglie, associandoli se
necessario al destrometorfano. Per la tosse complicata da broncocostrizione, è
consigliabile un broncodilatatore, eventualmente associato a un espettorante. I
corticosteroidi inalatori possono essere efficaci in alcuni

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

Manuale Merck

6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

63. APPROCCIO AL PAZIENTE CON PATOLOGIA


RESPIRATORIA

DISPNEA

Spiacevole sensazione di difficoltà nella respirazione.

Sommario:

Introduzione
Varianti cliniche

La dispnea è un sintomo, non un segno, ed è una delle molteplici sensazioni che


possono essere descritte da un paziente. Una persona sana nota l'incremento
della ventilazione richiesto durante un esercizio fisico, ma non lo interpreta come
particolarmente spiacevole, a meno che non raggiunga livelli estremi. La
consapevolezza spiacevole o preoccupante che un esercizio fisico di lieve entità
porta a un incremento della ventilazione sproporzionatamente intenso
rappresenta un tipo comune di dispnea, abitualmente descritto come affanno o
respiro corto da sforzo. Un soggetto sano a grande altitudine nota un simile
incremento della ventilazione da sforzo sproporzionatamente ampio e lo trova
limitante, ma di solito non altrimenti spiacevole.

Altre sensazioni sono rappresentate dalla consapevolezza di un aumentato


sforzo muscolare richiesto per espandere il torace durante l'inspirazione o per
espellere l'aria dai polmoni; da sensazioni di affaticamento dei muscoli
respiratori; dal notare la fuoriuscita ritardata dell'aria dai polmoni durante
l'espirazione; dalla spiacevole sensazione di un bisogno urgente di inspirare
prima che l'espirazione sia completata e da varie sensazioni il più delle volte
descritte come una costrizione toracica. Quest'ultima può probabilmente riferirsi
alla sensazione di collasso o di iperdistensione di unità polmonari, di ostruzione
delle vie aeree, di distorsione o dislocamento dei polmoni, del mediastino, del
diaframma o della parete toracica.

Gli impulsi afferenti al cervello che generano la sensazione di dispnea originano


da svariati siti, tra i quali i polmoni, le articolazioni della gabbia toracica e i
muscoli respiratori, compreso il diaframma. I chemocettori centrali e periferici
inviano parte degli impulsi sensoriali che sembrano essere coinvolti nella
dispnea, sia direttamente che indirettamente; anche altri stimoli viscerali, nervosi
ed emotivi possono entrare in gioco.

Varianti cliniche

Cause fisiologiche: il tipo più comune di dispnea si verifica durante lo sforzo


fisico; la ventilazione viene incrementata e mantenuta attraverso un aumento
dello stimolo respiratorio, generato da fattori metabolici e da altri fattori non
definiti. La dispnea è comune anche durante l'ipossia acuta, come avviene in alta
quota dove l'aumentato stimolo respiratorio è, in parte, dovuto all'effetto
dell'ipossiemia arteriosa sui seni carotidei. Si induce la dispnea anche respirando
alte concentrazioni di CO2 in ambienti chiusi o respirando in un sistema chiuso
privo di dispositivi che assorbono la CO2. La dispnea provocata dall'aumento
della CO2 è simile a quella dello sforzo fisico e consiste essenzialmente

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

nell'avvertire l'incremento della ventilazione. Comunque, l'aumento della CO2 nel


gas inspirato produce sensazioni diverse da quelle causate dalla riduzione
dell'O2. Per la maggior parte delle persone, l'ipossiemia rappresenta uno stimolo
per l'incremento della ventilazione notevolmente più debole rispetto
all'ipercapnia; l'ipossiemia può però produrre altri effetti, quali stato confusionale,
una vaga sensazione spiacevole o anche la perdita di coscienza. Una persona
che entra in uno spazio chiuso privo di O2 (p. es., contenente N al 100%), può
perdere la coscienza in circa 30 s, prima che la dispnea l'avverta del pericolo. I
nuotatori subacquei che iperventilano prima di tuffarsi per espellere CO2 il più
possibile, ritardando così il bisogno di riemergere, a volte perdono coscienza e
annegano a causa dell'ipossiemia (v. Cap. 285). La dispnea può essere minima
in caso di avvelenamento da monossido di carbonio.

Cause polmonari: le due principali cause di dispnea polmonare sono


rappresentate da un'alterazione restrittiva con bassa compliance dei polmoni o
della cassa toracica e da un'alterazione ostruttiva con aumentata resistenza al
flusso aereo. I pazienti con dispnea restrittiva (p. es., per fibrosi polmonare o
deformità toraciche) di solito non avvertono disagio nella respirazione a riposo,
ma sono intensamente dispnoici quando per l'attività fisica la ventilazione
polmonare si avvicina alla massima capacità respiratoria, notevolmente limitata.
Nella dispnea ostruttiva (p. es., nell'enfisema ostruttivo o nell'asma), l'aumentato
sforzo respiratorio comporta dispnea anche a riposo e la respirazione è faticosa e
prolungata, specialmente durante l'espirazione; questo tipo di dispnea peggiora
sempre durante lo sforzo e l'esercizio.

I dati obiettivi possono essere di aiuto nell'individuazione delle cause (p. es., in
caso di versamento pleurico, di pneumotorace e in certi casi di patologia
interstiziale polmonare). I segni dell'enfisema, della bronchite e dell'asma spesso
contribuiscono a definire la natura e la gravità della patologia polmonare
ostruttiva di base. I test di funzionalità respiratoria possono esprimere
quantitativamente ogni alterazione restrittiva o di ostruzione al flusso aereo (v.
Cap. 64).

Una patologia polmonare diffusa, con o senza ipossiemia, è spesso


accompagnata da iperventilazione con riduzione della PaCO2. Così un paziente
con dispnea può avere un'alta PaO2 e una bassa PaCO2, presumibilmente per
un aumento degli stimoli a partenza dai recettori di stiramento dei polmoni
ammalati.

Cause cardiache: negli stadi precoci dello scompenso cardiaco (v. Cap. 203), la
gittata cardiaca non riesce a tenere il passo con l'aumentata richiesta metabolica
durante l'esercizio fisico. Lo stimolo respiratorio aumenta notevolmente a causa
dell'acidosi tissutale e cerebrale, causando talvolta un'iperventilazione. Diversi
fattori riflessi, tra cui i recettori di stiramento polmonare, possono anche
contribuire all'iperventilazione. Il respiro corto è spesso accompagnato da astenia
o da una sensazione di soffocamento o di oppressione sternale. Nelle fasi più
avanzate dello scompenso cardiaco, i polmoni sono congesti ed edematosi, la
capacità ventilatoria dei polmoni divenuti più rigidi si riduce e lo sforzo
respiratorio aumenta. Meccanismi riflessi, in particolare dai recettori iuxtacapillari
(J) dei setti alveolocapillari, contribuiscono all'incremento eccessivo della
ventilazione polmonare. L'edema polmonare non cardiogeno o la sindrome da
distress respiratorio dell'adulto producono un quadro clinico simile attraverso
meccanismi simili, ma più acutamente.

L'asma cardiaco è uno stato di insufficienza respiratoria acuta con


broncospasmo, sibili e iperventilazione. Esso può essere indistinguibile da altri
tipi di asma, ma la causa è lo scompenso ventricolare sinistro.

Il respiro periodico o di Cheyne-Stokes è caratterizzato da periodi di apnea e


di iperpnea alternati regolarmente. Spesso è indotto da un'alterazione del centro
respiratorio bulbare, da causa neurologica o farmacologica, e da disfunzioni
cardiologiche. Nello scompenso cardiaco, la causa principale è rappresentata dal
rallentamento della circolazione; l'acidosi e l'ipossia dei centri respiratori
forniscono un importante contributo.

L'ortopnea è la difficoltà respiratoria che insorge quando il paziente è supino,

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Approccio al paziente con patologia respiratoria

costringendolo a mettersi seduto. Essa viene scatenata da un aumento del


ritorno venoso del sangue al ventricolo sinistro, che non riesce a far fronte
all'incremento del precarico. Di minore importanza è l'aumento dello sforzo
respiratorio in posizione supina. Talvolta l'ortopnea si presenta in altre patologie
cardiovascolari (p. es., nel versamento pericardico).

Nella dispnea parossistica notturna, il paziente si sveglia ansimando e deve


mettersi a sedere o alzarsi in piedi per riprendere fiato; la sensazione può essere
terribile e angosciante. Gli stessi fattori in causa nell'ortopnea determinano
questa forma di difficoltà respiratoria che richiede un intervento clinico più
immediato. La dispnea parossistica notturna può insorgere nella stenosi mitralica,
nell'insufficienza aortica, nell'ipertensione o in altre condizioni che
compromettono il ventricolo sinistro.

Cause circolatorie: la "fame d'aria" (dispnea acuta che insorge negli stadi
terminali del dissanguamento da emorragia) è un segno grave che richiede
un'immediata terapia trasfusionale. La dispnea compare anche nell'anemia
cronica, ma solo durante esercizio fisico, a meno che l'anemia non sia di estrema
gravità.

Cause chimiche: l'acidosi diabetica (pH ematico da 7,2 a 6,95) induce un respiro
caratteristico, lento e profondo (respiro di Kussmaul). Tuttavia, dal momento
che la capacità respiratoria è ben conservata, il paziente raramente lamenta
dispnea. Di contro, nell'uremia il paziente può lamentare dispnea a causa della
grave tachipnea indotta dalla combinazione di acidosi, scompenso cardiaco,
edema polmonare e anemia.

Cause centrali: le lesioni cerebrali (p. es., l'emorragia) possono causare intensa
iperventilazione, talora rumorosa e stertorosa. Occasionalmente, periodi di apnea
irregolari si alternano con periodi in cui vengono eseguiti quattro o cinque respiri
di uguale profondità (respiro di Biot). L'iperventilazione si osserva
frequentemente dopo trauma cranico. La diminuita PaCO2 causa una
vasocostrizione riflessa del SNC con perfusione cerebrale ridotta, portando a una
benefica diminuzione secondaria della pressione intracranica.

Cause psicogene: in certe forme di ansia, il paziente sente come se il respiro


fosse insufficiente e reagisce a questa sensazione iperventilando.
L'iperventilazione può essere continua e manifesta, causando un'alcalosi acuta
da rimozione della CO2 (v. anche Alcalosi respiratoria nel Cap. 12). Tali pazienti
sono manifestamente ansiosi e lamentano parestesie periorali e periferiche e
alterazioni dello stato di coscienza (spesso descritte come se i rumori fossero
lontani); essi possono sviluppare una positivizzazione dei segni di Trousseau e
Chvostek, probabilmente come risultato dell'abbassamento dei livelli sierici di ioni
Ca. A volte, l'iperventilazione è meno evidente e caratterizzata da respiri profondi
e sospirosi finché lo stimolo all'iperventilazione non cessa. Questo quadro si
ripete spesso e può anche essere causa di alcalosi respiratoria e delle sue
complicanze.

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Malattie dovute ad agenti fisici

Manuale Merck

20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI

276. Ustioni

277. Danni da elettricità

278. Reazioni e lesioni causate da radiazioni

279. Disturbi causati dal calore

Colpo di calore

Collasso da calore

Crampi da calore

280. Lesioni da freddo

Sub-congelamento

Congelamento

Ipotermia

Piede da immersione

Geloni

281. Malattia da alte quote

282. Malattie da movimento

283. Aspetti medici dei viaggi in aereo e all’estero

284. Sindrome da annegamento

285. Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

Patologia da decompressione

Embolia gassosa arteriosa

Malattia da decompressione

Ricompressione

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Malattie dovute ad agenti fisici

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Ustioni

Manuale Merck

20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI

276. USTIONI

L’esposizione a radiazioni, agenti termici, chimici o elettrici provoca danni tissutali


che si manifestano con denaturazione delle proteine, edema a livello dell’ustione
e riduzione del volume intravascolare, conseguente all’aumento della
permeabilità dei vasi.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Complicanze
Valutazione
Prognosi
Terapia

Le ustioni da calore possono essere provocate da qualsiasi fonte di calore


esterna, in grado di innalzare la temperatura cutanea e quella dei tessuti profondi
fino a determinare la morte cellulare, la coagulazione o la carbonizzazione delle
proteine. Le cause più comuni sono rappresentate dal fuoco, da liquidi bollenti e
da oggetti o gas surriscaldati che vengano a contatto con la cute. L’estensione e
la profondità della lesione sono in funzione della quantità di energia ceduta dalla
fonte di calore.

Le ustioni da agenti radianti nella maggior parte dei casi conseguono a


esposizioni prolungate alle radiazioni solari ultraviolette (eritema solare), ma
possono essere provocate anche da esposizioni prolungate o intense ad altre
fonti di radiazione ultravioletta (p. es., lettini solari), a sorgenti di raggi x o ad altre
radiazioni.

Le ustioni da agenti chimici possono essere provocate da acidi o basi forti,


fenoli, cresoli, ipriti o fosforo. Ognuno di questi agenti possiede un effetto
necrotizzante, che può estendersi lentamente nell’arco di molte ore.

Le ustioni da agenti elettrici sono imputabili al calore prodotto dall’elettricità,


che può raggiungere i 5000°C (9032°F). Poiché gran parte della resistenza alle
correnti elettriche si concentra nel punto in cui il conduttore viene a contatto con
la cute, osserveremo la maggior parte delle ustioni a livello della cute e dei
tessuti sottostanti; tali lesioni possono essere di qualsiasi dimensione e
profondità (v. Cap. 277). La necrosi e le escare sono spesso più ampie e più
profonde di quanto si possa rilevare a una prima osservazione delle lesioni. Il
danno da elettricità, soprattutto se dovuto a correnti alternate, può provocare
paralisi respiratoria immediata, fibrillazione ventricolare o entrambe queste
condizioni (v. Cap. 206).

Sintomi e segni

In rapporto alla profondità della lesione, le ustioni vengono classificate di primo,


di secondo o di terzo grado. Le ustioni di primo grado si presentano con
arrossamento della cute e iperestesia con la superficie che si schiarisce
notevolmente se viene esercitata una lieve pressione e non si sviluppano

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Ustioni

vescicole.

Le ustioni di secondo grado possono presentare vescicole, con impianto da


eritematoso a biancastro, con un essudato fibrinoso; sono anch’esse
iperestesiche e possono schiarirsi alla digitopressione.

Le ustioni di terzo grado in genere non presentano vescicole. La superficie


dell’ustione può essere biancastra e formare delle pieghe, possono presentarsi
come aree nere, carbonizzate e simili al cuoio, o di colorito rosso vivo, per la
presenza di Hb fissata nella regione sottodermica. Le ustioni di terzo grado che
appaiono di colore chiaro possono essere scambiate per cute normale ma, in
questo caso, i vasi sottocutanei non si schiariscono alla digitopressione. Nelle
ustioni di terzo grado vi è di solito anestesia o ipoestesia, i peli dell’area
interessata possono essere estirpati con facilità dai loro follicoli. Spesso, è
possibile distinguere le ustioni di secondo grado profonde da quelle di terzo
grado soltanto dopo che siano trascorsi 3-5 gg di osservazione.

Complicanze

Le complicanze a livello sistemico (come lo shock ipovolemico e le infezioni) e i


danni al tratto ventilatorio rappresentano un rischio di gran lunga maggiore
rispetto agli effetti locali. Le infezioni, anche in presenza di ustioni di piccole
dimensioni, costituiscono la causa principale di morte e la più importante causa di
impotenza funzionale e di danno estetico, in particolare a livello delle mani e del
viso. La vasocostrizione, provocando un’ipoperfusione periferica, specialmente
nelle aree colpite dall’ustione, determina un abbassamento delle difese locali
dell’ospite e favorisce l’invasione batterica. La presenza di tessuto necrotico, il
calore, l’ipoperfusione periferica e l’umidità creano le condizioni ideali per la
proliferazione batterica. Streptococchi e stafilococchi sono i germi che più spesso
si riscontrano in prima istanza nelle ustioni, mentre i batteri gram - divengono
prevalenti dopo 5-7 gg; inoltre, è sempre presente una flora batterica mista.
L’esatta dinamica degli eventi nel corso dell’incidente, inclusi i materiali utilizzati
per domare le fiamme, fornisce indizi importanti riguardanti l’estensione della
contaminazione batterica e la probabilità di sviluppo di un’infezione a livello
dell’ustione.

Il danno termico a carico delle basse vie respiratorie è causato comunemente


dalla sola inalazione di vapori nei soggetti vigili ma, se lo stato di veglia è ridotto,
può essere provocato anche dall’inalazione di gas a elevate temperature, che
determinano un’immediata ostruzione delle vie aeree superiori. L’edema
bronchiale può provocare un’ostruzione delle vie aeree superiori a insorgenza più
lenta; il danno di natura chimica sui capillari alveolari delle piccole vie aeree, può
portare a insufficienza respiratoria progressiva ritardata. L’inalazione di prodotti
tossici (p. es., cianuro, aldeidi tossiche, monossido di carbonio) derivati dai
materiali incendiati (p. es., legno, plastica) può provocare danni termici a livello
del faringe e delle vie aeree superiori e, allo stesso modo, al tratto ventilatorio.
Inoltre, il monossido di carbonio inalato si lega all’Hb, riducendo notevolmente il
trasporto di O2.

La maggior parte delle aritmie cardiache negli ustionati viene provocata da


ipovolemia, ipossia, acidosi o iperkaliemia, quindi prima di somministrare farmaci
cardioattivi bisognerà correggere tali alterazioni metaboliche. Tachicardia e
fibrillazione ventricolari rappresentano eccezioni che andranno trattate
immediatamente, valutando nel contempo le eventuali anomalie metaboliche che
possono averle causate. Per individuare tali anomalie andranno monitorati il ritmo
cardiaco, la PA, la temperatura, l’ECG, l’emogasanalisi e l’HTC, in particolare
negli anziani.

L’ipokaliemia è frequente nelle prime fasi del trattamento, come conseguenza di


condizioni diverse:generalmente il K non viene generalmente somministrato nella
fase iniziale di reintegrazione dei liquidi; le riserve di K nei pazienti che assumono
diuretici possono essere deplete; una parte del K viene chelato dal nitrato
d’argento presente nelle medicazioni in soluzione ipotonica allo 0,5%. Di

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Ustioni

conseguenza, il K sierico deve essere mantenuto > 4 mEq/l. Inoltre, il nitrato


d’argento presente nella medicazione ha un’azione chelante anche nei riguardi
del Na e del Cl, determinando talvolta iponatremia, ipocloremia e alcalosi
ipocloremica gravi.

L’ipoalbuminemia è dovuta alla combinazione degli effetti di diluizione della


terapia idrosalina e della perdita di proteine nel liquido edematoso al di sotto delle
escare. Le infusioni di colloidi vanno protratte durante tutto il periodo del
trattamento iniziale alla velocità che consenta di mantenere i livelli di albumina a
circa 2,5 g/dl e le proteine totali > 5 g/dl. Poiché la maggior parte del Ca sierico è
legato reversibilmente all’albumina, la comparsa di ipocalcemia potrà essere
conseguenza dell’ipoalbuminemia. La frazione ionizzata del Ca sierico è di solito
normale, ma la sua misurazione va comunque ripetuta periodicamente. Ogni
giorno dovrebbero essere somministrate integrazioni di Ca, fosfati e Mg.

L’acidosi metabolica può derivare da una minore perfusione tissutale


conseguenza dell’ipovolemia o dell’insufficienza cardiaca. La caduta del pH
ematico a livelli < 7,2 va trattata con bicarbonato di sodio EV (v. Acidosi
metabolica nel Cap. 12).

La vasocostrizione periferica, responsabile dell’ipoperfusione locale, è


determinata da un’insufficiente reintegrazione di liquidi nelle prime fasi del
trattamento. Un’escara o la presenza di una sindrome compartimentale possono
provocare una ipoperfusione locale, che si potrà risolvere con l’escarotomia o la
fasciotomia (v. oltre).

La mioglobinuria può essere conseguenza di ischemia muscolare, di lesioni da


schiacciamento o di profonde ustioni termiche o elettriche del muscolo.
Inizialmente, l’escrezione urinaria deve essere mantenuta a 100 ml/h negli adulti
e > 1 ml/ kg/h nei bambini; si deve ottenere una diuresi osmotica,
somministrando negli adulti mannitolo alla dose di 12,5 g EV q 4-8 h o anche più
frequentemente, se necessario, fino a osservare la scomparsa della
mioglobinuria. Negli adulti con mioglobinuria grave, è indicata l’alcalinizzazione
dell’urina con 50 mEq di bicarbonato di sodio EV q 4-8 h secondo necessità, con
monitoraggio frequente del pH sierico e urinario. L’obiettivo è raggiungere un pH
urinario > 8. Il trattamento dell’emoglobinuria, che può conseguire a un’emolisi
post-ustione, è identico a quello della mioglobinuria. In assenza di un trattamento
accurato e sollecito, la mioglobinuria o l’emoglobinuria possono provocare
necrosi dei tubuli renali.

L’ipotermia (v. Cap. 280) è piuttosto frequente nei grandi ustionati. I soggetti con
temperatura rettale < 36°C vengono trattati col riscaldamento dei liquidi da
trasfondere. Se la temperatura è < 33°C, il riscaldamento può favorire
l’instaurarsi di aritmie fatali. Questo tipo di pazienti deve essere riportato a una
temperatura adeguata molto lentamente e si devono monitorare in maniera
continuativa l’ECG, la temperatura interna, gli elettroliti, i parametri vitali e le
condizioni mentali.

Valutazione

Anamnesi: le informazioni riguardanti l’evento ustionante si possono ottenere dal


paziente, dal conducente dell’ambulanza, da un familiare che accompagna il
paziente, da un suo collega di lavoro o dai poliziotti e dai pompieri che lo hanno
soccorso. L’anamnesi deve comprendere la terapia farmacologica abituale; la
presenza di patologie (p. es., allergie, malattie cardiache, polmonari o renali,
diabete) o di disordini psichici (la lesione può essere il risultato di una violenza o
di un tentativo di suicidio); nonché le abitudini voluttuarie (fumo, alcol e droghe).
L’insieme costituito da tutti questi fattori interferisce con la capacità di risposta del
paziente alla lesione.

Esame clinico: un esame fisico completo andrà eseguito prima dell’evoluzione


delle ustioni (momento in cui sarebbe più difficile effettuare un corretto esame).
L’area della superficie corporea (ASC) interessata dall’ustione deve essere

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Ustioni

calcolata in tutti i pazienti. Spesso l’altezza si può misurare immediatamente,


mentre il peso, prima dell’incidente, può essere riferito da un familiare.

Le aree interessate vengono evidenziate su un diagramma per il calcolo della


percentuale di superficie corporea ustionata (regola del nove). L’area della
superficie ustionata (ASC %) si valuta nell’adulto applicando la regola del nove
delle ustioni (v. Fig. 276-1A). Nei bambini, si può ottenere una valutazione più
precisa della percentuale di ASC usando il diagramma di Lund-Browder (v.
Fig. 276-1B). Si riporta inoltre sul diagramma anche la profondità della lesione
(primo, secondo o terzo grado).

Prognosi

Nelle ustioni superficiali, anche se non trattate, l’epidermide va incontro a una


pronta rigenerazione a partire da elementi cellulari non lesionati, da follicoli piliferi
e ghiandole sudoripare, con formazione di piccole cicatrici, tranne nel caso in cui
si sviluppi un’infezione. Nelle ustioni profonde, in cui l’epidermide e buona parte
del derma sono distrutti, la riepitelizzazione inizia dai margini della ferita, dai
residui sparsi nei tegumenti o dalle rimanenti appendici dermiche. Il processo
riparativo è lento e comprende la formazione di abbondante tessuto di
granulazione, prima che l’epitelio ricopra l’area ustionata. Queste lesioni di solito
si retraggono, producendo cicatrici sfiguranti e inabilitanti, a meno che non si
provveda prontamente con interventi di chirurgia plastica. In alcuni individui si
formano cicatrici di tipo cheloide, in particolare nei soggetti di razza nera.

Nelle ustioni profonde, in cui si osserva la distruzione di tutto il derma e


dell’epidermide e in cui l’area interessata è troppo ampia per essere ricoperta dal
tessuto riparativo (poiché il derma non è in grado di rigenerare), non si verifica
una guarigione spontanea. Se non si effettua un’escissione, le escare si
distaccano e cadono, in tempi variabili e al di sotto di queste residua una lesione
sottostante irregolare.

I fattori di rischio per la sopravvivenza del paziente sono i seguenti: ustioni > 40%
dell’ASC, età > 60 anni e presenza di lesioni da inalazione di vapori. Il tasso di
mortalità è dello 0,3% in assenza di fattori di rischio, del 3% in presenza di uno,
del 33% in presenza di due e circa dell’87% se si associano tutti i tre fattori di
rischio sopraelencati.

Terapia

Come indicazioni generali, si deve detergere accuratamente la ferita, asportando


i detriti estranei e provvedere a una terapia antibiotica locale e/ o sistemica, in
rapporto alla gravità dell’ustione. Può inoltre essere necessario immobilizzare e
posizionare correttamente gli arti interessati dalla lesione, così come provvedere
a un’adeguata terapia riabilitativa. Viene quindi stabilita una terapia domiciliare e
il successivo follow-up ambulatoriale.

Circa l’85% dei pazienti presenta ustioni di piccola estensione, che richiedono
soltanto terapia ambulatoriale. I criteri generali che identificano i pazienti da
trattare ambulatorialmente sono i seguenti: ustioni di primo e di secondo grado
superficiali con ASC < 10%; ustioni di secondo grado da lievi a profonde con
ASC < 5%; ustioni di terzo grado con ASC < 1%, sempre che non vi siano danni
da inalazione di vapori. Devono essere invece sottoposti a ricovero quei pazienti
che presentino ustioni più estese o ustioni molto piccole ma profonde, delle mani,
del viso, dei piedi e della regione perineale, perché in tali sedi un’infezione anche
di lieve entità può determinare una grave menomazione estetica e funzionale. Un
paziente, che venga inizialmente trattato ambulatorialmente, dovrà essere
ricoverato nel caso in cui la lesione non guarisse spontaneamente nel giro di
3 sett. Il ricovero potrebbe inoltre essere necessario qualora si abbia il sospetto
che il paziente non osservi con cura le prescrizioni, non rinnovi le medicazioni o

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Ustioni

non segua le indicazioni del medico, oppure se ha meno di 2 o più di 60 anni.

Trattamento dell’emergenza: il primo intervento da eseguire sul luogo


dell’incidente su una vittima di una lesione termica, chimica o elettrica deve
essere l’allontanamento immediato dall’agente ustionante e la rimozione di tutti
gli indumenti, in particolare in presenza di materiale carbonizzato (p. es., vestiti
sintetici con segni di bruciatura o tessuti impregnati di catrame fuso). Si dovranno
inoltre rimuovere dalla cute gli agenti chimici, gli acidi, le basi o i composti
organici (p. es., fenoli o cresoli), causa delle ustioni, per mezzo di abbondanti,
prolungate e ininterrotte abluzioni con acqua. Le parti ustionate da fosforo vanno
immerse immediatamente in acqua, per evitare il contatto con l’aria. Le particelle
di fosforo devono essere rimosse delicatamente facendo scorrere l’acqua; la
ferita verrà poi lavata con una soluzione di solfato di rame all’1%, perché in
questo modo gli eventuali residui di fosforo verranno ricoperti da una pellicola
protettiva di fosfuro di rame (queste sostanze, essendo fluorescenti, si potranno
facilmente asportare in una camera buia). Tuttavia, deve essere evitato
l’eccessivo assorbimento di rame.

In un reparto per grandi ustionati, il trattamento d’urgenza deve essere


improntato a ristabilire un’adeguata ventilazione, arginare il progredire delle
lesioni ustionanti, reintegrare i liquidi perduti (plasma), riconoscere e trattare i
principali traumi associati, che possono mettere a repentaglio la vita del paziente,
diagnosticare le anomalie metaboliche, valutare l’eventuale esistenza di
un’infezione batterica da contaminazione, avvenuta precedentemente il ricovero
e prevenire successive contaminazioni batteriche.

Terapia topica dell’ustione: le piccole ustioni devono essere immerse


immediatamente in acqua fredda, se possibile. La ferita deve essere pulita con
acqua e sapone rimuovendo accuratamente tutti i detriti. Per rimuovere i
frammenti di materiale estraneo adesi in profondità, si può eseguire
un’infiltrazione locale di lidocaina all’1 o al 2% e raschiare la lesione con uno
spazzolino a setole rigide e sapone.

Le vescicole, se rotte o in procinto di rompersi, devono essere immediatamente


rimosse. Se non è nota la profondità dell’ustione, si procederà alla rimozione
delle vescicole e all’esame della base della lesione, per determinare se questa è
a pieno spessore.

La superficie ustionata, dopo detersione e rispettando le condizioni di asepsi,


viene trattata con idonei preparati per uso locale e infine con bendaggi sterili. I
preparati topici antibatterici comunemente impiegati contengono una soluzione di
nitrato d’argento allo 0,5%, acetato di mafenide e sulfadiazina argentica all’1%.
Dopo aver ricoperto le lesioni anche con otto strati di benda cotonata, si versa la
soluzione di nitrato d’argento sulla benda q 2 h. Questa procedura permette al
bendaggio di rimanere umido e di mantenere la concentrazione di nitrato
d’argento sulla pelle a circa lo 0,5%. Probabilmente una concentrazione inferiore
non esplica azione battericida, mentre una concentrazione più alta, quale può
realizzarsi in caso di evaporazione, può ustionare ulteriormente la pelle. Se il
nitrato d’argento viene applicato su una lesione molto ampia può esplicare
un’azione fortemente chelante sul Na, sul Cl e sul K a livello del bendaggio,
favorendo l’instaurarsi di ipokaliemia, ipocloremia, alcalosi o metaemoglobinuria.
Sia il mafenide acetato che la sulfadiazina argentica in forma di pomata vengono
applicati direttamente sulla lesione in un unico strato e possono essere
successivamente ricoperti da alcuni strati di benda cotonata; prima di applicare
un nuovo bendaggio, si devono rimuovere i residui della pomata applicata
precedentemente. La pomata all’acetato di mafenide inibisce l’attività dell’anidrasi
carbonica e può produrre acidosi metabolica compensata nonché, talora, acidosi
renale tubulare prossimale. La sulfadiazina argentica va usata con cautela in
pazienti con sensibilità ai sulfamidici, può inoltre essere causa di alterazioni del
quadro ematologico.

Farmaci: in caso di ustioni di lieve entità, l’analgesia può essere indotta con l’uso
di narcotici orali (p. es., codeina), associando o meno un FANS o aspirina. Nel
caso di ustioni gravi, è necessario di solito ricorrere alla somministrazione di
narcotici EV (p. es., morfina, meperidina). Una dose di richiamo di anatossina
tetanica, 0,5-1,0 ml SC o IM, verrà somministrata agli individui vaccinati negli

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Ustioni

ultimi 4-5 anni, mentre a tutti gli altri si somministreranno immunoglobuline


antitetaniche 250 UI IM (da ripetersi se necessario q 6 sett.), avviando anche il
protocollo di vaccinazione antitetanica attiva.

Trattamento respiratorio: in presenza di lesioni termiche molto importanti, il


trattamento prevede la somministrazione di O2 supplementare, per innalzarne la
percentuale nel sangue e per spiazzare le molecole di monossido di carbonio dal
loro legame con l’Hb. Una ventilazione inadeguata viene trattata con l’intubazione
(di preferenza per via nasotracheale) e con la ventilazione meccanica. Le
indicazioni assolute all’intubazione sono le seguenti: respirazione frequente e
superficiale con tachipnea a 30-40 atti respiratori/min; bradipnea < 8-10 atti
respiratori/min; ostruzione meccanica delle vie aeree dovuta a edema, traumi o
laringospasmo; segni di insufficienza respiratoria con pH arterioso < 7,2,
PO2 < 60 mm Hg o Pco2 > 50 mm Hg. Le indicazioni relative all’intubazione
includono: esplosioni o incendi in ambienti chiusi; presenza di peli nasali bruciati
o di mucose buccali ustionate; eritema del palato; presenza di fuliggine nella
bocca, nella laringe o nell’escreato; edema con ustioni del volto o del collo;
presenza di segni di sofferenza respiratoria (p. es., ostruzione nasale, rumori
respiratori aspri o stridenti, ansia, agitazione, atteggiamento aggressivo da parte
del paziente).

Iniziale reintegrazione dei liquidi: è vitale un intervento terapeutico immediato,


la pronta reintegrazione dei liquidi previene la vasocostrizione e l’ipoperfusione
periferica, mantenendo efficaci le difese locali dell’ospite. Prima di iniziare il
trattamento medico, si può somministrare una soluzione colloidale, p. es., plasma
fresco congelato (che contiene sostanze ad azione antibatterica, compresi gli
anticorpi), che impedisce a livello dell’ustione l’invasione da parte di
microrganismi contaminanti.

Quando si sospetta la comparsa di uno shock (come potrebbe avvenire in tutte le


ustioni di terzo e in quelle di secondo grado > 10% ASC) o quando l’HTC
presenta dei valori superiori alla norma, la reintegrazione dei liquidi dovrebbe
essere iniziata immediatamente, introducendo un’agocannula di calibro 14-
16 gauge in una o due vene periferiche (v. Procedure invasive nel Cap. 198).
Anche se inizialmente potrebbe non essere necessario inserire un catetere
venoso centrale, si tenga presente che il successivo edema lesionale e
perilesionale potrebbe rendere la manovra difficoltosa, quindi l’ideale sarebbe
eseguire il più precocemente possibile tale manovra. Se necessario, si potranno
introdurre cateteri centrali o periferici attraverso le escare. Bisogna evitare
l’effetto di laccio emostatico multiplo, che può distruggere la vena e comportare
un grave rischio di infezione, sarà inoltre opportuno eseguire un prelievo di
sangue per determinare i valori dell’Hb e dell’HTC, oltre alla tipizzazione
sanguigna e alle prove crociate.

La terapia infusionale d’emergenza consiste nella somministrazione della


soluzione contenente sodio più prontamente disponibile, iniettata EV, cui segue
di solito la somministrazione di una soluzione colloidale (p. es., plasma fresco
congelato, albumina), quando disponibile. Tale infusione di colloidi dipende
dall’estensione, profondità e sede delle ustioni, dall’età del paziente e dalle
patologie concomitanti. È necessaria una pronta somministrazione di soluzioni
colloidali in quei pazienti che presentino ustioni di media o ampia estensione, che
siano molto giovani o anziani, che presentino ustioni profonde delle mani, del
viso o della regione perineale, che soffrano di patologie cardiache o in quei
pazienti il cui HTC sia aumentato, essendo quest’ultimo parametro indicativo di
un’imminente ipovolemia post-ustione. Nel caso in cui la reintegrazione dei liquidi
venga ritardata > 2 h dopo l’evento ustionante, si dovrà eseguire l’infusione di
colloidi non appena questi siano disponibili.

Il volume di liquido che è necessario reintegrare è direttamente correlato


all’estensione e alla profondità delle ustioni. Inizialmente, si può calcolare la
velocità di infusione, utilizzando la regola del nove o lo schema di Lund-Browder,
dopo aver eseguito un breve esame obiettivo e una valutazione dell’estensione
dell’ustione. Solitamente, sono necessari da 2 a 4 ml/kg/% ASC di soluzione
idrosalina EV nelle 24 h successive alla lesione. L’aggiunta di colloidi, di solito,
riduce il volume di soluzione idrosalina necessaria.

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Ustioni

Correzione della terapia infusionale: dal momento che il volume e la velocità di


infusione corretti dei liquidi dipenderanno dalla risposta dei singoli pazienti alla
terapia idrosalina, l’aggiustamento della reintegrazione idrica sarà basato su un
accurato monitoraggio del paziente. L’obiettivo è quello di mantenere la PA e
l’HTC a livelli adeguati e l’escrezione urinaria maggiore di 50-100 ml/h (0,5-1 ml/
kg/h) nell’adulto o di 1 ml/kg/h nel bambino, senza sovraccaricare il circolo. Nelle
prime 72 h, l’Hb va misurata q 3-4 h e la terapia verrà regolata per mantenerla tra
valori compresi tra 11 e 16 g/dl, mentre l’ematocrito dovrà essere mantenuto tra il
30 e il 45%. I pazienti che, malgrado l’abbondante somministrazione di soluzioni
idrosaline, presentino un’escrezione urinaria insufficiente, spesso rispondono
positivamente a un aumento della somministrazione di liquidi cui sono aggiunti
colloidi.

Raramente i protocolli prestabiliti si dimostrano efficaci per l’intero periodo di


trattamento intensivo, le formule devono quindi essere usate soltanto come
riferimento. Una formula generale per le prime 24 h è: 0,5 ml/kg/% ASC di
colloide e 1,5 ml/kg/% ASC di Ringer lattato, cui si associa una soluzione di
100 ml/h di Ringer lattato come mantenimento. Un quarto della terapia
infusionale viene somministrato nelle prime 4 h, 1/ 4 nelle seconde 4 h, 1/4 nelle
successive 8 h e l’ultimo 1/4 nelle 8 h finali, iniziando la somministrazione dal
momento dell’incidente e non dal momento dell’arrivo nel reparto di terapia
intensiva, questo perché può verificarsi lo stravaso di notevoli quantità di liquidi
verso i tessuti, con conseguente instaurarsi di shock immediatamente dopo
l’incidente.

Per esempio, nel caso di un uomo di 70 kg di peso, che presenta il 40% dell’ASC
ustionata, si somministrano, nel corso delle prime 24 h, 1400 ml di colloidi,
4200 ml di soluzione di Ringer lattato e 2400 ml di ulteriore soluzione di Ringer
lattato di mantenimento, per un totale di 8000 ml di liquidi. Un quarto della
quantità totale (350 ml di colloidi, 1050 ml di Ringer lattato e 100 ml/h di Ringer
lattato di mantenimento) viene somministrato nelle prime 4 h, il secondo quarto
nelle successive 4 h, il terzo quarto nelle successive 8 h e l’ultimo nelle ulteriori
8 h finali. Se il paziente viene ricoverato immediatamente dopo l’incidente, i
risultati degli esami ematochimici (con una stima approssimata) permetteranno di
stabilire il tipo e la quantità di soluzioni da somministrare EV: nelle prime 8 h,
plasma fresco congelato a 87,5 ml/h e Ringer lattato a 360 ml/h, nelle 16 h
successive, plasma fresco congelato a 45 ml/h e Ringer lattato a 220 ml/h.

Allo scopo di individuare se la reintegrazione dei liquidi è insufficiente o


eccessiva e quindi prevenire eventuali complicanze, è necessario monitorare
accuratamente molti parametri ed è di notevole utilità l’uso di un diagramma di
flusso, che permette di evidenziare le variazioni dei parametri trattati
precedentemente. Se la reintegrazione è insufficiente, si noteranno una
diminuzione dell’escrezione urinaria, un aumento dell’HTC e i sintomi dello
shock. Per monitorare l’escrezione urinaria si dovrà applicare un catetere di
Foley a permanenza. Se la reintegrazione è eccessiva (potendo causare edema
polmonare e insufficienza cardiaca) si noteranno un aumento della frequenza
cardiaca, degli atti respiratori e della PA, turgore delle vene del collo e un
aumento della pressione venosa centrale. Le basi polmonari andranno auscultate
di frequente per rilevare eventuali rantoli.

Nei pazienti con pregresse patologie cardiovascolari-renali, si dovrà limitare la


somministrazione dei liquidi, degli elettroliti e dei colloidi alle quantità
strettamente necessarie al raggiungimento di un’escrezione urinaria minima
(25 ml/h) e il paziente dovrà essere posto sotto osservazione per rilevare
eventuali segni di sovraccarico circolatorio.

Prevenzione delle infezioni delle ustioni: immediatamente dopo l’incidente si


deve iniziare una terapia preventiva efficace e continuarla rigorosamente fino alla
guarigione della lesione. Gli antibatterici per uso topico vengono utilizzati per
mantenere la normale omeostasi e per prevenire la successiva colonizzazione
batterica della ferita.

Nei pazienti con ustioni di secondo o terzo grado viene spesso somministrata
penicillina V, da 1 a 2 g/die PO in 4 dosi frazionate nell’arco dei primissimi giorni,
come profilassi nei confronti della cellulite streptococcica, una rara infezione

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Ustioni

potenzialmente letale (dovuta allo β-streptococco emolitico). Nei pazienti allergici


alla penicillina si può somministrare eritromicina da 1 a 2 g/ die PO in 4 dosi
frazionate. In caso di ustioni estese, come profilassi contro la cellulite
streptococcica, si somministrano 5 milioni UI/die di penicillina G IM o EV per
3 gg. La somministrazione di altri antibiotici, utilizzati di routine, per evitare lo
sviluppo di una resistenza batterica non è generalmente raccomandata.

Nutrizione: nei pazienti con ustioni > 20% della ASC, con malnutrizione
precedente l’evento ustionante, con complicanze quali sepsi o traumi associati
(p. es., fratture) o con perdita di peso > 10%, è opportuno praticare un sostegno
nutrizionale aggressivo. Le ultime tre condizioni sono associate a un’aumentata
mortalità.

Il sostegno nutrizionale (v. Cap. 1) viene iniziato 1-2 gg dopo la fase di


reintegrazione idrosalina. Viene preferita la somministrazione di alimenti per via
orale perché presenta minori complicanze e costi inferiori, tuttavia, l’anoressia, le
ustioni del volto o la disfagia possono renderla difficile o impossibile. Se
l’alimentazione per via orale è insufficiente, ma la motilità e l’assorbimento
gastrointestinale sono normali, si ricorrerà alla via enterale con l’uso di un
sondino, per assicurare un’alimentazione supplementare o esclusiva. La
nutrizione parenterale è indicata, invece, nei pazienti con occlusione gastrica o
colica prolungate, correlate alle ustioni, a interventi chirurgici ripetuti o a sepsi. Le
complicanze sono più probabili con la nutrizione parenterale che con quella
enterale.

Trattamento chirurgico: le escare, nelle ustioni di terzo grado che interessino


l’intera circonferenza di un arto, possono rendere necessaria l’escarotomia,
p. es., nel caso in cui un polso precedentemente palpabile non venga più
percepito o quando vi sia la mancanza del polso in un solo arto mentre gli altri
sono normosfigmici. Quando un arto è più freddo degli altri e presenta un lungo
tempo di riempimento capillare si pone il sospetto di ischemia periferica; l’esame
Doppler confermerà l’eventuale diagnosi di ischemia. Bisogna considerare che,
qualora si sospetti un’ischemia periferica, può comunque essere presente
un’escara con azione comprimente, anche quando all’esame Doppler i polsi
risultino presenti. Nelle lesioni cutanee che non interessino i tessuti profondi,
l’incisione escarotomica riguarderà soltanto lo spessore del derma, escludendo
l’ipoderma e il tessuto sottocutaneo. Per assicurare una liberazione completa,
l’incisione coinvolgerà uno spessore ben superiore a quello della sola escara
tesa. In alcune escare, apparentemente a tutto spessore, resta presente la
sensazione dolorifica, cosicché anche l’incisione per arrecare sollievo alla
regione interessata risulterà dolorosa e in questi casi è efficace un’anestesia con
lidocaina all’1%.

Le ustioni di secondo grado profonde e tutte quelle di terzo grado devono essere
trattate in maniera sollecita, con l’escissione chirurgica o con la rimozione
dell’escara, meglio se eseguite entro i primi 4 gg dall’ustione. L’escissione
permette di rimuovere il tessuto devitalizzato, di evitare la sepsi al di sotto
dell’escara e di ottenere una chiusura precoce della ferita, riducendo la durata del
ricovero e migliorando il risultato funzionale. Le aree che non sono andate
incontro a guarigione entro le 3 sett. richiedono l’escissione completa. L’ordine da
seguire nel trattare le lesioni è funzione di alcune condizioni: se il danno è molto
esteso e la sopravvivenza del paziente è a rischio, si devono rimuovere per prime
le aree colpite più ampie, in modo da ridurre rapidamente il numero di ustioni
aperte; le regioni corporee da trattare per prime e che rispondono bene agli
innesti cutanei sono la schiena, il torace e l’addome; non si deve asportare, in
una sola seduta, più del 30% dell’ASC, comprendendo anche le sedi di prelievo;
quando invece l’escissione non è praticata in funzione della sopravvivenza del
paziente ma a scopo estetico o di ottimizzazione del risultato funzionale, le
escare vanno escisse secondo uno specifico ordine, dapprima a livello delle
mani, successivamente degli arti superiori e infine a livello dei piedi e degli arti
inferiori. Generalmente, le escare sul volto vanno operate in maniera
conservativa, risparmiando quanto più tessuto molle è possibile; si raccomanda
una rapida escissione delle escare presenti sul volto.

Dopo l’escissione, il letto lesionale richiede la copertura per mezzo di un innesto.


Gli innesti possono essere rappresentati da autotrapianti (cute dello stesso

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Ustioni

paziente); allotrapianti (cute vitale prelevata solitamente da cadaveri); o


xenotrapianti (cute di origine suina). Gli autotrapianti, che sono di tipo
permanente, si possono trapiantare sotto forma di lembo continuo (un lembo
cutaneo intero) o di innesti a scacchiera (uno strato di cute del donatore in cui
vengono praticate piccole incisioni a intervalli regolari con un apposito strumento,
permettendo quindi al trapianto di ricoprire un’area più ampia). Gli innesti a
scacchiera si impiegano quando c’è scarsità di cute disponibile, ma non per
ustioni con superficie < 20% dell’ASC. Tali innesti rimarginano con una superficie
irregolare simile a un reticolo, a volte con una eccessiva reazione ipertrofica
fibrosa. Di solito, nelle ustioni profonde, che interessano più del 40% della ASC,
non è reperibile sufficiente materiale per eseguire autotrapianti, tuttavia, la cute
può essere prelevata a più riprese dalla stessa sede, a intervalli di circa 14 gg,
aumentando così le possibilità supplementari di autotrapianto. Gli allotrapianti e
gli xenotrapianti sono invece temporanei e possono essere rigettati
precocemente nell’arco di 10-14 gg, e devono quindi essere sostituiti con
autoinnesti. Sono comunque indispensabili in quei pazienti che presentino ustioni
massive, perché possono salvare loro la vita. Una valida alternativa è
rappresentata dal sistema di reintegro cutaneo che utilizza uno stampo di
rigenerazione artificiale del derma, lo stampo viene biodegradato nel momento in
cui determina la formazione di un tessuto cutaneo completamente nuovo (definito
neoderma), generato dagli elementi cellulari del paziente; il neoderma è un
tessuto permanente.

Terapia fisica: è importante ricorrere precocemente alla fisioterapia.


L’assunzione di posture corrette, le fasciature immobilizzanti, l’esercizio e gli
indumenti compressivi possono aiutare a conservare la funzionalità della parte e
a migliorarne l’aspetto estetico. Le superfici cutanee soggette ai movimenti e alle
tensioni maggiori (p. es., viso, mani, articolazioni, cosce, torace) sono quelle che
più spesso vanno incontro alla formazione di cicatrici e di contratture.

La manovra terapeutica più importante è l’elevazione degli arti, specialmente nei


pazienti con ustioni delle gambe o delle mani, l’arto deve essere sempre
mantenuto al di sopra del livello del cuore, tranne che per brevi periodi 20 min
nell’arco dell’intera giornata. In caso di ustioni a carico degli arti inferiori è
frequentemente necessaria l’ospedalizzazione, perché i pazienti non ricoverati
hanno difficoltà a mantenere il riposo a letto con l’arto in posizione antideclive.

In presenza di ustioni di secondo o terzo grado che colpiscano un’articolazione è


necessario eseguire la fasciatura della parte. Ogni singolo dito viene fasciato con
garza cotonata, che viene incrociata a forma di 8 sulla mano e sul polso. Si porrà
inoltre un’ulteriore imbottitura sul palmo, per mantenere in leggera flessione le
articolazioni metacarpofalangee e interfalangee. Polso e gomito possono essere
fasciati utilizzando un bendaggio a braccio sospeso. Nei pazienti ambulatoriali, al
contrario, gli arti inferiori non vengono solitamente sottoposti a bendaggio
immobilizzante.

Nelle ustioni estese, le fasciature immobilizzanti, confezionate allo scopo di


mantenere le articolazioni in posizioni funzionali, devono essere applicate il più
presto possibile in modo corretto, e controllate spesso nei primi periodi del
trattamento, per evitare un’eccessiva costrizione delle estremità che potrebbe
aggravare l’edema. Quando l’edema si riduce, è necessario stringere le
fasciature per renderle più aderenti; queste dovranno essere mantenute fino al
momento in cui la zona non venga ricoperta da innesti cutanei e non mostri segni
di evidente guarigione. Durante tutto il periodo di convalescenza, le articolazioni
vengono mantenute in posizioni funzionali, utilizzando fasciature e sostegni.

Prima di eseguire il trapianto cutaneo, bisogna sottoporre le articolazioni a


cinesiterapia attiva e passiva, una o due volte al giorno, per mantenerne la
funzionalità. Gli esercizi e la corretta postura divengono più agevoli quando
l’edema regredisce. Dopo aver trapiantato i lembi cutanei, la parte interessata va
tenuta immobile per 5-10 gg, cosicché la cute trapiantata possa stabilizzarsi,
prima dell’inizio degli esercizi postoperatori.

Follow-up: al paziente si dovrà raccomandare di mantenere la ferita pulita e


asciutta, di tenere la parte lesa sollevata, di cambiare la medicazione 2 volte/die
secondo le istruzioni, di detergere completamente la ferita con acqua, per

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Ustioni

rimuovere tutti i residui dei farmaci precedentemente applicati, prima di


applicarne un nuovo strato, di seguire la terapia antibiotica prescritta e di
presentarsi alle successive visite di controllo. Le visite di controllo devono essere
effettuate particolarmente nei pazienti ambulatoriali allo scopo di: verificare
l’efficacia delle medicazioni locali; pulire le parti necrotiche della ferita; prevenire
la cellulite; accertare la profondità dell’ustione; valutare la necessità di terapia
ambulatoriale, occupazionale e fisica ed eventualmente organizzarla, nonché
stabilire l’eventuale necessità di una terapia escissionale. Nelle ustioni meno
gravi, la prima visita di controllo si esegue di solito 24-48 h dopo l’evento
ustionante, le visite successive vengono fissate q 24-72 h, a seconda della
gravità e della profondità delle lesioni e della capacità del paziente nel prestare a
esse le cure dovute.

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Danni da elettricita'

Manuale Merck

20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI

277. DANNI DA ELETTRICITA'

Danni provocati dal passaggio di corrente elettrica attraverso il corpo.

Sommario:

Introduzione
Patogenesi
Sintomi e segni
Prevenzione
Terapia

La corrente elettrica può essere di natura atmosferica (fulmine) o artificiale,


generata dall’uomo (p. es., linee ad alto o a basso voltaggio).

Patogenesi

Il tipo di corrente determina la gravità del danno. In generale, la corrente continua


(CC), con frequenza zero (ma può essere intermittente o pulsante), è meno
pericolosa della corrente alternata (CA), comunemente usata negli USA. Gli
effetti della CA sull’organismo dipendono in larga misura dalla frequenza. Le
correnti a bassa frequenza, cioè quelle a 50-60 Hz (cicli/s), che sono anche le più
utilizzate, sono di solito più pericolose delle correnti ad alta frequenza e
presentano una pericolosità da 3 a 5 volte maggiore rispetto a una CC dello
stesso voltaggio e amperaggio. La CC tende a provocare una contrazione
convulsiva, che spesso determina il distacco spontaneo del soggetto dalla fonte
della corrente. Al contrario, una CA a 60 Hz (corrente per uso domestico)
determina tetania muscolare, immobilizzando le mani sulla fonte di corrente,
quindi un’esposizione prolungata può essere causa di gravi ustioni se il voltaggio
è elevato.

In genere, più alti sono il voltaggio e l’amperaggio, maggiore sarà il danno


determinato da entrambi i tipi di corrente. Le correnti ad alto voltaggio (> 500-
1000 V) provocano ustioni profonde, mentre quelle a basso voltaggio
immobilizzano il soggetto al circuito elettrico. La soglia di percezione di una
corrente a 60 Hz, che entra nella mano, è di circa 5-10 milliampere (mA) per la
CC e di circa 1-10 mA per la CA. L’amperaggio massimo che può causare la
contrazione dei muscoli flessori del braccio, ma che ancora permette al soggetto
di liberare la mano dalla fonte di corrente, è definito corrente "let-go". Per la CC il
valore della corrente "let-go" è di circa 75 mA per un uomo di 70 kg di peso,
mentre per la CA è di circa 15 mA e varia con la massa muscolare. Una CA a
60 Hz a basso voltaggio (da 110 a 220 V), che passi attraverso il torace per una
frazione di secondo, può provocare una fibrillazione ventricolare, ad amperaggi di
appena 60-100 mA; con una CC sono invece necessari 300-500 mA. Se la
corrente arriva al cuore per via diretta (p. es., tramite un catetere cardiaco o gli
elettrodi di un pacemaker), può produrre fibrillazione anche avendo un’intensità
molto più bassa (< 1 mA per la CA o la CC).

La resistenza del corpo (misurata in ohm/cm2) è concentrata innanzitutto sulla


pelle e varia direttamente con le condizioni della stessa. La resistenza della cute
secca, ben cheratinizzata e integra, presenta valori compresi tra 20000-
30000 ohm/ cm2; per una mano callosa e ispessita o per la pianta del piede può

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Danni da elettricita'

essere di 2-3 milioni di ohm/ cm2. La resistenza della cute umida e sottile
corrisponde circa a 500 ohm/cm2. Se la pelle è ferita (p. es., taglio, abrasione o
puntura) o se la corrente è applicata a mucose umide (p. es., bocca, retto,
vagina) la resistenza può essere di appena 200-300 ohm/cm2. Se la resistenza
cutanea è bassa, si potranno osservare ustioni superficiali di lieve entità, mentre
a livello cardiaco potrebbe comunque verificarsi un arresto, nel caso in cui la
corrente raggiunga il cuore. Se la resistenza della cute è elevata, al momento del
passaggio della corrente attraverso la pelle si può osservare la dispersione in
superficie di molta energia, che produrrà ampie ustioni superficiali nei punti di
ingresso e di uscita, con carbonizzazione dei tessuti interposti

(calore = amperaggio2 resistenza). I tessuti interni vengono colpiti in rapporto
alla loro resistenza: nervi, vasi sanguigni e muscoli conducono l’elettricità molto
meglio dei tessuti a maggior densità (p. es., grasso, tendini e ossa) e vengono
quindi danneggiati in maniera preferenziale.

Il percorso della corrente attraverso il corpo determina la natura del danno. Il


passaggio della corrente da un braccio all’altro o da un braccio a un piede è
come se attraversasse il cuore, cosicché è molto più pericoloso del passaggio tra
una gamba e la terra. I danni elettrici alla testa possono provocare attacchi
epilettici, emorragie intraventricolari, arresto respiratorio, fibrillazione ventricolare
o asistolia e, come effetto ritardato, cataratte.

I punti di ingresso più frequenti della corrente sono la mano seguita dal capo,
mentre il punto di uscita più frequente è il piede. Nel caso della CA, l’uscita e
l’entrata sono termini inappropriati, perché non è possibile determinare quali
siano le sedi di entrata e di uscita. Termini più appropriati sono "sorgente" e
"terra".

In genere, la durata del flusso di corrente attraverso il corpo è direttamente


proporzionale all’estensione del danno, perché un’esposizione prolungata,
consentendo il passaggio di corrente in profondità, provoca la distruzione dei
tessuti. Il passaggio della corrente produce calore, provocando la lesione dei
tessuti interni.

Sintomi e segni

Le manifestazioni cliniche dei danni elettrici dipendono dalle complesse


interazioni dei fattori sopra illustrati. Si possono verificare gravi alterazioni delle
funzioni fisiologiche, come contrazioni muscolari involontarie, attacchi epilettici,
fibrillazione ventricolare o arresto respiratorio (apnea), conseguente a lesioni del
SNC o a paralisi muscolare. Possono inoltre verificarsi danni termici,
elettrochimici o di altro tipo (p. es., emolisi, coagulazione proteica, trombosi
vascolare, disidratazione, avulsione muscolare e tendinea). Spesso si verifica
una combinazione di questi effetti. Le ustioni possono essere nettamente
demarcate sulla cute ed estendersi notevolmente in profondità ai tessuti
sottostanti. I voltaggi elevati possono produrre necrosi coagulativa dei muscoli o
di altri tessuti interni compresi tra il punto di ingresso e quello di uscita della
corrente. A seguito della coagulazione venosa e del rigonfiamento dei muscoli
può manifestarsi un edema cospicuo, con conseguente sviluppo di sindromi
compartimentali. Alterazioni idro-elettrolitiche, ipotensione e mioglobinuria grave
possono causare insufficienza renale acuta, si possono inoltre verificare
lussazioni, fratture vertebrali o di altri segmenti scheletrici, lesioni interne e
perdita di coscienza, a seguito di contrazioni muscolari molto intense o di cadute,
secondarie alla scossa elettrica (p. es., l’elettricità può far sobbalzare una
persona, causandone la caduta).

Negli "incidenti da vasca da bagno" (generalmente, nel caso in cui un soggetto


bagnato, con i piedi a diretto contatto con il pavimento, venga a contatto con
apparecchiature elettriche a 110 V [in Italia, 220 V], p. es., un asciugacapelli o
una radio) può verificarsi un arresto cardiaco senza la comparsa di ustioni
esterne.

Il fulmine lascia segni cutanei di ingresso e di uscita e provoca soltanto di rado

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Danni da elettricita'

danni muscolari o mioglobinuria, questo perché la durata del passaggio di


corrente è troppo breve per determinare la distruzione della cute e dei tessuti. Il
fulmine avvolge il soggetto, provocando danni interni limitati ma determinando un
cortocircuito elettrico dei sistemi (p. es., asistolia cardiaca, confusione mentale,
perdita di coscienza, sequele neuropsicologiche). In genere, nei sopravvissuti
permangono delle forme di amnesia. Le complicanze a lungo termine più comuni
sono rappresentate da: danni neuropsichici, sindrome da dolore e danno del
sistema nervoso simpatico, la più comune causa di morte è rappresentata
dall’arresto cardiopolmonare.

Può accadere che i bambini, nei primissimi anni di vita, succhino i cavi di
alimentazione e riportino ustioni della bocca e delle labbra, tali ustioni non
causano solo problemi estetici, ma anche problemi di crescita dei denti, della
mandibola e della mascella. Un ulteriore problema è rappresentato dall’emorragia
dell’arteria labiale, che si verifica al momento del distacco dell’escara, 7-10 gg
dopo la lesione, evenienza che può avvenire in circa il 10% dei casi.

Prevenzione

Sono requisiti essenziali, oltre che il buon senso, la conoscenza e il rispetto per
l’elettricità. Qualsiasi apparecchiatura elettrica, potenzialmente pericolosa, che
entri in contatto con il corpo umano, deve essere provvista di un buon sistema di
messa a terra ed essere collegata a impianti elettrici dotati di interruttori salvavita.
Questi interruttori, che scattano automaticamente se viene rilevata una
dispersione di corrente anche di soli 5 mA, sono eccellenti e di facile reperibilità.
La prevenzione dei danni da fulmine implica l’uso del buon senso, di appropriati
sistemi protettivi, la conoscenza delle previsioni metereologiche e la prontezza
nel trovare un riparo adatto durante i temporali.

Terapia

È necessario interrompere il contatto tra il corpo della vittima e la sorgente della


corrente elettrica. Il metodo migliore, se attuabile rapidamente, è quello di
staccare la corrente (p. es., agendo sull’interruttore generale, o staccando la
spina di alimentazione dell’apparecchio elettrico); altrimenti, si deve staccare la
vittima dalla fonte di corrente. Per correnti a basso voltaggio (110-220 V), il
soccorritore dovrà innanzitutto isolarsi adeguatamente dal terreno e quindi
utilizzare strumenti di materiale isolante (p. es., tessuti, legno asciutto, gomma,
cinte di cuoio) per trarre in salvo la vittima. Se le linee sono ad alto voltaggio non
si deve tentare in alcun modo di staccare la vittima dalla fonte di corrente,
almeno fino a quando quest’ultima non sia stata interrotta. Non è sempre facile
distinguere le linee ad alto voltaggio da quelle a basso voltaggio, soprattutto
all’aperto.

Una volta che sia possibile toccare la vittima senza correre alcun rischio, si
devono rapidamente valutare le funzioni vitali (p. es., i polsi radiale, femorale o
carotideo, la funzione respiratoria e lo stato di coscienza). Il primo provvedimento
sarà rivolto ad assicurare la pervietà delle vie aeree. Se sono assenti movimenti
respiratori spontanei o se è in atto un arresto cardiaco, è necessario provvedere
immediatamente alla rianimazione cardiopolmonare (v. Cap. 206). La terapia
dello shock e delle altre manifestazioni delle ustioni gravi è illustrata nel Cap. 276.

Una volta ristabilite le funzioni vitali, si dovranno valutare complessivamente la


natura e l’entità dei danni riportati dal soggetto e si dovrà procedere a trattarli. Si
dovranno anche ricercare eventuali lussazioni, fratture, lesioni cervicospinali e
interne. Se è presente mioglobinuria, è essenziale reintegrare i liquidi e
procedere a terapia alcalinizzante per ridurre il rischio di precipitazione di
mioglobina a livello dei tubuli renali (v. Cap. 276). Per aumentare il flusso renale
possono essere indicati il mannitolo o la furosemide, è inoltre necessario attuare
la profilassi antitetanica per qualsiasi tipo di ustione.

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Danni da elettricita'

La valutazione di base per tutti i danni da elettricità comprende un ECG, gli


enzimi cardiaci, un emocromo completo e l’analisi delle urine, ponendo
particolare attenzione alla mioglobina. Inoltre, se esiste il sospetto di un danno
cardiaco, di aritmie o è presente dolore toracico, è indicato un monitoraggio
cardiaco per 12 h. Qualsiasi deterioramento dello stato di coscienza rende
imperativa l’esecuzione di una TC o di una RMN, per escludere eventuali
emorragie intracraniche.

Nelle vittime di folgorazioni da fulmine possono essere necessari la rianimazione


cardiopolmonare, controlli e terapie di supporto. Di regola si limita la
somministrazione di liquidi per la possibile insorgenza di edema cerebrale.

I bambini con ustioni delle labbra vanno inviati a uno specialista in ortodonzia
pediatrica o a un chirurgo maxillo-facciale, esperti nella valutazione e nel
trattamento a lungo termine di queste lesioni.

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

206. ARRESTO CARDIO-RESPIRATORIO E RIANIMAZIONE


CARDIOPOLMONARE

RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE

(Per la rianimazione pediatrica, v. Cap. 263.)

Sommario:

Introduzione
CPR PRIMARIA
TECNICHE PER ASSICURARE LA PERVIETÀ DELLE VIE AEREE
RIPRISTINO DELL’ATTIVITÀ RESPIRATORIA
RIPRISTINO DELLA CIRCOLAZIONE
Complicanze
DEFIBRILLAZIONE
CIRCOSTANZE PARTICOLARI
CPR SECONDARIA
TERAPIA FARMACOLOGICA
DISPOSITIVI MECCANICI PER LA RIANIMAZIONE
TERAPIA POST-RIANIMAZIONE

In una persona priva di coscienza o collassata, va immediatamente determinato


lo stato della ventilazione e della circolazione. La velocità, l’efficienza e una
corretta applicazione della rianimazione cardiorespiratoria sono direttamente
correlate a un buon recupero delle funzioni del SNC. Un approccio sistematico e
rapido deve fare in modo che trascorrano solo pochi secondi tra il riconoscimento
dell’arresto cardiaco e l’intervento. L’anossia tissutale che perduri per > 4-6 min
può comportare un danno cerebrale irreversibile o il decesso; la prognosi,
tuttavia, è molto variabile e dipende dall’età, dalla causa dell’arresto e dalle
circostanze cliniche. Il successo della rianimazione cardiorespiratoria
(CardioPulmonary Resuscitation, CPR) dipende da un precoce supporto di base
delle funzioni vitali (Basic Life Support, BLS), dal rapido riconoscimento e
trattamento della FV, se presente, e dal controllo delle vie aeree e del ritmo con
metodi di rianimazione avanzata, se necessario.

La CPR deve essere proseguita finché la funzione cardiorespiratoria non è


stabilizzata, o il paziente è dichiarato morto, oppure non si è in grado di
proseguire (esaurimento dell’operatore). Dopo ipotermia profonda o prolungata
immersione in acqua fredda, la CPR va continuata sino al ristabilimento della
normale temperatura corporea interna, visto che pazienti sottoposti a manovre
rianimatorie per periodi prolungati (fino a tre ore) hanno successivamente
recuperato.

Le linee guida stabilite dell’American Heart Association distinguono la CPR in


primaria e secondaria.

CPR PRIMARIA

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

Dopo aver stabilito che la vittima non risponde (toccandola, scuotendola o


chiamandola ad alta voce), il soccorritore chiede aiuto, annota l’esatto momento
dell’arresto (se conosciuto) e sistema la vittima in posizione orizzontale su una
superficie rigida. A questo punto, va rapidamente eseguito l’algoritmo del BLS
ricordando la sequenza ABC (v. Tab. 206-1). Il passo successivo è la
defibrillazione (D), utilizzata per arrestare la FV o la TV senza polso, se è
immediatamente disponibile l’equipaggiamento appropriato (defibrillatore
convenzionale o automatico).

Quando l’esatta durata dell’arresto cardiaco non è certa, alla vittima, a meno che
non sia nella fase terminale di una patologia incurabile, va comunque garantito il
beneficio del dubbio. Una volta che si incomincia il BLS, il medico deve decidere
quando fermarsi. Si interrompe la rianimazione per decretare la morte della
vittima quando lo stato di coma profondo o l’assenza di respiro spontaneo, di
attività circolatoria e di riflessi bulbari indicano che la rianimazione è impossibile.
Ciò significa che il paziente è risultato refrattario al BLS standard e alle misure di
supporto cardiorespiratoro avanzato (Advanced Cardiac Life Support, ACLS).
Sebbene la presenza di attività neurologica durante la rianimazione sia in favore
di un recupero delle funzioni cerebrali, la sua assenza non rappresenta un
indicatore affidabile di un’incapacità di recupero dell’attività cerebrale.

TECNICHE PER ASSICURARE LA PERVIETÀ DELLE VIE AEREE

Rendere pervie le vie aeree (A) è la prima cosa da fare nel BLS in caso di
insufficienza respiratoria (respiro difficoltoso e rumoroso) e di arresto cardiaco o
respiratorio. A volte si tratta dell’unico intervento necessario per ristabilire una
respirazione (B-"Breathing") e un’attività circolatoria (C) spontanee; in questi casi
non risulta necessario il massaggio cardiaco.

L’ostruzione delle vie aeree provocata dal ridotto tono muscolare della lingua e
dei muscoli del collo in una persona in stato di incoscienza è accentuata dalla
flessione del collo. L’iperestensione del capo stira le strutture anteriori del collo,
provocando il sollevamento della lingua dalla parete faringea posteriore. Siccome
tale manovra da sola spesso non è sufficiente per garantire la pervietà delle vie
aeree, sono necessarie misure aggiuntive.

Iperestensione della testa e sollevamento del mento: si spinge indietro la


testa, si mette un dito della mano libera sotto la rima mandibolare e si solleva il
mento in avanti (verticalmente verso l’alto) finché la rima dentale sia quasi
chiusa, facendo però attenzione a non chiudere completamente la bocca (v.
Fig. 206-1A); se quest’approccio non ha successo, si deve usare la manovra di
iperestensione della testa e innalzamento del collo. Questa si esegue
ponendo una mano sulla fronte della vittima e sollevando in alto il collo mentre si
reclina indietro il capo. Entrambe queste tecniche possono assicurare la pervietà
delle vie aeree in tempi rapidi.

Va aggiunta la sublussazione della mandibola se nessuna delle due manovre


descritte in precedenza ha successo o se il paziente respira spontaneamente ma
in maniera rumorosa a causa di un’ostruzione parziale delle vie aeree. Questa
triplice manovra (iperestensione della testa, innalzamento del collo,
sublussazione della mandibola) produce un ulteriore spostamento in avanti della
lingua e delle strutture del collo. Il soccorritore si pone in ginocchio alla testa del
paziente, mettendo le sue mani ai lati del volto del paziente e usando le dita per
spingere in avanti la mandibola. Di solito, il soccorritore riesce a eseguire meglio
questa manovra appoggiando i gomiti a terra, sullo stesso piano su cui giace la
vittima. La sublussazione della mandibola senza iper-estensione del capo è il
metodo migliore per assicurare la pervietà delle vie aeree nei pazienti che hanno
un sospetto trauma della colonna cervicale (p. es., vittime di un trauma) e una
compromissione respiratoria. Questa tecnica consente di mantenere la colonna
cervicale in una posizione neutrale, assicurando nel contempo la pervietà delle
vie aeree.

Può essere associata con il solo sollevamento del mento se necessario.

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

A meno che i primi tentativi di assicurare la pervietà delle vie aeree non abbiano
successo, le protesi dentarie vanno lasciate in sede, perché la loro rimozione può
rendere più difficile la perfetta adesione della bocca del soccorritore a quella della
vittima durante la respirazione artificiale.

Una volta assicurata la pervietà delle vie aeree, si verificherà il ripristino della
ventilazione spontanea osservando i movimenti del torace della vittima mentre si
ausculta il fruscio provocato dal passaggio dell’aria e si fa attenzione a percepire
l’aria espirata sulla propria guancia. In caso di mancato ripristino della funzione
respiratoria spontanea in presenza di pervietà delle vie aeree, occorre iniziare
immediatamente la respirazione artificiale.

RIPRISTINO DELL’ATTIVITÀ RESPIRATORIA

(V. anche Dispositivi meccanici per la rianimazione, più avanti)

Respirazione artificiale: la respirazione artificiale mediante la tecnica bocca a


bocca si esegue ponendo il palmo di una mano contro la fronte del paziente allo
scopo di mantenere il capo iperesteso e usando il pollice e l’indice della stessa
mano per chiudere le narici al fine di prevenire la fuoriuscita dell’aria (Fig. 206-
1B). Il soccorritore deve aprire bene la bocca, inspirare profondamente, porre la
propria bocca su quella del paziente assicurandosi che ci sia una perfetta
adesione, e insufflare due respiri profondi (di 1-1,5 secondi ciascuno), evitando di
insufflare aria nello stomaco. L’efficacia di queste manovre ventilatorie va
verificata osservando che la gabbia toracica della vittima si sollevi e si abbassi e
avvertendo (mediante l’udito e la percezione del fruscio dell’aria sulla propria
guancia) l’espirazione passiva del paziente. Fra un’insufflazione e l’altra, bisogna
lasciare alla vittima il tempo di espirare (1-2 s per ogni ventilazione).

La respirazione bocca-naso è indicata quando non è possibile assicurare una


perfetta aderenza fra la propria bocca e quella della vittima o quando non si
riesce ad aprire la bocca della vittima a causa di uno spasmo muscolare, di una
deformità o di una grave infiammazione. Lo spostamento del capo all’indietro in
questo caso è simile a quello eseguito nella respirazione bocca a bocca, ma la
mano libera del soccorritore va utilizzata per spingere in avanti la mandibola, in
modo da chiudere la bocca. Si poggia quindi la bocca accuratamente intorno al
naso della vittima e si somministrano profonde insufflazioni. Si rilascerà infine la
spinta sulla mandibola per permettere l’apertura della bocca durante l’espirazione
passiva.

La respirazione combinata bocca e naso si utilizza nei lattanti e nei bambini


piccoli allorquando risulti difficile mantenere un contatto efficiente della propria
bocca intorno a quella della vittima. In tal caso il soccorritore pone la propria
bocca sulla bocca e sul naso della vittima, insufflando aria nei polmoni in misura
variabile a seconda delle dimensioni del bambino (v. Fig. 206-2C). In genere, nei
bambini ≥8 anni di corporatura normale si utilizzano le tecniche di CPR
dell’adulto.

La pressione sulla cricoide, se è disponibile personale esperto, va applicata in


maniera continuativa finché non si ottiene il controllo delle vie aeree mediante
intubazione orotracheale. Questa tecnica fa sì che i rigidi anelli cartilaginei della
trachea occludano l’esofago. Per questo, si riduce notevolmente l’insufflazione
gastrica durante la ventilazione artificiale minimizzando il rischio di aspirazione in
caso di rigurgito di contenuto gastrico.

Le tecniche usate nella CPR a uno e a due soccorritori sono mostrate nella
Tab. 206-2.

Mentre l’aria inalata contiene circa il 21% di O2 e tracce di CO2, l’aria espirata
contiene il 16-18% di O2 e il 4-5% di CO2, una percentuale sufficiente a

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

mantenere i livelli ematici di O2 e di CO2 intorno ai valori normali, se le


insufflazioni vengono effettuate con la frequenza e i volumi raccomandati. Se il
soccorritore va incontro ad alcalosi da iperventilazione (che si manifesta con
capogiri, obnubilamento del sensorio, acufeni e parestesie), la frequenza
respiratoria e l’ampiezza di ciascuna ventilazione vanno ridotte. Inoltre,
l’introduzione di volumi di aria maggiori rispetto al necessario è associata a
un’eccessiva distensione gastrica con il rischio di inalazione del contenuto
gastrico rigurgitato.

Manovra di Heimlich: negli adulti, se il soccorritore non sente espandersi i


polmoni o non vede il torace sollevarsi dopo aver assicurato la pervietà delle vie
aeree e aver eseguito la respirazione artificiale, si deve assumere che le vie
aeree sono ancora ostruite. Il soccorritore deve riposizionare il capo provando un
metodo alternativo di iperestensione della testa, assicurarsi che ci sia un fermo
contatto della propria bocca con quella della vittima e ripetere la respirazione
artificiale. Se l’ostruzione delle vie aeree persiste, si porta la vittima in posizione
supina e si ricorre alla manovra di Heimlich (spinte manuali sull’addome
superiore o, in caso di gravidanza od obesità estrema, colpi sul torace).

La manovra di Heimlich va effettuata mettendosi seduti a cavalcioni al disopra


delle ginocchia della vittima e ponendo il palmo della propria mano sull’addome
superiore sotto il processo xifoideo (per evitare di danneggiare le strutture
toraciche e il fegato, la mano non va mai appoggiata sul processo xifoideo né
sulla gabbia toracica); l’altra mano va appoggiata sulla prima e quindi si dà una
ferma spinta verso l’alto. (Nota: una spinta verso il basso può danneggiare
l’aorta.) Per la tecnica della compressione toracica, la vittima va messa in
posizione supina; la mano va posizionata in corrispondenza dello sterno
similmente a quanto si fa nel massaggio cardiaco (v. oltre, Ripristino della
circolazione). Con entrambe le tecniche, possono essere necessarie da 6 a
10 compressioni per sbloccare un corpo estraneo.

In caso di ostruzione delle vie aeree nei bambini, va eseguita la manovra di


Heimlich; in bambini piccoli, va eseguita più delicatamente inginocchiandosi di
lato anziché assumere la posizione a cavalcioni.

I lattanti < 1 anno di età vanno tenuti a testa in basso mentre il soccorritore
somministra quattro colpi sul dorso (v. Fig. 206-2A). Si possono somministrare
fino a quattro colpi sul torace, mettendo il bambino con il dorso sulle ginocchia
del soccorritore e con la testa in basso. Il soccorritore può anche sorreggere il
bambino con una mano dietro il collo e l’altra dietro la schiena.

Rimozione di corpi estranei, ricercandoli con le dita alla cieca: Nell’adulto,


un corpo estraneo può anche essere rimosso facendo scivolare il dito indice
lungo la guancia attraverso la bocca e il faringe della vittima dopo avere spostato
in avanti la lingua e la mandibola. Bisogna fare attenzione a non spingere
ulteriormente il corpo estraneo all’interno delle vie aeree. Un ulteriore
scivolamento del dito associato a compressione manuale dell’addome può
essere necessario per spostare completamente il corpo estraneo o per liberare la
via aerea bloccata.

La rimozione alla cieca con le dita non è raccomandata nei bambini e nei neonati.
Tuttavia, se il corpo estraneo è visualizzabile, va rimosso con cautela.
L’ipossiemia progressiva può causare il rilasciamento dei muscoli della gola; la
manovra di rimozione dei corpi estranei con le dita può frequentemente dislocare
un corpo estraneo situato a livello sopralaringeo, anche dopo che un iniziale
tentativo non ha avuto successo.

Una volta liberate le vie aeree: bisogna cominciare rapidamente la CPR. Se


l’ostruzione persiste, occorre procedere alla cricotirotomia; può anche essere
necessario procedere alla tracheostomia, in presenza di gravi lesioni orofacciali o
di flogosi massiva di collo e faringe (v. Ripristino e mantenimento della pervietà
delle vie respiratorie nel Cap. 65).

Gli errori più comuni nella pratica della respirazione artificiale sono: il ritardo
nella diagnosi di arresto respiratorio o cardiaco; l’insuccesso del tentativo di

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

rendere pervie le vie aeree, il ritardo con cui si inizia il BLS; l’inadeguata
ventilazione (p. es., insufficiente apposizione della bocca intorno a quella della
vittima, insuccesso nella somministrazione delle prime due ventilazioni o
inadeguata pressione dell’aria espirata).

RIPRISTINO DELLA CIRCOLAZIONE

Il soccorritore, mentre cerca di ristabilire la pervietà delle vie aeree sospingendo


indietro il capo della vittima, deve utilizzare la mano libera per palpare con
delicatezza il polso carotideo per 5-10 s (il polso può essere irregolare, debole o
rapido). Se non rileva alcuna pulsazione, il soccorritore deve immediatamente
iniziare il massaggio cardiaco esterno (a torace chiuso), insieme con la
respirazione artificiale. Perché il massaggio sia efficace, la vittima deve essere
distesa orizzontalmente su una superficie dura (p. es. sul pavimento, sul tavolo
operatorio, sulla rete del letto). Il soccorritore pone il dito medio di una mano sulla
giunzione xifosternale e l’indice della stessa mano sull’estremità inferiore dello
sterno, quindi pone la zona carpale dell’altra mano sullo sterno subito al di sopra
dell’indice della prima mano. Il palmo della mano utilizzata per individuare la
giunzione xifosternale va posto sull’altra mano già appoggiata sulla sterno (non
sul processo xifoideo) per iniziare le compressioni. Il soccorritore deve mettersi
perpendicolarmente al di sopra della vittima e, tenendo le braccia distese, deve
esercitare una spinta dall’alto verso il basso sullo sterno (per evitare fratture
costali) inducendo una depressione dello sterno di 4-5 cm nell’adulto. Le dita
possono essere tenute estese o intrecciate, ma non devono stare a contatto con
la parete toracica. La compressione e il rilasciamento devono avere la medesima
durata. Le mani del soccorritore vanno mantenute sullo sterno durante la fase di
rilasciamento. Tali manovre vanno ripetute in modo dolce; scossoni, spinte o
compressioni irregolari aumentano la probabilità di causare lesioni.

Nei bambini di età compresa fra 1 e 8 anni, la compressione cardiaca va


effettuata con una sola mano posta sulla regione inferiore dello sterno (non così
in basso come nell’adulto); bisogna ottenere una depressione toracica di 2,5-
3,8 cm alla frequenza di 80-100/min.

In età infantile il cuore ha una posizione più alta nel torace e la parete toracica è
più flessibile. La compressione in tal caso va eseguita con la punta dell’indice e
del medio sulla regione centrale dello sterno causando una depressione di 1,3-
2,5 cm alla frequenza di 100/min.

L’efficacia della CPR va verificata a intervalli di tempo costanti. Il polso carotideo


va palpato 1 min dopo aver messo in pratica i presidi di emergenza, dopo l’arrivo
del secondo soccorritore e quindi q 4-5 min onde verificare l’eventuale ripristino
della circolazione spontanea. In linea teorica, il massaggio cardiaco esterno
produce un polso palpabile a ogni compressione; nonostante la gittata cardiaca
sia solo il 30-40% del normale, la PA sistolica deve essere > 80 mm Hg. La
ricomparsa della reattività pupillare indica la presenza di un’adeguata
circolazione e ossigenazione del cervello. Pupille dilatate, che tuttavia rispondono
alla luce, possono indicare che non si è verificato un danno cerebrale, ma che
l’ossigenazione cerebrale è inadeguata. Tuttavia, la persistenza della dilatazione
pupillare non indica danno o morte cerebrale, in quanto l’uso di farmaci
cardioattivi ad alte dosi o di altri farmaci, come pure la cataratta in un anziano,
possono modificare le dimensioni e la reattività pupillare.

Il massaggio cardiaco interno può risultare efficace dopo trauma toracico


penetrante, tamponamento cardiaco, arresto cardiaco in sala operatoria, quando
il torace del paziente è già aperto e in caso di trauma da schiacciamento toracico.
Tuttavia, questa procedura richiede un’adeguata specializzazione ed esperienza
per la corretta esecuzione della toracotomia, e va riservata solo a circostanze
estreme.

Complicanze

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

La lacerazione epatica è la complicanza più seria (anche fatale) ed è di solito


provocata da una compressione esercitata troppo in basso sullo sterno. Non
comprimere sul processo xifoideo! È stata anche descritta la rottura della milza
dopo CPR e si può anche avere la rottura dello stomaco (soprattutto in caso di
distensione gastrica) dopo compressione addominale. Una complicanza grave è
il rigurgito con successiva aspirazione del contenuto gastrico, che può causare
una polmonite ab ingestis anche fatale.

Si può evitare un’eccessiva distensione gastrica durante la ventilazione


artificiale insufflando aria in misura appropriata, verificando la pervietà completa
delle vie aeree prima di praticare la respirazione artificiale e intubando la vittima il
prima possibile. Se si sviluppa una marcata distensione gastrica, occorre
riverificare la pervietà delle vie aeree ed evitare una ventilazione forzata. Vanno
eseguiti tentativi per risolvere l’iperdistensione gastrica soltanto se si ha a
disposizione l’occorrente per il sondaggio nasogastrico, perché può verificarsi un
rigurgito con inalazione di contenuto gastrico. Se l’eccessiva distensione gastrica
interferisce con le manovre di ventilazione e non può essere corretta nel modo
descritto, occorre porre la vittima sul fianco, comprimere l’epigastrio e mantenere
pulita e pervia la via aerea.

La dislocazione dell’articolazione costocondrale e le fratture costali sono


talvolta inevitabili se si comprime con una forza tale da produrre un polso
palpabile. Dopo massaggio cardiaco esterno, è stata raramente riportata embolia
polmonare a partenza dal midollo osseo, ma manca una chiara evidenza che
questa contribuisca alla mortalità. La compressione toracica causa raramente
importanti danni al miocardio, a meno che non preesista un aneurisma
ventricolare. Rari sono anche i traumi polmonari, sebbene possa verificarsi un
pneumotorace secondario a frattura costale. Il timore di tali complicanze non
deve comunque modificare o impedire una corretta esecuzione della CPR.

DEFIBRILLAZIONE

Un forte pugno precordiale può convertire la FV o la TV in un ritmo cardiaco


efficace o, al contrario, può convertire un ritmo cardiaco organizzato in FV, TV o
asistolia. Si raccomanda l’uso del pugno precordiale solo quando non si ha a
disposizione un defibrillatore.

L’iniziale richiesta di aiuto dovrebbe avere come risultato il rapido arrivo di


soccorritori forniti di defibrillatore. Il successo della defibrillazione è funzione del
tempo, con una riduzione della percentuale di successi del 2-10% per ogni
minuto che trascorre dal momento dell’arresto cardiaco. Una rapida
cardioversione mediante shock elettrico sembra essere più efficace nella
rianimazione rispetto ad altre terapie (p. es., farmaci antiaritmici). Defibrillatori
automatici esterni assicurano un rapido trattamento della TV o della FV senza
l’intervento di un medico.

Le piastre del defibrillatore (ricoperte con pasta conduttrice o piastre morbide


monouso impregnate di soluzione salina) vanno posizionate sul secondo spazio
intercostale lungo il margine sternale destro e sul quinto o sesto spazio
intercostale alla punta del cuore. Se un primo shock a 200 J non è risolutivo, va
somministrato un secondo shock a 200-300 J. Si utilizza un terzo shock a 360 J
se la FV persiste. I tre shock vanno somministrati consecutivamente, senza
interrompere la CPR o la terapia farmacologica. Le piastre del defibrillatore
devono essere ricaricate immediatamente dopo ciascuno shock, senza spostarle
dalla parete toracica se si utilizzano piastre convenzionali. Se si rileva FV al
monitor dopo lo shock iniziale, bisogna immediatamente somministrare il
secondo shock. Se si rileva un ritmo diverso dalla FV, le piastre vanno
allontanate dalla parete toracica, il defibrillatore va scaricato e bisogna cercare
un polso valido. Se la defibrillazione non ha successo, si riprende il BLS e si
pratica una terapia farmacologica basata sulla CPR secondaria (v. più avanti).

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

CIRCOSTANZE PARTICOLARI

In caso di shock elettrico, occorre accertarsi che la vittima non sia più in
contatto con la fonte di energia per evitare che il soccorritore stesso riceva una
scarica. L’uso di strumenti non metallici e il contatto a terra del soccorritore
permettono di sistemare la vittima in maniera sicura per poi iniziare le manovre
rianimatorie.

Nell’annegamento, si può iniziare la respirazione artificiale in acqua, se poco


profonda, ma la compressione del torace non può essere fatta in maniera
efficace quando la vittima non è in posizione orizzontale. Può essere utile in tali
casi porre la vittima su una tavola da surf o comunque su una tavola
galleggiante.

Nel trauma, la CPR può presentare diversi problemi. Una lesione della colonna
cervicale richiede la modificazione delle tecniche descritte in precedenza per
rendere pervie le vie aeree. Lesioni del viso associate a sanguinamento
orofaringeo possono richiedere la pulizia delle vie aeree prima di iniziare la
respirazione. Danni gravi al viso possono rendere impossibile la respirazione
bocca a bocca senza dispositivi aggiuntivi e procedure avanzate (p. es.
l’intubazione endotracheale). Anche i traumi del torace, incluse le lesioni
penetranti cardiache o polmonari, rappresentano un ostacolo alla respirazione
artificiale. In tali circostanze, è necessario l’intervento sul posto di personale
specializzato e l’immediato trasporto in ospedale.

CPR SECONDARIA

La CPR secondaria comprende le misure di supporto cardiorespiratoro avanzato


(Advanced Cardiac Life Support, ACLS) con il BLS. L’ACLS comprende la terapia
farmacologica, il monitoraggio cardiaco (diagnosi ECG), l’equipaggiamento
aggiuntivo e le tecniche speciali per stabilizzare e mantenere un’ossigenazione e
una circolazione efficaci.

La CPR secondaria prevede una sequenza simile a quella della CPR primaria
(ABCD, v. Tab. 206-1). Il ricorso alla CPR secondaria implica che il paziente non
ha risposto agli iniziali tentativi di rianimazione. Il soccorritore deve perciò
prendere in considerazione la diagnosi differenziale dell’arresto cardiaco e
valutare la necessità di una terapia di base per le aritmie e il ricorso a interventi
specifici. Cause quali gli squilibri elettrolitici (ipokaliemia o iperkaliemia), i disturbi
dell’equilibrio acido-base (acidosi metabolica), l’ipovolemia, l’embolia polmonare
massiva o il pneumotorace comporteranno diversi approcci terapeutici nella CPR
secondaria.

L’individuazione del tipo di aritmia e le condizioni cliniche del paziente


determinano la terapia da mettere in atto. La FV, la bradicardia e la dissociazione
elettromeccanica (DEM) richiedono il pronto riconoscimento e un rapido
intervento. Pertanto, è necessario instaurare un monitoraggio ECG il più
rapidamente possibile in tutte le persone in stato di incoscienza o prive di sensi.

Va resa disponibile una via venosa; due vie minimizzano la probabilità di perdita
dell’accesso venoso in un momento critico. Attraverso tale accesso si possono
somministrare rilevanti quantità di liquidi tramite aghi larghi e corti. Le vene
antecubitali del braccio rappresentano il sito preferito per l’accesso iniziale.
Lunghe vie venose femorali consentono di non interrompere la rianimazione e
presentano un minor rischio di complicanze fatali. Personale specializzato può
predisporre una via centrale attraverso la succlavia o la giugulare interna qualora
il trattamento iniziale non risulti efficace nel ripristinare la circolazione (v.
Tecniche Invasive nel Cap. 198). L’attuazione dell’ACLS non deve interrompere il
BLS (ventilazioni e compressioni cardiache) per > 15-30 s. Nei pazienti privi di
accesso venoso, lidocaina, adrenalina e atropina possono essere somministrate
per via endotracheale, a dosi 2-2,5 volte maggiori della dose EV. Il tipo e la
quantità di liquidi o di farmaci somministrati dipendono dalle circostanze cliniche;

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

nell’arresto cardiaco che complica un’ischemia miocardica, vengono


somministrati liquidi EV (p. es. soluzione fisiologica) solo per mantenere pervia la
via di accesso EV, mentre nel collasso circolatorio da perdita di liquid, possono
essere necessarie grandi quantità di liquidi (cristalloidi, soluzioni colloidali,
sangue) per espandere il volume plasmatico.

TERAPIA FARMACOLOGICA

L’adrenalina (1 mg somministrato in 10 ml di soluzione 0,1 mg/ml q 3-5 min) è il


farmaco di prima scelta per la fibrillazione ventricolare, quando una
defibrillazione sia stata inefficace. Il ritmo va ricontrollato dopo circa 30-60 s dalla
somministrazione. Se la FV o la tachicardia ventricolare (TV) persistono,
possono essere praticate fino a tre cardioversioni elettriche consecutive prima
dell’ulteriore somministrazione di farmaci. Questa sequenza può essere ripetuta
per la FV o la TV persistenti. Non è stato dimostrato che l’ulteriore
somministrazione di farmaci dia alcun vantaggio mentre si continuano le
defibrillazioni elettriche intervallate dalla somministrazione di adrenalina.

La lidocaina (1,0-1,5 mg/kg EV) va somministrata EV rapidamente e può essere


ripetuta dopo 3-5 min fino a una dose totale di 3 mg/kg. L’inizio dell’azione è
immediato dopo somministrazione rapida EV, ma è necessaria un’infusione
costante per mantenere livelli ematici terapeutici. L’età avanzata e una ridotta
funzione epatica possono alterare il metabolismo della lidocaina e, in questi casi,
vanno somministrate dosi di carico ridotte. La cardioversione in 30-60 secondi
può essere utilizzata.

La FV o la TV resistenti all’adrenalina, alla defibrillazione e alla lidocaina, o che


recidivano sotto lidocaina, devono essere trattate con tosilato di bretilio mediante
infusione endovenosa rapida (con una dose di carico di 5 mg/kg q 15 min seguita
dalla cardioversione elettrica). Una seconda dose di 10 mg/kg può essere
somministrata mediante infusione EV rapida in 5 min (massima dose totale di
carico di 30 mg/kg).

Nella FV o TV refrattarie, può essere somministrata procainamide alla dose di


30 mg/min fino a un totale di 17 mg/kg. Possono essere desiderabili velocità di
infusione più rapide, che non sono state valutate clinicamente.

Si può utilizzare la fenitoina per trattare la FV o la TV dovute a intossicazione


digitalica refrattaria ad altri farmaci. Una dose di 100 mg, fino a una dose totale di
1 g, va somministrata lentamente ( 50 mg/min) in soluzione fisiologica.

Il solfato di magnesio non si è dimostrato utile in studi clinici randomizzati. Si


ritiene che la somministrazione EV rapida di 1-2 g di Mg possa essere d’aiuto in
pazienti con un deficit di Mg noto o sospetto (cioè, in caso di alcolismo).

Il bicarbonato di sodio non è più raccomandato come presidio terapeutico iniziale


e obbligatorio per l’arresto cardiaco, perché può indurre acidosi paradossa a
livello cerebrale e cardiaco, iperosmolarità, ipersodiemia o alcalemia e può inibire
il rilascio di O2 dal sangue ai tessuti. Bisogna provare prima altri presidi (p. es.,
defibrillazione, ventilazione, massaggio cardiaco, farmaci), a meno che la causa
dell’arresto non sia un’acidosi sensibile ai bicarbonati, un’iperpotassiemia o un
sovradosaggio di antidepressivi triciclici con aritmie ventricolari complesse.
Quando si usa il bicarbonato di sodio, la somministrazione deve essere regolata
monitorando il pH (q 5 min).

Il cloruro di calcio non è più raccomandato in assenza di iperpotassiemia,


ipocalcemia o intossicazione da calcioantagonisti, in quanto elevati livelli
circolanti di Ca++ possono avere effetti dannosi. Quando necessario, si possono
somministrare EV 2 ml di una soluzione al 10% di cloruro di calcio (100 mg/
ml = 1,36 mEq/ml) a 1 ml/min. Si possono usare altri preparati a base di Ca (Ca
gluceptato 3 ml [0,9 mEq/ml], Ca gluconato 6 ml [0,45 mEq/ml]). È necessaria
particolare cautela quando l’intossicazione digitalica rappresenta la causa
potenziale dell’arresto cardiaco.

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

L’asistolia va trattata con boli EV di adrenalina di 0,5-1 mg q 5 min. L’adrenalina


ha sia proprietà di α-agonista che di β-agonista. Gli effetti di tipo α possono
aumentare la pressione diastolica periferica e coronarica, migliorando pertanto la
perfusione a livello delle regioni subendocardiche durante il massaggio cardiaco.
Ciò può generare attività elettrica e aumentare la contrattilità cardiaca e quindi la
gittata cardiaca. Siccome si ha un buon assorbimento di adrenalina per via
polmonare, non bisogna ritardare la somministrazione endotracheale, se risulta
difficile instaurare una via venosa. È sconsigliabile la somministrazione
intracardiaca di adrenalina, a meno che la via venosa e quella aerea siano
inaccessibili, a causa di complicanze quali pneumotorace, lacerazioni
coronariche, tamponamento cardiaco e interruzioni prolungate della CPR.

Una linea completamente piatta all’ECG è comunemente dovuta a un errore


dell’operatore (falsa asistolia), p. es., derivazioni mancanti o non connesse al
paziente o all’apparecchio di monitoraggio, mancanza di potenza o ridotto
guadagno del segnale. È appropriato il monitoraggio di un’altra derivazione o la
risistemazione delle piastre del defibrillatore.

Si può anche somministrare solfato di atropina 0,5-1 mg q 5 min (fino a un


massimo di 0,03-0,04 mg/kg) se l’asistolia persiste. L’atropina è un farmaco
parasimpaticolitico che aumenta la frequenza cardiaca e la conduzione
attraverso il nodo atrioventricolare. Può risultare utile per le bradiaritmie che si
verificano in corso di ischemia miocardica (specialmente della parete inferiore) o
per il blocco di grado elevato del nodo atrioventricolare.

Se né l’adrenalina, né l’atropina ripristinano complessi ECG regolari, bisogna


immediatamente instaurare un pacing temporaneo trans-cutaneo. Se la
stimolazione transcutanea non è disponibile o non ha successo, può essere
sostituita da un pacemaker temporaneo transvenoso (nel ventricolo destro) o da
elettrodi stimolanti percutanei transtoracici a livello sottocostale. Tuttavia, la
probabilità che il pacing abbia successo è tanto minore quanto maggiore è stata
la durata dell’arresto cardiaco. Subito dopo l’impianto degli elettrodi, occorre
determinare le soglie di sensing e di stimolazione; 1-2 milliampere è
generalmente la soglia di un efficace sistema di pacing temporaneo. L’output
elettrico di mantenimento deve essere pari a due-tre volte il valore soglia e il
pacemaker deve essere regolato in modo da mantenere la frequenza cardiaca a
70-80 battiti/min. Se la stimolazione è inefficace, bisogna provare l’adrenalina,
l’atropina o il riposizionamento dell’elettrodo.

La defibrillazione di routine nell’asistolia non dà risultati incoraggianti, perché può


provocare un’importante scarica parasimpatica.

L’attività elettrica senza polso è un collasso circolatorio che si verifica


nonostante la presenza di una soddisfacente attività elettrica all’ECG. Può essere
causata da: insufficienza di pompa per un’estesa disfunzione miocardica,
significativa perdita del tono vasomotorio periferico, massiva perdita di liquidi,
tamponamento cardiaco, tumore intracardiaco, trombo intracavitario occludente o
embolia polmonare massiva. Attività elettrica senza polso non è necessariamente
sinonimo di dissociazione elettromeccanica (DEM) perché il miocardio può
ancora contrarsi, ma in maniera insufficiente, così da non consentire il rilievo
della PA mediante i metodi consueti. Nell’attività elettrica senza polso, il BLS va
praticato in combinazione con l’infusione di liquidi e di adrenalina (0,5-1 mg EV) e
con altre misure di rianimazione avanzata. Per la bradicardia può essere
somministrata atropina.

Una causa frequente di attività elettrica senza polso è la deplezione relativa o


assoluta di liquidi. Vanno somministrate soluzioni di cristalloidi o di colloidi (500-
1000 ml); volumi maggiori di liquidi possono essere necessari in caso di perdite
massive di liquidi o di anafilassi. Per aumentare il ritorno venoso sistemico, si può
infondere dopamina o adrenalina in dosi crescenti. Il tamponamento cardiaco
rappresenta un’importante causa di attività elettrica senza polso e va
rapidamente trattato mediante pericardiocentesi a letto del paziente (v.
Cap. 209). Un’altra causa importante è il pneumotorace iperteso, che può essere
risolto mediante l’inserimento di un ago o una sonda toracica. Un’altra causa
possibile è il sovradosaggio di farmaci (antidepressivi, digitale, β-bloccanti o

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

calcioantagonisti).

Nell’attività elettrica senza polso, è indicato l’attento monitoraggio del flusso


ematico non rilevabile con la palpazione delle arterie; a tal fine, si può utilizzare
l’ecografia Doppler o il monitoraggio invasivo della pressione arteriosa. I pazienti
con una contrattilità cardiaca rilevabile devono essere trattati in maniera
aggressiva.

Nello shock circolatorio, se non c’è evidenza di insufficienza ventricolare


sinistra, la terapia iniziale è costituita dall’infusione di liquidi. In caso di
ipotensione arteriosa grave che non risponde alla reintegrazione dei liquidi,
risultano utili i seguenti farmaci, somministrati in infusione continua a dosi
crescenti per ripristinare una pressione arteriosa valida: la dopamina, farmaco
inotropo (400 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5% [1,6 mg/ml], iniziando a
3-5 µg/kg/min); l’adrenalina, inotropo e vasocostrittore (8 mg in 250 ml di
glucosata al 5% [32 µg /ml] a 2-10 µg/min); la noradrenalina (8 mg in 250 ml di
glucosata al 5% o NaCl allo 0,9% [32 µg/ml] a 2-16 µg/min) o la fenilefrina
(50 mg in 250 ml di glucosata al 5% [200 µg/ml] a 0,1-1,5 µg/kg/min), entrambi
vasocostrittori periferici. I farmaci vasoattivi vanno utilizzati alle minime dosi
necessarie per ottenere una PA soddisfacente, perché possono indurre un
aumento delle resistenze vascolari e ridurre la perfusione tissutale, soprattutto
nella regione mesenterica. A volte è necessario continuare le manovre
rianimatorie anche dopo l’iniziale ripresa della vittima e bisogna proseguire finché
una ventilazione e un polso adeguati e una PA accettabile indicano la
stabilizzazione della funzione cardiorespiratoria.

DISPOSITIVI MECCANICI PER LA RIANIMAZIONE

I dispositivi meccanici costituiscono mezzi aggiuntivi e non sostituiscono la


respirazione bocca a bocca e il massaggio cardiaco manuale esterno durante il
BLS. Vanno utilizzati solo se disponibili entro pochi secondi, o in sostituzione dei
mezzi manuali in caso di rianimazione prolungata o quando occorra spostare la
vittima. Sono dispositivi specialistici che vanno utilizzati soltanto da personale
adeguatamente addestrato. Negli ambienti clinici e ospedalieri, dove è
prevedibile la necessità di mettere in atto manovre di rianimazione e dove il
rischio di infezione da HIV, epatite o altro è elevato (p. es., in UTIC, in pronto
soccorso, in sala operatoria), questi dispositivi devono essere disponibili
rapidamente, eliminando così la necessità della respirazione bocca a bocca.

Dispositivi di supporto delle vie aeree: lo scopo principale dei dispositivi di


supporto delle vie aeree è fornire O2 supplementare al paziente e assicurare la
ventilazione durante le manovre rianimatorie.

La maschera facciale con valvola comprende un palloncino autogonfiabile e un


meccanismo a valvola che impedisce il ricircolo dell’aria espirata (pallone da
rianimazione, pallone di Ambu). Questi dispositivi vanno utilizzati con fonti
supplementari di O2 e possono fornire O2 al 60-100%, a patto che si utilizzi il più
alto flusso di O2 accettabile, il maggior tempo possibile di riempimento del
pallone e un reservoir per l’O2 per impedire l’ingresso di aria ambiente (ogni volta
che sia possibile).

Il pallone di Ambu si utilizza al meglio con dispositivi artificiali di controllo delle vie
aeree, che vanno tuttavia utilizzati solo quando il paziente è completamente privo
di coscienza. Se si prova a inserire un tale dispositivo in un paziente cosciente o
in stato soporoso, si può verificare un’ostruzione delle vie aeree con conseguente
ipossia, vomito e aspirazione.

Tubi endotracheali a tenuta sono utilizzati per mantenere pervia una via aerea
compromessa, per prevenire l’inalazione nelle vie respiratorie, per iniziare la
ventilazione meccanica e per aspirare le basse vie respiratorie. Sono indicati nei
pazienti in coma e nei casi in cui sia richiesta la ventilazione artificiale. Prima di
ricorrere all’intubazione tracheale, sono sempre indicati il controllo manuale delle

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

vie aeree, la ventilazione e l’ossigenazione durante BLS e l’erogazione di O2 in


corso di ACLS. Nelle situazioni d’emergenza, bisogna ricordare che l’intubazione
orotracheale si esegue più velocemente rispetto a quella nasotracheale; devono
essere sempre pronti dispositivi per l’aspirazione e tutto il necessario per le
emergenze. Il pallone di Ambu può essere collegato al tubo endotracheale
mediante speciali adattatori e ciò permette la ventilazione manuale del paziente
finché non viene ripristinata la funzione cardiocircolatoria. Qualora anomalie
scheletriche o spasmi muscolari impediscano l’intubazione orotracheale, si può
tentare l’intubazione nasotracheale alla cieca. Se questo è impossibile, possono
essere necessarie speciali tecniche di accesso alla via aerea, quali la
ventilazione mediante catetere transtracheale e la cricotiroidotomia (v. Ripristino
e mantenimento della pervietà delle vie respiratorie nel Cap. 65).

La doppia sonda orofaringea è stata utilizzata in alternativa alla respirazione


bocca a bocca durante BLS, ma è più difficile da utilizzare poiché le dita del
rianimatore devono serrare le labbra del paziente attorno al tubo mentre i pollici
tengono chiuse le narici. Aprire la bocca e mantenere la pervietà della via aerea
può essere difficile e la stimolazione dell’ipofaringe può indurre vomito non
appena il paziente riacquista lo stato di coscienza.

Sonde ostruttrici esofagee sono state utilizzate come dispositivi aggiuntivi in


caso di arresto cardiaco, ma vanno inserite da personale specificatamente
addestrato al loro uso che non sia in grado di eseguire l’intubazione
endotracheale. Le complicanze comprendono la perforazione esofagea e
l’eccessiva distensione gastrica, che può causare rigurgito. Prima di rimuovere la
sonda ostruttrice esofagea, il paziente va intubato e girato su un fianco; devono
essere disponibili dispositivi per l’aspirazione.

Per i pazienti che respirano spontaneamente, sono disponibili diversi tipi di


maschere facciali in diverse misure (per bambini e adulti). Devono essere ben
posizionate, trasparenti e devono erogare O2 alla concentrazione del 50% con un
flusso di O2 pari a 10 l/min. Le maschere sono efficaci soprattutto quando il
soccorritore si mette a livello del capo della vittima e serra fermamente la
maschera sul suo viso mentre mantiene pervia la via aerea mediante
iperestensione del capo e sublussazione della mandibola. Mediante la semplice
maschera, l’O2 viene erogato attraverso un tubo conico e inalato dal paziente
(con l’aggiunta di quantità variabili di aria ambiente attraverso i fori di espirazione
della maschera), che poi espira attraverso un’apposita via di espirazione. I flussi
di O2 comunemente utilizzati (6-10 l/min) permettono di erogare concentrazioni di
O2 del 35-55%. Poiché le diverse modalità di ventilazione possono modificare la
quantità di O2 fornita da queste maschere, si possono, in alternativa, utilizzare le
maschere di Venturi, soprattutto nel caso di pazienti che hanno ritenzione di CO2
e malattie polmonari croniche. Tali dispositivi possono fornire O2 alla
concentrazione di 24, 28, 31, 35, 40 e 50%. Una maschera che impedisce il
ricircolo dell’aria espirata, simile a una semplice maschera ma fornita di un
resevoir di O2 e di valvole di espirazione a una via, può fornire O2 a
concentrazioni fino al 90%. Il flusso deve essere di 6-10 l/ min per impedire il
collasso del reservoir in coincidenza di ciascun atto respiratorio. L’ossigeno può
anche essere erogato mediante cateteri nasali, con un flusso sino a 5 l/min.

Supporto circolatorio artificiale: siccome molte forme di arresto cardiaco si


accompagnano a ipovolemia, risulterà utile ricorrere a pantaloni antishock
militari o medici (Military [or medical] Antishock Trousers, MAST) per
aumentare il volume ematico centrale, soprattutto in pazienti con shock
ipovolemico secondario a trauma ed emorragia. Tali dispositivi, inoltre,
aumentano le resistenze periferiche e incrementano di conseguenza il flusso
coronarico. Sono forniti di compartimenti separati per l’addome e per gli arti
inferiori, che permettono una compressione indipendente dei vari compartimenti,
diversa a seconda delle necessità; quando sono in sede, vanno sgonfiati in
maniera sequenziale (il compartimento addominale per primo) come indicato. I
MAST possono causare congestione polmonare e insufficienza cardiaca, se il
volume intravascolare è normale e la funzione miocardica è ridotta.

La contropulsazione aortica può sostenere la circolazione in condizioni di

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

bassa gittata dovuta a un’insufficienza di pompa del ventricolo sinistro grave e


refrattaria. Si introduce un catetere, di solito attraverso l’arteria femorale per via
transcutanea o mediante arteriotomia, e lo si fa avanzare per via retrograda fino
all’aorta toracica, fermandosi quando è appena distale rispetto all’arteria
succlavia sinistra. Il gonfiaggio pulsato del contropulsatore migliora la perfusione
arteriosa coronarica durante la diastole e riduce il postcarico durante la sistole. Il
beneficio massimo di questa tecnica si ha nei casi di rapido deterioramento
emodinamico, quando l’intervento cardiochirurgico è imminente e altre misure
terapeutiche sono inefficaci. I pazienti con shock cardiogeno dopo la
rianimazione, che hanno patologie potenzialmente correggibili mediante
intervento chirurgico (p. es., IMA con insufficienza mitralica acuta o difetto
interventricolare, grave insufficienza aortica da lesione vascolare acuta), sono
candidati alla contropulsazione aortica. È necessaria comunque particolare
esperienza nell’inserimento e nel monitoraggio della funzione del
contropulsatore.

TERAPIA POST-RIANIMAZIONE

Nella fase precoce del periodo post-rianimazione, la terapia ha come obiettivi la


correzione dei fattori che mettono a rischio la funzione cardiovascolare e le
misure standard atte ad assicurare un’ossigenazione e circolazione cerebrale
ottimali. La volemia va normalizzata e la pressione arteriosa media deve essere
normale o poco al di sopra dei valori normali. L’ematocrito, la glicemia e gli
elettroliti vanno tenuti sotto controllo e la temperatura corporea deve essere
mantenuta su valori normali, al fine di ridurre al minimo le richieste metaboliche.
La PaO2 arteriosa va mantenuta a livelli normali (80-100 mm Hg). Dopo un
arresto cardiaco, le dinamiche del flusso ematico sistemico e del volume
intravascolare possono non essere chiare; in tal caso, può essere necessario il
monitoraggio della pressione venosa centrale. Dopo un IMA, può essere
necessaria l’inserzione di un catetere in arteria polmonare, per misurare la gittata
cardiaca, la pressione capillare polmonare ("wedge") e la saturazione di O2 del
sangue venoso misto, parametri necessari per stabilire il dosaggio ottimale dei
farmaci.

La FV o la TV senza polso possono recidivare nel periodo post-rianimazione. La


lidocaina (1-1,5 mg/kg EV in infusione rapida) deve essere somministrata di
routine dopo la cardioversione di una TV o di una FV, anche quando non è stata
utilizzata nelle prime fasi della rianimazione. Se sono stati usati la procainamide
o il bretilio, tali farmaci possono essere somministrati mediante infusione
continua.

Eventuali tachicardie sopraventricolari rapide nel periodo post-rianimazione


vanno monitorate ma non trattate, se il paziente è per altri versi stabile
(normoteso). Le aritmie sono frequentemente dovute agli elevati livelli di
catecolamine (sia endogene che esogene) associate con l’arresto cardiaco e le
manovre rianimatorie.

In presenza di una bassa gittata dopo ischemia miocardica, può essere indicata
la somministrazione di farmaci vasoattivi; gli inotropi aumentano direttamente la
contrattilità miocardica. La terapia con dobutamina (500 mg in 250 ml di
soluzione glucosata al 5%; 2 mg/ml) si incomincia alla velocità di 2-5 µg/kg/min.
In alternativa, vengono somministrati l’amrinone o il milrinone (dose iniziale:
0,75 mg/kg nell’arco di 2-3 min, utilizzando una soluzione di 500 mg in 250 ml di
soluzione fisiologica, cioè 2 mg/ml); al bolo iniziale si fa seguire un’infusione
continua alla velocità di 5-10 µg/kg/min.

Il nitroprussiato di sodio (50 mg in 100 ml di soluzione glucosata al 5%, cioè


500 µg/ml), in sistemi per infusioni endovenose avvolti da fogli di alluminio per
proteggerlo dall’esposizione alla luce, va inizialmente somministrato alla velocità
di 0,25-0,3 µg/kg/min fino a una velocità massima di 10 µg/kg/min, a seconda
delle condizione cliniche ed emodinamiche; è un vasodilatatore venoso e
arterioso, che agisce dunque sul precarico e sul postcarico e può ridurre la
congestione polmonare e aumentare la gittata cardiaca. La somministrazione di

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Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

nitroglicerina EV (100 mg in 250 ml di soluzione glucosata al 5%, cioè 400 µg/ml)


può risultare utile per ridurre il precarico, soprattutto nell’angina instabile in
presenza di insufficienza cardiaca. L’uso ottimale di questi due farmaci implica un
completo monitoraggio emodinamico a causa dei loro effetti emodinamici rapidi e
significativi.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE


CARDIOPOLMONARE

RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE

Sommario:

Introduzione
Principali differenze tra la CPR pediatrica e degli adulti
MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI; ASSISTENZA DI BASE
Valutazione e stabilizzazione del neonato
CPR dopo il periodo neonatale

MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI CON MEZZI INTENSIVI


Tubi respiratori
Accessi vascolari
Farmaci per il trattamento di urgenza
Defibrillazione e cardioversione
Valutazione successiva all’arresto cardiaco e trattamento

La rianimazione cardiopolmonare (CardioPulmonary Resuscitation, CPR)


presenta grandi difficoltà in età pediatrica. Nonostante l’adozione della CPR, i
tassi di mortalità per arresto cardiaco variano dal 70 al 90% per i prematuri e per i
neonati a termine e dal 90 al 97% per i lattanti e i bambini. Il tasso di mortalità è
quasi del 50% per il solo arresto respiratorio e gli esiti neurologici sono spesso
gravemente invalidanti.

Il 50-65% circa dei bambini che richiede CPR ha meno di 1 anno e di questi la
maggior parte ha meno di 6 mesi. Circa il 6% dei neonati richiede rianimazione
cardiopolmonare alla nascita (v. Tab. 263-11) e questa percentuale aumenta
significativamente se il peso alla nascita è < 1500 g.

Principali differenze tra la CPR pediatrica e degli adulti

Le cause di arresto cardiaco nei neonati e nei bambini sono estremamente


varie; le più comuni sono incidenti con veicoli a motore, annegamento, ustioni,
ferite da arma da fuoco, avvelenamento, inalazione di vapori, ostruzione delle vie
aeree e aspirazione di corpi estranei, infezioni respiratorie o sistemiche, e
cardiopatie congenite. Negli adulti, la causa di arresto cardiaco è quasi sempre
dipendente da una sofferenza grave e diffusa delle arterie coronariche, più
comunemente aggravata dalla sovrapposizione di una tachiaritmia ventricolare
maligna. Nei bambini, l’ipossiemia e i problemi relativi alle vie respiratorie sono i
maggiori fattori scatenanti, che producono bradicardia e asistolia, mentre solo
il 10% delle aritmie cardiache è rappresentato da tachicardie ventricolari.
Pertanto, nei bambini, non è generalmente richiesta una sistematica e rapida
defibrillazione, perché diversamente dagli adulti, le aritmie ventricolari maligne
sono improbabili.

Il peso corporeo deve essere misurato o stimato in maniera accurata per


permettere il calcolo delle dosi dei farmaci, in milligrammi in base alla

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

concentrazione del farmaco stesso. Questo tipo di approccio spesso ritarda il


momento dell’intervento e può determinare gravi errori.

L’anatomia delle alte vie respiratorie è differente nel bambino. Il capo è grande
ma il viso, le mascelle e le narici sono piccole e il collo in proporzione è corto. La
lingua è grande rispetto alla bocca e il laringe è posto più in alto all’interno del
collo ed è più angolato in avanti. L’epiglottide è allungata e la sezione più stretta
è posizionata sotto le corde vocali, all’altezza della cartilagine cricoide, quindi nel
bambino (a differenza dell’adulto) è possibile usare tubi endotracheali non
cuffiati, in tal modo riducendo al minimo il trauma a carico della estremamente
sensibile mucosa delle vie aeree.

La suscettibilità alla perdita di calore è maggiore nei neonati e nei bambini


rispetto agli adulti, a causa della maggiore estensione della superficie corporea in
relazione alla massa corporea e alla minore rappresentazione del tessuto
sottocutaneo. Un "ambiente esterno termicamente neutro" è fondamentale
durante una CPR, in quanto la temperatura corporea può oscillare in un bambino
dai 36,5°C (97,7°F) fino ai 35°C (95°F). L’ipotermia, con una temperatura
centrale < 35°C, diminuisce il consumo di O2 e la gittata cardiaca e aumenta la
morbilità globale. A una brusca discesa di temperatura, segue il brivido,
meccanismo protettivo atto alla produzione di calore per aumentare la
temperatura corporea. Se l’ipotermia persiste il consumo di ossigeno diminuisce
e si può verificare grave bradiaritmia, con comparsa di asistolia entro 10-
15 minuti di profonda ipotermia (< 28°C [< 48°F]).

La compressione cardiaca viene effettuata usando due mani, di cui una posta
sullo sterno, o due dita, con una frequenza che varia da 80 a 100 min, in base
alle dimensioni del bambino (v. Fig. 263-3).

La frequenza di ventilazione, sebbene identica alla frequenza ventilazione/


compressione 1:5 utilizzata per la CPR dell’adulto effettuata da due persone,
varia come la compressione cardiaca in base all’età (in termini di frequenza ed
entità della spinta) (v. Tab. 263-12).

La stabilizzazione delle vie aeree è difficile e tuttavia vitale. Per l’età pediatrica
sono disponibili cinque set per l’assistenza respiratoria, sei misure di maschere
(cuffiate e non), tre misure di palloni per la ventilazione, quattro misure di lame
per laringoscopio, nove misure di tubi endotracheali e sei misure di cateteri di
aspirazione.

La causa scatenante deve essere trattata, se possibile, immediatamente dopo


gli accertamenti iniziali; p. es., il naloxone deve essere dato ai neonati le cui
madri hanno ricevuto narcotici intrapartum; nei pazienti con meningococcemia

è necessario trattare aggressivamente lo shock settico; nei pazienti


politraumatizzati è necessario ripristinare rapidamente le perdite ematiche e,
infine, nei pazienti con sospetta ostruzione delle vie aeree, è necessario
procedere rapidamente alla rimozione del corpi estranei. Gruppi di personale
specializzato nella CPR devono essere prontamente disponibili per i neonati al
momento del parto e per tutti gli altri bambini con arresto cardiopolmonare, sia
dentro che fuori dal presidio ospedaliero. L’equipe medica deve accertare la
necessità dell’intervento di altri esperti o di un trasferimento in un centro di terzo
livello.

MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI; ASSISTENZA DI BASE


Valutazione e stabilizzazione del neonato

Il punteggio di Apgar (v. Tab. 263-13) a 1 e 5 minuti è utilizzato per valutare le


condizioni e l’adattamento del neonato immediatamente dopo la nascita. Le
componenti del punteggio (p. es., il colorito, il tono muscolare, la risposta riflessa
al catetere nasale) dipendono in parte dalla maturità fisiologica. Tuttavia il
punteggio è influenzato in maniera significativa dalla terapia materna e dalle

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

condizioni cardiorespiratorie e neurologiche del neonato. Un punteggio da 7 a 10


a 5 minuti è considerato normale, da 4 a 6, intermedio, e da 0 a 3, basso. Un
basso punteggio di Apgar non è di per se un segnale di asfissia perinatale (v.
oltre), ma si associa con un rischio di sequele neurologiche a distanza. I lattanti
con un punteggio di Apgar persistentemente basso (> 10 min) hanno una
mortalità progressivamente aumentata nel primo anno di vita, mentre quelli che
sopravvivono possono presentare paralisi cerebrale infantile.

A causa dell’asfissia, il colorito, il respiro, il tono muscolare, la risposta riflessa e


il battito cardiaco, vengono compromessi in maniera sequenziale (un’efficiente
rianimazione porta a un immediato miglioramento nel battito cardiaco, seguito dal
ripristino della risposta riflessa, del colorito, del respiro e del tono muscolare).
L’evidenza di distress fetale intrapartum, la persistenza di un punteggio di Apgar
tra 0 e 3 per più di 5 minuti, un pH < 7 all’emogasanalisi su sangue cordonale,
una sindrome neurologica neonatale persistente con ipotonia, coma e convulsioni
e l’evidenza di una disfunzione multiorgano, denotano una grave asfissia
perinatale. La gravità e gli esiti dell’encefalopatia ipossico-ischemica sono meglio
misurati dalla classificazione di Sarnat

(v. Tab. 263-14) in associazione all’EEG, alle immagini neuroradiologiche e ai


potenziali evocati uditivi e corticali.

La stabilizzazione iniziale del neonato richiede un lettino di assistenza


neonatale, l’aspirazione delle vie aeree, la stimolazione tattile e la
somministrazione di O2 (v. anche Fig. 263-4).

Per assistere il neonato nelle migliori condizioni è necessario un lettino di


assistenza neonatale, preriscaldato dall’alto e posizionato nella sala parto, su cui
viene posto il neonato, dopo averlo rapidamente asciugato e dopo aver rimosso
la biancheria bagnata. Il lattante deve essere posto supino, con il collo mantenuto
in posizione neutra, mediante un asciugamano arrotolato sotto le spalle.

L’aspirazione dalla bocca, dal naso e dal faringe deve essere effettuata prima
dell’auscultazione del torace, specie nei neonati con liquido amniotico tinto di
meconio. L’aspirazione si effettua meglio con cateteri di calibro appropriato (v.
Tab. 263-12), usando un sistema meccanico di aspirazione con limite di
pressione a 100 mm Hg (136 cm H2O). L’aspirazione deve essere effettuata in
maniera intermittente, in modo da eseguire un’aspirazione orofaringea profonda.

La stimolazione tattile del neonato (p. es., colpendo le piante dei piedi,
strofinando il dorso) può essere necessaria per favorire un respiro spontaneo e
regolare.

La somministrazione di O2, se necessaria, deve essere effettuata con un flusso di


10 l/min, con maschera facciale attaccata a un pallone autogonfiabile o da
anestesia, o di 5 l/min direttamente da un fonte di O2.

CPR dopo il periodo neonatale

L’assistenza prevede valutazioni e interventi sequenziali. Le vie aeree devono


essere rapidamente esaminate e stabilizzate, per eliminare le ostruzioni e
consentirne l’aspirazione, la ventilazione e l’ossigenazione (v. Fig. 263-5).

In caso di ostruzione da corpo estraneo certa o fortemente sospetta, si può


assistere il bambino, che respira in maniera adeguata, incoraggiandolo
inizialmente a tossire. È necessario intervenire solo se il bambino presenta
stridore e difficoltà respiratoria o compare perdita di coscienza. Nel lattante, si
devono effettuare cinque colpi tra le spalle, usando il palmo della mano, seguiti
da cinque spinte applicate anteriormente sul torace, allo stesso modo delle
compressioni toraciche (v. Fig. 263-3). La manovra di Heimlich è riservata ai
bambini più grandi, ma la tecnica varia in base alla dimensioni del paziente. Nelle

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

vittime coscienti, devono essere effettuate cinque spinte sulla parte superiore
dell’addome, sulla linea mediana proprio sopra l’ombelico, utilizzando il pugno
chiuso con il bambino in piedi, seduto o disteso. La posizione distesa è riservata
alle vittime che hanno perso conoscenza (v. Fig. 263-6 e 263-7).

Se non è presente alcun tentativo di respirazione, si deve procedere alla


respirazione a pressione positiva, con insufflazioni della durata di 1-1,5 s,
assicurando una ventilazione efficace con la minima pressione di insufflazione,
che altrimenti può determinare distensione gastrica. L’assistenza respiratoria in
urgenza (manuale) non è consigliata nei neonati ospedalizzati, per la facilità con
cui si possono reperire palloni e maschere per la ventilazione.

Se non si apprezza il battito alla base del cordone (neonato), il polso brachiale
(< 1 aa) o il polso carotideo ( 1 aa) si deve procedere al massaggio cardiaco
esterno. Una tecnica appropriata di CPR prevede l’effettuazione del massaggio
cardiaco esterno sopra lo sterno (v. Tab. 263-12) e si continua ininterrottamente,
eccetto per le pause di ventilazione in un bambino non intubato, fino a che il
paziente si riprenda o si decida di sospendere i tentativi di CPR. Le posizioni per
la compressione toracica sono mostrate nella Fig. 263-3. Per evitare traumi
epatici, il terzo inferiore dello sterno deve essere utilizzato come punto di repere
per la compressione nei prematuri e nei neonati a termine, e nei bambini
< 8 anni. Le compressioni toraciche devono essere accompagnate da
insufflazioni e da un’attenta osservazione dell’escursione toracica, del polso,
della reazione pupillare alla luce, e dell’assenza di distensione gastrica. Se si
verifica distensione gastrica, si deve inserire un sondino nasogastrico.

Se non si ottiene risposta con l’assistenza di base, si deve passare rapidamente


all’assistenza intensiva.

MANTENIMENTO DELLE FUNZIONI VITALI CON MEZZI INTENSIVI


Tubi respiratori

I tubi respiratori e le maschere devono essere di misura appropriata (v. Tab. 263-
12).

La ventilazione con maschera a palloncino richiede una chiusura ermetica tra


maschera e viso. I criteri per la ventilazione con maschera a palloncino nei
neonati includono inadeguata attività respiratoria o apnea, battito cardiaco
< 100 batt/min e cianosi centrale nonostante l’uso del 100% di O2.

Il tubo orofaringeo (che deve essere utilizzato nel paziente cosciente) deve
essere inserito con l’aiuto di un abbassalingua, per mantenere la lingua sul
pavimento del cavo orale. Se non è disponibile un abbassalingua, il tubo deve
essere girato dentro la bocca (usando la parte posteriore del corpo ricurvo come
abbassalingua) e ruotato nella giusta posizione, una volta raggiunta la parte
posteriore dell’orofaringe. Raramente è necessaria l’intubazione orale nei
neonati, eccetto in presenza di anomalie strutturali, come l’atresia bilaterale delle
coane o la sequenza di Pierre-Robin (mandibola piccola con varie anomalie
facciali). Per i bambini > 5 anni sono consigliate le maschere con palloncino.
L’intubazione endotracheale immediata è la tecnica di scelta per migliorare
l’ossigenazione, controllare le vie respiratorie e prevenire l’inalazione.

L’aspirazione endotracheale, mediante un aspiratore speciale posizionato nel


tubo endotracheale, è il trattamento di scelta per neonati depressi in seguito ad
inalazione di liquido amniotico tinto. Una lama laringoscopica di dimensione
appropriata riduce il rischio di trauma orofaringeo. Nei bambini più piccoli, una
lama diritta è generalmente più semplice da utilizzare rispetto a una ricurva,
sebbene in alcuni centri siano utilizzate entrambe. Il tubo endotracheale (che
nella misura più grande, per adolescenti, deve essere provvisto di palloncino, per
garantire un buon ancoraggio tracheale) e il catetere d’aspirazione devono
essere della misura giusta, per consentire l’aspirazione orofaringea diretta e
l’aspirazione tracheo-bronchiale, dopo inserimento del catetere di aspirazione

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

all’interno del tubo endotracheale (devono essere disponibili tutte le diverse


misure per l’età pediatrica).

Accessi vascolari

I medici devono essere esperti nel posizionare gli accessi vascolari in varie sedi,
in quanto talvolta possono rendersi necessari accessi inusuali (p. es., dopo
un’ustione o un trauma). L’incannulazione di vasi centrali è teoricamente
preferibile in tutti i gruppi di età, sebbene si tratti di una pratica difficoltosa per un
operatore inesperto; un’alternativa accettabile è l’uso di due cateteri periferici di
grosso calibro. In alternativa sono raccomandati accessi venosi percutanei della
vena femorale, giugulare o vena succlavia e la messa a nudo della vena safena
(venolisi n.d.t.). Il posizionamento di un ago nell’osso tibiale, nei bambini
< 6 anni, consente una sicura ed efficace infusione di sangue, di sostanze
colloidi, di soluzioni cristalloidi e di tutti i farmaci della CPR, anche in infusione
continua. Nei neonati l’incannulazione della vena ombelicale come accesso
vascolare d’emergenza è relativamente semplice.

Farmaci per il trattamento di urgenza

Dopo che il paziente è stato intubato, ventilato e ossigenato, si deve misurare la


frequenza cardiaca. La terapia farmacologica delle aritmie viene delineata nel
Cap. 205. La posologia consigliata per la rianimazione pediatrica è elencata nella
Tab. 263-15. Adrenalina, atropina e naloxone restano i farmaci principali nella
CPR (quando l’accesso vascolare è inadatto, questi farmaci possono essere
somministrati attraverso il tubo endotracheale). Il bretilio è un farmaco di seconda
scelta dopo la lidocaina per le aritmie ventricolari ad alto rischio, benché i dati
sull’efficacia riscontrata in età pediatrica siano ancora insufficienti. L’utilità del
bicarbonato di sodio e del cloruro di Ca è stata messa in discussione, tranne che
in circostanze ben definite, p. es., in presenza di iperpotassiemia, ipocalcemia,
ipermagnesiemia, sovradosaggio di calcioantagonisti, acidosi metabolica
persistente e grave, nonostante una sufficiente ventilazione.

È di primaria importanza indagare e curare i disturbi di base che hanno scatenato


l’arresto cardiopolmonare nel bambino. Il trattamento prevede la correzione della
volemia con soluzione fisiologica, colloidi, cristalloidi, o sangue (p. es. in seguito
a traumi o ustioni). La fluidoterapia, comunque, è difficile da gestire per chi non è
abituato alla CPR pediatrica, in quanto i bambini possiedono un volume ematico
ridotto e pertanto l’infusione di quantità opportune di liquidi deve essere effettuata
con cautela per evitare un sovraccarico di volume.

Defibrillazione e cardioversione

La defibrillazione è raramente necessaria, poiché in età pediatrica è infrequente


una fibrillazione ventricolare primaria, che deve essere ben valutata prima di
procedere alla cardioversione elettrica. Quando si ricorre alla defibrillazione, si
deve controllare che le placche elettriche siano della misura adeguata; i neonati e
i lattanti (da 0 a 12 mesi) necessitano di placche pediatriche; per i bambini in età
prescolare e per gli adolescenti si dovrà ricorrere a placche per adulti. Inoltre si
deve utilizzare una dose appropriata. Comunque, molti defibrillatori, tra quelli
comunemente utilizzati nella CPR pediatrica, prevedono incrementi
standardizzati della carica elettrica, di conseguenza è impossibile regolare
precisamente la scossa in rapporto al peso corporeo. Perciò, prima dell’uso, i
defibrillatori devono essere attentamente esaminati riguardo alla impostazione
del numero e del range della carica elettrica e la regolazione della
strumentazione deve essere attuata secondo le necessità specifiche del caso.

La cardioversione, praticata nel trattamento delle tachiaritmie sopraventricolari ad

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

alta frequenza e ventricolari, è molto difficile nel neonato e nel bambino piccolo,
poiché la dose di energia varia solitamente da 1/2 a 1/10 della dose abituale per
adulti (v. Tab. 263-12). Probabilmente è meglio cominciare dal dosaggio più
basso consigliato, con aumenti progressivi fino a raggiungere il risultato
desiderato.

Valutazione successiva all’arresto cardiaco e trattamento

Dopo una CPR effettuata con successo, il trattamento è complesso e spesso


rivolto alla fisiopatologia della disfunzione multiorgano. È importante controllare la
temperatura corporea, mantenendo termicamente neutro l’ambiente circostante,
controllare la diuresi attraverso un catetere urinario e posizionare un tubo
nasogastrico (soprattutto se il paziente è già stato sottoposto a intubazione).
Prima di tutto è necessario valutare le funzioni neurologiche secondo la Scala di
Glasgow per il Coma modificata (v. Tab. 263-2), mantenere l’omeostasi
metabolica, controllare la stabilità della situazione cardiovascolare e proseguire
nel trattamento dei fattori scatenanti. Tutti questi problemi vengono affrontati in
maniera più sicura e appropriata in un centro di terapia di terzo livello.

La valutazione della frequenza cardiaca è fondamentale. La bradicardia in un


bambino in condizioni critiche è un segnale di imminente arresto cardiaco. I
neonati, i lattanti e i bambini piccoli tendono a sviluppare bradicardia
conseguentemente all’ipossemia, mentre i bambini più grandi tendono
inizialmente a presentare segni di tachicardia. Nei neonati con un battito cardiaco
< 80 min, che non tende ad aumentare, si consiglia il massaggio cardiaco (v.
Fig. 263-5): ciò costituisce una sostanziale differenza rispetto alla rianimazione
dell’adulto. Le tachiaritmie possono richiedere un simile intervento, soprattutto se
vengono riscontrati segni di ipoperfusione, insufficienza cardiaca, o disturbi a
carico del SNC. La cardioversione sincronizzata o la terapia farmacologica
possono essere necessarie per stabilizzare le condizioni del paziente.

La valutazione della PA in bambini gravemente compromessi varia


significativamente. La PA deve essere misurata con un bracciale di grandezza
appropriata (v. Screening nel Cap. 256), tuttavia la valutazione invasiva diretta
della PA è d’obbligo nei bambini in gravi condizioni. Per i bambini con più di
2 anni, il livello più basso della PA sistolica normale può essere valutato uguale a
70 mm Hg più il doppio dell’età espressa in anni; p. es. a 6 anni la PA sistolica
deve essere > 82 mm Hg. Una PA sistolica normale al 50o percentile è pari a 90
più 2 volte l’età in anni; p. es. a 6 anni deve essere di 102 mm Hg. Una caduta
della PA sistolica di 10 mm Hg, in un bambino di qualsiasi età o una PA sistolica
< 50 mm Hg nei bambini con meno di 12 aa o < 80 mm Hg nei bambini con 12-
16 aa, è un segno affidabile di ipotensione, che richiede un supporto terapeutico
specifico. Anche una PA più alta può essere pericolosa, se sono presenti sintomi
e segni di shock. Riguardo alla PA è difficile stabilire un limite inferiore per
ciascun gruppo d’età in maniera assoluta; è importantissimo valutare i segni di
ipoperfusione (cioè, la presenza dei polsi periferici, la diuresi, il grado di
coscienza, la temperatura corporea). Nei bambini instabili o traumatizzati, un
deficit di riempimento capillare > 3 s è di limitato aiuto nello stabilire la
disfunzione circolatoria.

Si raccomanda la valutazione dell’ipoperfusione. L’ipoperfusione può essere


determinata da aritmie cardiache (bradiaritmia o tachiaritmia) o da instabilità della
PA. L’ipoperfusione è suggerita da una contrazione della diuresi (< 1 ml/kg/h): in
assenza di malattie renali la diuresi deve essere da 1 a 2 ml/kg/h. L’ipoperfusione
può essere trattata con farmaci che aumentano la volemia o con l’infusione
continua di farmaci pressori (p. es., adrenalina, dopamina, dobutamina).

I protocolli standardizzati esposti dettagliatamente nelle Tab. 263-12 e 263-15


coprono tutte le età, dal neonato prematuro al ragazzo di 16 aa. Per i pazienti
con più di 16 aa vanno utilizzati i protocolli di assistenza degli adulti. I protocolli
vengono redatti per standardizzare l’equipaggiamento e le linee principali delle
manovre di rianimazione durante un emergenza e per standardizzare
l’equipaggiamento delle unità portatili per la CPR. Nell’approccio alla gestione

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

delle vie aeree, per esempio, in un bambino di 5 anni, la procedura


raccomandata prevede una frequenza di ventilazioni di 20 respiri/min (25 respiri/
min nel caso di un trauma cranico); una frequenza di massaggio cardiaco di 100/
min (mediante la tecnica a 1 mano); una frequenza di ventilazione di 5:1; un tubo
di respirazione di grandezza 7; una maschera con cuffia a cupola (Laerdal) per
bambini, di grandezza 3, munita di un pallone Laerdal da 500 ml, per la
ventilazione con maschera a palloncino; una lama per laringoscopio ricurva o
dritta di grandezza 2; un tubo tracheale di 5 mm; un sistema d’aspirazione per
adulti, per un’aspirazione diretta orofaringea; e un catetere di grandezza
10 French, introdotto nel tubo endotracheale per l’aspirazione delle basse vie
respiratorie. In ogni caso è necessario usare buon senso; p. es., un tubo
endotracheale di taglia appropriata deve essere sostituito con uno più grande
(una volta che il paziente sia stabilizzato), se si evidenzia una perdita di aria al
livello della glottide.

Dopo la stabilizzazione delle vie aeree, è fondamentale la somministrazione di


cardiofarmaci di emergenza. La Tab. 263-15 mostra i volumi effettivi per ogni
farmaco d’emergenza, in accordo con criteri di età e peso, per facilitare una
somministrazione rapida senza la necessità di alcun calcolo. I dosaggi devono
essere arrotondati per difetto; p. es. per un bambino di 2 anni e mezzo, la dose
deve essere la stessa di un bambino di 2 anni, con incrementi graduali, se
necessari, ma non superiori alla dose per un bambino di 3 anni. Dopo la
stabilizzazione del paziente la dose di farmaco deve essere individualizzata in
base alle specifiche necessità. La conservazione dell’omeostasi dei fluidi può
essere cruciale in un paziente con edema cerebrale. Possono essere necessari
farmaci più concentrati, il cui dosaggio deve essere ricalcolato a emergenza finita.

Nel riportare gli esiti della CPR nei bambini devono essere seguite linee guida
standardizzate specifiche p. es., La Scala di Categorie di Esiti modificata di
Pittsburgh rispecchia le capacità cerebrali e le capacità complessive residue
dopo la CPR (v. Tab. 263-16 e 263-17).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-11. PROBLEMI CHE POSSONO RICHIEDERE RIANIMAZIONE DEL


NEONATO

Impossibilità a respirare Impossibilità a espandere i


polmoni

Meccanismi antepartum Ostruzione delle vie aeree

Tossiemia materna Meconio

Ipertensione nefro- Muco


vascolare
Sangue
Diabete
Prematurità (sindrome da
distress respiratorio)
Ritardo di crescita
intrauterino

Malformazioni che
coinvolgono il tratto
Asfissia intrapartum
respiratorio

Compressione del
Agenesia
cordone

Ipoplasia
Trasfusione fetale

Stenosi o atresia
Prolasso del cordone

Ernia diaframmatica
Parto precipitoso

Placenta previa

Spasmi uterini

Ipotensione materna

Depressione SNC

Emorragia endocranica

Anomalie cerebrali

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Manuale Merck - Tabella

congenite

Traumi spinali

Farmaci

Narcotici, farmaci d’abuso


materno

Magnesio

Anestetici

Analgesici o ipnotici

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-12. GUIDA ALLA RIANIMAZIONE PEDIATRICA MISURE DEI PRESIDI STRUMENTALI E MECCANICI

Età (anni) Prematuro A 6-12 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16


termine mesi

Peso (kg) ≤2 3,5 7 10 12 14 16 18 20 22 25 28 30 35 40 45 50 55 60

Frequenza respiratoria atti/ 40 40 20 20 20 20 20 20 20 20 20 16 16 16 16 16 16 16 16


min (V)
60* 60* 25* 25* 25* 25* 25* 25* 25* 25* 25* 20* 20* 20* 20* 20* 20* 20* 20*

Compressioni al min (C) 30 (V) † 30 (V) 100 100 100 100 100 100 100 100 100 80 80 80 80 80 80 80 80

90 C 90 C

Tecnica di compressione Usare due dita o il Usare Una mano Due mani
pollice, mani due
intorno al torace dita
(preferibilmente)

Dimensione delle vie aeree 000 000 00 00 0 0 7 7 7 7 7 7 7 7 7 8 8 8 8


in cm (Portex)
3,5 3,5 5 5 6 6

Dimensioni delle maschere Circolare Rendell- Rendell- Dome cuff mask #3 Dome cuff mask #4
di Laerdale o equivalenti Baker tipo Baker tipo #
#1 2

00 0/1

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Manuale Merck - Tabella

Maschera con reservoir per Laerdal lattanti 240 Laerdal bambini 500 ml Laerdal adulti 1600 ml
la somministrazi one di 02 ml
puro

Dimensione della lama del Lama dritta miller 0 1 1 1 1 2 2 2 2 3 3 3 3 3 3 3 3 3


laringoscopio o equivalente
Lama dritta (preferibilmente) o curva Lama dritta o curva

Dimensione del TET in mm 2,5 3 3,5 4 4,5 4,5 5 5 5,5 5,5 6 6 6 6 6,5 6,5 6,5 6,5 7
(Portex)

Catetere da Orofaringeo 10 F 10 F Aspirazione Aspirazione faringea adulti


aspirazione faringea
pediatrica

Attraverso 6F 8 10 F
TET

Defibrillazione Dose (2 ws/ 3 7 10 20‡ 20‡ 30‡ 30‡ 30‡ 50‡ 50‡ 50‡ 50‡ 70‡ 70‡ 70‡ 100‡ 100‡ 200‡ 200‡
(ws) kg)

Piastre Frequenza Se non vi è risposta, dare dose massima x 2


pediatriche
(basato sul
defibrillatore Dose max. 10 20 30 50‡ 50‡ 50‡ 70‡ 70‡ 100‡ 100‡ 100‡ 100‡ 100‡ 150‡ 150‡ 200‡ 200‡ 300‡ 300‡
HP43100A) (4 ws/kg)

Cardioversione Shock 2 2 3 5‡ 5‡ 7‡ 7‡ 10‡ 10‡ 10‡ 10‡ 10‡ 20‡ 20‡ 20‡ 20‡ 30‡ 30‡ 30‡
(ws) sincronizzato
(0,5 ws/kg)
Piastre
pediatriche Frequenza Aumentare lentamente la dose, a ogni tentativo fino al massimo
(basato sul
defibrillatore
HP43100A)

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Manuale Merck - Tabella

Dose max. 2 5 5 10‡ 10‡ 10‡ 20‡ 20‡ 20‡ 20‡ 20‡ 30‡ 30‡ 30‡ 50‡ 50‡ 50‡ 50‡ 70‡
(1 ws/kg)

*Rappresenta un aumento della frequenza respiratoria del 25% (del 50% per i prematuri e a termine) per traumi cranici e asfissia.

† Pausa per la ventilazione.

‡ Usare attrezzatura per adulti.

TET= tubo endotracheale; F = French; ws = watt al secondo.

Per gentile concessione del Dr. B. Paes e del Dr. Sullivan, Department of Pediatrics Medicine, St. Joseph’s Hospital, The Children’s Hospital Hamilton
Health Science Corporation, McMaster Uni versity, Hamilton, Ontario, Canada.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-13. PUNTEGGIO DI APGAR

Criteri Punteggio*

0 1 2

Colorito Cianosi Corpo roseo, Roseo su


diffusa, estremità tutto il corpo,
pallore cianotiche estremità
comprese

Frequenza cardiaca Assente < 100 batt/min > 100 batt/min

Respiro Assente Irregolare, lento Buono, pianto


valido

Risposta al cateterismo Nessuna Smorfia Starnutisce,


nasale e alla tossisce
stimolazione tattile

Tono muscolare Ipotonico Flessione delle Attivo


estremità

*Si considera normale un punteggio totale compreso tra 7 e 10 a 5min;


intermedio tra 4 e 6 e basso tra 0 e 3 .

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-14. STADIAZIONE CLINICA DELL'ENCEFALOPATIA POSTASFITTICA

Fattori Stadio I (lieve) Stadio II Stadio III


(moderato) (grave)

Durata < 24h 2-14giorni Da ore a


settimane

Livello di coscienza Irritabilità e Letargia Stupor o coma


iperreattività

Tono muscolare Normale Ipotonia o Flaccidità


debolezza della
muscolatura
prossimale

Riflessi Aumentati Aumentati Ridotti o assenti


osteotendinei

Mioclonie Presenti Presenti Assenti

Riflessi complessi:

Suzione Valida Debole Assente

Riflesso di Moro Iperevocabile Incompleto Assente


Prensione palmo- Normale o Eccessiva Assente
plantare eccessiva
Oculocefalico Normale Iperevocabile Ridotto o
(occhi di bambola) assente
Funzioni autonomiche:

Pupille Midriatiche Miotiche Variabili o fisse

Respiro Regolare Di frequenza e Apnee irregolari


profondità
variabile,
periodico
Frequenza cardiaca Normale o Bassa a riposo, Bradicardia
tachicardia < 120 b/ m

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Manuale Merck - Tabella

Convulsioni Assenti Comuni (70%) Non comuni


EEG Normale Bassi voltaggi, Periodico o
attività isoelettrico
epilettiforme
periodica o
parossistica
Rischio di morte < 1% 5% > 60%

Rischio di esiti gravi < 1% 20% > 70%


Modificata da Sarnat HB, Sarnat MS: Neonatal encephalopathy following
fetal distress. Archives of Neurology 33:696- 705, 1975

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

197. Approccio al paziente cardiopatico

Anamnesi

Esame obiettivo

198. Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Tecniche diagnostiche non invasive

Tecniche radiografiche convenzionali

Scintigrafia

Studi di perfusione miocardica

Tecniche scintigrafiche da stress

Studi di diagnostica per immagini


delle aree necrotiche

Ventricolografia

Tomografia a emissione di positroni

Risonanza magnetica nucleare

Ecocardiografia

Tecniche invasive

Cannulazione di vene periferiche

Inserimento di cateteri venosi centrali

Cateterismo arterioso

Cateterismo dell’arteria polmonare

Cateterismo cardiaco

Angiocardiografia

Angioplastica coronarica percutanea


transluminale

199. Ipertensione arteriosa

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Ipertensione nefrovascolare

Encefalopatia ipertensiva

200. Ipotensione ortostatica e sincope

Ipotensione ortostatica

Sincope

201. Arteriosclerosi

Aterosclerosi

Arteriosclerosi non ateromatosa

202. Coronaropatia

Prevenzione della malattia coronarica

Angina pectoris

Infarto miocardico

203. Scompenso cardiaco

Cardiomiopatie

Cardiomiopatia dilatativa congestizia

Cardiomiopatia ipertrofica

Cardiomiopatia restrittiva

Cuore polmonare

Ipertensione polmonare primitiva

204. Shock

205. Aritmie

Battiti ectopici atriali

Flutter atriale

Fibrillazione atriale cronica

Fibrillazione atriale parossistica

Tachicardia atriale caotica e multifocale

Tachicardie regolari a QRS stretto

Tachicardia da rientro nel nodo atrioventricolare


(intranodale e paranodale)

Tachicardie reciprocanti

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Fibrillazione atriale e sindrome di


Wolff-Parkinson-White

Tachicardia atriale vera

Aritmie a QRS largo

Battiti ectopici ventricolari

Tachicardia ventricolare

Torsione di punta

Fibrillazione ventricolare

Aritmie hissiane

Blocco atrioventricolare

Blocco di branca

Emiblocco

Difetti non specifici della conduzione intraventricolare

Malattia del nodo del seno

206. Arresto cardio-respiratorio e rianimazione cardiopolmonare

Arresto cardiaco

Arresto respiratorio

Rianimazione cardiopolmonare

207. Valvulopatie

Patologie della valvola mitrale

Prolasso valvolare mitralico

Insufficienza mitralica

Stenosi mitralica

Patologie delle valvole aortica e polmonare

Insufficienza aortica

Insufficienza della valvola polmonare

Stenosi aortica

Stenosi della valvola polmonare

Patologie della valvola tricuspide

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Insufficienza tricuspidale

Stenosi tricuspidale

208. Endocardite

Endocardite infettiva

Endocardite non infettiva

209. Malattie del pericardio

210. Neoplasie cardiache

Tumori cardiaci benigni

Tumori cardiaci maligni

211. Malattie dell’aorta e dei suoi rami

Aneurismi

Aneurismi aortici

Aneurismi poplitei, iliaci e femorali

Aneurismi degli arti superiori

Aneurismi delle arterie splancniche

Aneurismi endocranici

Dissezione aortica

Patologie infiammatorie dell’aorta

Arterite di Takayasu

Occlusione dell’aorta addominale e dei suoi rami

212. Malattie vascolari periferiche

Occlusione arteriosa periferica

Tromboangioite obliterante

Fenomeno e malattia di Raynaud

Acrocianosi

Eritromelalgia

Trombosi venosa

Vene varicose

Fistola arterovenosa

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Malattie dell'apparato cardiovascolare

Linfedema

Lipedema

213. Sindrome del cuore d’atleta

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Approccio al paziente cardiopatico

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

197. APPROCCIO AL PAZIENTE CARDIOPATICO

Di solito, una patologia cardiovascolare può essere diagnosticata mediante


un’anamnesi e un esame clinico approfonditi. Vengono poi solitamente effettuati
test quantitativi selezionati, non invasivi e invasivi, a scopo di conferma (v.
Cap. 198).

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Approccio al paziente cardiopatico

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

197. APPROCCIO AL PAZIENTE CARDIOPATICO

ANAMNESI

Sommario:

Introduzione
DOLORE
DISPNEA CARDIACA
ASTENIA E AFFATICABILITÀ
PALPITAZIONI
LIPOTIMIA, PRESINCOPE E SINCOPE
ALTRI SINTOMI

Un’anamnesi approfondita è fondamentale per la diagnosi delle malattie


cardiovascolari e non può essere sostituita da una serie di test non invasivi e
invasivi di routine o scelti a caso, che sono costosi e inefficaci. L’anamnesi
familiare va raccolta in maniera accurata, poiché molte cardiopatie (p. es., la
malattia coronarica, l’ipertensione sistemica, la valvola aortica bicuspide, la
cardiomiopatia ipertrofica, il prolasso mitralico) hanno una base ereditaria.

La manifestazione clinica delle principali malattie cardiovascolari comprende


relativamente pochi sintomi: dolore, dispnea, astenia e facile affaticabilità,
palpitazioni, lipotimia, presincope, sincope e altri sintomi, che possono essere
dovuti alla cardiopatia o possono accompagnarla. Anche piccole variazioni di
questi sintomi meritano la dovuta attenzione.

DOLORE

Il dolore cardiaco può essere arbitrariamente classificato come ischemico,


pericardico o atipico. Sebbene a volte il dolore cardiaco sia caratteristico per una
data cardiopatia, esiste spesso una significativa sovrapposizione con altre
patologie in termini di caratteristiche, qualità, localizzazione, tipo di irradiazione,
gravità e durata. Il dolore cardiaco viene trasmesso alla corteccia cerebrale lungo
le fibre nervose del sistema neurovegetativo e ha un’area di proiezione variabile
che può estendersi dall’orecchio fino all’ombelico. Il dolore toracico extracardiaco
di origine cardiovascolare comprende il dolore che origina dai grossi vasi e il
dolore dovuto a embolia polmonare.

Il dolore da ischemia miocardica viene solitamente descritto come una


sensazione di oppressione, costrizione o peso. In genere è più intenso a livello
precordiale e il paziente può indicarlo mettendo il proprio pugno al centro dello
sterno. Si irradia spesso nel territorio dei nervi cervicali inferiori e può quindi
essere percepito a livello del collo, della mandibola, di una spalla o di un braccio
(più comunemente la spalla e il braccio di sinistra). Se sono coinvolti il braccio e
la mano, il dolore interessa in genere il versante ulnare. Il dolore da ischemia
miocardica induce spesso una risposta neurovegetativa (p. es., nausea o vomito,
sudorazione). Può essere presente una sensazione di morte imminente. Il dolore
da ischemia miocardica dovuto all’aterosclerosi coronarica è solitamente
correlato agli sforzi fisici, almeno all’inizio. Il dolore dell’IMA, tuttavia, può

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Approccio al paziente cardiopatico

manifestarsi all’improvviso, quando il paziente è a riposo. Il dolore dovuto al


restringimento dinamico delle coronarie da spasmo arterioso, sebbene di natura
ischemica, si verifica soprattutto a riposo o di notte. La durata del dolore
ischemico è dell’ordine di minuti.

Il dolore pericardico, che è dovuto all’infiammazione del pericardio parietale, è


lancinante, urente o tagliente ed è peggiorato dalla tosse, dalla deglutizione, dalla
respirazione profonda o dal clinostatismo. È meno variabile per carattere, sede e
irradiazione rispetto al dolore ischemico. È alleviato dall’inclinazione in avanti del
torace. Il dolore pericardico può persistere per ore o giorni. Non è sensibile alla
nitroglicerina.

Il dolore toracico atipico tende a essere lancinante o urente ed è spesso


piuttosto variabile per localizzazione e intensità da un episodio all’altro.
Solitamente, non è correlato allo sforzo fisico e non risponde alla nitroglicerina.
La sua durata può essere estremamente breve (dell’ordine di secondi) o piuttosto
prolungata (molte ore o giorni). Alcune persone con dolore toracico atipico hanno
segni obiettivi o evidenza ecocardiografica di prolasso della valvola mitrale. Se il
dolore sia correlato al prolasso mitralico o se sia solo un epifenomeno è
controverso, dal momento che è comune in assenza di un prolasso evidente. Un
vago fastidio toracico atipico è comune anche nei soggetti con tachiaritmie atriali
isolate in assenza di una significativa cardiopatia di base. Sebbene il dolore
toracico atipico possa essere debilitante, non c’è alcuna evidenza che questo
indichi una cardiopatia grave, eccetto nel caso in cui sia dovuto a una malattia
dei grossi vasi o a embolia polmonare.

Il dolore provocato dalla dissezione dell’aorta (o raramente dell’arteria


polmonare) è abitualmente molto intenso, con carattere di rottura o lacerazione.
Di solito il dolore insorge con l’inizio della dissezione, è seguito da un periodo
silente di ore o giorni e riprende poi con il progredire della dissezione. È
localizzato al centro del torace, si irradia al collo o al dorso e non è influenzato
dalla posizione, a meno che la rottura del vaso nel pericardio con emopericardio
non provochi una pericardite acuta. Se sono coinvolti gli osti coronarici, al dolore
della dissezione può sovrapporsi un dolore ischemico.

Il dolore dell’embolia polmonare può avere le caratteristiche del dolore


pleurico, se l’infarto del polmone comporta pleurite, o può essere di tipo
anginoso, se si ha un’ischemia del ventricolo destro secondaria all’improvvisa
comparsa di ipertensione polmonare. Se si sospetta un’embolia polmonare,
bisogna chiedere al paziente se ha notato un edema unilaterale o ha accusato
dolore alle gambe, se è stato sottoposto a un intervento chirurgico recente o è
convalescente da una malattia che abbia richiesto un prolungato periodo di
allettamento. Se si sospetta una pericardite, nell’anamnesi sarà necessario
considerare l’eventuale esposizione ad agenti infettivi, una storia di malattie del
tessuto connettivo o del sistema immunitario o una precedente diagnosi di
neoplasia.

DISPNEA CARDIACA

La dispnea è la percezione di un respiro fastidioso, difficoltoso o affannoso. La


dispnea cardiaca è la conseguenza dell’edema delle pareti bronchiolari e della
rigidità del polmone per l’edema parenchimale o alveolare, fattori questi che
interferiscono con il flusso dell’aria. La dispnea può risultare anche
dall’inadeguatezza della gittata cardiaca rispetto alle richieste metaboliche
dell’organismo e può verificarsi senza edema polmonare.

La dispnea cardiaca è sempre peggiorata dallo sforzo e si risolve parzialmente o


completamente con il riposo. La dispnea dovuta all’elevata pressione venosa
polmonare e all’edema polmonare è più intensa in clinostatismo e diminuisce
nella posizione seduta o in piedi (ortopnea). Se l’ortopnea causa il risveglio
durante la notte ed è migliorata dall’assunzione della posizione seduta, viene
definita dispnea parossistica notturna. La dispnea che si ha in presenza di edema
bronchiolare è associata a sibili espiratori dovuti all’ostruzione al flusso d’aria; si

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Approccio al paziente cardiopatico

ha un espettorato schiumoso e, a volte, striato di sangue. Una comune


manifestazione clinica di edema bronchiolare e di rigidità polmonare da
insufficienza cardiaca è una tosse secca, che deve essere differenziata da quella
che si verifica nel 5% dei pazienti trattati con ACE-inibitori.

La dispnea dovuta esclusivamente a un’inadeguata gittata cardiaca non è


influenzata dal decubito, ma varia con lo sforzo fisico e può essere associata ad
astenia e affaticabilità. In molte cardiopatie, la dispnea dovuta all’incapacità di
aumentare la gittata cardiaca con lo sforzo e la dispnea dovuta alla congestione
polmonare si verificano simultaneamente (p. es., nella stenosi mitralica). La
comparsa di dispnea in una malattia cardiaca indica di solito una prognosi
sfavorevole. La dispnea dovuta alla coronaropatia può coesistere con quella
dovuta a un’altra malattia cardiaca. L’ortopnea e la dispnea parossistica notturna
sono inconsuete nelle malattie respiratorie, eccetto che in una fase molto
avanzata, quando diviene evidente l’aumento dell’efficienza della respirazione in
ortostatismo.

ASTENIA E AFFATICABILITÀ

L’astenia e l’affaticabilità sono le conseguenze di una gittata cardiaca inadeguata


rispetto alle richieste metaboliche dell’organismo, inizialmente durante sforzo e
poi anche a riposo. Si verificano nelle patologie che riducono la gittata cardiaca e
non migliorano con il riposo e il sonno. I pazienti affetti da cardiopatie congenite
spesso negano astenia e affaticabilità, poiché considerano normali le loro
limitazioni e riconoscono i sintomi solo retrospettivamente, dopo la correzione
chirurgica del difetto cardiaco.

PALPITAZIONI

Le palpitazioni sono la percezione dell’attività cardiaca da parte del paziente. Un’


accurata valutazione della frequenza e del ritmo delle palpitazioni aiuta a
differenziare le palpitazioni patologiche da quelle fisiologiche. Le palpitazioni
dovute a un’aritmia possono essere accompagnate da astenia, dispnea o
lipotimia. Le extrasistoli atriali o ventricolari sono spesso descritte come battiti
mancanti, mentre la fibrillazione atriale è percepita come un’irregolarità del battito
cardiaco. La tachicardia sopraventricolare o ventricolare è più spesso percepita
come rapida e regolare e con un inizio e una fine improvvisi. L’insorgenza di una
tachicardia atriale è spesso seguita dal bisogno di urinare a causa dell’aumentata
produzione di fattore natriuretico atriale.

L’attività cardiaca è controllata dal sistema neurovegetativo ed è perciò


normalmente avvertita solo dalle persone che hanno una percezione
anormalmente intensa delle proprie funzioni corporee, p. es., negli stati ansiosi.
Può anche essere percepita da soggetti sani durante l’esercizio fisico, quando
aumentanola gittata sistolica e la frequenza cardiaca. Possono verificarsi
palpitazioni in patologie come l’insufficienza aortica e la tireotossicosi: la causa
più comune è un’anomalia del ritmo cardiaco. Palpitazioni associate a dolore
toracico di tipo ischemico possono indicare la presenza di una coronaropatia; in
questo caso, la tachicardia provoca una riduzione del flusso coronarico diastolico
con conseguente ischemia.

LIPOTIMIA, PRESINCOPE E SINCOPE

(V. anche Cap. 200)

Cardiopatie o aritmie gravi che riducono la gittata cardiaca in maniera


significativa possono causare lipotimia, presincope o sincope (improvvisa perdita
di coscienza di breve durata, con perdita del tono posturale). Se associato a

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Approccio al paziente cardiopatico

palpitazioni (v. sopra), ciascuno di questi sintomi indica una brusca riduzione
della gittata cardiaca e suggerisce una grave aritmia o una grave cardiopatia
organica di base. La sincope da sforzo si verifica nella stenosi aortica e nella
cardiomiopatia ipertrofica, in quanto ambedue limitano il fisiologico aumento della
gittata cardiaca che si ha durante sforzo. Questi sintomi possono essere causati
da una tachicardia ventricolare o da una fibrillazione ventricolare, da gravi
bradicardie o asistolia (sincope di Stokes-Adams). La comparsa di sincope
implica una cattiva prognosi nei pazienti con malattia coronarica, miocardite,
cardiomiopatia o aritmie ventricolari note. Tumori intracardiaci o trombi a palla
possono ostruire in maniera intermittente il flusso sanguigno all’interno del cuore
e provocare presincope o sincope sono l’ipotensione ortostatica e la sincope
vasovagale. Le principali cause benigne di sincope. La sincope deve essere
distinta da una crisi epilettica, sebbene durante un episodio sincopale si possa
verificare un attacco epilettico, a causa dell’ipossia cerebrale.

ALTRI SINTOMI

Un’anamnesi positiva per infezioni (p. es., streptococciche con o senza febbre
reumatica, virali, sifilitiche o protozoarie) può far sospettare una cardiopatia
dovuta ad agenti infettivi attivi o pregressi. L’endocardite deve essere presa in
considerazione in ogni paziente con febbre inspiegata e soffio cardiaco. In caso
di embolia periferica o cerebrale e in ogni ictus va ricercata una possibile causa
cardiaca: tali episodi possono essere causati da emboli dovuti a un IMA recente,
a una valvulopatia (specialmente stenosi mitralica con fibrillazione atriale) o a
una cardiomiopatia. Una storia di vasculopatia cerebrale o periferica aumenta la
probabilità di una coronaropatia concomitante. Una cianosi centrale rende
altamente probabile una cardiopatia congenita.

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Approccio al paziente cardiopatico

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

197. APPROCCIO AL PAZIENTE CARDIOPATICO

ESAME OBIETTIVO

Sommario:

Introduzione
DATI OBIETTIVI GENERALE
POLSI
LE VENE DEL COLLO
POLSO PARADOSSO
ISPEZIONE E PALPITAZIONE DEL TORACE
PERCUSSIONE E AUSCULTAZIONE DEL TORACE
AUSCULTAZIONE CARDIACA
Rumori cardiaci
Soffi
Sfregamenti pericardici

L’esame obiettivo comincia durante la raccolta dell’anamnesi, osservando il


comportamento e l’umore del paziente e l’enfasi data a certi sintomi. È
essenziale un esame completo di tutti gli apparati per determinare gli effetti
sistemici e periferici della cardiopatia ed evidenziare patologie extracardiache
che possono danneggiare il cuore.

DATI OBIETTIVI GENERALE

La PA va misurata in ambedue gli arti superiori e, nelle cardiopatie congenite o


nelle vasculopatie periferiche, in ambedue gli arti inferiori. La larghezza del
bracciale deve essere > 20% del diametro dell’arto. Il primo tono udito mentre la
colonna di Hg scende indica la pressione sistolica e il momento in cui l’ultimo
tono scompare rappresenta la pressione diastolica (quinta fase di Korotkoff). È
normale avere una differenza di pressione fino a 15 mm Hg tra braccio destro e
sinistro. La pressione arteriosa a livello degli arti inferiori è generalmente più alta
che a livello degli arti superiori di 20 mm Hg. Se si sospetta ipotensione
ortostatica, la PA e la frequenza cardiaca vanno misurate con il paziente supino,
seduto e in piedi. Se viene riscontrata ipertensione, bisogna eseguire un attento
esame obiettivo per escludere una coartazione dell’aorta (suggerita da polsi
deboli o assenti a livello degli arti inferiori, ritardo tra il polso radiale e quello
femorale, PA agli arti inferiori più bassa rispetto agli arti superiori; pulsazione
anomala palpabile a livello del plesso arterioso periscapolare [a volte]; soffio
sistolico dorsale o in regione precordiale alta [non sempre]). Nella tireotossicosi e
negli stati ipermetabolici il polso è rapido e ampio; nel mixedema è lento e
debole.

La frequenza respiratoria può riflettere la presenza di scompenso cardiaco o di


una patologia polmonare primitiva. Aumenta nel paziente ansioso e diminuisce
nel paziente in fin di vita. Atti respiratori rapidi e superficiali possono indicare un
dolore pleurico.

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Approccio al paziente cardiopatico

L’aumento della temperatura può suggerire una febbre reumatica acuta o


un’infezione cardiaca, come per esempio l’endocardite. È molto comune dopo un
IMA; in tale contesto, non è necessario ricercare cause diverse per la febbre, a
meno che essa non persista > 72 h.

POLSI

È necessario eseguire un attento esame dei principali polsi periferici degli arti
superiori e inferiori, per evidenziare arteriopatie congenite o acquisite o embolie
sistemiche di origine cardiaca. Quando si palpano i polsi periferici, bisogna fare
attenzione alla loro simmetria e all’elasticità della parete arteriosa sottostante.
Nelle patologie che comportano un’elevata velocità di circolo del sangue
arterioso (p. es., shunt arterovenosi, insufficienza aortica), il polso presenta una
rapida fase ascendente e quindi una discesa rapida (collassa). Se si riscontra
un’asimmetria dei polsi, l’auscultazione a livello dei vasi periferici può rivelare un
soffio dovuto alla turbolenza di flusso causata da una stenosi.

L’ispezione, la palpazione e l’auscultazione di entrambi i polsi carotidei spesso


danno molte più informazioni sulla funzione cardiaca che l’esame di un polso più
periferico (v. Tab. 197-1).

Bisogna fare molta attenzione nel valutare il polso carotideo nell’anziano,


particolarmente quando è presente ipertensione. L’arteriosclerosi comporta una
rigidità dei vasi che, con l’invecchiamento delle pareti vasali, tende a mascherare
i rilievi obiettivi caratteristici. In molti casi, l’esame delle carotidi può essere
difficile o impossibile da interpretare. Similmente, nel bambino molto piccolo il
polso carotideo può essere normale anche in presenza di una stenosi aortica
grave.

All’auscultazione delle carotidi, vanno distinti i soffi di origine cardiaca dai soffi
vascolari. I soffi cardiaci vengono trasmessi dal cuore o dai grossi vasi, sono
generalmente più intensi in corrispondenza della regione precordiale superiore e
si riducono di intensità verso il collo. I soffi vascolari hanno più alta frequenza, si
rilevano solo in corrispondenza delle arterie e sembrano più superficiali. Un soffio
arterioso deve essere distinto da un ronzio venoso ("hum"). A differenza del
soffio arterioso, quello venoso è in genere continuo, viene percepito meglio col
paziente seduto o in piedi e scompare se si comprime la vena giugulare interna
omolaterale.

L’esame clinico delle vene periferiche può rilevare anomalie quali varici,
malformazioni arterovenose (MAV) e shunt, o tromboflebite (infiammazione e
dolorabilità dei tessuti sovrastanti). In corrispondenza di una sospetta MAV o di
uno shunt, l’auscultazione rivela un soffio continuo ed è spesso palpabile un
fremito: la resistenza al flusso, infatti, è sempre minore a livello della vena
rispetto all’arteria, sia in sistole che in diastole.

LE VENE DEL COLLO

Un attento esame delle vene del collo è molto importante. Mentre la vena
giugulare esterna offre un’idea generale dell’ampiezza delle onde venose, la
vena giugulare interna viene usata per l’analisi della pressione venosa e della
forma delle onde venose, perché si comporta come un condotto venoso in diretta
connessione con l’atrio destro (eccetto che in caso di ostruzione della vena cava
superiore).

Le vene giugulari vengono generalmente esaminate con il paziente inclinato a


45°, posizione in cui la colonna venosa nella persona normale è giusto al di sopra
della clavicola. Esercitando con la propria mano una pressione sull’addome del
paziente, si può ottenere un innalzamento della colonna venosa al di sopra della
clavicola (reflusso epato-giugulare); nelle persone normali, la colonna venosa

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Approccio al paziente cardiopatico

ricade al di sotto della clavicola dopo pochi secondi, nonostante si continui a


esercitare pressione sull’addome, perché il ventricolo destro, normalmente
distensibile, aumenta la propria gittata sistolica per il meccanismo di Frank-
Starling. Nell’ostruzione della vena cava superiore, nella pericardite costrittiva,
nella miocardiopatia restrittiva e nell’insufficienza cardiaca grave, la pressione
venosa giugulare può essere tanto elevata da rendere impossibile il rilievo del
picco della colonna venosa. In tal caso, il paziente va esaminato in posizione
seduta o in piedi.

La modificazione dell’altezza delle onde venose in risposta alla compressione


addominale fornisce informazioni preziose circa la funzione del cuore destro. La
colonna venosa sale e rimane elevata per tutto il tempo in cui si mantiene la
compressione addominale in presenza di: ventricolo destro dilatato e con ridotta
distensibilità ("compliance"); pericardite costrittiva e tamponamento cardiaco;
patologie che comportano un ostacolato riempimento del ventricolo destro
(stenosi tricuspidale e tumori dell’atrio destro).

Bisogna inoltre ricercare anche il segno di Kussmaul: nelle stesse condizioni


morbose che producono un reflusso epato-giugulare patologico, la colonna
venosa aumenta con l’inspirazione anzichè di diminuire. In condizioni normali, la
riduzione della pressione intratoracica che si ha durante l’inspirazione richiama
sangue dalla periferia verso la vena cava. Il ventricolo destro, se ha una normale
distensibilità, si adatta all’aumentato volume di sangue che riceve e manda in
circolo questo sangue grazie al meccanismo di Frank-Starling. Il segno di
Kussmaul è presente anche nelle malattie ostruttive delle vie aeree.

Infine, si possono analizzare il tipo e l’ampiezza delle onde venose. Il normale


profilo del polso venoso giugulare è mostrato nelle Figg. 197-1 e 198-5. Le
onde a e v sono aumentate nell’ipertensione polmonare. Onde a giganti (a colpo
di cannone) si osservano nella dissociazione atrioventricolare. L’onda a
scompare nella fibrillazione atriale ed è accentuata negli stati di ridotta
distensibilità del ventricolo destro (p. es., ipertensione polmonare, stenosi
valvolare polmonare). L’onda v diventa prominente se è presente insufficienza
tricuspidale. Spesso l’insufficienza tricuspidale causa anche una significativa
epatomegalia, con una pulsazione sistolica del fegato facilmente palpabile,
dovuta all’onda v di rigurgito che provoca una dilatazione edematosa del fegato
durante la sistole ventricolare destra. L’importante ipertensione venosa che si ha
in queste condizioni potra, a volte, alla cirrosi cardiaca e all’ascite. Nel
tamponamento cardiaco la pendenza della x è ripida. Nelle condizioni di ridotta
distensibilità del ventricolo destro, la pendenza della y (che segue la sistole
ventricolare) è molto ripida, in quanto la colonna di sangue venoso di entità
aumentata passa velocemente nel ventricolo destro al momento dell’apertura
della tricuspide, per fermarsi bruscamente solo quando la parete ventricolare
destra rigida (nella cardiomiopatia restrittiva) o il pericardio (nella pericardite
costrittiva) arrestano l’afflusso.

POLSO PARADOSSO

Se l’anamnesi e l’esame obiettivo suggeriscono una pericardite costrittiva, un


tamponamento cardiaco o una cardiomiopatia restrittiva, va ricercato un polso
paradosso. Nei soggetti sani, durante un’inspirazione normale, la PA sistolica
può diminuire fino a 10 mm Hg. Nelle patologie che riducono la normale
distensibilità del ventricolo destro (p. es., nel tamponamento cardiaco), la caduta
della pressione sistolica in inspirazione è maggiore del normale, poiché il setto
interventricolare sporge all’interno del ventricolo sinistro a causa dell’elevata
pressione ventricolare destra. Simultaneamente, la pressione venosa polmonare
si riduce più del normale, a causa della pressione intratoracica negativa che non
è bilanciata da un aumento della pressione sistolica del ventricolo destro
secondo il meccanismo di Frank-Starling. Entrambi questi eventi riducono più del
normale il volume di riempimento del ventricolo sinistro in inspirazione
provocando, quindi, una riduzione della PA sistolica > 10 mm Hg. Il polso
paradosso è raro nella cardiomiopatia restrittiva e nella pericardite costrittiva, ma
è caratteristico, sebbene non patognomonico, del tamponamento. Si verifica
anche nelle malattie ostruttive delle vie aeree, che vanno escluse prima di

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Approccio al paziente cardiopatico

ricercare una causa cardiaca del polso paradosso.

ISPEZIONE E PALPITAZIONE DEL TORACE

L’ipertrofia ventricolare destra (IVD) grave dà luogo a un impulso precordiale, che


può essere rilevato ispettivamente e palpatoriamente come un impulso al di sotto
dello sterno e della parete anteriore del torace, lungo il margine sinistro dello
sterno. Occasionalmente, nelle malattie congenite che producono una IVD grave,
si rileva una deformità ossea in sede precordiale, pulsante e asimmetrica, a
sinistra dello sterno.

L’ipertrofia del ventricolo sinistro (IVS) produce un itto della punta di durata più
prolungata che si differenzia facilmente dal sollevamento precordiale dell’IVD.
Nei pazienti con aneurismi ventricolari discinetici si possono talvolta riscontrare
alla palpazione anormali pulsazioni sistoliche localizzate. Nei pazienti con
insufficienza mitralica grave, il precordio viene sollevato da un’anormale
pulsazione sistolica diffusa dovuta all’espansione dell’atrio sinistro, che provoca
uno spostamento anteriore del cuore. Nei casi in cui il ventricolo sinistro è
ipertrofico e dilatato, p. es., nell’insufficienza mitralica, si riscontra un itto apicale
diffuso e spostato inferolateralmente.

Il "pectus excavatum" e il torace carenato, un ridotto diametro toracico antero-


posteriore e la rettilinearizzazione della normale curvatura della colonna toracica
possono associarsi a degenerazione mixomatosa delle valvole o delle corde
tendinee, soprattutto della mitrale.

Le masse pulsanti da aneurismi sifilitici dell’aorta, localizzate nella regione


superiore del torace, sono oggi rare. Nei difetti ereditari, associati a cardiopatie
congenite, come p. es., la sindrome di Turner, sono più comuni le deformità
toraciche. La palpazione del torace deve comprendere la ricerca di eventuali
fremiti (v. Tab. 197-2).

Nell’ipertensione polmonare, la chiusura della valvola polmonare può essere


palpata come un brusco impulso nel 2o spazio intercostale a sinistra dello sterno.
La chiusura di una valvola mitralica stenotica può produrre un simile impulso
all’inizio della sistole, a livello dell’apice cardiaco; alla fine della sistole si può
percepire l’apertura della valvola stenotica.

PERCUSSIONE E AUSCULTAZIONE DEL TORACE

Sebbene l’uso della rx toracica abbia ridotto l’esercizio della semeiotica clinica di
molti medici, una percussione e un’auscultazione del torace accurate consentono
quasi sempre di differenziare un versamento pleurico (fremito vocale tattile
diminuito) da un addensamento polmonare (fremito aumentato). Inoltre, rantoli e
ronchi, segni rispettivamente di congestione polmonare e di broncospasmo,
possono essere indice sia di insufficienza cardiaca con ipertensione venosa
polmonare che di una malattia primitivamente polmonare. Uno sfregamento
pleurico suggerisce un infarto polmonare o una polmonite con pleurite.

AUSCULTAZIONE CARDIACA

L’auscultazione cardiaca richiede un eccellente orecchio e la capacità di


discriminare sottili differenze di tonalità e durata. Molti ottimi medici non
possiedono una buona capacità di percezione acustica o perdono la capacità di
discriminare le tonalità di toni e soffi a causa di una pratica inadeguata. Inoltre,
molti possiedono fonendoscopi progettati tenendo conto di ogni particolare
eccetto che della fisica acustica.

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Approccio al paziente cardiopatico

All’auscultazione, i toni cardiaci devono essere chiaramente distinti l’uno


dall’altro. In diastole si possono auscultare soffi diastolici, toni aggiunti che hanno
origine dal miocardio ventricolare e toni aggiunti dovuti alla valvola mitrale. In
sistole, invece, si possono rilevare soffi sistolici e toni aggiunti extravalvolari.

Nei casi complessi, per individuare correttamente i diversi rumori cardiaci


bisogna concentrarsi di seguito su ciascuna fase del ciclo cardiaco e su ciascun
suono. Una volta che i rumori cardiaci sono stati distinti, vanno rilevati l’intensità,
la frequenza, la durata, il momento preciso in cui cadono e gli intervalli di tempo
che li separano dai toni cardiaci: una tale analisi dell’auscultazione risulta molto
spesso accurata dal punto di vista diagnostico. I rumori a bassa frequenza si
sentono meglio con la campana del fonendoscopio, mentre quelli ad alta
frequenza si sentono meglio con il diaframma. Quando si usa la campana, va
esercitata una pressione molto modesta sul torace. Una pressione eccessiva fa
sì che la campana funzioni come un diaframma, eliminando i rumori a frequenza
molto bassa.

I dati principali rilevati alla palpazione e all’auscultazione del precordio devono


essere registrati nella cartella del paziente ogni volta che viene esaminato il
sistema cardiovascolare (v. Fig. 197-2). Ciò permette il confronto fra i diversi
controlli eseguiti dal paziente e fornisce un prospetto qualitativo e quantitativo dei
dati rilevati.

Rumori cardiaci

Toni sistolici: il primo tono(S1) è dovuto soprattutto alla chiusura della mitrale,
ma può anche comprendere alcune componenti legate alla chiusura della
tricuspide. È spesso sdoppiato (e ciò rientra nella normalità) e ad alta frequenza.
S1 è accentuato nella stenosi mitralica. È debole o assente nell’insufficienza
mitralica dovuta a sclerosi e rigidità dei lembi valvolari, ma è spesso ben udibile
nell’insufficienza mitralica dovuta a degenerazione mixomatosa dell’apparato
mitralico o ad anomalie del miocardio ventricolare (p. es., disfunzione dei muscoli
papillari, dilatazione ventricolare).

Il secondo tono (S2) è dovuto alla chiusura della valvola aortica e della valvola
polmonare. La chiusura della valvola aortica normalmente precede quella della
valvola polmonare, a meno che la prima non sia ritardata o la seconda anticipata.
Un ritardo di chiusura della valvola aortica si verifica nel blocco di branca sinistro
o nella stenosi aortica, mentre l’anticipazione della chiusura della valvola
polmonare si ha in alcune forme di preeccitazione. Un ritardo della chiusura della
valvola polmonare si verifica quando il volume del flusso ematico attraverso il
ventricolo destro è aumentato (p. es., nel difetto del setto interatriale di tipo
ostium secundum) o nel blocco di branca destra completo. L’aumento del flusso
elimina anche il normale ritardo di chiusura della valvola polmonare dovuto
all’aumento del volume ventricolare destro durante l’inspirazione, momento in cui
il volume ventricolare sinistro diminuisce (sdoppiamento fisso di S2). Gli shunt
sinistro-destro con normale volume di flusso del ventricolo destro non sono
associati a sdoppiamento fisso. Un S2 unico, non sdoppiato, può aversi quando
la valvola aortica è insufficiente, gravemente stenotica o atresica (nel tronco
arterioso, quando c’è una valvola comune).

I click si verificano solo in sistole e si distinguono da S1 e S2 per la loro


frequenza più elevata, per la durata minore e per il fatto che possono essere
rilevati in momenti diversi durante la sistole a seconda delle condizioni
emodinamiche. I click possono essere singoli o multipli.

I click si verificano nelle stenosi valvolari aortica e polmonare congenite, in cui si


suppone derivino da un’anormale tensione della parete ventricolare. In queste
patologie, i click sono protosistolici, molto vicini a S1 e il loro rapporto temporale
con S1 non varia in seguito a modificazioni emodinamiche. Anche
nell’ipertensione polmonare grave si hanno click protosistolici fissi. Si ritiene che i

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Approccio al paziente cardiopatico

click da prolasso valvolare mitralico o tricuspidale siano dovuti a un’anormale


tensione delle corde tendinee ridondanti e allungate o dei lembi valvolari.

I click dovuti a degenerazione mixomatosa delle valvole possono verificarsi in


qualunque momento della sistole, ma tendono ad avvicinarsi a S1 con tutte le
manovre che diminuiscono il volume ventricolare (p. es., passaggio dal
clinostatismo all’ortostatismo o manovra di Valsalva). Se il volume di riempimento
ventricolare è aumentato, come p. es., nella posizione supina, il click si sposta
verso S2, soprattutto nel prolasso della mitrale. Per ragioni sconosciute, le
caratteristiche dei click possono variare enormemente da un esame clinico a
l’altro e possono scomparire o ricomparire.

Toni diastolici: contrariamente ai toni sistolici, quelli diastolici hanno una bassa
frequenza, una minore intensità e una più lunga durata. Questi toni sono sempre
patologici negli adulti.

Il terzo tono (S3) è protodiastolico e si ha quando il ventricolo è dilatato e ha una


ridotta distensibilità. Si verifica durante la fase di riempimento ventricolare
diastolico passivo e indica una disfunzione ventricolare grave, tranne che nei
giovani, nei quali può essere normale. Il S3 del ventricolo destro si ausculta
meglio durante l’inspirazione (a causa dell’aumento del volume di riempimento
del ventricolo destro) con il paziente supino. L’S3 del ventricolo sinistro si
ausculta meglio durante l’espirazione (a causa della maggiore vicinanza del
cuore alla parete toracica) con il paziente in decubito laterale sinistro.

Il quarto tono (S4) è prodotto dall’aumento del riempimento ventricolare in


telediastole, causato dalla contrazione atriale. Similmente a S3, è un tono a
bassa frequenza, che si ausculta solo, o comunque meglio, con la campana del
fonendoscopio. L’S4 del ventricolo destro aumenta con l’inspirazione, mentre
quello del ventricolo sinistro diminuisce. S4 è molto più frequente di S3 e indica
una disfunzione ventricolare meno grave. È assente nella fibrillazione atriale, ma
è quasi sempre presente nell’ischemia miocardica in fase attiva o subito dopo un
IMA. Un S3, con o senza un S4, è comune nel caso di una significativa
disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, mentre un S4 senza un S3 è comune
nella disfunzione diastolica del ventricolo sinistro.

Quando S3 e S4 sono entrambi presenti in un paziente con tachicardia, si ha un


galoppo di sommazione; la diastole è accorciata cosicché i due toni si
sovrappongono. S3 e S4, se intensi, possono essere palpati all’apice con il
paziente in decubito laterale sinistro.

Lo "knock" diastolico si verifica nello stesso momento della protodiastole in cui


si ha S3. Esso non è accompagnato da un S4 ed è un suono sordo e soffocato,
che indica un brusco arresto del riempimento ventricolare a causa della
costrizione del pericardio, privo della sua normale distensibilità.

L’unico altro tono diastolico è lo schiocco d’apertura della stenosi mitralica o,


raramente, della stenosi tricuspidale. Lo schiocco d’apertura della mitrale è un
rumore a frequenza molto alta, breve e si ausculta meglio col diaframma del
fonendoscopio. La sua vicinanza alla componente polmonare di S2 è
direttamente proporzionale alla gravità della stenosi mitralica (cioè, maggiore è la
pressione atriale sinistra, più lo schiocco d’apertura è vicino a S2). La sua
intensità è correlata all’elasticità dei lembi valvolari, elevata finché sono ancora
elastici, gradualmente minore fino alla sua totale scomparsa quando si
instaurano stenosi, fibrosi e calcificazione della valvola. Lo schiocco d’apertura
della mitrale, sebbene sia talvolta rilevabile all’apice, si può spesso auscultare
meglio, o esclusivamente, a livello del margine sternale inferiore sinistro.

Soffi

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Approccio al paziente cardiopatico

I soffi cardiaci possono essere sistolici, diastolici o continui. I soffi vanno


analizzati per frequenza, intensità, momento in cui si verificano e durata. I soffi a
frequenza molto alta si auscultano meglio (a volte esclusivamente) con il
diaframma del fonendoscopio, mentre quelli a frequenza molto bassa si
auscultano meglio (a volte esclusivamente) con la campana. I soffi vengono
classificati in base alla loro intensità (v. Tab. 197-3).

Soffi sistolici: i soffi sistolici si dividono in soffi da eiezione (dovuti alla


turbolenza di flusso attraverso una valvola ristretta o irregolare o attraverso i tratti
di efflusso) e soffi da rigurgito o shunt (flusso verso distretti che, durante tutta la
sistole, sono a minore resistenza).

I soffi da eiezione diventano di solito più intensi e durano più a lungo con
l’aggravarsi dell’ostruzione al flusso. Al contrario, i soffi olosistolici tendono a
essere più intensi con flussi di rigurgito o di shunt a velocità elevata e di volume
ridotto, mentre sono più deboli con flussi di rigurgito o di shunt di ampio volume. I
soffi da eiezione hanno una configurazione caratteristica, in crescendo-
decrescendo. Con l’accentuarsi della stenosi e della turbolenza, la fase in
crescendo diviene più lunga a spese di quella in decrescendo.

Il soffio da eiezione della stenosi aortica è solitamente percepito meglio nel


IIo spazio intercostale a destra dello sterno. Esso si irradia alla clavicola destra e
ad ambedue i lati del collo e può essere associato a un fremito sistolico.
Nell’anziano, il soffio della stenosi aortica viene talvolta percepito solo all’apice
cardiaco e al collo, mentre diventa debole o non udibile sul focolaio aortico (il
meccanismo di questo fenomeno non è noto).

Il soffio da eiezione della cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva è in genere


meglio udibile nella parte media e inferiore del margine sternale sinistro e
aumenta d’intensità con la manovra di Valsalva e con la stazione eretta. Ciò è
dovuto alla diminuzione del volume di riempimento del ventricolo sinistro e al
conseguente aumento del grado di apposizione del lembo anteriore mitralico al
setto ipertrofico. Al contrario del soffio della stenosi aortica, questo soffio
abitualmente non si irradia al collo. Il soffio da eiezione della stenosi polmonare
è meglio auscultabile sul margine sternale sinistro all’altezza del secondo spazio
intercostale e non si irradia tanto quanto il soffio aortico.

Soffi sistolici da eiezione possono verificarsi anche in assenza di un’ostruzione


emodinamicamente significativa del tratto di efflusso. Spesso nei bambini
normali, di ogni età, si ha una certa turbolenza di flusso che provoca soffi eiettivi
a carattere dolce. L’anziano presenta spesso soffi da eiezione dovuti a sclerosi
valvolare o vascolare. Nelle persone anziane con soffi eiettivi intensi, arterie
carotidi rigide e ipertensione (che provoca IVS), vanno utilizzate tecniche non
invasive (quali l’ecocardiografia-Doppler) per escludere una stenosi aortica
calcifica. Lo stesso discorso va fatto per i bambini molto piccoli, in cui i tipici rilievi
clinici della stenosi aortica possono essere assenti, con l’unica eccezione del
soffio sistolico. Anche in questo caso, l’ecocardiografia-Doppler è molto utile per
differenziare le ostruzioni all’efflusso gravi da quelle lievi.

Durante la gravidanza, molte donne sviluppano soffi eiettivi a carattere dolce a


livello del IIo spazio intercostale a sinistra o a destra dello sterno, dovuti
all’aumento della velocità di flusso attraverso strutture anatomicamente normali,
come risultato del fisiologico incremento del volume ematico circolante e della
gittata cardiaca. I soffi possono essere particolarmente intensi se la gravidanza è
complicata da un’anemia grave.

Il soffio dell’insufficienza mitralica si ausculta meglio all’apice del cuore, con il


paziente in decubito laterale sinistro. Si irradia verso l’ascella sinistra e, se varia
in intensità, tende ad aumentare durante la sistole fino a raggiungere la massima
intensità in corrispondenza di S2. Se i lembi valvolari non chiudono durante tutta
la sistole a causa di fibrosi o distruzione di tessuto, il soffio incomincia in
corrispondenza di S1; se invece il rigurgito si verifica più tardi nella sistole (p. es.,
in certi casi di dilatazione ventricolare sinistra, con conseguenti alterazioni della
geometria valvolare, o in casi di modificazioni emodinamiche dovute a ischemia o
fibrosi del miocardio) il soffio insorge dopo l’inizio della sistole, ben distinto da S1.

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Approccio al paziente cardiopatico

Il soffio dell’insufficienza tricuspidale si ausculta meglio sul margine sternale


inferiore sinistro, sullo xifoide e talvolta in corrispondenza del lobo epatico medio.
È olosistolico, più lieve di quello dell’insufficienza mitralica e, al contrario di
quest’ultimo, aumenta durante l’inspirazione (per l’aumento del volume di
riempimento del ventricolo destro). Si associa a onde v di rigurgito a livello delle
vene del collo e talvolta a una pulsazione sistolica del fegato.

Il difetto del setto interventricolare dà origine a un soffio olosistolico a livello


del IVo spazio intercostale lungo il margine sternale sinistro, che è tanto più
intenso quanto maggiore è il gradiente. Con l’aggravarsi dell’ipertensione
polmonare, il gradiente pressorio fra il ventricolo sinistro e quello destro
diminuisce e il soffio si riduce d’intensità.

Soffi diastolici: i soffi diastolici sono dovuti alla stenosi della valvola mitralica o
tricuspidale o all’insufficienza della valvola aortica o polmonare. La stenosi
mitralica produce un soffio protodiastolico o protomesodiastolico apicale a bassa
frequenza che si ausculta meglio dopo esercizio fisico moderato, con il paziente
in decubito laterale sinistro. Ha una durata maggiore rispetto a S3. Se il paziente
è in ritmo sinusale, in telediastole la contrazione atriale aumenta il gradiente,
provocando un’accentuazione del soffio in questa fase. Il soffio è spesso
confinato all’itto della punta. La stenosi tricuspidale dà luogo a un soffio simile
ma meno intenso, localizzato a livello del 4o e 5o spazio intercostale a sinistra
dello sterno; la durata e l’intensità del soffio sono aumentate dall’esercizio fisico,
dall’inspirazione e dalla posizione seduta col busto piegato in avanti, che avvicina
la parte anteriore del cuore alla parete toracica.

Se il soffio mitralico (o tricuspidale) è dovuto a un tumore o a un trombo atriale,


può essere evanescente e può variare con il decubito e tra un esame e l’altro, in
relazione alle diverse posizioni assunte della massa cardiaca.

L’insufficienza aortica dà origine a un soffio dolce, ad alta frequenza, in


decrescendo, udibile lungo il margine sternale sinistro verso l’apice. Tipicamente,
lo si rileva a livello del 4o spazio intercostale a sinistra dello sterno, con il
paziente piegato in avanti e in fine espirazione. Il soffio è più breve se la
pressione diastolica ventricolare sinistra è molto alta, poiché la pressione
diastolica aortica e ventricolare sinistra raggiungono lo stesso valore più
precocemente durante la diastole. Se il jet di rigurgito dell’insufficienza aortica
provoca una vibrazione del lembo anteriore mitralico, può anche dar luogo al
soffio di Austin Flint, un soffio diastolico debole a bassa frequenza auscultabile
all’apice. Questo soffio è solitamente mesodiastolico e deve essere differenziato
dal soffio diastolico della stenosi mitralica, più lungo e con rinforzo presistolico.

L’insufficienza della valvola polmonare dà luogo a un soffio diastolico che


sembra avere un’origine superficiale, ad alta frequenza, in decrescendo; tale
soffio si irradia verso la parte media della linea marginosternale destra ed è più
intenso a livello del 2o spazio intercostale lungo il margine sinistro dello sterno.
Tale soffio è generalmente più localizzato rispetto a quello dell’insufficienza
aortica. Quando è prodotto da un’insufficienza polmonare funzionale dovuta allo
stiramento dell’anello della valvola polmonare in seguito a ipertensione
polmonare grave (in assenza di distorsione anatomica della valvola) viene
definito soffio di Graham Steell.

Soffi continui: i soffi continui occupano l’intero ciclo cardiaco. Negli shunt,
l’intensità della componente diastolica del soffio si riduce gradualmente con
l’aumento delle resistenze dell’arteria polmonare. Quando le resistenze
polmonari raggiungono lo stesso livello di quelle sistemiche, il soffio può
scomparire completamente sia in sistole che in diastole. I soffi da dotto arterioso
sono più intensi a livello del 2o spazio intercostale appena al di sotto del terzo
mediale della clavicola sinistra, mentre i soffi da finestra aorto-polmonare sono
rilevabili a livello del 3o spazio intercostale, più al centro. I soffi continui da
comunicazione arterovenosa sistemica si auscultano meglio direttamente al di
sopra della fistola, mentre quelli da comunicazione arterovenosa polmonare e da
stenosi di un ramo dell’arteria polmonare sono più diffusi su tutta la parete
toracica.

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Approccio al paziente cardiopatico

I soffi continui indicano uno shunt costante durante la sistole e la diastole e


possono essere dovuti a dotto arterioso pervio, coartazione dell’aorta o
dell’arteria polmonare, finestra aorto-polmonare, stenosi di un ramo dell’arteria
polmonare, fistola arterovenosa sistemica o polmonare o malformazione
congenita, fistole coronaro-ventricolari, o fistole aorta-ventricolo destro o aorta-
atrio destro. Alcune di queste situazioni provocano un fremito e molte sono
associate a segni di IVD e IVS.

Sfregamenti pericardici

Lo sfregamento pericardico è un rumore superficiale, ad alta frequenza o


raspante, che può essere diastolico e sistolico o trifasico (per un’accentuazione
della componente diastolica durante la telediastole come risultato della
contrazione atriale). Ha le caratteristiche del suono prodotto da due pezzi di
cuoio strofinati tra di loro. Gli sfregamenti si auscultano meglio con il paziente
seduto col busto piegato in avanti o carponi in apnea post-espiratoria.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 197-1. CARATTERISTICHE DEL POLSO CAROTIDEO


E PATOLOGIE ASSOCIATE

Caratteristiche del polso Patologie associate


carotideo
Ampio e schioccante Ipertensione, stati
ipermetabolici, patologie
accompagnate da una rapida
salita e da una brusca discesa
dell‘onda sfigmica, come il dotto
arterioso pervio o l‘insufficienza
aortica (polso di Corrigan o
polso a martello pneumatico)
Di volume e ampiezza Ostruzione del tratto di efflusso
ridotti, con un picco ritardato del ventricolo sinistro
Bifido, con una rapida fase Cardiomiopatia ipertrofica
ascendente ostruttiva
Bifido Stenosi e insufficienza aortica
combinate
Di ampiezza ridotta Stenosi carotidea dovuta ad
monolateralmente o aterosclerosi; si rileva
bilateralmente frequentemente un soffio
sistolico

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 197-2. SEDE DEI FREMITI RILEVABILI ALLA PALPAZIONE


DEL TORACE E PATOLOGIE ASSOCIATE

Sede del fremito Patologia associata


Fremito sistolico alla base Stenosi valvolare
del cuore, a livello del aortica
IIspazio intercostale a destra
dello sterno
Fremito sistolico all’apice Insufficienza mitralica
A livello del IIspazio Stenosi valvolare
intercostale a sinistra dello polmonare
sterno
A livello del IVspazio Piccolo difetto del tratto
intercostale muscolare del setto
interventricolare
(malattia di Roger)

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 197-3. INTENSITÀ DEI SOFFI CARDIACI


RILEVATI CON L’AUSCULTAZIONE

Grado Descrizione
1 Appena udibile
2 Lieve, ma facilmente udibile
3 Intenso, senza fremito
4 Intenso, con fremito
5 Intenso già al minimo contatto del
fonendoscopio con la parete
toracica
6 Intenso anche in assenza di un
contatto del fonendoscopio con la
parete toracica

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

La diagnostica delle patologie del sistema cardiovascolare comprende un ampia


gamma di procedure. L’auscultazione è descritta nel Cap. 197 e l’ECG viene
trattato nei capitoli relativi alle singole malattie cardiovascolari. Le altre tecniche
diagnostiche non invasive e invasive sono descritte qui di seguito.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

Importanti tecniche diagnostiche non invasive sono la radiografia tradizionale, la


scintigrafia, la tomografia a emissione di positroni (PET) e la RMN.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

TECNICHE RADIOGRAFICHE CONVENZIONALI

La classica radiografia del torace in proiezione frontale e laterale serve a valutare


le dimensioni cardiache, la forma del cuore, le diverse camere cardiache e i
campi polmonari, soprattutto per quanto riguarda la loro vascolarizzazione.

Le dimensioni cardiache sono spesso inequivocabilmente normali nonostante


una grave cardiopatia, soprattutto nel caso della malattia coronarica e delle
patologie che comportano un aumento del postcarico (p. es., stenosi aortica). Per
questo, misurare le dimensioni del cuore è utile soprattutto per studi statistici o
per seguire un paziente nel tempo. Rispetto alle dimensioni del torace, il cuore è
più grande nei bambini e nei ragazzi giovani che negli adulti.

Anomalie della forma del cuore possono essere di difficile interpretazione.


Tumori mediastinici e tumori o altre patologie del pericardio possono essere
occasionalmente confusi con dilatazioni patologiche delle camere cardiache.

Le dimensioni endocavitarie sono difficili da valutare alla rx del torace, poiché


le camere si sovrappongono e sono coperte da altre strutture (p. es., il pericardio,
il grasso mediastinico e il diaframma). I segni convenzionali di ingrandimento di
una singola camera sono spesso difficili da applicare nella pratica clinica e
talvolta sono causa d’errore. Malgrado questi limiti, può valere la pena eseguire
una valutazione delle dimensioni endocavitarie.

Il profilo dei grossi vasi e le variazioni della distribuzione della


vascolarizzazione dei campi polmonari hanno un’importanza estrema nella
valutazione della funzione cardiaca (v. Fig. 198-1). Nella diagnostica cardiaca,
l’osservazione dei campi polmonari è spesso più utile di quella del cuore.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

SCINTIGRAFIA

La scintigrafia cardiaca è ben tollerata dal paziente, è relativamente facile da


eseguire, richiede apparecchiature solo moderatamente costose ed espone il
paziente a una minore quantità di radiazioni rispetto agli studi eseguiti utilizzando
raggi X. Può essere utilizzata nella diagnostica della cardiopatia ischemica, delle
cardiopatie congenite o valvolari, delle cardiomiopatie e di altre malattie
cardiache. Le metodiche utilizzate possono essere classificate come segue:
tecniche che visualizzano il miocardio o le aree di necrosi (studi di perfusione
miocardica e studi di diagnostica per immagini delle aree necrotiche) e tecniche
che permettono la valutazione della funzione ventricolare e della cinetica
regionale (ventricolografia).

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

SCINTIGRAFIA

STUDI DI PERFUSIONE MIOCARDICA

Gli studi di perfusione miocardica possono essere utilizzati per la valutazione


iniziale di alcuni pazienti con dolore toracico (vale a dire quelli con dolore di
origine incerta), per determinare il significato funzionale di una stenosi coronarica
o di vasi collaterali visualizzati angiograficamente e per il follow-up di procedure
quali interventi di bypass aorto-coronarico, angioplastiche transluminali o
trombolisi. Questa metodica può anche essere utilizzata per valutare la prognosi
dopo un IMA, perché può mostrare l’entità del difetto di perfusione associato
all’IMA e l’entità di eventuali aree cicatriziali dovute a infarti pregressi.

Gli studi di perfusione miocardica solitamente utilizzano il tallio radioattivo (201Tl),


che si comporta come un analogo del potassio. Dopo somministrazione EV, il
201Tl lascia rapidamente il compartimento vascolare e passa all’interno delle
cellule in maniera direttamente proporzionale al flusso ematico. Circa il 4% della
dose si localizza temporaneamente a livello del miocardio e mostra il cuore in
contrasto con il background circostante dato dalla ridotta attività polmonare. In
una fase successiva, si raggiunge l’equilibrio fra il 201Tl miocardico e quello
contenuto nel sangue e in altre strutture (p. es., muscoli scheletrici, fegato, reni);
durante tale fase, la concentrazione di 201Tl nel miocardio vitale si modifica e
riflette il flusso ematico distrettuale all’equilibrio. Perciò, in un paziente che sta
eseguendo esercizio fisico, si avranno difetti di captazione miocardica di 201Tl in
aree non vitali (p. es., aree infartuate e/o cicatrici) e in segmenti vitali con un
ridotto apporto ematico (p. es., aree ischemiche distali a una stenosi coronarica,
emodinamicamente significativa).

Dopo che il paziente è rimasto a riposo per diverse ore, la distribuzione di 201Tl si
modifica. Un difetto di captazione causato da una cicatrice non vitale apparirà
immodificato. Tuttavia, se è vero che uno studio con 201Tl eseguito tardivamente
in un’area ischemica probabilmente dimostrerà la scomparsa o la riduzione del
difetto di captazione iniziale, è anche vero che il 30-40% dei difetti che persistono
su immagini eseguite 3-4 h dopo l’esercizio si verificano in regioni ischemiche
anziché in aree cicatriziali. La vitalità della maggior parte di queste regioni può
essere evidenziata su immagini eseguite dopo la somministrazione di un’ulteriore
piccola dose di 201Tl a riposo. Immagini eseguite il giorno successivo alla
somministrazione della prima dose daranno risultati simili. Aree di miocardio
stordito o ibernato possono continuare ad apparire come difetti di captazione
nonostante gli accorgimenti suddetti.

Le complesse caratteristiche dell’imaging realizzato con il 201Tl hanno portato


allo sviluppo di diverse classi di agenti di perfusione miocardica a base di
tecnezio (99mTc); sono in commercio sestamibi, tetrofosmina e teboroxima (v.
Tab. 198-1), che hanno tutti una simile sensibilità per la diagnosi della malattia
coronarica. Il sestamibi, in particolare, è utilizzato in molti laboratori.

L’utilizzo di alte dosi di 99mTc (> 30 mCi) può consentire l’esecuzione di studi di
primo passaggio (v. Ventricolografia, più avanti), in combinazione con studi di
perfusione. In alcuni laboratori, per ridurre il tempo totale dell’esame, uno studio

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

iniziale a riposo con 201Tl è immediatamente seguito da uno studio sotto sforzo
con 99mTc sestamibi. I laboratori che eseguono studi con sestamibi sotto sforzo e
a riposo in giorni separati possono evitare lo studio a riposo, se l’imaging iniziale
dopo sforzo non mostra evidenza di anomalie della perfusione.

Gli studi di perfusione miocardica possono essere soggetti ad artefatti, alcuni dei
quali sono dovuti all’attenuazione dell’attività miocardica da parte dei tessuti molli
sovrastanti. Nelle donne, l’attenuazione dovuta al parenchima mammario è
particolarmente problematica, a causa della grande variabilità interindividuale
della quantità di tessuto mammario rappresentato nelle differenti sezioni del
campo visualizzato. Gli artefatti da attenuazione legati al parenchima mammario
sono più evidenti su immagini planari e influenzano le immagini realizzate
mediante SPECT (Single Photon Emission Computer Tomography).
L’attenuazione dovuta al diaframma e agli organi addominali può dar luogo a falsi
difetti della parete inferiore, evidenti soprattutto quando le immagini sono
acquisite a 360°. I fotoni emessi dal 99mTc (140 KeV) sono meno soggetti al
fenomeno dell’attenuazione rispetto ai fotoni a minore energia (68-80 KeV)
emessi dal 201Tl.

Un aumento del tempo di transito polmonare del 201Tl provoca un maggiore


accumulo di questo tracciante nei polmoni. Il rilievo di captazione polmonare
negli studi con 201Tl suggerisce una ridotta gittata cardiaca. La causa può essere
l’ischemia, ma questo rilievo non è specifico. Tale fenomeno è inconsueto con gli
agenti di perfusione marcati con 99mTc.

L’utilizzo di acidi grassi marcati con iodio-123 (123I) permette di rilevare l’ischemia
miocardica. Il muscolo cardiaco normale utilizza il metabolismo degli acidi grassi
come principale fonte di energia; il miocardio ischemico si converte al
metabolismo glucidico. La distribuzione a riposo degli acidi grassi marcati
radioattivamente, messa a confronto con quella di un agente di perfusione, può
avvicinarsi al gold standard rappresentato dal 18-fluoro-deossiglucoso (v. in
Tomografia a Emissione di Positroni, più avanti) come indicatore di miocardio
vitale suscettibile di ripresa dopo rivascolarizzazione. Questi agenti non sono
ancora disponibili per l’utilizzo clinico di routine.

Altri radioisotopi vengono usati più raramente. Il citrato di gallio (67Ga), per la sua
proprietà di accumularsi in sede di flogosi, è stato utilizzato per rilevare la
presenza e la gravità di cardiomiopatie infiammatorie. L’accumulo che si verifica
durante la fase attiva di una miocardite diminuisce con il ridursi della flogosi.
Tuttavia, il 67Ga può non essere un accurato rilevatore in presenza di terapia
steroidea e risulta meno efficace dell’ecocardiografia bidimensionale nella
diagnosi della endocardite batterica.

La 123I metaiodobenzilguanidina, un analogo di alcuni neurotrasmettitori, è


captata e immagazzinata dai neuroni del sistema nervoso simpatico. Studi di
imaging cardiaco con questo agente possono risultare utili nella valutazione di
pazienti affetti da cardiomiopatia o per il rilievo precoce di tossicità cardiaca da
chemioterapici (p. es., doxorubicina).

La SPECT, la tecnica più comunemente usata per visualizzare la distribuzione


dei radionuclidi a livello cardiaco, si basa sul principio della ricostruzione
tomografica delle immagini dopo acquisizione mediante una camera rotante.
L’attività miocardica viene visualizzata su piani paralleli agli assi corto e lungo del
ventricolo sinistro. Sofisticate apparecchiature per SPECT dotate di diverse
camere consentono di completare uno studio in 10 min. Il confronto visivo fra le
immagini eseguite dopo sforzo e quelle acquisite tardivamente può essere
arricchito da diagrammi quantitativi. La SPECT migliora la visualizzazione dei
difetti di captazione in sede inferiore e posteriore e delle piccole aree di necrosi
che non possono essere identificate come difetti di perfusione persistenti su
immagini planari. La SPECT risulta superiore anche nell’identificazione dei vasi
responsabili dei difetti di captazione. Inoltre, può essere quantificata la massa di
miocardio vitale e di miocardio infartuato, dati utili nel determinare la prognosi. La
scintigrafia miocardica con tecnica SPECT ha una sensibilità del 90-95% per la
diagnosi di una coronaropatia significativa.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-1. AGENTI DI PERFUSIONE MIOCARDICA A BASE DI 99mTECNEZIO

Agente Descrizione Caratteristiche


99m Catione Ha una captazione miocardica più lenta rispetto al
Tc
sestamibi inositrile; tallio, ma ha una ridotta eliminazione miocardica, il
l’agente a base che consente una maggiore flessibilità sui tempi: i
99m pazienti in fase acuta possono ricevere
di Tc più
usato immediatamente l’iniezione di sestamibi e le
immagini possono essere realizzate diverse ore
dopo. La captazione dipende più dal flusso ematico
che dal miocardio vitale; le regioni vitali con un
flusso ridotto possono essere classificate come
cicatrice. Possono essere eseguiti due studi di
perfusione, nella stessa giornata o in giorni diversi, il
primo con una bassa dose durante stress e il
secondo con una dose molto più alta a riposo. Le
immagini sincronizzate sull’ECG (ECG-gated)
permettono la valutazione della cinetica regionale,
dell’ispessimento parietale e della frazione
d’eiezione
99m Catione Simile al sestamibi
Tc
tetrofosmin diossifosfine
99m Agente neutro Viene estratto in maniera significativa dal miocardio
Tc
teboroxime lipofilo del al primo passaggio e viene rapidamente eliminato;
gruppo BATO la metà dell’attività miocardica di picco viene persa
(Boronic Acid in 10minuti. Per questo motivo, è difficile utilizzarlo
Technetium durante test ergometrico. Studi preliminari
Oxime) suggeriscono che si può completare uno studio
stress-redistribuzione in 15 minuti utilizzando uno
stress farmacologico. La malattia coronarica può
anche essere rilevabile mediante l’analisi
dell’eliminazione del tracciante dal miocardio dopo
un’iniezione a riposo, senza la necessità di un test
provocativo

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

SCINTIGRAFIA

VENTRICOLOGRAFIA

È possibile effettuare una valutazione radionuclidica della performance cardiaca,


basata sulla funzione del ventricolo destro (VD) e del ventricolo sinistro (VS),
mediante studi di primo passaggio (un tipo di valutazione battito per battito) o
studi ECG-gated (cioè sincronizzati con l’ECG) eseguiti nell’arco di diversi minuti.
Sebbene gli studi di primo passaggio siano rapidi e relativamente semplici,
soprattutto per la valutazione della funzione ventricolare a riposo e da sforzo,
quelli ECG-gated riescono a distinguere meglio il "blood pool" cardiaco e il
movimento della parete ventricolare e sono più ampiamente utilizzati.

Dal momento che lo studio ECG-gated eseguito a riposo non comporta


praticamente alcun rischio, viene largamente utilizzato per valutazioni seriate
della funzione ventricolare destra e sinistra (p. es., nelle valvulopatie); per il
monitoraggio di pazienti che assumono farmaci potenzialmente cardiotossici
(p. es., doxorubicina) e per la valutazione del risultato di angioplastiche, interventi
di bypass aortocoronarico, trombolisi e di altre procedure in pazienti con malattia
coronarica o IMA.

Tale tecnica si basa sulla sincronizzazione delle immagini date dalla captazione
eritrocitaria di 99mTc con l’onda R dell’ECG del paziente. Immagini multiple (di
solito da 14 a 28) di brevi intervalli sequenziali di ciascun ciclo cardiaco vengono
acquisite nell’arco di 5-10 min e archiviate in un computer. Il computer poi
elabora una somma delle immagini e produce una configurazione media del
contenuto ematico per ciascuna parte del ciclo cardiaco esaminato. Il computer
riproduce le immagini in maniera sequenziale simulando un cuore in movimento
e ciò consente di valutare con notevole accuratezza il movimento regionale delle
pareti cardiache.

Numerosi indici quantitativi di funzione ventricolare possono essere ricavati dalle


metodiche ECG-gated, inclusi frazione di eiezione (FE, rapporto fra gittata
sistolica e volume telediastolico), velocità di eiezione e di riempimento, volume
del VS e indici di sovraccarico di volume relativo, quali il rapporto tra la gittata
sistolica del VS e del VD. La FE è l’indice più frequentemente usato.

I valori normali della FE variano a seconda della tecnica usata, ma il range


normale a riposo è solitamente 50-75%. La FE e il movimento di parete vengono
valutati a riposo; si possono poi esaminare i cambiamenti durante stress
acquisendo immagini ECG-gated mentre il paziente pedala al cicloergometro. Di
norma, il valore di FE sotto sforzo è almeno del 5% maggiore rispetto a quello a
riposo (p. es., > 60% durante esercizio contro 55% a riposo). Una disfunzione
ventricolare da varie cause (p. es., cardiopatia valvolare, cardiomiopatia,
coronaropatia) può ridurre la FE sotto sforzo. La riproducibilità di questi e altri
indici di funzione ventricolare migliora con l’uso di tecniche di elaborazione
computerizzata semiautomatica. La FE sotto sforzo è il migliore indicatore
prognostico nei pazienti con malattia coronarica.

Anomalie del VD: la determinazione della funzione del VD è importante nei


pazienti affetti da malattie polmonari o con infarto inferiore del VS, che possono

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

avere un concomitante coinvolgimento delle sezioni destre. I programmi


semiautomatici utilizzati nella valutazione del VS non sono applicabili all’analisi
del VD; per questo motivo, le regioni di interesse sono selezionate manualmente.
La normale FE del VD è inferiore alla FE del VS, variando dal 40% al 55% con la
maggior parte delle tecniche. La FE del VD è ridotta in molti pazienti con
ipertensione polmonare e nei pazienti con infarto del VD o con una
cardiomiopatia che coinvolga il VD. La cardiomiopatia idiopatica è solitamente
caratterizzata da una disfunzione biventricolare, a differenza della cardiopatia
ischemica tipica, che invece mostra un maggiore coinvolgimento del VS rispetto
al VD.

Anomalie del VS: gli studi scintigrafici ECG-gated sono utili per la diagnosi di
aneurismi del VS, con una sensibilità e una specificità > 90% per aneurismi tipici
anteriori o antero-apicali. Gli aneurismi infero-posteriori del VS si visualizzano
meno bene con le convenzionali metodiche di imaging rispetto a quelli anteriori e
laterali. Per questo, se si sospetta un aneurisma inferiore o posteriore, vanno
realizzate immagini ECG-gated oblique, laterali od oblique posteriori del VS. La
maggior parte degli esperti in questo campo raccomanda almeno una di queste
proiezioni addizionali durante uno studio di imaging ECG-gated. Le immagini
ECG-gated realizzate con tecnica SPECT richiedono più tempo (circa 20-25 min
con una camera multipla) rispetto a una singola immagine planare (5-10 min), ma
permettono la visualizzazione di tutte le pareti dei ventricoli.

Anomalie valvolari: il confronto fra studi eseguiti a riposo e sotto sforzo è utile
nelle valvulopatie che provocano un sovraccarico di volume del VS.
Nell’insufficienza aortica, una riduzione della FE a riposo (rilevabile con
metodiche di imaging ECG-gated, v. sopra) o l’impossibilità di ottenere un
adeguato aumento della FE con l’esercizio costituiscono un segno di progressivo
deterioramento della funzione cardiaca e possono costituire un’indicazione alla
riparazione valvolare. Le tecniche radioisotopiche ECG-gated del "blood pool"
possono anche essere usate per misurare la frazione di rigurgito nelle
insufficienze valvolari. Normalmente la gittata sistolica dei due ventricoli è uguale.
Tuttavia, in pazienti affetti da insufficienza valvolare mitralica o aortica, la gittata
sistolica del VS supera quella del VD in misura proporzionale alla frazione di
rigurgito. Pertanto, se il VD è normale, la frazione di rigurgito del VS può essere
calcolata dal rapporto fra la gittata sistolica del VS e quella del VD.

L’entità di uno shunt congenito può essere quantificata misurando il rapporto fra
le gittate sistoliche dei due ventricoli o misurando, durante il primo passaggio del
radioisotopo, il rapporto tra l’entità del ricircolo anomalo polmonare precoce della
radioattività e la radioattività polmonare totale, grazie ai programmi
computerizzati disponibili in commercio.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

TOMOGRAFIA A EMISSIONE DI POSITRONI

La tomografia a emissione di positroni (Positron Emission Tomography, PET)


utilizza nuclei che decadono emettendo un positrone (β +), che equivale a un
elettrone, ma con carica positiva. I positroni interagiscono rapidamente con gli
elettroni circostanti e ciò provoca la loro trasformazione in due fotoni-γ le cui
traiettorie divergono di 180°. Un sistema di rilevamento ad anello che circonda la
fonte di positroni rileva contemporaneamente i due fotoni e riesce così a
localizzare la fonte. Questi sistemi sono molto più sensibili delle camere utilizzate
convenzionalmente in medicina nucleare, hanno una maggiore risoluzione
spaziale e possono fornire dati quantitativi piuttosto che qualitativi circa la
distribuzione del radiofarmaco nell’organismo. I radionuclidi comunemente
utilizzati comprendono gli isotopi del carbonio (11C), l’ossigeno (15O) e l’azoto
(13N), che possono marcare la maggior parte delle sostanze organiche. Questi
vantaggi sono controbilanciati dall’elevato costo del sistema di rilevazione e
dall’emivita molto breve ( 20 min) di questi radionuclidi, che rende necessario un
ciclotrone (molto costoso) in sede.

Gli agenti positronici utilizzati in cardiologia sono classificati come agenti di


perfusione o metabolici. Gli agenti di perfusione miocardica comprendono 11C
anidride carbonica, 15O acqua e 13N ammoniaca. Un altro agente di perfusione, il
rubidio 82 (82Rb), è prodotto mediante un sistema commerciale e non richiede un
ciclotrone in sede.

Gli agenti metabolici miocardici forniscono un’informazione sostanzialmente


diversa rispetto agli agenti convenzionali a fotone singolo (p. es., 201Tl). Il
deossiglucoso marcato con fluoro 18 (FDG), l’agente metabolico più
diffusamente utilizzato, può rilevare l’aumento del metabolismo glucidico durante
ischemia. Se associato a studi di perfusione, l’imaging con FDG può individuare il
miocardio ischemico ma ancora vitale e suscettibile di recupero dopo
rivascolarizzazione con maggiore sensibilità rispetto a studi da sforzo o da
redistribuzione con 201Tl. È risultato utile nel selezionare i pazienti che traggono
beneficio da interventi di rivascolarizzazione (p. es., angioplastica, bypass aorto-
coronarico) e nell’evitare tali procedure quando è presente solo tessuto
cicatriziale; ciò può giustificare il maggior costo degli studi eseguiti con FDG
rispetto alla SPECT convenzionale. Il 18F ha un’emivita sufficientemente lunga
(110 min); per questo motivo, è spesso possibile produrre il FDG fuori sede e
trasportarlo successivamente. Il recente sviluppo di metodiche che consentono
l’imaging con FDG mediante camere per SPECT convenzionali possono rendere
ampiamente disponibile questa eccellente tecnica.

Un altro tracciante metabolico utilizzato per la PET è il 11C acetato, il cui uptake
sembra riflettere il metabolismo miocardico totale di O2, qualunque sia il
substrato utilizzato. L’uptake di questo tracciante non dipende da fattori
potenzialmente variabili come i livelli ematici di glucoso, che possono invece
influire sulla distribuzione del FDG. L’imaging con 11C acetato ha un maggiore
potere predittivo positivo circa il recupero della funzione contrattile miocardica
post-rivascolarizzazione rispetto alle metodiche che utilizzano il FDG. Tuttavia, la
breve emivita (20 minuti) del 11C rende necessario un ciclotrone in sede per
produrre tale radionuclide.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Il 11C palmitato è stato inizialmente utilizzato nella PET per studiare il


metabolismo miocardico degli acidi grassi. La clearance dell’attività radioattiva
dal miocardio è correlata al tasso di ossidazione degli acidi grassi, cosicché le
aree ischemiche vengono visualizzate come punti "caldi", cioè di accumulo del
radiofarmaco. Tuttavia, alterazioni nella cinetica del tracciante dovute ad altre
variabili difficili da controllare nella pratica clinica rendono difficile l’interpretazione
dell’immagine. Il 11C palmitato è stato soppiantato dal FDG e dal 11C acetato.

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CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

SCINTIGRAFIA

TECNICHE SCINTIGRAFICHE DA STRESS

Il test da sforzo viene solitamente eseguito su un treadmill convenzionale


secondo il protocollo di Bruce o un simile programma di esercizio, con il paziente
monitorizzato. Se non ci sono controindicazioni, il paziente prosegue l’esercizio
fino a che supera l’85% della frequenza cardiaca teorica massima per l’età; il
radionuclide viene iniettato quando il paziente è all’acme dello sforzo. Il paziente
va incoraggiato a continuare l’esercizio allo stesso carico per altri 30-60 s,
affinché la distribuzione della radioattività rispecchi il pattern di flusso ematico
legato allo sforzo. Lo studio della reiniezione va eseguito dopo la
somministrazione di un’ulteriore dose di 201Tl; la reiniezione può essere eseguita
di routine appena prima (in tutti i pazienti) o appena dopo (nei pazienti con difetti
fissi) l’immagine tardiva.

Lo studio scintigrafico sforzo-redistribuzione con 201Tl è più sensibile e specifico


rispetto al test ergometrico con solo monitoraggio ECG nel rilevare un’ischemia
miocardica significativa; quando i risultati dello studio eseguito con 201Tl e i dati
forniti dall’ECG durante sforzo sono considerati insieme, la sensibilità per il rilievo
di coronaropatia aumenta. Risultati simili si ottengono con agenti marcati con
99mTc.

I test provocativi farmacologici mediante tecniche scintigrafiche risultano


particolarmente utili quando non si può eseguire l’analisi del tratto ST mediante
test da sforzo, p. es., in pazienti che assumono digitale, in pazienti con blocco di
branca sinistro o nelle donne (il test da sforzo massimale in donne normali dà
circa il 50% di risultati falsi-positivi per ragioni sconosciute). I test provocativi
farmacologici con radionuclidi risultano utili anche in pazienti che non sono in
grado di eseguire uno sforzo fisico (p. es., a causa di obesità, patologie
osteoarticolari o per l’età).

Si può utilizzare un vasodilatatore coronarico come il dipiridamolo, che aumenta


l’adenosina endogena. Il dipiridamolo, che viene somministrato EV, aumenta il
flusso di sangue nelle coronarie normali ma non nelle arterie situate a valle di
una stenosi, con un conseguente aumento della captazione di 201Tl nelle regioni
normalmente vascolarizzate e una relativa diminuzione di attività nei segmenti
che dipendono dal vaso stenotico. Per questo, l’immagine apparirà simile a
quella realizzata dopo esercizio fisico. Lo studio eseguito mediante iniezione di
201Tl 3-5 min dopo il dipiridamolo ha una sensibilità per la diagnosi di malattia
coronarica pari a quella del test da sforzo. L’ischemia indotta dal dipiridamolo o
altri effetti avversi (p. es., nausea e vomito, cefalea, broncospasmo) possono
essere antagonizzati mediante somministrazione EV di aminofillina.

In alternativa al dipiridamolo, si può somministrare l’adenosina che è


rapidamente catabolizzata a livello plasmatico; per questo motivo, i suoi effetti
cessano semplicemente interrompendone l’infusione. L’aminofillina e le altre
xantine possono provocare dei falsi-negativi in test eseguiti con dipiridamolo o
adenosina; per questo, nelle 24 ore che precedono l’esame, vanno evitati
broncodilatatori contenenti teofillina e caffè. Per test provocativi farmacologici, si

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

può anche utilizzare la dobutamina, un β1-agonista.

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CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

SCINTIGRAFIA

STUDI DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI DELLE AREE NECROTICHE

L’immagine positiva di aree infartuali si basa sull’accumulo di traccianti marcati in


aree di miocardio danneggiato. Gli agenti utilizzati per visualizzare il tessuto
osseo (p. es., 99mTc pirofosfato) si accumulano in queste aree, probabilmente a
causa di lesioni di membrana e di microcalcificazioni. Le immagini in genere
diventano positive circa 12-24 h dopo l’IMA e rimangono positive per circa 1 sett.;
possono restare persistentemente positive in caso di estensione dell’area di
necrosi e in pazienti che sviluppano aneurismi postinfartuali. È molto più
probabile che le immagini siano positive negli infarti transmurali piuttosto che in
quelli subendocardici.

Con la tecnica planare, immagini miocardiche multiple vengono registrate circa


1 h dopo la somministrazione EV di 99mTc pirofosfato. Sono spesso necessarie
immagini tardive (2-4 ore) per differenziare l’attività miocardica da quella del
sangue circolante. La SPECT in genere migliora la risoluzione spaziale.
Un’immagine di accumulo focale e intenso di 99mTc pirofosfato (cioè più intenso o
uguale rispetto all’accumulo costale) ha un significato diagnostico nettamente
superiore rispetto a immagini di anomalie di fissazione meno intense o più
diffuse.

Nell’imaging dell’IMA, il 99mTc pirofosfato è molto meno utilizzato del 201Tl, ma è


utile per diagnosticare IMA con presentazione clinica atipica e per evidenziare un
IMA perioperatorio dopo bypass aorto-coronarico o altri interventi di
cardiochirurgia. La sua utilità nella determinazione dell’estensione dell’infarto non
è ancora ben definita.

Per la diagnosi di IMA, si può anche utilizzare l’antimiosina (anticorpi diretti


contro la miosina cardiaca marcati con 111In). Le immagini vengono realizzate 24-
48 h dopo l’iniezione per permettere la completa eliminazione dell’attività legata
al sangue circolante. L’antimiosina è più specifica per la diagnosi di IMA rispetto
agli agenti ossei a base di 99mTc e non ha captazione sternale o costale che
mascheri la regione cardiaca. Studi combinati con antimiosina e 201Tl possono
aiutare a distinguere il tessuto infartuato da quello gravemente ischemico.
L’antimiosina può anche essere d’aiuto nella valutazione dei cuori trapiantati,
perché evidenzia le aree di necrosi parcellare associate al rigetto.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

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16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE

La RMN può fornire diverse informazioni riguardo al cuore con un solo esame e
può quindi avere un rapporto costi-benefici migliore rispetto a diverse altre
metodiche.

La RMN è utile per valutare le regioni intorno al cuore, particolarmente il


mediastino e i grossi vasi (p. es., per studiare aneurismi, dissezioni e stenosi).

L’acquisizione dei dati temporizzati sull’ECG ("ECG-gated") produce immagini in


"cine-loop" del cuore battente. La risoluzione delle immagini può raggiungere
quella della TC o dell’ecocardiografia, consentendo una buona definizione dello
spessore e del movimento della parete miocardica, del volume delle camere, di
masse o trombi endocavitari e dei piani valvolari. La RMN sequenziale dopo
somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico produce immagini con
una risoluzione del pattern di perfusione migliore rispetto alle metodiche
scintigrafiche. Si può misurare la velocità del flusso ematico nelle camere
cardiache. L’angio-RMN può mostrare il flusso ematico nei rami maggiori delle
coronarie. La spettroscopia mediante risonanza magnetica può identificare il
miocardio infartuato.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

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CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE DIAGNOSTICHE NON INVASIVE

ECOCARDIOGRAFIA

L’ecocardiografia è una tecnica a ultrasuoni per la diagnosi delle malattie


cardiovascolari (v. Tab. 198-2). Comprende: M-mode, bidimensionale, Doppler
spettrale, color-Doppler, ecocardiografia con mezzo di contrasto e da stress.

L’esame ecocardiografico viene solitamente eseguito con un trasduttore sulla


parete toracica, lungo i margini destro e sinistro dello sterno, all’apice cardiaco,
nella fossetta soprasternale o nella regione sottocostale. Nell’ecocardiografia
transesofagea, tuttavia, il trasduttore è situato alla estremità di un endoscopio e il
cuore viene visualizzato attraverso l’esofago. Trasduttori ancora più piccoli
possono essere posizionati su cateteri intravascolari, consentendo la valutazione
dell’anatomia e del flusso ematico all’interno dei vasi.

L’ecocardiografia M-mode si esegue dirigendo un fascio ultrasonoro collimato


ed emesso in maniera pulsata verso una parte del cuore. La Fig. 198-2 mostra
un ecocardiogramma M-mode in cui il fascio di ultrasuoni viene spostato
gradualmente dall’apice del cuore (posizione 1) verso la base (posizione 4). A
mano a mano che il fascio passa attraverso il cuore, si possono vedere i
ventricoli destro e sinistro, le valvole mitralica e aortica, l’aorta e l’atrio sinistro.
Cambiamenti di direzione del fascio di ultrasuoni consentono di registrare echi
provenienti dalle valvole tricuspide e polmonare.

L’ecocardiografia 2-D (o a sezione traversa) è divenuta la tecnica


ecocardiografica più comunemente usata. Essa utilizza l’emissione pulsata di
ultrasuoni e la loro riflessione per fornire immagini cardiache spazialmente
corrette in tempo reale; tali immagini vengono registrate su videocassetta,
ottenendo un effetto simile alla cineangiografia. Nella Fig. 198-3 vengono
mostrate quattro proiezioni ecocardiografiche 2D comunemente usate.
L’ecocardiografia bidimensionale può fornire molteplici tagli tomografici del cuore
e dei grossi vasi.

L’ecocardiografia Doppler spettrale utilizza gli ultrasuoni per rilevare la


velocità, la direzione e il tipo di flusso nel sistema cardiovascolare. Il segnale
Doppler spettrale può essere registrato su carta o in video. La Fig. 198-4 mostra
la registrazione del flusso transmitralico ottenuta mediante ecocardiografia
Doppler spettrale e 2D. L’ecocardiografia color-Doppler è essenzialmente un
Doppler 2D in cui il flusso è codificato a colori per indicarne la direzione (il rosso
indica il flusso che si avvicina alla sonda; il blu indica il flusso in allontanamento).

L’ecocardiografia con mezzo di contrasto consiste in un esame


ecocardiografico M-mode o 2-DE durante il quale si inietta mezzo di contrasto nel
sistema cardiovascolare. Quasi tutti i mezzi di contrasto liquidi, se iniettati
rapidamente nel torrente circolatorio, si trasformano in una sospensione di
microbolle che produce una nube di echi all’interno delle camere cardiache. Le
microbolle abitualmente non attraversano il letto capillare; tuttavia, è attualmente
in commercio un agente in grado di farlo (Albunex) e altri ancora sono in via di
sviluppo.

L’ecocardiografia da stress viene eseguita durante o dopo stress fisico o

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

farmacologico.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-2. USI CLINICI DELL’ECOCARDIOGRAFIA

Indicazione Metodo Scopo


ecocardiografico
Valvulopatie M-mode e Visualizzano direttamente le valvole patologiche
bidimensionale (l’ecocardiografia bidimensionale permette la
misurazione diretta dell’orifizio di una valvola mitrale
stenotica)

Doppler (spettrale e Consente la valutazione delle insufficienze valvolari


color- Doppler)) e dei gradienti pressori attraverso valvole stenotiche,
particolarmente nella stenosi aortica

Permette la visualizzazione delle protesi valvolari,


specialmente in sede mitralica, e rileva eventuali
Transesofageo vegetazioni dovute a endocardite batterica e trombi
all’interno dell’atrio sinistro
Anomalie delle M-mode e Consentono di misurare gli spessori parietali, le
camere cardiache bidimensionale dimensioni endocavitarie, la massa e i volumi
ventricolari e la funzione sistolica globale e
segmentaria; permettono anche di valutare le
dimensioni delle altre camere cardiache

Fornisce informazioni emodinamiche (p. es., gittata


cardiaca, pressioni endocavitarie, funzione diastolica
Doppler del ventricolo sinistro)
Cardiopatie Bidimensionale Fornisce un’eccellente definizione delle anomalie
congenite anatomiche
Doppler
Fornisce informazioni circa shunt intracardiaci ed
Contrasto emodinamica

È molto sensibile per gli shunt destro-sinistro


Coronaropatia Bidimensionale, eco- Permettono di stabilire la cinesi regionale dei
stress, M-mode e ventricoli sinistro e destro e la presenza e gravità
Doppler della coronaropatia; possono essere associati con
vari tipi di stress per identificare una coronaropatia
latente; valutano l’evoluzione dell’IMA e qualunque
sua complicanza

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Manuale Merck - Tabella

Cardiomiopatie Bidimensionale, M-mode Permettono di stabilire la presenza e la gravità della


e Doppler cardiomiopatia dilatativa congestizia e delle miopatie
infiltrative
M-mode o
bidimensionale Rilevano la presenza di una cardiomiopatia
ipertrofica, con o senza ostruzione
Doppler e M-mode
Permettono di stabilire le caratteristiche anatomiche
ed emodinamiche dell’ostruzione del tratto d’efflusso
della cardiomiopatia ipertrofica
Masse cardiache Bidimensionale È la procedura migliore per la valutazione delle
(transtoracico e masse cardiache (infiammatorie, neoplastiche o di
transesofageo) natura trombotica), la maggior parte delle quali è
endocavitaria; può rilevare masse extracardiache
Malattie M-mode, bidimensionale Rilevano la presenza di versamento pericardico e
pericardiche e Doppler l’eventuale presenza di tamponamento cardiaco;
sono utili, ma meno affidabili, per il rilievo di
pericardite costrittiva
Malattie dell’aorta Bidimensionale Può esaminare l’aorta per intero e permette di
rilevare diverse patologie (p. es. dissezione aortica,
aneurismi dei seni di Valsalva, coartazione)

Color-Doppler e Migliorano moltissimo la visualizzazione dell’aorta


transesofageo
Pericardiocentesi Bidimensionale con Permette di individuare la posizione dell’ago e rende
contrasto più sicura tale procedura

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE INVASIVE

Per diagnosticare, monitorizzare e trattare condizioni quali infezioni,


disidratazione, trauma, chirurgia, aritmie cardiache e neoplasie, è spesso
necessario un accesso vascolare.

La scelta della cannula dipende dagli scopi della terapia e dalle caratteristiche del
catetere. Il metodo più efficace per somministrare ampi volumi di liquidi (p. es.,
dopo un trauma, durante chirurgia) è l’inserimento di due o più cannule
periferiche corte ( 16 G), di ampio calibro. Al contrario, nei pazienti che hanno
bisogno di un accesso vascolare sicuro o continuato (p. es., per la
somministrazione di antibiotici, di chemioterapici o per l’alimentazione
parenterale) è meglio utilizzare lunghi cateteri venosi centrali (vie venose centrali-
VVC).

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

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16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE INVASIVE

CANNULAZIONE DI VENE PERIFERICHE

Sommario:

Introduzione
Complicanze

Per l’inserzione di una cannula percutanea, bisogna applicare un laccio


emostatico, più spesso a livello dell’arto superiore. Un’unità costituita da una
cannula e un ago viene introdotta delicatamente attraverso la cute pulita
all’interno della vena. Una volta che la cannula è in sede, l’ago viene ritirato ed
eliminato.

La preparazione chirurgica della vena, usata quando l’inserzione di una


cannula percutanea non è possibile, richiede una piccola incisione della cute, il
successivo isolamento della vena e la venotomia; un catetere di plastica viene
inserito nella vena e fermato con delle suture. Le sedi d’inserzione caratteristiche
sono le vene cefaliche del braccio a livello del polso e le vene safene a livello
della caviglia.

Complicanze

L’incidenza di complicanze comuni (p. es., infezioni, trombosi venose,


tromboflebiti) può essere ridotta rimuovendo la cannula il più presto possibile o
cambiandola di frequente.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE INVASIVE

INSERIMENTO DI CATETERI VENOSI CENTRALI

Sommario:

Introduzione
Procedura
Complicanze

I cateteri centrali consentono l’infusione di soluzioni con una minore incidenza di


complicanze (p. es., trombosi venosa, necrosi tissutale locale); consentono il
monitoraggio emodinamico della pressione venosa centrale, della pressione in
arteria polmonare e della pressione di incuneamento ("wedge pressure") dei
capillari polmonari (v. oltre) e la valutazione della gittata cardiaca e delle
resistenze vascolari periferiche e polmonari. La determinazione della pressione
venosa centrale (PVC) è anche d’aiuto nel monitoraggio della volemia. Una VVC
può anche fornire importanti dati emodinamici nel tamponamento cardiaco e
nell’embolia polmonare.

La PVC è una misura della pressione media della vena cava superiore (VCS) e
riflette la pressione telediastolica del ventricolo destro, ossia il precarico. I dati
ricavati dalla PVC devono essere interpretati con cautela, particolarmente
quando è presente una cardiopatia. Una PVC < 5 mm Hg in un paziente ipoteso
indica generalmente una deplezione di volume e può essere trattata
somministrando fluidi. I liquidi vanno invece somministrati con particolare cautela
se la PVC è > 15 mm Hg. Le variazioni della PVC durante la somministrazione di
liquidi in un paziente ipovolemico che viene rianimato sono più importanti del suo
valore assoluto. Dal momento che la PVC può non essere affidabile nella
valutazione della volemia e della funzione ventricolare sinistra, se non c’è un
miglioramento delle condizioni cardiovascolari dopo un’iniziale somministrazione
di liquidi, occorre prendere in considerazione la cateterizzazione dell’arteria
polmonare (v. più avanti).

Procedura

Si può accedere alla VCS per via transcutanea o mediante isolamento chirurgico
della vena cefalica, succlavia e giugulare, interna o esterna. Si può accedere alla
vena cava inferiore per via transcutanea attraverso la vena femorale comune o
con preparazione chirurgica della vena safena; possono essere usate anche le
vene antecubitali del braccio.

Dopo che il catetere è stato inserito, va eseguita una radiografia del torace, per
localizzare l’estremità del catetere e per escludere un pneumotorace. Per
prevenire aritmie cardiache, i cateteri situati in atrio o in ventricolo destro vanno
ritirati affinché la punta si trovi all’interno della VCS. VVC flessibili, a lungo
termine, di Silastic vengono solitamente inserite sotto controllo fluoroscopico per
assicurarne il corretto posizionamento.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Se possibile, l’assetto della coagulazione e la conta piastrinica devono essere


normalizzate prima di inserire una VVC. Le vie venose femorali transcutanee
vanno inserite al di sotto del legamento inguinale, particolarmente nei pazienti
affetti da patologie della coagulazione o in terapia anticoagulante. In caso
contrario, la lacerazione della vena iliaca esterna o dell’arteria al di sopra del
legamento inguinale può provocare un’emorragia retroperitoneale e la
compressione di questi vasi è quasi impossibile. La preparazione chirurgica
riduce il rischio di complicanze dovute al sanguinamento, particolarmente se è
presente una patologia della coagulazione. La vena succlavia non è comprimibile
mediante pressione esterna e per questo un’emorragia può costituire un evento
grave.

Tutte le VVC vanno rimosse quando non sono più necessarie, per ridurre il
rischio di trombosi venosa e di sepsi da catetere; i cateteri di piccolo calibro
devono essere sostituiti con cateteri più grandi, quando possibile. Se è
necessario un uso prolungato, il punto d’ingresso a livello della cute deve essere
controllato quotidianamente per l’eventuale insorgenza di un’infezione locale; il
catetere va sostituito se si verifica un’infezione locale o sistemica. Quando viene
utilizzato per somministrare antibiotici nella terapia della sepsi, il catetere va
sostituito almeno una volta alla settimana finché il paziente continua ad avere la
febbre, per ridurre il rischio di una colonizzazione batterica. La via sostitutiva va
inserita in una diversa sede anatomica, se possibile.

Complicanze

Le VVC sono associate a numerose complicanze (v. Tab. 198-3). Dopo


l’inserzione di una VVC, si rileva un pneumotorace nell’1% dei pazienti. Subito
dopo l’inserzione del catetere, va eseguito una rx del torace in ortostatismo in
espirazione per escludere un pneumotorace. Durante l’inserzione del catetere, si
verificano frequentemente aritmie atriali o ventricolari che in genere si
autolimitano e regrediscono quando la guida o il catetere vengono ritirati dalle
camere cardiache. L’incidenza di colonizzazione del catetere da parte di infezioni
sistemiche può raggiungere il 35%, mentre l’incidenza di una vera sepsi è del 2-
8%. L’accidentale cateterizzazione di un’arteria può rendere necessaria la
rimozione chirurgica del catetere e la riparazione dell’arteria. Si possono
verificare idrotorace e idromediastino quando i cateteri vengono erroneamente
posizionati al di fuori del sistema vascolare. Il danno da catetere alla valvola
tricuspide, l’endocardite batterica e l’embolia gassosa o da catetere si verificano
raramente.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-3. COMPLICANZE ASSOCIATE AL


CATETERISMO VENOSO CENTRALE

Complicanza Conseguenze possibili


Puntura della pleura o del Pneumotorace
polmone
Danno all'arteria succlavia Sanguinamento, ischemia
dell'arto superiore, emotorace,
compromissione emodinamica
Puntura della vena Sanguinamento, stravaso di
liquidi, compromissione
emodinamica
Danno alla carotide Sanguinamento,
compromissione respiratoria,
danno neurologico
Erosione del catetere Sanguinamento, stravaso di
liquidi, compromissione
emodinamica
Danno ai vasi linfatici Chilotorace
Danno alla clavicola, alla Osteomielite
costa o alle vertebre
Danno al plesso brachiale Compromissione di un arto
Embolia gassosa Arresto cardiaco
Aritmie Arresto cardiaco
Infezione Sepsi
Danno alle valvole Endocardite

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE INVASIVE

CATETERISMO ARTERIOSO

Sommario:

Introduzione
Procedura
Interpretazione dei dati
Complicanze

Il cateterismo arterioso permette il monitoraggio continuo della PA e il prelievo di


sangue arterioso per l’emogasanalisi. Le indicazioni comprendono l’ipertensione
maligna, l’IMA complicato, i politraumi, la chirurgia cardiovascolare, l’edema
polmonare, la polmonite e le patologie che richiedono terapia parenterale con
farmaci inotropi o vasoattivi (p. es., shock cardiogeno o settico).

Procedura

Abitualmente, i cateteri arteriosi sono inseriti per via transcutanea nelle arterie
radiale, femorale, ascellare, brachiale, dorsale del piede e (nei bambini)
temporale. L’arteria radiale è quella più frequentemente utilizzata; il cateterismo
dell’arteria femorale è gravato da minori complicanze, ma va evitato dopo un
intervento di bypass vascolare (a causa del potenziale danno al graft) o se è
presente un’insufficienza vascolare dei distretti a valle (c’è il rischio di provocare
ischemia). Quando non si riesce a inserire il catetere per via transcutanea, si
deve eseguire una preparazione chirurgica.

Prima di procedere al cateterismo dell’arteria radiale, il test di Allen (la


simultanea compressione digitale delle arterie ulnare e radiale provoca pallore
del palmo della mano seguito da iperemia quando una delle due arterie viene
decompressa) può stabilire se il circolo collaterale che origina dall’arteria ulnare
fornisce un flusso sufficiente a perfondere la mano in caso di occlusione
dell’arteria radiale. Se non si ha riperfusione entro 8 s. dal momento in cui si
rimuove la compressione esercitata sull’arteria ulnare, l’arteria radiale non deve
essere cateterizzata (V. anche la trattazione sul test di Allen sotto Malattia e
fenomeno di Raynaud al Cap. 212).

Interpretazione dei dati

La PA è spesso maggiore quando misurata mediante catetere arterioso che con


lo sfigmomanometro. La velocità della fase ascendente dell’onda sfigmica, la
pressione sistolica e la pressione differenziale aumentano tanto più quanto più
distale è il punto dove vengono misurate, mentre la pressione diastolica e quella
media diminuiscono. L’analisi dei gas arteriosi è trattata sotto Cateterismo

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Cardiaco, più avanti e nel Cap. 64.

Complicanze

Cateterismo dell’arteria radiale: la complicanza più significativa è la necrosi


ischemica della mano e del braccio dovuta a trombosi o embolia, dissezione
intimale o spasmo nel punto di inserzione del catetere. Il rischio di trombosi
arteriosa è inversamente proporzionale al diametro interno dell’arteria (ciò spiega
la maggiore incidenza nelle donne rispetto agli uomini) ed è direttamente
proporzionale alla durata della cateterizzazione.

Cateterismo dell’arteria femorale: durante l’inserzione della guida, si verificano


frequentemente sanguinamento nel punto di inserzione ed embolia. L’incidenza
di trombosi e di ischemia distale è di molto inferiore rispetto al cateterismo
dell’arteria radiale.

Cateterismo dell’arteria ascellare: è rara la formazione di ematomi, che tuttavia


possono richiedere provvedimenti d’urgenza perché la compressione del plesso
brachiale può provocare una neuropatia periferica permanente. Il lavaggio di un
catetere posizionato in arteria ascellare può provocare l’ingresso di aria o di un
trombo. Per evitare che ci siano danni cerebrali permanenti in conseguenza di
questi emboli, è meglio utilizzare l’arteria ascellare sinistra per la cateterizzazione
(l’arteria ascellare sinistra dà luogo ai vasi carotidei più distalmente rispetto alla
destra). I cateteri vanno rimossi se sono presenti segni di infezione locale o
sistemica.

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Malattie vascolari periferiche

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

212. MALATTIE VASCOLARI PERIFERICHE

Patologie che coinvolgono le arterie, le vene e i vasi linfatici degli arti.

FENOMENO E MALATTIA DI RAYNAUD

Spasmo delle arteriole, di solito a livello delle dita e occasionalmente di altre


regioni con circolo terminale (p. es., naso, lingua), con pallore o cianosi
intermittente.

Sommario:

Introduzione
Anatomia patologica e fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

La malattia di Raynaud, comune soprattutto nelle giovani donne (60-90% dei


casi riportati), è idiopatica. Il fenomeno di Raynaud è secondario ad altre
condizioni, quali patologie del connettivo (sclerodermia, AR, LES), arteriopatie
ostruttive (arteriosclerosi obliterante, tromboangioite obliterante, sindrome
dell’outlet toracico), lesioni neurologiche, intossicazione da farmaci (ergotamina,
metisergide), disproteinemie, mixedema, ipertensione polmonare primitiva e
traumi.

Anatomia patologica e fisiopatologia

Nonostante la patogenesi della malattia di Raynaud resti incerta, ricerche sul


metabolismo delle prostaglandine, sul microcircolo e sul ruolo delle cellule
endoteliali stanno dando risultati promettenti. Il fenomeno di Raynaud si associa
con la cefalea emicranica, l’angina variante e l’ipertensione polmonare; ciò
suggerisce che queste patologie possono avere in comune un meccanismo di
vasospasmo.

Nella malattia di Raynaud, la soglia per la risposta vasospastica si abbassa per


il contatto con il freddo o per qualunque fattore in grado di attivare il sistema
simpatico o liberare catecolamine (p. es., l’emozione). I vasi sono
istologicamente normali all’inizio della malattia, mentre in stadi avanzati si
possono avere ispessimento dell’intima e trombosi a carico delle piccole arterie.

Sintomi e segni

L’esposizione al freddo e gli stress emotivi provocano pallore o cianosi


intermittenti delle dita. Le variazioni di colore possono essere trifasiche (pallore,
cianosi, rossore-iperemia reattiva) o bifasiche (cianosi, rossore). Non si verificano
al di sopra delle articolazioni metacarpofalangee e raramente coinvolgono il

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Malattie vascolari periferiche

pollice. Il dolore è poco comune durante l’attacco, mentre sono frequenti le


parestesie. Il vasospasmo delle arterie e delle arteriole digitali può persistere per
minuti o per ore, ma raramente è grave abbastanza da causare una rilevante
perdita tissutale. Riscaldando le mani, si ripristina il normale colorito cutaneo e la
sensibilità.

Diagnosi

La malattia di Raynaud si differenzia dal fenomeno di Raynaud perché è


bilaterale e non ha una causa sottostante. Nella malattia di Raynaud, le
modificazioni trofiche della cute e la gangrena sono assenti o interessano zone
circoscritte e i sintomi non peggiorano nonostante persistano per molti anni.

Nel fenomeno di Raynaud è individuabile una causa sottostante. Per esempio, in


presenza di sclerodermia, possono aversi: cute ispessita e poco mobile e
teleangiectasie sulle mani, sulle braccia o sul volto; difficoltà di deglutizione;
ulcere trofiche dolenti localizzate alla punta delle dita; sintomi riferibili
all’interessamento di altri sistemi. I polsi radiali sono di solito presenti, sebbene il
test di Allen, che solitamente è negativo nella malattia di Raynaud, evidenzi
spesso l’occlusione di rami dell’arteria radiale o ulnare distali al polso. In questo
test, l’esaminatore si pone di fronte al paziente e mette i propri pollici al di sopra
dei polsi radiale e ulnare di una mano. Dopo che il paziente ha stretto il pugno
per allontanare il sangue dalla mano, l’esaminatore comprime le arterie. Quando
il paziente apre il pugno, la mano è bianca. A questo punto, l’esaminatore rilascia
la compressione sull’arteria radiale, ma non sull’ulnare. Se l’arteria radiale
distalmente al polso è pervia, la mano ritorna rapidamente rosa. Se è occlusa, la
mano resta pallida. Questa manovra va quindi ripetuta rilasciando la
compressione sull’arteria ulnare, ma non sulla radiale. La pletismografia delle dita
affette prima e dopo esposizione al freddo può differenziare la malattia occlusiva
da quella vasospastica.

Terapia

La malattia di Raynaud, se lieve, può essere controllata proteggendo il corpo e


le estremità dal freddo. Il paziente deve smettere di fumare perché la nicotina è
un vasocostrittore. In alcuni pazienti, le tecniche di rilassamento possono ridurre
gli episodi di vasospasmo. Possono risultare utili la prazosina (1-2 mg PO prima
di andare a letto, ripetibile al mattino se necessario) e la nifedipina (10-30 mg PO
tid). È stato riportato che la pentossifillina (400 mg bid o tid ai pasti) è efficace. La
fenossibenzamina (10 mg PO da una a tre volte al giorno) e la guanetidina
(10 mg PO da una a tre volte al giorno) hanno dato occasionalmente risultati
positivi.

La terapia del fenomeno di Raynaud dipende dall’individuazione e dal


trattamento della malattia di base. Può risultare utile la fenossibenzamina (10 mg
PO una o due volte al giorno). Antibiotici, analgesici e, occasionalmente, la
rimozione chirurgica dei tessuti danneggiati sono essenziali per i pazienti con
ulcere delle dita estremamente dolenti e infette, specialmente in presenza di
sclerodermia.

La ricerca sull’uso delle prostaglandine (trombossano) sta dando risultati


incoraggianti. La simpatectomia regionale va riservata ai pazienti con una
patologia progressivamente disabilitante; spesso elimina i sintomi, ma l’effetto
può durare solo 1-2 anni. I risultati di tale approccio sono in genere migliori nei
pazienti con la malattia di Raynaud rispetto ai pazienti con il fenomeno di
Raynaud. Nella malattia di Raynaud e nel fenomeno di Raynaud, i β-bloccanti, la
clonidina e i preparati a base di ergotamina sono controindicati, perché
provocano vasocostrizione e possono indurre o peggiorare i sintomi.

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Malattie vascolari periferiche

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE INVASIVE

CATETERISMO CARDIACO

Sommario:

Introduzione
Procedura
Interpretazione dei dati
Controindicazioni e Complicanze

Il cateterismo cardiaco è solitamente utilizzato per decidere se è tecnicamente


realizzabile un intervento chirurgico in pazienti con coronaropatia, cardiopatie
congenite, scompenso cardiaco, IMA o disturbi di conduzione. Fornisce
informazioni anatomiche sulle camere cardiache, le arterie coronarie, le valvole, il
miocardio e i grossi vasi. Usando il catetere per l’iniezione di mezzo di contrasto
radiopaco, si possono realizzare angiogrammi. Si registra il flusso di sangue
attraverso il cuore e le valvole e si calcolano i gradienti valvolari, la gittata
cardiaca e le resistenze vascolari. Si possono anche eseguire la biopsia
endomiocardica e la valutazione dell’attività elettrica endocavitaria. La
misurazione del livello dei gas respiratori nel sangue permette la localizzazione di
shunt cardiaci.

Procedura

Cateterismo destro: negli adulti il sito d’accesso può essere la vena femorale,
succlavia, giugulare interna o una vena della fossa antecubitale. Il catetere viene
spinto in atrio destro, poi attraverso la tricuspide, quindi all’interno del ventricolo
destro e, attraverso la valvola polmonare, in arteria polmonare (v. sopra,
Cateterismo dell’arteria polmonare). Si può eseguire il cateterismo selettivo del
seno coronarico.

Cateterismo sinistro: i metodi per ottenere informazioni circa la parte sinistra


del sistema circolatorio comprendono: (1) cateterismo arterioso retrogrado
mediante puntura transcutanea dell’arteria femorale o mediante puntura
transcutanea o arteriotomia dell’arteria brachiale destra o sinistra; (2) tecniche
trans-settali, non usate di frequente. Nella tecnica retrograda, il catetere
raggiunge senza difficoltà il ventricolo sinistro attraverso la valvola aortica, anche
se questa è stenotica. Il cateterismo trans-settale comporta il passaggio del
catetere dalla vena femorale destra all’atrio destro e poi, attraverso il setto
interatriale, all’atrio sinistro e quindi, attraverso la valvola mitrale, al ventricolo
sinistro. Raramente il ventricolo sinistro non può essere raggiunto per via
retrograda o trans-settale, per cui è indicata una puntura diretta transcutanea.

Interpretazione dei dati

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Pressioni intracardiache e pressione arteriosa: la pressione può essere


misurata a livello degli atri, dei ventricoli, delle arterie polmonari e delle arterie
periferiche, a mano a mano che il catetere passa attraverso tali strutture (per i
valori normali, v. Tab. 198-5). I gradienti pressori transvalvolari costituiscono il
metodo migliore per valutare la funzione valvolare. Nella Fig. 198-5 vengono
mostrate le curve pressorie registrate in condizioni normali. La pressione atriale
normale viene trattata nel Cap. 197 e mostrata nella Fig. 197-1.

La stenosi mitralica e quella tricuspidale determinano un aumento della pressione


atriale, che si riduce lentamente in protodiastole. Nell’insufficienza mitralica o
tricuspidale, la sistole ventricolare produce un’onda sistolica v atriale molto
ampia. Nei tracciati della pressione arteriosa, è possibile distinguere sia il polso
anacroto della stenosi aortica, a lenta salita, sia il polso collassante
dell’insufficienza aortica. Uno dei dati più precoci rilevabili in caso di insufficienza
cardiaca può essere l’innalzamento della pressione telediastolica ventricolare fino
a valori > 12 mm Hg nel ventricolo sinistro o > 8 mm Hg nel ventricolo destro.
Quando le pressioni telediastoliche ventricolari sono persistentemente elevate,
sono spesso accompagnate da dilatazione delle cavità ventricolari. Quando la
distensibilità ventricolare si riduce (p. es., in caso di endocardio o miocardio
"stiffened", rigidi), le curve di pressione atriali mostrano una configurazione a W:
si osserva una depressione protodiastolica (effetto "snap-open"), seguita da una
seconda rapida depressione e poi da un plateau. Quando il riempimento
ventricolare ha caratteristiche restrittive (p. es., nella pericardite costrittiva, nel
tamponamento cardiaco, nelle miocardiopatie infiltrative e talvolta nello
scompenso biventricolare), la componente protodiastolica del tracciato di
pressione ventricolare mostra una brusca depressione, seguita da un plateau
(andamento simile al segno della radice quadrata).

Normalmente, la pressione sistolica è minore nell’atrio destro rispetto al


ventricolo destro, mentre le pressioni diastoliche sono simili; tuttavia,
nell’insufficienza tricuspidale la pressione atriale sistolica è elevata e il tracciato
della pressione è simile a quello del ventricolo. In condizioni normali, durante la
sistole non c’è alcun gradiente tra il ventricolo sinistro e l’aorta; tuttavia, esiste
un’evidente differenza tra i tracciati pressori aortici e quelli delle arterie
sistemiche. Rispetto all’aorta, le arterie distali presentano una pressione
differenziale più alta del 30-40% (v. anche Cateterismo Arterioso, sopra). Le
pressioni diastoliche del ventricolo sinistro, insieme a dati accurati circa il volume
ventricolare sinistro, possono aiutare a valutare la distensibilità del ventricolo
sinistro.

Determinazioni ossimetriche: la determinazione del contenuto di O2 del sangue


prelevato a diversi livelli all’interno del cuore e dei grossi vasi è utile per rilevare
la presenza, la direzione e l’entità di shunt centrali. I valori normali sono mostrati
nella Tab. 198-6. La massima differenza ritenuta normale nel contenuto di O2 tra
l’arteria polmonare e il ventricolo destro è di 0,5 ml/dl; tra il ventricolo destro e
l’atrio destro è di 0,9 ml/dl; tra l’atrio destro e la VCS è di 1,9 ml/dl. Se il
contenuto ematico di O2 di una delle cavità è maggiore di quello della cavità più
prossimale di un valore superiore rispetto ai suddetti, è probabile che ci sia uno
shunt sinistro-destro a quel livello. Uno shunt destro-sinistro va fortemente
sospettato se la SaO2 è al di sotto del normale in assenza di pneumopatie,
congestione polmonare o ipoventilazione alveolare. La desaturazione arteriosa
associata a un aumento del contenuto di O2 nei campioni di sangue prelevati al
di là della sede dello shunt nella parte destra del sistema circolatorio suggerisce
uno shunt bidirezionale. L’equazione per calcolare uno shunt è:

(QS /QT) (%) = [(Cc- Ca)/ (Cc- Cv)]⋅ 100

dove QS e QT sono, rispettivamente, lo shunt e i flussi ematici totali; Cc è il


contenuto di O2 del sangue capillare e Ca e Cv sono il contenuto di O2,
rispettivamente, del sangue arterioso e misto.

Gittata cardiaca e flusso: la gittata cardiaca (GC) è il volume di sangue messo


in circolo dal cuore per minuto (valori normali a riposo, 4-8 l/ min). Generalmente,
la GC viene espressa in rapporto all’area di superficie corporea (ASC), come

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

indice cardiaco (IC): questo si esprime in l/min/ m2 di superficie corporea (cioè,


IC = GC/ASC). L’ASC si calcola dall’equazione altezza-peso di DuBois (v.
Tab. 198-7 per i valori normali di IC e misure correlate):

ASC in m2 =
(wt in kg)0,425 ⋅(ht in cm)0,725 ⋅ 0,007184

Per il calcolo della GC vengono impiegati vari metodi. Le tecniche più


comunemente utilizzate sono il metodo di Fick, la diluizione di un indicatore e la
termodiluizione (vedi Tab. 198-8).

Metabolismo energetico del miocardio: una ridotta disponibilità di O2 per il


metabolismo miocardico (ipossia miocardica), con il conseguente instaurarsi di
un metabolismo anaerobio, può essere rilevata dall’aumento del rapporto fra le
concentrazioni di lattato e di piruvato nel sangue del seno coronarico. Nella
coronaropatia l’estrazione miocardica di citrato risulta significativamente ridotta.
Tuttavia, la maggior parte delle patologie dovute ad anomalie del flusso
coronarico riguarda aree ben precise del miocardio in cui il flusso ematico è
ridotto e che sono meglio individuate mediante angiografia.

Controindicazioni e Complicanze

Controindicazioni relative comprendono l’insufficienza renale, le patologie della


coagulazione, la febbre o le infezioni sistemiche, la suscettibilità del ventricolo ad
aritmie, l’insufficienza cardiaca in fase di scompenso acuto e l’allergia al mezzo di
contrasto in assenza di un’adeguata premedicazione.

La complicanza più grave del cateterismo cardiaco è la morte (0,1-0,2%). L’IMA


(0,1%) e gli accidenti cerebrovascolari (0,1%) possono essere causa di
un’importante morbilità. Altre complicanze comprendono aritmie, reazioni
vasovagali e reazioni allergiche al mezzo di contrasto. Il danno vascolare locale
nel punto di inserzione del catetere può provocare pseudoaneurismi, fistole
artero-venose ed emorragie.

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

198. TECNICHE DIAGNOSTICHE CARDIOVASCOLARI

TECNICHE INVASIVE

CATETERISMO ARTERIOSO

CATETERISMO DELL’ARTERIA POLMONARE

Sommario:

Introduzione
Procedura
Interpretazione dei dati
Complicanze e precauzioni

Nonostante l’ampio uso, non è stato dimostrato che i cateteri per l’arteria
polmonare (cateteri con un palloncino terminale diretti dal flusso) riducano la
morbilità e la mortalità. Diversi studi hanno riportato che l’utilizzo di questi cateteri
modifica l’approccio terapeutico in solo il 50% dei pazienti. Nonostante questo, i
dati ottenuti mediante cateterismo dell’arteria polmonare possono essere d’aiuto
nella gestione di pazienti critici, se combinati con altri dati obiettivi e clinici.
Possibili indicazioni per il cateterismo dell’arteria polmonare sono elencate nella
Tab. 198-4.

Procedura

Una volta che l’estremità del catetere ha raggiunto la VCS, la parziale


insufflazione del palloncino di solito fa sì che il flusso ematico spinga
ulteriormente avanti il catetere. La posizione della punta del catetere si determina
di solito monitorando la pressione oppure, occasionalmente, tramite fluoroscopia.
Un improvviso incremento della pressione sistolica fino a circa 30 mm Hg indica
che si è entrati nel ventricolo destro; la pressione diastolica è simile a quella
dell’atrio destro o della vena cava. Quando il catetere imbocca l’arteria
polmonare, la pressione sistolica è simile a quella del ventricolo destro, ma la
pressione diastolica è maggiore della pressione telediastolica del ventricolo
destro o della pressione venosa centrale, vale a dire che la pressione
differenziale è ridotta. Un ulteriore movimento del catetere spinge e blocca
("wedge") il palloncino in un’arteria polmonare distale. Una rx del torace
conferma il corretto posizionamento del catetere.

Interpretazione dei dati

Si possono studiare i valori pressori e la morfologia delle curve di pressione


dell’atrio e del ventricolo destro e si può ricavare la gittata cardiaca prima di
raggiungere l’arteria polmonare (v. Cateterismo Cardiaco, oltre).

Pressione dell’arteria polmonare: prima di gonfiare il palloncino, si misurano la

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

pressione sistolica (normale, 15-30 mm Hg) e la pressione diastolica (normale, 5-


13 mm Hg). C’è una buona corrispondenza fra la pressione diastolica e la
pressione di incuneamento ("wedge"). La pressione diastolica può superare la
pressione "wedge" quando le resistenze vascolari polmonari sono elevate a
causa di patologia primitivamente polmonare (p. es., fibrosi polmonare,
ipertensione polmonare).

Pressione di incuneamento dei capillari polmonari (pressione "wedge"): con il


palloncino insufflato, la punta del catetere registra la pressione trasmessa dai
capillari polmonari. La pressione di incuneamento ("wedge") dei capillari
polmonari (PWAP) (valori normali 1-15 mm Hg) è equivalente alla pressione
telediastolica del ventricolo sinistro (PTDVS) tranne che in presenza di stenosi
mitralica; quando vengono utilizzate elevate pressioni positive tele-espiratorie
(> 10 cm H20); quando si gonfia in modo eccessivo il palloncino nell’arteria
polmonare; quando il catetere non viene posizionato correttamente; quando la
pressione alveolare supera la pressione venosa polmonare o è presente una
grave ipertensione polmonare che rende impossibile bloccare il palloncino.

Alterazioni della distensibilità del ventricolo sinistro (dovute p. es., a IMA,


versamento pericardico o aumento del postcarico) modificano la relazione tra la
PTDVS e il volume telediastolico del ventricolo sinistro (VTDVS). In questa
situazione, né la PTDVS, né la PWAP riflettono in maniera affidabile il VTDVS
(maggiore è la modificazione della distensibilità ventricolare sinistra, meno
affidabile è la PWAP nel predire la funzione ventricolare sinistra). Il VTDVS può
allora essere misurato direttamente a letto del paziente mediante tecniche
radioisotopiche.

Ossigenazione del sangue venoso misto: il sangue venoso misto comprende il


sangue refluo dalle vene cave superiore e inferiore che ha attraversato il cuore
destro fino all’arteria polmonare. Tale sangue può essere campionato dalla parte
distale del catetere posizionato in arteria polmonare, quando il palloncino è
sgonfio. Cause di un ridotto contenuto di O2 nel sangue venoso misto
comprendono l’anemia, le patologie polmonari, la carbossiemoglobinemia, la
ridotta gittata cardiaca e l’aumento del fabbisogno metabolico dei tessuti. Il
rapporto fra la SaO2 e la SaO2 meno la SmvO2 è un indice dell’adeguatezza del
trasporto di O2. Il valore ideale di tale rapporto è di 4:1, mentre 2:1 è il valore
minimo accettabile per mantenere il metabolismo aerobio. Sono disponibili
cateteri a fibre ottiche per le arterie polmonari per il monitoraggio continuo del
PmvO2.

Altre variabili: mediante cateterismo della arteria polmonare possono anche


essere calcolate le resistenze vascolari polmonari e sistemiche e il lavoro
d’eiezione del ventricolo sinistro (LEVS) e destro (LEVD). Dai valori di LEVS e di
PWAP, rilevati durante e dopo infusione rapida di fluidi, sono state costruite curve
di funzione miocardica tipo Starling. Tali curve possono riflettere la funzione
cardiaca a diversi livelli di pressione di riempimento, sebbene la loro
interpretazione sia spesso resa difficile da modificazioni non note della
distensibilità cardiaca.

Complicanze e Precauzioni

Complicanze specifiche o più comuni del cateterismo dell’arteria polmonare


comprendono l’intrappolamento del catetere dovuto al suo attorcigliamento con
formazione di un nodo all’interno del ventricolo destro (soprattutto in pazienti con
insufficienza cardiaca, cardiomiopatie o elevate pressioni del piccolo circolo); le
aritmie cardiache; l’infarto polmonare dovuto a un palloncino iperinsufflato o
permanentemente bloccato; la perforazione dell’arteria polmonare; la
perforazione intracardiaca; il danno valvolare e l’endocardite.

Le aritmie possono essere individuate mediante monitoraggio ECG durante e


dopo l’inserzione. Il catetere deve essere mantenuto in posizione di cuneo per
30 s ogni insufflazione, per prevenire l’infarto e la perforazione dell’arteria

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Tecniche diagnostiche cardiovascolari

polmonare e, eccetto che in situazioni d’emergenza, il profilo della coagulazione


(tempo di protrombina [PT], tempo di tromboplastina parziale [PTT]) deve essere
normale.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-4. INDICAZIONI ALLA CATETERIZZAZIONE


DELL'ARTERIA POLMONARE

Monitoraggio emodinamico

Cardiochirurgia

Chirurgia in pazienti affetti da una cardiopatia


significativa

Periodo postoperatorio in pazienti affetti da


una cardiopatia significativa

Periodo postoperatorio in pazienti critici

Instabilità emodinamica

Shock

Cardiogeno

Ipovolemico

Settico

Neurogeno

Valutazione della volemia

In concomitanza di terapia con farmaci


inotropi

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Manuale Merck - Tabella

Cardiopatie

Insufficienza cardiaca complicata

IMA complicato

Tamponamento cardiaco

Aritmie complicate

Rottura del setto interventricolare

Insufficienza valvolare acuta

Aortica

Tricuspidale

Mitralica

Patologie polmonari

Ipertensione polmonare

Embolia polmonare complicata

Congestione polmonare complicata

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-5. NORMALI VALORI PRESSORI DELLE


CAMERE CARDIACHE E DEI GROSSI VASI

Tipo di pressione Valore medio Intervallo di


(mmHg) normalità
(mmHg)

Atrio Dx 3 0-8
Ventricolo Dx
Picco sistolico 25 15-30

Telediastolica 4 0-8

Arteria polmonare
Media 15 9-16

Picco sistolico 25 15-30

Telediastolica 9 4-14

Pressione arteria polmonare


a catetere bloccato (wedge)
Media 9 2-12

Atrio Sx
Media 8 2-12

Onda A 10 4-16

Onda V 13 6-12

Ventricolo Sx
Picco sistolico 130 90-140

Telediastolica 9 5-12

Arteria brachiale

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Manuale Merck - Tabella

85 70-105

Media 130 90-140

Picco sistolico 70 60-90

Telediastolica

Adattata da Fowler NO: Cardiac Diagnosis and Treat ment, ed.3


Philadelphia, JB Lippincott, 1980, p.11; riproduzione autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-6. VALORI EMOGASANALITICI NORMALI

Parametri Valori normali


Contenuto di O2 (Hb13,6[saturazione %/100])
+ (PO2 0,0031)
Saturazione arteriosa di O2 95%
Saturazione di O2 del 75-80%
sangue dell’arteria
polmonare
Capacità di O2 del sangue 17-21ml di O2/dl di sangue
intero
Contenuto di O2 del sangue 16,520,0ml/dl di sangue
arterioso
Contenuto di O2 del sangue 10-16ml/dl di sangue
venosomisto
pH (plasma arterioso) 7,39-7,41
Capacità di combinazione 21-30mEq/l
con CO2 (plasma venoso)
Contenuto di CO2 del 20-25mEq/l
sangue arterioso (sangue
intero)
Pressione arteriosa e 37-41mm Hg
alveolare di CO2 (PaCO2 )

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 198-7. VALORI NORMALI DELL’INDICE CARDIACO


E DEI PARAMETRI A ESSO CORRELATI

Parametri Valori DS
Captazione di 143ml/min/m2 14,3
O2
Differenza 4,1dl 0,6
arterovenosa di
O2
Indice cardiaco 3,5l/min/m2 0,7
Indice sistolico 46ml/battito/m 8,1
Resistenza 1130dine-s-cm- 178
sistemica totale 5

Resistenza 205dine-s-cm-5 51
polmonare totale
Resistenza 67dine-s-cm-5 23
arteriolare
polmonare
DS: deviazione standard.

Da Barrat-Boyes BG, Wood EH: "Cardiac output and related


measurements and pressure values in the right heart and associated
vessels, together with an analysis of the hemodynamic response to the
inhalation of high oxygen mixtures in healty subjects." Journal of
Laboratory and Clinical Medicine 51:72-90, 1958; riproduzione
autorizzata.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella198-8. EQUAZIONI DELLA GITTATA CARDIACA

Metodo di Fick

O2 assorbito dai polmoni (ml/min)


CO = 
(1,36 x Hb) x (SaO2 - SvO2 )

Tecnica di diluizione di un indicatore

Quantità iniettata (mg)


CO = 
ƒ ∞ C(t)dt

Il denominatore rappresenta la somma delle


concentrazioni del mezzo di contrasto (C) a ogni
intervallo di tempo (t)
Metodo della termodiluizione

(TB - TI) x Volume iniettato (ml) x 53,5


CO = 
ƒ ∞TB (t)dt
TBTI è la differenza fra la temperatura corporea e
quella dell’indicatore iniettato: il denominatore
rappresenta la somma delle variazioni della
temperatura a ogni intervallo di tempo (t)

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Prove di funzionalità respiratoria

Manuale Merck

6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

64. PROVE DI FUNZIONALITÀ RESPIRATORIA

Sommario:

Introduzione
Fisiologia
Volumi e capacità polmonari statici
Volumi e flussi polmonari dinamici
Curva flusso-volume
Meccanica polmonare
Capacità di diffusione
Indagini diagnostiche sulle piccole vie aeree
Monitoraggio della respirazione durante il sonno
Prescrizione delle prove di funzionalità respiratoria
Emogasanalisi arteriosa
Scintigrafia ventilatoria perfusionale con valutazione funzionale
differenziale dei due polmoni
Determinazione della pressione transdiaframmatica
Test da sforzo

Le prove di funzionalità respiratoria comprendono la semplice spirometria come


anche sofisticate indagini fisiologiche. Le abbreviazioni in uso per la funzionalità
respiratoria sono spiegate nella Tab. 64-1.

Fisiologia

Normalmente il volume e il modello della ventilazione sono impostati da impulsi


nervosi provenienti dal centro respiratorio del tronco encefalico. Questi impulsi
efferenti sono influenzati da stimoli afferenti provenienti dai chemocettori carotidei
(PaO2) e centrali (PaCO2, [H+]); dai recettori propriocettivi dei muscoli, dei tendini
e delle articolazioni e da impulsi derivanti dalla corteccia cerebrale. Gli impulsi
nervosi partono dal centro respiratorio e, attraverso il midollo spinale e i nervi
periferici, arrivano ai muscoli intercostali e al diaframma. Il normale scambio dei
gas avviene se l'aria inspirata viene trasferita, attraverso vie aeree sane e pervie,
ad alveoli pervi e adeguatamente perfusi. Normalmente la ventilazione (a) e la
perfusione() alveolari sono ben accoppiate e proporzionali al ritmo metabolico e
le tensioni dei gas nel sangue arterioso sono mantenute entro un ambito molto
ristretto (v. anche Emogasanalisi arteriosa, oltre).

Volumi e capacità polmonari statici

La capacità vitale forzata (Forced Vital Capacity, FVC), simile alla VC, è il
volume d'aria espirato con la massima forza possibile. Di solito viene misurata
insieme ai flussi espiratori durante la spirometria semplice (v. Volumi e flussi
polmonari dinamici, oltre). La VC può essere notevolmente maggiore della FVC
in pazienti con ostruzione delle vie aeree. Durante la misura della FVC, le vie
aeree terminali possono chiudersi prematuramente (cioè prima che sia raggiunto

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Prove di funzionalità respiratoria

il vero volume residuo), intrappolando il gas distalmente e impedendone la


misura spirometrica.

La capacità polmonare totale (Total Lung Capacity, TLC) è il volume totale di


aria nel polmone dopo una massima inspirazione.

La capacità funzionale residua (Functional Residual Capacity, FRC) è il volume


di aria nei polmoni alla fine di una normale espirazione quando tutti i muscoli
respiratori sono rilasciati. Fisiologicamente rappresenta il più importante volume
polmonare, perché si approssima al livello della normale respirazione a volume
corrente. Le forze del ritorno elastico della parete toracica, dirette verso l'esterno,
tendono a incrementare il volume polmonare, ma sono bilanciate dalle forze del
ritorno elastico dei polmoni, dirette verso l'interno, che tendono a ridurlo. Tali
forze sono normalmente uguali e contrarie a un volume polmonare pari a circa
il 40% della TLC. La perdita del ritorno elastico del polmone nell'enfisema
aumenta la FRC. Viceversa, un'aumentata rigidità dei polmoni, quale si realizza
nell'edema polmonare, nella fibrosi interstiziale e in altri processi restrittivi
polmonari, determina una riduzione della FRC. La cifoscoliosi porta a una
riduzione della FRC e di altri volumi polmonari, poiché una gabbia toracica rigida
e con scarsa compliance limita l'espansione polmonare. La capacità
inspiratoria è la differenza tra la TLC e la FRC.

La FRC ha due componenti: il volume residuo (Residual Volume, RV), cioè il


volume di aria che rimane nei polmoni alla fine di un'espirazione massima, e il
volume di riserva espiratoria (Expiratory Reserve Volume, ERV); ERV = FRC-
RV. Normalmente il RV è uguale a circa il 25% della TLC (v. Fig. 64-1). Esso si
modifica parallelamente alla FRC, con due eccezioni: nelle patologie polmonari
restrittive e in quelle delle gabbia toracica, il RV si riduce meno della FRC e della
TLC (v. Fig. 64-2) e nelle patologie delle piccole vie aeree, la chiusura precoce
durante l'espirazione porta a intrappolamento di aria, cosicché il RV è aumentato
mentre la FRC e il FEV1 rimangono quasi normali. Nella COPD e nell'asma, il RV
aumenta più di quanto non faccia la TLC, producendo una certa diminuzione
della VC (v. Fig. 64-3). L'anomalia caratteristica dell'obesità è un ridotto ERV, a
causa di una marcata riduzione della FRC con un RV relativamente ben
conservato.

Volumi e flussi polmonari dinamici

I volumi polmonari dinamici riflettono il diametro e l'integrità delle vie aeree. Lo


spirometria (v. Fig. 64-1) registra il volume polmonare in funzione del tempo
durante una manovra di espirazione forzata (FVC). Il volume espiratorio forzato
in 1 s (Forced Expiratory Volume, FEV1) è il volume di aria espirata con forza
durante il primo secondo dopo un respiro a pieni polmoni e normalmente
rappresenta > 75% della FVC. Questo valore viene spesso espresso sia come
valore assoluto sia come percentuale della FVC (FEV1%FVC). Il flusso
espiratorio massimo medio durante la metà centrale della FVC (Forced
Expiratory Flow, FEF25-75%) è rappresentato dalla pendenza della linea che
interseca il tracciato spirografico al 25% e al 75% della FVC. Poiché il FEF25-75%,
è meno dipendente dallo sforzo rispetto al FEV1, esso costituisce un indice più
sensibile di iniziale ostruzione delle vie aeree.

La riduzione dei flussi espiratori è aumentata dal broncospasmo (nell'asma),


dalla ritenzione di secrezioni (nella bronchite) e dalla perdita del ritorno elastico
del polmone (nell'enfisema). Nell'ostruzione fissa delle alte vie respiratorie, il
flusso è limitato dal calibro del segmento ristretto piuttosto che dalla
compressione dinamica, provocando una pari riduzione della velocità dei flussi
inspiratori ed espiratori (v. Fig. 64-4D).

Nelle patologie restrittive polmonari, l'aumento del ritorno elastico dei tessuti
tende a preservare il calibro delle principali vie aeree in modo che, a parità di
volume polmonare, i flussi espiratori risultano spesso più elevati del normale. (Le
prove di funzionalità delle piccole vie aeree, tuttavia, possono risultare alterate.)

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Prove di funzionalità respiratoria

La ripetizione delle prove di funzionalità polmonare dopo l'inalazione di un


aerosol broncodilatatore (p. es., salbutamolo, ipratropio) dà informazioni sulla
reversibilità del processo ostruttivo (cioè sulla componente asmatica). Il
miglioramento della FVC o del FEV1(l) > 15-20% è di regola considerato una
risposta positiva. Nei pazienti con ostruzione delle vie aeree, la mancata risposta
dopo una singola dose di broncodilatatore, tuttavia, non esclude una risposta
positiva a una terapia di mantenimento. Nei test di broncoprovocazione, una
significativa riduzione dei flussi espiratori dopo inalazione di metacolina (un
agonista colinergico) può essere indice di asma.

La ventilazione volontaria massima (Maximal Voluntary Ventilation, MVV) si


misura inducendo il paziente a respirare con la massima profondità e frequenza
possibili per 12 s; il volume di aria espirata viene espressa in l/min. La MVV di
regola si comporta in modo parallelo al FEV1 e può essere usata come test
interno di concordanza e per valutare la cooperazione del paziente. La MVV
predetta può essere ricavata dallo spirogramma moltiplicando il FEV1(l) o 40.

Quando la MVV è sproporzionatamente bassa in un paziente apparentemente


cooperante, si deve sospettare una debolezza neuromuscolare. A eccezione dei
casi di patologia neuromuscolare avanzata, la maggior parte dei pazienti è in
grado di produrre sforzi respiratori singoli pressoché normali (p. es., la FVC). Dal
momento che la MVV è molto più impegnativa, essa può documentare la ridotta
riserva dei muscoli respiratori indeboliti. La MVV diminuisce progressivamente
con l'aumentare della debolezza dei muscoli respiratori e, insieme alle pressioni
massime inspiratoria ed espiratoria (v. oltre), può rappresentare la sola
alterazione funzionale respiratoria dimostrabile in pazienti con patologia
neuromuscolare moderatamente grave.

La MVV è un importante parametro preoperatorio in quanto riflette, oltre alla


gravità dell'ostruzione delle vie aeree, la riserva respiratoria, la forza muscolare e
la motivazione del paziente.

Curva flusso-volume

La curva flusso-volume è generata dalla registrazione continua del flusso e del


volume con uno spirometro elettronico durante una manovra di inspirazione ed
espirazione forzate con misura della VC. La forma della curva riflette lo stato dei
volumi polmonari e delle vie aeree durante il ciclo respiratorio. Modificazioni
caratteristiche si vedono nelle affezioni restrittive e in quelle ostruttive. Tale
relazione grafica è particolarmente utile per evidenziare alterazioni laringee e
tracheali. Essa può permettere di distinguere tra ostruzione fissa (p. es., da
stenosi tracheale) e dinamica (p. es., da tracheomalacia, paralisi delle corde
vocali) delle vie aeree superiori. La Fig. 64-4 illustra alcune alterazioni
caratteristiche della curva flusso-volume.

Meccanica polmonare

La resistenza delle vie aeree (Raw) può essere direttamente misurata con un
pletismografo corporeo che determina la pressione richiesta per produrre un dato
flusso. Più comunemente, tuttavia, la Raw si ricava dai volumi polmonari dinamici
e dalla velocità dei flussi espiratori, rilevabili più facilmente.

La pressione massima inspiratoria (Maximal Inspiratory Pressure, MIP) e la


pressione massima espiratoria (Maximal Expiratory Pressure, MEP) misurano
la forza dei muscoli respiratori quando il paziente forzatamente inspira ed espira,
rispettivamente, attraverso un boccaglio occluso collegato con un misuratore di
pressione. Come la MVV (v. sopra), le pressioni massime si riducono nelle
affezioni neuromuscolari (p. es., miastenia gravis, distrofia muscolare, sindrome
di Guillain-Barré). Queste pressioni, insieme alla VC, si misurano spesso al letto

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Prove di funzionalità respiratoria

del paziente intubato per prevedere il successo dello svezzamento dal supporto
ventilatorio.

Capacità di diffusione

La capacità di diffusione per il monossido di carbonio (DLCO) può essere


misurata durante un singolo respiro (DLCOSB). Il paziente inspira una piccola
concentrazione nota di monossido di carbonio (CO), trattiene il respiro per 10 s e
poi espira. Un campione di gas alveolare (cioè di fine espirazione) viene
analizzato per il CO e se ne calcola la quantità assorbita durante il respiro,
esprimendola come ml/min/mm Hg.

Una DLCO bassa riflette, forse, gli alterati rapporti ventilazione/perfusione (/) dei
polmoni malati, piuttosto che un ispessimento fisico della membrana
alveolocapillare. Comunque, questo test si basa sull'avidità dell'Hb per il CO e
pertanto è influenzato dal volume di sangue e dalla quantità di Hb desaturata che
i polmoni contengono al momento del test. La DLCO è bassa nei processi che
distruggono le membrane alveolocapillari (p. es., l'enfisema e i processi
infiammatori interstiziali o fibrotici) e nell'anemia grave, in cui vi è meno Hb
disponibile a legare il CO inalato. La DLCO risulta bassa per artefatto se l'Hb del
paziente è già occupata dal CO, p. es., se questi ha fumato durante le ore
precedenti il test.

La DLCO aumenta con la policitemia e con l'aumento del flusso sanguigno


polmonare, come può verificarsi nelle fasi precoci dello scompenso cardiaco.

Indagini diagnostiche
sulle piccole vie aeree

Nel polmone normale, i bronchi di diametro 2 mm costituiscono < 10% delle


resistenze totali delle vie aeree, anche se la loro superficie complessiva è ampia.
Le affezioni che interessano principalmente le vie aeree piccole (periferiche)
possono essere anche molto estese, senza influire sulle Raw né sui test che da
esse dipendono (p. es., il FEV1). Ciò è vero per le malattie polmonari ostruttive in
fase precoce e per le affezioni interstiziali granulomatose, fibrotiche o
infiammatorie.

Lo stato delle vie aeree di piccolo calibro si riflette nel FEF25-75% e nei flussi
espiratori nell'ultimo 25-50% della FVC, come viene meglio evidenziato dalla
curva flusso-volume (v. Fig. 64-4A). Sono stati ideati test di funzione delle piccole
vie aeree più elaborati, come le variazioni della compliance polmonare dipendenti
dalla frequenza (compliance dinamica), il volume di chiusura e la capacità di
chiusura. In generale, questi test aggiungono poco a quelli più facilmente
disponibili e trovano poche applicazioni nel laboratorio clinico.

Monitoraggio della respirazione


durante il sonno

Le apnee centrali e ostruttive durante il sonno possono essere distinte


monitorando il respiro nel sonno (v. anche Sindrome da apnea nel sonno nel
Cap. 173). Un ossimetro sull'orecchio o sul dito monitora la saturazione in O2. Un
catetere posto in una narice misura la PCO2 di fine espirazione (PetCO2) e
monitorizza il flusso aereo. Il movimento della gabbia toracica è monitorato con
sensori di trazione o con elettrodi a impedenza. Nell'apnea ostruttiva durante il
sonno, il flusso d'aria attraverso il naso cessa nonostante il persistere delle

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Prove di funzionalità respiratoria

escursioni della gabbia toracica, la saturazione in O2 cade bruscamente e la


PetCO2 aumenta. Nell'apnea centrale, il movimento della gabbia toracica e il
flusso d'aria cessano contemporaneamente.

Prescrizione delle prove di funzionalità respiratoria

Come screening generale preoperatorio, la determinazione della FVC, del FEV1,


del FEV1%FVC e della MVV solitamente sono sufficienti. I test devono essere
eseguiti prima degli interventi chirurgici toracici o addominali in fumatori con
> 40 anni e nei pazienti con sintomi respiratori. Una curva flusso-volume deve
essere richiesta nei pazienti con sospette patologie laringee o tracheali. Se si
sospetta un deficit funzionale dei muscoli respiratori, la MVV, la MIP, la MEP e la
VC rappresentano le prove più appropriate.

Delle prove di funzionalità respiratoria complete dovrebbero essere richieste


quando il quadro clinico non concorda con i dati ottenuti dalla semplice
spirometria o quando si desideri una più completa valutazione di una patologia
polmonare anomala. Una serie completa di prove comprende la determinazione
dei volumi polmonari statici e dinamici, la DLCO, la curva flusso-volume, la MVV,
la MIP e la MEP. Comunque, l'esecuzione sistematica di tutte queste prove è
faticosa, lunga, costosa e non indispensabile per un'adeguata valutazione clinica
della maggior parte dei pazienti. Misurazioni periodiche della VC e della DLCO
bastano di solito a seguire nel tempo i pazienti con patologie polmonari
interstiziali.

Le Tab. 64-2 e 64-3 hanno lo scopo di fornire direttive generali per


l'interpretazione delle prove di funzionalità polmonare.

Emogasanalisi arteriosa

La PaO2 e la PaCO2 riflettono l'adeguatezza e l'efficienza degli scambi gassosi fra


i polmoni e il sangue venoso. La PaCO2 di norma si mantiene nello stretto
intervallo compreso tra 35 e 45 mm Hg. Un aumento di produzione della CO2
(co2) comporta normalmente un incremento appropriato dello stimolo ventilatorio
e della ventilazione alveolare (a), prevenendo ogni incremento della PaCO2. La a
e la PaCO2 sono inversamente proporzionali ad ogni dato livello di co2 (cioè,
a o PaCO2 = k o co2).

La PaO2 è considerevolmente più bassa della Po2 inspirata (PiO2) e poco più
bassa della PaO2. La Fig. 64-5 mostra le modificazioni della Po2 mentre il gas
inspirato viene trasportato agli alveoli. La Po2 del gas inalato viene calcolata dalla
percentuale della frazione di O2 inspirato (FiO2) moltiplicata per la pressione
barometrica (Pb). Per l'aria a livello del mare,
PiO2 = 0,21 o 760 mm Hg @ 160 mm Hg. Non appena entra nelle vie aeree
superiori, il gas inspirato viene saturato dal vapore acqueo. Al livello del mare e,
a normale temperatura corporea, (37°C ), l'acqua esercita una pressione parziale
di 47 mm Hg. Dopo saturazione con vapore acqueo, la Po2 è lievemente diluita.
Po2 = 0,21(760-47)@149mm Hg. Ai fini pratici, la Po2 del gas inalato che entra
negli alveoli può essere approssimata moltiplicando la FiO2 o 7 (p. es., per l'aria
ambiente, 21 o 7 = 147 mm Hg; per l'ossigeno al 40%, 40 o 7 = 280 mm Hg).

Poiché la pressione gassosa totale negli alveoli deve rimanere costante,


maggiore è la quantità di CO2 che entra negli alveoli, minore deve essere la
PaO2. In un paziente che assume una dieta alimentare normale, il quoziente
respiratorio (cioè, il rapporto co2/o2) è pari non a 1 ma a circa 0,8, quindi ogni
mm PaCO2 allontana in effetti 1,25 mm PaO2. (Il quoziente respiratorio è

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Prove di funzionalità respiratoria

influenzato dalla quantità relativa di grassi e di carboidrati contenuti nella dieta,


aumentando fino a quasi 1 con un'alimentazione ricca di carboidrati e scendendo
fino a quasi 0,7 con un'alimentazione ricca di grassi.) A scopo clinico, la PaCO2
può essere assunta come uguale alla PaCO2. Perciò, la PaO2 può essere
calcolata dall'equazione PaO2 = FiO2 (Pb-Ph2o) -1,25 PaCO2 (vedi la Fig. 64-5).

Per l'aria ambiente, con una PaCO2 di 40 mm Hg, la PaO2 = 147-50 = 97 mm Hg.
Il normale valore di a è circa 5 l/min, come lo è anche per la perfusione (). Se a e
fossero perfettamente uguali (cioè / = 1), PaO2 e PaO2 sarebbero uguali. Il
rapporto medio / di un polmone normale è, tuttavia, circa 0,8. Questo livello di
squilibrio / è causa di una PaO2 che è 5-15 mm Hg più bassa della PaO2, come
se il 2% del sangue arterioso polmonare (venoso misto) fosse immesso
direttamente nella circolazione polmonare venosa senza partecipare allo scambio
gassoso (shunt). La differenza tra PaO2 e PaO2 (A-aDO2) riflette direttamente il
grado di disaccoppiamento del e , cioè, la gravità del danno polmonare intrinseco.

La PaO2 per un ventenne sano, che respiri aria in ambiente chiuso, è circa
90 mm Hg. La PaO2 normale all'età di 70 anni è circa 75 mm Hg. Questa
riduzione fisiologica della PaO2 con l'età è il risultato di una diminuzione del
ritorno elastico polmonare (enfisema senile) che porta a una chiusura delle più
piccole vie aeree nel range del volume corrente, con una ulteriore riduzione del
rapporto medio / dei polmoni.

Le cause fisiopatologiche di ipossiemia vengono elencate nella Tab. 64-4. Una


PiO2 più bassa del normale necessariamente porta all'ipossiemia, senza alcuna
alterazione della relazione / e senza un aumento della A-aDO2. Le cabine
passeggeri degli aerei commerciali sono pressurizzate all'equivalente di
un'altitudine di 1500-2400 m, che equivale a respirare O2 al 17% al livello del
mare. L'ipossiemia può essere compensata in qualche misura
dall'iperventilazione, ma abbassamenti della PaO2 fino a 30 mm Hg sono stati
riportati in pazienti con COPD durante voli di linea (v. anche Cap. 283).

L'ipoventilazione può portare da sola all'ipossiemia, anche senza una patologia


polmonare intrinseca. Se la PaCO2 aumenta da 40 a 80 mm Hg, come può
verificarsi in un'overdose di sedativi, la PaO2 deve scendere di 50 mm Hg (cioè,
40 o 1,25), da 90 a 40 mm Hg. Quando l'ipoventilazione viene identificata come
la causa principale dell'ipossiemia (cioè, ipossiemia con una normale A-aDO2),
devono essere prese in considerazione le diagnosi elencate nella Tab. 64-4.

La causa di gran lunga più comune di ipossiemia è l’alterato rapporto / (v. Fig. 64-
6). Nei pazienti con COPD, la perdita delle proprietà elastiche tissutali, il
broncospasmo e le secrezioni vischiose concorrono nel peggiorare il rapporto /
nei polmoni. Le aree con basso rapporto / determinano ipossiemia; le aree con
un alto rapporto portano a una ventilazione sprecata (spazio morto),
aumentando il lavoro respiratorio e contribuendo all’ipercapnia. A meno che le vie
aeree siano totalmente occluse, l’ipossiemia viene rapidamente corretta con
piccoli incrementi della FiO2, in quanto vi è un forte gradiente di diffusione verso
le aree di ipossia alveolare. Tipicamente, una FiO2 tra il 24 e il 28% è sufficiente a
correggere l’ipossiemia dovuta all’alterato rapporto V/Q.

Le aree che sono completamente non ventilate (per collasso o inondamento


completo degli alveoli), ma sono ancora perfuse, determinano uno shunt di
sangue destro-sinistro. Lo shunt comporta un'ipossiemia che è più refrattaria agli
aumenti della FiO2 poiché l'O2 non può raggiungere la superficie di scambio dei
gas. Questi casi richiedono spesso la ventilazione meccanica e la pressione
positiva teleespiratoria (PEEP) per incrementare la FRC e aprire le vie aeree
occluse (v. Cap. 66).

La ridotta diffusione dell'O2 attraverso la membrana alveolocapillare


probabilmente non è la causa principale di ipossiemia a riposo, a eccezione che
ad alta quota.

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Prove di funzionalità respiratoria

Scintigrafia ventilatoria perfusionale con valutazione funzionale


differenziale dei due polmoni

Una scintigrafia polmonare ventilatoria/perfusionale preoperatoria (scintigrafia


funzionale differenziale) è una tecnica non invasiva utile per prevedere la
funzione polmonare dopo pneumonectomia. Questa è soprattutto utile nei
pazienti con cancro del polmone, che spesso hanno una funzione sbilanciata tra i
due polmoni. Un isotopo radioattivo è iniettato (perfusione) o inalato
(ventilazione) come per una normale scintigrafia del torace. Raggiunto l'equilibrio,
viene misurata la percentuale dell'isotopo in ogni polmone, solitamente in
proiezione posteriore con il paziente supino.

Il FEV1 predetto dopo pneumonectomia corrisponde alla percentuale di


radioisotopo captata dal polmone sano moltiplicata per il FEV1 preoperatorio (in
litri). Un valore < 0,8 l (o < 40% del predetto per quel paziente) indica una grave
inabilità polmonare e una probabilità di morbilità e di mortalità perioperatoria
inaccettabilmente alta.

Determinazione della pressione transdiaframmatica

La misurazione della pressione transdiaframmatica permette una valutazione


quantitativa della debolezza diaframmatica. Questa procedura può essere
utilizzata per diagnosticare una paralisi diaframmatica bilaterale. Dei manometri a
palloncino vengono posizionati nella parte distale dell'esofago e nello stomaco,
quindi viene misurata la pressione attraverso il diaframma. Questa manovra
misura indirettamente la tensione diaframmatica durante uno sforzo inspiratorio.
Normalmente, il gradiente attraverso il diaframma a capacità polmonare totale è
> 25 cm di acqua.

La diagnosi di paralisi unilaterale, suggerita da un'elevazione asimmetrica


dell'emidiaframma interessato alla rx, può essere confermata dalla fluoroscopia.
Durante una manovra inspiratoria forzata (manovra di "annusamento" o "sniff
test"), l'emidiaframma sano scende energicamente, aumentando la pressione
intra-addominale e spingendo l'emidiaframma paralizzato in direzione craniale
(movimento paradosso). Tuttavia, la fluoroscopia non è accurata per la diagnosi
di paralisi bilaterale.

Test da sforzo

La ripetizione delle misurazioni funzionali durante o dopo esercizio fisico aiuta a


determinare il ruolo specifico delle patologie cardiache e polmonari nell'eziologia
della dispnea, a valutare la limitazione funzionale e a monitorare l'efficacia di un
programma di riabilitazione. Un paziente con sospetto asma bronchiale, ma con
obiettività e spirometria normali a riposo, può presentare respiro sibilante durante
lo sforzo, soprattutto se inala aria fredda. Una riduzione della VC o del
FEV1 > 15% è considerata patologica, indice di iperreattività delle vie aeree. Una
diminuzione della DLCO o dell'ossigenazione durante esercizio indica anormalità
negli scambi gassosi e possono essere i primi indici funzionali di danno vascolare
o interstiziale del polmone.

Nei pazienti con patologie cardiache, il volume sistolico può non aumentare
proporzionalmente con l'esercizio. Conseguentemente, la frequenza cardiaca
aumenta in maniera sproporzionata al o2, come risultato dell'aumento del
rapporto Vd/Vt (ventilazione dello spazio morto), dell'ipossiemia o
dell'affaticamento dei muscoli respiratori.

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Prove di funzionalità respiratoria

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Disturbi del sonno

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

173. DISTURBI DEL SONNO

SINDROMI DA APNEA NEL SONNO

Gruppo di disordini nei quali il respiro durante il sonno si arresta per ≥ 10 s,


generalmente > 20 volte/h, provocando notevole deossigenazione ematica.

Sommario:

Introduzione
Eziologia e clinica
Diagnosi e terapia

Il russare (respiro parzialmente ostruito durante il sonno) è molto comune e solo


raramente è da riferire all’apnea nel sonno di tipo ostruttivo (sleep apnea). Il
russare è tre volte più comune nelle persone obese; varia dall’essere solo un
disturbo all’essere un indice di apnea ostruttiva nel sonno. Il russare può essere
peggiorato dagli alcolici, da tranquillanti, ipnotici e antistaminici. Coloro che
russano molto devono sottoporsi a un accurato esame del naso, della bocca, del
palato, della gola e del collo.

Eziologia e clinica

L’apnea nel sonno può essere ostruttiva (ostruzione delle vie aeree superiori
malgrado il passaggio dell’aria), centrale (diminuzione dell’attività del centro del
respiro) o mista. La causa più comune è l’ostruzione delle vie aeree. Raramente,
l’apnea nel sonno è dovuta a insufficienza primitiva della midollare del tronco
encefalico dovuta a depressione neurologica della midollare, come avviene nel
caso di poliomielite, tumori della fossa posteriore o insufficienza idiopatica del
controllo centrale (tronco encefalico) del respiro (maledizione di Ondine); in
quest’ultima condizione il paziente non respira in modo adeguato se non quando
è completamente sveglio. L’apnea mista inizia come l’apnea centrale, ma viene
subito seguita da movimenti toracoaddominali e ostruzione delle vie aeree
superiori. Essa recidiva più spesso di quella di tipo centrale, ma meno rispetto
all’apnea ostruttiva. Essa deve essere trattata come un’apnea di tipo ostruttivo.

L’apnea ostruttiva da sonno varia in gravità da lieve a potenzialmente letale. Si


osserva soprattutto nei pazienti moderatamente o gravemente obesi, la maggior
parte dei quali tenta di dormire supino. Gli uomini risultano più spesso colpiti
rispetto alle donne (4% degli uomini e 2% delle donne intorno ai 40-50 anni). Il
restringimento delle vie aeree superiori porta alla loro ostruzione durante il
sonno. Nelle persone affette da obesità grave, la combinazione di ipossia e
ipercapnia può anche indurre un’apnea di tipo centrale. I periodi di apnea durano
almeno 10 s (alcuni per 2 min). Le ripetute ostruzioni respiratorie notturne
possono causare un ciclo continuo di episodi di sonno, tosse ostruttiva e risveglio
con affanno. Ne consegue sonnolenza diurna. Una simile condizione, ma meno
pronunciata, si osserva talvolta in soggetti non obesi ed è presumibilmente
dovuta ad alterazioni dello sviluppo o ad anomalie congenite delle vie aeree
superiori. Le complicanze comprendono anomalie cardiache (p. es., aritmie
sinusali, bradicardia grave, flutter atriale, tachicardia ventricolare, insufficienza
cardiaca), ipertensione arteriosa, eccessiva sonnolenza diurna, cefalea
mattutina, ideazione rallentata. La mortalità da ictus e infarti del miocardio è

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Disturbi del sonno

significativamente più elevata nelle persone affette da apnea ostruttiva da sonno


rispetto alla popolazione generale.

Diagnosi e terapia

La polisonnografia nel corso della notte può confermare la diagnosi di apnea


ostruttiva del sonno e stabilire la gravità e la frequenza della desaturazione
dell’ossiemoglobina. Il periodo e la lunghezza del test devono riflettere quelli del
normale periodo di sonno del paziente.

Siccome il disturbo è cronico e ricorrente, possono essere tentati approcci


terapeutici multipli. Nessun trattamento può essere considerato una panacea.

Per l’apnea da sonno correlata all’obesità, la riduzione ponderale riduce gli


episodi ostruttivi, normalizza i gas ematici e riduce la sonnolenza diurna. Potrà
essere utilizzata la pressione positiva continua nelle vie aeree (Continuous
Positive Airway Pressure, CPAP) durante il calo ponderale.

Per il trattamento dell’apnea ostruttiva da sonno, la CPAP può essere introdotta


come rimedio iniziale, per la rapidità e facilità della sua applicazione. La
pressione deve essere regolata per eliminare le apnee ostruttive, in ogni
posizione e stadio del sonno. I pazienti affetti da apnea grave e ipoventilazione
possono essere in pericolo per la ritenzione di CO2 e l’ipossia grave, che
compare talvolta quando la CPAP è inizialmente applicata. La CPAP deve essere
applicata e controllata da personale tecnico addestrato in CPR. La CPAP può
provocare ritmi ectopici nei pazienti con aritmie cardiache. Alcuni pazienti, come
quelli affetti da patologia ostruttiva polmonare cronica o ipoventilazione, possono
necessitare anche di due livelli di pressione delle vie aeree (pressione
intermittente positiva delle vie aeree o una più bassa pressione espiratoria
positiva delle vie aeree).

La CPAP deve essere adoperata durante la polisonnografia, specialmente nei


pazienti molto malati, affetti da patologia polmonare. Può inoltre essere
necessario ossigeno supplementare; se lo fosse, devono essere controllati i gas
arteriosi del sangue.

I benefici della CPAP sono evidenti in 1 o 2 notti. La CPAP generalmente deve


essere applicata per 1-3 settimane, per valutare la tolleranza del paziente. Per
una prova iniziale, l’unità CPAP può essere noleggiata a costo relativamente
contenuto. L’adattamento può essere migliorato trattando la scomodità,
l’inadeguata misura della maschera, l’irritazione del volto e la secchezza del
nasofaringe nelle prime 2 settimane. L’adattamento a lungo termine rappresenta
il problema maggiore del CPAP nasale. Circa il 70% dei pazienti utilizza il CPAP
per più di 2 anni. I pazienti con claustrofobia non sono inclini a usare la CPAP ma
possono imparare a tollerarla con la pratica.

Apparecchi dentali indossati durante il sonno possono essere di beneficio per le


persone affette da apnea ostruttiva da sonno. Alcuni sono progettati per
mantenere elevato il palato molle; altri mantengono protrusa la lingua. Altri
ancora separano la mandibola e la mascella, posizionando anteriormente la
mandibola in modo che la lingua non possa spostarsi indietro e ostruire la
faringe. Le applicazioni sono in genere ben tollerate e possono ovviare alla
necessità di un trattamento chirurgico. L’efficacia, la scomodità e altre possibili
complicanze e l’adattamento a lungo termine dovranno essere frequentemente
valutati.

Il trattamento chirurgico è raramente necessario. Alcuni pazienti (p. es., coloro i


quali presentano insufficienza cardiaca grave o grave patologia polmonare, che
non sono in grado di tollerare la CPAP e per i quali le altre misure hanno fallito),
richiedono la tracheostomia. Si è tentata l’uvulo-palato-faringo-plastica per
allargare lo spazio d’aria della faringe, ma si è ottenuto un miglioramento della
sintomatologia solo in circa la metà dei casi operati. In genere, il miglioramento
della ostruzione favorisce la risoluzione dell’ipertensione polmonare e sistemica

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Disturbi del sonno

(che sono solitamente associate), delle aritmie cardiache e delle difficoltà


cognitive.

Per il russare può essere utile evitare le bevande alcoliche, i tranquillanti, le


pillole per dormire e gli antiistaminici; i pazienti noteranno un miglioramento
dormendo proni o su un solo lato e sollevando in alto la testiera del letto. Speciali
pillole anti-russamento non risultano più efficaci delle normali pillole o
dell’elevazione della testa a letto. I vari dispositivi pubblicizzati per ridurre il
russamento funzionano in genere nei casi lievi, non migliorando l’apnea da
sonno. Devono essere trattate le infezioni nasali e le allergie. Per i forti russatori,
la correzione chirurgica di condizioni nel naso, faringe o ugola (p. es., mediante
ugulopalatoplastica laser-assistita) può rappresentare l’unica soluzione.

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Malattie del sistema nervoso

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

165. Approccio al paziente neurologico

Anamnesi

Esame neurologico

Procedure diagnostiche in neurologia

166. Neurotrasmissione

167. Dolore

Dolore acuto postoperatorio

Dolore neoplastico

Dolore neuropatico

Sindromi dolorose psicogene

168. Cefalea

Emicrania

Cefalea a grappolo

Cefalea muscolotensiva

169. Funzioni dei lobi cerebrali e patologie correlate

Afasia

Aprassia

Agnosia

Amnesie

Encefalopatia di Wernicke

Sindrome di Korsakoff

Amnesia globale transitoria

Amnesia fattizia (psicogena)

170. Stupor e coma

171. Delirium e demenza

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Malattie del sistema nervoso

172. Malattie caratterizzate da crisi epilettiche

173. Disturbi del sonno

Insonnia

Ipersonnia

Narcolessia

Sindromi da apnea nel sonno

Parasonnie

174. Malattie cerebrovascolari

Sindromi ischemiche

Attacchi ischemici transitori

Ictus ischemico

Sindromi emorragiche

Emorragia intracerebrale

Emorragia subaracnoidea

Malformazioni artero-venose

175. Traumi del cranio

176. Infezioni del SNC

Meningiti batteriche acute

Encefaliti virali acute e meningiti asettiche

Meningite subacuta e cronica

Ascesso cerebrale

Empiema subdurale

Infezioni da elminti

177. Neoplasie del SNC

Neoplasie intracraniche

Ipertensione endocranica benigna

Neoplasie del midollo spinale

Sindromi paraneoplastiche del SNC

Danni da radiazioni sul sistema nervoso

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Malattie del sistema nervoso

178. Malattie neuro-oftalmologiche e dei nervi cranici

Malattie neuro-oftalmologiche

Sindrome di Horner

Oftalmoplegia internucleare

Paralisi dello sguardo

Malattie dei nervi cranici

Paralisi del terzo nervo cranico

Paralisi del quarto nervo cranico

Paralisi del sesto nervo cranico

Nevralgia del trigemino

Malattie del nervo facciale

Paralisi di Bell

Nevralgia del glossofaringeo

179. Disturbi del movimento

Tremore

Discinesie

Mioclono

Tic

Sindrome di Tourette

Corea e atetosi

Morbo di Huntington

Distonia

Disturbi del movimento indotti da farmaci

Morbo di Parkinson

Paralisi progressiva sopranucleare

Disturbi cerebellari e spino-cerebellari

Ipotensione ortostatica idiopatica e sindrome di Shy-Drager

180. Malattie demielinizzanti

Sclerosi multipla

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Malattie del sistema nervoso

181. Anomalie della giunzione craniocervicale

182. Malattie del midollo spinale

Compressioni midollari

Ascesso ed ematoma subdurale o epidurale

Siringomielia

Malattie vascolari

Paraparesi spastica ereditaria

Mielite acuta trasversa

Lesioni del midollo spinale

183. Malattie del sistema nervoso periferico

Malattie del motoneurone superiore e inferiore

Atrofie muscolari spinali

Malattie delle radici

Ernia del nucleo polposo

Spondilosi cervicale

Patologie dei plessi

Sindromi da compressione dell’egresso toracico

Neuropatie periferiche

Sindrome di Guillain-Barré

Neuropatie ereditarie

Neurofibromatosi

La sindrome di Proteo

Disturbi della trasmissione neuromuscolare

Myasthenia gravis

184. Patologie muscolari

Distrofie muscolari

Miopatie

Patologie dei canali ionici

Disturbi miotonici

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Malattie del sistema nervoso

Paralisi periodica familiare

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Approccio al paziente neurologico

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

165. APPROCCIO AL PAZIENTE NEUROLOGICO

Il mal di testa, l’insonnia, le vertigini, il mal di schiena, la debolezza, la facile


affaticabilità sono di frequente riscontro nella pratica medica. È necessario
pertanto distinguere i sintomi potenzialmente gravi da quelli di scarso rilievo.
Alcuni problemi neurologici necessitano di provvedimenti urgenti, ancor prima
che si possa consultare il neurologo. Indipendentemente dalla complessità del
caso, l’applicazione dei seguenti principi potrà essere utile durante l’esame
neurologico: si dovrà definire la localizzazione anatomica della lesione (per
circoscrivere le possibilità diagnostiche); determinarne la fisiopatologia.
L’esaminatore, deve essere preparato ad adottare i trattamenti d’urgenza per le
emergenze neurologiche.

Le manifestazioni correlate a patologie specifiche saranno analizzate in altri


capitoli di questa sezione. La valutazione del paziente con disturbo dello stato di
coscienza è riportata nel Cap. 170.

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Approccio al paziente neurologico

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

165. APPROCCIO AL PAZIENTE NEUROLOGICO

ANAMNESI

Durante la valutazione del paziente neurologico, la raccolta dell’anamnesi


rappresenta spesso il momento che fornisce la maggior quantità di informazioni.
La modalità di svolgimento delle attività quotidiane fornisce spesso molte
indicazioni sulle funzioni neurologiche del paziente nonché circa la loro
compromissione; si dovranno accertare i deficit non riconosciuti dal paziente,
distinguendo le sue percezioni da quelle che le persone intorno a lui (familiari o
personale medico), ritengono importanti.

Per prima cosa, l’esaminatore tenta di stabilire se il sistema nervoso sia colpito
da una reale patologia. Un paziente spaventato o compromesso dal punto di
vista psichiatrico potrà accusare sintomi neurologici. Tali sintomi non devono
essere subito considerati funzionali (p. es., isterici o non fisiologici), in quanto
molti pazienti presentano veramente deficit neurologici.

Se è stata diagnosticata una malattia del sistema nervoso, il passo successivo


consiste nel definire se il difetto è localizzato a livello muscolare, nervoso, del
midollo spinale o dell’encefalo. Andranno rivisitati i vari apparati del corpo, in
quanto le disfunzioni neurologiche sono frequenti nelle malattie sistemiche
(p. es., alcolismo, cancro, malattie vascolari, malattie autoimmuni). L’anamnesi
familiare aiuta a individuare malattie degenerative e metaboliche familiari.
Un’anamnesi sulle abitudini sociali e sui viaggi effettuati fornisce informazioni su
eventuali esposizioni a sostanze tossiche ambientali, al HIV o ad altri agenti
infettivi.

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Approccio al paziente neurologico

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

165. APPROCCIO AL PAZIENTE NEUROLOGICO

ESAME NEUROLOGICO

L’esame neurologico inizia con un’attenta osservazione del paziente durante la


raccolta dell’anamnesi. Sono valutate la velocità, la simmetria e la coordinazione
richieste per il semplice atto dell’alzarsi dalla sedia e salire sul lettino, insieme
alla postura e all’andatura. Il comportamento, l’abbigliamento e le reazioni del
paziente forniscono notizie sulla sua personalità e sull’adattamento sociale. La
necessità del paziente di affidarsi ad altri per rispondere alla domande può
indicare un deficit mnestico. Gli errori nel linguaggio, nel discorso, nella prassia, il
disorientamento, le posture inusuali e altri disturbi del movimento possono essere
evidenti ancor prima dell’inizio dell’esame clinico.

Guidato dall’iniziale definizione della sede anatomica e dalla fisiopatologia della


lesione, l’esaminatore amplierà alcuni aspetti della valutazione, non
considerandone altri. Per un osservatore meno esperto, l’esame neurologico
completo può essere d’aiuto nell’identificazione di un’anomalia insospettata o per
confermare uno status normale.

Esame dello stato mentale (v. anche Cap. 185): la capacità di attenzione del
paziente dovrà essere la prima a essere valutata; un paziente con disturbi
dell’attenzione non potrà essere valutato accuratamente. Ogni segno di declino
cognitivo comporta la somministrazione dell’esame completo del Mini-Mental
status (v. Fig. 165-1), che valuta vari aspetti della funzione cognitiva. Questi
includono l’orientamento nel tempo, nello spazio e circa le persone; la memoria;
le capacità verbali e quelle di calcolo, di critica e ragionamento. La perdita
completa dell’orientamento compare solo in soggetti gravemente obnubilati,
deliranti o dementi; come sintomo isolato, è indicativa di simulazione. Vengono
inoltre valutati la coscienza di malattia e il livello culturale, anche se alcune
risposte possono essere influenzate dal grado di istruzione. Vengono analizzati
l’affettività e l’umore (v. Cap. 189).

Normalmente, una persona deve essere in grado di eseguire un comando


complesso coinvolgente tre parti del corpo e saper distinguere la destra dalla
sinistra (p. es., "Metti il dito pollice destro sull’orecchio sinistro e tira fuori la
lingua"). È necessario valutare anche la capacità di dire, leggere e scrivere i nomi
di oggetti d’uso comune o di parti del corpo; se tale funzione è compromessa,
sarà necessario eseguire altri test, per la valutazione dell’afasia (v. Cap. 169). La
percezione spaziale può essere esaminata chiedendo al paziente di imitare
costruzioni semplici o complesse fatte con le dita e di disegnare un orologio, un
cubo o dei pentagoni che si intersecano (v. Fig. 165-1). La valutazione dello
sforzo richiesto durante l’esecuzione di tali esami è una fonte di informazioni
altrettanto importanti di quelle date dal risultato finale, potendo evidenziare
impersistenza, perseverazione, micrografia ed emi-inattenzione spaziale. La
prassia si valuta chiedendo al paziente di mostrare come si usa uno spazzolino
da denti, un pettine o un cerino dopo averlo tirato fuori dalla scatola.

Esame dei nervi cranici: l’ampiezza e la completezza dell’esame dei nervi


cranici dipendono dalla sede della lesione sospettata. L’olfatto (1o nervo cranico
[olfattorio]) generalmente non viene esaminato nei pazienti che presentano
malattie muscolari, ma dovrà essere sempre valutato in caso di sospette lesioni
della fossa cranica anteriore o dopo un trauma cranico. Si chiede al paziente di
identificare odori (sapone, caffè, chiodi di garofano, aglio) applicandoli
separatamente a ciascuna narice. L’alcol, l’ammoniaca e altre sostanze irritanti
servono per stimolare i recettori nocicettivi del 5o nervo (trigemino) e non

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Approccio al paziente neurologico

vengono quindi adoperati, tranne che per scoprire eventuali simulazioni.

Il 2o (ottico), il 3o (oculomotore), il 4o (trocleare) e il 6o (abducente) vengono


valutati come parti dell’apparato della vista (v. Cap. 101 e 178). Sono esaminati
l’acuità visiva (corretta in caso di difetti di rifrazione), il campo visivo e il fundus. È
necessario controllare inoltre la forma, la grandezza delle pupille, la loro reattività
alla luce e all’accomodazione, nonché la motilità dei globi oculari. Per valutare le
tre branche sensitive del 5o nervo (trigemino) (oftalmica, mascellare e
mandibolare), l’esaminatore adopera una puntina per controllare la sensibilità del
volto e sfiora con un batuffolo di cotone la porzione inferiore della cornea per
analizzarne il riflesso. Se la sensibilità cutanea del volto è compromessa, si dovrà
esaminare l’angolo mandibolare. Quest’area, innervata dalla radice spinale C 2,
sarà risparmiata qualora il problema consista in un deficit trigeminale isolato. Un
riflesso dell’ammiccamento indebolito (p. es., da paralisi del 7o nervo cranico)
dovrà essere distinto dal deficit del riflesso corneale. Spesso i portatori di lenti a
contatto hanno riflessi corneali ridotti o assenti. L’iposensibilità sopranucleare
della cornea (associata a ipoalgesia del corpo e del volto) deve essere distinta
dalle lesioni periferiche. La funzione motoria del trigemino viene esaminata
palpando i masseteri a denti serrati e invitando il paziente ad aprire la mandibola
contro resistenza. La mandibola devia verso il lato del muscolo pterigoideo
indebolito.

Il 7o nervo cranico (facciale) (v. anche malattie del nervo facciale nel Cap. 178)
viene valutato cercando l’eventuale deficit di forza di un emivolto. L’asimmetria
dei movimenti facciali è spesso più evidente durante la conversazione
spontanea, specialmente quando il paziente sorride o, nel caso di un’alterazione
dello stato di coscienza, mediante le smorfie provocate in seguito a stimoli
dolorosi. L’esaminatore ricerca l’eventuale spianamento del solco naso-labiale e
l’allargamento della rima palpebrale dal lato della lesione. Se sono conservate le
capacità di corrugare la fronte e di chiudere gli occhi, la causa del deficit di forza
inferiore del volto è probabilmente di tipo centrale piuttosto che periferica. Si può
esaminare la capacità gustativa dei 2/3 anteriori della lingua applicando su
entrambi i lati di essa, una per volta, sostanze dolci, amare, salate o piccanti.
L’iperacusia può essere individuata applicando vicino all’orecchio un diapason.

L’ottavo nervo cranico (vestibolococleare, acustico) conduce gli stimoli uditivi e


vestibolari e viene valutato mediante l’esame dell’udito e dell’equilibrio (v.
Cap. 82 e Neurinoma dell’acustico nel Cap. 85).

I nervi 9o (glossofaringeo) e 10o (vago) sono in genere analizzati


contemporaneamente. Il palato molle deve elevarsi simmetricamente, il riflesso
faringeo si stimola toccando entrambi i lati della faringe posteriore con un
abbassalingua. Tuttavia, l’assenza bilaterale del riflesso faringeo è frequente e
può non essere significativa. In un paziente in stato di incoscienza o intubato, si
provoca la tosse aspirando dal tubo endotracheale. Le corde vocali si esaminano
nel caso si rilevi un abbassamento di voce. Raucedine isolata (con normale
elevazione del palato e del velo palatino) deve indurre a ricercare eventuali
lesioni compressive sul nervo laringeo ricorrente (p. es., linfoma mediastinico,
aneurisma aortico).

L’undicesimo nervo cranico (spinale accessorio) innerva lo


sternocleidomastoideo e il trapezio superiore. La funzione del primo muscolo
viene valutata chiedendo al paziente di ruotare il capo contro la resistenza
imposta dalla mano dell’esaminatore, mentre questi palpa il muscolo attivo
(opposto al lato della rotazione). Il trapezio si valuta alzando le spalle contro la
resistenza applicata dall’esaminatore.

Il 12o nervo cranico (ipoglosso) innerva la lingua, che si ispezionerà per


individuare eventuali atrofia, fascicolazioni o deficit di forza (deviazione dal lato
della lesione).

Il deficit di un nervo cranico richiede la meticolosa valutazione dei nervi adiacenti.


Tale esame può essere urgente, per esempio, quando sia necessario distinguere
un’ischemia del tronco encefalico da un aneurisma in rapida espansione che
causa la paralisi dei nervi cranici.

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Approccio al paziente neurologico

Esame del sistema motorio: gli arti e il cingolo della spalla devono essere
scoperti e quindi ispezionati e palpati per individuare eventuali atrofia, ipertrofia,
fascicolazioni, movimenti involontari (p. es., corea, atetosi, mioclonia, tremore)
nonché asimmetrie di sviluppo. La flessione e l’estensione passive degli arti a
paziente rilassato danno informazioni circa il tono muscolare. La diminuita massa
di un muscolo indica atrofia, ma possono non essere evidenti (fino a che non
raggiungono uno stato avanzato) le atrofie bilaterali o quelle dei muscoli grandi o
profondi. Negli anziani è comune la perdita del trofismo di alcuni muscoli
(sarcopenia). L’ipertrofia insorge quando un muscolo è costretto a lavorare molto
per compensarne uno lesionato; si parlerà di pseudo-ipertrofia quando il tessuto
muscolare è sostituito da eccessivo tessuto fibroso o da materiale di deposito.

Le fascicolazioni rappresentano la più frequente anomalia motoria e consistono


in contrazioni brevi, fini e irregolari, visibili sotto la cute. Indicano in genere una
lesione del secondo motoneurone (degenerazione nervosa o rigenerazione
successiva a una lesione nervosa traumatica), ma talvolta sono presenti
fisiologicamente, soprattutto nelle persone anziane, a livello dei polpacci. La
miotonia consiste nel ridotto rilasciamento di un muscolo dopo contrazione o
dopo una percussione su di esso; si rileva nella distrofia miotonica e può causare
invalidità (p. es., incapacità ad aprire velocemente la mano chiusa). Il
progressivo aumento di resistenza con rilasciamento improvviso (fenomeno
del coltello a serramanico) è presente nelle lesioni del motoneurone superiore.
Alterazioni a livello dei gangli della base producono la rigidità a ruota dentata.

Valutazione della forza muscolare: per i pazienti, il termine debolezza ha vari


significati, come fatica, impaccio o appesantimento. Una lamentata debolezza
muscolare dovrà essere definita più precisamente mediante la descrizione
dell’esatta sede, del momento di comparsa, dei fattori scatenanti o di
miglioramento e dei sintomi e segni associati. Per l’ispezione del deficit di forza,
dei tremori o di altri movimenti involontari, il paziente estende dapprima le braccia
e poi le gambe (un arto indebolito tende ad abbassarsi rapidamente). La forza
degli specifici gruppi muscolari viene esaminata contro resistenza. Il dolore
muscolare o la compromissione di un’articolazione possono impedire la
contrazione attiva. Nella debolezza isterica, la resistenza opposta alla
mobilizzazione può essere normale ed è seguita da cedimento improvviso.

Un lieve deficit di forza può causare una diminuita oscillazione del braccio
durante la marcia, tendenza alla pronazione dell’arto superiore esteso, riduzione
dell’uso spontaneo dello stesso o l’extrarotazione di un arto inferiore. I movimenti
alternati rapidi possono risultare rallentati e i movimenti che richiedono destrezza
(p. es., capacità di chiudere un bottone, aprire una spilla da balia, togliere un
fiammifero dalla scatola) risultare compromessi.

Quando è presente un deficit di forza parziale, è spesso difficile graduare la forza


di contrazione del muscolo. Una scala di valutazione assegna 0 all’assenza di
movimento, 1 a tracce di movimento, 2 a movimenti effettuabili con l’aiuto della
forza di gravità, 3 a movimenti contro gravità ma non contro resistenza, 4 a
movimenti contro resistenza opposta dall’esaminatore e 5 alla forza normale.
L’ampia variazione di forza tra i gradi 4 e 5 rappresenta una limitazione della
validità di queste scale. La forza distale può essere misurata in modo
semiquantitativo mediante un ergometro a manubrio, oppure facendo stringere al
paziente il bracciale gonfiato di uno sfigmomanometro.

Il test funzionale spesso fornisce un miglior quadro dell’invalidità. Quando il


paziente effettua le varie manovre, i deficit vengono il più possibile annotati e
quantificati (p. es., il numero di flessioni sulle cosce o di scalini saliti). L’alzarsi
dalla posizione accovacciata o il salire su di una sedia permettono la valutazione
della forza a livello prossimale degli arti inferiori; camminare sui talloni e sulla
punta dei piedi permette la valutazione della forza distale. Un paziente con deficit
di forza dei quadricipiti è obbligato a spingere sulle braccia per alzarsi dalla
sedia. Un paziente con debolezza del cingolo scapolare per poter muovere le
braccia deve ondeggiare con il corpo. Un paziente con debolezza del cingolo
pelvico si alza dalla posizione supina mettendosi prono, inginocchiandosi e
alzandosi lentamente in posizione eretta usando le mani per aggrapparsi e
arrampicarsi lungo le cosce (segno di Gower).

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Approccio al paziente neurologico

Esame della coordinazione, della postura e dell’andatura (v. anche Disturbi


cerebellari e spino-cerebellari al Cap. 179). La normalità di tali funzioni richiede
l’integrità delle vie motorie, vestibolari e propiocettive. Una lesione in ognuna di
queste vie produce deficit caratteristici. Nell’atassia cerebellare è necessaria
un’andatura a base allargata per il mantenimento della stabilità, un piede cadente
provoca l’andatura steppante (nella quale la gamba viene alzata più in alto del
normale nel tentativo di evitare che inciampi contro irregolarità della superficie); il
deficit di forza della muscolatura pelvica causa l’andatura anserina, mentre la
spasticità di un arto inferiore comporta l’andatura falciante. Un paziente con
sensibilità propiocettiva compromessa deve osservare costantemente i propri
piedi per evitare di inciampare o cadere. La coordinazione può essere valutata
mediante manovre che aiutino a individuare i movimenti atassici, come quella
indice-naso o tallone-ginocchio.

Esame delle sensibilità: l’esame completo delle sensibilità può non essere
necessario, specialmente quando sono assenti sintomi importanti quali dolore,
parestesia o intorpidimento. Per un rapido esame si passa uno spillo sulla faccia,
sul dorso, sul corpo e sui 4 arti; al paziente viene chiesto se sente la stessa
intensità di puntura sui due lati e se la sensazione è di tipo smusso o di tipo
puntorio. La funzione sensoriale corticale viene valutata chiedendo al paziente di
riconoscere una moneta, una chiave o un altro oggetto posto nella mano
(stereognosi), i numeri scritti sul palmo della mano (grafestesia) e di distinguere
se sul palmo e sulle dita si applicano stimoli su due punti o su uno solo. La
sensibilità termica può essere valutata strofinando un diapason freddo con un
rebbio riscaldato oppure mediante fiale contenenti acqua calda o fredda. Il senso
della posizione delle articolazioni si valuta muovendo verso l’alto o verso il basso
le falangi distali delle dita della mano e quindi degli alluci. Se il paziente ha
difficoltà a riconoscere questi movimenti a occhi chiusi si dovranno esaminare le
altre articolazioni più prossimali (p. es., le caviglie qualora il paziente non
percepisca i movimenti dell’alluce). Un importante deficit propiocettivo produce
movimenti pseudoatetosici dell’arto a riposo e l’impossibilità di localizzare a occhi
chiusi un arto nello spazio. Qualora vi sia un’alterazione della percezione
posturale, il paziente non sarà in grado di mantenere la stazione eretta a piedi
uniti e a occhi chiusi (Test di Romberg). Per valutare la percezione delle
vibrazioni, l’esaminatore applica un dito sotto l’articolazione interfalangea distale
del paziente e vi poggia un diapason a 128 cicli colpito delicatamente.
L’esaminatore percepisce la vibrazione attraverso l’articolazione del paziente e
normalmente sentirà la cessazione della vibrazione nello stesso momento del
paziente. La sensibilità tattile epicritica viene valutata mediante un batuffolo di
cotone.Se la sensibilità risulta alterata, si deve stabilire se la distribuzione
anatomica interessa i nervi periferici (a guanto), alcuni particolari nervi
(mononeurite multipla), le radici nervose (radiculopatia), il midollo spinale (un
metamero inferiore a quello dell’ipoestesia), il tronco encefalico (alterazioni
crociate volto-corpo della sensibilità) o dell’encefalo (emianestesia) (v. Fig. 165-2,
165-3 e 165-4). La localizzazione della lesione viene confermata determinando
se la debolezza motoria e le alterazioni dei riflessi seguono una distribuzione
simile. Le lesioni dei plessi brachiale e pelvico (p. es., neoplasie) spesso causano
deficit delle sensibilità, della motilità e dei riflessi a distribuzione irregolare.

Prova dei riflessi: l’elicitazione dei riflessi osteotendinei (da stiramento


muscolare) valuta i nervi afferenti, le connessioni sinaptiche all’interno del midollo
spinale, i nervi motori e le rispettive vie motorie discendenti. Il riflesso bicipitale è
innervato principalmente da C5; quello radiale da C6; il tricipitale da C7; il riflesso
quadricipitale da L4 e l’achilleo da S1. È necessario notare l’eventuale
asimmetria, assenza o riduzione della risposta. La risposta dei riflessi ipoelicitabili
può essere aumentata mediante la manovra di Jendrassik, nella quale si
percuote il tendine nell’arto inferiore mentre il paziente divarica con forza le mani
avvinghiate.

Le lesioni del motoneurone inferiore (p. es., quelle compromettenti le cellule delle
corna anteriori, le radici spinali, i nervi periferici, la placca muscolare o il muscolo)
provocano la diminuzione dei riflessi, mentre quelle del motoneurone superiore
(cioè dei nuclei, eccetto quelli della base, localizzati in ogni parte al di sopra delle
cellule delle corna anteriori) la aumentano (v. Tab. 165-1 e 165-2). Il riflesso
superficiale addominale si evidenzia strofinando leggermente con uno spillo i
quattro quadranti. La maggior parte delle lesioni centrali, l’obesità e la lassità

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Approccio al paziente neurologico

muscolare (p. es., dopo la gravidanza) deprimono questo riflesso. L’assenza di


questo riflesso può indicare la lesione del midollo spinale.Il riflesso plantare
assume aspetti diversi. L’allontanamento volontario veloce da uno stimolo deve
essere distinto dal segno di Babinski (estensione lenta dell’alluce con apertura a
ventaglio delle altre dita del piede, spesso in associazione con la flessione del
ginocchio e dell’anca). Soltanto quest’ultimo è di origine spinale e indica una
lesione del primo motoneurone. Bisogna stimolare la regione laterale della
pianta, dal momento che uno stimolo mediale può evocare inavvertitamente un
riflesso primitivo di prensione.

Il clono è la rapida e ritmica alternanza di contrazione e rilassamento del muscolo


provocata da uno stiramento tendineo improvviso e passivo. La sua presenza è
in genere valutata mediante la rapida dorsiflessione del piede e della caviglia. Un
clono particolarmente evidente suggerisce un danno del motoneurone superiore.
Le patologie interessanti in modo diffuso la corteccia cerebrale si evidenziano
con il riflesso di succhiamento e il riflesso della prensione. I riflessi sfinterici si
elicitano durante l’esame rettale; per indurre la contrazione anale, la regione
perianale va stimolata leggermente.

Esame del sistema nervoso autonomo: l’esaminatore ricerca l’eventuale


presenza di ipotensione posturale, di assenza della bradi-tachicardia dopo la
manovra di Valsalva, la diminuzione o l’assenza della sudorazione e la sindrome
di Horner. Bisogna inoltre prendere nota di eventuali disturbi intestinali, vescicali,
della funzione sessuale e di quell’ipotalamica (ognuna trattata in altre parti del
manuale).

Esame cerebrovascolare: il rischio di accidente cerebrovascolare risulta


aumentato negli anziani o nei pazienti affetti da ipertensione, diabete,
ipercolesterolemia, malattie vascolari periferiche o malattie cardiache. La
pressione arteriosa deve essere misurata in entrambe le braccia per individuare,
come eventuale causa di ictus, la dissecazione indolore dell’aorta. Si devono
ispezionare la cute, le sclere, il fundus oculare, il letto ungueale, la mucosa della
bocca, per evidenziare emorragie, emboli settici o di colesterolo; si ausculta il
cuore per rilevare soffi a insorgenza recente e disritmie. I soffi vascolari percepiti
sul cranio possono indicare una malformazione artero-venosa, una fistola o,
talvolta, un’inversione di flusso nel poligono di Willis secondaria a un’occlusione
carotidea. Si ausculteranno le carotidi per la rilevazione di soffi nella regione della
biforcazione. La palpazione vigorosa va evitata. Spostando lo stetoscopio lungo il
collo verso il cuore è possibile differenziare un soffio vascolare da un soffio
sistolico cardiaco; quest’ultimo durante lo spostamento può presentare
cambiamenti in alcune sue caratteristiche. L’attività del polso carotideo può
fornire ulteriori dati circa la probabilità di lesioni stenotiche. I polsi periferici
devono essere palpati per individuare malattie vascolari periferiche o la
dissecazione aortica. Per escludere l’arterite temporale, si palpano le arterie
temporali, notando eventuali allargamenti o rigonfiamenti.

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Disturbi psichiatrici

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

185. Psichiatria e medicina

Invio psichiatrico

Medicina psicosomatica

Sindrome di Münchausen

186. Disturbi somatoformi

Disturbo di somatizzazione

Disturbo di conversione

Ipocondria

Disturbo algico

Disturbo da dismorfismo corporeo

187. Disturbi d’ansia

Attacchi di panico e disturbo da attacchi di panico

Disturbi fobici

Disturbo ossessivo-compulsivo

Disturbo post-traumatico da stress

Disturbo acuto da stress

Disturbo d’ansia generalizzata

Ansia dovuta a un disturbo fisico o a una sostanza

188. Disturbi dissociativi

Amnesia dissociativa

Fuga dissociativa

Disturbo dissociativo dell’identità

Disturbo di depersonalizzazione

189. Disturbi dell’umore

Depressione

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Disturbi psichiatrici

Disturbo distimico

Disturbi bipolari

Disturbo ciclotimico

190. Comportamento suicida

191. Disturbi di personalità

192. Disturbi psicosessuali

Disfunzioni sessuali

Disturbo da desiderio sessuale ipoattivo

Disturbo da avversione sessuale

Disfunzione sessuale dovuta a un disturbo fisico

Disfunzione sessuale indotta da sostanze

Disturbi dell’orgasmo maschile

Disturbi dell’identità di genere

Transessualismo

Parafilie

Feticismo

Pedofilia

Esibizionismo

Voyeurismo

Masochismo sessuale

Sadismo sessuale

193. Schizofrenia e disturbi correlati

Schizofrenia

Disturbo psicotico breve

Disturbo schizofreniforme

Disturbo schizoaffettivo

Disturbo delirante

194. Emergenze psichiatriche

195. Uso e dipendenza da sostanze

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Disturbi psichiatrici

Alcolismo

Dipendenza da oppiacei

Dipendenza da ansiolitici e ipnotici

Dipendenza da cannabis (marijuana)

Dipendenza da cocaina

Dipendenza da amfetamina

Dipendenza da allucinogeni

Uso di fenciclidina

Dipendenza da solventi volatili

Nitriti volatili

196. Disturbi del comportamento alimentare

Anoressia nervosa

Bulimia nervosa

Disturbo da alimentazione incontrollata

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Psichiatria e medicina

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

185. PSICHIATRIA E MEDICINA

Un approccio alla diagnosi e alla terapia di tipo organo- e malattia-specifico


spesso non ha buon esito, se viene ignorata la persona che ha quegli organi e
quella malattia. Correlare i disturbi e le disabilità riferite dal paziente alla sua
personalità e alle sue condizioni sociali, aiuta a stabilirne la natura e le cause.

Per valutare la personalità del paziente, il medico deve prima di tutto ascoltarlo
con attenzione e mostrargli interesse in quanto persona. Un colloquio condotto
frettolosamente e con indifferenza, attraverso domande a risposta chiusa
(seguendo un algoritmo rigido di esame d’apparato), probabilmente indurrà il
paziente a nascondere le informazioni attinenti, piuttosto che aiutarlo a
comunicarle. La ricostruzione della storia di malattia con domande aperte, che
permettano al paziente di raccontarsi con parole sue, non porta via più tempo,
ma gli consente di descrivere le circostanze sociali associate al disturbo e di
manifestare le sue reazioni emotive.

Al paziente devono essere richieste informazioni sul suo retroterra sociale, sulla
sua anamnesi medica e psichiatrica, e sul suo adattamento alle diverse fasi del
ciclo vitale. Le caratteristiche dei suoi genitori e l’atmosfera familiare durante
l’infanzia sono elementi importanti, perché i tratti di personalità che influenzano il
modo in cui vengono fronteggiate le malattie e le avversità si formano in parte nei
primi stadi della vita. Le informazioni sul suo comportamento scolastico, sulle
modalità con cui ha affrontato la pubertà, l’adolescenza e i diversi ruoli familiari e
sociali, sulla stabilità e il rendimento lavorativi, sull’adattamento sessuale, sul tipo
di vita sociale e sulla qualità e stabilità del matrimonio, aiutano a valutare la
personalità del paziente. Il medico deve informarsi con tatto sull’uso o abuso di
alcol, sostanze stupefacenti e tabacco, sul comportamento alla guida e su
qualsiasi tendenza a comportamenti antisociali. È importante altresì valutare le
reazioni del paziente alle vicende ordinarie della vita, come fallimenti,
contrattempi, perdite, malattie precedenti.

Il profilo di personalità che emerge da queste domande può contenere tratti


come egocentrismo, immaturità, eccessiva dipendenza, ansia, tendenza alla
negazione della malattia, comportamento istrionico e scarsa tolleranza della
frustrazione; oppure coraggio, elasticità mentale, coscienziosità, modestia,
adattabilità. L’anamnesi può rivelare schemi ripetitivi di comportamento sotto
stress, sia che il disagio venga espresso attraverso sintomi fisici (p. es., cefalea,
dolori addominali) o psicologici (p. es., comportamenti fobici, depressione), sia
attraverso il comportamento sociale (p. es., ritiro, tendenze ribelli). Bisogna
prendere nota degli atteggiamenti, p. es., gli atteggiamenti verso l’assunzione di
farmaci in generale o di tipo particolare (steroidi, sedativi) e verso i medici o gli
ospedali. Con queste informazioni il medico può interpretare meglio i disturbi del
paziente, anticipare le sue reazioni alla malattia e impostare una terapia
adeguata.

L’osservazione durante il colloquio fornisce ulteriori dati importanti. Il paziente


può essere depresso e pessimista oppure allegro, compiacente, incline a negare
la malattia; può mostrarsi amichevole e aperto oppure riservato, freddo e
sospettoso. La comunicazione non verbale può evidenziare atteggiamenti e stati
d’animo smentiti dalle sue parole. Per esempio, un paziente che ammutolisce o
inizia a piangere quando si parla della morte di un genitore, rivela che questa è
stata una perdita importante e lascia intendere di avere un lutto irrisolto. Una
lacrima, un pianto aperto o altre manifestazioni emotive devono essere riportati
come segni somatici nella cartella del paziente. Analogamente, se un paziente
nega di essere arrabbiato, ansioso o depresso mentre invece la sua postura, i
suoi gesti e l’espressione del viso rivelano il contrario, ulteriori domande possono

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Psichiatria e medicina

portare alla luce fattori stressanti e circostanze generatrici di depressione,


probabilmente correlate all’evoluzione della malattia attuale. Tuttavia, queste
indagini possono anche condurre a conclusioni erronee. Una valutazione
perspicace e basata sull’esperienza aiuta a stabilire se i conflitti psicologici siano
significativi, di importanza limitata, o semplicemente concomitanti rispetto al
disturbo fisico del paziente.

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Psichiatria e medicina

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15. DISTURBI PSICHIATRICI

185. PSICHIATRIA E MEDICINA

INVIO PSICHIATRICO

Circa il 10% dei pazienti ricoverati in ospedale viene inviato a consulenza


psichiatrica. Molti di questi pazienti hanno compiuto un tentativo di suicidio e
molti altri presentano disturbi psicologici evidenti, che richiedono una valutazione
e un trattamento. Molti pazienti con delirium, demenza (v. Cap. 171) e sindromi
psichiatriche funzionali dovute a disturbi cerebrali organici o metabolici hanno
problemi complessi, difficili o resistenti che richiedono l’invio allo psichiatra.

Discutere la situazione con un collega psichiatra prima di effettuare un invio può


evitarne la necessità, o comunque può aiutare il medico di base a eseguire l’invio
nella maniera più appropriata. Una volta predisposto l’invio, se ne dovrà parlare
apertamente e con tatto insieme al paziente.

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Psichiatria e medicina

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15. DISTURBI PSICHIATRICI

185. PSICHIATRIA E MEDICINA

MEDICINA PSICOSOMATICA

(Medicina biopsicosociale)

Sommario:

Introduzione
Sintomi fisici che riflettono stati psichici
Reazioni psicologiche a un disturbo fisico

In alcuni disturbi fisici, i fattori psicologici contribuiscono direttamente o


indirettamente all’eziologia; in altri, i sintomi psicologici sono il risultato diretto di
una lesione a carico del sistema nervoso o endocrino. I sintomi di tipo psicologico
possono anche rappresentare la reazione a un disturbo fisico. I sintomi fisici
possono essere dovuti a stress psicologico. Il termine "psicosomatico" può
racchiudere largamente queste possibilità, mettendo in rilievo come i disturbi
emotivi e i fattori psicologici siano sempre correlati alle malattie e alle disabilità di
tipo fisico.

In alternativa, il termine "psicosomatico" può essere riservato a quei disturbi in


cui i fattori psicologici hanno un’importanza eziologica; tuttavia, anche questi
disturbi hanno una eziologia complessa e multifattoriale. In alcuni disturbi, una
necessaria componente biologica (p. es., la tendenza genetica al diabete mellito
non insulino-dipendente), quando si associa a reazioni psicologiche (p. es., la
depressione) e a uno stress di tipo sociale (p. es., la perdita di una persona
cara), crea le condizioni sufficienti a produrre un disturbo; di qui, il termine
"biopsicosociale". Gli eventi stressanti e le reazioni psicologiche possono essere
considerati fattori scatenanti. Le reazioni psicologiche sono aspecifiche e
possono associarsi a una grande varietà di disturbi come il diabete mellito, il
Lupus Eritematoso Sistemico (LES), la leucemia e la sclerosi multipla.
L’importanza dei fattori psicologici é molto variabile in pazienti diversi affetti dallo
stesso disturbo (p. es., l’asma, in cui fattori genetici, allergie, infezioni ed
emozioni interagiscono in vario grado).

Lo stress psicologico può anche affrettare o alterare il decorso di disturbi fisici


gravi. Le emozioni possono ovviamente coinvolgere il sistema nervoso autonomo
e quindi, secondariamente, la frequenza cardiaca, la sudorazione o la peristalsi
intestinale. La psiconeuroimmunologia ha dimostrato un’interrelazione tra
reazioni coinvolgenti la mente (il cervello) e alterazioni nelle risposte immunitarie
mediate dai linfociti e dalle linfochine. Per esempio, la risposta immunitaria nei
topi viene ridotta da stimoli condizionati; nell’uomo, vengono ridotte la risposta di
ipersensibilità cutanea ritardata e la stimolazione linfocitaria in vivo da parte del
virus varicella-zoster. Le vie e i meccanismi attraverso cui il cervello e il sistema
immunitario interagiscono restano oscuri, ma una connessione é suggerita dai
terminali neurali trovati nella milza e nel timo vicino ai linfociti e ai macrofagi, che
hanno dei recettori per i neurotrasmettitori.

I fattori psicologici possono influenzare indirettamente il decorso di diversi


disturbi. Solitamente, il bisogno di un paziente di negare la malattia o la sua
gravità può condurre alla non- compliance alla terapia, oppure all’uso della
medicina alternativa o complementare. Nel diabete, per esempio, un paziente
può deprimersi a causa della dipendenza continua dalle iniezioni di insulina e
delle restrizioni dietetiche e può quindi negarne la necessità, trascurando le

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Psichiatria e medicina

terapie. Il risultato è un diabete pseudoinstabile, che non può essere gestito in


maniera adeguata sino a che non vengano risolti i conflitti del paziente circa la
dipendenza. Allo stesso modo, il meccanismo della negazione può condurre i
pazienti con ipertensione o epilessia a non assumere i farmaci e altri pazienti a
rifiutare procedure diagnostiche o interventi chirurgici.

Sempre più spesso, i medici si trovano a trattare disturbi che tendono a


recidivare o a produrre invalidità cronica (p. es., l’infarto del miocardio,
l’ipertensione, le affezioni cerebrovascolari, il diabete mellito, i tumori, l’artrite
reumatoide, i disturbi respiratori cronici). Lo stress di tipo psicologico e sociale è
strettamente collegato con tali disturbi ed è difficilmente separabile da essi. Tale
stress può alterare il decorso clinico, di solito interagendo con la predisposizione
ereditaria del paziente, con le sue caratteristiche di personalità e con le risposte
vegetative ed endocrine alle vicende della vita.

Sintomi fisici che riflettono stati psichici

Uno stress psicosociale che produce conflittualità e richiede una risposta di


adattamento può mascherarsi sotto forma di sintomi di un disturbo fisico. I
disturbi emotivi sono spesso sottovalutati o negati dal paziente e a volte anche
dal medico. La causa e il meccanismo di formazione del sintomo possono essere
del tutto evidenti (p. es., l’ansia e i fenomeni su base adrenergica, come la
tachicardia e la sudorazione). Tuttavia, i meccanismi sono spesso oscuri,
sebbene in genere si ipotizzi che agiscano generando tensione direttamente
(p. es., aumentando la tensione muscolare) oppure attraverso un meccanismo di
conversione.

La conversione, il meccanismo inconscio di trasformazione di un conflitto


psichico e dell’ansia in un sintomo somatico, é per tradizione associata al
comportamento isterico (istrionico) (v. Cap. 186 e 191); nella medicina di base va
tuttavia considerata a parte, poiché si manifesta in ambo i sessi e in pazienti con
ogni tipo di personalità. La conversione si verifica praticamente ogni giorno in un
ambulatorio di medicina di base molto frequentato, ma é scarsamente compresa
e raramente riconosciuta. Pertanto, i pazienti possono andare incontro a indagini
diagnostiche ripetute, noiose, costose e a volte pericolose, alla ricerca di un
disturbo organico introvabile.

Praticamente ogni sintomo può diventare un sintomo di conversione. Il più


comune é il dolore (p. es., il dolore facciale atipico, le cefalee vaghe, i fastidi
addominali mal localizzati, le coliche, il mal di schiena, il dolore cervicale, la
disuria, la dispareunia, la dismenorrea). I pazienti possono scegliere in maniera
inconscia un sintomo perché é una metafora della propria condizione
psicosociale; p. es., un paziente può avere un dolore toracico dopo il rifiuto da
parte della persona amata ("cuore infranto"); un altro può esperire sotto forma di
mal di schiena il fatto che i suoi "fardelli" sono troppo difficili da portare. In
alternativa, i pazienti possono "prendere a prestito" un sintomo da un’altra
persona; p. es., uno studente in medicina può immaginare di avere i linfonodi
gonfi mentre assiste un paziente con un linfoma; oppure, una persona può
presentare un dolore toracico dopo che un parente o un conoscente ha avuto un
infarto del miocardio. Un terzo gruppo di pazienti ha già avuto il sintomo su una
base organica (p. es., una frattura dolorosa, un’angina pectoris, una discopatia
lombare). In occasione di fattori stressanti psicosociali il sintomo riappare, oppure
persiste anche dopo un trattamento adeguato come sintomo psicogeno (di
conversione).

Nell’isteria di massa (isteria epidemica), una variante della conversione, un


gruppo di persone improvvisamente entra in allarme per un problema (p. es.,
avvelenamento da cibi o sostanze tossiche nell’aria) e sviluppa dei sintomi che
imitano quelli di chi per primo ha immaginato il problema. Nella maggior parte dei
casi l’isteria di massa si manifesta nei preadolescenti e negli adolescenti, che se
ne ammalano a scuola, ma può verificarsi anche in altre situazioni. Sebbene
inizialmente possa essere drammatica e di diagnosi difficile, di solito si rende
evidente e ha un esito favorevole.

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Psichiatria e medicina

L’ansia e la depressione sono comunemente provocate da stress psichici e


possono manifestarsi come sintomi a carico di qualunque apparato. La diagnosi
non é difficile, se sono coinvolti numerosi distretti corporei, e il paziente descrive
le sue angosce e preoccupazioni personali. Ma se è coinvolto un unico apparato
e il paziente non evidenzia un disagio emotivo, la diagnosi può essere difficile.
Tali casi vengono descritti spesso con il termine di depressione mascherata,
sebbene in alcuni casi sia più appropriato parlare di ansia mascherata. Sono
frequenti sintomi come disforia e depressione, insonnia, autosvalutazione, ritardo
psicomotorio e prospezione pessimistica. Il paziente può negare la depressione o
può anche riconoscere la presenza di depressione o ansia, ma insiste sul fatto
che esse sono secondarie a un disturbo fisico che sfugge alla diagnosi.

Reazioni psicologiche a un disturbo fisico

I pazienti reagiscono in maniera diversa alla condizione di malattia per numerose


ragioni. Per esempio, è diversa la comprensione (o mancanza di comprensione)
della diagnosi e sono diverse le reazioni agli atteggiamenti e alle comunicazioni
del medico. Inoltre, disturbi cronici differenti hanno effetti psicologici altrettanto
differenti. Anche le risposte agli effetti collaterali dei farmaci sono molto variabili.

Molti pazienti con disturbi fisici cronici o ricorrenti sviluppano una depressione
che aggrava l’invalidità, instaurando in questo modo un circolo vizioso. Per
esempio, il graduale declino dello stato di salute dovuto alle alterazioni fisiche nel
morbo di Parkinson, nell’insufficienza cardiaca o nell’artrite reumatoide, può
portare a una reazione depressiva che riduce ulteriormente il senso di
benessere. In tali casi, un trattamento antidepressivo spesso migliora il quadro.

I pazienti con compromissioni funzionali gravi o con perdita di parti del corpo
(p. es., come esito di un infarto, di amputazioni di o traumi del midollo spinale)
presentano particolari difficoltà di valutazione. Vi è una distinzione sottile tra una
depressione clinica reattiva che richiede un trattamento psichiatrico tradizionale e
delle reazioni emozionali disforiche che possono anche essere estreme, ma sono
adeguate a un disturbo fisico dagli effetti devastanti. Queste ultime possono
comportare dei disturbi dell’umore oppure una costellazione di lutto,
demoralizzazione, ritiro e atteggiamenti regressivi; tendono a non avere una
risposta favorevole alla psicoterapia o agli antidepressivi, ma fluttuano a seconda
dello stato clinico del paziente e si riducono con il tempo se la riabilitazione é
efficace o se il paziente si adatta alla sua nuova condizione. Nei reparti di
riabilitazione, spesso il personale medico può diagnosticare una depressione
quando non é questo il problema, oppure può omettere la diagnosi quando
invece lo é. In tali situazioni la diagnosi differenziale è molto difficile ed è quindi
utile una consulenza da parte di uno psichiatra esperto nel trattamento dei
pazienti con disturbi fisici.

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Psichiatria e medicina

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

185. PSICHIATRIA E MEDICINA

Sindrome di Münchausen

Invenzione ripetitiva di una malattia fisica (in genere acuta, teatrale e


persuasiva), da parte di una persona che vaga da un ospedale all’altro per farsi
curare.

Sommario:

Introduzione
Terapia

I pazienti con sindrome di Münchausen possono simulare molti disturbi fisici


(p. es., infarto del miocardio, ematemesi, emottisi, addome acuto, febbre
criptogenetica). La parete addominale di questi pazienti può essere piena di
cicatrici, oppure si può riscontrare l’amputazione di un dito o di un arto. Le febbri
spesso sono dovute ad ascessi autoprovocati; l’esame colturale, rivelando la
presenza di Escherichia coli, rivela la fonte dell’organismo infettante.

All’inizio, e a volte per lungo tempo, questi pazienti vengono trattati in cliniche
mediche o chirurgiche. Tuttavia il disturbo è soprattutto di competenza
psichiatrica, dal momento che è qualcosa di più complesso di una semplice
simulazione disonesta di sintomi e si associa a gravi difficoltà della sfera emotiva.
I pazienti possono presentare caratteristiche di personalità fortemente istrioniche,
ma di solito sono intelligenti e pieni di risorse. Sanno come si finge una malattia e
conoscono nei minimi dettagli le procedure mediche. Sono diversi dai simulatori
perché, sebbene questo genere di inganni e simulazioni siano intenzionali, le
motivazioni per l’invenzione delle malattie e per la richiesta di aiuto sono in gran
parte inconsce.

In genere c’è una storia precoce di violenze fisiche e psicologiche. Questi


pazienti sembrano avere dei problemi con la propria identità, un’intensa
emotività, un inadeguato controllo degli impulsi, uno scarso senso della realtà,
degli episodi psicotici brevi e delle relazioni interpersonali caratterizzate da
instabilità. Il loro bisogno di essere assistiti entra in conflitto con l’incapacità di
fidarsi delle figure di autorità, che manipolano, provocano o mettono alla prova
continuamente. Sono evidenti anche sensi di colpa, con associati desideri di
punizione e di espiazione.

La sindrome di Münchausen per procura é una variante bizzarra in cui un


bambino viene di solito usato come sostituto del paziente. I genitori falsificano
l’anamnesi e possono fare del male al bambino con farmaci, o aggiungere
sangue e contaminanti batterici ai campioni urinari, al fine di simulare una
malattia. Il genitore richiede cure mediche per il bambino e sembra sempre
profondamente preoccupato e protettivo. Il bambino spesso è gravemente
ammalato, richiede ricoveri frequenti e può anche morire.

Svariati disturbi fittizi possono somigliare alla sindrome di Münchausen. I


pazienti possono produrre consapevolmente le manifestazioni di una malattia,
p. es., ferendosi alla cute, iniettandosi insulina o esponendosi a un allergene al
quale sanno di essere sensibili. Successivamente si recano dal medico,
sabotando però la terapia facendo in modo di provocarsi delle malattie o di
protrarle. Sono diversi dai pazienti con sindrome di Münchausen, in quanto
tendono a simulare una sola malattia, lo fanno solo in concomitanza di uno stress

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Psichiatria e medicina

psicosociale importante, non tendono a vagabondare da un ospedale o medico


all’altro e di solito possono essere trattati efficacemente.

Terapia

La terapia dei pazienti con sindrome di Münchausen e psicopatologia di tipo


psicotico, nel contesto di un disturbo del carattere, ha successo raramente.
Acconsentire alle manipolazioni allevia loro la tensione, ma le provocazioni si
intensificheranno fino a superare la volontà e le capacità dei medici. La messa a
confronto o il rifiuto di esaudire le richieste di trattamento provocano reazioni di
rabbia e i pazienti in genere si trasferiscono in un altro ospedale. In genere il
trattamento psichiatrico è rifiutato o aggirato, ma possono accettare un consulto e
una cura successiva, sia pure soltanto per risolvere una crisi. Comunque, il
trattamento é generalmente limitato al riconoscimento precoce del disturbo e
all’evitamento di procedure rischiose e di un uso eccessivo o improprio di farmaci.

I pazienti con disturbo fittizio vanno messi di fronte alla diagnosi senza
insinuare in essi sensi di colpa o di biasimo. Il medico deve preservare lo status
di malattia legittima, pur indicando come la collaborazione tra medico e paziente
possa risolvere il problema di base. Spesso la risoluzione del quadro coinvolge
un familiare, con il quale il problema può essere descritto più adeguatamente
come un disturbo e non come un inganno; alla famiglia non va cioè comunicato il
meccanismo preciso del disturbo.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

186. DISTURBI SOMATOFORMI

Gruppo di disturbi psichiatrici caratterizzati da sintomi fisici che suggeriscono un


disturbo fisico, ma non sono completamente spiegati da esso e che causano una
sofferenza significativa o interferiscono con il funzionamento nell’ambito sociale,
lavorativo, o in altri ambiti.

"Disturbo somatoforme" è un termine relativamente nuovo per ciò che molti


chiamano disturbo psicosomatico. Nei disturbi somatoformi, né i sintomi fisici né
la loro gravità e durata possono essere spiegati da una condizione fisica
soggiacente. I disturbi somatoformi comprendono il disturbo di somatizzazione, il
disturbo somatoforme indifferenziato, il disturbo di conversione, l’ipocondria, il
disturbo algico, il disturbo da dismorfismo corporeo e il disturbo somatoforme non
altrimenti specificato.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

186. DISTURBI SOMATOFORMI

DISTURBO DI SOMATIZZAZIONE

Disturbo psichiatrico cronico e grave caratterizzato da numerosi fastidi fisici


ricorrenti, clinicamente significativi (tra cui il dolore e sintomi gastrointestinali,
sessuali e neurologici), che non possono essere spiegati pienamente da un
disturbo fisico.

Sommario:

Introduzione
Sintomi
Diagnosi
Prognosi e terapia

Il disturbo è spesso familiare e l’eziologia è sconosciuta. Avere una personalità


narcisistica (cioè con marcata dipendenza e intolleranza alla frustrazione)
contribuisce ai fastidi fisici, che sembrano rappresentare una richiesta inconscia
e somatizzata di attenzione e cura.

Il disturbo si manifesta prevalentemente nel sesso femminile. I familiari maschi


delle donne con questo disturbo tendono ad avere un’incidenza elevata di
personalità antisociale e di disturbi correlati ad uso di sostanze.

Sintomi

I sintomi esordiscono nell’adolescenza o nella prima età adulta con numerosi e


vaghi fastidi fisici. Può esserne colpita qualsiasi parte del corpo; i sintomi specifici
e la loro frequenza sono variabili tra le diverse culture. Negli USA, i sintomi tipici
comprendono cefalee, nausea e vomito, gonfiore, dolore addominale, diarrea o
stipsi, dismenorrea, stanchezza, mancamenti, dispareunia, perdita del desiderio
sessuale e disuria. Gli uomini spesso lamentano disfunzioni erettili o eiaculatorie.
È comune una grande varietà di sintomi neurologici. Sebbene i sintomi siano in
primo luogo fisici, si manifestano anche ansia e depressione. Tipicamente, i
pazienti hanno un atteggiamento teatrale ed emotivo quando raccontano i propri
sintomi, definendoli spesso come "intollerabili", "indescrivibili", oppure
"inimmaginabili".

I pazienti diventano estremamente dipendenti nei rapporti personali. Chiedono


sempre maggiore aiuto e supporto emotivo e possono infuriarsi quando sentono
che i propri bisogni non vengono soddisfatti. Spesso vengono descritti come
esibizionisti e seduttivi. Nel tentativo di manipolare gli altri, possono minacciare o
tentare il suicidio. Essendo spesso insoddisfatti delle cure mediche che ricevono,
passano da un medico all’altro.

L’intensità e la persistenza dei sintomi riflettono il forte desiderio del paziente di


essere assistito in ogni aspetto della vita. I sintomi possono aiutare il paziente a
evitare le responsabilità della vita adulta, ma possono anche impedirne i piaceri e
fungere da punizione, il che suggerisce la presenza di sentimenti soggiacenti di
indegnità e di colpa.

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Disturbi somatoformi

Diagnosi

I pazienti non hanno la consapevolezza che il proprio problema di base è


psicologico e quindi fanno pressione sui medici per ottenere indagini cliniche e
terapie. I medici di solito eseguono numerosi esami obiettivi e analisi cliniche, per
stabilire se il paziente abbia o meno disturbi fisici che possano spiegare
adeguatamente i sintomi. Poiché anche questi pazienti possono sviluppare dei
disturbi fisici concomitanti, se i sintomi cambiano significativamente vanno
eseguiti l’esame obiettivo e gli esami di laboratorio del caso. Gli invii a
consulenze specialistiche sono frequenti, anche se il paziente ha instaurato una
relazione ragionevolmente soddisfacente con un solo medico.

I criteri diagnostici specifici comprendono l’esordio dei fastidi fisici prima dei
30 anni, un’anamnesi di dolore a carico di almeno quattro diversi distretti
corporei, due o più sintomi gastrointestinali, almeno un sintomo a carico della
funzione sessuale o riproduttiva e almeno un sintomo neurologico (escluso il
dolore). La diagnosi é suffragata dalla natura teatrale dei disturbi e dal
comportamento esibizionistico, dipendente, manipolativo e a volte suicida del
paziente. I disturbi di personalità, in particolare l’istrionico, il borderline e
l’antisociale (v. Cap. 191), sono spesso associati al disturbo di somatizzazione.

Se i pazienti con problemi somatoformi persistenti e ricorrenti non soddisfano


pienamente i precedenti criteri diagnostici specifici, la loro condizione viene
definita disturbo somatoforme indifferenziato.

Il disturbo di somatizzazione si distingue dal disturbo d’ansia generalizzata, dal


disturbo di conversione e dalla depressione maggiore per la predominanza, la
molteplicità e la persistenza dei fastidi fisici; per l’assenza dei segni e sintomi
biologici che caratterizzano la depressione endogena; per la natura superficiale e
manipolativa del comportamento suicida.

Prognosi e terapia

Il disturbo di somatizzazione ha un decorso di gravità variabile, ma dura tutta la


vita. La remissione completa e durevole dei sintomi è rara. Alcuni soggetti si
deprimono in maniera più manifesta dopo molti anni e i loro riferimenti al suicidio
(un rischio reale) divengono più minacciosi.

Il trattamento è estremamente difficile. I pazienti tendono a manifestare


frustrazione e rabbia ogni qualvolta si suggerisca loro che i sintomi sono di tipo
psicologico. I farmaci sono per lo più inefficaci e anche se un paziente accetta
una consulenza psichiatrica, raramente trae benefici da una psicoterapia. Di
solito, il miglior trattamento è una tranquilla e sicura relazione di sostegno con un
medico, che offra sollievo sintomatologico e protegga il paziente da procedure
diagnostiche o terapeutiche non necessarie.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

186. DISTURBI SOMATOFORMI

DISTURBO DI CONVERSIONE

Sintomi fisici causati da un conflitto psichico, convertiti inconsciamente in sintomi


simili a quelli di un disturbo neurologico.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e diagnosi
Terapia

Il disturbo di conversione tende a insorgere nell’adolescenza o nella prima età


adulta ma può manifestarsi a qualsiasi età. Sembra abbastanza più comune nel
sesso femminile. Sintomi isolati di conversione che non soddisfano pienamente i
criteri per il disturbo di conversione o per un disturbo di somatizzazione sono di
riscontro comune nella pratica clinica non psichiatrica (v. Sintomi fisici che
riflettono stati psichici, nel Cap. 185).

Sintomi e diagnosi

Per definizione, i sintomi si manifestano in maniera inconscia e sono limitati a


quelli che suggeriscono un disturbo neurologico (di solito, compromissione della
coordinazione o dell’equilibrio, debolezza, oppure paralisi di un braccio o di una
gamba, o ancora perdita della sensibilità in un parte del corpo). Gli altri sintomi
comprendono le pseudoconvulsioni; la perdita di uno dei sensi specifici, come la
vista (cecità, visione doppia) o l’udito (sordità); l’afonia; le difficoltà nella
deglutizione; la sensazione di groppo in gola; e infine la ritenzione urinaria.

Generalmente, l’esordio dei sintomi è collegato a eventi stressanti di tipo sociale


o psicologico. Il sintomo deve essere clinicamente significativo; cioè, deve creare
abbastanza sofferenza da disturbare il funzionamento del paziente nell’area
sociale, in quella lavorativa o in un’altra area importante. Un paziente può avere
un episodio singolo o episodi sporadici; di solito, gli episodi sono brevi. Quando
vengono ricoverati, i pazienti con sintomi di conversione in genere migliorano
entro 2 sett.; tuttavia, dal 20 al 25% recidiva entro un anno e in alcuni i sintomi si
cronicizzano.

La diagnosi può essere inizialmente difficile, perché il paziente ritiene che i


sintomi derivino da un disturbo fisico. Inoltre, ai medici viene insegnato quasi
esclusivamente a considerare (ed escludere) disturbi fisici come causa di sintomi
fisici. Di solito, la diagnosi viene presa in considerazione solo dopo che
approfonditi esami fisici e analisi di laboratorio non riescono a rivelare un disturbo
che possa spiegare pienamente il sintomo e i suoi effetti. Sebbene l’esclusione di
un possibile disturbo fisico soggiacente sia di importanza cruciale, prendere
subito in considerazione la conversione può evitare l’esecuzione di analisi che
aumentano i costi e i rischi per il paziente e che possono ritardare
eccessivamente la diagnosi. Il miglior indizio è che i sintomi di conversione di
rado si conformano pienamente ai meccanismi anatomici e fisiologici noti.

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Disturbi somatoformi

Terapia

Una relazione di fiducia tra medico e paziente è essenziale. Allorché il medico


abbia escluso un disturbo fisico e abbia rassicurato il paziente che i sintomi non
indicano un grave disturbo soggiacente, il paziente di solito inizia a star meglio e i
sintomi si attenuano. Se l’esordio dei sintomi è stato preceduto da una situazione
psicologicamente stressante, la psicoterapia può essere efficace.

Sono stati sperimentati svariati trattamenti, ma nessuno è uniformemente


efficace. Nell’ipnoterapia il paziente viene ipnotizzato e vengono identificate ed
esplorate le tematiche psicologiche con potenziale valore eziologico. Il colloquio
continua dopo l’ipnosi, quando il paziente è completamente vigile. La narcoanalisi
è simile all’ipnosi, tranne per il fatto che al paziente viene somministrato un
sedativo per indurre uno stato di semi-sonno. La terapia comportamentale, ivi
incluso l’addestramento al rilassamento, è efficace in alcuni pazienti.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

186. DISTURBI SOMATOFORMI

IPOCONDRIA

Preoccupazione per le funzioni corporee e paura di contrarre o di avere una


malattia grave, basata sull’erronea intepretazione di sintomi fisici.

Sommario:

Sintomi e diagnosi
Prognosi e terapia

Sintomi e diagnosi

Tra i sintomi fisici che possono essere intepretati erroneamente vi sono i


borborigmi, il gonfiore e i dolori crampiformi addominali, la percezione dell’attività
cardiaca e la sudorazione. La localizzazione, la qualità e la durata di tali sintomi
sono spesso descritte nei minimi dettagli, ma i sintomi di solito non seguono uno
schema riconoscibile di disfunzione organica e in genere non sono associati a
reperti somatici anormali. La visita e la rassicurazione del medico non alleviano le
preoccupazioni del paziente, che tende a credere che il medico non sia riuscito a
trovare la vera causa. I sintomi influenzano negativamente il funzionamento
sociale e lavorativo e causano una sofferenza significativa.

La diagnosi è suggerita dall’anamnesi e dalla visita ed è confermata se i sintomi


persistono per ≥6 mesi e non possono essere attribuiti a una depressione o a un
altro disturbo psichiatrico.

Prognosi e terapia

Il decorso è cronico, fluttuante in alcuni casi, stabile in altri. Circa il 5% dei


pazienti guarisce completamente. L’associazione di depressione e lamentele
ipocondriache comporta una prognosi sfavorevole. Il trattamento è difficile perché
il paziente è convinto che in esso vi sia qualcosa di gravemente sbagliato.
Tuttavia, è utile una relazione di fiducia con un medico curante, specialmente se
le visite regolari in ambulatorio infondono rassicurazione. Se i sintomi non
vengono sufficientemente alleviati, il paziente può trarre beneficio da un invio
psichiatrico per una valutazione e un trattamento ulteriori, pur restando in cura
presso il medico di base.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

186. DISTURBI SOMATOFORMI

DISTURBO ALGICO

(Dolore psicogeno)

Disturbo in cui un dolore in una o più sedi anatomiche è causato esclusivamente


o principalmente da fattori psichici, è il principale fulcro di attenzione del paziente
e causa una sofferenza e delle disfunzioni significative.

Sommario:

Introduzione
Sintomi segni e diagnosi
Terapia

Il disturbo algico è relativamente comune. L’incidenza esatta è sconosciuta, ma


negli USA il mal di schiena psicogeno da solo causa alcuni tipi di invalidità
lavorativa, in una percentuale stimata dal 10 al 15% della popolazione adulta
ogni anno.

Sintomi segni e diagnosi

Il dolore associato a fattori psicologici è comune in numerose condizioni


psichiatriche, specialmente i disturbi d’ansia e dell’umore, ma nel disturbo algico
il dolore è il disturbo principale. Ogni parte del corpo può essere interessata, ma
la schiena, la testa, l’addome e il collo sono probabilmente le più comuni. Il
dolore può essere acuto o cronico (> 6 mesi). Vi può essere un disturbo fisico di
base che spiega il dolore, ma non la sua gravità e durata, né il grado
dell’invalidità che ne risulta. Quando è presente un disturbo di questo tipo, si
pone diagnosi di disturbo algico associato sia a fattori psicologici che a una
condizione fisica. Quando il disturbo fisico è assente, va posta diagnosi di
disturbo algico associato a fattori psicologici.

La diagnosi, in genere, viene posta per esclusione di un disturbo fisico che


spiegherebbe adeguatamente il dolore. Il riscontro di agenti stressanti
psicosociali può aiutare a spiegare il disturbo. Come per i sintomi di conversione
(v. Sintomi fisici che riflettono stati psichici, nel Cap. 185), la diagnosi a volte è
suffragata dal riscontro di un senso metaforico nel sintomo; p. es., il paziente con
mal di schiena associa il dolore all’essere stato "pugnalato alla schiena" o al
"portare un fardello insopportabile".

Terapia

Una valutazione clinica accurata da parte di un medico che abbia una buona
relazione con il paziente, seguita da una valida rassicurazione, può essere
sufficiente. A volte, è efficace evidenziare in maniera empatica il rapporto con un
evidente agente stressante psicosociale. Tuttavia, molti pazienti vanno incontro a
problemi cronici il cui trattamento è molto problematico. I pazienti sono simili a

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Disturbi somatoformi

quelli con disturbo di conversione (v. sopra). Essi sono riluttanti ad associare il
proprio problema agli agenti stressanti psicosociali e rifiutano qualsiasi forma di
psicoterapia. Tendono inoltre a richiedere una relazione di dipendenza, che di
solito comporta un’invalidità a lungo termine e il bisogno di una cura continuativa.
Si fanno visitare da molti medici con il manifesto desiderio di trovare un cura, ma
richiedono un trattamento fisico per un disturbo che non é fisico. Rivalutazioni
accurate e regolari da parte di un medico motivato, dotato di empatia, che si
mantenga attento alla possibilità che si sviluppi un disturbo fisico significativo pur
proteggendo il paziente da procedure non necessarie e potenzialmente costose o
pericolose, offrono la migliore speranza di una palliazione a lungo termine.

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Disturbi somatoformi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

186. DISTURBI SOMATOFORMI

DISTURBO DA DISMORFISMO CORPOREO

Preoccupazione per un difetto nell’aspetto fisico, che causa una sofferenza


significativa o interferisce con il funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in
altre aree importanti.

Sommario:

Introduzione
Sintomi
Diagnosi e terapia

Il paziente può immaginarsi il difetto oppure preoccuparsi esageratamente per un


difetto lieve. Il disturbo di solito esordisce nell’adolescenza e sembra avere la
stessa incidenza nei due sessi.

Sintomi

I sintomi possono svilupparsi in modo graduale o acuto. Sebbene l’intensità dei


sintomi possa variare, il decorso è caratterizzato dalla scarsità di intervalli
asintomatici.

Le preoccupazioni di solito interessano il volto o la testa, ma possono interessare


ogni parte del corpo o più parti di esso e possono spostarsi da una parte all’altra.
Il paziente può essere turbato da una perdita di capelli, da acne, rughe, cicatrici,
macchie vascolari, dal colorito corporeo o da una peluria facciale eccessiva;
oppure, può focalizzare la propria attenzione sulla forma o le dimensioni di una
parte del corpo, come il naso, gli occhi, le orecchie, la bocca, il seno o infine i
glutei. Le lamentele fisiche spesso sono specifiche ma possono anche essere
vaghe. Alcuni giovani con un fisico atletico pensano di essere gracili e cercano
ossessivamente di aumentare di peso e di muscolatura.

La maggior parte dei pazienti controlla con difficoltà la propria preoccupazione e


può trascorrere ore intere a pensare al proprio difetto percepito. Alcuni pazienti si
controllano spesso allo specchio, altri evitano gli specchi e altri ancora alternano i
due comportamenti. Alcuni cercano di mascherare il proprio difetto immaginario
(p. es., facendosi crescere la barba per nascondere delle cicatrici, oppure
portando un cappello per coprire il diradamento dei capelli). Per correggere il
proprio difetto molti intraprendono trattamenti medici, odontoiatrici o chirurgici, il
che può intensificare la loro preoccupazione.

Poiché i pazienti si sentono in imbarazzo, possono evitare di presentarsi in


pubblico, anche per andare al lavoro e partecipare ad attività sociali. Alcuni
escono di casa soltanto la notte; altri non escono per niente. Questo
comportamento può causare isolamento sociale. La sofferenza e la
disfunzionalità associate al disturbo possono portare a ricoveri ripetuti e a
comportamento suicida.

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Disturbi somatoformi

Diagnosi e terapia

Dato che i soggetti affetti da questo disturbo sono riluttanti a rivelarne i sintomi,
esso può passare inosservato per anni. È distinguibile dalle normali
preoccupazioni per l’aspetto fisico perché fa perdere tempo, causa una
sofferenza significativa e compromette il funzionamento.

Si pone diagnosi di disturbo da dismorfismo corporeo solo quando le


preoccupazioni non sono meglio spiegate da un altro disturbo psichiatrico. Se
l’unica preoccupazione è la forma e il peso corporeo, è probabile un’anoressia
nervosa; se l’unica preoccupazione riguarda le caratteristiche sessuali, può
essere preso in considerazione un disturbo dell’identità di genere. Rimuginazioni
sull’aspetto fisico congrue all’umore si verificano soltanto nel corso di un episodio
depressivo maggiore.

I dati sugli esiti dei trattamenti sono molto limitati. Alcune evidenze preliminari
indicano che possono essere di giovamento gli inibitori selettivi della ricaptazione
della serotonina, come la clomipramina e la fluoxetina.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e diagnosi

Tutti gli uomini provano paura e ansia. La paura è una risposta emozionale,
fisiologica e comportamentale alla percezione di una minaccia esterna (p. es., un
intruso, un’automobile che sfugge al controllo). L’ansia è uno stato emotivo
spiacevole; le sue cause sono meno chiare. L’ansia è spesso accompagnata da
alterazioni fisiologiche e da comportamenti simili a quelli causati dalla paura.

L’ansia adattativa aiuta le persone a prepararsi, allenarsi e provare, così da


migliorare il proprio funzionamento aiutandole ad essere adeguatamente prudenti
in situazioni potenzialmente pericolose. L’ansia disadattativa causa sofferenza e
disfunzionalità. La curva di Yerkes-Dodson (v. Fig. 187-1) mostra la relazione tra
lo stato emozionale di allarme (ansia) e la prestazione. Con l’aumento dell’ansia
l’efficienza della prestazione aumenta proporzionalmente, ma soltanto fino a un
livello ottimale oltre il quale l’efficienza prestazionale diminuisce, con ulteriore
aumento dell’ansia.

I disturbi d’ansia sono più comuni di ogni altro tipo di disturbo psichiatrico.
Tuttavia, spesso non vengono riconosciuti e di conseguenza non vengono curati.

Eziologia

Le cause dei disturbi d’ansia non sono completamente note, ma sono implicati
fattori fisiologici e psicologici. Dal punto di vista fisiologico, tutti i pensieri e i
sentimenti possono essere concepiti come risultanti da processi elettrochimici
cerebrali; tuttavia ciò dice poco sulle complesse interazioni tra i più di 200
neurotrasmettitori e neuromodulatori del cervello, nonché sull’ansia e sullo stato
di allarme normale e patologico. Dal punto di vista psicologico, l’ansia è
considerata una risposta ad agenti stressanti ambientali, come l’interruzione di
una relazione significativa o l’esposizione a un disastro potenzialmente letale.

Il sistema d’ansia di una persona di solito compie passaggi adeguati e


impercettibili dal sonno, attraverso lo stato di allarme, sino all’ansia e alla paura. I
disturbi d’ansia si manifestano quando il sistema d’ansia funziona in modo
inadeguato oppure, a volte, quando è sopraffatto dagli eventi.

I disturbi d’ansia possono essere dovuti a un disturbo fisico oppure all’uso di una
sostanza legale o illecita (v. oltre). Per esempio, l’ipertiroidismo oppure l’uso di
corticosteroidi o cocaina possono produrre segni e sintomi identici a quelli di
alcuni disturbi d’ansia primari.

Sintomi e diagnosi

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Disturbi d'ansia

L’ansia può presentarsi all’improvviso, come nel panico, oppure gradualmente


nel corso di molti minuti, ore o anche giorni. Può durare da pochi secondi a interi
anni; spesso i disturbi d’ansia sono caratterizzati da una durata maggiore.
L’intensità dell’ansia varia da malesseri a malapena avvertibili al panico totale, la
sua forma più estrema. La passione di una persona può essere la fonte d’ansia di
un’altra (p. es., alcune sono rallegrati dal parlare in pubblico, mentre altre lo
temono) e la capacità di sopportare l’ansia varia da persona a persona.

I disturbi d’ansia possono essere talmente gravi e dirompenti da provocare


depressione. In altri casi, il disturbo d’ansia e la depressione possono coesistere,
oppure la depressione può insorgere per prima e i segni e sintomi di un disturbo
d’ansia possono manifestarsi successivamente.

Stabilire se l’ansia sia talmente grave da configurarsi come disturbo è una


decisione che dipende da numerose variabili e i medici divergono nel porre la
diagnosi. Se l’ansia causa molta sofferenza, interferisce con il funzionamento e
non cessa spontaneamente entro pochi giorni, è presente un disturbo d’ansia che
merita una terapia.

La diagnosi di uno specifico disturbo d’ansia si basa in larga parte sui suoi segni
e sintomi caratteristici. Un’anamnesi familiare di disturbi d’ansia (eccetto il
disturbo post-traumatico da stress) è d’aiuto, poiché molti pazienti sembrano
ereditare una predisposizione agli stessi disturbi d’ansia da cui sono affetti i
propri familiari, così come una vulnerabilità generale ad altri disturbi d’ansia.

I disturbi d’ansia vanno distinti dall’ansia che si manifesta in molti altri disturbi
psichiatrici, poiché essi rispondono a trattamenti specifici differenti.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

ATTACCHI DI PANICO E DISTURBO DA ATTACCHI DI PANICO

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

Gli attacchi di panico sono frequenti, dato che colpiscono ogni anno più di un
terzo della popolazione. La maggior parte della persone guarisce senza terapia;
una minoranza sviluppa un disturbo da attacchi di panico. Questo disturbo è raro,
poiché colpisce meno dell’1% della popolazione secondo stime di prevalenza a
6 mesi. Di solito esordisce nella tarda adolescenza o nella prima età adulta e ha
un’incidenza da due a tre volte maggiore nelle donne rispetto agli uomini.

Sintomi, segni e diagnosi

L’attacco di panico comporta l’insorgenza improvvisa di almeno 4 dei 13 sintomi


elencati nella Tab. 187-1. I sintomi devono raggiungere il culmine in 10 minuti e
di solito scompaiono nell’arco di alcuni minuti, lasciando scarsi elementi
all’osservazione del medico, tranne la paura del soggetto di avere un altro
terrificante attacco di panico. Sebbene spiacevoli (a volte in grado estremo), gli
attacchi di panico non sono pericolosi.

Possono manifestarsi in qualsiasi disturbo d’ansia, di solito in situazioni collegate


alle caratteristiche centrali del disturbo (p. es., una persona con la fobia dei
serpenti può andare in panico alla vista di un serpente). Una caratteristica
distintiva del disturbo da attacchi di panico è che alcuni degli attacchi sono
inaspettati o spontanei, almeno all’inizio. I soggetti con disturbo da attacchi di
panico spesso si aspettano e hanno paura di avere un altro attacco (ansia
anticipatoria) ed evitano i posti dove hanno avuto in precedenza il panico
(agorafobia, v. oltre). Spesso temono di avere un pericoloso disturbo cardiaco,
polmonare o cerebrale e si rivolgono al proprio medico di famiglia, allo specialista
o al pronto soccorso per cercare aiuto. Tuttavia, in queste strutture spesso non
viene posta la diagnosi corretta.

Alcuni soggetti con attacchi di panico ricorrenti, ansia anticipatoria ed evitamento


guariscono senza trattamento, particolarmente se continuano a esporsi alle
situazioni in cui si sono verificati gli attacchi di panico. Per altri, specialmente
senza trattamento, il disturbo da attacchi di panico segue un decorso cronico
oscillante.

Terapia

Ai pazienti va detto che il disturbo deriva da una disfunzione che è al tempo


stesso biologica e psicologica, e che la terapia farmacologica e quella
comportamentale di solito aiutano a controllare i sintomi. Oltre alle informazioni

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Disturbi d'ansia

circa il disturbo e il relativo trattamento, il medico può fornire una realistica


speranza di miglioramento e un sostegno basato su un rapporto di fiducia con il
paziente. La psicoterapia di sostegno è parte integrante del trattamento di tutti i
disturbi d’ansia. La terapia individuale, di gruppo e familiare può aiutare a
risolvere i problemi associati a un disturbo di lunga data.

I farmaci, come gli antidepressivi e le benzodiazepine, possono prevenire o


ridurre grandemente l’ansia anticipatoria, l’evitamento fobico e la frequenza e
intensità degli attacchi di panico. Numerose classi di antidepressivi (i triciclici, gli
inibitori delle monoaminossidasi e gli inibitori selettivi della ricaptazione della
serotonina) sono efficaci. Gli antidepressivi più recenti, come la mirtazapina, il
nefazodone e la venlafaxina, fanno ben sperare per il trattamento del disturbo da
attacchi di panico. Le benzodiazepine (v. Tab. 187-2) hanno un effetto più rapido
degli antidepressivi ma hanno maggiore probabilità di indurre dipendenza fisica
ed effetti collaterali, come sonnolenza, atassia e problemi di memoria. Il
trattamento farmacologico deve essere a lungo termine, perché quando i farmaci
vengono sospesi, spesso gli attacchi di panico recidivano.

La terapia di esposizione, un tipo di terapia comportamentale in cui il paziente


viene messo a confronto con ciò di cui ha paura, spesso aiuta a ridurre tale
paura. Per esempio, ai pazienti che hanno paura di svenire viene chiesto di
roteare su una sedia o di iperventilare fino a sentirsi svenire, per apprendere così
che non perderanno i sensi quando avranno questo sintomo nel corso di un
attacco di panico. Una respirazione lenta e superficiale (controllo respiratorio)
aiuta a padroneggiare l’iperventilazione. Anche la psicoterapia cognitiva, in cui
vengono trattati i pensieri distorti e le convinzioni erronee, può essere efficace.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 187-1. Sintomi dell’attacco di panico

Dolore o fastidio al petto Vampate o brividi

Sensazione di soffocamento Nausea o disturbi addominali

Sensazioni di sbandamento, di Sensazioni di torpore o di


instabilità, di sveni mento formicolio

Paura di morire Palpitazioni o tachicardia

Paura di impazzire o di perdere il Respiro corto o sensazione di


controllo asfissia

Sensazioni di irrealtà, di stranezza, Sudorazione


di distacco dall’ambiente
Tremori fini o a grandi scosse

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 187-2. BENZODIAZEPINE PER L’ANSIA

Emivita, metaboliti
Dose iniziale compresi (h)†
Farmaco ordinaria (mg)*
Alprazolam 0,25-0,5tid 6-27

Clordiazepossido 5-25tid 24-48

Clonazepam 0,51volta/die o 18-50


bid
Clorazepato 15-30 1volta/die 40-100

Diazepam 2-5tid 20-100

Lorazepam 0,5-1bid o tid 10-20

Oxazepam 10-15tid 6-11

*Le dosi sono approssimative e possono necessitare di correzioni


a causa di fattori quali età, malattie associate, ed altri farmaci

†Le emivite sono molto variabili da paziente a paziente e da


studio a studio e, per i farmaci a lunga durata, aumentano
nell’anziano

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

DISTURBI FOBICI

Disturbi comportanti un’ansia persistente, irrealistica eppure intensa, collegata a


situazioni o stimoli esterni, a differenza dell’ansia liberamente fluttuante del
disturbo da attacchi di panico.

Sommario:

Introduzione
AGORAFOBIA
Sintomi e segni
Prognosi e terapia

FOBIE SPECIFICHE
Sintomi e segni
Terapia

FOBIA SOCIALE
Sintomi e segni
Terapia

I soggetti con una fobia evitano tali situazioni o stimoli, oppure li sopportano solo
con grande disagio. Tuttavia conservano l’autoconsapevolezza e riconoscono il
carattere eccessivo della propria ansia.

AGORAFOBIA

L’agorafobia è più frequente del disturbo da attacchi di panico. Colpisce il 3,8%


delle donne e l’1,8% degli uomini secondo stime di prevalenza a 6 mesi. Il picco
di esordio è intorno ai primi 20 anni; la comparsa dopo i 40 anni è rara.

Sintomi e segni

"Agorafobia", alla lettera, significa paura della piazza (agorà) o degli spazi aperti.
Più specificamente l’agorafobia comporta un’ansia anticipatoria verso le
situazioni in cui una persona può essere intrappolata senza una via d’uscita in
caso di insorgenza dell’ansia, e il desiderio di evitare tali situazioni. Per le
persone con agorafobia, quindi, risulta difficile fare la fila in banca o alle casse
dei supermercati, sedere in mezzo a una lunga fila di posti a teatro o a scuola e
usare i trasporti pubblici come l’autobus o l’aereo. Alcuni soggetti sviluppano
l’agorafobia in seguito a un attacco di panico verificatosi in una tipica situazione
agorafobica. Altri si sentono semplicemente a disagio in tale situazione, nella
quale possono non manifestare mai attacchi di panico, o averli solo
successivamente. L’agorafobia interferisce spesso con il funzionamento e se è
abbastanza grave si può arrivare a restare confinati in casa.

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Disturbi d'ansia

Prognosi e terapia

Se non viene trattata, l’agorafobia di solito ha un decorso di gravità fluttuante e


può scomparire senza un trattamento vero e proprio, probabilmente perché
alcuni soggetti affetti dal disturbo mettono in atto la propria personale forma di
terapia comportamentale.

Se l’agorafobia interferisce con il funzionamento, il trattamento di solito può


alleviare in maniera sostanziale la sofferenza e la disfunzionalità. Dato che la
fobia comporta l’evitamento, il trattamento di scelta è la terapia di esposizione, un
tipo di terapia comportamentale. Con la guida e il sostegno di un medico, i
pazienti affrontano ciò che temono ed evitano; vi si confrontano e vi restano in
contatto, finché l’ansia non viene gradualmente ridotta, attraverso un
meccanismo chiamato "adattamento progressivo". La terapia di esposizione
giova a più del 90% di coloro che la intraprendono con motivazione.

I pazienti con una depressione marcata possono aver bisogno di un


antidepressivo. Le sostanze con azione inibitoria sul SNC, come l’alcol o le
benzodiazepine ad alti dosaggi, possono interferire con la terapia
comportamentale; vanno quindi scalate gradualmente e a volte sospese, prima
che tale terapia possa avere efficacia. Per i soggetti che hanno anche un disturbo
da attacchi di panico grave, gli antidepressivi sono probabilmente da preferire
alle benzodiazepine, poiché hanno minori probabilità di interferire con la terapia
comportamentale.

FOBIE SPECIFICHE

Ansia clinicamente significativa indotta dall’esposizione a una situazione o un


oggetto specifici, che spesso causa evitamento.

Le fobie specifiche sono i più frequenti disturbi d’ansia ma spesso sono meno
importanti degli altri. Ne é affetto il 7% delle donne e il 4,3% degli uomini secondo
stime di prevalenza a 6 mesi.

Sintomi e segni

Alcune fobie specifiche causano inconvenienti lievi (p. es., la paura dei serpenti
in una persona che abita in città, fino a che non viene invitata a un’escursione in
un’area dove vivono serpenti). Tuttavia, alcune fobie interferiscono gravemente
con il funzionamento (p. es., la paura dei luoghi chiusi come gli ascensori, in un
soggetto che deve lavorare al piano più alto di un grattacielo).

Alcune fobie specifiche (p. es., degli animali, del buio, o degli estranei) insorgono
nell’infanzia e molte scompaiono successivamente senza trattamento. Altre
(p. es., la fobia dei temporali, dell’acqua, dell’altezza, del volo, o dei posti chiusi)
si manifestano tipicamente in età successiva. La fobia del sangue, delle iniezioni
o delle ferite si manifesta in grado variabile in almeno il 5% della popolazione. I
soggetti con questa fobia, a differenza di quelli con altre fobie o disturbi d’ansia,
possono svenire davvero, perché un riflesso vasovagale eccessivo produce
bradicardia e ipotensione ortostatica. Molte persone con disturbi d’ansia
iperventilano e si sentono svenire a causa di alterazioni dei livelli di gas ematici,
ma non svengono praticamente mai.

Terapia

Poiché la situazione che scatena l’ansia è ben determinata, l’evitamento della


situazione spesso è sufficiente. Quando è indicato un trattamento, la terapia di

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Disturbi d'ansia

esposizione è il trattamento di elezione. L’esposizione graduale all’agente


ansiogeno è di giovamento a quasi tutti quelli che la intraprendono. La presenza
di un terapeuta non è necessaria, ma può aiutare ad avere la garanzia che il
trattamento venga svolto correttamente. Anche le persone con la fobia del
sangue, delle iniezioni o delle ferite rispondono bene all’esposizione graduale.
Per esempio, si accosta un ago alla vena di un soggetto che sviene durante i
prelievi ematici, per poi allontanarlo quando la sua frequenza cardiaca si
abbassa. La procedura viene eseguita dapprima con il paziente sdraiato, per
prevenire una sincope da bradicardia marcata. Ripetendo questo procedimento, il
riflesso vasovagale eccessivo torna alla normalità e al soggetto può essere
prelevato il sangue senza che svenga, anche da seduto o in piedi.

I farmaci non sembrano giovare al superamento delle fobie semplici, ma le


benzodiazepine, caratterizzate da un effetto ansiolitico, possono essere utili nella
gestione a breve termine di alcune fobie, come la fobia del volo, quando il
soggetto non vuole intraprendere una terapia comportamentale o deve viaggiare
a breve scadenza.

FOBIA SOCIALE

Ansia clinicamente significativa indotta dall’esposizione ad alcune situazioni


sociali o prestazionali, che spesso causa evitamento.

L’uomo è un animale sociale e la sua capacità di relazionarsi adeguatamente


nelle situazioni sociali influenza molti aspetti importanti della sua vita, come la
famiglia, la scuola, il lavoro, il tempo libero, gli incontri amorosi e la scelta di
coppia.

Le fobie sociali colpiscono l’1,7% delle donne e l’1,3% degli uomini secondo
stime di prevalenza a 6 mesi. Tuttavia, studi epidemiologici più recenti
suggeriscono una prevalenza sostanzialmente maggiore nel corso della vita, di
circa il 13%. Gli uomini hanno maggiori probabilità delle donne di essere affetti
dalla forma più grave di ansia sociale, ovvero il disturbo di evitamento di
personalità (v. Cap. 191).

Sintomi e segni

Un certo grado di ansia nelle situazioni sociali è normale, ma i soggetti con fobia
sociale sono così ansiosi che evitano le situazioni sociali in cui la fobia si
manifesta, oppure le sopportano con grande disagio. Quasi sempre sono
consapevoli della propria ansia rispetto all’imbarazzo o all’umiliazione, evidenti
nel momento in cui l’interazione o la prestazione sociale non soddisfi le loro
aspettative.

Alcune fobie sociali sono specifiche, e causano ansia solo quando la persona
deve svolgere un’attività in pubblico. La stessa attività, se svolta da soli, non
produce ansia. Le situazioni in cui la fobia sociale è comune comprendono:
parlare in pubblico, recitare in una rappresentazione teatrale, suonare uno
strumento musicale. Anche mangiare in compagnia, firmare come testimoni o
usare i bagni pubblici possono essere considerate come prestazioni pubbliche. I
soggetti con fobia sociale hanno paura che la propria prestazione sembri
eccessiva o inadeguata. Spesso tale preoccupazione coincide con la paura che
l’ansia diventi visibile sotto forma di sudorazione, rossore, vomito o tremori (a
volte sotto forma di voce tremula), oppure che si possa perdere il filo dei propri
pensieri o non essere in grado di trovare le giuste parole per esprimersi. Il tipo
più generalizzato di fobia sociale produce ansia in molte situazioni sociali.

Alcune persone sono timide per natura e la loro timidezza infantile diviene più
tardi fobia sociale. Altri sperimentano per la prima volta un’ansia sociale
significativa intorno al periodo della pubertà. Una volta manifestatasi, la fobia

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Disturbi d'ansia

sociale senza trattamento spesso si cronicizza e molte persone evitano del tutto
le attività sociali desiderate.

Terapia

La terapia di esposizione è efficace, ma organizzare un’esposizione di durata


sufficiente a permettere l’adattamento progressivo può essere difficile. Per
esempio, se il principale fattore scatenante dell’ansia sociale per un soggetto è
parlare al cospetto del suo supervisore, egli può avere difficoltà a predisporre con
quel supervisore un numero di sessioni sufficiente a permettere l’adattamento
progressivo (ognuna di durata superiore a 1 h). Situazioni sostitutive come
l’iscrizione ai "Toastmaster" (un’organizzazione in cui le persone possono
esercitarsi a parlare in pubblico) oppure la lettura di un libro ai degenti di una
casa di cura, possono a volte ridurre l’ansia nel colloquio con il supervisore.

Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (p. es., la sertralina), gli
inibitori delle monoaminossidasi (p. es., la fenelzina) e le benzodiazepine (il
clonazepam è quello maggiormente studiato) sono efficaci. Molte persone usano
l’alcol come lubrificante sociale e una minoranza di essi ne diviene così
dipendente che l’abuso e la dipendenza da questa sostanza si fanno problematici.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO

Disturbo caratterizzato da idee, immagini o impulsi ricorrenti, involontari e


intrusivi che appaiono stupidi, strani, cattivi od orribili (ossessioni), nonché
dall’impulso di fare qualcosa che riduca la sofferenza causata dalle ossessioni
(compulsioni)

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

Il disturbo ossessivo-compulsivo si manifesta quasi nella stessa misura nel sesso


maschile e in quello femminile e colpisce l’1,6% della popolazione secondo stime
di prevalenza a 6 mesi.

Sintomi e segni

Il tema ossessivo dominante è il male, il rischio o il pericolo e le ossessioni più


comuni sono la contaminazione, il dubbio, la perdita e l’aggressività.
Tipicamente, i soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo si sentono spinti a
eseguire comportamenti intenzionali ripetitivi e afinalistici, chiamati rituali, per
controbilanciare le proprie ossessioni: i lavaggi controbilanciano la
contaminazione; i controlli, il dubbio; l’accumulo, la perdita. Essi possono evitare
le persone contro cui temono di potersi comportare in maniera aggressiva.
Possono sviluppare ossessioni per qualsiasi cosa e i rituali possono non essere
connessi in modo logico al disagio ossessivo che alleviano. Per esempio, il
disagio può svanire spontaneamente quando una persona che ha preoccupazioni
di contaminazione si mette le mani in tasca. Successivamente, egli metterà
ripetutamente le mani in tasca ogni volta che insorgono ossessioni di
contaminazione. La maggior parte dei rituali, come il lavaggio delle mani o il
controllo delle serrature, è osservabile, ma alcuni, come i conteggi ripetuti o le
frasi bisbigliate dirette a ridurre il pericolo, non lo sono.

La maggior parte dei soggetti con disturbo ossessivo-compulsivo è consapevole


che le proprie ossessioni non riflettono rischi reali, e che i comportamenti reali e
immaginari che mette in atto per alleviare le proprie preoccupazioni sono
irrealistici ed eccessivi sino alla bizzarria. La conservazione della
consapevolezza, sebbene a volte scarsa, differenzia il disturbo ossessivo-
compulsivo dai disturbi psicotici, in cui il contatto con la realtà viene perso.

Poiché le persone con questo disturbo provano imbarazzo o subiscono una


stigmatizzazione, spesso nascondono le proprie ossessioni e rituali, sui quali
possono trascorrere numerose ore al giorno. La depressione è una caratteristica
secondaria frequente, presente in circa 1/3 dei pazienti al momento della
diagnosi e in 2/3 in un dato momento della vita.

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Disturbi d'ansia

Terapia

La terapia di esposizione è efficace; il suo elemento essenziale è l’esposizione a


situazioni o persone che scatenano le ossessioni, i rituali, o il disagio. Dopo
l’esposizione, i rituali vengono ritardati o impediti, consentendo all’ansia
scatenata dall’esposizione di diminuire attraverso l’adattamento progressivo. Il
paziente apprende così che i rituali non sono necessari a diminuire il disagio. Il
miglioramento di solito persiste per anni, probabilmente perché i pazienti che
hanno imparato a gestire questo approccio di auto-aiuto continuano a usarlo
senza molto sforzo, come uno stile di vita, al termine del trattamento vero e
proprio.

Molti specialisti ritengono che l’associazione di terapia comportamentale e


farmacologica sia il trattamento migliore. Gli inibitori della ricaptazione della
serotonina (Serotonin Reuptake Inhibitors, SRI) ad alta potenza, quelli selettivi
(Selective Serotonin Reuptake Inhibitors, SSRI, p. es., la fluoxetina, la
fluvoxamina, la paroxetina, la sertralina) e la clomipramina (un antidepressivo
triciclico) sono efficaci. Per la maggior parte degli SSRI, le dosi basse (p. es.,
fluoxetina 20 mg/ die, fluvoxamina 100 mg/die, sertralina 50 mg) sono efficaci
quanto quelle alte. La dose minima efficace di paroxetina è di 40 mg. Alcuni dati
sono a sostegno dell’uso degli inibitori delle monoaminossidasi, che però sono
raramente indicati o necessari, perché la maggior parte dei pazienti risponde agli
SRI. L’uso dell’aloperidolo per aumentare l’effetto degli SRI è efficace in molti
pazienti con disturbo ossessivo-compulsivo e disturbi da tic (p. es., la sindrome di
Tourette). Anche il potenziamento con antipsicotici atipici può essere d’aiuto ai
pazienti con comorbilità per tic.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

DISTURBO POST-TRAUMATICO DA STRESS

Disturbo in cui un evento traumatico opprimente viene rivissuto, causando paura


intensa, senso di impotenza e di orrore ed evitamento degli stimoli associati al
trauma.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

Gli eventi stressanti comprendono lesioni fisiche gravi o eventi potenzialmente


letali per il soggetto o per altre persone, oppure la morte reale di altre persone;
nel corso dell’evento il soggetto prova paura intensa, impotenza oppure orrore.

La prevalenza nel corso della vita è almeno dell’1% e nelle popolazioni ad alto
rischio, come i reduci di guerra o le vittime di violenza criminale, è riportata una
prevalenza tra il 3 e il 58%.

Sintomi e segni

Quando accadono cose terribili, alcune persone ne restano colpite per lungo
tempo. In seguito, l’evento traumatico è rivissuto più volte, di solito nel corso di
incubi o "flashback" (scene retrospettive). Il soggetto evita costantemente gli
stimoli associati al trauma e ha un ottundimento della responsività generale agli
stimoli, come meccanismo per controllare i sintomi di una reazione d’allarme
crescente. I sintomi depressivi sono frequenti. A volte l’esordio dei sintomi è
ritardato, verificandosi dopo molti mesi o anche anni dall’evento traumatico. Se il
disturbo post-traumatico da stress è presente per più di 3 mesi, viene considerato
cronico. Anche se non viene trattato, il disturbo spesso migliora senza
scomparire; tuttavia alcuni soggetti restano gravemente invalidati.

Terapia

Il trattamento prevede la terapia comportamentale, quella farmacologica e la


psicoterapia. La terapia comportamentale prevede l’esposizione alle situazioni
innocue che il soggetto evita perché possono scatenare la reviviscenza del
trauma. La ripetuta esposizione di proiezioni immaginarie relative all’esperienza
traumatica generalmente riduce la sofferenza, dopo un iniziale aumento della
stessa. Può essere d’aiuto anche prevenire alcuni comportamenti ritualistici,
come i lavaggi eccessivi per sentirsi puliti dopo una aggressione sessuale. Gli
antidepressivi e gli ansiolitici sembrano di qualche beneficio, ma in genere sono
meno efficaci che negli altri disturbi d’ansia. Gli inibitori selettivi della ricaptazione
della serotonina (p. es., la fluoxetina, la fluvoxamina, la paroxetina, la sertralina)
e gli inibitori delle monoaminossidasi sembrano più efficaci.

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Disturbi d'ansia

Poiché l’ansia associata ai ricordi traumatici è spesso estremamente intensa, la


psicoterapia di sostegno riveste un ruolo importante. In particolare, i terapeuti
devono avere un atteggiamento apertamente empatico e comprensivo nel
riconoscimento del dolore psicologico dei pazienti e devono avvalorare la realtà
dell’esperienza traumatica. Allo stesso tempo, i terapeuti devono incoraggiare i
pazienti a fronteggiare i ricordi man mano che intraprendono la
desensibilizzazione comportamentale e apprendono le tecniche di controllo
dell’ansia, nel tentativo di modulare e integrare i ricordi nell’organizzazione
globale della personalità.

Oltre ad avere l’ansia trauma-specifica, i pazienti possono sentirsi in colpa per


aver avuto comportamenti aggressivi e distruttivi in un conflitto armato, o per
essere sopravvissuti a esperienze traumatiche in cui sono morti dei familiari o
degli amici stretti (il cosiddetto senso di colpa del sopravvissuto). In tali casi, può
essere utile una psicoterapia psicodinamica od orientata all’insight
(autoconsapevolezza), con lo scopo di aiutare i pazienti a comprendere e
modificare i propri atteggiamenti psicologici autocritici e punitivi.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

DISTURBO ACUTO DA STRESS

Il disturbo acuto da stress è simile al disturbo post-traumatico da stress per il


fatto che il soggetto ha subito un trauma, lo rivive, evita gli stimoli che glielo
ricordano e ha un’accentuazione della reazione d’allarme. Tuttavia, per
definizione, il disturbo acuto da stress inizia entro 4 sett. dall’evento traumatico e
dura un minimo di 2 sett. ma non più di 4. Un soggetto con questo disturbo ha tre
o più dei seguenti sintomi dissociativi: senso di ottundimento, di distacco o di
assenza di reattività emozionale; riduzione della consapevolezza dell’ambiente
(p. es., stupore); sensazione che le cose siano irreali; sensazione di essere egli
stesso irreale; amnesia per una parte importante del trauma.

La prevalenza del disturbo acuto da stress è sconosciuta, ma è presumibilmente


proporzionale alla gravità del trauma e all’entità dell’esposizione ad esso.

Molti soggetti guariscono se allontanati dalla situazione traumatica, se viene


fornito loro un sostegno adeguato sotto forma di comprensione ed empatia verso
la propria sofferenza e se viene loro offerta l’opportunità di descrivere ciò che è
successo e le proprie reazioni al trauma. Molti traggono beneficio dal descrivere
numerose volte la propria esperienza. I farmaci ipnoinducenti possono essere di
giovamento, mentre non sono probabilmente indicati altri farmaci, poiché
potrebbero interferire con il processo di guarigione spontanea.

file:///F|/sito/merck/sez15/1871631a.html02/09/2004 2.03.52
Disturbi d'ansia

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15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

DISTURBO D'ANSIA GENERALIZZATA

Ansia e preoccupazione eccessive, pressoché quotidiane per 6 mesi, nei


confronti di numerose attività o eventi.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

Il disturbo da ansia generalizzata è frequente, poiché interessa dal 3 al 5% della


popolazione in un anno. Le donne hanno una probabilità due volte maggiore
degli uomini di esserne colpite. Questo disturbo spesso esordisce nell’infanzia o
nell’adolescenza, ma può esordire a qualsiasi età.

Sintomi e segni

L’ansia e la preoccupazione sono così marcate da divenire difficilmente


controllabili. La gravità, la frequenza o la durata della preoccupazione sono molto
esagerate rispetto a quanto richiederebbe la situazione se si verificasse. Il fulcro
delle preoccupazioni non è circoscritto, come in altri disturbi psichiatrici (p. es.,
preoccupazione di poter avere un attacco di panico, di provare imbarazzo in
pubblico, o di essere contaminato). Le preoccupazioni più comuni comprendono
le responsabilità lavorative, il denaro, la salute, la sicurezza, le riparazioni della
macchina e le faccende domestiche. Un soggetto con questo disturbo deve
inoltre avere tre o più dei sintomi seguenti: irrequietezza, faticabilità insolita,
difficoltà di concentrazione, irritabilità, tensione muscolare e disturbi del sonno. Il
decorso è di solito fluttuante e cronico, con peggioramenti sotto stress.

Terapia

Le benzodiazepine (v. Tab. 187-2), a dosi da basse a moderate, sono spesso


efficaci, sebbene un uso prolungato possa causare dipendenza fisica. Di
conseguenza e se occorre, la benzodiazepina va quindi ridotta lentamente e non
sospesa bruscamente. I benefici che si ottengono di solito compensano qualsiasi
lieve effetto collaterale, così come la possibilità di una dipendenza farmacologica.

Anche il buspirone è efficace per alcuni pazienti, sebbene i suoi effetti abbiano
inizio dopo almeno 2 sett., laddove le benzodiazepine fanno effetto in pochi
minuti. Il buspirone non produce dipendenza. Anche alcuni antidepressivi sono
efficaci.

I benefici della terapia comportamentale sono limitati, perché è difficile


specificare i fattori scatenanti ansia ai quali il soggetto può venire esposto. Il
rilassamento e il biofeedback possono essere di qualche aiuto, sebbene gli studi
che ne hanno documentato l’efficacia siano scarsi. La psicoterapia orientata

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Disturbi d'ansia

all’insight non è stata studiata sistematicamente in questo disturbo.

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Disturbi d'ansia

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

187. DISTURBI D'ANSIA

ANSIA DOVUTA A UN DISTURBO FISICO O A UNA SOSTANZA

L’ansia può essere secondaria a disturbi fisici, come disturbi neurologici (p. es.,
traumi cerebrali, infezioni, disturbi dell’orecchio interno), disturbi cardiovascolari
(p. es., insufficienza cardiaca, aritmie), disturbi endocrini (p. es., iperattività delle
ghiandole surrenali o della tiroide) e disturbi respiratori (p. es., asma, malattie
polmonari croniche ostruttive). Può essere causata anche dall’uso di sostanze
come alcol, stimolanti, caffeina, cocaina, svariati farmaci prescrivibili. Inoltre,
l’astinenza da sostanze si associa di solito ad ansia.

Il trattamento deve essere diretto alle cause primitive piuttosto che ai sintomi
ansiosi secondari. Se l’ansia persiste dopo che il disturbo fisico è stato trattato
nella maniera più efficace possibile, oppure dopo che la sostanza che la
provocava è stata sospesa da un tempo sufficiente perché i sintomi di astinenza
siano scomparsi, vi è l’indicazione per il trattamento dell’ansia con i farmaci
adeguati, con la terapia comportamentale o con la psicoterapia.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

188. DISTURBI DISSOCIATIVI

Perdita dell’integrazione normale dei propri ricordi, percezioni, identità o


coscienza.

Chiunque può sperimentare occasionalmente la dissociazione, senza che questa


abbia effetti dirompenti. Per esempio, una persona può guidare per un certo
tragitto e poi accorgersi di non ricordarne molti particolari, perché era assorto in
preoccupazioni personali, nell’ascolto di un programma radiofonico, o era intento
nella conversazione con un passeggero. La percezione del dolore può dissociarsi
sotto ipnosi. Tuttavia, altre forme di dissociazione destrutturano il senso di sé e la
ricostruzione degli eventi di vita. Quando un ricordo è scarsamente integrato, si
manifesta l’amnesia dissociativa. Quando l’identità è frammentata insieme alla
memoria, si manifesta la fuga dissociativa o il disturbo dissociativo
dell’identità. Quando sono destrutturate l’esperienza e la percezione di sé, si
manifesta il disturbo di depersonalizzazione.

I disturbi dissociativi di solito sono associati a uno stress insopportabile, che può
essere causato da eventi di vita traumatici, da incidenti o da disastri vissuti in
prima persona o di cui si è stati testimoni, oppure da un conflitto interiore
intollerabile che costringe la mente a separarsi da informazioni e sentimenti
incompatibili o inaccettabili.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

188. DISTURBI DISSOCIATIVI

AMNESIA DISSOCIATIVA

Incapacità di ricordare importanti informazioni personali, solitamente di natura


traumatica o stressante, che risulta troppo estesa per essere spiegata dal
normale oblio.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e diagnosi
Prognosi e terapia

L’informazione perduta sarebbe normalmente parte di quella consapevolezza


conscia che potrebbe definirsi memoria autobiografica (p. es., chi siamo, cosa
abbiamo fatto, da dove veniamo, con chi abbiamo parlato, cosa è stato detto,
pensato, vissuto e provato). Le informazioni perdute a volte influenzano il
comportamento da "dietro le quinte".

Sono caratteristici uno o più episodi di vuoti di memoria, che coprono da pochi
minuti a poche ore o giorni. Qualcuno dimentica alcuni, ma non tutti, gli eventi di
un certo periodo; altri non riescono a ricordare anni interi o tutta la propria vita, o
dimenticano le cose man mano che si verificano. Di solito il periodo di tempo
dimenticato ha confini netti. La maggior parte dei pazienti è consapevole di aver
"perso del tempo", ma alcuni hanno un’"amnesia per l’amnesia" e si rendono
conto del tempo perduto solo quando trovano le prove di aver fatto cose che non
ricordano, o se vengono costretti a prenderne atto.

L’incidenza dell’amnesia dissociativa è sconosciuta, ma è più frequente tra i


giovani adulti ed è comunemente associata a esperienze traumatiche. Sono stati
riferiti numerosi casi di amnesia per episodi di abuso sessuale nell’infanzia, il
ricordo dei quali viene recuperato nell’età adulta. Sebbene l’amnesia per il
trauma, una volta manifestatasi, possa in seguito essere annullata con il
trattamento, grazie a un evento o attraverso l’esposizione a determinate
informazioni, vi sono controversie considerevoli circa tali ricostruzioni e la loro
attendibilità è spesso impossibile da stabilire.

Eziologia

L’amnesia dissociativa sembra causata dallo stress associato a esperienze


traumatiche subite direttamente o di cui si è stati testimoni (p. es., abusi fisici o
sessuali, stupro, combattimenti, disastri naturali); a grossi problemi esistenziali
(p. es., abbandono, morte di una persona amata, problemi finanziari); oppure a
conflitti interiori gravi (p. es., il turbamento per impulsi generanti senso di colpa,
per difficoltà interpersonali apparentemente irrisolvibili, per atti criminali). Oltre a
ciò, si ritiene che alcuni soggetti siano più predisposti all’amnesia, p. es., quelli
facilmente ipnotizzabili.

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Disturbi dissociativi

Sintomi e diagnosi

Il più comune sintomo di amnesia dissociativa è una perdita di memoria riferita a


un dato periodo di tempo. I soggetti osservati subito dopo l’inizio dell’amnesia
possono apparire confusi. Alcuni sono molto disturbati dalla propria amnesia, altri
meno. Gli altri sintomi e preoccupazioni dipendono dall’importanza di ciò che si è
dimenticato, dalla relazione tra la dimenticanza e i problemi e conflitti del
soggetto o dalle conseguenze del comportamento dimenticato.

Quando l’amnesia dissociativa è un sintomo di un altro disturbo psichiatrico, non


viene diagnosticata come disturbo a sé stante. La diagnosi si basa sull’esame
fisico e psichiatrico, con analisi delle urine e del sangue per escludere cause
tossiche delle amnesie, come l’uso di sostanze illecite. Un EEG può aiutare a
escludere dalle cause un disturbo convulsivo. I test psicologici possono essere
utili per caratterizzare la natura dell’esperienza dissociativa.

Prognosi e terapia

La maggior parte dei pazienti recupera i ricordi che sembravano perduti e


l’amnesia si risolve. Tuttavia, alcuni non riescono più a rompere le barriere per
ricostruire il passato mancante. La prognosi è determinata principalmente dalle
circostanze di vita del paziente, in particolare dagli eventi stressanti e dai conflitti
associati all’amnesia e dall’adattamento psicologico globale del paziente.

Il trattamento inizia con la creazione di un ambiente di supporto che stabilisce un


senso di sicurezza. Questo provvedimento da solo spesso conduce a un
graduale recupero spontaneo dei ricordi perduti. Quando ciò non avviene, oppure
quando il bisogno di recuperare i ricordi è urgente, spesso hanno successo
alcune tecniche di recupero della memoria, come interrogare il paziente sotto
ipnosi o in uno stato di semi-ipnosi indotto da farmaci. Queste tecniche vanno
messe in atto con molta delicatezza, perché le circostanze che hanno favorito la
perdita di memoria verranno probabilmente rievocate e provocheranno un grave
turbamento. L’attendibilità dei ricordi recuperati con tali strategie può essere
determinata soltanto attraverso conferme esterne. Comunque, riempire i vuoti
quanto più possibile è spesso terapeuticamente utile a ricostituire la continuità
dell’identità e del senso di sé del paziente. Cessata l’amnesia, il trattamento aiuta
il paziente a chiarire il trauma o i conflitti e a risolvere i problemi associati
all’episodio amnestico.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

188. DISTURBI DISSOCIATIVI

FUGA DISSOCIATIVA

Uno o più episodi di amnesia in cui si manifesta un’incapacità di ricordare una


parte o la totalità del proprio passato, nonché la perdita della propria identità o la
formazione di un’identità nuova, insieme a un’improvvisa, inaspettata e
afinalistica fuga da casa.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e diagnosi
Prognosi e terapia

La fuga può durare da alcune ore a sett. o mesi, occasionalmente più a lungo.
Durante la fuga, il soggetto può sembrare normale e non attrarre l’attenzione.
Può assumere un nome, un’identità e un domicilio nuovi e può intraprendere
interazioni sociali complesse. Tuttavia, a un certo punto, i dubbi sulla propria
identità o il ritorno all’identità originale possono dare al soggetto la
consapevolezza dell’amnesia o provocargli disagio.

La prevalenza della fuga dissociativa è stata stimata allo 0,2%, ma è molto più
frequente in concomitanza di guerre, incidenti e disastri naturali. I soggetti con
disturbo dissociativo dell’identità (v. oltre) spesso manifestano comportamenti di
fuga.

Eziologia

Le cause sono simili a quelle dell’amnesia dissociativa (v. sopra), con alcuni
fattori addizionali. La fuga viene spesso ritenuta una simulazione, perché può
sottrarre il soggetto alla responsabilità delle proprie azioni, può liberarlo da
determinate responsabilità, oppure può ridurre la sua esposizione a un rischio
(come l’assegnazione a un lavoro pericoloso). Molte fughe rappresentano la
soddisfazione di un desiderio nascosto. Per esempio, un dirigente con problemi
finanziari può abbandonare la sua vita frenetica e andare a vivere come
contadino in campagna. La fuga può sottrarre il paziente a una situazione
imbarazzante o a uno stress intollerabile, oppure può essere legata a problemi di
rifiuto o separazione. Per esempio, la fuga può in realtà voler dire: "Non sono io
quello che ha scoperto che la propria moglie è infedele". Alcune fughe sembrano
proteggere il soggetto da impulsi di suicidio o di omicidio.

Sintomi e diagnosi

Il soggetto spesso non ha sintomi, oppure è solo lievemente confuso durante la


fuga. Tuttavia, al termine della fuga possono comparire depressione, sconforto,
afflizione, vergogna, conflittualità intensa e impulsi di suicidio o aggressivi (il
soggetto, cioè, deve affrontare ciò da cui è fuggito. L’impossibilità di ricordare gli

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Disturbi dissociativi

eventi della fuga può causare confusione, disagio o persino terrore.

Una fuga viene riconosciuta di rado mentre è in corso. Viene sospettata quando
un soggetto appare confuso circa la propria identità o perplesso sul proprio
passato, oppure polemizza quando gli viene contestata la sua nuova identità o
l’assenza di un’identità. A volte la fuga non può essere diagnosticata fino a
quando il soggetto non torna improvvisamente alla sua identità pre-fuga e si
sente a disagio ritrovandosi in circostanze non familiari. La diagnosi viene di
solito posta retrospettivamente, basandosi sull’anamnesi documentata delle
circostanze precedenti il viaggio, sul viaggio stesso e sulla creazione di una vita
parallela. Sebbene la fuga dissociativa possa recidivare, i pazienti con fughe
frequenti ed evidenti di solito hanno un disturbo dissociativo dell’identità (v. oltre).

Prognosi e terapia

La maggior parte delle fughe è breve e autolimitante. A meno che prima o


durante la fuga non si sia verificato un comportamento che abbia le sue
specifiche complicanze, la compromissione è di solito lieve e passeggera. Se la
fuga è stata prolungata e vi sono complicanze rilevanti dovute al comportamento
prima o dopo di essa, il soggetto può avere notevoli difficoltà (p. es., un soldato
può essere accusato di diserzione e un soggetto che si sposa può diventare
bigamo senza volerlo.

Nei rari casi in cui il soggetto è ancora in stato di fuga, è importante recuperare
informazioni sulla sua vera identità (possibilmente con l’aiuto delle forze
dell’ordine e del personale dei servizi sociali), ricostruire il motivo per cui tale
identità è stata abbandonata e facilitarne la riacquisizione.

Il trattamento prevede i metodi usati per l’amnesia dissociativa (v. sopra), come
l’ipnosi o il colloquio con induzione farmacologica. Tuttavia, gli sforzi per
recuperare i ricordi del periodo di fuga spesso non hanno successo. Lo psichiatra
può aiutare la persona a esplorare gli schemi interiori e interpersonali attraverso
cui vengono gestiti i tipi di situazioni, di conflitti e di stati d’animo che hanno
scatenato la fuga, per prevenire un ulteriore comportamento di questo tipo.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

188. DISTURBI DISSOCIATIVI

DISTURBO DISSOCIATIVO DELL’IDENTITA'

(Disturbo di personalità multipla)

Disturbo caratterizzato da due o più identità o personalità, che alternativamente


prendono il sopravvento nel comportamento del soggetto.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi
Terapia

È presente un’amnesia che comporta l’incapacità di ricordare importanti


informazioni personali correlate ad alcune delle identità. L’amnesia non è
uniforme in tutte le personalità; ciò che è sconosciuto a una personalità può
essere noto a un’altra. Alcune personalità sembrano conoscere le altre e
interagire con esse in un elaborato mondo interiore. Per esempio, alcune
personalità di cui la personalità A è inconsapevole possono essere a conoscenza
della personalità A e sapere ciò che fa, come se osservassero il suo
comportamento. Altre possono essere inconsapevoli della personalità A oppure
esserne a conoscenza, ma non avere contemporaneità di coscienza (la
consapevolezza simultanea degli eventi da parte di più di una personalità) con
essa.

Il disturbo dissociativo dell’identità è grave e cronico e può condurre a disabilità e


invalidità. È associato a un’elevata incidenza di tentativi di suicidio ed è ritenuto il
disturbo mentale con maggiori probabilità di esito in suicidio.

Numerosi studi mostrano che un disturbo dissociativo dell’identità


precedentemente non diagnosticato è presente nel 3-4% dei pazienti psichiatrici
acuti ospedalizzati e in una minoranza ragguardevole dei pazienti nelle strutture
per il trattamento dell’abuso di sostanze psicoattive. Sembra sia abbastanza
comune, essendo stato diagnosticato in maniera crescente negli ultimi anni in
ragione della sua aumentata conoscenza, del miglioramento dei metodi
diagnostici e della migliore conoscenza del maltrattamento infantile e delle sue
conseguenze. Sebbene alcuni esperti ritengano che l’aumento del riscontro di
questo disturbo rifletta l’influenza dei medici su pazienti suggestionabili, nessuna
evidenza certa avvalora questa opinione.

Eziologia

Il disturbo dissociativo dell’identità viene attribuito all’interazione di numerosi


fattori, tra cui: gli stress insostenibili; la funzione dissociativa (comportante la
capacità di dissociare i propri ricordi e percezioni, o la propria identità, dalla
consapevolezza conscia); la fissazione difensiva alle normali tappe evolutive;

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Disturbi dissociativi

nell’infanzia, la mancanza di sufficiente accudimento e compassione in risposta


alle esperienze dolorose, oppure la mancanza di protezione contro nuove
esperienze insopportabili. I bambini non nascono con il senso dell’unità dell’Io,
che si sviluppa successivamente da molte fonti ed esperienze. Lo sviluppo dei
bambini con gravi maltrattamenti viene ostacolato e molte parti di ciò che
sarebbe confluito in un’identità relativamente unificata restano separate. Studi
effettuati nell’America settentrionale mostrano che il 97-98% degli adulti con
disturbo dissociativo dell’identità riferisce abusi infantili, che possono essere
documentati per l’85% degli adulti e per il 95% dei bambini e degli adolescenti
con disturbo dissociativo dell’identità e con altre forme di disturbi dissociativi
strettamente correlate. Sebbene questi dati confermino che l’abuso infantile è la
causa principale tra i pazienti nordamericani (in alcune culture, le conseguenze di
guerre e di catastrofi rivestono un ruolo maggiore), non stanno a significare che
tutti questi pazienti abbiano subito abusi, o che tutti gli abusi riferiti dai pazienti
con disturbo dissociativo dell’identità siano accaduti davvero. Determinati aspetti
di alcune esperienze di abuso riferite possono rivelarsi inesatti. Inoltre, alcuni
pazienti non hanno subito abusi, ma hanno subito una perdita precoce
importante (come la morte di un genitore), una malattia grave, o altri eventi molto
stressanti. Per esempio, un paziente che abbia avuto necessità di numerosi
ricoveri e interventi chirurgici nell’infanzia può avere avuto esperienze molto
difficili da sostenere, ma non aver subito abusi.

Lo sviluppo individuale richiede che i bambini siano in grado di integrare


efficacemente diversi e complessi tipi di informazioni. Quando i bambini
conseguono appercezioni coesive e complesse di se stessi e degli altri,
attraversano delle fasi in cui percezioni ed emozioni differenti vengono tenute
separate. Ogni fase evolutiva può essere usata per produrre dei sé differenti.
Non tutti i bambini che subiscono abusi, oppure gravi perdite e traumi, hanno la
capacità di sviluppare personalità multiple. I pazienti con disturbo dissociativo
dell’identità sono facilmente ipnotizzabili. Questa capacità, strettamente correlata
alla capacità di dissociarsi, è ritenuta un fattore predisponente alla
manifestazione del disturbo. Tuttavia, la maggior parte dei bambini che presenta
queste capacità ha anche meccanismi di adattamento normali ed è protetta e
tranquillizzata dagli adulti in modo sufficiente a prevenire lo sviluppo di un
disturbo dissociativo dell’identità.

Sintomi e segni

I pazienti spesso presentano un corteo sintomatologico che può somigliare ad


altri disturbi neurologici e psichiatrici, come disturbi d’ansia, disturbi di
personalità, disturbi schizofrenici e affettivi e disturbi convulsivi. La maggior parte
ha sintomi di depressione, manifestazioni d’ansia (sudorazione, tachicardia,
palpitazioni), fobie, attacchi di panico, sintomi fisici, disfunzioni sessuali, disturbi
del comportamento alimentare e disturbi post-traumatici da stress. I pensieri e i
tentativi di suicidio sono comuni, così come gli episodi di automutilazione. Molti
soggetti hanno fatto abuso di sostanze psicoattive per un certo periodo.

L’alternarsi delle personalità e le barriere amnestiche esistenti tra esse spesso


determinano un caos esistenziale. Poiché le personalità spesso interagiscono tra
loro, i pazienti con disturbo dissociativo dell’identità spesso riferiscono di sentire
delle conversazioni interne e le voci delle altre personalità, che spesso fanno
commenti sul paziente o gli si rivolgono direttamente. Le voci sono vissute come
allucinazioni.

Diversi sintomi sono caratteristici del disturbo dissociativo dell’identità: quadri


sintomatologici fluttuanti; livelli di funzionamento altrettanto fluttuanti, da quello
elevato all’invalidità; cefalee gravi o altri dolori somatici; distorsioni e lacune
temporali, amnesie; depersonalizzazione e derealizzazione. Il termine
depersonalizzazione si riferisce alla sensazione di irrealtà, di estraniazione dal
proprio sé e di distacco dai propri processi fisici e mentali. Il paziente ha la
sensazione di osservare dal di fuori la propria esistenza e può realmente vedere
se stesso come se stesse guardando un film. Il termine derealizzazione si
riferisce all’esperienza di percepire le persone e l’ambiente circostante, altrimenti
familiari, come se fossero sconosciuti, strani o irreali.

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Disturbi dissociativi

I soggetti con disturbo dissociativo dell’identità vengono spesso a conoscenza


delle cose che hanno fatto, ma non ricordano dei notevoli cambiamenti nel loro
comportamento. Possono scoprire oggetti, produzioni o scritti che non possono
spiegare o riconoscere; possono riferirsi a se stessi in prima persona plurale (noi)
o in terza persona (lui, lei, loro); possono avere amnesia per gli eventi accaduti
tra i 6 e gli 11 anni. L’amnesia per gli eventi precoci è normale e diffusa.

Poiché il disturbo dissociativo dell’identità tende a somigliare ad altri disturbi


psichiatrici, i pazienti di solito raccontano di avere ricevuto tre o più diverse
diagnosi psichiatriche e di fallimenti terapeutici precedenti. Complessivamente,
sono molto preoccupati per problemi di controllo, sia di autocontrollo che di
controllo degli altri.

Diagnosi

La diagnosi richiede una valutazione medica e psichiatrica, che comprende


domande specifiche sui fenomeni dissociativi. In alcune circostanze, lo psichiatra
può usare interviste prolungate, l’ipnosi o interviste con farmaco-induzione e può
chiedere al paziente di tenere un diario tra le visite. Tutti questi provvedimenti
favoriscono il cambiamento degli stati di personalità durante la valutazione. Vi
sono delle interviste formulate ad hoc che possono aiutare l’identificazione dei
pazienti con disturbo dissociativo dell’identità.

Lo psichiatra può tentare di contattare ed elicitare le altre personalità, chiedendo


di parlare alla parte della mente coinvolta nei comportamenti per i quali il
paziente è amnestico, o che sono stati vissuti in modo depersonalizzato o
derealizzato.

Prognosi

I pazienti possono essere divisi in tre gruppi rispetto alla prognosi. Quelli del
primo gruppo hanno sintomi prevalentemente dissociativi e caratteristiche post-
traumatiche, hanno un funzionamento generalmente buono e di solito guariscono
completamente con un trattamento specifico. Quelli del secondo gruppo hanno
sintomi di altri disturbi psichiatrici gravi, come disturbi di personalità, dell’umore,
del comportamento alimentare e da abuso di sostanze. Questi ultimi migliorano
più lentamente e il trattamento può essere meno efficace oppure più lungo e più
problematico. I pazienti del terzo gruppo non solo hanno una psicopatologia
grave concomitante, ma restano anche strettamente legati alle persone da cui
avrebbero subito abuso. Il trattamento è spesso lungo e confuso e ha lo scopo di
ridurre e alleviare i sintomi, piuttosto che di conseguire l’integrazione delle
personalità. A volte la terapia aiuta anche i pazienti con la prognosi più
sfavorevole a fare rapidi progressi verso la guarigione.

Terapia

I sintomi vanno e vengono spontaneamente, ma il disturbo dissociativo


dell’identità non guarisce altrettanto spontaneamente. I farmaci aiutano a gestire
sintomi specifici, ma non incidono sul disturbo di per sé. Tutti i trattamenti di
provata efficacia che mirano a conseguire l’integrazione, comportano una
psicoterapia indirizzata specificamente al disturbo dissociativo dell’identità. Alcuni
pazienti sono incapaci di perseguire l’integrazione, o restii a farlo. Per loro, il
trattamento deve mirare a facilitare la cooperazione e la collaborazione tra le
personalità, e a ridurre i sintomi. Questo trattamento è spesso difficile e doloroso;
inoltre tendono a presentarsi numerose crisi, come conseguenza degli atti delle
diverse personalità e della disperazione del paziente, quando affronta i ricordi
traumatici. Uno o più ricoveri psichiatrici possono essere necessari ad aiutare

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Disturbi dissociativi

alcuni pazienti in periodi particolarmente difficili, e durante l’elaborazione di


ricordi particolarmente dolorosi. L’ipnosi viene spesso usata per facilitare
l’accesso alle personalità e la comunicazione tra di esse, nonché per stabilizzarle
e interpretarle. Viene usata anche per discutere i ricordi traumatici e per diluire il
loro impatto. La desensibilizzazione e il ricondizionamento dei movimenti oculari,
(Eye Movement Desensitization and reprocessing, EMDR), applicati con cautela,
sono un ausilio utile. La EMDR cerca di elaborare i ricordi traumatici, e di
sostituire con pensieri positivi i pensieri negativi su se stessi, associati a questi
ricordi.

Generalmente sono necessarie due o più sedute psicoterapiche a sett. per un


periodo da 3 a 6 anni, per integrare le personalità o per ottenere una armoniosa
interazione tra esse, che consenta un funzionamento normale in assenza di
sintomi. L’integrazione delle personalità è l’esito più desiderabile.

La psicoterapia ha tre fasi principali. Nella prima fase, la priorità è la sicurezza, la


stabilizzazione e il rafforzamento del paziente, in vista del difficile lavoro di
elaborazione del materiale traumatico e di gestione delle personalità
problematiche. Il sistema di personalità viene esaminato e descritto allo scopo di
pianificare il resto del trattamento. Nella seconda fase il paziente viene aiutato a
elaborare gli episodi dolorosi del suo passato, e a sostenere il dolore per le
perdite e le altre conseguenze negative del trauma. Quando vengono individuati i
motivi delle restanti dissociazioni del paziente, la terapia può entrare nella fase
finale, in cui i sé del paziente, le sue relazioni e il suo funzionamento sociale
possono essere ricollegati, integrati, e riabilitati. Un certo grado di integrazione si
verifica spontaneamente, ma la gran parte deve essere incoraggiata parlando
con le diverse personalità e organizzandone l’unificazione, oppure deve essere
facilitata attraverso l’immaginazione e la suggestione ipnotica. Acquisita
l’integrazione, i pazienti continuano il trattamento per far fronte ad alcune
questioni che possono non essere state risolte. Allorché il trattamento post-
integrazione appare completo, le visite presso il terapeuta vengono diminuite, ma
di rado vengono completamente sospese. I pazienti arrivano a considerare lo
psichiatra come una persona che può aiutarli a gestire i propri problemi
psicologici, allo stesso modo in cui hanno bisogno periodicamente dell’assistenza
del medico di base.

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Disturbi dissociativi

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

188. DISTURBI DISSOCIATIVI

DISTURBO DI DEPERSONALIZZAZIONE

Sensazioni persistenti o ricorrenti di essere distaccati dal proprio corpo o dai


propri processi mentali, di solito con la sensazione di osservare dall’esterno la
propria esistenza.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e diagnosi
Prognosi e terapia

La depersonalizzazione è il terzo sintomo psichiatrico più frequente, e si verifica


spesso nel corso di una situazione di rischio potenzialmente letale, come
incidenti, aggressioni, malattie e lesioni gravi; può verificarsi come sintomo in
molti altri disturbi psichiatrici e nei disturbi convulsivi. Come disturbo a sé stante,
la depersonalizzazione non è stata studiata approfonditamente e l’incidenza e
l’eziologia sono sconosciute.

Sintomi e diagnosi

I pazienti hanno una percezione distorta di loro stessi, del proprio corpo e della
propria vita, che li fa sentire a disagio. Il soggetto può sentirsi come un automa o
come in un sogno. Spesso i sintomi sono transitori e si manifestano insieme
all’ansia, al panico o a sintomi fobici. Tuttavia, i sintomi possono essere cronici e
perdurare o recidivare per molti anni. I pazienti spesso descrivono con grande
difficoltà i loro sintomi e possono temere o credere che i sintomi significhino che
stanno impazzendo. Il paziente spesso si sente irreale e può sentire anche il
mondo come irreale e simile a un sogno.

Alcuni pazienti hanno una menomazione minima; altri sviluppano menomazioni


gravi o persino invalidità. Sebbene alcuni soggetti possano adattarsi al disturbo di
depersonalizzazione o persino bloccarne gli effetti, altri sono in costante stato
d’ansia per il proprio stato mentale, hanno paura di impazzire, oppure rimuginano
sulle implicazioni delle proprie percezioni corporee distorte e sul senso di
estraniazione da se stessi e dal mondo.

La diagnosi viene posta sulla base dei sintomi. Il medico deve escludere disturbi
fisici, abuso di sostanze e altri disturbi dissociativi. È utile eseguire i test
psicologici e le interviste specifiche.

Prognosi e terapia

Una guarigione completa è possibile per molti pazienti, specialmente per quelli i
cui sintomi si manifestano in occasione di fattori stressanti che possono essere
affrontati nel trattamento. Altri pazienti non rispondono in modo soddisfacente al
trattamento, ma possono migliorare gradualmente in modo spontaneo.

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Disturbi dissociativi

La sensazione di depersonalizzazione è spesso passeggera e recede


spontaneamente. Il trattamento è giustificato solo se il disturbo è persistente,
recidivante, oppure genera sofferenza. Diverse psicoterapie (p. es., la
psicoterapia psicodinamica, la terapia cognitivo-comportamentale, l’ipnosi) sono
efficaci per alcuni pazienti, ma nessun trattamento si è rivelato efficace per tutti.
Gli ansiolitici e gli antidepressivi hanno giovato ad alcuni pazienti. È necessario
curare anche gli altri disturbi psichiatrici, spesso associati o scatenati dalla
depersonalizzazione. Il trattamento deve individuare tutti i fattori stressanti
associati all’esordio del disturbo.

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Disturbi dell'umore

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

189. DISTURBI DELL'UMORE

(Disturbi affettivi)

Gruppo di malattie eterogenee, tipicamente ricorrenti, che comprende i disturbi


monopolari (depressivi) e quelli bipolari (maniaco-depressivi), caratterizzati da
alterazioni pervasive dell’umore, disfunzioni psicomotorie e sintomi vegetativi.

(Per i disturbi dell’umore nell’infanzia, v. il Cap. 274)

Sommario:

Introduzione
Epidemiologia
Eziologia
Rischio di suicidio
Diagnosi

La pratica diagnostica attuale pone l’accento sulla depressione e sull’euforia


come i componenti affettivi fondamentali dei disturbi dell’umore. Tuttavia, l’ansia
e l’irritabilità sono altrettanto comuni, il che spiega la persistente popolarità del
termine più generico "disturbo affettivo", la precedente denominazione ufficiale.

La tristezza e la gioia fanno parte della vita quotidiana e vanno distinte dalla
depressione clinica e dall’euforia patologica. La tristezza, o depressione normale,
è una risposta universale dell’uomo alle sconfitte, alle delusioni e ad altre
avversità; tale risposta può essere di tipo adattativo, permettendo un ritiro che
preservi le risorse interiori. La depressione passeggera ("blues") si può avere
come reazione ad alcune festività o anniversari significativi, durante la fase
premestruale e nelle prime 2 sett. dopo un parto. Tali reazioni non sono anormali,
ma le persone predisposte alla depressione possono scompensarsi proprio in
questi periodi.

Il cordoglio (lutto normale), prototipo della depressione reattiva, si presenta in


risposta a separazioni e perdite significative (p. es., morte, separazione
coniugale, delusioni amorose, abbandono dell’ambiente familiare, emigrazione
forzata, catastrofi civili). Il cordoglio può manifestarsi con sintomi d’ansia come
insonnia, agitazione, iperattività del sistema nervoso autonomo. Analogamente
ad altre avversità, in genere le separazioni e le perdite non causano una
depressione clinica, eccetto che nelle persone predisposte a un disturbo
dell’umore.

L’euforia, di solito legata al successo e al raggiungimento di obiettivi, è a volte


considerata come una difesa contro la depressione o come negazione del dolore
di una perdita (p. es., una rara forma di reazione al lutto in cui un’iperattività
euforica può sostituire completamente il più prevedibile cordoglio). Nei soggetti
predisposti, tali reazioni possono condurre alla mania. Una depressione
paradossa può far seguito a eventi positivi, probabilmente perché le maggiori
responsabilità a essi associate spesso vanno affrontate da soli.

Si pone diagnosi di depressione o di mania quando la tristezza o l’euforia sono


eccessivamente intense e permangono oltre l’impatto prevedibile di un evento
vitale stressante oppure insorgono in assenza di un fattore stressante. I sintomi e
i segni spesso si raggruppano in sindromi distinte che di solito recidivano o, più

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Disturbi dell'umore

raramente, perdurano senza remissione. La depressione e la mania cliniche, a


differenza delle reazioni emotive normali, causano una marcata compromissione
delle funzioni fisiche, sociali e della capacità lavorativa.

Epidemiologia

Una determinata forma di disturbo dell’umore che può richiedere attenzione


clinica colpisce il 20% delle donne e il 12% degli uomini. Queste percentuali
corrispondono in gran parte al disturbo depressivo maggiore monopolare e alle
sue varianti. Sebbene l’incidenza del disturbo bipolare nella popolazione
generale sia stata stimata inferiore al 2%, le nuove stime sono vicine al 4-5%. La
depressione colpisce con un’incidenza doppia le donne rispetto agli uomini; il
disturbo bipolare ha incidenza uguale nei due sessi, ma le forme depressive
prevalgono nelle donne e quelle maniacali negli uomini. Il disturbo bipolare di
solito esordisce nell’adolescenza, tra i 20 e i 30 anni, o tra i 30 e i 40; i disturbi
monopolari esordiscono, in media, tra i 20 e i 30 anni, tra i 30 e i 40, o tra i 40 e i
50. Le persone nate nei 20 anni successivi alla seconda guerra mondiale hanno
tassi più elevati di depressione e suicidio, spesso associati a tassi maggiori di
abuso di sostanze, rispetto a quelle nate prima. Il sesso femminile è il maggior
fattore di rischio demografico di depressione; la classe sociale, la cultura e la
razza non hanno mostrato un’associazione significativa con la depressione.
Tuttavia, il disturbo bipolare è leggermente più comune nelle classi
socioeconomiche elevate. Le manifestazioni cliniche dei disturbi dell’umore
sembrano modificate da fattori culturali. Per esempio, le lamentele fisiche, la
preoccupazione, la tensione e l’irritabilità sono manifestazioni comuni nelle classi
socioeconomiche più basse; le rimuginazioni su temi di colpa e l’auto-rimprovero
sono più caratteristici della depressione nelle culture anglosassoni; la mania
tende a manifestarsi in maniera più florida in alcune regioni mediterranee e
africane e tra i neri americani. Fattori economici, come la disoccupazione e i
tracolli finanziari improvvisi, sono stati associati a più alti tassi di suicidio tra gli
uomini.

I disturbi dell’umore sono i disturbi psichiatrici a più alta prevalenza, poiché


contribuiscono al 5% dei pazienti nei servizi pubblici di salute mentale, al 65% dei
pazienti psichiatrici ambulatoriali, e al 10% di tutti i pazienti visitati in strutture
mediche non psichiatriche.

Eziologia

Disturbi dell’umore primari: l’interazione di numerosi fattori contribuisce


all’insorgenza di questi disturbi. L’eredità; è il fattore predisponente più
importante. La modalità ereditaria precisa è incerta, ma in alcune forme di
disturbo bipolare possono essere implicati geni dominanti (legati al cromosoma X
o autosomici). L’ereditarietà poligenica, come substrato genetico comune per il
disturbo bipolare e per quello monopolare ricorrente, è l’ipotesi più diffusa. Ciò
che si eredita non è noto. Tuttavia si ritiene che la via finale comune dei disturbi
dell’umore sia una compromissione della funzionalità limbico-diencefalica; studi
recenti di neuroimmagine coinvolgono inoltre le strutture extrapiramidali
sottocorticali e le loro connessioni prefrontali. La neurotrasmissione colinergica,
catecolaminergica (noradrenergica o dopaminergica) e serotonergica (5-HT)
appare soggetta a disregolazione. L’eredità può anche accrescere la probabilità
di una depressione attraverso l’esposizione dei bambini agli effetti negativi dei
disturbi dell’umore dei loro genitori (p. es., rottura di legami affettivi).

La perdita di un genitore nell’infanzia non accresce il rischio di sviluppare un


disturbo dell’umore da parte di una data persona. Tuttavia, se tale persona
sviluppa un disturbo dell’umore, la depressione tende a insorgere in età più
precoce e segue un decorso cronico intermittente, che porta a un marcato
disturbo della personalità e a tentativi di suicidio.

Gli eventi stressanti che scatenano gli episodi di un disturbo affettivo possono

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Disturbi dell'umore

essere di tipo biologico o psicologico. Eventi vitali traumatici, specialmente


separazioni, spesso precedono gli episodi depressivi e maniacali; tuttavia, tali
eventi possono rappresentare le manifestazioni prodromiche di un disturbo
dell’umore, piuttosto che la sua causa (p. es., i soggetti con disturbi affettivi
spesso si estraniano dalle persone a loro care). Il viraggio dalla depressione alla
mania è spesso annunciato da una riduzione del sonno che dura da 1 a 3 gg, e
può essere indotto sperimentalmente con la deprivazione del sonno,
particolarmente della fase a movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movement,
REM). Tale viraggio spesso fa seguito a una terapia con antidepressivi. Anche
l’uso di stimolanti, la sospensione di sedativi-ipnotici, i viaggi intercontinentali e i
cambiamenti di luce stagionali possono indurre la mania.

Sebbene possano essere affetti da una depressione clinica i soggetti con ogni
tipo di personalità, questa é più comune nelle persone con temperamento
predisposto alla distimia e alla ciclotimia. La depressione monopolare é di
insorgenza più probabile nelle persone con introversione e tendenze ansiose.
Tali persone spesso non hanno le abilità sociali necessarie per adattarsi a
richieste vitali significative e guariscono con difficoltà da un episodio depressivo.
Le persone con disturbo bipolare tendono a essere estroverse e competitive;
utilizzano spesso l’attività come mezzo per combattere la depressione.

Il fatto che il sesso femminile sia un fattore di rischio per depressione viene
solitamente spiegato con la presunta natura maggiormente affiliativa delle donne,
con i loro tratti di dipendenza e con l’impossibilità di controllare il loro destino
nelle società maschiliste. Tuttavia, anche fattori di vulnerabilità biologica risultano
rilevanti. Avere due cromosomi X è un fattore importante nei disturbi bipolari, se
in essi è implicato un linkage-X dominante. In confronto agli uomini, le donne
hanno livelli più elevati di monoaminossidasi (l’enzima che degrada i
neurotrasmettitori considerati importanti per l’umore). La funzionalità tiroidea è
più spesso alterata nelle donne. Le donne possono usare contraccettivi orali
contenenti progesterone, ritenuto una sostanza depressogena, e subire
alterazioni endocrine premestruali e post-partum. Le donne depresse
manifestano con maggiore probabilità lo stile di personalità introverso,
rimuginante-inibito tipico dei disturbi monopolari, mentre gli uomini depressi
hanno con più probabilità lo stile estroverso, orientato all’azione, tipico dei
disturbi bipolari.

Disturbi dell’umore secondari: spesso, un disturbo dell’umore insorge in


associazione a un disturbo non affettivo attraverso un meccanismo che può
essere fisiologico, psicologico o di ambedue i tipi (v. Tab. 189-1). Alcuni disturbi,
come la depressione mixedematosa, sono causati da fattori fisio-chimici e sono
considerati depressioni sintomatiche. Altri, come la depressione che accompagna
disturbi cardiopolmonari debilitanti, vengono intepretati di solito come reazioni
depressive al disturbo di base. Spesso sono in gioco ambedue i meccanismi
(p. es., nei pazienti con AIDS che hanno una disfunzione cerebrale e una
profonda tristezza). Il disturbo bipolare è raramente la complicanza di un altro
disturbo psichiatrico; se è preceduto da abuso di alcol o di sostanze, ciò
rappresenta più probabilmente un tentativo di curare da sé le manifestazioni
prodromiche del disturbo.

I riscontri emergenti sui disturbi non affettivi e sui farmaci che producono
depressione suggeriscono che la patogenesi di tutti i disturbi dell’umore forma un
continuum, e che la distinzione tra disturbi dell’umore primari e secondari è
arbitraria. Tutti i pazienti che soddisfano i criteri per un disturbo dell’umore
devono essere trattati a prescindere da quali altri disturbi siano presenti e a
prescindere da quanto la depressione appaia comprensibile alla luce del disturbo
di base.

Rischio di suiicidio

Il suicidio, la complicanza più grave nei pazienti con disturbi dell’umore, è la


causa di morte nel 15-25% dei pazienti con tali disturbi senza trattamento; la
depressione non diagnosticata o trattata in modo inadeguato contribuisce al 50-

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Disturbi dell'umore

70% dei suicidi. Il suicidio, che ha la maggiore incidenza nei giovani e negli
anziani che non hanno un buon supporto sociale, tende a verificarsi entro 4-
5 anni dal primo episodio clinico. I periodi maggiormente a rischio sono la fase
precoce di remissione della depressione (quando l’attività psicomotoria sta
tornando normale, ma l’umore è ancora flesso), gli stati misti bipolari, la fase
premestruale e gli anniversari personali significativi (v. anche Cap. 190). Anche
l’abuso concomitante di alcol e di sostanze accresce il rischio di suicidio. Una
disfunzionalità serotoninergica sembra essere uno dei fattori biochimici implicati
nel suicidio; la profilassi con litio (che stabilizza il sistema serotoninergico) è
efficace per la sua prevenzione.

Tra tutti i farmaci prescritti per i disturbi dell’umore, l’overdose con un


antidepressivo eterociclico o con il litio (v. anche Tab. 307-3) ha maggiori
probabilità di essere letale; spesso l’alcol é un fattore di complicanza. L’overdose
da antidepressivi eterociclici causa un coma iperattivo con effetti atropinici; la
causa di morte è di solito una aritmia cardiaca o uno stato di male convulsivo. A
causa del legame proteico, la diuresi forzata e l’emodialisi sono inutili, e il
trattamento va focalizzato sulla stabilizzazione delle funzioni cardiache e
cerebrali. Per l’overdose da litio, la diuresi forzata con cloruro di sodio o
mannitolo, l’alcalinizzazione delle urine e l’emodialisi possono essere misure
salvavita. Gli inibitori delle monoaminossidasi, attualmente prescritti meno
spesso, causano raramente overdose. Gli antidepressivi più recenti (p. es., gli
inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, la venlafaxina, il nefazodone,
la mirtazapina, il bupropione) in genere non sembrano fatali nell’overdose a
scopo di suicidio (uno dei loro maggiori vantaggi).

Diagnosi

La diagnosi si basa sul quadro sintomatologico (v. Tab. 189-2), sul decorso,
sull’anamnesi familiare e sulla risposta a volte inequivocabile ai trattamenti
somatici. Devono essere escluse cause mediche o neurologiche secondarie,
soprattutto dopo i 40 anni.

Non vi sono esami di laboratorio patognomonici per i disturbi dell’umore. A volte,


in strutture di ricerca, vengono utilizzati alcuni test di funzionalità limbico-
diencefalica, come il test di stimolazione con l’ormone stimolante del rilascio della
tireotropina (TRH), il test di soppressione con desametasone (DST) e l’EEG da
sonno per la latenza dei movimenti oculari rapidi (REM). Non vi è accordo sulla
sensibilità e specificità diagnostica di questi test, e non servono allo screening.
Un risultato negativo al test non esclude un disturbo depressivo; sul piano clinico,
un risultato positivo è più significativo.

Quando i sintomi d’ansia sono predominanti, la diagnosi di depressione può


essere difficile (v. Tab. 189-3). Nei disturbi depressivi primari sono comuni
preoccupazioni eccessive, attacchi di panico e sintomi ossessivi, che
scompaiono quando l’episodio depressivo va incontro a remissione. Di converso,
nei disturbi d’ansia primari, questi sintomi di solito fluttuano in modo irregolare, e
la remissione dei sintomi depressivi generalmente non li elimina. Predominanti
sintomi d’ansia che compaiono per la prima volta dopo i 40 anni sono molto
probabilmente ascrivibili a un disturbo primario dell’umore.

Con stato misto ansioso-depressivo (depressione ansiosa) si intendono


quegli stati in cui sono presenti sintomi lievi comuni all’ansia e ai disturbi
dell’umore. Di solito tali stati seguono un decorso cronico intermittente. In ragione
della maggiore gravità dei disturbi depressivi e del rischio di suicidio, i pazienti
con stato misto ansioso-depressivo vanno trattati per la depressione. Ossessioni,
panico e fobie sociali con depressione ipersonnica suggeriscono un disturbo
bipolare di tipo II.

Negli anziani, la pseudodemenza depressiva si associa a ritardo psicomotorio,


diminuzione della concentrazione e compromissione della memoria, e quindi può
essere confusa con la demenza in fase precoce, che spesso esordisce con
alterazioni affettive (v. Demenza nel Cap. 171). In generale, quando la diagnosi è

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Disturbi dell'umore

incerta, va tentato il trattamento del disturbo depressivo, in ragione della sua


migliore prognosi. Numerose caratteristiche (v. Tab. 189-4) possono essere
d’aiuto nella diagnosi differenziale.I termini depressione mascherata e
equivalenti affettivi vengono spesso usati per spiegare sintomi fisici prevalenti
(p. es., cefalea, faticabilità, insonnia) o disturbi del comportamento quando le
alterazioni dell’umore sono minime o assenti. Gli equivalenti affettivi
comprendono i passaggi all’atto di tipo antisociale (specialmente nei bambini e
negli adolescenti), le condotte impulsive di rischio, il gioco d’azzardo, il dolore
cronico, l’ipocondria, gli stati d’ansia e i cosiddetti disturbi psicosomatici. In
mancanza di sintomi affettivi di base, la diagnosi di disturbo dell’umore non è
esatta, a meno che nel passato non si siano verificati episodi di tipo affettivo, che
la condizione recidivi periodicamente e che l’anamnesi familiare includa disturbi
dell’umore. Poiché la diagnosi può essere difficile, vengono spesso condotti dei
tentativi terapeutici con antidepressivi e/o stabilizzanti dell’umore.

La diagnosi differenziale tra i disturbi dell’umore cronici intermittenti, come la


ciclotimia e la distimia, e i disturbi da uso di sostanze è difficile. La depressione
monopolare è una causa meno comune di alcolismo e di abuso di sostanze di
quanto si pensasse un tempo (v. Cap. 195). I pazienti depressi e maniacali
possono usare alcol o sostanze nel tentativo di trattare i propri disturbi del sonno,
e i pazienti maniacali possono ricercare le sostanze (p. es., la cocaina) per
aumentare l’eccitamento, di solito con effetti catastrofici sulla loro malattia. I
disturbi da uso di sostanze possono essere accompagnati dagli effetti tossici
delle sostanze stesse, da astinenza o da complicanze di tipo sociale, causando
così una depressione transitoria o intermittente. Un abuso di sostanze episodico,
specialmente di alcol (dipsomania), o un esordio dopo i 30 anni suggeriscono la
diagnosi di disturbo dell’umore primario con abuso di sostanze secondario.
Quando la diagnosi è in dubbio, un tentativo terapeutico con un antidepressivo o
con farmaci stabilizzanti dell’umore può avere spesso una validità clinica.La
distinzione tra una psicosi affettiva e la schizofrenia o il disturbo
schizoaffettivo (v. Cap. 193) può essere difficile, perché nei disturbi dell’umore
si manifestano anche molte caratteristiche schizofreniche (p. es., deliri o
allucinazioni non congrue all’umore). È importante porre la diagnosi corretta,
perché il litio può causare neurotossicità nella schizofrenia e i neurolettici
possono causare discinesia tardiva nei disturbi dell’umore. La diagnosi deve
basarsi sul quadro clinico globale, sull’anamnesi familiare, sul decorso e sulle
caratteristiche associate (v. Tab. 189-5). Anche l’allucinosi alcolica, la
sospensione di farmaci sedativo-ipnotici, la psicosi da sostanze psichedeliche e
altri disturbi sistemici o cerebrali possono produrre sintomi psicotici. La diagnosi
di disturbo schizoaffettivo non va posta sino a che non siano stati esclusi tali
fattori complicanti. Quando la diagnosi è dubbia, vi è l’indicazione per un tentativo
terapeutico con un antidepressivo, con uno stabilizzante dell’umore oppure con la
terapia elettroconvulsiva, in ragione della miglior prognosi dei disturbi dell’umore.

Anche la distinzione tra disturbi dell’umore e disturbi di personalità gravi (p. es.,
personalità borderline) può essere difficile, specialmente quando il disturbo
dell’umore ha un decorso cronico o intermittente (come p. es., la distimia, la
ciclotimia o il disturbo bipolare di tipo II). Un decorso precedente con
manifestazioni affettive, specialmente se bifasiche, e un’anamnesi familiare di
disturbi dell’umore vanno a supporto della diagnosi. Alcuni esami di laboratorio
(soprattutto la latenza REM e la stimolazione con TRH) sono simili nei pazienti
con disturbo di personalità borderline e in quelli con disturbi dell’umore; questa
analogia può voler dire che i due disturbi sono correlati o che questi test non
sono utili alla diagnosi differenziale. Alcuni esperti ritengono che almeno alcune
forme di disturbo borderline di personalità rappresentino una variante di un
disturbo dell’umore, ma questa teoria è controversa. Per i pazienti giovani che
hanno un decorso tempestoso e impulsivo che potrebbe culminare in gravi
tentativi di suicidio, si raccomanda un tentativo con farmaci timolettici e
stabilizzanti dell’umore, condotto da personale esperto in un setting controllato
(un ospedale o una clinica per disturbi dell’umore).

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Disturbi dell'umore

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189–1. CAUSE COMUNI DI DEPRESSIONE E MANIA SINTOMATICHE

Tipo di causa Depressione Mania


Collageno- LES LES
vascolari
Corea reumatica
Endocrinologiche Ipertiroidismo ed ipotiroidismo Ipertiroidismo

Morbo di Addison

Morbo di Cushing

Diabete mellito

Iperparatiroidismo

Ipopituitarismo
Mediche generali Malattia ostruttiva coronarica

Fibromialgia

Insufficienza epatica o renale


Infettive AIDS AIDS

Paresi generalizzata (sifilide terziaria) Paresi generalizzata (sifilide


terziaria)
Influenza
Influenza
Mononucleosi infettiva
Encefalite di St. Louis
TBC

Epatite virale

Polmonite virale
Neoplastiche Cancro della testa del pancreas

Carcinomatosi disseminata

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Manuale Merck - Tabella

Neurologiche Crisi parziali complesse (del lobo Crisi parziali complesse (del lobo
temporale) temporale)

Trauma cranico Trauma cranico

Sclerosi multipla Sclerosi multipla

Ictus (frontale sinistro) Ictus

Tumori cerebrali Tumori diencefalici

Morbo di Parkinson Corea di Huntington

Pause respiratorie del sonno


Nutrizionali Pellagra

Anemia perniciosa
Farmacologiche Astinenza da amfetamina Amfetamine, metilfenidato

Steroidi Steroidi

Insetticidi anticolinesterasici Antidepressivi (la maggior parte)

Barbiturici Cocaina

Cicloserina, amfotericinaB Levodopa, bromocriptina

Indometacina, cimetidina Farmaci simpaticomimetici

Metoclopramide Inibitori della monoaminossidasi


(IMAO)
Fenotiazine

Reserpina

Tallio, mercurio

Vincristina, vinblastina
Psichiatriche Alcolismo e altri disturbi da uso di sostanze

Personalità antisociale

Disturbi demenziali in fase precoce

Disturbi schizofrenici

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Manuale Merck - Tabella

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 307-3. SINTOMATOLOGIA E TRATTAMENTO


DI AVVELENAMENTI SPECIFICI

Veleno Sintomatologia Trattamento


ACE-inibitori Vomito, ipotensione, convulsioni Emesi, carbone attivo, terapia di
supporto
Acefato: v. Organofosfati
Acetaminofene: v. Paracetamolo
Acetanilide Cianosi dovuta alla formazione Ingestione: emesi con
di metaemoglobina e ipecacuana; se non ha effetto,
Inchiostri anilinici (indelebili) sulfaemoglobina, dispnea, lavanda gastrica e/o carbone
astenia, vertigini, dolore attivo; poi, come per l'inalazione
anginoso, eruzioni cutanee e
Olio di anilina
orticaria, vomito, delirio, Contatto cutaneo: togliere i vestiti
depressione, insufficienza e lavare la zona con abbondante
Cloroanilina respiratoria e circolatoria acqua e sapone; poi, come per
l'inalazione
Fenacetina (acetofenetidina)
Inalazione: O2; assistenza
respiratoria; emotrasfusione; blu
di metilene 1-2mg/kg EV in caso
di cianosi grave
Acetilene, gas: v. Monossido di carbonio
Acetofenetidina: v. Acetanilide
Acetone Ingestione: come sotto, salvo Allontanare dall'origine del
per l'effetto polmonare diretto veleno; svuotare lo stomaco,
Chetoni tranne per piccole quantità;
Inalazione: irritazione assistenza respiratoria; O2 e
Collanti per aeromodellismo, bronchiale, congestione ed liquidi; correggere l'acidosi
mastici edema polmonare, metabolica
ipoventilazione, dispnea,
ebbrezza, stupor, chetosi
Solvente per smalto per
unghie

Acetonitrile Convertito in cianuro, con i sin V. Cianuri


tomi e i segni relativi
Adesivo cosmetico per unghie
Acidi e alcali (v. anche i singoli acidi e alcali e Ingestione di caustici nel Cap.263)

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Manuale Merck - Tabella

Acidi Causticazioni per ingestione, Ingestione: acqua o latte per


contatto cutaneo e oculare e diluire; non indurre vomito;
Acetico inalazione; dolore locale; in eventuale la vanda gastrica in
generale, lesioni GI più gravi con caso di ingestione di grandi
gli alcali; possibili lesioni laringee quantità di alcali in forma
Cloridrico
granulare

Fosforico
Contatto cutaneo od oculare:
sciacquare abbondantemente con
Nitrico acqua per 15min

Solforico (alcuni sgorganti


per scarichi o sanitari, al cuni
detersivi per lavastoviglie)

Alcali Ricovero in ospedale; oppiacei


per il dolore; eventuale
Alcuni sgorganti per scarichi trattamento dello shock;
o sanitari, alcuni detersivi eventuale tracheostomia;
per lavastoviglie antibiotici e desametasone 1mg/
m2 ASC q 6h o equivalente per 2-
Ammoniaca in soluzione 3sett per le causticazioni
acquosa (idrossido di esofagee dimostrate,
ammonio)
solitamente con esofagoscopia
non in urgenza

Carbonati di ammonio, (Nota: anche in assenza di lesioni


potassio e sodio orali, gli alcali forti [pH>10,5-
11,0] possono causticare
Idrossido di sodio (soda l'esofago; è raccomandata
caustica, liscivia) l'esofagoscopia)

Polveri detergenti

Idrossido di potassio
(potassa)

Acido acetico: v. Acidi e alcali


Acido acetilsalicilico: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Acido borico: v. Borati
Acido cianidrico: v. Cianuri
Acido cloridrico: v. Acidi e alcali

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Manuale Merck - Tabella

Acido cromico Effetti corrosivi dovuti Latte o acqua per diluire;


all'ossidazione; ulcere e dimercaprolo (o penicillamina) in
Bicromati perforazioni del setto nasale; caso di sintomatologia grave;
gastroenterite grave; shock, somministrare con cautela liquidi
vertigini, coma; nefrite ed elettroliti per sostenere la
Cromati
funzione renale

Triossido di cromo

Acido fenico: v. Fenoli


Acido fluoridrico: v. Fluoruri
Acido fosforico: v. Acidi e alcali
Acido lisergico, dietilamide (LSD) Confusione mentale, Terapia di supporto; diazepam;
allucinazioni, ipereccitabilità, clorpromazina (adulti: 50-100mg
coma, flashback IM)
Acido nitrico: v. Acidi e alcali
Acido ossalico Dolore urente alla gola, vomito, Latte o lattato di calcio; eseguire
dolore intenso; ipotensione, lavanda gastrica con cautela o
Glicol etilenico tetania, shock; danno della non eseguirla; calcio gluconato al
glottide e renale; ossaluria 10% 10-20ml EV; controllare il
dolore; soluzione salina EV per lo
Ossalati
shock; emollienti per bocca;
osservazione per l'edema e la
stenosi della glottide
Acido prussico: v. Cianuri
Acido salicilico: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Acido solforico: v. Acidi e alcali
Acido valproico Depressione progressiva del Misure di supporto; utile il
SNC naloxone
Acqua di Javelle: v. Ipocloriti
Alcali: v. Acidi e alcali
Alcaloidi della segale cornuta Sete, diarrea, vomito, capogiri, Emesi con ipecacuana; lavanda
bruciore alle estremità inferiori; gastrica; assistenza
convulsioni, ipotensione, coma, cardiorespiratoria;
aborto; gangrena dei piedi; benzodiazepine o barbiturici a
cataratta breve durata d'azione per le
convulsioni; papaverina 60mg EV
(1- 2mg/kg EV per i bambini)
Alcol di legno: v. Alcol metilico
Alcol etilico (etanolo) Instabilità emotiva, Emesi; lavanda gastrica;
incoordinazione, arrossamenti, assistenza respiratoria; glucoso
Brandy nausea e vomito, stupor fino al EV per prevenire l'ipoglicemia,
coma, depressione respiratoria dialisi in caso di livelli ematici
>300-350mg/dl (>65-76 mmol/l);
Whiskey
generosa somministrazione di
liquidi, perché l'alcol aumenta
Altri liquori l'osmolarità del siero

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Manuale Merck - Tabella

Alcol isopropilico Vertigini, incoordinazione, stupor Emesi; lavanda gastrica; glucoso


fino al coma, gastroenterite, EV; correggere la disidratazione e
Alcol per frizioni ipotensione gli squilibri elettrolitici; dialisi

Alcol metilico (metanolo, alcol di Elevata tossicità con 60-250ml Bicarbonato di sodio EV per
legno) (2-8 oz) negli adulti, 8-10ml (2 combattere l'acidosi; etanolo al
cucchiaini) nei bambini; periodo 10% in soluzione glucosata al 5%
Anticongelanti di latenza 12-18h; cefalea, EV; dose di carico iniziale di
astenia, crampi agli arti inferiori, etanolo di 0,7g/kg infusa in 1h per
vertigini, convulsioni, inibire il metabolismo dell'etanolo,
Combustibili solidi in scatola
abbassamento della vista, seguita da 0,1-0,2g/kg/h per
ipoventilazione mantenere un livello ematico di
Solvente per vernici etanolo di 100mg/dl (22 mmol/l);
eventuale impiego di fomepizolo
Vernici (v. Glicol etilenico); emodialisi

Alcol per frizioni: v. Alcol isopropinico


Aldrin: v. Idrocarburi clorurati
Amfetamine Iperattività, euforia, loquacità, Emesi, lavanda gastrica o
insonnia, irritabilità, iperreflessia, carbone attivo possono essere
Amfetamina solfato, fosfato anoressia, xerostomia, aritmie, efficaci molto tempo dopo
dolore toracico angi noso, l'ingestione a causa del ricircolo
blocco cardiaco, stati simil- attraverso la mucosa gastrica;
Destroamfetamina
psicotici, incapacità a sedazione con clorpromazina 0,5-
concentrarsi o a rimanere seduti 1mg/kg IM o PO q 30min al
Fenmetrazina bisogno; ridurre gli stimoli esterni;
ipotermia; prevenzione
Metamfetamina dell'edema cerebrale; emodialisi;
eventuale utilità dei β- bloccanti
nei non asmatici
Amile, nitrito: v. Nitriti
Aminofillina Insonnia, agitazione, anoressia, Ingestione: emesi (evitare se le
vomito, disidratazione, convulsioni sono imminenti) o
Caffeina convulsioni; in caso di carbone attivo; sospendere la
ipersensibilità, possibile collasso somministrazione; dosaggio del
vasomotorio immediato; livello ematico di teofillina;
Teofillina
suscettibilità maggiore negli fenobarbital o diazepam per le
adulti, specialmente dopo convulsioni; liquidi parenterali;
sovradosaggio acuto durante sostenere la PA; eventuale dialisi
somministrazione cronica in caso di livello sierico >50-
massimale 100mg/l (>278-555µmol/l);
eventuali β-bloccanti (p.es.
esmololo) se il paziente non è
asmatico
Amitriptilina: v. Antidepressivi triciclici

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Manuale Merck - Tabella

Ammoniaca gassosa Irritazione degli occhi e del tratto Sciacquare gli occhi per 15min
respiratorio; tosse, senso di con acqua corrente o soluzione
soffocamento; dolore salina; non eseguire lavanda
addominale gastrica né indurre emesi; in caso
di tossicità grave, O2 a pressione
positiva per trattare l'edema
polmonare; assistenza
respiratoria
Ammoniaca in soluzione acquosa (idrossido di ammonio): v. Acidi e alcali
Ammonio carbonato: v. Acidi e alcali
Ammonio fluoruro: v. Fluoruri
Amobarbital: v. Barbiturici
Anilide: v. Acetanilide
Anticoagulanti Prolungamento del tempo di Osservazione in caso di
protrombina dopo dosi ripetute ingestione singola nei bambini;
Dicumarolo negli adulti, misurazione del
tempo di protrombina per
eventuale terapia con vitaminaK
Warfarin

Warfarinici

Anticongelanti: v. Alcol metilico; Glicol etilenico


Antidepressivi triciclici Effetti anticolinergici (p.es. Terapia sintomatica e di supporto;
offuscamento della vista emesi (evitare se le convulsioni
Amitriptilina minzione esitante); effetti sul sono imminenti), carbone attivo,
SNC (p.es. sonnolenza, stupor, lavanda gastrica; tenere sotto
coma, atassia, irrequietezza, controllo i parametri vitali e l'ECG;
Desipramina
agitazione, iperreflessia, rigidità mantenere la pervietà delle vie
muscolare, convulsioni); effetti aeree e l'apporto di liquidi;
Doxepina cardiovascolari (tachicardia e bicarbonato di sodio con iniezione
altre aritmie, blocchi di branca, EV rapida (0,5-2mEq/kg), da
Imipramina difetti di conduzione, scompenso ripetere periodicamente per
cardiaco congestizio); mantenere il pH ematico >7,45 e
Nortriptilina depressione respiratoria, prevenire le aritmie; diazepam
ipotensione, shock, vomito, per controllare la maggior parte
Protriptilina iperpiressia, midriasi e dei problemi a carico del SNC;
sudorazione sono anch'essi fisostigmina salicilato (EV
possibili lentamente) esclusivamente per
far regredire le manifestazioni
centrali e cardiache del
sovradosaggio (adulti: 2mg più
dosi ripetute di 1-4mg al bisogno
q 20-60min; bambini: 0,5mg
ripetuti al bisogno q 5min fino a
un massimo di 2mg)
Antimonio: v. Arsenico e antimonio

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Manuale Merck - Tabella

Antineoplastici Effetti sull'ematopoiesi, nausea, L'emesi è migliore della lavanda


vomito; effetti acuti e cronici gastrica; terapia di supporto;
Metotrexato specifici dipendenti dai singoli "salvataggio" con leucovorina;
farmaci osservazione per eventuali
problemi postacuti (>24-48h)
Mercaptopurina

Vincristina

>50 altri

Antipsicotici Ampio spettro di sintomi (p.es. Benzodiazepine e terapia di


eccitazione, coma, ipotensione) supporto
Aloperidolo

Clozapina

Risperidone

Antistaminici Eccitazione o depressione, Emesi con ipecacuana (evitare se


sonnolenza, nervosismo, le convulsioni sono imminenti),
disorientamento, allucinazioni, lavanda gastrica, carbone attivo;
tachicardia, aritmie, ipotensione, assistenza respiratoria; sostenere
iperpiressia, delirio, convulsioni la PA; diazepam per controllare le
convulsioni; fisostigmina 0,5-
2,0mg (adulti) o 0,02mg/kg
(bambini) IM o EV (lentamente)
solo in caso di fallimento delle
precedenti (Attenzione: v.
Fisostigmina per il rischio di
convulsioni.)
Antitarme (palline, cristalli e tavolette repellenti): v. Naftalene; Paradiclorobenzene
Argento, nitrato: v. Argento, sali
Argento, sali Colorazione delle labbra Lavanda gastrica con soluzione
(biancastre, brunastre, poi fisiologica; controllare il dolore;
Nitrato di argento nerastre); gastroenterite, shock, diazepam per controllare le
vertigini, convulsioni convulsioni

Arsenico e antimonio Faringospasmo, disfagia; dolore Emesi; lavanda gastrica, poi un


GI urente, vomito, diarrea, emolliente; chelazione con
Arsenico disidratazione; edema penicillamina; dimercaprolo se il
polmonare; insufficienza renale; paziente non può assumere
insufficienza epatica terapia orale; idratazione;
Erbicidi
trattamento dello shock e del
dolore; sorbitolo o catartico salino
Pesticidi (solfato di sodio 15-30g in acqua)

Soluzione di Donovan

Soluzione di Fowler

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Manuale Merck - Tabella

Verde di Parigi

Composti dell'antimonio

Stibofene

Tartaro emetico

Arsina: v. Gas arsina


Asfalto: v. Distillati del petrolio
Aspirina: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Atropina: v. Belladonna
Azoto, ossidi: v. Ossidi di azoto
Barbiturici Cefalea, confusione mentale, Fino a 24h dopo l'ingestione,
ptosi, eccitazione, delirio, perdita svuotare lo stomaco; se
Amobarbital del riflesso corneale, immediatamente dopo, emesi con
insufficienza respiratoria, coma ipecacuana; se il paziente è
sedato, lavanda gastrica e
Fenobarbital
carbone attivo mediante tubo
endotrache ale cuffiato; offrire
Meprobamato una buona assistenza
infermieristica; assistenza
Pentobarbital respiratoria, O2; correggere la
disidratazione; dialisi (raramente),
Secobarbital specie per i barbiturici a lunga
durata d'azione quando
l'alcalinizzazione accelera
l'escrezione
Bario, composti solubili Vomito, dolore addominale, di Solfato di sodio o di magnesio
arrea, tremori, convulsioni, 60g PO per far precipitare il bario
Acetato di bario coliche, ipertensione, arresto nello stomaco, poi emesi o
cardiaco, dispnea e cianosi, lavanda gastrica; diazepam per
fibrillazione ventricolare, controllare le convulsioni;
Carbonato di bario
ipokaliemia atropina SC, IM o EV 0,5-1,0mg
(adulti) o 0,01mg/kg (bambini) per
Cloruro di bario le coliche; nitroglicerina
sublinguale 1/100-1/50 per
Idrossido di bario l'ipertensione; O2 per la dispnea e
la cianosi; chinidina solfato 100-
Nitrato di bario 300mg PO (adulti) o 6mg/kg PO
(bambini) per prevenire la
Solfuro di bario fibrillazione ventricolare;
correggere l'ipokaliemia
Fuochi d'artificio

Sostanze depilatorie

Veleno per topi

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Manuale Merck - Tabella

Belladonna Secchezza della cute e delle Emesi o carbone attivo;


mucose; midriasi; arrossamenti, assistenza respiratoria; eventuale
Atropina iperpiressia; tachicardia, cateterizzazione vescicale;
agitazione; coma; insufficienza fisostigmina 0,5-2,0mg (adulti) o
respiratoria; convulsioni 0,02mg/kg (bambini) IM o EV
Iosciamina
(lentamente) per cercare di far
regredire gli effetti periferici e sul
Iosciamo SNC, ma usare esclusivamente in
caso di problemi gravi
Scopolamina (ioscina) (Attenzione: v. Fisostigmina per il
rischio di convulsioni)
Stramonio

Benzene Vertigini, astenia, cefalea, Ingestione di >0,5-1ml/kg: emesi


euforia, nausea, vomito, aritmie o cauta lavanda gastrica; O2;
Benzolo ventricolari, paralisi, convulsioni; assistenza respiratoria;
in caso di avvelenamento monitoraggio ECG (la fibrillazione
cronico, anemia aplastica, ventricolare può essere precoce);
Colla per aeromodellismo
leucemia diazepam per controllare le
convulsioni; emotrasfusione in
Idrocarburi
caso di anemia grave; non
somministrare adrenalina
Toluene

Toluolo

Xilene

γ-Benzene esacloruro Irritabilità, stimolazione del SNC, Emesi immediatamente dopo


spasmi muscolari, atonia, l'ingestione; lavanda gastrica;
Benzene esacloruro convulsioni toniche e cloniche, diazepam per le convulsioni;
insufficienza respiratoria, edema evitare l'ingestione di oli, che
polmonare facilitano l'assorbimento;
Esaclorocicloesano
emoperfusione con carbone attivo
secondo necessità
Lindano

Benzina: v. Distillati del petrolio


Benzodiazepine Sedazione fino al coma, Emesi; lavanda gastrica; terapia
specialmente se associate ad di supporto; precauzioni nei
Clordiazepossido alcol confronti del suicidio; antidodi a
base di flumazenil per il
sovradosaggio. (Attenzione: in
Diazepam
caso di utilizzo contemporaneo di
triciclici, esiste il rischio di
Flurazepam convulsioni.)

Benzolo: v. Benzene
Bicloruro di mercurio: v. Mercurio

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Manuale Merck - Tabella

Bicromati: v. Acido cromico


Bidrin: v. Organofosfati
Bifentrin: v. Piretroidi
Biscumacetato di etile: v. Warfarin
Bisidrossicumarina: v. Warfarin
Bismuto, composti Assorbimento scarso; stomatite Emesi con ipecacuana; lavanda
ulcerativa, anoressia, cefalea, gas trica; assistenza respiratoria;
eruzione cutanea, danno dimercaprolo (v. Tab.307-2)
tubulare renale
Bisolfuro di carbonio: v. Disolfuro di carbonio
b-Bloccanti Ipotensione, bradicardia, Monitorare attentamente,
convulsioni, aritmie cardiache; svuotare lo stomaco; in presenza
diversi di essi sono anche di sintomi, glucagone 3-5mg EV o
agonisti α1 o α2 in soluzione salina; eventuale uso
di pacemaker
Borati Nausea, vomito, diarrea, Emesi con ipecacuana; lavanda
gastroenterite emorragica, gastrica; allontanare il veleno
Acido borico astenia, letargia, depressione dalla pelle; prevenire o trattare gli
del SNC, convulsioni, eruzione squilibri elettrolitici e lo shock;
cutanea ad "aragosta bollita", tenere sotto controllo le
shock convulsioni; dialisi in caso di
avvelenamento grave
Brandy: v. Alcol etilico
Bromati: v. Clorati
Bromo: v. Cloro
Bromuri Nausea, vomito, eruzione Emesi con ipecacuana, lavanda
cutanea (talora acneiforme), gastrica in caso di ingestione
difficoltà dell'eloquio, atassia, acuta; sospendere la
confusione mentale, somministrazione; idratazione e
comportamento psicotico, coma, NaCl EV per promuovere una
paralisi moderata diuresi; acido etacrinico
(di utilità specifica); emodialisi
solo in caso di avvelenamento
grave
Bulan: v. Idrocarburi clorurati
Bupropione HCl Problemi respiratori, atassia, Carbone attivo, benzodiazepine,
convulsioni misure di supporto
Butile, nitrito: v. Nitriti
Cadmio Contrazioni gastriche gravi, Emesi con ipecacuana; lavanda
vomito, diarrea; secchezza della gastrica con latte o albumina;
Solder gola, tosse, dispnea; cefalea; assistenza respiratoria;
shock, coma; urine brune, idratazione; ventilazione assistita
insufficienza renale a pressione positiva intermittente
per l'edema polmonare; edetato
calcico disodico (v. Tab.307-2);
non somministrare dimercaprolo
Caffeina: v. Aminofillina
Calce clorurata: v. Cloro

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Manuale Merck - Tabella

Calcio-antagonisti Nausea, vomito, confusione Emesi o carbone attivo appena


mentale, bradicardia, possibile; atropina per la
Diltiazem ipotensione, collasso completo bradicardia; cloruro di calcio
(meglio del calcio gluconato) 1-2g
EV subito (nei bambini, 100mg/kg
Nifedipina
EV), ripetibile al bisogno;
sostenere la PA; considerare la
Verapamil possibilità di un pacemaker

Calomelano: v. Mercurio
Candeggina: v. Ipocloriti
Canfora Alito con odore di canfora, Emesi con ipecacuana (evitare se
cefalea, confusione mentale, le convulsioni sono imminenti),
Oli canforati delirio, allucinazioni, convulsioni, carbone attivo o lavanda gastrica;
coma di azepam per prevenire e trattare
le convulsioni; assistenza
respiratoria; è in via di
sperimentazione la dialisi lipidica
Cantaridi Irritazione della cute e delle Evitare l'ingestione di oli; emesi
membrane mucose, vescicole; con ipecacuana; assistenza
Cantaridina nausea, vomito, diarrea ematica; respiratoria; trattare le
dolore urente al dorso e in sede convulsioni; mantenere il bilancio
uretrale; depressione idrico; non esiste un antitodo
Mosca spagnola
respiratoria; convulsioni, coma; specifico
aborto, menorragia
Captano: v. Idrocarburi clorurati
Carbamati Effetti tossici da lievi a gravi; V. Organofosfati, tranne per la
simili a quelli degli organofosfati pralidossima
Aldicarb

Bendiocarb

Benomyl

Carbarile

Carbofuran

Fenothiocarb

Methiocarb

Methomyl

Oxamyl

Propoxur

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Manuale Merck - Tabella

Carbamazepina Depressione progressiva del Misure di supporto dopo la


SNC, talvolta convulsioni; decontaminazione; tenere sotto
raramente aritmie cardiache controllo la frequenza cardiaca
Carbonati (di ammonio, potassio, sodio): v. Acidi e alcali
Carbonio, bisolfuro: v. Disolfuro di carbonio
Carbonio, diossido: v. Diossido di carbonio
Carbonio, disolfuro: v. Disolfuro di carbonio
Catrame: v. Distillati del petrolio
Cherosene: v. Distillati del petrolio
Chetoni: v. Acetone
Chlorethoxyfos: v. Organofosfati
Chlorothalonil: v. Idrocarburi clorurati
Chlorothion: v. Organofosfati
Chlorpyrifos: v. Organofosfati
Cianuri Tachicardia, cefalea, La rapidità di intervento è
sonnolenza, ipotensione, coma, essenziale. Allontanare il
Acido cianidrico acidosi grave a rapido sviluppo, paziente dall'origine del veleno,
convulsioni; sangue venoso se inalato; emesi o lavanda
color rosso brillante; assai gastrica immediata, inalazione di
Acido prussico
rapidamente letale (1-15min) nitrito di amile 0,2ml (1 capsula)
per 30 s al min, O2 al 100%,
Cianuro di potassio
assistenza respiratoria; 10ml di
nitrito di sodio al 3% EV a 2,5-5ml/
Cianuro di sodio min (nei bambini: 10mg/kg), poi
25-50ml di tiosolfato di sodio al
Nitroprussiato 25% EV a 2,5-5ml/ min; ripetere il
trattamento se la sintomatologia
Olio di mandorle amare recidiva; kit Lilly per cianuri

Sciroppo di ciliege selvatiche

Ciliege selvatiche, sciroppo: v. Cianuri


Cimetidina; ranitidina Lieve secchezza delle mucose e Nessun antidoto specifico
sonnolenza; possibile disponibile; tenere sotto controllo
interferenza con il metabolismo il metabolismo degli altri farmaci
di altri farmaci somministrati
contemporaneamente
Clonidina Sedazione; apnea periodica; Emesi; lavanda gastrica; terapia
ipotensione di supporto; tolazolina EV e
infusione di dopamina; naloxone
5µg/ kg fino a un massimo di 2-
20mg, ripetibile al bisogno
Cloralio idrato Sonnolenza, confusione Emesi con ipecacuana; lavanda
mentale, shock, coma; gastrica; assistenza respiratoria;
Cloralio amide depressione respiratoria; danno valutare l'ingestione
renale, danno epatico contemporanea di altri tossici

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Manuale Merck - Tabella

Clorati Vomito, nausea, diarrea, cianosi Emesi con ipecacuana; lavanda


(metaemoglobina), nefrite gastrica; trasfusione in caso di
Bromati tossica, shock, convulsioni, cianosi grave; evitare il blu di
depressione del SNC, coma, metilene per i clorati o i bromati;
ittero acido ascorbico; terapia dello
Nitrati
shock; O2; eventuale dialisi per i
casi complessi
Neutralizzatori delle
permanenti per capelli

Clordano: v. Idrocarburi clorurati


Cloro (v. anche Ipocloriti) Ingestione: irritazione, Ingestione: emesi con
corrosione della cavità orale e ipecacuana; lavanda gastrica;
Bromo del tratto GI, possibile terapia dello shock
ulcerazione o perforazione;
dolore addominale, tachicardia, Inalazione: O2; assistenza
Acqua clorata
prostrazione, collasso circolatorio respiratoria; osservazione per
Calce clorurata l'edema polmonare e suo
Inalazione: grave irritazione eventuale trattamento
oculare e respiratoria, spasmo
Gas lacrimogeno della glottide, tosse, senso di
soffocamento, vomito; edema
polmonare; cianosi
Cloroanilina: v. Acetanilide
Cloroformio Sonnolenza, coma; con l'ossido Ingestione: emesi con
nitroso, delirio ipecacuana; lavanda gastrica;
Etere osservazione per il danno epatico
e renale
Ossido nitroso
Inalazione: supporto alla funzione
respiratoria, cardiaca e
Triclorometano
circolatoria

Clorpromazina: v. Fenotiazina
Clorpropamide: v. Ipoglicemizzanti orali
Cloruro di cobalto: v. Ossidi di azoto
Cloruro di idrogeno: v. Ossidi di azoto
Cloruro di mercurio: v. Mercurio
Cobalto: v. Tab.307-2
Cobalto, cloruro: v. Ossidi di azoto

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Manuale Merck - Tabella

Cocaina Stimolazione, poi depressione; Emesi precoce; carbone attivo o


nausea e vomito; perdita lavanda gastrica; diazepam per
dell'autocontrollo, ansia, l'eccitazione (trattamento
allucinazioni; sudorazione; primario); O2, assistenza
difficoltà respiratoria respiratoria e circolatoria; se
progressiva, fino all'insufficienza necessario, esmololo EV, con
respiratoria; cianosi; estrema cautela, per le aritmie;
insufficienza circolatoria; osservazione per problemi
convulsioni; IMA (raro); miocardici o polmonari
attenzione agli "stuffer" e ai (solitamente prima dell'arrivo in
"packer" (cioè coloro che pronto soccorso)
contrabbandano cocaina in in
volucri di plastica nascosti nel
tratto GI o nella vagina)
Codeina: v. Narcotici
Collanti per aeromodellismo, mastici (per modellismo): v. Acetone; Benzene; Distillati del petrolio
Combustibile, olio: v. Distillati del petrolio
Combustibili solidi in scatola: v. Alcol metilico
Contaminanti atmosferici: v. Ossidi di azoto
Coumaphos: v. Organofosfati
Creosoto; cresoli: v. Fenoli
Cromati: v. Acido cromico
Cromo: v. Tab.307-2
Cyfluthrin: v. Piretroidi
Cypermethrin: v. Piretroidi
DDD (2-dicloroetano): v. Idrocarburi clorurati
DDT (clorofenotano): v. Idrocarburi clorurati
Deodoranti domestici: v. Naftalene; Paradiclorobenzene
Depilatorie, sostanze: v. Bario, composti
Desipramina: v. Antidepressivi triciclici
Destroamfetamina: v. Amfetamine
Detergenti, polveri: v. Acidi e alcali
Detersivi per lavastoviglie: v. Acidi e alcali
Diazinon: v. Organofosfati
Diclorvos: v. Organofosfati
Dicofol: v. Idrocarburi clorurati
Dicumarolo: v. Warfarin
Dieldrin: v. Idrocarburi clorurati
Dietilamide dell'acido lisergico (LSD): v. Acido lisergico, dietilamide
Difenossilato con atropina Letargia, nistagmo, pupille Emesi con ipecacuana, lavanda
puntiformi, tachicardia, coma, de gastrica; carbone attivo;
pressione respiratoria (Nota: la naloxone; tutti i bambini devono
tossicità può essere ritardata essere tenuti sotto controllo per
fino a 12h. 12-18h, se l'ingestione è
accertata

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Manuale Merck - Tabella

Digitale, digitossina, digossina: v. la trattazione della digitale sotto Terapia farmacologica della disfunzione
sistolica nel Cap.203
Diidrossicumarina: v. Warfarin
Dilan: v. Idrocarburi clorurati
Dimethoate: v. Organofosfati
Dinitrobenzene: v. Nitrobenzene
Dinitro-o-cresolo Stanchezza, sete, arrossamenti Emesi; lavanda gastrica, terapia
cutanei; nausea, vomito, dolore infusionale; O2; prevedere la
Erbicidi addominale; iperpiressia, tossicità epatica e renale; non
tachicardia, perdita di coscienza; esiste un antidoto specifico;
dispnea, arresto respiratorio; sciacquare la cute con detergenti
Pesticidi
assorbimento attraverso la cute

Diossido di carbonio Dispnea, astenia, tinnito, Assistenza respiratoria; O2


palpitazioni
Disossido di zolfo Irritazione delle vie respiratorie; Allontanare il paziente dall'area
starnutazione, tosse, dispnea, con taminata; O2; respirazione a
Smog edema polmonare pressione positiva, assistenza
respiratoria
Disolfuro di carbonio Alito con odore di aglio, Lavare la cute; emesi; lavanda
irritabilità, astenia, depressione gastrica; O2; sedare con
Bisolfuro di carbonio maniacale, narcosi, delirio, diazepam; supporto respiratorio e
midriasi, cecità, parkinsonismo, circolatorio
convulsioni, coma, paralisi,
insufficienza respiratoria
Distillati del petrolio (v. anche Ingestione: bruciore alla gola e I problemi principali sono
Avvelenamento da idrocarburi nel allo stomaco, vomito, diarrea; conseguenti all'aspirazione (non
Cap.263) polmonite, solo se c'è stata all'assorbimento GI), pertanto lo
aspirazione svuotamento gastrico non è
indicato; lavanda gastrica solo in
Asfalto
Inalazione di vapori: euforia; caso di depressione a rapida
bruciore toracico; cefalea, insorgenza in seguito
Benzina all'ingestione di grandi quantità;
nausea, astenia; depressione
del SNC, confusione mentale; eseguire emogasanalisi per
Catrame dispnea, tachipnea, rantoli controllare il trattamento; terapia
di supporto per l'edema
Cherosene polmonare; O2, assistenza
Aspirazione: alterazioni
polmonari acute precoci respiratoria
Colla per aeromodellismo

Etere di petrolio

Nafta

Oli lubrificanti

Olio combustibile

Spiritiminerali

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Manuale Merck - Tabella

Disulfoton: v. Organofosfati
Diuretici mercuriali: v. Mercurio
Doxepina: v. Antidepressivi triciclici
Endosulfan: v. Idrocarburi clorurati
Endrin: v. Idrocarburi clorurati
Erbicidi: v. Arsenico e antimonio; Dinitro-o-cresolo
Eroina: v. Narcotici
Esaclorocicloesano: v. g-Benzene esacloruro
Esaetiltetrafosfato: v. Organofosfati
Eserina: v. Fisostigmina
Esfenvalerato: v. Piretroidi
Esplosivi: v. Bario, composti (fuochi d'artificio); Ossidi di azoto
Etanolo: v. Alcol etilico
Etere: v. Cloroformio
Etere di petrolio: v. Distillati del petrolio
Ethion: v. Organofosfati
Etilico, alcol: v. Alcol etilico
Famphur: v. Organofosfati
FANS Nausea, vomito (in caso di Emesi, lavanda gastrica o
sovradosaggi notevoli, v. la carbone attivo nei casi gravi;
Ibuprofene trattazione dell'acidosi sotto osservazione clinica e misure di
Disturbi dell'equilibrio acido-base supporto
nel Cap.12)
Fave (favismo): v. Avvelenamento da sostanze chimiche alimentari nel Cap.28
Fenciclidina (PCP) "Assenza", incoscienza; Trasferire in ambiente tranquillo;
ipertensione la vanda gastrica prolungata;
propranololo e diazepam
Fenacetina: v. Acetanilide
Fenilpropanolamina Nervosismo, irritabilità, Terapia di supporto; diazepam;
ipertensione e altri effetti fentolamina (5mg) o nitroprussiati
simpaticomimetici per l'ipertensione
Fenmetrazina: v. Amfetamine
Fenobarbital: v. Barbiturici

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Manuale Merck - Tabella

Fenoli Effetti corrosivi; causticazioni Togliere i vestiti, lavare le lesioni


delle mucose; pallore, astenia, esterne con acqua; carbone
Acido carbolico shock; convulsioni nei bambini; attivo. Non utilizzare alcol od
edema polmonare; urine color oliominerale. Emollienti; alleviare
fumo; insufficienza respiratoria, il dolore; O2; assistenza cardio
Creosoto
cardiaca e circolatoria respiratoria; correggere lo
squilibrio idrico; osservazione per
Cresoli
eventuale stenosi esofagea (rara)

Guaiacolo

Naftoli

Fenotiazina Sintomatologia extrapiramidale Emesi con ipecacuana, carbone


(atassia, spasmi muscolari e attivo o lavanda gastrica;
Clorpromazina carpopedali, torcicollo), di solito difenidramina 2-3mg/kg EV o IM
idiosincrasica; in caso di per la sintomatologia
sovradosaggio: xerostomia, extrapiramidale; diazepam per le
Proclorperazina
sonnolenza, coma, ipotermia, convulsioni; riscaldare il paziente;
collasso respiratorio; leucopenia, devono essere evitati il
Promazina ittero, deficit della coagulazione, levarterenolo e l'adrenalina; la
eruzioni cutanee dialisi non è di alcun beneficio
Trifluoperazina (bicarbonato di sodio per le
tachiaritmie)
Fenthion: v. Organofosfati
Ferrici, sali: v. Ferro
Ferro Vomito, dolore ai quadranti ad Emesi con ipecacuana, lavanda
dominali superiori, pallore, gastrica; se la sideremia è >400-
Ferro carbonile (v. cianosi, diarrea, sonnolenza, 500mmg/dl (>72-90gmmol/l) a 3-
Monossido di carbonio) shock; è preoccupante 6h dall'ingestione (e sono
l'ingestione di >40-70mg/kg di presenti sintomi GI), de-
ferro elementare feroxamina 1g EV (velocità
Sali ferrici
massima
Sali ferrosi
15mg/kg/h) o 1-2g IM q 3-12h (le
urine diventano rosse entro 2h);
Gluconato ferroso per lo shock, deferoxamina 1g EV
(velocità massima 15mg/ kg/h);
Solfato ferroso limitare la terapia chelante a 24h;
exsanguino-trasfusione
Vitamine contenenti ferro
(Nota: le forme masticabili
contenenti ferro per bambini
sono notevolmente sicure)

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Manuale Merck - Tabella

Fisostigmina Vertigini, astenia, vomito, dolore Atropina solfato 0,6-1mg (adulti),


crampiforme; midriasi, poi miosi; 0,01mg/kg (bambini) SC o EV,
Eserina convulsioni ripetibile al bisogno

Neostigmina (Attenzione: l'impiego della


fisostigmina per neutralizzare gli
anticolinergici è associato a
Pilocarpina
un'incidenza di attacchi convulsivi
del 15%); benzodiazepine
Pilocarpus

Fluoro: v. Ossidi di azoto


Fluoruri Ingestione: sapore salato o Ingestione: emesi con
simile a sapone; con dosi ipecacuana; lavanda gastrica
Acido fluoridrico notevoli: tremori, convulsioni, (lasciare nello stomaco idrossido
depressione del SNC; shock; di alluminio in gel oppure
insufficienza renale idrossido o cloruro di calcio o di
Floururi solubili in generale
magnesio); soluzione glucosata e
Contatto cutaneo e mucoso: salina EV; calcio gluconato al
Fuoruro di ammonio 10%, 10ml EV (1ml/kg nei
ustioni superficiali o profonde
bambini); tenere sotto controllo
Fluoruro di sodio l'ipereccitabilità miocardica;
Inalazione: intensa irritazione
trattare lo shock e la
oculare e nasale; cefalea;
Veleno per scarafaggi disidratazione
dispnea, senso di soffocamento,
edema della glottide, edema
Veleno per topi polmonare, bronchite, polmonite; Contatto cutaneo e mucoso:
enfisema mediastinico e sciacquare abbondantemente con
sottocutaneo da rottura di bolle acqua fredda; asportare il tessuto
polmonari divenuto biancastro; talvolta,
calcio gluconato al 10% per
iniezione locale o, più spesso,
intrarteriosa con applicazione di
pasta all'ossido di magnesio

Inalazione: O2, assistenza


respiratoria; prednisone per la
polmonite chimica (adulti: 30-
80mg/die in dosi frazionate);
trattare l'edema polmonare
Fluoruro di idrogeno: v. Ossidi di azoto
Fluoxetina: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina
Fluvalinato: v. Piretroidi

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Manuale Merck - Tabella

Formaldeide Ingestione: dolore orale e Ingestione: acqua o latte per


gastrico, nausea, vomito, diluire; trattare lo shock;
Formalina ematemesi, shock, ematuria, bicarbonato di sodio per
anuria, coma, insufficienza correggere l'acidosi; assistenza
respiratoria respiratoria; tenere in
(Nota: può contenere alcol
osservazione per eventuali
metilico)
Contatto cutaneo: irritazione, perforazioni
necrosi coagulativa; dermatite,
ipersensibilità Contatto cutaneo: lavare
abbondantemente con acqua e
Inalazione: irritazione oculare, sapone
nasale e respiratoria; spasmo ed
edema laringeo; disfagia; Inalazione: sciacquare gli occhi
bronchite, polmonite con soluzione salina; O2;
assistenza respiratoria
Formalina: v. Formaldeide
Fosfina (idrogeno fosforato): v. Solfuro di idrogeno
Fosforico, acido: v. Acidi e alcali
Fosforo (giallo o bianco) 1° stadio: sapore simile all'aglio; Proteggere il paziente e il
alito con odore di aglio; personale dal vomito, dal liquido
Veleno per scarafaggi irritazione locale, causticazioni della lavanda gastrica e dalle feci;
cutanee e faringee, nausea, se il fosforo è penetrato nella
vomito, diarrea cute, immergere il corpo del
Veleno per topi
paziente in acqua; lavanda
2° stadio: assenza di sintomi da gastrica abbondante: alcuni
(Nota: il fosforo rosso è non raccomandano permanganato di
8h a diversi giorni
assorbibile e non tossico) potassio (1:5000) o solfato di
rame (250mg in 250ml d'acqua);
3° stadio: nausea, vomito,
oliominerale 100ml (per prevenire
diarrea, epatomegalia, ittero,
l'assorbimento), da ripetere nelle
emorragie, danno renale,
successive 2h; prevenire lo
convulsioni, coma
shock; vitamina K1 EV;
trasfusione con sangue fresco
Tossicità potenziata dall'alcol,
dai grassi e dagli oli digeribili
Fowler, soluzione: v. Arsenico e antimonio
Funghi velenosi: v. Avvelenamento da sostanze chimiche alimentari nel Cap.28
Fuochi d'artificio: v. Bario, composti
Gas: v. Ammoniaca gassosa; Cloro (gas lacrimogeno); Monossido di carbonio (gas acetilene, gas di
carbon fossile, gas di palude, gas di scarico automobilistici, gas illuminante, gas per caldaie);
Organofosfati (gas nervini); Solfuro di idrogeno (gas mefitico, idruri volatili)
Gas acetilene: v. Monossido di carbonio
Gas arsina Anemia emolitica acuta Trasfusioni; diuresi
Gas di carbon fossile: v. Monossido di carbonio
Gas di scarico automobilistici: v. Monossido di carbonio
Gas illuminante: v. Monossido di carbonio
Gas lacrimogeno: v. Cloro
Gas mefitico: v. Solfuro di idrogeno

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Manuale Merck - Tabella

Gas nervini: v. Organofosfati


Gas per caldaie: v. Monossido di carbonio
Gaulteria, olio: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Glicol dietilenico: v. Glicol etilenico
Glicol etilenico Ingestione: ebbrezza, ma senza Ingestione: emesi; lavanda
odore di alcol all'alito; nausea, gastrica, assistenza respiratoria,
Glicol dietilenico vomito; più tardi, spasmo correggere lo squilibrio
carpopedale, dolore lombare; elettrolitico (gap anionico);
cristalluria da ossalati; oliguria etanolo (v. la terapia
Anticongelanti permanenti
con progressione fino all'anuria dell'avvelenamento da alcol
e all'insufficienza renale acuta; metilico); fomepizolo 15mg/kg EV
difficoltà respiratoria, subito, 10mg/kg q 12h per 4 volte
convulsioni, coma più dialisi in caso di livelli ematici
>50mg/dl (per inibire la
Contatto oculare: iridociclite conversione del glicol etilenico in
metaboliti tossici da parte
dell'alcol deidrogenasi)

Contatto oculare: sciacquare gli


occhi
Glipizide: v. Ipoglicemizzanti orali
Gluconato ferroso: v. Ferro
Glutetimide Sonnolenza, areflessia, midriasi, Emesi con ipecacuana; lavanda
ipotensione, depressione gas trica, carbone attivo;
respiratoria, coma assistenza respiratoria,
mantenere l'equilibrio
idroelettrolitico; l'emodialisi può
essere di aiuto; trattare lo shock
Guaiacolo: v. Fenoli
H2 antagonisti Problemi GI minori; possibili Misure di supporto non specifiche
alterazioni della concentrazione
di altri farmaci
Heptachlor: v. Idrocarburi clorurati
Idrocarburi: v. Benzene
Idrocarburi alogenati: v. Idrocarburi clorurati
Idrocarburi clorurati Effetti tossici da lievi (p.es. Emesi; lavanda gastrica, in
metossicloro) a gravi (p.es. assenza di convulsioni, o carbone
Aldrin dieldrin); vomito (immediato o attivo; diazepam o fenobarbital
tardivo); parestesie; malessere per prevenire e controllare i
generale; tremori grossolani, tremori e le convulsioni; evitare
Benzene esacloruro
convulsioni; edema polmonare, l'adrenalina e gli stimoli
fibrillazione ventricolare, improvvisi; liquidi parenterali;
Bulan insufficienza respiratoria tenere sotto controllo la
funzionalità epatica e renale;
Captan assistenza cardiorespiratoria

Chlorothalonil

Clordano

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Manuale Merck - Tabella

DDD (2-dicloroetano)

DDT (clorofenotano)

Dicofol

Dieldrin

Dienochlor

Dilan

Endosulfan

Endrin

Heptachlor

Lindano

Metossicloro

Perclordecone

Prolan

Toxafene

Altri insetticidi organici e


composti industriali clorurati

Idrogeno, cloruro e fluoruro: v. Ossidi di azoto


Idrogeno, solfuro: v. Solfuro di idrogeno
Idrogeno fosforato (fosfina): v. Solfuro di idrogeno
Idrossido di sodio (soda caustica): v. Acidi e alcali
Idruri volatili: v. Solfuro di idrogeno
Imipramina: v. Antidepressivi triciclici
Inibitori selettivi del reuptake della Sonnolenza; interazione con Emesi, lavanda gastrica o
serotonina l'alcol, gli inibitori della carbone attivo nei casi gravi;
monoamino ossidasi e altri misure di supporto
Fluoxetina farmaci

Paroxetina

Sertralina

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Manuale Merck - Tabella

Insetticidi: v. Idrocarburi clorurati; Organofosfati; Paradiclorobenzene; Piretroidi


Iodio Dolore urente alla bocca e Latte, amido o farina PO; lavanda
all'esofago; colorazione gastrica; liquidi ed elettroliti;
brunastra delle mucose; edema trattare lo shock; tracheostomia
laringeo; vomito; dolore per l'edema laringeo
addominale, diarrea; shock,
nefrite, collasso circolatorio
Iodioformo Dermatite; vomito; depressione Ingestione: emesi o lavanda
del SNC, eccitazione; coma; gastrica; assistenza respiratoria
Triiodometano difficoltà respiratoria
Contatto cutaneo: lavare con
bicarbonato di sodio o alcol
Iosciamina, iosciamo, ioscina (scopolamina): v. Belladonna
Ipocloriti Di solito, lieve dolore e Diluire con latte (gli abituali
infiammazione della mucosa preparati domestici al 6% non
Candeggina, cloro orale e GI; tosse, dispnea, richiedono molto di più); trattare
vomito; eruzione cutanea lo shock; esofagoscopia in caso
vescicolare di ingestione di preparati
Acqua di Javelle
concentrati

Ipoglicemizzanti orali La maggior parte dei pazienti Emesi, lavanda gastrica o


rimane asintomatica; in alcuni carbone attivo nei casi gravi;
Clorpropamide compare ipoglicemia, più negli alimentazione frequente (non
adulti che nei bambini esclusivamente zucchero) e
stretta osservazione del
Glipizide
comportamento; in caso di
sovradosaggi notevoli,
misurazione della glicemia
Isofenfos: v. Organofosfati
Isoniazide Stimolazione del SNC, Emesi; lavanda gastrica; sedare
convulsioni, ottundimento del con diazepam; piridossina (1mg
sensorio, coma ognimg di isoniazide ingerito) fino
a 200mg EV lentamente per le
convulsioni, ripetibile al bisogno;
bicarbonato di sodio per l'acidosi
(di rado necessario)
Isopropilico, alcol: v. Alcol isopropilico
Javelle, acqua: v. Ipocloriti
Lacrimogeno, gas: v. Cloro
Lambda-cyhalothrin: v. Piretroidi
Lindano: v.γ-Benzene esacloruro; Idrocarburi cloridrati
Liquore: v. Alcol etilico
Liscivia: v. Acidi e alcali (idrossido di sodio)
Litio, sali Nausea, vomito, diarrea, tremori, Acuto: emesi; diazepam;
sonnolenza, insufficienza renale, eventuale dialisi
diabete insipido
Cronico: ridurre la dose; terapia di
supporto

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Manuale Merck - Tabella

LSD (dietilamide dell'acido lisergico): v. Acido lisergico, dietilamide


Malathion: v. Organofosfati
Manganese: v. Tab.307-2
Mefitico, gas: v. Solfuro di idrogeno
Meperidina: v. Narcotici
Meprobamato: v. Barbiturici
Mercurio Acuto: gastroenterite grave, Lavanda gastrica, carbone attivo;
dolore urente alla bocca, penicillamina (o succimero), v.
Bicloruro di mercurio scialorrea, dolore addominale, Tab.307-2; mantenere l'equilibrio
vomito; colite, nefrosi, anuria, idroelettrolitico; emodialisi per
uremia; causticazioni cutanee da l'insufficienza renale; osservazi
Calomelano
mercuriali alchilici e fenilici one per eventuali perforazioni GI
Cloruro di mercurio
Cronico: gengivite, disturbi Contatto cutaneo: lavare con
mentali, deficit neurologici acqua e sapone
Diuretici mercuriali
Vapori di mercurio: polmonite Polmoni: terapia di supporto
Mercurio ammoniacato grave

Mertiolato

Sublimato corrosivo

Tutti i composti mercuriali

Vapori di mercurio

Mercurio ammoniacato: v. Mercurio


Mertiolato: v. Mercurio. Di solito non dà problemi
Metadone: v. Narcotici
Metaldeide Nausea, vomito e conati di Emesi, nel caso in cui non
vomito, dolore addominale, avvenga spontaneamente;
Veleno per lumache rigidità muscolare, iperventi terapia di supporto; diazepam
lazione, convulsioni, coma

Metalli V. i singoli metalli V. Tab.307-2


Metamfetamina: v. Amfetamine
Metanolo: v. Alcol metilico
Methidathion: v. Organofosfati
Metil parathion: v. Organofosfati
Metossicloro: v. Idrocarburi clorurati
Metilico, alcol: v. Alcol metilico
Metilsalicilato: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilatinel Cap.263

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Manuale Merck - Tabella

Monossido di carbonio La tossicità varia con la durata O2 al 100% in maschera;


dell'esposizione, la assistenza respiratoria se
Ferro carbonile concentrazione inalata, la necessario; determinare
frequenza cardiaca e immediatamente il livello di
respiratoria; la sintomatologia carbossiemoglobina; evitare tutti
Gas acetilene
varia con la % di gli stimolanti; l'O2 iperbarico (v.
carbossiemoglobina nel sangue; Cap.292) è probabilmente
Gas di carbon fossile cefalea, vertigini, dispnea,
efficace se la carbossiemoglobina
confusione mentale, midriasi,
è >25% circa; valore principale
Gas di palude convulsioni, coma
probabilmente a livello del
citocromo
Gas di scarico automobilistici

Gas illuminante

Gas per caldaie

Morfina: v. Narcotici
Nafta: v. Distillati del petrolio
Naftalene (v. anche Paradiclo Ingestione: crampi addominali, Ingestione: emesi con
robenzene) nausea, vomito; cefalea, ipecacuana, lavanda gastrica;
confusione mentale; disuria; emotrasfusione in caso di emolisi
Antitarme emolisi intravascolare; grave; alcalinizzare le urine per
convulsioni; anemia emolitica nei l'emoglobinuria; controllare le
soggetti con deficit di G6PD convulsioni
Naftalina

Contatto cutaneo: dermatite, Contatto cutaneo: togliere i vestiti


Tavolette deodoranti
ulcerazioni corneali se sono stati tenuti in naftalina;
sciacquare la cute e gli occhi
Inalazione: cefalea, confusione
mentale, vomito, dispnea
Naftalina: v. Naftalene
Naftoli: v. Fenoli
Naled: v. Organofosfati
Narcotici (v. anche Dipendenza da Pupille puntiformi, sonnolenza, Non somministrare emetici.
Oppioidi nel Cap.195) respiro superficiale, spasticità, Lavanda gastrica, carbone attivo,
insufficienza respiratoria assistenza respiratoria; naloxone
Alfaprodina 5µg/ kg EV per risvegliare il
paziente e migliorare la
respirazione; se il paziente non
Codeina risponde, naloxone 2- 20mg
(eventualmente ripetibile fino a 10-
Eroina 20volte); liquidi EV per sostenere
la circolazione
Meperidina

Metadone

Morfina

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Manuale Merck - Tabella

Oppio

Propossifene

Neostigmina: v. Fisostigmina
Nichel: v. Tab.307-2
Nicotina: v. Tabacco
Nitrati: v. Clorati
Nitrato di argento: v. Argento, sali
Nitrico, acido: v. Acidi e alcali
Nitriti Metaemoglobinemia, cianosi, Emesi con ipecacuana, lavanda
anossia, disturbi GI, vomito, gastrica; O2; per la
Nitrito di amile cefalea, vertigini, ipotensione, metaemoglobinemia, blu di
insufficienza respiratoria, coma metilene all'1% 1- 2mg/kg EV
Nitrito di butile lentamente; in caso di
metaemoglobina >40%,
trasfusione con sangue intero
Nitrito di potassio

Nitrito di sodio

Nitroglicerina

Nitrito di amile: v. Nitriti


Nitrito di butile: v. Nitriti
Nitrito di potassio: v. Nitriti
Nitrito di sodio: v. Nitriti
Nitrobenzene Odore di mandorle amare (simile V. Acetanilide
a quello dei cianuri),
Dinitrobenzene sonnolenza, cefalea, vomito,
atassia, nistagmo, urine marroni,
movimenti convulsivi, delirio,
Olio di mandorle amare
cianosi, coma, arresto
artificiale
respiratorio

Nitroglicerina: v. Nitriti
Nitroso, ossido: v. Cloroformio
Nortriptilina: v. Antidepressivi triciclici
Octametil pirofosforamide: v. Organofosfati
Oli: v. Acetalinide (olio di anilina); Distillati del petrolio (olio combustibile, oli lubrificanti)
Oli lubrificanti: v. Distillati del petrolio
Olio combustibile: v. Distillati del petrolio
Olio di Gaulteria: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Olio di mandorle amare artificiale: v. Nitrobenzene
Oppio: v. Narcotici

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Manuale Merck - Tabella

Organofosfati Nausea, vomito, crampi Togliere i vestiti, lavare e


addominali, scialorrea; aumento sciacquare la cute; svuotare lo
Acefato delle secrezioni polmonari, stomaco; atropina 2mg (adulti),
cefalea, rinorrea, offuscamento 0,01-0,05mg/ kg (bambini) EV o
della vista, miosi; difficoltà IM q 15-60min (in assenza di
Bidrin
dell'eloquio, confusione mentale; segni di tossicità da atropina,
difficoltà respiratoria, schiuma ripetere al bisogno); pralidossima
Chlorethoxyfos alla bocca; coma; assorbimento cloruro 1-2g (adulti), 20-40mg/kg
per contatto cutaneo, inalazione (bambini) EV in 15-30min,
Chlorothion o ingestione ripetibile in 1h se necessario; O2;
assistenza respiratoria;
Chlorpyrifos correggere la disidratazione. Non
usare morfina o aminofillina. Il
Coumaphos personale deve evitare
l'autocontaminazione
Demeton

Diazinon

Diclorvos

Dimetoato

Disulfoton

Ethion

Famphur

Fenthion

Forato

Fosdrin

Fosmet

Gas nervini

Esaetiltetrafosfato

Isofenfos

Malathion

Methidathion

Metil parathion

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Manuale Merck - Tabella

Naled

Octametil pirofosforamide

Ossidemeton-metile

Parathion

Pirimifos-metile

Temefos

Terbufos

Tetraclorvinfos

Triclorfon

Oro, sali: v. oro nella Tab.307-2 e composti dell'oro nella Terapia dell'artrite reumatoide nel Cap.50
Ossalati:v. Acido ossalico
Ossalico, acido: v. Acido ossalico
Ossidi di azoto (v. anche Cloro, Sintomatologia ad esordio Riposo a letto: O2 appena com
Diossido di zolfo, Solfuro di ritardato, salvo in caso di paiono i sintomi; in caso di
idrogeno e Cap.75) concentrazioni elevate; altri gas eccessiva secrezione schiumosa
irritanti danno sintomi di polmonare: aspirazione,
Cloruro di cobalto avvertimento (bruciore locale a drenaggio posturale,
livello delle mucose oculari, tracheostomia; prednisone 30-
nasali e faringee; astenia, tosse, 80mg/die (adulti) o
Cloruro di idrogeno
dispnea, edema polmonare; più desametasone 1mg/m2 ASC
tardi, bronchite, polmonite) (bambini) per prevenire la fibrosi
Contaminanti dell'aria che
polmonare
formano ossidanti
atmosferici; liberati dai
combustibili dei missili, dagli
esplosivi e dai rifiuti agricoli

Fluoro

Fluoruro di idrogeno

Ossido nitroso: v. Cloroformio


Oxydemeton-methyl: v. Organofosfati
Palude, gas: v. Monossido di carbonio

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Manuale Merck - Tabella

Paracetamolo (v. anche Iniziale: spesso asintomatico; Emesi; lavanda gastrica e/o
Avvelenamento da paracetamolo lieve nausea, vomito, carbone attivo; dosaggio dei livelli
nel Cap.263) sudorazione, pallore; segni plas matici del farmaco a 4h a fini
iniziali di epatotossicità; oliguria
prognostici: danno epatico possi
bile se >160-200µg/ml (>1060-
Successiva (dopo 24-48h): nau 1320 µmol/l) e quasi certo se
sea e vomito protratto, dolore in >300µmg/ml (1980µmol/l); entro
ipocondrio destro, ittero, difetti 18-48h dall'avvelenamento,
della coagulazione, ip oglicemia, acetilcisteina (Solmucol) 140mg/
encefalopatia, in sufficienza kg PO all'inizio, poi 70mg/kg PO q
epatica, insufficienza renale, 4h per 4-18dosi per prevenire
possibile miocardiopatia un'epatotossicità significativa
Paradiclorobenzene Dolore addominale, nausea, Emesi con ipecacuana, lavanda
vomito, diarrea, convulsioni, gastrica; reintegrare i liquidi;
Antitarme tetania diazepam per controllare le
convulsioni
Deodoranti per sanitari

Insetticidi

Paraldeide Alito con odore di paraldeide, Ingestione: emesi con


incoerenza, miosi, ipecacuana, lavanda gastrica; O2,
ipoventilazione, coma assistenza respiratoria
Paraquat Immediata: dolore GI e vomito Emesi, terra di Fuller più solfato
di sodio; O2 in quantità limitate;
Entro 24h: insufficienza consultare un centro antiveleni o
respiratoria (il diquat non il fabbricante del prodotto
provoca alterazioni respiratorie)
Parathion: v. Organofosfati
Paroxetina: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina
Pentobarbital: v. Barbiturici
Perclordecone: v. Idrocarburi clorurati
Permanente per capelli, neutralizzanti: v. Clorati
Permanganato di potassio Discromia bruna e causticazioni Lavanda gastrica, emollienti;
della mucosa orale, edema della mantenere l'equilibrio idrico
glottide; ipotensione;
interessamento renale
Permethrin: v. Piretroidi
Pesticidi: v. Arsenico e antimonio; Bario, composti; Dinitro-o-cresolo; Fluoruri; Fosforo; Idrocarburi
clorurati; Organofosfati; Paradiclorobenzene; Piretroidi; Tallio, sali; Warfarin
Phorate: v. Organofosfati
Phosdrin: v. Organofosfati
Phosmet: v. Organofosfati
Pilocarpina, Pilocarpus: v. Fisostigmina

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Manuale Merck - Tabella

Piombo Ingestione acuta: sete, dolore V. Avvelenamento da piombo nel


addominale urente, vomito, Cap.263
Sali di piombo diarrea, sintomatologia a carico
del SNC come per l'inalazione
acuta
Solder

Inalazione acuta: insonnia,


Alcune vernici e superfici
cefalea, atassia, mania,
verniciate
convulsioni

Encefalopatia da piombo: v.
Avvelenamento da piombo nel
Cap.263
Piombo tetraetile Inalazione di vapori, Terapia di supporto, p.es.
assorbimento cutaneo e diazepam, clorpromazina, liquidi
ingestione: sintomatologia a ed elettroliti; eliminare l'origine del
carico del SNC (insonnia, veleno
agitazione, atassia, ideazione
monotematica, mania,
convulsioni)
Piretrina: v. Piretroidi
Piretroidi Risposta allergica (comprese In caso di ingestione di quantità
reazioni anafilattiche e considerevoli, emesi se il
Bifenthrin ipersensibilità cutanea) nelle paziente è vigile; altrimenti,
persone ipersensibili; altrimenti, intubazione endotracheale e
bassa tossicità, a meno che il lavanda gastrica; lavare
Cyfluthrin
veicolo non sia un distillato del accuratamente la cute
petrolio
Cypermethrin

Esfenvalerato

Fluvalinato

Lambda-cyhalothrin

Permethrin

Pyrethrin

Resmethrin

Sumithrin

Tefluthrin

Tetramethrin

Pirimifos-metile: v. Organofosfati

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Manuale Merck - Tabella

Potassa: v. Acidi e alcali (idrossido di potassio)


Potassio, carbonato: v. Acidi e alcali
Potassio, cianuro: v. Cianuri
Potassio, idrossido: v. Acidi e alcali
Potassio, nitrito: v. Nitriti
Potassio, permanganato: v. Permanganato di potassio
Proclorperazina: v. Fenotiazina
Prolan: v. Idrocarburi clorurati
Promazina: v. Fenotiazina
Propossifene: v. Narcotici
Propranololo Confusione mentale e Emesi; lavanda gastrica; terapia
convulsioni di supporto; sedare con
diazepam; pacemaker e
glucagone (0,05mg/ kg subito più
2-5mg/h)
Protriptilina: v. Antidepressivi triciclici
Prussico, acido: v. Cianuri
Radio: v. Tab.307-2
Rame: v. Tab.307-2
Rame, sali Vomito, sensazione di bruciore, Emesi; lavanda gastrica;
sapore metallico, diarrea, dolore, penicillamina o dimercaprolo (v.
Acetato, subacetato e solfato shock, ittero, anuria, convulsioni Tab.307- 2); mantenere
rameico l'equilibrio idroelettrolitico;
assistenza respiratoria;
Cloruro e ossido rameoso controllare il tratto GI; terapia
dello shock, controllare le
convulsioni; tenere sotto controllo
Sali di zinco
la funzionalità epatica e renale

Resmethrin: v. Piretroidi
Resorcinolo (resorcina) Vomito, vertgini, tinniti, brividi, Emesi o lavanda gastrica;
tremore, delirio, convulsioni, assistenza respiratoria
depressione respiratoria, coma
Sali d'oro: v. oro nella Tab.307-2 e composti dell'oro nella Terapia dell'artrite reumatoide nel Cap.50
Sali di litio: v. Litio, sali
Sali di piombo: v. Piombo
Sali di rame: v. Rame, sali
Sali di tallio: v. Tallio, sali
Sali ferrici: v. Ferro
Salicilati: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Salicilico, acido: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Sciroppo di ciliege selvatiche: v. Cianuri
Scopolamina (ioscina): v. Belladonna
Secobarbital: v. Barbiturici

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Manuale Merck - Tabella

Segale cornuta, alcaloidi: v. Alcaloidi della segale cornuta


Selenio: v. Tab.307-2
Serotonina, inibitori selettivi del reuptake: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina
Sertralina: v. Inibitori selettivi del reuptake della serotonina
Sgorganti per scarichi domestici e sanitari: v. Acidi e alcali
Smog: v. Diossido di zolfo
Soda caustica: v. Acidi e alcali (idrossido di sodio)
Sodio, carbonato: v. Acidi e alcali
Sodio, cianuro: v. Cianuri
Sodio, fluoruro: v. Fluoruri
Sodio, idrossido: v. Acidi e alcali
Sodio, nitrito: v. Nitriti
Sodio, salicilato: v. Avvelenamento da aspirina e altri salicilati nel Cap.263
Solder: v. Cadmio; Piombo
Solfato ferroso: v. Ferro
Solforico, acido: v. Acidi e alcali
Solfuri di alcali: v. Solfuro di idrogeno
Solfuro di idrogeno "Occhio da O2, assistenza respiratoria; nitrito
gas" (cheratocongiuntivite di amile e nitrito di sodio come
Fosfina subacuta), lacrimazione e per i cianuri (non somministrare
bruciore; tosse, dispnea, edema tiosolfato)
polmonare; causticazioni
Gas mefitico
cutanee, eritema, dolore;
salivazione profusa, nausea,
Idruri volatili vomito, diarrea; confusione
mentale, vertigini; collasso e
Solfuri di alcali perdita di coscienza improvvisi

Soluzione di Fowler: v. Arsenico e antimonio


Solvente per smalto per unghie: v. Acetone
Solventi per collanti per aeromodellismo: v. Acetone; Benzene; Distillati del petrolio
Solventi per vernici: v. Distillati del petrolio (spiriti minerali); Trementina
Spiritiminerali: v. Distillati del petrolio
Stibofene: v. Arsenico e antimonio
Stramonio: v. Belladonna
Stricnina Agitazione, iperacuità uditiva e Isolare il paziente e limitare gli
visiva, altri problemi; convulsioni stimoli per prevenire le
scatenate da stimoli minimi, convulsioni; carbone attivo PO;
completo rilassamento diazepam e curarici EV per
muscolare tra un attacco controllare le convulsioni;
convulsivo e l'altro; sudorazione; assistenza respiratoria; diuresi
arresto respiratorio acida con cloruro di ammonio o
acido ascorbico; lavanda gastrica
dopo il controllo delle convulsioni
Sublimato corrosivo: v. Mercurio

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Manuale Merck - Tabella

Sumithrin: v. Piretroidi
Superwarfarin: v. Warfarin
Tabacco Eccitazione, confusione Emesi con ipecacuana, lavanda
mentale, contrazioni muscolari, gastrica; carbone attivo;
Nicotina astenia, crampi addominali, assistenza respiratoria; O2;
convulsioni cloniche, diazepam per le convulsioni;
depressione, tachipnea, lavare accuratamente la cute, se
palpitazioni, collasso, coma, contaminata
paralisi del SNC, insufficienza
respiratoria
Tallio, sali (usati un tempo nei Dolore addominale (colico), Emesi con ipecacuana, lavanda
veleni per formiche, topi e sca vomito (talvolta ematico), diarrea gastrica; trattare lo shock;
rafaggi) (talvolta ematica), stomatite, diazepam per controllare le
scialorrea; tremori, dolori agli arti convulsioni; la terapia chelante è
inferiori, parestesie, polineuriti, allo stadio sperimentale;
paralisi oculare e facciale; consultare un centro antiveleni
delirio, convulsioni, insufficienza per le informazioni più recenti
respiratoria; perdita dei capelli
circa 3sett dopo l'avvelenamento
Tartaro emetico: v. Arsenico e antimonio
Tefluthrin: v. Piretroidi
Temefos: v. Organofosfati
Terbufos: v. Organofosfati
Teofillina: v. Aminofillina
Tetraclorvinfos: v. Organofosfati
Tetracloruro di carbonio Nausea, vomito, dolore Lavare la cute; emesi o lavanda
addominale, cefalea, confusione gastrica; O2; assistenza
Liquidi detergenti (non mentale, disturbi visivi, cardiorespiratoria; monitorare la
infiammabili) depressione del SNC, fibril funzionalità epatica e renale e
lazione ventricolare, danno trattare ade guatamente; evitare
renale, danno epatico alcol, adrenalina, efedrina e
cimetidina
Tetramethrin: v. Piretroidi
Tiroxina La maggior parte dei pazienti è Emesi; osservazione a casa;
asintomatica; raramente, diazepam; eventuali preparati
irritabilità ingravescente che antitiroidei e propranololo,
progredisce verso la crisi esclusivamente se compare
tireotossica in 5-7gg sintomatologia
Toluene, toluolo: v. Benzene
Toxafene: v. Idrocarburi clorurati
Trementina Odore di trementina; dolore Emesi (nel paziente vigile) in
orale e addominale urente, caso di ingestione di >1-4 oz;
Solvente per vernici tosse, senso di soffocamento, lavanda gastrica; assistenza
insufficienza respiratoria; nefrite respiratoria; O2; controllare il
Vernici dolore; tenere sotto controllo la
funzionalità renale

Triclorometano: v. Cloroformio

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Manuale Merck - Tabella

Trifluoperazina: v. Fenotiazina
Triiodometano: v. Iodoformio
Triossido di cromo: v. Acido cromico
Tungsteno: v. Tab.307-2
Valproico, acido: v. Acido valproico
Vanadio: v. Tab.307-2
Vapori di mercurio: v. Mercurio
Veleno per formiche: v. Idrocarburi clorurati (DDT); Sali di tallio
Veleno per lumache: v. Metaldeide
Veleno per scarafaggi: v. Fluoruri; Fosforo; Tallio, sali
Veleno per topi: v. Bario, composti; Fluoruri; Fosforo; Tallio, sali; Warfarin
Verde di Parigi: v. Arsenico e antimonio
Vernici: v. Alcol metilico; Piombo; Trementina
Warfarin L'ingestione singola non è peri Vitamina K1 (v. Cap.3) per le
colosa; i sovradosaggi multipli manifestazioni emorragiche, fino
Biscumacetato di etile provocano coagulopatia, ma la a che il tempo di protrombina non
maggior parte dei sovradosaggi si normalizza; trasfusioni con
non ha conseguenze, anche con sangue fresco, se necessario
Bisidrossicumarina
i super-warfarin

Dicumarolo

Superwarfarin

Whiskey: v. Alcol etilico


Xilene: v. Benzene
Zinco: v. Tab.307-2
Zinco, sali: v. Rame, sali
Zolfo, diossido: v. Diossido di zolfo

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE


CARDIOPOLMONARE

AVVELENAMENTI

INGESTIONE DI CAUSTICI

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e prognosi
Terapia

Non è rara l’ingestione di acidi o alcali forti che causano ustione e danno tissutale
diretto. I caustici comuni sono i detergenti per il bagno e per i tubi di scarico,
disponibili in preparazioni liquida o solida. I segni dell’avvelenamento possono
essere diversi in base alla forma ingerita. La sensazione di bruciore, derivante
dalla adesione su una superficie umida delle particelle constituenti il prodotto
solido, fa desistere il bambino dall’ingerirne grandi quantità. Poiché le
preparazioni liquide non si attaccano, sono ingerite più facilmente con
conseguenti lesioni esofagee e gastriche. L’ingestione di un caustico liquido si
può presentare senza danni o con danni limitati alle labbra, lingua o ipofaringe.

Sintomi, segni e prognosi

Il dolore è immediato nei casi gravi. Inizialmente i bambini possono presentare


scialorrea e pianto persistente e non essere in grado di deglutire fluidi o solidi
somministrati per bocca. Le aree ustionate diventano edematose e tumefatte; ne
deriva disfagia e accumulo di secrezioni. L’edema può addirittura ostruire le vie
aeree. Spesso il polso è frequente e debole, il respiro diventa superficiale e
frequentemente si instaura lo shock.

Il paziente che sopravvive alla prima fase, può morire in un secondo momento
per infezione o per perforazione dell’esofago e dello stomaco che può verificarsi
dopo 1 sett. o più. La perforazione nel mediastino è un evento improvviso che
provoca un dolore toracico acuto. Anche se il decorso iniziale è benigno, dopo
qualche settimana può instaurarsi una stenosi. La morte può essere determinata
da molte complicanze come shock cardiocircolatorio, asfissia per edema
faringeo, perforazione dell’esofago o irritazione polmonare.

Terapia

Tutti i soggetti devono essere visitati dal medico e in molti casi è necessaria
l’ospedalizzazione.

L’agente chimico deve essere immediatamente diluito con ingestione di piccole


quantità di acqua o latte. Il latte è preferibile nei bambini perché ha il vantaggio di
ricoprire e lenire le mucose, come pure di rimpiazzare le proteine tissutali andate
distrutte con l’ustione. Si deve rimuovere il vestiario contaminato e lavare la cute

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

venuta a contatto con l’agente chimico. È controindicato eseguire la lavanda


gastrica o provocare il vomito. Anche il carbone attivo è controindicato, in quanto
può infiltrarsi nel tessuto colpito e interferire con la valutazione endoscopica.

L’assenza o la presenza di ustioni nella bocca non consente di stabilire in


maniera affidabile se l’esofago e lo stomaco hanno subito lesioni, mentre
mediante l’endoscopia si può documentare la loro integrità. L’endoscopia è
importante per prevedere la possibile formazione di stenosi e della eventuale
necessità di un bypass esofageo.

In presenza di lesioni esofagee, non si ritiene più indicata la terapia


corticosteroidea, che può persino essere pericolosa nei casi di ustioni di III grado.
Se c’è febbre o segni di mediastinite sono necessari anche antibiotici a largo
spettro. Nei casi lievi, la somministrazione di liquidi PO deve essere iniziata
subito. Se ciò non fosse possibile, si provvede alla somministrazione EV finché
non si riprende la via orale. Si può rendere necessaria una tracheostomia per
assicurare il passaggio di aria. Se non si previene la formazione di stenosi,
successivamente saranno necessari ripetute dilatazioni nel corso di mesi o anni.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE


CARDIOPOLMONARE

AVVELENAMENTI

AVVELENAMENTO DA ASPIRINA E DA ALTRI SALICILATI

(Salicilismo)

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Esami di laboratorio e diagnosi
Trattamento

Nonostante le norme di sicurezza per l’impacchettamento, che limitano il numero


di compresse per ogni confezione pediatrica a 36 cp da 80 mg (USA) e l’obbligo
legislativo alla confezione di sicurezza per tutti i farmaci contenenti aspirina,
l’avvelenamento di aspirina continua a verificarsi a tutte le età. Comunque, con
l’aumento dell’uso di altri FANS e di paracetamolo senza necessità di ricetta
medica, l’incidenza di avvelenamento acuto da aspirina è diminuita.

Di solito non si ha una grave tossicità per ingestione di aspirina < 200-300 mg/kg.
La tossicità cronica, conseguente a diversi giorni di trattamento a dosi elevate, è
più frequente e più difficile da trattare, rispetto alla tossicità acuta.

La forma di salicilato più tossica è l’olio di Gaultheria (metilsalicilato); è stato


riferito il decesso di un bambino per ingestione di meno di un cucchiaino. Ogni
esposizione al metil salicilato (contenuto nei linimenti e nelle soluzioni usate per
vaporizzatori a caldo) è potenzialmente letale.

Sintomi e segni

I segni precoci sono nausea, vomito, tinniti, seguiti da tachipnea, ipereccitazione,


ipertermia e convulsioni. La stimolazione del SNC rapidamente si trasforma in
depressione con letargia, insufficienza respiratoria e collasso.

L’avvelenamento da salicilato spesso si presenta con disturbi metabolici


complessi. L’iperpnea, con conseguente ipocapnia per perdita di CO2 attraverso
l’aria espirata, determina alcalosi respiratoria. Si può anche verificare acidosi
metabolica con ampio gap anionico. All’emogasanalisi, il paziente con
avvelenamento classico presenterà gas arteriosi indicativi di una forma mista di
alcalosi respiratoria e acidosi metabolica. Per quanto il pH ematico può apparire
normale o lievemente ridotto, la PCO2 e la concentrazione di bicarbonato sono
diminuite in maniera significativa.

Per il sovrapporsi dell’alcalosi respiratoria e dell’acidosi metabolica, il bambino


può presentare disturbi dovuti ad ambedue le alterazioni con un pH quasi
normale o decisamente basso (v. Fig. 263-2). La PCO2 è più bassa del previsto. I

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

bambini piccoli, che non hanno lo stesso controllo respiratorio dei bambini più
grandi o degli adulti, sviluppano rapidamente acidosi metabolica. L’effetto tossico
del salicilato e la perdita di basi tampone interferiscono con i processi metabolici
tanto che si sviluppa chetosi. In contrasto, i bambini piccoli sviluppano
rapidamente acidosi metabolica (diminuizione del pH ematico), dovuto
all’interferenza del salicilato con il metabolismo glucidico. La disidratazione può
essere grave a causa della perspiratio insensibilis e per l’aumentato flusso
urinario (a causa del maggior carico di soluti). Spesso si verificano perdite
importanti di Na e K.

Esami di laboratorio e diagnosi

La salicilemia può essere dosata in ogni laboratorio ospedaliero. La valutazione


seriata delle concentrazioni ematiche di salicilato può individuare le seguenti
condizioni: continuo assorbimento (livelli in aumento), esposizione cronica (livelli
stazionari) o efficacia della terapia (livelli in decremento).

Altri test di laboratorio includono l’emogasanalisi su sangue arterioso, sodiemia,


kaliemia, bicarbonatemia, azotemia, glicemia, e pH urinario. Questi parametri,
come pure la salicilemia, devono essere monitorati durante il trattamento. Il
paziente può presentare ipoglicemia, iperglicemia o glicemia normale con bassi
livelli di glucoso nel SNC. Il gap anionico (AG) può essere calcolato come segue:
(Na +) - (Cl-+HCO3-).

La sintomatologia da avvelenamento da salicilati dipende più dal picco della


salicilemia e dal grado di distribuzione tissutale del salicilato che dal valore della
salicilemia, ottenuto in un dato momento. L’avvelenamento cronico comporta una
più ampia distribuzione tissutale del farmaco con una tossicità più grave.

Il nomogramma di Done non è più utile nella clinica in quanto può sottostimare o
soprastimare l’avvelenamento acuto da salicilato e non è utile nei casi di tossicità
cronica.

Trattamento

È fondamentale lo svuotamento gastrico precoce, preferibilmente associato alla


somministrazione di sciroppo di ipequana entro 30 min dall’ingestione (v.
Cap. 307), a meno che il paziente presenti modificazioni dello stato mentale. Se il
paziente si presenta troppo tardi per la somministrazione di sciroppo di ipequana
o ha determinate controindicazioni al suo utilizzo, si deve somministrare carbone
attivo. Il carbone attivo (15 g in 120 cc di acqua), somministrato attraverso
sondino oro-gastrico o naso-gastrico, è efficace nell’assorbire i salicilati e può
prevenire il loro assorbimento diverse ore dopo l’ingestione. Può essere richiesta
una somministrazione tardiva di carbone attivo, in quanto i salicilati possono
formare concrezioni nello stomaco e ridurre lo svuotamento pilorico.

Sono fondamentali inoltre un’idratazione adeguata e il mantenimento della


funzione renale. Inizialmente, può essere somministrato destroso al 5% in
soluzione fisiologica normale. Questa somministrazione deve essere interrotta
quando si aggiunge il bicarbonato. Il bicarbonato di sodio deve essere mescolato
a SG 5% in acqua e ha due ruoli: controlla l’acidosi metabolica e alcalinizza le
urine, aumentando in tal modo l’eliminazione urinaria di salicilato (a un pH 8). Il
bicarbonato di sodio viene somministrato a una dose iniziale compresa tra 1 e
2 mEq/kg seguito da 132 mEq/l in SG 5% in acqua in dose pari a 1,5-2 volte il
mantenimento. Si devono monitorizzare spesso l’emogasanalisi arteriosa e il pH
urinario. Anche il K sierico deve essere attentamente monitorizzato, a causa del
rischio di ipokaliemia conseguente alla somministrazione di bicarbonato di sodio.

Si devono evitare sostanze che aumentano l’escrezione di bicarbonati, come


l’acetazolamide, dal momento che possono peggiorare l’acidosi metabolica e in

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

tal modo aumentare la ritenzione di salicilati e il loro assorbimento tissutale.

Nei pazienti che necessitano di ventilazione meccanica, può essere necessaria


l’iperventilazione al fine di aumentare la rimozione della CO2 fino a correzione del
distrubo acido-base.

I pazienti con ipertermia, iperattività e convulsioni sono a rischio di rabdomiolisi,


suggerita da un aumento della creatinchinasi sierica e dai livelli urinari di
mioglobina. L’ipertermia può essere trattata con paracetamolo o ibuprofene e
raffreddando l’ambiente esterno. Le convulsioni devono essere trattate
inizialmente con benzodiazepine, come lorazepam o diazepam. Se queste non
sono efficaci, si devono prendere in considerazione i barbiturici. La ventilazione
meccanica deve accompagnare la loro sommnistrazione, in quanto questi
farmaci possono deprimere lo stimolo respiratorio. D’altra parte, va evitato, ogni
farmaco che deprima lo stimolo respiratorio, in quanto questa condizione può
aumentare la ritenzione di CO2 e peggiorare l’acidosi metabolica, con aumento
dell’assorbimento tissutale di salicilato. Se compare rabdomiolisi, può essere utile
la somministrazione di bicarbonato di sodio.

Può essere richiesta l’emodialisi per aumentare l’eliminazione dei salicilati nei
pazienti acidotici resistenti al bicarbonato, con gravi disturbi neurologici, e/o
compromissione della funzione renale. Questi pazienti hanno salicilemie
estremamente alte sia in forma acuta (> 100 mg/dl [> 7,25 mmol/l]) che cronica
(> 60 mg/dl [> 4,35 mmol/l]).

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Avvelenamenti

Manuale Merck

23. AVVELENAMENTI

307. Avvelenamenti

Eliminazione dei veleni

Veleni specifici

308. Morsi e punture

Serpenti velenosi

Lucertole velenose

Ragni

Api, vespe, gialloni, calabroni, formiche

Altri morsi da artropodi

Zecche

Acari

Centopiedi, millepiedi

Scorpioni

Animali marini

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Avvelenamenti

Manuale Merck

23. AVVELENAMENTI

307. AVVELENAMENTI

(Per l'avvelenamento dovuto alla presenza di tossine batteriche o di altra natura


negli alimenti, v. Cap. 28. Per gli avvelenamenti nei bambini, v.
AVVELENAMENTI nel Cap. 263.)

Sommario:

Introduzione
Prevenzione
Terapia
Terapia delle complicanze

In tutto il mondo, sono state identificate più di 13 milioni di sostanze chimiche


naturali e sintetiche; meno di 3000 di esse sono responsabili di più del 95% degli
avvelenamenti accidentali e intenzionali. Il sospetto e l'identificazione dei casi di
avvelenamento e l'accurata valutazione della potenziale tossicità di un veleno
sono essenziali per poter instaurare una terapia efficace, dal momento che,
finché non viene diagnosticata una sindrome tossicologica specifica, il
trattamento è semplicemente di supporto. Un avvelenamento deve essere preso
in considerazione nella diagnosi differenziale di qualunque sintomo o segno
inspiegabile, specialmente nei bambini al di sotto dei 5 anni e nei giovani.
L'avvelenamento può costituire un tentativo di suicidio nelle persone depresse.
Altri gruppi ad alto rischio comprendono gli anziani (miscugli di medicamenti), i
pazienti ospedalizzati (errori farmacologici), i lavoratori esposti a sostanze
chimiche occupazionali e le persone esposte alla contaminazione ambientale.

Deve essere raccolta un'anamnesi pertinente. Sia il paziente, particolarmente se


privo di sensi, sia il locale in cui si trova, devono essere ispezionati alla ricerca di
farmaci (p. es., preparazioni solide con stampigliature di identificazione) o tracce
dell'uso di farmaci (p. es., fori di ingresso di aghi), e di alcol o di segni della sua
assunzione. (L'alcolismo, la tossicodipendenza e l'uso di altre sostanze illecite
sono trattati nel Cap. 195.) Spesso, il tipo e la velocità dell'esordio della
sintomatologia confermano o escludono un sospetto di avvelenamento. Appena
possibile, devono essere raccolti campioni di sangue e di urina.

Prevenzione

Negli USA, la diffusione dei contenitori a prova di bambino dotati di chiusure di


sicurezza ha diminuito le morti da avvelenamento nei bambini al di sotto di 5 anni
da circa 500 nel 1959 a circa 50 nel 1996. Altri provvedimenti per la prevenzione
degli avvelenamenti comprendono l'etichettatura dei prodotti domestici e delle
sostanze soggette a prescrizione, l'uso di stampigliature di identificazione sulle
preparazioni farmaceutiche solide, l'eliminazione del piombo dalla benzina,
l'impiego di sensori di rilevamento per il monossido di carbonio e il miglioramento
della sorveglianza sull'esposizione alle sostanze tossiche nell'industria e
nell'ambiente in generale.

Terapia

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Avvelenamenti

Bisogna stabilire l’adeguatezza della funzione cardiaca e respiratoria, e se


necessario bisogna avviare le manovre di rianimazione (v. Cap. 206 e 263). Ai
pazienti con alterazione dello stato mentale devono essere somministrati
immediatamente glucoso, naloxone e tiamina EV, dopo aver prelevato il sangue
per le opportune analisi.

Se possibile, devono essere identificate rapidamente la sostanza assunta, la sua


via di ingresso nell’organismo e la sua tossicità potenziale. Bisogna accertare
l’effettiva necessità di un intervento medico, tenendo presente che molte
sostanze non sono tossiche (v. Tab. 307-1). L’eccesso di trattamento può essere
rischioso ed è sicuramente costoso.

Veleni ingeriti: l’emesi precoce rimuove di solito una quantità di veleno


superiore rispetto alla lavanda gastrica o al carbone attivo impiegati più
tardivamente. (Attenzione: non provocare il vomito se il paziente è comatoso, se
sta avendo o è probabile che stia per avere un attacco convulsivo, oppure se ha
ingerito sostanze corrosive. L’emesi dei distillati del petrolio è indicata di rado, a
meno che essi non contengano in soluzione un composto che richiede lo
svuotamento gastrico [p. es., il parathion].) Lo sciroppo di ipecacuana, da 15 a
30 ml (da 1 a 2 cucchiai da tavola), assunto con acqua o bevande analcoliche
(15 ml/kg per i bambini piccoli o 1 l per gli adulti) induce immediatamente il
vomito; la dose può essere ripetuta nei successivi 30 min, se necessario. Se
l’ipecacuana non è disponibile e il paziente è lontano da una struttura medica, il
vomito può essere provocato somministrando acqua saponata (con un
detergente semplice). Devono essere conservati tutti i contenitori del prodotto
ingerito e campioni adeguati del prodotto stesso, oltre a qualunque materiale
espulso con il vomito.

La lavanda gastrica, se necessaria (evitare in presenza di convulsioni o se la


sostanza ingerita è corrosiva), deve essere effettuata con il tubo di sezione più
larga tra quelli idonei per il paziente. Nei pazienti sedati o comatosi di età
superiore a 2 anni, per evitare l’aspirazione si utilizza un tubo endotracheale
cuffiato. Nei pazienti con meno di 2 anni, la cuffia non è necessaria perché il tubo
endotracheale aderisce alle pareti facendovi tenuta. Il paziente deve essere
posto con la testa verso il basso e bisogna somministrargli NaCl (per gli adulti,
soluzione fisiologica di NaCl allo 0,9% o acqua corrente; per i bambini, soluzione
allo 0,45%). I liquidi di lavaggio devono essere introdotti in aliquote di 20-30 ml,
ognuna delle quali viene seguita dalla rimozione del contenuto gastrico tramite
sifone o siringa, fino a quando i lavaggi non appaiono privi della tossina (in
genere, tra 500 e 3000 ml di soluzione di lavaggio). Viene quindi somministrato
un antidoto specifico (v. oltre), se disponibile; altrimenti, si somministra un
impasto di carbone attivo.

Il carbone attivo, a causa della sua configurazione molecolare e della sua ampia
superficie di scambio, adsorbe quantità significative di molti veleni, impedendone
l’assorbimento da parte dell’intestino. Esso è particolarmente efficace quando il
paziente è sintomatico e quando il composto viene riescreto nell’intestino (p. es.,
fenobarbital, teofillina). Il carbone attivo viene utilizzato sempre più spesso come
la principale tecnica di trattamento degli avvelenamenti nei dipartimenti di
emergenza.

Quanto più presto viene somministrato, tanto più esso risulta efficace. Ne deve
essere impiegata una quantità da 5 a 10 volte superiore a quella del veleno che
si sospetta sia stato ingerito. Se la quantità di veleno è sconosciuta, la dose
abituale di carbone attivo va da 10 a 25 g per i bambini con meno di 5 anni o da
50 a 100 g per i bambini più grandi e per gli adulti. Il carbone attivo viene
somministrato sotto forma di impasto (da 20 a 200 g in acqua), preferibilmente
mediante sondino gastrico. Può essere utile la somministrazione di una dose
prima di eseguire la lavanda gastrica. Esso non deve essere somministrato prima
o immediatamente dopo lo sciroppo di ipecacuana. Circa il 30% dei pazienti
vomita dopo la somministrazione del solo carbone.

L’impiego dei catartici è molto controverso; essi possono in realtà aumentare


l’assorbimento, più che promuovere l’escrezione. Se vengono utilizzati, è meglio
limitarsi a 30 g di solfato di sodio disciolti in 250 ml di acqua (riducendo

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Avvelenamenti

proporzionalmente la quantità nei bambini) oppure in soluzioni di sorbitolo/


carbone attivo (massimo 2 dosi).

Anche se non sono numerosi, gli antidoti specifici hanno una notevole efficacia;
ne sono esempi il naloxone nelle overdosi di oppioidi, l’atropina negli
avvelenamenti da organofosfati, il blu di metilene nella metaemoglobinemia,
l’acetilcisteina nell’intossicazione da aminofeni (v. Avvelenamento da
acetaminofene nel Cap. 263), i frammenti Fab anti-digitale (Digibind)
nell’intossicazione da digossina (v. anche Cap. 302).

Contaminazione della cute e degli occhi: dopo la rimozione degli indumenti


contaminati (comprese le scarpe e le calze), la cute deve essere accuratamente
lavata e gli occhi sciacquati con grandi quantità di acqua o soluzione salina (v.
anche Ustioni nel Cap. 91 e Trattamento d’emergenza iniziale nel Cap. 276). I
soccorritori devono proteggersi a loro volta dalla contaminazione.

Veleni inalati: il paziente deve essere allontanato dall’ambiente contaminato e il


resto del personale deve essere protetto dalla contaminazione. Può essere
necessaria l’assistenza respiratoria.

Morsi e punture: il trattamento immediato delle punture e dei morsi velenosi è


trattato nel Cap. 308.

Terapia delle complicanze

La stimolazione del SNC può richiedere la sedazione, solitamente con una


benzodiazepina o un barbiturico. Nell’avvelenamento da amfetamina pura,
possono essere utilizzate la clorpromazina o una benzodiazepina. Per porre fine
alle convulsioni o prevenire la loro ricomparsa, viene somministrata una
benzodiazepina lentamente EV (p. es., diazepam da 5 a 10 mg per gli adulti, da
0,1 a 0,2 mg/kg per i bambini) oppure fenobarbital (da 100 a 200 mg EV o IM per
gli adulti, da 4 a 7 mg/kg per i bambini). Idealmente, la fenitoina non dovrebbe
essere utilizzata. La saturazione di O2 deve essere tenuta strettamente sotto
controllo. Le convulsioni refrattarie necessitano molto raramente, se non mai, di
anestesia generale.

La depressione grave del SNC richiede l’assistenza circolatoria e respiratoria


(v. Cap. 66). Può essere necessaria l’intubazione endotracheale e, raramente, la
tracheostomia. Nell’avvelenamento sospetto o accertato da narcotici, deve
essere impiegato il naloxone in dosi ripetute (v. Dipendenza da oppioidi nel
Cap. 195). Gli stimolanti risultano inefficaci e sono generalmente controindicati.

L’edema cerebrale è comune nell’avvelenamento da sedativi, da monossido di


carbonio, da piombo e da altri depressori del SNC. Si somministra lentamente EV
in 30-60 min una soluzione di mannitolo al 20% (da 5 a 10 ml/kg). Vengono
impiegati anche i corticosteroidi (desametasone 1 mg/m2 di ASC q 6 h per
infusione EV). Meno frequentemente, per cercare di modificare il grado di edema
cerebrale viene utilizzato il monitoraggio della pressione intracranica associato a
iperventilazione. Il coma da barbiturici, nell’edema cerebrale dovuto a episodi
ipossici, non è più raccomandato.

L’insufficienza renale, se presente, può richiedere il trattamento dialitico.


L’insufficienza epatica può rendere indicato il trapianto di fegato.

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Avvelenamenti

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Gastroenterite

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

28. GASTROENTERITE

Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta


prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e
vomito), diarrea e disturbi addominali.

(V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di


ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni
neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel
Cap. 265).

Sommario:

Introduzione
Eziologia ed epidemiologia
Fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Principi generali di terapia

La perdita di liquidi e di elettroliti associata alla gastroenterite può essere poco


più di un semplice inconveniente per un adulto in buona salute, ma può essere
molto grave per una persona che non è in grado di sopportarne lo stress (p. es., i
soggetti anziani o molto giovani, i soggetti debilitati o quelli con certe malattie
concomitanti).

Eziologia ed epidemiologia

La gastroenterite può avere un'eziologia aspecifica, incerta o sconosciuta o


batterica, virale, parassitaria o tossica. Quando può essere identificata una causa
specifica, si può utilizzare il nome specifico della sindrome, evitando il termine
meno specifico di "gastroenterite."

L'infezione da Campylobacter è la causa batterica più frequente della malattia


diarroica negli USA (v. Infezioni da Campylobacter e Infezioni da Vibrioni non
colerici nel Cap. 157.) La trasmissione da persona a persona è particolarmente
comune con le gastroenteriti causate da Shigella, Escherichia coli O157:H7,
Giardia, virus di Norwalk e rotavirus. L'infezione da Salmonella può essere
acquisita attraverso il contatto con i rettili (p. es., iguana, tartarughe).

Le cause virali della gastroenterite includono il virus di Norwalk e i virus Norwalk-


simili, i rotavirus, gli adenovirus, gli astrovirus e i calicivirus. Le epidemie di
diarrea virale nei lattanti, nei bambini e negli adulti solitamente si diffondo
attraverso l'acqua, i cibi contaminati o la via orofecale. Le infezioni da virus di
Norwalk si verificano tutto l'anno e causano il 40% circa delle epidemie di
gastroenterite nei bambini e negli adulti. Durante l'inverno, nelle regioni a clima
temperato, i rotavirus rappresentano la causa principale delle gravi affezioni
diarroiche che provocano l'ospedalizzazione dei bambini al di sotto dei 2 anni di
età. Gli adulti, che hanno delle infezioni di solito più lievi, probabilmente hanno
una qualche immunità.

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Gastroenterite

Alcuni parassiti intestinali, in particolare la Giardia lamblia (v. Giardiasi in Protozoi


intestinali nel Cap. 161), aderiscono o invadono la mucosa intestinale e causano
nausea, vomito, diarrea e malessere generale. La giardiasi è endemica in molte
regioni a clima freddo (p. es., gli stati delle montagne rocciose, il nord degli USA
e l'Europa). La malattia può diventare cronica e causare una sindrome da
malassorbimento (v. Cap. 30). Di solito è acquisita con una trasmissione da
persona a persona (p. es., nei day-hospital) o bevendo acqua contaminata
(p. es., dei fiumi). Un altro parassita intestinale, il Cryptosporidium parvum, causa
una diarrea acquosa che è a volte accompagnata da dolori addominali
crampiformi, nausea e vomito. Nelle persone sane la malattia è, di solito, lieve e
autolimitantesi, ma nei pazienti immunocompromessi l'infezione può essere
grave, causando una sostanziale perdita di elettroliti e di liquidi. L'infezione da
Cryptosporidium è probabilmente contratta più frequentemente bevendo
dell'acqua contaminata. Sebbene le uova di Cryptosporidium siano più
comunemente trovate nelle riserve municipali di acqua, non si sa quale
percentuale di rifornimenti idrici contenga uova vitali e infettive.

La gastroenterite virale o influenza e alcuni tipi di diarrea del viaggiatore possono


essere causati da enterotossine batteriche o da infezioni virali.

Fisiopatologia

Alcune specie batteriche producono delle enterotossine che ostacolano


l'assorbimento intestinale e possono causare la secrezione di acqua e di
elettroliti. In certi casi, è stata caratterizzata una tossina chimicamente pura
(p. es., l'enterotossina del Vibrio cholerae); la sola tossina è in grado di produrre
la voluminosa secrezione acquosa da parte del tenue, osservata clinicamente,
dimostrando, quindi, un adeguato meccanismo patogenetico per la diarrea. Le
enterotossine rappresentano, probabilmente, il meccanismo responsabile di altre
sindromi diarroiche (p. es., l'enterotossina dell'E. coli può causare alcuni episodi
di "diarrea pediatrica" e di diarrea del viaggiatore).

Alcune specie di Shigella, Salmonella e di E. coli penetrano nella mucosa del


piccolo intestino o del colon e producono ulcerazioni microscopiche,
sanguinamento, essudazione di liquido ricco di proteine e secrezione di acqua e
di elettroliti. Il processo invasivo e le sue conseguenze si possono verificare
indipendentemente dal fatto che il microrganismo elabori o meno l'enterotossina.

Una gastroenterite può far seguito all'ingestione di tossine chimiche contenute


in alcune piante (p. es., funghi, patate e flora da giardino), in prodotti ittici (pesci,
vongole e cozze) o in cibi contaminati.

L'ingestione di metalli pesanti (arsenico, piombo, Hg e cadmio) può causare,


acutamente, nausea, vomito e diarrea. Molti farmaci, compresi gli antibiotici a
largo spettro, hanno notevoli effetti collaterali sull'apparato GI. Diversi
meccanismi svolgono un ruolo, inclusa l'alterazione della normale flora intestinale.

Sintomi e segni

Il carattere e la gravità dei sintomi dipendono dalla natura dell'agente causale,


dalla durata della sua azione, dalla resistenza del paziente e dall'estensione
dell'interessamento GI. L'inizio è spesso improvviso e talvolta drammatico, con
anoressia, nausea, vomito, borborigmi, crampi addominali e diarrea (con o senza
sangue e muco). Si possono associare un malessere generalizzato, dolori
muscolari e un senso di prostrazione.

Se il vomito causa un'eccessiva perdita di liquidi, si verifica un'alcalosi metabolica


con ipocloremia; se è più importante la diarrea, è più probabile che si verifichi
un'acidosi. Il vomito o la diarrea eccessivi possono causare ipokaliemia. Si può
sviluppare un'iponatriemia, specialmente se nella terapia di reintegrazione sono

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Gastroenterite

usati liquidi ipotonici. La grave disidratazione e lo squilibrio acido-base possono


produrre cefalea e sintomi di irritabilità muscolare e nervosa. Il vomito persistente
e la diarrea possono causare una grave disidratazione e uno shock, con collasso
circolatorio e insufficienza renale oligurica.

L'addome può essere disteso e dolorabile; nei casi gravi può essere presente
una contrattura muscolare di difesa. Possono essere visibili e palpabili delle anse
intestinali distese dai gas. Con lo stetoscopio sono auscultabili i borgorigmi,
anche senza diarrea (un'importante caratteristica differenziale con l'ileo
paralitico). Possono essere presenti i segni di una deplezione extracellulare di
liquidi (p. es., ipotensione, tachicardia) (v. Disordini del metabolismo dell'acqua e
del sodio nel Cap. 12).

Diagnosi

Può essere importante, un'anamnesi positiva per l'ingestione di cibo


potenzialmente contaminato, di acqua di superficie non trattata o di una sostanza
nota come irritante per il tratto GI; di viaggi effettuati di recente; e del contatto con
persone affette dagli stessi disturbi. Se i sintomi non regrediscono entro 48 h
sono indicati l'esame colturale e la ricerca dei GB nelle feci. La sigmoidoscopia è
utile per la diagnosi di colite ulcerosa o di dissenteria amebica, sebbene la
shighellosi e l'E. coli O157:H7 possano produrre lesioni a carico del colon,
indistinguibili da quelle della colite ulcerosa. Per fare la diagnosi può essere
necessario anche l'esame colturale del vomito, del cibo e del sangue.
Un'eosinofilia può indicare un'infezione parassitaria.

L'addome acuto chirurgico non si associa, di solito, a una storia di frequenti


evacuazioni, a una normale conta di GB o a una leucopenia e all'assenza di
spasmo muscolare e di dolorabilità localizzata. Comunque, a volte si può avere
diarrea nell'appendicite acuta, nell'ostruzione incompleta del piccolo intestino, in
altre emergenze acute intra-addominali e nelle neoplasie del colon.

Principi generali di terapia

La terapia di supporto è la più importante. È auspicabile il riposo a letto con la


disponibilità di un bagno, di una comoda o di un vaso da letto. Quando la nausea
o il vomito sono lievi o sono cessati, la somministrazione orale di soluzioni
elettrolitiche con glucoso (v. Diarrea nel Cap. 27) o di brodo leggero o bollito con
l'aggiunta di sale, può prevenire la disidratazione o trattare una lieve
disidratazione. Anche se vomita, il paziente deve assumere frequenti ma piccole
sorsate di questi liquidi, perché il vomito si può risolvere con la reintegrazione del
volume. I bambini si possono disidratare più rapidamente e devono ricevere
un'appropriata soluzione reidratante (ne esistono in commercio diversi tipi). I
liquidi comunemente usati, come le bevande gassate o le bevande per sportivi,
hanno un anomalo rapporto tra glucoso e Na e quindi non sono adatte per i
bambini < 5 anni di età. Se il vomito persiste o se è prominente una grave
disidratazione, è necessaria l'infusione EV di un'appropriata terapia reintegrativa
degli elettroliti (v. Colera nel Cap. 157).

Se il vomito è grave ed è stata esclusa una condizione chirurgica, può essere


utile la somministrazione di un antiemetico (p. es., dimenidrinato, 50 mg IM q 4 h
o clorpromazina ≥ 25-100 mg / die IM) o di proclorperazina, 10 mg PO tid
(supposte da 25 mg bid). Per il trattamento dei gravi dolori addominali
crampiformi può essere somministrata della meperidina, alla dose di 50 mg IM q
3 o 4 h. Deve essere evitata la morfina perché aumenta il tono della muscolatura
intestinale e può aggravare il vomito.

Quando il paziente riesce a tollerare i liquidi senza vomitare, un'alimentazione


leggera (cereali, gelatina, banane e toast) può essere aggiunta, gradualmente,
alla dieta. Se dopo 12-24 h persiste una diarrea moderata in assenza di gravi

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Gastroenterite

sintomi sistemici o di sangue nelle feci, può essere somministrato il difenossilato,


2,5-5 mg in cp o sotto forma di sciroppo tid o qid, la loperamide, 2 mg PO qid o il
bismuto subsalicilato, 524 mg (due cp o 30 ml) PO 6-8 volte al giorno.

Il ruolo degli antibiotici è controverso, anche per le specifiche diarree infettive,


ma la maggior parte degli esperti li consiglia nella terapia sintomatica della
shighellosi (v. Shighellosi nel Cap. 157). Quando è presente un'infezione
sistemica devono essere somministrati gli antibiotici appropriati, sulla base
dell'antibiogramma. Comunque, gli antibiotici non servono per un rapido
miglioramento né per i pazienti con una semplice gastroenterite né per i pazienti
portatori asintomatici. Anzi, gli antibiotici possono favorire e prolungare lo stato di
portatore della salmonellosi. L'uso indiscriminato degli antibiotici favorisce la
selezione di organismi resistenti al farmaco ed è scoraggiato.

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Infezioni nei bambini

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

265. INFEZIONI NEI BAMBINI

INFEZIONI BATTERICHE

GASTROENTERITE ACUTA INFETTIVA

Sindrome caratterizzata da diarrea e vomito, a eziologia infettiva, che può


determinare disidratazione e squilibrio elettrolitico.

(v. anche Cap. 28 e Diarrea Neonatale Infettiva Acuta in Infezioni Neonatali al


Cap. 260)

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

Viene stimato che in tutto il mondo se ne verifichino circa 1 miliardo di episodi/


anno, più frequentemente nei paesi in via di sviluppo in bambini di età < 5 anni.
La morte dovuta a disidratazione si verifica in circa 5 milioni di casi. La maggior
parte dei decessi può essere prevenuta con una tempestiva reidratazione. In
molti paesi in via di sviluppo, è probabile che i bambini di età inferiore a 2 anni,
che presentano 6-10 episodi di diarrea e vomito ogni anno e che non vengono
trattati, vadano incontro a una grave malnutrizione.

Molti agenti batterici, virali, e parassiti possono causare una gastroenterite acuta
(v. Tab. 265-3). Appropriate tecniche di laboratorio identificano un agente
eziologico responsabile nel 60-80% dei casi.

Sintomi, segni e diagnosi

L’epidemiologia, la durata, il carattere e la frequenza del vomito e della diarrea in


rapporto all’età del bambino possono suggerire la causa e la gravità della
malattia. Solitamente, almeno un membro della famiglia del paziente o qualche
persona a stretto contatto ha presentato sintomi riferibili a gastroenterite o a una
infezione respiratoria nel periodo immediatamente precedente. I lattanti di
età < 6 mesi possono andare incontro a disidratazione e squilibri elettrolitici dopo
sole 24 h dall’esordio; tuttavia, a qualsiasi età, una grave disidratazione con
acidosi metabolica può instaurarsi entro 24 h dall’esordio se il vomito è
incoercibile, la diarrea è esplosiva, o l’apporto idrico è drasticamente ridotto.
L’esame obiettivo è diretto a escludere ogni causa extraintestinale e a valutare lo
stato di idratazione: letargia, oliguria e un’accertata perdita di peso sono segni di
disidratazione (v. Tab. 265-4).

Nei bambini più grandi, in quelli piccoli in sovrappeso, e in quelli con


ipernatremia, alcuni segni possono non essere presenti finché la disidratazione
non sia grave. Nei pazienti con disidratazione ipernatremica, possono essere
presenti irritabilità e febbre; la cute può apparire di consistenza pastosa, che
rappresenta una caratteristica peculiare. Una cute secca con scarso turgore
tissutale, solitamente associata con la più comune disidratazione isotonica, può

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Infezioni nei bambini

non essere presente. Comuni segni di disidratazione includono depressione della


fontanella anteriore, occhi infossati con assenza di lacrimazione, secchezza delle
mucose orali, riflesso della suzione debole o assente e letargia (v. Tab. 265-4).

L’ematocrito e i livelli degli elettroliti riflettono lo stato di idratazione e il bilancio


elettrolitico. Anche il peso specifico urinario aiuta a valutare lo stato di
idratazione, e l’esame microscopico delle urine alla ricerca di batteri aiuta a
determinare se può essere presente una IVU (una comune causa di sintomi simili
a quelli della gastroenterite).

L’esame colturale delle feci può essere utile per differenziare le gastroenteriti
virali da quelle batteriche, e per eseguire valutazioni della sensibilità che guidano
la terapia antibiotica specifica. Una colorazione di Wright, Gram, o con blu di
metilene di un campione di feci acquose solitamente mostra numerosi leucociti
polimorfonucleati quando è presente un’infezione batterica.

Terapia

Il caposaldo della terapia della diarrea e del vomito di qualsiasi origine è di


somministrare liquidi ed elettroliti in modo appropriato. Prima di iniziare la terapia,
deve essere valutato clinicamente il grado di disidratazione. Il grado di
disidratazione indica la necessità di reidratazione, mantenimento, e rimpiazzo
delle perdite fecali in corso (v. Tab. 265-4).

Reidratazione: i lattanti che non presentano segni di disidratazione non


necessitano di reidratazione. Nonostante ciò, devono ricevere le stesse quantità
di liquidi consigliati ai pazienti con disidratazione per la fase di mantenimento e
per le perdite fecali in corso. Devono inoltre essere incoraggiati a bere liquidi
(p. es., zuppe, acqua di riso, liquidi di cottura di cereali). La soluzione
reidratante orale, raccomandata dall’OMS, viene usata in tutto il mondo da più
di 20 anni. Questa soluzione contiene 90 mmol/l di sodio, 20 mmol/l di potassio,
80 mmol/l di cloruro, 30 mmol/l di bicarbonato e 111 mmol/l di glucoso; può
essere preparata aggiungendo a 1 l di acqua 3,5 g di cloruro di sodio, 2,5 g di
bicarbonato di sodio, 1,5 g di cloruro di potassio e 20 g di glucoso. Questa
soluzione è efficace nei pazienti che presentano diarrea acuta
indipendentemente dall’età, dalla causa o dal tipo di squilibrio elettrolitico
(iponatremia, ipernatremia o isonatremia). Dopo la reidratazione, la soluzione
reidratante orale deve essere supplementata offrendo acqua semplice o un
liquido a basso contenuto di Na.

Se la soluzione reidratante orale non è disponibile, una soluzione zucchero/


sale di composizione simile può essere usata sia durante la fase di reidratazione
sia durante la fase di mantenimento. Si prepara aggiungendo 1 L di acqua a
15 ml (1 cucchiaio da tavola) di zucchero e 2 ml di sale (1/2 cucchiaino da tè).
Benché la soluzione zucchero/sale sia meno efficace della soluzione reidratante
orale, essa è solitamente adeguata per la terapia della diarrea.

Liquidi EV (Ringer lattato o soluzioni simili) possono essere necessarie per i


bambini che non tollerano fluidi per via orale.

Alla fine del periodo di reidratazione (circa 4 h), il paziente deve essere rivalutato.
Se persistono segni di disidratazione, la terapia reidratante deve essere ripetuta
fino a quando la disidratazione non sia regredita.

Mantenimento: le perdite fecali in corso devono essere reintegrate in rapporto


1:1 con la soluzione reidratante orale. Se la quantità di feci emesse è
sconosciuta, si devono somministrare circa 10 ml/ kg o 1/2 tazza (120-240 ml o
circa 120-240 g) di soluzione reidratante orale per ogni evacuazione diarroica.

I bambini con diarrea che non sono disidratati devono continuare ad assumere
una dieta appropriata per l’età. I bambini che sono disidratati devono assumere
una dieta appropriata per l’età non appena sono stati reidratati. I lattanti con

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Infezioni nei bambini

diarrea allattati al seno devono continuare l’allattamento materno. Per i lattanti


non allattati al seno, un latte animale intero o formulato è solitamente ben
tollerato se la diarrea è lieve e autolimitantesi. I bambini che sviluppano segni o
sintomi di malassorbimento devono ricevere una formula priva di lattoso. Se una
formula priva di lattoso non è disponibile o non ne è sostenibile il costo, il latte
normalmente consumato dal lattante può essere diluito 1:1. I bambini più grandi e
gli adulti possono continuare ad assumere i liquidi normalmente consumati come
desiderano.

Antibiotici: Gli antibiotici dovrebbero essere usati solo in casi specifici, come
mostrato nella Tab. 265-5. Gli antibiotici non modificano il decorso della
gastroenterite da Salmonella; quando vengono impiegati, l’eliminazione fecale
dell’agente infettivo è prolungata, ed è aumentata l’insorgenza di ceppi antibiotico-
resistenti. Comunque, in caso di batteriemia da Salmonella o di localizzazione
extraintestinale, è consigliata la somministrazione EV di ampicillina, ceftriaxone,
cefotaxime, o cloramfenicolo, secondo le indicazioni dell’antibiogramma,
soprattutto nei lattanti di età inferiore ai 6 mesi e nei bambini immunodepressi,
inclusi quelli con anemia falciforme. La gastroenterite da Yersinia di solito
migliora anche senza terapia antibiotica. La gastroenterite da Vibrio cholerae
dovrebbe essere trattata con tetracicline o con trimethoprim-sulfametoxazolo.
L’enterocolite da Campylobacter jejuni abbastanza grave da richiedere
l’ospedalizzazione deve essere trattata con eritromicina. In caso di shigellosi
ampicillino-resistente si può usare il trimethoprim/sulfametoxazolo.

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Malattie gastrointestinali

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

19. Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

20. Patologie esofagee

Disfagia

Disfagia pre-esofagea

Disfagia esofagea

Dolore toracico di origine esofagea

Incoordinazione cricofaringea

Disordini ostruttivi

Anello esofageo inferiore

Diaframma esofageo

Disfagia lusoria

Disordini motori

Acalasia

Spasmo esofageo diffuso sintomatico

Varianti dell’acalasia e dello spasmo diffuso

Malattia da reflusso gastroesofageo

Stenosi ed esofagite corrosiva

Diverticoli esofagei

Ernia iatale

Lacerazioni e rotture esofagee

Sindrome di Mallory-Weiss

Rottura esofagea

Malattie esofagee infettive

21. Disturbi funzionali dell’apparato gastrointestinale superiore

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Malattie gastrointestinali

Dolore toracico funzionale di presunta origine esofagea

Dispepsia funzionale

Vomito funzionale

Bolo isterico

Ruminazione dell’adulto

Alitosi

Alitosi psicogena

Singhiozzo

22. Emorragia gastrointestinale

Malformazioni arterovenose

23. Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Gastrite

Gastrite acuta erosiva

Gastrite cronica erosiva

Gastrite non erosiva

Gastrite post-gastrectomia

Anemia perniciosa

Sindromi gastritiche non frequenti

Malattia peptica ulcerosa

24. Bezoari e corpi estranei

Bezoari

Corpi estranei

25. Addome acuto e chirurgia gastroenterologica

Dolore addominale

Ostruzione intestinale meccanica

Ileo

Colite ischemica

Appendicite

Peritonite acuta

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Malattie gastrointestinali

Peritonite cronica

Peritoniti postoperatorie

26. Pancreatite

Pancreatite acuta

Pancreatite cronica

27. Diarrea e costipazione

Diarrea

Stipsi

Inerzia colica

Dischesia

28. Gastroenterite

Infezione da Escherichia coli O157:H7

Intossicazione alimentare da stafilococco

Botulismo

Intossicazione alimentare da Clostridium perfringens

Gastroenterite virale

Diarrea del viaggiatore

Avvelenamento chimico alimentare

Gastroenterite da farmaci

29. Colite da antibiotici

30. Sindromi da malassorbimento

Intolleranza ai carboidrati

Malattia celiaca

Sprue tropicale

Malattia di Whipple

Linfangectasia intestinale

Sindrome dell’intestino corto

Infezioni e infestazioni

31. Malattie intestinali infiammatorie

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Malattie gastrointestinali

Morbo di Crohn

Colite ulcerosa

32. Disordini funzionali dell’intestino

Sindrome del colon irritabile

Gas

33. Malattia diverticolare

Diverticolosi

Diverticolite

Malattia diverticolare dello stomaco e del duodeno

Malattia diverticolare del piccolo intestino

34. Tumori del tratto gastrointestinale

Tumori dell’esofago

Cancro dell’esofago

Cancro dello stomaco

Tumori del piccolo intestino

Tumori benigni

Tumori maligni

Tumori del grosso intestino

Polipi del colon e del retto

Cancro colorettale

Cancro anorettale

Tumori del pancreas

Tumori esocrini

Adenocarcinoma duttale

Cistoadenocarcinoma

Tumore intraduttale papillare-


mucinoso

Tumori endocrini

Insulinoma

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Malattie gastrointestinali

Sindrome di Zollinger-Ellison

Vipoma

Glucagonoma

35. Malattie anorettali

Emorroidi

Ragade anale

Ascessi anorettali

Fistola anorettale

Sindrome dei muscoli elevatori

Proctite

Malattia pilonidale

Prolasso e procidenza rettale

Incontinenza fecale

Prurito anale

Corpi estranei nel retto

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

19. PROCEDURE DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE IN


GASTROENTEROLOGIA

(V. anche la trattazione della CPRE, della colangiografia transepatica percutanea


e della biopsia epatica nel Cap. 37 e il test alla secretina in Pancreatite cronica
nel Cap. 26).

Sommario:

Introduzione
STUDI RADIOLOGICI DELL'ESOFAGO
ESOFAGOSCOPIA
MANOMETRIA ESOFAGEA
MONITORAGGIO DEL PH ESOFAGEO
TEST DI BERNSTEIN (PERFUSIONE ACIDA)
POSIZIONAMENTO DI UN SONDINO NASOGASTRICO O INTESTINALE
ANALISI DEL CONTENUTO GASTRICO
BIOPSIA DEL PICCOLO INTESTINO E ASPIRAZIONE DEL DUODENO
ENDOSCOPIA DEL TRATTO GASTROINTESTINALE SUPERIORE
ANOSCOPIA E SIGMOIDOSCOPIA RIGIDA O FLESSIBILE
COLONSCOPIA
PARACENTESI ADDOMINALE
PERITONEOSCOPIA DIAGNOSTICA (LAPAROSCOPIA)

La diagnosi e il trattamento dei pazienti con disturbi GI richiedono un approccio


ponderato, individualizzato e completo. Le valutazioni possibili con l'endoscopia,
la scintigrafia, l'angiografia, la TC e la RMN assicurano una notevole precisione e
accuratezza, ma a costi elevati e con un certo rischio di morbilità. Inoltre,
nonostante i numerosi accertamenti, in una percentuale di pazienti con disturbi
GI, che può raggiungere anche il 50%, viene diagnosticato un disturbo funzionale
(v. Cap. 21 e 32) in assenza di alterazioni anatomiche. Quindi, un'anamnesi e un
esame obiettivo accurati, con particolare attenzione alle caratteristiche biologiche
e psicosociali, possono aiutare a ridurre gli esami diagnostici inutili e a sviluppare
efficaci strategie di trattamento.

L'anamnesi e l'esame obiettivo rappresentano quindi una parte fondamentale


della valutazione. Le informazioni devono essere ottenute usando uno stile di
intervista che inizialmente incoraggi il paziente a riferire i sintomi attraverso
un'associazione spontanea, piuttosto che in risposta a domande dirette (v. anche
Approccio al paziente nel Cap. 21). Le domande atte ad agevolare il paziente
(p. es., "Mi può descrivere meglio i suoi sintomi?") devono precedere quelle
mirate a ottenere informazioni dettagliate (p. es., "Quando è iniziato il dolore?"
"Che cosa lo allevia?"). Da tutte queste informazioni il medico sviluppa delle
ipotesi diagnostiche che dovranno essere poi corrette in base a quesiti più
specifici (p. es., "Il dolore viene attenuato dagli antiacidi?" "Ha vomitato
sangue?"). Le domande che provocano una risposta del tipo sì o no, devono
essere fatte solamente quando si prendono in esame specifiche scelte
diagnostiche.

Un esame obiettivo mirato può facilitare la diagnosi differenziale; p. es., il reperto


di un fegato aumentato di volume in un paziente che riferisce l'emissione di feci
scure, picee, può allargare una precedente ipotesi di gastrite o di malattia peptica

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

ulcerosa per comprendere la cirrosi con varici esofagee o un carcinoma GI con


metastasi al fegato. Un'ulteriore indagine diagnostica sul consumo di alcol da
parte del paziente, su di un'eventuale perdita di peso o un esame della cute alla
ricerca di angiomi stellari, permetteranno una valutazione diagnostica ancor più
orientata.

Diverse procedure sono disponibili per facilitare ulteriormente la diagnosi dei


disturbi GI. La scelta della procedura deve essere basata sui reperti ottenuti
all'anamnesi e all'esame obiettivo.

STUDI RADIOLOGICI DELL'ESOFAGO

In aggiunta al tradizionale pasto baritato, la video- e la cinefluoroscopia sono utili


per accertare delle condizioni anatomiche particolari (p. es., setti esofagei) e per
la valutazione dei disturbi motori (p. es., spasmo cricofaringeo, acalasia).

ESOFAGOSCOPIA

L'esofagoscopia può essere eseguita a scopo diagnostico per valutare il dolore o


la disfagia, per identificare anomalie organiche o fonti di sanguinamento o per
ottenere dei campioni bioptici. Le procedure terapeutiche che si possono
eseguire in corso di esofagoscopia includono la rimozione dei corpi estranei,
l'emostasi tramite la coagulazione o la legatura delle varici esofagee, la
distruzione del tessuto tumorale tramite il laser o l'elettrocoagulazione bipolare e
la dilatazione dei setti o delle stenosi. Non esistono controindicazioni assolute
all'esame che può essere facilmente eseguito in regime ambulatoriale; richiede
un'anestesia locale della gola e, generalmente, una sedazione EV. Le
complicanze sono rare e sono di solito correlate all'uso di farmaci (p. es., la
depressione respiratoria); il sanguinamento in occasione di una perforazione è
meno frequente.

MANOMETRIA ESOFAGEA

La manometria esofagea viene usata per valutare i pazienti con disfagia, pirosi
gastrica o dolore toracico. Misura la pressione a livello degli sfinteri esofagei
superiore e inferiore nonché l'efficacia e la coordinazione dei movimenti
propulsivi e mette in evidenza le contrazioni anomale. Viene usata per la diagnosi
di acalasia, spasmo diffuso, sclerodermia, ipo e ipertensione dello sfintere
esofageo inferiore e per valutare la funzione esofagea dopo determinati
procedimenti terapeutici (p. es., chirurgia antireflusso, dilatazione pneumatica per
acalasia). Un piccolo tubo viene inserito attraverso la gola nell'esofago. Le
complicanze sono estremamente rare, ma possono includere un trauma al
passaggio del tubo nel naso.

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

MONITORAGGIO DEL PH ESOFAGEO

Il monitoraggio del pH esofageo viene eseguito in corso di manometria esofagea


o come studio prolungato nei pazienti ambulatoriali (v. Diagnosi in Malattia da
reflusso gastroesofageo nel Cap. 20).

TEST DI BERNSTEIN (PERFUSIONE ACIDA)

Il test di Bernstein è un esame molto sensibile che permette di accertare se il


reflusso acido è la causa del dolore, ma può essere falsamente negativo nei
pazienti già in trattamento. Questo test viene eseguito mediante la perfusione
dell'esofago con una soluzione salina isotonica alternata a una soluzione di acido
cloridrico 0,1 N attraverso il sondino nasogastrico, a una velocità di 6 ml/min.

POSIZIONAMENTO DI UN SONDINO NASOGASTRICO O INTESTINALE

Il sondino nasogastrico o intestinale viene usato per decomprimere lo stomaco


nel trattamento dell'atonia gastrica, dell'ileo paralitico o di un'ostruzione; per
rimuovere delle sostanze tossiche ingerite; per ottenere un campione del
contenuto gastrico da analizzare (volume, acidità, sangue); per l'apporto di
sostanze nutritive con l'alimentazione artificiale. Le controindicazioni includono
l'ostruzione nasofaringea o esofagea, i traumi maxillofacciali, le alterazioni
incontrollabili della coagulazione e, probabilmente, la presenza di voluminose
varici esofagee. Sono disponibili diversi tipi di sonde. La sonda di Levin o di
Salem viene usata per la decompressione gastrica o per il prelievo di campioni
da analizzare, oppure, raramente, per l'alimentazione enterale a breve termine.
Le sonde con un palloncino pesante all'estremità, contenente del mercurio
(p. es., la sonda di Miller-Abbott, di Cantor), superano lo stomaco per ottenere
una decompressione intestinale o per l'alimentazione enterale. Le sonde molto
flessibili con l'estremità di mercurio o di tungsteno (p. es., Corpak, Dobbhoff ed
Entriflex) vengono usate principalmente per l'alimentazione enterale di lunga
durata.

Per il posizionamento del sondino, si fa sedere il paziente in posizione eretta o lo


si fa giacere in decubito laterale sx. Con il capo parzialmente flesso, la sonda,
ben lubrificata, viene inserita attraverso la narice, diretta posteriormente e poi
inferiormente per assecondare la conformazione del nasofaringe. Appena
l'estremità raggiunge la parete posteriore della faringe, il paziente deve aspirare
dell'acqua attraverso una cannuccia (violenti colpi di tosse con il passaggio di
aria attraverso il sondino durante gli atti respiratori, indicano che la sonda è stata
erroneamente posizionata in trachea). L'aspirazione di succo gastrico conferma il
posizionamento della sonda nello stomaco. Con le sonde più grandi la corretta
posizione può essere confermata insufflando da 20 a 30 ml di aria e auscultando
il passaggio dell'aria stessa con lo stetoscopio a livello della regione sottocostale
sx.

Con le sonde da alimentazione enterale più piccole e più morbide, spesso è


necessario usare dei mandrini o delle guide metalliche. Per il passaggio di queste
sonde attraverso il piloro è, di solito, necessaria l'assistenza fluoroscopica o
endoscopica.

Le complicanze sono rare e includono i traumi nasofaringei con o senza


emorragia, l'inalazione polmonare, l'emorragia o la perforazione traumatica
dell'esofago o dello stomaco e la penetrazione intracranica o mediastinica (molto
rara).

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

ANALISI DEL CONTENUTO GASTRICO

L'analisi del contenuto gastrico viene eseguita per valutare gli stati di ipercloridria
(p. es., la sindrome di Zollinger-Ellison) o di ipocloridria (p. es., l'anemia
perniciosa, la gastrite atrofica, la sindrome di Ménétrier); nell'ambito della
valutazione pre e postoperatoria per un'ipergastrinemia inspiegabile, nei pazienti
in cui è stato programmato un intervento chirurgico per la riduzione dell'acidità e
per valutare la possibile incompletezza della vagotomia nei pazienti con recidiva
di malattia ulcerosa peptica, dopo una vagotomia chirurgica. Le controindicazioni
includono un recente sanguinamento o il dolore dovuti a una malattia ulcerosa
attiva.

Si introduce una sonda nasogastrica di Levin (per la tecnica, v. sopra,


Posizionamento di una sonda nasogastrica o intestinale). Il contenuto gastrico
viene aspirato ed eliminato. Con un'aspirazione manuale continua si raccolgono
poi quattro campioni di succo gastrico prodottosi in 15 min (secrezione acida
basale [Basal Acid Output, BAO]). In seguito, viene somministrata la
pentagastrina (6 mg/kg) SC e quindi si ripete il prelievo di altri quattro campioni di
succo gastrico in 15 min (secrezione acida massima o di picco [Maximal Acid
Output, MAO o Peak Acid Output, PAO]). I campioni vengono titolati con
idrossido di sodio per calcolare la BAO e le variazioni secretorie della MAO dopo
la stimolazione.

BIOPSIA DEL PICCOLO INTESTINO E ASPIRAZIONE DEL DUODENO

La biopsia del piccolo intestino e l'aspirazione duodenale sono eseguite per


sostenere, confermare o escludere i disordini infiammatori e organici del piccolo
intestino (p. es., sprue celiaca, morbo di Whipple, infezione da Giardia lamblia). I
disordini incontrollabili della coagulazione rappresentano una controindicazione
all'esame.

Una sonda ben lubrificata, con una capsula di Carey alla sua estremità, viene
introdotta nell'orofaringe e il paziente viene invitato a deglutire. Quando la sonda
entra nello stomaco, viene guidata, sotto controllo fluoroscopico, attraverso il
piloro sino alla terza o alla quarta porzione del duodeno. La biopsia viene
eseguita esercitando una pressione negativa con una siringa mentre la finestra di
aspirazione resta aperta. La mucosa viene aspirata attraverso la finestra della
sonda o della capsula ed è quindi sezionata da una lama che viene attivata
dall'operatore mediante un filo metallico. I campioni di liquido per la diagnosi di
infezione da Giardia si ottengono aspirando il contenuto duodenale. Raramente
si verificano un'emorragia, un intrappolamento della sonda nel duodeno, una
batteriemia e l'inalazione di liquido o di mercurio durante il passaggio della
sonda. Questa tecnica è stata soppiantata dalla biopsia endoscopica, che
permette di ottenere più facilmente dei campioni di tessuto soddisfacenti.

ENDOSCOPIA DEL TRATTO GASTROINTESTINALE SUPERIORE

L'endoscopia del tratto GI superiore viene eseguita per localizzare la sede di un


sanguinamento; per identificare visivamente ed effettuare la biopsia di alterazioni

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

osservate alle rx dell'apparato digerente (ulcere gastriche, difetti di riempimento,


masse); per il follow-up nel trattamento delle ulcere gastriche; per valutare una
disfagia, una dispepsia, un dolore addominale o un'ostruzione gastrica dovute a
un'infezione (Helicobacter pylori, G. lamblia, sindrome da crescita batterica). Le
indicazioni terapeutiche includono l'asportazione dei corpi estranei o dei polipi
gastrici o esofagei, la terapia sclerosante o la legatura con elastici delle varici
esofagee e l'emostasi di una fonte emorragica. Le controindicazioni assolute
comprendono lo shock acuto, l'infarto acuto del miocardio, le convulsioni, l'ulcera
perforata in fase acuta e la sublussazione dell'atlante. Le controindicazioni
relative comprendono la mancata cooperazione del paziente, il coma (a meno
che il paziente non sia intubato), una coagulopatia (tempo di protrombina > 3 s
rispetto a quello di controllo, una piastrinemia < 100000 ml, un tempo di
emorragia > 10 min), la presenza di un diverticolo di Zenker, un'ischemia
miocardica e un aneurisma dell'aorta toracica.

Il paziente deve essere a digiuno da almeno 4 h. Un anestetico topico viene


spruzzato nella faringe o viene usato per eseguire dei gargarismi e, di solito, si
somministra EV un narcotico con il midazolam per sedare il paziente. Questi
viene messo nella posizione opportuna e l'estremità dell'endoscopio viene posta
nell'ipofaringe. Appena il paziente deglutisce, l'endoscopio viene delicatamente
guidato attraverso il muscolo cricofaringeo (lo sfintere esofageo superiore) e
quindi fatto avanzare sotto visione diretta attraverso lo stomaco nel duodeno.
L'esame di tutte le strutture può essere arricchito da fotografie, dal prelievo di
campioni per esame citologico e dal prelievo di campioni bioptici. Le procedure
terapeutiche sono utilizzate in base all'indicazione; p. es., il trattamento
sclerosante viene effettuato facendo passare un catetere, fornito di un ago
all'estremità, attraverso un apposito canale dell'endoscopio e iniettando l'agente
sclerosante nella varice.

La percentuale globale di complicanze varia dallo 0,1 allo 0,2%; la mortalità è


circa dello 0,03%; le complicanze correlate all'uso dei farmaci sono le più comuni
e includono la flebite e la depressione respiratoria. Le più frequenti complicanze
della procedura sono l'inalazione, il sanguinamento dalla sede della biopsia e la
perforazione. Spesso si verifica una batteriemia transitoria (8%) che non si
associa allo sviluppo di una endocardite. La profilassi antibiotica può essere
indicata nei pazienti con patologie valvolari. I pazienti con disturbi della
coagulazione vanno più facilmente incontro alla formazione di un ematoma
retrofaringeo o ad altre complicanze emorragiche. Le procedure terapeutiche
(p. es., la sclerosi delle varici, la dilatazione di una stenosi, la polipectomia) sono
associate a percentuali di complicanze più elevate.

ANOSCOPIA E SIGMOIDOSCOPIA RIGIDA O FLESSIBILE

La sigmoidoscopia viene utilizzata per studiare il paziente che presenta sintomi


riferibili al retto o all'ano (p. es., sanguinamento rettale rosso vivo, secrezioni,
protrusioni, dolore), per valutare una lesione raggiungibile con lo strumento o per
esaminare il retto e il sigma prima di un intervento chirurgico sull'ano e sul retto.
Non ci sono controindicazioni assolute. Nei pazienti affetti da un'aritmia cardiaca
o che presentano una recente ischemia miocardica, l'esame deve essere rinviato
fino a quando le condizioni non migliorano o deve essere eseguito sotto
monitoraggio cardiologico. I pazienti portatori di protesi valvolari possono aver
bisogno di una profilassi antibiotica per prevenire l'endocardite.

L'esame dell'area perianale e del tratto distale del retto può essere eseguito con
un anoscopio di 7 cm; il retto può essere esplorato sia con lo strumento rigido da
25 cm che con quello flessibile da 60 cm; il colon sigmoideo viene studiato con il
sigmoidoscopio flessibile. La sigmoidoscopia flessibile è circa due volte più
costosa rispetto all'esame eseguito con lo strumento rigido, ma è molto più
confortevole per il paziente e permette di eseguire più facilmente delle fotografie,
delle biopsie o dei prelievi per esame citologico.

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

La sigmoidoscopia flessibile viene eseguita con la stessa tecnica descritta oltre


per la colonscopia, a eccezione del fatto che, di solito, non è necessaria la
somministrazione EV di farmaci. Inoltre, la preparazione è più facile: il retto può
essere pulito con un clistere a base di fosfati. La sigmoidoscopia rigida
solitamente viene effettuata con il paziente in posizione genupettorale. Dopo
l'esplorazione rettale, si esamina l'area perianale e lo strumento, ben lubrificato,
viene delicatamente inserito per 3-4 cm al di là dello sfintere anale. Si rimuove
l'otturatore e si fa proseguire lo strumento sotto visione diretta. È necessaria una
considerevole abilità per oltrepassare la giunzione rettosigmoidea (15 cm) senza
causare dolore al paziente. Lo strumento viene inserito per tutta la sua
lunghezza, così come precedentemente descritto per la sigmoidoscopia rigida, di
solito, con il paziente in decubito laterale sinistro. Le complicanze sono
estremamente rare quando l'esame viene eseguito nel modo corretto.

COLONSCOPIA

La colonscopia è usata a fini diagnostici per lo screening dei polipi colici o dei
carcinomi negli individui ad alto rischio (p. es., quelli con una storia familiare di
carcinoma del colon); per valutare meglio un'alterazione osservata al clisma
opaco; per determinare l'origine di un sanguinamento GI occulto o attivo o di
un'anemia (microcitica) inspiegabile; per valutare nei pazienti affetti da un
carcinoma del colon, la presenza di altre lesioni durante lo studio pre- o
postoperatorio e per determinare l'estensione di un'affezione infiammatoria
intestinale. Le indicazioni terapeutiche comprendono la rimozione dei polipi, la
coagulazione delle fonti di sanguinamento, la riduzione dei volvoli o delle
invaginazioni e la decompressione delle dilatazioni coliche acute e subacute. Le
controindicazioni assolute comprendono lo shock acuto, l'infarto acuto del
miocardio, la peritonite, la perforazione intestinale e la colite fulminante. Le
controindicazioni relative includono una preparazione intestinale insufficiente
oppure una emorragia intestinale massiva, una scarsa cooperazione da parte del
paziente, una diverticolite, un recente intervento chirurgico addominale, una
storia di molteplici interventi sulla pelvi oppure una voluminosa ernia. Nei pazienti
portatori di protesi cardiache o articolari sarà necessaria una profilassi antibiotica
per prevenire l'endocardite.

La preparazione del paziente comprende l'assunzione di catartici e l'esecuzione


di clisteri di pulizia oppure l'assunzione di una soluzione di lavaggio intestinale
(p. es., elettrolitica di glicole polietilenico). Per la sedazione vengono
somministrati EV un narcotico e una benzodiazepina a breve azione (p. es.,
midazolam). Dopo l'esplorazione rettale, con il paziente in decubito laterale
sinistro, il colonscopio viene delicatamente inserito, attraverso lo sfintere anale,
nel retto. Sotto visione diretta, viene insufflata aria e lo strumento viene fatto
avanzare nel colon fino al ceco e all'ileo terminale. Raramente è necessaria
un'assistenza fluoroscopica. Il paziente può avvertire dei dolori crampiformi che
possono essere alleviati con l'aspirazione dell'aria, con la rotazione o con la
retrazione dello strumento o con l'ulteriore somministrazione di farmaci, di solito
analgesici. La valutazione diagnostica viene eseguita visualizzando le strutture,
fotografandole ed eseguendo i prelievi con il brushing o le biopsie delle strutture
anormali.

La polipectomia viene eseguita usando un'ansa metallica flessibile, a cappio,


collegata a un elettrobisturi opportunamente collegato alla terra. Dopo aver
catturato il polipo e posizionato il cappio a livello del colletto, si stringe l'ansa
metallica e si applica la corrente in modo da sezionare il polipo alla base. Le
lesioni emorragiche vengono coagulate con l'elettrocauterio usando una sonda
bipolare, con un termocauterio o con la terapia iniettiva.

Le complicanze sono simili e leggermente più frequenti di quelle dell'endoscopia


del tratto GI superiore. L'asportazione dei polipi è associata a una percentuale di
emorragia dell'1,7% e di perforazione dello 0,3%.

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

PARACENTESI ADDOMINALE

La paracentesi addominale viene usata per valutare l'origine del liquido ascitico
(p. es., l'ascite dovuto alla presenza di ipertensione portale, di metastasi, della
TBC o l'ascite pancreatico) e per fare la diagnosi di una perforazione intestinale
in un paziente con una storia di trauma chiuso dell'addome. Questo
procedimento può essere usato anche a fini terapeutici per rimuovere il liquido
ascitico dovuto all'ipertensione portale, soprattutto per ridurre la tensione
prodotta dall'ascite stesso che provoca difficoltà respiratorie, dolore od oliguria.
Le controindicazioni assolute includono i gravi disturbi non correggibili della
coagulazione, l'ostruzione intestinale e l'infezione della parete addominale. Le
controindicazioni relative comprendono la scarsa collaborazione da parte del
paziente, la presenza di cicatrici chirurgiche in corrispondenza dell'area da
pungere e una grave ipertensione portale con circoli collaterali addominali.

Prima della paracentesi devono essere eseguiti un emocromo, una conta


piastrinica e uno studio della coagulazione. Dopo aver vuotato la vescica, il
paziente siede a letto con il capo sollevato da 45 a 90°. Si localizza un punto
lungo la linea mediana, a metà strada tra l'ombelico e il pube e lo si disinfetta
accuratamente con una soluzione antisettica e con alcol. Con metodica sterile,
l'area viene anestetizzata sino al peritoneo con lidocaina all'1%. Per la
paracentesi diagnostica, si inserisce attraverso il peritoneo (generalmente si
sente un "pop") un ago da 18 gauge attaccato a una siringa da 50 ml. Il liquido
viene aspirato delicatamente e un campione viene inviato per la conta delle
cellule, per la valutazione del contenuto delle proteine o dell'amilasi, per l'esame
citologico o per un esame colturale, se necessario. Per la paracentesi terapeutica
(grande quantità), una cannula 14-gauge attaccata a un sistema di aspirazione
sotto vuoto viene usata per raccogliere fino a un massimo di 8 l di liquido ascitico.
L'ipotensione che può seguire la procedura e che è causata dalla ridistribuzione
dei liquidi, è rara finché è presente un edema interstiziale (gambe).

L'emorragia è la complicanza più frequente. Occasionalmente, nel caso di ascite


sotto tensione, vi può essere una prolungata fuoriuscita di liquido ascitico in
corrispondenza del punto di inserzione dell'ago.

PERITONEOSCOPIA DIAGNOSTICA (LAPAROSCOPIA)

La peritoneoscopia diagnostica viene usata per valutare una patologia intra-


addominale o pelvica (p. es., un tumore, l'endometriosi), l'operabilità dei pazienti
con un cancro e i pazienti con dolore addominale acuto o cronico, per guidare
una biopsia epatica sotto visione diretta e per la stadiazione dei linfomi. Le
controindicazioni assolute includono i disturbi della coagulazione o i
sanguinamenti, la scarsa cooperazione da parte del paziente, lo stato
peritonitico, l'occlusione intestinale e l'infezione della parete intestinale.
Controindicazioni relative sono rappresentate dalle gravi malattie cardiache o
polmonari, le voluminose ernie addominali, le operazioni addominali multiple o
l'ascite sotto tensione.

Prima della procedura devono essere eseguiti un emocromo, lo studio della


coagulazione, lo studio rx del torace e dei reni, degli ureteri e della vescica e la
tipizzazione con le prove crociate per 2 U di sangue intero. La laparoscopia viene
eseguita con tecnica sterile in una sala endoscopica ben equipaggiata o in sala
operatoria. Un narcotico e una benzodiazepina a breve azione (p. es.,
midazolam) vengono somministrati EV, mentre l'addome viene disinfettato con
una soluzione antisettica. Si inietta lidocaina all'1% sino al peritoneo in

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Procedure diagnostiche e terapeutiche in gastroenterologia

corrispondenza del punto da pungere. Si pratica un'incisione chirurgica di 5 mm e


si inserisce un ago di Verres per fare il pneumoperitoneo. Si insuffla quindi
l'ossido di azoto nella cavità addominale. Si estende l'incisione per altri 10-15 mm
e si introduce la cannula con il mandrino nella cavità peritoneale. Si rimuove il
mandrino e si inserisce il peritoneoscopio attraverso la cannula. Si esamina il
contenuto addominale e si effettuano le procedure necessarie, quali l'aspirazione
del liquido ascitico e i prelievi bioptici. Quando il procedimento è terminato,
l'ossido di azoto viene espulso dal paziente con una manovra di Valsalva e la
cannula viene rimossa. L'incisione viene suturata. Un'infusione EV viene
mantenuta per 24 h e il paziente viene controllato dopo 6 e dopo 24 h per
eventuali segni di sanguinamento o di infezione.

Le complicanze includono il sanguinamento, la peritonite batterica e la


perforazione di un viscere.

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Pancreatite

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

26. PANCREATITE

Infiammazione del pancreas.

PANCREATITE CRONICA

Sommario:

Eziologia e fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Eziologia e fisiopatologia

Negli USA, la pancreatite cronica è dovuta più frequentemente all'alcolismo e a


cause idiopatiche. Come per la pancreatite acuta, in alcuni casi è stata implicata
la microlitiasi. Cause meno frequenti sono la pancreatite ereditaria,
l'iperparatiroidismo e l'ostruzione del dotto pancreatico principale provocata da
una stenosi, da un calcolo o da un carcinoma. Raramente, un grave episodio di
pancreatite acuta causa una stenosi del dotto pancreatico tale da danneggiare il
drenaggio pancreatico e provocare una pancreatite cronica. In India, Indonesia e
Nigeria, la pancreatite calcifica idiopatica si verifica nei bambini e nei giovani
adulti.

Sintomi e segni

I sintomi e i segni possono essere identici a quelli di una pancreatite acuta.


Sebbene a volte non sia presente, un importante dolore epigastrico può durare
per varie ore o per diversi gg. Le possibili cause includono l'infiammazione acuta
non riconosciuta dagli esami convenzionali, la distensione dei dotti pancreatici
provocata da stenosi o da calcoli, una pseudocisti, un'infiammazione perineurale
o un'ostruzione del duodeno o del coledoco causata da una fibrosi della testa del
pancreas. Il dolore addominale può scomparire mano a mano che le cellule
acinari che secernono gli enzimi digestivi pancreatici vengono distrutte. Quando
la secrezione delle lipasi e delle proteasi sono ridotte a < 10% della norma, il
paziente sviluppa una steatorrea, con feci grasse o addirittura contenenti gocce
di olio e una creatorrea. La distruzione delle cellule insulari riduce la secrezione
di insulina e provoca un'intolleranza al glucoso.

Diagnosi

Gli esami di laboratorio, incluse l'amilasi e la lipasi, sono frequentemente normali,


probabilmente a causa di una significativa riduzione della funzione pancreatica. I
marker dell'infiammazione (p. es., la conta dei GB) sono generalmente poco
aumentati.

Le alterazioni strutturali possono essere visualizzate con una rx diretta


dell'addome (che mostra le calcificazioni pancreatiche dovute alla presenza di

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Pancreatite

calcoli intraduttali), con un'ecografia o con una TC (che mostrano le alterazioni


delle dimensioni e della consistenza del pancreas, la presenza di una pseudocisti
o di dotti pancreatici dilatati) e con una CPRE (che mostra le alterazioni del dotto
pancreatico principale e dei rami secondari).

Questi esami per immagini possono, comunque, essere normali nei primi anni
della malattia.

I test della funzione pancreatica indagano le funzioni endocrina ed esocrina. Il


diabete mellito è presente se la glicemia a 2 ore di distanza dal pasto è > 200 mg/
dl (> 11,1 mmol/l) o se due misurazioni a digiuno della glicemia sono > 120 mg/dl
(> 6,66 mmol/l).

Il test più sensibile della funzione pancreatica esocrina, il test alla secretina, non
è disponibile nella maggior parte degli ospedali. Si effettua posizionando una
sonda nel duodeno e raccogliendo le secrezioni pancreatiche stimolate dalla
somministrazione EV di secretina, da sola o con la colecistochinina-
pancreozimina o con la ceruleina. Le secrezioni duodenali vengono raccolte per
misurarne il volume, la concentrazione di bicarbonati e quella di enzimi. Una
raccolta di volume normale (> 2 ml/kg), ma con una ridotta concentrazione di
HCO3 (< 80 mEq/l) indica una pancreatite cronica; un volume ridotto (< 2 ml/kg),
una normale concentrazione di HCO3 (> 80 mEq/ l) e una normale
concentrazione di enzimi indicano un'ostruzione del dotto pancreatico, forse
secondaria a una neoplasia, e richiedono l'esecuzione di una CPRE.

Un esame dei grassi fecali a 72 h non è sensibile per la determinazione di una


disfunzione pancreatica esocrina, perché la steatorrea non si verifica fino a
quando la produzione delle lipasi non è pari al 10% del valore normale. Altri test
più sensibili includono la misurazione del tripsinogeno sierico, della chimotripsina
fecale e dell'acido p-amminobenzoico urinario (test della bentiromide).

Terapia

La recidiva di una pancreatite cronica può richiedere un trattamento simile a


quello di una pancreatite acuta. Il paziente deve abolire completamente
l'assunzione di alcol. A volte, la somministrazione di liquidi EV e il digiuno si
dimostrano efficaci. Le misure dietetiche di incerto beneficio, includono pasti
piccoli poveri di grassi e proteine (per ridurre la secrezione degli enzimi
pancreatici) e la somministrazione di antiacidi o di farmaci H2-antagonisti (per
ridurre il rilascio di secretina stimolato dagli acidi, che aumenta il flusso del succo
pancreatico). Troppo spesso queste misure non riducono il dolore e sono
necessarie importanti quantità di narcotici con il rischio di una tossicodipendenza.
Il trattamento medico del dolore pancreatico cronico, infatti, spesso, non è
soddisfacente.

Recentemente, c'è stato un interesse nell'uso di potenti enzimi pancreatici nel


trattamento del dolore cronico, dal momento che gli enzimi somministrati in
elevate quantità inibiscono il rilascio da parte della mucosa duodenale della
colecistochinina-pancreozimina e riducono quindi la secrezione pancreatica degli
enzimi. Il dosaggio raccomandato degli enzimi pancreatici orali è di 30000 U di
lipasi ad ogni pasto (p. es., 6 compresse di pancreolipasi). L'uso degli estratti
pancreatici sembra aver maggior successo nel migliorare il dolore pancreatico
cronico nei casi di pancreatite idiopatica lieve piuttosto che in quelli di pancreatite
alcolica. Poiché il duodeno richiede elevate dosi di enzimi, le preparazioni a
rilascio prolungato non sono efficaci per eliminare il dolore. Per mettere a riposo il
pancreas è stato provato anche l'octreotide, un'analogo a lunga azione della
somatostatina. Tuttavia, la riduzione del dolore sembra minima.

Una pseudocisti pancreatica, che può causare un dolore cronico, può essere
drenata in una struttura vicina a cui aderisce fermamente (p. es., lo stomaco) o in
un'ansa digiunale defunzionalizzata (attraverso una cistodigiunostomia secondo
Roux-en-Y). Se il dolore è refrattario e il dotto pancreatico principale è dilatato
(diametro > 8 mm), una pancreaticodigiunostomia laterale (procedura di

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Pancreatite

Puestow) elimina il dolore in circa il 70-80% dei pazienti. Se il dotto non è


dilatato, può essere presa in considerazione una resezione, p. es., la
pancreasectomia distale (nel caso di una malattia molto estesa a livello della
coda del pancreas) o l'operazione di Whipple (se la malattia è molto estesa a
livello della testa del pancreas). Questi approcci chirurgici possono risolvere il
dolore nel 60-80% dei pazienti e devono essere riservati ai pazienti che non
presentano una dilatazione del dotto pancreatico, che hanno interrotto
l'assunzione di alcol e riescono a controllare il diabete che può, peraltro,
peggiorare con la resezione pancreatica.

In generale, le resezioni pancreatiche più estese (p. es., la pancreasectomia


distale subtotale del 95%) sono state abbandonate. Come alternativa alla
chirurgia, la denervazione percutanea del plesso celiaco con alcol o con una
combinazione di lidocaina e corticosteroidi, può permettere una riduzione
temporanea del dolore.

La steatorrea può essere migliorata, ma raramente eliminata, con l'assunzione di


4-6 compresse di potenti estratti pancreatici (ciascuna compressa contiene
_ 5000 U di lipasi) ai pasti. Sebbene gli estratti pancreatici a rilascio non
prolungato possano essere potenziati dagli H2-antagonisti per ridurre l'acidità
intragastrica e quindi proteggere gli enzimi che vengono denaturati in un
ambiente acido, le preparazioni a rilascio prolungato (da una a tre capsule con i
pasti) sono di solito efficaci da sole. Una risposta clinica favorevole include un
aumento di peso, la riduzione del numero di evacuazioni intestinali giornaliere,
l'eliminazione delle gocce oleose nelle feci e un miglioramento dello stato
generale. La risposta clinica può essere quantificata confrontando i risultati della
misurazione dei grassi fecali prima e dopo la terapia enzimatica. Se la steatorrea
è particolarmente grave e refrattaria a queste misure terapeutiche, possono
essere somministrati dei trigliceridi a catena media come fonte di grassi (sono
assorbiti senza gli enzimi pancreatici), riducendo così proporzionalmente i grassi
assunti con l'alimentazione. A volte è necessaria una somministrazione
aggiuntiva di vitamine liposolubili (A, D e K).

Gli ipoglicemizzanti orali raramente sono utili nel trattamento del diabete mellito
causato dalla pancreatite cronica. L'insulina deve essere somministrata con
cautela, poiché il coesistente deficit di secrezione di glucagone da parte delle
cellule a fa sì che gli effetti ipoglicemizzanti dell'insulina non siano controbilanciati
e si possa verificare quindi un'ipoglicemia prolungata. Nella pancreatite cronica,
raramente si verifica una chetoacidosi diabetica. Nella maggior parte dei pazienti,
una glicemia di 200-250 mg è accettabile e non richiede alcun trattamento; è
meglio mantenere il paziente in una condizione leggermente iperglicemica
piuttosto che rischiare l'ipoglicemia dovuta a una troppo zelante
somministrazione di insulina.

I pazienti affetti da una pancreatite cronica hanno un aumentato rischio di cancro


del pancreas. Un peggioramento dei sintomi, specialmente con la comparsa di
una stenosi del dotto pancreatico, richiede un pronto esame per accertare la
presenza di una neoplasia maligna. Questo può includere lo striscio del tessuto
stenotico per l'esame citologico o la misurazione dei marker sierici (p. es., il CA
19-9 e l'antigene carcinoembrionario).

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Patologie esofagee

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

20. PATOLOGIE ESOFAGEE

(V. anche Anomalie gastrointestinali nel Cap. 261; per la sclerodermia v. Sclerosi
sistemica nel Cap. 50.)

MALATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO

Reflusso del contenuto gastrico nell'esofago.

Sommario:

Eziologia
Sintomi segni e complicanze
Diagnosi
Terapia

Eziologia

La presenza di una malattia da reflusso gastroesofageo (RGE) indica


l'incompetenza dello sfintere esofageo inferiore. I fattori che contribuiscono alla
competenza della giunzione gastroesofagea includono la pressione intrinseca
dello sfintere, l'angolo della giunzione cardioesofagea, l'azione del diaframma e
la forza di gravità (quando il paziente è in posizione eretta). Il RGE può causare
un'esofagite. I fattori che contribuiscono al suo sviluppo includono la natura
caustica del materiale che refluisce, l'incapacità a eliminare rapidamente
dall'esofago il materiale refluito, il volume del contenuto gastrico e le funzioni
protettive locali della mucosa.

Sintomi, segni e complicanze

Il sintomo principale è rappresentato dalla pirosi retrosternale con o senza


rigurgito del contenuto gastrico nella cavità orale. Le complicanze del RGE sono
costituite dall'esofagite, dalla stenosi esofagea, dall'ulcera esofagea e dalla
metaplasia di Barrett. L'esofagite può causare odinofagia e talvolta un'emorragia
che può essere massiva. La stenosi peptica causa una disfagia gradualmente
progressiva per i cibi solidi. Le ulcere peptiche dell'esofago provocano lo stesso
tipo di dolore delle ulcere gastriche o duodenali, ma di solito il dolore è localizzato
nella regione xifoidea o retrosternale alta. Tendono a guarire molto lentamente, a
recidivare e, di solito, dopo la guarigione residua una stenosi.

Diagnosi

Un'accurata anamnesi indirizza verso la diagnosi. Gli studi rx, l'esofagoscopia, la


manometria esofagea, il monitoraggio del pH e il test di perfusione acida di
Bernstein, sono di aiuto per confermare la diagnosi e dimostrare le possibili
complicanze (p. es., l'esofago di Barrett). Le rx eseguite con il paziente in
posizione di Trendelenburg possono mostrare il reflusso del bario dallo stomaco
nell'esofago. Si può eseguire una compressione addominale, ma normalmente le

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Patologie esofagee

manovre radiologiche non sono indicatori sensibili di un RGE. Le rx eseguite


subito dopo la deglutizione del bario sono in grado di mostrare le ulcere esofagee
e le stenosi peptiche, ma sono raramente diagnostiche nei pazienti con
un'emorragia causata da un'esofagite. L'esofagoscopia fornisce una diagnosi
accurata di esofagite, con o senza emorragia. Permette, inoltre, di eseguire il
lavaggio per l'esame citologico e la biopsia sotto visione diretta, essenziali per
distinguere una stenosi peptica benigna da un carcinoma dell'esofago. La
manometria esofagea, determina la pressione a livello dello sfintere esofageo
inferiore. Il monitoraggio del pH esofageo fornisce un'evidenza diretta del RGE.
Nel test di Bernstein, i sintomi sono prontamente riprodotti dalla perfusione acida
dell'esofago ed eliminati dalla perfusione con soluzione fisiologica. Le biopsie
dell'esofago possono mostrare un assottigliamento dello strato squamoso della
mucosa e un'iperplasia delle cellule basali, anche senza alcuna evidenza
endoscopica di esofagite.

Una biopsia positiva o un test di Bernstein positivo sono strettamente correlati ai


sintomi esofagei di reflusso anche con reperti endoscopici e rx negativi. La
biopsia endoscopica rappresenta inoltre l'unico modo per evidenziare in modo
consistente le alterazioni colonnari mucose della metaplasia di Barrett.

Terapia

Il trattamento del RGE non complicato consiste nel (1) sollevare la testata del
letto del paziente di circa 20 cm; (2) astenersi dai cibi che stimolano in modo
importante la secrezione acida (p. es., caffè, alcol); (3) evitare alcuni farmaci
(p. es., gli anticolinergici), alcuni cibi specifici (grassi, cioccolato) e il fumo, che
riducono tutti la competenza dello sfintere esofageo inferiore; (4) somministrare
30 ml di antiacido 1 h dopo i pasti e al momento di coricarsi per neutralizzare
l'acidità gastrica e possibilmente aumentare la competenza dello sfintere
esofageo inferiore; (5) usare gli H2-antagonisti per ridurre l'acidità gastrica
(talvolta, anche con altri farmaci); (6) usare degli agonisti colinergici (p. es.,
betanecol, 25 mg PO tid, metoclopramide, 10 mg PO 30 min prima dei pasti e al
momento di coricarsi o cisapride, 10 mg qid; Attenzione: rischio di una grave
interazione farmacologica con la cisapride) per aumentare la pressione dello
sfintere. Gli inibitori dell'ATPasi idrogeno-potassio, come l'omeprazolo, alla dose
di 20 mg/die per 4-8 sett., o il lansoprazolo, alla dose di 30 mg/die per 4-8 sett.,
sono gli agenti più efficaci per una rapida guarigione dell'esofagite peptica.
L'omeprazolo è stato approvato per l'uso a lungo termine nella prevenzione della
recidiva dell'esofagite erosiva.

Terapia delle complicanze: un'emorragia da esofagite, a meno che non sia


massiva, non richiede un intervento chirurgico d'urgenza, anche se può
comunque recidivare. Le stenosi esofagee necessitano di un trattamento medico
intensivo e di ripetute dilatazioni (p. es., con cateteri a palloncino per via
endoscopica o con dilatatori) per ottenere e conservare la pervietà esofagea. Se
la dilatazione viene effettuata correttamente, le stenosi non costituiscono una
seria limitazione al tipo di cibi che il paziente può mangiare. L'omeprazolo o il
lansoprazolo o gli interventi antireflusso (p. es., Belsey, Hill, Nissen) vengono
utilizzati nei pazienti con esofagiti gravi, con emorragie, stenosi, ulcere o con
sintomi intrattabili, indipendentemente dalla presenza di un'ernia iatale.
L'intervento chirurgico può, oggi, essere eseguito anche con tecniche
laparoscopiche videoassistite. La metaplasia di Barrett risponde in modo
incostante alle terapie chirurgica o medica. Spesso viene consigliato il controllo
endoscopico, ogni 1 o 2 anni, per la prevenzione delle trasformazioni maligne,
ma l'efficacia dal punto di vista dei costi è dubbia.

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Patologie esofagee

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Anomalie congenite

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

261. ANOMALIE CONGENITE

Difetti strutturali presenti alla nascita.

ANOMALIE GASTROINTESTINALI

I neonati con ostruzione intestinale congenita presentano distensione addominale


e vomito alla nascita o entro 1-2 giorni di vita. Deve essere immediatamente
posizionato un SNG in aspirazione continua, per decomprimere l’intestino e
prevenire il vomito, che può determinare polmonite ab ingestis o ulteriore
distensione addominale con peggioramento della funzione respiratoria e
necessità di trasferimento in un centro di chirurgia neonatale. È inoltre
fondamentale mantenere una temperatura corporea adeguata, prevenire
l’ipoglicemia, somministrando destroso al 10% ed elettroliti EV e prevenire e
trattare rapidamente l’acidosi e le infezioni, affinché il bambino affronti l’intervento
in condizioni ottimali. Nel neonato con una malformazione intestinale congenita
devono inoltre essere ricercate malformazioni associate a carico di altri organi,
soprattutto del SNC, del cuore e dei reni.

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck

5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL


TESSUTO CONNETTIVO

50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO

SCLEROSI SISTEMICA

Malattia cronica a eziologia sconosciuta, caratterizzata da fibrosi diffusa,


alterazioni degenerative e anomalie vascolari della cute (sclerodermia), delle
strutture articolari e degli organi interni (particolarmente esofago, tratto
gastroenterico, polmone, cuore e rene).

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Esami di laboratorio
Prognosi
Terapia

La sclerosi sistemica si verifica con una frequenza circa 4 volte maggiore nelle
donne ed è relativamente rara nei bambini.

Le forme localizzate di sclerodermia si manifestano come chiazze circoscritte


(morfea) o come sclerosi lineare dei tegumenti e dei tessuti immediatamente
sottostanti, senza interessamento sistemico. La malattia mista del tessuto
connettivo (Mixed Connective Tissue Disease, MMTC, v. oltre) riunisce
caratteristiche della sclerodermia (p. es., il fenomeno di Raynaud e la disfunzione
esofagea), con tratti clinici e sierologici del LES, della polimiosite o dell'AR. I
pazienti con MMTC hanno titoli altissimi di Ac sierici che reagiscono con la
ribonucleoproteina nucleare.

Sintomi, segni e diagnosi

La Sclerosi sistemica varia per gravità ed evoluzione; le sue manifestazioni


vanno dall'ispessimento cutaneo generalizzato (sclerosi sistemica con
sclerodermia diffusa) che può causare interessamento viscerale rapidamente
progressivo e spesso fatale, a una forma contraddistinta da interessamento
cutaneo ridotto (spesso limitato al viso e alle dita) e lenta progressione, di solito
di svariati decenni, prima che si manifesti un quadro clinico completo di
caratteristico coinvolgimento viscerale. La seconda forma viene chiamata
sclerodermia cutanea limitata o sindrome CREST (C alcinosi, R aynaud's
fenomeno, E sofagite, S clerodattilia, T eleangectasie). Esistono inoltre sindromi
sovrapposte; p. es., la sclerodermatomiosite (cute ispessita e debolezza
muscolare non distinguibile dalla polimiosite); MMTC; e una sindrome muscolo-
scheletrica indotta chimicamente da alcuni veleni sistemici, come accaduto nella
sindrome da olio tossico ingerito che si è verificata nella città di Madrid nel 1981
e che ha colpito circa 20000 persone. Una sindrome caratterizzata da mialgia
invalidante ed eosinofilia è stata associata all'ingestione di L-triptofano, sebbene
l'esatta eziologia non sia nota e la tossicità probabilmente era dovuta a un
contaminante.

Le manifestazioni iniziali più frequenti nella sclerosi sistemica sono il fenomeno di

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Malattie del tessuto connettivo

Raynaud e il rigonfiamento insidioso delle parti distali degli arti, con ispessimento
graduale della cute delle dita. La poliartralgia è anche predominante. Fra le prime
manifestazioni della malattia si annoverano, occasionalmente, anche disturbi GI
(p. es., pirosi gastrica, disfagia) e respiratori (dispnea).

Cute: l'ispessimento è simmetrico e può essere limitato alle dita (sclerodattilia) e


ai segmenti distali degli arti superiori o può colpire la maggior parte o tutto il
corpo. Col progredire della malattia la cute diventa tesa, lucida e iperpigmentata;
il viso diventa una maschera; e appaiono teleangectasie sulle dita della mano, sul
petto, sul viso, sulle labbra e sulla lingua. Si sviluppano calcificazioni
sottocutanee (calcinosi circoscritta), abitualmente sulla punta delle dita
(polpastrelli) e sulle prominenze ossee. La microscopia capillare del letto
ungueale evidenzia anse capillari dilatate con aree di perdita del letto
microvascolare normalmente visibile a quel livello. La biopsia della cute ispessita
dimostra un aumento delle fibre compatte del collageno dermico,
l'assottigliamento dell'epidermide e l'atrofia delle appendici dermiche. Vi possono
essere accumuli di linfociti T di grandezza variabile nel derma e nel sottocute,
che può essere anche sede di estesa fibrosi.

Apparato muscolo-scheletrico: rumori di crepitazione si possono sviluppare


sulle articolazioni (particolarmente nel ginocchio), nelle guaine tendinee (tendiniti)
e nelle grandi borse sierose, dovuti alla deposizione di fibrina sulle superfici
sinoviali. Le contratture in flessione delle dita, dei polsi e dei gomiti sono dovute
alla fibrosi della membrana sinoviale, delle strutture molli periarticolari e della
pelle. Ulcere trofiche sono frequenti, specialmente sulla punta delle dita, nelle
zone soprastanti le articolazioni delle dita o sui noduli calcifici.

Tratto GI: la disfunzione esofagea è il disturbo GI più frequente e si manifesta,


prima o poi, nella maggior parte dei casi. La disfagia (manifestata da svariati tipi
di sensazioni anormali durante la deglutizione) è inizialmente causata da
alterazione della motilità esofagea, ma più tardi può essere dovuta a reflusso
gastroesofageo e a formazione secondaria di stenosi. Sono comuni il riflusso di
acido, dovuto all'incontinenza dello sfintere esofageo inferiore e l'esofagite
peptica con possibile ulcerazione e stenosi. L'esofago di Barrett si manifesta in
1/3 dei pazienti con sclerodermia; questi pazienti hanno un aumentato rischio di
complicanze (p. es., stenosi, adenocarcinoma). L'ipomotilità del piccolo intestino
può essere associata a malassorbimento dovuto all'eccessivo sviluppo di batteri
anaerobi intestinali. Si possono avere cisti intestinali (pneumatosi cistoide
intestinale) in seguito a degenerazione della muscularis mucosae e alla
penetrazione d'aria nella sottomucosa della parete intestinale. Dilatazioni
caratteristiche a forma di sacculi possono svilupparsi nel colon e nell'ileo a causa
dell'atrofia della muscolatura liscia di questi segmenti. La cirrosi biliare può
essere associata con sindrome CREST.

Apparato cardiorespiratorio: la fibrosi polmonare causa una precoce


alterazione nello scambio dei gas che conduce a dispnea da sforzo. Possono
verificarsi pleuriti e pericarditi. Il coinvolgimento polmonare generalmente
progredisce in modo subdolo, molto variabile da individuo a individuo. Si può
sviluppare un'ipertensione polmonare a causa della fibrosi interstiziale e
peribronchiale o per l'iperplasia dell'intima delle piccole arterie polmonari;
quest'ultimo reperto è associato alla sindrome CREST. Le aritmie cardiache, i
disturbi di conduzione e altre anomalie dell'ECG sono frequenti. ECG
ambulatoriali in pazienti con interessamento polmonare o cardiaco, rivelano battiti
ectopici ventricolari nel 67% dei casi; tale reperto è stato fortemente correlato a
morte improvvisa. L'insufficienza cardiaca può essere in rapporto all'ipertensione
polmonare e al cuore polmonare secondario oppure alla sostituzione fibrosa del
muscolo cardiaco. L'insufficienza cardiaca tende a cronicizzarsi e a rispondere
male al trattamento.

Apparato renale: malattie renali gravi possono svilupparsi come conseguenza


dell'iperplasia dell'intima delle arterie interlobulari e arcuate e si manifestano
abitualmente con l'insorgenza improvvisa di un'ipertensione grave o maligna che,
se non trattata, è rapidamente seguita da insufficienza renale progressiva e
irreversibile, in alcuni mesi letale. Tuttavia, la moderna aggressiva terapia
antiipertensiva ha ottenuto sopravvivenza Š 2 anni per la maggior parte dei
pazienti, sebbene non tutti rispondano a questa terapia e alcuni vadano incontro

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Malattie del tessuto connettivo

a insufficienza renale nonostante il buon controllo della PA sistemica (v. Terapia,


oltre).

Esami di laboratorio

La sclerosi sistemica conclamata è facilmente diagnosticata su base clinica. Gli


anticorpi non specifici e la tipizzazione HLA sono di grande interesse per la
ricerca. Il test per il FR è positivo nel 33% dei pazienti affetti da sclerosi sistemica
e gli ANA nel 90%; gli ANA spesso mostrano un pattern antinucleolare. Un Ac
che reagisce con la proteina centromerica (Ac anticentromero) è presente nel
siero di un'alta percentuale di pazienti affetti da sindrome CREST. L'Ag anti-SCL-
70 (topoisomerasi I) è una proteina legante il DNA sensibile alla nucleasi. I
pazienti con sclerodermia diffusa hanno con maggiori probabilità anticorpi anti-
SCL-70. Gli anticorpi anti-SCL-70 sono stati associati alla presenza di patologia
vascolare periferica e di fibrosi interstiziale polmonare, ma non hanno valore
predittivo rispetto al coinvolgimento cardiaco, renale o alla sopravvivenza.
L'analisi dei vari aplotipi HLA nella sclerodermia ha evidenziato una significativa
correlazione solo tra Sclerosi sistemica e l'HLA-DR5 e un'aumentata frequenza di
HLA-DR1 in pazienti con sindrome CREST.

Prognosi

Il decorso è variabile e imprevedibile, ma abitualmente lento. La maggior parte


dei pazienti mostra alla fine segni di interessamento viscerale. La prognosi è
infausta se sono presenti precoci complicanze cardiache, polmonari o renali. In
ogni caso la malattia può rimanere circoscritta e non progredire per lunghi periodi
di tempo, nei pazienti affetti da sindrome CREST; si sviluppano alla fine sempre
altre alterazioni viscerali (p. es., l'ipertensione polmonare, dovuta all'alterazione
vascolare del polmone, una forma particolare di cirrosi biliare), ma il decorso di
questa forma di Sclerosi sistemica è spesso benigno.

Terapia

Non esistono farmaci capaci di influenzare in modo significativo la storia naturale


della sclerosi sistemica, benché diversi preparati possano essere utilizzati nel
trattamento di sintomi specifici o di patologie d'organo. I corticosteroidi possono
essere utili nei pazienti affetti da una miosite invalidante, da sinovite o da MMTC.
La somministrazione prolungata (> 1,5 anni) di penicillamina (0,5-1 g/die) può
portare alla riduzione dell'ispessimento cutaneo e della quota di nuove
complicanze viscerali. Il farmaco è abitualmente iniziato alla dose di 250 mg/die e
aumentato per migliorare la tolleranza a intervalli di vari mesi. Vari farmaci
immunosoppressori, incluso il metotrexato, sono stati utili in saltuari casi di
sclerosi sistemica; uno studio a doppio cieco condotto su 65 pazienti ha
evidenziato che dopo 3 anni di terapia immunosoppressiva con clorambucil non
erano emersi benefici. La nifedipina alla dose di 20 mg tid o come tollerata può
migliorare il fenomeno di Raynaud. L'esofagite da riflusso migliora con pasti
frequenti e piccoli, con gli antiacidi e gli H2 antagonisti (p. es., con la cimetidina
300 mg qid, 30 min prima dei pasti e prima di coricarsi), con gli inibitori della
pompa protonica e facendo dormire il paziente con la testa del letto sollevata. Le
stenosi esofagee possono richiedere una dilatazione periodica; si è avuto
successo nella correzione del riflusso gastroesofageo con interventi di
gastroplastica. La tetraciclina a dosi di 1 g/die PO e/o altri antibiotici a largo
spettro sopprimono l'aumentata proliferazione della flora intestinale e possono
migliorare i sintomi di malassorbimento, causati dalla colonizzazione batterica
delle anse intestinali dilatate. La fisioterapia può essere utile per conservare il
tono muscolare, ma è inefficace nella prevenzione delle contratture.

Per la patologia renale, i farmaci di scelta sono gli ACE inibitori. Sono stati usati

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Malattie del tessuto connettivo

con un certo successo altri vasodilatatori (p. es., il minoxidil). Tutti questi farmaci
sono efficaci nel controllare l'ipertensione e aiutano a salvaguardare la funzione
renale. Quando il trattamento non è in grado di prevenire una malattia renale
all'ultimo stadio, si può ricorrere a un trapianto e alla dialisi, anche se la mortalità
rimane alta

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

Manuale Merck

5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL


TESSUTO CONNETTIVO

49. Approccio al paziente artropatico

50. Malattie del tessuto connettivo

Artrite reumatoide

Sindrome di Sjögren

Sindrome di Behçet

Policondrite recidivante

Lupus eritematoso sistemico

Lupus eritematoso discoide

Sclerosi sistemica

Fascite eosinofila

Polimiosite e dermatomiosite

Polimialgia reumatica

Vasculite

Arterite temporale

Poliarterite nodosa

Granulomatosi di Wegener

Malattia mista del tessuto connettivo

51. Artrite associata a spondilite

Spondilite anchilosante

Sindrome di Reiter

Artrite psoriasica

52. Osteoartrosi e artropatia neurogena

Osteoartrosi

Artropatia neurogena

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

53. Necrosi avascolare

54. Infezioni delle ossa e delle articolazioni

Artriti infettive

Osteomielite

55. Malattie indotte da cristalli

Gotta

Iperuricemia idiopatica

Malattia da deposizione di pirofosfato calcico diidrato

Disordini da cristalli di fosfato di alcio basico e di altra natura

56. Tumori ossei e articolari

Tumori benigni dell’osso

Tumori maligni dell’osso

57. Osteoporosi

58. Morbo di Paget dell’osso

59. Reumatismi non articolari

Torcicollo spasmodico

Lombalgia

Borsite

Tendinite e tenosinovite

Fibromialgia

60. Disordini comuni del piede e della caviglia

Distorsioni della caviglia

Disordini associati a talalgia

Sindrome dello sperone calcaneare

Epifisite del calcagno

Borsite posteriore del tendine di Achille

Frattura del tubercolo postero-laterale


dell’astragalo

Borsite anteriore del tendine di Achille

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

Nevralgia del nervo tibiale posteriore

Malattie associate a metatarsalgia

Dolore dei nervi interdigitali

Dolore dell’articolazione metatarsofalangea

Alluce rigido

61. Disordini comuni della mano

Deformazioni

Dito di Mallet

Deformazione a collo di cigno

Deformazione en boutonnière

Osteoartrosi erosiva (infiammatoria)

Contrattura di Dupuytren

Sindromi neurovascolari

Sindrome del tunnel carpale

Sindrome del tunnel cubitale

Sindrome del tunnel radiale

Malattia di Kienböck

Gangli

Distrofia riflessa simpatica

Traumi

Infezioni

Deformazioni congenite

Problemi tendinei

62. Traumi comuni da sport

Frattura metatarsale da stress

Sindromi delle logge della gamba

Tendinite poplitea

Tendinite Achillea

Dolore femororotuleo

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Malattie muscoloscheletriche del tessuto connettivo

Lesione della muscolatura femorale posteriore

Sindrome piriforme

Strappi lombari

Epicondilite laterale

Epitrocleite

Tendinite della cuffia dei rotatori

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Approccio al paziente artropatico

Manuale Merck

5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL


TESSUTO CONNETTIVO

49. APPROCCIO AL PAZIENTE ARTROPATICO

Sommario:

Introduzione
Esame obbiettivo
Diagnosi
Diagnosi differenziale delle malattie articolari infiammatorie e non
infiammatorie

Un'anamnesi completa e un esame fisico sono importanti in un paziente con


sintomi articolari, che possono far parte di una malattia sistemica o localizzata.
Gli esami di laboratorio e i dati radiologici sono generalmente solo complementari.

Esame obiettivo

Ciascuna articolazione coinvolta deve essere osservata e palpata e ne deve


essere misurato il grado di movimento. Questo abitualmente consente di
evidenziare la malattia e di stabilire se sono interessate le articolazioni, le
strutture adiacenti o entrambe. Le articolazioni coinvolte vanno confrontate con le
controlaterali sane o con quelle dell'esaminatore. I risultati raccolti vanno
registrati obiettivamente e quantitativamente, p. es., facendo ricorso a un sistema
numerico di gradazione e misurando in gradi la motilità articolare.

Il movimento articolare, generalmente causa di dolore nelle artropatie, può non


esserlo nelle malattie periarticolari, ossee e nelle patologie dei tessuti molli. La
tumefazione rappresenta un elemento importante. La palpazione di una
articolazione tumefatta aiuta (1) ad accertare la presenza di versamento
intrarticolare; (2) a differenziare un semplice versamento da un ispessimento
sinoviale e da un rigonfiamento osseo o della capsula; (3) a determinare se la
tumefazione è limitata alla sola articolazione o se è periarticolare. La dolorabilità
o la tumefazione localizzati in una sola zona dell'articolazione, possono in realtà
essere legate all'interessamento dei legamenti, dei tendini o delle borse sierose
adiacenti; la positività o meno dei dati semeiologici è indice del grado di
interessamento articolare. Una monoartrite suggerisce sempre la presenza di
un'infezione, di un'artrite da cristalli, di un trauma o raramente di un tumore.

L'aumento di temperatura della cute sovrastante l'articolazione va attentamente


localizzato. Molte articolazioni normali sono in realtà più fredde della cute
adiacente. Crepitii possono essere provocati dalle strutture intrarticolari o dai
tendini; le cause che producono i crepitii devono essere determinate (nel
ginocchio, p. es., il crepitio può dipendere dal grattamento femoro-rotuleo o dal
movimento femoro-tibiale).

Le piccole articolazioni (p. es., l'acromio-clavicolare nella spalla, l'articolazione


tibiofibulare nella parte laterale del ginocchio, l'articolazione radioulnare nel
gomito) possono essere fonte di un dolore inizialmente riferito all'articolazione più
grande.

Mano: le principali caratteristiche differenziali della mano nell'osteoartrosi e

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Approccio al paziente artropatico

nell'artrite reumatoide sono riportate in Tab. 49-1. Nell'AR cronica si verificano


sublussazioni articolari che provocano deformazioni a "collo di cigno" o "en
boutonnière"(v. Cap. 61) Nell'artrite psoriasica vengono generalmente colpite le
articolazioni interfalangee distali (IFD); le lesioni psoriasiche spesso si
manifestano intorno all'unghia adiacente e l'interessamento articolare è più
asimmetrico rispetto a quello dell'AR. Nella sindrome di Reiter le alterazioni
sinoviali periarticolari e periostali sono presenti in alcune IFD o nelle articolazioni
interfalangee prossimali o metacarpofalangee e vi è un interessamento
asimmetrico delle articolazioni delle dita. L'interessamento asimmetrico delle IFD
è anche presente nella gotta cronica, nella quale si formano depositi tofacei
irregolari articolari o extrarticolari, alcuni dei quali si presentano sotto la cute
come aggregati color crema.

Le alterazioni a carico della mano sono generalizzate nella sindrome spalla-mano


(distrofia riflessa simpatica), con edema diffuso, pelle chiazzata e lievemente
cianotica. Nella sclerosi sistemica progressiva, ci può essere un iniziale diffuso
gonfiore, ma col tempo la cute si ispessisce e spesso si sviluppano contratture in
flessione; si può osservare il fenomeno di Raynaud. Caratteristici
dell'osteoartropatia ipertrofica polmonare sono l'ingrossamento a bacchetta di
tamburo della punta delle dita della mano e il dolore riferito alla porzione distale
del radio e dell'ulna, causato dalla sottostante periostite. Nel LES, e meno
frequentemente nella dermatomiosite, si può osservare una sinovite articolare
simile a quella dell'AR, anche se le artralgie e i dolori localizzati alle mani, senza
una obiettiva tumefazione articolare, sono più caratteristici di entrambe queste
patologie. Sempre nel LES possono osservarsi deformazioni delle dita simili a
quelle dell'AR, che sono causate, però, da interessamento dei tessuti molli e non
da un'artrite erosiva avanzata. Il fenomeno di Raynaud è spesso presente nel
LES, mentre nella dermatomiosite si può riscontrare un eritema desquamante
sulla superficie estensoria delle articolazioni.

Gomito: la tumefazione e l'ipertrofia della membrana sinoviale, causata


dall'artropatia, si verificano nella zona laterale del gomito tra il capitello radiale e
l'olecrano, producendo una protuberanza; è importante, inoltre, evidenziare
l'eventuale versamento o l'ispessimento della borsa dell'olecrano e i noduli
reumatoidi ed epitrocleari. Si ricercherà un'estensione articolare completa di
180°. Sebbene l'estensione completa è possibile nelle forme non artritiche ed
extrarticolari, la sua perdita rappresenta una delle prime fasi dell'artrite. Nel
gomito del tennista, un dolore acuto ben localizzato viene evocato esercitando
una decisa pressione sull'epicondilo laterale.

Spalla: la limitazione del movimento, l'astenia, il dolore e un disturbo della


motilità si evidenziano invitando il paziente a cercare di sollevare entrambe le
braccia sulla testa. Vanno inoltre ricercate l'atrofia muscolare e alterazioni
neurologiche. Sebbene una tumefazione non sia comune, un rigonfiamento nella
parte anteriore della spalla è talvolta presente nell'AR, dovuto alla dissezione in
avanti di una sinovite gleno-omerale. L'attenta palpazione della spalla rilassata
può consentire di identificare una dolenzia causata dall'infiammazione delle
borse sierose o dei tendini, manifestazione che si verifica prevalentemente a
carico dell'area subacromiale e del tendine del capo lungo del bicipite. La
localizzazione del processo infiammatorio permette l'aspirazione del liquido
sinoviale e l'iniezione di una soluzione di lidocaina e corticosteroidi per favorire la
risoluzione della tendinite acuta e confermare la diagnosi.

Piede e caviglia: poiché il carico può evidenziare certe anormalità, il paziente


deve stare in piedi per parte dell'esame. L'escursione articolare di una caviglia
normale è di 15° in flessione dorsale e 40° in flessione plantare. Una tumefazione
localizzata al di sotto e appena al davanti dei malleoli è caratteristica di una
patologia sinoviale o intrarticolare. La palpazione di tale tumefazione di
consistenza soffice con dolorabilità del piede ai movimenti di estensione e
flessione, è indice di sinovite della caviglia. Dolore alla flessione plantare o
dorsale suggerisce malattia subtalare o del legamento. Un edema della caviglia,
spesso associato a una motilità normale, può essere distinto da una vera
tumefazione articolare, in quanto si presenta diffuso, superficiale, con
permanenza della fovea e non dolente. Nell'AR le articolazioni metatarsofalangee
sono generalmente tumefatte e dolenti. Una sinovite delle articolazioni
interfalangee dei piedi, che di solito non si manifesta nei casi di AR, può indicare

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Approccio al paziente artropatico

la sindrome di Reiter, altre artriti reattive, l'artrite psoriasica o la gotta. Nella gotta
l'articolazione più frequentemente colpita è la prima metatarsofalangea (MTF);
ma anche l'arco plantare e la caviglia possono essere coinvolti. Inoltre è molto
evidente, nell'attacco acuto, l'eritema diffuso. Dolore al movimento con crepitii
sulla prima articolazione metatarsofalangea suggeriscono l'osteoartrosi.

Ginocchio: alterazioni grossolane come tumefazione (p. es., le cisti poplitee),


atrofia muscolare dei quadricipiti e instabilità articolare sono più evidenziabili a
paziente in piedi e nella deambulazione. L'attenta palpazione del ginocchio, a
paziente supino, cercando di localizzare il dolore, di rilevare la presenza di liquido
articolare e l'ipertrofia della membrana sinoviale, aiuta a evidenziare la presenza
di artrite. È importante differenziare la dolorabilità delle borse sierose
extrarticolari dai veri disturbi intrarticolari.

Il riconoscimento di piccoli versamenti articolari è un problema frequente che è


possibile risolvere facendo ricorso al "bulge sign" (segno del rigonfiamento). A
paziente supino e con i muscoli rilassati, il ginocchio viene esteso e la gamba
extraruotata. La parte mediale del ginocchio viene premuta per allontanare, da
questa zona, l'eventuale liquido presente. La palpazione della borsa soprarotulea
e la lieve pressione e frizione della zona laterale del ginocchio, può creare
un'onda di liquido o un rigonfiamento visibile medialmente quando è presente un
versamento.

Per rilevare eventuali contratture in flessione del ginocchio, è importante tentare


un'estensione completa di 180°. In caso di rottura di menisco o di lesione
traumatica dei legamenti collaterali, le sollecitazioni forzate in valgo o in varo, a
gamba estesa, producono dolore, comprimendo il menisco e stirando
contemporaneamente il legamento collaterale opposto. La rima articolare può
essere localizzata con la palpazione digitale mediale e laterale, mentre il
ginocchio viene lentamente esteso e flesso. Un menisco lussato è dolente alla
pressione decisa; la lesione di un legamento collaterale causa dolore nelle
sollecitazioni dirette in senso longitudinale. Per saggiare l'integrità dei legamenti
crociati, si afferra tirando e spingendo la gamba a ginocchio flesso a 90° (meglio
se il paziente è seduto sul lettino con le gambe ciondolanti) e si valuta il
movimento in avanti e indietro (che deve essere minimo) della tibia rispetto al
femore. La rotula deve essere libera in ogni movimento e risultare non dolente.
Per individuare una motilità articolare abnorme, e in particolar modo l'instabilità
laterale, si dovrà immobilizzare la coscia, sollecitando il ginocchio, rilassato e
quasi esteso, da un lato e dall'altro.

Anca: i pazienti affetti da artrite dell'anca di discreta entità spesso hanno


un'andatura zoppicante, che può essere causata dal dolore, dall'accorciamento
della gamba, da una contrattura in flessione o dall'indebolimento muscolare. In
genere, un attento esame può evidenziare una perdita dell'intrarotazione (spesso
la prima alterazione) della flessione, dell'estensione o dell'abduzione dell'anca.
La palpazione della cresta iliaca del paziente consente di rilevare il movimento
pelvico che potrebbe essere confuso con il movimento dell'anca. Una contrattura
in flessione può essere identificata cercando di estendere la gamba del paziente,
mantenendo l'anca opposta in posizione di massima flessione, per stabilizzare la
pelvi. Una dolorabilità localizzata sul gran trocantere del femore indica più una
borsite locale che un'artrite.

Colonna vertebrale: va scrupolosamente misurata la motilità del rachide


cervicale e lombare. Nell'artrite degenerativa è impossibile invertire, alla
flessione, la fisiologica lordosi lombare. Nella spondilite anchilosante è
caratteristica anche la limitazione della flessione lombare. L'osteoartrosi o la
spondilite anchilosante limitano anche il movimento del collo. Sia le malattie dei
tessuti molli che l'artrite possono causare dolore e limitazione del movimento.
L'effetto del movimento sul dolore va sempre attentamente valutato. La
palpazione e la decisa percussione di ogni vertebra e delle articolazioni
sacroiliache, possono suscitare un dolore osseo superficiale o profondo, che va
distinto da quello secondario alla contrattura dei muscoli laterali della colonna. Un
dolore osseo localizzato suggerisce la presenza di osteomielite, leucemia,
tumore primitivo o metastatico, frattura da compressione o ernia del disco. Le
reazioni psicogene ("non mi toccare") devono essere notate, così come la
presenza di punti muscolari dolenti tipici della fibromialgia. Si deve misurare

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Approccio al paziente artropatico

anche l'espansibilità toracica, poiché essa è tipicamente ridotta nella spondilite


anchilosante.

Diagnosi

Non di rado patologie quali flebiti, arteriosclerosi obliterante, cellulite, edemi,


neuropatie, sindromi da compressione vascolare, rigidità del morbo di Parkinson,
fratture periarticolari da stress, stenosi del canale vertebrale, miosite e
fibromiosite, polimialgia reumatica, vengono erroneamente interpretate dai
pazienti come artriti. Queste malattie possono essere distinte ciascuna dalle
proprie tipiche caratteristiche (descritte altrove nel Manuale) e dall'assenza o
scarsità dei reperti articolari. Le cisti poplitee, dovute ad artrite del ginocchio,
possono causare dolore popliteo locale e compressione venosa o rottura nel
polpaccio che può essere confusa con una flebite.

Segni extrarticolari possono essere utili nell'identificazione del tipo di artrite


(p. es., i tofi nella gotta, i noduli nell'AR, l'eruzione pustolosa nella
gonococcemia). Anche una coesistente malattia periarticolare, può facilitare la
diagnosi. Per esempio, una tendinite spesso coesiste con l'artrite gonococcica,
l'AR e altre malattie sistemiche; un'importante dolorabilità delle ossa adiacenti
alle articolazioni e versamenti intrarticolari si verificano nell'anemia a cellule
falciformi e nell'osteoartropatia ipertrofica polmonare, e l'entesite con dolorabilità
e tumefazione a livello delle inserzioni tendinee suggerisce un'artrite reattiva.

Spesso l'artrite è transitoria e si risolve senza una diagnosi specifica. Un'artrite


può non soddisfare i criteri per una definita malattia reumatica (v. Tab. 49-2). Per
poter iniziare il trattamento di queste malattie, è necessario ipotizzare una
diagnosi, tenendo però sempre presente le altre possibilità. In tutte le condizioni
atipiche e non diagnosticate non è da escludere l'esistenza di una malattia
sistemica. La malattia di Lyme e altre patologie infettive devono sempre essere
prese in considerazione precocemente, dal momento che queste rispondono alla
terapia specifica.

Alcuni problemi richiedono un trattamento immediato. La monoartrite acuta è un


esempio e l'esame del liquido sinoviale è essenziale (v. oltre). La presenza di un
versamento emorragico può essere indice di frattura, di diatesi emorragica o di
patologia maligna. I versamenti intensamente infiammatori depongono per
un'infezione da piogeni che richiede un'immediata terapia antibiotica e
l'aspirazione o il drenaggio del liquido sinoviale, per stabilire la diagnosi e
prevenire la distruzione articolare.

Gli esami ematochimici sono utili nel diagnosticare alcuni tipi specifici di artrite
(per i test specifici, v. i capitoli dedicati alle singole malattie). Una VES o una
proteina C-reattiva elevata, sono indicativi di malattia infiammatoria. I livelli sierici
dell'acido urico vengono innalzati dalla somministrazione di diuretici, di aspirina a
basse dosi, da altri farmaci, dalla dieta o dall'alcol e sono elevati nella gotta. I test
al lattice, utilizzati per la ricerca del fattore reumatoide (FR), sono spesso positivi
nell'AR, ma possono esserlo anche nella epatite, nella cirrosi, nella sarcoidosi,
nell'endocardite batterica subacuta, nella tubercolosi e in altre infezioni e malattie
del collagene. I fattori antinucleari (FAN) possono essere presenti nell'AR, nella
sindrome di Sjögren, nella sclerosi sistemica progressiva, nel LES, nell'epatite e
in altre malattie. Se viene sospettato un LES, può essere utile dosare gli Ac anti-
DNA a doppia elica, anti-Sm e i livelli del complemento. La CPK e la AST sieriche
sono elevate nelle miopatie, comprese alcune forme di distrofia muscolare, nei
traumi da schiacciamento, nella polimiosite e dermatomiosite. La CPK può
essere elevata anche nell'ipotiroidismo.

Gli esami radiologici sono importanti nella valutazione iniziale delle forme
articolari relativamente localizzate e non chiare, per rilevare la possibile presenza
di tumori metastatici o primitivi, di osteomielite, di infarti ossei, di calcificazioni
periarticolari o di alterazioni di altre strutture, site in profondità, che possono
sfuggire all'esame clinico. Nei casi di gotta, di AR cronica e di osteoartrosi, si
possono evidenziare erosioni, cisti e assottigliamento a carico degli spazi

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Approccio al paziente artropatico

articolari. Gli esami radiologici sono inoltre particolarmente utili nell'esame della
colonna vertebrale, ma generalmente non sono necessari se il problema sembra
essere secondario a un semplice stiramento acuto dei muscoli paravertebrali
lombari. La TC e la RMN, possono aiutare nella diagnosi di lesioni poco ovvie
persistenti.

Altri esami utili sono la biopsia sinoviale con ago o chirurgica, l'ecografia,
l'artroscopia, l'artrografia, la TC dell'osso, l'elettromiografia, i tempi di conduzione
nervosa, la termografia e la biopsia muscolare od ossea. Le caratteristiche del
liquido sinoviale verranno trattate più avanti.

Diagnosi differenziale
delle malattie articolari infiammatorie
e non infiammatorie

Una volta realizzato il coinvolgimento articolare, il processo infiammatorio deve


essere differenziato da quello non infiammatorio. Fra i segni locali più tipici di
infiammazione, l'aumento del termotatto e l'eritema sono i più utili per tale
differenziazione. Nell'AR non vi è in genere eritema a carico delle articolazioni
cronicamente infiammate. La VES e la proteina C-reattiva tendono a salire e
spesso vi è anche febbre nelle forme gravi di artrite infiammatoria, ma ciò può
anche essere causato da altri processi infiammatori localizzati altrove
nell'organismo. Una tumefazione dei tessuti molli depone a favore di un processo
artritico, ma soltanto l'aspirazione del versamento ci consente di determinarne
con esattezza la natura. L'osteoartrosi del ginocchio, sebbene primariamente
degenerativa, spesso causa versamento. La preparazione per lo studio del
liquido sinoviale risulta molto delicata. Non è necessario effettuare tutti gli
esami su ogni liquido.

Lo studio del liquido sinoviale permette di classificare la maggior parte dei


versamenti sinoviali come normali, non infiammatori, infiammatori e settici (v.
Tab. 49-3). Possono esserci anche versamenti di tipo emorragico. Ciascun tipo di
versamento è indice di una precisa malattia articolare (v. Tab. 49-4). I versamenti
sinoviali cosiddetti non infiammatori, sono in realtà moderatamente infiammatori,
suggerendo un meccanismo infiammatorio meno intenso. Se si sospetta
un'infezione, una parte del campione di liquido sinoviale deve essere inviata al
laboratorio per la diagnosi batteriologica.

Per la diagnosi definitiva di gotta, pseudogotta e altre artropatie indotte da


cristalli, è essenziale l'esame microscopico di uno striscio a fresco del liquido
sinoviale per la ricerca dei cristalli utilizzando la luce polarizzata (bastano solo
poche gocce di liquido sinoviale) (v. Cap. 55). L'uso di un polarizzatore a basso
costo sulla fonte luminosa e di un altro fra il vetrino e l'occhio dell'esaminatore,
consentirà di visualizzare i cristalli con una birifrangenza bianca e luminosa.
Inserendo una piastra rossa di primo ordine si ottiene una luce polarizzata
compensata, come nel caso dei microscopi in commercio. Si possono inoltre
riprodurre gli effetti di un compensatore, sistemando due strisce di nastro adesivo
trasparente sul vetrino e ponendolo sul polarizzatore più basso. Ogni sistema
rudimentale di questo genere dovrebbe essere testato contro un microscopio
commerciale a polarizzazione prima dell'utilizzazione per la diagnosi. Se i cristalli
evidenziati non sono tipici, devono essere considerati molti cristalli meno comuni
(di colesterolo, cristalli lipidici liquidi, di crioglobuline) o artefatti (p. es., cristalli di
corticosteroidi depot).

Altri reperti del liquido sinoviale che possono occasionalmente far porre o
suggerire una specifica diagnosi, includono organismi specifici (identificabili con
colorazione di Gram o acida); cellule LE sviluppate spontaneamente in vivo;
spine di midollo (causate da fratture); cellule di Reiter (monociti che hanno
fagocitato PMN), osservate per lo più nelle artriti reattive; frammenti di amiloide
(identificabili con la colorazione al rosso Congo); globuli rossi "sickled" (causati
dalle emoglobinopatie drepanocitiche); ferro in grandi cellule sinoviali
mononucleari (identificabili con la colorazione blu di Prussia e presenti
specialmente nella emocromatosi o nella sinovite villonodulare pigmentosa).

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Approccio al paziente artropatico

Nella valutazione del liquido sinoviale di tipo infiammatorio, può risultare utile
soltanto occasionalmente confrontare i livelli del complemento sierico e
quelli del liquido sinoviale. Nell'AR i livelli del complemento del liquido sinoviale
tendono a essere < 30% di quello sierico, ma sono spesso più alti nella gotta,
nella sindrome di Reiter e nell'artrite infettiva. I livelli del complemento sono bassi
(quindi normali) nei liquidi sinoviali non infiammatori, in cui è scarsa la
componente proteica. Nel LES è possibile rilevare bassi livelli di complemento,
sia nel siero che nel liquido sinoviale. La ricerca del fattore reumatoide nel
liquido sinoviale può dare risultati falsi-positivi e falsi-negativi, e pertanto non
dovrebbe essere effettuata. Livelli estremamente bassi di glucoso in campioni di
liquido sinoviale maneggiato con cura e posto in provette fluorate, possono
confermare la presenza di infezione.

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Malattie del tessuto connettivo

Manuale Merck

5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL


TESSUTO CONNETTIVO

50. MALATTIE DEL TESSUTO CONNETTIVO

ARTRITE REUMATOIDE

Sindrome a decorso cronico, caratterizzata da un'infiammazione non specifica e


generalmente simmetrica delle articolazioni periferiche, che può evolvere in una
distruzione progressiva delle strutture articolari e periarticolari, con o senza
manifestazioni generalizzate.
(v. anche Artrite reumatoide giovanile nel Cap. 270.)

Sommario:

Eziologia e anatomia patologica


Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Diagnosi
Terapia

Eziologia e anatomia patologica

La causa è sconosciuta. Una predisposizione genetica è stata identificata e, nelle


popolazioni bianche, localizzata a carico di un pentapeptide nel locus HLA-DR b1
dei geni di istocompatibilità di classe II. Fattori ambientali possono inoltre giocare
un ruolo. Alterazioni immunologiche possono essere innescate da molteplici
fattori (v. anche Disordini autoimmuni sotto Disordini con reazioni di
ipersensibilità di Tipo III nel Cap. 148). Circa l'1% di tutta la popolazione ne è
affetto; le donne vengono colpite con rapporto di 2-3:1 rispetto agli uomini. Può
esordire a tutte le età, ma la massima incidenza è fra i 25 e i 50 anni.

Le principali anormalità immunologiche, che possono essere importanti nella


patogenesi, includono gli immunocomplessi trovati nelle cellule del liquido
articolare e nella vasculite. Le plasmacellule producono anticorpi (p. es., fattore
reumatoide [FR]) che contribuiscono alla formazione di questi complessi. I linfociti
che infiltrano il tessuto sinoviale sono principalmente cellule T helper, che
possono produrre citochine flogogene. I macrofagi e le loro citochine (p. es., il
tumor necrosis factor, il fattore stimolante la formazione di colonie di granulociti-
macrofagi) sono anche abbondanti nella membrana sinoviale patologica.
L'aumento delle molecole di adesione contribuisce alla migrazione di cellule
infiammatorie e al loro deposito nel tessuto sinoviale. L'aumento delle cellule di
rivestimento di derivazione macrofagica è predominante, insieme a quello dei
linfociti e ai cambiamenti vascolari nelle fasi precoci della malattia.

Nelle articolazioni colpite cronicamente la membrana sinoviale, sottile nei casi


normali, sviluppa numerose pieghe villose e si ispessisce per l'ipertrofia e
l'iperplasia delle cellule di rivestimento e per la proliferazione dei linfociti e delle
plasmacellule. Le cellule di rivestimento producono una serie di sostanze diverse,
tra le quali la collagenasi e la stromelisina che possono contribuire alla
distruzione della cartilagine; l'interleuchina-1, che stimola la proliferazione dei
linfociti e le prostaglandine. Le cellule infiltranti, disposte inizialmente in sede
perivenulare e più tardi a costituire veri e propri follicoli linfatici provvisti di centro

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Malattie del tessuto connettivo

germinativo, sintetizzano interleuchina-2, altre citochine, il fattore reumatoide


(FR) e altre immunoglobuline. Sono anche presenti depositi di fibrina, fibrosi e
necrosi. La membrana sinoviale iperplastica (panno) può erodere la cartilagine,
l'osso subcondrale, la capsula articolare e i legamenti. I leucociti
polimorfonucleati (PMN) non sono cospicui nella membrana sinoviale, ma spesso
predominano nel liquido sinoviale.

Il nodulo reumatoide, presente in più del 30% dei pazienti, si presenta


generalmente a livello sottocutaneo nei punti sottoposti a irritazione cronica
(p. es., la superficie estensoria dell'avambraccio). Sono granulomi non specifici
caratterizzati, all'esame anatomopatologico, da una zona necrotica centrale
circondata da cellule mononucleate disposte a palizzata, con il loro maggior asse
che si irradia dal centro; il tutto è circondato da una zona esterna di linfociti e
plasmacellule. Si possono trovare segni di vasculite nella pelle, nei nervi o in
numerosi organi viscerali, nei casi gravi di AR, ma questi sono clinicamente
significativi soltanto in alcuni casi.

Sintomi e segni

L'esordio è abitualmente insidioso, con progressivo coinvolgimento articolare, ma


può essere acuto, con simultaneo interessamento flogistico di più articolazioni. Il
segno più indicativo è una particolare dolorabilità di tutte le articolazioni
infiammate. L'ispessimento sinoviale, il segno più specifico, finisce sempre col
manifestarsi nella maggior parte delle articolazioni colpite. È tipico il
coinvolgimento simmetrico delle piccole articolazioni delle mani (in particolar
modo le interfalangee prossimali e le metacarpofalangee), delle articolazioni dei
piedi (metatarsofalangee), dei polsi, dei gomiti e delle caviglie, ma le
manifestazioni iniziali possono verificarsi a carico di qualsiasi articolazione.

Di solito si riscontra rigidità mattutina, di durata > 30 min o dopo prolungata


inattività; possono essere presenti segni di malessere pomeridiano e di
affaticamento. Si possono sviluppare rapidamente alcune deformazioni, in modo
particolare contratture in flessione. È tipica, come esito finale, la deviazione
ulnare delle dita con una lussazione mediale dei tendini estensori delle
articolazioni metacarpofalangee. La sindrome del tunnel carpale può originarsi da
una sinovite del polso. La rottura di cisti poplitee può simulare una trombosi
venosa profonda.

I noduli reumatoidi sottocutanei non sono abitualmente una manifestazione


precoce. Altre manifestazioni extrarticolari sono i noduli viscerali, la vasculite che
può causare ulcere agli arti inferiori, le mononeuriti multiple, i versamenti pleurici
o pericardici, linfoadenopatia, la sindrome di Felty, la sindrome di Sjögren o la
episclerite. Può essere presente febbre, ma essa è generalmente modesta,
tranne che nella malattia di Still dell'adulto, una poliartrite siero-negativa, molto
simile all'AR, ma con importanti caratteristiche sistemiche.

Esami di laboratorio

Gli esami ematochimici sono utili. L'anemia normocitica, normocromica (o


lievemente ipocromica), tipica di altre affezioni croniche, si verifica nell'80% dei
casi; l'Hb è generalmente > 10 g/dl, ma può raramente abbassarsi sino a 8 g/dl.
Se l'Hb scende < 10 g/dl va esclusa la contemporanea presenza di un'anemia
sideropenica o di altro tipo. La neutropenia si verifica nel 1-2% dei casi ed è
spesso associata a splenomegalia (sindrome di Felty). Possono essere presenti
lievi forme di ipergammaglobulinemia policlonale e di trombocitosi.

La VES è elevata nel 90% dei casi. In circa il 70% dei casi sono presenti i
cosiddetti fattori reumatoidi (FR), Ac che reagiscono con gammaglobuline
alterate e che vengono evidenziati dai test di agglutinazione (p. es., il test di
agglutinazione al lattice utilizza IgG umane adsorbite a particelle di lattice) che

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Malattie del tessuto connettivo

evidenziano IgM FR. Anche se i FR non sono specifici per l'AR e possono essere
presenti in numerose altre malattie (p. es., le affezioni granulomatose, le infezioni
croniche, l'epatite, la sarcoidosi, l'endocardite batterica subacuta), un alto titolo di
FR aiuta a confermare la diagnosi. Nella maggior parte dei laboratori, un titolo
pari a 1:160 per il test al lattice è considerato il valore più basso per la diagnosi
dell'AR. Il titolo di FR è anche spesso misurato con la nefelometria (< 20 UI/ml è
considerato negativo). La presenza di FR ad alto titolo indica una prognosi
negativa ed è spesso associata a una malattia ad andamento progressivo, a
noduli, a vasculite e a interessamento polmonare. Il titolo può essere influenzato
dal trattamento e spesso si riduce con la diminuzione dell'attività infiammatoria.

Il liquido sinoviale, sempre alterato nel corso delle fasi acute


dell'infiammazione, risulta opaco ma sterile, con una ridotta viscosità e contiene
in genere da 3000 a 50000 leucociti/ml. Tra queste cellule tipicamente
predominano i polimorfonucleati, ma meno del 50% di esse può essere costituito
da linfociti e altre cellule mononucleate. Possono essere rilevate, per mezzo di
uno striscio a fresco, le inclusioni citoplasmatiche dei leucociti presenti anche in
altri versamenti infiammatori. Il complemento del liquido sinoviale è spesso
< 30% di quello sierico. I cristalli sono assenti.

All'esame radiografico, nel corso dei primi mesi di malattia, si rileva soltanto un
rigonfiamento dei tessuti molli. Successivamente, possono essere presenti
osteoporosi periarticolare, una diminuzione degli spazi articolari (della cartilagine
articolare) ed erosioni marginali. La velocità di deterioramento è estremamente
variabile, sia dal punto di vista radiologico che clinico, ma le erosioni, come
segno di danno osseo, si verificano nell'arco del primo anno.

Diagnosi

L'American College of Rheumatology ha stilato dei criteri semplificati per la


classificazione dell'AR (v. Tab. 50-1). Anche se intesi in un primo momento come
aiuto alla ricerca clinica, tali criteri possono risultare utili come guida alla diagnosi
clinica.

Quasi tutte le altre malattie che causano artrite devono comunque essere
considerate. Alcuni pazienti con artrite da cristalli soddisfano questi nuovi criteri;
l'esame del liquido sinoviale spesso aiuta a escludere questi casi. Comunque,
due malattie che causino artrite possono coesistere molto raramente. Quando la
diagnosi è dubbia, i noduli sottocutanei di incerta origine possono essere aspirati
o bioptizzati per differenziare tofi gottosi, amiloide e noduli di altra natura.

Il LES può mimare l'AR. Il LES può essere generalmente differenziato per le
caratteristiche lesioni cutanee delle zone esposte alla luce, per la perdita dei
capelli nella zona temporo-frontale, per le lesioni delle mucose orale e nasale,
per l'artrite non erosiva, per il liquido sinoviale con un numero di GB spesso
< 2000/µl (prevalentemente cellule mononucleate), per la presenza di Ac anti-
DNA, per l'interessamento renale e per il basso livello del complemento sierico
(v. oltre, Lupus eritematoso sistemico). Anticorpi antinucleari positivi e alcune
caratteristiche del LES si possono verificare in casi di AR per altri versi tipici,
dando origine alla cosiddetta "overlap syndrome" (sindrome da sovrapposizione).
Alcuni di questi pazienti possono avere AR grave; altri possono avere malattie
associate al LES o altre malattie del collagene. La poliarterite, la sclerosi
sistemica progressiva, la dermatomiosite e la polimiosite possono presentare
caratteristiche simili a quelle dell'AR.

Altre malattie sistemiche possono causare sintomi simili a quelli dell'AR. Anche
la sarcoidosi, l'amiloidosi, la malattia di Whipple e altre malattie sistemiche
possono coinvolgere le articolazioni; la biopsia tissutale talora aiuta a
differenziare queste condizioni. La febbre reumatica acuta può essere
differenziata per l'interessamento articolare migrante e per il riscontro di una
pregressa infezione streptococcica (esame colturale o titolo antistreptolisinico-O
che si modifica nel tempo); soffi cardiaci mutevoli, corea ed eritema marginato
sono molto meno frequenti nell'adulto che nel bambino. L'artrite infettiva è

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Malattie del tessuto connettivo

generalmente monoarticolare o asimmetrica (v. Cap. 54). La diagnosi è basata


sull'identificazione dell'agente eziologico. Un processo infettivo può sovrapporsi
in un'articolazione affetta da AR. L'artrite gonococcica abitualmente esordisce
come un'artrite migrante che coinvolge i tendini del polso e della caviglia e infine
si localizza in una o due articolazioni. La malattia di Lyme può verificarsi senza il
dato anamnestico della puntura di zecca o dell'eruzione cutanea; si possono
utilizzare test sierologici (v. Cap. 157). Le ginocchia sono in genere le più colpite.
La sindrome di Reiter (artrite reattiva) è caratterizzata da evidenza di una uretrite
pregressa o diarrea, da un interessamento asimmetrico del calcagno, delle
articolazioni sacroiliache, delle grandi articolazioni degli arti inferiori e dalla
presenza di uretrite, congiuntivite, irite, ulcere orali non dolenti, balanite circinata
o cheratodermia blenorragica della pianta del piede o di altri distretti (v. Cap. 51).
I livelli di complemento sono spesso elevati, sia nel siero che nel liquido
sinoviale. L'artrite psoriasica tende a essere asimmetrica e non è abitualmente
associata a FR, ma la diagnosi differenziale può risultare difficile in assenza delle
caratteristiche lesioni ungueali o cutanee (v. Cap. 51). Sono suggestivi un
coinvolgimento delle articolazioni interfalangee distali e un'artrite mutilante.

La spondilite anchilosante può essere riconosciuta per la predilezione per il


sesso maschile, l'interessamento articolare del rachide, l'assenza dei noduli
sottocutanei e del FR (v. Cap. 51). La gotta può essere mono- o poliarticolare e,
nelle prime fasi della malattia, presenta una remissione completa della
sintomatologia negli intervalli fra gli attacchi acuti. La gotta cronica può simulare
l'AR (v. Cap. 55). Tipico è il riscontro nel liquido sinoviale di cristalli di urato di
sodio birifrangenti simili ad aghi o bacchette, con allungamento negativo che
meglio si osservano alla luce polarizzata (v. anche Cap. 49). La malattia da
deposizione di pirofosfato diidrato di calcio può causare artrite acuta mono
articolare o poliarticolare o artrite cronica (v. Cap. 55). Comunque la presenza nel
liquido sinoviale di cristalli di pirofosfato diidrato di Ca, debolmente birifrangenti
come bacchette o rombi con allungamento positivo e le calcificazioni delle
cartilagini articolari (condrocalcinosi), radiologicamente accertate, differenziano
questa affezione.

L'osteoartrosi coinvolge le articolazioni interfalangee prossimali e distali, le


prime articolazioni carpometacarpali e metatarsofalangee, le ginocchia e il
rachide (v. Cap. 52).

La simmetria dell'interessamento articolare, la tumefazione notevole delle


articolazioni (causata per la gran parte da un ingrandimento osseo), con alcuni
segni d'infiammazione, l'instabilità articolare e le cisti subcondrali, visibili alla rx,
possono essere fuorvianti; l'assenza di livelli significativi di FR, dei noduli
reumatoidi e di interessamento sistemico, in associazione a un quadro articolare
tipico dell'osteoartrosi, con un versamento sinoviale con GB < 1000-2000 µl,
permettono tuttavia di differenziare questa malattia dall'AR.

Terapia

Il 75% dei soggetti sottoposti a terapia conservativa migliora la sintomatologia nel


primo anno di malattia. Comunque, il 10% dei pazienti va incontro a gravi
disabilità nonostante la terapia a pieno regime. La malattia condiziona
pesantemente la vita della maggior parte dei pazienti con AR.

Riposo e dieta: talvolta è indicato un completo riposo a letto per un breve


periodo nel corso della fase più acuta e dolorosa delle forme gravi. Nei casi meno
gravi dovrebbero essere prescritti cicli regolari di riposo. Docce di posizione
(splint) mettono a riposo le articolazioni. Il movimento articolare e l'esercizio, se
tollerato, devono essere continuati (v. oltre). Una normale dieta equilibrata è
sufficiente; raramente i pazienti hanno esacerbazioni in rapporto con i pasti. Si
deve scoraggiare l'uso di cibi e diete "miracolose". Comunque, supplementi di
olio di pesce o vegetale possono parzialmente alleviare i sintomi attraverso la
riduzione della produzione di prostaglandine.

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Farmaci antiinfiammatori non steroidei e salicilati: i FANS garantiscono un


importante sollievo sintomatico e possono essere adeguati come terapia
semplice per l'AR lieve, ma non sembrano alterare il decorso a lungo termine
della malattia.

I salicilati, prodotti relativamente sicuri, economici, caratterizzati da effetti


analgesici e antiinfiammatori rilevanti, rappresentano la pietra miliare della
terapia farmacologica. L'aspirina (acido acetilsalicilico) è somministrata con la
posologia iniziale di 0,6-1 g (da due a tre compresse da 300 mg) qid ai pasti e
dopo un piccolo spuntino, prima di coricarsi. La dose sarà, quindi,
progressivamente aumentata finché si otterrà il massimo dell'efficacia con il
minimo degli effetti tossici (p. es., acufeni o ipoacusia). La posologia finale può
variare dai 3 ai 6,5 g al dì (circa da 10 a 22 compresse da 300 mg). La dose
media giornaliera richiesta nell'AR attiva è di 4,5 g/die (15 compresse).
Nell'intervallo tra i pasti possono essere somministrati antiacidi o sucralfato o H2
antagonisti per attenuare i disturbi gastrointestinali, senza interrompere l'aspirina.
Confetti gastro-resistenti possono essere vantaggiosamente usati nei pazienti
affetti da una concomitante ulcera peptica o da un'ernia iatale, perché sono meno
irritanti a livello locale. Comunque, l'assorbimento può non essere del tutto sicuro
e gli effetti sistemici comunque si ripercuotono anche sulla mucosa gastrica. Il
misoprostolo a dosi di 100 o 200 mg da bid a qid, impiegato in associazione ad
aspirina (e ai FANS descritti oltre), può diminuire la probabilità di erosione e
sanguinamento da ulcera gastrica in pazienti ad alto rischio, ma può provocare
crampi addominali e diarrea, e non attenua la nausea o l'epigastralgia. Anche gli
inibitori della pompa protonica sembrano diminuire il rischio di ulcere. Le
compresse cronodosate di aspirina offrono, in alcuni pazienti, un sollievo più
duraturo e possono essere utili se somministrate prima di coricarsi, sebbene i
pazienti che si svegliano la notte per il dolore possano richiedere una seconda
dose. I salicilati non acetilati quali il salicilato di magnesio di colina e il salsalato,
sembrano meglio tollerati a livello gastrointestinale rispetto all'aspirina e non
alterano l'adesività piastrinica, ma possono non essere altrettanto efficaci come
antiinfiammatori.

Esistono altri FANS per i pazienti che non tollerano l'aspirina a dosi sufficienti per
ottenere un buon effetto o per i quali assunzioni meno frequenti rappresentano
un vantaggio importante (v. Tab. 50-2). Questi farmaci sono largamente usati. Di
solito, un solo FANS dovrebbe essere somministrato di volta in volta. Le dosi di
tutti i farmaci con dosaggi flessibili possono essere aumentate ogni 2 sett., fino a
quando non si ottenga una risposta massimale o non si raggiunga la dose
massima consentita. I farmaci devono essere assunti almeno per 2-3 sett., prima
di dichiararne l'inefficacia.

Pur essendo ritenuti meno lesivi dell'aspirina ad alte dosi, questi prodotti non
steroidei possono causare anche sintomi gastrici ed emorragie GI. La loro
assunzione va evitata durante la fase attiva della malattia ulcerosa. Altri possibili
effetti collaterali comprendono cefalea e altri sintomi a carico del SNC,
peggioramento dell'ipertensione arteriosa, edema e diminuzione
dell'aggregazione piastrinica. Come l'aspirina, questi farmaci possono
determinare un moderato aumento degli enzimi epatici, come pure della
creatinina, per inibizione delle prostaglandine renali. Meno di frequente si verifica
una nefrite interstiziale. I pazienti con orticaria, rinite o asma dovuti all'aspirina,
possono presentare gli stessi problemi con questi altri FANS. È stata descritta
anche la comparsa di agranulocitosi.

I FANS agiscono inibendo l'enzima cicloossigenasi, inibendo così l'azione delle


prostaglandine. Alcune prostaglandine cicloossigenasi-1 (COX-1) dipendenti
hanno importanti effetti in molte parti dell'organismo (p. es., esse hanno un ruolo
protettivo sul flusso ematico renale e sulla mucosa gastrica). Altre prostaglandine
vengono liberate nel corso di processi infiammatori e prodotte dall'enzima COX-
2. Farmaci che possono inibire soltanto o principalmente il COX-2, non hanno
molti degli effetti collaterali tipici dei farmaci che inibiscono anche l'enzima COX-1.

Farmaci a lenta azione: il momento ottimale per aggiungere alla terapia i farmaci
a lenta azione (di fondo) è stato rivalutato, e vi è un sempre maggiore consenso
che l'uso precoce sia indicato nella malattia persistente. Generalmente, se il
dolore e la tumefazione persistono dopo 2-4 mesi di malattia nonostante il

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Malattie del tessuto connettivo

trattamento con l'aspirina o altri FANS, dovrebbe essere presa in considerazione


l'aggiunta di un farmaco a lenta azione o di un farmaco potenzialmente "disease-
modifying" (p. es., oro, idrossiclorochina, sulfasalazina, penicillamina). Il
metotrexato, un farmaco immunosoppressivo (v. oltre), è attualmente utilizzato
sempre più spesso nelle fasi precoci come uno dei farmaci di seconda scelta
potenzialmente "disease-modifying".

I sali d'oro vengono generalmente somministrati in aggiunta ai salicilati o ad altri


FANS, se questi ultimi non sono sufficienti ad alleviare il dolore o a sopprimere
l'infiammazione acuta articolare. In alcuni pazienti possono dare una remissione
della sintomatologia e possono ridurre la formazione di nuove erosioni ossee. Le
preparazioni per uso parenterale comprendono l'aurotiomalato di sodio o
l'aurotioglucoso IM a intervalli settimanali: 10 mg la prima settimana, 25 mg la
seconda e poi 50 mg/sett., sino a ottenere una dose totale di 1 g o finché non si
ottenga un miglioramento significativo. Ottenuto il massimo miglioramento, la
posologia viene gradualmente ridotta a 50 mg ogni 2-4 sett. Generalmente, entro
3-6 mesi si verificano recidive, qualora non venga somministrato altro oro dopo la
remissione. I miglioramenti ottenuti con una dose di attacco possono essere
spesso mantenuti per diversi anni con una prolungata terapia di mantenimento.

I sali d'oro sono controindicati nei pazienti affetti da importanti malattie renali o
epatiche o da discrasia ematica. Prima di iniziare la terapia, è importante
eseguire l'esame delle urine, il dosaggio dell'Hb, la conta dei GB con formula e la
conta piastrinica. Questi test vanno ripetuti prima di ogni iniezione durante il
primo mese di trattamento e, successivamente, prima di ogni 1 o 2 iniezioni. La
presenza di HLA-DR3 o HLA-B8 può predire un aumentato rischio di tossicità
renale o di altro organo e/o apparato, sia con l'uso dell'oro che della
penicillamina. Possibili reazioni tossiche ai sali d'oro comprendono prurito,
dermatiti, stomatiti, albuminuria con o senza sindrome nefrosica, agranulocitosi,
porpora trombocitopenica e anemia aplastica. Rari effetti collaterali sono diarrea,
epatite, polmonite e neuropatie. L'eosinofilia > 5% e il prurito possono precedere
la comparsa di un eritema e sono segnali di pericolo. La dermatite è
generalmente pruriginosa e può manifestarsi o come una singola macchia
eczematosa o come una dermatite esfoliativa generalizzata e molto raramente
fatale.

I sali d'oro vanno sospesi quando compare qualcuna di queste manifestazioni.


Manifestazioni tossiche minori (p. es., lieve prurito o rash limitato) possono
essere eliminate con una sospensione temporanea della terapia, che sarà ripresa
successivamente con cautela dopo almeno 2 sett. dalla scomparsa dei sintomi.
Tuttavia, se i sintomi da intossicazione progrediscono, l'oro va sospeso e si
somministra un corticosteroide. Un cortisonico per uso topico o prednisone PO
15-20 mg/die in dosi frazionate, è indicato nelle dermatiti lievi da oro; dosi
maggiori sono necessarie per le complicanze ematologiche. Un chelante dell'oro
come il dimercaprolo 2,5 mg/kg IM fino a 4-6 volte/die per i primi 2 gg, poi bid per
5-7 gg, può essere somministrato dopo una grave reazione all'oro.

L'inoculazione di aurotiomalato di sodio può essere seguita, dopo vari minuti, da


una reazione nitritoide temporanea, caratterizzata da vampate di calore,
tachicardia e astenia, in particolar modo se il farmaco non è conservato al riparo
dalla luce diretta. Se tali reazioni si ripetono, si può utilizzare l'aurotioglucoso che
sembra non causare reazioni nitritoidi.

L'auranofin (oro somministrabile PO), può essere utilizzato per almeno 6 mesi
con dosaggi di 3 mg bid o di 6 mg 1 volta/die; se necessario e se il farmaco è ben
tollerato, la posologia può essere aumentata a 3 mg tid per i 3 mesi successivi.
Se la risposta terapeutica è insufficiente, l'auranofin va sospeso. Diversamente
dall'oro iniettabile, la diarrea e altri disturbi GI sono notevoli; gli effetti renali e
sulle strutture mucocutanee sono più limitati rispetto all'oro IM, ma l'auranofin non
sembra essere così efficace come l'oro somministrato per via parenterale.
Almeno una 1 volta al mese vanno eseguiti un esame delle urine, il dosaggio
dell'Hb, la conta dei GB con formula e quella delle piastrine.

L'idrossiclorochina può risultare talvolta efficace nel controllare i sintomi di


un'AR di lieve o moderata intensità. Gli effetti tossici sono generalmente lievi e
comprendono dermatiti, miopatie e un'opacità corneale, di solito reversibile.

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Malattie del tessuto connettivo

Tuttavia, è stata descritta una degenerazione retinica irreversibile. È


raccomandabile eseguire un controllo oculistico con esame del campo visivo
prima di iniziare la terapia e ogni 6 mesi durante il trattamento. La dose iniziale di
200 mg bid PO dopo la prima colazione e dopo cena può essere continuata per 6-
9 mesi; il farmaco va interrotto se non si nota alcun miglioramento dopo 6-9 mesi.
Ottenuto un miglioramento evidente, si può talvolta ridurre la dose a 200 mg/die e
continuarla fino a quando risulta efficace. È necessario eseguire controlli oculari
frequenti.

La sulfasalazina (salazopirina) a lungo utilizzata per la rettocolite ulcerosa, è


impiegata con sempre maggior frequenza nell'AR (malattia per la quale è stata
originariamente sintetizzata). Di solito viene somministrata sotto forma di
compresse gastro-resistenti e si inizia con 500 mg/die per aumentare di 500 mg/
sett. fino a 2-3 g/die. Una risposta si deve verificare entro 3 mesi. Gli effetti tossici
comprendono sintomi gastrici, neutropenia, emolisi, epatite e rush cutanei. Il
monitoraggio con l'emocromo e gli esami ematochimici è importante quando si
aumentano le dosi e occasionalmente durante l'uso.

La penicillamina orale può essere efficace come la crisoterapia e può essere


utilizzata quando l'oro è risultato inefficace o ha prodotto reazioni tossiche in
pazienti affetti da AR in fase attiva. Gli effetti collaterali sono minimizzati se si
inizia con un basso dosaggio. Vengono somministrate dosi di 250 mg/ die per 30-
90 gg; il dosaggio è aumentato a 500 mg/die per altri 30-90 gg. In caso di
mancato miglioramento significativo, la dose può essere ulteriormente aumentata
a

750 mg/die per 60 gg. La posologia va mantenuta ai livelli minimi efficaci. Prima
di iniziare e ogni 2-4 sett. durante il trattamento, vanno eseguiti la conta delle
piastrine, un esame emocromocitometrico completo e l'esame delle urine. Effetti
collaterali che richiedono la sospensione della terapia sono più comuni che con
l'oro e comprendono depressione midollare, proteinuria, nefrosi, rash cutaneo,
disturbi del senso del gusto e altri effetti tossici gravi (p. es., miastenia gravis,
pemfigo, sindrome di Goodpasture, polimiosite e una sindrome simil-lupus) che
ne impongono la sospensione. Questo farmaco va somministrato soltanto da chi
o sotto la guida di chi ne ha grande esperienza e i suoi effetti devono essere
strettamente monitorati.

La combinazione di farmaci a lenta azione può essere più efficace di un


singolo farmaco. In un recente trial, l'idrossiclorochina, la sulfasalazina e il
metotrexato utilizzati insieme si sono dimostrati più efficaci che il metotrexato da
solo o gli altri due farmaci insieme.

Corticosteroidi: i corticosteroidi sono i farmaci antiinfiammatori ad azione a


breve termine più efficaci; comunque, i loro benefici clinici nell'AR spesso
diminuiscono con il tempo. I corticosteroidi non impediscono preventivamente la
progressione della distruzione articolare, sebbene un recente studio suggerisce
che essi possano rallentare la comparsa di erosioni. Inoltre, gravi riacutizzazioni
seguono la sospensione dei corticosteroidi nella malattia attiva. A causa degli
effetti indesiderati a lungo termine, molti raccomandano che i corticosteroidi
vadano somministrati soltanto dopo un'attenta e prolungata prova di farmaci
meno pericolosi. Controindicazioni relative all'uso dei corticosteroidi
comprendono l'ulcera peptica, l'ipertensione, le infezioni non trattate, il diabete
mellito e il glaucoma. Prima di iniziare un trattamento con corticosteroidi va
esclusa con appropriate indagini la TBC.

In molti pazienti i corticosteroidi risolvono immediatamente le manifestazioni


cliniche e possono essere utilizzati per le riacutizzazioni della malattia, per
mantenere una buona funzionalità articolare e consentire l'adempimento regolare
delle mansioni abituali, ma si deve mettere in guardia il paziente circa le
complicanze che possono intervenire con una terapia a lungo termine. Il
dosaggio del prednisone non deve superare i 7,5 mg/die, fatta eccezione per
quei pazienti affetti da gravi manifestazioni sistemiche di AR (p. es. vasculiti,
pleuriti o pericarditi). Sono in genere controindicate, sebbene siano state usate,
alte dosi d'attacco seguite da una rapida riduzione della posologia, come lo è il
trattamento a giorni alterni poiché i sintomi dell'AR sono troppo intensi nei giorni
di mancata assunzione del farmaco.

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Malattie del tessuto connettivo

Le iniezioni intrarticolari di cortisonici possono aiutare temporaneamente a


controllare la sinovite locale in una o due articolazioni particolarmente dolenti. Il
triamcinolone può sopprimere l'infiammazione per un periodo più lungo; altri
cortisonici retard, come il prednisolone e il tributilacetato sono altrettanto efficaci.
I preparati solubili a base di prednisolone 21-fosfato o di desametasone non sono
consigliabili a causa della rapida clearance articolare e della loro brevissima
durata d'azione. L'uso eccessivo di un'articolazione precedentemente infiltrata e
meno dolente può accelerare la distruzione articolare. Poiché gli esteri dei
corticosteroidi sono cristallini, la flogosi locale aumenta transitoriamente in poche
ore, in circa il 2% delle infiltrazioni.

Farmaci citotossici o immunosoppressivi: questi farmaci (p. es., il


metotrexato, l'azatioprina e la ciclosporina) vengono impiegati sempre più di
frequente per il trattamento di pazienti con AR attiva in forma grave. Possono
sopprimere l'infiammazione e consentono di ridurre le dosi dei corticosteroidi.
Comunque, importanti effetti collaterali possono verificarsi, comprendenti
depressione del midollo osseo, malattie epatiche, polmoniti e neoplasie, con l'uso
prolungato di azatioprina. I pazienti vanno informati di tali effetti collaterali e
generalmente è consigliato un controllo periodico da parte di uno specialista.

Nel corso di malattia attiva grave, il metotrexato può essere usato


ragionevolmente presto (i benefici spesso si verificano in 3-4 sett.). È
somministrato in singola dose una volta alla settimana compresa fra 2,5 e 20 mg,
iniziando con 7,5 mg/sett. e aumentando gradualmente secondo le necessità. Va
evitato nei forti bevitori e nei diabetici. Con l'uso di questo farmaco va monitorata
la funzionalità epatica e può essere necessaria una biopsia epatica, se i test di
funzionalità epatica sono alterati e se il paziente ha bisogno di continuare la
terapia. Una fibrosi epatica clinicamente importante è rara. Un emocromo
completo va eseguito regolarmente. Una rara complicanza fatale è la polmonite.
Dopo la sua sospensione si può verificare una grave recidiva dell'artrite.
L'azatioprina va iniziata a dosi di circa 1 mg/ kg/die (50-100 mg) come dose orale
singola o bid; la dose può essere aumentata di 0,5 mg/kg/die dopo 6-8 sett. a
intervalli di 4 sett. fino a una dose massima di 2,5 mg/ kg/die. La dose di
mantenimento deve essere la più bassa possibile. La ciclosporina è efficace nel
trattamento dell'AR e può essere utile soprattutto in combinazione con altri
farmaci a lenta azione. I dosaggi generalmente non dovrebbero superare i 5 mg/
kg/die per minimizzare gli effetti tossici sulla pressione arteriosa e sulla funzione
renale.

Sebbene non sia approvata negli USA per il trattamento dell'AR, anche la
ciclofosfamide è efficace, ma viene impiegata di meno per i maggiori rischi di
tossicità. L'etanercept è un'antagonista del tissue necrosis factor che può essere
somministrato due volte a settimana (25 mg SC) a pazienti che hanno presentato
una risposta inadeguata a uno o più farmaci "disease-modifying". Terapie
sperimentali (p. es., antagonisti dei recettori dell'interleukina-1) sono oggetto di
studio e sono promettenti ma non ancora disponibili.

Fisiochinesiterapia e terapia chirurgica: le contratture in flessione possono


essere prevenute e il tono muscolare ristabilito con maggior successo, dopo
l'inizio della regressione del processo infiammatorio. Le docce di posizione
(splint) riducono l'infiammazione locale e possono migliorare i gravi sintomi locali.
Prima che un processo infiammatorio acuto sia risolto, si fanno eseguire, finché
non venga avvertito dolore, cauti esercizi passivi per prevenire le contratture.
L'esercizio attivo è importante (incluse le passeggiate e gli esercizi specifici per le
articolazioni coinvolte) per recuperare la massa muscolare e mantenere una
normale motilità articolare, man mano che l'infiammazione regredisce, senza
affaticare il paziente. Le contratture in flessione consolidate possono richiedere
esercizi intensivi, docce di posizione e mezzi ortopedici. Le scarpe ortopediche o
da ginnastica, con un buon tallone e arco di supporto, possono essere utilizzate
con solette per renderle adatte alle necessità individuali e risultano spesso utili; le
barre di scarico metatarsale, applicate posteriormente alle articolazioni
metatarsofalangee dolenti, diminuiscono il dolore in fase di deambulazione.

Anche se provvede soltanto temporaneamente al miglioramento del processo


infiammatorio, la sinovialectomia artroscopica o chirurgica può aiutare a
preservare la funzionalità articolare, nel caso in cui i farmaci non abbiano avuto

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Malattie del tessuto connettivo

successo. L'artroplastica con l'inserimento di protesi articolari è indicata in quelle


forme in cui il danno articolare compromette gravemente la funzione dell'arto. La
sostituzione totale di anca e di ginocchio è la procedura ortopedica di maggior
successo. Ovviamente, gli interventi di impianto di protesi di anca e di ginocchio
non possono assicurare un ritorno a prestazioni elevate (come quelle richieste a
un atleta). L'asportazione delle articolazioni metatarsofalangee sublussate,
dolenti, può essere di grande aiuto per la deambulazione. Le artrodesi dei pollici
possono dare stabilità alla presa. La artrodesi del collo può essere necessaria in
caso di sublussazione C1-2 con compressione del midollo o forte dolore.
L'indicazione all'intervento chirurgico va sempre considerata in base alla
valutazione complessiva della malattia. Le deformazioni delle mani e delle
braccia limitano l'uso delle stampelle durante la riabilitazione; le ginocchia e i
piedi gravemente malati non consentono di giovarsi completamente del beneficio
legato all'intervento sull'anca. Bisogna individuare gli obiettivi ragionevolmente
raggiungibili per ciascun paziente e mirare al miglioramento funzionale, prima di
prendere in considerazione il lato estetico. L'intervento può essere effettuato
nella fase attiva della malattia. Alcuni ausili specifici consentono a molti pazienti
affetti da AR grave e invalidante di svolgere attività connesse col vivere
quotidiano.

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

270. PATOLOGIA MUSCOLO-SCHELETRICA E DEL


TESSUTO CONNETTIVO

ARTRITE REUMATOIDE GIOVANILE

Si tratta di artrite con esordio all’età ≤ 16 anni.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Prognosi e terapia

L’artrite reumatoide giovanile (ARG) è simile all’AR adulta (v. Cap. 50). La
malattia tende a colpire le grandi e piccole articolazioni e può interferire con la
crescita e lo sviluppo. Si può verificare micrognazia (mento sfuggente) da
crescita mandibolare alterata.

Sintomi e segni

La malattia a esordio sistemico (morbo di Still) si verifica in circa il 20% dei


pazienti. Spesso compaiono febbre elevata, rash, splenomegalia, adenopatia
diffusa, sierosite, marcata leucocitosi neutrofila e trombocitosi. Queste
manifestazioni precedono a volte la comparsa dell’artrite. Il fattore reumatoide e
gli anticorpi anti-nucleo sono assenti.

La forma pauciarticolare interessa circa il 40% dei pazienti, in genere giovani


ragazze. Gli anticorpi anti-nucleo sono presenti in una percentuale che può
raggiungere il 75% dei bambini affetti. L’iridociclite cronica si verifica in circa
il 20% di questi pazienti; essa è spesso asintomatica e viene rilevata soltanto con
periodici esami alla lampada a fessura. Un sottogruppo di ragazzi più grandi
affetti presenta l’antigene HLA-B27. La maggior parte di questi ragazzi sviluppa
in seguito le classiche manifestazioni cliniche di una delle spondiloartropatie
sieronegative: spondilite anchilosante, malattia infiammatoria intestinale,
artropatia psoriasica o sindrome di Reiter.

La forma poliarticolare interessa il restante 40% dei pazienti ed è spesso simile


all’AR degli adulti. Il fattore reumatoide è di solito negativo, ma può essere
positivo soprattutto in alcuni pazienti, per lo più ragazze adolescenti.

Prognosi e terapia

La prognosi è generalmente migliore rispetto a quella dell’AR degli adulti; le


remissioni complete si verificano nel 50%-75% dei pazienti. I pazienti con la
forma a esordio poliarticolare e con fattore reumatoide hanno una prognosi meno
favorevole.

La terapia è piuttosto simile a quella per gli adulti, a eccezione della aspirina che

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Patologia muscolo-scheletrica e del tessuto connettivo

è raramente utilizzata negli USA per il timore della sindrome di Reye (v.
Cap. 265) e l’efficacia di altri FANS.

Naprossene, ibuprofene e indometacina sono tra i FANS più usati. Le dosi di


naprossene e indometacina sono le stesse di quelle fornite prima per la febbre
reumatica. L’ibuprofene può essere somministrato da 20 a 40 mg/kg/die in 4 dosi.

Se si utilizza l’aspirina, essa è efficace in dosi elevate antiinfiammatorie (80-


130 mg/kg/die); con i dosaggi maggiori di salicilati si deve controllare la
salicilemia per mantenere livelli terapeutici non tossici (20-30 mg/dl (1,45-
2,15 mmol/l)). I livelli sierici di AST possono essere elevati, ma ritornano normali
una volta interrotta la terapia con aspirina. Ad eccezione del trattamento della
malattia sistemica grave, i corticosteroidi per via sistemica in genere si possono
evitare. I rischi principali dell’uso prolungato di corticosteroidi nei bambini sono il
ritardo dell’accrescimento, l’osteoporosi e l’osteonecrosi. I corticosteroidi si
possono somministrare per via intra-articolare a un dosaggio adeguato alle
dimensioni delle articolazioni del bambino colpite. Il metotrexato e
l’idrossiclorochina sono farmaci utili di seconda scelta nella gestione della forma
poliarticolare. Il monitoraggio laboratoristico degli effetti collaterali del metotrexato
di mielodepressione ed epatotossicità comprende la determinazione di EECC,
AST, ALT e albumina. Sono necessari dei controlli del campo visivo se si usa
l’idrossiclorochina. Occasionalmente si utilizza la sulfasalazina, specialmente nei
casi di sospetta spondiloartropatia. Si utilizzano raramente i sali d’oro IM e la
penicillamina. (L’uso dei sali d’oro nell’AR è descritto sotto la voce Artrite
reumatoide nel Cap. 50.)

Esercizi, docce di posizione e altre misure di supporto aiutano a prevenire le


contratture in flessione. Possono essere d’aiuto degli apparecchi correttivi.

Si devono effettuare esami oftalmologici per rilevare l’iridociclite asintomatica, di


cui esiste il rischio (v. Cap. 98). Il paziente in cui è stata diagnosticata di recente
la forma a esordio pauciarticolare deve essere controllato ogni 3-4 mesi e quello
con la forma poliarticolare ogni 6 mesi, in tal modo favorendo il trattamento
precoce, compreso l’uso di gocce oculari a base di corticosteroide e midriatici.

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Patologie oftalmologiche

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

90. Approccio al paziente con malattie oculari

Sintomi e segni oculari

91. Lesioni traumatiche dell’occhio

Corpi estranei

Contusioni e lacerazioni

Ustioni

92. Patologie dell’orbita

Cellulite orbitaria

Trombosi del seno cavernoso

Esoftalmo

93. Patologie dell’apparato lacrimale

Dacriostenosi

Dacriocistite

94. Patologie delle palpebre

Edema palpebrale

Blefarite

Orzaiolo

Calazio

Entropion ed ectropion

Tumori

95. Patologie della congiuntiva

Congiuntivite acuta

Congiuntivite virale

Congiuntivite batterica non-gonococcica

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Patologie oftalmologiche

Congiuntivite gonococcica degli adulti

Congiuntivite da inclusi

Congiuntivite allergica stagionale

Congiuntivite cronica

Tracoma

Congiuntivite allergica perenne

Cheratocongiuntivite primaverile

Episclerite

Sclerite

Pemfigoide cicatriziale

96. Patologie della cornea

Cheratite puntata superficiale

Ulcera corneale

Cheratite da herpes simplex

Herpes zoster oftalmico

Cheratocongiuntivite secca

Cheratocongiuntivite flittenulare

Cheratite interstiziale

Cheratite ulcerativa periferica

Cheratomalacia

Cheratocono

Cheratopatia bollosa

Trapianto di cornea

97. Cataratta

98. Uveite

Sindromi uveitiche frequenti

Sindromi mascherate

99. Patologia della retina

Retinopatie vascolari

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Patologie oftalmologiche

Retinopatia ipertensiva

Retinopatia diabetica

Occlusione dell’arteria retinica centrale

Occlusione della vena retinica centrale

Degenerazione maculare legata all’età

Distacco di retina

Retinite pigmentosa

100. Glaucoma

Glaucoma primario ad angolo aperto

Glaucoma ad angolo chiuso

101. Nervo ottico e patologie delle vie ottiche

Papilledema

Papillite

Neurite retrobulbare

Ambliopia tossica

Atrofia ottica

Lesioni delle vie ottiche superiori

102. Vizi di rifrazione

Lenti a contatto

Chirurgia rifrattiva

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Approccio al paziente con malattie oculari

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

90. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE OCULARI

Sommario:

Introduzione
ACUITÀ VISIVA ED ESAME DEL CAMPO VISIVO
ESAME CLINICO DELLE PALPEBRE
ESAME CLINICO DELLA CORNEA
ESAME CLINICO DELLA PUPILLA
TONOMETRIA
OFTALMOSCOPIA E TEST CORRELATI
ECOGRAFIA

Poiché alcune malattie dell'occhio sono aspecifiche, sono necessari l'anamnesi


completa e l'esame di tutte le parti dell'occhio e dei suoi annessi (v. Fig. 90-1) per
identificare l'origine della malattia. È importante chiedere al paziente informazioni
circa la localizzazione e la durata dei sintomi, la presenza e la natura del dolore,
l'eventuale lacrimazione, arrossamento o alterazioni dell'acuità visiva.

ACUITÀ VISIVA ED ESAME DEL CAMPO VISIVO

A meno che alcune sostanze chimiche non siano venute a contatto con l'occhio,
per cui si rende necessaria l'immediata irrigazione, la prima fase dell'esame
oculare è la misurazione dell'acutezza visiva. La vista viene esaminata facendo
leggere al paziente una tabella visiva posta a 3 o 5 m; l'esame deve essere fatto
con gli occhiali nei pazienti che normalmente li portano. Coprendo
alternativamente ciascun occhio, si determina l'acuità visiva nell'occhio
controlaterale. Un valore della frazione di Snellen pari a 5/ 10, indica che la più
piccola lettera che può essere letta da un soggetto con acuità visiva normale alla
distanza di 10 m, deve essere portata alla distanza di 2,5 m per poter essere
riconosciuta dal paziente. Un sommario esame degli occhiali permette di stabilire
in maniera approssimativo il grado di ametropia (p. es., miopia, ipermetropia,
astigmatismo). È possibile anche valutare il campo visivo e la motilità oculare. Il
campo visivo può essere studiato con l'esame comparativo, come descritto nel
Cap. 178.

ESAME CLINICO DELLE PALPEBRE

L'esame sistematico dell'occhio deve essere eseguito con una luce focalizzata e
con ingrandimento (p. es., con un occhiale telescopico ingrandente o una
lampada a fessura). Le palpebre vengono esaminate alla ricerca di eventuali
lesioni dei margini e dei tessuti sottocutanei. Viene palpata l'area dei sacchi
lacrimali e viene fatto un tentativo di far fuoriuscire il contenuto attraverso i
canalicoli e i puntini lacrimali. Le palpebre vengono quindi rovesciate per
ricercare nella congiuntiva palpebrale e bulbare e nei fornici l'eventuale presenza
di corpi estranei, di segni di infiammazione (p. es., ipertrofia follicolare, essudato,
iperemia o edema) o di altre anomalie.

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Approccio al paziente con malattie oculari

ESAME CLINICO DELLA CORNEA

La cornea deve essere esaminata molto attentamente. Se dolore e fotofobia


impediscono al paziente di aprire l'occhio, si può praticare anestesia locale prima
dell'esame instillando 1 goccia di oxibuprocaina allo 0,4%. La colorazione con
fluoresceina, mediante striscioline di carta da filtro impregnate di fluoresceina a
un'estremità, rende più evidenti abrasioni o ulcere della cornea. La strisciolina
viene inumidita con una goccia di soluzione fisiologica sterile e, con l'occhio del
paziente rivolto verso l'alto, viene tenuta all'interno della palpebra inferiore per
qualche secondo. Viene chiesto al paziente di ammiccare varie volte allo scopo
di distribuire il colorante nel film lacrimale, quindi l'occhio viene esaminato con un
buon ingrandimento e con luce blu cobalto. Le zone in cui l'epitelio corneale o
congiuntivale risulta assente, assumeranno una colorazione verde.

ESAME CLINICO DELLA PUPILLA

È importante notare la dimensione, la forma delle pupille e la loro reazione alla


luce e all'accomodazione. Prima della dilatazione devono essere valutate la
pressione intraoculare e la profondità della camera anteriore, poiché la midriasi
può provocare un attacco di glaucoma acuto da chiusura d'angolo se la camera
anteriore è poco profonda.

TONOMETRIA

La misurazione della pressione intraoculare può essere eseguita mediante uno


dei diversi strumenti disponibili. Prima di effettuare una tonometria, l'occhio deve
essere anestetizzato (p. es., con oxibuprocaina 0,4%). L'utilizzo del tonometro di
Schiøtz è di facile apprendimento; è portatile, ma richiede una pulizia accurata tra
una misurazione e la successiva. L'occhio del paziente deve essere in posizione
verticale e le palpebre allontanate dal bulbo. L'utilizzo del tonometro ad
applanazione di Goldmann richiede maggiore esercizio, ma è preferibile come
metodo di esame.

OFTALMOSCOPIA E TEST CORRELATI

L'oftalmoscopia è resa più agevole dalla dilatazione della pupilla con una goccia
di tropicamide 1% e/o fenilefrina 10% (ripetuta dopo 5-10 min, se necessario);
per un'azione più lunga o una dilatazione più ampia, possono essere usati
ciclopentolato 1% e/o fenilefrina 10%. Comunque, le pupille non devono essere
dilatate, se il paziente ha subito un trauma cranico o se si sospetta una malattia
acuta del SNC, e la fenilefrina non deve essere usata in pazienti ipertesi o che
assumono b-bloccanti PO. L'atropina e la scopolamina non sono indicate, a
causa della loro azione prolungata. L'oftalmoscopia rivelerà opacità della cornea,
del cristallino e del vitreo, così come lesioni della retina e del nervo ottico. Il
potere della lente oftalmoscopica necessaria per mettere a fuoco la retina dà una
misura approssimativa del difetto di rifrazione. Il fondo può presentare alterazioni
dovute a malattie sistemiche (p. es., diabete mellito, ipertensione).

Altri strumenti (p. es., il gonioscopio, il campimetro, il perimetro) possono essere


necessari per una diagnosi precisa; il loro uso richiede una preparazione
specifica. L'esame con la lampada a fessura è particolarmente utile per
diagnosticare le lesioni della cornea. Sebbene anche altri medici possano curare
molte malattie dell'occhio, è bene consultare un oftalmologo qualora ci siano
dubbi sulla diagnosi o sul trattamento, specialmente quando la causa del dolore o
della diminuzione della vista non appare chiara o quando i sintomi persistono.

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Approccio al paziente con malattie oculari

ECOGRAFIA

L'ecografia B-scan rileva la presenza di tumori, distacchi retinici ed emorragie del


vitreo, anche in concomitanza di opacità della cornea e del cristallino. La sonda a
scansione manuale B-mode ha semplificato enormemente l'esame ecografico
dell'occhio e ha reso possibile la sua esecuzione nell'ambulatorio oftalmologico.
La definizione dei tessuti orbitari viene migliorata con le frequenze elevate (7-
10 MHz). L'ecografia in B-mode si è resa anche utile nella localizzazione di corpi
metallici e non. L'ecografia in A-mode può essere utilizzata nella determinazione
della lunghezza assiale (una misurazione necessaria per calcolare il potere della
lente intraoculare prima dell'impianto). L'applicazione della caratterizzazione
tissutale ultrasonica coronata da maggior successo è stata la capacità di
differenziazione tra il melanoma coroideale e il nevo coroideale, il carcinoma
metastatico e le emorragie sottoretiniche.

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Approccio al paziente con malattie oculari

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

90. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE OCULARI

SINTOMI E SEGNI OCULARI

Sommario:

Introduzione
EMORRAGIE
CORPI MOBILI
FOTOFOBIA
DOLORE
SCOTOMI
VIZI DI RIFRAZIONE

Alcuni dei sintomi e dei segni oculari più comuni vengono trattati in questo
capitolo, mentre i restanti vengono trattati altrove nel Manuale: l'esoftalmo viene
trattato nel Cap. 92, lo strabismo nel Cap. 273; il nistagmo e i movimenti dei
muscoli extraoculari in Patologie neuroftalmologiche nel Cap. 178 e in
Valutazione clinica dell'apparato vestibolare nel Cap. 82.

EMORRAGIE

Emorragie sottocongiuntivali si possono verificare a ogni età, generalmente in


seguito a piccoli traumi, sforzi, starnuti o colpi di tosse; di rado compaiono
spontaneamente. Tali emorragie allarmano il paziente ma non hanno significato
patologico, tranne nel caso in cui siano associate a discrasie ematiche, evento
comunque raro. Esse appaiono come semplici stravasi di sangue al di sotto della
congiuntiva e vengono riassorbite spontaneamente, in genere entro 2 sett. I
corticosteroidi topici, gli antibiotici, i vasocostrittori e gli impacchi non accelerano
il riassorbimento del sangue; rassicurare il paziente rappresenta la terapia più
efficace.

Le emorragie vitreali, stravasi di sangue nel vitreo, causano un riflesso scuro


all'esame oftalmoscopico. Possono verificarsi in condizioni quali l'occlusione
venosa retinica, la retinopatia diabetica o il distacco posteriore del vitreo, la
neovascolarizzazione e la rottura retiniche o i traumi oculari. Nelle ultime cinque
condizioni si può verificare un distacco di retina. Le emorragie vitreali tendono a
riassorbirsi lentamente. Piccole emorragie da vasi retinici in genere possono
essere controllate mediante la fotocoagulazione. È importante il controllo
periodico delle retinopatie vascolari da parte di un oftalmologo, specialmente in
caso di diabete mellito.

Le emorragie retiniche sono a forma di fiamma nello strato superficiale delle


fibre nervose, come avviene in caso di ipertensione o di occlusione venosa,
oppure possono essere rotonde (a punto e a macchia), negli strati retinici più
profondi, come nel diabete mellito o negli infarti settici. Le emorragie retiniche
sono sempre importanti e indicative di una malattia vascolare generalmente
sistemica.

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Approccio al paziente con malattie oculari

CORPI MOBILI

La percezione visiva di corpi mobili (macchie) davanti a uno o a entrambi gli


occhi è un disturbo frequente negli adulti. I corpi mobili solitamente sono
evidenziati meglio osservando un fondo bianco omogeneo e sembrano muoversi
lentamente quando l'occhio è fermo. I corpi mobili mantengono la loro posizione
nel campo visivo durante i movimenti oculari. La loro comparsa è provocata dalla
contrazione del gel vitreale e dalla sua separazione dalla superficie retinica
(distacco posteriore del vitreo). Ciò provoca aggregati opachi macroscopici di
fibre vitreali che possono essere visti fluttuare nel vitreo. Poiché il gel vitreale è
più denso in prossimità della sua inserzione sul nervo ottico, i corpi mobili
generalmente sono più evidenti in questa zona. Sebbene i corpi mobili siano privi
di significato patologico, in alcuni pazienti possono tuttavia indicare la presenza
di un foro retinico. Sono più frequenti nei soggetti fortemente miopi e negli
anziani e tendono a diventare meno evidenti con il tempo.

Anche una piccola emorragia vitreale o una vitreite (infiammazione vitreale)


possono provocare la comparsa di corpi mobili. I distacchi di retina possono
essere preceduti da una pioggia di "scintille" o di lampi luminosi (fotopsie) e
possono essere anche accompagnati da una pioggia di corpi mobili. Solamente
quando la retina si separa definitivamente dalle strutture sottostanti (l'epitelio
pigmentato retinico), compare la sensazione di una tenda che limita
progressivamente il campo visivo.

Sebbene i corpi mobili non siano associati frequentemente a patologie


pericolose, essi richiedono un attento esame dell'intera retina e dei mezzi diottrici
dopo dilatazione con un midriatico o con un farmaco cicloplegico a breve durata
di azione (p. es., ciclopentolato all'1%, una goccia, ripetuta dopo 5-10 min, o se
occorre una dilatazione più ampia, il paziente non è iperteso e non assume b-
bloccanti, o una goccia di fenilefrina 10%, ripetuta dopo 5-10 min). L'esame viene
eseguito meglio con oftalmoscopia indiretta, una tecnica usata dagli oftalmologi. I
corpi mobili nel vitreo possono essere osservati con una lente positiva di alto
potere guardando il riflesso rosso a una distanza di 15-30 cm. Sono necessari
ripetuti controlli se il fastidio continua, se si ha una riduzione della vista o se
persiste l'apprensione del paziente. I corpi mobili di recente comparsa o quelli
accompagnati da lampi di luce devono essere valutati da un oftalmologo. Un
disturbo della visione richiede sempre una spiegazione.

FOTOFOBIA

La fotofobia (anomala intolleranza visiva alla luce) è comune nelle persone


scarsamente pigmentate. Solitamente la fotofobia non è di alcun significato e può
essere ridotta portando occhiali scuri. È un sintomo importante, ma non
diagnostico, nella cheratite, nelle uveiti, nel glaucoma acuto e nelle abrasioni ed
erosioni traumatiche dell'epitelio corneale.

DOLORE

Il dolore oculare è importante e, a meno che non sia dovuto a una causa locale
ovvia quale un corpo estraneo, un'infezione acuta della palpebra o una ferita,
richiede degli approfondimenti. Occasionalmente la sinusite causa un dolore
riferito agli occhi.

La sensazione di corpo estraneo (cioè che ci sia qualcosa nell'occhio) è dovuta


a una irritazione o a un trauma dell'epitelio corneale o congiuntivale (p. es., una
abrasione traumatica, corpo estraneo, occhio secco, ulcera corneale, cheratite).

Il dolore oculare (un dolore profondo, sordo, dentro o dietro l'occhio) nella
maggior parte dei casi è provocato da patologie intraoculari od orbitarie (p. es.,
uveite, glaucoma, sclerite, endoftalmite, pseudotumor orbitale). Anche l'occhio

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Approccio al paziente con malattie oculari

secco può causare dolore oculare.

SCOTOMI

Una zona di non visione nel campo visivo è uno scotoma negativo.
Frequentemente non viene notato dal paziente, a meno che esso non influenzi la
visione centrale o non interferisca in modo significativo con l'acuità visiva. Gli
scotomi negativi avvertiti dal paziente sono generalmente causati da emorragie,
edema o distacco retinici. Gli scotomi negativi possono anche derivare da una
patologia del nervo ottico (p. es., glaucoma con difetto centrale del campo visivo,
neurite ottica o neuropatia ottica ischemica). Uno scotoma presente nella stessa
zona del campo visivo di entrambi gli occhi è di solito un difetto quadrantico o
emianoptico, dovuto a una lesione delle vie ottiche. Uno scotoma positivo,
percepito come una macchia luminosa o come lampi scintillanti, rappresenta una
risposta alla stimolazione anomala di qualche porzione del sistema visivo, come
avviene nella sindrome emicranica.

L'esame degli occhi, compreso quello del campo visivo, è sempre obbligatorio
per determinare la causa di qualsiasi scotoma. Uno scotoma bilaterale, se non è
causato da lesioni retiniche bilaterali, richiede l'esame perimetrico (esame
dettagliato del campo visivo)e la valutazione neurologica.

VIZI DI RIFRAZIONE

Nella emmetropia non sono presenti difetti ottici; i raggi di luce paralleli infatti
(p. es., originati da un oggetto posto a distanza), entrando nell'occhio, vengono
messi perfettamente a fuoco sulla retina.

Nell'ametropia esiste un difetto ottico consistente in una delle seguenti forme o


in una loro combinazione:

Nell'ipermetropia (visione buona da lontano), l'errore di rifrazione più comune,


l'immagine di un oggetto distante viene messa a fuoco dietro la retina o perché
l'asse ottico è troppo corto o perché il potere di rifrazione dell'occhio è troppo
debole. Negli occhiali di correzione si usa una lente convessa (positiva).

Nella miopia (visione buona da vicino) l'immagine di un oggetto distante viene


messa a fuoco davanti alla retina, perché l'asse ottico è troppo lungo oppure
perché il potere di rifrazione dell'occhio è troppo forte; si utilizza in questo caso
una lente correttiva concava (negativa).

Nell'astigmatismo la rifrazione è diversa nei vari meridiani del bulbo oculare. Si


usa una lente correttiva cilindrica (un segmento tagliato da un cilindro) in modo
che lungo un asse non abbia potere rifrattivo e sia concava o convessa lungo
l'altro asse.

L'anisometropia, una significativa differenza fra gli errori rifrattivi dei due occhi
(in genere superiore a 2 diottrie), si osserva soltanto occasionalmente. Quando
l'anisometropia è corretta con occhiali, si verificano differenze nella grandezza
delle immagini (aniseiconia) che possono portare a difficoltà nella fusione e
spesso a soppressione di una delle due.

La presbiopia, una ipermetropia per la visione da vicino che si verifica con


l'avanzare dell'età, è dovuta alla diminuzione fisiologica del meccanismo
accomodativo grazie al quale il fuoco dell'occhio viene variato a seconda delle
diverse distanze degli oggetti. A partire dall'adolescenza il cristallino diventa
gradualmente meno flessibile e alla fine non può variare di forma
(accomodazione) in risposta all'azione dei muscoli ciliari. La persona, di
conseguenza, non è più in grado di mettere bene a fuoco da vicino (oggetti più

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Approccio al paziente con malattie oculari

vicini di 30-60 cm), ma generalmente non necessita di lenti correttive prima dei
40-45 anni.

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Patologie dell'orbita

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

92. PATOLOGIE DELL'ORBITA

ESOFTALMO

(Proptosi)

Protrusione di uno o entrambi i bulbi oculari, conseguenza di infiammazione


orbitaria, edema, neoplasie o traumi, trombosi del seno cavernoso,
ingrandimento del bulbo oculare (come nel glaucoma congenito e nella forte
miopia unilaterale).

Sommario:

Eziologia, sintomi e segni


Diagnosi
Terapia

Eziologia, sintomi e segni

Nell'ipertiroidismo, l'edema e l'infiltrazione linfoide dei tessuti orbitari possono


causare esoftalmo unilaterale o bilaterale. Una insorgenza unilaterale improvvisa
è generalmente dovuta a emorragia o infiammazione dell'orbita o dei seni
paranasali. Un'insorgenza nel corso di 2-3 sett. indica un'infiammazione cronica o
uno pseudotumor orbitario (infiltrazione e proliferazione di cellule non
neoplastiche); un'insorgenza più lenta suggerisce una neoplasia.

Un aneurisma arterovenoso che coinvolge l'arteria carotide interna e il seno


cavernoso può provocare un esoftalmo pulsante, con soffio orbitario.
L'insorgenza post-traumatica è probabilmente dovuta a fistola carotido-
cavernosa, confermata dall'auscultazione dell'orbita. Un trauma o un'infezione
(specialmente facciale) possono causare trombosi del seno cavernoso con
esoftalmo unilaterale e febbre. Una forte miopia unilaterale o un meningioma
possono causare esoftalmo unilaterale.

Diagnosi

I test per la tiroide devono essere eseguiti quando la causa di un esoftalmo


persistente non è chiara; se tali esami sono nella norma e quando la comparsa
dell'esoftalmo è improvvisa, la causa deve essere ricercata mediante TC o RMN
dell'orbita (v. Cap. 8). Il grado dell'esoftalmo può essere misurato con
l'esoftalmometro; se esso è progressivo, l'esposizione del bulbo può portare a
secchezza, infezione e ulcerazione della cornea.

Terapia

La terapia viene stabilita in base all'eziologia. In caso di aneurisma arterovenoso


può essere necessario legare la carotide comune coinvolta o sottoporla a
embolizzazione selettiva. L'esoftalmo nell'ipertiroidismo può diminuire quando

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Patologie dell'orbita

quest'ultimo viene controllato, ma in alcuni casi il decorso può essere progressivo


e richiedere la decompressione chirurgica dell'orbita. Quando è presente un
esoftalmo la cornea deve essere protetta dall'esposizione. La cheratite da
esposizione da esoftalmo tiroideo è comune. I corticosteroidi sistemici sono
spesso efficaci nel controllare l'edema e lo pseudotumor (p. es., 1 mg/kg di
prednisone PO somministrato giornalmente per 1 sett., quindi a giorni alterni per
5 sett. fino a ridurre gradualmente la dose alla minima quantità necessaria per
controllare l'esoftalmo). Le neoplasie devono essere rimosse.

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Strabismo

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

273. STRABISMO

(Eterotropia)

Deviazione di un occhio dal parallelismo con l’altro.

(Le patologie dell’occhio sono trattate anche nella sezione 8; nel Cap. 178; e
come Malformazioni congenite dell’occhio nel Cap. 261.)

Sommario:

Eziologia e sintomi
Diagnosi
Prognosi e terapia

Eziologia e sintomi

Lo strabismo paralitico (non concomitante) è causato dalla paralisi di uno o più


muscoli oculari; può essere causato da una lesione specifica del nervo
oculomotore. Il movimento oculare è limitato e la diplopia aumenta nei campi
d’azione dei muscoli paralizzati (v. anche il Cap. 178). La diplopia non è presente
se la paralisi è congenita, poiché si verifica soppressione della visione nell’occhio
deviato.

Lo strabismo non paralitico (concomitante) in genere è la conseguenza di una


diversità nel tono dei muscoli dei 2 occhi per un’anomalia a livello sopranucleare
nel SNC. Può essere convergente (esotropia), divergente (exotropia) o verticale
(ipertropia o ipotropia). La deviazione dal parallelismo non varia con i movimenti
oculari e la funzione dei singoli muscoli è generalmente intatta, a meno che non
si verifichi un’iperfunzione secondaria.

La foria (strabismo latente) non è paralitica; lo squilibrio muscolare è mascherato


dalla tendenza del SNC a fondere le immagini percepite da ciascun occhio. Può
presentarsi come esoforia, exoforia, ipoforia o iperforia. La foria, a meno che non
sia grave, raramente causa sintomi e si evidenzia soltanto quando il SNC non
può mantenere costantemente la fusione.

Il mancato uso di un occhio, come nel caso di un grave vizio di refrazione o di


riduzione patologica della vista, può provocare uno strabismo.

L’ambliopia (ridotta acuità visiva dovuta a una deprivazione visiva in età infantile)
può verificarsi in caso di strabismo, in genere causata dalla soppressione
corticale dell’immagine percepita dall’occhio deviato, per evitare la confusione e
la diplopia.

Diagnosi

Poiché lo strabismo può conseguire a una grave malattia oculare o neurologica,


si devono esaminare gli occhi (compresi le cornee, i cristallini, le retine e i nervi
ottici) e lo stato neurologico del paziente, indipendentemente dall’età. La
deviazione oculare, se costante, deve essere studiata fin dalla nascita, se

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Strabismo

intermittente dall’età di 6 mesi. Lo strabismo non deve essere ignorato sulla base
dell’ipotesi che esso migliorerà con la crescita, dato che una grave alterazione
può essere misconosciuta.

Si chiede al paziente di fissare una matita o una torcia elettrica collocata sulla
fronte dell’esaminatore. Scoprendo e coprendo alternativamente un occhio,
l’esaminatore può osservare una deviazione della posizione dell’occhio che viene
scoperto quando lo sguardo di quest’occhio fissa l’oggetto. Nella exotropia,
l’occhio che era coperto devia verso l’interno per fissare; nell’esotropia, l’occhio
devia verso l’esterno per fissare. La tropia può essere quantificata usando una
lente prismatica posizionata in modo che l’occhio deviato non debba effettuare
movimenti per fissare. Il potere della lente (in diottrie) usata per compensare la
deviazione misura la tropia.

Terapia

Se lo strabismo e la conseguente ambliopia non vengono trattati prima dei 4-


6 anni di età la perdita della vista può essere permanente. Deve essere trattata la
causa che è alla base dello strabismo, se è possibile. Se il responsabile è lo
squilibrio muscolare, lo strabismo deve essere trattato precocemente con occhiali
correttivi o lenti a contatto, miotici (p. es. ecotiofato ioduro 0,03% bid),
educazione ortottica (p. es. esercizi dell’occhio), tossina botulinica oppure
ripristinando chirurgicamente l’equilibrio muscolare.

Il trattamento precoce dell’ambliopia con l’occlusione dell’occhio normale è la


base del trattamento di tutte le cause e può comportare un miglioramento della
vista, conducendo a una migliore prognosi per lo sviluppo della visione
binoculare e una maggiore stabilità se viene praticato un intervento chirurgico.
Alcuni strumenti che modificano la visione (p. es., occhiali, lenti a contatto)
possono essere utilizzati in aggiunta all’occlusione per condizioni come la
cataratta congenita (v. Cap. 261).

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Malattie dell'orecchio, del naso e della gola

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

82. Approccio al paziente con malattie dell’orecchio

Ipoacusia

Acufeni

Vertigine

Otalgia

83. Orecchio esterno

Ostruzioni

Otite esterna

Pericondrite

Dermatite eczematosa dell’orecchio esterno

Otite esterna maligna

Traumi

Tumori

84. Membrana timpanica e orecchio medio

Traumi

Otite media barotraumatica

Miringite infettiva

Otite media acuta

Otite media secretiva

Mastoidite acuta

Otite media cronica

Otosclerosi

Neoplasie

85. Orecchio interno

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Malattie dell'orecchio, del naso e della gola

Malattia di Ménière

Neuronite vestibolare

Vertigine posizionale parossistica benigna

Herpes zoster oticus

Labirintite purulenta

Ipoacusia improvvisa

Ipoacusia da rumore

Presbiacusia

Ototossicità indotta da farmaci

Fratture dell’osso temporale

Neurinoma dell’acustico

86. Naso e seni paranasali

Fratture del naso

Deviazione e perforazione del setto

Epistassi

Vestibolite nasale

Rinite

Polipi

Granulomatosi di Wegener

Disturbi dell’olfatto e del gusto

Sinusite

Neoplasie

87. Faringe

Cisti di Tornwaldt

Faringite

Tonsillite

Cellulite e ascesso peritonsillare

Ascesso parafaringeo

Insufficienza velofaringea

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Malattie dell'orecchio, del naso e della gola

Carcinoma a cellule squamose del rinofaringe

Carcinoma a cellule squamose della tonsilla

88. Laringe

Polipi delle corde vocali

Noduli delle corde vocali

Ulcere da contatto

Laringite

Paralisi delle corde vocali

Laringocele

Neoplasie benigne

Neoplasie maligne

89. Neoplasie della testa e del collo

Metastasi cervicali

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE


DELL'ORECCHIO

I principali sintomi delle malattie dell'orecchio sono l'ipoacusia, gli acufeni, le


vertigini, l'otalgia e l'otorrea. Qualora un paziente presenti disturbi auricolari si
deve raccogliere un'anamnesi completa e deve essere eseguito un accurato
esame obiettivo con particolare attenzione all'orecchio, al naso, al rinofaringe e ai
seni paranasali. Devono inoltre essere esaminati i denti, la lingua, le tonsille,
l'ipofaringe, il laringe, le ghiandole salivari e le articolazioni temporomandibolari,
poiché il dolore e il fastidio, a partenza da tali sedi, possono essere avvertiti a
livello dell'orecchio. Una rx o una TC delle rocche petrose sono spesso indicate
nei traumi dell'orecchio, nelle sospette fratture della base cranica, nella
perforazione della membrana timpanica, nelle ipoacusie, nelle vertigini, nella
paralisi facciale e nelle otalgie di origine sconosciuta. La valutazione delle
funzioni uditiva e vestibolare è molto importante per la diagnosi delle affezioni
auricolari.

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE


DELL'ORECCHIO

Sommario:

Introduzione
IPOACUSIA
VALUTAZIONE CLINICA DELL'UDITO
DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA IPOACUSIA COCLEARE E
RETROCOCLEARE
ESAMI CHE VALUTANO IL DIFETTO DI PERCEZIONE UDITIVA
CENTRALE
PROTESI ACUSTICHE
IMPIANTI COCLEARI

I principali sintomi delle malattie dell'orecchio sono l'ipoacusia, gli acufeni, le


vertigini, l'otalgia e l'otorrea. Qualora un paziente presenti disturbi auricolari si
deve raccogliere un'anamnesi completa e deve essere eseguito un accurato
esame obiettivo con particolare attenzione all'orecchio, al naso, al rinofaringe e ai
seni paranasali. Devono inoltre essere esaminati i denti, la lingua, le tonsille,
l'ipofaringe, il laringe, le ghiandole salivari e le articolazioni temporomandibolari,
poiché il dolore e il fastidio, a partenza da tali sedi, possono essere avvertiti a
livello dell'orecchio. Una rx o una TC delle rocche petrose sono spesso indicate
nei traumi dell'orecchio, nelle sospette fratture della base cranica, nella
perforazione della membrana timpanica, nelle ipoacusie, nelle vertigini, nella
paralisi facciale e nelle otalgie di origine sconosciuta. La valutazione delle
funzioni uditiva e vestibolare è molto importante per la diagnosi delle affezioni
auricolari.

Ipoacusia

(V. anche Ipoacusia improvvisa, Ipoacusia da rumore e Presbiacusia nel Cap. 85


e Deficit uditivi nei bambini nel Cap. 260.)

L'ipoacusia dovuta a una patologia del condotto uditivo esterno o dell'orecchio


medio è di tipo trasmissivo; mentre quella dovuta a una lesione dell'orecchio
interno o dell'VIII nervo è di tipo neurosensoriale. La diagnosi differenziale tra
ipoacusia di tipo trasmissivo e quella di tipo neuro

sensoriale si può effettuare sulla base della differenza di soglia uditiva alla
stimolazione per via aerea e per via ossea.

L'ipoacusia neurosensoriale può essere ulteriormente differenziata in sensoriale


(cocleare) o nervosa o retrococleare (VIII nervo). Tale distinzione è importante
in quanto l'ipoacusia retrococleare è spesso causata da tumori potenzialmente
curabili (v. Diagnosi differenziale tra ipoacusie cocleari e retrococleari oltre).

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Valutazione clinica dell'udito

La valutazione audiologica di base comprende la misurazione della soglia uditiva


per i toni puri per via aerea e per via ossea, la soglia di percezione e di
discriminazione verbale, la timpanometria e lo studio del riflesso cocleo-
stapediale e il tempo del suo esaurimento (Reflex Decay Test). Le informazioni
ottenute da queste procedure diagnostiche permettono di stabilire se sono
indicati ulteriori esami per una più fine discriminazione tra ipoacusia cocleare e
retrococleare.

L'udito per via aerea si esamina inviando all'orecchio uno stimolo acustico,
tramite cuffia o altoparlante. Una perdita uditiva o un innalzamento della soglia
uditiva evidenziato in questo modo può essere causato da un difetto localizzato
in qualsiasi parte dell'apparato uditivo-condotto uditivo esterno, orecchio medio,
orecchio interno, VIII nervo o vie uditive centrali.

L'udito per via ossea si esamina ponendo una fonte sonora (p. es., l'oscillatore
di un audiometro o lo stelo di un diapason) a contatto con la testa del paziente
(generalmente sulla mastoide). Il suono causa vibrazioni in tutto il cranio,
comprese le pareti della coclea ossea e stimola direttamente l'orecchio interno.
L'udito per via ossea non utilizza l'orecchio esterno e l'orecchio medio e permette
di esaminare l'integrità dell'orecchio interno, dell'VIII nervo e delle vie uditive
centrali.

Qualora la soglia uditiva per via aerea fosse elevata, mentre quella per via ossea
normale, l'ipoacusia è di tipo trasmissivo. Quando sia la soglia per via aerea che
quella per via ossea risultano egualmente elevate, l'ipoacusia è di tipo
neurosensoriale. Occasionalmente l'ipoacusia è mista, con componente sia
trasmissiva che neurosensoriale. In questi casi, sia la soglia per via ossea che
quella per via aerea sono innalzate, con soglia per via aerea più alta rispetto a
quella ossea.

Le prove di Weber e di Rinne consentono una diagnosi differenziale tra ipoacusia


di tipo trasmissivo e neurosensoriale. Per questi test sono utilizzati diapason con
frequenza di 256, 512, 1024 e 2048 Hz. Nel test di Weber si pone lo stelo di un
diapason sulla linea mediana della testa del paziente, il quale deve indicare
l'orecchio in cui il tono viene avvertito meglio. Un paziente con ipoacusia
trasmissiva unilaterale lateralizza il tono nell'orecchio affetto, per ragioni ancora
non chiare. Al contrario, un paziente con un'ipoacusia neurosensoriale unilaterale
lateralizza il tono nell'orecchio normale, perché il diapason stimola in egual
misura entrambi gli orecchi interni e il paziente percepisce lo stimolo con l'organo
e il nervo più sensibili, cioè del lato sano.

Il test di Rinne confronta l'udito per via aerea con quello per via ossea. Lo stelo
del diapason vibrante viene appoggiato sul processo mastoideo (conduzione
ossea), in seguito i rebbi del diapason ancora vibrante vengono avvicinati al
padiglione auricolare (conduzione aerea) e al paziente viene chiesto di indicare
quale stimolazione è stata percepita in maniera più forte. Normalmente lo stimolo
risulta più intenso per conduzione aerea (CA) che ossea (CO), quindi la relazione
è CA > CO. Nel caso di un'ipoacusia trasmissiva, questa relazione si inverte; lo
stimolo per via ossea sarà percepito più forte rispetto allo stimolo per via aerea
(CO > CA). Nel caso di un'ipoacusia neurosensoriale sia la percezione per via
ossea che quella per via aerea sono ridotte, ma la relazione rimane la stessa
come nell'udito normale (CA > CO).

In audiometria, la perdita uditiva è quantificata. Un audiometro invia stimoli


acustici di determinate frequenze (toni puri) a determinate intensità in modo tale
da ottenere la soglia uditiva del paziente per le singole frequenze. L'udito per
ciascun orecchio viene testato da 125 o 250 a 8000 Hz per via aerea (tramite
cuffie) e per via ossea (tramite vibratore a contatto con il processo mastoideo o la
fronte). La perdita uditiva si misura in decibel (dB). Un decibel è una unità
logaritmica che rappresenta il rapporto tra un valore di riferimento e un valore
misurato. Poiché vengono utilizzati diversi valori di riferimento, quest'ultimo deve
essere specificato qualora la perdita uditiva venga espressa in decibel. La
quantità di energia sonora aumenta 10 volte ogni 20 dB. I valori ottenuti sono

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

riportati in un grafico chiamato audiogramma (v. Fig. 82-1 e 82-2).


L'audiogramma è una rappresentazione logaritmica dell'energia sonora
necessaria a raggiungere la soglia uditiva. Qualora l'udito sia differente tra un
orecchio e l'altro o tra la via aerea e la via ossea, toni intensi presentati a un
orecchio possono essere uditi (lateralizzati) nell'altro. In questi casi, si invia un
suono mascherante, generalmente il cosiddetto rumore bianco, all'orecchio non
testato, in modo che le risposte ottenute riflettano in modo più preciso l'udito
dell'orecchio in esame.

L'audiometria vocale comprende la soglia della percezione verbale (SPV) e


quella della discriminazione verbale. La SPV, l'intensità alla quale il linguaggio
viene riconosciuto come simbolo dotato di significato, viene determinata inviando
al paziente una lista di parole, di solito parole bisillabiche ugualmente accentate
(spondei), come p. es., "pacco", "seppia" o "piano", a determinate intensità e
registrando l'intensità alla quale il paziente ripete correttamente il 50% delle
parole. La SPV, dovrebbe avvicinarsi alla soglia uditiva media per le frequenze
verbali di 500, 1000 e 2000 Hz.

La discriminazione verbale, la capacità di discriminare i vari stimoli verbali o


fonemi si determina inviando al paziente una lista di 50 parole monosillabiche
foneticamente equilibrate, contenenti i fonemi nella stessa frequenza relativa
della lingua italiana corrente, con un'intensità di 25-40 dB al di sopra della SPV.
La percentuale delle parole correttamente ripetute dal paziente corrisponde alla
soglia della discriminazione verbale, che va normalmente dal 90 al 100%, ed è
un buon indice della capacità di comprensione del parlato in condizioni ideali di
ascolto. Questa percentuale rimane nel range dei valori normali nelle ipoacusie
trasmissive, mentre si abbassa nelle ipoacusie neurosensoriali poiché l'analisi dei
suoni verbali da parte dell'orecchio interno e del nervo acustico è imperfetta. La
discriminazione tende a essere peggiore nelle ipoacusie retrococleari rispetto a
quella osservata nelle ipoacusie di origine cocleare (v. oltre).

La timpanometria misura l'impedenza dell'orecchio medio all'energia acustica.


Dopo aver invitato il paziente a rilassarsi, una sonda contenente una fonte
sonora e un microfono viene posta nel condotto uditivo esterno per misurare
quanta energia acustica viene assorbita (attraversa) o riflessa dall'orecchio
medio. Normalmente, la massima compliance dell'orecchio medio si ottiene
quando la pressione nel condotto uditivo esterno è uguale alla pressione
atmosferica. Aumentando o diminuendo la pressione nel condotto si hanno
diversi modelli di compliance. Quando la pressione nell'orecchio medio è
relativamente negativa, come nell'ostruzione della tuba di Eustachio e nel
versamento nell'orecchio medio, la massima compliance si ottiene con una
pressione negativa nel condotto uditivo e un piccolissimo movimento della
membrana timpanica.

Il riflesso stapediale può individuare le variazioni della compliance prodotte


dalla contrazione riflessa del muscolo stapedio; il riflesso stapediale viene
evocato dalla presentazione di un tono di intensità variabile all'orecchio in esame
o al controlaterale. La presenza o l'assenza del riflesso stapediale è importante
nella diagnosi topografica della funzionalità dell'orecchio medio e della paralisi
del nervo facciale. Il riflesso stapediale si adatta o decresce nelle ipoacusie
retrococleari e determinare l'adattamento o il decremento, specialmente al di
sotto dei 2000 Hz, può essere d'aiuto nella diagnosi differenziale tra ipoacusie
cocleari e retrococleari. Questo test può confermare la soglia audiometrica
soggettiva e può indicare se un paziente simula.

Il paziente che non può o non vuole rispondere volontariamente agli stimoli
acustici può essere valutato misurando: il potenziale microfonico cocleare e il
potenziale d'azione dell'VIII nervo con l'elettrococleografia; i potenziali evocati del
tronco encefalico e della corteccia uditiva (potenziali uditivi del tronco encefalico)
da stimoli acustici e le otoemissioni acustiche spontanee o evocate, suoni
prodotti dalle cellule ciliate esterne della coclea in risposta alla stimolazione
sonora (v. oltre). Queste metodiche sono risultate utili nello studio di lattanti e
bambini con sospetta ipoacusia profonda (v. anche Valutazione dell'udito nei
bambini Cap. 256), di soggetti sospettati di simulare o esagerare una perdita
uditiva (ipoacusia psicogena) e di pazienti con ipoacusia neurosensoriale a
eziologia sconosciuta. Un'altra applicazione è la valutazione dell'integrità delle vie

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

uditive centrali. Sono state identificate 7 onde sequenziali che rappresentano


l'attivazione del nervo acustico e successivamente delle vie uditive centrali in
risposta agli stimoli acustici. Le lesioni dell'VIII nervo e delle vie uditive del tronco
encefalico provocano variazioni nella configurazione e nella latenza delle onde; le
variazioni della latenza spesso hanno un valore diagnostico. La rilevazione dei
potenziali evocati uditivi è usata nel coma per determinare l'integrità funzionale
del tronco encefalico e negli interventi intracranici per monitorizzare l'integrità del
nervo acustico e delle vie uditive centrali. Lo studio dei potenziali evocati uditivi
del tronco encefalico non può essere eseguito in pazienti con ipoacusia grave.

Diagnosi differenziale
tra ipoacusia cocleare e retrococleare

Il termine neurosensoriale indica che l'ipoacusia sia dovuta a una lesione


dell'orecchio interno (coclea) o dell'VIII nervo cranico. La diagnosi differenziale
fra ipoacusia sensoriale (cocleare) e retrococleare (VIII nervo cranico) è
clinicamente importante. L'ipoacusia cocleare è dovuta a lesioni dell'organo più
periferico (trauma acustico, labirintite virale, farmaci ototossici, malattia di
Ménière) che in genere non rappresentano una minaccia per la vita. Invece
l'ipoacusia retrococleare è frequentemente dovuta a tumori potenzialmente fatali
dell'angolo ponto-cerebellare (v. Cap. 177) e a una grande varietà di altre
malattie neurologiche.

L'ipoacusia cocleare può essere differenziata da quella retrococleare in base ai


test di discriminazione verbale, alla funzione qualità-intensità per parole
foneticamente equilibrate, al "recruitment", al Reflex Decay Test, all'adattamento
patologico, alle otoemissioni acustiche e allo studio dei potenziali evocati uditivi
del tronco encefalico (v. Tab. 82-1).

Nei test della discriminazione verbale di parole foneticamente bilanciate (v.


sopra), il decremento della discriminazione verbale è moderato quando
l'ipoacusia è cocleare, mentre è grave quando è retrococleare.

La funzione qualità-intensità per parole foneticamente bilanciate si valuta


per incrementi di 5 o 10 dB partendo da 20-30 dB al di sopra della soglia della
percezione verbale. Nell'ipoacusia cocleare, la discriminazione in genere migliora
alle alte intensità. Nell'ipoacusia retrococleare la discriminazione peggiora in
modo caratteristico alle alte intensità. La curva ottenuta con l'audiometria vocale,
intesa come funzione di intensità, viene definita funzione di articolazione. Il
"rollover," che si riferisce a un decremento della discriminazione con l'aumentare
dell'intensità, è caratteristico per le lesioni dell'VIII nervo cranico, quali lo
schwannoma vestibolare.

Il recruitment (anomalo aumento di percezione dell'intensità dei suoni o capacità


di udire suoni forti normalmente malgrado una perdita uditiva) può essere
dimostrato facendo confrontare al paziente l'intensità degli stessi suoni
nell'orecchio lesionato e in quello normale. Nell'ipoacusia cocleare la sensazione
di intensità nell'orecchio colpito aumenta ad ogni incremento di intensità in
maniera maggiore rispetto a quello che si verifica nell'orecchio normale.
Nell'ipoacusia retrococleare, la sensazione di intensità nell'orecchio colpito o non
aumenta in maniera maggiore rispetto a quello che si verifica nell'orecchio
normale (assenza di recruitment) o addirittura l'incremento della sensazione di
intensità è inferiore rispetto all'orecchio sano (decruitment).

Il riflesso stapediale (v. sopra), si adatta o decresce nel tempo quando si


presenta un tono continuo (in particolare sotto i 2000 Hz). Il decremento è
assente o lieve nell'ipoacusia cocleare e grave nell'ipoacusia retrococleare.

L'adattamento patologico (tone decay) si manifesta quando un paziente non


può continuare a percepire un tono costante al di sopra della soglia uditiva. Il
tone decay è assente o lieve nelle lesioni cocleari e grave in quelle retrococleari.

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

L'elettrococleografia misura i potenziali elettrofisiologici stimolo-dipendenti della


porzione più periferica del sistema uditivo; essi comprendono il potenziale
microfonico cocleare, il potenziale di sommazione e il potenziale d'azione. Gli
elettrodi di superficie, come quelli impiegati per lo studio dei potenziali evocati
del tronco encefalico, non possono registrare questi potenziali; gli elettrodi
devono essere posizionati sopra o attraverso la membrana timpanica.
L'elettrococleografia può essere di grande aiuto nella valutazione e nel
monitoraggio dei pazienti con vertigini, nel monitoraggio intraoperatorio e nel
miglioramento dell'onda I per i pazienti affetti da ipoacusia profonda.

Il microfonico cocleare, probabilmente generato dalle cellule ciliate esterne del


giro basale della coclea, è una risposta a corrente alternata che rispecchia l'onda
dei suoni di intensità da bassa a moderata. Si ritiene che essa rifletta lo
spostamento nel tempo della partizione cocleare. Lo spostamento viene
registrato tramite un elettrodo ad ago posizionato attraverso o sulla membrana
timpanica. L'ampiezza del microfonico cocleare dipende dall'attività delle cellule
ciliate. La sua utilità è stata messa in dubbio a causa della difficoltà di
interpretazione delle risposte.

Lo studio dei potenziali evocati uditivi del tronco encefalico è una metodica
potente per differenziare l'ipoacusia cocleare da quella retrococleare. Vengono
esaminate cinque differenti onde elettriche, generate dal nervo acustico, il tronco
encefalico e altre regioni encefaliche in risposta a stimolazione acustica. Esse
possono essere registrate da un computer in maniera tale da ottenere una media
delle risposte a più stimoli. Ciascuna onda probabilmente origina da una distinta
struttura delle vie uditive, quale il nervo acustico, i nuclei cocleari, il complesso
olivare superiore, il lemnisco laterale e il collicolo inferiore. Nelle lesioni del nervo
acustico possono andare perse una o più onde, può aumentare la latenza delle
onde e si può prolungare la latenza tra le onde. Nelle lesioni cocleari le onde
sono facilmente riconoscibili e i rapporti di latenza rimangono nella norma.

Le otoemissioni acustiche sono dei suoni generati dalle cellule ciliate esterne in
una coclea sana. Esse possono essere misurate posizionando nel condotto
uditivo esterno una fonte sonora per presentare uno stimolo e un microfono per
registrare la risposta. Le informazioni ottenute sono specifiche per la frequenza e
possono essere associate a quelle ottenute con altri esami per individuare il tipo
di perdita uditiva. L'assenza di otoemissioni acustiche indica un danno cocleare.
Se le otoemissioni acustiche sono presenti, la coclea è integra. Se la perdita è
neurosensoriale e le otoemissioni acustiche sono presenti, il danno è nell'VIII
nervo. Le malattie dell'orecchio medio, come l'otite media, eliminano le
otoemissioni acustiche. Comunemente le otoemissioni acustiche vengono
studiate per lo screening uditivo nei lattanti e nei bambini piccoli.

I pazienti con sintomi riferibili a interessamento di un nervo cranico, quale l'VIII,


meritano una valutazione neurologica accurata. Un'ulteriore valutazione deve
comprendere gli esami vestibolari (v. oltre) e la RMN del capo con contrasto al
gadolinio per individuare lesioni del VII o dell'VIII nervo cranico.

Esami che valutano il difetto di percezione uditiva centrale

Lesioni delle vie uditive centrali possono verificarsi a livello dei nuclei cocleari, dei
fasci nervosi del tronco dell'encefalo che si incrociano sulla linea mediana, del
complesso olivare superiore, del lemnisco laterale, del collicolo inferiore, del
corpo genicolato mediale, della radiazione acustica o, infine, della corteccia
uditiva. Tipicamente, tali lesioni non provocano l'innalzamento della soglia uditiva
per i toni puri e per gli spondei o la diminuzione della discriminazione di singole
parole. Per poter valutare il deficit della funzione uditiva causata da queste lesioni
occorrono esami speciali. Questi test valutano la discriminazione di parole
presentate in maniera degenerata o distorta e la discriminazione in presenza di
messaggi competitivi all'orecchio controlaterale e studiano la capacità di fondere i
messaggi incompleti o parziali presentati ad ogni orecchio in un messaggio
carico di significato e la capacità di localizzare suoni nello spazio (localizzazione
sul piano mediale), quando stimoli acustici arrivano simultaneamente a entrambe

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

le orecchie.

Il messaggio verbale può essere degradato o distorto mediante filtri di bassa o di


alta frequenza, interruzioni periodiche o compressione temporale. Nell'orecchio
controlaterale a una lesione corticale si ha una perdita della capacità di
discriminazione di parole degenerate o distorte, come anche la discriminazione in
presenza di un messaggio competitivo nell'orecchio ipsilaterale. Le lesioni del
tronco encefalico determinano una perdita della capacità di fusione del
messaggio incompleto presentato ad ogni orecchio in un messaggio significativo
e inoltre compromettono la capacità di localizzare esattamente nello spazio il
suono.

Protesi acustiche

L'amplificazione del suono dalle protesi acustiche è di grande aiuto in quasi tutti i
pazienti con ipoacusia trasmissiva o neurosensoriale, da lieve a profonda,
compreso quelli con ipoacusia neurosensoriale prevalentemente per le frequenze
alte e in quelli con ipoacusia monolaterale. Tutte le protesi acustiche hanno un
microfono, un amplificatore, un altoparlante, un auricolare e il controllo di volume.
In molti modelli, si può spegnere il microfono e utilizzare una bobina magnetica
per migliorare la chiarezza quando si parla al telefono. I modelli migliori si
regolano a seconda del particolare tipo di perdita uditiva, amplificando
selettivamente le frequenze più difficilmente udibili.

Quando un paziente si valuta per una protesizzazione è necessario un parere


specialistico, generalmente di un audiologo. La scelta della protesi acustica
appropriata richiede di avvicinare le caratteristiche elettroacustiche
dell'apparecchio al tipo di ipoacusia, in base al guadagno (amplificazione)
acustico, al livello di saturazione, alla risposta in frequenza e alle necessità di
ascolto. Il guadagno acustico, si riferisce alla differenza fra la potenza di entrata e
di uscita dell'apparecchio. Più è grave l'ipoacusia, maggiore è in genere il
guadagno richiesto. Il livello di saturazione, cioè il massimo di uscita
indipendentemente dall'entrata, è una considerazione importante per i pazienti
che hanno una ridotta tolleranza ai suoni (come nel "recruitment"). Nei gravi
problemi di tolleranza sono disponibili speciali circuiti (controllo automatico del
guadagno) che mantengono l'uscita acustica dell'apparecchio a livelli tollerabili.
La risposta in frequenza si riferisce al guadagno dell'apparecchio in funzione
della frequenza. Come regola generale, la risposta in frequenza dev'essere
scelta per ottenere un guadagno in relazione con la configurazione audiometrica
del paziente. Un miglioramento alle alte frequenze si ottiene praticando un foro
nel calco auricolare ed è molto utile nei casi di ipoacusia neurosensoriale,
maggiore per le frequenze alte rispetto alle basse.

Le protesi acustiche a conduzione aerea, abitualmente accoppiate al condotto


uditivo esterno mediante un tubo aperto o a tenuta ermetica, sono in genere più
efficaci rispetto a quelle a conduzione ossea e sono quindi le più utilizzate,
eccetto i casi in cui sono controindicate. La protesi a scatola, adatta per
l'ipoacusia profonda, è la più potente. Essa si porta nella tasca della camicia o
con un supporto ed è connessa mediante un filo all'auricolare (il ricevitore), che è
accoppiato al condotto uditivo esterno per mezzo di un inserto di plastica (detto
chiocciola). Per le forme di ipoacusia da media a grave è adatta la protesi
retroauricolare (livello orecchio) che si fissa dietro il padiglione e viene collegata
alla chiocciola mediante un tubo flessibile. Una protesi endoauricolare è
contenuta interamente nella chiocciola e si adatta meno vistosamente all'interno
della conca e del condotto uditivo; essa è indicata nell'ipoacusia di grado da lieve
a medio. Le protesi endocanalari sono interamente contenute nel condotto uditivo
e accettate esteticamente da molti pazienti i quali altrimenti rifiuterebbero di
utilizzare una protesi acustica, ma per alcuni pazienti (in particolare i più anziani)
sono difficili da manipolare. La protesi di tipo CROS (Controlateral Routing Of
Signals) viene utilizzata dai pazienti con ipoacusia grave monolaterale; il
microfono dell'apparecchiatura è collocato nell'orecchio non funzionante e il
suono viene convogliato verso l'orecchio migliore mediante un filo elettrico o un
micro radiotrasmettitore. Questo apparecchio fa in modo che il portatore senta i
suoni provenienti dal lato dell'orecchio malato e che sviluppi una seppur limitata

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

capacità alla localizzazione spaziale degli stessi. Qualora anche l'orecchio


migliore abbia una certa perdita uditiva, il suono proveniente da entrambi i lati
può essere amplificato per mezzo di una protesi denominata BICROS.

La protesi a conduzione ossea può essere impiegata nei casi in cui non sono
utilizzabili chiocciola o raccordi in plastica, come nel caso di atresia del condotto
o di otorrea persistente. Un vibratore è posto a contatto con il capo, di solito in
corrispondenza della mastoide, mediante una fascia elastica e il suono viene
condotto, attraverso le ossa craniche, fino alla coclea. Rispetto alle protesi a
conduzione aerea, le protesi a conduzione ossea richiedono maggiore energia
elettrica, introducono maggior distorsione e sono meno confortevoli da portare.
Alcune di queste protesi possono essere impiantate nel processo mastoideo,
evitando così il fastidio della fascia elastica.

Impianti cocleari

I pazienti affetti da ipoacusia profonda che non traggono beneficio dagli


apparecchi acustici tradizionali per la lettura labiale oppure per sentire i suoni
ambientali (p. es., campanello della porta, squillo del telefono e allarmi) possono
trarre beneficio da un impianto cocleare. Tali apparecchi elettronici consistono in
un processore a batteria che converte il suono in modulazioni di corrente
elettrica, in un sistema di bobine di induzione esterna e interna che trasmette
impulsi elettrici attraverso la cute e un insieme di elettrodi connessi alla bobina di
induzione interna che stimola le fibre residue della componente cocleare dell'VIII
nervo cranico. Previa mastoidectomia si inserisce l'elettrodo nella rampa
timpanica nel giro basale della chiocciola. La bobina di induzione interna è
impiantata nell'osso cranico retroauricolare; la bobina di induzione esterna si
mantiene in situ sulla cute al di sopra della bobina di induzione interna dalle
calamite nelle due bobine. Gli impianti multicanali sono generalmente più efficaci
di quelli monocanali.

Gli impianti cocleari aiutano la lettura labiale fornendo informazione


sull'intonazione delle parole, il ritmo dell'eloquio e altre caratteristiche del
fraseggio verbale. Alcuni pazienti portatori di impianto cocleare possono
discriminare le parole in assenza di suggerimenti visivi e possono parlare al
telefono. Gli impianti cocleari permettono alle persone affette da ipoacusia
profonda di distinguere i suoni ambientali e i vari segnali di avvertimento.
Permettono anche ai pazienti di modulare bene la propria voce favorendone
l'intelligibilità.

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Orecchio interno

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

85. ORECCHIO INTERNO

IPOACUSIA IMPROVVISA

Grave ipoacusia neurosensoriale, generalmente monolaterale, che si sviluppa nel


corso di alcune ore o anche meno.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

L'ipoacusia improvvisa colpisce circa 1/ 5000 persone ogni anno (v. anche
Ipoacusia nel Cap. 82). Sebbene l'esordio improvviso suggerisca un'eziologia
vascolare (embolia, trombosi o emorragia), per analogia con gli accidenti
vascolari nel SNC, nella maggior parte dei casi appare evidente un'eziologia
virale. L'ipoacusia improvvisa tende a verificarsi nei bambini e nei giovani o negli
adulti di mezza età che non presentano disturbi vascolari. Il riscontro
istopatologico nell'osso temporale di soggetti colpiti da ipoacusia improvvisa è
diverso da quello osservato nell'orecchio interno di animali con embolia od
occlusione vascolare sperimentale, ma è simile a quello osservato in caso di
infezioni virali che interessano l'orecchio interno nell'uomo (labirintite
endolinfatica virale) e che esitano in ipoacusia improvvisa, p. es., parotite
epidemica e morbillo. I virus responsabili dell'influenza, della varicella e della
mononucleosi; gli adenovirus e altri possono provocare ipoacusia improvvisa.

I quadri anatomopatologici nei soggetti con ipoacusia persistente dovuta a una


labirintite endolinfatica virale sono simili, indipendentemente dal virus
responsabile. L'organo di Corti è assente e le popolazioni cellulari gangliari sono
ridotte nel giro basale della coclea; le cellule ciliate tendono a essere assenti. La
stria vascolare si atrofizza. La membrana tectoria spesso si ispessisce e si
organizza in sincizio. La membrana di Reissner (vestibolare) può collassarsi e
aderire alla membrana basilare.

Occasionalmente, per ampie variazioni della pressione ambientale o in caso di


sforzi intensi come il sollevamento di pesi, si possono creare fistole
perilinfatiche fra l'orecchio medio e quello interno. La formazione di fistole nella
finestra rotonda e in quella ovale ha come conseguenza l'ipoacusia cocleare
improvvisa o fluttuante e vertigini. Il paziente, quando si forma la fistola, può
avvertire un suono simile a un'esplosione nell'orecchio affetto. La fistola può
essere evidenziata combinando le variazioni di pressione nell'orecchio esterno,
utilizzate nella timpanometria con elettronistagmografia. Il nistagmo che risulta da
un cambiamento della pressione nel condotto uditivo esterno può essere
individuato con l'elettronistagmografia ed è suggestivo della presenza di una
fistola perilinfatica.

Sintomi e segni

L'ipoacusia abitualmente è profonda, ma la funzione uditiva ritorna nella norma

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Orecchio interno

nella maggior parte dei pazienti, mentre si ripristina solo parzialmente in altri. Se
la funzione uditiva rientra nella norma, in genere ciò avviene in 10-14 gg.
Inizialmente possono essere presenti acufeni e vertigini sebbene le vertigini
generalmente regrediscono nel giro di alcuni giorni.

Terapia

Anche se molti sostengono l'efficacia di terapie a base di vasodilatatori,


anticoagulanti, destrano a basso peso molecolare, corticosteroidi e vitamine,
nessuno di questi trattamenti ha valore accertato. Poiché micropetecchie e
fuoriuscite di sangue sono caratteristiche delle reazioni infiammatorie indotte da
virus, la vasodilatazione e l'anticoagulazione possono non essere indicate.
Inoltre, in una reazione infiammatoria il flusso sanguigno cocleare è già
aumentato sufficientemente. L'uso dei corticosteroidi sembra razionale, p. es.,
prednisone, 60 mg/die PO per 2 gg, quindi 40 mg/die PO per 5-7 gg, seguito da
una progressiva riduzione della dose. È raccomandato anche il riposo a letto.

In caso di sospetta fistola perilinfatica, generalmente è necessario eseguire


l'esplorazione chirurgica dell'orecchio medio e la fistola deve essere riparata
mediante trapianto autologo di fascia muscolare.

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Orecchio interno

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

85. ORECCHIO INTERNO

IPOACUSIA DA RUMORE

L'esposizione a rumori di intensità elevata, come attrezzature da falegnameria,


seghe a nastro, motori a combustione interna, macchinari pesanti, spari o rombo
di aerei, può danneggiare l'orecchio interno. Attività quali sparare, andare in
motoslitta, volare in aereo e assistere ai concerti rock, sono associate a
ipoacusia da rumore. Il trauma acustico cronico determina la progressiva
distruzione delle cellule ciliate dell'organo di Corti. Sebbene la predisposizione
all'ipoacusia da rumore vari fortemente a seconda dei soggetti, praticamente tutti
andranno incontro alla perdita della funzione uditiva se esposti a un rumore
sufficientemente intenso e per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Ogni
rumore > 85 dB danneggia l'orecchio. Un acufene ad alta frequenza
generalmente accompagna l'ipoacusia. La perdita si verifica inizialmente intorno
alla frequenza di 4 kHz e gradualmente alle frequenze minori e maggiori se
l'esposizione al rumore continua. A differenza della maggior parte delle ipoacusie
neuro-sensoriali, il danno acustico è minore a 8 kHz che a 4 kHz. Il danno da
scoppio (trauma acustico acuto), produce lo stesso tipo di ipoacusia cocleare.

La prevenzione si basa sulla limitazione della durata dell'esposizione, sulla


riduzione del rumore all'origine e sull'allontanamento della persona dalla fonte
rumorosa. Se aumenta l'intensità del rumore, va contemporaneamente ridotto il
tempo di esposizione per prevenire danni dell'orecchio interno. Il rumore può
essere attenuato con protezioni auricolari, p. es., tappi di plastica o di cera
oppure con cuffie paraorecchi di vario tipo.

Quando l'ipoacusia da rumore compromette la comunicazione, una protesi


acustica è generalmente utile (v. Protesi acustiche nel Cap. 82).

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

DEFICIT UDITIVI NEI BAMBINI

Scariche elettriche anomale provenienti dal SNC nei neonati, che si manifestano
solitamente con attività muscolare stereotipata o modificazioni vegetative.

Sommario:

Introduzione
Eziologia e patogenesi
Diagnosi
Terapia

L’ipoacusia può verificarsi a qualunque età. Circa 1 neonato su 800-1000


presenta una grave ipoacusia alla nascita. Con una frequenza doppia o tripla si
riscontrano ipoacusie minori, comprese ipoacusie da lievi a moderate e unilaterali
o bilaterali. Durante l’infanzia, altri 2-3/1000 bambini acquisiscono una ipoacusia
da moderata a grave, progressiva o permanente. Molti adolescenti sono a rischio
di ipoacusia neurosensoriale da eccessiva esposizione a rumore e da trauma
cranico.

I deficit uditivi nell’infanzia possono determinare difetti permanenti del linguaggio


recettivo ed espressivo. La gravità dell’handicap è determinata da vari fattori:
l’età alla quale si è verificata l’ipoacusia; la natura dell’ipoacusia, la sua durata, le
frequenze colpite, il grado di ipoacusia e la suscettibilità del singolo bambino
(p. es., deficit visivo coesistente, ritardo mentale, deficit primitivi del linguaggio).
Un’accurata valutazione delle frequenze uditive interessate e del deficit della
conduzione per via aerea e per via ossea può essere effettuata a prescindere
dall’età o dal grado di inabilità (v. valutazione dell’udito nel bambino nel Cap.
256).

Per un bambino con una ipoacusia neurosensoriale, il problema addizionale di


una ipoacusia di conduzione può gravemente compromettere la comprensione
del linguaggio. I bambini che presentano altri deficit sensitivi, del linguaggio o
cognitivi sono colpiti più gravemente da una ipoacusia rispetto a un bambino per
il resto sano.

Eziologia e patogenesi

Ipoacusia di conduzione: i più comuni difetti uditivi sono deficit di conduzione


acquisiti, associati a un’otite media e alle sue sequele. Quasi tutti i bambini
presentano una ipoacusia lieve- moderata, intermittente o continua a causa di
un’otite media. Infezioni ripetute o gravi possono determinare un deficit
permanente. I bambini più soggetti all’otite media sono quelli che presentano
anomalie cranio-facciali (p. es., palatoschisi), immunodeficienze (p. es.,
ipogammaglobulinemia transitoria dell’infanzia) ed esposizione a fattori di rischio
ambientali (p. es., fumo di tabacco, day hospital). I ragazzi sono più spesso affetti
da otite media rispetto alle ragazze.

Nell’infanzia una patologia a carico di un qualunque tratto dell’apparato uditivo

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Patologia del neonato e del lattante

può produrre una ipoacusia. Le malformazioni del canale uditivo esterno e


dell’orecchio medio, che si verificano isolatamente o facenti parte di una
sindrome (p. es. sindrome di Treacher Collins), esitano in un deficit di
conduzione. I deficit congeniti neurosensoriali si verificano anche in bambini che
hanno anomalie isolate dell’orecchio medio.

Il colesteatoma, un tumore benigno, origina più comunemente da una otite media


non trattata, ma può essere congenito. I colesteatomi acquisiti colpiscono
generalmente la porzione cefalica dorsale del cavo del timpano, mentre i
colesteatomi congeniti originano fondamentalmente nella porzione cefalica
ventrale. Il colesteatoma può causare l’erosone della catena ossicolare e una
ipoacusia di conduzione. La distruzione degli ossicini si verifica anche come
risultato di un’infezione e di un’atelettasia del cavo del timpano; il processo lungo
dell’incudine è colpito più comunemente, determinando una significativa
ipoacusia di conduzione.

Ipoacusia neurosensoriale: quando si verificano, in epoca prenatale, deficit


sensoriali (cellule capellute) e nervosi (cellule ganglionari spirali), tale condizione
è denominata ipoacusia congenita neurosensoriale. Quando le ipoacusie si
verificano durante i primi 1-2 anni di vita, la condizione è denominata ipoacusia
progressiva precoce neurosensoriale. Quando le ipoacusie si verificano più
tardivamente, la condizione è denominata ipoacusia progressiva neurosensoriale
dell’infanzia. L’ipoacusia neurosensoriale congenita può derivare da cause
esogene o endogene (v. Tabb. 260-4 e 260-5).

Le ipoacusie neurosensoriali acquisite possono essere causate da patologie


autoimmuni; sostanze ototossiche come aminoglicosidi, cisplatino, e aspirina (il
cui effetto è reversibile); meningite batterica; infezioni virali congenite e acquisite,
come rosolia congenita, citomegalovirus e parotite; endotossine ed esotossine
batteriche; traumi acustici, che possono derivare dall’esposizione a musica ad alti
volumi, armi da fuoco, motori o giocattoli rumorosi oppure trauma cranico, che
porta a una commozione o a una frattura dell’osso temporale (le fratture possono
essere responsabili di una componente conduttiva dell’ipoacusia a causa della
rottura traumatica dell’orecchio medio).

Diverse condizioni patologiche interessano l’orecchio interno. La più comune è


rappresentata dalla perdita delle cellule capellute della coclea, che spesso
colpisce quelle del sistema vestibolare. Le cellule nervose della coclea, le cellule
ganglionari spirali, rimangono spesso intatte per un periodo di tempo, ma alla fine
degenerano a causa dell’assenza di fattori trofici, come il fattore neurotrofico
cerebrale prodotto dalle cellule capellute. Inoltre, la perdita delle cellule spirali
ganglionari può verificarsi, senza o con minima perdita di cellule capellute.

Anche le malformazioni del labirinto osseo possono causare ipoacusia


neurosensoriale. Queste condizioni vengono diagnosticate mediante TC.
L’ipoacusia associata a malformazioni labirintiche varia da assente a totale e può
essere stazionaria, variabile o progressiva. L’ipoacusia, inoltre, può avere una
componente di conduzione. Un gruppo di malformazioni labirintiche x-linked
determina una lesione della finestra ovale; i pazienti si presentano con un deficit
di conduzione congenito. L’intervento chirurgico di apertura della finestra ovale
può causare una perdita massiva di LCR, spesso abolendo per sempre la
funzione uditiva in quell’orecchio.

Le fistole perilinfatiche possono causare un progressivo deficit neurosensoriale e


sono spesso associate a malformazioni labirintiche. Le fistole perilinfatiche
traumatiche si ritrovano in bambini con traumi cranici. Occasionalmente, traumi
cranici minori in un neonato o lattante portano a fistole bilaterali, determinando
rapidamente un deficit neurosensoriale progressivo. Queste devono essere
identificate prontamente poiché l’intervento chirurgico può prevenire un ulteriore
ipoacusia, così come una possibile meningite.

Malattie primitive del nervo statoacustico (VIII) nell’infanzia sono rare. Le più
comuni sono gli schwannomi ritrovati in pazienti con neurofibromatosi di tipo II.
Altre rare cause sono meningiomi e tumori metastatici. Occasionalmente, un
bambino con kernittero grave sviluppa una ipoacusia neurosensoriale moderata e
altri segni di danno del tronco dell’encefalo, come la compromissione dell’attività

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Patologia del neonato e del lattante

motoria.

Possono verificarsi ipoacusie unilaterali a causa di qualunque condizione sopra


menzionata, essendo la parotite una causa frequentemente riscontrata. L’effetto
di una ipoacusia unilaterale è spesso sottostimato. Un bambino può avere un
deficit significativo del linguaggio a causa della difficoltà nell’identificare le parole
in ambienti moderatamente rumorosi.

Diagnosi

La diagnosi è di solito significativamente ritardata perché i sintomi non sono


riconosciuti o vengono ignorati. Deficit gravi vengono solitamente diagnosticati
entro i 2 anni di età, mentre deficit lievi-moderati e quelli unilaterali non sono
tipicamente riconosciuti fino all’età scolare. In presenza di una grave ipoacusia
neurosensoriale bilaterale, i genitori possono notare che fin dalla prima settimana
di vita circa il neonato non reagisce alle loro voci e ad altri suoni.

Tutti i lattanti e i bambini devono eseguire un test di screening per le ipoacusie (v.
Valutazione dell’udito nel bambino nel Cap. 256). La diagnosi del danno uditivo
deve essere fatta il più presto possibile in modo che adeguati input linguistici
possano permettere uno sviluppo ottimale del linguaggio. Il più grande ostacolo
per una diagnosi precoce è il ritardo nel rivolgersi a uno specialista, nonostante la
consapevolezza o il sospetto di danno uditivo, solitamente dovuti a un ritardo
dello sviluppo del linguaggio. Quando un bambino presenta un’alterazione del
linguaggio, bisogna effettuare una diagnosi differenziale fra la sordità, il ritardo
mentale, l’afasia e l’autismo.

Molti bambini con ipoacusie neurosensoriali hanno deficit vestibolari manifestati


da un ritardato sviluppo motorio o da uno sviluppo in regressione. Inoltre, lattanti
e bambini ai primi passi con otite media possono avere disturbi vestibolari che si
manifestano come alterazione dell’attività motoria. Uno sviluppo motorio anomalo
viene a volte erroneamente correlato con un più generale ritardo dello sviluppo,
come ritardo mentale, che può determinare un’inappropriatezza delle cure.

Terapia

L’obiettivo è quello di favorire uno sviluppo del linguaggio ottimale. Il linguaggio


deve essere valutato in tutti i bambini con ipoacusia e i deficit del linguaggio
devono essere corretti con una terapia appropriata. Il primo anno di vita è un
periodo critico per lo sviluppo del linguaggio. Poiché i bambini devono ascoltare il
linguaggio per impararlo spontaneamente, i bambini sordi svilupperanno il
linguaggio solamente attraverso uno speciale allenamento, che idealmente
dovrebbe iniziare appena l’ipoacusia viene identificata. Ai bambini sordi deve
essere fornita un’altra forma di linguaggio. Per esempio, un linguaggio visivo con
segni può costituire una base per il successivo sviluppo del linguaggio orale.

I deficit di conduzione dovuti a una otite media possono essere migliorati


mediante un apparecchio acustico o chirurgicamente (miringotomia con o senza
adenoidectomia a seconda delle caratteristiche del bambino; p. es., una schisi
sottomucosa del palato rappresenta una controindicazione relativa
all’adenoidectomia). Decongestionanti e antibiotici non migliorano le ipoacusie di
questi bambini.

I deficit neurosensoriali possono essere migliorati mediante diversi tipi di


apparecchi acustici. L’amplificazione con un apparecchio acustico deve essere
iniziata appena possibile dopo la diagnosi (anche intorno ai 6 mesi di età). Nella
ipoacusia neurosensoriale bilaterale, un’amplificazione binaurale utilizzando
apparecchi retroauricolari o endoauricolari incrementa al massimo l’udito e
permette lo sviluppo della capacità di localizzare i suoni. Bambini di età 2 anni
con ipoacusia bilaterale importante, che non traggono completamente beneficio

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Patologia del neonato e del lattante

dall’amplificazione possono essere candidati all’impianto cocleare. Gli impianti


cocleari permettono una comunicazione uditiva in molti bambini profondamente
sordi, se la sordità è congenita o acquisita, ma sembra essere più efficace in
quelli che già hanno sviluppato il linguaggio. I bambini che hanno una sordità
postmeningite sviluppano una ossificazione dell’orecchio interno; essi devono
ricevere precocemente gli impianti cocleari per ottimizzarne l’efficacia. I bambini i
cui nervi acustici sono stati danneggiati da un tumore possono essere aiutati
dall’impianto di elettrodi che stimolano il tronco dell’encefalo.

La chiusura di fistole perilinfatiche, congenite o acquisite, può far riacquisire parte


dell’udito e prevenire ulteriori ipoacusie. I corticosteroidi e altri farmaci
immunosoppressori possono essere utili in alcuni bambini con patologie
dell’orecchio interno causate da malattie autoimmuni.

Bambini con sordità monolaterale devono essere aiutati con un sistema a


scuola che permette all’insegnante di parlare in un microfono che manda segnali
a un apparecchio acustico nell’orecchio sano del bambino, migliorando la
capacità di sentire i discorsi nonostante si trovi in un ambiente rumoroso.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E


BAMBINI SANI

CONTROLLO DEL BAMBINO SANO

VALUTAZIONE DELL’UDITO NEL BAMBINO

(V. anche Valutazione clinica dell’udito nel Cap. 82 e Deficit uditivi nei
bambini nel Cap. 260)

La diagnosi precoce e la correzione di un danno uditivo sono essenziali per lo


sviluppo normale delle capacità di comunicazione. Una profonda ipoacusia può
essere sospettata dai genitori se il loro bambino non risponde alle voci o ai
comuni suoni. Tali osservazioni dei genitori sono molto importanti e devono
essere chiarite. I fattori di rischio e i test più semplici per valutare l’udito sono
descritti sopra in Screening. Se mediante l’anamnesi vengono identificati dei
fattori di rischio, l’audiometria può essere eseguita intorno ai 3 mesi.

La capacità uditiva può essere valutata sin dalla nascita utilizzando speciali
tecniche audiometriche eseguite di solito da un audiologo. Questi test valutano
risposte fisiologiche, comportamentali e riflesse a stimoli di intensità nota.

Nel lattante, dalla nascita fino a 6 mesi di vita, lo studio audiometrico


comprende test elettrofisiologici e comportamentali. I test elettrofisiologici (inclusi
i potenziali evocati uditivi del tronco dell’encefalo e il test delle otoemissioni
acustiche) valutano in modo attendibile la funzione uditiva nei neonati entro 1-2
giorni di vita. Quando si sospetta una ipoacusia percettiva, i test comportamentali
forniscono le informazioni necessarie per l’adattamento degli apparecchi acustici.
Il tipo di tecniche audiometriche comportamentali adottate dipende dall’età del
bambino.

Nel bambino di età compresa fra 6 mesi e 2 anni vengono valutate le


risposte di percezione ai toni e alle parole. Nell’audiometria della risposta di
orientamento condizionata, a volte chiamata audiometria della risposta visiva, un
giocattolo luminoso collegato a un altoparlante lampeggia dopo la presentazione
del suono-test. Dopo essersi sottoposto a un breve periodo di condizionamento, il
bambino localizza il suono, se udibile, prima del lampeggiare del giocattolo. Le
soglie così registrate in questo modo sono chiamate livelli minimi di risposta,
poiché le vere soglie possono essere leggermente più basse dei livelli richiesti
per provocare queste risposte comportamentali.

Nel bambino di ≥ 1 anno di età, la Soglia di Ricezione Vocale (SRV) può essere
determinata facendo indicare al bambino parti del corpo o identificare oggetti
comuni in risposta a parole di intensità controllata. Sebbene questa tecnica
quantifichi il livello uditivo del bambino nei confronti del linguaggio vocale, essa
non consente la diagnosi di ipoacusia di trasmissione a bassa frequenza o di
ipoacusia di percezione ad alta frequenza, che non incidono sulle frequenze
vocali. Quando si rileva una bassa SRV per via aerea, il confronto con la SRV
per via ossea permette di distinguere se l’ipoacusia è percettiva o conduttiva.

Nel bambino di età superiore ai 3 anni si esegue la ludoaudiometria,


nell’ambito della quale il bambino viene condizionato a eseguire un esercizio
(p. es., disporre un oggetto in una scatola) in risposta a un tono. La
ludoaudiometria è generalmente usata fino all’età di 4-5 anni, quando il bambino
è in grado di rispondere alzando la mano.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

La timpanometria e la misurazione del riflesso acustico possono essere utilizzati


in bambini di tutte le età e sono utili per determinare una funzione anormale
dell’orecchio medio. Un timpanogramma non regolare spesso indica una
disfunzione della tromba di Eustachio e/o la presenza di liquido all’interno
dell’orecchio medio che l’esame otoscopico non può visualizzare.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-4. CAUSE ESOGENE DI IPOACUSIA CONGENITA NEUROSENSORIALE

Anossia durante il parto

Rosolia congenita

Malattia congenita delle inclusioni


citomegaliche

Toxoplasmosi congenita

Sifilide congenita

Infezione neonatale da Herpes Simplex

Incompatibilità Rh

Assunzione materna di farmaci ototossici

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-5. CAUSE ENDOGENE DI IPOACUSIE CONGENITE E A ESORDIO


PRECOCE

Tipo Lateralità Entità Eziologia Esordio

Malformazioni Unilaterale Lieve- Genetica, Principalmente


dell'orecchio interno e/ o severa teratogenica, congenita ma può
osseo bilaterale associata a essere progressiva
malformazioni del e a insorgenza
SNC acuta

Morte cellulare Unilaterale Lieve- Genetica; Congenita e/o


precoce delle cellule o bilaterale severa dominante, progressiva
sensoriali e nervose recessiva, X-
dell'orecchio interno linked,
mitocondriale

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE


DELL'ORECCHIO

ACUFENI

Percezione del suono in assenza di uno stimolo acustico.

L'acufene, un'esperienza soggettiva del paziente, si distingue dall'acufene


oggettivo (soffio), rumore che può essere udito dall'esaminatore e spesso anche
dal paziente.

L'acufene si può avvertire sotto forma di ronzio, tintinnio, scroscio, fischio o sibilo
oppure può presentarsi come un suono più complesso che varia nel tempo.
L'acufene può essere intermittente, continuo o pulsatile (sincrono con il battito
cardiaco). Generalmente è presente anche una perdita uditiva.

Il meccanismo che causa l'acufene rimane sconosciuto. Gli acufeni possono


comparire come un sintomo che accompagna quasi tutte le malattie dell'orecchio:
l'ostruzione del condotto uditivo esterno dovuta a cerume o a corpi estranei, a
infezioni (otite esterna, miringite, otite media, labirintite, petrosite, sifilide e
meningite), l'ostruzione della tuba di Eustachio, l'otosclerosi, le neoplasie
dell'orecchio medio (p. es., i tumori del glomo timpanico e del glomo giugulare),
la malattia di Ménière, l'aracnoidite, i tumori dell'angolo pontocerebellare,
l'ototossicità (p. es., da salicilati, chinino e suoi analoghi sintetici, antibiotici
aminoglicosidici, alcuni diuretici, monossido di carbonio, metalli pesanti e alcol),
le malattie cardiovascolari (p. es., ipertensione e arteriosclerosi), l'anemia,
l'ipotiroidismo, l'ipoacusia neurosensoriale ereditaria, l'ipoacusia indotta da
rumori, i traumi acustici (danno da esplosione) e i traumi cranici.

La valutazione di un paziente con acufene richiede oltre all'esecuzione dei test


audiologici di base (v. sopra) una TC delle rocche petrose e una RMN del cranio.
Il riscontro di un'ipoacusia neurosensoriale pone l'indicazione all'esecuzione di
esami per differenziare le ipoacusie di origine cocleare da quelle retrococleare (v.
sopra). Nel caso di un acufene pulsante occorre effettuare una valutazione del
sistema vascolare con l'esecuzione di un'arteriografia carotidea e vertebrale per
escludere la presenza di stenosi, aneurismi o neoplasie vascolari.

Terapia

La capacità di tollerare gli acufeni varia da paziente a paziente. Il trattamento


deve essere diretto verso la malattia soggiacente, poiché un miglioramento di
questa comporta un miglioramento dell'acufene. La correzione di un'ipoacusia
concomitante determina in genere una diminuzione dell'acufene; l'uso di un
apparecchio acustico spesso provoca la soppressione dell'acufene. Sebbene non
esista una terapia medica o chirurgica specifica, molti pazienti trovano sollievo
ascoltando un sottofondo musicale per mascherare l'acufene e possono
addormentarsi con la radio accesa. Alcuni pazienti traggono beneficio dall'uso di
un dispositivo simile a una protesi acustica il cui scopo è quello di mascherare
l'acufene inviando un rumore più piacevole. La stimolazione elettrica dell'orecchio
interno, come nell'impianto cocleare, occasionalmente riduce l'acufene, ma è un
trattamento da riservare solo ai pazienti affetti da ipoacusia profonda.

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE


DELL'ORECCHIO

VERTIGINE

Erronea sensazione di movimento rotatorio associata a difficoltà a mantenere


l'equilibrio, difficoltà di deambulazione e di spostamento dell'ambiente.

Sommario:

Introduzione
VALUTAZIONE CLINICA DELL'APPARATO VESTIBOLARE

Tale sensazione può essere soggettiva, il paziente avverte se stesso in


movimento rispetto all'ambiente, oppure obiettiva, il paziente avverte l'ambiente
in movimento rispetto a sé. Le cause della vertigine possono essere le lesioni o
le affezioni dell'orecchio interno, del nervo acustico, dei nuclei vestibolari o delle
loro vie nel tronco encefalico e nel cervelletto.

Valutazione clinica dell'apparato vestibolare

La funzione vestibolare deve essere valutata qualora un paziente presenti


vertigine, difficoltà al mantenimento dell'equilibrio oppure un'ipoacusia
neurosensoriale a eziologia sconosciuta. La valutazione è incentrata su
un'accurata anamnesi e specifici test che comprendono: esecuzione di
movimenti rapidi alternanti, prova indice-naso e calcagno-ginocchio; test di
Romberg; prova della marcia; ed elettronistagmografia con stimolazione calorica
(v. Fig. 82-3). Nelle prove caloriche i risultati di ciascun orecchio si possono
confrontare, quindi queste prove sono clinicamente più utili della stimolazione
con accelerazione o decelerazione rotatoria, laterale e in torsione e in movimento
pendolare.

La stimolazione artificiale dell'apparato vestibolare provoca nistagmo, deviazione


delle braccia protese in avanti a occhi chiusi, caduta e reazioni neurovegetative
quali sudorazione, vomito, ipotensione e bradicardia. Il nistagmo, la risposta più
significativa, può essere monitorizzato con osservazione o meglio con
l'elettronistagmografia che registra le variazioni del potenziale corneoretinico. Il
nistagmo vestibolare è un movimento ritmico degli occhi. È caratterizzato da una
fase lenta e una fase rapida e può essere rotatorio, verticale od orizzontale. La
direzione del nistagmo viene determinata da quella della fase rapida, in quanto
questa è più facilmente osservabile. Tuttavia, la risposta più importante alla
stimolazione vestibolare è la fase lenta; la fase rapida è compensatoria. La fase
lenta si muove nella direzione del movimento dell'endolinfa; anche la deviazione
delle braccia protese in avanti e la caduta avvengono in questa direzione.
L'allucinazione di movimento dell'ambiente è nella direzione del flusso
endolinfatico, mentre l'allucinazione di movimento del soggetto è nella direzione
opposta.

L'elettronistagmografia è in grado di rilevare il nistagmo spontaneo, quello


evocato dallo sguardo e quello di posizione, che potrebbero non essere rilevabili

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

a occhio nudo. Tipicamente, esso registra le risposte a una serie di stimoli. È


opportuno registrare elettronicamente il movimento oculare di inseguimento e la
risposta alla stimolazione otticocinetica con tamburo rotante a strisce
contemporaneamente all'effettuazione del test calorico. I vari componenti del
sistema vestibolare possono essere esaminati cambiando la posizione del capo e
del corpo o lo stimolo visivo.

La stimolazione calorica si ottiene irrigando l'orecchio con acqua calda e


fredda, la quale provoca correnti di convezione nell'endolinfa. Le correnti
causano un movimento della cupola nell'ampolla del canale semicircolare
orizzontale, il movimento ha una determinata direzione durante il raffreddamento
e direzione opposta durante il riscaldamento.

La prova calorica bitermica, un'accurata e riproducibile misura della sensibilità


vestibolare, viene eseguita con il paziente supino, con il capo sollevato di 30°,
posizione in cui il canale semicircolare orizzontale è in posizione verticale.
Ciascun orecchio viene irrigato con 240 ml di acqua iniettati in 40 s, prima a 30°C
(86°F) e poi a 44°C (111°F). Il nistagmo risultante viene monitorato tenendo il
paziente con lo sguardo fisso in avanti. L'irrigazione di un orecchio con acqua
fredda provoca nistagmo con fase rapida diretta verso il lato opposto, l'acqua
calda provoca nistagmo con fase rapida diretta verso lo stesso lato. Un sistema
per ricordare questo concetto è tenere a mente la parola inglese COWS (Cold to
the Opposite and Warm to the Same).

Possono essere misurate la durata e la frequenza del nistagmo e la velocità della


fase lenta. Possono essere individuate la paresi del canale, una ipo o areflessia e
una preponderanza direzionale, cioè una relativa esagerazione della risposta
nistagmica in una direzione. Possono coesistere varie combinazioni di
iporeflessia e di preponderanza direzionale. La presenza di iporeflessia, di
preponderanza direzionale o della combinazione delle due indicano una lesione
organica (a livello dell'organo terminale, dell'VIII nervo, del tronco encefalico o del
cervelletto) ma non necessariamente indicano il lato della lesione. In alcuni casi,
un importante elemento differenziale è fornito dalla prova calorica. I neurinomi
dell'acustico provocano frequentemente iporeflessia o areflessia nel lato colpito
dal tumore.

I pazienti affetti da vertigini vanno studiati eseguendo anche una valutazione


audiologica di base e una RMN del capo con contrasto al gadolinio per la ricerca
di una lesione dell'VIII nervo cranico.

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Approccio al paziente con malattie dell'orecchio

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

82. APPROCCIO AL PAZIENTE CON MALATTIE


DELL'ORECCHIO

OTALGIA

Il dolore auricolare (otalgia) si avverte in corso di infezioni e neoplasie


dell'orecchio esterno o dell'orecchio medio (v. Tab. 82-2) oppure viene riferito
all'orecchio anche se è dovuto a processi patologici distanti (v. Tab. 82-3). Anche
una leggera infiammazione del condotto uditivo provoca un forte dolore, la
pericondrite del padiglione auricolare provoca forte dolore e dolorabilità.
L'ostruzione della tuba di Eustachio determina brusche variazioni della pressione
nell'orecchio medio rispetto alla pressione atmosferica, che può comportare la
retrazione dolorosa della membrana timpanica. Le infezioni dell'orecchio medio
producono un'infiammazione dolorosa della sua mucosa e dolore determinato
dall'incremento della pressione nell'orecchio medio con estroflessione della
membrana timpanica. La causa più comune di otalgia nei bambini, l'otite media
acuta, richiede un'immediata visita medica e un'adeguata terapia antibiotica per
prevenire delle sequele gravi.

In assenza di malattie dell'orecchio, l'origine dell'otalgia va ricercata nelle aree


che ricevono fibre sensitive dai nervi cranici che provvedono alla sensibilità
dell'orecchio esterno e dell'orecchio medio, cioè il V (trigemino), il IX
(glossofaringeo) e il X (vago) nervo cranico. In particolare, la causa dell'otalgia va
ricercata nel naso, nei seni paranasali, nel rinofaringe, nei denti, nelle gengive,
nell'articolazione temporomandibolare, nella mandibola, nelle ghiandole parotidi,
nella lingua, nelle tonsille palatine, nel faringe, nel laringe, nella trachea e
nell'esofago. Neoplasie occulte in tali sedi (più spesso il carcinoma del
rinofaringe) si manifestano qualche volta inizialmente con dolore all'orecchio. È
comune la comparsa di otalgia dopo una tonsillectomia.

La terapia implica l'identificazione della causa del dolore e l'impiego di una


terapia appropriata (v. Cap. 83 e 84).

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Orecchio esterno

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

83. ORECCHIO ESTERNO

OSTRUZIONI

Il cerume può ostruire il condotto e causare prurito, dolore e una temporanea


ipoacusia di trasmissione. Esso può essere rimosso mediante lavaggio, ma la
rimozione del cerume dal condotto uditivo con un uncino smusso o con un
aspiratore auricolare è più rapida, generalmente meno indaginosa e più comoda
per il paziente. Il lavaggio è controindicato in caso di anamnesi positiva per
otorrea o perforazione della membrana timpanica. L'acqua entrando nell'orecchio
medio attraverso un'eventuale perforazione della membrana timpanica può
riacutizzare un'otite media cronica. I solventi del cerume non sono consigliati
poiché non sciolgono il tappo e frequentemente causano macerazioni della cute
del condotto e reazioni allergiche.

I bambini introducono ogni tipo di oggetto nel condotto, soprattutto perle, chicchi
di riso o fagioli. Un corpo estraneo nel condotto uditivo esterno viene rimosso
più facilmente utilizzando un uncino con punta smussa. Le pinze tendono a
spingere più in profondità nel condotto gli oggetti a superficie liscia. Un corpo
estraneo localizzato medialmente all'istmo del condotto uditivo esterno,
difficilmente può essere rimosso senza danneggiare la membrana timpanica e la
catena degli ossicini. Le perle metalliche e di vetro possono in alcuni casi essere
rimosse con il lavaggio, mentre un corpo estraneo igroscopico (p. es., un fagiolo)
si rigonfia con l'aggiunta di acqua complicando ulteriormente la sua rimozione.
L'anestesia generale va riservata al caso di bambini non collaboranti o quando
un problema meccanico potrebbe rendere difficile la rimozione e causare un
danno alla membrana timpanica o alla catena degli ossicini.

La penetrazione di insetti nel condotto uditivo esterno è più fastidiosa se questi


sono vivi. Il riempimento del condotto con olio minerale uccide l'insetto dando un
immediato sollievo e facilita la sua rimozione con le pinze.

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Orecchio esterno

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

83. ORECCHIO ESTERNO

OTITE ESTERNA

Infezione del condotto uditivo esterno.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e segni
Terapia

L'otite esterna può essere localizzata (foruncolo) o diffusa interessando l'intero


condotto (otite esterna diffusa o generalizzata). Essa è più comune durante la
stagione estiva balneare perciò spesso viene usato il termine di orecchio del
nuotatore.

Eziologia

L'otite esterna generalizzata può essere causata da batteri gram - quali


Escherichia coli, Pseudomonas aeruginosa o Proteus vulgaris, dallo
Staphylococcus aureus oppure, raramente, dai funghi. I foruncoli sono
generalmente dovuti a S. aureus. Alcune persone (p. es., quelle con allergie,
psoriasi, eczema o dermatite seborroica) sono particolarmente predisposte a otiti
esterne. I fattori predisponenti sono: introduzione di acqua o varie sostanze
irritanti nel condotto uditivo (p. es., spray o tinture per capelli) e traumi provocati
durante la pulizia del condotto. Il condotto uditivo si ripulisce autonomamente
attraverso un movimento migratorio verso l'esterno dell'epitelio desquamato,
simile a un nastro trasportatore, che va dalla membrana timpanica all'esterno. I
tentativi del paziente di pulire il condotto con il cotton fioc impediscono i naturali
meccanismi di pulizia, favorendo l'accumulo di detriti spingendoli in direzione
opposta al movimento di desquamazione dell'epitelio. Detriti e cerume tendono a
trattenere l'acqua penetrata nel condotto; la risultante macerazione della cute
favorisce l'invasione dai batteri patogeni.

Sintomi e segni

I pazienti con otite esterna diffusa avvertono prurito, dolore e presentano una
secrezione fetida associata a ipoacusia se il condotto è gonfio o pieno di detriti
purulenti. L'otite esterna si differenzia dall'otite media per la dolorabilità alla
trazione del padiglione e alla pressione sul trago. La cute del condotto uditivo
esterno è arrossata, tumefatta e ricoperta da detriti purulenti.

I foruncoli causano forte dolore e, quando si drenano spontaneamente, si ha una


breve otorrea purulenta mista a sangue.

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Orecchio esterno

Terapia

L'orecchio del nuotatore può essere spesso prevenuto irrigando le orecchie con
una mistura al 1:1 di alcol rubefacente o acido acetico immediatamente dopo il
bagno. L'alcol aiuta a rimuovere l'acqua mentre l'acido acetico altera il pH del
condotto. Raramente è necessaria una terapia antibiotica sistemica, a meno che
non si verifichi una cellulite diffusa o altri segni di infezione che si propagano oltre
la cute del condotto.

Nell'otite esterna diffusa, sono efficaci antibiotici e corticosteroidi per uso


topico. Dapprima devono essere delicatamente rimossi dal condotto uditivo i
detriti infetti mediante aspirazione o stuello. Una soluzione contenente neomicina
solfato (0,5%) e polimixina B solfato 10000 U/ml è efficace contro i comuni batteri
gram -. L'aggiunta di un corticosteroide topico, quale l'idrocortisone all'1%, riduce
l'edema e permette all'antibiotico di penetrare in profondità nel condotto; vengono
instillate 5 gocce tid per 7 gg. L'otite esterna risponde anche all'alterazione del
pH del condotto uditivo esterno mediante applicazione

locale di acido acetico 2%, 5 gocce tid per 7 gg; l'aggiunta di idrocortisone all'1%
riduce l'edema e aumenta l'efficacia dell'acido acetico. Un analgesico, quale la
codeina 30 mg PO q 4 h, è generalmente necessario durante le prime 24-48 h.
Se è presente una cellulite che si estende oltre il condotto, è indicato l'uso di
penicillina V 500 mg PO q 6 h per 7 gg. Se il paziente è allergico alla penicillina,
può essere impiegata l'eritromicina alle stesse dosi.

I foruncoli devono essere lasciati drenare spontaneamente, poiché l'incisione può


causare una pericondrite diffusa del padiglione. Sono impiegati anche gli
antibiotici antistafilococcici orali. Gli antibiotici per uso topico sono inefficaci. Gli
analgesici quali la codeina 30 mg PO q 4 h sono necessari per alleviare il dolore.
Anche il calore secco è utile nell'alleviare il dolore e accelera la risoluzione.

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Orecchio esterno

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

83. ORECCHIO ESTERNO

PERICONDRITE

Infezione del pericondrio del padiglione.

Sommario:

Introduzione
Terapia

Lesioni traumatiche, punture di insetti e incisione di infezioni superficiali del


padiglione possono dare inizio a una pericondrite, nel quale il pus si accumula fra
la cartilagine e il pericondrio. L'apporto sanguigno alla cartilagine è fornito dal
pericondrio, quindi se il pericondrio è separato da entrambi i lati dalla cartilagine,
la necrosi avascolare che ne risulta provoca una deformazione del padiglione.
Anche la necrosi settica gioca un ruolo importante. La pericondrite tende a
essere torpida, duratura e destruente. Essa è in genere causata da un batterio
gram -.

Terapia

Si usa eseguire un'incisione ampia con drenaggio in aspirazione per facilitare


l'apporto di sangue alla cartilagine. È indicata una terapia antibiotica sistemica
che deve essere guidata dalle colture e dagli antibiogrammi; spesso è necessaria
la terapia EV con un antibiotico aminoglicosidico e una penicillina sintetica.

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Orecchio esterno

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7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


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83. ORECCHIO ESTERNO

DERMATITE ECZEMATOSA DELL'ORECCHIO ESTERNO

Infiammazione della cute del padiglione o del condotto.

Sommario:

Introduzione
Terapia

L'eczema, caratterizzato da prurito, arrossamento, secrezione, desquamazione e


spesso fissurazione, che provoca infezione secondaria, interessa
frequentemente il padiglione e il condotto uditivo esterno. Le recidive sono
frequenti.

Terapia

Si applica al bisogno una soluzione diluita di acetato di alluminio (soluzione di


Burow). Prurito e infiammazione possono essere diminuiti con corticosteroidi
topici. Raramente è necessario ricorrere a una terapia antibiotica topica, come
precedentemente descritto per le otiti esterne diffuse. Un'infezione sottostante
dell'orecchio medio, se presente, deve essere controllata con la medicazione e
l'uso di antibiotici appropriati per via topica e sistemica.

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Orecchio esterno

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7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


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83. ORECCHIO ESTERNO

OTITE ESTERNA MALIGNA

Osteomielite dell'osso temporale da Pseudomonas.

Sommario:

Introduzione
Terapia

L'otite esterna maligna si osserva soprattutto nei pazienti diabetici anziani,


iniziando come un'otite esterna da Pseudomonas aeruginosa, ma si riscontra
anche in pazienti affetti da AIDS. È caratterizzata da intensa e persistente
otalgia, otorrea purulenta nauseabonda e comparsa di tessuto di granulazione
nel condotto uditivo esterno. Possono risultare gradi diversi di ipoacusia di
trasmissione. Spesso, nei casi gravi si verifica la paralisi del nervo facciale. Una
TC dell'osso temporale potrebbe evidenziare un aumento della radioopacità del
sistema delle cellule aeree e della radiotrasparenza dell'orecchio medio
(demineralizzazione) in alcune zone. La biopsia del condotto uditivo esterno è
necessaria per differenziare il tessuto di granulazione, tipico per questa
condizione, da una neoplasia maligna. L'osteomielite si diffonde verso la base del
cranio e potrebbe oltrepassare la linea mediana.

Terapia

La terapia chirurgica di solito non è né necessaria né indispensabile. Un buon


controllo del diabete e una terapia prolungata EV (6 sett.) con un fluorochinolone
o con un'associazione di un aminoglicoside con una penicillina semisintetica
porta alla completa risoluzione della maggior parte dei casi. Una terapia più
prolungata è necessaria per un interessamento osseo esteso.

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Orecchio esterno

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83. ORECCHIO ESTERNO

TRAUMI

Ematoma: un ematoma sub-pericondrale può derivare da un trauma violento del


padiglione. Quando si forma una raccolta ematica fra il pericondrio e la
cartilagine, l'orecchio esterno diventa una massa deforme di colorito rosso
porpora. Poiché il pericondrio fornisce il sangue alla cartilagine si può verificare
necrosi avascolare di quest'ultima. L'"orecchio a cavolfiore" caratteristico dei
lottatori e dei pugili è la conseguenza di un ematoma organizzato e calcificato. La
terapia consiste nell'asportazione del coagulo mediante un'incisione e
riavvicinando la cute e il pericondrio alla cartilagine mediante drenaggio in
aspirazione per tenere la cartilagine stretta al pericondrio che le assicura
l'apporto di sangue.

Lacerazioni: in caso di lacerazioni del padiglione che penetrano nella cartilagine


e nella cute di entrambi i lati è necessario suturare i margini cutanei, sorreggere
la cartilagine esternamente con cotone impregnato di benzoino e applicare un
bendaggio protettivo. Le suture non devono estendersi alla cartilagine. Si
somministra la penicillina orale V 250 mg qid, in particolare se ci sono segni di
contaminazione.

Fratture: un colpo violento alla mandibola può essere trasmesso alla parete
anteriore del condotto uditivo esterno (parete posteriore della fossa glenoidea). I
frammenti lussati della frattura della parete anteriore del condotto possono
causare stenosi di quest'ultimo e vanno ridotti o asportati in anestesia generale.

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Orecchio esterno

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83. ORECCHIO ESTERNO

TUMORI

Cisti sebacee, osteomi e cheloidi possono formarsi e occludere il condotto


uditivo esterno, provocando ritenzione di cerume e una ipoacusia trasmissiva.
L'escissione è il trattamento di scelta.

I ceruminomi si originano nel terzo esterno del condotto uditivo. Sebbene


appaiano benigni all'esame istologico, si comportano come forme maligne; è
quindi necessaria un'exeresi ampia.

Frequentemente, nel padiglione, in seguito a ripetute esposizioni al sole, si


sviluppano carcinomi a cellule basali e carcinomi epidermoidali. Le lesioni
iniziali possono essere trattate con successo mediante cauterizzazione e
curettage o con radioterapia. Lesioni in stadio più avanzato che colpiscono la
cartilagine richiedono un'exeresi chirurgica cuneiforme oppure più ampia
dell'orecchio esterno. L'invasione della cartilagine rende meno efficace la
radioterapia e la terapia chirurgica l'intervento di scelta. Anche i carcinomi
basocellulari e epidermoidali possono insorgere nel condotto uditivo esterno o
invaderlo secondariamente. La persistente infiammazione nell'otite media cronica
può predisporre all'insorgere del carcinoma a cellule squamose. In questo caso è
indicata un'estesa resezione seguita da radioterapia. La resezione in blocco del
condotto uditivo esterno, con preservazione del nervo facciale, è indicata qualora
le lesioni siano limitate al condotto uditivo esterno e non abbiano invaso
l'orecchio medio.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

Un paziente affetto da una malattia dell'orecchio medio può accusare uno o più
dei seguenti disturbi: un senso di pienezza o di pressione nell'orecchio; dolore
costante o intermittente, lieve o lancinante; otorrea; ipoacusia; acufene e
vertigine. Nell'otite media acuta, sono comuni anche sintomi sistemici (p. es.,
febbre). I sintomi possono iniziare con una sensazione di pienezza e poi
progredire in maniera diversa. I lattanti e i bambini in particolare, possono essere
febbrili e presentare altre manifestazioni sistemiche rilevanti (p. es., anoressia,
vomito, diarrea e letargia.).

I sintomi possono essere provocati da infezioni, traumi e alterazioni dei valori di


pressione secondari a ostruzione della tromba di Eustachio. Per determinare la
causa il medico deve chiedere informazioni su altri sintomi associati comparsi
precedentemente (p. es., rinorrea, ostruzione nasale, mal di gola, IRS,
manifestazioni allergiche, mal di testa e sintomi sistemici). L'aspetto del condotto
uditivo esterno e della membrana timpanica (v. Fig. 84-1) spesso suggeriscono la
diagnosi. Il naso, il rinofaringe e l'orofaringe devono essere esaminati per rilevare
eventuali segni di infezione e allergia e per rilevare una patologia sottostante
(p. es., una massa nel rinofaringe).

La funzionalità dell'orecchio medio deve essere valutata con l'otoscopia


pneumatica, con i test di Weber e Rinne, con la timpanometria e con gli altri
esami audiologici (v. Cap. 82).

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

TRAUMI

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

La membrana timpanica può essere perforata e penetrata da oggetti introdotti nel


condotto uditivo esterno volontariamente (p. es., cotton fioc) o entrati in esso
accidentalmente (p. es., ramoscelli, matite e scorie metalliche roventi). Un
improvviso aumento della pressione (come nel caso di un'esplosione, di uno
schiaffo o nel caso di un incidente di nuoto o di tuffo) o un'improvvisa pressione
negativa (come nel caso di una forte suzione applicata al condotto uditivo
esterno) possono perforare la membrana timpanica. La penetrazione di oggetti
attraverso la membrana timpanica può causare una lussazione della catena degli
ossicini, la frattura della platina della staffa, spostamenti di frammenti degli
ossicini, la formazione di una fistola perilinfatica dalla finestra ovale o da quella
rotonda o una lesione del nervo facciale.

Sintomi e segni

La perforazione traumatica della membrana timpanica da trauma provoca un


improvviso dolore acuto seguito da otorragia. Possono esserci ipoacusia e
acufene. L'ipoacusia è più grave se la catena degli ossicini si interrompe o se si
danneggia l'orecchio interno. La vertigine suggerisce una lesione dell'orecchio
interno. L'otorrea purulenta può iniziare dopo 24-48 h, in particolare se penetra
dell'acqua nell'orecchio medio.

Terapia

Molte perforazioni possono essere monitorate senza che si renda necessaria una
terapia medica. Qualora sia presente l'infezione o si ritiene probabile che lo sia,
la penicillina V orale 250 mg q 6 h deve essere somministrata per 7 giorni. Per
esaminare l'orecchio occorre una tecnica asettica. Se possibile, in anestesia
locale e controllo microscopico, i lembi lussati della membrana timpanica
possono essere riportati in sede per facilitare la guarigione. L'orecchio va tenuto
asciutto. In caso di infezione, può essere impiegata una medicazione topica con
acido acetico al 2% (5 gocce tid), tale farmaco comunque non va mai utilizzato a
scopo profilattico. È abituale la chiusura spontanea della perforazione, ma
qualora non si verifichi entro 2 mesi è indicata una miringoplastica. Qualora
persista una ipoacusia trasmissiva, il che suggerisce una discontinuità della
catena ossiculare, l'orecchio medio deve essere sottoposto a esplorazione
chirurgica e ricostruito. Una ipoacusia neurosensoriale o una vertigine che
persiste per alcune ore o più dopo un trauma, può essere causata da una
commozione dell'orecchio interno, ma può anche indicare la penetrazione di un

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Membrana timpanica e orecchio medio

corpo estraneo nell'orecchio interno e richiede una timpanotomia esplorativa per


valutare e riparare il danno il più precocemente possibile.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

OTITE MEDIA BAROTRAUMATICA

(Aerotite media)

Lesione dell'orecchio medio dovuta a variazioni della pressione atmosferica.

Durante un improvviso aumento della pressione atmosferica, come nel caso di


un'immersione subacquea o durante le fasi di atterraggio di un aeroplano (v.
Cap. 283 e 285), l'aria deve passare nell'orecchio medio attraverso il rinofaringe
e la tromba di Eustachio per mantenere la stessa pressione in entrambi i lati della
membrana timpanica. Se l'apertura della tuba di Eustachio non si verifica, come
nel caso di IRS o di una rinofaringite allergica, la pressione nell'orecchio medio
sarà minore della pressione atmosferica provocando una retrazione della
membrana timpanica. La trasudazione dai vasi della lamina propria della mucosa
dell'orecchio medio, determina la formazione di un versamento nell'orecchio
medio stesso. Se il gradiente di pressione aumenta, si possono formare, nella
mucosa dell'orecchio medio e nella membrana timpanica, un'ecchimosi e
ematomi subepiteliali. Gradienti pressori molto ampi possono provocare
emorragie nell'orecchio medio e rotture della membrana timpanica. Può anche
verificarsi la formazione di una fistola perilinfatica attraverso la finestra ovale o
quella rotonda. Una differenza pressoria generalmente provoca forte dolore e
ipoacusia di trasmissione. Un'ipoacusia neurosensoriale o la comparsa di
vertigini durante un atterraggio, suggeriscono la possibilità di una fistola
perilinfatica; gli stessi sintomi durante la fase di risalita da un'immersione
subacquea suggeriscono la formazione di bolle nell'orecchio interno.

Agli individui con infezioni acute delle vie aeree superiori o con reazioni allergiche
delle prime vie respiratorie in corso si deve consigliare di evitare voli in aereo o
immersioni subacquee. Tuttavia, se queste attività vengono intraprese è bene
applicare a scopo profilattico per via topica un vasocostrittore nasale, quale la
fenilefrina da 0,25% a 1,0%, da 30 a 60 min prima della discesa.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

MIRINGITE INFETTIVA

(Miringite bollosa)

Processo infiammatorio a carico della membrana timpanica, secondario a


infezioni batteriche o virali.

Sommario:

Introduzione
Terapia

Flitteni emorragiche compaiono sulla membrana timpanica durante le infezioni


virali o durante le infezioni batteriche acute (in particolare da Streptococcus
[Diplococcus] pneumoniae) oppure otiti medie da micoplasmi. Il dolore compare
improvvisamente e persiste per 24-48 h. L'ipoacusia e la febbre indicano un'otite
media acuta.

Terapia

Poiché è difficile distinguere una forma di otite virale da una batterica o


micoplasmica, la terapia consiste nella somministrazione di antibiotici come nel
caso dell'otite media acuta. Può ottenersi sollievo del dolore con la rottura delle
bolle mediante miringotomia oppure somministrando antidolorifici, come la
codeina da 30 a 60 mg PO q 4 h, al bisogno.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

OTITE MEDIA ACUTA

Infezione batterica o virale a carico dell'orecchio medio, generalmente


secondaria a IRS.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi, segni e complicanze
Diagnosi e terapia

Sebbene l'otite media acuta può verificarsi a qualunque età, è più frequente nei
bambini piccoli, in particolare di età tra i 3 mesi e i 3 anni. I microrganismi
possono migrare dal rinofaringe all'orecchio medio attraverso la mucosa della
tuba di Eustachio o propagandosi attraverso la lamina propria, sotto forma di
fenomeni cellulitici e tromboflebitici diffusi. L'esposizione a fumo passivo è
considerata un fattore di rischio.

Eziologia

Nei neonati, i bacilli enterici gram -, in particolare Escherichia coli e


Staphylococcus aureus sono causa di otite media suppurata. Dopo il periodo
neonatale, l'E. coli raramente causa otite media acuta. Nei lattanti più grandi e
nei bambini di età inferiore ai 14 anni, i microrganismi responsabili di tali infezioni
sono: Streptococcus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Streptococchi b-
emolitici del gruppo A, Moraxella (Branhamella) catarrhalis e S. aureus. Le otiti
virali sono in genere complicate dalla sovrapposizione secondaria di uno di questi
batteri. Nei soggetti con meno di 14 anni, i microrganismi in causa sono lo S.
pneumoniae, gli streptococchi b-emolitici del gruppo A e lo S. aureus. H.
influenzae è meno comune. La frequenza relativa dei microrganismi identificati
quali responsabili dell'otite media acuta varia a seconda del tipo di batterio che in
quel momento è soggetto a diffusione epidemica nella comunità. La frequenza
dell'otite media causata dallo S. pneumoniae che presenta resistenza a più
farmaci è aumentata in molte comunità. La Klebsiella pneumoniae e Bacteroides
causano raramente otite media acuta.

Sintomi, segni e complicanze

Il primo disturbo generalmente è una persistente e forte otalgia. Può essere


presente ipoacusia. Nei bambini si possono osservare febbre (fino a 40,5°C [105°
F]), nausea, vomito e diarrea. La membrana timpanica si presenta iperemica ed
estroflessa; i reperi timpanici diventano indistinguibili. Il triangolo luminoso
diviene frammentato o scompare del tutto. La perforazione spontanea della
membrana timpanica può essere accompagnata da otorrea, inizialmente
ematica, quindi siero-ematica e infine purulenta.

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Membrana timpanica e orecchio medio

Le complicanze gravi comprendono: mastoidite acuta, petrosite, labirintite,


paralisi del facciale, ipoacusia trasmissiva e neurosensoriale, ascesso epidurale,
meningite (la complicanza intracranica più comune), ascesso encefalico,
trombosi del seno laterale, empiema sottodurale e idrocefalo otitico. I sintomi che
precedono la comparsa di un'imminente complicanza sono: la cefalea, l'ipoacusia
improvvisa e grave, vertigini, brividi e febbre.

Diagnosi e terapia

La diagnosi generalmente viene posta sulla base dei rilievi clinici. L'essudato
ottenuto in seguito a miringotomia e quello di un'otorrea spontanea devono
essere sottoposti a esame batteriologico. Anche le colture delle secrezioni
rinofaringee possono essere utili, ma non sempre danno indicazioni sul vero
agente responsabile.

La terapia antibiotica è generalmente indicata per alleviare i sintomi, affrettare la


risoluzione dell'infezione e ridurre tanto il rischio di complicanze infettive
labirintiche e intracraniche quanto il danno della funzione uditiva dell'orecchio
medio.

La penicillina V 250 mg PO q 6 h per 12 gg è il farmaco di scelta in pazienti di età


> 14 anni. L'amoxicillina, 35-70 mg/kg/die PO in tre dosi uguali q 8 h per 7-12 gg,
è preferibile per i pazienti < 14 anni a causa della frequenza delle infezioni da H.
influenzae. Il trattamento deve continuare per 12-14 gg, per assicurare la
risoluzione e prevenire le sequele. La terapia successiva dipende dai risultati
delle colture, dalla sensibilità alla terapia e dal decorso clinico. In caso di allergia
alla penicillina si può somministrare eritromicina 250 mg PO q 6 h per bambini
più grandi e gli adulti; in caso di bambini < 14 anni si possono somministrare
associazioni di eritromicina 30-50 mg/kg/die PO e sulfisossazolo 150 mg/kg/ die
PO entrambi in dosi uguali refratte q 6 h per 12-14 gg. I sulfamidici sono
controindicati in bambini < 2 mesi di età. In alternativa si può utilizzare
l'associazione di trimetoprim e sulfametossazolo (TMP/SMX): nei lattanti > 2 mesi
e nei bambini: 8 mg/kg/die di TMP e 40 mg/kg/die di SMX frazionate in 2 dosi q
12 h per 10 gg e negli adulti di 160 mg di TMP e 800 mg di SMX q 12 h per
12 gg. Nei bambini un'alternativa è la somministrazione di una singola dose IM di
ceftriaxone (massimo 50 mg/kg).

Nei casi resistenti, può essere utilizzata una cefalosporina per 12 gg, quale il
cefaclor (nei bambini 40 mg/kg/die somministrate q 8 h, negli adulti 250 mg q
8 h), cefuroxime (bambini < 2 anni: 125 mg q 12 h; nei bambini tra i 2 e i 12 anni:
250 mg q 12 h; negli adulti, 500 mg q 12 h), amoxicillina-clavulanato (nei
bambini, 40 mg/kg/die divisi in tre dosi), claritromicina (nei bambini, 15 mg/kg/die
frazionati in due dosi) o cefixime (nei bambini: 8 mg/kg/die di solito frazionati in
2 dosi; negli adulti 200 mg q 12 h).

Per migliorare la funzionalità della tuba di Eustachio, vasocostrittori per uso


topico, come la fenilefrina 0,25% 3 gocce q 3 h, possono essere instillati in
ciascuna cavità nasale con il paziente supino e con il collo esteso. Tale terapia
non deve durare più di 3-4 gg. Possono essere utili anche amine
simpaticomimetiche sistemiche, quali efedrina solfato, pseudoefedrina o
fenilpropanolamina 30 mg PO (negli adulti) q 4-6 h per 7-10 gg, ma in genere non
si raccomandano per i bambini. Qualora l'allergia fosse considerata un fattore
importante, gli antiistaminici, quali la clorfeniramina 4 mg (negli adulti) PO q 4-6 h
per 7-10 gg, possono migliorare la funzionalità della tuba di Eustachio, ma non
sono indicati nei soggetti non allergici.

Una miringotomia deve essere considerata se la membrana timpanica è rigonfia


oppure se dolore, febbre, vomito e diarrea sono gravi e persistenti. L'udito del
paziente, la timpanometria, l'aspetto e il movimento della membrana timpanica
devono essere controllati fino alla completa risoluzione.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

OTITE MEDIA SECRETIVA

(Otite media sierosa)

Versamento nell'orecchio medio che compare di norma in seguito a un'otite


media acuta non completamente risolta o all'ostruzione della tuba di Eustachio.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

L'otite media secretiva è comune nei bambini. Il versamento può essere sterile,
ma generalmente contiene batteri patogeni. L'ostruzione della tuba di Eustachio
può essere dovuta a processi infiammatori del rinofaringe, a manifestazioni
allergiche, a ipertrofia delle adenoidi oppure a tumori benigni o maligni.

L'orecchio medio normalmente è ventilato 3-4 volte/min, poiché la tuba di


Eustachio si apre durante la deglutizione e l'O2 viene assorbito dal sangue dei
vasi della mucosa dell'orecchio medio. Se si riduce l'apertura della tuba di
Eustachio, all'interno dell'orecchio medio si sviluppa una pressione relativa
negativa.

Sintomi e segni

Inizialmente, la membrana timpanica si retrae lievemente, con alterazioni del


triangolo luminoso e accentuazione dei punti di repere. In seguito, nell'orecchio
medio si forma un trasudato a partenza dai vasi sanguigni della mucosa,
riconoscibile per il colore ambra o grigio che assume la membrana timpanica e
per l'immobilità della stessa. Attraverso la membrana timpanica è possibile
osservare un livello idroaereo o bolle d'aria. È presente un'ipoacusia trasmissiva.
Mediante la timpanometria si può dimostrare la massima compliance
dell'orecchio medio applicando pressioni negative nel condotto uditivo esterno.

Terapia

Considerato il ruolo dei batteri patogeni nel versamento endotimpanico, una


terapia antibiotica come nell'otite media acuta (v. sopra), ha in genere effetti
favorevoli ed è il primo passo nella terapia. La terapia antibiotica riduce
l'ostruzione della tuba di Eustachio dovuta all'infezione batterica e sterilizza
l'orecchio medio.

Le amine simpaticomimetiche sistemiche quali l'efedrina solfato, la


pseudoefedrina o la fenilpropanolamina, 30 mg PO tid (negli adulti), possono

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Membrana timpanica e orecchio medio

favorire l'apertura della tuba di Eustachio, grazie al loro effetto vasocostrittore. Gli
antiistaminici, quali la loratadina 10 mg/die (negli adulti e nei bambini ≥ 12 anni)
PO, possono ridurre l'ostruzione della tuba di Eustachio negli individui allergici.
Una miringotomia può essere necessaria per aspirare il liquido trasudato e
inserire un tubo per timpanostomia che permetta la ventilazione dell'orecchio
medio e migliori temporaneamente l'ostruzione della tuba di Eustachio,
indipendentemente dalla causa che l'ha determinata. In qualche caso l'orecchio
medio può essere temporaneamente ventilato mediante la manovra di Valsalva o
la metodica di Politzer.

È necessaria la correzione di ogni condizione predisponente nel rinofaringe. Nei


bambini possono essere necessarie l'adenoidectomia, la rimozione di aggregati
linfoidi dall'ostio rinofaringeo della tuba di Eustachio e dalla fossa di Rosenmüller,
così come la rimozione della massa di tessuto adenoideo centrale, per evitare le
otiti medie secretive ricorrenti persistenti. Devono essere somministrati antibiotici
per curare le riniti, le sinusiti e le rinofaringiti batteriche. In alcuni casi è utile una
ricerca immunologica. Ogni allergene evidenziato va allontanato dall'ambiente
del paziente oppure si deve tentare un'immunoterapia specifica.

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

MASTOIDITE ACUTA

Infezione batterica del processo mastoideo che determina la coalescenza delle


cellule mastoidee.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

Nell'otite media acuta purulenta, l'infezione si estende all'antro e alle cellule


mastoidee, ma la sua progressione e la distruzione della porzione ossea del
processo mastoideo possono essere interrotte con un'appropriata terapia
antibiotica. I batteri responsabili sono gli stessi che causano l'otite media acuta
(v. sopra). La mastoidite streptococcica è caratteristicamente preceduta dalla
perforazione della membrana timpanica e da otorrea abbondante. La mastoidite
pneumococcica è probabilmente meno sintomatica ma ugualmente destruente;
l'avanzata coalescenza delle cellule mastoidee può precedere la perforazione
della membrana timpanica.

Sintomi e segni

La mastoidite acuta diventa clinicamente evidente da pochi giorni a ≥ 2 sett.


dopo l'insorgenza di un'iniziale otite media acuta non trattata, al momento in cui
si verifica la distruzione della corticale del processo mastoideo. Dopo la
distruzione della corticale laterale si può formare un ascesso sottoperiosteo
retroauricolare. Sul processo mastoideo compaiono iperemia, tumefazione,
dolorabilità e fluttuazione; il padiglione è spostato lateralmente e inferiormente.
Generalmente si verifica la riacutizzazione del dolore auricolare, della febbre e
dell'otorrea. Il dolore tende a essere lancinante e persistente; è comune una
secrezione abbondante e cremosa.

Nell'otite media acuta, le cellule mastoidee sono ripiene di liquido e le


scansioni TC possono mostrare una densità simile ai tessuti molli, dovuta alla
presenza di pus, all'edema della mucosa e al tessuto di granulazione nelle cellule
stesse. Nella mastoidite coalescente, i gruppi di cellule diventano indistinguibili.
Possono non essere più visibili i singoli setti poiché le cellule sono riempite da
liquido e tessuto reattivo.

Terapia

L'antibiotico iniziale somministrato deve fornire una copertura per i comuni agenti
patogeni ed essere resistente alle b-lattamasi. Il passaggio dell'antibiotico nel
SNC è auspicabile qualora si prospetti il rischio di una complicanza. Si preleva un
campione di essudato per la coltura e l'antibiogramma. La terapia EV successiva

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Membrana timpanica e orecchio medio

dipende dalle colture, dalla sensibilità e dal decorso clinico. La terapia antibiotica
va continuata per almeno 2 sett.

Un ascesso sottoperiosteo richiede l'apertura e lo svuotamento delle cellule


mastoidee (mastoidectomia).

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

OTITE MEDIA CRONICA

Perforazione permanente della membrana timpanica con o senza alterazioni


permanenti dell'orecchio medio.

Sommario:

Introduzione
Terapia

L'otite media cronica può derivare da un'otite media acuta, dall'ostruzione della
tuba di Eustachio, da un trauma meccanico, da ustioni termiche o chimiche o da
lesioni da esplosioni. Essa può essere suddivisa in due grandi categorie, a
seconda del tipo di perforazione: (1) quelle causate dalle perforazioni centrali
della pars tensa e (2) quelle causate dalle più pericolose perforazioni atticali della
pars flaccida o dalle perforazioni marginali della pars tensa.

Nelle perforazioni centrali, rimane qualche frammento della membrana


timpanica fra il margine della perforazione e l'anulus timpanico (v. Fig. 84-2).
Queste perforazioni hanno come conseguenza una perdita uditiva di tipo
trasmissivo. Esacerbazioni dell'otite media cronica possono verificarsi in seguito
a una IRS o all'entrata di acqua nell'orecchio medio durante il bagno o il nuoto.
Esse sono spesso causate da bacilli gram - o dallo Staphylococcus aureus e si
manifestano, in assenza di dolore, con otorrea purulenta, che può essere di
odore fetido. Esacerbazioni persistenti possono dare origine a polipi auricolari
(tessuto di granulazione che si esteriorizza dall'orecchio medio attraverso la
perforazione nel condotto) e modificazioni distruttive dell'orecchio medio quale la
necrosi del processo lungo dell'incudine. I polipi auricolari sono un segno grave,
quasi invariabilmente associati a colesteatoma, un tumore benigno.

Le perforazioni atticali della pars flaccida espongono l'epitimpano (v. Fig. 84-2).
Le perforazioni marginali generalmente si verificano nella porzione postero-
superiore della pars tensa e in questo caso non vi è residuo timpanico tra i
margini della perforazione e il solco osseo timpanico (v. Fig. 84-2). Le
perforazioni marginali originano da un'otite media acuta necrotizzante, che
distrugge vaste aree della membrana timpanica, compreso l'anulus timpanico e
la mucosa dell'orecchio medio. Queste perforazioni, così come avviene nelle
perforazioni centrali, possono causare un'ipoacusia trasmissiva ed
esacerbazione dell'otorrea. Complicanze quali labirintite, paralisi del nervo
facciale e ascesso intracranico sono più frequenti in questi tipi di perforazioni
rispetto a quelle centrali.

Le perforazioni atticali e marginali sono frequentemente associate a


colesteatomi. Durante la guarigione dell'otite media acuta necrotizzante,
l'epitelio mucoso residuo e l'epitelio cheratinizzato stratificato del condotto uditivo
esterno migrano per coprire le aree scoperte. Una volta che l'epitelio
cheratinizzato stratificato si stabilisce nell'orecchio medio, comincia a
desquamarsi e ad accumularsi strato su strato con la conseguente formazione di
un colesteatoma. I colesteatomi possono anche derivare da iperplasia dello
strato basale dell'epitelio cheratinizzato stratificato della pars flaccida, dalla
progressiva retrazione della pars flaccida o della pars tensa e dalla metaplasia

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Membrana timpanica e orecchio medio

squamosa dell'orecchio medio dovuta a un'infezione di vecchia data. L'epitelio


desquamato si accumula in strati concentrici sempre più larghi e le collagenasi
dell'epitelio erodono l'osso adiacente.

I colesteatomi possono essere riconosciuti all'esame otoscopico per i detriti


bianchi presenti nell'orecchio medio e per la distruzione della parte ossea del
condotto adiacente alla perforazione. Una distruzione dell'osso dovuta a un
colesteatoma non sospetto può essere dimostrata con la TC. I colesteatomi sono
abitualmente associati a poliposi auricolare. Un colesteatoma, specialmente con
una perforazione atticale, aumenta notevolmente la probabilità di una grave
complicanza (p. es., labirintite purulenta, paralisi del nervo facciale e ascessi
intracranici).

Terapia

Nelle esacerbazioni di entrambi i tipi di otite media cronica, il condotto uditivo e


l'orecchio medio devono essere completamente puliti con aspirazione e con
batuffoli asciutti di cotone; quindi si deve instillare nell'orecchio una soluzione di
acido acetico 2% con idrocortisone 1%, 5-10 gocce tid per 7-10 gg.
Esacerbazioni gravi richiedono terapia sistemica con antibiotici a largo spettro
quale l'amoxicillina 250-500 mg PO q 8 h per 10 gg. Il trattamento successivo
dipende dalla coltura e dalla sensibilità dei microrganismi isolati e dalla risposta
clinica del paziente

Le lesioni dell'orecchio medio possono essere generalmente riparate. Un


intervento di timpanoplastica ripristina le due maggiori funzioni della membrana
timpanica: la protezione dal suono della finestra rotonda e il trasferimento della
pressione sonora attraverso la catena ossiculare alla finestra ovale e l'orecchio
interno. Se la catena degli ossicini è interrotta anche questa può essere corretta
durante la timpanoplastica. I pazienti che presentano perforazioni marginali o
dell'attico e colesteatomi devono essere sottoposti all'asportazione chirurgica del
colesteatoma. In presenza di colesteatoma la conservazione e la ricostruzione
della funzione dell'orecchio medio sono meno probabili.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

Otosclerosi

Malattia dell'osso della capsula otica e una causa comune di ipoacusia


progressiva di tipo trasmissivo in un adulto con una membrana timpanica
normale.

Istologicamente i focolai di otosclerosi sono irregolarmente distribuiti, cosparsi di


tessuto osseo immaturo neoformato e con numerosi canali vascolari. Questi
focolai si allargano e causano anchilosi della platina della staffa con conseguente
perdita uditiva di tipo trasmissivo. L'otosclerosi può anche produrre un'ipoacusia
sensoriale, particolarmente quando i focolai di otosclerosi sono adiacenti alla
scala media.

L'otosclerosi tende a essere ereditaria (verosimilmente autosomica dominante).


Circa il 10% degli adulti bianchi presenta focolai di otosclerosi, ma soltanto il 10%
circa delle persone colpite sviluppa una ipoacusia di trasmissione. L'otosclerosi
diviene clinicamente evidente in tarda gioventù o nei primi anni dell'età adulta
con perdita uditiva lentamente progressiva, asimmetrica. La fissazione della
staffa può progredire rapidamente durante la gravidanza.

Il trattamento comprende un tentativo con una protesi acustica o tecniche


microchirurgiche. Le seconde consistono nell'asportazione della staffa o di una
sua porzione e nella sua sostituzione con una protesi; nella maggior parte dei
casi, l'ipoacusia viene corretta.

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Membrana timpanica e orecchio medio

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84. MEMBRANA TIMPANICA E ORECCHIO MEDIO

NEOPLASIE

Raramente, il carcinoma a cellule squamose origina dall'orecchio medio. La


persistente otorrea dell'otite media cronica può essere un fattore predisponente.
Sono necessarie la terapia radiante e la resezione dell'osso temporale.

I paragangliomi non cromaffini (chemodectomi), si originano nell'osso


timpanico dai corpi glomici nel bulbo della giugulare (tumori del glomo giugulare)
o dalla parete mediale dell'orecchio medio (tumori del glomo timpanico). Questi
tumori provocano la formazione di una massa rossa pulsante nell'orecchio
medio. Il primo sintomo è spesso l'acufene sincrono con il polso. Si verifica
ipoacusia, seguita da vertigine. L'exeresi è il trattamento di scelta. Per tumori
troppo grandi per essere asportati, si procede alla palliazione con radioterapia.

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Orecchio interno

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7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


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85. ORECCHIO INTERNO

(V. anche Ipoacusia e Vertigine nel Cap. 82 e Deficit uditivi nei bambini nel
Cap. 260)

L'orecchio interno è costituito dalla porzione uditiva (coclea e nervo acustico) e


dalla porzione vestibolare (canali semicircolari, sacculo, utricolo, nervi vestibolari
superiori e inferiori).

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Orecchio interno

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7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


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85. ORECCHIO INTERNO

MALATTIA DI MÉNIÈRE

Malattia caratterizzata da ricorrenti e intense vertigini, da ipoacusia


neurosensoriale fluttuante, da acufeni, sensazione di pienezza auricolare
associati a dilatazione generalizzata del labirinto membranoso (idrope
endolinfatica).

Sommario:

Terapia

La causa della malattia di Ménière è sconosciuta e la fisiopatologia non è ben


chiara. Gli attacchi di vertigine compaiono improvvisamente, durano da poche
ore fino a 24 h e scompaiono gradualmente. Gli attacchi sono associati a nausea
e vomito. Il paziente può avere spesso una sensazione di pienezza o di
pressione nell'orecchio affetto. Nell'orecchio affetto l'udito tende a fluttuare ma
peggiora progressivamente con gli anni. L'acufene può essere costante o
intermittente e può essere più intenso prima, dopo o durante un attacco di
vertigine. Anche se generalmente la malattia di Ménière colpisce un solo
orecchio, nel 10-15% dei pazienti può essere bilaterale.

Nella sindrome di Lermoyez (una variante della malattia di Ménière) l'ipoacusia


e l'acufene precedono di mesi o di anni il primo attacco di vertigine e l'udito può
migliorare con la prima crisi vertiginosa.

Terapia

Il trattamento è empirico. Nei pazienti resi invalidi per i frequenti attacchi


vertiginosi, vengono effettuati differenti interventi chirurgici. La neurectomia
vestibolare migliora le vertigini e generalmente preserva l'udito. Una
labirintectomia può essere eseguita quando la vertigine sia sufficientemente
grave e l'udito gravemente scaduto.

Un sollievo sintomatico della vertigine può essere ottenuto con farmaci


anticolinergici (p. es., scopolamina orale e atropina tra i prodotti da banco,
scopolamina transdermica, glicopirrolato 1 o 2 mg PO bid o tid, proclorperazina
25 mg per via rettale q 12 h o 10 mg PO tid o qid) per minimizzare i sintomi GI
vago-mediati; gli antiistaminici (p. es., diphenhydramina, meclizina o cyclizina
50 mg PO o IM q 6 h) per sedare il sistema vestibolare; oppure barbiturici (p. es.,
pentobarbital 100 mg PO o IM q 8 h) per assicurare una sedazione generale. Il
diazepam 2-5 mg PO q 6-8 h è particolarmente efficace nell'alleviare lo stress
causato dalle intense vertigini, sedando il sistema vestibolare. La gentamicina
intratimpanica (labirintectomia chimica) con una serie di applicazioni si riserva a
pazienti selezionati. La dose tipica è > 1 ml (concentrazione 30 mg/ml, ottenuta
diluendo la preparazione disponibile in commercio di 40 mg/ml) introdotta
nell'orecchio medio mediante una miringotomia.

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Orecchio interno

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Orecchio interno

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85. ORECCHIO INTERNO

NEURONITE VESTIBOLARE

Malattia benigna caratterizzata da comparsa improvvisa di gravi vertigini,


persistenti all'inizio e parossistiche in seguito.

Sommario:

Terapia

La malattia è causata da una neuronite che interessa la branca vestibolare


dell'VIII nervo e che può essere di origine virale a causa della sua frequente
comparsa in forma epidemica, in particolare negli adolescenti e nei giovani adulti.

Il primo attacco di vertigine è grave, associato a nausea e vomito e dura per 7-


10 gg. Vi è nistagmo persistente dal lato del nervo affetto. Tale condizione è
autolimitante. Essa può verificarsi come episodio unico o sotto forma di diversi
attacchi per un periodo di 12-18 mesi, in cui essi diventano progressivamente
meno gravi e più brevi. Non si associano ipoacusia o acufene.

La valutazione diagnostica deve comprendere una valutazione audiologica,


un'elettronistagmografia con prova calorica e una RMN del capo con gadolinio,
ponendo particolare attenzione al condotto uditivo interno per escludere altre
possibilità diagnostiche come un tumore dell'angolo pontocerebellare e
emorragie o infarti del tronco encefalico.

Terapia

L'attacco acuto di vertigine può essere soppresso sintomatologicamente come


nella malattia di Ménière (v. sopra). In presenza di vomito prolungato possono
essere necessari la reintegrazione e il mantenimento dei liquidi e degli elettroliti
EV.

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Orecchio interno

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85. ORECCHIO INTERNO

VERTIGINE POSIZIONALE PAROSSISTICA BENIGNA

(Vertigine posizionale o posturale benigna)

Violenta vertigine della durata < 30 s indotta da alcune posizioni del capo.

Sommario:

Eziologia e sintomi
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Eziologia e sintomi

Sono state osservate masse granulari basofile nella cupola del canale
semicircolare posteriore. I depositi nella cupola (cupulolitiasi) possono essere
costituiti da carbonato di Ca proveniente dagli otoliti che sono cristalli di
carbonato di calcio normalmente immersi nel sacculo e nell'utricolo, parti
differenti dell'orecchio interno. I fattori eziologici responsabili sembrano essere
degenerazioni spontanee delle membrane otolitiche utricolari, traumi labirintici,
otiti medie, interventi chirurgici sull'orecchio e occlusione dell'arteria vestibolare
anteriore.

La vertigine posizionale parossistica benigna si verifica quando il paziente giace


su un orecchio o sull'altro o quando estende la testa all'indietro per guardare in
alto. È presente anche nistagmo, ma non vi sono associati ipoacusia o acufeni.
La vertigine posizionale parossistica benigna generalmente recede in diverse
settimane o mesi, ma può anche ripresentarsi dopo mesi o anni.

Diagnosi

Può essere eseguito un test provocativo del nistagmo posizionale. Il paziente


inizialmente si siede su un lettino da visita; quindi assume la posizione supina su
un fianco, rapidamente si mette in posizione supina con la testa pendente da
un'estremità del lettino. Dopo un periodo di latenza di diversi secondi, compare
un'intensa vertigine che generalmente dura 15-20 s ed è accompagnata da
nistagmo orizzontale-rotatorio. Se l'orecchio colpito è quello Sx, il nistagmo avrà
senso orario quando la testa si gira verso Sx; se l'orecchio colpito è il Dx, il
nistagmo sarà antiorario. Quando il paziente torna in ortostatismo, la risposta si
ripresenta, ma il nistagmo è rotatorio nella direzione opposta ed è più lieve. A
causa del fenomeno dell'abitudine, se il test viene ripetuto nell'immediato, la
risposta si riduce

Il nistagmo posizionale si può anche verificare nelle lesioni degli organi terminali
o del SNC. La latenza della risposta, il fenomeno dell'abitudine, la forte
sensazione soggettiva, la durata limitata e la direzione del nistagmo rotatorio
distinguono la vertigine posizionale parossistica benigna da una lesione del SNC.

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Orecchio interno

Nelle lesioni del SNC il nistagmo posizionale non ha un periodo di latenza, non
tende a ridursi, non provoca la forte sensazione soggettiva e può continuare fino
a che la posizione viene mantenuta. Il nistagmo dovuto a lesione del SNC può
essere verticale o variare di direzione e, se rotatorio, probabilmente risulta
invertito (cioè non nella direzione prevista).

La valutazione diagnostica comprende una valutazione audiologica,


l'elettronistagmografia con prova calorica e la RMN del capo con gadolinio, con
attenzione particolare per i condotti uditivi interni, per escludere altre condizioni
patologiche quali il neurinoma dell'acustico.

Terapia

Il paziente viene istruito in modo da evitare le posizioni che provocano la


vertigine. Se la vertigine parossistica posizionale benigna dura da un anno, può
in genere essere trattata mediante sezione del nervo del canale semicircolare
posteriore dell'orecchio affetto attraverso una timpanotomia. In alcuni casi tale
procedura può provocare una perdita uditiva.

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Orecchio interno

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85. ORECCHIO INTERNO

HERPES ZOSTER OTICUS

(Sindrome di Ramsay-Hunt, neuronite virale e ganglionite, herpes genicolato)

Invasione dei gangli del nervo acustico e del ganglio genicolato del nervo facciale
da parte del virus herpes zoster, con conseguente intensa otalgia, ipoacusia,
vertigine e paralisi del nervo facciale.

Sommario:

Introduzione
Terapia

Si possono osservare vescicole sul padiglione e nel condotto uditivo esterno


lungo il territorio di distribuzione della branca sensitiva del nervo facciale. Spesso
sono coinvolti altri nervi cranici ed è comune un certo grado di infiammazione
meningea. Possono essere presenti linfociti nel LCR, con frequente aumento del
contenuto proteico di quest'ultimo. In molti pazienti può essere riscontrata una
lieve encefalite generalizzata. Può esserci una perdita uditiva permanente oppure
un recupero parziale o completo. La vertigine dura da qualche giorno a diverse
settimane. La paralisi facciale può essere transitoria o permanente.

Terapia

Sebbene non ci sia una dimostrazione attendibile che i corticosteroidi, i farmaci


antivirali o la decompressione cambino la prognosi, essi sono gli unici trattamenti
possibili. La terapia con corticosteroidi è il trattamento di scelta e deve essere
iniziata prontamente: p. es., prednisone 40 mg/ die PO per 2 gg, quindi 30 mg/die
PO per 7-10 gg, seguito da una progressiva diminuzione della dose. L'acyclovir
1 g/die PO in 5 dosi frazionate per 10 gg può contribuire ad abbreviare il decorso
clinico. Il dolore può essere alleviato con codeina 30-60 mg PO q 3-4 h al
bisogno; la vertigine scompare con diazepam 2-5 mg PO q 4-6 h. La
decompressione del canale di Falloppio, indicata quando l'eccitabilità del nervo
diminuisce oppure quando l'elettroneurografia dimostra una riduzione del 90%,
occasionalmente migliora la paralisi facciale.

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Orecchio interno

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85. ORECCHIO INTERNO

LABIRINTITE PURULENTA

Invasione dell'orecchio interno da parte dei batteri.

Sommario:

Introduzione
Terapia

La labirintite purulenta (suppurativa) può far seguito a un'otite media acuta o a


una meningite purulenta. Nell'otite media acuta i microrganismi possono
penetrare nell'orecchio interno attraverso le finestre ovale e rotonda; nella
meningite purulenta, possono propagarsi attraverso l'acquedotto della coclea.
Una labirintite purulenta è spesso seguita da una meningite potendo i
microrganismi propagarsi allo spazio subaracnoideo attraverso l'acquedotto
cocleare.

La labirintite purulenta è caratterizzata da intensa vertigine e nistagmo. Essa


comporta sempre la perdita totale dell'udito e, nell'otite media cronica e nel
colesteatoma, è spesso seguita da paralisi del facciale.

Terapia

La terapia con antibiotici EV appropriati per la meningite è generalmente


sufficiente. Raramente è necessaria la labirintectomia o la mastoidectomia
radicale per drenare l'orecchio interno.

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Orecchio interno

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85. ORECCHIO INTERNO

PRESBIACUSIA

Ipoacusia neurosensoriale che si verifica in età avanzata e che può essere


influenzata da fattori genetici o acquisiti.

(V. anche Ipoacusia nel Cap. 82.)

La presbiacusia insorge dopo i 20 anni ma è generalmente significativa solo dopo


i 65. Gli uomini sono colpiti più frequentemente e più gravemente delle donne.
L'irrigidimento della membrana basilare e il deterioramento delle cellule ciliate
della stria vascolare, delle cellule gangliari e dei nuclei cocleari, possono avere
un ruolo importante nella patogenesi; la presbiacusia sembra inoltre essere
causata in parte dall'esposizione a rumori. Esso all'inizio interessa le frequenze
più alte (18-20 kHz) e gradualmente si estende alle frequenze inferiori;
generalmente comincia a interessare le frequenze da 4 a 8 kHz tra i 55 e i
65 anni, anche se può esserci una notevole variabilità. Alcuni soggetti, infatti,
sono gravemente deficitari all'età di 60 anni, mentre altri all'età di 90 anni sono
ancora essenzialmente sani. L'ipoacusia per le alte frequenze rende
particolarmente difficoltosa la discriminazione delle parole. Così, molte delle
persone affette da questo tipo di ipoacusia, presentano difficoltà di comprensione
durante la conversazione, specialmente in presenza di rumori di sottofondo e si
lamentano che i propri interlocutori bisbiglino.

L'apprendimento della lettura labiale, la rieducazione uditiva volta a ottenere il


massimo uso di ausili non uditivi e l'amplificazione con una protesi acustica sono
tutti elementi utili.

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Orecchio interno

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85. ORECCHIO INTERNO

OTOTOSSICITÀ INDOTTA DA FARMACI

Sommario:

Introduzione
Precauzioni

Gli antibiotici aminoglicosidici, i salicilati, il chinino e i suoi sostituti sintetici e i


diuretici, quali l'acido etacrinico e la furosemide, possono essere ototossici.
Sebbene questi farmaci possano colpire sia la porzione uditiva che quella
vestibolare dell'orecchio interno, essi sono particolarmente tossici per l'organo
del Corti (cocleotossici). Quasi tutti i farmaci ototossici vengono eliminati
attraverso i reni, per cui l'insufficienza renale predispone al raggiungimento dei
livelli tossici. I farmaci ototossici non devono essere prescritti nelle medicazioni
topiche dell'orecchio in caso di perforazione della membrana timpanica, poiché
gli agenti ototossici possono essere assorbiti nei liquidi dell'orecchio interno,
attraverso la membrana timpanica secondaria della finestra rotonda.

La streptomicina colpisce la porzione vestibolare dell'orecchio interno più


facilmente della porzione uditiva. Sebbene vertigini e difficoltà a mantenere
l'equilibrio tendono a essere temporanee e nel tempo compensate totalmente,
può persistere una grave perdita della sensibilità vestibolare, a volte permanente,
che può causare difficoltà nel camminare, soprattutto al buio e la sindrome di
Dandy (movimento dell'ambiente ad ogni passo). In circa il 4-15% dei pazienti
trattati con 1 g/die per > 1 sett., si verifica una notevole perdita dell'udito che
generalmente compare dopo un breve periodo di latenza (7-10 gg) e
gradualmente peggiora se si continua il trattamento. Può verificarsi sordità
completa e permanente (anacusia o cofosi).

La neomicina è l'antibiotico con il maggior effetto cocleotossico. Con forti dosi


somministrate PO o mediante irrigazione del colon per la sterilizzazione
intestinale, una buona parte del farmaco può essere assorbita e può ledere
l'udito, in particolare se sono presenti ulcere GI o altre lesioni della mucosa. La
neomicina non deve essere usata per l'irrigazione di ferite o per l'irrigazione
intrapleurica o intraperitoneale, poiché grandi quantità di essa possono essere
trattenute e assorbite con conseguente sordità. La kanamicina e l'amikacina
sono simili alla neomicina per quanto riguarda gli effetti cocleotossici.

La viomicina presenta una tossicità sia cocleare che vestibolare. La


vancomicina causa ipoacusia, specialmente in presenza di insufficienza renale.
La gentamicina e la tobramicina presentano tossicità vestibolare e cocleare.

L'acido etacrinico EV ha causato una profonda e permanente ipoacusia in


pazienti affetti da grave insufficienza renale a cui erano stati
contemporaneamente somministrati antibiotici aminoglicosidi. Similmente, la
somministrazione EV di furosemide ha causato un'ipoacusia temporanea o
permanente in pazienti con insufficienza renale o che avevano ricevuto
contemporaneamente antibiotici aminoglicosidi.

A dosi molto elevate, i salicilati provocano ipoacusia e acufeni che sono


generalmente reversibili. Il chinino e i suoi sostituiti sintetici possono provocare

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Orecchio interno

una perdita uditiva permanente.

Precauzioni

Gli antibiotici ototossici devono essere evitati in gravidanza. Le persone anziane


e i soggetti con ipoacusia preesistente non vanno trattate con farmaci ototossici
se sono disponibili altri farmaci efficaci. Se possibile, prima che venga iniziato il
trattamento con un farmaco ototossico (in particolare un antibiotico ototossico),
deve essere valutato l'udito per documentare un'eventuale ipoacusia
preesistente. L'udito va controllato con l'audiometria per tutto il tempo del
trattamento. Generalmente sono coinvolte prima le frequenze più alte e possono
manifestarsi acufeni acuti o vertigini; sebbene non rappresentino attendibili
segnali di preallarme. Se la funzione renale è alterata, le dosi dei farmaci
ototossici eliminati per via renale devono essere aggiustate in modo che i livelli
ematici non superino quelli terapeuticamente necessari. I livelli sierici del farmaco
(tanto quelli di picco che quelli minimi) devono essere controllati per assicurare
che adeguati livelli terapeutici vengano raggiunti, ma non superati. Infatti,
nonostante vi sia una certa variabilità soggettiva nella sensibilità al farmaco,
l'udito viene generalmente conservato se non si supera il livello ematico
consigliato.

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Orecchio interno

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85. ORECCHIO INTERNO

FRATTURE DELL'OSSO TEMPORALE

Sommario:

Introduzione
Terapia

L'ecchimosi della cute della regione retroauricolare (segno di Battle) suggerisce


una frattura dell'osso temporale. La comparsa di otorragia, in seguito a trauma
cranico, è fortemente suggestiva per una tale frattura. L'emorragia può essere
mediale rispetto a una membrana timpanica integra, oppure può originarsi
dall'orecchio medio attraverso una membrana timpanica lacerata oppure da una
linea di frattura nel condotto uditivo esterno. Un emotimpano rende la membrana
timpanica di colore blu-nero. L'otoliquorrea indica una comunicazione tra
orecchio medio e spazio subaracnoideo. Le fratture longitudinali, parallele alla
rocca petrosa nell'80% dei casi, si estendono attraverso l'orecchio medio e
provocano la rottura della membrana timpanica; tali fratture causano paralisi del
facciale nel 15% dei casi e un'ipoacusia neurosensoriale profonda nel 35% dei
casi. Il danno all'orecchio medio può comprendere anche la dislocazione della
catena degli ossicini. Le fratture trasverse (20% dei casi) attraversano il canale di
Falloppio e la coclea e quasi sempre provocano paralisi del facciale e perdita
uditiva permanente. Quest'ultimo può essere valutato inizialmente con i test di
Weber e Rinne e in seguito con l'audiometria (v. Valutazione clinica dell'udito nel
Cap. 82). La frattura generalmente può essere evidenziata con una TC cranio
ponendo particolare attenzione all'osso temporale.

Terapia

Nel tentativo di prevenire la meningite deve essere somministrata la penicillina G


1,6 milioni di U EV q 6 h per 7-10 gg. Comunque, questa terapia aumenta il
rischio che i microrganismi diventino resistenti. Una paralisi persistente del
facciale richiede la decompressione del nervo. La timpanoplastica e la
riparazione della catena degli ossicini vengono eseguite dopo alcune sett. o
mesi. La timpanotomia esplorativa volta all'individuazione di una fistola
perilinfatica può essere indicata nei pazienti che presentino ipoacusia fluttuante o
altri segni clinici che suggeriscano la presenza di una fistola.

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Orecchio interno

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

85. ORECCHIO INTERNO

NEURINOMA DELL'ACUSTICO

(Schwannomi dell'acustico, neuromi dell'acustico, tumori dell'VIII nervo)

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

I neurinomi dell'acustico derivano dalle cellule di Schwann (v. anche


Neurofibromatosi nel Cap. 183). Si originano 2 volte più spesso dalla porzione
vestibolare che dalla porzione uditiva del nervo acustico e rappresentano circa
il 7% dei tumori intracranici.

Aumentando di volume, il tumore si estende dal meato uditivo interno, nell'angolo


pontocerebellare, comprimendo il cervelletto e il midollo allungato. Viene
coinvolto anche il V nervo cranico e più tardi il VII.

Sintomi, segni e diagnosi

Ipoacusia e acufeni sono i primi sintomi. Sebbene il paziente soffra di capogiri e


perdita dell'equilibrio, in genere non è presente una vera vertigine. L'ipoacusia
neurosensoriale (v. Diagnosi Differenziale tra Ipoacusia Cocleare e
Retrococleare nel Cap. 82) è caratterizzata da una riduzione della
discriminazione della parola maggiore rispetto a quella che si verifica in caso di
lesione cocleare. Il fenomeno del "recruitment" è assente e il tone decay test è
marcatamente positivo. Il Reflex Decay Test positivo e la presenza della sola
onda V con latenza notevolmente allungata all'ABR, sono un'ulteriore prova di
una lesione neurale. In genere, la prova termica evidenzia una marcata ipo o
areflettività vestibolare (paresi del canale). La diagnosi precoce si basa sui
risultati ottenuti con gli esami audiologici, soprattutto i potenziali evocati uditivi del
tronco encefalico e la RMN con gadolinio

Terapia

Piccoli tumori possono essere rimossi con tecniche microchirurgiche che


permettono la conservazione del nervo facciale utilizzando la via della fossa
cranica media se si vuol preservare l'udito residuo oppure la via translabirintica
se l'udito residuo è già nullo. I tumori di grandi dimensioni vengono rimossi
utilizzando una via d'accesso combinata occipitale e translabirintica. In
alternativa, si può ricorrere alla radioterapia o alla radiochirurgia gamma knife.

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Orecchio interno

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Malattie del sistema nervoso periferico

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

183. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO PERIFERICO

NEUROPATIE PERIFERICHE

NEUROFIBROMATOSI

Alterazioni autosomiche dominanti definite di tipo I (neurofibromatosi periferica,


malattia di von Recklinghausen) e il più raro tipo II (neurofibromatosi centrale),
caratterizzata da neurinomi bilaterali dell’acustico.

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

Il tipo 1 è situato sul cromosoma 17 e il tipo 2 sul cromosoma 22. Nel tipo 1, le
proprietà onco-soppressive della neurofibromina possono essere compromesse
o perdute.

Sintomi, segni e diagnosi

Circa un terzo dei pazienti affetti da neurofibromatosi di tipo 1 è asintomatico e


viene scoperto durante esami di routine; 1/3 dei pazienti si presenta con problemi
di natura estetica e 1/3, con problemi neurologici.

Le caratteristiche lesioni cutanee consistono in macule color marrone (caffè e


latte) distribuite di solito sul tronco, sulla pelvi e nelle pieghe dei gomiti e delle
ginocchia; sono manifeste alla nascita o nella prima infanzia in > 90% di tutti i
pazienti. I noduli cutanei multipli, color carne, di dimensioni e forma differenti,
compaiono nella tarda infanzia e possono essere da pochi a migliaia. Raramente,
i noduli sottocutanei e la crescita eccessiva delle cellule di Schwann in formazioni
irregolari e ispessite (neuromi plessiformi) e di tessuto osseo possono produrre
deformità grottesche. Le anomalie scheletriche comprendono la displasia fibrosa,
cisti ossee sub-periostali, alterazioni dei profili vertebrali, scoliosi, pseudoartrosi e
aplasia della grande ala dello sfenoide (parete orbitale posteriore), con
conseguente esoftalmo pulsante.

I neurofibromi (tumori formati dalle cellule di Schwann e dei fibroblasti dei nervi),
che raramente compaiono prima della pubertà, possono essere palpati nel
sottocutaneo lungo il decorso dei nervi periferici; i neurofibromi possono
interessare le radici dei nervi spinali crescendo in modo caratteristico attraverso
un forame intervertebrale e producendo masse intra- ed extraspinali (tumori "a
clessidra"); la componente intraspinale può comprimere il midollo. I neuromi
plessiformi possono interessare i nervi periferici causando deficit distali alla
lesione. I tumori dei nervi cranici comprendono i gliomi dell’ottico, i quali possono
causare cecità progressiva e i neurinomi dell’acustico (schwannoma vestibolare),
che possono causare vertigini, atassia, sordità e tinnito. La patologia è in genere
progressiva.

Nel tipo 2 si sviluppano i neuromi acustici bilaterali, che diventano sintomatici


quando il paziente è all’incirca ventenne. I membri familiari possono essere affetti

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Malattie del sistema nervoso periferico

da gliomi o meningiomi e alcuni presentano cataratte giovanili.

I tipi 1 e 2 possono essere diagnosticati sulla base dei criteri della Tab. 183-3.

Terapia

I neurofibromi che causano sintomi gravi sono rimossi chirurgicamente o irradiati.


La terapia chirurgica può produrre deficit del nervo interessato. Non esiste
terapia generale. È consigliabile inoltre la consulenza di un genetista.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 183-3. DIAGNOSI DI NEUROFIBROMATOSI

Tipo Criteri
1 Devono essere presenti due o più dei seguenti segni:

³6 macchie caffelatte, con diametro massimo>5mm nei


soggetti prepuberi e >15mm in quelli in età post-
puberale

³2 neurofibromi di qualsiaisi tipo oppure 1 neurofibroma


plessiforme

Efelidi nella regione ascellare o inguinale

Glioma ottico

³2 noduli di Lisch (amartomi iris)

Una distinta lesione ossea (p.es., displasia dello


sfenoide o assottigliamento della corticale di ossa
lunghe), con o senza pseudoartrosi

Un genitore, consaguineo o figlio con neurofibromatosi


tipo 1
2 Deve essere presente uno dei seguenti segni:

Masse bilaterali a carico dell'8° nervo evidenziate alla


TAC o all'RMN

Un parente, un consanguineo o un bambino con


neurofibromatosi tipo 2 e una massa unilaterale a
carico dell'8° o uno qualsiasi dei seguenti reperti:
neurofibroma, meningioma, glioma, schwannoma o
opacità subcapsulare posteriore giovanile
Modificata da Martuza RL, Eldredge R: "Neurofibromatosi 2",
riproduzione autorizzata di The New England Jour nal of Medicine
318: 684-688, 1988.

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Naso e seni paranasali

Manuale Merck

7. MALATTIE DELL'ORECCHIO, DEL NASO E


DELLA GOLA

86. NASO E SENI PARANASALI

(V. anche Corpi Estranei nel Cap. 272)

Il naso, compreso il setto nasale che divide la cavità nasale in due fosse, è
costituito di osso e cartilagine. I seni paranasali, mascellare, frontale, etmoidale e
sfenoidale si aprono nella cavità nasale.

file:///F|/sito/merck/sez07/0860737a.html02/09/2004 2.04.51
Disturbi di naso e gola

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

272. DISTURBI DI NASO E GOLA

(V. anche §7; i problemi del setto nasale sono trattati nel Cap. 86, le
tonsilliti nel Cap. 87 e le stomatiti e altri problemi orali nel Cap. 105.)

CORPI ESTRANEI

I corpi estranei nasali sono comuni nei bambini piccoli e determinano la


comparsa di secrezioni maleodoranti, ematiche e unilaterali. I sali minerali si
depositano su un corpo estraneo ritenuto da tempo, formando un rinolita.

I corpi estranei nasali possono talora essere rimossi in ambulatorio utilizzando un


rinoscopio e le pinze nasali di Hartmann, ma spesso è necessaria l’anestesia
generale. I rinoliti si asportano con difficoltà perché la loro forma tende ad
adattarsi al contorno del passaggio nasale.

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Malattie dei denti e del cavo orale

Manuale Merck

9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE

103. Odontoiatria in medicina

104. Esame obiettivo del cavo orale

105. Malattie del cavo orale

Infiammazione della mucosa orale

Infezioni da Herpes virus

Stomatite aftosa ricorrente

Eritema orale multiforme

Neoplasie

Carcinoma a cellule squamose

Neoplasie delle ghiandole salivari

Neoplasie dei mascellari

106. Denti e parodonto

Carie

Pulpite

Malocclusione

Alterazioni gengivali

Gengivite

Gengivite ulcero-necrotica acuta

Stomatite da protesi

Parodontite

107. Emergenze dentarie

Mal di denti/infezione

Complicanze a seguito di estrazione

Denti fratturati e avulsi

Fratture dei mascellari e delle strutture contigue

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Malattie dei denti e del cavo orale

Lussazione della mandibola

108. Disfunzioni temporomandibolari

Spostamento interno del menisco

Sindrome del dolore miofasciale

Agenesia della mandibola

Ipoplasia condilare

Iperplasia condilare

Anchilosi

Artrite

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Odontoiatria in medicina

Manuale Merck

9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE

103. ODONTOIATRIA IN MEDICINA

Sommario:

Introduzione
Terapia odontoiatrica in pazienti affetti da malattie sistemiche
Reperti orali nelle malattie sistemiche
Modificazioni del cavo orale nell'anziano

Un dentista deve consultare un medico quando sospetta una malattia sistemica,


quando deve valutare se una persona può essere sottoposta ad anestesia
generale o a grossi interventi chirurgici del cavo orale, oppure quando deve
fronteggiare un’emergenza in uno studio dentistico.

Un medico deve consultare un dentista quando un bambino presenta una


crescita anomala che si manifesta con una facies caratteristica, un ritardo
dell’eruzione dentaria, oppure evidenti malformazioni o disallineamento dei denti,
ma anche quando un paziente presenta una labioschisi o una palatoschisi, una
frattura dei mascellari, una neoplasia del cavo orale oppure una tumefazione del
collo di recente scoperta. Uno specialista esperto in protesi maxillofacciali può
aiutare a migliorare o compensare alterazioni congenite o acquisite del viso o del
cavo orale. Altre situazioni che richiedono un consulto con un dentista
comprendono il dolore facciale a eziologia ignota, il rigonfiamento inspiegato o la
cellulite del collo, che può aver origine da un dente infetto e l’infezione dello
spazio parafaringeo, che può aver origine da un ascesso di un dente posteriore
dell’arcata inferiore. Nella febbre di origine sconosciuta (Fever of Undetermined
Origin, FUO) o in un’infezione sistemica a eziologia non ovvia, si deve prendere
in considerazione un focus di batteriemia a partenza dalla cavità orale.

Un consulto medico-dentistico può essere necessario per identificare cause


ignote di dolore al viso, alla testa e al collo, p. es., malocclusione, protesi dentarie
poco stabili, disfunzioni temporomandibolari (dette anche dell’articolazione
temporomandibolare), arterite a cellule giganti (temporale), masticazione
unilaterale, spasmo dei muscoli masticatori (v. Sindrome del dolore miofasciale
nel Cap. 108), presenza di cavità non diagnosticate nei mascellari e nevralgia del
trigemino. Il dolore riferito all’orecchio può trarre origine da un lembo gengivale
infiammato intorno a un terzo molare mandibolare parzialmente erotto o dalla
parte posteriore della lingua nella nevralgia del glossofaringeo. Viceversa, il
dolore alla percussione di vari denti mascellari può originare da malattie del naso
o dei seni paranasali adiacenti agli apici radicolari. Il torpore o le parestesie del
viso possono essere dovute a una neoplasia dei seni paranasali o del
nasofaringe, a un accidente vascolare, a metastasi al troncoencefalo o a sclerosi
multipla. Tuttavia, la parestesia colpisce più comunemente il labbro inferiore, di
solito quando l’avulsione di un molare mandibolare determina un danno al nervo
alveolare inferiore. Raramente, essa è indice di una neoplasia del cavo orale.

Un’alterazione del cavo orale o dei denti, così come le malattie sistemiche,
possono determinare una perdita di peso involontaria. Per esempio, una persona
può non essere in grado di masticare bene il cibo a causa del numero esiguo,
della perdita o del dolore dei denti, di protesi dentarie poco stabili, di stomatite (v.
Cap. 105), di una disfunzione temporomandibolare(v. Cap. 108) o
dell’affaticamento dei muscoli masticatori. Quest’ultimo può essere causato, nelle
persone giovani, da una malattia muscolare o neuromuscolare congenita o da
una cattiva circolazione nella muscolatura masticatoria (claudicatio della
mascella) o, nelle persone anziane, da protesi dentarie che presentano

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Odontoiatria in medicina

un’occlusione non corretta.

Terapia odontoiatrica in pazienti affetti da malattie sistemiche

Tutti dovrebbero effettuare una corretta igiene orale come misura preventiva
della carie e della gengivite e sottoporsi a ricostruzione dei denti, in caso di carie.
Le infezioni possono manifestarsi dopo cure odontoiatriche, quali avulsioni
dentarie, in particolare di denti interessati da un ascesso o dalla malattia
parodontale. La batteriemia può insorgere anche successivamente alla
preparazione delle superfici dentarie per una corona protesica. I batteri causano
la carie, che può determinare la morte della polpa dentaria e la formazione di un
ascesso. Se un dente interessato da un ascesso non viene estratto (per
permettere il drenaggio), l’infezione si diffonde (v. Pulpite nel Cap. 106) e può
causare la morte. Ai pazienti più soggetti alle infezioni a causa delle loro
condizioni di salute, deve essere somministrata una terapia antibiotica mirata
prima di un trattamento parodontale, compresa la profilassi sistematica e
l’ablazione del tartaro (rimozione del calcolo dentario), prima della chirurgia orale
e della terapia del canale radicolare.

Farmaci: diversi farmaci, come i corticosteroidi, i farmaci immunosoppressori e


antineoplastici, inibiscono la normale infiammazione necessaria per la
guarigione. Quindi, in seguito a cure odontoiatriche, possono verificarsi
emorragia, ritardo della guarigione, infezione locale e anche setticemia. Se è
possibile, tali cure devono essere effettuate prima della somministrazione di
questi farmaci, tenendo conto del tempo necessario per la guarigione.

Malattie ematologiche: nelle persone con alterazioni della coagulazione, si


dovrà procedere a ricostruire i denti cariati per evitare successive estrazioni. La
preparazione della cavità prima dell’otturazione di un dente è quasi sempre una
tecnica che non comporta perdita di sangue, ma un sanguinamento minimo da
una qualsiasi lacerazione gengivale viene ben controllato con la sola pressione.
Tuttavia, negli emofiliaci e nelle persone affette da malattie correlate, il fattore VIII
o qualsiasi altro fattore mancante deve essere somministrato prima, durante e
dopo un’avulsione per evitare un sanguinamento postestrattivo massivo. È
preferibile effettuare questa chirurgia orale in ambito ospedaliero in consulenza
con un ematologo. Le persone con alterazioni congenite della coagulazione
devono essere frequentemente controllate da un dentista, nel corso di tutta la
vita, e ricorrere a misure preventive, quali fluoro per via topica e sigillanti plastici,
per evitare le estrazioni.

Nei pazienti affetti da forme acute di leucemia, trombocitopenia o epatite è


necessario rinviare le avulsioni fino al miglioramento e alla stabilizzazione della
malattia. In pazienti affetti da policitemia vera o macroglobulinemia, alterazioni
delle piastrine, gravi malattie epatiche con diminuzione dei fattori della
coagulazione vitamina K-dipendenti o con aumento dell’attività fibrinolitica, si può
verificare un sanguinamento spontaneo dalla gengiva o un’emorragia prolungata
dopo un’estrazione o dopo cure parodontali. I pazienti che assumono aspirina
devono interrompere il farmaco 1 settimana prima di questo tipo di intervento
odontoiatrico e non devono assumere di nuovo il farmaco fino alla completa
guarigione. Il dosaggio di un farmaco anticoagulante può dover essere ridotto
prima dell’estrazione di un dente. Nei pazienti affetti da leucemia o da
agranulocitosi, si può verificare un’infezione dopo l’avulsione, nonostante la
terapia antibiotica.

Nelle persone in emodialisi, le cure odontoiatriche devono essere effettuate, se


possibile, il giorno dopo la dialisi quando è scomparso l’effetto della
somministrazione dell’eparina. L’uso di farmaci che possono essere nefrotossici
deve essere ridotto al minimo.

Malattie cardiovascolari: se possibile, dopo un infarto del miocardio è


necessario rinviare ogni trattamento odontoiatrico per 3 mesi. I pazienti affetti da
malattie polmonari o cardiache che necessitino di cure odontoiatriche in
anestesia inalatoria devono essere trattati in ambiente ospedaliero. I pazienti con

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Odontoiatria in medicina

un prolasso mitralico, una malattia cardiaca reumatica o congenita oppure con


una protesi valvolare cardiaca sono maggiormente predisposti alle endocarditi
batteriche, come anche quelli con malattie cardiache congenite o dei grossi vasi,
devono assumere tutti amoxicillina per via orale alla dose di 2,0 g o di 50 mg/ kg
se bambini, 1 ora prima di effettuare l’avulsione di un dente, l’ablazione del
tartaro, l’implantologia orale, l’apicectomia, la chirurgia parodontale e la
levigatura radicolare, che possono tutte determinare batteriemia. Tali pazienti
devono anche assumere antibiotici prima di iniziare a posizionare le bande
ortodontiche, quando devono effettuare una seduta di igiene orale profilattica con
probabile sanguinamento e prima di iniezioni intralegamentose di anestetico
locale. La clindamicina deve essere presa in considerazione per i pazienti
allergici alla penicillina.

In alcuni pazienti affetti da malattie cardiovascolari, l’adrenalina, usata come


vasocostrittore per aumentare la durata dell’effetto degli anestetici locali, può
determinare aritmie o ischemia oppure aggravare l’ipertensione. Spesso, il suo
uso può essere evitato. Gli apparecchi elettrici, come il cauterio, il tester della
polpa o il trapano, possono interferire con i pacemaker. I pazienti affetti da
insufficienza cardiaca possono non essere in grado di tollerare la posizione
orizzontale di una poltrona odontoiatrica e quelli che assumono farmaci
antiipertensivi possono manifestare ipotensione ortostatica quando si alzano.

Cancro: alcuni farmaci antineoplastici (p. es., doxorubicina, 5-fluorouracile,


bleomicina, dactinomicina, citosina arabinoside, metotrexate) causano stomatite,
la cui gravità dipende in genere dal grado della malattia parodontale presente.
Prima di iniziare la terapia con questi farmaci, un paziente affetto da cancro deve
effettuare un’ablazione del tartaro (calcolo dentario). Migliorare la salute del
tessuto parodontale (p. es., con un corretto spazzolamento dei denti e con un
corretto utilizzo del filo interdentale) può ridurre il sanguinamento gengivale, la
desquamazione tissutale, il dolore del cavo orale, la conseguente scarsa
assunzione di cibo e la probabilità di stomatite.

Prima di iniziare la radioterapia della regione orale, i pazienti devono sottoporsi a


qualsiasi intervento di chirurgia orale, al trattamento parodontale e alle
ricostruzioni dentarie, ritenute indispensabili, tenendo conto del tempo necessario
per la guarigione. È opportuno applicare sigillanti e fluoro per via topica, poiché la
xerostomia secondaria all’irradiazione e alla distruzione delle ghiandole salivari
favorisce la carie. L’estrazione di denti da tessuti irradiati è generalmente seguita
da osteoradionecrosi dei mascellari, una complicanza catastrofica (v. Cap. 292).
Perciò conviene evitare, se possibile, l’avulsione eseguendo ricostruzioni dei
denti, legature dentali o terapia del canale radicolare. Tali pazienti devono
effettuare per tutta la vita un’accurata igiene orale. Essi devono utilizzare un gel e
colluttori al fluoro, ogni giorno, (dopo aver rimosso le protesi parziali) ed essere
visitati dal dentista regolarmente, poiché la carie si sviluppa rapidamente nei
pazienti irradiati. La lidocaina può permettere al paziente con tessuti orali
sensibili di spazzolare i denti e passare il filo interdentale. È probabile che i
tessuti irradiati sotto le protesi si alterino, così queste devono essere controllate e
adattate ogni volta che si avverte qualche fastidio. I pazienti irradiati possono
sviluppare mucosite e ipogeusia, ma anche trisma dovuto alla fibrosi dei muscoli
masticatori. Il trisma può essere ridotto al minimo con gli esercizi, quali aprire e
chiudere completamente la bocca per 20 volte tre o quattro volte al giorno.

L’estrazione di un dente adiacente a un carcinoma della gengiva, del palato o dei


seni paranasali facilita l’invasione dell’alveolo dentario da parte della neoplasia.
Perciò, l’avulsione deve essere eseguita soltanto nel corso di un trattamento
definitivo.

Immunosoppressione: le persone con sistema immunitario compromesso per


malattie congenite o per AIDS, per farmaci immunosoppressori o per
chemioterapia, sono soggette a gravi infezioni mucose e parodontali da Candida
sp, Herpesvirus o batteri. Le infezioni possono essere accompagnate da
emorragia, ritardo nella guarigione e setticemia. Dopo diversi anni di
immunosoppressione, possono svilupparsi leucoplachia orale, displasia mucosa
o una neoplasia, spesso localizzate nel cavo orale. L’ingrossamento bilaterale
della ghiandola parotide può essere un segno di esordio di AIDS (v. Cap. 163).
Le persone affette da AIDS possono sviluppare il sarcoma di Kaposi, la

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Odontoiatria in medicina

leucoplachia villosa, la candidosi, le ulcere aftose, la malattia parodontale


progressiva e il linfoma non-Hodgkin. Si pensa che l’AIDS possa essere
trasmesso dal bacio profondo tra due partner, che presentano entrambi
sanguinamento gengivale, determinando l’infezione per contaminazione della
saliva da parte del sangue e per penetrazione del sangue infettato nella gengiva
infiammata.

Malattie endocrine: di solito, le cure odontoiatriche devono essere rinviate fino a


quando la malattia è ben controllata; per esempio, le persone affette da
ipertiroidismo possono presentare tachicardia e ansia eccessiva. Un’eccezione è
rappresentata dai pazienti affetti da diabete poco controllato, per i quali il
miglioramento dell’igiene orale è vitale. Tali pazienti sono soggetti alla malattia
parodontale e alla xerostomia. Anche nei diabetici ben controllati, le infezioni orali
devono essere trattate con sollecitudine. Quando l’assunzione di cibo è limitata a
causa del dolore dopo la chirurgia orale, nei diabetici può essere necessario
modificare il dosaggio dell’insulina e la dieta o effettuare una terapia con fluidi
EV. Le estrazioni, le ricostruzioni dentarie e la chirurgia parodontale non devono
essere effettuate in entrambi i lati della bocca nella stessa seduta, per evitare
interferenze con l’assunzione di cibo.

Nei pazienti affetti da insufficienza adrenocorticale può essere necessario


somministrare i corticosteroidi durante cure odontoiatriche importanti e le
persone che assumono terapia con corticosteroidi a basse dosi possono aver
bisogno di raddoppiare la dose il giorno dell’appuntamento con il dentista. Le
persone affette dalla sindrome di Cushing o che assumono corticosteroidi
possono presentare perdita di osso alveolare, ritardo nella guarigione delle ferite
e aumento della fragilità capillare.

Malattie neurologiche: le persone con paralisi di Bell mancano della naturale


azione detergente delle labbra e delle guance sulle superfici dei denti del lato
interessato, che determina carie unilaterali a meno che l’igiene orale non sia
scrupolosa e il trattamento con il fluoro e con i sigillanti non venga ripetuto. Le
persone con malattie convulsive devono avere piccoli apparecchi dentari non
rimovibili che non possano essere ingoiati o inalati. Le persone con
indebolimento o tremore apprezzabile degli arti superiori e alcuni pazienti affetti
da artrite degli arti superiori non riescono a mantenere un’igiene orale ottimale, a
meno che chi si prende cura di loro non sia molto scrupoloso. Di conseguenza,
una febbre inspiegata può riconoscere un’eziologia orale.

Le persone affette da apnea ostruttiva nel sonno possono spesso trarre beneficio
da un apparecchio dentario rimovibile, che posizioni la mandibola in avanti in
modo tale che la lingua non possa bloccare le vie aeree (v. Cap. 173).

Allergie: le persone allergiche possono, nonostante l’anamnesi, assumere un


antibiotico, un anestetico locale o altri farmaci dannosi durante il trattamento
odontoiatrico.

Malattie gastrointestinali: poiché le varietà di Helicobacter pylori isolate nella


saliva e nella placca dentaria sono di solito uguali a quelle isolate nello stomaco,
il cavo orale può essere una fonte di reinfezione.

Malattie ortopediche: le persone portatrici di protesi articolari, in particolare


durante i primi 2 anni successivi all’intervento, possono essere a rischio di
infezione dell’articolazione dopo avulsioni o terapia del canale radicolare. È
consigliabile effettuare una profilassi con antibiotici.

Ostetricia: le donne in gravidanza affette da malattia parodontale grave hanno


maggiore probabilità di partorire pre-termine neonati di basso peso alla nascita.
Non è noto se sia possibile prevenire ciò trattando le malattie orali durante la
gravidanza.

Reperti orali nelle malattie sistemiche

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Odontoiatria in medicina

Sebbene le alterazioni del gusto possano avere origine psichiatrica, devono


essere sempre ricercate cause locali. Un sapore amaro può essere indice di pus
che origina da un ascesso parodontale o alveolare; un sapore salato può
derivare da un sanguinamento o dal gemizio di liquido tissutale al di sotto di
protesi dentarie poco stabili oppure da tessuti parodontali infiammati all’interno
del cavo orale, che normalmente è assai povero di Na. Un sapore acido può
essere causato da una reazione elettrolitica tra otturazioni adiacenti eseguite con
metalli diversi. I sintomi scompaiono quando vengono eliminati questi disturbi
dentari. Le persone che assumono composti a base di oro come terapia dell’AR
possono riferire un sapore metallico, che può essere un sintomo di esordio della
stomatite. Uno spiacevole sapore dolce può essere indice del carcinoma a
piccole cellule del polmone.

La più grave xerostomia (secchezza della bocca) si verifica nella sindrome di


Sjögren (v. Cap. 50) e può anche essere causata da certi farmaci, in particolare i
diuretici e gli anticolinergici, dalle malattie delle ghiandole salivari, dalla
disidratazione o dalla respirazione orale. Se possibile, la somministrazione di un
farmaco che determina xerostomia prima di andare a letto può alleviare i sintomi
durante il giorno, poiché il paziente non si accorge della secchezza durante il
sonno. Poiché la xerostomia può ostacolare il necessario scioglimento delle
compresse sublinguali di nitroglicerina, alcune gocce di acqua devono essere
sorseggiate prima di assumere il farmaco. La secchezza orale si verifica anche
nella sindrome di Eaton-Lambert (una malattia rara dovuta al cancro), nella quale
il rilascio di acetilcolina è diminuito nelle terminazioni nervose dei muscoli
scheletrici e delle ghiandole salivari. Una carie apprezzabile dei denti è frequente
tra le persone affette da xerostomia, quali i pazienti con diabete poco controllato,
a causa del ridotto flusso della saliva. Poiché la saliva aiuta la ritenzione della
protesi, lamentarsi di protesi dentarie poco stabili può essere indice di
xerostomia, ma anche di anomalie dell’osso che si verificano nell’acromegalia,
nel morbo di Paget o in un tumore dei mascellari.

La xerostomia interferisce con il linguaggio e la deglutizione, causa alito fetido e,


dal momento che la riduzione del flusso salivare non porta via per lungo tempo i
batteri, rende difficile mantenere l’igiene orale. I pazienti affetti da xerostomia
devono evitare i decongestionanti e gli antiistaminici e prestare maggiore
attenzione all’igiene orale. Può essere utile sorseggiare spesso liquidi senza
zucchero, masticare gomme che contengono xilitolo e utilizzare un sostituto della
saliva che contenga carbossimetilcellulosa come un colluttorio ma anche le
compresse di pilocarpina da 5- mg tid (dopo aver escluso controindicazioni
oftalmiche e cardiorespiratorie).

Le asimmetrie del volto lievi sono comuni a tutti i pazienti e possono derivare
dalla masticazione prevalente da un lato, che produce un ingrossamento
unilaterale dei muscoli masticatori, da differenze nel profilo delle arcate dentarie
o nell’angolazione dei denti di un lato rispetto a quelli dell’altro lato, oppure da
tutti questi elementi. Le asimmetrie del volto gravi si verificano in soggetti con
lipodistrofia, emiatrofia o emiipertrofia del volto o con assenza congenita dei
condili della mandibola. Il trauma psicologico legato a una grave malformazione
del volto deve indurre lo specialista a informare il paziente riguardo un eventuale
intervento chirurgico facciale.

I bambini con deformità craniofacciali congenite spesso presentano difetti del


setto del cuore o trasposizione dei grossi vasi. Anomalie occlusali spesso si
sviluppano nelle persone che presentano alterazioni scheletriche craniofacciali.
Le persone affette da discinesia orofacciale, talvolta associata a discinesia
tardiva, possono trarre beneficio dalla correzione delle relazioni dei mascellari,
anche se la malocclusione è dovuta a protesi totali poco stabili. In questi casi, si
deve prendere in considerazione il rifacimento delle protesi.

I denti, una volta formati, non vengono mai rimodellati da forze sistemiche, ma
soltanto da quelle locali. Pertanto l’esaminatore può osservare alterazioni nella
forma, nella calcificazione o nel colore dei denti (v. Cap. 106), in seguito a
esantemi infantili, alterazioni dello sviluppo o endocrinopatie. L’ipopituitarismo o
l’ipotiroidismo possono ritardare l’eruzione dei denti.

Le carie molto destruenti dei denti decidui sono spesso indice del contatto

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Odontoiatria in medicina

prolungato dei denti con preparati alimentari zuccherati per neonati,


probabilmente durante il sonno ("carie da biberon"). Un eccipiente
metabolizzabile a base di zuccheri non deve essere utilizzato per i farmaci orali
somministrati regolarmente ai bambini, per ridurre al minimo l’incidenza di carie.
Lo sviluppo di carie molto destruenti dopo l’infanzia può essere indice dell’uso
regolare di marijuana, che è spesso accompagnato da un insaziabile desiderio di
dolci e da una scarsa igiene orale. I bambini autistici sono golosi di dolci e hanno
una scarsa igiene orale; presentano quindi carie molto destruenti. Le carie del
colletto, in particolare quando l’area è di colore marrone scuro, fanno sospettare
l’uso del tabacco da fiuto (tabacco non fumato).

Raramente, l’assenza della carie o una piccola carie dei denti indica intolleranza
ereditaria al fruttosio, caratterizzata da un’avversione per i dolci. I denti decidui
caduti possono essere analizzati per valutare il contenuto di piombo negli studi
epidemiologici sull’avvelenamento da piombo.

Il colore dei tessuti molli può indicare la presenza di anemia, policitemia,


cianosi o ittero. Un esaminatore ricerca sia un’infiammazione generalizzata
(stomatite) sia aree localizzate di infiammazione e di ulcerazione, di petecchie o
di ispessimenti. Le aree pigmentate di colore scuro possono essere una
caratteristica razziale o semplicemente dei nevi pigmentati oppure possono
essere indice del morbo di Addison o, assai di rado, del melanoma, in particolare
se localizzate sulla gengiva o sul palato. Le lesioni violacee del sarcoma di
Kaposi sono un comune reperto nel cavo orale nei pazienti affetti da AIDS.

Lo sviluppo di aree lichenoidi cheratinizzate nella mucosa orale di chi riceve un


trapianto di organo può essere il primo segno della malattia del trapianto-contro-
l’ospite. Le petecchie palatali possono derivare dalla mononucleosi infettiva,
dall’endocardite, dalla discrasia ematica o dal sesso orale. L’infiammazione acuta
dell’ugola può verificarsi nell’epiglottite acuta, una condizione potenzialmente
mortale.

Le malattie neurologiche possono presentare segni orali. Per esempio, se il


palato molle non si solleva quando una persona dice "ah", il paziente può essere
un suonatore di strumenti a fiato che presenta la "perdita della tenuta" (cioè, una
paralisi temporanea del palato molle) o può presentare una patologia che
colpisce il nervo glossofaringeo, spesso nel tratto in cui esce dalla base del
cranio. Le fascicolazioni della lingua si verificano nella paralisi bulbare
progressiva.

Le infezioni locali e sistemiche possono avere un’origine orale. Per esempio,


l’inalazione di frammenti di denti o di otturazioni può determinare un ascesso
polmonare, mentre le persone che utilizzano la saliva per sciogliere droghe prima
di iniettarsele EV possono disseminare nel circolo sistemico una batteriemia
orale.

Modificazioni del cavo orale nell'anziano

Con l’avanzare dell’età, si verificano delle modificazioni dei tessuti orali. A riposo
la secrezione salivare diminuisce, talvolta esacerbata dai farmaci, sebbene il
flusso salivare stimolato dal pasto sia di solito sufficiente per formare un bolo. Le
cuspidi appiattite dei denti consumati e l’indebolimento dei muscoli masticatori
possono rendere faticosa la masticazione, a danno dell’assunzione di cibo. La
perdita di osso dei mascellari (in particolare della porzione alveolare), la
secchezza della bocca, l’assottigliamento della mucosa orale e l’alterato
coordinamento delle labbra, delle guance e dei movimenti della lingua possono
rendere progressivamente più difficoltosa la ritenzione della protesi. Inoltre, le
papille gustative diventano meno sensibili, così che gli anziani tendono ad
abbondare con i condimenti, in particolare con il sale (che è deleterio per molti di
essi) oppure tendono ad assumere cibi molto caldi per aumentare il gusto,
talvolta scottando la mucosa orale spesso atrofica. Nell’anziano, la recessione
gengivale espone la radice dentaria adiacente alla corona, rendendo frequente la
carie della radice.

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Odontoiatria in medicina

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Disfunzioni temporomandibolari

Manuale Merck

9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE

108. DISFUNZIONI TEMPOROMANDIBOLARI

Dolenzia dei mascellari e della faccia, spesso in corrispondenza dell’articolazione


temporomandibolare, che comprende i muscoli masticatori e gli altri muscoli, le
fascie o una serie di aree.

SINDROME DEL DOLORE MIOFASCIALE

Spasmo dei muscoli masticatori (pterigoidei interno ed esterno, temporale e


massetere) nonostante una normale ATM.

(V. anche Fibromialgia nel Cap. 59.)

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

Questa sindrome è la malattia più comune che colpisce la regione


temporomandibolare, più frequente nelle donne rispetto agli uomini. La
distribuzione dell’età è bimodale: i primi 20 anni e la perimenopausa. La causa è
di solito il bruxismo notturno (serramento o digrignamento dei denti). È
controverso se il bruxismo sia determinato da contatti irregolari dei denti o da
stress psicologico. Probabilmente, nella maggior parte dei casi, sono coinvolti
entrambi.

Sintomi e segni

I sintomi includono dolore alla palpazione dei muscoli masticatori e spesso dolore
e limitazione nell’apertura della bocca. Il bruxismo notturno può determinare
cefalea, più forte al risveglio e che migliora gradualmente durante il giorno. I
sintomi e la cefalea possono peggiorare durante il giorno se il bruxismo continua
anche durante il giorno. La mandibola devia quando il paziente apre la bocca ma,
di solito, non improvvisamente o sempre nello stesso punto di apertura, come si
verifica nello spostamento interno del menisco. Con una lieve pressione,
l’esaminatore può aprire la bocca ancora per 1-3 mm oltre l’apertura massima
normale per il paziente. Le radiografie di solito aiutano solo a escludere l’artrite.

Terapia

Una placca occlusale in resina o una placca di protezione della bocca possono
mantenere i denti non a contatto gli uni con gli altri. Basse dosi di una
benzodiazepina prima di coricarsi sono spesso efficaci per le riacutizzazioni e per
alleviare i sintomi fino a quando non si riesce ad applicare una placca di
protezione per la bocca. Sono indicati analgesici leggeri, p. es., FANS o
paracetamolo. Poiché la condizione è cronica, non devono essere utilizzati gli
oppioidi, se non per brevi riacutizzazioni. Il paziente deve essere invitato a
smettere di serrare la mandibola e di digrignare i denti. Si devono evitare i cibi

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Disfunzioni temporomandibolari

duri e le gomme da masticare. La terapia fisica (usando spray ed esercizi di


allungamento, in cui la mandibola viene mantenuta in apertura sotto tensione
dopo aver cosparso la pelle sovrastante l’area dolente con uno spray refrigerante
della cute o viene raffreddata con ghiaccio, oppure utilizzando la stimolazione
elettrica transcutanea dei nervi), il biofeedback per favorire il rilassamento e la
consulenza psicologica aiutano diversi pazienti. La maggior parte dei pazienti,
anche se non trattata, non presenta più sintomi significativi entro 2-3 anni.

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Reumatismi non articolari

Manuale Merck

5. MALATTIE MUSCOLOSCHELETRICHE DEL


TESSUTO CONNETTIVO

59. REUMATISMI NON ARTICOLARI

FIBROMIALGIA

Gruppo di patologie non articolari e piuttosto comuni, caratterizzate da dolore


puntorio, dolorabilità alla palpazione e rigidità a carico dei muscoli, delle zone di
inserzione tendinea e delle strutture molli adiacenti.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi, segni e diagnosi
Prognosi e terapia

(V. anche Sindrome del dolore miofasciale nel Cap. 108.)

Il termine mialgia indica dolore muscolare. Al contrario, la miosite è dovuta


all'infiammazione dei tessuti muscolari; questo termine viene usato in modo
inappropriato al posto di fibromialgia, nella quale manca il processo
infiammatorio. La fibromialgia indica dolore a livello del tessuto fibroso, dei
muscoli, dei tendini, dei legamenti e di altre sedi. Può essere coinvolto ogni
tessuto fibromuscolare, sebbene siano colpiti in modo particolare quelli
dell'occipite, del collo (dolore o spasmo), della spalla, del torace (pleurodinia)
della colonna lombare (lombalgia) e della coscia (la cosiddetta "charley horses"
degli anglosassoni, una grave contrattura del muscolo quadricipite femorale,
generalmente da eccessi atletici).

Eziologia

Non vi sono alterazioni istologiche specifiche e l'assenza di cellule di tipo


infiammatorio giustifica la preferenza del termine fibromialgia, al posto delle
vecchie denominazioni di fibrosite e fibromiosite. La condizione diffusa o
sindrome fibromialgica si verifica per lo più nel sesso femminile e può essere
indotta o peggiorata dallo stress fisico o mentale, dalla riduzione del sonno, dai
traumi o dall'esposizione all'umidità o al freddo e, occasionalmente, da una
patologia sistemica, generalmente di tipo reumatico. Un'infezione virale o un'altra
infezione sistemica (p. es., la malattia di Lyme), possono precipitare la sindrome.

La fibromialgia può essere generalizzata (talora associata con una condizione


concomitante) o localizzata (p. es., la sindrome dolorosa miofasciale, spesso
correlata al superuso o a microtraumi). La sindrome fibromialgica primitiva
(SFP) è una forma generalizzata, idiopatica, particolarmente frequente in donne
sane giovani o di media età, con tendenza alla depressione, all'ansia, ma può
anche verificarsi nei bambini o negli adolescenti (soprattutto femmine) o negli
adulti ed è spesso associata a minori modificazioni asintomatiche di tipo
osteoartrosico vertebrali. I maschi hanno una maggiore tendenza a sviluppare
una fibromialgia localizzata, in associazione a particolari sforzi lavorativi o sportivi
(p. es., sindrome dolorosa miofasciale). In una minoranza di casi, esiste
l'associazione con anormalità psicofisiologiche. I sintomi possono essere

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Reumatismi non articolari

esacerbati da stress emotivi o ambientali, come pure da un atteggiamento di


scetticismo e noncuranza da parte del medico, che fa capire al paziente di
ritenere che si tratti di un problema "tutto nella testa".

Sintomi, segni e diagnosi

L'esordio con rigidità e dolore nella SFP è graduale, diffuso e fastidioso. Nella
SFP localizzata, l'esordio è più spesso improvviso e acuto. Il dolore peggiora con
lo sforzo o l'esercizio eccessivo. Può essere presente dolorabilità, abitualmente
localizzata a piccole aree specifiche (i cosiddetti "tender point"). Può essere
presente rigidità o spasmo muscolare localizzato, sebbene una contrazione attiva
non possa essere dimostrabile con l'elettromiografia. L'infiammazione si verifica
soltanto quando è presente una condizione sistemica associata.

La SFP viene riconosciuta dal tipico quadro fibromialgico diffuso, associato a


sintomi non reumatici (p. es., riduzione del sonno, ansia, stanchezza, sintomi di
colon irritabile) e dall'esclusione di patologie sottostanti o concomitanti (p. es.,
osteoartrosi generalizzata, AR, polimiosite, polimialgia reumatica e altre malattie
del tessuto connettivo) e dall'esclusione di dolore o spasmo muscolare
psicogeno. La fibromialgia associata a queste malattie (cioè, fibromialgia
secondaria o concomitante) mostra sintomi e segni muscolo-scheletrici simili a
quelli della SFP (a eccezione del reumatismo psicogeno), ma va differenziata
dalla SFP per permettere l'identificazione e il trattamento sia della malattia
concomitante o sottostante che della stessa fibromialgia. Nelle femmine in età
media, deve essere esclusa la presenza di una malattia reumatica occulta e
dell'ipotiroidismo. Lesioni istopatologiche non-specifiche lievi possono essere
presenti nei muscoli, ma alterazioni simili si trovano anche in soggetti di controllo
normali.

Prognosi e terapia

La fibromialgia può regredire spontaneamente con la riduzione dello stress, ma


può diventare cronica o recidivare a intervalli regolari. I sintomi possono
attenuarsi rassicurando il paziente sulla natura benigna della sindrome, come
pure con gli esercizi di potenziamento muscolare, con gli esercizi aerobici, con il
miglioramento del sonno, con l'applicazione locale di calore e massaggi leggeri.
Antidepressivi triciclici a basse dosi (p. es., ciclobenzaprina HCl 10 mg o la dose
minima efficace tollerata) al momento di addormentarsi, possono favorire un
sonno più profondo e avere effetti di modulazione del dolore. L'aspirina a dosi di
650 mg PO q 3-4 h o altri FANS a pieno dosaggio non hanno generalmente
dimostrato efficacia in trial clinici, ma possono essere d'aiuto in singoli pazienti.
Le zone di dolorabilità focale che limitano le capacità funzionali possono essere
infiltrate con 1-2 ml di lidocaina all'1%, da sola o associata a 20-40 mg di
idrocortisone acetato (utilizzando la tecnica descritta sopra per l'infiltrazione dei
tessuti molli per la terapia della lombalgia cronica). Se si verifica sonnolenza con
un preparato, può essere prescritto un farmaco alternativo, sempre a basse dosi.
Una dose al mattino di un inibitore specifico del reuptake di serotonina (p. es.,
paroxetina HCl 10 o 20 mg) può alleviare la depressione e aiutare a controllare i
sintomi. Attenzione deve essere posta a non aggravare i problemi del sonno con
farmaci che possono indurre insonnia. La prognosi funzionale è di solito
favorevole se viene seguito un programma di sostegno comprendente diversi
approcci terapeutici, sebbene la sintomatologia, attenuata, tenda a persistere. Il
trattamento dell'ansia associata o della depressione, può richiedere più attivi e
specifici approcci o il riferimento a risorse specialistiche per un supporto al
paziente più completo. Infine, il miglior trattamento della SFP è un programma
personalizzato, estensivo, ambulatoriale, che motivi e coinvolga il paziente.

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Reumatismi non articolari

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Malattie del cavo orale

Manuale Merck

9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE

105. MALATTIE DEL CAVO ORALE

La cute e la mucosa delle labbra sono separate dal bordo vermiglio. La mucosa
che si osserva sul viso è asciutta e cheratinizzata, mentre la mucosa della
superficie interna delle labbra è umida e non cheratinizzata.

La mucosa buccale, che comprende il vestibolo e la mucosa alveolare non


cheratinizzata, è di solito liscia, umida e rosa. In questa regione possono essere
osservati reperti fisiologici, quali la linea alba (una sottile linea bianca,
tipicamente bilaterale, a livello del piano occlusale, quando la guancia viene
morsa), i granuli di Fordyce (che possono essere presenti anche sulle labbra) e il
nevo spongioso bianco (spesse pieghe bianche site su gran parte della mucosa
buccale, ma non sulle gengive). Riconoscere questi reperti evita biopsie e
apprensioni inutili. Gli orifizi dei dotti parotidei sono localizzati in corrispondenza
del primo molare mascellare su ciascun lato.

Una distribuzione anomala della mucosa orale cheratinizzata e non


cheratinizzata richiede una maggiore attenzione. A un paziente che utilizza
protesi totali o parziali, si chiede di rimuoverle per poter osservare i tessuti molli
sottostanti. Normalmente, l’epitelio cheratinizzato è presente sulla superficie
esterna delle labbra, sul dorso della lingua, sul palato duro e sulla gengiva che
circonda la base delle corone dei denti e che si trova al di sopra dell’osso
alveolare che copre parte delle radici dei denti. La mucosa non cheratinizzata è
presente sull’osso alveolare nella porzione più distante rispetto alle corone dei
denti, sulla superficie interna delle labbra, sulle guance, sui lati e sulla superficie
inferiore della lingua, sul palato molle e sul pavimento della bocca. Il tessuto
cheratinizzato, presente nelle aree normalmente non cheratinizzate appare
bianco. Questa condizione anomala, detta leucoplachia, richiede una biopsia,
poiché può essere un’alterazione precancerosa.

Il palato è coinvolto nella normale risonanza della voce e nell’articolazione delle


parole. La porzione anteriore del palato duro è sede della papilla incisiva che si
trova dietro gli incisivi centrali. Dietro di essa ci sono le rughe palatine, creste
fisse che impediscono al cibo di scivolare mentre la lingua lo schiaccia contro di
esse. Il palato molle, privo di ossa, deve innalzarsi in maniera simmetrica quando
il paziente dice "ah".

L’ugola pende sulla linea mediana nella parte finale del palato molle. Essa varia
molto in lunghezza. Un’ugola lunga o un tessuto velofaringeo eccessivo sono
associati al russamento e in alcune persone possono predisporre all’apnea
ostruttiva durante il sonno (v. Sindromi da apnea nel sonno nel Cap. 173).

La superficie dorsale della lingua è ricoperta da molte escrescenze biancastre, le


papille filiformi. Sparse tra esse sono presenti isolate sporgenze rossastre, le
papille fungiformi, che si concentrano soprattutto sulla parte anteriore della
lingua. Le papille circumvallate, che sono notevolmente più grandi, si localizzano
posteriormente e non sporgono dalla superficie della lingua, ma sono circondate
da un avvallamento. Le papille foliate appaiono come una serie di pieghe
parallele simili a fessure sui bordi laterali della lingua, vicino ai pilastri anteriori
delle fauci. Esse variano in lunghezza e possono facilmente essere confuse con
delle lesioni. Le tonsille linguali possono essere considerate parte dell’anello di
Waldeyer e vengono osservate posteriormente in corrispondenza della base
della lingua.

Il nervo linguale (branca del 5° nervo cranico) fornisce l’innervazione sensitiva


generale e le fibre della corda del timpano (del 7° nervo cranico) innervano le
papille gustative dei 2/3 anteriori della lingua. Dietro le papille circumvallate, il

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Malattie del cavo orale

nervo glossofaringeo (9° nervo cranico) fornisce le sensazioni del tatto e del
gusto. L’integrità del nervo può essere determinata testando il gusto su entrambi i
lati del dorso della lingua con lo zucchero, il sale, l’aceto e il chinino. I recettori
per il dolce e per il salato sono localizzati in prossimità della punta della lingua,
quelli per l’acido sui lati e quelli per l’amaro sulla parte più posteriore della lingua.
Il nervo ipoglosso (12° nervo cranico) controlla i movimenti della lingua.

Su ciascun lato, il pavimento della bocca è delimitato anteriormente vicino alla


linea mediana dagli orifizi del dotto di Wharton, che drena le ghiandole
sottomandibolare e sottolinguale dello stesso lato.

Le ghiandole salivari maggiori sono le parotidi, le ghiandole sottomandibolari e


sottolinguali, una per ogni lato. La maggior parte delle superfici mucose orali
contiene numerose ghiandole salivari minori che secernono muco. Le alterazioni
delle ghiandole sottolinguali e sottomandibolari possono essere apprezzate
quando il pavimento della lingua viene palpato con entrambe le mani. Un
aumento di volume della parotide si manifesta nella zona preauricolare o
inferiormente al ramo della mandibola.

Molte malattie possono colpire la regione orale (v. Tab. 105-1 e altrove nel
Manuale). Le lesioni benigne del cavo orale sono spesso bilaterali, mentre il
cancro bilaterale del cavo orale è raro. La labioschisi e la palatoschisi vengono
trattate nel Cap. 261.

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Denti e parodonto

Manuale Merck

9. MALATTIE DEI DENTI E DEL CAVO ORALE

106. DENTI E PARODONTO

PULPITE

Infiammazione della polpa dentaria.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e diagnosi
Terapia

L’infiammazione della polpa (pulpite) e le sue successive sequele locali, quali la


necrosi, la parodontite apicale, l’ascesso periapicale, la cellulite e l’osteomielite
dei mascellari, possono verificarsi quando la carie si approfonda nella dentina,
quando un dente richiede molte procedure invasive o quando un trauma
interrompe l’apporto linfatico e vascolare alla polpa. L’infiammazione che
facilmente guarisce in altre parti del corpo porta alla necrosi della polpa costretta
in una cavità chiusa (dalla dentina), poiché l’edema non si può sviluppare in
quella sede senza compromettere la circolazione.

Se l’infezione dei denti mascellari si diffonde, può determinare sinusite purulenta,


meningite, ascesso cerebrale, cellulite orbitale e trombosi del seno cavernoso.
L’infezione dei denti mandibolari può determinare angina di Ludwig, ascesso
parafaringeo, mediastinite, pericardite, empiema e tromboflebite giugulare.

Sintomi e diagnosi

Nella pulpite reversibile, il dolore viene avvertito quando uno stimolo (di solito il
freddo o i dolci) viene applicato sul dente. Quando lo stimolo viene allontanato, il
dolore cessa nel giro di alcuni secondi.

La pulpite irreversibile produce dolore che dura per diversi minuti dopo
l’allontanamento dello stimolo o che si verifica spontaneamente. Un paziente può
avere difficoltà a localizzare il dente che è fonte del dolore, confondendo anche
tra l’arcata mascellare e quella mandibolare (ma non tra il lato sinistro o il lato
destro della bocca), poiché la polpa non presenta fibre propriocettive. Il dolore
può quindi cessare per vari giorni a causa della necrosi pulpare. Quando i batteri
o i loro metaboliti escono dal forame apicale, determinando l’infiammazione
dell’adiacente legamento parodontale, il dente diventa molto sensibile alla
pressione e alla percussione. Quando si forma un ascesso periapicale
(dentoalveolare), il dente si solleva dal suo alveolo e si percepisce come "alto"
quando si chiude la bocca.

Terapia

Nella pulpite reversibile, la vitalità della polpa può essere mantenuta se il dente
viene curato, di solito rimuovendo la carie e ricostruendo poi il dente.

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Denti e parodonto

La pulpite irreversibile e le sue complicanze richiedono il trattamento endodontico


(del canale radicolare) o l’estrazione del dente. Le complicanze a distanza
impongono l’avulsione per permettere il drenaggio. Dopo una terapia del canale
radicolare, la guarigione viene evidenziata clinicamente dalla scomparsa dei
sintomi e radiologicamente da nuova apposizione di osso nell’area
radiotrasparente a livello dell’apice radicolare. Se il paziente presenta segni
sistemici di infezione, è necessario somministrare un antibiotico (penicillina VK
500 mg q 6 h; per i pazienti allergici alla penicillina, è efficace la clindamicina alla
dose di 150 mg o 300 mg q 6 h oppure il metronidazolo alla dose di 500 mg q 8
h). Se i sintomi persistono o peggiorano, è consigliabile consultare un medico e
può rendersi necessaria l’estrazione del dente.

Raramente, l’enfisema mediastinico o sottocutaneo può essere secondario


all’uso del trapano a turbina ad alta velocità azionato ad aria o del trapano ad aria
compressa, durante interventi sul canale radicolare o durante un’estrazione,
poiché l’aria viene forzata nei tessuti che circondano l’alveolo del dente e
attraversa i piani fasciali. L’insorgenza acuta di gonfiore cervicale e mascellare,
con caratteristico crepitio alla palpazione della cute rigonfia, è un segno
diagnostico. Di solito non è necessario alcun trattamento, sebbene diversi medici
prescrivano antibiotici per profilassi.

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Argomenti speciali

Manuale Merck

21. ARGOMENTI SPECIALI

286. Principi generali di genetica medica

Ereditarietà dei difetti di un singolo gene

Ereditarietà multifattoriale

Ereditarietà non tradizionale

Disordini cromosomici

Anomalie del DNA mitocondriale

Genetica del carcinoma

Immunogenetica

Genetica forense

Terapia genetica

287. Sindromi di origine incerta

Sindrome della guerra del golfo

Sindrome da sensibilità chimica multipla

Sindrome da affaticamento cronico

288. Sarcoidosi

289. Febbre familiare mediterranea

290. Sospensione del fumo

Dipendenza da tabacco

Problemi associati alla sospensione del fumo

291. Riabilitazione

Terapia fisica

Strumenti terapeutici e di assistenza

Terapia del dolore e dell’infiammazione

Riabilitazione per alcuni problemi specifici

292. Terapia con ossigeno iperbarico

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Argomenti speciali

293. Medicina geriatrica

Erogazione di assistenza sanitaria

Patologie frequenti solo tra gli anziani

Malattie che si presentano in modo insolito negli anziani.

Uso di farmaci

Direttive mediche di avanzamento

294. Assistenza del paziente terminale

Controllo dei sintomi

Interventi psicologici

Problemi sociali

Gestione della morte

295. Processo decisionale nella pratica clinica

Regole di comportamento clinico

Ragionare con le probabilità

Test di laboratorio

Revisione delle probabilità con il teorema di Bayes

Operare delle scelte

Determinare una soglia per il trattamento

Determinare una soglia per l’esecuzione di un test

Analisi economiche

296. Valori di laboratorio normali

297. Guida rapida di riferimento

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Principi generali di genetica medica

Manuale Merck

21. ARGOMENTI SPECIALI

286. PRINCIPI GENERALI DI GENETICA MEDICA

Sommario:

Introduzione
SCREENING GENETICO
COSTRUZIONE DELL’ALBERO GENEALOGICO DI UNA FAMIGLIA
CONSULENZA GENETICA

Lo sviluppo dell’uomo dipende da fattori genetici e ambientali. La componente


genetica di un soggetto, o genoma, è stabilita al concepimento. Le informazioni
genetiche sono trasportate nel DNA dei cromosomi e dei mitocondri. La maggior
parte delle malattie probabilmente presenta una qualche componente genetica,
la cui entità è variabile. I fattori ambientali possono alterare le informazioni
genetiche attraverso una mutazione o un’altra alterazione strutturale e possono
influenzare i classici disordini genetici (p. es., la gestione della dieta nella
fenilchetonuria, i farmaci per l’ipercolesterolemia).

La capacità del DNA di replicarsi costituisce la base della trasmissione ereditaria.


Il DNA fornisce anche il codice genetico, che determina lo sviluppo e il
metabolismo cellulare attraverso il controllo della sintesi dell’RNA. La sequenza
degli elementi (nucleotidi) che costituiscono il DNA e l’RNA determina la
composizione della proteina e quindi la sua funzione.

I geni (tra 60000 e 100000 nell’uomo) si trovano sui cromosomi (strutture simili a
bastoncini che si trovano nei nuclei cellulari) e sui mitocondri (strutture circolari
presenti in molteplici copie nel citoplasma cellulare). Nell’uomo, le cellule
somatiche (non germinali) contengono normalmente 46 cromosomi, disposti in
23 paia. Ciascun paio è costituito da un cromosoma della madre e uno del padre.
Un paio di cromosomi, i cromosomi sessuali, determina il sesso dell’individuo. Le
donne hanno 2 cromosomi X in ogni nucleo cellulare somatico, mentre gli uomini
hanno un cromosoma X e uno Y (cioè, cromosomi eterologhi). Il cromosoma X
porta i geni responsabili di molti tratti ereditari, mentre il cromosoma Y, piccolo e
di forma differente, porta i geni che determinano la differenziazione del sesso
maschile. Le rimanenti 22 coppie di cromosomi, gli autosomi, sono solitamente
omologhi (cioè, identici per dimensioni, forma, posizione e numero di geni). Le
cellule germinali (ovulo e spermatozoo) vanno incontro alla meiosi, che riduce il
numero di cromosomi a 23, la metà rispetto alle cellule somatiche (46), cosicché
quando un ovulo viene fecondato da uno spermatozoo al momento del
concepimento, viene ricostituito il numero normale di cromosomi. Nella meiosi, le
informazioni genetiche ereditate dalla madre e dal padre di un soggetto vengono
ricombinate attraverso il crossing over, o scambio, tra i cromosomi omologhi.

I geni, le unità di base dell’eredità, sono disposti linearmente all’interno del DNA
lungo i cromosomi; ciascun gene ha una collocazione (locus) o una posizione
specifica nei cromosomi. Il numero e la disposizione dei loci sui cromosomi
omologhi sono solitamente identici. Tuttavia, la struttura di un gene specifico può
presentare variazioni minori (polimorfismi) senza dar luogo alla malattia. Le
sequenze nucleotidiche specifiche dei geni che occupano i due loci omologhi
lungo i due cromosomi appaiati vengono definite alleli. I due alleli (vale a dire,
uno ereditato dalla madre e uno ereditato dal padre) possono presentare
sequenze nucleotidiche leggermente differenti o possono essere identici. Un
soggetto con 2 alleli identici per un particolare gene è un omozigote; un soggetto
con 2 alleli diversi è un eterozigote.

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Principi generali di genetica medica

Se un carattere o un disordine si determinano quando è anomalo solo un allele, il


disordine è definito dominante. Un disordine è definito recessivo se si verifica
solo quando entrambi gli alleli nei loci di entrambi i cromosomi sono anomali. Una
piccola quantità di geni è localizzata nel DNA mitocondriale (v. oltre). Molte copie
di DNA mitocondriale sono presenti nel citoplasma e possono avere la stessa
struttura (omoplasmia) o strutture differenti (eteroplasmia) di DNA.

Ci sono tre tipi di disordini genetici: le mutazioni mendeliane, o di un singolo


gene, che sono ereditate con modelli riconoscibili; le condizioni multifattoriali, che
coinvolgono più di 1 gene e fattori ambientali, i quali interagiscono con modalità
che non sempre sono chiaramente riconoscibili ma che vengono descritte
dall’osservazione (empiricamente) e le alterazioni cromosomiche, che includono i
difetti strutturali e le modificazioni del numero normale (v. Cap. 247).
Recentemente, sono stati identificati modelli di ereditarietà mitocondriali e non
tradizionali.

Gli esseri umani variano per fenotipo e per genotipo. L’eterogeneità deriva dagli
alleli e dalle mutazioni differenti dei molteplici geni, che partecipano a quasi tutti i
processi biochimici. Mutazioni in parti differenti di un gene possono provocare
disordini differenti. Per esempio, le mutazioni in siti differenti del gene per un tipo
di collageno possono determinare alta statura, artrite e sordità oppure nanismo
letale. Sono state identificate più di 60 cause specifiche di sordità congenita;
alcune sono genetiche (per coinvolgimento di geni nucleari e mitocondriali),
mentre altre sono di natura virale (virus della rosolia) o legate ad altri agenti di
tipo ambientale. Sta crescendo l’interesse verso gli effetti teratogeni di farmaci
assunti durante la gravidanza. Per esempio, le donne che assumono alcol
durante la gravidanza sono a maggior rischio di dare alla luce un figlio con ritardo
mentale e disturbi comportamentali, ritardo di crescita intrauterina e
malformazioni congenite (v. Sindrome alcolica fetale alla voce Problemi
metabolici nel neonato al Cap. 260).

Così, manifestazioni fenotipiche simili possono essere dovute a diverse


mutazioni in differenti geni, a fattori non genetici o a entrambi. Per stabilire la
causa del problema del soggetto e per meglio determinare il rischio che corrono i
discendenti, il medico deve raccogliere una minuziosa anamnesi familiare e
indagare sui possibili fattori ambientali, tenendo a mente l’eterogeneità. Non
sempre è possibile identificare l’agente causale specifico.

Le potenti tecniche di genetica molecolare hanno reso possibile lo studio della


struttura del DNA e l’osservazione delle modificazioni durante lo sviluppo e nei
differenti tessuti. La struttura di un gene è complessa e comprende elementi di
controllo (p. es., promotori, di accrescimento), elementi espressi (esoni), elementi
intermedi che non sono espressi (introni) e un segnale terminale. La
configurazione del DNA di un gene in un tessuto che non esprime il gene è
probabilmente differente (p. es., metilato, condensato) da quella di un gene che
si esprime attivamente.

Il Progetto Genoma Umano è un vasto progetto internazionale di collaborazione


iniziato nel 1991. L’obiettivo è tracciare una mappa di geni specifici per siti
specifici sui cromosomi e determinare la loro esatta sequenza nucleotidica (il
genoma di un essere umano) per il 2005. Il mappaggio può essere effettuato
attraverso studi di famiglia, utilizzando i siti noti dei marcatori del DNA, e
comprende l’isolamento di piccoli tratti di DNA e il sequenziamento dei geni e del
restante DNA in quell’area.

SCREENING GENETICO

Lo screening genetico può essere utilizzato nelle popolazioni a rischio di un


particolare disordine genetico. Lo screening genetico è appropriato solo quando
si conosce la storia naturale della malattia, i test di screening sono validi e
attendibili, la sensibilità, la specificità e le percentuali di falsi negativi e falsi
positivi sono accettabili ed è disponibile una terapia efficace. Si deve ottenere un
vantaggio certo da un programma di screening che giustifichi i suoi costi.

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Principi generali di genetica medica

Screening dell’eterozigote: lo screening di una popolazione suscettibile (p. es.,


la malattia di Tay-Sachs negli Ebrei ashkenaziti, l’anemia falciforme nei neri, la
talassemia in vari gruppi etnici) può essere appropriato a causa dell’elevata
frequenza di eterozigoti. Lo screening dell’eterozigote può stabilire se una
persona è portatrice di un disordine specifico. Se il partner è anche un
eterozigote, la coppia è a rischio di generare un figlio affetto. Lo screening
consente alla coppia di compiere scelte riproduttive informate.

Screening genetico pre-sintomatico: lo screening genetico pre-sintomatico


può essere adatto a persone con storia familiare di un disordine ereditato con
modalità dominante (p. es., la malattia di Huntington, il carcinoma mammario).
L’identificazione di un definito portatore del disordine genetico può consentire al
paziente di prendere decisioni informate (p. es., monitoraggio nel caso del
carcinoma mammario, scelte sulla riproduzione nel caso della malattia di
Huntington o della malattia del rene policistico dell’adulto).

Diagnosi prenatale: l’amniocentesi, il campionamento dei villi corioidei, il


campionamento del sangue del cordone ombelicale, il campionamento del
sangue materno, lo screening del siero materno e la visualizzazione del feto con
ecografia e radiografia sono utili nella diagnosi prenatale (v. Cap. 247).
Motivazioni frequenti per lo screening prenatale includono l’età della madre
> 35 anni, familiarità per una condizione che può essere diagnosticata dalle
metodiche prenatali, risultati anomali allo screening del siero materno e alcune
complicanze della gravidanza.

Screening del neonato: lo screening per fenilchetonuria, galattosemia e


ipotiroidismo nel neonato consente di iniziare precocemente la profilassi (cioè,
una dieta particolare o una terapia sostitutiva) in modo tale da prevenire gravi
complicanze.

COSTRUZIONE DELL’ALBERO GENEALOGICO DI UNA FAMIGLIA

L’anamnesi familiare è spesso la chiave per determinare il rischio genetico. Essa


è più facilmente registrabile mediante l’albero genealogico di una famiglia (albero
familiare), che utilizza simboli convenzionali (v. Fig. 286-1).

L’albero genealogico fornisce un’immediata visione dei problemi o delle patologie


nell’ambito della famiglia e facilita l’analisi dei modelli di ereditarietà, compresi il
range e il grado di affezione e la variazione tra persone e generazioni. Alcune
malattie familiari con fenotipi identici presentano modelli differenti di ereditarietà.
Per esempio, la palatoschisi può avere un modello di ereditarietà autosomico
dominante, autosomico recessivo, recessivo legato al cromosoma X o può
essere multifattoriale (cioè, familiare, ma che non segue precisamente le leggi
dell’ereditarietà).

Nell’albero genealogico le generazioni sono numerate con i numeri romani (v.


Fig. 286-2 , 286-3 , 286-4 , 286-5), con le generazioni più anziane in alto e le più
recenti in basso. Nell’ambito di ciascuna generazione, le persone sono numerate
da sinistra a destra con numeri arabi. I fratelli sono elencati di solito a seconda
dell’età con il maggiore a sinistra. Così, ogni membro dell’albero genealogico può
essere identificato da due numeri (p. es., II, 4). Anche al coniuge viene attribuito
un numero di identificazione (p. es., II, 6 nella Fig. 286-2).

Lo studio di un carattere o di una malattia comincia con il soggetto affetto (il


probando, il proposito [maschile], la proposita [femminile]o caso indice). Quando
si raccoglie una anamnesi familiare, il medico solitamente costruisce l’albero
genealogico in base a quanto riferito dai parenti. Si comincia col chiedere
informazioni sui fratelli del probando quindi sui genitori; sui parenti dei genitori,
compresi fratelli, sorelle e nipoti; sui nonni e così via. Il numero dei parenti inclusi
nell’albero dipende dal modello di trasmissione della patologia e dal ricordo e
dalla consapevolezza che ha il soggetto intervistato. Solitamente sono incluse
almeno 3 generazioni. Vengono registrate le malattie, le ospedalizzazioni, le

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Principi generali di genetica medica

cause di decesso, gli aborti spontanei, gli aborti volontari, le anomalie congenite
e ogni altro aspetto inconsueto.

CONSULENZA GENETICA

La consulenza genetica consiste nel raccogliere una accurata anamnesi familiare


e nel prestare attenzione alle preoccupazioni e alle domande della famiglia
mediante la raccolta di informazioni appropriate dalla letteratura e dagli specialisti
di genetica; è spesso importante la consultazione di un esperto che si occupa
della condizione specifica.

Le informazioni fornite devono comprendere la diagnosi e i metodi diagnostici,


compresa l’identificazione dei portatori; la storia naturale del disordine e delle sue
complicanze; il rischio di recidive per il paziente e per i vari membri della famiglia;
le potenziali terapie e le scelte sulla riproduzione. Comunicare i rischi e le opzioni
genetiche è un processo complicato che spesso richiede visite di follow-up e
relazioni scritte.

Esistono molti gruppi di supporto alle famiglie per specifiche malattie genetiche.
La maggior parte di essi organizza incontri periodici attraverso associazioni in
numerose sedi e divulga informazioni utili.

Esistono centri di consulenza genetica presso scuole mediche negli USA e in


Canada. I pazienti e le famiglie possono essere indirizzati per la diagnosi, le
consulenze, la gestione e le informazioni. Un rapporto di collaborazione tra il
centro di genetica e il medico di famiglia è essenziale per il miglior interesse della
famiglia e per il follow-up.

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

247. VALUTAZIONE E CONSULENZA GENETICA


PRENATALI

(V. anche Cap. 286)

Lo screening genetico identifica le persone che hanno un rischio aumentato di


sviluppare o di concepire una prole con malattie genetiche. Lo screening
genetico è una procedura di routine nell’ambito delle cure prenatali.

Si deve eseguire un’accurata anamnesi familiare che va poi esemplificata sotto


forma di un albero genealogico (i simboli comunemente usati sono descritti nella
Fig. 286-1). Le informazioni minime da ottenere riguardano tre generazioni: tutti i
parenti di primo grado (genitori, fratelli e sorelle, figli) e di secondo grado (zii,
nonni) del soggetto esaminato e il loro stato di salute. Per storie familiari
complicate sono necessari alberi genealogici più estesi. Si deve valutare di
routine l’origine etnica, così come qualsiasi matrimonio tra consanguinei. Se si
sospettano delle malattie genetiche, è necessario rivedere le relative cartelle
cliniche.

La diagnosi di molte malattie genetiche è basata sui segni clinici (fenotipo)


piuttosto che sulla sintomatologia. È quindi fondamentale una descrizione
dettagliata dei reperti obiettivi, in particolare nei nati morti e nei neonati deceduti
subito dopo la nascita. Vanno effettuate delle fotografie e delle radiografie total-
body, che devono essere poi allegate alla documentazione clinica; possono
essere di grosso valore per le future consulenze. È consigliabile anche la
crioconservazione dei tessuti fetali (fegato, tessuti contenenti fibroblasti) per
permettere futuri studi enzimatici o sul DNA, se la causa della morte è poco
chiara.

Lo screening dei portatori si riferisce generalmente all’identificazione degli


eterozigoti (portatori) di patologie autosomiche recessive o legate al
cromosoma X. In ostetricia, lo screening fornisce ai futuri genitori delle
informazioni circa la possibilità che i loro bambini ereditino un disordine genetico,
cosicché possano prendere in considerazione delle alternative riproduttive
(p. es., la diagnosi prenatale con una possibile interruzione della gravidanza o il
trattamento dei feti affetti, l’inseminazione artificiale se il portatore è l’uomo, la
donazione di oociti se il portatore è la donna, l’evitare la gravidanza).

Eseguire uno screening di tutta la popolazione è impossibile, anche per le sole


patologie più comuni. I criteri generali per lo screening includono la disponibilità
di un test per l’identificazione della patologia sospetta che sia semplice, accurato
e poco costoso; la provenienza etnica, razziale e geografica; l’aumentato rischio
per uno specifico disordine genetico; la disponibilità di una terapia o di alternative
riproduttive per i portatori identificati. Negli USA, 3 patologie rispondono a questi
requisiti: la malattia di Tay-Sachs, l’anemia falciforme e le talassemie. Per le altre
patologie (p. es., l’emofilia, la fibrosi cistica, la distrofia muscolare di Duchenne),
può essere possibile uno screening basato sull’anamnesi familiare. In un
convegno del National Institutes of Health è stato recentemente raccomandato lo
screening di tutte le donne gravide e di tutte le persone in età riproduttiva, per la
fibrosi cistica. Le linee guida per rispettare questa raccomandazione sono in
preparazione. Le tecniche molecolari (v. Cap. 286) possono spesso modificare in
maniera sostanziale il rischio teorico, evitando a volte la necessità di una
diagnosi invasiva prenatale. Per esempio, una donna gravida il cui fratello ha
l’emofilia, teoricamente ha un rischio del 50% di essere portatrice del gene della
emofilia; se lo screening dimostra che lei non è una portatrice, il suo rischio di
avere un bambino con l’emofilia è quasi nullo. Per una valutazione più accurata

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Valutazione e consulenza genetica prenatali

possibile del rischio, a volte devono partecipare diversi parenti (inclusi quelli
affetti).

L’anemia falciforme (v. anche Cap. 127), la patologia mendeliana più frequente
tra i neri americani (circa 1 ogni 400), è un disordine autosomico recessivo. Le
persone affette da un’anemia falciforme sono omozigoti per il gene mutante;
quelle con il tratto della malattia sono eterozigoti (cioè esprimono sia il gene
normale che quello alterato). La sostituzione di un singolo nucleotide (da GAG a
GTG) nel 6o codone del gene della β-globulina provoca la trascrizione
dell’aminoacido valina (al posto dell’acido glutammico) con la formazione di una
molecola di Hb anomala. Sono disponibili diversi test di screening per il portatore;
l’elettroforesi dell’Hb deve essere usata per confermare i risultati dei test di
screening. La diagnosi prenatale può essere effettuata con l’analisi diretta del
DNA ottenuto dai villi coriali o dalle cellule del liquido amniotico. Lo screening dei
neonati per l’anemia falciforme è raccomandato perché la profilassi antibiotica,
somministrata alle persone affette, può ridurre l’incidenza delle infezioni che
spesso rappresentano l’evento scatenante della crisi falciforme.

La malattia di Tay-Sachs (una GM2 gangliosidosi, v. anche in Altre lipidosi nel


Cap. 16) è un disordine autosomico recessivo che interessa circa 1 ogni
3600 bambini ebrei Ashkenazi e abitanti della Louisiana di origine francese.
L’esosaminidasi A, che è coinvolta nel metabolismo dei gangliosidi (una classe di
lipidi del sistema nervoso), è assente. I portatori possono essere individuati
evidenziando una riduzione intermedia dell’attività dell’esosaminidasi A nel siero.
Tuttavia, durante la gravidanza e durante l’uso di contraccettivi per via orale,
l’attività dell’esosaminidasi A nel siero normale diminuisce in rapporto
all’esosaminidasi totale, producendo risultati falsi positivi. Sono, invece,
raccomandate le misurazioni dell’esosamininidasi dei leucociti, che non sono
coinvolti in queste situazioni. La diagnosi prenatale può essere effettuata
titolando l’attività dell’esosaminidasi A nelle cellule in coltura dei villi coriali o del
liquido amniotico; l’attività può essere misurata anche, direttamente nei villi
coriali. A volte è possibile la diagnosi per mezzo dell’analisi del DNA.

Le talassemie (v. anche Talassemie nel Cap. 127) sono un gruppo eterogeneo
di anemie ereditarie in cui è ridotta la sintesi di Hb. Nell’α-talassemia è assente
uno dei 4 geni (in due differenti loci) che codificano le due catene α della
molecola dell’Hb; l’α-talassemia è più comune tra le persone del Sud-Est asiatico.
La β-talassemia major (la malattia) si distingue in 2 grandi gruppi con alterata
sintesi delle catene β. Nel gruppo βo, l’mRNA per le catene β è assente o non
funzionante. Nel gruppo β+, il gene β è soppresso in modo incompleto, con una
riduzione della quantità di mRNA. La β-talassemia è presente in tutte le
popolazioni, ma è più comune nelle regioni del Mediterraneo, nel Medio Oriente e
in parte dell’India e del Pakistan. Lo screening dei portatori per l’α-talassemia e la
β-talassemia minor asintomatiche (lo stato di portatore) può essere eseguito
valutando i parametri dei GR. Nelle persone che non hanno un deficit di ferro, un
valore corpuscolare medio di Hb di 20-22 pg e volumi globulari medi di 50-70 fl
sono suggestivi del loro stato di portatori. Lo stato di portatore della β-talassemia
è confermato dalla dimostrazione di livelli elevati di Hb A2 all’elettroforesi. I livelli
dell’Hb A2 sono normali nei portatori di α-talassemia. La diagnosi prenatale sia
della α- che della β-talassemia può essere fatta con tecniche di analisi
molecolare. È essenziale una caratterizzazione accurata dell’alterazione
molecolare.

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Anemie

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. ANEMIE

Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di


perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione
di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI

EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO

ANEMIE CAUSATE DA DIFETTOSA SINTESI EMOGLOBINICA

(Emoglobinopatie)

Alterazioni genetiche della molecola dell’Hb che si rendono evidenti attraverso


alterazioni delle caratteristiche chimiche, della mobilità elettroforetica o delle
proprietà fisiche della proteina.

MALATTIA A CELLULE FALCIFORMI

(Malattia da emoglobina S; drepanocitosi; meniscocitosi)

Anemia emolitica cronica che si manifesta quasi esclusivamente nella razza nera
ed è caratterizzata da GR con forma a falce, alterazione dovuta alla presenza di
Hb S nell’individuo omozigote.

Sommario:

Eziologia, incidenza e patogenesi


Sintomi e segni
Esami di laboratorio e diagnosi
Prognosi e terapia

Eziologia, incidenza e patogenesi

Gli omozigoti presentano un’anemia a cellule falciformi (circa lo 0,3% dei neri
americani); gli eterozigoti non sono anemici, ma il trait falciforme (falcemia) può
essere dimostrata in vitro (8-13% della popolazione nera).

Nell’Hb S il sesto aminoacido della catena β, l’acido glutamico, è sostituito dalla


valina. Ciò determina una diminuzione della carica elettrica della proteina e fa sì
che, all’elettroforesi, essa si muova verso l’anodo più lentamente dell’Hb A. La
deossi-Hb S è notevolmente meno solubile della deossi-Hb A e forma un gel
semisolido (polimerizzazione) di tactoidi bastoncelliformi, determinando così la
falcizzazione dei GR nelle aree in cui la PO2 è bassa. Deformati, i GR non
flessibili aderiscono all’endotelio vascolare e ostruiscono le piccole arteriole e i
capillari, provocando occlusione e infarto. I GR falciformi, essendo più fragili di
quelli normali e incapaci di resistere al trauma meccanico che la circolazione
stessa comporta, vanno incontro a emolisi dopo che essi entrano nella
circolazione.

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Anemie

Sintomi e segni

Negli omozigoti le manifestazioni cliniche sono causate dall’anemia e da eventi


vaso-occlusivi che portano alla trombosi e all’infarto tissutale. La crescita e lo
sviluppo sono carenti e aumenta la suscettibilità alle infezioni. L’anemia di solito è
grave, sebbene di grado estremamente variabile tra i pazienti; la maggior parte
presenta un modico ittero (livelli di bilirubina compresi tra 2 e 4 mg/dl [34-68 µmol/
l]). Nel bambino a volte l’anemia è esacerbata dall’improvviso sequestro delle
cellule falciformi nella milza.

I pazienti possono avere una scarsa crescita corporea e spesso presentano un


tronco relativamente corto con arti lunghi e turricefalia. La iperattività midollare
cronica determina modificazioni ossee tipiche che si rendono visibili all’esame
radiologico: caratteristici sono a livello del cranio l’ampliamento degli spazi
diploici e l’aspetto a raggi di sole delle trabecole diploici. Le ossa lunghe
mostrano frequentemente ispessimento corticale, struttura disomogenea e
neoformazione ossea all’interno del canale midollare. Nel bambino è comune
un’epatosplenomegalia; nell’adulto, invece, la milza è normalmente di dimensioni
molto piccole, a causa di questa "autosplenectomia". Quindi, una milza palpabile
in tali pazienti suggerisce un’Hb S-C o S-A. È presente di solito cardiomegalia
con prominenza del cono polmonare. I soffi cardiaci possono simulare una
cardiopatia congenita o di natura reumatica. È frequente la colelitiasi.

La crisi aplastica si manifesta quando l’eritropoiesi midollare rallenta durante le


infezioni acute (specialmente virali). Gli infarti ossei generano crisi dolorose, il più
comune sintomo nell’Hb S-S, S-A e S-C. Il dolore alle ossa lunghe (p. es.,
pretibiale) è il segno clinico più frequente; nei bambini un forte dolore alle mani e
ai piedi (p. es., sindrome mani-piedi) è frequente e caratteristico. Si può avere
artralgia accompagnata da febbre, mentre è frequente la necrosi avascolare della
testa del femore. Le ulcere a stampo della regione perimalleolare costituiscono
un problema comune. Forte dolore addominale e vomito possono simulare gravi
disordini addominali e queste crisi dolorose sono abitualmente accompagnate da
dolore lombare e articolare. Le trombosi dei vasi cerebrali di maggior calibro
possono portare a emiplegia, paralisi dei nervi cranici e altri disturbi neurologici.
Particolarmente durante la prima infanzia sono frequenti le infezioni di solito
pneumococciche, spesso fatali.

La sindrome toracica acuta è la maggiore causa di morte nei pazienti con


età > 5 anni. Si verifica in tutti i gruppi di età, ma la sua frequenza si riduce
nell’età adulta. È caratterizzata da comparsa repentina di febbre, dolore toracico,
leucocitosi e infiltrati parenchimali polmonari rilevabili radiograficamente. Gli
infiltrati iniziano nei lobi inferiori, possono essere bilaterali in 1/3 dei casi e
possono essere associati a effusione pleurica. La sindrome mima la polmonite
batterica e può far seguito a tale infezione. Le lesioni sono quelle di
un’occlusione microvascolare e si può instaurare una rapida ipossiemia. La
terapia ventilatoria di supporto e la presa in considerazione di
un’exanguinotrasfusione (per PO2 < 70 mm Hg in corso di somministrazione di
O2) è importante. Nei pazienti più anziani si ha un progressivo decadimento delle
funzioni renali e polmonari. Il priapismo, una seria complicanza con possibilità di
impotenza, è molto comune nei maschi giovani.

Nella condizione di eterozigosi (Hb AS) i pazienti sono normali e non presentano
emolisi, crisi dolorose o complicanze trombotiche. Può esser presente
un’aumentata incidenza della rabdomiolisi e di morte improvvisa nei pazienti
portatori di Hb AS che sostengono sforzi fisici molto intensi. È frequente
un’ipostenuria. A volte si ha ematuria monolaterale (mediante un meccanismo
sconosciuto e di solito dal rene sinistro), ma di solito è autolimitata; il
riconoscimento della condizione di eterozigosi per il carattere falciforme permette
di capire la causa dell’emorragia unilaterale e quindi di evitare un’inutile
nefrectomia.

Nella malattia a cellule falciformi è più frequente la tipica necrosi papillare renale.

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Anemie

Esami di laboratorio e diagnosi

La conta dei GR è abitualmente compresa tra 2 e 3 milioni/µl con una riduzione


proporzionale dell’Hb. Le cellule sono normocitiche. Un basso valore di MCV
fornisce evidenza di una concomitante α-talassemia. Lo striscio periferico
essiccato e colorato può mostrare soltanto alcune cellule di aspetto falciforme. Il
dato di laboratorio patognomonico è rappresentato dalla falcizzazione, fenomeno
che si verifica o quando una goccia di sangue non colorato viene sottoposta
all’azione di agenti riducenti (p. es., il metabisolfito di sodio) o se ne viene
impedito l’essiccamento. La falcizzazione può anche essere generata da bassa
tensione di O2. Ponendo una goccia di sangue tra due vetrini i cui bordi vengono
sigillati con vaselina è possibile osservare al microscopio la falcizzazione. Un
metodo di screening ampiamente usato è un esame in provetta, molto rapido,
che si basa sulle caratteristiche di solubilità dell’Hb S.

È comune una reticolocitosi del 10-20%, con presenza di GR nucleati nel sangue
periferico. Può esserci una leucocitosi fino a 35000/µl con spostamento verso le
forme più giovani, durante le crisi falciformi o infezioni batteriche. Le piastrine
sono di solito aumentate. Il midollo osseo mostra un’iperplasia eritroblastica;
durante le falcizzazione o le infezioni gravi, invece, esso può diventare aplastico.
La bilirubina sierica e l’urobilinogeno fecale e urinario sono di solito aumentati,
mentre la VES è bassa.

La condizione di omozigosi viene diagnosticata attraverso l’elettroforesi dell’Hb


che mette in evidenza soltanto la presenza di Hb S con una quantità variabile di
Hb F. L’eterozigosi è riconosciuta per la presenza di maggiore quantità di Hb A
che di HbS all’elettroforesi. L’Hb S può essere riconosciuta dalle altre Hb che
hanno una migrazione elettroforetica simile. Si ricorre alla prova della
falcizzazione, naturalmente negativa in queste ultime. Questa distinzione è molto
importante nel campo del consultorio genetico. La sensibilità della diagnosi
prenatale è molto aumentata dalla disponibilità della tecnica della polymerase
chain reaction (PCR).

Prognosi e terapia

La durata di vita dei pazienti omozigoti è costantemente aumentata fino a oltre


50 anni di età. Le cause frequenti di morte sono le infezioni intercorrenti,
l’embolia polmonare diffusa, la trombosi di arterie di importanza vitale e
l’insufficienza renale.

La terapia è sintomatica, poiché non esiste in vivo alcun farmaco anti-


falcizzazione. La splenectomia e i medicamenti antianemici non hanno alcun
valore. Le emotrasfusioni devono essere effettuate soltanto nelle anemie gravi
(p. es., durante le crisi aplastiche che accompagnano le infezioni) e sono di
scarso uso per le crisi dolorose. In linea generale, il trattamento delle crisi deve
comprendere la somministrazione di abbondanti liquidi PO o EV e di analgesici,
compresi i narcotici (somministrati regolarmente, non al bisogno e spesso
richiesti ad alto dosaggio), per il dolore. Le crisi possono persistere per 5 giorni.
Le indicazioni accettate per le trasfusioni comprendono la presenza di sintomi
cardiopolmonari (in particolare quando l’Hb è < 5 g/dl) o di segni (p. es.,
insufficienza cardiaca ad alta gittata o ipossiemia con PO2 < 65 mm Hg) oppure
di altre situazioni che mettono in pericolo la vita del paziente e che potrebbero
giovarsi di un aumentato rilascio di O2 (p. es., sepsi, infezioni gravi, accidenti
cerebrovascolari e insufficienza d’organo). Le trasfusioni e il cambio dei GR sono
anche indicate prima dell’anestesia generale e della chirurgia. L’obiettivo
terapeutico è di mantenere il contenuto di Hb A a un valore > 50%; tuttavia, la
validità di questo approccio non è stata provata. Infine, un programma di
trasfusioni croniche riduce le emorragie cerebrali ricorrenti ed è raccomandato
nei pazienti con età < 18 anni e che hanno avuto un accidente vascolare. La
terapia è praticata per 3 anni e le trasfusioni sono eseguite al bisogno
(normalmente ogni 3-4 settimane) al fine di mantenere l’Hb A a un valore > 50%
(50-70%) dell’Hb totale. Inoltre è raccomandato per i pazienti con ulcere
recidivanti degli arti inferiori e, probabilmente, durante la gravidanza.

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Anemie

Una sostituzione parziale del sangue risulta, di solito, la procedura migliore, dal
momento che lo scopo di tali programmi terapeutici deve essere quello di
ottenere una concentrazione di GR falciformi < 30%, con un Htc 46%. Una
sostituzione parziale del sangue o l’ipertrasfusione possono interrompere una
serie di crisi dolorose subentranti. L’exanguinotrasfusione parziale è eseguita con
un separatore cellulare extracorporeo, che rimuove selettivamente i GR dal
sangue del paziente. I GR normali (con Hb A) sono infusi continuamente per
raggiungere la concentrazione desiderata di Hb A (> 50%), che è misurata
tramite elettroforesi. Particolare cura deve essere tenuta per mantenere
l’Htc < 46% in modo tale che l’iperviscosità non vada ulteriormente a complicare
il flusso sanguigno. L’ipertrasfusione è la somministrazione di GR normali,
usando obiettivi simili. Questo approccio si applica a pazienti il cui Htc sia < 22-
24%. Le cellule normali sopprimeranno la produzione endogena (cellule
falciformi) di GR; poiché i GR normali hanno una più lunga sopravvivenza, la
percentuale di cellule S si ridurrà con l’aumento delle cellule normali.

La profilassi antibiotica, i vaccini pneumococcici (v. Infezioni pneumococciche al


Cap. 157), l’identificazione e il trattamento precoci di gravi infezioni batteriche e
la profilassi penicillinica con terapia orale continua (iniziando dall’età di 4 mesi)
hanno ridotto la mortalità, specialmente nell’età infantile.

Poiché i pazienti con la sindrome da cellula falciforme che hanno elevati livelli di
Hb fetale sembrano essere protetti da alcune sequele avverse, l’idrossiurea (un
inibitore della ribotide-reduttasi) è stata studiata per la sua capacità di aumentare
i livelli di Hb fetale. L’idrossiurea riduce le crisi dolorose (del 50%) e riduce la
sindrome toracica acuta così come la necessità delle trasfusioni.

Inoltre, il trapianto di midollo osseo ha avuto successo in un piccolo numero di


pazienti, sebbene l’incidenza di sequele neurologiche appare aumentato. La
terapia genetica attualmente offre la migliore speranza di cura.

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Ematologia e oncologia

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. Anemie

Anemie causate da emorragia

Anemia acuta postemorragica

Anemia da emorragia cronica

Anemia causata da insufficiente eritropoiesi

Anemie microcitiche

Anemia sideropenica

Anemia da deficit di trasporto del


ferro

Anemie da cattiva utilizzazione del


ferro

Anemia in corso di malattia cronica

Anemie normocitiche normocromiche

Anemie ipoproliferative

Anemia aplastica

Anemia mieloftisica

Mielodisplasia

Anemia macrocitica non megaloblastica

Anemie megaloblastiche

Anemia da carenza di vitamina B12

Anemia da carenza di acido folico

Anemia da carenza di vitamina C

Anemie causate da iperemolisi

Emolisi causata da difetti estrinseci al globulo


rosso

Anemie causate da iperattività


reticoloendoteliale

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Ematologia e oncologia

Anemie causate da anomalie


immunologiche

Anemie causate da danno meccanico

Emolisi da difetti intrinseci del globulo rosso

Anemie causate da alterazioni del


globulo rosso

Anemie causate da alterazioni del


metabolismo eritrocitario

Anemie causate da difettosa sintesi


emoglobinica

Malattia a cellule
falciformi

Malattia da emoglobina
C

Malattia da emoglobina
S-C

Malattia da emoglobina
E

Talassemia

Malattia da emoglobina
S-b-talassemia

128. Sovraccarico di ferro

129. Medicina trasfusionale

La raccolta del sangue

Test pretrasfusionali

Prodotti ematici

Tecnica

Complicanze

Emaferesi terapeutica

130. Malattie mieloproliferative

Policitemia vera

Eritrocitosi secondaria

Mielofibrosi

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Ematologia e oncologia

Trombocitemia primitiva

Trombocitemia secondaria

131. Disordini dell’emostasi e della coagulazione

Disordini della coagulazione ereditari

Emofilia

Malattie coagulative ereditarie rare

Coagulopatie acquisite

Disordini della coagulazione correlati a malattie


epatiche

Coagulazione intravascolare disseminata (CID)

Disordini della coagulazione da anticoagulanti


circolanti

Anticoagulanti circolanti

132. Disordini trombotici

133. Disordini piastrinici

Trombocitopenia

Disfunzioni piastriniche

134. Disordini emorragici vascolari

Porpora semplice

Porpora senile

Teleangiectasia emorragica ereditaria

Porpora di Henoch-Schönlein

Porpora vascolare causata da disprotidemie

Vasculite leucocitoclastica

Sensibilizzazione autoeritrocitaria

135. Leucopenia e linfocitopenia

136. Disordini degli eosinofili

137. Sindromi istiocitiche

138. Le leucemie

Leucemia acuta

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Ematologia e oncologia

Leucemia cronica

Sindrome mielodisplastica

139. Linfomi

Morbo di Hodgkin

Linfomi non Hodgkin

Linfoma di Burkitt

Micosi fungoide

140. Discrasie plasmacellulari

Gammopatie monoclonali di incerto significato

Macroglobulinemia

Mieloma multiplo

Malattie da catena pesante

141. Disordini della milza

Ipersplenismo

Sindromi splenomegaliche

Rottura della milza

142. Generalità sui tumori

143. Immunologia dei tumori

Antigeni tumorali

Risposta dell’ospite ai tumori

Immunodiagnosi dei tumori

Immunoterapia

144. Principi di terapia dei tumori

145. Malattie ematologiche e neoplasie associate ad aids

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Anemie

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. ANEMIE

Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di


perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione
di queste modificazioni.

Sommario:

Introduzione
Esame di laboratorio

Il termine anemia è stato usato in modo erroneo per definire una diagnosi; più
propriamente, esso denota un complesso di segni e sintomi. Il tipo di anemia
definisce il suo meccanismo fisiopatologico e la sua natura essenziale,
permettendo l’attuazione di una appropriata terapia. Non effettuare accertamenti
in caso di lieve anemia è un grave errore; la sua presenza indica una malattia
sottostante, anche se la sua gravità rivela poco circa la genesi o il vero significato
clinico.

I sintomi e i segni di anemia rappresentano le risposte compensatorie degli


apparati cardiovascolare e polmonare alla gravità dell’ipossia tissutale. L’anemia
grave (p. es., Hb < 7 g/dl) può essere accompagnata da debolezza, vertigini,
cefalea, ronzii, scotomi, affaticabilità, sonnolenza, irritabilità e anche da un
comportamento bizzarro. Possono anche manifestarsi amenorrea, perdita della
libido, disturbi gastrointestinali e, a volte, ittero e splenomegalia. Infine, si
possono avere insufficienza cardiaca congestizia o shock.

Alcuni algoritmi diagnostici possono facilitare la diagnosi differenziale (v.


Tab. 127-1). L’anemia deriva da uno o più di tre meccanismi di base: emorragia,
insufficiente eritropoiesi (produzione di GR) o eccessiva emolisi (distruzione
di GR). Prima di tutto è necessario prendere in considerazione l’eventualità di
un’emorragia; una volta che questa venga esclusa, devono essere presi in
considerazione solo gli altri due meccanismi. Poiché la sopravvivenza media dei
GR è di 120 gg, il mantenimento di una popolazione stazionaria di GR richiede
ogni giorno il rinnovo di 1/120 delle cellule. L’arresto completo dell’eritropoiesi dà
luogo a una diminuzione di circa il 10%/sett. (1%/die) dei GR. Un deficit
eritropoietico determina una reticolocitopenia relativa o assoluta. Quando il
numero diminuisce più del 10%/sett. (cioè 500000 GR/µl) in assenza di perdita
ematica, l’emolisi è un fattore causale.

Un utile approccio diagnostico nella maggior parte dei casi di anemia da


eritropoiesi insufficiente è quello di esaminare le modificazioni delle dimensioni e
della forma dei GR. Quindi, le anemie microcitiche (v. Esami di laboratorio, oltre)
suggeriscono un’alterata sintesi dell’eme o della globina (p. es., deficienza
marziale, talassemia e difetti correlati alla sintesi dell’Hb, anemia associata a
malattia cronica). Al contrario, le anemie normocitiche normocromiche
suggeriscono l’esistenza di un meccanismo ipoproliferativo o ipoplastico. Alcune
anemie sono caratterizzate da macrociti (GR di grandi dimensioni), che
suggeriscono un difetto nella sintesi del DNA. Tali anemie dipendono di solito da
alterazioni del metabolismo della vitamina B12 o dell’acido folico oppure
dall’interferenza nella sintesi del DNA operata da farmaci chemioterapici
citotossici. La reticolocitosi o la policromatofilia sono i segni di un’adeguata
risposta midollare all’anemia.

Similmente, pochi meccanismi comuni di aumentata distruzione (p. es., il

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Anemie

sequestro splenico, l’emolisi anticorpo-mediata, il difettoso funzionamento della


membrana del GR, Hb anomala) aiutano molto nella diagnosi differenziale delle
anemie emolitiche.

Uno dei più cruciali concetti clinici nella cura delle anemie è che la terapia deve
essere specifica, il che implica la necessità di una diagnosi specifica. La risposta
al trattamento conferma la diagnosi. Sebbene un trattamento multifarmacologico
(detto "a doppietta") possa determinare un transitorio miglioramento dell’anemia,
tale terapia non è giustificabile, poiché essa rischia di provocare gravi
conseguenze. La trasfusione di GR fornisce un rimedio istantaneo che deve
essere riservato a pazienti con sintomi cardiopolmonari, con segni di emorragia
irrefrenabile in atto o con alcune forme di insufficienza ipossiemica di organi
critici. Le tecniche trasfusionali e i componenti ematici verranno trattati nel
Cap. 129.

La Tab. 127-2 classifica le anemie in base alle cause.

Esame di laboratorio

I test di laboratorio quantificano la gravità dell’anemia e forniscono dati per la


diagnosi.

Raccolta del campione di sangue: il sangue viene preferibilmente prelevato


mediante puntura venosa, sebbene in qualche caso possa essere sufficiente la
puntura del polpastrello, eseguita con una lancetta sterile. Il tipo di test determina
l’eventuale anticoagulante che deve essere contenuto nelle provette di raccolta.
Sono disponibili provette sotto vuoto provviste di un ago con due punte per
facilitare il prelievo; esse contengono l’anticoagulante per effettuare la maggior
parte degli esami di routine. Tuttavia, la maggior parte delle provette sotto vuoto
disponibili in commercio non è sterile; il riflusso di sangue dalla provetta alla vena
può permettere l’ingresso di batteri nell’organismo. Per evitare tali infezioni, la
pinza emostatica deve essere rimossa prima che il flusso di sangue dentro la
provetta si interrompa; il braccio del paziente non deve muoversi durante il
prelievo (anche l’elevazione del braccio di alcuni centimetri dopo il completo
riempimento della provetta può determinare una riduzione della pressione
venosa sufficiente a provocare un flusso retrogrado di sangue); e non va
esercitata pressione sull’estremità del pistone della provetta. Se possibile, è bene
utilizzare provette sterili o dispositivi contenenti una valvola di sicurezza tra l’ago
e la provetta.

L’acido etilendiaminotetracetico (EDTA) è l’anticoagulante da preferire per la


raccolta del sangue, dal momento che la morfologia risulta meno alterata e le
piastrine meglio conservate. Esso può essere aggiunto a provette pulite o
possono essere reperite in commercio apposite provette sotto vuoto, contenenti
EDTA. I vetrini devono essere allestiti entro 3-4 h dalla raccolta del sangue o
entro 1-2 h per effettuare la conta delle piastrine.

Per le piccole quantità di sangue o quando non sia possibile la puntura


endovenosa, si punge rapidamente con una lancetta sterile monouso il dito, il
lobo dell’orecchio o, nei lattanti, la superficie plantare del tallone; la puntura deve
essere effettuata abbastanza profondamente per ottenere la fuoriuscita
spontanea del sangue. Si deve evitare di esercitare, durante la raccolta, una
pressione eccessiva, che potrebbe causare una diluizione del sangue da parte
dei liquidi tissutali.

In alcune circostanze, le provette con EDTA sono utilizzate per test coagulativi.
Qualunque sia l’anticoagulante utilizzato, poiché un’anemia (Htc < 20%) o una
policitemia (Htc > 50%) significative possono influenzare i risultati coagulativi, il
volume del campione deve essere corretto dopo che sia nota la conta
emocromocitometrica completa. Per le anemie significative, alle quantità fisse di
anticoagulante può essere aggiunta una minore quantità di sangue, aspirandolo
con una siringa; per la policitemia, il quantitativo di anticoagulante deve essere
ridotto (v. Tab. 127-3).

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Anemie

Esame emocromocitometrico completo: l’esame emocromocitometrico


completo (EECC) è una valutazione di base che comprende l’Hb, l’Htc, la conta
dei GB, la conta differenziale dei GB, la conta delle piastrine, una descrizione
dello striscio di sangue periferico relativa alla morfologia e al grado di
policromatofilia dei GR e la distribuzione della popolazione e l’architettura delle
piastrine. Spesso viene eseguita anche la conta dei GR, in particolare quando si
desideri il calcolo degli indici dei GR.

Le indicazioni per l’EECC comprendono il sospetto di malattie ematologiche,


infiammatorie, neoplastiche o infettive, lo screening dei lattanti con meno di
1 anno di vita, le donne in gravidanza, gli anziani ricoverati e i pazienti con
anomalie nutrizionali. Il valore nella valutazione sistematica di routine
all’accettazione del paziente in ospedale è controverso.

Con questo esame è possibile determinare la presenza di anemia, eritrocitosi,


leucemia, insufficienza midollare, infezione, infiammazione e reazioni avverse ai
farmaci. L’esame di uno striscio di sangue periferico può essere utile per rilevare
altre patologie (p. es., una trombocitopenia, la presenza di parassiti della malaria
e di altri parassiti, la formazione di "rouleaux", di GR nucleati o di granulociti
immaturi, inclusioni eritrocitarie e granulocitarie) che possono essere presenti
nonostante conte normali. L’esame dello striscio di sangue risulta importante per
stabilire la morfologia dei GR e la presenza di GB anomali.

Con la tecnologia automatizzata, il conteggio dei GR, dell’Hb, dell’Htc e delle


piastrine è disponibile in circa 30 sec. In rari casi, le conte cellulari ematiche
possono essere ottenute tramite una camera idonea sotto il microscopio, previo
mescolamento di una quantità nota di sangue con un diluente specifico o un
agente lisante. L’Hb può essere misurata con metodo colorimetrico dopo
trattamento con acido cloridrico, che permette rispettivamente un raffronto
colorimetrico o spettrofotometrico con ematina o cianmetaemoglobina standard.
L’Htc può essere misurato centrifugando un volume noto di sangue e
determinando la percentuale di GR relativa al volume ematico totale. La conta
differenziale dei GB si effettua colorando una goccia di sangue su un vetrino con
colorante metacromatico (p. es., di Wright) e esaminandola al microscopio con
olio da immersione. Vengono conteggiati un minimo di 100 GB; ciascun tipo
cellulare viene riportato in percentuale. Anche alcuni strumenti automatici
effettuano la conta differenziale, mediante il riconoscimento della forma. La conta
delle piastrine può essere effettuata sullo striscio di sangue (20000/µl per
ciascuna piastrina in un determinato campo d’immersione in olio[90 ⋅].

I valori normali della conta totale dei GB sono compresi tra 4300 e 10800/µl; i
valori normali della conta differenziale dei GB sono i seguenti: neutrofili
segmentati dal 34 al 75%; neutrofili a banda 8%; linfociti dal 12 al 50%; monociti
dal 3 al 15%; eosinofili 5% e basofili 3%.

Conta eritrocitaria: la concentrazione media di GR in un individuo normale a


livello del mare è di 5,4 ± 0,8 milioni/µl per gli uomini e 4,8 ± 0,6 milioni/µl per le
donne. Alla nascita la conta dei GR è leggermente più alta; intorno al 3° mese
scende a circa 4,5 ± 0,7 milioni/µl e dopo i 4 anni aumenta progressivamente fino
alla pubertà.

Il livello normale di Hb è di 16 ± 2 g/dl per gli uomini e di 14 ± 2 g/dl per le donne.


L’Htc (cioè il volume dei GR impaccati) è 47 ± 5% per gli uomini e 42 ± 5% per le
donne. I criteri diagnostici per l’anemia nell’uomo sono un numero di
GR < 4,5 milioni/µl, Hb < 14 g/dl o un Htc < 42%; per la donna abbiamo invece
GR < 4 milioni/µl, Hb < 12 g/dl o un Htc < 37%.

Conta reticolocitaria: la sostituzione giornaliera dei GR (dai 40000 ai 50000/µl)


rappresenta lo 0,5-1,5% della conta totale dei GR. Queste cellule possono
essere identificate come policromatofile nelle colorazioni di routine (p. es.,
colorante di Wright o Giemsa, che evidenziano i residui di RNA) o come
reticolociti allorché vengano usate tecniche di colorazione sopravitale che
permettono il riconoscimento del reticolo endoplasmatico presente nelle cellule.
La conta reticolocitaria viene effettuata prendendo alcune gocce di sangue
inizialmente colorate con blu di metilene fresco, poi contrastate con colorante di

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Anemie

Wright. In immersione, vengono contati 1000 GR consecutivi e quelli che


presentano un reticolo di colore blu sono contati ed espressi in percentuale
(normalmente lo 0,5-1,5%). I reticolociti possono anche essere contati mediante
contatori differenziali automatici.

Dal momento che i reticolociti rappresentano una popolazione cellulare giovane,


la conta reticolocitaria costituisce un importante criterio di attività midollare, che
può essere considerata una risposta al necessario rinnovamento dei GR. Una
conta reticolocitaria aumentata (reticolocitosi) suggerisce una risposta di
recupero dopo una perdita di sangue acuta o una risposta a una terapia specifica
effettuata per un’anemia da eritropoiesi insufficiente (p es., anemie da carenza di
vitamina B12, acido folico e ferro [Fe]). La reticolocitosi è particolarmente
evidente nelle anemie emolitiche e nelle gravi emorragie acute. Una conta
reticolocitaria normale nel corso di un’anemia indica l’incapacità del midollo
osseo a rispondere in modo adeguato. Tale reticolocitopenia è di solito causata
da deficienze nutrizionali o ormonali che comportano un’insufficiente eritropoiesi;
un meccanismo drammatico è la presenza di infezioni virali (soprattutto da
parvovirus umano B19), come causa, di una grave, ma transitoria, riduzione della
produzione di GR.

Indici eritrocitari: il tipo di anemia può essere indicato dagli indici eritrocitari: il
volume corpuscolare medio (MCV), l’Hb corpuscolare media (MCH) e la
concentrazione di Hb corpuscolare media (MCHC). Le popolazioni eritrocitarie
sono definite microcitiche (MCV < 80 fl) o macrocitiche (MCV > 95 fl). Il
termine ipocromia si riferisce a popolazioni di cellule con MCH < 27 pg/GR o
MCHC < 30%. Queste relazioni quantitative normalmente possono essere
desunte dall’osservazione dello striscio di sangue periferico e, insieme con gli
indici, permettono una classificazione delle anemie che si correla con quella
eziologica (v. Tab. 127-1) ed è di grande aiuto per la diagnosi.

Tecniche elettroniche automatizzate misurano direttamente l’Hb, la conta dei GR


e il MCV, mentre l’Htc, la MCH e la MCHC sono derivati da questi dati. Così il
MCV è diventato attualmente l’indice più importante nella diagnosi differenziale
delle anemie mentre si è ridotta la fiducia nei parametri derivati (specialmente
l’Htc). La citometria a flusso automatizzato fornisce un nuovo parametro nella
diagnosi dfferenziale: un istogramma di anisocitosi (variazione delle dimensioni
cellulari) può essere automaticamente espresso come coefficiente di variazione
dell’ampiezza della distribuzione volumetrica dei GR (RDW).

Può manifestarsi anche poichilocitosi (variazione della forma). Lesioni dei GR


possono essere identificate tramite reperimento di frammenti di GR, parti di
cellule rotte (schistociti) o alterazioni significative di membrana evidenziate dalla
presenza di cellule di forma ovalare (ovalociti) o cellule sferocitiche. Le cellule a
bersaglio (sottili GR con un puntino centrale di Hb), sono GR con un quantitativo
di Hb insufficiente oppure con un eccesso di membrana.

Aspirazione e biopsia del midollo osseo: questi studi permettono


l’osservazione diretta dell’attività eritropoietica, dello stato e delle caratteristiche
maturative dei precursori dei GR; di anomalie maturative cellulari (dispoiesi); e la
valutazione semiquantitativa della quantità, distribuzione ed espressione cellulare
del Fe. Sono di ausilio nelle anemie e in altre citopenie, nelle leucocitosi
inspiegabili, nella trombocitosi e qualora si sospetti una leucemia o una mieloftisi.
La contemporanea coltura dell’aspirato midollare è un eccellente strumento
diagnostico nei pazienti con diagnosi di febbre di origine sconosciuta (Fever of
Undetermined Origin, FUO). L’analisi citogenetica e molecolare può essere
effettuata sul materiale aspirato nelle neoplasie ematologiche o non o nel
sospetto di patologie congenite. La citometria a flusso può essere eseguita nel
sospetto di stati linfoproliferativi o mieloproliferativi per stabilire l’immunofenotipo.

Poiché l’aspirazione e la biopsia osteomidollare non sono di difficile esecuzione


né pongono significativi rischi invasivi, esse dovrebbero essere effettuate
precocemente nel sospetto di una patologia di tipo ematologico. In linea
generale, è possibile effettuarle entrambe con un’unica procedura. Dal momento
che la biopsia richiede uno spessore osseo adeguato, di solito viene effettuata
sulla cresta iliaca posteriore (o, meno frequentemente, su quella anteriore). Dopo
aver inserito un ago da biopsia, è possibile aspirare una piccola quantità di

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Anemie

midollo (meglio se < 0,5 ml) con una siringa. Alcune goccie di aspirato vengono
strisciate direttamente su un vetrino per l’allestimento di colorazione
metacromatica (p. es., May-Grünwald, Giemsa, Wright) e si procede quindi
all’osservazione microscopica del preparato. Il residuo materiale aspirato può
essere mescolato a eparina per studi successivi o per l’analisi citogenetica; una
parte può essere lasciata coagulare ed è trattata successivamente come un
tessuto chirurgico. Se si desidera avere una coltura di midollo osseo, dopo che è
stato ottenuto il materiale istologico si può aspirare 1 ml attraverso lo stesso ago
impiantato. La parte profonda della biopsia si ricava dallo stesso ago mediante
un avanzamento di 1 cm e un movimento di taglio rotatorio. La parte profonda
deve essere decalcificata e trattata come un tessuto chirurgico. Se si desidera
soltanto effettuare l’aspirazione midollare si utilizza lo sterno o il processo
spinoso di una vertebra lombare. Si deve evitare di prelevare > 2 ml di midollo,
poiché la diluizione con il sangue periferico può rendere difficile la valutazione del
preparato.

Fragilità dei GR (fragilità osmotica): si allestiscono dodici provette contenenti


una soluzione di cloruro di sodio (NaCl) a concentrazioni variabili dallo 0,28
allo 0,5%, in modo da avere incrementi successivi dello 0,02%. In ciascuna
provetta si aggiunge una goccia di sangue del paziente, mentre si allestisce
un’altra serie di provette contenenti sangue di un paziente di controllo. Si
annotano la concentrazione di NaCl alla quale inizia l’emolisi
(normalmente 0,44 ± 0,04%) e la prima percentuale alla quale la provetta mostra
emolisi completa (di solito circa 0,32 ± 0,04%). Se nel sangue del paziente sono
presenti molti sferociti (p. es., sferocitosi congenita), allora l’emolisi compare a
concentrazioni maggiori a motivo dell’aumentata fragilità. Se la cellula
predominante è abnormemente sottile, come nella β-talassemia major, l’emolisi
compare a concentrazioni più basse e può anche non essere mai completa.

Altri test sono trattati oltre nei capitoli relativi ai disordini anemici ed emorragici
specifici. Per i test dell’emostasi (p. es., il tempo di sanguinamento, la retrazione
e osservazione del coagulo, i prodotti di degradazione del fibrinogeno/fibrina e i
tempi di tromboplastina parziale e di protrombina), v. Tab. 131-2.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127-1. Caratteristiche delle anemie comuni

Eziologia o tipo Modificazioni Aspetti particolari


morfologiche
Emorragia acuta Normocromica-normocitica, Nell’emorragia grave si ritrovano GR
con policromatofilia; midollo nucleati e spostamento a sinistra dei GB;
iperplastico anche leucocitosi e trombocitosi
Emorragia cronica Stessi caratteri della deficienza marziale; può mostrare caratteristiche
di un’emorragia acuta se si sovrappone un’emorragia grave recente
Carenza di ferro Microcitica, aniso e Possibile acloridria, atrofia delle papille
poichilocitosi; linguali, coilonichia; assenza di Fe
reticolocitopenia; midollo midollare alla colorazione specifica;
iperplastico, con ritardo sideremia bassa; capacità totale di legare
della comparsa dell’Hb il Fe aumentata; ferritina eritrocitaria
bassa; ferritina sierica bassa; bassa
ferritina eritrocitaria
Carenza di Macrociti ovali; anisocitosi; Livello sierico di B12<180 pg/ml
vitamina B12 reticolocitopenia; leucociti (<130pmol/l); frequente interessamento
ipersegmentati; midollo del tratto GI e del SNC; test di Schilling
megaloblastico positivo; aumento della bilirubina sierica;
LDH aumentata; Ac anti-fattore intrinseco
nel siero; assenza di secrezione del
fattore intrinseco gastrico
Carenza di acido Come nella carenza di Folato sierico <5ng/ml (<11nmol/l); folato
folico vitamina B12 dei GR<225ng/ml di GR (<510nmol/l);
carenza nutrizionale e malassorbimento
(sprue, gravidanza, infanzia, alcolismo)
Insufficienza Normocromica-normocitica; Idiopatica (>50%), o secondaria ad
midollare reticolocitopenia, "punctio esposizione a sostanze chimiche o
sicca" midollare oppure farmaci tossici (p. es., cloramfenicolo,
evidente ipoplasia della chinacrina, idantoina, insetticidi)
serie eritroide o di tutti gli
elementi
Anemia Di solito ipocromica ma Difetto metabolico congenito o acquisito;
sideroblastica dimorfica con normociti o abbondante Fe midollare alla colorazione
macrociti; midollo specifica; rari casi di risposta alla B6; è
iperplastico con ritardo della spesso parte di una sindrome
comparsa dell’Hb; mielodisplastica
sideroblasti ad anello
Emolisi acuta Normocromica-normocitica; Aumento della bilirubina sierica (indiretta)
reticolocitosi; iperplasia e della LDH, dell’urobilinogeno fecale e
normoblastica midollare urinario; emoglobinuria nei casi
fulminanti; emosiderinuria

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Manuale Merck - Tabella

Emolisi cronica Normocromica-normocitica; Aumento della bilirubina sierica (indiretta)


reticolocitosi; iperplasia e della LDH; ridotta emivita dei GR;
eritroide midollare; aumento del turnover del Fe marcato;
punteggiature basofile emosiderinuria
(specialmente
nell’avvelenamento da
piombo)
Sferocitosi ered Microciti sferici nello striscio; Aumentata concentrazione media dell’Hb
itaria iperplasia eritroide dei GR, aumentata fragilità eritrocitaria;
normoblastica ridotta sopravvivenza dei GR marcati;
concentrazione di radioattività a livello
della milza
Emoglobinuria Normocitica (ma può essere Urine scure al mattino; emosiderina
parossistica ipocromica solo se in presente; positività del test di Ham e del
notturna presenza di carenza "sugar-water" test
marziale); il midollo può
risultare ipercellulare o
ipocellulare
Emoglobinuria Normocitica-normocromica Segue all’esposizione al freddo; dipende
parossistica "a da crioagglutinine o da emolisine; di
frigore" solito associata a sifilide o ad altre
infezioni
Anemia falci forme Anisocitosi e poichilocitosi; Limitata ai soggetti di colore; isostenuria
alcune cellule falciformi urinaria; l’elettroforesi mostra l’Hb S;
nello striscio; tutti GR possono verificarsi crisi vasocclusive
falciformi nella ipossia o dolorose e ulcere alle gambe; alterazioni
nell’ambiente iperosmolare scheletriche visibili in rx
Talassemia Microcitica; cellule sottili; Ridotta fragilità osmotica; elevata HbA2 e
cellule "a bersaglio"; HbF; discendenza mediterranea;
punteggiature basofile; omozigoti anemici dall’infanzia;
anisocitosi e poichilocitosi; splenomegalia; alterazioni scheletriche in
eritroblasti nucleati negli rx
omozigoti
Infezione o infi Normocromica-normocitica; Sideremia ridotta; capacità legante del
ammazione poi microcitica, midollo Fe ri dotta; ferritina sierica normale;
cronica normoblastico; riserva di Fe normale fer ritina dei GR , normale
normale contenuto di Fe midollare
Sostituzione Anisocitosi e poichilocitosi; Invasione midollare con granulomi
midollare eritroblasti nucleati; all’inizio infettivi, tumori, fibrosi o istiocitosi
(mieloftisi) precursori granulocitari; lipidica; possibile epato- esplenomegalia;
"punctio sicca" midollare possibili alterazioni scheletriche; l’uptake
oppure quadro leucemico, del Fe marcato è maggiore sulla milza e
mieloma o cellule sul fegato rispetto al sacro
metastatiche
Fe = ferro.

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Manuale Merck - Tabella

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

129. MEDICINA TRASFUSIONALE

Circa 15 milioni di trasfusioni vengono effettuate ogni anno negli USA. La


decisione di trasfondere è il risultato di un giudizio clinico che implica un’attenta
valutazione dei possibili vantaggi e dei rischi prevedibili rispetto a una terapia
alternativa. Sebbene la trasfusione sia probabilmente a un livello di sicurezza mai
prima raggiunto, il rischio e la percezione pubblica del rischio e la paura della
trasmissione di malattie fa considerare obbligatorio il consenso informato.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127-2. CLASSIFICAZIONE DELLE ANEMIE IN BASE ALLA CAUSA

Anemie da sanguinamento

Acuta

Cronica

Anemie da deficit dell’eritropoiesi

Anemie microcitiche

Da deficit di Fe

Da deficit nel trasporto del ferro

Disordini dell’utilizzazione del ferro

Da riutilizzazione del ferro in corso di malattia cronica

Talassemie (v. difetti intrinseci dei GR, oltre)

Anemie normocromiche-normocitiche

Anemie ipoproliferative

Anemia in corso di malattia renale

Anemia in corso di insufficienza endocrina


(ipotiroidismo o ipopituitarismo)

Anemia da deplezione proteica

Anemie aplastiche

Anemie mieloftisiche

Anemie mielodisplastiche (v.Cap.138)

Anemie macrocitiche

Anemia da carenza di vitaminaB12

Anemia da carenza di folato

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Manuale Merck - Tabella

Anemia da carenza di rame (v.Cap.4)

Anemia da carenza di vitamina C

Anemie da iperemolisi

Anemie da difetti estrinseci al GR

Anemia da iperattività reticoloendoteliale con splenomegalia

Anemie da alterazioni immunologiche

Anemia emolitica isoimmune (da isoagglutinine)

Anemia emolitica autoimmune

Emolisi da anticorpi caldi

Malattia da anticorpi freddi

Emoglobinuria parossistica notturna

Anemia da danno meccanico

Anemia emolitica da trauma

Emolisi da agenti infettivi

Anemie emolitiche da difetti intrinseci al GR

Anemie emolitiche da alterazioni della membrana eritrocitaria

Congenite

Porfiria eritropoietica congenita (v.Cap.14)

Ellissocitosi ereditaria

Sferocitosi ereditaria

Acquisite

Stomatocitosi

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Manuale Merck - Tabella

Anemia da ipofosfatemia

Anemie da alterazioni del metabolismo (deficit enzimatici ereditari)

Alterazione della via di Embden-Meyerhof

Alterazione dello shunt degli esosi monofosfati (carenza di


glucoso-6-fosfato deidrogenasi)

Anemie da emoglobinopatia

Anemie a cellule falciformi (HbS)

Malattie da emoglobina C, S-C, E

Talassemie (β, β-δ, e α)

Malattia da emoglobina S-β-talassemia

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127-3. Correzione del volume del campione nei test coagulativi,
in base al valore dell’ematocrito

Volume di sangue per 0,5ml di


anticoagulante
Htc (vol%) Adulti Bambini
10 3,0 1,8

12 3,0 1,8

14 3,1 1,9

16 3,2 1,9

18 3,3 2,0

20 3,4 2,0

>20,<50 4,5* 2,7*

>50 Utilizzo di provette speciali preparate


con un volume ridotto di
anticoagulante

*Quando si lascia che la provetta si riempia passivamente, il vuoto


nella provetta deve prelevare automaticamente questo volume

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 1312.ESAMI DI LABORATORIO PER LO STUDIO DELL’EMOSTASI

Fase dell’emostasi Esame Finalità


Formazione del Conta delle piastrine Quantifica il numero delle piastrine
coagulo emostatico
Tempo di sanguina Indaga l’adeguatezza complessiva della formazione
mento del coagulo emostatico, indipendentemente dalle
reazioni di emocoagulazione
Antigene di von Misura la concentrazione totale della proteina diVW
Willebrand plas matica in base alle dimensioni del picco ("rocket")
all’immunoelettroforesi
Composizione Valuta la distribuzione delle dimensioni delVWF nel
polimerica del von plasma. (i polimeri più grandi sono assenti
Willebrand specificamente nelle varianti di tipoII della malattia di
von Willebrand); può identificare la maggior parte delle
anomalie dalla forma dell’arco all’immunoelettroforesi
crociata; ulteriori precisazioni richiedono tecniche
specializzate
Agglutinazione con Individua la presenza di polimeri intermedi del VWF;
ristocetina misu ra la modificazione della trasmissione luminosa
dovuta agli aggregati piastrinici nel plasma arricchito di
piastrine dopo aggiunta di ristocetina
Attività del cofattore Quantifica i polimeri intermedi delVWF;misura la
ristocetinico velocità di modificazione della trasmissione luminosa
dopo aggiunta di ristocetina ad una preparazione
standard di piastrine in presenza di differenti diluizioni
del plasma da saggiare come fonte di fattoredi VW
Aggregazione piastr Valuta l’adeguatezza della responsività piastrinica a
nica stimoli fisiologici dell’attivazione piastrinica; misura le
modificazioni della trasmissione luminosa dovuta
all’aggregazione piastrinica indotta da stimoli fisiologici
(p.es., collagene, adenosindifosfato, adrenalina,
arachidonato di sodio); può identificare quadri
anormali in disordini della funzione piastrinica ereditari
o acquisiti
Formazione di fibrina Tempo di Test di screening per la valutazione dei fattori della
tromboplastina coag ulazione coinvolti quando la coagulazione è
parziale (PTT) iniziata da reazioni di attivazione da contatto
(fibrinogeno, protrombina, fattori V, VIII, IX, X, XI, XII,
precallicreina; chininogeno ad alto peso molecolare)
Tempo di protrombina Test di screening per la valutazione dei fattori coinvolti
(PT) quando la coagulazione è iniziata da un’alta
concentrazione di fattore tissutale (fibrinogeno,
protrombina; fattori V, VII e X)

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Manuale Merck - Tabella

Tempo di trombina Test di screening per la valutazione dell’ultima fase


della coagulazione, la reazione trombina-fibrinogeno;
risulta prolungato con l’aumento dell’attività
antitrombinica plasmatica (p.es., quando il plasma
contenga eparina) e con le condizioni che comportano
alterazioni qualitative del fibrinogeno o
ipofibrinogenemia
Tempo di batroxobina Cliva direttamente il fibrinopeptideA dal fibrinogeno,
viene aggiunto al plasma citratato e si osserva il
tempo di coagulazione; non è inattivata
dall’antitrombina e quindi il tempo della batroxobina
non è prolungato dall’eparina; se normale con un
tempo di trombina prolungato, fornisce una presunta
evidenza che il campione di plasma contiene eparina
Test funzionali Determina l’attività di un fattore specifico in
specifici per la percentuale del normale, confrontando la capacità di
protrombina ed i un plasma di controllo e di diluizioni del plasma in
fattori dal V al XII esame ad accorciare il tempo di coagulazione
(mediante un test di valutazione di una singola tappa
basato sul PTT o PT) di un substrato plasmat co
privato del fattore specifico da saggiare
Livello di fibrinogeno Si determina di solito indirettamente tramite una
procedura basata sulla determinazione del tempo di
coagulazione dopo l’aggiunta al plasma di trombina in
forte eccesso
Stabilità della fibrina Stabilità del coagulo Causa la lisi di coaguli in soluzione fisiologica se
e attività fibrinolitica con incubazione per l’attività fibrinolitica è eccessiva. Il coagulo si liserà in
24h in soluzione fi urea 5M se è deficitario il fattore XIII
siologica e in urea 5M
Tempo di lisi Si accorcia quando il sangue presenta un incremento
dell’euglobulina dell’at tivatore del plasminogeno o dell’attività
plasminica
Attività del Si determina sulla base dell’attività plasminica che si
plasminogeno genera (determinata con un substrato cromogeno)
dopo l’aggiunta al plasma di un attivatore del
plasminogeno
α2-antiplasmina Si determina misurando l’attività residua della
plasmina dopo breve incubazione con il plasma da
saggiare
Regolazione della Antitrombina III Può essere determinata come Ag mediante test
emocoagulazione immunologici o come attività mediante test che
misurano la velocità d’inattivazione della trombina
aggiunta al plasma in presenza di eparina
Proteina C e S Si determina come Ag in base alle dimensioni del
picco ("rocket") ottenuto all’immunoelettroforesi. Il test
di attività comincia solo ad essere disponibile

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Manuale Merck - Tabella

Attivazione della Determinazione del Riflette il rilascio del contenuto dei granuli alfa delle
emostasi in vivo fattore piastrinico IV piastrine nel plasma secondario ad attivazione
piastrinica in vivo
Test di Risulta positivo quando il plasma contiene monomeri
paracoagulazione con di fibrina, cioè quando la trombina è stata generata in
protamina vivo. Poco sensibile
Prodotti di Si determinano immunologicamente quale materiale
degradazione della non coagulabile persistente nel siero, che reagisce
fibrina/fibrinogeno con un Ac prodotto contro frammenti del fibrinogeno;
sierici si riscontrano livelli aumentati quando la plasmina ha
agito sia sul fibrinogeno che sulla fibrina
D-dimero plasmatico Si determina immunologicamente come materiale che
rea gisce con Ac monoclonali che riconoscono gli
epitopi sui derivati generati dall’attività plasminica sulle
maglie di fibrina contenente il D-dimero; se positivo,
indica che la trombina è stata generata in vivo con
conseguente deposizione di fibrina e attivazione
dell’enzima che assicura il cross-linking, del fattore XIII
(cioè che i prodotti di degradazione vengono misurati
come derivanti dalla fibrinolisi secondaria); il test ha un
vantaggio pratico in quanto può essere praticato sul
plasma e, così diversamente dal test per i prodotti
sierici di degradazione della fibrina, non richiede la
coagulazione del sangue in un tubo speciale per
preparare del siero senza residui di fibrinogeno
VWF=Fattore di von Willebrand; PTT=Tempo di tromboplastina parziale; PT=Tempo di protrombina

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Anemie

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. ANEMIE

Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di


perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione
di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA EMORRAGIA

ANEMIA ACUTA POSTEMORRAGICA

Anemie provocate da rapida perdita di un’abbondante quantità di sangue.

Sommario:

Eziologia e patogenesi
Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Terapia

Eziologia e patogenesi

Poiché la riserva midollare è limitata, un’anemia può conseguire a una qualsiasi


emorragia massiva associata alla rottura spontanea o traumatica o anche
dall’incisione di un vaso sanguigno di grosso calibro, dall’erosione di un’arteria a
causa di lesioni (p. es., ulcera peptica, processo neoplastico) oppure dalla
compromissione dei normali processi emostatici. Gli effetti immediati dipendono
dalla durata e dall’entità dell’emorragia. La perdita improvvisa di 1/3 del volume
ematico può essere fatale. Se ne può perdere fino a 2/3 senza correre tale
rischio, se ciò avviene lentamente, in un periodo di 24 h. I sintomi sono causati
dalla improvvisa riduzione del volume ematico e dalla successiva emodiluizione,
con riduzione della capacità del sangue di trasportare l’O2.

Sintomi e segni

L’andamento dell’emorragia determina l’entità dei sintomi. Lipotimia, capogiri,


sete, sudorazione, polso debole e frequente, respiro frequente (prima profondo,
poi superficiale) fanno parte del quadro. Un evento comune è l’ipotensione
ortostatica. La PA all’inizio può aumentare lievemente, a causa di una
vasocostrizione arteriolare riflessa, ma poi gradatamente si abbassa. Se
l’emorragia continua la PA scende a livelli critici e può sopraggiungere la morte
(v. anche Cap. 204).

Esami di laboratorio

Durante e subito dopo l’emorragia, la conta dei GR, dell’Hb e dell’Htc è


falsamente alta a causa della vasocostrizione. Entro alcune ore i liquidi tissutali
entrano in circolo, determinando un’emodiluizione e una caduta dei GR e dell’Hb
proporzionale alla gravità dell’emorragia. L’anemia che ne deriva è normocitica.

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Anemie

Entro le prime ore è possibile cogliere anche una granulocitosi e una piastrinosi.
Diversi giorni dopo l’evento emorragico, si rendono evidenti i segni della
rigenerazione (cioè reticolocitosi): lo striscio di sangue può mostrare
policromatofilia e lieve macrocitosi; se l’emorragia è stata acuta e imponente
possono comparire rari eritroblasti e GB immaturi.

Terapia

Il trattamento immediato comprende l’emostasi, il ripristino della volemia e la


terapia dello shock. La trasfusione di sangue, unico mezzo valido per reintegrare
rapidamente la volemia, è indicata nelle emorragie gravi con incombente collasso
cardiovascolare. Il plasma è il più soddisfacente sostituto temporaneo del
sangue. Alcuni tentativi recenti con agenti chimici (soprattutto composti
perfluorati) capaci di trasportare O2 hanno avuto solo un limitato successo. Le
infusioni di soluzione fisiologica o di glucoso forniscono solo un beneficio
transitorio. Sono indicati il riposo assoluto, i liquidi PO, se ben tollerati, e altre
misure standard usate nel trattamento dello shock. Nel periodo successivo è utile
somministrare Fe per rimpiazzare quello perso con l’emorragia.

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Shock

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

204. SHOCK

Condizione in cui il flusso ematico ai tessuti periferici è inadeguato per il


mantenimento delle funzioni vitali, a seguito di un’insufficiente gittata cardiaca o
della maldistribuzione del flusso periferico; in genere è accompagnato da
ipotensione e oliguria.

Sommario:

Introduzioni
Sintomi e segni
Complicanze
Diagnosi
Prognosi e terapia

Lo shock può essere dovuto a ipovolemia, vasodilatazione o cause cardiache


(ridotta gittata cardiaca) oppure alla combinazione di diversi di questi fattori.
L’alterazione fondamentale nello shock è rappresentata dalla ridotta perfusione
dei tessuti vitali dovuta (di solito) a ipotensione, cosicché il trasporto e
l’estrazione di O2 sono inadeguati per il metabolismo aerobio; si passa dunque al
metabolismo anaerobio con accumulo di acido lattico. In caso di persistenza dello
stato di shock, l’alterata funzione d’organo è seguita da danno cellulare
irreversibile e morte. Il livello di ipotensione sistemica in grado di causare shock
varia ed è spesso correlato a una vasculopatia preesistente. Perciò, una modesta
ipotensione, ben tollerata da un soggetto giovane e relativamente sano, può
provocare un grave danno cerebrale, cardiaco o renale in pazienti affetti da
un’importante arteriosclerosi.

Shock ipovolemico: lo shock ipovolemico è associato a un inadeguato volume


intravascolare (assoluto o relativo), che provoca una riduzione del riempimento
ventricolare e della gittata sistolica. A meno che non intervenga un aumento della
frequenza cardiaca, la gittata cardiaca diminuisce.

Una causa abbastanza comune è l’emorragia acuta (p. es., da trauma, ulcera
peptica, varici esofagee o aneurisma aortico). L’emorragia può essere evidente
(p. es., ematemesi o melena) o nascosta (p. es., da gravidanza extrauterina).

Lo shock ipovolemico può anche far seguito all’aumentata perdita di altri liquidi
corporei diversi dal sangue (v. Tab. 204-1). L’ipovolemia impiega di solito diverse
ore a instaurarsi e può accompagnarsi a un incremento dei valori dell’Hb e
dell’Htc (per l’emoconcentrazione).

Lo shock ipovolemico può essere dovuto a un inadeguato apporto di liquidi con


disidratazione ed è spesso accompagnato da un modesto aumento delle perdite
di liquidi. Spesso questi pazienti, per deficit neurologici o fisici, non sono in grado
di rispondere allo stimolo della sete incrementando l’introduzione di liquidi. Nei
pazienti ospedalizzati si può provocare ipovolemia se i segni precoci di
insufficienza circolatoria sono erroneamente attribuiti a scompenso cardiaco e
viene quindi evitata l’infusione di liquidi o vengono somministrati diuretici.

Shock da vasodilatazione: lo shock da vasodilatazione è causato da un deficit


relativo di volume intravascolare dovuto alla vasodilatazione. Il volume ematico
circolante è normale, ma risulta insufficiente per un adeguato riempimento delle

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Shock

camere cardiache. Numerose condizioni possono determinare una dilatazione


venosa o arteriolare generalizzata: p. es., un grave trauma o un’emorragia
cerebrale (shock neurogeno), l’insufficienza epatica o l’assunzione di certi
farmaci o di alcune sostanze tossiche. Lo shock associato a un’infezione
batterica (shock settico, v. Cap. 156) può essere in parte dovuto all’effetto
vasodilatante dell’endotossina o di altre molecole capaci di agire sulle arteriole
riducendo le resistenze vascolari. Inoltre, alcuni pazienti con IMA e shock
sembrano avere un’inadeguata vasocostrizione compensatoria in risposta alla
riduzione della gittata cardiaca. Se la gittata cardiaca non aumenta in maniera
proporzionale alla riduzione delle resistenze vascolari, si sviluppa ipotensione. Al
di sotto di un valore critico di PA sistemica, gli organi vitali non saranno perfusi in
maniera adeguata. La disfunzione miocardica secondaria a un’inadeguata
perfusione coronarica o ad altri meccanismi (p. es., il rilascio di un fattore che
deprime la contrattilità o altre sostanze tossiche) può complicare lo shock dovuto
a vasodilatazione.

Shock cardiogeno: una riduzione relativa o assoluta della gittata cardiaca


dovuta a fattori diversi dall’inadeguatezza del volume intravascolare può
provocare lo shock. Le cause sono descritte nella Tab. 204-2.

Sintomi e segni

I sintomi e i segni possono essere dovuti allo stato di shock di per sé o al


processo patologico che ne è alla base. Lo stato mentale può anche non essere
alterato, ma sono frequenti obnubilamento del sensorio, stato confusionale e
sonnolenza. Le mani e i piedi sono freddi, sudati e spesso cianotici o pallidi. Il
tempo di riempimento capillare è prolungato e, in casi estremi, può comparire su
vaste aree un caratteristico reticolo bluastro. Il polso è debole e frequente, tranne
che nei casi in cui è presente un blocco cardiaco o una bradicardia terminale;
talvolta, è possibile apprezzare solo il polso femorale e quello carotideo. Sono
presenti tachipnea e iperventilazione, ma l’apnea può costituire l’evento
terminale, quando il centro respiratorio è definitivamente compromesso a causa
di un’inadeguata perfusione cerebrale. La PA misurata con lo sfigmomanometro
tende a essere bassa o non apprezzabile (< 90 mm Hg di pressione sistolica),
ma la misurazione diretta, mediante cannula intra-arteriosa, dà spesso valori
significativamente più elevati.

Nello shock settico dovuto a vasodilatazione massiva è di solito presente


febbre, spesso con brividi. La riduzione delle resistenze periferiche totali si
accompagna inizialmente a un aumento della gittata cardiaca, spesso associato
a iperventilazione e ad alcalosi respiratoria. Perciò, sintomi precoci possono
comprendere un brivido scuotente, un rapido aumento della temperatura, cute
arrossata e calda, un polso ancora valido e oscillazioni della PA (sindrome
iperdinamica). Nonostante l’elevata gittata cardiaca, la diuresi è contratta. Lo
stato mentale è di solito compromesso e la confusione mentale può essere un
segno premonitore che precede l’ipotensione di ≥ 24 h. Tali reperti, tuttavia,
variano e possono non essere evidenti persino in soggetti nei quali l’aumento
marcato della gittata cardiaca e la notevole riduzione delle resistenze periferiche
vengono confermate da misurazioni emodinamiche dirette. Nelle fasi più
avanzate, può verificarsi ipotermia. Altri tipi di shock da vasodilatazione (p. es.,
l’anafilassi) possono avere caratteristiche simili a quelle dello shock settico.

Complicanze

Le complicanze polmonari, che spesso coesistono o compaiono nei pazienti in


stato di shock, non devono essere trascurate. L’edema polmonare che si
sviluppa dopo un’ipovolemia è solitamente causato da un’eccessiva
somministrazione di liquidi durante la rianimazione, sebbene possa essere
confuso con una polmonite dovuta a una sepsi misconosciuta o con una
polmonite ab ingestis dovuta a una transitoria depressione del SNC. L’edema

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Shock

polmonare dello shock settico è solitamente provocato da un aumento della


permeabilità a livello dei capillari polmonari e dell’epitelio alveolare, che causa un
aumento del passaggio di liquidi nel parenchima polmonare. Questa complicanza
(sindrome da distress respiratorio dell’adulto) è molto grave. L’edema polmonare
spesso complica lo shock cardiogeno, a causa del marcato aumento della
pressione di incuneamento ("wedge") dell’arteria polmonare (PWAP).

Diagnosi

La diagnosi implica la dimostrazione di un’insufficiente perfusione tissutale,


dovuta alla riduzione della gittata cardiaca o all’insufficienza del tono vasomotorio
periferico. Si considera in stato di shock ogni paziente con fattori predisponenti
che va incontro a una caduta significativa della PA, a una riduzione della diuresi
a < 30 ml/h e a un progressivo aumento della concentrazione di acido lattico o a
un aumento del gap anionico associato con ridotti livelli di HCO3 nel sangue
arterioso. La diagnosi di shock deve essere confortata dalla presenza di segni
correlati alla ridotta perfusione dei singoli organi (obnubilamento del sensorio,
oliguria, cianosi periferica) o segni correlati all’entrata in azione di meccanismi di
compenso (tachicardia, tachipnea, sudorazione). Nelle fasi precoci dello shock,
molti dei segni descritti possono essere assenti o passare inosservati, se non
vengono ricercati in maniera specifica. Per questo, può accadere che non si inizi
la terapia finché lo shock non è in uno stadio avanzato. Nessuno di questi reperti
da solo è patognomonico di shock; ciascuno deve essere valutato nel contesto
del quadro clinico complessivo.

In ogni tipo di shock, le manifestazioni del processo patologico di base possono


costituire elementi importanti per la diagnosi. Una perdita acuta di sangue o di
liquidi per la rottura dell’aorta o della milza, per una gravidanza extrauterina o per
una peritonite può essere sospettata sulla base dei dati clinici. I segni di una
disidratazione generalizzata sono utili per individuare l’ipovolemia in soggetti con
patologie neurologiche, gastrointestinali, renali o metaboliche. Nello shock
settico, possono essere presenti i segni di una preesistente infezione polmonare,
gastrointestinale o urinaria, oppure i segni di una neoplasia o di un’altra malattia
debilitante che determina l’alterazione dei processi immunitari nei confronti degli
agenti infettivi. Nelle donne in età fertile si può verificare una sindrome da shock
tossico, dovuta all’utilizzazione di tamponi vaginali (v. Cap. 157); anche l’aborto
settico, soprattutto quando è il risultato di una procedura clandestina, può
provocare shock settico. Il rilievo di un soffio sistolico può indicare la presenza di
un difetto del setto interventricolare o di un’insufficienza mitralica, situazioni
entrambe in grado di provocare uno shock dopo infarto miocardico acuto. Il
tamponamento cardiaco viene suggerito dal turgore delle giugulari, dalla
parafonia dei toni cardiaci, dagli sfregamenti pericardici e dal polso paradosso. Si
può sospettare un’embolia polmonare massiva in pazienti con un impulso in sede
parasternale, con un quarto tono intenso lungo il margine sinistro dello sterno che
aumenta durante l’inspirazione, con un tono di chiusura della valvola polmonare
accentuato e sdoppiato (sdoppiamento ampio) e con turgore delle giugulari.

Shock ipovolemico: il rilievo di una pressione di riempimento ventricolare normale


o bassa con una gittata cardiaca ridotta in un paziente in stato di shock è
diagnostico. Una pressione di riempimento del ventricolo destro o una pressione
venosa centrale (PVC) < 7 cm di H2O (< 5 mm Hg) sono indizio di ipovolemia; la
PVC può essere maggiore di tali valori quando lo shock ipovolemico compare in
pazienti con preesistente ipertensione polmonare. In alcuni pazienti con
pneumopatie croniche o disfunzione cardiaca, la valutazione della pressione
polmonare telediastolica o della PWAP, entrambe strettamente correlate alla
pressione diastolica del ventricolo sinistro, è il test migliore. Un valore della
pressione polmonare telediastolica o della PWAP < 8 mm Hg (o < 18 mm Hg in
un paziente con infarto miocardico acuto o preesistente patologia del ventricolo
sinistro) suggerisce un’ipovolemia.

Quando si sospetta un’ipovolemia, può essere d’aiuto, per confermare la


diagnosi, l’infusione rapida di un carico di liquidi (500 ml/15 min di 0,9% NaCl o
colloidi) (v. Prognosi e terapia, oltre). Si può assumere che ci si trova di fronte a

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Shock

un’ipovolemia quando il carico di liquidi migliora la PA e la diuresi e riduce le


manifestazioni cliniche dello shock, con piccoli incrementi della PVC o della
PWAP. Tuttavia, una riduzione della PVC e della PWAP si ha anche nello shock
settico, cosicché il miglioramento clinico dopo un carico di liquidi non permette di
escludere che la sepsi sia la causa dello shock.

Lo shock ipovolemico dovuto a un’emorragia è abitualmente associato a ridotti


livelli di Hb e Htc. Tuttavia, siccome lo shock può sopravvenire entro pochi minuti
da una perdita ematica acuta, normali valori di Hb e Htc (prima che si verifichi
l’emodiluizione) non escludono un’emorragia. Un rialzo dei valori di Hb e Htc
nello shock ipovolemico suggerisce un’emoconcentrazione dovuta alla perdita di
altri liquidi corporei.

Shock da vasodilatazione: in soggetti con trauma cerebrale, sepsi,


intossicazione da farmaci o esposizione al calore (se sono presenti
un’insufficienza dei sistemi di termoregolazione e disidratazione) va sospettato
uno stato di shock secondario a vasodilatazione. Spesso è anche presente
ipovolemia.

Shock cardiogeno: lo shock cardiogeno è suggerito dalla presenza di turgore


delle giugulari, segni di congestione polmonare e ritmo di galoppo; tuttavia, in
molti pazienti con shock cardiogeno, questi segni sono assenti. Per fare diagnosi,
è solitamente necessario dimostrare una gittata cardiaca ridotta con una
pressione di riempimento ventricolare aumentata. Il tamponamento cardiaco, il
pneumotorace iperteso e l’embolia polmonare massiva possono essere
confermati rispettivamente mediante ecocardiografia, radiografia del torace e
scintigrafia polmonare perfusionale. Quando il danno miocardico da IMA è tale da
indurre uno shock, l’ECG è solitamente diagnostico (v. Infarto Miocardico nel
Cap. 202). La diagnosi, tuttavia, può essere resa difficile dalla presenza di un
pregresso infarto, di un blocco di branca sinistro o di un blocco atrioventricolare
con ritmo idioventricolare o ritmo da pacemaker. In tal caso, risulta utile il
caratteristico incremento della creatinfosfochinasi e delle sue frazioni
miocardiche nel sangue circolante. L’ECG è inoltre d’aiuto per identificare
un’aritmia che può, di per sé, essere causa di shock o può contribuire allo stato di
shock. Poiché l’ipovolemia può coesistere con un IMA o una preesistente
cardiopatia, non si può assumere che lo shock sia interamente dovuto al danno
miocardico, specialmente negli infarti inferiori o posteriori, che possono
coinvolgere il ventricolo o l’atrio destro.

Prognosi e terapia

Se non trattato, lo shock è di solito fatale. Anche quando trattato, la mortalità


dello shock che segue a un IMA massivo e dello shock settico è alta. La prognosi
dipende dalla causa, dalla presenza di patologie preesistenti o intercorrenti, dal
tempo trascorso tra l’esordio clinico e la diagnosi e dall’adeguatezza della
terapia.

Il primo intervento deve essere mirato a tenere il paziente al caldo, con le


gambe leggermente sollevate per migliorare il ritorno venoso. Si devono
arrestare le emorragie, controllare le vie aeree e la ventilazione e provvedere, se
necessario, all’assistenza respiratoria. Non deve essere somministrato alcunché
per via orale e il capo del paziente deve essere ruotato da un lato per evitare
l’inalazione in caso di vomito. Dal momento che l’ipoperfusione dei tessuti rende
l’assorbimento poco affidabile, tutti i farmaci devono essere somministrati EV, se
possibile. Si devono, in genere, evitare i narcotici, ma il dolore intenso può
essere trattato con morfina EV alla dose di 3-5 mg in 2 min, ripetibile, se
necessario, dopo 15-20 min. Nonostante l’ipoperfusione cerebrale possa causare
ansia, non vanno somministrati tranquillanti e sedativi.

La terapia di supporto deve stabilizzare le funzioni vitali prima dell’esecuzione


di esami diagnostici. Possono essere necessarie noradrenalina o dopamina (v.
Tab. 204-3). Va immediatamente somministrato O2 mediante maschera facciale.
Se ci si trova di fronte a un grave stato di shock o il supporto ventilatorio è

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Shock

inadeguato, si rende necessaria l’intubazione endotracheale per incominciare la


ventilazione assistita a pressione positiva e con elevate concentrazioni di O2.

Al di fuori dell’ospedale o in pronto soccorso, si può indurre un temporaneo


incremento della PA mediante l’utilizzo di pantaloni per uso militare (o medico)
antishock. Tuttavia, è richiesta molta esperienza nell’uso di questi dispositivi per
evitare complicanze.

Va inserito un catetere di grosso calibro (n° 16-18) in una vena periferica o


centrale (femorale, giugulare interna o antecubitale del braccio), per l’infusione di
sangue o di liquidi e per la somministrazione di farmaci (v. anche Tecniche
Invasive al Cap. 198). L’infusione diretta di fluidi nel midollo osseo costituisce un
accesso d’emergenza alla circolazione, utilizzabile quando le vene sono
collassate; questa via è particolarmente utile nei bambini, nonostante sia
preferibile l’infusione attraverso la vena femorale se è presente un grave shock
ipovolemico (v. anche Rianimazione cardiopolmonare nel Cap. 263).

La somministrazione di 50-100 ml EV di una soluzione all’8,4% di bicarbonato di


sodio (1 mEq/ml) può essere utile nel trattamento dell’acidosi metabolica, ma il
trattamento della causa dello shock (ipovolemia, sepsi o bassa gittata cardiaca) è
più importante.

I pazienti nei quali lo shock non regredisce rapidamente vanno considerati in


condizioni critiche; la terapia d’elezione va proseguita in ambienti idonei quali le
unità di terapia intensiva o le unità coronariche. Un monitoraggio attento deve
comprendere l’ECG; la PA sistemica (preferibilmente tramite cannula intra-
arteriosa); la frequenza e la profondità del respiro; la diuresi (di solito tramite
catetere vescicale a permanenza); il pH, la PaO2 e la PaCO2 del sangue
arterioso; la temperatura cutanea corporea e lo stato clinico, compreso il
sensorio, l’ampiezza del polso, la temperatura corporea e il colorito. In pazienti
con shock di origine incerta o mista o con shock grave, soprattutto se
accompagnato da oliguria grave o da edema polmonare, è molto utile la
misurazione della PVC, della PWAP e della gittata cardiaca con il metodo della
termodiluizione mediante un catetere a palloncino per l’arteria polmonare. Una
"flow chart" disegnata con cura risulta estremamente utile. Possono anche
essere utili controlli ripetuti dell’emogasanalisi, dell’Htc, della creatinina sierica e
dei lattati plasmatici.

Shock ipovolemico: il trattamento definitivo si basa sul ripristino del volume


circolante e sull’eliminazione delle cause sottostanti. Un’infusione
eccessivamente rapida di liquidi può provocare un edema polmonare; talvolta, è
quindi utile monitorare la PVC e la PWAP. Anche la PA e la diuresi vanno
monitorati. In linea generale, si deve fare in modo che la PVC o la PWAP non
aumentino > 12-15 mm Hg per effetto della somministrazione di liquidi. Il
monitoraggio della PVC da solo può essere fuorviante nei pazienti con una
preesistente patologia cardiaca o vascolare polmonare significativa. Occorre
prestare attenzione quando si interpretano i dati forniti dalle pressioni di
riempimento in pazienti sottoposti a respirazione assistita, particolarmente
quando vengono utilizzati livelli di pressione espiratoria > 10 cm H2O, o in
pazienti tachipnoici con pressioni pleuriche molto negative. Le misurazioni vanno
fatte a fine espirazione e il trasduttore va posizionato a livello dell’atrio (nella
regione media del torace) e attentamente calibrato. Il tipo di liquidi e le modalità
precise di somministrazione vanno determinati sulla base delle circostanze
cliniche e vanno guidati mediante frequenti determinazioni dell’htc, degli elettroliti
sierici, della diuresi e del pH arterioso (cioè, bisogna dimostrare il progressivo
miglioramento dell’acidosi metabolica). NaCl 0,9% è efficace come altre
soluzioni. Dopo avere reintegrato circa il 40-50% del deficit di volume calcolato, si
deve somministrare sangue intero o una soluzione di colloidi. Il sangue intero
deve essere preventivamente sottoposto a prove crociate di compatibilità ma, in
situazioni d’emergenza, una valida alternativa è la somministrazione di 1-2 U di
sangue di gruppo O Rh negativo. Le soluzioni colloidali-hetastarch (amido
eterificato) al 6% in NaCl 0,9%, plasma (il plasma fresco congelato comporta il
rischio di infezione) o sieroalbumina umana ricostituita al 5%, non contengono
emazie e riducono l’Htc. L’hetastarch al 6% in NaCl 0,9% è un espansore
osmotico del volume intravascolare che è in genere ben tollerato ma può
prolungare il tempo di sanguinamento. La dose abituale massima è di 20 ml/

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Shock

kg/24 h, sebbene ne siano state usate quantità molto maggiori. Sono state
riportate occasionalmente reazioni allergiche.

Lo shock che non risponde alla reintegrazione di liquidi può deporre per una
somministrazione di fluidi insufficiente in presenza di un’emorragia in atto o per la
presenza di complicanze (p. es., coesistente shock cardiogeno dovuto a danno
miocardico o shock settico). Quando l’ipovolemia non è la causa probabile dello
shock o quando la PA sistemica non risponde immediatamente all’infusione di
liquidi, si deve prendere in considerazione la somministrazione di un farmaco
vasopressore (v. avanti, terapia dello shock da vasodilatazione massiva).

Shock da vasodilatazione (per la terapia dei pazienti con insufficienza


surrenalica, v. Cap. 9): la somministrazione di liquidi (NaCl 0,9%) è quasi sempre
necessaria per trattare la concomitante deplezione di volume intravascolare che
si verifica per l’aumento della permeabilità vasale sistemica, soprattutto nella
sepsi. Sono spesso necessari farmaci vasopressori (p. es., dopamina,
noradrenalina), soprattutto nell’ipotensione grave. La dopamina è un farmaco
inotropo positivo che, a bassa dose (2-5 µg/kg/min), causa una minore
vasocostrizione rispetto alla noradrenalina, ma migliora selettivamente il flusso
mesenterico e il flusso renale; può avere alcuni vantaggi rispetto ad altri farmaci
vasopressori in pazienti selezionati. La dobutamina, un β-agonista più selettivo,
aumenta la gittata cardiaca senza provocare vasocostrizione e non risulta
pertanto utile in questi pazienti. La noradrenalina o la dopamina, somministrate
mediante infusione EV controllata (v. Tab. 204-3), possono essere utilizzate per
aumentare la pressione sistolica a valori di 90-100 mm Hg. Una volta stabilizzata
la PA, occorre correggere le anomalie associate (p. es., ipossiemia, acidosi,
ipovolemia, sepsi), per poi ridurre o sospendere la somministrazione del farmaco
vasopressorio: la vasocostrizione prolungata da stimolazione dell’α-recettore può
danneggiare ulteriormente il microcircolo viscerale e aumentare il lavoro
miocardico e la richiesta di O2. In presenza di scompenso cardiaco o di sepsi, gli
effetti inotropo e cronotropo positivi della noradrenalina o della dopamina
possono migliorare la gittata cardiaca e la perfusione sistemica. In assenza di
insufficienza surrenalica, la terapia corticosteroidea non dà alcun beneficio.
Scarsissime, infine, sono le possibilità terapeutiche per lo shock che segue a un
danno cerebrale massivo e irreversibile.

Shock cardiogeno (v. anche Complicanze sotto Infarto Miocardico nel


Cap. 202): lo shock cardiogeno si cura cercando di migliorare la funzione
cardiaca. Lo shock conseguente a un IMA, se associato con una normale PWAP,
deve essere trattato con O2-terapia, stabilizzazione della frequenza e del ritmo
cardiaco ed espansione della volemia. Lo shock che segue un IMA del ventricolo
destro risponde positivamente alla rapida espansione di volume, che va presa in
considerazione dopo un IMA della parete inferiore se la pressione di riempimento
del ventricolo destro (PVC) è significativamente elevata in assenza di un
aumento significativo della pressione di riempimento del ventricolo sinistro
(pressione polmonare telediastolica o PWAP). Tuttavia, la sola somministrazione
di fluidi raramente corregge le alterazioni emodinamiche e può essere necessaria
una terapia aggiuntiva con vasopressori. La morfina, alla dose di 3-5 mg EV
nell’arco di 2 min, può alleviare l’intenso dolore toracico, contribuire a ridurre gli
elevati livelli di catecolamine circolanti e ridurre il precarico e il postcarico del
cuore insufficiente; la risposta deve essere attentamente monitorata perché la
morfina causa depressione respiratoria, provoca dilatazione venosa e può
provocare una riduzione della PA. La dose iniziale può essere ripetuta dopo
10 min se non si evidenzia una depressione del respiro o ipotensione. L’atropina,
alla dose di 1 mg EV, è occasionalmente efficace nel trattare la bradicardia
(frequenza cardiaca < 50 bpm) e l’ipotensione gravi che spesso si manifestano a
brevissima distanza dall’insorgenza dei sintomi, particolarmente negli infarti
infero-posteriori. Per mantenere la PA sistolica > 90 mm Hg (ma non
> 110 mm Hg) si fa uso della noradrenalina o della dopamina. Poiché aumenta
notevolmente la richiesta di O2, l’isoproterenolo è controindicato nei pazienti in
stato di shock dopo un IMA, a meno che non sia temporaneamente necessario a
causa di un blocco cardiaco completo.

Quando lo shock si complica con una bradicardia o un blocco atrioventricolare di


grado avanzato, l’aumento della PA mediante noradrenalina o dopamina (v.

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Shock

sopra) e la correzione dell’acidosi comportano di solito il ripristino di una


frequenza ventricolare adeguata. Nei pazienti con blocco atrioventricolare di alto
grado persistente o grave disfunzione del nodo del seno, può essere necessaria
l’applicazione di un pacemaker transvenoso temporaneo. Può essere
occasionalmente necessaria la somministrazione per breve tempo di
isoproterenolo (2 mg/500 ml di glucosata al 5%, 1-4 µg/min [0,25-1 ml/min])
prima di applicare un pacemaker nei pazienti con prolungati periodi di asistolia o
tachicardia ventricolare ricorrente o fibrillazione ventricolare associate a
bradicardia grave. La digitale non viene utilizzata di routine nello shock, ma può
essere utile nei pazienti con tachicardia sopraventricolare. Se non vi è
ipotensione sistemica grave, si può praticare l’infusione di dobutamina o
amrinone (0,75 mg/kg EV in 2-3 min seguiti da infusione di 5-10 µg/kg/min) per
migliorare la gittata cardiaca e ridurre la pressione di riempimento del ventricolo
sinistro. Durante la somministrazione di dobutamina, specie se ad alte dosi, si
possono occasionalmente verificare tachicardia e aritmie. L’amrinone è un
agente inotropo e un vasodilatatore, per cui si possono verificare aritmie e
ipotensione durante la sua somministrazione. L’amrinone può anche causare
trombocitopenia: si deve per questo monitorare la conta piastrinica. I
vasodilatatori (p. es. nitroprussiato, nitroglicerina) che aumentano la capacitanza
venosa o riducono le resistenze vascolari sistemiche riducono il carico di lavoro
imposto al miocardio compromesso e possono risultare efficaci nei pazienti che
non hanno un’ipotensione arteriosa grave. Può essere particolarmente utile la
terapia d’associazione (p. es., dopamina o dobutamina più nitroprussiato o
nitroglicerina), che tuttavia richiede un attento monitoraggio ECG ed
emodinamico (sia del circolo polmonare che di quello sistemico).

L’impiego precoce della contropulsazione aortica sembra essere molto utile per
la remissione temporanea dello stato di shock nei pazienti con IMA e deve
essere preso in considerazione nei pazienti che richiedono un supporto
vasopressorio (noradrenalina o dopamina) per > 30 min e nei pazienti con IMA
complicato da difetto del setto interventricolare o grave insufficienza mitralica
acuta. Lo sviluppo di tecniche transcutanee utilizzabili al letto del paziente ha
reso disponibile la contropulsazione aortica anche a ospedali periferici.

Può anche essere necessaria la correzione chirurgica d’emergenza di difetti


meccanici (p. es., rottura del setto interventricolare, pseudoaneurismi,
insufficienza mitralica grave, ampie discinesie).

L’angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA) eseguita d’urgenza


al fine di dilatare una coronaria occlusa, se messa in atto entro poche ore
dall’inizio dell’IMA, può risolvere una condizione di shock cardiogeno. L’uso di
trombolitici EV prima della PTCA d’emergenza è controverso. Tuttavia, se non
vengono effettuate una PTCA o un intervento cardiochirurgico d’emergenza, la
terapia trombolitica deve essere presa in considerazione il prima possibile, salvo
controindicazioni.

Altre considerazioni: il tamponamento cardiaco richiede la pericardiocentesi e,


nelle situazioni che mettono a rischio la sopravvivenza, può rendersi necessario
aspirare il liquido pericardico a letto del paziente. In situazioni di minore urgenza
può essere consigliabile la creazione di una finestra pericardica o la
pericardiectomia, allo scopo di evitare le recidive. L’embolia polmonare massiva
che causa shock viene trattata con misure terapeutiche di supporto, incluso O2,
intubazione orotracheale con ventilazione assistita, supporto vasopressorio
(noradrenalina, dopamina) ed eparina EV per prevenire la recidiva della trombosi.
Quando non è possibile ottenere una stabilizzazione con tali misure, deve essere
presa in considerazione l’angiografia polmonare d’urgenza. L’impiego
dell’urochinasi o della streptochinasi per lisare i trombi è certamente valido ed è
preferibile al tentativo di embolectomia, a meno che non sia controindicato
(p. es., a causa di recenti interventi chirurgici maggiori, soprattutto di
neurochirurgia).

Se lo shock si complica con un edema polmonare, questo può essere spesso


risolto trattando l’insufficienza cardiaca coesistente con diuretici mentre si
somministra O2 e si sottopone il paziente a ventilazione a pressione positiva.
L’edema polmonare che si sviluppa a partire da uno shock settico va trattato in
maniera simile, con O2 e ventilazione a pressione positiva (v. anche Cap. 67).

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Shock

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 204-1. CAUSE DI PERDITA DI LIQUIDI


NELLO SHOCK IPOVOLEMICO

Natura della perdita Meccanismo della perdita


Liquidi persi attraverso Danno termico o chimico
la superficie corporea
Liquidi sequestrati nella Nella peritonite generalizzata che segue a una
cavità peritoneale perforazione a carico dell'apparato
gastrointestinale o a una pancreatite
Liquidi sequestrati Vomito o diarrea in conseguenza di
all'interno o persi un'ostruzione dell'intestino tenue o del colon,
attraverso l'apparato ileo paralitico o gastroenterite
gastrointestinale
Eccessiva perdita di Nel diabete mellito o insipido, nell'insufficienza
liquidi con le urine surrenalica, nelle nefriti con perdita di sali,
nella fase poliurica dopo un danno tubulare
acuto e nella terapia con diuretici potenti
Perdita di volume Aumento della permeabilità capillare
intravascolare nello secondaria ad anossia, arresto cardiaco o
spazio extravascolare reazione da ipersensibilità (anafilassi); in
questi casi, lo shock è dovuto anche alla
vasodilatazione arteriolare

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Batteriemia e shock settico

Manuale Merck

13. MALATTIE INFETTIVE

156. BATTERIEMIA E SHOCK SETTICO

(V. anche Sepsi neonatale e Meningite neonatale in Infezioni neonatali nel


Cap. 260)

Sommario:

Introduzione
BATTERIEMIA
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi e terapia

SHOCK SETTICO
Eziologia e patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi e terapia

La batteriemia e lo shock settico sono condizioni strettamente collegate. La


batteriemia denota la presenza di batteri nel torrente sanguigno. Lo shock settico
è una sepsi con ipoperfusione e ipotensione refrattaria alla terapia basata sul
ripristino dei liquidi. Per sepsi si intende una grave infezione, localizzata o
batteriemica, accompagnata da manifestazioni sistemiche di infiammazione. La
sepsi causata da una batteriemia è spesso definita setticemia; l’uso di questo
termine spesso utilizzato in modo impreciso ora viene scoraggiato. La definizione
generale, sindrome della risposta sistemica infiammatoria, riconosce che diverse
gravi condizioni (p. es., infezioni, pancreatiti, ustioni, traumi) possono far scattare
una reazione infiammatoria, le cui manifestazioni sistemiche sono associate al
rilascio nel torrente ematico di un gran numero di mediatori endogeni di
infiammazione.

BATTERIEMIA

Una batteriemia transitoria può essere causata da manipolazione chirurgica dei


tessuti orali infetti o anche da manipolazioni dentarie di routine, da caterizzazione
di un tratto urinario inferiore infetto, dall’incisione e dal drenaggio di un ascesso,
dalla colonizzazione di presidi invasivi, in particolare cateteri EV e intracardiaci,
cateteri uretrali, e presidi per stomie e linee vascolari. La batteriemia da germi
gram – ha un andamento tipicamente a carattere intermittente e opportunistico;
sebbene essa possa non avere effetti su un soggetto sano, può essere
estremamente importante in un paziente immuno compromesso con malattie
sottostanti debilitanti, dopo chemioterapia e in situazioni caratterizzate da quadri
di malnutrizione. Il sito primitivo di infezione è di solito rappresentato dai polmoni,
dai tratti GU o GI o dai tessuti molli inclusa la cute nei pazienti con ulcere da
decubito. Essa può fare seguito a una procedura odontoiatrica nei pazienti a
rischio e specialmente nei pazienti con patologia cardiaca valvolare, con protesi
valvolari o con altre protesi intravascolari.

Nei pazienti affetti da patologie croniche e nei pazienti immuno compromessi si

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Batteriemia e shock settico

verificano comunemente batteriemie da gram –. Inoltre, questi pazienti possono


sviluppare infezioni del torrente ematico causate da bacilli aerobi, anaerobi e da
miceti. Bacteroides può complicare le infezioni addominali e pelviche,
specialmente quando il tratto genitale femminile sia infetto.

Le infezioni metastatiche delle meningi o delle cavità sierose, come il pericardio o


le grandi articolazioni, possono provocare batteriemie transitorie o protratte. Si
può verificare endocardite (v. Cap. 208) specialmente se il patogeno è un
enterococco, uno stafilococco o un fungo, ma tale quadro è meno comune nel
caso di batteriemie da gram –. Le batteriemie stafilococciche sono comuni tra i
tossicodipendenti e in tali casi lo stafilococco è il principale responsabile delle
endocarditi batteriche da gram +, incluse quelle che interessano la valvola
tricuspide.

Sintomi e segni

Una batteriemia transitoria a bassa carica microbica, decorre tipicamente in


forma asintomatica con l’eccezione dei pazienti a particolare rischio che
presentino batteriemie protratte o ad alta carica microbica. Il quadro tipico è
caratterizzato dai segni sistemici di infezione, inclusi tachipnea, brividi scuotenti,
un picco febbrile e sintomi GI (dolore addominale, nausea, vomito e diarrea). Tali
pazienti presentano spesso all’inizio una cute calda e uno stato di vigilanza
mentale diminuito. A meno che non venga misurata la PA lo stato ipotensivo può
non essere apparente. In alcuni pazienti la diminuzione marcata della PA avviene
successivamente.

Alcune caratteristiche possono essere di ausilio nella diagnosi differenziale e


nell’identificazione dell’agente eziologico(i). Le infezioni al di sopra del diaframma
hanno una maggiore probabilità di essere causate da organismi gram +. Le
infezioni dell’addome, incluso il tratto biliare e il tratto urinario, hanno una
maggiore probabilità di essere causate da batteri gram –. Non ci sono tuttavia
altri metodi oltre quelli basati sulla diagnosi di laboratorio per differenziare le
cause di batteriemie e di shock settico sostenuti da germi gram + da quelle
sostenuti da batteri gram –.

Gli ascessi metastatici possono instaurarsi quasi dappertutto e, quando sono


estesi, producono i sintomi e i segni caratteristici dell’infezione dell’organo
interessato. La formazione di ascessi multipli è frequente specialmente a seguito
di batteriemia stafilococcica. Il 25 e il 40% dei pazienti con batteriemia
persistente sviluppa un’instabilità emodinamica e rappresentano perciò casi di
shock settico.

Diagnosi

Si deve provvedere a effettuare colorazioni di Gram e colture da pus e da liquidi


raccolti da tutti i potenziali siti di infezione, incluse le cavità corporee infette, gli
spazi articolari, i tessuti molli e le lesioni cutanee. Si devono eseguire emocolture
per i microrganismi aerobi e anaerobi. Due emocolture, effettuate a distanza di
1 h da due differenti accessi venosi, sono sufficienti per porre una diagnosi
iniziale di batteriemia. Tuttavia, una colorazione di Gram o un’emocoltura
negativa non escludono la batteriemia, specialmente nei pazienti che abbiano
precedentemente ricevuto una terapia antibiotica. Questo numero minimo di due
emocolture va ottenuto da due accessi venosi preparati in maniera adeguata. Si
devono inoltre ottenere delle colture dall’escreato e dalle sostanze prelevate dai
siti di inserzione del catetere e dalle ferite.

In precedenza definita come sindrome settica, la sindrome della risposta


infiammatoria sistemica è definita da due o più dei seguenti parametri obiettivi:
temperatura > 38°C o < 36°C; frequenza cardiaca > 90 battiti/m; frequenza
respiratoria > 20 atti/m o PaCO2 < 32 mm Hg; GB > 12000 o < 4000 cell µl, o

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Batteriemia e shock settico

> 10% di forme immature. Nel quadro tipico, il numero dei GB inizialmente risulta
diminuito < 4000 µl e quindi risale a > 15000 µl con un marcato aumento delle
forme immature nel corso di un intervallo compreso tra 2 e 6 h.

Prognosi e terapia

La batteriemia transitoria conseguente a pratiche chirurgiche o a inserimento di


cateteri endovenosi o di cateteri urinari è spesso non evidente clinicamente e non
richiede terapia a eccezione dei pazienti con malattia cardio-valvolari, protesi
intravascolari o dei pazienti immunosoppressi. In tali pazienti è consigliato un
regime di profilassi antibiotica, in particolar modo per la prevenzione
dell’endocardite.

L’effetto delle forme più gravi di batteriemia dipende da due fattori predominanti.
Il primo è legato a quanto velocemente e completamente la fonte dell’infezione
può essere eliminata. La seconda è condizionata alla prognosi della malattia
sottostante e da quanto questa provoca in termini disfunzioni sistemiche. I presidi
invasivi, in particolare quelli EV e i cateteri urinari, vanno rimossi appena
possibile. La terapia antibiotica deve essere iniziata su base empirica dopo avere
ottenuto le colorazioni di Gram e le colture batteriche. In alcuni casi (p. es., una
rottura di un viscere, una miometrite con ascessi e una gangrena dell’intestino o
della cistifellea) l’intervento chirurgico è dovuto. Gli ascessi più grandi devono
essere incisi e drenati e il tessuto necrotico deve essere rimosso. Quando una
batteriemia persistente è dovuta a infezione dei polmoni, del tratto biliare o
urinario in assenza di un’ostruzione o della formazione di un ascesso,
un’appropriata terapia antibiotica ha di solito buone probabilità di successo.
Quando vengono isolati più volte e in quantità elevata più di un microrganismo
(batteriemia polimicrobica) nell’ambito di un quadro di insufficienza multiorgano è
verosimile che si abbia ha una prognosi infausta. Un ritardo nel trattamento
antibiotico o chirurgico aumenta considerevolmente il rischio di mortalità.

SHOCK SETTICO

Quando la batteriemia produce modificazioni nella circolazione così che la


perfusione tissutale si riduce marcatamente, si instaura lo shock settico. Lo shock
settico è comune soprattutto con infezioni sostenute da organismi gram –,
stafilococchi o meningococchi. Lo shock settico è caratterizzato da
un’insufficienza circolatoria acuta, di solito con o seguita da ipotensione e da
insufficienza multiorgano. La cute all’inizio può essere calda anche in presenza di
ipotensione, la diuresi è ridotta, diminuisce lo stato di vigilanza e aumenta lo stato
confusionale e si verifica l’insufficienza acuta di più organi, inclusi polmoni, reni e
fegato.

Eziologia e patogenesi

Lo shock settico è più spesso causato da bacilli gram – acquisiti in ospedale e si


verifica comunemente nei pazienti immunocompromessi e in quelli con patologie
croniche. In circa 1/3 dei pazienti, tuttavia, è causato da cocchi gram + e dalla
Candida. Lo shock causato da tossine stafilococciche è denominato shock
tossico, una condizione incontrata più frequentemente nelle ragazze (v. in
Infezioni stafilococciche Cap. 157).

I fattori predisponenti per lo shock settico comprendono diabete mellito, cirrosi,


stati leucopenici, specialmente quelli associati a neoplasie sottostanti o al
trattamento con agenti citotossici, infezioni antecedenti nel tratto urinario, biliare o
GI, presidi invasivi, inclusi i cateteri, i tubi di drenaggio e altri corpi estranei.
Inoltre costituiscono fattori predisponenti una precedente terapia con antibiotici,
corticosteroidi o interventi strumentali per la ventilazione. Lo shock settico si

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Batteriemia e shock settico

verifica più spesso nei neonati, nei pazienti con più di 35 anni, nelle donne in
gravidanza e nelle persone con un grave grado di immuno-compromessione
indotto da patologie di base o nei casi di complicanze iatrogene.

La patogenesi dello shock settico non è stata completamente spiegata. Le


tossine batteriche generate dagli organismi infettanti attivano complesse reazioni
immunologiche. Sono stati implicati un gran numero di mediatori, compreso il
fattore di necrosi tumorale, i leucotrieni, la lipossigenasi, l’istamina, la
bradichinina, la serotonina e l’interleukina-2, in aggiunta all’endotossina
(scissione lipidica dei lipopolisaccaridi rilasciati dalle pareti cellulari dei bacilli
enterici gram –).

Inizialmente si verifica la vasodilatazione delle arterie e delle arteriole che fanno


diminuire la resistenza arteriosa periferica con una gettata cardiaca normale o
aumentata, anche se la frazione di eiezione può risultare diminuita all’aumentare
del battito cardiaco. Successivamente la gittata cardiaca diminuisce e le
resistenze periferiche possono aumentare. Malgrado una gittata cardiaca
aumentata, il flusso sanguigno verso i vasi capillari di scambio risulta diminuito,
come diminuito è il rilascio dei substrati vitali, in particolare O2 e la rimozione
della CO2 e dei prodotti del catabolismo. Questa condizione di diminuita
perfusione dell’organo colpisce particolarmente i reni e il cervello con
conseguente danneggiamento di uno o più organi viscerali. Alla fine, la gettata
cardiaca diminuisce e compare il quadro tipico dello shock.

Sintomi e segni

Le manifestazioni della batteriemia (v. sopra) appaiono di solito per prime.


Quando si sovrappone uno shock settico, il primo sintomo è spesso lo stato di
vigilanza alterato. La pressione è verosimilmente ridotta anche se la cute è
tiepida (il paradossso delle estremità calde). Sono presenti tachicardia, tachipnea
e oliguria. Sintomi tardivi sono estremità fredde, pallide, con cianosi periferica e
marmorizzazione. Col progredire dello shock, si ha insufficienza di molti organi,
compresi i reni, i polmoni e il fegato; si possono inoltre verificare coagulazione
disseminata intravascolare (CID) e insufficienza cardiaca.

Diagnosi

Lo shock settico deve essere distinto dallo shock ipovolemico, cardiogeno e


ostruttivo (v. anche Cap. 204). È utile la determinazione del peso specifico e
dell’osmolalità delle urine e lo shock ipovolemico tende a rispondere prontamente
al riequilibrio del volume intravascolare. Lo shock cardiogeno è tipicamente
associato all’infarto del miocardio. Lo shock ostruttivo è una complicanza
dell’ostruzione dell’arteria polmonare o di un altro grosso vaso causata da
un’embolia polmonare o da un aneurisma che provoca la dissezione dell’aorta.

Nello shock settico si nota un difetto di distribuzione. Il modello iniziale


emodinamico dello stato iperdinamico è peculiare della sepsi: una gittata
cardiaca normale o aumentata con diminuzione delle resistenze periferiche
arteriose e pelle calda e secca. La diminuzione cardiaca accompagnata
dall’aumento delle resistenze periferiche rappresenta lo stato ipodinamico, che di
solito è una fase tardiva dello shock settico.

Le misurazioni emodinamiche con un catetere nell’arteria polmonare sono utili


per escludere cause non settiche dello shock. A differenza dello shock
ipovolemico, durante lo shock settico si verifica più spesso che la gittata cardiaca
sia normale o aumentata e le resistenze periferiche diminuite. Non sono di solito
ridotte né la pressione venosa centrale (PVC) né la pressione occlusiva
dell’arteria polmonare. L’ECG può mostrare anomalie non specifiche delle
onde ST-T e delle aritmie sopraventricolari e ventricolari, in parte connesse con
l’ipotensione.

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Batteriemia e shock settico

All’inizio dello shock settico, il numero dei leucociti può essere significativamente
ridotto e i leucociti polimorfonucleati (PMN) possono essere ridotti al 20%. Ciò è
associato a una brusca diminuzione del numero delle piastrine a 50000 µl.
Tuttavia, la situazione s’inverte rapidamente entro 1-4 h e di solito si ha un
incremento significativo nel numero complessivo dei GB e dei PMN (fino a > 80%
con la prevalenza delle forme giovanili). L’analisi delle urine può mostrare come il
tratto urinario sia la fonte dell’infezione, particolarmente nei pazienti che hanno
cateteri urinari.

In fase precoce è presente un’alcalosi respiratoria, con bassa Pco2 e aumentato


pH arterioso, il che compensa l’acidemia lattica. I bicarbonati sierici sono di solito
diminuiti mentre il lattato sierico ematico sono aumentati. Col progredire dello
shock sopravviene un’acidosi metabolica. L’insufficienza respiratoria precoce
conduce a ipossiemia con Po2 < 70 mm Hg. L’ECG può mostrare segmenti ST
depressi con onde T invertite e occasionalmente aritmie atriali e ventricolari. Di
solito le concentrazioni di azotemia e creatinina aumentano progressivamente
come conseguenza di un’insufficienza renale con diminuzione della clearance
della creatinina.

Prognosi e terapia

La mortalità generale per i pazienti con shock settico oscilla tra il 25 e il 90%.
Spesso i risultati peggiori si verificano quando la terapia non sia stata avviata
abbastanza presto. Una volta stabilitasi l’acidosi metabolica scompensata grave,
specialmente in associazione a insufficienza multiorgano, è verosimile che lo
shock settico abbia carattere di irreversibilità nonostante la terapia.

I pazienti con shock settico devono essere curati in unità di terapia intensiva
(UTI). I seguenti parametri devono essere controllati di frequente: pressione
sistemica, pH del sangue arterioso e venoso, livelli dei gas arteriosi, livello del
lattato ematico, funzionalità renale, livelli degli elettroliti e possibilmente la PCO2
tissutale. L’utilizzo di un catetere nell’arteria polmonare è controverso ma tende a
essere preferito quando la diagnosi differenziale di shock è in dubbio. La
vasocostrizione cutanea fornisce un indizio circa le resistenze vascolari
periferiche ma non riflette accuratamente il flusso ematico del rene, del cervello o
dell’intestino. Pertanto, deve essere misurata la quantità di urine emesse di solito
avvalendosi di un catetere urinario come indicazione del flusso ematico
splancnico e della perfusione viscerale.

La PVC o la pressione dell’arteria polmonare vanno misurate, in modo che la


terapia sostitutiva con liquidi sia protratta finché la PVC non raggiunga i 10-12 cm
H2O o finché la pressione polmonare di punta non raggiunga i 12-15 mm Hg.
L’oliguria con l’ipotensione non costituiscono una controindicazione a una terapia
liquida vigorosa. La quantità di liquidi necessaria supera spesso di molto il
volume ematico normale e può raggiungere i 10 l in poche ore. La pressione
occlusiva dell’arteria polmonare può essere la miglior guida disponibile per
anticipare le limitazioni nella funzionalità ventricolare di sinistra e un edema
polmonare incipiente, dovuto a sovraccarico di liquidi (v. anche la trattazione
della terapia nel Cap. 67).

La respirazione deve essere sostenuta con O2 nasale, intubazione tracheale o


tracheotomia, e ventilazione meccanica se necessario.

Gli antibiotici per via parenterale vanno somministrati solo dopo aver effettuato
prelievi di sangue, di liquidi organici e tamponi delle ferite cutanee, da sottoporre
a colorazione di Gram e a colture. È essenziale la rapida instaurazione di una
terapia empirica; la scelta di un antibiotico richiede la valutazione dei risultati di
colture precedenti ottenute da focolai dell’infezione primaria o del tipo di
ambiente clinico in cui l’infezione primaria si è manifestata.

La precoce somministrazione di antibiotici può permettere di salvare la vita al


paziente un regime empirico nel caso di shock settico da cause ignote è costituito

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Batteriemia e shock settico

dalla gentamicina o dalla tobramicina più una cefalosporina di terza generazione


(cefotaxime o ceftriazone o, in caso di sospetto di infezione da Pseudomonas,
ceftazidime). Nel caso in cui sia probabile la presenza di organismi gram + (sepsi
da catetere) allora va aggiunta la vancomicina. Se c’è una fonte di infezione
addominale, va utilizzato un farmaco anti-anaerobi (p. es., metronidazolo). Può
essere efficace anche se non è raccomandata una monoterapia con dosi
terapeutiche massimali di ceftazidime (2 g q 8 h EV) o di imipenem (500 mg q 6 h
EV). La vancomicina deve essere utilizzata se si sospettano stafilococchi
resistenti oppure enterococchi. Appena si rendano disponibili i risultati delle
colture e siano disponibili gli antibiogrammi, il regime antibiotico andrà modificato
di conseguenza. Gli antibiotici vanno continuati per diversi gg dopo la risoluzione
dello shock e dopo che il focolaio primario di infezione sia stato adeguatamente
bonificato.

Se un paziente con uno shock settico rimane ipoteso malgrado l’elevazione della
pressione arteriosa polmonare a 15-18 mm Hg ottenuta tramite idratazione, allora
si può somministrare la dopamina per portare la PA media ad almeno 60 mm Hg.
Se la dose di dopamina eccede i 20 µg/kg/min, si può somministrare un altro
vasopressore, generalmente la norepinefrina, con la dose regolata per
mantenere una PA media di 60 mm Hg. Tuttavia, i farmaci vasopressori, inclusa
la dopamina ad alte dosi e la norepinefrina presentano rischi legati alla
vasocostrizione da essi indotta e non è stata ancora provata la loro capacità di
migliorare la sopravvivenza. Il pus deve essere drenato; corpi estranei e tessuto
necrotico vanno rimossi; se non si fa ciò, spesso si va incontro a una prognosi
sfavorevole, malgrado la terapia antibiotica. Per drenare l’ascesso o per
rimuovere i tessuti infetti come intestino infartuato, colecisti infiammata, utero
infetto o pionefrosi, spesso si deve procedere con urgenza a un intervento
chirurgico. Le condizioni del paziente, per quanto gravi, possono continuare a
peggiorare, sebbene il focolaio settico sia stato escisso o drenato.

A seconda delle condizioni cliniche del paziente sono state utilizzate altre terapie
inclusi mannitolo o furosemide, per indurre la diuresi in pazienti con oliguria, un
preparato di digitale a rapida azione, nei pazienti con insufficienza cardiaca e,
occasionalmente, eparina nei pazienti con CID (v. in Cap. 131). Ad ogni modo,
tali interventi non sono di provata efficacia.

Studi sperimentali di terapia con anticorpi monoclonali verso la frazione lipidica A


dell’endotossina, antileucotrieni e gli anticorpi contro i fattori di necrosi tumorale
non hanno dato risultati positivi. I glucocorticoidi non sono considerati di ausilio
nelle situazioni ordinarie, per quanto possano essere utilizzati in tipi di infezione
particolari come la meningite e nei pazienti con iposurrenalismo.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

INFEZIONI NEONATALI

Terapia antibatterica

(V. anche Cap.258)

Le rapide modificazioni fisiologiche durante il periodo neonatale alterano in modo


significativo la farmacocinetica e le proprietà tossiche degli antibiotici,
determinando la necessità di complessi calcoli per stabilire le dosi (v. Tabb. 260-
6 e 260-7). Si inizia spesso, in attesa dei risultati delle colture e degli
antibiogrammi, una terapia empirica, costituita di solito dall’associazione
dell’ampicillina e un aminoglicoside o, se opportuno, ampicillina e una
cefalosporina a largo spettro che posside un buon passaggio attraverso la BEE
(v. anche più avanti in Sepsi neonatale,). I dati riguardanti la prevalenza dei
germi resistenti agli antibiotici in un Nido sono utili nella scelta del trattamento. Se
sono presenti lesioni cutanee o se si sospettano infezioni nosocomiali, è
consigliabile una copertura con farmaci attivi sugli stafilococchi. Tuttavia, i potenti
antibiotici a largo spettro, come le cefalosporine più recenti, possono indurre
drastiche variazione della flora batterica intestinale, alterazioni della
coagulazione, l’emergere di ceppi resistenti, e superinfezioni da enterococchi o
da lieviti.

Le dosi dei farmaci in tutto questo capitolo si riferiscono a neonati a termine e


lattanti.

Assorbimento degli antibiotici: l’instabilità vasomotoria dei neonati con


infezioni batteriche gravi determina un’imprevedibilità nell’assorbimento, quando i
farmaci sono somministrati per via sottocutanea o intramuscolare. Quindi, se
possibile, gli antibiotici per infezioni gravi devono essere somministrati EV. Gli
antibiotici possono essere utilizzati per via orale nei pazienti che non sono
gravemente malati (v. Tab. 260-7).

Distribuzione degli antibiotici: nei neonati il LEC costituisce fino al 45% del
peso corporeo totale e si richiedono quindi dosi maggiori, in rapporto al peso, di
determinati farmaci (p. es., gli aminoglicosidi), rispetto a quelle utilizzate negli
adulti. Nel bambino prematuro le concentrazioni più basse di albumina sierica
possono condizionare la distribuzione, attraverso la riduzione del legame degli
antibiotici con le proteine. I farmaci che competono con la bilirubina per il legame
con l’albumina (p. es., sulfamidici, ceftriaxone) possono aumentare il rischio di
ittero nucleare.

Metabolismo ed escrezione degli antibiotici: l’assenza o il deficit di alcuni


enzimi nei neonati possono prolungare l’emivita di determinati farmaci e
aumentarne il rischio di tossicità. Per esempio, l’immaturità dell’attività della
glicuroniltransferasi epatica diminuisce la coniugazione del cloramfenicolo e ciò
può condurre a livelli ematici elevati che possono determinare collasso cardio-
circolatorio (sindrome del bambino grigio). Il cloramfenicolo deve essere evitato,
se possibile; altrimenti, i livelli ematici del farmaco devono essere monitorati,
specialmente se utilizzato in associazione con rifampicina, fenobarbital o
acetaminofene, a causa dell’interferenza con il metabolismo epatico. La diminuita
VFG e la diminuita secrezione tubulare renale aumentano l’emivita delle
penicilline e degli aminoglicosidi. Le dosi di questi antibiotici devono quindi
essere ricalcolate mentre la funzionalità renale va modificandosi, durante il primo
mese di vita.

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Patologia del neonato e del lattante

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-6. DOSAGGIO RACCOMANDATO PER GLI ANTIBIOTICI USATI NEL NEONATO PER VIA
PARENTERALE

Intervallo fra le somministrazioni

Peso Peso Peso


Corporeo < Corporeo 1200- Corporeo
1200 g < 2000 g 2000 g

Età Età Età


Via di
somminis Dose 0-28 gg 0-7gg 8 gg 07 8 gg
Antibiotico trazione individuale gg Commenti

Penicillina G Massimo per meningiti da


acquosa streptococco di gruppo B, 250000 U/
eV 50000 U/kg q 12 h q 12 h q8h q8 q 6 h kg/die
Meningite h
EV, IM 25000 U/kg q 12 h q 12 h q8h q6h
Altre malattie q8
h

Penicillina G Attenzione: ascesso sterile ed


intossicazione da procaina
Procaina IM 50000 U/kg non q 24 h q 24 h q q 24 h
raccomandata 24 h

Ampicillina Infusione EV in 1530 min

Meningite eV 50 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q8 q6h


h
Altre malattie EV, IM 25 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q6h
q8
h

Ticarcillina EV, IM 75 mg/kg q 12 h q8h q8 q6h Non di prima scelta. Si consiglia l’uso
h in associazione con un
aminoglicoside contro lo
Pseudomonas Aeruginosa.
Potenziale emorragia con
insufficienza renale

Mezlocillina EV, IM 75 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q q8h Dati limitati


12 h

Meticillina, Monitorare la funzionalità renale


nafcillina, quando si utilizza la meticillina
oxacillina
Controllare l’emocromo, la
Meningite eV 50 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q8 q6h funzionalità epatica quando si utilizza
h la nafcillina
Altre malattie EV, IM 25 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q6h
q8
h

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Manuale Merck - Tabella

Cefazolina* EV, IM 20 mg/kg q 12 h q 12 h q 12 h q q8h Non di prima scelta. Dati limitati. Non
12 h usare per la terapia iniziale di sepsi o
meningiti

Cefotaxime EV, IM 50 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q q8h


12 h

Ceftazidime EV, IM 50 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q8 q8h


h

Ceftriaxone q Dati limitati. Può provocare


5075 mg/ 12 h q 12- pseudolitiasi biliare. Può aumentare il
Meningite EV, IM kg q 24 h q 12 h q 12 h 24 h rischio di encefalopatia bilirubinica
nei neonati prematuri itterici
q
Altre malattie EV, IM 50 mg/kg q 24 h q 24 h q 24 h 24 h q 24 h

Aztreonam EV, IM 30 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q8 q6h Dati limitati. Efficace soltanto per i
h bacilli gram-negativi

Clindamicina EV, IM 5 mg/kg q 12 h q 12 h q8h q8 q6h Efficace contro i germi anaerobi ed i


h cocchi gram-positivi (non
enterococchi)

Kanamicina**, EV, IM 7,5-10 mg/ q 18-24 h q 12-18 q 8- q q8h Monitorare i picchi ematici dei farmaci
Amikacina**, kg h 12 h 12 h (kanamicina o amikacina = 2030 mg/
Gentamicina**, EV, IM q 18-24 h q8h ml [31-52 mmol/l o 34-43mmol/l,
Tobramicina**, 2,5 mg/kg q 12-18 q 8- q rispettivamente]); gentamicina o
Netilmicina** h 12 h 12 h tobramicina = 510 mg/ml [10,4-20,9
mmol/l o 11-21 mmol/l,
rispettivamente]). Il minimo della
curva deve essere < 10 mg/ml per
amikacina e kanamicina e < 2 mg/ml
per gentamicina e tobramicina. Se
presente insufficienza renale ridurre
le dosi. Ridurre la frequenza nei
prematuri molto piccoli (q 1824 h)

Cloramfenicolo EV 25 mg/kg q 24 h q 24 h q 24 h q q 12 h Modificare le dosi secondo i livelli


24 h ematici (picco = 1525 mg/ml [46-
77mmol/l]) e i parametri ematologici

Vancomicina EV 15 mg/kg q 24 h q 12-18 q 8- q q8h Dati limitati. Da somministrare


dose h 12 h 12 h lentamente per infusione EV, in non
carico, poi meno di 60 min. Monitorare i livelli
10-15 mg/ ematici di vancomicina è controverso
kg (picco = 25 40 mg/ml [7-12,1mmol/l];
minimo della curva < 15 mg/ml [<
3mmol/l]), modificare il dosaggio in
caso d’insufficienza renale. Per i
neonati prematuri < 1000 g,
somministrare 15 mg/kg q 2436 h

Metronidazolo EV 7,5 mg/kg q 48 h q 24 h q 12 h q q 12 h Dati limitati. Somministrare la dose


12 h carico di 15 mg/kg, seguita da
un’altra dose dopo 48 h nei prematuri
e dopo 24 h nei neonati a termine,
quindi somministrare q 12 h

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Manuale Merck - Tabella

Imipenem EV 20 mg q 18-24 h q 12 h q 12 h q q8h Dati limitati


12 h

Amfotericina B EV 0,251 mg/ Diluire in soluzione glucosata al 5% o al 10% (non usare soluzione fisiologica).
kg Somministrare una dose test di 0,1 mg/kg (max 1 mg) infusa in 1 h per determinare
la risposta febbrile ed emodinamica del paziente. Se non si osservano importanti
effetti collaterali, si può somministrare,nello stesso giorno della dose test, una dose
terapeutica di 0,4 mg/kg. Infondere la dose in 2-4 h. La dose può essere aumentata
fino a un massimo di 1 mg/ kg/die. In determinate situazioni possono essere
necessarie dosi fino a 1,5 mg/kg/die. Dopo che il paziente migliora, si può
somministrare una dose a giorni alterni fino a che il trattamento non viene
terminato. Monitorare i livelli di potassio e i parametri ematologici e renali.

*Non oltrepassa la barriera ematoencefalica.

** Il campione deve essere preso dopo la fine dell’infusione EV o dopo 60 minuti dall’iniezione IM.

*** La necessità di somministrare una dose test di amfotericina B è controversa.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-7. DOSI RACCOMANDATE NEL NEONATO PER ALCUNI ANTIBIOTICI


DA SOMMINISTRARE PER VIA ORALE

Antibiotico Dose (mg/ Intervallo Osservazioni


kg/ dose)

Amoxicillina 15 q8h Dati limitati

Eritromicina estolato 10 q8h Per infezioni da clamidia o pertosse

Eritromicina 10 q6h
etilsuccinato

Neomicina 30-35 q8h Per le gastroenteriti da Escherichia coli,


enteropatogeno e per la profilassi nei neonati
Colistina 3-5 q8h ad alto rischio per enterocolite necrotizzante,
per 5 gg. Può essere assorbito a livello
sistemico in presenza di diarrea importante.
Non provate l’efficacia e l’innocuità

Rifampicina* 10 q 24 h Per la tubercolosi

5 q 12 h Per la profilassi del meningococco per 2 gg

10 q 24 h Per la profilassi dell’Haemophilus influenzae


per 4 gg

Flucitosina 12,5-37,5 q6h Dati limitati. Da usare soltanto in associazione


con l’amfotericina B per ritardare l’insorgere
delle resistenze

Clindamicina** 5 q 6-8 h Dati limitati

*I livelli sierici nei neonati prematuri devono essere monitorati.

** La dose per i neonati di età < 7 giorni che hanno un peso < 2000 g è di 5 mg/kg q 12 h.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

INFEZIONI NEONATALI

SEPSI NEONATALE

(Sepsis neonatorum)

Infezione diffusa batterica che si ha nelle prime 4 settimane di vita.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi
Profilassi
Terapia

La sepsi neonatale si verifica con un’incidenza che varia da 0,5-8,0/1000 nati vivi;
la più elevata incidenza si ha nei neonati di basso peso alla nascita (SGA), in
quelli con funzionalità respiratoria depressa alla nascita e in quelli con fattori di
rischio materno perinatale. Il rischio è maggiore nei maschi (2:1) e nei neonati
con malformazioni congenite, particolarmente del tratto GU.

Le complicanze ostetriche, p. es., rottura prematura delle membrane (PROM)


12- 24 h prima della nascita, emorragia materna (placenta previa, distacco
placentare), tossiemia, parto precipitoso o infezione materna (in particolare delle
vie urinarie o dell’endometrio, la maggior parte delle quali si manifesta
comunemente come febbre materna poco prima o durante il parto) possono
predisporre un neonato alla sepsi neonatale.

Eziologia

Lo streptococco di gruppo B (GBS) e i microrganismi intestinali gram - sono i più


comuni agenti eziologici delle infezioni neonatali nei primi giorni di vita,
determinando il 70% delle sepsi a esordio precoce. Le colture vaginali e rettali
della donna al momento del parto possono mostrare una colonizzazione con
GBS anche fino al 30%; allora almeno il 50% dei loro neonati risulterà
colonizzato. La densità di colonizzazione del bambino rappresenta un rischio per
malattie sistemiche (il rischio è 40 volte più elevato con forti colonizzazioni).
Sebbene soltanto 1 su 100 di questi neonati colonizzati svilupperà la malattia
sistemica da GBS, > 50% di questi neonati presenterà la malattia entro le prime 6
h di vita. La sepsi da Haemophilus influenzae non tipizzabile è stata sempre più
frequentemente diagnosticata nei prematuri.

Altri batteri intestinali gram - (p. es. Klebsiella sp) e microrganismi gram +,
Listeria monocytogenes, streptococchi di gruppo D (enterococchi, p. es.
Enterococcus faecalis e E. faecium e non enterococchi, p. es. S. bovis e S. mitis)

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e streptococchi α-emolitici, sono responsabili delle altre infezioni batteriche più


invasive che portano alla sepsi. Sono stati isolati S. pneumoniae, H. influenzae di
tipo b, e meno comunemente, Neisseria meningitidis. Poiché la gonorrea
asintomatica si verifica nel 5-10% delle gravidanze, la N. gonorrhoeae è un
patogeno importante nei neonati.

L’E. coli è il più comune germe intestinale gram negativo in grado di provocare la
sepsi neonatale a esordio precoce. Il 40% degli E. coli che provocano la
setticemia e l’80% di quelli che causano la meningite possiedono un fattore di
virulenza, l’antigene capsulare K1.

Lo Stafilococco sp è responsabile del 30-50% dei casi a esordio tardivo ed è


molto spesso associato alla presenza di dispositivi intravascolari di plastica
(p. es., cateteri ombelicali arteriosi o venosi, catetere di Broviac). Generalmente,
le infezioni ospedaliere sono sporadiche, ma le epidemie si verificano e possono
essere dovute a germi multipli resistenti (p. es., K. pneumoniae, Enterobacter
cloacae, S. aureus). L’isolamento del E. cloacae o del E. sakazakii dal sangue o
dal LCR deve far pensare a cibi contaminati. Nelle epidemie di polmoniti o sepsi
ospedaliere da P. aeruginosa si deve sospettare una contaminazione delle
apparecchiature respiratorie.

Il ruolo degli anaerobi (in particolare del Bacteroides fragilis) rimane non chiaro
nelle sepsi neonatali, sebbene alcuni decessi in epoca neonatale siano stati
attribuiti a batteriemie da Bacteroides. Gli anaerobi sono responsabili di alcuni
casi di negatività delle colture, in cui i reperti autoptici hanno evidenziato sepsi.

La Candida sp è diventata sempre più importante come agente responsabile


delle sepsi a insorgenza tardiva, che si verificano nel 3-4% dei bambini di basso
peso neonatale (fino al 10% o più in alcuni Nidi ad alto rischio).

In altre regioni del mondo, possono essere molto più frequenti patogeni differenti
(L. monocytogenes in Spagna e Salmonella sp in America Latina).

Patogenesi

Il più importante fattore di rischio per le sepsi di origine nosocomiale è


rappresentato dall’uso di cateteri intravascolari di plastica. Altri fattori di rischio
sono rappresentati da patologie associate (che possono essere solamente un
fattore responsabile dell’aumentato utilizzo di procedure invasive), il trattamento
antibiotico (che "seleziona" i ceppi batterici resistenti), la prolungata
ospedalizzazione, gli strumenti laboratoristici di supporto contaminati e le
soluzioni enterali o EV. I germi gram + (p. es., S. epidermidis e S. aureus)
possono derivare dall’ambiente o dalla cute del paziente. I germi gram -
intestinali derivano quasi sempre dalla flora endogena del paziente, che può aver
subito modificazioni per un precedente trattamento antibiotico o può aver
proliferato grazie a germi resistenti trasferiti dalle mani del personale (la
maggiore fonte di contagio) o da attrezzatura non sterilizzata. Perciò, le
condizioni che innalzano il rischio per il neonato di contrarre questi germi (p. es.,
l’affollamento, un rapporto infermiere/neonato >1:1, scarsa pulizia delle mani)
determinano una più alta incidenza di infezioni nosocomiali nei reparti di
neonatologia. I fattori di rischio per una sepsi da Candida sp comprendono il
posizionamento prolungato (> a 10 giorni) dei cateteri centrali EV permanenti,
l’iperalimentazione, l’uso antecedente di antibiotici, le enterocoliti necrotizzanti e
un precedente intervento chirurgico.

La maggiore incidenza di infezioni batteriche in epoca perinatale suggerisce che


gli agenti patogeni siano di solito acquisiti in utero, durante il travaglio o durante il
parto. La diffusione per via ematogena e transplacentare di infezioni materne si
ha in caso di trasmissione di determinati agenti virali (p. es., rosolia,
citomegalovirus), protozoari (p. es. Toxoplasma gondii) e treponemici
(Treponema pallidum). Alcuni batteri patogeni possono arrivare al feto per via
transplacentare (p. es. L. monocytogenes, Mycobacterium tuberculosis), ma la
maggior parte viene acquisita per via ascendente in utero oppure mentre il feto

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passa attraverso il canale del parto contaminato.

L’intensità della colonizzazione materna è direttamente correlata al rischio di


malattia nel neonato. Tuttavia, molte madri con colonizzazione di bassa densità
partoriscono bambini con colonizzazione ad alta densità, che sono quindi a
rischio. Il liquido amniotico contaminato con meconio o vernice caseosa favorisce
la crescita di GBS e E. coli. Dunque, il piccolo numero di germi del canale
vaginale è in grado di riprodursi rapidamente dopo una PROM, contribuendo
forse a questo paradosso. I germi possono invadere il circolo fetale dopo aver
infettato i vasi corionici superficiali ma, più comunemente, raggiungono il distretto
ematico attraverso l’aspirazione o deglutizione del liquido amniotico infetto da
parte del feto, con conseguente batteriemia. L’infezione che si realizza per via
ascendente spiega alcuni fenomeni, come l’alta incidenza di PROM nelle
infezioni neonatali, spiega l’importanza delle infezioni annessiali (l’amniotite è più
comunemente associata a sepsi neonatale che non la placentite centrale),
l’aumentato rischio di infezione nel gemello più vicino al canale da parto e le
caratteristiche batteriologiche della sepsi neonatale, che riflettono la flora del
canale vaginale.

I foci di infezione che si stabiliscono a livello dei seni paranasali, dell’orecchio


medio, dei polmoni o del tratto GI possono diffondersi alle meningi, ai reni, alle
ossa, alle articolazioni, al peritoneo e alla cute. La polmonite è la più comune
infezione batterica invasiva nel neonato.

I neonati (soprattutto quelli di basso peso neonatale) sono immunologicamente


immaturi e quindi non hanno difese efficienti per contrastare la flora polimicrobica
a cui sono esposti durante e dopo il parto. Il ruolo protettivo per il feto degli
anticorpi di tipo IgG, acquisiti passivamente, è dimostrato dalle infezioni da GBS.
Praticamente ogni bambino con infezione da GBS ha un tasso basso di Ac tipo-
specifici IgG, acquisiti per via transplacentare poiché la madre è priva di tali Ac.
Alcuni fattori di virulenza batterica (p. es., il polisaccaride del GBS sierotipo III e
l’antigene K1 di E. coli) sembra che giochino un ruolo, specialmente nel
provocare la meningite. I più importanti forse sono alcuni deficit delle difese
neonatali, legati al peso alla nascita e correlati alle opsonine sia termostabili
(anticorpi tipo-specifici) che termolabili (complemento), che provocano un difetto
nella opsonizzazione. Inoltre, i PMN neonatali mostrano una riduzione di
chemiotassi, opsonizzazione, fagocitosi, deformabilità, uccisione batterica
intracellulare, così come una diminuita risposta ossidativa; i monociti neonatali
presentano una diminuzione della funzione chemiotattica e citotossica. (V. anche
Situazione immunologica del feto e del neonato nel Cap. 256).

Sintomi e segni

La sepsi neonatale a esordio precoce compare clinicamente entro 6 h dalla


nascita in > 50% dei casi; la grande maggioranza si manifesta entro le 72 h di
vita; la sepsi neonatale a esordio tardivo generalmente si presenta dopo 4 giorni
dalla nascita e comprende le infezioni acquisite in ospedale.

I segni precoci sono spesso non specifici e poco evidenti. Una diminuzione
dell’attività spontanea o una suzione meno valida, apnea, bradicardia e
termolabilità (ipo- o ipertermia) sono particolarmente comuni. Altri sintomi e segni
comprendono disturbi respiratori, segni neurologici (p. es. convulsioni, instabilità),
ittero (specialmente quello che compare nelle prime 24 h di vita senza
incompatibilità Rh o ABO e con una concentrazione di bilirubina più elevata di
quella prevista), vomito, diarrea e distensione addominale. L’infezione da
anaerobi è spesso associata a liquido amniotico maleodorante alla nascita.

I segni specifici di infezione d’organo permettono di individuare la sede primitiva


o metastatica. La maggior parte dei bambini con infezione da GBS a esordio
precoce manifesta disturbi respiratori che è difficile distinguere dalla malattia
delle membrane ialine. L’eritema periombelicale, l’emissione di materiale
purulento o il sanguinamento in un bambino senza diatesi emorragica (l’infezione
impedisce la chiusura dei vasi ombelicali) suggeriscono l’onfalite. Il coma, le

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convulsioni, l’opistotono o la fontanella pulsante fanno pensare alla meningite o


all’ascesso cerebrale. La diminuzione dei movimenti spontanei di un arto e la
tumefazione, il calore, il rossore o la dolorabilità alla pressione di un’articolazione
indicano una osteomielite o un’artrite piogenica. Una inspiegabile distensione
addominale può essere indice di una peritonite o di enterocolite necrotizzante
(specialmente se accompagnata da diarrea ematica e leucociti fecali). Vesciche
cutanee, ulcere a livello della bocca ed epatosplenomegalia (in particolare con
coagulazione intravascolare disseminata- CID) possono far identificare un herpes
simplex disseminato.

L’infezione da GBS a esordio precoce può presentarsi in forma fulminante, in


primo luogo batteriemica e polmonare, causata da sierotipi Ia, Ib, Ic, II o III.
Spesso sono associate complicanze ostetriche (in particolare prematurità, rottura
prolungata delle membrane e corioamnionite). Nel 50% o più dei bambini,
l’infezione da GBS si manifesta entro le 6 h dalla nascita; il 45% dei bambini ha
un indice di Apgar < 5. La meningite è spesso assente. Una infezione da GBS a
esordio tardivo si verifica dopo 1-12 sett. (a volte più tardi) ed è generalmente
causata dal sierotipo III. È comunemente associata a meningite. Questa forma
non è generalmente associata a fattori di rischio perinatale o a una dimostrabile
colonizzazione cervicale materna; anche quando la madre è colonizzata, può non
risultare lo stesso sierotipo che ha colpito il bambino. Dunque, l’acquisizione
postnatale del microorganismo può essere responsabile in molti di questi casi.

L’infezione a esordio precoce da L. monocytogenes si può presentare con


distress respiratorio e shock, con un decorso fulminante entro i primi giorni di
vita. Questa forma in primo luogo coinvolge i polmoni ma può diffondersi con
formazione granulomatosa a livello del fegato (granulomatosis infantiseptica). La
forma a esordio tardivo, come quella dell’infezione da GBS, è frequentemente
associata alla meningite.

Alcune infezioni virali (p. es., herpes simplex disseminato, enterovirus,


adenovirus e virus respiratorio sinciziale) possono manifestarsi sia come sepsi
neonatali a esordio precoce che a esordio tardivo, con sintomi e segni
indistinguibili da quelli presenti nelle sepsi di origine batterica.

Diagnosi

Per la diagnosi precoce è importante ed è necessaria la conoscenza dei fattori di


rischio (particolarmente nel bambino di BPN) e un atteggiamento di forte dubbio
di fronte a qualunque neonato che si discosti dalla norma nelle prime settimane
di vita. La segnalazione dai genitori o dalle infermiere che il bambino "non sta
bene" e la presenza di alcuni segni chiari o subdoli di sepsi richiedono
un’immediata indagine. I test di laboratorio possono fornire informazioni
diagnostiche.

Conta dei GB, formula leucocitaria e striscio: il numero normale dei GB varia
nel neonato, ma sono considerati anormali valori < 4000 o > 25000/µλ. La conta
assoluta di forme a banda non è abbastanza sensibile da essere un utile
rivelatore della sepsi neonatale. Un rapporto PMN immaturi: totali < 0,2 rivela
precisamente l’assenza di sepsi batterica. Una caduta improvvisa della conta
assoluta di eosinofili, come anche i cambiamenti morfologici dei neutrofili
(granulazione tossica, corpi di Döhle e vacuolizzazione intracitoplasmatica nel
sangue non citrato o nell’acido etilendiaminotetracetico), possono far pensare
alla sepsi.

Conta delle piastrine: La conta delle piastrine può ridursi qualche ora o qualche
giorno prima dell’inizio di una sepsi clinica, ma molto spesso resta elevata per
almeno un giorno dopo che il neonato ha manifestato la malattia. Questa è
talvolta accompagnata da altre manifestazioni di CID (p. es., aumento dei prodotti
di degradazione della fibrina, diminuzione del fibrinogeno, allungamento del
tempo di protrombina).

Esame del "sovranatante dopo centrifugazione del sangue (buffy coat)": a

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causa del grande numero di batteri circolanti nel neonato settico, i germi possono
essere frequentemente individuati all’interno o in associazione ai PMN mediante
la colorazione di Gram, la colorazione del "sovranatante dopo centrifugazione del
sangue (buffy coat)"con blu di metilene o con acridina arancione.

Puntura lombare: in un bambino già ipossiemico durante una puntura lombare


c’è il rischio di aggravare l’ipossia . Perciò, le punture lombari di routine nei
bambini in cui si ha un sospetto molto debole di sepsi devono essere evitate.
Tuttavia, in un bambino con sospetta sepsi deve essere eseguita una puntura
lombare appena egli si è stabilizzato abbastanza da tollerare la procedura (v. più
avanti Meningite neonatale). Poiché una polmonite da GBS nei primi giorni di vita
può essere confusa con una malattia delle membrane ialine, le punture lombari
vengono spesso praticate sistematicamente nei neonati in cui si sospettano tali
malattie.

Emocolture: i vasi ombelicali sono frequentemente contaminati dai germi


presenti sul tralcio ombelicale, specialmente dopo molte ore, così l’uso di un
accesso ombelicale per i prelievi ematici non fornisce colture attendibili. Perciò il
sangue per l’emocoltura si deve prelevare dalla vena, preferibilmente da due
vene periferiche, ciascuna accuratamente disinfettata, dapprima con liquido
contenente iodio e poi con alcol al 95%, e alla fine asciugata. L’emocoltura deve
essere effettuata per germi aerobi e anaerobi (Bacteroides fragilis richiede per
l’identificazione speciali condizioni colturali). Se si sospetta una sepsi dovuta al
catetere deve essere fatta una coltura attraverso il catetere con le stesse
modalità con le quali viene eseguita perifericamente. In > 90% delle emocolture
positive, lo sviluppo batterico è riscontrabile entro le 48 h di incubazione; il 50%
delle emocolture positive contiene > 50 unità formanti colonie (CFU)/ml, ma solo
quelle contenenti > 1 000 CFU/ml indicano il rischio di sviluppo di una meningite.
A causa di questa alta densità batterica, è di solito sufficiente per individuare i
germi una piccola quantità di sangue (p. es., 1 ml). I dati sulle colture di sangue
capillare sono insufficienti per raccomandarne l’uso.

La Candida sp crescerà in emocolture e in colture di agar-sangue; tuttavia se


sono sospettate infezioni da altri funghi, si deve ricorrere a un terreno di coltura
particolare. Le emocolture per la ricerca dei miceti possono richiedere da 4 a 5
giorni di incubazione prima di diventare positive e possono risultare negative
anche in malattie manifestamente disseminate. Prima di avere i risultati delle
colture, possono essere utili le prove di colonizzazione (su bocca o feci o cute).
Se si sospetta una candidosi disseminata, deve essere eseguita l’oftalmoscopia
indiretta con dilatazione della pupilla per evidenziare lesioni retiniche tipiche della
candidosi disseminata. Deve essere eseguita un’ecografia renale per evidenziare
un micetoma renale.

Analisi delle urine e urinocoltura: le urine devono essere ottenute per puntura
sovrapubica e non raccolte con sacchetto. Un reperto, in urine centrifugate, di > 5
GB/campo a forte ingrandimento o il reperto di qualunque germe in un campione
Gram-colorato di urine fresche non centrifugate è un indice di presunta IVU, che
nel neonato suggerisce una precedente batteriemia (sepsi neonatale). L’assenza
di piuria non esclude l’infezione delle vie urinarie.

La contro-immunoelettroforesi e il test di agglutinazione sul latex: questi


test permettono di evidenziare l’antigene nei liquidi biologici (p. es., LCR, urine
concentrate). Possono inoltre evidenziare l’antigene polisaccaridico capsulare del
GBS, il K1 di E. coli (N. meningitidis tipo B), S. pneumoniae, e H. influenzae tipo
b.

I reagenti della fase acuta: queste proteine sono prodotte dal fegato sotto la
stimolazione dell’interleuchina-1 quando è presente un’infiammazione di qualsiasi
natura. Il più affidabile fra questi è il dosaggio quantitativo della proteina C-
reattiva. Una concentrazione di 1 mg/dl (misurata mediante nefelometria) ha nello
stesso tempo una percentuale di falso-positivo e falso-negativo di circa il10%.
Nel corso di una giornata si verificano livelli elevati, con picchi a 2 o 3 giorni e
cadute ai valori normali entro 5 o 10 giorni nei neonati che guariscono
clinicamente.

Altri test di flogosi: la micro-VES è ben correlata con il metodo standard di

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Wintrobe, ma ha un alta percentuale di falso-negativo (specialmente se associata


alla CID e nella sua prima evoluzione) e un lento ritorno alla normalità, ben oltre il
tempo di cura clinica. Si stanno studiando, come marker di sepsi, l’interleuchina-6
e altre citochine dell’infiammazione.

Lista delle indagini cliniche: diversi ricercatori raccomandano l’utilizzo di una


combinazione di alcuni dei suddetti test. In generale, il rapporto PMN immaturi:
PMN totali (anormale se > 0,2) insieme a emocoltura, coltura liquorale e
urinocoltura è utile quanto altre combinazioni multiple; i risultati negativi
identificano accuratamente un 97% di neonati non infetti.

Test su bambini nati da madri che hanno effettuato la profilassi intrapartum


(v. Profilassi): la valutazione richiede una completa indagine diagnostica, inclusi
un emocromo completo con formula leucocitaria, un’emocoltura, una radiografia
del torace (se sono presenti sintomi o segni respiratori) e una puntura lombare (a
discrezione del medico), iniziando una terapia empirica se sono presenti
l’evidenza o il sospetto di sepsi. Una valutazione diagnostica ristretta (emocromo
e emocoltura con un’osservazione di almeno 48 ore) è raccomandata
dall’American Academy of Pediatrics se il bambino non presenta alcun segno di
sepsi ma ha un’età gestazionale < 35 sett., o se la madre ha ricevuto meno di 2
dosi di antibiotici intrapartum prima del parto.

Prognosi

Il tasso di mortalità delle sepsi neonatali è 2-4 volte superiore nei neonati di BPN
rispetto ai neonati a termine. Il tasso globale di mortalità delle sepsi a esordio
precoce è del 15-50% (quello delle infezioni a esordio precoce da GBS è 50-
85%) e delle sepsi a esordio tardivo è del 10-20% (quello delle infezioni a esordio
tardivo da GBS è circa 20%).

I neonati che sono sia settici che granulocitopenici hanno meno possibilità di
sopravvivenza, soprattutto se la loro riserva midollare di neutrofili (NSP) è ridotta
a < 7% del totale delle cellule nucleate (tasso di mortalità del 90%). Poiché i livelli
di NSP possono non essere immediatamente disponibili, il rapporto dei neutrofili
immaturi:totali (I:T) può essere usato per calcolare approssimativamente il livello
di NSP nel midollo osseo. Un rapporto I:T > 0,80 si associa all’esaurimento dei
NSP e a morte. Perciò, questo rapporto può aiutare a identificare i pazienti che
potrebbero trarre beneficio da una trasfusione di granulociti (v. più avanti,
Terapia).

Profilassi

Poiché la malattia invasiva da GBS si presenterà spesso entro le prime 6 ore di


vita, qualunque strategia per combatterla deve tenere in considerazione il suo
esordio molto precoce. La terapia antibiotica somministrata in epoca prenatale
non elimina la colonizzazione materna e non riduce l’incidenza di colonizzazione
neonatale o di malattia sistemica. I risultati delle colture postnatali del neonato e
la diagnosi rapida possono essere comunque troppo tardivi per rendere efficace
la terapia. È stato dimostrato che la penicillina intrapartum riduce l’incidenza di
malattia da GBS a esordio precoce quando somministrata alle madri colonizzate
con GBS o che stanno partorendo bambini con fattori di rischio per malattia da
GBS.

Quindi, sono state ideate due strategie preventive: una si basa solamente sulla
identificazione dei fattori di rischio per malattia da GBS; l’altra sulle colture
prenatali di screening a 35-37 sett. di gestazione come anche sull’identificazione
dei fattori di rischio. In ciascuno dei casi, le donne che hanno partorito in
precedenza un bambino con malattia da GBS, devono ricevere antibiotici
intrapartum, e le donne in cui si è riscontrata una batteriuria sintomatica o
asintomatica da GBS durante la gravidanza, devono ricevere antibiotici sia al

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momento della diagnosi che intrapartum (v. Figg. 260-3 e 260-4).

Terapia

Poiché la sepsi neonatale può presentarsi con sintomi clinici non specifici e i suoi
effetti possono essere devastanti, si raccomanda un pronto accertamento
diagnostico e un’immediata istituzione della terapia. Il valore di questi interventi si
riflette nel rapporto trattato:dimostrato di 15:1 e 8:1, rispettivamente, negli
ospedali di comunità e del centro.

Gli antibiotici devono essere somministrati con scrupolo poiché essi danneggiano
la flora intestinale del bambino e sono pericolosi per il reparto. Pressoché tutte le
colture batteriche sono positive entro 72 h, a seconda dei laboratori, delle
metodiche e della rapidità dei referti. Se le colture negative dei liquidi corporei
sono conformi al decorso clinico, la terapia antibiotica può essere interrotta dopo
72 h.

Nella sepsi a esordio precoce, la terapia iniziale prevede ampicillina o


penicillina G in associazione a un aminoglicoside. In caso di resistenza, il
cefotaxime può essere inserito al posto degli aminoglicosidi. Si adegua in seguito
la terapia antibiotica in base alla sensibilità del germe e alla sede di infezione. Se
alla nascita è presente liquido amniotico fetido, deve essere considerata nella
copertura antibiotica iniziale una terapia per germi anaerobi (p. es., clindamicina,
metronidazolo).

Nella sepsi a esordio tardivo, il trattamento iniziale deve comprendere nafcillina


più un aminoglicoside. Se lo P. aeruginosa è prevalente in un Nido, può essere
impiegata al posto dell’aminoglicoside la ceftazidima. I neonati precedentemente
trattati per 7-14 giorni con un aminoglicoside, se devono essere trattati
nuovamente, devono assumere un altro aminoglicoside o una cefalosporina di 3a
generazione.

Se si sospetta uno stafilococco coagulasi-negativo (p. es., se un catetere


intravascolare è stato in sede per 72 h o più) o se si isola dal sangue o da altri
fluidi di solito sterili e lo si considera patogeno, la terapia iniziale per sepsi a
insorgenza tardiva deve comprendere vancomicina al posto della nafcillina
poiché fino all’80% degli stafilococchi coagulasi-negativi isolati dai pazienti
ospedalizzati risulta essere resistente alle penicilline semisintetiche. Tuttavia, se
il germe risulta essere sensibile alla nafcillina allora questo farmaco deve
sostituire la vancomicina. La rimozione della presunta fonte di germi
dell’organismo (solitamente un catetere intravascolare permanente) può essere
necessaria per curare l’infezione, poiché lo stafilococco coagulasi-negativo può
essere protetto da una sostanza ricoprente (glycocalix) che favorisce l’aderenza
dei germi al catetere di plastica.

Poiché la Candida può impiegare dai 2 ai 5 giorni per svilupparsi in emocoltura,


l’inizio della terapia con anfotericina B e la rimozione del catetere infetto, senza la
positività dell’emocoltura o della liquorcoltura, possono essere indispensabili per
salvare la vita del bambino.

È stata usata per neonati malati un’exsanguinotrasfusione (in particolare nei


neonati con ipotensione e acidosi metabolica); lo scopo che ci si propone è di
aumentare il livello delle immunoglobuline in circolo, di diminuire le endotossine,
di aumentare la concentrazione di Hb (con livelli più alti di 2,3-difosfoglicerato) e
di migliorare la perfusione. Tuttavia, non sono stati condotti studi controllati
prospettici per l’attuazione di ciò.

La somministrazione di plasma fresco congelato può essere utile per


ristabilire le carenze di opsonine termostabili e termolabili riscontrate nei bambini
di basso peso alla nascita, ma non sono ancora disponibili studi controllati sul
suo utilizzo e bisogna considerare i rischi associati alla trasfusione.

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Le immunoglobuline EV somministrate alla nascita possono essere utili nel


prevenire la sepsi neonatale in alcuni bambini di BPN ad alto rischio. Tuttavia,
non è stata evidenziata nessuna riduzione dell’incidenza o della gravità delle
infezioni a esordio tardivo, nelle infezioni accertate.

Nei neonati settici e granulocitopenici possono essere indicate trasfusioni di


granulociti (v. sopra Prognosi). I granulociti sono in genere raccolti attraverso
una centrifuga leucoaferetica a flusso intermittente, con l’uso di amido
idrossietilico, e sono ottenuti dagli adulti che risultano negativi per gli anticorpi
anti HBsAg, anti CMV e anti HIV, e i cui Ag dei GR sono compatibili con il
neonato ricevente. Per prevenire la reazione GVH, ogni sacca di granulociti,
prima della trasfusione, viene irradiata con 15 Gy. Bisogna attuare una
trasfusione con 15 ml/kg di una sospensione contenente 0,2-1,0 ts 109
granulociti/15 ml di sospensione con < 10% di linfociti. Si consiglia di eseguire 1-
2 trasfusioni/die per un periodo che va fino a 5 giorni.

I fattori ricombinanti stimolanti le colonie di granulociti sono stati usati per


aumentare il numero di neutrofili e la loro funzionalità nei bambini con presunta
sepsi; il loro effettivo beneficio richiede ulteriori conferme.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

INFEZIONI NEONATALI

MENINGITE NEONATALE

Infiammazione delle meningi dovuta all’invasione batterica del LCR nelle prime 4
settimane di vita.

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi
Terapia

La meningite neonatale si verifica in 2/10000 nati a termine e 2/1000 neonati di


basso peso alla nascita (BPN); c’è una prevalenza nei maschi. Si verifica in circa
il 25% dei neonati con sepsi neonatale (v. sopra).

Eziologia

Lo streptococco di Gruppo B (GBS, soprattutto tipo III), l’Escherichia coli (in


particolare quei ceppi che contengono il polisaccaride K1) e la Listeria
monocytogenes provocano il 75% delle meningiti neonatali.

Anche gli enterococchi, gli streptococchi non- enterici di Gruppo D, gli


streptococchi α-emolitici e altri germi enterici gram - (p. es., Klebsiella sp,
Enterobacter sp, Citrobacter diversus) sono patogeni importanti. L’Haemophilus
influenzae tipo b, la Neisseria meningitis, e lo Streptococcus pneumoniae sono
stati riportati sempre più frequentemente come cause di meningite neonatale.

Patogenesi

La meningite neonatale nella maggior parte dei casi deriva da una precedente
batteriemia associata a sepsi neonatale. Le emocolture risultano positive nel 70%
dei bambini; più alto è il numero dei batteri (densità batterica) nella emocoltura,
più alto è il rischio di meningite. La meningite può anche derivare da lesioni
cutanee del cuoio capelluto (p. es., da una tromboflebite diploica), che, con uno
sviluppo anomalo, portano a un’apertura tra la superficie cutanea e l’area
subaracnoidea. Raramente può verificarsi una propagazione diretta al SNC
attraverso un vicino focolaio auricolare (p. es., otite media). La profilassi
intrapartum per il GBS non previene l’infezione a esordio tardivo da GBS.

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Patologia del neonato e del lattante

Sintomi e segni

I neonati frequentemente manifestano soltanto i segni associati alla sepsi


neonatale (p. es., instabilità della temperatura, distress respiratorio, ittero,
apnea). Segni a carico del SNC (p. es., letargia, convulsioni [in particolare focali]
irritabilità) sono indicatori più specifici di una meningite. Una tumefazione della
fontanella si verifica in circa il 25% dei casi e una rigidità nucale in solo il 15% dei
casi. Si possono ugualmente riscontrare anomalie dei nervi cranici (in particolare
quelle a carico del 3o, 6o e 7o). Un precoce segno clinico di ascesso cerebrale è
rappresentato dall’aumento della pressione intracranica, che si manifesta
comunemente attraverso vomito, rigonfiamento della fontanella e un aumento
della circonferenza cranica. Il peggioramento delle condizioni in un neonato
altrimenti stabile con meningite, fa pensare a un idrocefalo progressivo o a una
rottura di un ascesso all’interno del sistema ventricolare.

La meningite dovuta al GBS può verificarsi nelle prime settimane di vita,


accompagnandosi a una sepsi neonatale a esordio precoce e frequentemente
manifestandosi sotto forma di malattia polmonare. In genere, tuttavia, essa si
verifica dopo tale periodo (più comunemente nei primi 3 mesi di vita) come
malattia isolata caratterizzata dall’assenza di precedenti complicanze ostetriche o
perinatali e dalla presenza di segni più specifici di meningite (p. es., febbre,
letargia, convulsioni).

La ventricolite accompagna frequentemente la meningite neonatale, in


particolare se causata da batteri intestinali gram -. I germi che causano una
meningite insieme a una grave vasculite, in particolare C. diversus e
Enterobacter sakazakii, facilmente determinano cisti e ascessi. Anche
Pseudomonas aeruginosa, E. coli K1 e Serratia possono causare ascessi
cerebrali nei neonati.

Diagnosi

La diagnosi definitiva di meningite viene posta attraverso esame del liquor


ottenuto mediante puntura lombare (PL) che deve essere praticata in ogni
neonato con un sospetto di sepsi. Tuttavia può essere difficile eseguire in un
neonato la PL che lo espone inoltre al rischio di ipossia. Cattive condizioni
cliniche (p. es., distress respiratorio, shock, trombocitopenia) rendono
eccessivamente rischiosa la PL. Se la PL viene rinviata, bisogna trattare il
bambino come se fosse affetto da meningite. Anche quando le condizioni cliniche
migliorano, la presenza di cellule infiammatorie nel LCR e la permanenza di
alterati parametri chimici nei giorni successivi all’inizio della malattia possono
fornire ulteriori informazioni sulla presenza di una meningite. Un ago con
mandrino deve essere usato per la PL per evitare l’introduzione di particelle
epiteliali e il conseguente sviluppo di epiteliomi. Bisogna sottoporre a coltura il
LCR, anche se presenta tracce di sangue o se è acellulare. Circa il 15% dei
bambini con emocolture negative hanno colture liquorali positive. La PL deve
essere ripetuta dopo 72 h in caso di germi gram -, per assicurarsi della
sterilizzazione. Alcuni esperti credono che ripetere una PL dopo 24 ore in
pazienti con meningite da GBS abbia un valore prognostico. Un nuovo prelievo
deve essere eseguito in ogni paziente con risposte cliniche dubbie. Non deve
essere ripetuta sistematicamente alla fine del trattamento in un bambino che sta
bene.

I parametri liquorali normali nel neonato sono controversi e in relazione all’età. In


generale, per neonati di basso peso alla nascita fino a 4 sett. di vita, 20 GB/µl
(1/2 dei quali possono essere PMN), un livello proteico di 160 mg/dl e un livello di
glucoso di 50mg/dl (2,8 mmol/l) possono essere considerati ai limiti superiori
della norma. Per bambini a termine, questi limiti sono di 10 GB/µl (con 1/2 di
PMN), un livello proteico di 80 mg/dl e un livello di glucoso di 50 mg/dl (2,8 mmol/
l). Dal momento che le concentrazioni di glucoso nel LCR dipendono largamente
dalla glicemia e possono raggiungere valori fino a 20-30 mg/dl (1,1-1,7 mmol/l),

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Patologia del neonato e del lattante

bisogna calcolare la glicemia prima di praticare la PL in modo da determinare il


rapporto tra glicorrachia e glicemia (è alterato se < al 50%).

La ventricolite va sospettata in ogni neonato che non risponde in modo


appropriato alla terapia antibiotica. La diagnosi viene effettuata quando una
puntura ventricolare evidenzia un numero di GB > 100/µl, la colorazione Gram o
la coltura sono positive, la pressione ventricolare è aumentata e i ventricoli sono
dilatati. Quando il bambino non risponde alla terapia e si sospetta una ventricolite
o un ascesso cerebrale, può essere utile per diagnosi l’esecuzione di una RMN o
di una TC con contrasto.

Prognosi

La prognosi viene determinata in base al peso alla nascita e allo stato clinico.
Senza trattamento, il tasso di mortalità della meningite neonatale si avvicina al
100%. Anche con la terapia, il tasso di mortalità della meningite neonatale da
gram - è del 20-30% per i gram + (p. es., GBS), del 10- 20%. Per i germi che
provocano una meningite necrotizzante e un ascesso cerebrale, il tasso di
mortalità si può avvicinare al 75%. Nel 20-50% dei bambini che sopravvivono a
una meningite neonatalesi sviluppano sequele neurologiche (p. es., idrocefalo,
perdita dell’udito, ritardo mentale), con una prognosi peggiore quando gli agenti
patogeni sono germi enterici gram -.

La prognosi dipende in parte dal numero dei microrganismi presenti nel LCR al
momento della diagnosi, determinato dalla conta colonie. La durata della
positività delle colture del LCR è direttamente correlata alla incidenza delle
complicanze. In generale, le colture del LCR in bambini con GBS sono di solito
sterili entro le prime 24 h di terapia antibiotica; quelle in bambini con meningite da
germi gram - rimangono positive per 3- 1/2 giorni in media.

La meningite da GBS ha un tasso di mortalità significativamente più basso


rispetto alla sepsi a esordio precoce da GBS.

Terapia

L’obiettivo più importante è quello di ottenere una rapida sterilizzazione del LCR.
La velocità di scomparsa dei germi è correlata ai poteri battericidi degli antibiotici
nel LCR contro i microorganismi infettanti; è necessaria una concentrazione di 10
volte superiore alla concentrazione minima battericida (CBM) per raggiungere la
sterilizzazione. Il rapporto tra concentrazione nel LCR e concentrazione sierica
degli antibiotici comunemente usati nel trattamento della meningite neonatale è
rappresentato nella Tab. 260-8.

La terapia della meningite da GBS è ancora in qualche modo controversa. Molti


casi di ricaduta e di recidive sono stati riportati sia per le infezioni da GBS a
esordio precoce che tardivo; nella maggior parte dei casi ciò è stato attribuito a
dosi relativamente basse di penicillina o ampicillina. In aggiunta, circa il 4% di
GBS isolati mostra insensibilità alla penicillina (MBC > a 32 MIC) ma il significato
clinico di ciò non è stato chiaramente dimostrato. Studi su animali condotti in vitro
e in vivo hanno dimostrato un’attività battericida sinergica quando vengono usate
in combinazione l’ampicillina e la gentamicina, ma la validità di tali risultati
nell’uomo rimane non provata. Il trattamento iniziale consigliato nel nel sospetto
di meningite da GBS è la penicillina G 200 000 U/ kg/die EV o l’ampicillina 300-
400 mg/kg/die EV con aggiunta di gentamicina 7,5 mg/kg/die EV. Se si verifica
un miglioramento clinico o si documenta la sterilizzazione del LCR, la
gentamicina può essere sospesa.

Nella meningite da enterococchi o L. monocytogenes sia a esordio precoce


che tardivo, il trattamento consiste generalmente in ampicillina più gentamicina.

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Patologia del neonato e del lattante

Nella meningite batterica da gram -, il trattamento è difficile. Il trattamento tipico


con ampicillina più un aminoglicoside determina, per coloro che sopravvivono, un
tasso di mortalità del 20-30% e una prognosi infausta. Il trattamento della
meningite e della ventricolite, che frequentemente è associata, con immissione di
aminoglicosidi all’interno dello spazio lombare subaracnoideo o con
aminoglicosidi EV, non hanno mostrato significativi vantaggi rispetto alla terapia
sistemica esclusiva. L’ottima azione delle cefalosporine di 3a generazione contro
la maggior parte dei germi gram - (bassa MBC) e la loro sostanziale penetrazione
nel LCR (determinando un decisivo picco del valore battericida nel LCR) e la
bassa tossicità non hanno mostrato un vantaggio nella velocità di sterilizzazione
o nel risultato finale, ma hanno dimostrato che il moxalactam (non utilizzato a
lungo termine nel neonato a causa di sanguinamenti) è efficace almeno quanto
ampicillina e aminoglicosidi. Perciò, nei neonati con meningite (o sepsi) accertata
da gram - o in quelli che molto probabilmente sono settici deve essere
sicuramente presa in considerazione una cefalosporina di 3a generazione (p. es.,
cefotaxime). Se l’antibioticoresistenza è un problema, un aminoglicoside e una
cefalosporina di 3a generazione possono essere usati finche la sensibilità del
microrganismo non è conosciuta. Tuttavia, questi non devono essere usati
sistematicamente perché alcuni germi gram - inducono la produzione di β-
lattamasi con le cefalosporine di 3a generazione, provocando la rapida comparsa
di resistenze.

Il trattamento può necessitare di modifiche. Per esempio, in un neonato in cui è


stato effettuato un intero ciclo di terapia con ampicillina e gentamicina per
sospetta sepsi neonatale nelle prime settimane di vita, che parecchie settimane
dopo sviluppa sepsi e meningite, si deve presumere che il germe infettante sia o
un batterio multi-resistente gram negativo, lo Staphylococcus aureus, o uno
stafilococco coagulasi-negativo. Può anche essere considerata una malattia
fungina. Tale neonato deve essere trattato inizialmente con una combinazione di
vancomicina e un aminoglicoside differente da quello usato in precedenza o una
cefalosporina di 3a generazione (p. es., cefotaxime). I regimi terapeutici
antibiotici sono in seguito adattati alla sensibilità in vitro. La terapia parenterale
per una meningite da gram + viene somministrata per un minimo di 14 giorni e,
per una meningite da gram + complicata o una da gram -, per un minimo di 21
giorni.

Poiché la meningite può essere considerata parte di una sepsi neonatale, le


misure aggiuntive usate nel curare la sepsi neonatale (v. sopra Sepsi neonatale,)
devono essere usate anche nella meningite. Durante i primi 2 anni di vita bisogna
eseguire un accurato follow-up per le sequele neurologiche.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 260-8. RAPPORTO (IN %) DEI LIVELLI NEL LCR E DEI LIVELLI SIERICI*

Antibiotico Rapporto LCR-siero

PenicillinaG 2-5%

Ampicillina 15-20%

Cefotaxime 27-63%

Naficillina 10-15%

Vancomicina 10-15%

*I dati per tobramicina e amikacina sono


insufficienti.

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Malattie infettive

Manuale Merck

13. MALATTIE INFETTIVE

150. Biologia delle malattie infettive

Meccanismi di difesa dell’ospite

Patogenesi dell’infezione

Manifestazioni di infezione

151. Infezioni nell’ospite compromesso

152. Immunizzazione negli adulti

153. Farmaci antibatterici

Antibiotici b-lattamici

Penicilline

Cefalosporine

Altri antibiotici b-lattamici

Aminoglicosidi

Macrolidi, lincomicina e clindamicina

Tetracicline

Farmaci antibiotici vari

Cloramfenicolo

Vancomicina

Quinupristin/dalfopristin

Metronidazolo

Rifampicina

Spectinomicina

Nitrofurantoina

Chinoloni

Fluorochinoloni

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Malattie infettive

Antibiotici polipeptidici

Sulfamidici

Trimetoprim-sulfametossazolo

Chemioprofilassi antimicrobica

154. Farmaci antivirali

Farmaci antivirali per l’infezione da HIV

155. Ascessi

Ascessi intra-addominali

Ascessi prostatici

Ascessi del capo e del collo

Piomiosite

156. Batteriemia e shock settico

157. Malattie batteriche

Causate da cocchi gram +

Infezioni stafilococciche

Sindrome dello shock tossico

Infezioni streptococciche

Infezioni pneumococciche

Malattie provocate da cocchi aerobi gram –

Malattie provocate da bacilli gram +

Erisipelotricosi

Listeriosi

Carbonchio

Nocardiosi

Malattie provocate da bacilli gram –

Infezioni da enterobacteriacee

Infezioni da salmonella

Febbre tifoide

Infezioni da Salmonella
non tifoide

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Malattie infettive

Shighellosi

Infezioni da Haemophilus

Brucellosi

Tularemia

Colera

Peste

Melioidosi

Infezioni da pseudomonas

Infezioni da campylobacter

Infezioni da vibrioni non colerici

Malattie provocate da bacilli anaerobi

Infezioni da clostridii

Tetano

Infezioni uterine da clostridi

Infezioni da clostridi delle ferite

Enterite necrotizzante

Diarrea indotta da C. difficile

Actinomicosi

Infezioni da germi anaerobi misti

Malattie provocate da spirochete

Treponematosi endemiche

Febbre ricorrente

Leptospirosi

Malattia di Lyme

Febbre da morso di ratto

Causate da micobatteri

Tubercolosi

Altre infezioni da micobatteri simili alla tubercolosi

Lebbra

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Malattie infettive

158. Malattie sistemiche da funghi

Istoplasmosi

Coccidioidomicosi

Blastomicosi

Paracoccidioidomicosi

Sporotricosi

Criptococcosi

Candidiasi sistemica

Aspergillosi

Mucormicosi

Micetoma

Cromomicosi e feoifomicosi

Altri funghi opportunisti

159. Malattie da rickettsie

Tifo epidemico

Malattia di Brill-Zinsser

Tifo murino o endemico

Tsutsugamushi

Febbre maculosa delle montagne rocciose

Ehrlichiosi

Rickettsiosi dell’est causate da zecche

Rickettsiosi vescicolare

Febbre Q

Bartonellosi

160. Malattie da clamidie

161. Infezioni parassitarie

Protozoi extraintestinali

Malaria

Babesiosi

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Malattie infettive

Tripanosomiasi africana

Tripanosomiasi americana

Leishmaniosi

Toxoplasmosi

Infezioni da amebe a vita libera

Protozoi intestinali

Amebiasi

Giardiasi

Criptosporidiosi

Isosporiasi e ciclosporiasi

Microsporidiosi

Infezioni da nematodi (vermi ad anello)

Ascariasi

Trichiuriasi

Anchilostomiasi

Strongiloidiasi

Toxocariasi

Trichinosi

Dracunculosi

Infezioni da filarie

Infezioni da trematodi (da vermi piatti)

Schistosomiasi

Dermatiti causate da schistosomi animali

Paragonimiasi

Clonorchiasi

Fascioliasi

Opistorchiasi

Fasciolopsiasi

Cestodi (vermi a nastro)

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Malattie infettive

Infezione da verme a nastro del pesce

Infezione da verme a nastro dei bovini

Infestazioni da vermi a nastro suini

Malattia idatidea

Malattia alveolare idatidea

162. Malattie virali

Malattie virali respiratorie

Raffreddore comune

Influenza

Virus parainfluenzali

Adenovirus

Infezioni da herpesvirus

Herpes simplex

Herpes zoster

Infezione da citomegalovirus

Malattie virali del sistema nervoso centrale

Rabbia

Infezioni da virus lenti

Leucoencefalopatia multifocale
progressiva

Paraparesi tropicale spastica/


mielopatia associata al HTLV-I

Malattie da prioni

Malattia di Creutzfeldt-Jakob

Kuru

Malattia di Gerstmann-Sträussler-
Scheinker

Insonnia fatale familiare

Malattie da arbovirus e da arenavirus

Encefalite da arbovirus

Febbre gialla

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Malattie infettive

Dengue

Linfocoriomeningite

Febbre di lassa

Infezioni da Hantavirus

Infezioni da virus di Marburg ed Ebola

163. Infezione da virus dell’immunodeficienza umana (HIV)

164. Malattie a trasmissione sessuale (STD)

Gonorrea

Infezioni a trasmissione sessuale da clamidia, da micoplasma e


da ureaplasma

Sifilide

Tricomoniasi

Candidiasi genitale

Balanopostite

Cancroide

Linfogranuloma venereo

Granuloma inguinale

Herpes genitale

Verruche genitali

Infezioni enteriche a trasmissione sessuale

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Biologia delle malattie infettive

Manuale Merck

13. MALATTIE INFETTIVE

150. BIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE

Un individuo sano vive in armonia con la flora microbica che lo aiuta a


proteggersi dall’invasione degli agenti patogeni, microrganismi che di solito
hanno la capacità di causare malattie. I microrganismi colonizzano siti corporei
secondo un fenomeno noto come tropismo tissutale in cui alcuni tessuti sono
colonizzati altri no. La flora microbica comprende la normale flora residente che
si trova regolarmente e si ricostituisce prontamente se attaccata e la flora
transitoria che può colonizzare l’ospite per ore o per settimane ma che non si
stabilisce in maniera permanente. I batteri e i funghi rappresentano la maggior
parte della flora commensale e simbiotica.

Le specie che costituiscono la flora normale sono influenzate da molti fattori


(p. es., dieta, igiene, condizioni sanitarie, inquinamento dell’aria). Per esempio, i
lattobacilli sono dei comuni organismi intestinali commensali frequenti nei
soggetti con un alto consumo di latticini; l’Haemophilus influenzae colonizza
l’albero tracheobronchiale nei pazienti che presentano malattia polmonare
cronica ostruttiva (Chronic Obstructive Pulmonary Disease, COPD).

I microrganismi patogeni possono a volte far parte della flora normale. I


microrganismi che fanno parte della flora normale possono essere causa di
malattia specialmente nei pazienti le cui barriere difensive siano alterate.

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Biologia delle malattie infettive

Manuale Merck

13. MALATTIE INFETTIVE

150. BIOLOGIA DELLE MALATTIE INFETTIVE

MECCANISMI DI DIFESA DELL'OSPITE

Sommario:

Introduzione
BARRIERE NATURALI
RISPOSTE IMMUNITARIE ASPECIFICHE
RISPOSTE IMMUNITARIE SPECIFICHE

Le difese dell’ospite sono importanti nel determinare l’eventuale attecchimento


dell’infezione. I meccanismi di difesa includono le barriere naturali (p. es., la cute
e le mucose) le risposte immuni aspecifiche (p. es., cellule fagocitarie [neutrofili,
macrofagi]e i loro prodotti); e le risposte immuni specifiche (p. es., anticorpi).

BARRIERE NATURALI

La cute è in grado di impedire in modo efficace l’invasione da parte di


microrganismi a meno che non presenti soluzioni di continuità (p. es., lesioni,
traumi, cateteri EV, incisioni chirurgiche o morsi di insetti). Tuttavia ci sono delle
eccezioni, come nel caso del papilloma virus umano, l’agente causale della
condilomatosi, che può invadere la cute sana. Alcuni parassiti possono penetrare
la cute sana (p. es., Schistosoma mansoni, Strongyloides stercoralis); non ci
sono batteri noti per essere in grado di fare ciò.

Le mucose che sono bagnate da secrezioni con proprietà antimicrobiche, p. es.,


il muco cervicale, il liquido prostatico e le lacrime, contengono il lisozima che
divide il legame β-[1,4]N-acetilglucosaminico dell’acido muramico nelle pareti
delle cellule batteriche, specialmente nei microrganismi gram +, fornendo
barriere efficaci. Anche le secrezioni locali contengono immunoglobuline,
principalmente di tipo IgG e di tipo secretorio IgA, che agiscono principalmente
bloccando l’adesione dei microrganismi alle cellule ospiti.

Nell’apparato respiratorio, i microrganismi inalati devono superare il sistema


filtrante delle vie respiratorie superiori e dell’albero tracheobronchiale. Se il
microrganismo invasore raggiunge l’albero tracheobronchiale, l’epitelio
mucociliare lo trasporta via dal polmone. Anche la tosse contribuisce a rimuovere
il microrganismo. Se il microrganismo raggiunge gli alveoli, viene inglobato dai
macrofagi alveolari e dagli istiociti tissutali; con l’infiammazione del polmone essi
ricevono il supporto dei neutrofili e dei monociti, con ancora maggiore efficienza
una volta che i meccanismi immunitari (p. es., le opsonine) si rendano palesi.
Tuttavia, questi meccanismi difensivi possono essere neutralizzati in presenza di
una gran quantità di microrganismi o se la loro efficienza è compromessa a
causa degli agenti inquinanti dell’aria (p. es., il fumo di sigaretta), di supporti
ventilatori meccanici o della tracheostomia.

Nel tratto GI il pH acido dello stomaco e l’attività antibatterica degli enzimi


pancreatici, della bile e delle secrezioni intestinali, agiscono da barriere naturali.
La peristalsi e la desquamazione fisiologica delle cellule epiteliali contribuiscono
a rimuovere i microrganismi pericolosi dal tratto gastro-intestinale. Il
rallentamento farmacologico della peristalsi tramite la belladonna o gli alcaloidi

file:///F|/sito/merck/sez13/1501172b.html (1 of 3)02/09/2004 2.05.17


Biologia delle malattie infettive

dell’oppio rallenta la rimozione di alcuni patogeni e prolunga alcune patologie,


come nel caso della shighellosi sintomatica. I pazienti con meccanismi di difesa
alterati possono essere predisposti a particolari infezioni; p. es., i pazienti con
acloridria sono particolarmente sensibili alla salmonellosi o alla TBC. La
competizione tra i batteri della flora intestinale normale svolge un ruolo
importante di protezione; l’alterazione di questa flora da parte degli antibiotici può
portare a una crescita eccessiva di microrganismi intrinsecamente patogeni
(p. es., Salmonella typhimurium) o alla sovrainfezione con microrganismi di solito
commensali (p. es., Candida albicans).

Nell’apparato GU, gli uomini sono protetti dalla lunghezza dell’uretra (20 cm in
un adulto); è raro che la maggior parte dei batteri guadagni l’entrata, a meno che
essi non vengano introdotti con uno strumento. Le donne sono protette dal pH
acido della vagina. Lo stato ipertonico della midollare renale rappresenta un
fattore sfavorevole per la crescita della maggior parte dei microrganismi. La
proteina di Tamm-Horsfall è una glicoproteina prodotta dal rene ed escreta in
grandi quantità nelle urine; alcuni batteri si legano avidamente ad essa e ciò fa sì
che sia prevenuto il loro ingresso nel tratto urinario.

RISPOSTE IMMUNITARIE ASPECIFICHE

La produzione di citochine, principalmente ad opera dei macrofagi e dei linfociti


attivati, serve da preludio alle risposte immunitarie specifiche. Queste citochine
infiammatorie (interleuchina-1, interleuchina-6, fattore di necrosi tumorale,
interferon-γ) mediano una fase acuta della risposta dell’ospite che non è specifica
dell’Ag ma notevolmente consistente, sviluppandosi indipendentemente dalla
natura locale e sistemica del microrganismo scatenante. La febbre è il segnale
più ovvio della fase acuta della risposta; inoltre, il numero totale dei neutrofili e il
numero totale dei neutrofili immaturi in circolazione aumentano come risultato
degli effetti delle citochine sul midollo osseo. La replicazione e la differenziazione
del midollo osseo verso le forme mature di neutrofili sono aumentati dal fattore
stimolante i macrofagi e dal fattore stimolante i granulociti. Le cellule endoteliali
producono quote elevate di interleuchina-8, un importante mediatore di
localizzazione dei neutrofili.

La risposta infiammatoria dirige le componenti del sistema immunitario verso i


siti delle lesioni o delle infezioni e si manifesta con un aumento dell’irrorazione
sanguigna e della permeabilità vascolare, consentendo ai peptidi chemiotattici e
alle cellule neutrofile e mononucleari di lasciare il compartimento intravascolare. I
microrganismi sono inglobati dalle cellule fagocitarie (p. es., neutrofili o
macrofagi) nel tentativo di contenere l’infezione in un piccolo spazio tessutale. La
risposta comprende l’attrazione dei fagociti in un gradiente chemiotattico di
prodotti microbici, il movimento del fagocita verso il sito infiammatorio e il contatto
con il microrganismo, la fagocitosi (ingestione) del microrganismo, lo sviluppo di
una reazione ossidativa diretta verso il microrganismo, la fusione del fagosoma e
del lisosoma con degranulazione lisosomiale e conseguente morte e
degradazione del microrganismo. Quando i difetti di tipo quantitativo o qualitativo
della funzionalità dei neutrofili danno come risultato un’infezione, questa è di
solito prolungata e tendente alla recidiva e risponde lentamente agli antibiotici.
Gli stafilococchi, i germi gram – e i funghi costituiscono i patogeni usualmente
responsabili di questo tipo di infezioni. L’immunità aspecifica è trattata con
maggior dettaglio nel Cap. 146.

RISPOSTE IMMUNITARIE SPECIFICHE

Una volta infettato, l’ospite può produrre una varietà di Ac in risposta a specifici
Ag microbici. Gli anticorpi, glicoproteine complesse note come immunoglobuline,
si legano a specifici determinanti antigenici e suscitano una reazione biologica
nell’ospite. Dopo essersi legati agli Ag, gli Ac arruolano le cellule effettrici
dell’ospite, attivano il sistema del complemento o fanno entrambe le cose per
contribuire a eliminare il microrganismo infettante. Il sistema del complemento

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Biologia delle malattie infettive

provoca la lisi delle cellule microbiche distruggendo le pareti delle cellule, di solito
attraverso la via classica congiuntamente all’immunità specifica. Il complemento
può anche essere attivato sulla superficie di alcuni microrganismi attraverso la
via alternativa. Inoltre, gli Ac specifici possono promuovere il rilascio di sostanze
note come opsonine (p. es., la proteina complementare C3b) sulla superficie dei
microrganismi, le quali contribuiranno alla loro distruzione dopo la fagocitosi.
L’opsonizzazione è importante per l’eliminazione dei microrganismi capsulati,
quali gli pneumococchi e i meningococchi; il suo fallimento può condurre a un
aumento dell’incidenza o a un’aumentata gravità dell’infezione causata da questi
microrganismi. Questi fenomeni sono descritti più dettagliatamente nel Cap. 146.

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Immunologia e malattie allergiche

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. Biologia del sistema immunitario

Cellule T e immunità cellulare

Reti immunitarie

Cellule B e immunità umorale

Regolazione delle risposte immunitarie umorali

Il sistema del complemento

Risoluzione di una risposta immunitaria

147. Malattie da immunodeficienza

Immunodeficienze primarie e secondarie

Immunodeficienze specifiche

148. Disordini da ipersensibilità

Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo I

Malattie atopiche

Rinite allergica

Congiuntivite allergica

Altre malattie allergiche oculari

Allergia e intolleranza agli alimenti

Malattia polmonare allergica

Anafilassi

Disordini dei mediatori vasoattivi

Orticaria e angioedema

Edema angioneurotico ereditario

Mastocitosi

Allergia ad agenti fisici

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Immunologia e malattie allergiche

Disordini con reazioni di ipersensiblità di tipo II

Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo III

Disordini autoimmuni

Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo IV

Ipersensibilità ai farmaci

149. Trapianto

Immunobiologia del rigetto

Il sistema HLA

Compatibilità tissutale

Immunosoppressione

Trapianto di rene

Trapianto di fegato

Trapianto di cuore

Trapianto di polmone e cuore-polmoni

Trapianto di pancreas

Trapianto di midollo osseo

Trapianto di altri organi e tessuti

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

Sommario:

Introduzione
Immunità specifica (innata)
Immunità specifica (adattiva)
Complesso maggiore di istocompatibilità
Citochine

Il sistema immunitario è costituito da una rete di componenti cellulari e solubili


interagenti tra loro. La sua funzione è quella di distinguere le entità presenti
all’interno dell’organismo come "self" o come "non-self" e di eliminare quelle che
appartengono al non-self. Le principali entità non-self sono i microrganismi, ma
sono importanti anche le neoplasie, i trapianti e alcune sostanze estranee (p. es.,
alcune tossine). Per svolgere i suoi compiti, il sistema immunitario ha evoluto due
meccanismi: l’immunità aspecifica e l’immunità specifica, le quali sono legate una
all’altra e si influenzano reciprocamente.

Immunità aspecifica (innata)

Questo tipo di immunità è filogeneticamente più antico, è presente fin dalla


nascita, non necessita di un precedente contatto con la sostanza lesiva e non dà
luogo a memoria immunitaria. L’immunità innata comprende le barriere
meccaniche, come la cute, e le barriere chimiche, come il succo acido gastrico.
Esistono due componenti cellulari: (1) il sistema fagocitario, la cui funzione è
quella di ingerire e digerire i microrganismi invasori e (2) le cellule natural killer
(NK), la cui funzione è quella di eliminare alcuni tipi di tumori, di microrganismi e
di cellule infettate da virus (v. oltre). Le componenti solubili sono costituite dalle
proteine del complemento, dai reattanti di fase acuta e dalle citochine.

I fagociti includono i neutrofili e i monociti (nel sangue) e i macrofagi (nei tessuti).


Ampiamente distribuiti, i macrofagi sono localizzati in maniera strategica nei punti
in cui i tessuti sono a contatto con il sangue o con gli spazi cavitari; ne sono
esempi i macrofagi alveolari (nei polmoni), le cellule di Kupffer (nei sinusoidi
epatici), le cellule sinoviali (nelle cavità articolari), le cellule microgliali
perivascolari (a protezione del SNC), i fagociti mesangiali (nei reni).

Le citochine sono polipeptidi non immunoglobulinici secreti dai monociti e dai


linfociti in risposta alla loro interazione con un antigene (Ag) specifico, con un Ag
aspecifico, oppure in risposta a uno stimolo aspecifico solubile (p. es.
endotossine, altre citochine). Le citochine modulano l’ampiezza delle risposte
infiammatorie o immunitarie. Sebbene la loro secrezione possa essere indotta
dall’interazione di un linfocita con il suo Ag specifico, le citochine non sono Ag-
specifiche; pertanto esse costituiscono un tramite tra l’immunità innata e quella
adattativa.

Immunità specifica (adattativa)

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Biologia del sistema immunitario

Le caratteristiche distintive dell’immunità specifica sono la capacità di


apprendimento, l’adattabilità e la memoria. La sua componente cellulare è
costituita dai linfociti, mentre le immunoglobuline (Ig) ne rappresentano la
componente solubile.

I linfociti sono divisi in due sottopopolazioni: quelli derivati dal timo (cellule T) e
quelli derivati dal midollo osseo (cellule B). I linfociti sono ripartiti in cloni e ogni
clone si specializza nel riconoscimento di un Ag specifico per mezzo del suo
recettore per l’Ag. Poiché il numero degli Ag è potenzialmente illimitato, questa
specializzazione sembrerebbe gravare il sistema immunitario di un carico
eccessivo, ma il complesso problema di dover provvedere a un numero infinito di
cloni altamente specifici viene risolto grazie alla capacità dei geni per il recettore
antigenico dei linfociti di riarrangiarsi in una serie di combinazioni pressoché
illimitate.

La funzione di recettore per l’Ag sulla membrana delle cellule B è svolta dalle
immunoglobuline di superficie (sIg). Dopo che le cellule B hanno legato un Ag
solubile per mezzo delle loro sIg, una serie di eventi cellulari (p. es.
proliferazione, differenziazione) porta alla secrezione di una Ig che costituisce
l’anticorpo (Ac) specifico per quell’Ag. L’opinione attuale è che il corredo
anticorpale che un organismo possiede prima di venire in contatto con gli Ag sia
costituito da Ac prodotti durante la maturazione delle cellule B attraverso
riarrangiamenti dei geni per le Ig. Per capire la natura dell’organizzazione dei
geni per le Ig è necessario comprendere la struttura delle Ig (v. anche Struttura
degli anticorpi, più avanti).

Le Ig sono composte di due catene pesanti e due catene leggere, ognuna con
regioni costanti (C)e regioni variabili (V). L’Ag viene legato in corrispondenza
della regione variabile. A livello genico, la regione C viene codificata dai geni per
la regione C e la regione V viene codificata dai geni per le regioni V e J (per le
catene leggere) e dai geni per le regioni V, D e J (per le catene pesanti). Questi
segmenti genici non sono disposti in modo continuo sul cromosoma, ma hanno
piuttosto una disposizione discontinua e devono essere giustapposti durante la
maturazione delle cellule B. Così, per sintetizzare una catena pesante, uno dei
diversi segmenti D (ne sono stati identificati almeno 12) si congiunge con uno dei
6 segmenti J. Questo cluster genico si congiunge poi con uno delle diverse
centinaia (probabilmente migliaia) di segmenti genici per la regione V, per dare
luogo a un’unità trascrizionale completa per una catena immunoglobulinica
pesante.

A seconda di quale particolare segmento di ciascuna regione genica viene


utilizzato, è possibile ottenere un ampissimo numero di molecole Ig con differenti
specificità. Le potenzialità della diversità anticorpale vengono ulteriormente
incrementate dall’aggiunta di nucleotidi in sequenza casuale in corrispondenza
dei siti di giunzione (tra le regioni V, D e J), dovuta a mutazioni puntiformi
somatiche e a imprecisioni nell’assemblaggio dei diversi segmenti. Il corredo
anticorpale di un organismo prima dell’esposizione agli Ag si ritiene sia costituito
da Ac prodotti durante la maturazione delle cellule B attraverso riarrangiamenti
dei geni per le Ig.

Le cellule T non possiedono sIg, ma riconoscono gli Ag attraverso il loro


strumento di riconoscimento principale, il recettore delle cellule T (T-Cell
Receptor, TCR) e altre molecole di adesione accessorie. I geni che codificano
per il TCR appartengono alla superfamiglia dei geni delle Ig; analogamente ai
geni per le Ig, essi vanno incontro a ricombinazione, dando luogo così a un gran
numero di cloni di cellule T, ciascuno dotato di una responsività antigenica
specifica.

La porzione del TCR che lega l’Ag è formata da due catene (αβ o γδ), ciascuna
delle quali possiede una regione costante e una regione variabile. Diversamente
dalla molecola Ig, che si trova isolata sulla superficie della cellula B, il TCR è
associato con la molecola del CD3; l’intera unità è chiamata complesso TCR/
CD3. Sebbene le catene del TCR siano soggette al riarrangiamento genico e
possiedano una loro variabilità, le catene del CD3 (formato da almeno cinque
subunità) sono invariabili e non sono Ag-specifiche. Alcuni Ac anti-CD3 attivano
le cellule T in maniera diretta, senza la necessità della presenza dell’Ag. Il CD3

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Biologia del sistema immunitario

svolge quindi un ruolo importante nella trasduzione del segnale di attivazione


attraverso la membrana linfocitaria.

I linfociti possono essere ulteriormente suddivisi in sottopopolazioni a seconda


della funzione che svolgono o dei loro marker di superficie. Le sottopopolazioni
linfocitarie sono state identificate grazie alle diverse combinazioni di determinate
molecole presenti sulla loro membrana: questi marker di superficie sono stati
denominati cluster di differenziazione (CD). Fino a oggi, sono stati identificati
166 CD. Informazioni aggiornate sugli antigeni CD sono reperibili sul world wide
web (http://www.ncbi. nlm.nih.gov/prow).

Complesso maggiore di istocompatibilità

La capacità del sistema immunitario di differenziare il self dal non-self è in larga


parte determinata dai prodotti del complesso maggiore di istocompatibilità (Major
Histocompatibility Complex, MHC), i cui geni si trovano sul cromosoma 6,
appartengono alla superfamiglia dei geni delle Ig e sono soggetti a
ricombinazione genica. I prodotti del MHC di classe I sono costituiti dagli HLA-A, -
B e-C; essi sono ampiamente distribuiti nell’organismo e sono presenti sulla
superficie di tutte le cellule nucleate e sulle piastrine. I prodotti del MHC di
Classe II sono costituiti dagli HLA-D, -DR, -DP e-DQ; essi hanno una
distribuzione più limitata sulle cellule B, sui macrofagi, sulle cellule dendritiche,
sulle cellule di Langerhans e sulle cellule T attivate (ma non su quelle quiescenti).

Le cellule B sono in grado di rispondere agli Ag solubili, ma le cellule T lo fanno


raramente e riconoscono l’Ag solamente quando è associato al MHC; esse
riconoscono quindi il complesso MHC/Ag. Il meccanismo attraverso il quale l’Ag
viene processato e associato al MHC prima di essere presentato alle cellule T
viene realizzato dalle cellule di presentazione dell’antigene (Antigen-
Presenting Cells, APC), p. es. le cellule di Langerhans, i monociti, i macrofagi,
le cellule dendritiche follicolari e le cellule B. Sebbene i particolari non siano
pienamente compresi, sembra che per essere processato l’Ag debba essere
esposto, degradato e frammentato. Nel caso della presentazione esogena, l’Ag
viene sottoposto a endocitosi e degradazione all’interno dei lisosomi, viene
associato ai prodotti del MHC di classe II e viene trasportato fino alla superficie
cellulare. Nel caso della presentazione endogena, l’Ag viene prodotto
intracellularmente (p. es. da un’infezione virale) e viene sottoposto a
degradazione al di fuori dei lisosomi, all’interno di organuli chiamati proteosomi. I
peptidi che ne risultano vengono trasferiti al reticolo endoplasmatico rugoso
(RER) per mezzo di proteine di trasporto. Una volta all’interno del RER, questi
peptidi vengono associati con i prodotti del MHC di classe I per poi essere
trasportati fino alla superficie cellulare. È importante sapere se l’Ag viene
associato con il MHC di classe I o di classe II, perché le molecole CD4 e CD8
agiscono come molecole di adesione accessorie legandosi rispettivamente agli
Ag di classe II o di classe I. L’interazione del TCR con il complesso MHC/Ag può
non essere sufficiente per indurre l’attivazione delle cellule T. È necessaria la
presenza di un segnale di coattivazione; questo secondo segnale è mediato
dall’interazione del CD28 presente sulla superficie delle cellule T con il CD80 o il
CD86 presente sulle APC. L’assenza dell’interazione CD28/CD80-CD86 può
rendere la cellula T anergica o tollerante (v. Fig. 146-1).

Citochine

Sebbene sia necessario un intimo contatto cellulare perché le risposte T-cellulari


siano ottimali, le cellule T e i monociti secernono citochine, le quali sono in grado
di influenzare eventi biologici che avvengono localmente o a distanza. Esse
interagiscono con specifici recettori della superficie cellulare e possono agire in
maniera autocrina o paracrina.

Le citochine possono essere divise in diversi gruppi, i quali comprendono gli

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Biologia del sistema immunitario

interferoni (IFN-α, β e γ), il tumor necrosis factor (TNF-α e β), le interleuchine


(dall’IL-1 all’IL-18), i transforming growth factor e i colony stimulating factor (CSF)
emopoietici. Per le principali citochine, le loro origini cellulari e i loro effetti
fondamentali, v. Tab. 146-1.

Anche se le diverse citochine e i loro effetti vengono di solito elencati


separatamente, è importante ricordare che in una determinata risposta
immunitaria le citochine agiscono di concerto, in coppia, oppure in conflitto tra
loro. Per esempio l’IL-1 induce la secrezione di IL-2; l’IL-2, l’IL-4 e l’IL-6 possono
agire sinergicamente nella generazione dei linfociti T citotossici; l’IL-4 e l’IFN-γ
possono neutralizzare l’uno gli effetti dell’altro nell’induzione dell’espressione
degli Ag di classe II sulle cellule B e nell’induzione della secrezione di IgE.

L’orchestrazione contemporanea di diverse risposte e la ridondanza del sistema


immunitario sono forse illustrate al meglio dalla struttura di alcuni dei recettori per
le interleuchine. Il recettore per l’IL-2 è costituito da tre catene: α, β e γ.
L’espressione di tutte e tre le catene dà luogo al recettore per l’IL-2 ad alta
affinità; l’espressione delle catene βe γ dà luogo solo a un recettore per l’IL-2 ad
affinità intermedia, mentre la catena α rappresenta soltanto un recettore a bassa
affinità. È stato dimostrato recentemente che mutazioni o una delezione a carico
della catena γ del recettore per l’IL-2 costituiscono le basi molecolari
dell’immunodeficienza combinata grave (Severe Combined ImmunoDeficiency,
SCID) legata al cromosoma X. È interessante notare che mutazioni a carico delle
catene α o β del recettore per l’IL-2 non provocano SCID (almeno nei modelli
animali). Questa apparente discrepanza si verifica perché la catena γ del
recettore per l’IL-2 entra anche nella costituzione del complesso recettoriale per
l’IL-4, l’IL-7, l’IL-9 e l’IL-15; questa catena viene adesso denominata catena γ
comune (γc). Il recettore per l’IL-15 condivide le catene β e γc con il recettore per
l’IL-2. La catena α del recettore per l’IL-13 è identica alla catena α del recettore
per l’IL-4. I recettori per l’IL-3, l’IL-5 e il GM-LCR possiedono tutti una catena β
identica.

Una nuova famiglia di citochine è quella che è stata appropriatamente


denominata delle chemiochine; esse inducono la chemiotassi e la migrazione
delle sottopopolazioni dei leucociti. Esistono quattro sottotipi di chemiochine, i
quali sono definiti in base al numero di aminoacidi interposti tra i primi due residui
di cisteina della molecola. Alcuni dei recettori per le chemiochine potrebbero
servire come corecettori per l’ingresso del HIV all’interno dei monociti/macrofagi.

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

CELLULE B E IMMUNITA' UMORALE

Sommario:

Introduzione
Antigeni e anticorpi
Metodi di dosaggio delle immunoglobuline
Anticorpi monoclonali

Le cellule B costituiscono dal 5 al 15% dei linfociti del sangue e sono


morfologicamente indistinguibili dalle cellule T. Tuttavia, esse possono essere
riconosciute fenotipicamente per la presenza di sIg (sIgM sulle cellule B
immature; sIgM e sIgD sulle cellule B mature antigenicamente vergini; sIgG, sIgA
o sIgE sulle cellule B che hanno subìto lo switch isotipico) e per la presenza del
CD19, CD20, CD21 (CR2), CD49c, CD72 e CD80. Inoltre le cellule B possono
esprimere il MHC di classe II e una varietà di altri CD che non sono loro specifici.
All’interno dei linfonodi, le cellule B si trovano nella zona corticale sottocapsulare
esterna nel contesto dei follicoli primari e secondari e nei cordoni midollari; nella
milza, esse sono contenute nella zona marginale e nei follicoli.

Le cellule B sembrano svilupparsi secondo una serie di fasi programmate.


Queste tappe hanno inizio nel midollo osseo con la cellula staminale orientata,
proseguono attraverso gli stadi di cellula pro-B precoce e tardiva (con
riarrangiamento dei geni D-J per le catene pesanti) e lo stadio di cellula pre-B
(con riarrangiamento definitivo dei geni V-DJ per le catene pesanti e comparsa di
catene µ nel citoplasma e sulla superficie cellulare), e si concludono con la
cellula B immatura (con riarrangiamento V-J per le catene leggere e comparsa di
IgM di membrana). Non sembra che l’Ag abbia un ruolo nell’indirizzare questa
sequenza, ma l’interazione delle cellule B immature con l’Ag può condurre
all’inattivazione clonale o alla tolleranza. Le cellule B immature che non vengono
inattivate possono continuare a svilupparsi fino a diventare cellule B mature
antigenicamente vergini e lasciare il midollo per colonizzare gli organi linfoidi
periferici. In essi, l’interazione tra sIgG e antigeni estranei le trasforma in
linfoblasti. Giunte al termine della loro differenziazione, queste cellule B
diventano plasmacellule, le quali secernono Ig di una sola classe.

Le cellule B presenti nei tessuti periferici sono preorientate a rispondere a un


limitato numero di Ag. La prima interazione tra la cellula B e l’Ag è conosciuta
come risposta immunitaria primaria e le cellule B orientate a rispondere a
questo Ag vanno incontro a differenziazione e proliferazione clonale. Alcune
divengono cellule di memoria; altre si differenziano in plasmacellule mature
sintetizzanti Ac. Le caratteristiche principali della risposta immunitaria primaria
sono la presenza di un periodo di latenza prima della comparsa degli Ac, la
produzione soltanto di una piccola quantità di Ac, inizialmente IgM e
successivamente uno switch dell’isotipo delle Ig (con la collaborazione delle
cellule T) verso le IgG, le IgA o le IgE. Ciò porta alla generazione di un gran
numero di cellule di memoria in grado di rispondere in futuro al medesimo Ag.

La risposta immunitaria secondaria (anamnestica o amplificata) ha luogo in


occasione dei successivi contatti con lo stesso Ag. Le sue caratteristiche
principali sono la rapida proliferazione delle cellule B, la rapida differenziazione in
plasmacellule mature e la sollecita produzione di grandi quantità di Ac,
soprattutto IgG, che vengono liberati nel sangue e in altri tessuti dell’organismo

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Biologia del sistema immunitario

dove possono venire a contatto con l’Ag in condizioni ottimali e reagire


efficacemente con esso.

In risposta al medesimo Ag possono essere prodotte IgM, IgG e IgA. Così le


cellule B derivate da una singola cellula B matura antigenicamente vergine
possono differenziarsi in una famiglia di cellule B geneticamente programmate
per sintetizzare Ac aventi una singola specificità antigenica, con cloni
rappresentativi orientati alla produzione di ciascuna delle classi delle Ig (p. es.
IgM, IgG, IgA).

Le cellule B possono rispondere all’Ag in maniera T-dipendente oppure T-


indipendente. Gli Ag T-indipendenti (p. es. i polisaccaridi dello pneumococco, i
lipopolisaccaridi dell’Escherichia coli e le polivinilpirrolidine) sono sostanze ad
alto peso molecolare con determinanti antigenici ripetitivi disposti in sequenza
lineare e sono molto resistenti alla degradazione da parte degli enzimi
dell’organismo. Essi evocano essenzialmente una risposta di tipo IgM.

La maggior parte degli Ag naturali è T-dipendente e necessita della


processazione da parte delle cellule presentanti l’Ag (APC). Queste APC
presentano l’Ag sia alle cellule T sia a quelle B. Le cellule T liberano citochine
che inducono le cellule B a rispondere all’Ag producendo Ac. Durante la
stimolazione antigenica delle cellule B, si verifica uno switch dalla produzione di
IgM a quella di IgG. Questo switch isotipico è dipendente dalle cellule T helper
(TH) e può richiedere l’intervento di differenti sottopopolazioni di cellule TH e di
citochine specifiche. Per esempio, l’IL-4 o l’IL-13 sono necessarie per lo switch
isotipico da IgM a IgE.

Antigeni e anticorpi

Struttura degli antigeni e antigenicità: un Ag è una sostanza in grado di


evocare risposte immunitarie specifiche. Una volta prodotti, gli Ac sono quindi in
grado di combinarsi con Ag specifici, più o meno come i pezzi di un puzzle. Gli
Ac riconoscono i siti di combinazione degli Ag, i quali consistono in configurazioni
steriche specifiche (epitopi o determinanti antigenici) sulle superfici di grandi
molecole ad alto peso molecolare (p. es. proteine, polisaccaridi e acidi nucleici).
La presenza di un epitopo di questo genere rende una molecola un Ag. I siti di
combinazione dell’Ac e dell’Ag si incastrano saldamente tra loro con una potente
forza attrattiva, perché le aree di appaiamento sulla superficie di ciascuna
molecola sono relativamente ampie. La stessa molecola anticorpale può inoltre
reagire in maniera crociata con Ag tra loro correlati, se i determinanti sulla loro
superficie sono sufficientemente simili a quelli presenti sull’Ag originale.

Le sostanze sono immunogene (antigeniche) se il sistema immunitario è in


grado di riconoscerne i determinanti antigenici come estranei (non-self) e se il
peso molecolare della sostanza è sufficientemente elevato. Un aptene è una
sostanza con peso molecolare inferiore a quello di un Ag, la quale è capace di
reagire in maniera specifica con un Ac, ma che non è in grado di indurre la
formazione di Ac a meno che non sia legata a un’altra molecola, solitamente una
proteina (la proteina carrier); p. es. la penicillina è un aptene che può legarsi
all’albumina.

Struttura degli anticorpi (v. Fig. 146-3): le molecole anticorpali sono Ig che
possiedono sequenza aminoacidica e una struttura terziaria particolari, che
conferiscono loro la capacità di legarsi a una struttura complementare situata
sull’Ag. Nonostante tutte le Ig siano probabilmente Ac, non è sempre possibile
conoscere l’Ag contro il quale ciascuna Ig è diretta. La reazione Ag-Ac può
svolgere un ruolo specifico nella protezione dell’ospite contro virus, batteri e altri
patogeni. Le Ig sono responsabili della maggior parte della frazione γ-globulinica
delle proteine plasmatiche.

Le molecole anticorpali sono estremamente eterogenee e nel loro complesso


sono in grado di combinarsi con un numero di Ag praticamente illimitato, tuttavia
condividono alcune caratteristiche comuni. Nell’ambito di ciascuna classe, le Ig

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Biologia del sistema immunitario

monomeriche possiedono una struttura analoga. Ciascuna molecola è composta


da quattro catene polipeptidiche, due catene pesanti identiche e due catene
leggere identiche. Le catene pesanti hanno ciascuna un peso molecolare
variabile da 50000 a 70000 dalton e ogni catena leggera ha un peso molecolare
di circa 23000 dalton. Ponti disolfuro uniscono le catene tra loro e conferiscono
alla molecola la configurazione a Y comunemente conosciuta.

La molecola Ig a forma di Y si compone di una regione variabile (V) e di una


regione costante (C). La regione V è situata alle estremità distali delle braccia
della Y ed è chiamata così a causa dell’alta variabilità degli aminoacidi che vi si
trovano, i quali determinano di volta in volta la capacità dell’Ig di combinarsi con
l’Ag. La regione C, prossimale al sito di combinazione con l’Ag, contiene una
sequenza aminoacidica relativamente costante la quale è caratteristica di
ciascuna classe di Ig (v. anche Immunità specifica [adattativa], sopra).

Le regioni ipervariabili situate all’interno delle regioni V contengono i


determinanti idiotipici, ai quali possono legarsi gli Ac naturali (chiamati Ac anti-
idiotipo). Il legame dell’Ac anti-idiotipo con il suo determinante idiotipico è
importante per la regolazione delle risposte B-cellulari. Al contrario, i
determinanti allotipici presenti nella regione C danno origine ad Ac anti-allotipo,
i quali possiedono specificità di classe. Quindi, ciascun clone di cellule B produce
la sua Ig specifica, avente una specifica sequenza aminoacidica, la quale si
combina con una particolare configurazione antigenica. Ciò nonostante, i membri
di ogni clone possono modificare la classe della molecola Ig che producono,
mantenendo tuttavia invariate le catene leggere e le regioni V.

Per studiare la relazione esistente fra struttura e funzione, le molecole degli Ac


sono state frammentante con l’impiego di enzimi proteolitici (v. Fig. 146-3). La
papaina scinde le Ig in due frammenti monovalenti, i Fab (che contengono il sito
di legame per l’Ag) e un frammento singolo, l’Fc

(cristallizzabile). Il frammento Fab è formato da una catena leggera e da una


parte di una catena pesante e contiene le regioni V della molecola Ig (i siti di
combinazione). Il frammento Fc contiene la maggior parte della regione C;
questo frammento è responsabile dell’attivazione del complemento e si lega ai
recettori per l’Fc presenti sui fagociti. La pepsina produce un frammento
chiamato F(ab’)2, il quale è formato dai due Fab e da una porzione delle catene
pesanti che contiene i ponti disolfuro.

Nell’uomo, ogni classe principale di Ig possiede una catena pesante


corrispondente; le catene pesanti µ, γ,α, ε e δ si trovano rispettivamente nelle IgM,
nelle IgG, nelle IgA, nelle IgE e nelle IgD. Nelle cinque classi di Ig dell’uomo
esistono solo due tipi di catene leggere, l e κ. In questo modo, esistono 10 tipi
differenti di molecole Ig (p. es. IgG-λ, IgG-κ). Tre classi (le IgG, le IgD e le IgE)
esistono solo in forma monomerica. Le IgM circolano nel sangue in forma
pentamerica o monomerica. Come pentamero, le IgM contengono cinque
molecole a forma di Y (10 catene pesanti e 10 catene leggere). Le IgA esistono
come monomeri, dimeri e trimeri. Le IgG possiedono quattro sottoclassi (IgG1,
IgG2, IgG3, IgG4); le IgA possiedono due sottoclassi (IgA1 e IgA2). Si comincia
oggi ad associare specifiche funzioni biologiche alle varie sottoclassi (p. es. le
IgG4 non fissano il complemento né si legano ai monociti e le IgG3 hanno
un’emivita significativamente più breve rispetto alle altre tre sottoclassi di IgG).

Sono state identificate anche strutture addizionali. Le catene di giunzione


(Joining, J) tengono unite le cinque subunità delle IgM, come anche le subunità
delle IgA. Le IgA secretorie possiedono una catena polipeptidica aggiuntiva, la
componente secretoria (Secretory Component, SeC), prodotta dalle cellule
epiteliali e aggiunta alla molecola IgA dopo la sua sintesi.

Per contrassegnare ciascuna classe di Ig sono stati tradizionalmente impiegati i


coefficienti di sedimentazione, determinati con la tecnica dell’ultracentrifugazione.
Le IgM hanno il più alto coefficiente di sedimentazione a 19S e le IgG hanno un
coefficiente di circa 7S.

Proprietà biologiche degli anticorpi: la struttura aminoacidica della regione C

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Biologia del sistema immunitario

della catena pesante determina l’isotipo della classe di Ig cui appartiene. Ogni
classe svolge funzioni differenti.

Le IgM, i primi Ac che vengono sintetizzati in seguito a immunizzazione primaria


(esposizione a un nuovo Ag), proteggono dalle aggressioni il compartimento
intravascolare. Le molecole pentameriche delle IgM attivano prontamente il
complemento e svolgono funzioni di opsonizzazione e di agglutinazione per
collaborare con il sistema fagocitario nell’eliminazione di molti tipi di
microrganismi. Le isoemoagglutinine e molti Ac diretti contro i microrganismi
gram – sono IgM. Le IgM monomeriche svolgono la funzione di recettori per l’Ag
sulla membrana delle cellule B.

Le IgG, la classe di Ac sierici di gran lunga predominante, si possono trovare


anche nei compartimenti extravascolari; vengono prodotte quando il titolo delle
IgM comincia a decrescere dopo l’immunizzazione primaria. Le IgG sono le
principali Ig prodotte in seguito a reimmunizzazione (risposta immunitaria di
memoria o secondaria). Esse proteggono i tessuti dai batteri, dai virus e dalle
tossine. Le IgG sono le uniche Ig in grado di attraversare la barriera placentare.
Sottoclassi differenti di IgG neutralizzano le tossine batteriche, attivano il
complemento e potenziano la fagocitosi grazie all’opsonizzazione. Le γ-globuline
disponibili in commercio sono costituite quasi interamente da IgG, con piccole
quote di altre Ig.

Le IgA si trovano nelle secrezioni mucose (saliva, lacrime, secrezioni


respiratorie, GU e GI, oltre al colostro), dove provvedono a una difesa
antibatterica e antivirale di primo livello. Le IgA secretorie vengono sintetizzate
nelle regioni subepiteliali dell’apparato GI e di quello respiratorio e sono
combinate con una componente secretoria (SeC) prodotta localmente. Alcune
cellule produttrici di IgA si trovano nei linfonodi e nella milza. Le IgA sieriche non
possiedono la SeC; esse conferiscono protezione nei confronti della Brucella,
della difterite e della poliomielite.

Le IgD sono presenti nel siero in concentrazioni estremamente basse, ma


compaiono anche sulla superficie delle cellule B in via di maturazione e
potrebbero svolgere un ruolo importante nella loro crescita e nel loro sviluppo.

Le IgE (Ac reaginici, sensibilizzanti cutanei o anafilattici), come le IgA, si trovano


principalmente nelle secrezioni mucose respiratorie e GI. Nel siero, sono presenti
in concentrazioni molto basse. Le IgE interagiscono con le mast-cellule; il legame
simultaneo di due molecole di IgE da parte di un allergene può provocare la
degranulazione delle cellule, con il rilascio di mediatori chimici che causano una
risposta di tipo allergico. I livelli sierici delle IgE sono elevati nelle malattie
atopiche (p. es. asma allergico o estrinseco, febbre da fieno e dermatite atopica),
nelle malattie parassitarie, nel morbo di Hodgkin in fase molto avanzata e nel
mieloma monoclonale a IgE. Le IgE possono svolgere un ruolo positivo nella
difesa contro i parassiti.

Metodi di dosaggio delle immunoglobuline

Le IgG, le IgM e le IgA sono presenti nel siero in concentrazioni sufficientemente


elevate da poter essere misurate con diverse tecniche che rilevano la presenza
di qualsiasi Ag. Una metodica ormai datata è quella dell’immunodiffusione radiale
(tecnica di Mancini), nella quale il siero contenente l’Ag viene posto in un
pozzetto ricavato in una piastra di agar contenente l’Ac; la dimensione degli anelli
di precipitazione che si formano nell’agar è proporzionale alla concentrazione
dell’Ag nel siero. Per determinare le concentrazioni specifiche di numerose
proteine sieriche, comprese le Ig, molti laboratori impiegano adesso la
nefelometria, una metodica rapida e altamente riproducibile basata sul principio
della dispersione della luce da parte delle molecole. Anche l’immunoelettroforesi
viene utilizzata occasionalmente per identificare le Ig, particolarmente le Ig
monoclonali (v. Mieloma multiplo nel Cap. 140). Le IgE sono presenti nel siero in
quantità talmente piccole che devono essere misurate con metodi
radioimmunologici o con il test di immunoassorbimento enzimatico (Enzyme-

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Biologia del sistema immunitario

Linked ImmunoSorbent Assay, ELISA). Le IgE dirette contro Ag specifici vengono


misurate utilizzando il test di radioallergoassorbimento (RadioAllergoSorbent
Test, RAST, v. Cap. 148). Le sottoclassi delle Ig possono essere misurate
utilizzando metodi radioimmunologici o l’ELISA.

Anticorpi monoclonali

Gli Ac presenti in vivo sono quasi sempre policlonali (cioè prodotti da più di un
clone), tranne nel caso di una gammopatia monoclonale. Analogamente, fino a
non molto tempo fa erano policlonali anche gli Ac indotti negli animali per essere
utilizzati nei test diagnostici. La tecnica dell’ibridoma consente la produzione di
grandi quantità di Ac monoclonali negli animali. Per prima cosa, un topo viene
immunizzato con l’Ag desiderato. Quando il topo ha cominciato a produrre Ac, la
sua milza viene prelevata per preparare una sospensione di cellule, alcune delle
quali producono l’Ac corrispondente. Successivamente, queste cellule produttrici
di Ac vengono ibridate con una linea cellulare di mieloma che è stata mantenuta
in coltura tissutale e che non produce Ac. Le singole cellule ibridate che
producono l’Ac monoclonale desiderato vengono isolate, coltivate in colture
tissutali per aumentarne il numero e reinoculate in peritoneo di topo. In questo
modo si può facilmente produrre e raccogliere liquido ascitico contenente l’Ac
monoclonale per ottenere alte concentrazioni dell’Ac stesso. I laboratori di
fermentazione producono preparazioni commerciali di Ac monoclonali.

Attualmente, gli Ac monoclonali vengono diffusamente impiegati per (1) dosare


proteine e farmaci nel siero; (2) tipizzare i tessuti e il sangue; (3) identificare
agenti infettivi; (4) identificare cluster di differenziazione (CD) per la
classificazione e il follow-up delle leucemie e dei linfomi; (5) identificare Ag
tumorali; (6) identificare autoanticorpi in molte patologie diverse. L’uso degli Ac
monoclonali ha favorito l’identificazione della miriade di cellule coinvolte nella
risposta immunitaria.

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Discrasie plasmacellulari

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

140. DISCRASIE PLASMACELLULARI

Gruppo di disordini clinicamente e biochimicamente diversi di eziologia


sconosciuta, caratterizzati da una sproporzionata proliferazione di un clone di
cellule B e dalle presenza di un’immunoglobulina strutturalmente ed
elettroforeticamente omogenea (monoclonale) o da una subunità polipeptidica
nel siero o nelle urine.

MIELOMA MULTIPLO

(Mieloma plasmacellulare; mielomatosi)

Malattia neoplastica progressiva caratterizzata da plasmocitosi midollare (tumore


plasmacellulare) e iperproduzione di una immunoglobulina monoclonale intatta
(IgG, IgA, IgD o IgE) o della proteina di Bence Jones (catene leggere
monoclonali κ o λ).

Sommario:

Introduzione
Eziologia e patogenesi
Anatomia patologica
Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi e terapia

Il mieloma multiplo è spesso associato a lesioni osteolitiche multiple,


ipercalcemia, anemia, danno renale e aumentata suscettibilità alle infezioni
batteriche; la produzione di immunoglobuline normali è difettosa. L’incidenza è
stimata 2-3/ 100000 persone, il rapporto maschio-femmina è 1,6:1 e la maggior
parte dei pazienti è > 40 anni. La prevalenza nella popolazione di colore è doppia
che nella popolazione bianca.

Eziologia e patogenesi

L’eziologia è sconosciuta. Una relazione è suggerita dal reperto del virus erpetico-
associato al sarcoma di Kaposi nelle cellule dendritiche in coltura provenienti dai
pazienti con mieloma. Questo virus codifica per un omologo dell’interleuchina-6;
l’interleuchina-6 umana promuove la crescita del mieloma e stimola il
riassorbimento dell’osso.

La specifica cellula di origine è sconosciuta. L’analisi delle sequenze geniche


immunoglobuliniche e i marker cellulari di superficie suggeriscono una
trasformazione maligna di un centro cellulare post-germinativo.

Anatomia patologica

Si sviluppano una diffusa osteoporosi o discrete lesioni osteolitiche, di solito nella

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Discrasie plasmacellulari

pelvi, alla colonna vertebrale, alle coste e al cranio. Le lesioni sono dovute alla
sostituzione del normale tessuto osseo da parte di tessuto neoplastico
plasmacellulare oppure a un fattore secreto dalle plasmacellule maligne (fattore
di attivazione degli osteoclasti). Le lesioni osteolitiche sono di solito multiple, ma
occasionalmente sono rappresentate da masse solitarie intramidollari. I
plasmocitomi extraossei sono molto rari, ma si possono presentare in tutti gli
organi, soprattutto nel primo tratto dell’apparato respiratorio.

I plasmocitomi producono IgG nel 55% dei pazienti mielomatosi e IgA in circa
il 20%; il 40% dei portatori di mieloma IgG o IgA ha anche proteinuria di Bence
Jones. Le catene leggere del mieloma sono state riscontrate nel 15-20% dei
pazienti; in questi casi le plasmacellule secernono soltanto catene leggere
monoclonali libere (proteine di Bence Jones κ o λ) e all’elettroforesi solitamente
non si evidenzia la proteina M nel siero. I pazienti con la forma micromolecolare
tendono ad avere una maggiore incidenza di lesioni osteolitiche, ipercalcemia,
insufficienza renale e amiloidosi rispetto alle altre varietà di mieloma. Il mieloma
IgD rappresenta circa l’1% dei casi: i livelli sierici della paraproteina sono spesso
relativamente bassi ed è tipica una marcata proteinuria di Bence Jones (di tipo λ
nell’80-90% dei casi). Sono stati descritti solo pochi casi di mieloma IgE. Il
mieloma non secernente (nessuna componente M identificabile nel siero o nelle
urine) è molto raro (< 1% dei casi).

Nel 10% dei pazienti, specialmente in quelli con proteinuria di Bence Jones, sono
presenti depositi di amiloide (v. nel Cap. 18).

Sintomi e segni

I sintomi più frequenti all’esordio sono: dolore osseo persistente (spesso al torace
o in regione lombare), che non ha alcuna altra causa apparente, insufficienza
renale e infezioni batteriche ricorrenti. Sono frequenti le fratture patologiche e lo
schiacciamento vertebrale, che può determinare compressione midollare e
paraplegia. L’insufficienza renale (rene mielomatoso) può essere causata
dall’estesa formazione di cilindri all’interno dei tubuli renali, dall’atrofia delle
cellule epiteliali tubulari e dalla fibrosi interstiziale. In alcuni pazienti predomina
l’anemia accompagnata talvolta da debolezza e facile stancabilità, mentre in
alcuni casi spiccano i sintomi da iperviscosità (v. Macroglobulinemia,sopra). La
linfoadenomegalia e l’epatosplenomegalia sono rare.

Diagnosi

Nel paziente con proteina M nel siero, uno dei tre criteri che seguono permette di
porre diagnosi di mieloma: strati o agglomerati di plasmacellule nel midollo,
lesioni osteolitiche (senza la presenza di carcinoma metastatico o malattia
granulomatosa) o proteinuria di Bence Jones > 300 mg/ 24 ore

Gli esami ematologici mostrano un’anemia normocromica-normocitica con


formazione di "rouleaux". La conta dei GB e delle piastrine è normale. La VES è
spesso notevolmente aumentata con valori talora > 100 mm/h, così pure
l’azotemia, la creatininemia e l’uricemia. In alcuni pazienti è presente talora un
basso "gap anionico". In circa il 10% dei pazienti si rivela ipercalcemia. Il livello
sierico della β2-microglobulina è frequentemente elevato ed è correlato con la
massa cellulare mielomatosa.

La proteinuria è frequente a causa dell’eccessiva sintesi e secrezione di catene


leggere monoclonali libere. La determinazione della Bence Jones nelle urine con
le cartine reagenti non è attendibile; il test di solubilità al calore, d’altra parte, può
trarre in inganno; per uno "screening" di base sono invece utili i test con l’acido
solfosalicilico e con l’acido toluensulfonico. Nel mieloma raramente c’è
albuminuria significativa; tale reperto suggerisce l’esistenza di amiloidosi
concomitante o malattia da deposito di catene leggere.

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Discrasie plasmacellulari

Nell’80% circa dei casi l’elettroforesi mostra un’omogenea banda M stretta; la


mobilità del picco M può riscontrarsi dalla regione α2 fino a quella γ lenta. Il
restante 20% dei pazienti sintetizza soltanto catene leggere monoclonali libere
(proteine di Bence Jones) e l’elettroforesi proteica mette in evidenza soltanto
un’ipogammaglobulinemia senza picco M. In quasi tutti i pazienti con mieloma a
catene leggere è comunque possibile dimostrare all’elettroforesi proteica delle
urine concentrate la presenza di un picco M omogeneo. Attraverso
l’immunoelettroforesi o immunofissazione, che utilizza antisieri monospecifici, è
possibile identificare, nel siero o nelle urine, la classe immunoglobulinica di
appartenenza del picco M.

La rx dello scheletro può mostrare le tipiche immagini osteolitiche a stampo


oppure un’osteoporosi diffusa. Dal momento che lesioni di tipo osteoblastico
sono rare, la scintigrafia ossea con radionuclidi solitamente non è utile per la
diagnosi. La RMN può essere utile, particolarmente nel predire l’esito nei pazienti
con malattia in stadio iniziale.

L’aspirato midollare e la biopsia ossea generalmente mostrano un alto numero


di plasmacellule in diversi stadi di maturazione, ma, raramente, il numero di
cellule normali è normale. La morfologia delle plasmacellule non ha alcun
rapporto con la classe delle immunoglobuline sintetizzate. Il mieloma è una
malattia le cui cellule si riuniscono a focolaio, per cui, anche se in alcuni casi il
reperto di plasmacellule a strati o ad ammassi permette di fare diagnosi, molto
spesso inizialmente c’è soltanto una modesta plasmocitosi aspecifica.

Prognosi e terapia

Anche se la malattia ha un andamento evolutivo, con un trattamento ottimale è


possibile migliorare la qualità e la durata della vita. Circa il 60% dei pazienti
trattati mostra segni oggettivi di miglioramento; la sopravvivenza media è di circa
2,5-3 anni, ma questo varia proporzionalmente all’estensione della malattia al
momento della diagnosi, alla disponibilità di adeguati mezzi di supporto e alla
risposta ai farmaci. Sono segni prognostici sfavorevoli gli alti livelli di proteina M
nel siero o nelle urine, valori sierici elevati di β2-microglobulina, lesioni ossee
diffuse, l’ipercalcemia, l’anemia e l’insufficienza renale.

Il mantenimento della deambulazione è vitale per la protezione dall’ipercalcemia


e la qualità dell’osso. Il dolore è alleviato abbastanza dagli analgesici e
dall’irradiazione a dosi palliative (18-24 Gy) dei segmenti scheletrici interessati
dalla malattia. Tuttavia, la radioterapia può alterare la capacità del paziente di
poter ricevere dosi citotossiche di chemioterapia sistemica. Tutti i pazienti devono
ricevere il pamidronato (90 mg/ mese EV), che riduce le complicanze
scheletriche e riduce il dolore osseo e la necessità di assumere analgesici.
Questo trattamento può anche migliorare la sopravvivenza.

È estremamente importante idratare il paziente: la disidratazione, in un paziente


con proteinuria di Bence Jones, prima dell’infusione endovenosa del tracciante,
può scatenare una insufficienza renale acuta con oliguria. Con una buona
idratazione (diuresi > 2000 ml/die), è possibile prevenire una compromissione
grave della funzione renale anche in pazienti che hanno una proteinuria di Bence
Jones prolungata e massiva (10-30 g/die).

Il prednisone PO alle dosi di 60-80 mg/die è utile per il controllo dell’ipercalcemia;


nei casi refrattari, il pamidronato può essere utile (v. sopra). Sebbene la maggior
parte dei pazienti non richieda allopurinolo, una dose di 300 mg/die PO controlla
l’iperuricemia. Gli antibiotici sono indicati nelle infezioni batteriche in atto, mentre
ne è sconsigliabile l’uso profilattico. La maggior parte dei pazienti presenta
infezioni solo durante la neutropenia indotta dalla chemioterapia. In alcuni studi è
stato dimostrato che la somministrazione, profilattica, EV delle immunoglobuline
possa ridurre il rischio di infezioni. Tuttavia, deve essere riservata a pazienti
selezionati con infezioni ricorrenti. Nell’anemia sintomatica sono indicate le
trasfusioni di concentrati di GR. L’eritropoietina ricombinante è molto efficace nel

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Discrasie plasmacellulari

far regredire l’anemia, specialmente nei pazienti con disfunzione renale; tuttavia il
suo uso deve essere limitato ai pazienti per i quali la chemioterapia riduce l’Hb.

Chemioterapia: la risposta alla chemioterapia è indicata dalla riduzione nel siero


o nelle urine della proteina M. La chemioterapia convenzionale raramente elimina
la proteina M; tuttavia, un miglioramento obiettivo (una riduzione 50% nel siero o
nelle urine della proteina M) spesso segue l’uso do alchilanti orali (melfalan o
ciclofosfamide). La sopravvivenza media può aumentare anche di 3-7 volte.

Il prednisone (1 mg/kg/die per 4 giorni q 4-6 settimana) o un altro glucocorticoide


deve essere utilizzato unitamente al melfalan o alla ciclofosfamide. I
glucocorticoidi possono essere usati da soli per trattare pazienti con mieloma
diagnosticato de novo.

Il melfalan può essere somministrato in modo intermittente (0,25 mg/kg/die per


4 gg q 4-6 sett.). Circa 2 sett. dopo la somministrazione, una conta di GB deve
essere effettuata al nadir; se la conta dei GB è > 3000/µl, la dose può essere
inadeguata. La risposta al melfalan può migliorare se a esso si associa il
prednisone (1 mg/kg/die per 4 gg q 6 sett.). La ciclofosfamide (200 mg/die per 5-
7 gg, poi 50-100 mg/die per il mantenimento) è ugualmente efficace. Poiché
questi farmaci provocano leucopenia e piastrinopenia, la conta dei GB e delle
piastrine deve essere strettamente monitorizzata.

In una minoranza dei pazienti rispondenti si può sviluppare una leucemia acuta
non linfoblastica o una mielodisplasia che possono essere correlate al periodo di
esposizione ad agenti mutageni (alchilanti o radiazioni). Quindi, bisogna avere
cura che i pazienti ricevano la terapia per il minor tempo necessario. La
continuazione della terapia oltre questo punto non ha dimostrato migliorare la
sopravvivenza.

La terapia ad alte dosi, cioè, l’uso di regimi polichemioterapici più aggressivi che
necessitano di supporto ematopoietico, appare promettente, sebbene è stato
difficile dimostrare il miglioramento della sopravvivenza globale. Poiché i farmaci
alchilanti devono essere evitati nella terapia ad alte dosi (danneggiano le cellule
staminali ematopoietiche), devono essere prese in considerazione prima del
trapianto la vincristina per infusione e la doxorubicina con desametasone orale.
In uno studio, è stato dimostrato che la terapia ad alte dosi, seguita da trapianto
autologo, in pazienti che hanno ricevuto previamente diversi cicli di
chemioterapia convenzionale, migliori i tassi di remissione e la sopravvivenza.

Il supporto di cellule staminali periferiche autologhe ha largamente sostituito


il trapianto di midollo per i pazienti con mieloma sottoposti a chemioterapia
mieloablativa. Questa procedura deve essere considerata in pazienti < 70 anni
con malattia stabile o responsiva dopo trattamento con diversi cicli di
chemioterapia convenzionale. Tuttavia, la mortalità correlata al trattamento è
elevata.

La terapia di mantenimento è stata tentata con farmaci non chemioterapici,


incluso l’interferone, che prolunga la remissione ma ha un piccolo effetto sulla
sopravvivenza globale. I glucocorticoidi sono in corso di valutazione.

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Amiloidosi

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

18. AMILOIDOSI

Accumulo nei tessuti di diverse proteine fibrillari insolubili (amiloide) in quantità


sufficienti a comprometterne la funzione normale.

Sommario:

Eziologia, fisiopatologia e classificazione


Sintomi e segni
Diagnosi
Prognosi
Terapia

Eziologia, fisiopatologia e classificazione

La causa della produzione di amiloide e del suo deposito nei tessuti non è
conosciuta. Il meccanismo eziologico può variare a seconda dei differenti tipi
biochimici di amiloidosi. Per esempio, nell'amiloidosi secondaria (v. oltre) può
essere presente un deficit del metabolismo della proteina precursore (l'amiloide
sierica A, un reattante di fase acuta), mentre nell'amiloidosi ereditaria sembra
essere presente una proteina geneticamente alterata. Nell'amiloidosi primitiva,
una popolazione monoclonale di cellule midollari produce frammenti di catene
leggere o catene leggere intere che possono essere processati in maniera
anormale così da formare amiloide. Alla microscopia ottica l'amiloide appare
come una sostanza omogenea, altamente rifrangente, con affinità per il colorante
rosso Congo sia nei tessuti fissati sia in vivo. Alla microscopia elettronica
l'amiloide è costituita da fibrille lineari non ramificate di 100 Å (10 nm); alla
diffrazione dei raggi x presenta un quadro cross-beta.

Dal punto di vista biochimico sono stati definiti tre tipi principali di amiloide e
numerose forme meno comuni. Il primo tipo, che ha una sequenza N-terminale
omologa a una porzione della regione variabile delle catene leggere delle
immunoglobuline, è denominata AL e si riscontra nell'amiloidosi primitiva e
nell'amiloidosi associata al mieloma multiplo. Il secondo tipo ha una sequenza N-
terminale caratteristica di una proteina non immunoglobulinica denominata AA, e
si riscontra nei pazienti con amiloidosi secondaria. Il terzo tipo, associato alla
polineuropatia amiloide familiare, è di solito una molecola transtiretinica
(prealbuminica) con sostituzione di un singolo aminoacido. Sono state riscontrate
altre amiloidi ereditarie costituite da gelsolina mutante in alcune famiglie,
apolipoproteina A-I mutante in diverse altre famiglie e altre proteine mutanti
nell'amiloide ereditaria dell'arteria cerebrale. Nell'amiloide associata con
l'emodialisi cronica, il costituente della proteina amiloide è una b2-microglobulina.
La struttura chimica dell'amiloide associata all'invecchiamento della cute o
presente negli organi endocrini può essere quella di altre forme biochimiche di
amiloidosi. L'amiloide trovata nelle lesioni istopatologiche della malattia di
Alzheimer è formata da proteine b. L'analisi chimica relativa alle varie forme di
amiloide ha portato a una classificazione più raffinata. Un'unica proteina (una
pentrassina) denominata AP (o AP sierica) è universalmente associata con tutte
le forme di amiloide e rappresenta la base di un test diagnostico specifico.

Attualmente vengono riconosciute tre forme cliniche sistemiche principali.


L'amiloidosi viene classificata come primitiva o idiopatica (forma AL), quando non
è associata ad alcuna malattia, e secondaria, acquisita o reattiva (forma AA),
quando è associata a malattie croniche, sia infettive (tubercolosi, bronchiettasie,

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Amiloidosi

osteomielite, lebbra) sia infiammatorie (artrite reumatoide, ileite granulomatosa).


L'amiloide è anche associata al mieloma multiplo (AL), al morbo di Hodgkin (AA),
ad altre neoplasie e alla febbre mediterranea familiare (AA). L'amiloidosi può
accompagnare i processi di invecchiamento. Il terzo tipo principale di amiloidosi
si presenta nelle forme familiari non associate ad altre patologie, spesso con
quadri caratteristici di neuropatia, nefropatia e cardiopatia.

Nell'amiloidosi primitiva (AL) possono essere interessati il cuore, i polmoni, la


cute, la lingua, la tiroide e il tratto intestinale. Si possono trovare nel tratto
respiratorio o in altre sedi "tumori" amiloidi localizzati. Sono frequentemente
coinvolti gli organi parenchimali (fegato, milza, rene) e l'apparato vascolare,
specialmente il cuore.

L'amiloidosi secondaria (AA) mostra una predilezione per la milza, il fegato, i


reni, i surreni e i linfonodi. Tuttavia, nessun apparato viene risparmiato e
l'interessamento vascolare può essere ampiamente diffuso, anche se un
coinvolgimento cardiaco clinicamente significativo è raro. Il fegato e la milza sono
spesso aumentati di volume, duri e di consistenza elastica. I reni sono di solito
ingranditi. Sezioni della milza mostrano ampie aree traslucide, ceree, nel
contesto delle quali i normali corpi di Malpighi sono sostituiti da amiloide pallida,
determinando il caratteristico quadro della milza a "sagù".

L'amiloidosi ereditaria è caratterizzata da una neuropatia periferica sensitiva e


motoria, spesso da una neuropatia autonomica e dalla deposizione di amiloide
cardiovascolare e renale. Si possono osservare la sindrome del tunnel carpale e
anomalie del corpo vitreo.

L'amiloide associata ad alcune neoplasie maligne (p. es., il mieloma multiplo)


ha la stessa distribuzione dell'amiloide idiopatica (AL); con altri tumori maligni
(p. es., il carcinoma midollare della tiroide) essa può presentarsi solo localmente
in associazione con il tumore o nel contesto delle metastasi. L'amiloide viene
frequentemente riscontrata nel pancreas di individui con diabete mellito di tipo
adulto.

Sintomi e segni

I segni e sintomi non sono specifici, dipendono dall'organo o dal sistema


interessato e spesso vengono celati dalla malattia di base, che può portare a
morte prima che venga sospettata la presenza di amiloidosi. La sindrome
nefrosica è la manifestazione precoce più importante. Negli stadi iniziali può
essere notata soltanto una lieve proteinuria; più tardi si sviluppa un caratteristico
complesso sintomatologico con stato anasarcatico, ipoprotidemia e proteinuria
massiva.

L'amiloidosi del fegato determina epatomegalia, ma raramente ittero. È stata


riportata un'epatomegalia massiva (peso del fegato > 7 kg). I risultati dei test di
funzionalità epatica sono generalmente normali, sebbene si possano osservare
un'alterazione dell'escrezione di bromosulftaleina sodica (esame raramente
eseguito) o un'elevazione della fosfatasi alcalina. Occasionalmente, si può
instaurare ipertensione portale con varici esofagee e ascite. Le lesioni cutanee
possono essere ceree o traslucide; può essere presente una porpora dovuta
all'interessamento dei vasi cutanei di piccolo calibro.

Il coinvolgimento cardiaco è un'evenienza comune e può manifestarsi con


cardiomegalia, scompenso cardiaco intrattabile o una qualunque delle aritmie più
frequenti. In diverse famiglie è stato osservato arresto sinusale.

L'amiloide GI può determinare alterazioni della motilità esofagea, atonia gastrica,


anomalie della motilità dell'intestino tenue e del colon, malassorbimento,
sanguinamenti o pseudo-ostruzioni. La macroglossia è comune nell'amiloidosi
primitiva e in quella associata al mieloma.

L'amiloidosi della tiroide può dar luogo a un gozzo duro, simmetrico, non

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Amiloidosi

dolorabile, somigliante allo struma di Hashimoto o di Riedel. In alcuni rari casi di


mieloma multiplo, l'artropatia amiloide può simulare un'artrite reumatoide. La
neuropatia periferica, che è una manifestazione d'esordio non infrequente, è
comune in alcune amiloidosi familiari e si osserva anche in alcuni casi di
amiloidosi primitiva o associata al mieloma. L'interessamento polmonare
(soprattutto nell'amiloidosi AL) può essere caratterizzato da noduli polmonari
focali, lesioni tracheobronchiali o depositi diffusi alveolari. In molti familiari di
pazienti con amiloide ereditaria si riscontrano opacità amiloidee del corpo vitreo e
indentazione bilaterale dei margini pupillari.

Diagnosi

L'amiloidosi può essere sospettata sulla base dei sintomi e dei segni descritti
precedentemente, ma la certezza diagnostica si ottiene soltanto con la biopsia. I
migliori test di primo livello sono l'aspirazione dei cuscinetti adiposi sottocutanei
addominali o la biopsia della mucosa rettale. Altre sedi utili per la biopsia sono le
gengive, la cute, i nervi, i reni e il fegato. Le sezioni tissutali devono essere
colorate con rosso Congo e osservate con un microscopio a luce polarizzata per
notare la caratteristica birifrangenza verde dell'amiloide. La AP sierica marcata
con isotopi è stata utilizzata in un test scintigrafico per confermare la diagnosi di
amiloidosi.

Prognosi

Nell'amiloidosi secondaria, la prognosi dipende dal successo del trattamento


della malattia di base. Tutte le forme di amiloidosi renale hanno una prognosi
sfavorevole, ma i pazienti possono rimanere stabili o anche migliorare con la
terapia di supporto (p. es., eradicazione della pielonefrite). La dialisi e il trapianto
di rene hanno ulteriormente migliorato la prognosi. L'amiloidosi associata al
mieloma multiplo ha la prognosi peggiore; la morte entro 1 anno è un evento
comune. I tumori amiloidi localizzati possono essere asportati senza rischio di
recidive. L'amiloidosi cardiaca è la più comune causa di morte, dovuta soprattutto
ad aritmie o scompenso cardiaco refrattario. La prognosi nelle amiloidosi familiari
varia tra i diversi membri della famiglia.

Terapia

La terapia è diretta innanzitutto alla causa sottostante; tale trattamento può


arrestare l'evoluzione della malattia. Il trattamento dell'amiloidosi di per sé è
generalmente sintomatico. Nei pazienti con amiloidosi renale è stato praticato il
trapianto di rene; la sopravvivenza a lungo termine è paragonabile a quella di
altre malattie renali, ma la mortalità nei primi anni è superiore. L'amiloide può alla
fine ricomparire nel rene trapiantato, ma numerosi soggetti sottoposti a trapianto
sono andati molto bene e hanno vissuto fino a 10 anni. L'attuale terapia
dell'amiloidosi primitiva prevede un protocollo con prednisone/melfalan o
prednisone/melfalan/colchicina. Sono in corso trial clinici per mettere a confronto
questi diversi schemi terapeutici. Recentemente i programmi terapeutici sono
stati arricchiti, con notevole successo, con il trapianto di cellule staminali. La
digitale va usata con prudenza nell'amiloidosi cardiaca, poiché può scatenare
aritmie. Il trapianto di cuore ha avuto successo in pazienti accuratamente
selezionati. Per prevenire gli attacchi acuti di febbre mediterranea familiare è
stata utilizzata la colchicina ed è stato dimostrato che i pazienti trattati in questo
modo non sviluppano nuova amiloide, e che l'amiloide presente regredisce. È
stato dimostrato che nell'amiloidosi ereditaria dovuta a mutazioni della
transtiretina il trapianto di fegato, che rimuove la sede della sintesi della proteina
mutante, è molto efficace.

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Amiloidosi

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 146-1. CITOCHINE PRINCIPALI

Citochine Massa Produzione Effetti principali


molecolare
Interleuchine (IL)
IL-1α, IL-1β 15-17 Monociti, macrofagi Febbre (pirogeno endogeno),
sonno, anoressia,
infiammazione, espressione del
CD4 e rilascio di fattore tissutale
da parte delle cellule endoteliali,
attivazione dei linfociti,
produzione di IL-6 e CSF
IL-2 14-15 cellule T Induzione della crescita delle
cellule T, costimolazione della
crescita e della differenziazione
delle cellule B, aumento delle
NK e delle LAK
IL-3 14-28 cellule T, mast- Induzione della crescita delle
cellule mast-cellule, crescita delle
cellule emopoietiche pluripotenti
IL-4 20 cellule T, mast- Induzione della crescita delle
cellule cellule T e della generazione dei
CTL, costimolazione della
crescita delle cellule B,
sinergismo con l'IL-3 nella
crescita delle mast-cellule, ↑
della produzione di IgE e IgG4,
induzione dell'espressione e del
rilascio del CD23, ↑ del MHC di
classe II sulle cellule B, switch
da TH a TH2
IL-5 45 cellule T, mast- Induzione della differenziazione
cellule degli eosinofili, ↑ della
produzione di IgA,
costimolazione della crescita
delle cellule B nei topi

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Manuale Merck - Tabella

IL-6 23-30 Monociti, fibroblasti, Pirogeno, induzione della


cellule T (topo) crescita dei plasmocitomi e degli
ibridomi, amplificazione della
produzione di Ig, ↑ del MHC di
classe I sui fibroblasti,
sinergismo con l'IL-2 nella
produzione delle proteine di fase
acuta da parte degli epatociti,
sinergismo con l'IL-3 nella
crescita delle
celluleemopoietiche, induzione
della differenziazione dei CTL
IL-7 25 Cellule stromali del Induzione della proliferazione
midollo osseo e del delle cellule pro-B e pre- B e dei
timo timociti immaturi
IL-8 6,5 Monociti, cellule Induzione della chemiotassi e
(chemiochina) endoteliali, dell'attivazione dei neutrofili e
macrofagi alveolari, delle cellule T
fibroblasti
IL-9 30-40 cellule T Induzione della proliferazione di
alcune cellule T, potenziamento
della crescita delle mast-cellule
indotta dall'IL-3
IL-10 17-21 cellule T, cellule B ↓ del MHC di classe II, inibizione
attivate, monociti dell'attivazione del MAC, ↓ della
presentazione dell'antigene,
stimolazione della proliferazione
delle cellule B e della
produzione di Ac, stimolazione
delle mast-cellule, switch da TH
a T H2
IL-11 24 Cellule del Stimolazione della produzione di
microambiente Ac, sinergismo con l'IL-3 nella
emopoietico proliferazione dei megacariociti,
stimolazione dei precursori dei
macrofagi
IL-12 75 Monociti, macrofagi, Attivazione della secrezione di
alcune cellule B, IFN-g da parte delle NK, switch
alcune mast- cellule da TH a TH1, inibizione della
secrezione di IgE indotta dall'IL-
4
IL-13 10 cellule B, macrofagi Induzione della secrezione di
IgE
IL-14 ? cellule T Induzione del fattore di crescita
delle cellule B

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Manuale Merck - Tabella

IL-15 14-15 Cellule non linfoidi, Induzione della crescita e della


muscolo citotossicità delle cellule NK,
differenziazione delle cellule NK
IL-16 56 cellule T (preformata Chemiotassi dei CD4, induzione
nei CD8) del CD25, ↑ del MHC di classe
II, repressione della trascrizione
dell’HIV
IL-17 20-30 CelluleCD4 di Costimolazione della
memoria proliferazione delle cellule T, in
duzione della secrezione di IL-6,
IL-8 e G-CSF da parte delle
cellule epiteliali, endoteliali e
fibroblastiche
IL-18 (nome ? ? Induzione del fattore inducente
non ufficiale) l'IFN-γ, simile all'IL-1

Interferoni (IFN)
IFN-α 18-20 Leucociti Inibizione della replicazione
virale e della crescita tumorale,
↑ dell'espressione del MHC di
classe I e di classe II, ↑
dell'attività NK, modulazione
della risposta Ac
IFN-β 20 Fibroblasti Stesse attività dell'IFN-α
IFN-γ 20-25 cellule T, NK ↑ del MHC di classe I e di
classe II, attivazione dei
macrofagi, ↑ dell'attività NK, ↓
della secrezione di CD23 e di
IgE indotta dall'IL-4,
costimolazione della crescita e
della differenziazione delle
cellule B
Tumor necrosis
factor (TNF)
TNF-α 17 Monociti, macrofagi Induzione dell'IL-1, ↑ delle
(cachessina) molecole di adesione e del MHC
di classe I sulle cellule
endoteliali, pirogeno, in duzione
del GM-CSF, effetto citotossico/
citostatico, induzione della
secrezione di IFN-γ
TNF-β 25 cellule T Fattore citotossico

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Manuale Merck - Tabella

Colony- stimulating
factor (CSF)
GM-CSF 14-35 cellule T, macrofagi, Induzione della crescita dei
monociti, cellule precursori dei granulociti e dei
endoteliali monociti, attivazione dei
macrofagi, ↑ della produzione di
leucotrieni da parte degli
eosinofili, ↑ dell'attività
tumoricida dei monociti
G-CSF 18-22 Monociti, fibroblasti, Induzione della crescita dei
cellule endoteliali granulociti
M-CSF 70-90 Monociti, fibroblasti, Induzione della crescita dei
cellule endoteliali monociti
Transforming
growth factor (TGF)
TGF-α 5-20 Tumori solidi Induzione dell'angiogenesi,
(carcinomi proliferazione dei cheratinociti,
>sarcomi), monociti riassorbimento osseo, crescita
tumorale
TGF-β 25 Piastrine, placenta, Induzione della proliferazione
rene, osso, cellule T dei fibroblasti; sintesi del
eB collagene e della fibronectina;
inibizione dei CTL, delle NK e
delle LAK; inibizione della
proliferazione delle cellule T e B;
potenziamento della guarigione
delle ferite e dell'angiogenesi
Chemiochine
C (mancante 15 CD8 attivati, NK, Induzione della chemiotassi
del primo e mast-cellule? delle cellule T e delle cellule NK
del terzo
residuo di
cisteina
conservato).
Esempio:
linfotassina
(LPTN)

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Manuale Merck - Tabella

C-C Diversi Variabile Variabile Induzione della chemiotassi


esem pi: MIP- delle cellule T, delle cellule NK,
1α, RAN- dei basofili e degli eosinofili
TES, MIP-1β,
eotassine,
MCP-1, MCP-
3

C-X-C Diversi Variabile Variabile Induzione della chemiotassi


esempi: IL-8, delle cellule T, delle mast-
IP- 10, SDF-1 cellule, dei monociti e degli
eosinofili
C-X3-C Variabile Variabile Ancora non ben caratterizzati
Frattalchine
descritte di
recente

↑=aumento; ↓=diminuzione; Ac=anticorpi; CSF=colony-stimulating factor; CTL=linfociti T


citotossici; G=granulociti; GM=granulociti/macrofagi; LAK=cellule killer attivate dalle
linfochine; MAC=complesso di attacco alla membrana; MHC=complesso maggiore di
istocompatibilità; NK=cellule natural killer; TH=T helper.

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

CELLULE T E IMMUNITA' CELLULARE

Sommario:

Introduzione
Cellule T helper
Cellule T suppressor/citotossiche
Cellule killer
Citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente
Cellule T killer senza restrizione MHC
Cellule killer attivate da linfochine
Test per l'immunità cellulare

Le cellule T maturano, acquistano capacità funzionali e apprendono il concetto di


self all’interno del timo. Il timo svolge il duplice compito della selezione positiva
(i cloni che riconoscono il complesso MHC/Ag vengono posti in condizione di
proliferare, maturare e migrare in periferia) e della selezione negativa (i cloni
che reagiscono al self, riconoscendolo come estraneo, vengono eliminati). Gli
esatti meccanismi cellulari e molecolari di questa selezione non sono del tutto
conosciuti.

Durante lo sviluppo fetale la cellula staminale T, derivata dal midollo osseo, si


sposta nel timo, dove matura e apprende il concetto di self. Si svolge quindi il
processo della selezione timica e ai linfociti maturi viene consentito di lasciare la
ghiandola; essi si ritrovano nel sangue periferico e all’interno dei tessuti linfoidi.
Tutte le cellule T mature esprimono il CD4 o il CD8 in maniera mutuamente
esclusiva.

Cellule T helper

Le cellule T che esprimono il CD4 vengono genericamente denominate linfociti T


helper (TH). Queste cellule possono essere suddivise in due categorie principali,
a seconda della loro funzione, della risposta a diverse citochine e della capacità
di secernere citochine. L’opinione attuale è che le cellule TH siano in origine
precursori cellulari sintetizzanti IL-2. In seguito alla stimolazione iniziale, queste
cellule si trasformano in cellule TH0, le quali hanno la capacità di secernere
diverse citochine, compresi l’IFN-γ, l’IL-2, l’IL-4, l’IL-5 e l’IL-10. A seconda della
citochina disponibile, le cellule TH0 possono trasformarsi in cellule TH1 oppure in
cellule TH2; l’IFN-γ e l’IL-12 promuovono lo sviluppo delle TH 1 e l’IL-4 e l’IL-10
quello delle TH2. I linfociti TH1 e TH2 differiscono tra loro per il profilo delle
citochine che secernono: le cellule TH1 secernono IFN-γ, mentre le cellule TH2
secernono IL-4, anche se entrambe producono diverse altre citochine (p. es. IL-3,
GM-LCR, TNF-α) in maniera equivalente. In generale, i linfociti TH1 favoriscono
l’attivazione dell’immunità cellulare, mentre i linfociti TH2 favoriscono quella
dell’immunità umorale.

L’identificazione delle risposte TH1 e TH2 ha modificato il modo di considerare le

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Biologia del sistema immunitario

relazioni tra il sistema immunitario e le malattie. Una risposta immunitaria deve


essere non solo energica, ma anche appropriata all’infezione o alla malattia.
Forse il miglior esempio di questa strategia è rappresentato dalla lebbra, nella
quale si ritiene attualmente che una risposta TH1 dia luogo alla lebbra
tubercoloide e una risposta TH2 dia luogo alla lebbra lepromatosa. In aggiunta,
una risposta TH1 può aggravare le patologie autoimmuni, mentre una
risposta TH2 favorisce la secrezione di IgE e lo sviluppo di atopia.

Cellule T suppressor/citotossiche

Le cellule T che esprimono il CD8 sono meno ben caratterizzate rispetto ai


sottotipi TH, nonostante sembri che anch’esse possano essere suddivise in due
sottotipi sulla base delle citochine che secernono, con criterio identico a quello
dei sottotipi dei CD4. È stato suggerito che i sottotipi linfocitari vengano chiamati
tipo 1 e tipo 2 (T1 e T2) piuttosto che TH1 e TH2, perché la medesima
suddivisione si può osservare nelle cellule CD8.

Le cellule T citotossiche (TC) sono linfociti T citotossici (Cytotoxic T Lymphocytes,


CTL, v. oltre) Ag-specifici con restrizione MHC. Sia le cellule CD4 sia le cellule
CD8 possono fungere da CTL, a seconda del rispettivo riconoscimento del MHC
di classe II o di classe I. Si conoscono diversi altri tipi di cellule citotossiche o
killer, ma solo alcune di esse esprimono i marker CD8 o CD4.

Cellule killer

L’identificazione di ciascun tipo di cellula killer (tra i diversi possibili) dipende dalla
restrizione MHC, dalla necessità di sensibilizzazione, dal tipo di bersaglio e dalla
risposta alle citochine. Sebbene i macrofagi possano essere citotossici, tale
tossicità è aspecifica ed è il risultato della loro attivazione da parte di alcune
citochine. I vari tipi di cellule killer possono essere fondamentalmente divisi in
cellule con restrizione MHC (p. es. i CTL) e cellule senza restrizione MHC (p. es.
le cellule NK). Nessuno dei due tipi richiede Ac, complemento o fagocitosi per
eliminare le cellule bersaglio; al contrario, esse trasmettono il segnale litico
attraverso la membrana della cellula bersaglio dopo aver stabilito con essa un
intimo contatto intercellulare.

Cellule killer con restrizione MHC: i linfociti T citotossici (CTL) sono cellule
killer generate unicamente in seguito a sensibilizzazione specifica nei confronti di
cellule che esprimono prodotti MHC estranei (CTL allogenici) oppure nei confronti
di cellule autologhe che siano state modificate da un’infezione virale o da un
aptene chimico (CTL singenici). La vita di un CTL attraversa 3 fasi: una cellula
precursore può divenire citotossica in seguito a uno stimolo appropriato; questa
cellula effettrice è una cellula differenziata che può indurre la lisi del suo
bersaglio specifico; una cellula di memoria, quiescente e non ulteriormente
stimolata, è pronta a divenire effettrice in seguito a una nuova stimolazione con le
cellule originali. Le cellule intatte costituiscono gli stimoli più potenti per la
generazione dei CTL; gli Ag solubili sono inefficaci, eccetto in determinate
condizioni. Come è stato descritto in precedenza, l’Ag viene processato e un suo
frammento viene incorporato all’interno del sito per la presentazione dell’Ag del
MHC. Oggi è possibile identificare i peptidi che possiedono una configurazione
sterica perfettamente complementare a quella di diversi aplotipi MHC. Se per la
stimolazione vengono utilizzati questi peptidi, essi possono essere incorporati
all’interno del MHC e stimolare in tal modo una risposta T-cellulare.

I CTL allogenici possono essere facilmente prodotti in vitro coltivando linfociti


normali in presenza di cellule stimolatrici allogeniche irradiate che presentano
modificazioni a carico di una parte o di tutta la barriera MHC. I CTL allogenici
possono inoltre essere prodotti in vivo in seguito al trapianto di un organo
proveniente da un donatore i cui prodotti MHC sono diversi da quelli del ricevente

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Biologia del sistema immunitario

e probabilmente svolgono un ruolo importante nel rigetto dei trapianti. Perché la


produzione di CTL abbia successo sono necessari due segnali: il segnale
antigenico (cellule stimolatrici) e il segnale di amplificazione (citochine).
Un’azione efficace di questi due segnali richiede la presenza delle APC, dei TH e
dei precursori dei TC. Il segnale di amplificazione è mediato da citochine che
agiscono in tandem; le più importanti sono l’IL-1, l’IL-2 e l’IL-4, ma si ritiene che
altre citochine (comprese l’IL-6, l’IL-7, l’IL-10 e l’IL-12) siano coinvolte nella
generazione dei CTL, almeno in vitro.

Un altro tipo di CTL che è importante per l’eliminazione di taluni patogeni


intracellulari (specialmente le cellule infettate da virus) è costituito dai cosiddetti
CTL Ag-specifici (CTL singenici). I CTL singenici riconoscono esclusivamente le
cellule bersaglio che esprimono l’Ag utilizzato per la sensibilizzazione in
associazione con il MHC. Tali CTL vengono generati contro cellule autologhe che
siano state "modificate" da infezioni virali o apteni chimici. L’espressione di
prodotti virali o di apteni, sulla superficie cellulare in associazione con il MHC
innesca una cascata di eventi differenziativi cellulari e di rilascio e risposta
citochinica analoghi a quelli dei CTL allogenici. Sia i CTL allogenici sia quelli
singenici adoperano il complesso TCR/CD3 per il riconoscimento della cellula
bersaglio.

Cellule killer senza restrizione MHC: al contrario dei CTL, le cellule natural
killer (NK) non hanno bisogno di sensibilizzazione per esprimere la loro funzione
killer. Le cellule NK costituiscono dal 5 al 30% dei linfociti del sangue periferico
normale. Esse sono linfociti, ma non appartengono alle linee cellulari T o B: di
conseguenza, le cellule NK non esprimono sIg o TCR/CD3 sulla loro superficie. Il
pattern dei marker di superficie che caratterizza meglio queste cellule è CD2+,
CD3–, CD4– e CD56+, con una sottopopolazione che risulta CD8+. Il compito
delle cellule NK è l’eliminazione di determinate cellule tumorali autologhe,
allogeniche e anche xenogeniche, indipendentemente dal fatto se questi bersagli
esprimano il MHC; in effetti, è possibile che esse eliminino preferenzialmente le
cellule bersaglio che esprimono poco o nulla il MHC di classe I. La suscettibilità
alla lisi da parte delle cellule NK può essere ridotta se la cellula bersaglio viene
stimolata a incrementare l’espressione del suo MHC (p. es. tramite transfezione o
IFN).

Questa apparente inibizione dell’attività litica NK indotta dall’espressione del


MHC di classe I ha portato all’identificazione di diversi recettori per questa classe
sulla superficie delle cellule NK. Questi recettori sono strutturalmente differenti
dal TCR e vengono generalmente denominati recettori inibitori delle cellule killer
(Killer cell Inhibitory Receptors, KIR). Mentre l’interazione del MHC con il TCR
presente sulla membrana delle cellule T conduce all’attivazione della cellula T,
l’interazione del MHC con la maggior parte dei KIR porta all’inibizione dell’attività
NK, nonostante esistano alcuni KIR in grado di indurne l’attivazione. I KIR sono
stati identificati anche sulle cellule T. Ciò pone un problema interessante: le
cellule T possiedono recettori differenti (TCR/CD3 e KIR) per la stessa molecola
(il MHC di classe I), ma con effetti opposti. Cosa sia a decidere se una cellula T
verrà attivata o inibita non si sa con precisione e il risultato finale può variare a
seconda del clone T-cellulare.

Da molto tempo si ritiene che le cellule NK siano importanti nella sorveglianza


antitumorale, poiché esse sono in grado di eliminare alcune cellule bersaglio
neoplastiche e perché la maggior parte dei tumori non esprime il MHC. Le
cellule NK eliminano inoltre alcune cellule infettate da virus e alcuni batteri (p. es.
la Salmonella typhi). La struttura di riconoscimento dell’Ag delle cellule NK non è
stata ancora identificata.

In aggiunta alla loro capacità di killing, le cellule NK possono secernere diverse


citochine, in particolare IFN-γ e GM-LCR (fattore stimolante le colonie dei
granulociti e dei macrofagi). Le cellule NK potrebbero costituire la fonte più
potente di IFN-γ: mediante la sua secrezione, queste cellule possono esercitare
la loro influenza sul sistema immunitario adattativo favorendo la differenziazione
dei linfociti TH1 e inibendo quella dei TH2.

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Biologia del sistema immunitario

Citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente

Le cellule NK esprimono il CD16, un recettore per la regione Fc delle IgG (v.


Struttura degli anticorpi, più avanti), e possono utilizzare questo recettore per
mediare un altro tipo di lisi cellulare che non presenta restrizione MHC. La
citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente (Ab-Dependent Cell-mediated
Cytotoxicity, ADCC) dipende dalla presenza di Ac che riconoscono una cellula
bersaglio (la sua specificità è pertanto dovuta alla specificità dell’Ac). In seguito al
legame con il suo Ag, la regione Fc dell’Ac viene esposta e si lega poi al suo
recettore sulla cellula NK per formare un ponte molecolare. Una volta formato il
ponte, alla cellula bersaglio viene trasmesso un segnale litico ancora non del
tutto compreso, il quale ne determina la morte.

Un forma interessante di ADCC è la cosiddetta ADCC inversa. Alcune cellule


killer, compresi i CTL con restrizione MHC, che esprimono il CD3 sulla loro
superficie, possono perdere la loro specificità in presenza di Ac anti-CD3. L’anti-
CD3 si unisce al suo ligando sulla superficie della cellula killer, lasciando la sua
porzione Fc libera di legarsi a sua volta con le cellule bersaglio che esprimono i
recettori per la Fc. Anche in questo caso, una volta che si è formato un ponte, il
segnale litico viene trasmesso alla cellula bersaglio che porta la Fc. Alcune forme
di ADCC potrebbero rivelarsi utili per colpire le cellule tumorali in vivo, come
forma di terapia immunitaria.

Cellule T killer senza restrizione MHC

In aggiunta alle cellule NK CD3– TCR– CD56– , una diversa sottopopolazione è


CD3+ CD56+ e può esprimere il CD2, il CD5 e il CD8. La maggior parte di tali
elementi è TCR-γδ, sebbene siano stati identificati alcuni cloni TCR-αβ. Questa
sottopopolazione può mediare una certa attività simil-NK spontanea e può
incrementare tale attività dopo stimolazione con IL-2. Un’altra sottopopolazione di
cellule T (CD3+ TCR-γδ CD4– CD8– CD56– CD16–) può avere azione citotossica,
sebbene nella maggior parte dei casi si tratti di cloni o linee cellulari. Rimane da
chiarire se i linfociti isolati di recente che possiedono questo fenotipo siano dotati
di attività citotossica spontanea.

Cellule killer attivate da linfochine

Alcuni linfociti coltivati in presenza di IL-2 si trasformano in potenti cellule killer


attivate da linfochine (Lymphokine-Activated Killers, LAK) capaci di eliminare un
ampio spettro di cellule bersaglio tumorali, come pure linfociti autologhi che siano
stati modificati dalla coltura, da alcuni virus o da apteni. Le cellule LAK vengono
considerate un fenomeno funzionale, più che una sottopopolazione linfocitaria
specifica. I precursori delle LAK sono eterogenei, ma possono essere divisi in
due categorie principali: simil-NK e simil-T. Si ritiene generalmente che le
cellule NK classiche costituiscano i principali precursori delle LAK nel sangue
periferico, ma ciò potrebbe non essere vero nei tessuti extravascolari.

Test per l'immunità cellulare

La valutazione quantitativa di base dell’immunità cellulare deve comprendere la


conta linfocitaria, la conta differenziale delle sottopopolazioni T-cellulari (CD3,
CD4, CD8) e la conta delle cellule NK con tecniche di fluorescenza. La
valutazione qualitativa comprende i test cutanei di ipersensibilità ritardata
(Delayed-Type Hypersensitivity, DTH) e i seguenti test in vitro: (1) proliferazione
in risposta ad Ag solubili, ad Ac anti-CD3 e ad allo-Ag; (2) attività litica delle
cellule NK sia spontanea sia dopo stimolazione con IL-2 o IFN; (3) capacità di
elaborazione delle citochine, con particolare riferimento all’IFN-γ, al TNF-α, all’IL-

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Biologia del sistema immunitario

2 e all’IL-4; (4) capacità di generazione di CTL con restrizione MHC.


L’esecuzione di indagini ulteriori dipenderà dai risultati di questi test. La
valutazione esaustiva dell’immunità cellulare viene effettuata soltanto nei
laboratori di ricerca.

I test cutanei di DTH forniscono indicazioni sulla normalità di alcuni aspetti del
sistema immunitario cellulare. Tuttavia, essi non valutano lo stato delle
cellule CD8, delle cellule CD4 vergini, delle cellule NK e delle APC diverse dalle
cellule di Langerhans. Per esempio, un paziente può avere un’assenza completa
di cellule NK e presentare ancora una normale DTH. Così, mentre la negatività di
un test cutaneo di DTH indica la presenza di un’immunità cellulare anormale, non
è vero il contrario (v. Reti immunitarie, più avanti).

I test cutanei di DTH devono essere letti a 48 h. Una risposta più precoce
potrebbe essere dovuta a una reazione di Arthus (che comincia da 4 a 6 h dopo
l’esecuzione del test e può essere presente fino a 24 h dopo). Questa reazione è
dovuta alla presenza di un Ac che si lega all’Ag iniettato dando origine alla
formazione di immunocomplessi, all’attivazione del complemento e alla
chemiotassi dei neutrofili. L’infiltrato cellulare di una reazione di Arthus consiste
soprattutto di neutrofili, mentre l’infiltrato della DTH è costituito da cellule
mononucleate. La risposta di DTH comincia a risolversi dopo 48 h e se si legge il
test cutaneo a 72 h una reazione ai limiti inferiori della positività
(indurimento > 5 mm) può sembrare falsamente negativa.

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

CELLULE T E IMMUNITA' CELLULARE

RETI IMMUNITARIE

Il sistema immunitario si comporta come un’unità indivisibile e nessuna delle sue


componenti agisce in maniera autonoma. In ogni risposta immunitaria, le varie
componenti agiscono di concerto, in tandem o in conflitto tra loro, come è
esemplificato dalla capacità del sistema immunitario di eliminare i microrganismi.
I microrganismi extracellulari (la maggior parte dei batteri capsulati) per essere
digeriti devono solo essere fagocitati; al contrario i microrganismi intracellulari
(p. es. i micobatteri) vengono facilmente ingeriti, ma non possono essere digeriti
a meno che il macrofago non riceva un segnale di attivazione.

La strategia per eliminare i microrganismi extracellulari è pertanto orientata alla


fagocitosi, la quale viene facilitata dall’opsonizzazione (rivestimento di un
microrganismo con Ac e/o con prodotti del complemento). Poiché la maggior
parte dei fagociti possiede recettori per la porzione Fc degli Ac e per i prodotti del
C3, la presenza di queste molecole su un batterio facilita la sua adesione e la
sua ingestione. Questa risposta immunitaria "semplice" dipende dal buon esito
della sintesi di Ac, dall’attivazione della cascata complementare e dall’integrità
del sistema fagocitario. Gli Ac vengono prodotti dalle cellule B, tuttavia queste
cellule sono soggette all’azione di induzione o di soppressione da parte delle
cellule T. In aggiunta, i fagociti vengono richiamati da fattori chemiotattici, alcuni
dei quali sono sintetizzati dalle cellule T.

La strategia per eliminare alcuni microrganismi intracellulari che infettano i


fagociti prevede l’attivazione delle cellule ospiti, le quali successivamente
divengono "armate" e capaci di uccidere questi organismi in maniera aspecifica.
La capacità di attivare i macrofagi costituisce il nucleo fondamentale della tipica
reazione di ipersensibilità ritardata (DTH) e il test cutaneo di DTH è un esempio
eccellente delle diverse cascate di eventi coinvolte in una determinata risposta
immunitaria. Il presupposto di un test cutaneo di DTH è che l’iniezione
intradermica di un Ag con il quale il paziente sia venuto a contatto in precedenza
conduca all’indurimento cutaneo locale entro 48 h. La complessa rete di
interazioni implicata in una risposta di questo tipo è illustrata nella Fig. 146-2. In
seguito all’iniezione, le cellule di Langerhans della cute captano l’Ag, lo
processano e lo presentano (complessato con il MHC di classe II) a una
cellula CD4+ che era già stata esposta all’Ag in precedenza (cioè una cellula di
memoria a lunga sopravvivenza). Appena la cellula CD4+ lega il complesso Ag/
MHC, essa esprime i recettori per l’IL-2 e rilascia diverse citochine (p. es. IFN-γ,
IL-2 e fattori chemiotattici per i linfociti e i macrofagi). L’IFN-γ stimola le cellule
endoteliali ad aumentare la loro espressione delle molecole di adesione,
facilitando così la fuoriuscita dei linfociti e dei macrofagi attraverso la barriera
endoteliale. L’IL-2 e l’IFN-γ agiscono inoltre come segnali di proliferazione/
differenziazione, consentendo l’espansione dei cloni delle cellule T di memoria e
delle cellule T appena reclutate. Dopo che i macrofagi hanno raggiunto la sede di
inoculazione, i fattori di inibizione della migrazione (Migration-Inhibiting Factors,
MIF) secreti dalle cellule T attivate impediscono loro di allontanarsi. L’IFN-γ e il
GM-LCR, entrambi secreti dalle cellule T, agiscono successivamente come fattori
di attivazione dei macrofagi (Macrophage Activating Factors, MAF). I macrofagi
attivati sono ora "armati" e sono in grado di eliminare gli organismi intracellulari e
ogni cellula tumorale eventualmente presente.

I macrofagi attivati secernono IL-1 e TNF-α, i quali potenziano la secrezione di


IFN-γ e di GM-LCR, aumentano l’espressione delle molecole di adesione sulle

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Biologia del sistema immunitario

cellule endoteliali e permettono a queste cellule di secernere un fattore tissutale


che innesca la cascata coagulativa, la quale si conclude con la deposizione di
fibrina. Contemporaneamente, i linfociti attivati secernono il fattore inducente la
procoagulazione dei macrofagi (Macrophage Procoagulant-Inducing Factor,
MPIF), il quale consente l’espressione dell’attività procoagulativa macrofagica
(Macrophage ProCoagulant Activity, MPCA). La MPCA attiva inoltre la cascata
della coagulazione dando luogo alla deposizione di fibrina. Quest’ultima è
responsabile dell’indurimento che si osserva nei test cutanei di DTH.

La via della DTH è importante per l’eliminazione dei microrganismi che infettano i
fagociti. Alcuni microrganismi (p. es. i virus) possono infettare cellule che non
possiedono un apparato litico e che quindi non possono essere attivate per
mediare il killing intracellulare. Tali patogeni vengono eliminati dai CTL. In caso di
infezione da parte di un virus, le cellule esprimono gli Ag virali sulla loro
superficie in associazione con il MHC. Questo complesso virus/MHC stimola la
formazione di CTL singenici che in seguito distruggono le cellule che lo
esprimono. A seconda dell’associazione del prodotto virale con il MHC di classe I
o di classe II, i CTL appartengono rispettivamente alle sottopopolazioni dei CD8 e
dei CD4. Come è stato descritto in precedenza, l’associazione con l’una o l’altra
classe del MHC dipende dalla via che è stata utilizzata per processare l’Ag;
p. es., la maggior parte dei CTL prodotti contro il virus del morbillo e quello
dell’herpes simplex appartiene alla sottopopolazione dei CD4. Durante l’infezione
da virus influenzale, i CTL diretti contro l’Ag nucleoproteico sono CD8, mentre
quelli diretti contro l’Ag emoagglutininico sono CD4.

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

CELLULE B E IMMUNITA' UMORALE

REGOLAZIONE DELLE RISPOSTE IMMUNITARIE UMORALI

La capacità di allestire una risposta immunitaria umorale è in gran parte


determinata geneticamente. Il riconoscimento dell’Ag da parte delle cellule T è
regolato dai geni del MHC. Sono inoltre importanti la capacità delle APC di
presentare l’Ag e la potenzialità delle cellule B di produrre Ac.

Il controllo della risposta immunitaria è di importanza cruciale. In caso contrario,


una produzione illimitata di Ac (particolarmente contro Ag self) potrebbe portare
all’autodistruzione. La risposta immunitaria umorale viene modulata in primo
luogo dalla scomparsa naturale della sostanza estranea che l’ha indotta (p. es.,
batteri) non appena essa viene eliminata dall’organismo. Una regolazione
ulteriore è quella operata dagli Ac e dalle cellule T, dalla rete idiotipica degli Ac e
dalle citochine. Gli Ag possono unire con un legame crociato lo specifico
recettore per l’Ag presente sulle cellule B con qualche recettore per l’Fcγ e in
questo modo sopprimere l’attivazione delle cellule B antigenicamente vergini. Gli
Ac anti-idiotipo reagiscono con i determinanti idiotipici situati nella regione V della
molecola Ig. Ciò avviene perché la regione V di ciascuna molecola anticorpale è
esclusiva dell’Ac prodotto da quel determinato clone. A sua volta, ciascun Ac anti-
idiotipo può possedere idiotipi che vengono riconosciuti da altri Ac anti-idiotipo e
il processo di reazione di una Ig contro un’altra Ig può continuare. In questo
modo, gli Ac anti-idiotipo possono sopprimere la produzione degli Ac idiotipici
bloccando i recettori presenti sulle cellule B e T. Questo fenomeno spiega perché
nel neonato la malattia da incompatibilità Rh può essere prevenuta mediante la
somministrazione passiva di Ac IgG anti-Rh (anti-D) alla madre.

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

IL SISTEMA DEL COMPLEMENTO

Sistema costituito da più di 34 proteine che interagiscono tra loro in una cascata
(simile a quella del sistema della coagulazione) che ha come effetto finale un
gran numero di processi biologici diversi.

Sommario:

Introduzione
La via classica
La via alternativa
La via della lectina legante il mannano
Clivaggio del C3 e sue conseguenze
Complesso di attacco alla membrana: la via terminale
Attività biologiche associate all'attivazione del complemento

Molte proteine del complemento sono enzimi che si trovano nel siero sotto forma
di precursori inattivi (zimogeni); molte altre si trovano sulla superficie delle cellule.
Le proteine del complemento costituiscono circa il 10% delle proteine sieriche e il
terzo componente (C3) è presente alla concentrazione più elevata (circa 1,5 mg/
ml). Per i componenti del sistema complementare, v. Tab. 146-2 e 146-3.

Le tre vie di attivazione del complemento sono denominate via classica, via
alternativa e via della lectina legante il mannano (Mannan Binding Lectin, MBL)
(v. Fig. 146-4). Esse sono tutte dirette verso la più importante tra le singole tappe
di attivazione, il clivaggio del C3. La via finale comune è denominata via
terminale o complesso di attacco alla membrana (Membrane Attack Complex,
MAC).

Nomenclatura: i componenti della via classica sono designati con una C seguita
da un numero (p. es. C1, C3). A causa dell’ordine con il quale sono stati via via
identificati, i primi quattro componenti sono numerati come C1, C4, C2 e C3. I
componenti della via alternativa sono designati con una lettera (p. es. B, P, D).
Alcuni componenti vengono denominati fattori (p. es. fattore B, fattore D). I
componenti o i complessi attivati hanno una linea al di sopra del nome, che
indica l’attivazione (p. es. C1, C1r, C3b,Bb). I frammenti di clivaggio sono
designati con una lettera minuscola dopo il nome del componente da cui
derivano (p. es. C3a e C3b sono frammenti del C3). Il C3b inattivo è designato
come iC3b. Le catene polipeptidiche delle proteine del complemento sono
designate con una lettera greca dopo il nome del componente (p. es. C3α e C3β
sono le catene α e β del C3). I recettori della membrana cellulare per il C3 sono
abbreviati come CR1, CR2, CR3 e CR4.

La via classica

Attivazione: la via classica (v. Fig. 146-5) viene normalmente attivata da Ac


fissanti il complemento (Ac che si legano al complemento) i quali si trovano in
complessi Ag-Ac oppure nei quali l’Ac (IgG o IgM) è presente in forma di
aggregato. Di conseguenza, la via classica svolge il suo compito nell’ambito

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Biologia del sistema immunitario

dell’immunità specifica, dal momento che soltanto Ac di classi specifiche, prodotti


in risposta a una stimolazione antigenica, sono in grado di attivare questa via. La
macromolecola del C1 è un complesso Ca++-dipendente formato da una
molecola di C1q, due molecole di C1r e due di C1s. La macromolecola del C1 si
mantiene integra esclusivamente in presenza di Ca++; in caso contrario, le
singole subunità si dissociano l’una dall’altra. L’attivazione si verifica quando due
dei sei monomeri del C1q si legano alle regioni Fc di due molecole di IgG o a una
molecola pentamerica di IgM. Per innescare l’attivazione, due molecole di IgG
devono trovarsi a una distanza adeguata, mentre una singola molecola
pentamerica di IgM possiede questa vicinanza sterica insita nella sua struttura.
Pertanto, le IgM sono molto più efficaci delle IgG nell’attivazione del
complemento. L’attività delle IgG è, nell’ordine, IgG3 > IgG1 > IgG2. Le IgG4 non
fissano il complemento.

Una volta che l’Ig si è legata al C1q, la molecola di quest’ultimo va incontro a una
modificazione della sua struttura terziaria, causando l’attivazione autocatalitica
del C1r in C1r. Il C1r scinde poi un legame all’interno del C1s per formare C1s.
Quando vengono clivati il C1r o il C1s, non viene liberato alcun frammento di
clivaggio.

Il C1s viene chiamato anche C1 esterasi. Esso può clivare il C4 in C4a e C4b. Se
ciò avviene in presenza di una membrana il C4b, il frammento di clivaggio
principale, vi si lega. Il C1s può quindi clivare il C2 libero per formare C2a e C2b,
che è un processo scarsamente efficiente, oppure clivare il C2 contenuto in un
complesso C4b,C2 per formare C4b,C2a e C2b libero, che è un processo ad alta
efficienza. Il C2a è il frammento di clivaggio principale del C2. Se è stato clivato il
C2 libero, il C2a deve legarsi al C4b per formare un complesso C4b,C2a,
altrimenti il C2a si degraderà e diverrà inattivo. Il C4b, C2a è la C3 convertasi
della via classica, la quale può clivare il C3 in C3a e C3b. Il sito enzimatico per il
clivaggio del C3 è contenuto nel C2a. Il C4b, C2a richiede la presenza di
magnesio e alle temperature fisiologiche si degrada spontaneamente nel tempo.

La via classica può essere attivata anche da meccanismi indipendenti dagli Ac.
L’eparina (un anticoagulante polianionico) e la protamina (un policatione che
viene utilizzato per neutralizzare l’eparina), quando sono presenti in
concentrazioni equimolari, possono attivare la via classica. Si ritiene che diversi
altri polianioni (p. es. il DNA e l’RNA) siano in grado di reagire direttamente con il
C1q per attivare la via classica. La proteina C-reattiva ha la proprietà di
provocare l’attivazione della via classica in assenza di Ac. Sono state anche
descritte vie di attivazione che aggirano il C1, le quali non utilizzano i componenti
della via classica ma portano ugualmente al clivaggio del C3. Una di esse è stata
caratterizzata come la via della MBL.

Regolazione: la via classica viene regolata dall’inibitore della C1 esterasi (C1


esterase INHibitor, C1INH), il quale si lega stechiometricamente (1:1) al C1r e al
C1s, come pure al C1r e al C1s, per inattivare in maniera stabile queste proteine.
Il C1INH si lega stechiometricamente anche alla plasmina, alla callicreina, al
fattore di Hageman attivato e al fattore XIa della coagulazione. La sua assenza è
responsabile dell’edema angioneurotico ereditario (v. Cap. 148). Il fattore J è una
glicoproteina cationica che inibisce anch’essa l’attività del C1. La proteina legante
il C4 (C4 Binding Protein, C4BP) disassembla il complesso C4b,C2a,
consentendo al fattore I di inattivare il C4b.

La via alternativa

Attivazione: la via alternativa (v. Fig. 146-6) viene attivata da sostanze presenti
in natura (p. es. pareti cellulari dei lieviti, fattore del veleno di cobra, fattore
nefritico, pareti cellulari batteriche [endotossine], GR di coniglio [in vitro]) e dalle
IgA disposte in aggregati, rappresentando una forma di risposta immunitaria
aspecifica (innata), cioè una risposta che non necessita di una precedente
sensibilizzazione. La via alternativa non coinvolge il C1, il C4 e il C2, ma porta
ugualmente al clivaggio del C3. Questa via è subordinata al clivaggio basale
costante di piccole quantità di C3 in C3a e C3b. Questo clivaggio naturale del C3

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Biologia del sistema immunitario

è ancora scarsamente compreso e si pensa che avvenga attraverso un’azione


enzimatica aspecifica sul C3 oppure grazie a un’attività a basso livello delle altre
due vie di attivazione. Il C3b serve poi come substrato del fattore B per formare il
complesso C3b,B. Il fattore D (un enzima attivato presente nel plasma) cliva il
fattore B per formare C3b,Bb. La properdina (P) stabilizza questo complesso C3b,
Bb per ritardarne la degradazione. Il C3b,Bb e il C3b,Bb,P sono le C3 convertasi
della via alternativa, gli enzimi che clivano il C3 in C3a e C3b. Il sito enzimatico
per il clivaggio del C3 è contenuto nel Bb. Il C3b,Bb richiede la presenza di
magnesio e si degrada spontaneamente nel tempo.

La via alternativa è considerata come una via di amplificazione, dal momento che
un unico complesso C3b,Bb può clivare molte molecole di C3. Tuttavia,
l’amplificazione si verifica anche quando viene prodotto C1s e quando viene
formato il C4b,C2a. Ognuno di questi enzimi può clivare centinaia di molecole,
conducendo a una rapida attivazione del complemento.

Regolazione: il complesso C3b,Bb della via alternativa viene regolato da diversi


fattori. La properdina ne ritarda la degradazione, prolungandone l’emivita da circa
4 min a 40 min. Le sostanze acceleratrici della degradazione (p. es. il fattore H o
fattore di accelerazione della degradazione [Decay Accelerating Factor, DAF])
competono con il fattore B per il legame con il C3b (p. es. per formare C3b,H),
accorciando l’emivita del complesso C3b,Bb e causando la sua dissociazione in
C3b e Bb. Il fattore I agisce sul C3b,H per degradare il C3b (portando alla
formazione di iC3b, C3c, C3d, C3f e C3dg).

L’attivazione o la non attivazione della via alternativa sono determinate dalle


circostanze nelle quali il complesso C3b,Bb viene a formarsi. Le superfici alle
quali il complesso C3b,Bb può aderire sono di due tipi: attivanti (p. es. pareti
cellulari dei lieviti, GR di coniglio) oppure non attivanti (p. es. GR di pecora). Le
superfici attivanti impediscono al fattore H di legarsi al C3b, mentre le superfici
non attivanti consentono al fattore H di legarvisi e dissociare il C3b,Bb. Di
conseguenza, il complesso C3b,Bb rimane attivo più a lungo su una superficie
attivante che su una superficie non attivante.

Il meccanismo appena descritto spiega come la via alternativa venga attivata in


vivo. Il fattore del veleno di cobra (Cobra Venom Factor, CoVF) è simile al C3b di
cobra; il complesso CoVF,Bb è molto stabile e non è sensibile all’azione di
degradazione del fattore H. Di conseguenza, il CoVF,Bb può condurre a un
rapido e pressoché totale clivaggio del C3. Il fattore nefritico del C3 (C3 Nefphritic
Factor, C3NeF) si trova nel siero del 10% circa dei pazienti con glomerulonefrite
membranoproliferativa ed è una Ig diretta contro il complesso C3b,Bb. Il C3NeF
agisce in maniera analoga alla properdina, tranne per il fatto che il complesso
C3b,Bb,C3NeF è relativamente resistente all’azione di degradazione del
fattore H. Le pareti dei lieviti (zymosan) e alcune membrane (p. es. i GR di
coniglio) sono superfici attivanti sulle quali il complesso C3b,Bb è protetto
dall’azione di degradazione del fattore H.

La via della lectina legante il mannano

La via della lectina legante il mannano (MBL) dipende per la sua attivazione dal
riconoscimento innato di sostanze estranee (cioè, carboidrati). Questa via
presenta analogie strutturali e funzionali con la via classica. La MBL è simile al
C1q e la MASP-1 e la MASP-2 sembrano essere simili rispettivamente al C1r e al
C1s della via classica. Pertanto, la MASP-2 potrebbe clivare il C4 e portare alla
formazione di una C3 convertasi derivata dalla via della MBL.

Clivaggio del C3 e sue conseguenze

Le C3 convertasi clivano il C3 in C3a e C3b, processo che provoca la formazione


all’interno del C3b di un sito di legame metastabile per le membrane. Se è

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Biologia del sistema immunitario

disponibile una superficie o una membrana immediatamente dopo che il C3 ha


subito l’azione della C3 convertasi, il C3b le si può legare in maniera covalente.
Se non è disponibile una membrana o una superficie, il C3b diviene C3b in fase
fluida e perde la capacità di legarsi covalentemente alle superfici cellulari. Il C3
può inoltre divenire simil-C3b se viene trattato con metilamina. Una volta che il
C3b si è legato alla membrana tramite il sito di legame metastabile labile, esso
può prendere parte alle attività biologiche legandosi a diversi recettori per il C3,
può servire come efficace sito di legame per il fattore B per provocare un
incremento del clivaggio del C3 attraverso la via alternativa, può partecipare alla
formazione di una C5 convertasi, oppure subire l’azione del fattore I e di un
cofattore per formare iC3b.

Quindi, il C3b può legarsi in modo covalente alle membrane mediante il suo sito
di legame tiolestere metastabile e, una volta legatovisi, può interagire con diversi
recettori a seconda della disponibilità di recettori per il C3 sulle cellule e dello
stato di degradazione del C3 stesso. Il legame alle membrane mediante il sito di
legame metastabile covalente non deve essere confuso con il legame non
covalente che si stabilisce con i recettori.

Cellule T killer senza restrizione MHC

In aggiunta alle cellule NK CD3– TCR– CD56– , una diversa sottopopolazione è


CD3+ CD56+ e può esprimere il CD2, il CD5 e il CD8. La maggior parte di tali
elementi è TCR-γδ, sebbene siano stati identificati alcuni cloni TCR-αβ. Questa
sottopopolazione può mediare una certa attività simil-NK spontanea e può
incrementare tale attività dopo stimolazione con IL-2. Un’altra sottopopolazione di
cellule T (CD3+ TCR-γδ CD4– CD8– CD56– CD16–) può avere azione citotossica,
sebbene nella maggior parte dei casi si tratti di cloni o linee cellulari. Rimane da
chiarire se i linfociti isolati di recente che possiedono questo fenotipo siano dotati
di attività citotossica spontanea.

Complesso di attacco alla membrana: la via terminale

La C3 convertasi (p. es. il C3b,Bb) può divenire C5 convertasi (p. es. C3b,Bb,
C3b) attraverso l’aggiunta di un C3b al complesso (v. Fig. 146-7). La C5
convertasi cliva il C5 in C5a e C5b, dando inizio alla formazione del complesso di
attacco alla membrana (MAC). Successivamente il C6 può legarsi al C5b per
formare C5b,C6. In seguito, può legarvisi il C7 per formare C5b,C6,C7, il quale è
in grado di legarsi alle membrane e ai doppi strati lipidici. Quando ciò si verifica
su una cellula sulla cui superficie non è presente alcun prodotto del complemento
oltre al complesso appena descritto, si parla di fenomeno dello spettatore
innocente (il quale può portare all’emolisi della cellula incolpevole). Al complesso
C5b,C6,C7 può quindi legarsi il C8 per formare C5b,C6,C7,C8, il quale è in grado
di provocare una lisi cellulare lenta e poco efficace. In ultimo, al complesso si
lega il C9 per dare luogo al C5b,C6,C7,C8,C9, che dà inizio alla lisi effettiva della
cellula. Quando ulteriori molecole di C9 si aggiungono al complesso C5b-C9, la
lisi si amplifica. Il MAC viene modulato dalla proteina S, chiamata anche
vitronectina (la quale controlla l’attività del C5b-C7), dal fattore di restrizione
omologo (Homologous Restriction Factor, HRF), dalla SP40,40 e dal CD59 (che
regola l’attività del C8,C9).

Attività biologiche associate all’attivazione del complemento

La lisi cellulare è soltanto una delle molte attività biologiche associate


all’attivazione del complemento e potrebbe non essere la più importante. In
ambito clinico, la lisi si osserva nei pazienti affetti da emoglobinuria parossistica
notturna, una rara malattia nella quale sono coinvolti deficit a carico del DAF
(fattore accelerante la degradazione) delle proteine di membrana, del HRF

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Biologia del sistema immunitario

(fattore di restrizione omologo) e del CD59.

I recettori per il complemento sono presenti su un gran numero di cellule


diverse. Il CR1, la proteina cofattore di membrana (Membrane Cofactor Protein,
MCP, CD46) e il DAF (CD55) regolano la degradazione del C3b. Il HRF e il CD59
impediscono la formazione del complesso di attacco alla membrana sulle cellule
omologhe. Il CR1 (CD35) svolge inoltre un ruolo nella clearance degli
immunocomplessi. Il CR2 (CD21) regola le funzioni delle cellule B (produzione di
Ac) ed è il recettore per il virus di Epstein-Barr. Il CR3 (CD11b/CD18) interviene
nella fagocitosi, mediando l’adesione delle particelle rivestite di iC3b destinate a
essere fagocitate. Il CR4 è presente sulle piastrine ed è stato studiato meno bene
degli altri recettori per il C3. La gp 150,95 svolge un ruolo nella migrazione dei
monociti. I recettori per il C3a e il C4a legano rispettivamente il C3a e il C4a. Il
recettore per il C5a lega il C5a e il C5adesarg (C5a privo del residuo di arginina
terminale) ed è presente su un’ampia varietà di cellule. Il recettore per il C1q lega
la porzione collagena del C1q, consentendo il legame degli immunocomplessi ai
fagociti.

Il C3a e il C5a hanno attività anafilotossinica, mentre il C4a si comporta come


anafilotossina debole. Le anafilotossine causano aumento della permeabilità
vascolare, contrazione della muscolatura liscia e degranulazione delle mast-
cellule. Esse sono regolate dall’inattivatore delle anafilotossine (carbossipeptidasi
N), il quale nel volgere di pochi secondi rimuove il residuo di arginina
carbossiterminale.

La chemiotassi consiste nel richiamo di cellule all’interno di un’area


infiammatoria. Il C5a possiede attività sia anafilotossinica sia chemiotattica, ma il
C3a e il C4a non sono fattori chemiotattici. L’attività chemiotattica è stata
descritta anche per l’iC5b-C7.

Il C5a e il C5adesarg regolano le attività dei neutrofili e dei monociti. Il C5a


può causare l’aumento dell’adesione cellulare, la degranulazione e il rilascio di
enzimi intracellulari da parte dei granulociti, la produzione di radicali tossici
dell’O2 e l’avvio di altri eventi metabolici cellulari.

La clearance degli immunocomplessi è una funzione importante del


complemento. La via classica può impedire la formazione di immunocomplessi di
grandi dimensioni e la via alternativa può aumentare la solubilità degli
immunocomplessi.

Le proteine complementari possono inoltre avere numerose altre attività


biologiche. Alcuni frammenti del C3 (C3d o C3dg) possono contribuire alla
regolazione della produzione di Ac attraverso il CR2 presente sulle cellule.
L’edema angioneurotico ereditario, il quale è causato da un deficit di C1-inibitore,
potrebbe essere mediato da una sostanza chinino-simile ancora poco definita.
Un frammento poco caratterizzato del C3 (C3e, fattore di mobilizzazione dei
leucociti) può provocare la mobilizzazione dei GB dal midollo osseo. Il frammento
Bb del fattore B aumenta la diffusione e l’adesività dei macrofagi. L’attivazione
del complemento può inoltre neutralizzare i virus e indurre leucocitosi.

Metodi di valutazione dell’attività funzionale del complemento

Il test di attività emolitica totale del complemento (CH50) misura la capacità


della via classica e del MAC di indurre la lisi di GR di pecora ai quali siano stati
adsorbiti Ac. Il CH50 per la via alternativa (Alternative Pathway CH50,
APCH50 o CH50 su coniglio) misura la capacità della via alternativa e del MAC
di indurre la lisi di GR di coniglio. I test emolitici possono essere utilizzati per
misurare l’attività funzionale di componenti specifici di entrambe le vie. Le
proteine del complemento possono inoltre essere dosate impiegando tecniche
antigeniche (p. es. la nefelometria, la diffusione in gel di agar, l’immunodiffusione
radiale).

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Biologia del sistema immunitario

Il complemento può anche essere utilizzato come reagente a fini diagnostici. Nel
test di fissazione del complemento, il siero del paziente viene riscaldato per
denaturare gli enzimi complementari. Al siero vengono quindi aggiunti l’Ag (p. es.
particelle virali) e nuovo complemento e la miscela viene incubata. In ultimo si
aggiungono GR di pecora e si continua l’incubazione. Se il sistema del
complemento è stato attivato dalla presenza di Ac nel siero del paziente, l’attività
emolitica del complemento sarà esaurita e non vi sarà lisi dei GR. Se nel siero
del paziente non è presente alcun Ac, i GR andranno incontro alla lisi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 146-2. Componenti del complemento e proteine di regolazione

N. di Concentrazione
catene Peso plasmatica o
nella molecolare (in sierica (inmg/
Nome del molecola dalton, ml, Frammenti
componente nativa approssimativo) approssimativa) di clivaggio Cromosoma
Via classica C1q 18 410000 70-300 1
precoce
C1r 1 83000 34-100 12

C1s 1 85000 30-80 12

C4 3 204000 350-600 C4a, C4b, 6

C4c, C4d
C2 1 102000 15-30 C2a, C2b 6

Terzo C3 2 190000 1200-1500 C3a, C3b, 19


componente C3c, C3d,
C3f, C3g,
C3dg, C3d-
K, iC3b
Complesso di C5 2 196000 70-85 C5a, C5b 9
attacco alla
membrana C6 1 125000 60-70 5
(complesso
terminale del
C7 1 120000 55-70 5
complemento)
C8 3 150000 55-80 1,9

C9 1 66000 50-160 5

Via alternativa Fattore B 1 100000 140-240 Ba, Bb 6

P 4 224000 20-30 X

Fattore D 1 24000 1-2 ?

Via della lectina Lectina 18 540000 1 10


legante il legante il
mannano mannano
MASP-1 1 94000 ?
MASP-2 1 76000 ?

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Manuale Merck - Tabella

Regolazione C1INH 1 105000 180-275 11


della via
classica C4BP 7 550000 250 1

Regolazione Fattore H 1 150000 300-560 1


della via
alternativa FattoreI 2 100000 34-50 4

Regolazione AI 310000 35 ?
miscellanea
Proteina S 83000 150-500 17
(vitronectina)
FattoreJ 1 20000 2,6-8,2 ?

SP40,40 80000 50 8

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA. 146-3. PROTEINE DI MEMBRANA

Peso molecolare
Nome del N. di catene nella (in dalton,
componente molecola nativa approssimativo) Specificità Cellule Cromosoma
CR1 (CD35) 1 160000-250000 C3b, C4b M, GR, B, 1
G
CR2 (CD21) 1 140000 C3d, C3dg, B 1
iC3b
CR3 (CD11b) 2 265000 iC3b G, M, Mac 21, 16

α-165000 16

β-95000 21
CR4 1 ? C3dg Pias ?
DAF (CD55) 1 70000 C4b, C2a, GR, Pias 1
C3b, Bb
MCP (CD46) 1 45000-70000 C3b, C4b B, T, Neut, 1
M
gp150,95 2 245000 iC3b G, M, Mac 21, 16

α-150000 16

β-95000 21
C3aR ? ? C3a, C4a G, Mast, ?
Pias
C5aR 1 45000 C5a, C5a G, Mast, M, 19
desarg Mac, Pias
HRF 1 65000 C8, C9 GR ?
CD59 1 20000 C8, C9 M, GR, T, 11
Neut
C1qR 1 65000 C1q B, M, Mac, 12?
Pias, Endo
B=cellule B; Endo=cellule endoteliali; G=granulociti; M=monociti; Mac=macrofagi; Mast=mast-cellule;
Neut=neutrofili; Pias=piastrine; T=cellule T

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Biologia del sistema immunitario

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

146. BIOLOGIA DEL SISTEMA IMMUNITARIO

RISOLUZIONE DI UNA RISPOSTA IMMUNITARIA

Una risposta immunitaria può essere associata alla proliferazione e alla


differenziazione massiva dei linfociti (come accade p. es. nell’ipertrofia tonsillare
in corso di faringite streptococcica). Cosa accade ai linfociti una volta che
l’infezione è stata controllata? Come è stato detto in precedenza, una risposta
immunitaria è associata con la secrezione di numerose citochine. Quando
l’infezione viene controllata e gli Ag vengono eliminati, la secrezione di citochine
si interrompe e, a causa della sua cessazione, i linfociti vanno incontro ad
apoptosi. Esistono due modi nei quali una cellula può morire.

1. La necrosi consiste nelle modificazioni morfologiche che si verificano quando


una cellula muore in seguito a un danno acuto e grave (p. es. la lisi osmotica,
l’ischemia, l’ipertermia, i traumi chimici). Il danno per lo più è a carico della
membrana plasmatica e conduce alla perdita della capacità della cellula di
regolare la pressione osmotica, esitando nella rottura della cellula e nel
riversamento del suo contenuto nei tessuti circostanti. Questi eventi innescano
una risposta infiammatoria.

2. L’apoptosi (chiamata anche morte cellulare programmata) è molto comune


negli invertebrati. Per esempio, dopo che una farfalla è fuoriuscita dal suo
bozzolo, essa non ha più bisogno dei muscoli che ha utilizzato per tale processo;
questi muscoli vanno incontro alla morte cellulare programmata. Nei mammiferi
l’apoptosi si riferisce al processo mediante il quale una cellula "si uccide" ed è
caratterizzata da una serie di modificazioni morfologiche. L’apoptosi comincia
con l’addensamento della cromatina (secondario all’attivazione dell’endonucleasi
endogena, che degrada il DNA) e la rottura del nucleo collassato in frammenti di
piccole dimensioni. Contemporaneamente si verifica la zeiosi (rigonfiamento a
bolle della membrana plasmatica), che può fungere da segnale per la fagocitosi
da parte dei macrofagi circostanti. Diversamente da quanto avviene nella necrosi,
questa fagocitosi immediata non consente la fuoriuscita del contenuto cellulare e
previene lo sviluppo dell’infiammazione.

L’apoptosi è un processo attivo e comporta l’induzione di diverse molecole e vie


metaboliche. Due vie metaboliche coinvolte nell’apoptosi illustrano le possibili
patologie che possono derivare da un’apoptosi anormale. Un enzima chiamato
Bcl-2 è in grado di inibire l’apoptosi. Di conseguenza, se un linfocita viene indotto
a esprimere il Bcl-2, esso non morirà e rimarrà vitale; questo è ciò che accade in
alcuni linfomi (la sigla Bcl sta per B-cell lymphoma, cioè linfoma a cellule B, che è
la malattia nella quale il Bcl-2 è stato identificato per la prima volta). Nell’apoptosi
è coinvolta anche un’interazione molecola-ligando che avviene sulla superficie
cellulare. Molte cellule esprimono il Fas (CD95) sulla loro membrana. Il legame
crociato del Fas attiva la via dell’apoptosi. Questo è uno dei meccanismi
principali attraverso i quali i CTL uccidono le loro cellule bersaglio, poiché i CTL
acquisiscono il ligando del Fas; esso si lega al Fas sulla cellula bersaglio,
conducendo all’attivazione dell’apoptosi di quest’ultima. L’assenza del Fas o del
ligando del Fas può teoricamente portare alla persistenza dei linfociti e alla
linfoadenopatia massiva. È quanto si verifica nei modelli sperimentali animali, nei
quali il deficit di Fas (topi lpr) o di ligando del Fas (topi gld) porta alla
linfoadenopatia massiva e all’autoimmunità. Alterazioni a carico del Fas sono
state descritte anche nell’uomo e sono alla base della sindrome di Canale-Smith.

Determinati organi (p. es. la retina, i testicoli) sono "sedi privilegiate" che
vengono ignorate o tollerate dal sistema immunitario. Allo stato attuale, sembra
che questi organi esprimano un’alta densità di ligando del Fas sulle loro superfici

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Biologia del sistema immunitario

cellulari. Qualunque linfocita tenti di attaccare questi organi andrà incontro al


legame crociato del suo Fas e a subire l’apoptosi sarà il linfocita stesso. Questa
strategia di sottrazione all’azione del sistema immunitario viene utilizzata anche
da molti tumori; alcuni di essi esprimono il ligando del Fas sulla loro superficie e
inducono così l’apoptosi in qualunque linfocita provi ad attaccarli.

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Malattie da immunodeficienza

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

147. MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA

Gruppo di condizioni eterogenee causate da uno o più difetti a carico del sistema
immunitario e caratterizzate clinicamente da un aumento della suscettibilità alle
infezioni con conseguente stato di malattia grave, acuta, ricorrente o cronica.

Una patologia da immunodeficienza va sospettata in ogni individuo che


contragga infezioni insolitamente frequenti, gravi e resistenti alla terapia; prive di
un intervallo asintomatico; sostenute da microrganismi inusuali; oppure che
presentino complicanze gravi o inaspettate. Dal momento che i disordini da
immunodeficienza sono relativamente poco comuni, in prima istanza vanno prese
in considerazione altre condizioni che predispongono alle infezioni ricorrenti (v.
Tab. 147-1). Se queste patologie possono essere escluse, si deve sospettare un
difetto delle difese immunitarie.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-1. Disordini con aumento della suscettibilità alle infezioni inusuali

Tipo di disordine Condizioni


Disordini circolatori e sistemici Anemia falciforme, diabete mellito, nefrosi, vene varicose,
cardiopatie congenite
Disordini ostruttivi Stenosi ureterale o uretrale, asma bronchiale, bronchiettasie,
rinite allergica, ostruzione delle tube di Eustachio, fibrosi cistica
Alterazioni dei tegumenti Eczema, ustioni, fratture craniche, anomalie del seno mediano,
alterazioni ciliari
Immunodeficienze secondarie Malnutrizione, prematurità, linfomi, splenectomia, uremia, terapia
immunosoppressiva, enteropatia protido-disperdente, malattie
virali croniche

Immunodeficienze primarie Agammaglobulinemia legata al cromosoma X, sindrome di Di


George, malattia granulomato sa cronica, deficit di C3
Fattori microbiologici inusuali Crescita eccessiva da antibiotici, infezioni croniche da micror
ganismi resistenti, reinfezioni continue (contaminazione
dell’acqua, contagio, contaminazione di apparecchi da inalazione)
Corpi estranei Shunt ventricolari, cateteri venosi centrali, valvole cardiache
artificiali, cateteri urinari, aspirazione di corpi estranei
Modificata da Stiehm ER: Immunologic Disorders in Infants and Children, ed.4. Philadelphia, WB
Saunders Company, 1996, p 202; riprodotta con autorizzazione.

file:///F|/sito/merck/tabelle/14701.html02/09/2004 2.05.29
Malattie da immunodeficienza

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

147. MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA

IMMUNODEFICIENZE PRIMARIE E SECONDARIE

Sommario:

Introduzione
Eziologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Indagini di laboratorio
Prevenzione
Prognosi
Terapia

Le immunodeficienze possono essere primarie o secondarie. Le


immunodeficienze primarie vengono classificate in quattro gruppi principali
sulla base della componente del sistema immunitario che risulta compromessa:
cellule B, cellule T, cellule fagocitarie o complemento. (Nel Cap. 146 vengono
passate in rassegna le componenti del sistema immunitario.) Sono state descritte
più di 70 immunodeficienze primitive e nell’ambito di ciascuna di esse può essere
presente una notevole eterogeneità. Nella Tab. 147-2 è riportata una
classificazione delle immunodeficienze primarie (escluse le varianti più rare).

I difetti delle cellule T comprendono diversi disordini con alterazioni concomitanti


anche a carico delle cellule B (della produzione di anticorpi), fenomeno
comprensibile dal momento che sia le cellule B sia quelle T originano da una
cellula staminale primitiva comune e che le cellule T influenzano la funzione delle
cellule B. Le malattie dei fagociti comprendono le condizioni in cui l’alterazione
primitiva è a carico della motilità cellulare (chemiotassi) e quelle in cui tale
alterazione è a carico dell’attività microbicida.

Tra le immunodeficienze primarie, predominano i difetti delle cellule B o della


produzione anticorpale; il deficit selettivo di IgA (solitamente asintomatico) può
essere presente in un individuo su 400. Escludendo il deficit asintomatico di IgA, i
difetti delle cellule B costituiscono il 50% delle immunodeficienze primarie; i
deficit delle cellule T, circa il 30%; i deficit della fagocitosi, il 18%; e i difetti del
complemento, il 2%. Si calcola che l’incidenza cumulativa delle
immunodeficienze primarie sintomatiche sia di 1/10000; negli USA, si verificano
circa 400 nuovi casi l’anno. Dal momento che molte immunodeficienze primarie
sono ereditarie o congenite, esse esordiscono nei lattanti e nei bambini; circa
l’80% degli individui affetti ha meno di 20 anni e, poiché molte sindromi
presentano un’ereditarietà legata al cromosoma X, il 70% di esse colpisce i
maschi.

Le immunodeficienze secondarie consistono in un deterioramento del sistema


immunitario dovuto all’insorgenza di una patologia in un individuo
precedentemente sano. Il danno è spesso reversibile se la condizione o la
malattia sottostante si risolve. Le immunodeficienze secondarie sono di gran
lunga più frequenti di quelle primarie e si manifestano in molti pazienti
ospedalizzati. Praticamente tutte le malattie gravi di lunga durata interferiscono in
qualche misura con il sistema immunitario. Nella Tab. 147-3 è riportata una
classificazione delle immunodeficienze secondarie.

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Malattie da immunodeficienza

Eziologia

Le immunodeficienze non hanno una causa univoca, sebbene spesso vi sia


implicato un difetto a carico di un singolo gene. Il difetto può portare alla
mancanza di un enzima (p. es. deficit di adenosina deaminasi), alla mancanza di
una proteina (p. es. deficit di componenti del complemento) o a un arresto di
sviluppo in un particolare stadio differenziativo (p. es. arresto allo stadio di cellula
pre-B nell’agammaglobulinemia legata al cromosoma X). In molte delle
immunodeficienze primitive è stata identificata la localizzazione cromosomica dei
geni difettosi. In talune patologie possono essere coinvolti fattori che agiscono
durante la vita intrauterina (p. es. l’alcolismo materno in alcuni casi di sindrome di
Di George); in altre, può avere un ruolo l’assunzione di farmaci (p. es. la fenitoina
nel deficit di IgA). Nella maggior parte delle affezioni, l’esatta alterazione
biologica è sconosciuta.

Sintomi e segni

La maggior parte delle manifestazioni cliniche delle immunodeficienze è dovuta


alle frequenti infezioni, che solitamente esordiscono come infezioni respiratorie
ricorrenti. (Tuttavia, molti lattanti immunologicamente normali contraggono da sei
a otto infezioni respiratorie l’anno, soprattutto se esposti al contagio da parte di
fratelli maggiori o di altri bambini.) In seguito, la maggior parte dei pazienti con
immunodeficienza finisce con il contrarre una o più infezioni batteriche gravi che
persistono, recidivano o portano a complicanze; p. es. la sinusite, l’otite cronica e
la bronchite fanno spesso seguito a episodi ripetuti di faringite o di infezione delle
vie respiratorie superiori. La bronchite può progredire fino alla polmonite, alle
bronchiettasie e all’insufficienza respiratoria, che rappresenta la causa di morte
più frequente. Possono verificarsi infezioni sostenute da germi opportunisti (p. es.
Pneumocystis carinii o cytomegalovirus), soprattutto nei pazienti affetti da deficit
delle cellule T.

Frequenti sono anche le infezioni della cute e delle mucose. Una candidosi orale
refrattaria può essere il primo segno di un’immunodeficienza a carico delle
cellule T. Si osservano anche ulcere orali e periodontiti, soprattutto nei deficit
granulocitari. In molti adulti affetti da deficit anticorpali si manifesta una
congiuntivite. Il pioderma, le verruche gravi, l’alopecia, gli eczemi e le
teleangectasie sono di riscontro comune.

Sintomi frequenti comprendono la diarrea, il malassorbimento e i difetti di


crescita. La diarrea di solito è di tipo non infettivo, ma può essere dovuta a
Giardia lamblia, rotavirus, cytomegalovirus o Cryptosporidium. In alcuni pazienti
la diarrea può essere di tipo essudativo, con perdita di proteine sieriche e di
linfociti.

Manifestazioni meno comuni di immunodeficienza comprendono alterazioni


ematologiche (anemia emolitica autoimmune, leucopenia, trombocitopenia),
fenomeni autoimmunitari (vasculite, artrite, endocrinopatie) e alterazioni a carico
del SNC (encefalite cronica, rallentamento dello sviluppo, convulsioni).

Diagnosi

È importante che venga raccolta l’anamnesi familiare. Se vi è una storia di


decessi precoci, malattie analoghe a quella del paziente, patologie autoimmuni,
allergie, neoplasie maligne troppo precoci o consanguineità, la stesura di un
albero genealogico potrà essere d’aiuto nell’identificazione di una trasmissione
ereditaria. Si dovrà rilevare la presenza di una storia di reazioni avverse alle
immunizzazioni o alle infezioni virali, così come di pregressi interventi chirurgici
(p. es. splenectomia, tonsillectomia, adenoidectomia), di terapie radianti sul timo

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Malattie da immunodeficienza

o sul rinofaringe, e di precedenti terapie antibiotiche e immunoglobuliniche (IG) e


della loro apparente efficacia clinica.

Il tipo di infezione può dare indicazioni sulla natura dell’immunodeficienza. Nelle


immunodeficienze anticorpali (B-cellulari) si osservano infezioni sostenute dai
principali germi gram + (pneumococchi, streptococchi). Infezioni gravi sostenute
da virus, funghi e altri microrganismi opportunisti sono di riscontro comune nelle
immunodeficienze cellulari (T-cellulari). Nelle immunodeficienze a carico dei
fagociti sono frequenti le infezioni ricorrenti da stafilococchi e da germi gram-. Le
infezioni ricorrenti da Neisseria sono caratteristiche dei pazienti con diversi deficit
a carico dei componenti del complemento. Talune infezioni opportunistiche
(p. es. da P. carinii, Cryptosporidium o Toxoplasma) possono verificarsi in
diverse forme di immunodeficienza.

Anche l’età di esordio può essere d’aiuto per la diagnosi; i lattanti con meno di
6 mesi solitamente sono affetti da deficit delle cellule T. Tuttavia, un esordio di
malattia intorno ai 6 mesi di età, quando gli anticorpi materni ricevuti per via
transplacentare sono scomparsi, è indicativo di un deficit congenito della
secrezione anticorpale.

All’esame obiettivo, i pazienti affetti da immunodeficienza hanno spesso


l’aspetto di malati cronici, con pallore, malessere generale, malnutrizione e
distensione addominale. Sulla cute possono comparire eruzioni maculari,
vescicole, pioderma, eczemi, petecchie, alopecia o teleangectasie. La
congiuntivite è frequente, specialmente negli adulti. I linfonodi cervicali e il
tessuto adenoideo e tonsillare sono caratteristicamente assenti nelle
immunodeficienze a carico delle cellule B o T, nonostante un’anamnesi positiva
per infezioni faringee ricorrenti. Questo reperto può essere confermato con una
rx laterale del faringe, che può mostrare l’assenza del tessuto adenoideo.
Occasionalmente, i linfonodi sono ingranditi e suppurati. Le membrane
timpaniche presentano spesso cicatrici o perforazioni. Le narici possono essere
escoriate e ricoperte di croste, indizi suggestivi di secrezione nasale purulenta.
Può essere presente stillicidio nasale posteriore e diminuzione del riflesso
faringeo. Spesso è presente tosse cronica. È frequente il reperto di rantoli,
specialmente negli adulti con immunodeficienza. Il fegato e la milza sono
frequentemente ingranditi. La massa muscolare e i depositi adiposi delle natiche
sono diminuiti. Nei lattanti, possono essere presenti escoriazioni perianali
conseguenti alla diarrea cronica. L’esame neurologico può mettere in evidenza
un ritardo nelle fasi dell’accrescimento oppure atassia.

In un certo numero di sindromi da immunodeficienza, la presenza di una


caratteristica costellazione di reperti obiettivi consente di porre una diagnosi
clinica presuntiva: neonati affetti da sindrome di Di George che presentano
infezioni, tetania, facies caratteristica e cardiopatie congenite; ragazzi con
sindrome di Wiskott-Aldrich che presentano infezioni da piogeni, eczemi e
manifestazioni emorragiche; bambini con atassia-teleangectasia che presentano
infezioni senopolmonari ricorrenti, atassia e teleangectasie; ragazze con i capelli
rossi affette dalla variante di Job della sindrome da iper-IgE che presentano pelle
chiara, eczemi e infezioni stafilococciche ricorrenti. Questi disordini sono illustrati
in maggior dettaglio più avanti e nella Tab. 147-4.

Indagini di laboratorio

In tutti i casi di immunodeficienza, è necessario eseguire indagini selezionate per


confermare o stabilire la diagnosi; spesso sono necessari test avanzati per
sottoclassificare la malattia, condizione indispensabile per impostare una terapia
razionale (v. Tab. 147-5). Le indagini di screening possono essere eseguite nella
maggior parte dei laboratori e degli ospedali e i test avanzati possono essere
svolti nella maggioranza dei grandi ospedali, mentre i test specialistici sono
disponibili soltanto nei laboratori o negli ospedali dotati di sofisticate attrezzature
immunologiche.

Quando si sospetta un’immunodeficienza, le analisi di screening raccomandate

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Malattie da immunodeficienza

comprendono un emocromo completo con formula leucocitaria e conta


piastrinica; la determinazione dei livelli plasmatici di IgG, IgM e IgA; la
valutazione della funzione anticorpale; la ricerca clinica e laboratoristica
dell’eventuale stato infettivo.

L’emocromo stabilisce se è presente anemia, trombocitopenia, neutropenia o


leucocitosi. Va considerato con attenzione il numero totale dei linfociti; una
linfopenia (< 1500/µl) è indicativa di un’immunodeficienza T-cellulare. Lo striscio
di sangue periferico va esaminato alla ricerca dei corpi di Howell-Jolly e di altre
forme eritrocitarie inusuali indicative di asplenia o di iposplenismo. I granulociti
possono presentare anomalie morfologiche (p. es. i granuli della sindrome di
Chédiak-Higashi).

Nonostante nella valutazione iniziale sia compresa anche la determinazione dei


livelli delle immunoglobuline (Ig), in un primo momento i livelli di IgD e di IgE non
vengono misurati. I livelli delle Ig vanno interpretati con cautela, a causa delle
notevoli variazioni che si osservano con l’età; tutti i lattanti tra i 2 e i 6 mesi sono
ipogammaglobulinemici rispetto ai valori di riferimento dell’adulto. Di
conseguenza, i livelli vanno confrontati con quelli degli individui normali di pari
età. In generale, si considerano normali i livelli di Ig compresi entro 2 deviazioni
standard dalla media per ciascuna età. Un livello di Ig totali (IgG + IgM + IgA)
> 600 mg/dl o un livello di IgG > 400 mg/dl, in presenza di normalità dei test
funzionali anticorpali di screening, esclude la presenza di un deficit della
produzione anticorpale. Un livello di Ig totali < 200 mg/dl è solitamente indice di
un deficit anticorpale significativo. Livelli intermedi (cioè livelli di IgG compresi tra
200 e 400 mg/dl o livelli di Ig totali compresi tra 400 e 600 mg/dl) non sono
dirimenti e devono essere messi in relazione con i test anticorpali funzionali.

Per la valutazione iniziale è raccomandata anche l’esecuzione dei test anticorpali


di screening. La funzione delle IgM viene valutata per mezzo dei titoli delle
isoagglutinine (anti-A e/o anti-B). Tutti i pazienti, tranne i lattanti più piccoli di
6 mesi e i soggetti di gruppo sanguigno AB, possiedono anticorpi naturali a un
titolo di 1:8 (anti-A) o 1:4 (anti-B) o superiore. Gli anticorpi diretti contro questi
antigeni e contro taluni polisaccaridi batterici sono selettivamente diminuiti in
determinati disordini (p. es. la sindrome di Wiskott-Aldrich, il deficit di IgG2). Nei
pazienti immunizzati, i titoli degli anticorpi diretti contro gli antigeni
dell’Haemophilus influenzae di tipo B, dell’epatite B, del virus del morbillo, del
tetano o della difterite possono essere utilizzati per valutare la funzione delle IgG.
Un’adeguata risposta anticorpale a uno o più di questi antigeni depone contro la
presenza di un deficit della secrezione degli anticorpi. In ultimo, la valutazione
iniziale deve comprendere la ricerca di uno stato infettivo cronico. LaVES è
spesso elevata, solitamente in maniera proporzionale al grado dell’infezione.
Vanno eseguiti appropriati esami radiologici (torace, seni paranasali) e colturali.

Se i risultati di tutte queste indagini di primo livello sono normali, solitamente si


può escludere la presenza di un’immunodeficienza (e particolarmente di un
deficit anticorpale). Tuttavia, se si documenta la presenza di un’infezione cronica,
se l’anamnesi appare insolitamente sospetta o se i risultati dei test di screening
sono positivi, si deve procedere all’esecuzione dei test avanzati.

Test per i deficit delle cellule B (anticorpali): se i livelli delle Ig sono molto
bassi (livelli totali < 200 mg/dl), la diagnosi di deficit della produzione anticorpale
è certa e procedure ulteriori divengono indicate soltanto per definire con
precisione la patologia e identificare la presenza di altri difetti immunologici. Se i
livelli delle Ig e i titoli anticorpali preesistenti sono bassi ma non nulli, bisogna
procedere alla valutazione delle risposte anticorpali nei confronti di uno o più
antigeni standardizzati. I titoli anticorpali vengono misurati prima e da 3 a
4 settimane dopo l’immunizzazione con vaccini costituiti da tossoide tetanico o H.
influenzae di tipo B (per valutare la responsività agli antigeni proteici), oppure
dopo immunizzazione con vaccino pneumococcico o meningococcico (per
valutare la responsività agli antigeni polisaccaridici). Una risposta inadeguata
(aumento del titolo inferiore a quattro volte il valore di base) è indicativa di un
deficit anticorpale, indipendentemente dai livelli delle Ig.

Se i livelli delle Ig sono bassi, si esegue la conta delle cellule B valutando con la
citometria a flusso la percentuale di linfociti che reagisce con anticorpi marcati

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Malattie da immunodeficienza

con fluoresceina diretti contro antigeni specifici delle cellule B (p. es. CD19,
CD20). Normalmente, risulta positivo per la presenza di Ig di membrana il 10-
20% dei linfociti del sangue periferico (cellule B).

In seguito, va eseguito il dosaggio dei livelli sierici delle sottoclassi delle IgG e dei
livelli di IgD e IgE. I livelli della sottoclasse IgG1 (come quelli delle IgG)
dipendono strettamente dall’età. In generale, dopo i 2 anni di età, per porre la
diagnosi di deficit di una delle sottoclassi delle IgG devono essere presenti livelli
di IgG1 < 250 mg/dl, di IgG2 < 50 mg/dl, di IgG3 < 25 mg/dl o livelli indosabili di
IgG4. Livelli di IgD e IgE sia elevati sia bassi sono comuni nelle sindromi da
deficit anticorpali parziali. I livelli delle IgE sono elevati nei disordini della
chemiotassi, nelle immunodeficienze T-cellulari parziali, nelle malattie allergiche
e nelle parassitosi. I deficit isolati di IgG4, IgD e IgE sono privi di importanza
clinica.

Altre indagini di laboratorio per i deficit delle cellule B divengono indicate in


circostanze particolari (v. Tab. 147-5). Di fronte a una linfoadenopatia, è indicata
l’esecuzione di una biopsia linfonodale (talvolta preceduta da immunizzazione
nell’estremità adiacente) per escludere la presenza di un tumore maligno o di
un’infezione. La determinazione delle sottoclassi delle IgG è indicata se i livelli di
IgG sono normali o quasi normali ma la funzione anticorpale risulta ridotta.
Possono essere presenti deficit selettivi a carico di una delle quattro sottoclassi.
Se esiste il sospetto di un rapido catabolismo delle IgG o di una loro perdita
attraverso la cute o il tratto GI, può essere indicato uno studio della
sopravvivenza delle IgG. Se il paziente presenta livelli di IgG bassi, viene
somministrata un’alta dose di immunoglobuline EV e vengono misurati
quotidianamente i livelli delle IgG per determinarne l’emivita. Se le eventuali
infezioni locali sono gravi, si possono misurare i livelli delle Ig nelle secrezioni
(p. es. lacrime o saliva). Per individuare la posizione esatta del blocco sintetico,
vengono valutate la sintesi di IgG in vitro e la risposta anticorpale nei confronti di
antigeni particolari (p. es. l’antigene del fago φX o l’emocianina del mollusco
Megathura crenulata). Nelle malattie in cui il difetto genetico è stato identificato, il
gene mutante o il prodotto del gene mutante può essere individuato (p. es. il
gene Btk [della tirosin chinasi di Bruton] nell’agammaglobulinemia legata al
cromosoma X) mediante test di laboratorio particolari.

Test per i deficit delle cellule T: una linfopenia marcata e persistente


suggerisce la presenza di un’immunodeficienza a carico delle cellule T; tuttavia,
la linfopenia non è sempre presente. Una rx del torace è un utile test di screening
nei lattanti; l’assenza dell’ombra timica nel periodo neonatale è un elemento
indicativo di un deficit T-cellulare, specialmente se la rx viene eseguita prima che
abbiano luogo infezioni o altri insulti che possono provocare la riduzione di
volume del timo.

I test cutanei di ipersensibilità ritardata sono indagini di screening preziose dopo i


due anni di età. Vengono utilizzati i seguenti antigeni: parotite, Candida (1:100),
tossoide tetanico fluido (1:10) e Trichophyton. Praticamente tutti gli adulti e la
maggior parte dei lattanti e dei bambini immunizzati reagisce a uno o più di questi
antigeni con la comparsa di eritema e indurimento (> 5 mm) a 48 h. La presenza
di positività a uno o più dei test cutanei ritardati è generalmente indicativa di un
sistema T-cellulare integro.

Il più utile fra i test avanzati per la valutazione dell’immunodeficienza cellulare è


la conta delle cellule T e delle sottopopolazioni T-linfocitarie (helper/inducer e
suppressor/citotossiche), eseguito di solito mediante citometria a flusso con
l’impiego di anticorpi monoclonali di topo specifici per le cellule T. Il numero totale
delle cellule T viene determinato utilizzando un anticorpo diretto contro un
antigene comune a tutte le cellule T (p. es. anti-CD3, anti-CD2); le cellule T
helper/inducer vengono misurate impiegando un anticorpo anti-CD4 e le cellule
suppressor/citotossiche vengono misurate per mezzo di un anticorpo anti-CD8.
(In generale questi test hanno soppiantato le tecniche di rosettamento su GR di
pecora per la conta delle cellule T.) Un numero di cellule T helper (CD4)
< 500 cellule/µl è fortemente indicativo di un’immunodeficienza T-cellulare e un
numero di CD4 < 200 cellule/µl indica una grave immunodeficienza a carico delle
cellule T. Il rapporto tra cellule CD4/CD8 (helper/suppressor) deve essere > 1,0;
l’inversione di questo rapporto suggerisce anch’essa la presenza di

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Malattie da immunodeficienza

un’immunodeficienza T-cellulare (p. es. nella AIDS la diminuzione del rapporto


CD4/CD8 è segno di una compromissione immunologica progressiva). Sono
disponibili anche anticorpi monoclonali per l’identificazione delle cellule attivate
(CD25), delle cellule natural killer (CD16 e CD56) e degli antigeni (CD1) delle
cellule T immature (timociti).

Un altro utile test avanzato misura la capacità dei linfociti del paziente di
proliferare e di ingrandirsi (trasformarsi) quando vengono coltivati in presenza di
mitogeni (p. es. fitoemoagglutinina, concanavalina A), di GB allogenici irradiati
(nella reazione leucocitaria mista) o di antigeni con i quali il paziente sia venuto a
contatto in precedenza. Sotto l’effetto di questi stimoli, i linfociti normali vanno
incontro a una rapida divisione cellulare, che può essere rilevata con metodi
morfologici o mediante la captazione di timidina radioattiva all’interno delle cellule
in divisione. La proliferazione viene di solito espressa come un indice, costituito
dal rapporto tra la conta/min delle cellule stimolate e la conta/min di un numero
equivalente di cellule non stimolate. I pazienti affetti da immunodeficienza T-
cellulare presentano risposte proliferative ridotte o nulle in proporzione al grado di
deficit immunitario. Le risposte proliferative ai mitogeni (i quali attivano tutte le
cellule) sono molto più elevate (indice di stimolazione fra 50 e 100) rispetto alla
risposta agli antigeni o alle cellule allogeniche (indice di stimolazione fra 3 e 30).

Test speciali offrono la possibilità di valutare anche la produzione di linfochine


dopo stimolazione con mitogeni o antigeni. Nonostante esistano più di
30 linfochine, vengono valutati per lo più l’interferon γ, l’interleuchina 2,
l’interleuchina 4 e il tumor necrosis factor α. Determinati pazienti presentano
risposte proliferative adeguate ma una produzione di linfochine insufficiente
(p. es. deficit del fattore di inibizione della migrazione nella candidosi
mucocutanea cronica). Altri test valutano la funzione citotossica. Le diverse
forme di citotossicità (natural killer, anticorpo-dipendente o delle cellule T
citotossiche) vengono misurate utilizzando diverse cellule tumorali o cellule
bersaglio infettate da virus. I deficit della citotossicità sono presenti in vario grado
nelle immunodeficienze cellulari. In alcune forme di immunodeficienza combinata
sono carenti gli enzimi della via metabolica delle purine (adenosina deaminasi,
nucleoside fosforilasi), che possono essere determinati con l’impiego dei GR. È
possibile misurare i livelli di diversi ormoni timici (timosina, fattore timico sierico);
essi risultano bassi in alcune forme di immunodeficienza cellulare. La
tipizzazione HLA può essere di valido aiuto per valutare la presenza di due
popolazioni diverse di cellule (chimerismo) e per escludere deficit a carico degli
antigeni HLA (sindrome del linfocita nudo).

La determinazione dell’integrità del recettore delle cellule T e della via di


trasduzione del segnale ha consentito l’identificazione di alcuni difetti
dell’attivazione delle cellule T e permette la loro valutazione.

Test per i deficit delle cellule fagocitarie: un approfondimento in questo senso


è indicato quando un paziente con una storia clinica indicativa di
immunodeficienza possiede un’immunità umorale e cellulare normale. La
mancata formazione di pus nella sede di un’infiammazione e un ritardo nel
distacco del cordone ombelicale accompagnato da leucocitosi marcata sono
indizi che suggeriscono un difetto della chemiotassi.

Oltre all’emocromo, la valutazione iniziale deve comprendere una determinazione


dei livelli di IgE, che risultano elevati in molti disordini della chemiotassi, e un test
di riduzione del colorante nitroblu di tetrazolio (NBT) per la malattia
granulomatosa cronica, la più comune fra le alterazioni della fagocitosi. Il test al
NBT è basato sull’aumento dell’attività metabolica dei granulociti durante la
fagocitosi e il killing, che provoca la riduzione del NBT incolore con formazione di
formazan blu. Questo cambiamento di colore, assente nella malattia
granulomatosa cronica, può essere valutato visivamente, microscopicamente o
con la spettrofotometria.

Il primo test specifico è costituito dalla colorazione dei granulociti per la


mieloperossidasi, la fosfatasi alcalina o l’esterasi. La negatività della colorazione
per questi enzimi va approfondita con l’esecuzione di indagini quantitative. In
seguito, si può valutare la motilità cellulare con la tecnica della finestra cutanea di
Rebuck, nella quale si esegue con un bisturi un’abrasione superficiale della cute

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Malattie da immunodeficienza

che viene quindi ricoperta con un vetrino coprioggetti; esso viene rimosso e
sostituito a intervalli regolari e colorato per l’osservazione delle cellule in
migrazione. Un afflusso iniziale di PMN deve essere rilevabile entro le prime 2 h
ed essere poi sostituito dall’arrivo di monociti entro 24 h. L’esistenza di
un’alterazione della chemiotassi può essere confermata mediante un test in vitro
nel quale viene misurata la migrazione dei granulociti o dei monociti con l’impiego
di una speciale camera chemiotattica (di Boyden) o di una piastra di agaroso;
viene valutato il movimento cellulare in direzione di una sostanza
chemioattraente (p. es. lo zymosan opsonizzato).

Successivamente viene valutata la funzione fagocitaria misurando la captazione


di particelle di lattice o di batteri da parte di granulociti o di monociti isolati. Viene
poi indagata l’attività microbicida mescolando in siero fresco i granulociti del
paziente con un numero conosciuto di batteri vivi, ed eseguendo poi
determinazioni batteriche quantitative seriate in un arco di tempo di 2 h.

Altri test specializzati definiscono meglio i difetti della fagocitosi: test di


mobilizzazione granulocitaria dopo somministrazione di corticosteroidi,
adrenalina o endotossine; determinazioni quantitative degli enzimi granulocitari
(mieloperossidasi, G6PD, ecc.); ricerca dei prodotti ossidanti granulocitari
(perossido di idrogeno, ione superossido); test per la determinazione di proteine
granulocitarie specifiche (glicoproteine di adesione al CR3 [CD11], componenti
della nicotinamide adenin dinucleotide fosfato ossidasi). Questi ultimi consentono
di distinguere le quattro forme genetiche della malattia granulomatosa cronica.

Test per i deficit del complemento: la presenza di un’alterazione a carico del


complemento viene valutata inizialmente misurando l’attività complementare
totale del siero (CH50) e i livelli sierici di C3 e C4. Il riscontro di bassi livelli di uno
qualunque di questi parametri deve essere seguito dalla titolazione della via
classica e della via alternativa del complemento e dal dosaggio dei singoli
componenti complementari. Il deficit di componenti della via classica è associato
anche con la patologia renale immunitaria, con le reazioni tipo malattia da siero o
con le infezioni acute. Per misurare i componenti complementari si utilizzano
antisieri mono-specifici o GR sensibilizzati e soluzioni che contengono tutti i
componenti tranne quello da determinare.

Sono disponibili antisieri anche per la determinazione delle proteine regolatrici


del complemento. Il deficit di C1-inibitore è alla base dell’edema angioneurotico
ereditario e il deficit di fattore I (C3-inibitore) è associato al deficit di C3 con
ipercatabolismo del C3. Per valutare la funzione del complemento in modo
indiretto si possono impiegare i test di attività opsoninica, chemiotattica o
battericida del siero. Per una trattazione dettagliata del sistema del complemento,
v. Cap. 146.

Prevenzione

La prevenzione delle immunodeficienze primarie è limitata alla consulenza


genetica, quando sia nota la presenza di forme a trasmissione ereditaria
conosciuta. La diagnosi prenatale su cellule amniotiche in coltura o su sangue
fetale è possibile soltanto per alcuni di questi disordini, tra i quali
l’agammaglobulinemia legata al cromosoma X, la sindrome di Wiskott-Aldrich, la
maggior parte delle forme di immunodeficienza combinata grave, il deficit di
adenosina deaminasi e la malattia granulomatosa cronica. Per escludere la
presenza di malattie legate al cromosoma X si può ricorrere anche alla
determinazione del sesso fetale. In un certo numero di questi disordini si può
identificare un’ereditarietà di tipo eterozigote.

Prognosi

La maggior parte delle immunodeficienze primitive ha un’origine genetica e dura

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Malattie da immunodeficienza

per tutta la vita. La prognosi è quanto mai variabile (v. Tab. 147-6), ma alcune
immunodeficienze possono essere curate con il trapianto di cellule staminali. La
maggioranza dei pazienti affetti da immunodeficienze anticorpali o da un deficit
del complemento ha una prognosi favorevole con un’aspettativa di vita pressoché
normale, a patto che venga identificata precocemente, sia trattata con regolarità
e non sia affetta da malattie croniche concomitanti (p. es. una patologia
polmonare). Altri pazienti con immunodeficienza, p. es. quelli con disordini della
fagocitosi, con disordini combinati o con alterazioni della produzione anticorpale
affetti da infezioni croniche, hanno una prognosi meno buona riguardo
all’aspettativa di vita; la maggior parte è cronicamente malata e necessita di un
trattamento intensivo (p. es. IGEV, antibiotici, drenaggio posturale, interventi
chirurgici, ecc.). Alcuni pazienti con immunodeficienza hanno una prognosi
quoad vitam decisamente sfavorevole (quelli affetti da atassia-teleangectasia,
quelli con immunodeficienza combinata grave che non sono stati sottoposti a
trapianto).

Due istituzioni che si occupano di immunodeficienze per il sostegno e


l’informazione dei pazienti e per la ricerca, sono la Jeffrey Modell Foundation
(001-800-JEFF-844) e la Immune Deficiency Foundation (001-800-296-4433).

Terapia

La gestione complessiva dei pazienti affetti da immunodeficienza richiede una


quantità di cure straordinaria per mantenere uno stato di salute e di nutrizione
ottimali, trattare le infezioni (v. Cap. 151), prevenire i problemi psicologici legati
alla malattia e sostenere i costi. I pazienti devono essere protetti dalle occasioni
evitabili di esposizione alle infezioni, devono dormire nel loro letto personale e
avere preferibilmente camere riservate. Se vi è evidenza di qualche attività
anticorpale, si devono somministrare loro regolarmente vaccini preparati con
microrganismi uccisi. L’apparato dentario deve essere sempre mantenuto in
buone condizioni.

Gli antibiotici sono farmaci salvavita per il trattamento delle infezioni; la scelta e il
dosaggio sono identici a quelli impiegati normalmente. Tuttavia, poiché i pazienti
con immunodeficienza possono soccombere rapidamente alle infezioni, la febbre
o altri segni di infezione vanno sempre interpretati come secondari a infezione
batterica e la terapia antibiotica va intrapresa senza esitazioni. Prima di iniziare la
terapia a pieno regime, vanno eseguiti un tampone faringeo, una emocoltura o
eventuali altri esami colturali; essi risultano particolarmente utili in seguito,
qualora l’infezione non dovesse rispondere all’antibiotico iniziale e qualora il
microrganismo infettante appartenga a una specie non comune.

La somministrazione continua di antibiotici a scopo profilattico è spesso di


giovamento, in particolare quando esiste il rischio di infezioni improvvise a
decorso rapidamente progressivo (p. es. nella sindrome di Wiskott-Aldrich o nelle
sindromi aspleniche), quando altre forme di terapia immunitaria non sono
disponibili (p. es. nei deficit della fagocitosi) o non sono sufficienti (p. es. nelle
infezioni ricorrenti in corso di agammaglobulinemia nonostante la terapia
immunoglobulinica) e quando esiste un rischio elevato di contrarre un’infezione
specifica (p. es. P. carinii nei deficit dell’immunità cellulare).

Gli antivirali, comprese l’amantadina o la rimantadina per l’influenza, l’acyclovir


per le infezioni erpetiche (incluse quelle da virus della varicella-zoster) e la
ribavirina per il virus respiratorio sinciziale, possono risultare farmaci salvavita nei
pazienti con immunodeficienza affetti da infezioni virali.

Le immunoglobuline (IG) costituiscono una terapia sostitutiva efficace nella


maggior parte delle forme di deficit anticorpale. Si tratta di una soluzione di IgG
al 16,5%, con quantità minime di IgM e di IgA, per uso IM o SC, oppure di una
soluzione dal 3 al 12% per infusione EV (IGEV). La dose d’attacco abituale è di
200 mg/kg (1,4 ml/kg della preparazione al 16,5% o 400 mg/ kg [8 ml/kg]di una
preparazione al 5%) somministrati in 2 o 3 dosi nell’arco di 2-5 giorni, seguita da
una dose mensile di 100 mg/kg (0,7 ml/kg della soluzione al 16,5% o 200 mg/kg

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Malattie da immunodeficienza

[4 ml/kg]della soluzione al 5%). Dosi inferiori non sono efficaci. Poiché una dose
di IgG di 100 mg/kg innalza i livelli sierici depressi di IgG soltanto di circa 100 mg/
dl, alcuni pazienti necessitano di dosi maggiori o più frequenti. La massima dose
IM somministrabile in una singola sede è di 10 ml negli adulti e di 5 ml nei
bambini; pertanto possono essere necessarie più iniezioni in sedi differenti. Alte
dosi di IGEV (da 400 a 800 mg/kg al mese) possono essere somministrate e
sono di effettivo giovamento in alcuni pazienti con deficit anticorpale che non
rispondono bene alle dosi convenzionali, specialmente quelli affetti da
pneumopatie croniche. Lo scopo della somministrazione di IGEV ad alte dosi è
quello di mantenere i livelli delle IgG entro i valori normali (cioè > 500 mg/dl). Per
la terapia con IG ad alte dosi (cioè > 400 mg/kg al mese) sono state impiegate
anche le infusioni SC lente di IG o le IGEV al 10% somministrate a intervalli
settimanali.

Come alternativa alle IG è stato utilizzato il plasma, ma a causa del rischio di


trasmissione di malattie, esso raramente trova indicazione. Il plasma contiene
numerosi fattori oltre alle Ig ed è risultato prezioso nei pazienti affetti da
enteropatia protido-disperdente, deficit del complemento e diarrea refrattaria.
Plasma privo di IgA è stato impiegato con successo nei pazienti con fenomeni di
ipersensibilità acuta alle IgA contenute nelle preparazioni di IG.

Altre terapie, comprendenti i farmaci immunostimolanti (levamisolo,


isoprinosina), le terapie biologiche (transfer factor, interleuchine, interferoni) e gli
ormoni (ormoni timici), si sono dimostrate di valore limitato nel trattamento delle
immunodeficienze cellulari o fagocitarie. Alcuni pazienti con deficit di adenosina
deaminasi hanno tratto beneficio dalla terapia sostitutiva enzimatica con
adenosina deaminasi bovina coniugata con glicole polietilenico (PolyEthylene
Glycol-Adenosine DeAminase, PEG-ADA).

Il trapianto di cellule staminali, solitamente ottenuto con un trapianto di midollo


osseo, è spesso in grado di ottenere la correzione completa
dell’immunodeficienza (v. anche Cap. 149). Nell’immunodeficienza combinata
grave e nelle sue varianti, il trapianto di midollo osseo da un fratello donatore
HLA-identico appaiato con coltura leucocitaria mista ha consentito il ripristino
delle funzioni immunitarie in più di 300 casi. Nei pazienti con immunità cellulare
integra o solo parzialmente compromessa (p. es. nella sindrome di Wiskott-
Aldrich) si deve praticare un’immunosoppressione preventiva per garantire
l’attecchimento del trapianto. Quando non è disponibile un fratello donatore HLA-
identico, si può utilizzare il midollo osseo aploidentico (emiappaiato) prelevato da
uno dei genitori. In tali circostanze, prima dell’impianto bisogna eliminare dal
midollo del genitore le cellule T mature, che provocherebbero una malattia del
trapianto contro l’ospite. Ciò si può ottenere mediante la rimozione con
agglutinazione in lecitina di soia o con l’impiego di anticorpi monoclonali diretti
contro le cellule T. In alternativa, può essere utilizzato midollo osseo proveniente
da un individuo compatibile ma non imparentato identificato attraverso
l’International Bone Marrow Transplant Registry. Come fonte di cellule staminali
può essere utilizzato anche il sangue del cordone ombelicale di un fratello HLA-
appaiato oppure sangue di cordone HLA-compatibile proveniente da una banca
ematologica. Queste procedure specialistiche sono disponibili soltanto in un
ristretto numero di centri.

Occasionalmente hanno avuto successo i trapianti di timo fetale, di timo


neonatale in coltura, di cellule epiteliali timiche e di fegato fetale e
particolarmente i trapianti di timo fetale nella sindrome di Di George.

Precauzioni: ai pazienti con immunodeficienze a carico delle cellule B o T non


devono essere somministrati vaccini preparati con microrganismi vivi (p. es.
poliovirus, morbillo, parotite, rosolia, BCG) a causa del rischio di sviluppare una
malattia indotta dal vaccino e i membri della famiglia non devono essere
sottoposti a vaccinazione antipoliomielitica con virus vivo. I pazienti con deficit
dell’immunità cellulare non devono ricevere emoderivati freschi che possono
contenere linfociti integri, a causa del rischio di una reazione del trapianto contro
l’ospite; di conseguenza, il sangue intero o le sue frazioni (p. es. GR, piastrine,
granulociti e plasma) devono essere irradiati (dai 15 ai 30 Gy) prima di essere
infusi. I pazienti devono inoltre ricevere emoderivati provenienti da donatori
sieronegativi per cytomegalovirus. Nei pazienti affetti da deficit selettivo di IgA va

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Malattie da immunodeficienza

solitamente evitata la somministrazione di IG o di plasma, perché anticorpi anti-


IgA possono svilupparsi o provocare reazioni avverse. I pazienti con
splenomegalia devono evitare di praticare sport di contatto fisico. I pazienti
trombocitopenici devono evitare le iniezioni IM (p. es. di IG). È opportuno
somministrare antibiotici in concomitanza con interventi chirurgici o procedure
odontoiatriche.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-5. Esami di laboratorio nelle immunodeficienze

Test di screening Test avanzati Test di ricerca/speciali


Deficit delle celluleB
Dosaggio Conta delle cellule B Fenotipizzazione
delle IgG, (CD19 o CD20) avanzata delle cellule B
IgM, IgA
Dosaggio delle Biopsie: p.es. linfonodali
Titolo delle sottoclassi delle IgG
isoagglutinine Risposte anticorpali ad
Dosaggio delle IgD e antigeni speciali: p.es.
Risposta delle IgE φX, KLH
anticorpale
agli anti geni Titolo degli Ac naturali: Sopravvivenza delle Ig in
dei vaccini: p. p.es. anti-streptolisina vivo
es. tetano, O, Escherichia coli
difterite,
Dosaggio delle Ig
rosolia,
secretorie
Haemo philus
influenzae
Sintesi delle Ig in vitro
Risposta anticorpale a Analisi dell’attivazione
nuovi vaccini: p.es. cellulare
febbre tifoide, vaccini
pneumococcici Analisi delle mutazioni

Rx laterale del faringe


per il tessuto
adenoideo
Deficit delle cellule T
Conta ed Conta delle Fenotipizzazione
esame sottopopolazioni delle avanzata delle cellule T
morfologico cellule T (CD3, CD4,
dei linfociti CD8) Test per le citochine e i
recettori: p.es. IL-2, IFN-
Rx del torace Risposte proliferative γ, TNF-α
per lo studio ai mitogeni, agli
delle antigeni e alle cellule Test di citotossicità: p.es.
dimensioni allogeniche NK, ADCC, CTL
timiche*
Tipizzazione HLA Test enzimatici: p.es.
Test cutanei ADA, PNP
ritardati: p.es. Analisi cromosomica
Trichophyton,
Biopsie: p.es. cutanee,
parotite,
epatiche, timiche

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Manuale Merck - Tabella

Candida,
tossoide Test ormonali timici
tetanico, serie
dei multitest Analisi dell’attivazione
cellulare

Analisi delle mutazioni


Deficit delle cellule fagocitarie
Conta ed Chemioluminescenza Test per le molecole di
esame adesione: p.es. CD11b/
morfologico Turnover dei GB CD18, ligando della
dei GB selectina
Esami morfologici
Test al NBT speciali Test della finestra
cutanea di Rebuck
Dosaggio Chemiotassi e mobilità
delle IgE casuale Deformabilità, adesività
e aggregazione
Test per la fagocitosi
Metabolismo ossidativo
Test per l’attività
battericida Test enzimatici: p.es.
MPO, G6PD, NADPH
ossidasi

Analisi delle mutazioni


Deficit del complemento
Attività CH50 Test di opsonizzazione Attività della via
alternativa
Dosaggio del C3 Test per specifici
componenti Test funzionali: p.es.
fattore chemiotattico,
Dosaggio del C4
Test di attivazione: p. adesività immunitaria
es. C3a, C4a, C4d,
C5a Sopravvivenza dei
componenti in vivo

Analisi degli allotipi del C

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Manuale Merck - Tabella

*Solo nei lattanti.

Ig=immunoglobuline; Ac=anticorpi; fX=antigene fagico; KLH=antigene


dell’emocianina di Megathura crenulata; IL=interleuchina; IFN=interferon;
TNF=tumor necrosis factor; NK=natural killer; ADCC=citotossicità cellulo-
mediata anticorpo-dipendente; CTL=linfociti T citotossici;
ADA=adenosina deaminasi; PNP=fosforilasi dei nucleosidi purinici;
NBT=nitroblu di tetrazolio; MPO=mieloperossidasi; NADPH=nicotinamide
adenin dinucleotide fosfato; CH50=attività emolitica del complemento;
C=complemento.

Da Stiehm ER: Immunologic Disorders in Infants and Children, ed.4.


Philadelphia, WB Saunders Company, 1996, p 213; riprodotta con
autorizzazione.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 147-6. Prognosi delle immunodeficienze primarie

Prognosi cattiva* Prognosi Prognosi buona‡


intermedia†
Immunodeficienza Immunodeficienza Ipogammaglobulinemia
combinata grave§ variabile comune transitoria

Altre immunodeficienze Sindrome da iper-IgM§ Agammaglobulinemia


combi nate legata al cromosomaX
Malattia
Sindrome di Wiskott- granulomatosa Deficit selettivo di IgA
Aldrich§ cronica§
Candidosi
Atassia-teleangectasia Sindrome di Di mucocutanea cronica
George§
Deficit di adesività dei Deficit di sottoclassi
leucociti§ Sindrome da iper-IgE delle IgG

Sindrome Deficit del


linfoproliferativa legata complemento
al cromosomaX§
*Durata della vita marcatamente ridotta.

†Durata della vita spesso ridotta.

‡Durata della vita normale con una terapia ottimale.

§Curabile con il trapianto.

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Malattie da immunodeficienza

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

147. MALATTIE DA IMMUNODEFICIENZA

IMMUNODEFICIENZE SPECIFICHE

Sommario:

IPOGAMMAGLOBULINEMIA TRANSITORIA DELL'INFANZIA


Terapia

DEFICIT SELLETTIVO DI IgA


Terapia

AGAMMAGLOBULINEMIA LEGATA AL CROMOSOMA X


Terapia

IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE


IMMUNODEFICIENZA CON IPER-IgM
Terapia

DEFICIT DI SOTTOCLASSI DELLE IgG


Terapia

SINDROME DI GEORGE
Terapia

CANDIDOSI MUCOCUTANEA CRONICA


Terapia

IMMUNODEFICIENZA COMBINATA
Terapia

SINDROME DI WISKOTT-ALDRICH
Prognosi e terapia

ATASSIA-TELEANGECTASIA
Terapia

SINDROME LINFOPROLIFERATIVA LEGATA AL CROMOSOMA X


SINDROME DA IPER-IgE
MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

DEFICIT DI ADESIVITA' LEUCOCITARIA


Terapia

SINDROMI DA DEFICIT SPLENICO


IMMUNODEFICIENZE DA PROTIDO-DISPERSIONE
IMMUNODEFICIENZA DOVUTA A MALNUTRIZIONE

IPOGAMMAGLOBULINEMIA TRANSITORIA DELL'INFANZIA

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Malattie da immunodeficienza

Deficit anticorpale autolimitantesi che colpisce entrambi i sessi, con esordio dai 3
ai 6 mesi di età, che solitamente persiste da 6 a 18 mesi.

Talvolta vi si associa un aumento della frequenza di infezioni. Questo disordine


deriva da un ritardo nell’inizio della sintesi anticorpale, nonostante la presenza di
un numero normale di cellule B. Le cellule T helper possono essere diminuite. I
lattanti prematuri sono particolarmente a rischio, a causa dei più bassi livelli di
IgG transplacentari di cui sono dotati alla nascita. La malattia non ha carattere
familiare.

Terapia

Nonostante i bassi livelli di IgG (livelli totali < 400 mg/dl), molti di questi lattanti
non necessitano di IG, in particolare se esiste qualche evidenza di funzione
anticorpale, se i livelli di IgG sono in aumento e se le infezioni sono assenti o
banali. I pazienti che necessitano di IG devono ricevere dosi terapeutiche piene
per 3-6 mesi, con controlli frequenti dei livelli di IgG. In occasione di ogni episodio
infettivo è indicata la terapia antibiotica. La prognosi ai fini del recupero completo
è eccellente. I neonati con meno di 32 settimane di età gestazionale e/o un peso
alla nascita < 1500 g hanno livelli di IgG così prevedibilmente bassi che sono
state impiegate le IGEV per il trattamento delle sospette sepsi batteriche e per la
prevenzione delle infezioni batteriche nei primi mesi di vita (v. Stato
immunologico del feto e del neonato nel Cap. 256).

DEFICIT SELETTIVO DI IgA

Assenza o marcata riduzione (< 5 mg/dl) delle IgA sieriche, con livelli normali
delle altre Ig e immunità cellulare integra.

Il deficit selettivo di IgA è la più comune (e la più lieve) delle immunodeficienze,


manifestandosi con una frequenza di 1/400 persone. Esso è di solito sporadico,
ma occasionalmente si presenta in forma familiare. Può presentarsi in seguito a
terapia con fenitoina e in individui con alterazioni a carico del cromosoma 18.
Può presentarsi inoltre nei parenti dei pazienti affetti da immunodeficienza
comune variabile (v. oltre).

La maggior parte dei pazienti è asintomatica e il difetto viene scoperto


casualmente. Altri presentano infezioni respiratorie ricorrenti, diarrea cronica,
allergie o malattie autoimmuni. I pazienti con deficit di IgA non hanno IgA nelle
loro secrezioni, ma possono compensare con la secrezione di altre Ig. Questi
pazienti possono sviluppare anticorpi anti-IgA in conseguenza dell’esposizione
alle IgA contenute nei preparati di plasma o di IG; questi anticorpi possono
provocare reazioni anafilattiche in occasione di somministrazioni successive di IG
o di sangue. Alcuni pazienti con deficit di IgA presentano un deficit associato
della sottoclasse IgG2; molti di tali pazienti contraggono infezioni ricorrenti.

Terapia

Nella maggior parte dei casi la terapia non è necessaria. È raccomandabile che i
pazienti abbiano indosso un braccialetto con una targhetta informativa in modo
da prevenire la somministrazione involontaria di plasma o di IG con conseguente
sensibilizzazione o reazione. Nei soggetti con infezioni respiratorie persistenti è
necessaria la somministrazione continua di antibiotici. La terapia sostitutiva con
IgA non è attualmente disponibile. Le iniezioni di IG o le infusioni di IGEV sono in
genere controindicate, anche se ad alcuni pazienti con deficit di IgA associato a
deficit di sottoclassi delle IgG sono state somministrate IG con buoni risultati.
Alcuni pazienti affetti da deficit di IgA vanno incontro a remissione spontanea.

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Malattie da immunodeficienza

AGAMMAGLOBULINEMIA LEGATA AL CROMOSOMA X

(Agammaglobulinemia di Bruton; agammaglobulinemia congenita)

Panipogammaglobulinemia dei lattanti maschi caratterizzata da livelli di


IgG < 100 mg/dl e livelli delle altre Ig bassi o nulli, cellule B scarse o assenti,
immunità cellulare integra ed esordio delle infezioni qualche tempo dopo il sesto
mese di vita, epoca in cui scompaiono gli anticorpi di origine materna.

Questi lattanti contraggono infezioni piogeniche ricorrenti a carico dei polmoni,


dei seni paranasali e delle ossa, sostenute da microrganismi come lo
pneumococco, l’haemophilus e lo streptococco. Essi sono anche predisposti
all’infezione da poliovirus indotta dal vaccino e all’encefalite cronica da echovirus.
Alcuni lattanti hanno un’artrite che scompare con la terapia con IG. L’ereditarietà
legata al cromosoma X viene dimostrata nel 20% circa dei casi. Un difetto a
carico del gene per la Btk (tirosin chinasi di Bruton) localizzato nella
regione Xq22 impedisce la differenziazione delle cellule pre-B in cellule B. In
ciascun membro della famiglia si osservano diverse varianti del gene difettoso.

Terapia

È essenziale la somministrazione per tutta la vita di IG IM o EV alle più basse


dosi in grado di prevenire le infezioni ricorrenti. In occasione di ogni episodio
infettivo è di vitale importanza l’immediata e idonea istituzione di una terapia
antibiotica; talvolta è indicata la somministrazione continua di antibiotici.
Nonostante queste misure, molti pazienti sviluppano sinusiti persistenti, bronchiti
e bronchiettasie. Vi è un aumento della suscettibilità allo sviluppo di neoplasie
maligne.

IMMUNODEFICIENZA COMUNE VARIABILE

(Agammaglobulinemia acquisita)

Disordine eterogeneo che colpisce in uguale misura entrambi i sessi,


caratterizzato dalla comparsa di infezioni batteriche ricorrenti, solitamente nel
corso del 2o o 3o decennio di vita, conseguenti a una marcata riduzione dei livelli
anticorpali.

Il carattere distintivo tra l’immunodeficienza comune variabile e


l’agammaglobulinemia legata al cromosoma X è costituito dalla presenza di un
numero normale di cellule B. L’immunità cellulare è solitamente integra, ma in
alcuni pazienti può essere compromessa; in altri, sono descritte alterazioni
immunoregolatorie a carico delle cellule T. In questi pazienti e nei loro familiari
sono comuni i disordini autoimmunitari, compresi il morbo di Addison, la tiroidite e
l’AR. Talvolta sono presenti diarrea, malassorbimento e iperplasia linfoide
nodulare del tratto GI. Spesso si sviluppano bronchiettasie. Carcinomi e linfomi si
manifestano nel 10% dei pazienti. I meccanismi immunologici sono diversi; p. es.
un’eccessiva attività T suppressor, una scarsa attività T helper, difetti intrinseci
della funzione delle cellule B e la presenza di autoanticorpi diretti contro le
cellule B o T. Come avviene nella agammaglobulinemia legata al cromosoma X,
è indispensabile la terapia con IG per tutta la vita e devono essere impiegati gli
antibiotici per trattare ogni episodio infettivo.

IMMUNODEFICIENZA CON IPER-IgM

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Malattie da immunodeficienza

Immunodeficienza congenita, solitamente legata al cromosoma X, caratterizzata


da livelli elevati di IgM, livelli diminuiti di IgG e di IgA, neutropenia intermittente,
numero normale di cellule B e suscettibilità alle infezioni.

Possono essere presenti linfoadenopatie e fenomeni autoimmunitari (p. es.


anemia emolitica Coombs-positiva). La suscettibilità ai principali patogeni gram +
e alle infezioni opportunistiche (compresi Pneumocystis carinii e
Cryptosporidium) è aumentata. La maggior parte dei pazienti (> 70%) sviluppa
un’epatopatia cronica entro i 30 anni. Il difetto immunologico alla base della
forma legata al cromosoma X è un deficit della gp39 delle cellule T, il ligando del
CD40 presente sulle cellule B che induce lo switch isotipico da IgM a IgA, IgG e
IgE. Il gene mutato è stato identificato nella regione Xq27.

Terapia

Il trattamento è analogo a quello per l’agammaglobulinemia legata al cromosoma


X. Per la neutropenia può essere impiegato il fattore stimolante le colonie dei
granulociti. In alcuni casi ha avuto successo il trapianto di cellule staminali.

DEFICIT DELLE SOTTOCLASSI DELLE IgG

Deficit anticorpale associato a un’aumentata suscettibilità alle infezioni e a livelli


assenti o marcatamente ridotti (maggiore di 2 deviazioni standard al disotto della
media per l’età) di una o due sottoclassi delle IgG, ma con livelli normali o
aumentati delle altre sottoclassi.

La maggior parte dei pazienti ha livelli totali di IgG e degli altri anticorpi normali o
quasi normali, ma presenta una diminuita responsività anticorpale a determinati
antigeni. Sono state descritte infezioni respiratorie croniche o ricorrenti, otite
media, pneumopatie croniche e meningiti ricorrenti. Dal momento che le IgG1
costituiscono il 70% delle IgG totali, un deficit isolato di IgG1 si associa a
panipogammaglobulinemia e non viene considerato come un deficit di una
sottoclasse. Il deficit combinato o selettivo di IgG2 o di IgG3, con o senza deficit
di IgG4, è il più comune deficit a carico delle sottoclassi. I pazienti con deficit di
IgG2 (selettivo o combinato con deficit di un’altra sottoclasse) presentano spesso
risposte anticorpali deboli nei confronti degli antigeni polisaccaridici e/o un deficit
associato di IgA (< 5mg/dl). Il deficit isolato di IgG4 asintomatico è presente in un
gran numero di individui. Nei bambini piccoli i deficit delle sottoclassi possono
essere transitori e scomparire con la crescita. Sono stati descritti alcuni pazienti
con alterata capacità di risposta ai polisaccaridi ma con livelli normali delle
sottoclassi di IgG.

Terapia

I pazienti con deficit accertati di sottoclassi delle IgG si possono giovare delle IG
(v. Terapia, sotto Agammaglobulinemia legata al cromosoma X, sopra).

SINDROME DI GEORGE

(Ipoplasia timica; sindrome della terza e quarta tasca faringea)

Immunodeficienza congenita caratterizzata anatomopatologicamente


dall’assenza o dall’ipoplasia del timo e delle ghiandole paratiroidi e
immunologicamente da un’immunodeficienza parziale o completa a carico delle

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Malattie da immunodeficienza

cellule T, ma con immunità B-cellulare normale o quasi normale.

I lattanti colpiti presentano impianto basso delle orecchie, schisi facciali della
linea mediana, ipoplasia e retrazione della mandibola, ipertelorismo,
accorciamento del filtro nasale e cardiopatie congenite. Entro le prime 24 o 48 h
di vita compare tetania. Entrambi i sessi vengono colpiti in uguale misura e i casi
familiari sono rari. Nel 90% dei casi possono essere dimostrate anomalie a carico
del cromosoma 22q (p. es. delezione o monosomia). Sembra che si verifichi
un’interruzione dello sviluppo normale delle strutture della tasca faringea intorno
all’8a settimana di gestazione. Le infezioni ricorrenti cominciano a presentarsi
poco dopo la nascita. Il grado di immunodeficienza varia notevolmente da un
paziente all’altro e talvolta la funzione delle cellule T migliora spontaneamente,
specie nei pazienti con cellule CD4 > 400/µl.

Terapia

è stato eseguito con buoni risultati il trapianto di midollo osseo e sono stati
ottenuti alcuni successi con il trapianto di timo fetale. La prognosi finale è spesso
determinata dalla gravità delle malformazioni cardiache. Un deficit parziale è
compatibile con una sopravvivenza prolungata.

CANDIDOSI MUCOCUTANEA CRONICA

Immunodeficienza di tipo cellulare caratterizzata da infezioni persistenti da


Candida a carico delle mucose, del cuoio capelluto, della cute e delle unghie e
spesso associata a un’endocrinopatia, specialmente all’ipoparatiroidismo e
all’iposurrenalismo.

L’esordio può avvenire nel periodo neonatale con la comparsa di un mughetto


persistente, oppure può essere differito fino all’età adulta avanzata. Questo
disordine è leggermente più frequente nel sesso femminile. La malattia ha gravità
molto variabile, dal coinvolgimento di un solo elemento ungueale fino
all’interessamento generalizzato delle mucose, della cute e dei capelli e alla
presenza di lesioni granulari sfiguranti del volto e del cuoio capelluto. Non si
manifesta candidosi sistemica né aumentata suscettibilità ad altre infezioni. Ne
esistono diverse forme cliniche, compresa una forma autosomica recessiva
associata a ipoparatiroidismo e morbo di Addison (sindrome Candida-
endocrinopatia). I reperti immunologici caratteristici sono l’anergia cutanea alla
Candida, l’assenza di risposte proliferative nei confronti degli antigeni della
Candida (ma con normali risposte proliferative ai mitogeni) e buone risposte
anticorpali nei confronti della Candida e di altri antigeni. In alcuni casi si
osservano reperti associati come alopecia, bronchiettasie, displasie dentarie,
epatite e deficit di biotina con deficit enzimatico di carbossilasi.

Terapia

La terapia consiste nell’impiego di farmaci antifungini per via topica (nistatina,


clotrimazolo) o sistemica (ketoconazolo, fluconazolo, amfotericina B; v. Principi
generali di terapia nel Cap. 158). Talora le unghie colpite devono essere rimosse
chirurgicamente. L’immunoterapia con transfer factor, epitelio timico, ormoni
timici o linfociti immuni non dà benefici permanenti. Il trapianto di midollo osseo
ha avuto successo in un solo caso.

IMMUNODEFICIENZA COMBINATA

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Malattie da immunodeficienza

Gruppo di disordini caratterizzati da un deficit congenito e solitamente ereditario


a carico sia del sistema cellulare B sia di quello T, da aplasia linfoide e da
displasia timica.

Le immunodeficienze combinate comprendono l’immunodeficienza combinata


grave, l’agammaglobulinemia di tipo svizzero, l’immunodeficienza combinata con
deficit di adenosina deaminasi o di nucleoside fosforilasi e l’immunodeficienza
combinata con immunoglobuline (sindrome di Nezelof).

La maggior parte dei pazienti presenta un esordio precoce delle infezioni (entro il
3o mese di vita), con candidosi orale, polmonite e diarrea. In assenza di terapia,
la maggioranza muore prima dei 2 anni di età. La maggior parte dei pazienti
presenta un marcato deficit delle cellule B e delle Ig. I seguenti reperti sono
caratteristici: linfopenia, numero di cellule T ridotto o nullo, scarsa risposta
proliferativa ai mitogeni, anergia cutanea, assenza dell’ombra timica e
diminuzione del tessuto linfoide. Sono comuni le polmoniti da P. carinii e altre
infezioni opportunistiche.

Esistono diverse varianti di questa patologia. Nel 67% dei casi può essere
dimostrata una trasmissione ereditaria legata al cromosoma X o di tipo
autosomico recessivo. La maggior parte dei pazienti con ereditarietà legata al
cromosoma X ha un’immunodeficienza combinata grave legata al
cromosoma X, dovuta a mutazioni a carico della catena γ del recettore per l’IL-2.
Questa catena è un componente dei recettori per altre citochine (IL-4, IL-7, IL-9,
IL-13, IL-15), il che probabilmente spiega la gravità della malattia.

Circa la metà dei pazienti con ereditarietà autosomica recessiva è affetta da un


deficit di adenosina deaminasi (ADA), un enzima della via di "salvataggio"
delle purine che converte l’adenosina e la deossiadenosina rispettivamente in
inosina e deossiinosina. Il deficit di ADA provoca l’accumulo di elevate quantità di
deossiadenosina trifosfato (dATP), il quale inibisce la sintesi del DNA. I pazienti
affetti da deficit di ADA possono essere normali alla nascita, ma sviluppano un
deficit immunologico progressivo man mano che il dATP si accumula. Nella
sindrome di Nezelof (immunodeficienza combinata con Ig) esiste un marcato
deficit dell’immunità cellulare, con livelli di Ig normali, quasi normali o elevati ma
con una scarsa funzionalità anticorpale.

Altri lattanti presentano lesioni cutanee simili a quelle della malattia di Letterer-
Siwe, linfoadenopatia ed epatosplenomegalia, e alcuni possono avere una
malattia da trapianto contro l’ospite dovuta ai linfociti materni o a precedenti
trasfusioni di sangue. Altre varianti comprendono i deficit di citochine (deficit di IL-
1, deficit di IL-2, deficit citochinici multipli), i difetti strutturali del recettore delle
cellule T, i difetti di trasduzione del segnale, l’assenza degli antigeni HLA di
classe I e/o di classe II (sindrome del linfocita nudo), il nanismo ad arti corti,
l’ipoplasia della cartilagine e dei capelli con immunodeficienza e
l’immunodeficienza combinata con eosinofilia (sindrome di Omenn).

Terapia

La terapia con IG e antibiotici (compresa la profilassi per P. carinii) trova


indicazione ma non è curativa. Il trattamento di elezione per tutte le varianti è
costituito dal trapianto di cellule staminali. I pazienti con deficit di ADA sono stati
trattati con successo con glicole polietilenico coniugato con ADA bovina (PEG-
ADA). I pazienti con deficit di IL-2 sono stati trattati con IL-2 umana ricombinante.
Nel deficit di ADA è stata utilizzata con qualche buon risultato la terapia genica.

SINDROME DI WISCKOTT-ALDRICH

Disordine recessivo legato al cromosoma X che colpisce i lattanti di sesso


maschile, caratterizzato da eczema, trombocitopenia e infezioni ricorrenti.

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Malattie da immunodeficienza

Le prime manifestazioni sono spesso di tipo emorragico (di solito diarrea


ematica), seguite poi da infezioni respiratorie ricorrenti. Nei pazienti più grandi di
10 anni che sopravvivono, sono frequenti (10%) i tumori maligni (in particolare il
linfoma e la leucemia linfoblastica acuta). I deficit immunologici caratteristici
comprendono scarse risposte anticorpali agli antigeni polisaccaridici, anergia
cutanea, deficit parziale delle cellule T, alti livelli di IgE e IgA, bassi livelli di IgM e
ipercatabolismo delle IgG ma livelli di IgG normali. A causa del deficit combinato
sia a carico della funzione B sia di quella T, si manifestano infezioni sostenute da
batteri piogeni, virus, funghi e P. carinii. Dal punto di vista ematologico, questi
pazienti hanno piastrine piccole e un aumento della distruzione splenica delle
piastrine stesse; di conseguenza, la splenectomia può ridurre la trombocitopenia.
Il difetto genico è stato localizzato nella regione Xp11.

Prognosi e terapia

In assenza di trapianto, la maggior parte dei pazienti muore entro i 15 anni di età;
tuttavia, i pazienti con le forme incomplete della malattia possono sopravvivere
fino all’età adulta. La terapia prevede la splenectomia, la somministrazione
continua di antibiotici, la somministrazione di IGEV (non IM, per il rischio di
emorragie) e il trapianto di midollo osseo.

ATASSIA-TELEANGECTASIA

Disordine multisistemico progressivo a trasmissione autosomica recessiva


caratterizzato da atassia cerebellare, teleangectasia congiuntivale e cutanea,
infezioni senopolmonari ricorrenti e deficit immunitario di vario grado.

Sia i sintomi neurologici sia i segni di immunodeficienza hanno un esordio


variabile. L’atassia si manifesta abitualmente nel periodo in cui i bambini
cominciano a camminare, ma può ritardare la sua comparsa fino ai 4 anni. La
sua progressione conduce a una grave invalidità. L’eloquio diviene impastato,
compaiono movimenti coreoatetoidi e oftalmoplegia e la debolezza muscolare
progredisce di solito fino all’atrofia. Può manifestarsi un ritardo mentale
progressivo. Le teleangectasie si manifestano tra 1 e 6 anni di età, in modo più
evidente sulla congiuntiva bulbare, sulle orecchie, sulle fosse antecubitali e
poplitee e ai lati del naso. Le infezioni senopolmonari ricorrenti, conseguenza dei
deficit immunologici, portano allo sviluppo di polmoniti ricorrenti, bronchiettasie e
pneumopatie croniche di tipo ostruttivo e restrittivo.

Possono verificarsi alterazioni endocrine, comprendenti la disgenesia gonadica,


l’atrofia testicolare e una rara forma di diabete mellito caratterizzata da
iperglicemia marcata, resistenza alla chetosi e notevole risposta insulinica
plasmatica al glucoso o alla tolbutamide.

La malattia è associata a un’alta incidenza di neoplasie maligne (specialmente


leucemie e tumori cerebrali e gastrici) e a un incremento delle rotture
cromosomiche, probabilmente indizio di un difetto di riparazione del DNA. Sono
state identificate anomalie genetiche. I pazienti sono spesso privi di IgA e di IgE e
presentano anergia cutanea e deficit progressivo dell’immunità cellulare. L’α2-
fetoproteina sierica è generalmente elevata.

Terapia

La terapia dell’immunodeficienza con antibiotici o IG è di una certa utilità, ma non


esiste un trattamento efficace per le alterazioni a carico del SNC. Il decorso è
conseguentemente caratterizzato da un progressivo deterioramento neurologico
con coreoatetosi, astenia muscolare, demenza e morte, solitamente entro i

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Malattie da immunodeficienza

30 anni.

SINDROME LINFOPROLIFERATIVA LEGATA AL CROMOSOMA X

Immunodeficienza primitiva caratterizzata dalla suscettibilità selettiva alle


infezioni da virus di Epstein-Barr (EBV).

Nonostante alcuni pazienti (il 10%) abbiano un’ipogammaglobulinemia congenita,


la maggioranza è del tutto normale fino a quando non si verifica un’infezione da
EBV. L’infezione da EBV può sfociare in una grave mononucleosi infettiva
progressiva con insufficienza epatica, una sindrome linfoproliferativa della linea
cellulare B, un’anemia aplastica e un’ipogammaglobulinemia. Circa il 75% dei
pazienti muore entro i 10 anni di età.

I pazienti affetti hanno ipogammaglobulinemia, diminuzione delle risposte


anticorpali (specialmente agli antigeni nucleari del EBV), scarse risposte
proliferative ai mitogeni, diminuzione della funzione delle cellule natural killer e
diminuzione delle cellule T con inversione del rapporto CD4:CD8.

Può essere eseguita la diagnosi genetica per mezzo della lunghezza dei
frammenti di restrizione del DNA, con la dimostrazione di un polimorfismo genico
nel locus XLP (Xq25-26) identico a quello di un membro della famiglia affetto o
portatore. In alcuni casi il trapianto di midollo osseo è risolutivo. L’acyclovir e le
IGEV per la prevenzione dell’infezione da EBV sono inefficaci.

SINDROME DA IPER-IgE

(Sindrome di Job-Buckley)

Sindrome da immunodeficienza caratterizzata da infezioni stafilococciche


ricorrenti, soprattutto della cute, e da livelli di IgE marcatamente elevati.

Alcuni pazienti mostrano un’ereditarietà di tipo autosomico dominante. Le


infezioni stafilococciche possono riguardare la cute, i polmoni, le articolazioni e
altre sedi. Alcuni pazienti hanno tratti somatici grossolani; altri hanno carnagione
chiara e capelli rossi. Sono comuni l’osteopenia e le fratture ricorrenti. Molti
soggetti presentano difetti della chemiotassi dei neutrofili. Tutti hanno livelli di IgE
notevolmente elevati (> 1000 UI/ml [> 2400 µg/l]). Talvolta sono presenti
manifestazioni allergiche (p. es. eczema, rinite e asma). Altre caratteristiche
comprendono lievi difetti dell’immunità B- e T-cellulare ed eosinofilia ematica e
tissutale. Il difetto di base potrebbe risiedere in un’anomalia immunoregolatoria a
carico delle cellule T.

Il trattamento consiste nella somministrazione intermittente o continua di


antibiotici. Il trimetoprim-sulfametossazolo è particolarmente efficace per la
profilassi.

MALATTIA GRANULOMATOSA CRONICA

Disordine ereditario della funzione battericida dei GB caratterizzato da lesioni


granulomatose diffuse della cute, dei polmoni e dei linfonodi,
ipergammaglobulinemia, anemia, leucocitosi e difetto dell’eliminazione di alcuni
batteri e funghi.

I pazienti sono per lo più maschi con ereditarietà di tipo recessivo legata al
cromosoma X; alcuni pazienti di entrambi i sessi presentano un’ereditarietà
autosomica recessiva. I GB non producono perossido di idrogeno, ione

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Malattie da immunodeficienza

superossido e altre specie attivate dell’O2 a causa di un difetto di attività della


nicotinamide adenin dinucleotide fosfato (NADPH) ossidasi. Le quattro
componenti strutturali della NADPH ossidasi sono due subunità di membrana (la
gp91 phox e la p22 phox) del citocromo b558 e due subunità proteiche citosoliche
(la p47 phox e la p67 phox). Nella variante legata al cromosoma X (57% dei
casi), il gene mutato riguarda la gp91 phox e nelle tre forme autosomiche
recessive il gene mutato riguarda la p47 phox (33% dei casi), la p22 phox (5%) o
la p67 phox (5%).

Sintomi, segni e diagnosi

La malattia esordisce di solito nella prima infanzia, ma in alcuni pazienti può


tardare fino alla pubertà. Il quadro clinico è caratterizzato da infezioni ricorrenti
sostenute da microrganismi produttori di catalasi, p. es. Staphylococcus aureus,
Serratia, Escherichia coli e Pseudomonas, i quali normalmente non provocano
granulomi, ma che a causa del difetto dei meccanismi battericidi riescono a
sopravvivere all’interno delle cellule.

Le caratteristiche cliniche comprendono linfoadeniti suppurative,


epatosplenomegalia, polmonite e segni ematologici di infezione cronica. Si
possono manifestare anche rinite persistente, dermatite, diarrea, ascessi
perianali, stomatite, osteomielite, ascessi cerebrali, lesioni ostruttive del tratto GI
e GU (per formazione di granulomi) e ritardo di crescita. La diagnosi di
laboratorio si pone in base alla ridotta capacità di riduzione del colorante nitroblu
di tetrazolio (NBT) da parte dei granulociti, oppure con l’identificazione di un
deficit della funzione battericida.

Terapia

La terapia consiste nella somministrazione continua o intermittente di antibiotici.


Anche il trapianto di midollo osseo è stato efficace. È in via di sperimentazione la
terapia con interferone.

DEFICIT DI ADESIVITA' LEUCOCITARIA

(Deficit di MAC-1/LFA-1/CR3)

Disordine autosomico recessivo della funzione leucocitaria caratterizzato da


infezioni necrotiche ricorrenti o progressive dei tessuti molli, periodontiti, scarsa
capacità di cicatrizzazione delle ferite, leucocitosi e ritardato distacco (più di
3 settimane) del cordone ombelicale.

I lattanti gravemente colpiti presentano infezioni multiple a decorso rapidamente


e progressivamente ingravescente, con exitus entro i 5 anni. I pazienti affetti da
una forma clinica più moderata presentano un decorso meno grave e
sopravvivono fino all’età giovanile; la gravità è correlata con il grado di deficit
delle glicoproteine di adesione situate sulla superficie dei GB, le quali facilitano le
interazioni cellulari, la motilità cellulare e le interazioni con i componenti del
complemento. Di conseguenza, i loro granulociti (e linfociti) non mostrano una
buona attività chemiotattica, un buono svolgimento delle reazioni citotossiche, né
una valida fagocitosi nei confronti dei batteri.

La diagnosi si pone mettendo in evidenza l’assenza o la notevole diminuzione di


questi antigeni sulla superficie dei GB, grazie all’impiego di anticorpi monoclonali
(p. es. anti-CD11 o anti-CD18 per la LFA-1) e della citometria a flusso.

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Malattie da immunodeficienza

Terapia

La terapia consiste nell’energica (spesso continua) somministrazione di


antibiotici. La terapia con interferonγ riduce la gravità e la frequenza delle
infezioni, probabilmente incrementando l’attività antimicrobica non ossidativa. La
dose usuale è di 50 µg/m2 somministrati SC per 3 volte alla settimana. In diversi
pazienti è risultato efficace il trapianto di cellule staminali.

SINDROMI DA DEFICIT SPLENICO

Suscettibilità alle infezioni dovuta a splenectomia, ad assenza congenita della


milza o ad asplenia funzionale provocata dalla trombosi dei vasi splenici (anemia
a cellule falciformi) o da malattie infiltrative (tesaurismosi).

La milza è uno degli organi principali per la funzione fagocitaria, appartenente al


sistema reticolo-endoteliale (sistema dei fagociti mononucleati) il quale è
deputato alla cattura dei microrganismi circolanti. La milza è anche una delle sedi
principali della sintesi degli anticorpi (v. Cap. 141). I pazienti asplenici, e in
particolare i bambini piccoli, sono suscettibili allo sviluppo di infezioni batteriche a
decorso rapidamente progressivo sostenute da Haemophilus influenzae,
Escherichia coli, pneumococchi e streptococchi, nonché, più di rado, ad altre
infezioni. A questi pazienti deve essere somministrata a scopo profilattico una
copertura antibiotica continua almeno durante i primi 2 o 3 anni di vita e in
seguito essi devono assumere antibiotici fin dall’esordio di ogni episodio febbrile
e in occasione di ogni intervento chirurgico. Essi devono inoltre essere vaccinati
contro lo pneumococco, il meningococcico e l’Haemophilus. Con tale terapia, la
prognosi è buona.

IMMUNODEFICIENZE DA PROTIDO-DISPERSIONE

Perdita di proteine sieriche che conduce a un deficit anticorpale secondario con


ipogammaglobulinemia di notevole entità.

L’ipogammaglobulinemia può essere dovuta alla perdita di proteine sieriche


attraverso il rene (sindrome nefrosica), la cute (ustioni o dermatiti gravi) o il
tratto GI (enteropatia protido-disperdente, linfangectasia intestinale).
Contemporaneamente si ha perdita di albumina e di altre proteine sieriche.

Nei disordini protido-disperdenti GI può verificarsi anche perdita di linfociti, che


porta a linfopenia e deficit dell’immunità cellulare. Questi pazienti sono suscettibili
alle infezioni sostenute dai principali microrganismi gram +, ma poiché si verifica
un aumento compensatorio della produzione di anticorpi le infezioni possono
essere relativamente poco frequenti, nonostante la gravità della
ipogammaglobulinemia.

La correzione della patologia di base risolve l’immunodeficienza. Quando ciò non


è possibile, si può ottenere un parziale beneficio con la somministrazione di
trigliceridi a catena intermedia, che in questi disordini riducono la perdita di Ig e di
linfociti dal tratto GI.

IMMUNODEFICIENZA DOVUTA A MALNUTRIZIONE

La malnutrizione con deficit immunitario e infezioni costituisce la principale causa


di morte neonatale e infantile nel mondo. Quando la malnutrizione è abbastanza
grave da ridurre il peso corporeo a < 80% del peso ideale medio, si cominciano a
notare i primi deterioramenti della funzione immunitaria; quando la crescita

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Malattie da immunodeficienza

è < 70% della media attesa, di solito si verifica una grave compromissione della
funzione immunitaria. La maggior parte di questi pazienti (eccetto quelli affetti da
anoressia nervosa) risulta straordinariamente suscettibile alle infezioni
respiratorie, alle malattie virali e alle gastroenteriti. Queste infezioni aumentano le
richieste metaboliche e riducono l’appetito, portando a una malnutrizione e a
un’immunodeficienza sempre più gravi.

Il difetto immunologico è costituito principalmente da un deficit dell’immunità


cellulare con anergia cutanea, ridotto numero di cellule T, scarse risposte
proliferative ai mitogeni e agli antigeni e deficit della produzione di linfochine
(interferone) e dell’attività citotossica. I livelli di anticorpi secretori possono essere
diminuiti, ma le Ig sieriche sono solitamente normali o aumentate, soprattutto le
IgE. Il grado della compromissione immunitaria dipende dalla gravità e dalla
durata della malnutrizione e dalle patologie sottostanti (p. es. infezioni e altri
deficit nutrizionali). Con il ripristino di uno stato nutrizionale adeguato, il deficit
immunologico regredisce rapidamente (v. anche Cap. 2).

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E


BAMBINI SANI

FISIOLOGIA PERINATALE

Sommario:

Introduzione
Ventilazione e funzione polmonare
Circolazione
Escrezione della bilirubina
Emoglobina fetale
Situazione immunologica del feto
LA FAGOCITOSI
IMMUNITÀ CELLULARE (CELLULE T)
IMMUNITÀ ANTICORPALE

Il normale passaggio da un feto a termine, immerso nel liquido amniotico e


totalmente dipendente dalla placenta per gli scambi gassosi, per le funzioni
nutritive ed escretrici, a un neonato che emette il primo vagito e piange è fonte di
meraviglia. I disordini neonatali rappresentano l’insuccesso di tale passaggio.
Nelle pagine successive verranno esaminate diverse aree di fisiologia perinatale.

Ventilazione e funzione polmonare

Durante il periodo fetale, la placenta provvede agli scambi di O2 e CO2. Lo


sviluppo dei polmoni fetali si realizza durante tutta la gestazione e, a partire dalla
25a sett., sono presenti alveoli quasi completamente maturi. I polmoni fetali
producono continuamente un liquido, costituito in parte da trasudato dei capillari
polmonari e in parte dal surfactante polmonare secreto dagli pneumociti di tipo II.

I movimenti respiratori fetali si verificano intermittentemente, di solito in circa 1/3


del tempo, durante la fase di sonno con movimenti oculari rapidi (REM). Il liquido
polmonare si muove lungo l’albero tracheobronchiale e contribuisce a formare il
liquido amniotico. I movimenti respiratori fetali sembrano essere essenziali per lo
sviluppo polmonare e per il controllo neuromuscolare del respiro di cui il neonato
ha bisogno per sopravvivere.

Affinché alla nascita si verifichi un normale scambio gassoso, è necessaria una


pronta rimozione del liquido interstiziale polmonare e del liquido alveolare. Ciò si
può verificare attraverso due meccanismi. (1) Al momento del parto vaginale, la
compressione del torace fetale provoca l’eliminazione di una parte di liquido
polmonare. Nel momento in cui il torace viene espulso si verifica un rimbalzo
elastico delle costole che richiama aria nell’albero respiratorio. Il primo forte
sforzo inspiratorio riempie ulteriormente gli alveoli di aria. (2) I livelli fetali di
adrenalina e noradrenalina aumentano durante il travaglio e incrementano
l’assorbimento attivo di sodio e acqua, attraverso l’epitelio respiratorio, mediante i
canali epiteliali del sodio. La sindrome del polmone umido neonatale (tachipnea
transitoria del neonato, v. Patologia respiratoria nel Cap. 260) è probabilmente
causata da un ritardato riassorbimento attivo di sodio e liquido polmonare fetali

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

attraverso i canali epiteliali del sodio.

Poiché gli alveoli polmonari fetali sono ripieni di liquido, la tensione superficiale
non rappresenta un problema per i movimenti respiratori fetali. A seguito del
primo respiro, dopo la nascita, gli alveoli contengono aria e si formano allora
interfacce aria/liquido, poiché uno strato di liquido riveste la superficie alveolare.
Al momento del primo respiro, il surfactante polmonare viene normalmente
secreto in questo strato di liquido; in caso contrario, un’eccessiva tensione
superficiale determinerebbe un collasso alveolare (atelettasia) e incrementerebbe
notevolmente il lavoro respiratorio. Il surfactante polmonare (una complessa
miscela costituita da fosfolipidi, inclusi fosfatidilcolina, fosfatidilglicerolo,
fosfatidilinositolo, grassi neutri e tre proteine attive di superficie) è in gran parte
contenuto in inclusioni lamellari negli pneumociti di tipo II ed è rilasciato in grandi
quantità al momento del primo atto respiratorio.

Entro le 34-35 sett. di gestazione, viene solitamente prodotta una sufficiente


quantità di surfactante per prevenire diffuse atelettasie, che rappresentano il
principale problema nella sindrome del distress respiratorio (v. nel Cap. 260).

Circolazione

Durante la circolazione fetale le resistenze arteriolari polmonari sono così elevate


che il flusso ematico polmonare è ridotto (soltanto il 5-10% della gittata cardiaca).
Al contrario, nella circolazione sistemica la resistenza al flusso ematico è bassa,
specialmente a causa della bassa resistenza al flusso ematico attraverso la
placenta. La bassa PaO2 sistemica fetale (circa 25 mm Hg) insieme con la
produzione locale di prostaglandine mantiene pervio il dotto arterioso fetale. A
causa delle elevate resistenze polmonari, il sangue proveniente dal ventricolo
destro scorre da destra a sinistra, dall’arteria polmonare attraverso il dotto
arterioso nell’aorta. Un altro shunt destro-sinistro si verifica attraverso il forame
ovale pervio. Nel feto la pressione atriale sinistra è bassa a causa del ridotto
ritorno ematico polmonare, mentre la pressione atriale destra è relativamente alta
per il notevole ritorno ematico dalla placenta. La differenza di pressione esistente
fra i due atri mantiene pervio il forame ovale e permette al sangue di passare
dall’atrio destro al sinistro.

Dopo i primi atti respiratori, che determinano l’aumento del flusso ematico
polmonare e la chiusura del forame ovale, si verifica una profonda modificazione
a livello della circolazione. Le resistenze arteriolari polmonari cadono
improvvisamente come risultato della vasodilatazione derivante dall’espansione
polmonare, dall’aumentata PaO2 e dalla ridotta PaCO2. Inoltre l’introduzione di
aria determina, a livello alveolare, un’interfaccia aria-liquido che favorisce il
collasso alveolare (v. sopra); queste forze sono contrastate dalle forze elastiche
delle costole e della parete toracica. Di conseguenza, cade la pressione
interstiziale polmonare, determinando un ulteriore aumento del flusso ematico
attraverso i capillari polmonari.

Quando il flusso ematico polmonare si stabilizza, il ritorno venoso polmonare


aumenta e la pressione in atrio sinistro si innalza. L’introduzione d’aria fa
aumentare la PaO2, determinando la costrizione delle arterie ombelicali. Il flusso
ematico placentare si riduce o cessa del tutto e si riduce il ritorno ematico all’atrio
destro. In questo modo, la pressione atriale destra diminuisce mentre la
pressione atriale sinistra aumenta; il risultato è la chiusura del forame ovale.

Subito dopo la nascita le resistenze sistemiche superano quelle polmonari e si ha


un’inversione dalla situazione fetale. Quindi, la direzione del flusso ematico
attraverso il dotto arterioso pervio si inverte, creando uno shunt ematico sinistro-
destro (denominato circolazione di transizione). Questa situazione persiste da
subito dopo la nascita (quando aumenta il flusso ematico polmonare e si verifica
la chiusura funzionale del forame ovale) fino a circa 24 h di vita, quando si ha la
chiusura del dotto arterioso. Il sangue proveniente dall’aorta che entra nel dotto
arterioso e nei suoi vasa vasorum ha un’alta PO2 che, insieme alle variazioni nel
metabolismo delle prostaglandine, determina una vasocostrizione e la chiusura

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

del dotto arterioso. Al momento della chiusura del dotto arterioso si instaura la
circolazione di tipo adulto. I due ventricoli adesso pompano in serie e non
esistono shunt maggiori tra le circolazioni polmonare e sistemica.

Durante i primi giorni di vita, in caso di distress neonatale, si può avere il ritorno a
una circolazione di tipo fetale. L’asfissia, con ipossia e ipercapnia, causa la
vasocostrizione delle arteriole polmonari e la dilatazione del dotto arterioso, con
inversione dei processi sopra descritti e con la realizzazione di uno shunt destro-
sinistro attraverso il dotto arterioso nuovamente pervio e/o il forame ovale
riaperto. Di conseguenza, il neonato presenta una grave ipossiemia, condizione,
questa, denominata ipertensione polmonare persistente o circolazione fetale
persistente (naturalmente non c’è la circolazione placentare). Il trattamento si
propone di rimuovere le condizioni che determinano la vasocostrizione
polmonare.

Escrezione della bilirubina

Questo processo inizia durante la vita fetale. Le emazie vecchie o danneggiate


vengono rimosse dal circolo tramite le cellule reticoloendoteliali, che, in seguito,
convertono l’eme in bilirubina (1 g di Hb produce 34 mg di bilirubina). Questa
bilirubina non coniugata, che è legata all’albumina sierica, viene quindi
trasportata mediante la circolazione al fegato. Gli epatociti fetali, contenenti
proteine leganti, captano dal sangue la bilirubina libera nei sinusoidi epatici. In
seguito l’enzima glicuronil-transferasi coniuga la bilirubina con l’acido
uridindifosfoglicuronico (UDPGA), formando bilirubina diglicuronide (bilirubina
coniugata) che è secreta attivamente nei canalicoli biliari. La bilirubina
diglicuronide raggiunge il meconio nel tratto GI, ma non può essere eliminata
dall’organismo, perché il feto normalmente non elimina le feci. L’enzima β-
glicuronidasi, presente nell’orletto a spazzola della mucosa dell’intestino tenue
fetale, viene rilasciato nel lume intestinale, dove rimuove il legame bilirubina-
glicuronide; la bilirubina libera (non coniugata) viene poi riassorbita a livello
intestinale e rientra nella circolazione fetale. La bilirubina fetale viene allontanata
dal circolo mediante il passaggio transplacentare nel plasma materno secondo
gradiente di concentrazione. Il fegato materno poi coniuga ed elimina la bilirubina
fetale.

Alla nascita viene a mancare la placenta per cui il fegato del neonato deve
efficacemente captare, coniugare e secernere la bilirubina nella bile, in modo che
possa essere eliminata con le feci. Tuttavia, nel neonato mancano i batteri
intestinali in grado di ossidare nell’intestino la bilirubina in urobilinogeno; di
conseguenza, la bilirubina, escreta come tale nelle feci, conferisce loro un
caratteristico colore giallo vivo. L’apparato GI del neonato (come quello fetale)
contiene β-glicuronidasi che deconiuga parte della bilirubina, che può così essere
riassorbita e ritornare in circolo dal lume intestinale come bilirubina non coniugata
(circolo enteroepatico della bilirubina), contribuendo alla determinazione
dell’iperbilirubinemia fisiologica e dell’ittero fisiologico (v. anche Cap. 260).
L’alimentazione produce il riflesso gastro-colico e la bilirubina viene dunque
eliminata con le feci prima che la gran parte di essa venga deconiugata e
riassorbita.

Emoglobina fetale

A causa dell’elevata affinità dell’Hb fetale per l’O2, viene mantenuto attraverso la
placenta un elevato gradiente di concentrazione dell’O2, determinando un
abbondante passaggio di O2 dalla circolazione materna a quella fetale. Questa
aumentata affinità per l’O2 è meno utile dopo la nascita, poiché l’Hb fetale rilascia
meno facilmente O2 ai tessuti; ciò può essere molto dannoso se coesiste una
grave affezione respiratoria o cardiaca. Il passaggio dall’Hb fetale a quella adulta
inizia prima della nascita.

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Il brusco aumento della PaO2, da circa 25-30 mm Hg nel feto a 90-95 mm Hg nel
neonato normale, determina una caduta dei livelli sierici di eritropoietina, che
spiega la ridotta produzione di GR che si verifica normalmente alla nascita e
persiste per 6-8 sett. Questa ridotta attività del midollo osseo determina
un’anemia fisiologica, soprattutto nei neonati prematuri in cui la massa corporea
e il volume ematico sono in rapido aumento. Tuttavia, la diminuzione dell’Hb
induce, alla fine, una ridotta tensione di O2 tissutale e quindi un’aumentata
increzione di eritropoietina, che stimola il midollo osseo a produrre nuovi GR.
L’eritropoietina può rivelarsi efficace nel trattamento dell’anemia del prematuro
(da non confondere con l’anemia da carenza di ferro, che di solito non si verifica
prima dei 4-6 mesi di vita).

Situazione immunologica del feto

Alla nascita la maggior parte dei meccanismi immunitari presenta una


funzionalità direttamente proporzionale all’età gestazionale, ma anche nel nato a
termine, essa è minore rispetto agli adulti. Ne deriva che, il neonato e il lattante
(specialmente nel periodo di età compreso fra 3 e 12 mesi) presentano una
immunodeficienza transitoria significativa, che coinvolge tutte le componenti del
sistema immunitario, esponendo il neonato al rischio di gravi infezioni. Tale
rischio può essere incrementato dalla prematurità, da un parto distocico, dalla
presenza di malattie materne, da sofferenza neonatale e da farmaci (p. es.,
immunosoppressori e anticonvulsivanti). La ridotta risposta infiammatoria del
neonato contribuisce all’aumento della suscettibilità alle infezioni e può spiegare
la mancanza di segni clinici di localizzazione (p. es., febbre o meningismo),
diversamente da ciò che succede nei bambini più grandi durante un processo
infettivo. (Le vaccinazioni vengono trattate più avanti in Vaccinazioni nell’infanzia.)

LA FAGOCITOSI

Nel feto, le cellule deputate alla fagocitosi, già presenti nello stadio di sviluppo del
sacco vitellino, sono importanti per la risposta infiammatoria nei confronti di
infezioni batteriche e micotiche. I granulociti e i monociti compaiono
rispettivamente durante il 2o e 4o mese di gestazione. La loro attività funzionale
aumenta con l’aumentare dell’età gestazionale, ma è ancora bassa nel nato a
termine.

Il monocita circolante è il precursore del macrofago fisso tissutale, che è in grado


di effettuare la fagocitosi in utero e ha una bassa o normale attività microbicida
nel nato a termine. I macrofagi degli alveoli polmonari raggiungono la loro sede al
momento della nascita e aiutano a liberare gli alveoli dai detriti del liquido
amniotico e dai microrganismi. Questi e altri macrofagi tissutali, come quelli della
milza, hanno una ridotta attività fagocitica.

Alla nascita, l’ultrastruttura dei neutrofili è normale, ma sono ridotte la


deformabilità di membrana e l’adesività, il che può condizionare funzioni cellulari
quali la chemiotassi e la fagocitosi. L’attività fagocitica e microbicida dei neutrofili
e dei monociti è di solito normale nel neonato sano dopo 12 h di vita; è ridotta,
invece, nel neonato di basso peso alla nascita o nel nato a termine asfittico.

Nella maggior parte dei neonati, la chemiotassi dei neutrofili e dei monociti è
ridotta a causa di un’anomalia intrinseca della locomozione cellulare e
dell’adesività alle superfici. Quest’ultima può essere attribuita all’incapacità di
aumentare l’espressione di superficie delle glicoproteine di adesione e alla
riduzione della fibronectina. Il siero neonatale possiede inoltre una ridotta
capacità di produrre fattori chemiotattici (sostanze che attraggono i fagociti nei
luoghi di invasione microbica). La ridotta chemiotassi dei monociti neonatali può
contribuire all’instaurarsi dell’anergia cutanea, tipica del neonato. La chemiotassi
raggiunge i livelli dell’adulto dopo diversi anni dalla nascita.

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L’opsonizzazione è necessaria per un’efficiente fagocitosi di molti microrganismi.


I fattori opsonizzanti del siero comprendono gli anticorpi di classe IgG e IgM
(termostabili) e il complemento (termolabile). A differenza delle IgG, le IgM e le
frazioni del complemento non attraversano la placenta. Le IgM opsonizzano i
batteri gram - più efficacemente di quanto non facciano le IgG, ma, per un’attività
opsonizzante sierica ottimale, è necessario il complemento. La sintesi dei fattori
del complemento inizia fin dalle 5 sett. di gestazione, ma i livelli della maggior
parte dei componenti della via classica e della via alternativa raggiunge, entro il
termine della gestazione, solamente il 50-75% dei livelli dell’adulto. I leucociti del
neonato hanno recettori Fc e C3 normali per entrambi i gruppi di opsonine, ma i
recettori C3 subiscono lentamente, dopo stimolazione, un aumento di
espressione sulla superficie cellulare. L’attività opsonizzante del siero varia con
l’età gestazionale, essendo ridotta nei lattanti di basso peso alla nascita nei
confronti di tutti i microrganismi testati e nei neonati a termine è solitamente
ridotta nei confronti di alcuni germi, in particolare i batteri gram -. La diminuita
attività opsonizzante sierica è responsabile, almeno in parte, della ridotta
efficienza alla nascita del sistema reticoloendoteliale.

IMMUNITÀ CELLULARE (CELLULE T)

Alla 6a sett. circa di gestazione, il timo inizia a svilupparsi dall’epitelio della 3a e


4a tasca faringea. A 8 sett., il timo si sviluppa rapidamente; entro le 12 sett., si
sono sviluppate le aree corticale e midollare. Entro le 14 sett., sono presenti nel
timo le maggiori sottoclassi timocitiche (timociti a tripla marcatura: CD3-, CD4-,
CD8-; timociti a doppia marcatura: CD4+, CD8+; timociti a marcatura singola: CD4
+ o CD8+). Già a 14 sett., sono presenti nel fegato e nella milza fetali cellule T
CD4+ e CD8+, il che indica che, a questa età gestazionale, sono presenti negli
organi linfatici periferici cellule T mature.

Il timo è particolarmente attivo durante lo sviluppo fetale e nel primo periodo di


vita postnatale. Esso cresce rapidamente in utero e si può facilmente
evidenziare, nel neonato normale, in una radiografia del torace; raggiunge le
massime dimensioni a 10 anni di vita e regredisce poi, gradualmente, nel corso di
molti anni. Si ritiene che il timo, durante il periodo fetale e quello perinatale, sia il
mediatore della tolleranza verso gli antigeni "self" e che sia essenziale per lo
sviluppo e la maturazione del tessuto linfoide periferico. Gli elementi epiteliali del
timo producono sostanze, come le citochine, che sono importanti per la
differenziazione e la maturazione delle cellule T.

Il numero di cellule T nella circolazione fetale aumenta gradualmente durante il


secondo trimestre di gestazione e raggiunge valori quasi normali entro le 30-32
sett. di gestazione. Alla nascita, il neonato, rispetto all’adulto, presenta una
linfocitosi relativa, con un aumentato rapporto CD4+/CD8+, che riflette una
percentuale di cellule T CD8+ relativamente bassa. Dopo la nascita, nel
compartimento T-cellulare periferico avvengono variazioni nelle sottoclassi
linfocitiche. Tuttavia, a differenza di quanto accade negli adulti, il compartimento
T-cellulare del neonato contiene soprattutto cellule T CD4+ immature, che
esprimono il CD45RA e bassi livelli di CD29. Invece, i linfociti del sangue
periferico dell’adulto sono soprattutto cellule T CD4+ di memoria che esprimono il
CD45RO e livelli relativamente elevati di CD29. Il significato di tale differenza nei
marker di membrana delle cellule T può essere correlato alle differenze nella
capacità di rispondere ad antigeni e di produrre citochine delle diverse
sottopopolazioni T-cellulari. Per esempio, le cellule T neonatali sono di scarso
aiuto per le cellule B nella sintesi delle immunoglobuline. Mentre sembra essere
adeguata la secrezione di interleuchina (IL)-2 da parte delle cellule T neonatali, la
produzione di molte altre citochine, come, interferone-γ, IL-4, IL-5 e IL-3 è
deficitaria, se comparata a quella delle cellule T dell’adulto in risposta a vari
stimoli.

Alla nascita, l’attività citotossica, includendo la natural-killer, quella anticorpo-


dipendente e quella delle cellule T killer è considerevolmente ridotta rispetto a
quella dei linfociti degli adulti. Inoltre, l’attività delle cellule T suppressor è
notevolmente aumentata, a seconda dello stimolo, il che può essere messo in

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

relazione al fenotipo poco elaborato delle cellule T CD4+ del neonato. Il risultato
finale è una parziale immunodeficienza T-cellulare che può determinare
un’aumentata suscettibilità alle infezioni e, in rare circostanze, l’attecchimento di
linfociti materni o trasfusi. Numerosi fattori, come infezioni virali, iperbilirubinemia
e assunzione materna di farmaci verso la fine della gravidanza, possono
deprimere la funzionalità dei linfociti T del neonato.

Le risposte ai test cutanei che valutano l’ipersensibilità ritardata, sono ridotte fino
a circa 1 anno di vita. La persistenza di linfociti materni e la malattia del trapianto
contro l’ospite sono rare nei nati a termine e ciò indica che la funzionalità T-
cellulare è adeguata nei neonati a termine.

IMMUNITÀ ANTICORPALE

I linfociti B sono presenti nel midollo osseo, nel sangue, nel fegato e nella milza
del feto entro la 12a sett. di gestazione. Tracce di IgM e IgG sono sintetizzate
entro la 20a sett. e tracce di IgA entro la 30a sett. Tuttavia, poiché il feto
normalmente si trova in un ambiente privo di antigeni, vengono prodotte in utero
soltanto piccole quantità di immunoglobuline (specialmente IgM). Livelli elevati di
IgM nel sangue cordonale (> 20 mg/dl) indicano un’esposizione in utero ad
antigeni, di solito per una infezione congenita. Quasi tutte le IgG sono di
derivazione materna, per passaggio transplacentare. Dopo 22 settimane di
gestazione, il passaggio transplacentare di IgG aumenta per raggiungere, al
termine della gestazione, i valori materni o valori maggiori. Le IgG2 passano
attraverso la placenta in minor quantità rispetto alle altre sottoclassi di IgG (IgG1
> IgG3 > IgG4 > IgG2). Nei prematuri i livelli di IgG alla nascita sono ridotti
proporzionalmente all’età gestazionale.

Dopo la nascita, il catabolismo delle IgG di origine materna, che hanno un’emivita
di circa 25 giorni, determina, nel periodo di vita tra i 2 e i 6 mesi, una
ipogammaglobulinemia fisiologica, che inizia a migliorare dopo il 6o mese,
quando il tasso di IgG prodotte dal bambino supera la quota di anticorpi di
derivazione materna distrutti. Il prematuro, in particolare, può diventare
profondamente ipogammaglobulinemico durante i primi 6 mesi di vita. Entro 1
anno di vita i livelli di IgG sono circa il 70% dei livelli medi dell’adulto. Le IgA, IgM,
IgD e IgE non attraversano la placenta. I loro livelli aumentano lentamente; da
valori molto bassi raggiungono circa il 30% di quelli dell’adulto entro 1 anno di
vita. Le immunoglobuline raggiungono i livelli dell’adulto approssimativamente
come segue: a 1 anno le IgM, a 8 anni le IgG e a 11 anni le IgA. Le IgA
secretorie sono scarse o assenti nelle secrezioni salivari e gastrointestinali del
neonato a termine fino a circa 1 mese dopo la nascita.

Il neonato presenta una risposta anticorpale insufficiente nei confronti di molti


antigeni, inclusi quelli vaccinali. Le risposte anticorpali agli antigeni polisaccaridici
come quelli dell’Haemophilus e dello pneumococco sono ridotte nei primi 2 anni
di vita, a meno che non siano coniugate all’anatossina difterica. Quando si
verifica una risposta nei confronti di questi batteri, durante un’infezione, di solito è
caratterizzata da una risposta prolungata di tipo IgM e ridotta di tipo IgG. I nati a
termine sono protetti, grazie agli anticorpi materni acquisiti passivamente, nei
confronti della maggior parte dei potenziali patogeni. I neonati di peso molto
basso alla nascita non sono così protetti poiché le più basse quantità di anticorpi
materni scompaiono entro 2-4 mesi di vita. Tuttavia, nei prematuri si può avere
una risposta ai vaccini, p. es., difterite-pertosse-tetano e polio, sebbene non
efficace come nei neonati a termine.

Il trasferimento passivo dell’immunità materna, tramite anticorpi di tipo IgG


transplacentari e fattori immunitari contenuti nel latte materno, aiuta a
compensare l’immaturità del sistema immunitario del neonato e determina una
immunocompetenza nei confronti di molte infezioni batteriche gravi (p. es., da
pneumococco, Haemophilus, meningococco) e virali (p. es., morbillo, varicella).
D’altra parte, le IgG acquisite passivamente possono, a volte, inibire la risposta
del neonato nei confronti della vaccinazione contro virus come il morbillo o la
rosolia. Il latte materno contiene molti fattori antibatterici (p. es., IgG, IgA

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

secretorie, GB, frazioni del complemento, lisozima e lattoferrina) che vanno a


rivestire il tubo digerente e le vie respiratorie superiori, prevenendo la
colonizzazione delle mucose da parte di germi patogeni per il tratto respiratorio o
enterico. L’allattamento al seno è particolarmente importante nei casi in cui
l’acqua può essere inquinata.

Nonostante l’uso di antibiotici e i tentativi fatti per potenziare l’immaturo sistema


immunitario del neonato, la morbilità e la mortalità legate alle infezioni neonatali
rimangono significative. Studi recenti hanno suggerito il possibile impiego di
gammaglobuline immuni o iperimmuni nel trattamento di alcune infezioni
neonatali (p. es., infezioni da streptococco di gruppo B e da virus respiratorio
sinciziale). Sebbene i dati sulla loro efficacia siano controversi, trasfusioni di
leucociti a dosi adeguate possono essere utili nel trattamento della sepsi
neonatale. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per stabilire le indicazioni
all’utilizzo di tali trasfusioni.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

PATOLOGIA RESPIRATORIA

Le patologie respiratorie descritte più avanti rappresentano comunemente una


minaccia per la vita e richiedono cure intensive e speciali procedure. Per questo
motivo, la ventilazione meccanica, l’ossigenazione extracorporea e la paralisi
muscolare vengono trattate per prime, seguite dalla trattazione delle specifiche
patologie respiratorie.

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Malattie sistemiche da funghi

Manuale Merck

13. MALATTIE INFETTIVE

158. MALATTIE SISTEMICHE DA FUNGHI

(Micosi sistemiche)

Sommario:

Introduzione
Principi diagnostici generali
Principi generali di terapia

In questo capitolo vengono trattate le principali micosi sistemiche. Le


dermatofitosi e le altre infezioni cutanee vengono trattate nel Cap. 113; le
malattie polmonari provocate da ipersensibilità ai funghi sono trattate nel Cap. 76
e quelle con interessamento pleurico nel Cap. 80; le malattie fungine che
interessano il sistema GU sono trattate nel Cap. 227.

Principi diagnostici generali

Molti dei funghi responsabili sono opportunisti e risultano patogeni soltanto se


infettano un soggetto defedato (v. anche Cap. 151). Le infezioni da funghi
opportunisti sono particolarmente frequenti in pazienti sottoposti a terapie con
corticosteroidi, con immunosoppressivi o con antimetaboliti: tali infezioni tendono
anche a presentarsi in pazienti con AIDS, insufficienza renale, diabete mellito,
bronchiettasie, enfisema, TBC, linfomi, leucemie e ustioni. Tipiche infezioni
opportunistiche sono: candidiasi, aspergillosi, mucormicosi (ficomicosi),
nocardiosi e criptococcosi. (La nocardiosi è trattata nel Cap. 157.) Nei pazienti
immunocompetenti le micosi disseminate con polmonite e setticemia sono rare.
In tali pazienti le lesioni polmonari si possono sviluppare lentamente. Le micosi
sistemiche che colpiscono soggetti gravemente immunocompromessi hanno
spesso una presentazione acuta o subacuta, con polmonite rapidamente
progressiva, fungemia o manifestazioni di disseminazione extrapolmonare.

Le malattie fungine che si presentano come infezioni primarie possono avere una
distribuzione geografica particolare. Per esempio negli USA la coccidioidomicosi
è praticamente confinata nel Sud-Ovest; l’istoplasmosi si verifica soprattutto negli
stati orientali e centro-occidentali; la blastomicosi è limitata al Nord America e
all’Africa; mentre la paracoccidioidomicosi, a volte denominata blastomicosi del
Sud America, è confinata a tale continente. I viaggiatori, tuttavia, possono
manifestare la malattia qualche tempo dopo essere divenuti infetti e dopo il
ritorno a casa da viaggi nelle aree endemiche.

Nei soggetti immunocompetenti le micosi sistemiche hanno tipicamente un


decorso cronico. Possono trascorrere mesi o addirittura anni prima che venga
consultato un medico o che venga effettuata la diagnosi. I sintomi, raramente
intensi, in tali micosi croniche, possono essere febbre, brivido, sudori notturni,
anoressia, perdita di peso, malessere generale e depressione.

Quando un fungo si diffonde a partire da un focolaio primario nel polmone, le


manifestazioni possono essere caratteristiche. Per esempio la criptococcosi si
manifesta abitualmente come meningite cronica, l’istoplasmosi progressiva
disseminata come un interessamento generalizzato del sistema

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Malattie sistemiche da funghi

reticoloendoteliale (fegato, milza, midollo) e la blastomicosi come lesione cutanea


singola o multipla.

Test immunosierologici sono disponibili per molte micosi sistemiche, ma pochi


permettono di giungere a una diagnosi definitiva. Tra i test più utili vi sono quelli
che misurano i prodotti antigenici specifici dei microrganismi, in particolare quello
per il Cryptococcus neoformans e, più recentemente, per l’Histoplasma
capsulatum. Alcuni test, quali la fissazione del complemento per anticorpi anti-
coccidio, sono specifici e non richiedono una conferma con l’incremento del titolo:
essi possono pertanto fornire la conferma diagnostica così come un’indicazione
sul rischio relativo di disseminazione extrapolmonare. Nella meningite cronica la
positività della fissazione del complemento per gli anticorpi anti-coccidio nel LCR
rappresenta spesso l’unica indicazione diagnostica sulla necessità di effettuare
una terapia antimicotica aggressiva. La maggior parte dei test di determinazione
degli anticorpi antifungini è tuttavia di limitata utilità. Molti possiedono una bassa
sensibilità e/o specificità e, poiché la determinazione di titoli anticorpali elevati o
di un loro incremento richiede molto tempo, non sono utili nell’indirizzare la
terapia iniziale.

Le diagnosi vengono abitualmente confermate mediante l’isolamento del fungo


responsabile dall’espettorato, dalle urine, dal sangue, dal midollo osseo o da
campioni provenienti dal tessuto infetto. Il significato clinico di un esame colturale
positivo dall’espettorato può essere difficile da interpretare per i microrganismi
commensali (p. es., Candida albicans) o per quelli che sono diffusi nell’ambiente
(p. es., Aspergillus sp). Pertanto il ruolo eziologico può essere stabilito con
certezza solo dalla conferma di un’invasione tissutale.

Al contrario delle malattie virali e batteriche, le infezioni fungine possono spesso


essere diagnosticate mediante esame istopatologico, con un alto grado di
attendibilità sulla base delle caratteristiche morfologiche peculiari dell’invasione
micotica piuttosto che sulla base dell’identificazione di anticorpi specifici.
Tuttavia, l’identificazione definitiva può essere difficile, soprattutto quando sono
visibili pochi microrganismi; pertanto la diagnosi istopatologica quando possibile
deve essere confermata dall’esame colturale. La valutazione dell’attività
dell’infezione si basa sulle colture ottenute da molti siti differenti, sulla presenza
di febbre, sulla conta dei leucociti, sui dati clinici, sui parametri di laboratorio
correlati a uno specifico coinvolgimento d’organo (p. es., test di funzionalità
epatica) e, in alcune micosi, sui test immunosierologici.

Principi generali di terapia

I farmaci per la terapia antimicotica sistemica comprendono l’amfotericina B,


differenti derivati azolici e la flucitosina. In aggiunta alla chemioterapia
antimicotica e alla terapia medica generica, per eliminare alcune infezioni
localizzate può essere necessaria la chirurgia. I farmaci di scelta per le specifiche
infezioni micotiche sistemiche sono riportati nella Tab. 158-1.

Amfotericina B: nonostante la sua elevata tossicità, l’amfotericina B rimane la


terapia standard per la maggior parte delle micosi sistemiche potenzialmente
letali. Per le micosi croniche la terapia viene generalmente iniziata con 0,3 mg
EV, con un graduale incremento giornaliero 0,1 mg/kg finquando non sia
raggiunta la dose massima desiderata (abitualmente da 0,4 a 1,0 mg/kg in unica
somministrazione, ma di solito senza superare i 50 mg/die). Se i pazienti
tollerano gli effetti tossici acuti delle infusioni più concentrate, la dose EV
quotidiana può essere gradualmente modificata in una schedula più conveniente
a giorni alterni utilizzando il doppio della dose massima giornaliera. Trattamenti
prolungati possono anche essere modificati in modo da diminuirne la frequenza e
utilizzando schedule di somministrazione più convenienti (p. es., 3 volte a
settimana). Per le micosi acute potenzialmente letali, l’amfotericina B, se
tollerata, viene iniziata utilizzando la dose massima richiesta (0,6-1,0 mg/kg/die).
Per alcune micosi opportunistiche rapidamente progressive (p. es., aspergillosi
invasiva) a volte sono state utilizzate dosi picco fino a 1,5 mg/kg/die,
generalmente suddivise in due o tre infusioni EV separate.

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Malattie sistemiche da funghi

La formulazione standard di amfotericina B colloidale deossicolato, deve sempre


essere somministrata in soluzione glucosata al 5%, in quanto i sali (compresa la
soluzione fisiologica e il KCl) possono far precipitare il farmaco. Viene
generalmente somministrata in 2-3 ore, anche se infusioni più rapide comprese
tra 20 e 60 minuti nella maggior parte dei pazienti risultano sicure. Le reazioni
sono solitamente lievi, ma alcuni pazienti possono presentare brivido, febbre,
nausea, vomito, anoressia, cefalea e a volte ipotensione. Viene spesso utilizzata
una premedicazione con acetaminofene o aspirina. La minoranza dei pazienti
che sviluppa febbre elevata, nausea, vomito o ipotensione possono ottenere un
vantaggio dalla somministrazione EV di 25-50 mg di idrocortisone; questo può
quindi essere aggiunto alle successive infusioni EV per prevenire o ridurre le
reazioni. In molti casi di trattamento prolungato l’idrocortisone può essere ridotto
e quindi sospeso. Tremori e brividi intensi possono essere alleviati o prevenuti
dalla meperidina, 50-75 mg EV. Può anche verificarsi una tromboflebite chimica.

La somministrazione intratecale di amfotericina B viene talora utilizzata nel


trattamento della meningite cronica, in genere attraverso iniezione diretta
intracisternale o mediante un serbatoio sottocutaneo del tipo Ommaya connesso
a un catetere intraventricolare. Possono verificarsi cefalea, nausea e vomito, ma
questi possono essere ridotti aggiungendo desametasone ad ogni
somministrazione intratecale. Talvolta vengono utilizzate somministrazioni
intratecali lombari a causa della penetrazione irregolare nelle aree cerebrali
coinvolte e degli effetti infiammatori locali potenzialmente gravi che possono
portare ad aracnoidite adesiva. Al momento dell’infusione in una siringa
contenente l’amfotericina B diluita in soluzione glucosata al 5% alla
concentrazione di 0,2 mg/ml vengono prelevati 10 ml o più di LCR. Dosi di 0,05-
0,5 mg vengono quindi iniettate lentamente, in 2 min o più. Molto spesso, se
tollerate, le dosi vengono gradualmente incrementate al massimo fino a uno
schema di 0,5 mg 3 volte a settimana.

Il principale rischio di tossicità della terapia con amfotericina B è la


compromissione della funzione renale. Prima e durante il trattamento devono
essere attentamente monitorizzate la creatinina sierica e l’azotemia.
L’amfotericina B è l’unico tra i farmaci antimicrobici nefrotossici a non essere
eliminato in maniera significativa attraverso il rene. Con il peggioramento della
funzionalità renale l’amfotericina B non si accumula in dosi crescenti; pertanto, in
presenza di anomalie moderate della funzione renale, la dose non deve essere
ridotta. Tuttavia, nei pazienti che iniziano la terapia con una normale funzionalità
renale, la dose di amfotericina B deve essere ridotta quando la creatinina sierica
aumenta oltre 3,0-3,5 mg/dl (265-309 µmol/l) o l’azotemia oltre 50 mg/dl
(18 mmol Urea/l). La nefrotossicità acuta può essere ridotta mediante
un’idratazione endovena con soluzione fisiologica prima dell’infusione
dell’amfotericina B. Le alterazioni lievi o moderate della funzionalità renale indotte
dall’amfotericina B in genere si risolvono gradualmente dopo il termine del
trattamento. Un danno permanente si verifica principalmente in quei pazienti che
vengono sottoposti a terapie prolungate nel tempo (per es., il 75% di quelli che
ricevono una dose totale di amfotericina B > 4 g sviluppa un deficit irreversibile
della funzionalità renale). In ogni paziente nel quale la funzionalità renale risulti
gravemente compromessa prima o durante la terapia con amfotericina B, la
decisione definitiva sul dosaggio dell’amfotericina B EV deve tener conto, rispetto
al rischio di insufficienza renale, della gravità della micosi sistemica e della
potenziale efficacia di farmaci antimicotici alternativi. Accanto alla tossicità renale
l’amfotericina B determina spesso una soppressione della funzione del midollo
osseo che si manifesta principalmente come anemia. L’epatotossicità o altri
effetti collaterali sono poco frequenti.

Recentemente sono stati valutati numerosi veicoli lipidici allo scopo di ridurre le
manifestazioni tossiche dell’amfotericina B pur mantenendone l’efficacia
terapeutica. Anche se tali preparazioni differiscono nella composizione, nella
tossicità acuta e nell’eliminazione sierica, esse concentrano la deposizione di
amfotericina B nel fegato, nella milza e nei polmoni e determinano una minor
tossicità rispetto alla tradizionale amfotericina B deossicolato. Con le
preparazioni lipidiche possono quindi essere somministrate con sicurezza più alte
dosi di farmaco. In Europa sono disponibili tre preparazioni ma solo una è stata
autorizzata negli USA. Quest’ultima, complesso lipidico di amfotericina B, ha un
utilizzo limitato solo all’aspergillosi invasiva che non risponda all’amfotericina B
colloidale o non possa essere trattata in maniera sicura con adeguate dosi della

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Malattie sistemiche da funghi

preparazione standard per un’alterazione della funzionalità renale. In pazienti con


differenti tipi di micosi sono in corso studi clinici per definire la sicurezza relativa e
l’efficacia di queste preparazioni di complessi lipidici così come della dispersione
colloidale dell’amfotericina B, della preparazione liposomiale di amfotericina B e
della nistatina incapsulata in liposomi (altro antimicotico polienico correlato
all’amfotericina B). Alcuni medici hanno addirittura utilizzato misture di
amfotericina B con Intralipid, ma queste sembrano meno efficaci. Le preparazioni
non sono state standardizzate, pertanto possono variare e la nefrotossicità non è
stata sensibilmente o consistentemente ridotta.

Azoli antifungini: questi farmaci non sono nefrotossici e possono essere


somministrati per via orale. Essi rendono possibile la terapia delle micosi
croniche in un regime ambulatoriale più semplice. Il primo di questi farmaci orali,
il ketoconazolo, è stato superato dai più recenti, più efficaci e meno tossici
derivati triazolici quali il fluconazolo e l’itraconazolo.

Il fluconazolo è idrosolubile e dopo somministrazione orale viene assorbito quasi


completamente. Viene principalmente eliminato immodificato nelle urine e
possiede un’emivita > 24 h, elemento che ne permette l’uso in unica
somministrazione quotidiana. È dotato di un’elevata penetrazione nel LCR ( 70%
dei livelli sierici) ed è diventato utile soprattutto nel trattamento della meningite
criptococcica e da coccidioide (v. oltre). Esso inoltre offre un’efficace alternativa
meno tossica rispetto all’amfotericina B nel trattamento della candidemia nei
pazienti non neutropenici. Anche se originariamente è stato approvato per il
trattamento delle micosi sistemiche al dosaggio di 200-400 mg al giorno, per
alcuni pazienti gravemente malati da alcuni tipi di micosi possono essere
necessarie dosi più elevate, quali 800 mg/die (v. oltre) e in alcuni trial limitati
sono state utilizzate persino dosi quotidiane 1000 mg senza un’apparente
eccessiva tossicità.

La Candida cruzii è tipicamente fluconazolo-resistente, mentre la Candida


(Torulopsis) glabrata è generalmente meno sensibile rispetto alla C. albicans.
Recentemente stanno aumentando in maniera progressiva altri tipi di Candida sp
fluconazolo-resistenti, anche in relazione al ripetuto e diffuso utilizzo del farmaco
per il trattamento e la prevenzione della candidosi e di altre micosi. Finora la
maggior parte degli isolati resistenti di Candida sembra comunque sensibile
all’itraconazolo anche se alcuni non lo sono. Di particolare interesse sono le
segnalazioni di Candida fluconazolo-resistente in pazienti senza AIDS e mai
sottoposti in precendenza a terapia con azoli. Per evitare l’utilizzo indiscriminato
del fluconazolo è fortemente raccomandata una limitazione, almeno finquando
non si dimostrino inefficaci altre terapie per le candidosi mucocutanee.

Malessere GI e rash cutaneo sono i più comuni effetti collaterali. Una tossicità più
grave è rara, ma l’uso del fluconazolo è stato associato a necrosi epatica, alla
sindrome di Stevens-Johnson, ad anafilassi, ad alopecia e ad anomalie
congenite successive all’uso del farmaco oltre il primo trimestre di gravidanza. Le
interazioni con altri farmaci si verificano meno frequentemente con il fluconazolo
che con il ketoconazolo o l’itraconazolo. Tuttavia il fluconazolo talora determina
un incremento dei livelli sierici di ciclosporina, rifabutina, fenitoina, anticoagulanti
orali tipo warfarin, farmaci alla sulfonilurea quali la tolbutamide o zidovudina. La
rifampicina può ridurre i livelli ematici di fluconazolo.

L’itraconazolo è diventato il trattamento standard della sporotricosi linfocutanea


così come dell’istoplasmosi lieve o moderatamente grave, della blastomicosi e
della paracoccidioidomicosi. Inoltre si è dimostrato efficace in casi lievi di
aspergillosi invasiva, in alcuni casi di coccidioidomicosi e in alcuni tipi di
cromomicosi. Per l’elevata solubilità nei lipidi e legame proteico, i livelli ematici di
itraconazolo tendono a essere bassi ma i livelli tissutali sono generalmente
elevati. I livelli del farmaco nelle urine o nel LCR sono trascurabili. L’itraconazolo,
nonostante non sia il farmaco di scelta, è stato utilizzato con successo per
risolvere alcuni tipi di meningite micotica.

L’itraconazolo, come il ketoconazolo, per l’assorbimento richiede un pH acido,


pertanto i livelli ematici dopo somministrazione orale possono variare. Le
bevande acide (p. es., coca-cola, succhi di frutta acidi) o il cibo possono
migliorarne l’assorbimento. Tuttavia l’assorbimento può essere ridotto quando

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Malattie sistemiche da funghi

l’itraconazolo viene assunto con qualunque prescrizione o farmaco utilizzato per


ridurre l’acidità gastrica. Numerose sostanze possono ridurre le concentrazioni
sieriche dell’itraconazolo, tra queste la rifampicina, la rifabutina, la didanosina, la
fenitoina e la carbamazepina. Inoltre l’itraconazolo inibisce la degradazione
metabolica di altri farmaci determinandone un incremento dei livelli ematici con
conseguenze potenzialmente gravi. Aritmie cardiache gravi e talora fatali si
possono verificare se l’itraconazolo viene utilizzato con la cisapride o con alcuni
antiistaminici quali la terfenadina, l’astemizolo e forse la loratadina. Rabdomiolisi
è stata associata con l’incremento dei livelli ematici di ciclosporina o di farmaci
ipocolesterolemizzanti quali lovastatina o la simvastatina indotto dall’itraconazolo.
Si può anche verificare un incremento dei livelli ematici di digossina, di
tacrolimus, di anticoagulanti orali o di ipoglicemizzanti orali quando tali sostanze
vengano utilizzate con l’itraconazolo.

Con dosi superiori a 400 mg/die i principali effetti collaterali sono di tipo GI ma
alcuni uomini hanno riportato impotenza mentre dosi più elevate possono
determinare ipokaliemia, ipertensione ed edema. Altri effetti collaterali descritti
comprendono rash allergico, epatite e allucinazioni.

Flucitosina: la flucitosina, analogo di un acido nucleico, è idrosolubile e ben


assorbita dopo somministrazione orale. Sono comuni resistenze al farmaco sia
preesistenti sia emergenti, tanto che viene quasi sempre utilizzata insieme a un
altro farmaco antifungino, generalmente l’amfotericina B. La flucitosina in
combinazione con l’amfotericina B viene principalmente utilizzata per il
trattamento della criptococcosi ma si è anche dimostrata utile in alcuni casi di
candidosi disseminata, di altre infezioni micotiche e di gravi aspergillosi invasive.
Occasionalmente la flucitosina da sola ha migliorato (ma probabilmente non
completamente curato) alcuni casi di cromomicosi. La flucitosina in recenti trial è
stata anche utilizzata in combinazione con antimicotici azolici. Quest’ultima
combinazione ha fornito promettenti risultati preliminari nella criptococcosi e in
alcuni casi di altre micosi ma rimane comunque sperimentale.

La dose abituale (150 mg/kg/die PO in 4 dosi frazionate) fornisce elevati livelli di


farmaco nel siero, nelle urine e nel LCR. Poiché la flucitosina viene
principalmente eliminata dal rene, le concentrazioni ematiche, non appena si
sviluppa nefrotossicità in corso di uso contemporaneo di amfotericina B,
soprattutto quando quest’ultima viene utilizzata a dosi > 0,4 mg/kg/die, tendono a
raggiungere livelli di tossicità. Si può anche verificare un’alterazione epatica
reversibile. Le concentrazioni sieriche di flucitosina devono essere monitorizzate
e il dosaggio corretto per mantenere concentrazioni sieriche entro un range di
circa 40-60 µg/ml per ridurre il rischio di piastrinopenia e leucopenia. Le
concentrazioni della flucitosina diventano spesso elevate durante le fasi precoci
della nefrotossicità da amfotericina B, quando la creatinina clearance aumenta in
maniera significativa senza un importante incremento dei livelli sierici di
creatinina. Pertanto, soprattutto se non possono essere misurati in tempi rapidi i
livelli ematici tempestivi, è prudente iniziare la terapia con la dosa più bassa
(100 mg/kg/die) e quindi modificare le dosi verso il basso utilizzando il
nomogramma accluso nella confezione in accordo con ogni ulteriore riduzione
della funzionalità renale.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

Sommario:

Introduzione
La classificazione di Gell e Coombs

L’ipersensibilità si riferisce a processi patologici che derivano da interazioni


immunologicamente specifiche tra antigeni (esogeni o endogeni) e anticorpi
umorali o linfociti sensibilizzati. Questa definizione esclude le patologie per le
quali la dimostrata presenza di anticorpi non riveste alcun significato
fisiopatologico conosciuto (p. es. gli anticorpi contro il tessuto cardiaco che si
riscontrano dopo interventi di cardiochirurgia o infarto del miocardio), anche se la
loro presenza può avere valore diagnostico.

Ogni classificazione dell’ipersensibilità sarà sempre una semplificazione. Alcune


sono basate sul tempo necessario afinché i sintomi o la positività dei test cutanei
facciano la loro comparsa dopo l’esposizione a un antigene (p. es. ipersensibilità
immediata e ritardata), sul tipo di antigene coinvolto (p. es. reazioni da farmaci) o
sulla natura del coinvolgimento d’organo. In aggiunta, le classificazioni non
tengono in considerazione il fatto che possono avere luogo simultaneamente più
tipi di risposta immunitaria o che più di un tipo di esse può essere necessario per
produrre un danno immunologico.

La classificazione di Gell e Coombs

Questa classificazione delle reazioni di ipersensibilità, che ne prevede quattro


tipi, viene impiegata diffusamente nonostante le sue limitazioni, perché è tuttora
la più soddisfacente.

Le reazioni di tipo I sono reazioni in cui gli antigeni (allergeni) si combinano con
anticorpi specifici della classe IgE che si trovano legati a recettori di membrana
sulle mast-cellule tissutali e sui basofili ematici. La reazione antigene-anticorpo
provoca il rapido rilascio di potenti mediatori vasoattivi e infiammatori, i quali
possono essere preformati (p. es. istamina, triptasi) o sintetizzati de novo a
partire dai lipidi di membrana (p. es. leucotrieni e prostaglandine). Nel volgere di
alcune ore, le mast-cellule e i basofili rilasciano anche citochine proinfiammatorie
(p. es. interleuchina 4 e interleuchina 13). Questi mediatori provocano
vasodilatazione, aumento della permeabilità capillare, ipersecrezione
ghiandolare, contrazione della muscolatura liscia e infiltrazione tissutale da parte
di eosinofili e altre cellule infiammatorie.

Le reazioni di tipo II sono reazioni citotossiche che avvengono quando un


anticorpo reagisce con le componenti antigeniche di una cellula o di elementi
tissutali, oppure con un antigene o un aptene che si trovi legato a una cellula o
un tessuto.

La reazione antigene-anticorpo può attivare alcune cellule citotossiche (cellule T


killer o macrofagi) per dare luogo alla citotossicità cellulo-mediata anticorpo-
dipendente. Essa comprende solitamente l’attivazione del complemento e può
provocare l’adesione opsoninica mediante il rivestimento della cellula con
l’anticorpo; la reazione procede con l’attivazione dei componenti del

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Disordini da ipersensibilità

complemento per mezzo del C3 (con conseguente fagocitosi della cellula) o con
l’attivazione di tutto il sistema complementare con conseguente citolisi o danno
tissutale.

Le reazioni di tipo III sono reazioni da immunocomplessi (IC) dovute al deposito


a livello dei vasi o dei tessuti di IC antigene-anticorpo solubili circolanti. Gli IC
attivano il complemento e innescano così una sequenza di eventi che conduce
alla migrazione di cellule polimorfonucleate e al rilascio di enzimi proteolitici
lisosomiali e di fattori di permeabilità nei tessuti, producendo in questo modo una
reazione infiammatoria acuta. Le conseguenze della formazione di IC dipendono
in parte dalla proporzione relativa di antigene e di anticorpo nell’IC. In presenza
di un eccesso di anticorpo, gli IC precipitano rapidamente nel punto in cui è
localizzato l’antigene (p. es. all’interno delle articolazioni nell’AR) oppure vengono
fagocitati dai macrofagi evitando così di produrre danno. In presenza di un lieve
eccesso di antigene, gli IC tendono a essere più solubili e possono causare
reazioni sistemiche in seguito alla deposizione in diversi tessuti.

Le reazioni di tipo IV sono reazioni di ipersensibilità cellulare, cellulo-mediata,


ritardata o di tipo tubercolinico prodotte da linfociti T sensibilizzati in seguito al
contatto con un antigene specifico.

Gli anticorpi circolanti non vi sono implicati, né sono necessari perché si sviluppi
il danno tissutale. La trasmissione dell’ipersensibilità ritardata dagli individui
sensibilizzati a quelli non sensibilizzati può avvenire attraverso i linfociti del
sangue periferico, ma non attraverso il siero.

I linfociti T sensibilizzati che sono stati innescati o attivati dal contatto con un
antigene specifico possono provocare il danno immunologico mediante un effetto
tossico diretto o attraverso la liberazione di sostanze solubili (linfochine). Nelle
colture tissutali, dopo la sensibilizzazione i linfociti T attivati distruggono le cellule
bersaglio per contatto diretto. Le citochine liberate dai linfociti T attivati
comprendono diversi fattori che influenzano l’attività dei macrofagi, dei neutrofili e
delle cellule killer linfoidi (v. Tab. 146-1).

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

Sommario:

Introduzione
Diagnosi
Terapia

I disordini compresi nell’ambito delle reazioni di ipersensibilità di tipo I sono le


malattie atopiche (rinite allergica, congiuntivite allergica, dermatite atopica e
asma allergico [estrinseco][v. Cap. 68]) e alcuni casi di orticaria e di reazioni GI
ad alimenti e di anafilassi sistemica. L’incidenza dell’asma è aumentata in modo
considerevole, nonostante le cause siano in gran parte sconosciute.
Recentemente è stato osservato un notevole aumento delle reazioni di tipo I in
relazione all’esposizione a proteine idrosolubili contenute nei prodotti in lattice
(p. es. guanti di gomma, paradenti, preservativi, cannule per l’assistenza
respiratoria, cateteri ed estremità di clisteri con cuffie in lattice gonfiabili),
particolarmente tra il personale medico e i pazienti esposti al lattice e tra i
bambini con spina bifida e difetti di sviluppo dell’apparato urogenitale. Reazioni
comuni al lattice sono l’orticaria, l’angioedema, la congiuntivite, la rinite, il
broncospasmo e l’anafilassi.

Di norma, i pazienti con malattie atopiche (compresa la dermatite atopica) hanno


una predisposizione ereditaria a sviluppare ipersensibilità mediata da
anticorpi IgE nei confronti di sostanze inalate e ingerite (allergeni) che risultano
innocue nelle persone non atopiche. Tranne nel caso della dermatite atopica,
l’ipersensibilità è solitamente mediata da anticorpi della classe IgE. Nonostante le
allergie alimentari mediate da IgE possano essere corresponsabili della
sintomatologia della dermatite atopica nei lattanti e nei bambini piccoli, questa
affezione è largamente indipendente da fattori allergici nei bambini più grandi e
negli adulti, anche se la maggior parte dei pazienti continua a presentare allergie
specifiche.

Diagnosi

Anamnesi: un esame retrospettivo dei sintomi, delle loro relazioni con l’ambiente
e con le variazioni di stagione e di circostanze, del loro decorso clinico e
dell’eventuale familiarità per problemi analoghi dovrebbe fornire informazioni
sufficienti per classificare la malattia come una forma atopica. L’anamnesi ha
maggior valore dei test di laboratorio per determinare se un paziente è allergico e
il paziente non deve essere sottoposto in maniera estensiva all’esecuzione di test
cutanei a meno che non esista una ragionevole evidenza clinica di atopia. L’età
di esordio può essere un indizio importante (p. es. l’asma infantile è più
probabilmente legato ad allergia di quanto non sia l’asma che insorge dopo i
30 anni). Indicativi sono anche i sintomi stagionali (p. es. correlati con specifiche
stagioni di impollinazione) o quelli che compaiono dopo il contatto con animali,
fieno o polveri, o che si manifestano in ambienti particolari (p. es. a casa). Vanno
presi in considerazione gli effetti di fattori contribuenti (p. es. il fumo di tabacco e
altri agenti inquinanti, l’aria fredda, l’attività fisica, l’alcol, taluni farmaci e le
situazioni stressanti).

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Disordini da ipersensibilità

Test non specifici: un aumento del numero degli eosinofili nel sangue e nelle
secrezioni è spesso associato con le malattie atopiche, specialmente l’asma e la
dermatite atopica. Nella dermatite atopica, i livelli sierici di IgE sono elevati e
aumentano ulteriormente nel corso delle esacerbazioni e diminuiscono durante i
periodi di remissione. Nonostante siano solitamente elevate, le concentrazioni
sieriche di IgE non sono utili dal punto di vista diagnostico nell’asma atopico e
nella rinite allergica. Occasionalmente, livelli di IgE molto elevati possono aiutare
a confermare la diagnosi di aspergillosi polmonare allergica (v. Cap. 76) o di
sindrome da iper-IgE (v. Cap. 147).

Test specifici: i test specifici vengono impiegati per confermare l’esistenza di


ipersensibilità a un particolare allergene o gruppo di allergeni. I test cutanei sono
il metodo più conveniente per confermare la presenza di un’ipersensibilità
specifica. Essi devono essere selettivi e il loro impiego deve essere basato sugli
indizi forniti dall’anamnesi. Le soluzioni impiegate per i test sono ottenute da
estratti di materiali inalati, ingeriti o iniettati (p. es. pollini di alberi, graminacee ed
erbe trasportati dal vento; acari della polvere; forfore e secrezioni di animali;
veleni di insetti; cibi; e penicillina e suoi derivati). Fino a non molto tempo fa,
pochi estratti allergenici erano standardizzati e la loro potenza era assai variabile.
Molti estratti di impiego comune sono adesso standardizzati.

Per l’esecuzione del prick test (test della puntura), che si effettua di solito per
primo, viene posta sulla cute una goccia di un estratto allergenico diluito; la cute
viene poi punteggiata o forata passando attraverso l’estratto, solitamente
premendo su di essa con l’estremità di uno specillo o di un ago 27 tenuta
inclinata con un angolo di 20°, finché la punta non vi penetra liberamente.

Per l’esecuzione del test intradermico viene iniettata (usando una siringa da 0,5
o 1 ml e un ago corto 27) la quantità di estratto sterile diluito sufficiente per
produrre una vescicola di 1-2 mm. Ogni serie di test cutanei deve comprendere
l’impiego del solo diluente come controllo negativo e dell’istamina (10 mg/ml della
soluzione base per il prick test o 0,1 mg/ml per il test intradermico) come
controllo positivo. Un test cutaneo viene considerato positivo se provoca entro
15 min una reazione eritemato-pomfoide con presenza di un pomfo di diametro
almeno 5 mm più grande del controllo.

Il prick test cutaneo è solitamente sufficiente per individuare un’ipersensibilità nei


confronti della maggior parte degli allergeni. Il test intradermico, più sensibile,
può essere quindi adoperato per saggiare allergeni inalatori sospetti che hanno
prodotto un prick test negativo o di dubbia interpretazione. Per le allergie agli
alimenti, il prick test da solo è diagnostico. I test intradermici per gli alimenti
hanno un’alta probabilità di provocare reazioni positive senza significato clinico,
come è stato dimostrato dai test di provocazione in doppio cieco per via orale.

Quando è impossibile eseguire i test cutanei diretti per la presenza di una


dermatite generalizzata, di un dermografismo estremo o dell’incapacità del
paziente a collaborare o a interrompere il test assumendo antiistaminici, si può
eseguire un test di radioallergoassorbimento (RadioAllergoSorbent Test,
RAST). Il RAST rileva la presenza di IgE sieriche specifiche per l’allergene
saggiato. Un allergene noto, sotto forma di un coniugato insolubile polimero-
allergene, viene miscelato con il siero da saggiare. Tutte le IgE specifiche per
l’allergene presenti nel siero si legheranno al coniugato. La quantità di IgE
specifiche per l’allergene presenti nel sangue del paziente viene determinata
aggiungendo alla miscela un anticorpo anti-IgE marcato con 125I e misurando la
quota di radioattività captata dal coniugato.

Il rilascio leucocitario di istamina, un test in vitro, rivela la presenza di IgE


specifiche per l’allergene sui basofili sensibilizzati misurando la liberazione di
istamina indotta dall’allergene da parte dei GB del paziente. Questo prezioso
strumento di indagine ha consentito di comprendere i meccanismi della risposta
allergica; come il RAST, esso non fornisce informazioni diagnostiche aggiuntive e
in ambito clinico viene utilizzato raramente, se non mai.

Quando un test cutaneo positivo solleva un dubbio sul ruolo svolto da un


particolare allergene nell’insorgenza della sintomatologia, si può eseguire un test

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Disordini da ipersensibilità

di provocazione. L’allergene può essere instillato negli occhi, applicato nelle


cavità nasali o fatto inalare per farlo giungere ai polmoni. Il test oftalmico non
offre alcun vantaggio rispetto ai test cutanei e viene impiegato raramente. Il test
di provocazione nasale, eseguito solo occasionalmente, è principalmente uno
strumento di ricerca. Il test di provocazione bronchiale, anch’esso
fondamentalmente uno strumento di ricerca, viene impiegato talvolta quando il
significato clinico di un test cutaneo positivo è poco chiaro o quando non sono
disponibili i reagenti per i test cutanei atti a dimostrare che i sintomi sono dovuti a
sostanze cui un paziente è esposto (p. es. nell’asma occupazionale). I test di
provocazione orale devono essere impiegati quando si sospetta che una
sintomatologia che si presenta con regolarità sia correlata all’alimentazione,
perché la positività dei test cutanei non è necessariamente significativa dal punto
di vista clinico. La negatività di un test cutaneo eseguito con una preparazione
antigenica affidabile, tuttavia, esclude la possibilità che la sintomatologia clinica
sia dovuta a quell’alimento. I test di provocazione rappresentano l’unica maniera
per saggiare gli additivi alimentari. (v. oltre per le diete di eliminazione e i test di
provocazione.)

Test con efficacia non provata: non esiste alcuna prova a sostegno
dell’impiego dei test di provocazione cutanei o sublinguali o dei test di tossicità
leucocitaria per la diagnosi delle allergie.

Terapia

Allontanamento: la terapia migliore consiste nell’eliminare l’allergene. Ciò può


richiedere un cambiamento di alimentazione, di occupazione o di residenza; la
sospensione di un farmaco; o l’allontanamento di un animale domestico. Alcuni
locali, privi di allergeni (p. es., ragweed), sono una sorta di rifugio per le persone
affette dalla malattia. Quando non è possibile evitare completamente il contatto
con l’allergene (come nel caso della polvere domestica), si può ridurre
l’esposizione rimuovendo gli arredi che raccolgono la polvere, i tappeti e i
tendaggi; utilizzando coperture di plastica sui materassi e i cuscini; lavando e
spolverando spesso; riducendo il livello di umidità degli ambienti; installando un
impianto di filtrazione dell’aria ad alta efficienza. Gli acaricidi non si sono
dimostrati clinicamente utili.

Immunoterapia allergenica: quando non è possibile evitare del tutto o


controllare a sufficienza il contatto con un allergene e la terapia medica non è in
grado di alleviare i sintomi della malattia atopica, si può tentare l’immunoterapia
allergenica (chiamata anche iposensibilizzazione o desensibilizzazione)
mediante l’iniezione sottocutanea di un estratto dell’allergene in dosi
progressivamente crescenti. Possono verificarsi diversi effetti, anche se nessun
test è correlato in maniera assoluta con il miglioramento clinico. Il titolo degli
anticorpi bloccanti (neutralizzanti) IgG aumenta proporzionalmente alla dose
somministrata. Talvolta, specialmente quando possono essere tollerate alte dosi
di un estratto di polline, il livello sierico degli anticorpi IgE specifici diminuisce
significativamente. Può essere diminuita anche la capacità di risposta dei linfociti
(proliferazione) all’antigene.

I risultati più soddisfacenti si ottengono quando le iniezioni vengono proseguite


per tutto l’anno. A seconda del grado di sensibilità, la dose di partenza è
compresa tra 0,1 e 1,0 unità biologicamente attive (Biologically Active Units,
BAU) per gli allergeni standardizzati dalla FDA. La dose viene aumentata una o
due volte a settimana a una quantità al doppio della dose precedente fino a
raggiungere la massima concentrazione tollerata (p. es., per gli estratti di polline
standardizzati, la dose di mantenimento va da 1000 a 4000 BAU). Una volta
raggiunta, la dose massima può essere mantenuta con somministrazioni ogni 4-
6 settimane per tutto l’anno; anche nelle allergie stagionali il trattamento
continuativo è più efficace rispetto ai metodi prestagionali o costagionali.

I principali allergeni usati per la desensibilizzazione sono quelli che in genere non
possono essere allontanati completamente: pollini, acari della polvere, muffe e
veleno di imenotteri. I veleni di insetto sono standardizzati in base al peso; una

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Disordini da ipersensibilità

dose iniziale tipica è 0,01 µg; la dose di mantenimento abituale varia da 100 a
200 µg. La desensibilizzazione alla forfora degli animali viene solitamente
riservata ai soggetti che non possono evitare l’esposizione (p. es. veterinari e
addetti ai laboratori), ma ci sono scarse prove che essa sia utile. La
desensibilizzazione agli alimenti non è necessaria. I metodi di
desensibilizzazione alla penicillina e al siero eterologo sono descritti nella
Ipersensibilità ai farmaci, oltre.

Reazioni avverse: i pazienti sono spesso estremamente sensibili, specialmente


agli allergeni dei pollini e se si somministra loro una dose eccessiva possono
verificarsi reazioni variabili da una leggera tosse o starnutazione fino all’orticaria
generalizzata, all’asma grave, allo shock anafilattico e, molto raramente, alla
morte. Per prevenire tali reazioni bisogna osservare le seguenti precauzioni:
aumentare la dose per piccoli incrementi, ripetere la stessa dose (o anche
diminuirla) se la reazione locale indotta dall’iniezione precedente è ampia
( 2,5 cm di diametro) e ridurre la dose quando si usa un estratto nuovo. Spesso è
buona norma ridurre la dose degli estratti di polline durante la stagione
dell’impollinazione. L’iniezione IM ed EV deve essere evitata.

Nonostante tutte le precauzioni, talvolta si verificano ugualmente reazioni


sfavorevoli. Dal momento che le reazioni gravi, pericolose per la vita (anafilassi)
si sviluppano di solito entro 30 min, i pazienti devono restare in osservazione per
questo lasso di tempo. I segni di una reazione imminente possono essere gli
starnuti, la tosse, un senso di costrizione toracica o un rossore generalizzato, i
formicolii e il prurito. Maggiori dettagli sulla sintomatologia e il trattamento sono
esposti sotto Anafilassi, oltre.

Antiistaminici: l’alleviamento dei sintomi con la terapia farmacologica non va


trascurato, finché il paziente è in via di valutazione e sono in via di elaborazione
strategie di controllo o di trattamento più specifiche. L’uso di antiistaminici,
simpaticomimetici, cromoglicato e glucocorticoidi per le singole malattie è
descritto oltre. In generale, l’impiego precoce dei glucocorticoidi è giustificato
nelle condizioni potenzialmente invalidanti autolimitantisi e di durata
relativamente breve (attacchi stagionali di asma; pneumopatia infiltrativa;
dermatite da contatto grave), mentre un impiego prudente dei glucocorticoidi può
essere necessario qualora altre misure terapeutiche si rivelino insufficienti a
mantenere sotto controllo una condizione cronica.

Le differenze farmacologiche tra i vari antiistaminici si manifestano per lo più nei


loro effetti sedativi e antiemetici e in altri effetti a livello del SNC, come pure nelle
loro proprietà anticolinergiche, antiserotoniniche e anestetiche locali. Gli
antiistaminici con effetti anticolinergici costituiscono un problema specialmente
nell’anziano.

Gli antiistaminici sono utili nel trattamento dei sintomi delle allergie, comprendenti
la febbre da fieno stagionale, la rinite allergica e la congiuntivite. Sono
moderatamente efficaci nella rinite vasomotoria. L’orticaria acuta e cronica e
alcune dermatosi allergiche pruriginose rispondono bene. Essi sono utili anche
nel trattamento delle reazioni da incompatibilità trasfusionale di minore gravità e
delle reazioni sistemiche ai mezzi di contrasto radiografici iniettati EV. Essi sono
di limitata utilità nella terapia del raffreddore comune, ma grazie ai loro effetti
anticolinergici (v. oltre) possono ridurre la rinorrea.

L’istamina è distribuita ampiamente nei tessuti dei mammiferi. Nell’uomo le


concentrazioni più elevate si osservano nella cute, nei polmoni e nella mucosa
GI. Essa è presente principalmente nei granuli intracellulari delle mast-cellule, ma
ne esiste anche un’importante quota extramastocitaria nella mucosa gastrica, e
quantità più piccole nel cervello, nel cuore e in altri organi. La liberazione di
istamina dai granuli di deposito delle mast-cellule può essere innescata da un
insulto tissutale di tipo fisico, da diverse sostanze chimiche (compresi gli irritanti
tissutali, gli oppiacei e gli agenti tensioattivi) e, meccanismo di gran lunga
predominante, dalle interazioni antigene-anticorpo.

La funzione omeostatica specifica dell’istamina non è ancora stata chiarita. Le


sue azioni, che nell’uomo si esplicano soprattutto a livello del sistema
cardiovascolare, della muscolatura liscia extravascolare e delle ghiandole

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Disordini da ipersensibilità

esocrine, sembrano essere mediate da due recettori diversi: H1 e H2. Questo


capitolo tratterà dei recettori H1 e dei loro antagonisti (anti-H1). Per i recettori e gli
antagonisti H2, v. Terapia in Malattia peptica ulcerosa nel Cap. 23.

A livello del sistema cardiovascolare, l’istamina è un potente vasodilatatore


arteriolare che può provocare un esteso sequestro ematico periferico e
ipotensione. Essa aumenta inoltre la permeabilità capillare deformando il
rivestimento endoteliale delle venule postcapillari, con dilatazione degli spazi
intercellulari endoteliali ed esposizione della superficie della membrana basale.
Questa azione accelera la fuoriuscita di plasma e di proteine plasmatiche dal
letto vascolare e, insieme alla dilatazione arteriolare e capillare, può causare uno
shock circolatorio. L’istamina dilata anche i vasi cerebrali, fenomeno che può
avere un ruolo nella cefalea vasomotoria.

La risposta tripla è mediata dalla liberazione locale intracutanea di istamina, che


causa eritema locale da vasodilatazione, formazione di un pomfo dovuto a
edema locale per aumento della permeabilità capillare e arrossamento
secondario a un meccanismo neuronale riflesso che produce un’area circostante
di vasodilatazione arteriolare. In altri distretti muscolari lisci, l’istamina può indurre
una grave broncocostrizione e stimola la motilità GI. A livello delle ghiandole
esocrine, essa aumenta la secrezione delle ghiandole salivari e bronchiali; a
livello delle ghiandole endocrine, stimola il rilascio di catecolamine dalle cellule
cromaffini del surrene, effetto che sembra essere mediato anch’esso dai
recettori H1. A livello delle terminazioni nervose sensitive, l’instillazione locale di
istamina può provocare intenso prurito.

Antagonisti H1: gli antiistaminici convenzionali possiedono una catena laterale


etilaminica sostituita (simile a quella dell’istamina) legata a uno o più gruppi
ciclici. La somiglianza tra la porzione etilaminica della istamina e la struttura
etilaminica sostituita degli anti-H1 suggerisce che questa configurazione
molecolare sia importante per le interazioni con il recettore. Gli anti-H1 sembrano
agire per inibizione competitiva; essi non alterano in maniera significativa la
produzione o il metabolismo dell’istamina.

Gli anti-H1, somministrati per via orale o rettale, sono generalmente ben assorbiti
dal tratto GI. L’azione ha inizio di solito entro 15-30 min e raggiunge l’effetto
massimo in 1 h; la durata d’azione è solitamente di 3-6 h, ma alcuni antagonisti
agiscono considerevolmente più a lungo.

Gli effetti antiistaminici degli anti-H1 si evidenziano soltanto in presenza di un


aumento di attività dell’istamina. Essi contrastano gli effetti dell’istamina sulla
muscolatura liscia GI, ma nell’uomo la reazione allergica a livello della
muscolatura liscia bronchiale non dipende principalmente dal rilascio di istamina
e non risponde in maniera efficace ai soli antiistaminici. Gli anti-H1 bloccano
efficacemente l’aumento della permeabilità capillare e la stimolazione nervosa
sensitiva indotti dall’istamina, inibendo così la formazione dell’edema,
l’arrossamento, il prurito, la starnutazione e la secrezione mucosa. Tuttavia,
questi farmaci sono soltanto parzialmente efficaci nel far regredire la
vasodilatazione e l’ipotensione indotte dall’istamina. Altri effetti clinici diversi
dall’azione antagonista sull’istamina vengono discussi più avanti.

La Tab. 148-1 illustra sinteticamente il dosaggio, la via e la frequenza di


somministrazione di alcuni anti-H1 di comune impiego. È possibile che la
somministrazione nei bambini debba essere più frequente rispetto a quella negli
adulti, a causa dell’emivita più breve degli antiistaminici (con le eccezioni
riportate in tabella). Questi farmaci sono tutti antagonisti dei recettori H1; le loro
differenze farmacologiche risiedono principalmente nel tipo e nell’intensità dei
loro effetti secondari.

Poiché molti anti-H1 causano depressione del SNC e sonnolenza, essi talvolta
vengono utilizzati come sedativi e ipnotici. Tuttavia, le alchilamine e i nuovi
farmaci privi di effetto sedativo (astemizolo, cetirizina e loratadina) sono utili
quando non si desidera indurre sedazione. D’altro canto, essi sono notevolmente
più costosi e alcuni sono responsabili di interazioni farmacologiche pericolose (v.

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Disordini da ipersensibilità

oltre). Le etanolamine deprimono in modo significativo il SNC; sebbene siano


meno potenti e affidabili dei barbiturici e di altri sedativi a effetto centrale, esse
sono utili come sedativi e ipnotici ma possiedono spiccate proprietà
anticolinergiche, pertanto possono risultare scarsamente tollerati dagli anziani. Le
etilendiamine inducono una depressione del SNC di grado minore, ma hanno
maggiori effetti collaterali GI, rispetto alle etanolamine.

Il derivato etanolaminico difenidramina e il suo sale cloroteofillinico dimenidrinato,


l’analogo fenotiazinico prometazina e le piperazine (ciclizina e meclizina)
vengono tutti utilizzati per prevenire o trattare le chinetosi e per alleviare la
nausea e le vertigini legate alla labirintite. La ciclizina, l’idrossizina e la meclizina
sono state sospettate di essere teratogene negli animali e probabilmente non
devono essere somministrate durante la gravidanza.

Gli anti-H1 fenotiazinici e la prometazina in particolare, sono utili come sedativi e


risultano efficaci per la terapia sintomatica della nausea legata alla radioterapia e
ad alcuni farmaci antitumorali; per quest’ultimo impiego essi sono meno efficaci
della proclorperazina e della clorpromazina.

La maggior parte degli anti-H1 possiede una certa azione anticolinergica che può
rendere conto della modesta attività antiparkinsoniana esplicata a livello centrale
e dell’alleviamento sintomatico della rinorrea in corso di infezioni delle vie aeree
superiori esercitata a livello periferico. In associazione con gli anestetici locali,
alcuni anti-H1 sono stati impiegati per applicazioni topiche sulla cute sotto forma
di creme e lozioni per ridurre il prurito. Tuttavia l’applicazione topica degli
antiistaminici etilendiaminici comporta un rischio considerevole di
sensibilizzazione farmacologica; essi non sono più approvati per questo tipo di
impiego.

Gli effetti collaterali indesiderabili e la tossicità degli anti-H1 sono molto rari;
essi comprendono: anoressia, nausea, vomito, stipsi, diarrea, dolenzia
epigastrica, riduzione dell’attenzione, riduzione della capacità di concentrazione,
sonnolenza e debolezza muscolare. Alterazioni della crasi ematica (p. es.
leucopenia, agranulocitosi, trombocitopenia e anemia emolitica) si manifestano
raramente. Il sovradosaggio è accompagnato dalla comparsa di effetti
anticolinergici: secchezza delle fauci, palpitazioni, senso di costrizione toracica,
ritenzione urinaria, disturbi visivi, convulsioni, allucinazioni e, in seguito,
depressione respiratoria, febbre, ipotensione e midriasi. Essi sono spesso un
problema soprattutto negli anziani.

Gli antiistaminici non sedativi astemizolo e cetirizina non devono essere


somministrati insieme agli antibiotici della classe dei macrolidi, perché inibiscono
il loro metabolismo. Alcuni di questi farmaci sono aritmogeni (non la loratadina e
la fexofenadina). Infine, tutti tranne la loratadina presentano un rischio di
categoria C durante la gravidanza.

Gli inibitori dei leucotrieni hanno un effetto antagonista a livello dei recettori per i
leucotrieni D oppure inibiscono la sintesi dei leucotrieni, impedendo il
broncospasmo. Essi hanno effetti clinici favorevoli, ma il loro ruolo nella terapia
dell’asma non è ancora stabilito.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

23. GASTRITE E MALATTIA ULCEROSA PEPTICA

MALATTIA PEPTICA ULCEROSA

Escoriazione di un tratto della mucosa GI, generalmente nello stomaco (ulcera


gastrica) o nei primi centimetri del duodeno (ulcera duodenale), che penetra
attraverso la muscularis mucosae.

Sommario:

Introduzione
Eziologia e patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Complicanze
Terapia

L'ulcera può avere un diametro variabile da diversi millimetri a diversi centimetri.


Le ulcere sono distinte dalle erosioni sulla base della profondità della
penetrazione; le erosioni sono, infatti, più superficiali e non coinvolgono la
muscularis mucosae.

Poiché è sempre più evidente il ruolo centrale dell'H. pylori nella patogenesi della
malattia acido-peptica, la diagnosi e la terapia dell'ulcera peptica sono
profondamente cambiate.

Eziologia e patogenesi

Sebbene le teorie tradizionali sulla patogenesi delle ulcere peptiche si basino


sull'ipersecrezione acida, questo reperto non è sempre presente e attualmente si
sa che l'ipersecrezione non è il principale meccanismo con cui si forma la
maggior parte delle ulcerazioni. Sembra che alcuni fattori, in particolare l'H. pylori
e i FANS, distruggano le normali difesa e capacità riparativa della mucosa,
rendendola più sensibile all'attacco dell'acido.

I meccanismi attraverso cui l'H. pylori causa le lesioni mucose non sono
completamente chiari, ma sono state proposte molteplici teorie. L'ureasi prodotta
dagli organismi trasforma l'urea in ammonio. L'ammonio, mentre consente
all'organismo di sopravvivere nell'ambiente acido dello stomaco, può corrodere la
barriera mucosa, causando un danno epiteliale. Anche le citotossine prodotte
dall'H. pylori sono state implicate nel danno epiteliale dell'ospite. Gli enzimi
mucolitici (p. es., le proteasi batteriche, le lipasi) sembrano parimenti coinvolti
nella degradazione dello strato mucoso, rendendo l'epitelio più sensibile alla
lesione dell'acido. In ultimo, le citochine prodotte in risposta all'infiammazione
possono giocare un ruolo nel danno mucoso e nella conseguente ulcerogenesi.

I FANS probabilmente promuovono l'infiammazione mucosa e la formazione


dell'ulcera attraverso effetti sia topici che sistemici. Poiché i FANS sono degli
acidi deboli e non ionizzati al pH gastrico, si diffondono liberamente attraverso la
barriera mucosa nelle cellule gastriche epiteliali, dove vengono liberati gli ioni H+,
che causano il danno cellulare. Gli effetti sistemici sembrano essere mediati dalla

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

loro capacità di inibire l'attività della ciclo-ossigenasi e, quindi, la produzione di


prostaglandine. Attraverso l'inibizione della produzione di prostaglandine, i FANS
inducono diversi cambiamenti nel microambiente gastrico (p. es., una riduzione
del flusso ematico, una ridotta secrezione di muco e di HCO3, una riduzione delle
riparazioni cellulari e della loro replicazione), portando a un'interruzione dei
meccanismi di difesa.

Sintomi e segni

I sintomi dipendono dalla localizzazione dell'ulcera e dall'età del paziente; molti


pazienti, particolarmente quelli anziani, hanno una sintomatologia scarsa o nulla.
Il dolore è il sintomo più frequente; spesso è localizzato all'epigastrio e viene
alleviato dal cibo o dagli antiacidi. Il dolore viene descritto come un bruciore, un
dolore lacerante o una sensazione di fame. L'andamento è di solito cronico e
ricorrente. Solo la metà circa dei pazienti presenta il caratteristico corteo dei
sintomi.

I sintomi dell'ulcera gastrica, spesso, non seguono lo schema classico (p. es.,
l'assunzione del cibo, a volte, esacerba il dolore piuttosto che alleviarlo). Ciò è
vero in particolare per le ulcere piloriche che sono spesso associate a sintomi
ostruttivi (p. es., distensione epigastrica, nausea, vomito) causati dall'edema e
dalla cicatrizzazione.

Nei pazienti con ulcera duodenale, il dolore tende a seguire uno schema
costante. È assente quando il paziente si risveglia al mattino, ma compare a
metà mattinata; alleviato dall'assunzione di cibo, recidiva 2 o 3 h dopo il pasto. Il
dolore che risveglia il paziente di notte è frequente e altamente suggestivo di
ulcera duodenale.

Diagnosi

La diagnosi di ulcera peptica è suggerita dall'anamnesi e confermata dagli studi


descritti oltre. Il cancro dello stomaco si può presentare con manifestazioni simili
e deve essere escluso, specialmente nei pazienti più anziani, che hanno perso
peso o che riferiscono dei sintomi gravi o refrattari. L'endoscopia, la citologia e le
biopsie multiple sono strumenti affidabili per distinguere le ulcere gastriche
maligne da quelle benigne. L'incidenza di ulcere duodenali maligne è
estremamente bassa, quindi le biopsie non sono di solito giustificate. Le
neoplasie maligne che secernono gastrina e la sindrome di Zollinger-Ellison (v.
Tumori del pancreas nel Cap. 34) devono essere prese in considerazione in un
paziente che presenta una grave diatesi ulcerosa, specialmente quando le ulcere
sono multiple e rilevate in sedi atipiche (p. es., postbulbare).

L'endoscopia a fibre ottiche è un efficace strumento per la diagnosi e per il


trattamento della malattia peptica ulcerosa. Un esame diagnostico alternativo è
rappresentato dalla rx a doppio contrasto. Sebbene l'endoscopia e la radiologia
abbiano una sensibilità simile nell'individuazione dell'ulcera, l'endoscopia sta
diventando la modalità diagnostica di scelta. Questa accerta con maggiore
affidabilità la presenza di un'esofagite e delle ulcere esofagee così come le
ulcere localizzate sulla parete posteriore dello stomaco e sull'anastomosi
chirurgica. Viceversa, circa il 10% delle ulcere duodenali bulbari e postbulbari
possono non essere individuate endoscopicamente, a volte motivando un follow-
up con studio contrastografico se il sospetto clinico è elevato. L'endoscopia
permette anche la biopsia o l'esame citologico con brushing delle lesioni
gastriche ed esofagee per distinguere tra le semplici ulcerazioni e il cancro
ulcerato dello stomaco. L'endoscopia può essere usata anche per diagnosticare
in modo definitivo l'infezione da H. pylori.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Complicanze

Emorragia: l'emorragia (v. anche Cap. 22) è la più frequente complicanza della
malattia peptica ulcerosa. I sintomi includono l'ematemesi (vomito di sangue
fresco o di materiale "a posa di caffè"); l'emissione di feci ematiche o picee
(rispettivamente ematochezia e melena); e astenia, ipotensione ortostatica, sete
e sudorazione dovute alla perdita di sangue.

Se il sanguinamento da un'ulcera persiste o recidiva, esistono diverse possibilità


di trattamento. Può essere eseguita un'endoscopia e la sede del sanguinamento
può essere coagulata con l'elettrocauterio, con le sonde termiche o con il laser o
con l'iniezione di alcol, soluzioni sclerosanti o adrenalina. Il sanguinamento può,
comunque, recidivare anche dopo la coagulazione. L'embolizzazione per via
arteriografica del vaso che rifornisce la sede del sanguinamento può arrestare il
sanguinamento.

Dopo che l'ulcera è stata diagnosticata e il sanguinamento è stato controllato


endoscopicamente, al paziente, tenuto a digiuno, deve essere somministrata una
terapia acidosoppressiva EV con H2-antagonisti. Appena le condizioni del
paziente si sono stabilizzate senza evidenze di risanguinamento, può essere
ricominciata l'alimentazione per os, la terapia antisecretoria (H2-antagonisti o
inibitori della pompa protonica) può essere somministrata per via orale e, se
necessario, può essere iniziata la terapia per l'eradicazione dell'H. pylori.

Un intervento chirurgico d'emergenza è indicato quando la frequenza cardiaca, la


PA e l'ematocrito mostrano il continuo deterioramento delle condizioni del
paziente, nonostante il trattamento e le trasfusioni; quando sono state necessarie
> 6 trasfusioni nelle 24 h per mantenere stabili la PA e il polso; o quando il
sanguinamento si arresta, ma riprende in maniera tale da rendere necessarie più
trasfusioni.

Penetrazione (perforazione coperta): un'ulcera peptica può penetrare nella


parete dello stomaco o del duodeno ed entrare in uno spazio chiuso adiacente
(piccolo epiplon) o in un organo (p. es., pancreas, fegato). La formazione di
aderenze impedisce lo spandimento del succo gastrico nella cavità peritoneale. Il
dolore può essere intenso, persistente, riferito in sedi extra-addominali
(solitamente al dorso quando dovuto alla penetrazione nel pancreas di un'ulcera
duodenale posteriore) e modificato dalla posizione assunta dal paziente. Per
confermare la diagnosi sono di solito necessari lo studio radiologico con mezzo di
contrasto o la TC. Quando la terapia medica non esita nella guarigione è
necessaria la terapia chirurgica.

Perforazione libera: di solito, una perforazione libera si presenta con un quadro


di addome acuto. Le ulcere che si perforano in cavità peritoneale sono
solitamente localizzate nella parete anteriore del duodeno o, meno
frequentemente, dello stomaco. Il paziente avverte un dolore improvviso, intenso
e costante all'epigastrio che si irradia rapidamente a tutto l'addome, spesso
divenendo preminente nel quadrante inferiore destro e a volte riferito a una o a
entrambe le spalle. Solitamente il paziente giace immobile, poiché anche un
respiro profondo può aggravare il dolore. La palpazione dell'addome evoca
dolore, la reazione di difesa è importante, i muscoli addominali sono contratti
(come una tavola) e la peristalsi è ridotta o assente. Nel paziente anziano i
sintomi possono essere meno eclatanti, così come nel paziente terminale e in
quelli in trattamento con corticosteroidi o farmaci immunosoppressori.

La diagnosi viene confermata se una rx dell'addome eseguita in stazione eretta o


in decubito laterale, mostra la presenza di aria al di sotto del diaframma o nella
cavità peritoneale, ma non può essere esclusa se l'aria non viene visualizzata.

Il dolore e la contrattura addominale possono in parte diminuire e le condizioni


del paziente sembrano migliorate diverse ore dopo l'inizio della sintomatologia.
Tuttavia, in seguito, si può sviluppare una peritonite con aumento della
temperatura e un importante deterioramento delle condizioni del paziente. Si può
manifestare un quadro di shock, preannunciato da un aumento della frequenza
cardiaca e da una diminuzione della PA e della diuresi.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

Ostruzione gastrica: può essere causata dalla cicatrizzazione, da uno spasmo o


dall'infiammazione associati all'ulcera. I sintomi includono un vomito cospicuo e
ricorrente, che si verifica più frequentemente alla fine del giorno e spesso a
distanza di 6 h dall'ultimo pasto. Suggeriscono l'ostruzione gastrica anche un
senso persistente di distensione addominale e di ripienezza dopo i pasti e la
perdita di appetito. Un vomito di lunga durata può causare calo ponderale,
disidratazione e un'alcalosi.

Se la storia del paziente fa pensare a un'ostruzione, l'esame obiettivo,


l'aspirazione gastrica o gli studi rx possono fornire l'evidenza della ritenzione. Se
alla succussione si ascolta un rumore di liquido a più di 6 h dal pasto o se il
drenaggio nasogastrico dopo una notte di digiuno dà esito a > 200 ml di liquidi o
di residui alimentari, si deve pensare alla ritenzione gastrica. Se l'aspirazione
gastrica mostra una ritenzione marcata, lo stomaco deve essere svuotato e
devono essere eseguiti degli studi endoscopici o rx per stabilire la sede, la causa
e il grado dell'ostruzione.

L'edema o lo spasmo, dovuti a un'ulcera attiva del canale pilorico, sono trattati
con la decompressione gastrica e la soppressione acida (p. es., H2-antagonisti
EV). La disidratazione e lo squilibrio elettrolitico, dovuti al vomito protratto e
all'aspirazione nasogastrica, devono essere attentamente ricercati e corretti. I
farmaci procinetici non sono indicati. Generalmente, l'ostruzione si risolve in 2-
5 giorni di trattamento. L'ostruzione prolungata può essere causata da una
stenosi cicatriziale peptica e può rispondere alla dilatazione con palloncino del
piloro eseguita per via endoscopica. L'intervento chirurgico è necessario per
risolvere l'ostruzione in casi selezionati.

Cancro dello stomaco (v. anche Cap. 34): l'H. pylori è associato
all'adenocarcinoma di tipo intestinale del corpo gastrico e dell'antro, ma non al
cancro del cardias. Le persone infette hanno da tre a sei volte più probabilità di
sviluppare un cancro dello stomaco. Anche i linfomi gastrici e i linfomi del tessuto
linfoide associati alla mucosa (Mucosa-Associated Lymphoid Tissue, MALT)
sono stati correlati a questa infezione.

I linfomi MALT sono costituiti da popolazioni monoclonali di cellule linfoidi B,


maligne, causate dall'H. pylori. Questa condizione è frequentemente associata a
un'ulcera gastrica superficiale e scoperta incidentalmente alle biopsie dei margini
dell'ulcera e della mucosa circostante. L'eradicazione dell'H. pylori può curare
alcuni casi di linfoma MALT. Perciò, è appropriato trattare un linfoma MALT
localizzato con la terapia anti-H. pylori, documentare l'eradicazione batterica e
monitorare strettamente la progressione del tumore prima di procedere con la
chemioterapia o con l'intervento radicale. Viceversa non ci sono dati che
indichino che l'eradicazione dell'H. pylori previene la progressione della gastrite
ai cancri più frequenti o ai linfomi dello stomaco. Quindi, non ci sono indicazioni
scientifiche alla diagnosi e al trattamento dell'H. pylori per la prevenzione delle
complicanze maligne, anche perché il cancro dello stomaco è relativamente poco
frequente negli USA.

Recidiva: l'incidenza di recidiva a 1 anno delle ulcere gastriche e duodenali è


> 60% dopo la sospensione della tradizionale terapia antiulcerosa. Il trattamento
a lungo termine con gli H2-antagonisti o con gli inibitori della pompa protonica
riduce il rischio di recidiva proporzionalmente all'entità della soppressione acida
ottenuta. L'incidenza della recidiva dell'ulcera è considerevolmente inferiore dopo
la terapia anti-H. pylori (< 10%).

La più frequente causa dell'ulcera peptica recidiva è il fallimento dell'eradicazione


dell'H. pylori. In un paziente che presenta una recidiva di malattia, deve essere
ricercata la possibile persistenza dell'infezione. Se l'infezione viene documentata,
è giustificato un secondo ciclo di terapia anti-H. pylori.

Altri fattori che possono influenzare la recidiva includono l'uso dei FANS e il
fumo. I pazienti che assumono dei FANS e che hanno avuto un'ulcera peptica
sono candidati a una terapia a lungo termine con il misoprostolo o con un
farmaco antisecretorio (p. es., gli H2-antagonisti, gli inibitori della pompa
protonica). Meno frequentemente, un gastrinoma (sindrome di Zollinger-Ellison)

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

può essere la causa di una malattia peptica refrattaria alla terapia o recidiva.

Terapia

Il trattamento delle ulcere gastriche e duodenali era mirato, in passato, alla


neutralizzazione o alla riduzione dell'acidità gastrica. Tuttavia, ora, l'attenzione si
è spostata verso l'eradicazione dell'H. pylori. Il trattamento antibiotico deve
perciò essere considerato in tutti i pazienti affetti dall'H. pylori con un'ulcera acuta
e in quelli che hanno avuto un'ulcera gastrica o duodenale diagnosticata in
passato dall'endoscopia o dalle rx con bario, anche se sono asintomatici o sotto
terapia acido-soppressiva a lungo termine. Ciò è particolarmente importante nei
pazienti con una storia di complicanze (p. es., il sanguinamento, la perforazione),
perché l'eradicazione dell'H. pylori può prevenire ulteriori complicanze.

La terapia antibiotica per l'H. pylori è in continua evoluzione. Non devono essere
usati farmaci singoli, perché nessun antibiotico da solo può curare in modo
radicale la maggior parte delle infezioni da H. pylori. Inizialmente era
raccomandata la terapia tripla basata sul bismuto. Questo approccio è oggi
messo in discussione a favore di un regime combinato, più semplice, che
impiega due farmaci, tra cui i farmaci acidoinibitori. Indipendentemente da quale
terapia viene usata, la resistenza antibiotica, il consiglio del medico e la
compliance del paziente determinano il suo successo.

Gli H2-antagonisti hanno un ruolo nel trattamento della malattia peptica


ulcerosa, ma non sono più la terapia di prima scelta quando usati da soli; sono
frequentemente impiegati come farmaci antisecretori in un regime anti-H. pylori.
Con differente potenza ed emivita, ciascun farmaco (cimetidina, ranitidina,
famotidina e nizatidina) è un inibitore competitivo dall'istamina a livello dei
recettori H2. L'istamina svolge un importante ruolo nella secrezione acida
stimolata dal vago e dalla gastrina, rendendo quindi gli H2-antagonisti degli
efficaci inibitori della secrezione acida gastrica basale e della secrezione acida
stimolata dal cibo, dal nervo vago e dalla gastrina. Il volume del succo gastrico è
proporzionalmente ridotto. Anche la secrezione della pepsina mediata
dall'istamina è ugualmente ridotta.

Gli H2-antagonisti sono ben assorbiti dal tratto GI con una biodisponibilità del 37-
90%. L'inizio dell'azione si ha dopo circa 30-60 min dall'ingestione, con il picco
dopo 1-2 h. La somministrazione EV produce un più rapido inizio dell'azione. La
durata dell'azione è proporzionale al dosaggio e varia da 6 a 20 h. Vengono
prodotti diversi metaboliti epatici, inattivi o meno attivi dei composti principali, ma
buona parte del farmaco è eliminata immodificata per via renale, richiedendo un
aggiustamento del dosaggio in base alla funzione renale. L'emodialisi rimuove gli
H2-antagonisti per cui è necessaria una nuova somministrazione del farmaco
dopo la dialisi. Le dosi spesso devono essere ridotte negli anziani.

La cimetidina ha degli effetti antiadrenergici minori che causano una


ginecomastia reversibile e, meno frequentemente, un'impotenza in alcuni pazienti
trattati con alti dosaggi per un periodo molto lungo (p. es., ipersecretori). Le
alterazioni dello stato mentale, la diarrea, il rash cutaneo, la febbre da farmaci, le
mialgie, la trombocitopenia, la bradicardia sinusale e l'ipotensione dopo la
somministrazione EV rapida sono stati riportati con tutti gli H2-antagonisti,
generalmente in < 1% dei pazienti trattati, ma più comunemente negli anziani.

La cimetidina e, in grado minore, gli altri H2-antagonisti interagiscono con il


sistema degli enzimi microsomiali P-450 e possono ritardare il metabolismo degli
altri farmaci eliminati attraverso questo sistema (p. es., fenitoina, warfarin,
teofillina, diazepam, lidocaina).

Gli inibitori della pompa protonica sono dei potenti inibitori della pompa
protonica (acida) (cioè, l'enzima H+, K+-ATPasi), localizzata nella membrana
secretoria apicale delle cellule parietali. Gli inibitori della pompa protonica
possono inibire completamente la secrezione acida e hanno una lunga durata

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

d'azione.

Sono i componenti fondamentali di molti trattamenti contro l'H. pylori. Nelle ulcere
attive gastriche o duodenali, l'omeprazolo, 20 mg/die PO o il lansoprazolo, 30 mg/
die PO sono di solito continuati per 2 sett. dopo la fine della terapia antibiotica
per ottenere la completa guarigione dell'ulcera. Gli inibitori della pompa protonica
sono più efficaci degli H2-antagonisti nella guarigione delle ulcere gastriche o
duodenali associate all'uso di FANS, quando i FANS devono essere continuati.

Sebbene all'inizio si pensasse che la terapia con gli inibitori della pompa
protonica potesse predisporre allo sviluppo del cancro dello stomaco, questo non
sembra essere vero. Nello stesso modo, anche se i pazienti infetti con l'H. pylori
sviluppano un'atrofia gastrica in seguito all'assunzione degli inibitori della pompa
protonica, ciò non sembra causare una metaplasia o un aumentato rischio di
adenocarcinoma gastrico. La prolungata soppressione dell'acidità gastrica
aumenta le teoriche, ma non provate, preoccupazioni circa un'aumentata
proliferazione batterica, una suscettibilità alle infezioni intestinali e al
malassorbimento della vitamina B12.

Alcune prostaglandine (specialmente il misoprostolo) possono inibire la


secrezione acida e aumentare la difesa mucosa. I derivati sintetici delle
prostaglandine hanno un ruolo nel trattamento della malattia peptica ulcerosa,
soprattutto per quanto riguarda le lesioni mucose indotte dai FANS. I pazienti ad
alto rischio per un'ulcera indotta dai FANS (cioè, gli anziani, quelli con
un'anamnesi positiva per un'ulcera o per le sue complicanze, quelli che
assumono anche dei corticosteroidi) sono candidati al misoprostolo, 200 mg PO
qid insieme ai FANS. I frequenti effetti collaterali del misoprostolo sono i dolori
addominali crampiformi e la diarrea, che si verificano nel 30% dei pazienti. Il
misoprostolo è un potente abortivo ed è assolutamente controindicato nelle
donne in età fertile che non usano metodiche contraccettive.

Il sucralfato è un complesso di sucroso e alluminio che promuove la guarigione


dell'ulcera. Non ha effetto sulla secrezione gastrica né sulla secrezione di
gastrina. I suoi ipotizzati meccanismi d'azione includono l'inibizione
dell'interazione pepsina-substrato, la stimolazione della produzione mucosa delle
prostaglandine e il legame dei sali biliari. Il sucralfato sembra anche avere degli
effetti trofici sulla mucosa ulcerata, probabilmente legandosi a dei fattori di
crescita e concentrandoli a livello dell'ulcera. Nel mezzo acido dello stomaco, il
sucralfato si dissocia e forma una barriera sopra la base dell'ulcera,
proteggendola dall'acido, dalla pepsina e dai sali biliari.

L'assorbimento sistemico del sucralfato è minimo. Una stipsi si verifica nel 3-5%
dei pazienti. Il sucralfato si può legare ad altri farmaci, interferendo con il loro
assorbimento.

Gli antiacidi forniscono un sollievo sintomatico, promuovono la guarigione


dell'ulcera e riducono le recidive. Sono relativamente poco costosi, ma devono
essere assunti da 5 a 7 volte al giorno. Il dosaggio ottimale di antiacido per la
guarigione dell'ulcera sembra essere compreso tra i 15 e i 30 ml di liquido o tra le
2 e le 4 cp, 1 h e 3 h dopo ciascun pasto e al momento di coricarsi. Il dosaggio
totale giornaliero di antiacidi deve fornire 200-400 mEq di capacità neutralizzante.

In genere sono di 2 tipi: (1) gli antiacidi assorbibili (p. es., il sodio bicarbonato)
che forniscono una neutralizzazione rapida e completa e possono,
occasionalmente, essere assunti a brevi intervalli per ottenere una remissione
intermittente della sintomatologia. Tuttavia, poiché vengono assorbiti, l'uso
continuato può causare un'alcalosi o la milk-alcali syndrome. (2) Gli antiacidi non
assorbibili (sali relativamente insolubili di basi deboli) sono preferiti a causa dei
loro minori effetti collaterali sistemici. Essi interagiscono con l'acido cloridrico
formando sali scarsamente assorbiti e, quindi, aumentando il pH gastrico.
L'attività della pepsina diminuisce appena il pH sale al di sopra di 4 e inoltre, la
pepsina stessa può essere legata da alcuni antiacidi. Gli antiacidi possono
interferire con l'assorbimento di altri farmaci (p. es., tetraciclina, digossina e ferro).

L'idrossido di alluminio è un antiacido sicuro, usato frequentemente. Con l'uso

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

cronico, si può raramente sviluppare una deplezione di fosfato quale risultato del
legame del fosfato con l'alluminio nel tratto GI. Il rischio di una deplezione di
fosfato aumenta negli alcolisti, nei pazienti malnutriti e in quelli con malattie
renali, compresi quelli emodializzati. L'idrossido di alluminio può causare stipsi.

L'idrossido di magnesio è un antiacido più efficace dell'idrossido di alluminio, ma


può causare diarrea. Per limitare la diarrea, molti antiacidi in commercio
contengono sia l'idrossido di magnesio che quello di alluminio; alcuni contengono
idrossido di alluminio e trisilicato di magnesio. Quest'ultimo tende ad avere un
minor potere neutralizzante. Poiché delle piccole quantità di magnesio vengono
comunque assorbite, le preparazioni contenenti magnesio devono essere usate
con cautela nei pazienti affetti da nefropatie.

Terapia anti-H. pylori: la combinazione di bismuto, metronidazolo e tetracicline


è stato il primo ed è ancora uno dei trattamenti più diffusamente impiegati per l'H.
pylori. Nei pazienti che assumono > 60% del trattamento prescritto, il Pepto-
Bismol (2 compresse PO qid), le tetracicline (500 mg PO tid) e il metronidazolo
(250 mg PO tid o qid) per 2 sett. possono curare l'80% delle infezioni. Per
ottenere la guarigione dell'ulcera è generalmente raccomandato che i farmaci
antisecretori siano somministrati simultaneamente e continuati per 4 sett. Gli
effetti collaterali, di solito minori, si possono verificare fin nel 30% dei pazienti e la
complessità di questo regime a 16 cp/die può limitare la compliance. La ranitidina
citrato bismuto (400 mg PO bid) più la claritromicina (500 mg PO tid),
somministrate per 2 sett., rappresentano un nuovo trattamento, egualmente
efficace.

Gli inibitori della pompa protonica sopprimono l'H. pylori e inducono una rapida
riparazione dell'ulcera. L'aumento del pH gastrico che accompagna il loro uso
può incrementare la concentrazione tissutale e l'efficacia degli antimicrobici,
creando un ambiente ostile all'H. pylori. La duplice terapia con amoxicillina e
omeprazolo non è raccomandabile. Quella con omeprazolo (40 mg bid) e
claritromicina (500 mg tid) per due sett. può portare all'eradicazione in circa l'80%
dei casi. La duplice terapia con inibitori della pompa protonica è più semplice e
meglio tollerata, ma più costosa, rispetto alla triplice terapia basata sul bismuto.

I risultati suggeriscono che le terapie con tre farmaci in combinazione con


l'omeprazolo o il lansoprazolo e due antibiotici sono molto efficaci quando
somministrati per 7-14 giorni. Per esempio, l'omeprazolo (20 mg bid) o il
lansoprazolo (30 mg bid), con la claritromicina (500 mg bid), e il metronidazolo
(500 mg bid) o l'amoxicillina (1 g bid) per 1 sett., possono curare l'infezione in
circa il 90% dei casi. Le terapie triplici con inibitori della pompa protonica non
sono state approvate, ma i loro maggiori vantaggi sono rappresentati da una
durata più breve della terapia, una doppia somministrazione al giorno, una
tollerabilità eccellente e una percentuale di eradicazione molto alta.

Terapie aggiuntive: non ci sono prove che un cambiamento della dieta porti a
una più rapida guarigione dell'ulcera o prevenga le recidive. Quindi, molti medici
raccomandano di eliminare solo il cibo che causa acidità (p. es., succo di frutta,
cibi speziati e grassi). Il latte, che è stato sempre un punto fondamentale della
terapia, non aiuta la guarigione dell'ulcera e, in realtà, promuove la secrezione
acida. Sebbene non vi siano dati definitivi che correlino l'assunzione di quantità
moderate di alcol e la ritardata guarigione dell'ulcera, l'alcol è un forte stimolatore
della secrezione acida, tanto che i pazienti ulcerosi vengono di solito avvertiti di
ridurne il consumo, con piccole quantità diluite. Il fumo è un fattore di rischio per
lo sviluppo delle ulcere e delle loro complicanze e sembra ostacolare la
guarigione dell'ulcera, oltre che aumentare l'incidenza delle recidive. Il rischio di
recidive e il grado di inibizione della guarigione è correlato al numero delle
sigarette fumate ogni giorno.

Chirurgia: con l'attuale terapia farmacologica, il numero di pazienti che necessita


di un trattamento chirurgico è diminuito in maniera significativa. Le indicazioni (v.
Complicanze, sopra) includono la perforazione, l'ostruzione che non risponde alla
terapia medica, il sanguinamento incontrollabile o che recidiva, l'ulcera gastrica
maligna sospetta e i sintomi che non rispondono alla terapia medica.

La perforazione acuta solitamente necessita di un intervento immediato. Più

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

lunga è l'attesa, peggiore è la prognosi. Quando l'intervento è chiaramente


controindicato, l'alternativa è costituita dall'aspirazione nasogastrica continua
(preferibilmente in un'unità di terapia intensiva) e dagli antibiotici ad ampio
spettro.

L'incidenza e il tipo di sintomi postchirurgici variano con il tipo di intervento. Le


procedure chirurgiche resettive includono l'antrectomia, l'emigastrectomia, la
gastrectomia parziale e la gastrectomia subtotale (cioè, la resezione dal 30
al 90% dello stomaco distale con una gastroduodenostomia, sec Billroth I, o con
una gastrodigiunostomia, sec Billroth II) con o senza vagotomia. Dopo la
chirurgia resettiva, fino al 30% dei pazienti ha dei sintomi significativi,
comprendenti la perdita di peso, i disturbi digestivi, l'anemia, la dumping
syndrome, l'ipoglicemia reattiva, il vomito biliare, i problemi meccanici e le
recidive dell'ulcera.

Il calo ponderale è frequente dopo una gastrectomia subtotale; il paziente deve


limitare la quantità di cibo assunta a causa dell'insorgenza precoce di un senso di
sazietà (poiché la tasca gastrica residua è piccola) o per prevenire la dumping
syndrome e gli altri sintomi postprandiali. Con una tasca gastrica piccola, la
distensione e la pesantezza possono seguire anche a un pasto di ridotta entità; il
paziente deve essere incoraggiato, quindi, a fare pasti piccoli e frequenti. La
maldigestione e la steatorrea causate dal bypass pancreatobiliare, specialmente
con l'anastomosi di tipo Billroth II, possono contribuire al calo ponderale.
L'anemia è frequente (solitamente da carenza di ferro, ma occasionalmente da
carenza della vitamina B12 per la mancanza del fattore intrinseco o per la crescita
batterica) e si può verificare un'ostemalacia. Si consiglia la somministrazione IM
di vitamina B12 in tutti i pazienti con gastrectomia totale e in quelli sottoposti a
gastrectomia subtotale, in caso si sospetti una carenza.

Una dumping syndrome può seguire le procedure di chirurgia gastrica,


particolarmente dopo una resezione. Subito dopo l'assunzione del cibo,
specialmente se si tratta di alimenti ipertonici, si manifestano debolezza, vertigini,
sudorazione, nausea, vomito e palpitazioni. Questo fenomeno viene riferito come
una dumping precoce, la cui causa rimane oscura, ma probabilmente coinvolge i
riflessi autonomi, la contrazione del volume intravascolare e il rilascio di peptidi
vasoattivi dal piccolo intestino. Le modificazioni dietetiche, con pasti più piccoli e
più frequenti e una diminuita assunzione di carboidrati, di solito, sono benefici.
Un'altra forma della sindrome, l'ipoglicemia reattiva o la dumping tardiva,
derivano dal rapido passaggio dei carboidrati nell'intestino. Il precoce picco
glicemico stimola la liberazione di insulina, che porta a un'ipoglicemia sintomatica
diverse ore dopo il pasto. Si consiglia, quindi, una dieta ad alto contenuto
proteico, a basso contenuto di carboidrati e con un adeguato apporto calorico
(sotto forma di pasti piccoli e frequenti).

I problemi meccanici, comprendenti la gastroparesi e la formazione di bezoari,


possono verificarsi secondariamente a una diminuzione delle contrazioni motorie
gastriche in fase III, che sono alterate dopo l'antrectomia e la vagotomia. La
diarrea è comune specialmente dopo una vagotomia, anche senza la resezione
gastrica (piloroplastica). Più di recente, è stato raccomandato come intervento
per l'ulcera duodenale, la vagotomia superselettiva o vagotomia delle cellule
parietali (che è limitata alle fibre dirette al corpo e risparmia l'innervazione
antrale, ovviando alla necessità di un drenaggio gastrico) che presenta una
mortalità molto bassa ed evita la morbilità associata alla resezione gastrica e alla
tradizionale vagotomia.

La percentuale di recidive dell'ulcera dopo trattamento chirurgico, è del 5-12%


dopo una vagotomia superselettiva e del 2-5% dopo una resezione gastrica. Le
ulcere recidive vengono diagnosticate tramite l'endoscopia e di solito rispondono
alla terapia medica sia con inibitori della pompa protonica che con H2-antagonisti.
In caso di ulcere recidive, va controllata la completezza della vagotomia con
l'analisi gastrica, va eradicato l'H. pylori se presente e va esclusa la sindrome di
Zollinger-Ellison con la misurazione della gastrina sierica.

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Gastrite e malattia ulcerosa peptica

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE

TUMORI DEL PANCREAS

I tumori esocrini del pancreas originano dalle cellule duttali e da quelle acinari. I
tumori endocrini originano dalle cellule insulari e da quelle che producono
gastrina e, spesso, producono diversi ormoni.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE

CANCRO DELLO STOMACO

Sommario:

Introduzione
Eziologia e fisiopatologia
Anatomia patologica
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

L'adenocarcinoma gastrico rappresenta il 95% dei tumori maligni dello stomaco; i


linfomi (che possono essere primitivi) e i leiomiosarcomi sono meno frequenti.
L'incidenza del cancro dello stomaco varia nelle diverse parti del mondo; per
esempio, è estremamente elevata in Giappone, in Cile e in Islanda. Negli USA il
cancro dello stomaco è più frequente nel nord, tra i poveri e nelle persone di
colore, ma la sua incidenza è diminuita a circa 8/100000, scendendo al 7o posto
tra le cause più comuni di morte per cancro. In Giappone, nonostante l'incidenza
sia diminuita, il cancro gastrico rappresenta ancora la più frequente causa di
morte per tumore. La sua incidenza aumenta con l'età e > 75% dei pazienti ha
> 50 anni.

Eziologia e fisiopatologia

La causa è sconosciuta. È spesso osservata la presenza di gastrite e di


metaplasia intestinale della mucosa gastrica, ma si pensa che queste siano
generalmente la conseguenza del cancro gastrico, piuttosto che delle lesioni
precancerose.

È stato detto che l'ulcera gastrica può trasformarsi in un cancro, ma, anche se ciò
fosse vero, è un evento che si verifica in pochi pazienti, la maggior parte dei quali
probabilmente aveva un cancro gastrico non diagnosticato fin dall'inizio. Nel
1994, l'WHO ha dichiarato che l'Helicobacter pylori è un carcinogeno di grado I
per l'adenocarcinoma gastrico e per i tumori del tessuto linfoide associati alla
mucosa dello stomaco. I polipi gastrici, anch'essi citati come precursori del
cancro, sono rari, ma qualunque tipo di polipo deve essere considerato come
sospetto e deve essere rimosso, solitamente per via endoscopica. La malignità è
molto probabile se i polipi adenomatosi hanno un diametro > 2 cm o hanno una
componente villosa all'istologia e se sono presenti polipi multipli. L'incidenza del
cancro dello stomaco è generalmente diminuita nei pazienti con ulcera
duodenale (v. Malattia peptica ulcerosa nel Cap. 23).

Anatomia patologica

Gli adenocarcinomi gastrici possono essere classificati a seconda del loro


aspetto macroscopico. (1) Vegetanti: il tumore è polipoide o vegetante. (2)
Infiltranti: il tumore presenta margini netti, ben circoscritti e può essere ulcerato.

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Tumori del tratto gastrointestinale

(3) Diffusi: il tumore presenta una diffusione superficiale nella mucosa o


l'infiltrazione della parete. Se è presente un'ulcera, i suoi bordi tendono a essere
mal definiti o rilevati. Un'infiltrazione della parete gastrica associata a una
reazione fibrosa può produrre uno stomaco "a borraccia" (linite plastica). (4)
Misti: i tumori presentano le caratteristiche di due degli altri tipi. Questa è la
classificazione più ampia. I tumori vegetanti hanno una migliore prognosi rispetto
a quelli infiltranti. Le dimensioni del tumore non predicono il rischio della
presenza di coesistenti metastasi. Anche il tumore più piccolo, infatti, può avere
metastatizzato a distanza al momento della diagnosi.

La classificazione istologica è basata sul grado con cui le cellule si dispongono a


formare ghiandole tubulari di aspetto normale e sul grado di differenziazione delle
cellule stesse. La classificazione istologica è solo moderatamente correlata con
l'aspetto macroscopico e con la prognosi.

La Japanese Society for Gastroenterological Endoscopy (1962) ha definito una


classificazione per il cancro gastrico in fase precoce (early gastric cancer), cioè
limitato alla mucosa e alla sottomucosa. L'identificazione si basa su criteri
morfologici macroscopici: tipo I, vegetante; tipo II, superficiale (sollevato, piatto o
infossato); tipo III, escavato.

Sintomi e segni

In fase precoce, il cancro gastrico non provoca alcun sintomo specifico. I pazienti
e i medici spesso tendono a trascurare i sintomi, che a volte sono presenti da
molti mesi o ancora da più tempo. Un'attenta ricerca può, però, evidenziare molti
indizi. La sazietà (senso di ripienezza o di distensione) dopo un pasto
abbondante è un segno molto indicativo se il cancro è localizzato, come avviene
frequentemente, nella regione pilorica. Il dolore può far pensare a un'ulcera
peptica, specialmente se il cancro interessa la piccola curva. Un cancro nella
regione cardiale dello stomaco può ostruire lo iato esofageo e causare disfagia.

La linite plastica può essere indicata dal senso di ripienezza, da una forma dello
stomaco che non si modifica mai alla rx con bario o da una parete gastrica
ispessita alla TC. Questo cancro può essere confuso con quello dell'esofago o
con l'acalasia, anche dopo studi accurati. Gli adenocarcinomi o i tumori della
parte inferiore dell'esofago indicano un'origine gastrica. Recenti studi hanno
dimostrato che questo tumore può derivare da una metaplasia colonnare del
tratto terminale dell'esofago (esofago di Barrett). La perdita di peso o l'astenia,
che di solito derivano da una restrizione alimentare, sono spesso la causa del
ricorso alle cure mediche. L'ematemesi massiva o la melena sono rare, ma si
può avere un'anemia secondaria a seguito di perdite ematiche occulte.
Occasionalmente, i primi sintomi e segni sono dovuti alle metastasi, mentre il
tumore primitivo è asintomatico.

In seguito, nel decorso naturale del cancro gastrico, si può avere una perdita di
peso o la comparsa di una massa palpabile. Alla fine, la diffusione del tumore o
le metastasi possono causare epatomegalia, ittero, ascite, noduli cutanei e
fratture patologiche.

Diagnosi

La diagnosi differenziale include, comunemente, l'ulcera peptica e le sue


complicanze.

L'endoscopia consente un'ispezione diretta e una biopsia delle aree sospette.


Un'ulcera gastrica deve essere sottoposta a biopsie multiple dei margini e
all'esame citologico dopo brushing della base e della parte sottominata dei
margini. Occasionalmente una biopsia limitata alla mucosa non include il tessuto
tumorale, presente nella sottomucosa. Nelle popolazioni ad alto rischio (p. es.,

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Tumori del tratto gastrointestinale

giapponese), l'endoscopia viene usata per lo screening.

L'esame citologico del liquido di lavaggio gastrico è utile in certi centri;


l'impiego di alcune tecniche speciali (p. es., spruzzare sulla superficie del tumore
un getto d'acqua in corso di endoscopia, utilizzando dei dispositivi che raschiano
la superficie del tumore) può aumentare il numero dei lavaggi positivi. In mani
esperte, l'uso del brushing, insieme alla biopsia, aumenta l'attendibilità dei
risultati.

Gli studi radiologici generalmente sono poco affidabili nell'evidenziare le lesioni


precoci, di piccole dimensioni. Comunque, usando tecniche a doppio contrasto,
che consistono nel verniciare la mucosa con un sottile strato di bario e
nell'insufflare poi lo stomaco con aria, per evidenziare i dettagli della mucosa, i
radiologi giapponesi hanno rilevato carcinomi più piccoli di 1 cm di diametro,
tanto che le rx con bario a doppio contrasto sono state adottate come procedura
di screening in Giappone.

Lo studio della secrezione gastrica è di limitato valore.

Terapia

L'asportazione del tumore, quando possibile, offre la sola speranza di cura. La


prognosi è buona se il tumore è limitato alla mucosa e alla sottomucosa. Negli
USA i risultati della chirurgia sono scadenti poiché la maggior parte dei pazienti
presenta neoplasie più estese. I risultati della chirurgia sono migliori in Giappone,
dove il cancro viene evidenziato in fase precoce grazie allo screening di massa. I
risultati dei linfomi primitivi dello stomaco sono migliori rispetto a quelli degli
adenocarcinomi. Vi può essere una lunga sopravvivenza e anche una guarigione,
particolarmente nel caso dei linfomi maligni. Anche la combinazione di
chemioterapia e radioterapia può essere curativa nel linfoma gastrico. Nel caso
degli adenocarcinomi gastrici i pazienti con ulcere maligne hanno i migliori
risultati, presumibilmente perché i sintomi li portano all'osservazione del medico
più precocemente. La chemioterapia può avere un valore palliativo per il paziente
con metastasi; la radioterapia associata alla chemioterapia può essere indicata
nei pazienti con tumori localmente non resecabili, ma i risultati sono di solito
deludenti. La chemioterapia adiuvante, da sola o combinata con la radioterapia, è
ancora un protocollo sperimentale utilizzato dopo la resezione dello stomaco.

L'intervento per cancro consiste nella rimozione della maggior parte o di tutto lo
stomaco e dei linfonodi adiacenti. Le metastasi o l'estensione del tumore
precludono la guarigione. La decisione di effettuare un intervento palliativo
(p. es., una gastroenterostomia per superare un'ostruzione pilorica) si basa sul
possibile miglioramento della qualità della vita.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

MALATTIE ATOPICHE

Rinite allergica

Rinite mediata da IgE, caratterizzata da starnutazione, rinorrea, congestione


nasale, prurito e spesso congiuntivite e faringite a carattere stagionale o continuo.

Sommario:

FEBBRE DA FIENO
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

RINITE PERENNE
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

FEBBRE DA FIENO

(Pollinosi)

Forma stagionale acuta della rinite allergica.

La febbre da fieno è generalmente provocata dai pollini portati dal vento. Il tipo
primaverile è dovuto a pollini di alberi (p. es. quercia, olmo, acero, ontano,
betulla, ginepro, olivo); il tipo estivo a pollini di graminacee (p. es. gramigna
capriola, codolina, erba dolce primaverile, erba Johnson) e a pollini di erbe
selvatiche (p. es. cardo russo, piantaggine inglese); il tipo autunnale a pollini di
erbe selvatiche (p. es. ambrosia). Talvolta, la febbre da fieno è causata
soprattutto da spore fungine trasportate dall’aria. Esistono importanti differenze
geografiche regionali.

Sintomi e segni

Il naso, il palato, la faringe e gli occhi cominciano a dare prurito gradualmente o


improvvisamente dopo l’inizio della stagione dei pollini. Lacrimazione,
starnutazione e secrezione nasale acquosa limpida accompagnano o seguono
presto il prurito. Possono verificarsi cefalee frontali e irritabilità. Più raramente,
possono presentarsi anoressia, depressione e insonnia. La congiuntiva appare
congesta e le mucose nasali sono edematose e rosso-bluastre. Possono
manifestarsi tosse e respiro asmatico man mano che la stagione avanza.

Diagnosi

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Disordini da ipersensibilità

L’anamnesi rivela la natura allergica della patologia e spesso anche i pollini


responsabili. Elementi diagnostici di supporto sono l’esame obiettivo e la
presenza di eosinofili nelle secrezioni nasali. I test cutanei sono utili per
identificare i pollini responsabili o confermarne il coinvolgimento.

Terapia

I sintomi possono essere controllati evitando l’allergene (v. sopra). Gli


antiistaminici orali spesso alleviano la sintomatologia; se quelli abituali dovessero
indurre una sedazione eccessiva, se ne può usare uno privo di effetti sedativi (v.
Antiistaminici, sopra). È possibile l’impiego della terapia topica (v. oltre). Spesso
insieme agli antiistaminici si somministrano simpaticomimetici. In molte
preparazioni di antiistaminici-decongestionanti sono presenti fenilpropanolamina,
fenilefrina o pseudoefedrina. Poiché i simpaticomimetici orali possono provocare
un rialzo della pressione arteriosa, è bene che i pazienti con tendenza
all’ipertensione non ne facciano uso senza sottoporsi a controlli periodici.

Se gli antiistaminici orali non danno buoni risultati, si può somministrare


cromoglicato al 4% per spray nasale (applicato con un diffusore manuale). Il
dosaggio abituale è di una nebulizzazione (5,2 mg) tid o qid. Esso può essere più
efficace nella prevenzione dell’insorgenza dei sintomi piuttosto che nella
risoluzione della sintomatologia acuta. Dal momento che il cromoglicato è più
costoso e allevia soltanto la sintomatologia nasale, altri farmaci vengono
solitamente provati prima di esso. L’azelastina, uno spray nasale antiistaminico,
ha una buona efficacia e provoca meno effetti collaterali rispetto agli
antiistaminici orali.

Quando la sintomatologia nasale non viene risolta dagli antiistaminici, sono


solitamente efficaci i glucocorticoidi per spray nasale. La dose iniziale è di due
nebulizzazioni da bid a qid (v. Tab. 148-2). Quando i sintomi sono stati controllati,
il dosaggio viene ridotto al minimo necessario per il mantenimento. Se vengono
impiegati come indicato, questi farmaci hanno pochi effetti collaterali. Sintomi
gravi di difficile trattamento possono richiedere un breve ciclo di terapia
corticosteroidea sistemica (prednisone 30 mg/die PO, con riduzione graduale
delle dosi nell’arco di una settimana fino a 0 mg o a 10 mg a giorni alterni).

L’immunoterapia allergenica (desensibilizzazione, v. sopra) è consigliata se il


contatto con l’allergene non può essere evitato, se la terapia farmacologica è
scarsamente tollerata o se nel corso della stagione si deve ricorrere ai
glucocorticoidi. Se il paziente è allergico ai pollini, la terapia deve essere iniziata
appena finisce la stagione dell’impollinazione, per prepararsi alla stagione
successiva.

RINITE PERENNE

Rinite non stagionale, che può essere di tipo allergico o non allergico, talora
complicata da sinusite, polipi nasali o ipersensibilità all’aspirina e ad altri FANS.

Sintomi, segni e diagnosi

Contrariamente a quanto avviene nella febbre da fieno, i sintomi della rinite


perenne variano di gravità (spesso in modo imprevedibile) nell’arco dell’anno. I
sintomi extranasali (p. es. la congiuntivite) sono poco comuni, ma l’ostruzione
nasale cronica è spesso considerevole e può estendersi alle tube di Eustachio.
La compromissione uditiva che ne consegue è particolarmente frequente nei
bambini. La diagnosi è confortata da una anamnesi positiva per malattia atopica,
dalla mucosa caratteristicamente rosso-bluastra, dalla presenza di numerosi
eosinofili nelle secrezioni nasali e dalla positività dei test cutanei (in particolare
agli acari della polvere, alle blatte, alle forfore animali o ai funghi). Alcuni pazienti

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Disordini da ipersensibilità

hanno un quadro complicato da infezioni dei seni paranasali e polipi nasali.

Diagnosi differenziale: alcuni pazienti con test cutanei negativi e presenza di


numerosi eosinofili nelle secrezioni nasali soffrono di rinite cronica, sinusite e
polipi, condizione chiamata rinite eosinofila non allergica o rinite non
allergica con eosinofilia. Questi pazienti non sono atopici, ma hanno spesso
ipersensibilità all’aspirina e ad altri FANS; un sottogruppo di pazienti soffre
unicamente di rinite cronica.

Alcuni pazienti soffrono di rinite vasomotoria, la quale è caratterizzata da


ostruzione nasale continua o rinorrea lieve ma fastidiosa e assenza di allergie,
polipi, infezioni, eosinofilia o ipersensibilità a farmaci (v. Cap. 86). Un ulteriore
gruppo di pazienti è affetto da rinite derivante da un utilizzo eccessivo di
decongestionanti (α-adrenergici) per uso topico (rinite medicamentosa).

Terapia

Il trattamento è simile a quello per la febbre da fieno se vengono identificati


allergeni specifici, tranne per il fatto che i glucocorticoidi per via sistemica, anche
se efficaci, devono essere evitati a causa della necessità di un uso prolungato.
Dopo che le allergie sono state controllate o escluse, talvolta viene fatto un
tentativo con la chirurgia (antrotomia e irrigazione dei seni paranasali,
polipectomia, resezione sottomucosa) o con la crioterapia. Non esistono dati
convincenti a sostegno del fatto che la chirurgia sia efficace per la rinite perenne
in quanto tale. I pazienti con rinite eosinofila non allergica solitamente rispondono
meglio a un glucocorticoide per uso topico. Per i pazienti con rinite vasomotoria,
l’unica terapia è costituita dalla rassicurazione da parte del medico, dagli
antiistaminici e dai vasocostrittori orali e dall’esortazione a evitare i
decongestionanti topici, i quali provocano congestione di rimbalzo e, se usati
continuativamente per una settimana o più, possono aggravare o perpetuare la
rinite cronica (rinite medicamentosa). Alcuni pazienti possono trarre beneficio da
irrigazioni frequenti con soluzione salina, dalla somministrazione topica di
bromuro di ipratropio o dagli spray nasali.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 148-2. FARMACI ANTINFIAMMATORI PER VIA INALATORIA NASALE

Farmaco Forma Dose per Dose iniziale Dosi per


nebulizzazione (in nebulizzatore
nebulizzazioni
per narice)
Corticosteroidi topici con minimi effetti sistemici
Beclometasone Pressurizzata 42µg >12anni, 1 da 200
dipropionato bid a qid

6-12anni, 1 tid
Acquosa 42µg 6anni, 1-2 bid 200
Flunisolide Acquosa 25µg >6anni, 2 bid 125

Triamcinolone Pressurizzata 55µg 2 al giorno 100


acetonide*

Fluticasone* Acquosa 50µg 1-2 al giorno 120

Budesonide Pressurizzata 32µg 6anni, 2 bid o 4 200


al gior no
Cromoglicato e Acquosa 5,2µg 6anni, 1 tid o 200
nedocromil† qid
Corticosteroidi con effetti sistemici
Desametasone Pressurizzata 84µg >12anni, 2 bid 170
o tid

6-12anni, 1-2
bid
*Non approvato per l’uso nei bambini al di sotto di 12anni.

†La forma nasale del nedocromil non è ancora disponibile negli USA.

Per gentile concessione di Platts-Mills TE, Wheatley LM: "Chronic rhinitis caused by dust mite and
other indoor allergens" in Current Therapy in Allergy, Immunology, and Rheumatology, edito da L
Lichtenstein e A Fauci, Philadelphia, Mosby, 1996, p19.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

MALATTIE ATOPICHE

Congiuntivite allergica

Infiammazione di natura allergica della congiuntiva.

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

La congiuntivite allergica in forma catarrale acuta o cronica fa abitualmente parte


di una sindrome allergica più ampia (p. es. la febbre da fieno), ma può
presentarsi da sola per contatto diretto con sostanze veicolate dall’aria (p. es.
pollini, spore fungine, polveri o forfore di animali). (V. anche Cheratocongiuntivite
primaverile nel Cap. 95.)

Sintomi, segni e diagnosi

Un prurito notevole può accompagnarsi a lacrimazione eccessiva. La congiuntiva


appare edematosa e iperemica. La causa viene spesso suggerita dall’anamnesi
e può essere confermata con i test cutanei.

Terapia

Deve essere evitato il contatto con un allergene causale identificato o sospetto.


L’uso frequente di un collirio ad azione blanda (p. es. soluzione salina tamponata
allo 0,65%) può ridurre l’irritazione. Bisogna evitare di portare lenti a contatto. Gli
antiistaminici orali sono solitamente utili. Sono disponibili antiistaminici per uso
topico (antazolina 0,5% o feniramina 0,3%), ma soltanto in associazione con i
vasocostrittori nafazolina 0,025-0,05% o fenilefrina 0,125% in soluzioni
oftalmiche. L’uso prolungato di vasocostrittori può provocare nell’occhio gli stessi
fenomeni di rimbalzo che si osservano nel naso. L’antiistaminico topico o il
conservante presenti nella preparazione possono dare sensibilizzazione e la
maggior parte dei pazienti risponde ugualmente bene, o anche meglio, a un
antiistaminico orale aggiunto a un vasocostrittore locale da solo, piuttosto che
alla loro associazione per uso topico (v. anche Congiuntivite allergica stagionale
nel Cap. 95). Il cromoglicato (soluzione oftalmica al 4%) può risultare utile, in
modo particolare per prevenire l’insorgenza dei sintomi quando è prevedibile
l’esposizione all’allergene (v. Rinite allergica, sopra). Nei casi gravi, come ultima
risorsa e dietro parere di un oculista, si può ricorrere a una sospensione oftalmica
corticosteroidea (p. es. medrisone 1% o fluorometolone 0,1%, applicati qid). La
pressione intraoculare va controllata prima di cominciare tale trattamento e a

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Disordini da ipersensibilità

intervalli regolari durante il periodo di somministrazione; la terapia steroidea va


interrotta il prima possibile.

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Patologie della congiuntiva

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

95. PATOLOGIE DELLA CONGIUNTIVA

CHERATOCONGIUNTIVITE PRIMAVERILE

Congiuntivite bilaterale recidivante con concomitanti alterazioni dell'epitelio


corneale, probabilmente di origine allergica, che recidiva in primavera e in
autunno.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Terapia

La cheratocongiuntivite primaverile è più comune nei maschi dai 5 ai 20 anni di


età (V. anche Congiuntivite allergica nel Cap. 148).

Sintomi e segni

Sono sintomi caratteristici il prurito intenso, la lacrimazione, la fotofobia,


l'iperemia congiuntivale e una densa secrezione mucosa contenente numerosi
eosinofili. Di solito è colpita la congiuntiva tarsale della palpebra superiore e
talvolta la congiuntiva bulbare. Nella forma palpebrale, soprattutto nella
congiuntiva tarsale superiore, sono presenti escrescenze papillari a forma di
"acciottolato", di colore variabile dal rosa pallido al grigiastro, squadrate, dure e
appiattite. La congiuntiva tarsale non colpita è di colore lattescente. Nella forma
bulbare (limbare), la congiuntiva che circonda la cornea diventa ipertrofica e
grigiastra. Occasionalmente si verifica una perdita piccola e circoscritta di epitelio
corneale, che causa dolore e accentua la fotofobia. In genere i sintomi
scompaiono durante i mesi freddi e diventano più lievi con il passare degli anni.

Terapia

La terapia è la stessa della congiuntivite allergica stagionale (v. Congiuntivite


allergica stagionale, sopra), eccetto il fatto che nei pazienti con
cheratocongiuntivite stagionale frequentemente sono necessari inibitori topici
delle mastcellule (p. es., lodoxamide) o corticosteroidi topici somministrati a cicli.

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Patologie della congiuntiva

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

95. PATOLOGIE DELLA CONGIUNTIVA

CONGIUNTIVITE ALLERGICA STAGIONALE

(Congiuntivite secondaria a febbre da fieno)

Infiammazione acuta stagionale della congiuntiva causata da un'allergia, in


genere a pollini volatili.

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

La congiuntivite è provocata da una reazione di ipersensibilità di I tipo ad antigeni


specifici, generalmente pollini volatili di alberi, erbe o piante selvatiche (v.
Cap. 148).

Sintomi, segni e diagnosi

I pazienti lamentano iperemia congiuntivale bilaterale, secrezione acquosa e


prurito oculare. La maggior parte dei pazienti presenta una concomitante rinite.
Molti pazienti soffrono di altre patologie allergiche come l'eczema e l'asma. Il
prurito oculare spesso causa strofinamento delle palpebre ed edema (v.
Cap. 94). La congiuntivite è ricorrente e stagionale, con sintomi evidenti in
primavera, tarda estate e inizio dell'autunno. La congiuntiva bulbare e tarsale è
iperemica, ma l'aspetto predominante è l'edema. La congiuntiva bulbare appare
traslucida, bluastra e ispessita. Le papille presenti sulla congiuntiva tarsale le
conferiscono un aspetto vellutato. La chemosi non è frequente.

La diagnosi è in genere basata sull'evidenza clinica. Gli eosinofili sono presenti


negli strisci congiuntivali, che si ottengono dalla congiuntiva inferiore o tarsale
superiore.

Terapia

La non esposizione può attenuare i sintomi e a volte è utile la desensibilizzazione


all'antigene. Medicamenti topici antiistaminici/vasocostrittori (p. es., nafazolina
cloridrato/feniramina maleato) sono utili nei casi lievi. Gli antistaminici topici
(p. es., levocabastina), i FANS (p. es., ketorolac) o gli inibitori topici delle mast-
cellule (p. es., lodoxamide) possono essere usati isolatamente o in combinazione
se le preparazioni da banco non portano grande sollievo. I corticosteroidi topici
(p. es., fluorometolone allo 0,1% o il prednisolone acetato 0,12-1,0% collirio tid)
possono essere utili nei casi resistenti. Dal momento che i corticosteroidi topici
possono esacerbare un'infezione da herpes virus simplex, portando anche a
ulcerazione corneale e perforazione o, se usati a lungo termine provocare
glaucoma e cataratta, essi devono essere iniziati e monitorizzati da un
oftalmologo.

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Patologie della congiuntiva

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Patologie delle palpebre

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

94. PATOLOGIE DELLE PALPEBRE

EDEMA PALPEBRALE

Sommario:

Eziologia
Terapia

Eziologia

Di solito le allergie provocano un edema palpebrale rugoso con iperemia e


desquamazione di uno o entrambi gli occhi. La forma acuta, edema palpebrale
allergico stagionale, è causata da una ipersensibilità ai pollini volatili o
direttamente posti a contatto degli occhi tramite le mani (p. es., dopo aver
lavorato in giardino). Le reazioni allergiche croniche si manifestano per sensibilità
da contatto dovuta a farmaci topici (p. es., atropina, neomicina) o cosmetici o
metalli (nickel) ed edema allergico palpebrale non stagionale, che si ritiene
essere dovuto a ipersensibilità a funghi o animali o piccole particelle di polvere (v.
Altre patologie allergiche oculari nel Cap. 148).

La trichinosi provoca edema palpebrale cronico che è di norma bilaterale e molto


simile al tipo allergico; la febbre associata e gli altri sintomi sistemici possono
essere inizialmente assenti. È caratteristica un'eosinofilia > 10%.

L'angioedema ereditario dovuto a carenza dell'inibitore della C1 esterasi (v.


Angioedema ereditario nel Cap. 148) può essere causa di edema palpebrale
acuto.

Terapia

Nell'edema palpebrale allergico, la rimozione della causa scatenante è quasi


sempre l'unico trattamento necessario. L'applicazione di compresse fredde sulle
palpebre chiuse può accelerare la risoluzione del processo; l'applicazione topica
di pomate a base di corticosteroidi (p. es., fluormetolone 0,1% tid per non più di
7 gg) può essere necessaria se il gonfiore persiste per più di 24 h. Le terapie
dell'angioedema ereditario e della trichinosi sono trattate rispettivamente nei
Cap. 148 e 161.

file:///F|/sito/merck/sez08/0940763a.html02/09/2004 2.05.47
Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

MALATTIE ATOPICHE

Altre malattie allergiche oculari

Le palpebre possono essere interessate da angioedema o da orticaria,


dermatite da contatto o dermatite atopica. La dermatite da contatto delle
palpebre, una reazione di ipersensibilità cellulare (ritardata, di tipo IV), può
essere provocata da diversi farmaci oftalmici o da altri farmaci portati all’occhio
con le dita (p. es. gli antibiotici nel personale addetto alla lavorazione dei
farmaci), oppure dalla cipria, dallo smalto per le unghie o dai coloranti per capelli.
La cornea può essere interessata dall’estensione di una congiuntivite allergica
o da una variante della cheratite puntata superficiale, la quale raramente porta
a cicatrizzazione.

Dolore, fotofobia, lacrimazione e flogosi ciliare pericorneale indicano la probabile


presenza di un’uveite anteriore. La causa di solito rimane sconosciuta.
L’oftalmia simpatica viene ritenuta una reazione di ipersensibilità al pigmento
uveale. L’endoftalmite facoanafilattica è un’allergia alla proteina nativa del
cristallino. Questa grave reazione al materiale residuo del cristallino si presenta
tipicamente qualche ora dopo l’estrazione non complicata di una cataratta,
sebbene possa conseguire a un trauma o a un’infiammazione che si estenda alla
capsula del cristallino. In queste situazioni gravi sono necessari la valutazione e il
trattamento solleciti da parte di un oculista (v. anche Cap. 98).

file:///F|/sito/merck/sez12/1481130a.html02/09/2004 2.05.47
Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI

Orticaria e angioedema

(Orticaria; orticaria gigante; edema angioneurotico)

L’orticaria consiste in un’eruzione pomfoide ed eritematosa locale a carico del


derma superficiale. L’angioedema è un gonfiore localizzato più profondamente,
dovuto alla presenza di aree edematose nel derma profondo e nel tessuto
sottocutaneo e può interessare anche le mucose.

Sommario:

L’orticaria consiste in un’eruzione pomfoide ed eritematosa locale a carico del


derma superficiale. L’angioedema è un gonfiore localizzato più profondamente,
dovuto alla presenza di aree edematose nel derma profondo e nel tessuto
sottocutaneo e può interessare anche le mucose.

Eziologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Eziologia

L’orticaria e l’angioedema acuti sono essenzialmente fenomeni di anafilassi


limitati alla cute e ai tessuti sottocutanei e possono essere dovuti ad allergia a
farmaci, punture o morsi di insetti, iniezioni desensibilizzanti o ingestione di taluni
alimenti (specialmente uova, crostacei o noci). Alcune reazioni si verificano in
modo esplosivo dopo l’ingestione di quantità minime della sostanza responsabile.
Altre (p. es. le reazioni alle fragole) possono verificarsi soltanto dopo un eccesso
alimentare e probabilmente sono il risultato di una liberazione diretta (tossica) del
mediatore. L’orticaria può accompagnare o addirittura essere il sintomo di
esordio di diverse infezioni virali, comprese l’epatite, la mononucleosi infettiva e
la rosolia. Alcune reazioni acute sono inspiegabili, anche quando hanno carattere
ricorrente. Se l’angioedema acuto è ricorrente, progressivo, doloroso più che
pruriginoso e non associato a orticaria, va preso in considerazione un deficit
enzimatico ereditario (v. Edema angioneurotico ereditario, oltre).

L’orticaria e l’angioedema cronici che durano più di 6 settimane sono più difficili
da spiegare e soltanto in casi eccezionali è possibile individuare una causa
specifica. Le reazioni sono raramente mediate da IgE. Occasionalmente ne è
responsabile l’ingestione cronica di un farmaco o di una sostanza chimica
insospettata; p. es. la penicillina contenuta nel latte; l’uso di farmaci da banco; i
conservanti o altri additivi alimentari. Bisogna escludere la presenza di una
malattia cronica sottostante (LES, policitemia vera, linfomi o infezioni). Sebbene
ne sia spesso sospettato il coinvolgimento, fattori psicogeni verificabili vengono
identificati raramente. L’orticaria provocata da agenti fisici viene trattata sotto la
voce Allergia ad agenti fisici, oltre. Alcuni pazienti con orticaria intrattabile
risultano affetti da malattie tiroidee. A volte l’orticaria può essere il primo segno o

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Disordini da ipersensibilità

il solo segno visibile di una vasculite cutanea.

Sintomi e segni

Nell’orticaria il prurito (generalmente il sintomo di esordio) è seguito dopo breve


tempo dalla comparsa di pomfi che possono rimanere di piccole dimensioni (da 1
a 5 mm) o ingrandirsi. Quelli più grandi tendono a schiarirsi al centro e si
possono notare all’inizio come grossi anelli (> 20 cm di diametro) di eritema ed
edema. Di solito, gruppi di lesioni urticarioidi compaiono e poi si risolvono; un tipo
di lesione può rimanere in un punto per diverse ore e poi scomparire per
riapparire altrove. Se una lesione persiste per almeno 24 h, bisogna pensare alla
possibilità di una vasculite.

L’angioedema è caratterizzato da un gonfiore più diffuso e dolente a carico del


tessuto sottocutaneo lasso, del dorso delle mani o dei piedi, delle palpebre, delle
labbra, dei genitali e delle mucose. L’edema delle vie aeree superiori può
provocare difficoltà respiratoria e lo stridore può essere confuso con l’asma.

Diagnosi

La causa dell’orticaria acuta o dell’angioedema acuto è di solito evidente. Anche


in caso contrario, l’esecuzione di test diagnostici è di rado necessaria, a causa
della natura autolimitantesi e non ricorrente di queste reazioni. Nell’orticaria
cronica va esclusa la presenza di una malattia cronica sottostante, conducendo
scrupolosamente l’anamnesi e l’esame obiettivo ed eseguendo i test di screening
di routine. L’eosinofilia è rara nell’orticaria. Altre indagini (p. es. la ricerca di uova
e parassiti nelle feci, il dosaggio del complemento sierico e degli anticorpi
antinucleari e le radiografie dei seni paranasali e delle arcate dentarie) non sono
di alcuna utilità se non vengono suggeriti da indicazioni cliniche supplementari.

Terapia

Dal momento che l’orticaria acuta generalmente regredisce entro 1-7 giorni, la
terapia è soprattutto sintomatica. Se la causa non è evidente, tutti i farmaci non
necessari devono essere sospesi finché la reazione non sia scomparsa. I sintomi
possono essere solitamente alleviati da un antiistaminico orale, come la
difenidramina 50-100 mg q 4 h, l’idrossizina 25-100 mg bid o la ciproeptadina 4-
8 mg q 4 h. Se essi dovessero causare sonnolenza (che compare in una
minoranza di pazienti), deve essere impiegato uno degli antiistaminici non
sedativi (v. sopra). In caso di reazioni più gravi, specialmente se associate ad
angioedema, può essere necessario un glucocorticoide (p. es. prednisone 30-
40 mg/die PO). I glucocorticoidi per uso topico sono privi di efficacia. Per
l’angioedema faringeo o laringeo acuto il farmaco di primo impiego deve
essere l’adrenalina 1:1000, 0,3 ml SC. A essa si può aggiungere una terapia
locale; p. es. un agente α-adrenergico nebulizzato e un antiistaminico EV (p. es.
difenidramina 50-100 mg). Questa terapia previene abitualmente l’ostruzione
delle vie aeree, ma è possibile che si renda necessaria l’intubazione o
l’esecuzione di una tracheostomia con somministrazione di O2.

Nell’orticaria cronica in circa la metà dei casi si osserva la remissione


spontanea nell’arco di due anni. Il controllo dello stress aiuta spesso a ridurre la
frequenza e la gravità degli episodi. Taluni farmaci (p. es. l’aspirina) possono
aggravare la sintomatologia, così come l’alcol, il caffè e il fumo di tabacco; in
questo caso, tali sostanze devono essere evitate. Quando l’orticaria è provocata
dall’aspirina, bisogna ricercare la presenza di ipersensibilità ai FANS e alla
tartrazina (un additivo colorante per alimenti e farmaci) (v. anche Rinite perenne,
sopra). Gli antiistaminici orali con effetto sedativo sono solitamente efficaci

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Disordini da ipersensibilità

(p. es., per gli adulti, idrossizina 25-50 mg bid o ciproeptadina 4-8 mg q 4-8 h; per
i bambini, idrossizina 2 mg/kg/die frazionati q 6-8 h e ciproeptadina 0,25-0,5 mg/
kg/die frazionati q 8-12 h). Per alcuni pazienti adulti, la doxepina 25-50 mg bid
può risultare il farmaco più efficace. Spesso vengono aggiunti antagonisti H2
(come la ranitidina 150 mg bid). Prima di ricorrere ai glucocorticoidi, i quali
rischiano di dover essere somministrati indefinitamente, bisogna fare un tentativo
con tutte le misure terapeutiche ragionevoli.

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Disordini da ipersensibilità

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12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

DISORDINI DEI MEDIATORI VASOATTIVI

Edema angioneurotico ereditario

Forma di angioedema trasmessa come carattere autosomico dominante e


associata a un deficit di inibitore sierico del primo componente del complemento
attivato.

Sommario:

Eziologia, sintomi e segni


Diagnosi
Profilassi
Terapia

Eziologia

Nell’85% dei casi il deficit è dovuto alla mancanza dell’inibitore della C1 esterasi;
nel 15% è dovuto alla presenza di inibitore della C1 esterasi non funzionante.
Un’anamnesi familiare positiva è la regola, ma esistono alcune eccezioni.
L’edema è tipicamente unifocale, indurito, doloroso più che pruriginoso e non è
accompagnato da orticaria. Gli attacchi vengono spesso precipitati da traumi o
malattie virali e vengono aggravati dagli stress emotivi. È frequente il
coinvolgimento GI, con nausea, vomito, coliche e perfino segni di ostruzione
intestinale. La malattia può provocare un’ostruzione fatale delle vie aeree
superiori.

Diagnosi

La diagnosi può essere posta misurando il C4, che risulta basso anche tra un
attacco e l’altro, oppure più specificamente dimostrando il deficit del C1-inibitore
mediante l’immunodiffusione e, se essa risultasse inaspettatamente normale, con
un test funzionale.

Una forma acquisita di deficit di C1-inibitore secondaria a malattie neoplastiche,


come i linfomi, viene distinta in base ai bassi livelli di C1 e ai livelli di C4 diminuiti.

Profilassi

Per la profilassi a breve termine dei pazienti mai trattati in precedenza (come
prima di una procedura odontoiatrica, di un’endoscopia o di un intervento
chirurgico) si possono somministrare 2 U di plasma fresco congelato. Sebbene in
linea teorica la presenza nel plasma di un substrato del complemento possa
provocare un attacco, ciò non si è osservato nei pazienti asintomatici. Di recente,

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Disordini da ipersensibilità

una frazione parzialmente purificata di inibitore della C1 esterasi ottenuta da


campioni multipli di plasma si è dimostrata sicura ed efficace per la profilassi, ma
non è ancora disponibile per l’impiego su vasta scala. Se c’è il tempo necessario,
il paziente deve essere trattato per 3-5 gg con un androgeno (v. oltre).

Per la profilassi a lungo termine sono efficaci gli androgeni. Si deve impiegare
uno degli androgeni cosiddetti attenuati. Il trattamento viene cominciato con
stanozololo 2 mg PO tid o danazolo 200 mg PO tid. Lo stanozololo è più
economico. Una volta raggiunto il controllo della sintomatologia, il dosaggio deve
essere ridotto il più possibile, allo scopo di limitare i costi e, nelle donne, di ridurre
al minimo gli effetti collaterali virilizzanti. Questi farmaci, oltre a essere efficaci, si
sono anche dimostrati in grado di incrementare i bassi livelli di inibitore della C1
esterasi e di C4 verso valori normali.

Terapia

L’edema progredisce finché i componenti complementari non sono stati


consumati. Gli attacchi acuti che minacciano di provocare ostruzione respiratoria
devono quindi essere trattati prontamente ripristinando la pervietà delle vie
aeree. L’uso di plasma fresco congelato è controverso. Bisogna somministrare
adrenalina, un antiistaminico e un glucocorticoide, ma non esiste la
dimostrazione che questi farmaci siano efficaci.

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Infezioni parassitarie

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13. MALATTIE INFETTIVE

161. INFEZIONI PARASSITARIE

INFEZIONI DA NEMATODI (VERMI AD ANELLO)

TRICHINOSI

Infezione con Trichinella spiralis, che può causare sintomi gastrointestinali


moderati seguiti da edema periorbitario, dolori muscolari, febbre ed eosinofilia.

Sommario:

Eziologia e patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Profilassi e terapia

Eziologia e patogenesi

La trichinosi si verifica ovunque. Il ciclo vitale è sostenuto dagli animali che


vengono nutriti (p. es., i maiali) o che vengono cacciati (p. es., orsi, cinghiali) e
altri animali i cui muscoli striati contengono larve incistate infettive (p. es., i
roditori). Gli uomini si infettano mangiando carne di carnivori infetti poco cotta o
mal lavorata. Le larve vanno incontro a excistazione nel piccolo intestino,
penetrano la mucosa e diventano adulte in 6-8 giorni. Le femmine mature
rilasciano larve viventi per 4-6 sett. e quindi muoiono o vengono espulse. Le larve
appena nate migrano ma sopravvivono soltanto nelle cellule dei muscoli striati
scheletrici. Le larve si incistano completamente in 1-3 mesi e rimangono vitali per
molti anni come parassiti intracellulari. Il ciclo continua solo se le larve incistate
vengono ingerite da un altro carnivoro.

Sintomi e segni

I sintomi gastrointestinali sono assenti o moderati in molte persone infette.


Durante la prima sett., possono verificarsi nausea, crampi addominali e diarrea; 1-
2 sett. dopo l’infezione, inizia il caratteristico gruppo di segni e sintomi: edema
facciale o periorbitale o cheilosi, mialgia, febbre persistente, cefalea, emorragia
sub-congiuntivale e petecchie. Il dolore oculare e la fotofobia spesso precedono
la mialgia.

Le cellule muscolari invase dalle larve causano sintomi che mimano la


polimiosite. La dolorabilità muscolare può colpire i muscoli respiratori e della
parola, della masticazione e della deglutizione. Nelle infezioni massicce può
verificarsi dispnea grave.

La febbre è generalmente remittente, arrivando a 39°C e oltre, rimanendo elevata


per vari gg per scendere poi gradualmente. L’eosinofilia di solito comincia
quando le larve neonate invadono i tessuti, raggiungendo il massimo da 2 a
4 sett. dopo l’infezione e riducendosi gradualmente quando le larve si incistano.

Nelle infezioni gravi, l’infiammazione può causare complicanze cardiache


(miocardite, insufficienza cardiaca, aritmie), neurologiche (encefalite, meningite,

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Infezioni parassitarie

disturbi visivi o uditivi, convulsioni) o polmonari (polmonite, pleurite). I decessi di


solito sono causati dalla miocardite.

I segni e i sintomi migliorano gradualmente e, nella maggior parte dei casi,


scompaiono intorno al 3o mese, quando le larve si sono del tutto incistate nelle
cellule muscolari ed eliminate dagli altri organi e tessuti. Vaghi dolori muscolari e
stanchezza possono persistere per mesi.

Diagnosi

Non sono disponibili esami specifici che diagnosticano la fase intestinale della
trichinosi . Dopo la seconda sett. di infezione, una biopsia muscolare può
scoprire le larve e le cisti. L’infiammazione diffusa dei tessuti muscolari indica
un’infezione recente; le larve morte infine vengono riassorbite o calcificate.

Gli esami sierologici includono un test ELISA e un test di flocculazione alla


bentonite; ognuno di essi può dare risultati falsi-negativi, specialmente se
l’esame viene effettuato nella 2a-3a sett. di infezione. Poiché gli anticorpi possono
persistere per anni, hanno un maggior valore se risultano inizialmente negativi e
poi si positivizzano. La sierologia e la biopsia muscolare sono esami
complementari, ognuno dei quali può essere negativo in un dato paziente. Un
test cutaneo con antigeni larvali non è disponibile.

Gli enzimi muscolari (creatina fosfochinasi e LDH) sono elevati nel 50% dei
pazienti e sono correlati ad anomalie elettromiografiche.

La trichinosi deve essere distinta dalla febbre reumatica acuta, dall’artrite acuta,
dall’angioedema e dalla miosite; gli stati febbrili vanno distinti da TBC, febbre
tifoide, sepsi e febbre ondulante; le manifestazioni polmonari dalla polmonite; le
manifestazioni neurologiche da meningite, encefalite o poliomielite e infine
l’eosinofilia da morbo di Hodgkin, leucemia eosinofila, poliarterite nodosa e
malattie causate da altri nematodi migranti.

Profilassi e terapia

La trichinosi viene prevenuta cuocendo accuratamente la carne (55°C). Le larve


possono solitamente essere uccise congelando la carne a-15°C per 3 sett.
oppure a-18°C per 1 giorno. Affumicare o salare la carne può non uccidere le
larve.

L’infezione è auto-limitata e richiede spesso solo terapia sintomatica e di


supporto rapportata alla gravità della malattia. Per i dolori muscolari possono
essere necessari analgesici (p. es., aspirina o narcotici). Ai pazienti con gravi
manifestazioni allergiche o coinvolgimenti miocardico o del SNC, viene
somministrato prednisone 20-60 mg/die PO in dosi refratte per 3 o 4 gg; il
dosaggio viene gradualmente ridotto e interrotto dopo 10-14 gg.

A volte sono indicati i farmaci antielmintici. Il mebendazolo (200-400 mg tid PO


per 3 gg, quindi 400-500 mg tid per 10 gg), il tiabendazolo (25 mg/kg bid PO per
5-10 gg) o il pirantel (11 mg/kg PO per 5 giorni) eliminano i vermi adulti dal tratto
GI, ma non hanno effetto sulle larve incistate.

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Infezioni parassitarie

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Disordini da ipersensibilità

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12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

MALATTIE ATOPICHE

Allergia e intolleranza agli alimenti

L’allergia alimentare è caratterizzata da una sintomatologia riproducibile che si


manifesta dopo l’ingestione di un alimento specifico e per la quale si dimostra
una base immunologica (anticorpi IgE contro antigeni degli alimenti).
L’intolleranza alimentare coinvolge reazioni cliniche GI il cui meccanismo è di
tipo non immunologico oppure è sconosciuto.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Molte comuni reazioni indesiderate agli alimenti (probabilmente di tipo


psicosomatico) vengono attribuite ad allergie alimentari anche quando non esiste
l’evidenza convincente di un nesso di causa ed effetto, almeno per il tipo di
allergia che può essere valutato con i test cutanei ed è associato alla presenza di
anticorpi IgE specificamente diretti contro gli alimenti. Alcune diffuse convinzioni
sono discutibili e quasi sicuramente false; p. es. il fatto che l’intolleranza (o
l’allergia) verso gli alimenti o gli additivi alimentari possa essere responsabile
della sindrome del bambino iperattivo, della sindrome tensione-affaticamento e
dell’enuresi. False convinzioni chiamano in causa le allergie alimentari per
l’artrite, l’obesità, lo scarso rendimento atletico e la depressione, oltre ad altre
condizioni.

Occasionalmente sono stati imputati ad allergie o intolleranze alimentari la


cheilite, le afte, il pilorospasmo, la stipsi spastica, il prurito anale e l’eczema
perianale, ma tali associazioni sono difficili da provare. Recentemente, si è
dimostrato che l’intolleranza agli alimenti è responsabile della sintomatologia di
alcuni pazienti con sindrome dell’intestino irritabile, evenienza confermata da un
test di provocazione alimentare in doppio cieco. In concomitanza con il verificarsi
di una reazione è stato osservato un incremento delle prostaglandine rettali.
Alcuni dati preliminari indicano che lo stesso fenomeno può verificarsi
occasionalmente in pazienti affetti da colite ulcerosa cronica.

L’enteropatia eosinofila, che può essere correlata con specifiche allergie


alimentari, è una rara malattia caratterizzata da dolore, crampi e diarrea associati
a eosinofilia ematica, infiltrati eosinofili intestinali, enteropatia protido-disperdente
e una storia di malattia atopica. Raramente si osserva disfagia, segno di
interessamento esofageo.

La vera allergia alimentare mediata da IgE si sviluppa abitualmente durante la


prima infanzia, il più spesso nei soggetti con un’anamnesi familiare
spiccatamente positiva per atopia.

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Disordini da ipersensibilità

Sintomi e segni

La prima manifestazione può essere un eczema (dermatite atopica), da solo o in


associazione con sintomi GI. Entro la fine del primo anno, la dermatite
solitamente è diminuita di intensità e può insorgere una sintomatologia allergica
respiratoria. L’asma e la rinite allergica possono essere aggravati da allergie ad
alimenti che possono essere identificati con i test cutanei. Man mano che il
bambino cresce, tuttavia, gli alimenti diventano meno importanti ed egli reagisce
in modo progressivamente crescente agli allergeni inalati. All’età di 10 anni, è
raro che il bambino con asma e febbre da fieno abbia sintomi respiratori
provocati dagli alimenti, anche se persiste la positività dei test cutanei. Se la
dermatite atopica persiste o compare nel bambino più grande o nell’adulto, la sua
attività sembra essere ampiamente indipendente dall’allergia mediata da IgE,
anche se i pazienti atopici con dermatite estesa hanno titoli sierici di IgE molto
più elevati rispetto a quelli senza dermatite.

La maggior parte dei pazienti giovani con allergie agli alimenti è ipersensibile ad
allergeni potenti (p. es. gli allergeni contenuti nelle uova, nel latte, nelle arachidi e
nella soia). Le persone più grandi possono reagire in modo violento all’ingestione
anche di sole tracce di questi e di altri alimenti (specialmente crostacei),
sviluppando un’orticaria a decorso esplosivo, angioedema e perfino anafilassi.
Nei pazienti con livelli di ipersensibilità inferiori, l’anafilassi può verificarsi soltanto
se essi compiono un esercizio fisico dopo l’ingestione dell’alimento responsabile.

L’intolleranza al latte è provocata talvolta da un deficit intestinale di disaccaridasi


e si manifesta con sintomi GI (v. anche Intolleranza ai carboidrati nel Cap. 30). In
altri pazienti, il latte provoca sintomi GI e perfino respiratori per una ragione
sconosciuta. Gli additivi alimentari possono provocare l’insorgenza di sintomi
sistemici (glutammato monosodico); di asma (metabisolfito, tartrazina [un
colorante giallo]); e probabilmente orticaria (tartrazina). Queste reazioni non sono
mediate da anticorpi di classe IgE. Alcuni pazienti soffrono di emicrania
provocata o aggravata dagli alimenti, come è stato confermato da test di
provocazione per via orale eseguiti in cieco.

La digestione previene in modo efficace l’insorgenza dei sintomi da allergia


alimentare nella maggioranza degli adulti. Ciò è dimostrato dai pazienti allergici
che presentano una reazione dopo inalazione o contatto con un allergene, ma
non dopo la sua ingestione (p. es., nell’asma dei fornai, i lavoratori colpiti
presentano dispnea quando si espongono alla polvere di farina e hanno test
cutanei positivi per il grano e/o altri cereali, ma non hanno alcuna difficoltà a
mangiare prodotti a base di cereali).

Diagnosi

L’allergia alimentare grave è solitamente ben evidente negli adulti. In caso


contrario, o nella maggior parte dei bambini, la diagnosi può essere difficile e la
malattia va differenziata dai problemi GI di natura funzionale.

Negli individui che si sospetta abbiano reazioni agli alimenti dopo la loro
ingestione, il rapporto causale tra la sintomatologia e gli alimenti viene saggiato
innanzitutto mediante test cutanei appropriati. Un test positivo non dimostra la
presenza di un’allergia clinicamente rilevante, ma un test negativo la esclude. In
presenza di un test cutaneo positivo, un’ipersensibilità clinicamente rilevante può
essere stabilita con una dieta di eliminazione e, se i sintomi migliorano, con una
nuova esposizione all’alimento per definire se esso è in grado di indurre la
comparsa della sintomatologia. Tutti i test di provocazione che risultano positivi
devono essere seguiti da un test di provocazione in doppio cieco per essere
considerati definitivi. La dieta di base viene stabilita eliminando gli alimenti che il
paziente sospetta siano responsabili dei sintomi, oppure prescrivendo una dieta
composta da alimenti relativamente non allergenici (v. Tab. 148-3).

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Disordini da ipersensibilità

Gli alimenti che comunemente causano allergia sono il latte, le uova, i crostacei,
le noci, il grano, le arachidi, i semi di soia e tutti i prodotti che contengono uno o
più di questi ingredienti. È necessario eliminare dalla dieta di partenza la maggior
parte degli allergeni più comuni e tutti gli alimenti sospetti. Non è consentita
l’assunzione di altri cibi solidi o di liquidi diversi da quelli previsti dalla dieta di
partenza. Non è consigliabile mangiare nei ristoranti, perché il paziente (e il
medico) devono essere a conoscenza della composizione esatta di tutti i pasti. Si
devono usare sempre prodotti puri; p. es. il comune pane di segale contiene una
certa quantità di farina di grano.

Se non si assiste a un miglioramento nell’arco di una settimana, si deve provare


una dieta diversa. Se i sintomi migliorano, alla dieta viene aggiunto un nuovo
alimento e se ne consuma un quantitativo superiore a quello abituale per più
di 24 h oppure finché i sintomi non ricompaiono. In alternativa, vengono
consumate in presenza del medico piccole quantità dell’alimento da saggiare e
vengono osservate le reazioni del paziente. L’aggravamento o la recrudescenza
della sintomatologia dopo l’aggiunta di un nuovo alimento alla dieta costituisce la
prova migliore dell’esistenza di allergia. Tale prova andrà confermata osservando
l’effetto dell’eliminazione dell’alimento dalla dieta per alcuni giorni e quindi
reintroducendolo.

Terapia

L’unica terapia possibile consiste nell’eliminazione dell’alimento responsabile. Le


diete di eliminazione possono essere impiegate sia per la diagnosi sia per la
terapia. Quando sono interessati soltanto pochi cibi, si preferisce l’astinenza.
L’ipersensibilità a uno o più alimenti può scomparire spontaneamente. Né la
desensibilizzazione orale (eseguita eliminando prima l’alimento responsabile per
un certo periodo e poi reintroducendolo in piccole quantità con incremento
quotidiano) né l’impiego di gocce sublinguali di estratti alimentari sono risultati
efficaci. Gli antiistaminici hanno scarso valore, tranne nelle reazioni acute
sistemiche con orticaria e angioedema. Il cromoglicato per via orale è stato usato
con apparente successo in altri paesi, ma la sua formulazione orale è approvata
negli USA esclusivamente per l’impiego nella mastocitosi (v. oltre). La terapia
corticosteroidea prolungata non è indicata, salvo per l’enteropatia eosinofila
sintomatica.

Per il trattamento degli attacchi acuti gravi, potenzialmente fatali, v. Anafilassi,


oltre.

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Sindromi da malassorbimento

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3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

30. SINDROMI DA MALASSORBIMENTO

Sindromi che derivano da un alterato assorbimento delle sostanze nutritive da


parte del piccolo intestino.

INTOLLERANZA AI CARBOIDRATI

Diarrea e distensione addominale causate dall'incapacità di digerire i carboidrati


per la mancanza di uno o più enzimi intestinali.

Sommario:

Fisiopatologia
Incidenza
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Fisiopatologia

I disaccaridi vengono normalmente scissi nel piccolo intestino in monosaccaridi


dalle lattasi, maltasi, isomaltasi o sucrasi (invertasi). I disaccaridi non scissi
restano nel lume e trattengono osmoticamente i liquidi, provocando diarrea e
distensione addominale. La fermentazione batterica dello zucchero nel colon
causa la formazione di feci gassose e acide. Poiché gli enzimi sono localizzati
nell'orletto a spazzola delle cellule mucose, i deficit secondari si verificano nelle
malattie che si associano ad alterazioni morfologiche della mucosa digiunale
(p. es., la malattia celiaca, la sprue tropicale, le infezioni intestinali acute,
l'intossicazione con neomicina). Nei lattanti, un deficit secondario temporaneo di
disaccaridasi può complicare le infezioni enteriche o un intervento chirurgico
addominale.

I monosaccaridi, glucoso e galattoso, sono assorbiti con un processo di trasporto


attivo nel piccolo intestino (il fruttoso viene assorbito passivamente). Nel
malassorbimento di glucoso-galattoso, è deficitario il sistema di trasporto per
questi monosaccaridi nel piccolo intestino e i sintomi si sviluppano dopo
l'ingestione della maggior parte dei tipi di zuccheri.

Incidenza

Il deficit di lattasi si verifica normalmente, con una diversa intensità, in circa


il 75% degli adulti, eccetto quelli di origine europea nord-occidentale per i quali
l'incidenza è < 20%. Anche se le statistiche non sono affidabili, la maggior parte
dei nord-americani non bianchi gradualmente diventa lattasi-deficiente tra i 10 e i
20 anni. L'incidenza è del 100% tra i cinesi, del 75% tra gli americani di colore e
comunque elevata nelle persone di origine mediterranea.

L'intolleranza al glucoso-galattoso è una malattia congenita estremamente rara,


come lo sono i deficit di altri enzimi della mucosa (p. es., saccaroso, isomaltasi).

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Sindromi da malassorbimento

Sintomi e segni

I sintomi e i segni sono simili a quelli dei deficit enzimatici. Un bambino che non
può tollerare il lattoso avrà diarrea dopo l'ingestione di latte e non aumenterà di
peso. Un adulto può avere borborigmi, distensione, flatulenze, nausea, diarrea e
crampi addominali, dopo aver mangiato del cibo contenente lattoso. La diarrea
associata all'intolleranza del lattoso (causata dal deficit di lattasi) può essere
abbastanza grave da far eliminare anche le altre sostanze nutritive prima che
queste vengano assorbite. Un'anamnesi positiva per l'intolleranza ai prodotti
caseari è frequente in questi pazienti, che se ne sono accorti precocemente nel
corso della loro vita e hanno evitato di mangiare questo tipo di cibi. I sintomi
possono simulare la sindrome dell'intestino irritabile.

Diagnosi

La diagnosi può essere sospettata quando la diarrea, cronica o intermittente, è


acida (pH < 6). Il test di tolleranza al lattoso è specifico: una dose PO di 50 g di
lattoso provoca diarrea con meteorismo addominale e vivo fastidio entro 20-
30 min e un aumento della glicemia < 20 mg/ dl. Quantità equivalenti di glucoso e
di galattoso producono un normale aumento della glicemia senza diarrea. Il
breath test all'idrogeno comporta la somministrazione per via orale di 10 g di
lattoso in soluzione e la misurazione intermittente dell'idrogeno nell'aria espirata
con la spettrometria di massa o con i misuratori commerciali dell'idrogeno nel
respiro. Sono raccomandati il test della tolleranza al lattoso e le biopsie
intestinali, perché poco costosi, sicuri e relativamente sensibili. La diagnosi è
confermata dal reperto di una bassa attività della lattasi in un campione di biopsia
digiunale.

Il malassorbimento del glucoso-galattoso è diagnosticato da un test di tolleranza


piatto quando viene ingerito il glucoso.

Terapia

Il malassorbimento dei carboidrati è prontamente controllato evitando di


assumere gli zuccheri che non possono essere assorbiti (p. es., seguendo una
dieta priva di lattoso nei casi di deficit delle lattasi). Nel caso dell'intolleranza al
glucoso-galattoso, un bambino che manca dell'enzima di trasporto può assorbire
il fruttoso. Se viene seguita una dieta priva di lattoso, si deve somministrare un
supplemento orale di Ca. Il lattoso nel latte può essere predigerito mediante
l'aggiunta di una lattasi commercialmente preparata o di un latte pretrattato, oggi
disponibile in commercio. Il trattamento dei lattanti richiede una severa dieta priva
di glucoso-galattoso e contenente il fruttoso come carboidrato principale. Con il
passaggio ai cibi solidi, la dieta può essere ampliata.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 148-3. DIETE DI ELIMINAZIONE: CIBI CONSENTITI

Dieta n. 1*
(senza carne bovina e Dieta n. 2* Dieta n. 3*
Generi suina, pollame, latte, (senza carne bovina e ovina, (senza carne ovina, pollame,
alimentari segale, grano) latte, riso) segale, riso, grano, latte)
Cereali Prodotti del riso Prodotti del grano ---
Vegetali Lattuga, spinaci, carote, Grano, pomodori, piselli, as Fagioli di Lima, barbabietole, patate
barbabietole, carciofi paragi, melone, fagiolini (bianche e dolci), fagiolini, pomodori
Carne Agnello Pollo, bacon Manzo, bacon
Farina (pane Riso Grano, 100% segale (il pane di Fagioli di Lima, soia, patate
o biscotti) segale comune contiene grano)
Frutta Limone, pera, pompelmo Pesca, albicocca, prugna, ananas Pompelmo, limone, pesca, albicocca
Grassi Olio di semi, olio d’oliva Olio di frumento, olio di semi Olio di semi, olio d’oliva
Bevande Tè, caffè (nero), limonata Tè, caffè (nero), limonata Tè, caffè (nero), limonata, succhi dei
frutti consentiti
Miscellanea Budino di tapioca, gelatina, Zucchero di canna, gelatina, Budino di tapioca, gelatina, zucchero
zucchero di canna, zucchero sciroppo di grano, sale di canna, zucchero d’acero, sale,
d’acero, sale, olive olive
*Dieta n.4: Nel caso in cui i sintomi persistano osservando una delle tre diete di eliminazione suddette e siano ancora
sospettati fattori dietetici, la dieta giornaliera può essere limitata a una dieta elementare, come il Vivonex.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO I

ANAFILASSI

Reazione sistemica acuta, spesso a decorso esplosivo, mediata da IgE, che si


verifica in un individuo precedentemente sensibilizzato il quale venga a contatto
con l’antigene sensibilizzante.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Profilassi
Terapia

L’anafilassi ha luogo quando l’antigene (proteine, polisaccaridi o apteni coniugati


con proteine carrier) raggiunge il torrente circolatorio. Gli antigeni più
comunemente responsabili sono gli enzimi introdotti per via parenterale, gli
emoderivati, gli antibiotici β-lattamici e molti altri farmaci, gli allergeni usati per
l’immunoterapia allergenica (desensibilizzazione) e il veleno degli insetti. I β-
bloccanti, anche sotto forma di collirio, possono aggravare le reazioni
anafilattiche. L’anafilassi può essere aggravata o anche provocata de novo
dall’esercizio fisico e alcuni pazienti accusano sintomi ricorrenti senza una
ragione identificabile. Quando l’antigene reagisce con le IgE presenti sulla
superficie dei basofili e delle mast-cellule, vengono sintetizzati o rilasciati
istamina, leucotrieni e altri mediatori. Questi mediatori provocano la contrazione
della muscolatura liscia (responsabile della dispnea e della sintomatologia GI) e
la vasodilatazione che caratterizzano l’anafilassi. La vasodilatazione e la
fuoriuscita di plasma nei tessuti sono responsabili dell’orticaria e dell’angioedema
e provocano una riduzione del volume plasmatico efficace, che rappresenta la
causa principale dello shock. Il liquido penetra anche negli alveoli polmonari e
può provocare edema polmonare. Può anche verificarsi un angioedema ostruttivo
delle vie aeree superiori. Se la reazione è prolungata, possono svilupparsi aritmie
e shock cardiogeno.

Le reazioni anafilattoidi sono clinicamente simili all’anafilassi, ma possono


verificarsi già dopo la prima iniezione di taluni farmaci (polimixina, pentamidina,
oppioidi) e mezzi di contrasto. Esse hanno alla base un meccanismo tossico-
idiosincrasico dose-dipendente, più che un meccanismo mediato
immunologicamente. L’aspirina e altri FANS possono provocare reazioni nei
pazienti suscettibili.

Sintomi e segni

La sintomatologia è variabile e raramente un singolo paziente sviluppa il quadro


clinico completo. Tipicamente, nel volgere di 1-15 min (ma raramente anche
dopo 2 h) il paziente comincia a sentirsi irrequieto, diventa agitato e arrossato e
lamenta palpitazioni, parestesie, prurito, pulsazioni auricolari, tosse,
starnutazione, orticaria e angioedema, oltre a difficoltà di respirazione dovuta a
edema laringeo o a broncospasmo. Nausea, vomito, dolore addominale e diarrea

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Disordini da ipersensibilità

sono meno comuni. Entro i successivi 1-2 min può manifestarsi uno shock e il
paziente può avere convulsioni, perdere il controllo degli sfinteri, divenire
areattivo e morire. Può verificarsi un collasso cardiocircolatorio primitivo in
assenza di sintomatologia respiratoria. Gli episodi ricorrenti di anafilassi che si
presentano nello stesso individuo sono solitamente caratterizzati dai medesimi
sintomi.

Profilassi

I pazienti con il più alto rischio di anafilassi da farmaci sono coloro che in
precedenza hanno già avuto reazioni al medesimo farmaco, ma la morte per
anafilassi può aver luogo anche senza questi precedenti. Poiché il rischio di una
reazione a un antisiero eterologo è elevato, è tassativo eseguire di routine un test
cutaneo prima di somministrare il siero e può essere necessario adottare misure
profilattiche. L’esecuzione sistematica di un test cutaneo prima di intraprendere
altri tipi di terapie farmacologiche non è praticabile né attendibile, con l’eccezione
forse della terapia penicillinica (i test sono trattati sotto la voce Meccanismi
dell’ipersensibilità ai farmaci, oltre).

L’immunoterapia (desensibilizzazione) a lungo termine è efficace e adeguata a


prevenire l’anafilassi dovuta a punture di insetti, ma è stata tentata raramente nei
pazienti con una storia di anafilassi da farmaci o da siero. Al contrario, se la
terapia con un farmaco o con un siero è indispensabile, si deve eseguire la
desensibilizzazione rapida in condizioni controllate (v. Ipersensibilità ai farmaci,
oltre).

A un paziente che ha avuto in precedenza una reazione anafilattoide a un mezzo


di contrasto radiografico, si può somministrare nuovamente il mezzo con
ragionevole sicurezza (se il suo impiego è essenziale) dopo un pretrattamento
costituito da 50 mg di prednisone PO q 6 h per 3 dosi, 50 mg di difenidramina PO
1 h prima e 25 mg di efedrina (se non è controindicata) PO 1 h prima
dell’esecuzione dell’esame, negli adulti. L’impiego di mezzi di contrasto
isosmotici è da preferire come misura precauzionale aggiuntiva.

Terapia

È imperativo trattare immediatamente il paziente con adrenalina. L’adrenalina è


un antagonista degli effetti dei mediatori chimici a livello della muscolatura liscia,
dei vasi sanguigni e di altri tessuti.

Per le reazioni lievi (p. es. prurito generalizzato, orticaria, angioedema, lieve
difficoltà di respirazione, nausea e vomito) si devono somministrare SC 0,01 ml/
kg di adrenalina in soluzione acquosa 1:1000 (la dose usuale per gli adulti è
compresa tra 0,3 e 0,5 ml). Se la reazione anafilattica è stata provocata da un
antigene iniettato in un arto, bisogna applicare un laccio emostatico a monte della
sede di iniezione e iniettare inoltre la metà della suddetta dose di adrenalina nella
stessa sede, in modo da ridurre l’assorbimento sistemico dell’antigene. Può
rendersi necessaria una seconda iniezione sottocutanea di adrenalina. Dopo la
risoluzione della sintomatologia, va somministrato un antiistaminico orale per
24 h.

Per le reazioni di maggiore gravità, con angioedema massivo ma senza segni


di interessamento cardiovascolare, ai pazienti adulti bisogna somministrare 50-
100 mg di difenidramina EV in aggiunta alla terapia suddetta, per prevenire
l’edema laringeo e bloccare l’effetto dell’ulteriore rilascio di istamina. Quando
l’edema risponde alla terapia, si possono somministrare 0,005 ml/ kg SC di
adrenalina ad azione prolungata in sospensione acquosa 1:200 (dose massima,
0,15 ml) per il suo effetto perdurante 6-8 h; per le successive 24 h deve essere
somministrato un antiistaminico orale.

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Disordini da ipersensibilità

Per le reazioni asmatiche che non rispondono all’adrenalina, bisogna avviare


l’infusione di liquidi EV e (se il paziente non è già sotto teofillina) si possono
somministrare 5 mg/kg di teofillina EV nell’arco di 10-30 min, seguiti da 0,5 mg/
kg/ h, più o meno, per mantenere un livello ematico di teofillina di 10-20 µg/ml (tra
55 e 110 µmol/l). Può diventare necessaria l’intubazione endotracheale o la
tracheostomia, con somministrazione di O2 a 4-6 l/min.

Le reazioni più gravi solitamente coinvolgono il sistema cardiovascolare,


provocando ipotensione grave e collasso vasomotorio. Si devono infondere
rapidamente liquidi EV e porre il paziente in posizione supina con le gambe
sollevate. Va somministrata adrenalina (1:100000) per infusione EV lenta (5-
10 µg/min) sotto stretta osservazione per rilevare la comparsa di effetti collaterali,
come cefalea, tremori, nausea e aritmie. La grave ipotensione di base può
essere dovuta a vasodilatazione, ipovolemia da perdita di liquidi, insufficienza
miocardica (raramente) oppure a una combinazione di tali cause. Ogni tipo di
reazione prevede un trattamento specifico e spesso la terapia di una di esse
aggrava le altre. La terapia adeguata può essere scelta opportunamente se si
possono misurare la pressione venosa centrale (Central Venous Pressure, CVP)
e la pressione atriale sinistra (v. anche nel Cap. 198). Una CVP bassa e una
pressione atriale sinistra normale indicano una vasodilatazione periferica e/o
un’ipovolemia. La vasodilatazione dovrebbe rispondere all’adrenalina (che inoltre
ritarderà la perdita dei liquidi intravascolari).

L’ipovolemia è di solito la causa principale dell’ipotensione. La CVP e la


pressione atriale sinistra sono entrambe basse e bisogna somministrare grandi
volumi di soluzione fisiologica, controllando la PA finché la CVP non ritorna
normale. Raramente sono necessari i plasma-expander colloidali (p. es. il
destrano). Soltanto se la reintegrazione dei liquidi non ripristina una PA normale,
bisogna avviare con cautela una terapia con farmaci vasopressori (p. es.
dopamina, noradrenalina).

Si può verificare un arresto cardiaco, che richiede la rianimazione immediata (v.


Cap. 206). Ulteriori terapie dipendono dal quadro ECG.

Quando tutte le misure suddette sono state istituite, si può somministrare


difenidramina (50-75 mg EV in infusione lenta in 3 min) per il trattamento
dell’orticaria, dell’asma, dell’edema laringeo o dell’ipotensione a esordio ritardato.
Le eventuali complicanze (p. es. infarto miocardico, edema cerebrale) vanno
sempre ricercate e trattate nella maniera opportuna. I pazienti con reazioni gravi
devono rimanere sotto osservazione in ospedale per 24 h dopo la risoluzione del
quadro, nel caso si verificassero ricadute.

I soggetti che hanno avuto una reazione anafilattica alla puntura di un insetto
devono portare sempre con sé una siringa preriempita di adrenalina pronta per
l’uso, in modo da potersi trattare rapidamente da soli in caso di reazioni future.
Essi vanno indirizzati all’esecuzione dell’immunoterapia (desensibilizzazione) con
il veleno dell’insetto.

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Disordini da ipersensibilità

Manuale Merck

12. IMMUNOLOGIA; MALATTIE ALLERGICHE

148. DISORDINI DA IPERSENSIBILITÀ

DISORDINI CON REAZIONI DI IPERSENSIBILITA' DI TIPO IV

IPERSENSIBILITA' AI FARMACI

Sommario:

Introduzione
Meccanismi dell'ipersensibilità ai farmaci
Diagnosi
Terapia

Le eruzioni cutanee da farmaci sono trattate nel Cap. 118. In questa sede
vengono esposte altre reazioni di ipersensibilità che possono far seguito alla
somministrazione orale o parenterale di farmaci. La dermatite da contatto, che è
una reazione di ipersensibilità cellulare (ritardata, di tipo IV) che consegue a
un’applicazione locale, viene trattata nel Cap. 111; le reazioni a farmaci che sono
la conseguenza di meccanismi non immunologici sono trattate nel Cap. 302. Per
le reazioni allergiche agli emoderivati, v. Reazioni allergiche nel Cap. 129.

Prima di attribuire una determinata reazione a un farmaco, si deve ricordare che


anche i placebo possono provocare un’ampia varietà di sintomi e perfino di segni
obiettivi, come le eruzioni cutanee. Ciò nonostante, le reazioni da farmaci vere e
proprie costituiscono un problema medico di rilievo. Bisogna consultare la
letteratura sui singoli farmaci per identificare le reazioni avverse più probabili.

Con un sovradosaggio farmacologico, compaiono effetti tossici in relazione


diretta con la quantità totale di farmaco presente nell’organismo e tali effetti
possono verificarsi in qualunque paziente se la dose è sufficientemente elevata.
Un sovradosaggio assoluto deriva da un errore nel dosaggio o nella frequenza
delle singole dosi. Un sovradosaggio relativo si può osservare nei pazienti che, a
causa di malattie epatiche o renali, non metabolizzano o non eliminano
normalmente il farmaco.

Nell’intolleranza farmacologica la reazione indesiderata si manifesta alla prima


assunzione del farmaco. Essa può consistere nella stessa reazione tossica
ordinariamente attesa con dosi più elevate o può essere un’esagerazione di un
comune effetto collaterale di lieve entità (p. es. la sedazione da antiistaminici).
L’idiosincrasia è una condizione nella quale la reazione indesiderata che si
verifica alla prima assunzione del farmaco è del tutto inattesa e singolare dal
punto di vista farmacologico. Si sta identificando un numero sempre maggiore di
reazioni dovute a deficit enzimatici geneticamente determinati (p. es. l’anemia
emolitica che si sviluppa nei pazienti con deficit di G6PD durante la terapia con
svariati farmaci; l’apnea da succinilcolina; la neuropatia periferica da isoniazide:
v. anche Reazioni indesiderate ai farmaci nel Cap. 302).

La maggior parte delle reazioni tossiche e idiosincrasiche è abbastanza


differente dalle reazioni allergiche, con alcune eccezioni. Le reazioni tossiche o
idiosincrasiche dovute a farmaci aventi un’azione diretta di rilascio dell’istamina
(p. es. mezzi di contrasto radiografici, oppiacei, pentamidina, polimixina B)
possono presentarsi sotto forma di orticaria o addirittura di una reazione
anafilattoide. L’anemia emolitica può essere allergica (p. es. da penicillina) o
dovuta a deficit di G6PD. La febbre da farmaci può essere di origine allergica,

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Disordini da ipersensibilità

tossica (p. es. da amfetamina e tranilcipromina) o anche farmacologica (p. es. da


etiocolanolone).

Caratteristiche delle reazioni allergiche ai farmaci: una reazione mediata da


IgE si verifica soltanto dopo che il paziente è stato esposto al farmaco (non
necessariamente a scopo terapeutico) una o più volte senza incidenti. Una volta
che l’ipersensibilità si è sviluppata, la reazione può essere provocata da dosi
molto inferiori ai dosaggi terapeutici e solitamente inferiori anche ai livelli che
provocano reazioni idiosincrasiche. Le caratteristiche cliniche sono piuttosto
limitate nelle loro manifestazioni. Le eruzioni cutanee (specialmente l’orticaria), la
sindrome simil-malattia da siero, la febbre inattesa, l’anafilassi e gli infiltrati
polmonari eosinofili che compaiono durante una terapia farmacologica sono
solitamente dovuti a ipersensibilità; possono esserlo anche alcuni casi di anemia,
di trombocitopenia o di agranulocitosi. Raramente, dopo esposizioni ripetute a un
farmaco (p. es. sulfamidici, ioduri, penicillina) si manifesta una vasculite, e sono
stati descritti una nefrite interstiziale (p. es. da meticillina) e un danno epatico
(p. es. da alotano) in circostanze compatibili con lo sviluppo di un’ipersensibilità
specifica.

L’esempio più grave di ipersensibilità ai farmaci è costituito dall’anafilassi.


Tuttavia, la più comune reazione a farmaci è di gran lunga un’eruzione
morbilliforme, ancora una volta a eziologia sconosciuta. Anche la febbre e le
reazioni urticarioidi sono conseguenze relativamente comuni dell’allergia ai
farmaci. Quando in terapia venivano usati i sieri di origine animale, la malattia da
siero era una complicanza possibile, ma i sieri animali vengono usati raramente
al giorno d’oggi. Può manifestarsi una grave sindrome tipo malattia da siero, a
patogenesi sconosciuta, senza livelli elevati di anticorpi IgG circolanti ma
solitamente associata con la presenza di anticorpi IgE, particolarmente con
farmaci come la penicillina.

Meccanismi dell'ipersensibilità ai farmaci

I farmaci costituiti da proteine e da polipeptidi di grandi dimensioni possono


stimolare la produzione di anticorpi specifici mediante un meccanismo
schiettamente immunologico. Forse la più piccola molecola con potenzialità
antigeniche è il glucagone, che ha un peso molecolare di circa 3500. La maggior
parte delle molecole dei farmaci è molto più piccola e non possono comportarsi
da antigeni da sole. Tuttavia, come apteni, alcune di esse possono legarsi
covalentemente alle proteine e i coniugati che ne risultano possono stimolare la
produzione di anticorpi specifici diretti contro il farmaco. Il farmaco, o uno dei suoi
metaboliti, deve essere chimicamente reattivo con la proteina. Il legame con le
proteine sieriche comune a molti farmaci è molto più debole e non possiede forza
sufficiente per l’antigenicità.

La reazione immunologica specifica è stata definita soltanto per la


benzilpenicillina. Questo farmaco non si lega con i tessuti o le proteine sieriche in
modo sufficientemente energico da formare un complesso antigenico, ma il suo
principale prodotto di degradazione, l’acido benzilpenicillanico, può combinarsi
con le proteine tissutali per formare il benzilpenicilloile (BPO), il determinante
antigenico principale della penicillina. Diversi determinanti antigenici minori
vengono formati in quantitativi relativamente piccoli con meccanismi meno ben
definiti. Le reazioni di ipersensibilità (di tipo I, II, III, IV) il più delle volte
coinvolgono il determinante BPO. Anticorpi IgE diretti contro i determinanti minori
possono essere responsabili, in alcuni pazienti, di anafilassi e orticaria. Sono stati
individuati anticorpi IgG contro il determinante principale, ma non contro i
determinati minori. Essi possono agire come "anticorpi bloccanti" per il BPO,
modificando o anche impedendo una reazione contro il BPO stesso, mentre la
mancanza di anticorpi IgG bloccanti diretti contro i determinanti minori può
spiegare la capacità di questi determinanti di provocare anafilassi.

Tutte le penicilline semisintetiche (p. es. l’amoxicillina, la carbenicillina, la


ticarcillina) potenzialmente reagiscono in maniera crociata con la penicillina,
cosicché i pazienti ipersensibili alla penicillina spesso reagiscono anche contro di
esse. Reazioni crociate si verificano in grado minore con le cefalosporine. La

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Disordini da ipersensibilità

terapia con una cefalosporina va cominciata con grande cautela se il paziente ha


una storia di reazioni gravi (p. es. anafilassi) alla penicillina.

Le reazioni ematologiche ai farmaci mediate da anticorpi (citotossiche, di


tipo II) possono svilupparsi con tre meccanismi diversi: nell’anemia indotta dalla
penicillina, l’anticorpo reagisce con l’aptene, che è saldamente legato alla
membrana dei GR, provocando agglutinazione e aumento della distruzione dei
GR stessi. Nella trombocitopenia indotta dallo stibofene e dalla chinidina (v.
anche Trombocitopenia nel Cap. 133) il farmaco forma un complesso solubile
con il suo anticorpo specifico. Il complesso reagisce poi con le piastrine
circostanti (le cellule bersaglio "spettatrici innocenti") e attiva il complemento, che
resta poi da solo sulla membrana piastrinica e provoca la lisi cellulare. In altre
anemie emolitiche, il farmaco (p. es. la metildopa) sembra alterare chimicamente
la superficie del GR, esponendo così un antigene che induce la formazione di un
autoanticorpo, solitamente con specificità Rh, per poi reagire con esso.

Diagnosi

Le reazioni tossico-idiosincrasiche e quelle anafilattiche sono sufficientemente


caratteristiche nelle loro manifestazioni e nei tempi di presentazione, tanto che di
solito il farmaco responsabile viene facilmente identificato. Le reazioni tipo
malattia da siero sono dovute il più delle volte alle penicilline, ma
occasionalmente ne sono responsabili i sulfamidici, l’idralazina, le sulfaniluree o
le tiazidi. La fotosensibilizzazione è caratteristica della clorpromazina, di taluni
antisettici contenuti nei saponi, dei sulfamidici, degli psoralenici, della
demeclociclina e della griseofulvina. Tutti i farmaci tranne quelli ritenuti
assolutamente essenziali devono essere sospesi. Quando si sospetta la febbre
da farmaci, si sospende il farmaco più probabilmente responsabile (p. es.
l’allopurinolo, la penicillina, l’isoniazide, i sulfamidici, i barbiturici, la chinidina). La
riduzione della febbre entro 48 h è un forte indizio a carico del farmaco in
questione. Se la febbre è accompagnata da granulocitopenia, la tossicità del
farmaco è più probabile dell’allergia a esso e molto più grave (v. Cap. 135).

Le reazioni allergiche polmonari ai farmaci sono solitamente di tipo infiltrativo,


con eosinofilia e possono essere provocate tra gli altri dai sali d’oro, dalla
penicillina e dai sulfamidici. La più comune responsabile di una reazione
polmonare infiltrativa acuta è la nitrofurantoina. La reazione è probabilmente
allergica, ma di solito non si accompagna a ipereosinofilia.

Le reazioni epatiche possono essere principalmente colestatiche (fenotiazine ed


eritromicina estolato ne sono i maggiori responsabili) oppure epatocellulari
(allopurinolo, idantoina, sali d’oro, isoniazide, sulfamidici, acido valproico e molti
altri). La reazione allergica renale abituale è la nefrite interstiziale, il più delle
volte dovuta alla meticillina; sono stati chiamati in causa anche altri antibiotici e la
cimetidina.

Una sindrome simile al LES può essere provocata da diversi farmaci, più
comunemente da idralazina e procainamide. La sindrome è associata alla
positività del test per gli anticorpi anti-nucleo ed è relativamente benigna,
risparmiando i reni e il SNC. La penicillamina può provocare il LES e altre
malattie autoimmuni e in particolar modo la miastenia gravis.

La diagnosi di qualunque reazione di ipersensibilità ai farmaci può essere


confermata da un test di provocazione, cioè dalla nuova somministrazione del
farmaco; tuttavia riprodurre una reazione allergica per confermarne il nesso
causale può essere rischioso e raramente è giustificato.

I test di laboratorio per l’ipersensibilità a farmaci specifici (p. es. il RAST, il


rilascio di istamina, la degranulazione dei basofili o delle mast-cellule, la
trasformazione linfocitaria) sono poco affidabili o ancora allo stato sperimentale.
Un’eccezione è costituita dai test per le reazioni ematologiche ai farmaci (v.
Diagnosi sotto Disordini con reazioni di ipersensibilità di tipo II, sopra). Per

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Disordini da ipersensibilità

quanto riguarda la terapia desensibilizzante, v. oltre.

I test cutanei per l’ipersensibilità immediata (mediata da IgE) sono molto utili per
la diagnosi delle reazioni alla penicillina, agli enzimi, al siero eterologo e ad alcuni
vaccini e ormoni polipeptidici, ma per la maggior parte dei farmaci sono poco
affidabili. Per l’esecuzione dei test cutanei è disponibile un coniugato BPO-
polilisina. I determinanti minori non sono stati approvati dalla FDA come reagenti
per i test cutanei per l’allergia alla penicillina. Fortunatamente, la maggior parte
dei pazienti ipersensibili a una miscela di determinanti minori reagisce con uno
dei reagenti, la penicillina G, che può essere impiegata per i test cutanei alla
concentrazione di 1000 U/ml. Le prove cutanee prevedono in primo luogo
l’esecuzione del prick test. Se il paziente ha avuto in passato una reazione grave
a carattere esplosivo, i reagenti per il test iniziale devono essere diluiti 100 volte.
Un prick test negativo può consentire l’esecuzione successiva di un test
intradermico. Se i test cutanei sono positivi, il paziente rischia una reazione
anafilattica nel caso venga trattato con penicillina. La negatività dei test cutanei
riduce al minimo, ma non esclude, il rischio di una reazione grave. Sebbene non
esista nell’uomo la dimostrazione che i test cutanei alla penicillina abbiano mai
indotto una sensibilizzazione de novo, nella maggior parte dei casi è buona
norma saggiare il paziente per escludere un’allergia alla penicillina soltanto
immediatamente prima che venga intrapresa una terapia penicillinica
indispensabile. Poiché rivelano soltanto le reazioni mediate da IgE, i test cutanei
non possono prevedere il verificarsi di eventuali eruzioni morbilliformi o di anemia
emolitica. Per quanto riguarda il siero eterologo, un paziente che non sia atopico
e al quale in precedenza non sia stato somministrato siero di cavallo, dapprima
deve essere sottoposto a un prick test con una diluizione di 1:10; se esso risulta
negativo, si iniettano per via intradermica 0,02 ml di una diluizione 1:1000. Se il
paziente è ipersensibile, si formerà nell’arco di 15 min un pomfo con
diametro > 0,5 cm. Tutti i pazienti ai quali in precedenza può essere stato
somministrato del siero (a prescindere dal fatto se abbiano reagito o meno nei
suoi confronti) e quelli con una storia di sospetta allergia devono essere
sottoposti a un test preliminare con una diluizione di 1:1000. La negatività dei test
cutanei esclude la possibilità dell’anafilassi (reazione mediata da IgE) ma non è
in grado di prevedere l’incidenza di una successiva malattia da siero.

Terapia

Solitamente è necessario sospendere la terapia con il farmaco responsabile se la


reazione appare di natura allergica, contrariamente a quanto avviene con le
reazioni tossiche, nelle quali la dose può spesso essere ridotta e mantenere
ancora la sua efficacia senza provocare una reazione. La maggior parte delle
reazioni allergiche scompare alcuni giorni dopo la sospensione del farmaco. La
terapia può abitualmente essere limitata al controllo del dolore o del prurito. Le
artralgie presenti nella malattia da siero di solito possono essere controllate con
aspirina o con un altro FANS. Condizioni come la febbre da farmaci, un’eruzione
cutanea non pruriginosa o lievi reazioni a carico di un sistema organico non
richiedono alcun trattamento. Tuttavia, se un paziente presenta manifestazioni
acute e mostra segni di interessamento multisistemico o dermatite esfoliativa, è
necessario ricorrere alla terapia corticosteroidea intensiva (p. es. prednisone 40-
80 mg/die PO). Maggiori informazioni sul trattamento delle reazioni cliniche
specifiche si possono trovare nei relativi capitoli del Manuale.

A volte la somministrazione di un farmaco salvavita deve essere proseguita


nonostante la presenza di manifestazioni allergiche; p. es. la terapia
dell’endocardite batterica con penicillina può essere continuata nonostante la
comparsa di un’eruzione morbilliforme, di orticaria o di febbre da farmaci.
L’orticaria viene trattata nel modo descritto sopra, compreso l’impiego di un
glucocorticoide, se necessario.

La desensibilizzazione rapida nei confronti di un farmaco può essere


necessaria se l’ipersensibilità è stata accertata mediante l’anamnesi o la
positività di un test di provocazione oppure (per la penicillina, l’insulina e gli
antisieri) la positività di un test cutaneo, se il trattamento è indispensabile e non
esiste alternativa al farmaco in questione. A titolo di esempio, si descrive la

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Disordini da ipersensibilità

desensibilizzazione alla penicillina e al siero eterologo.

Desensibilizzazione alla penicillina: la desensibilizzazione alla penicillina il più


delle volte si rende necessaria per preparare un individuo allergico alla terapia di
un’endocardite batterica. Quando è possibile, la desensibilizzazione deve essere
eseguita con la collaborazione di uno specialista. Se è positivo soltanto il test
cutaneo intradermico, la prima dose si somministra EV: 100 U (o µg)/ml in un
flacone da 50 ml, somministrate al principio molto lentamente. Se non compaiono
sintomi, la velocità del flusso può essere gradualmente aumentata, fino a far
svuotare il flacone dopo 20-30 min. Questo procedimento viene ripetuto con
concentrazioni di 1000 e di 10000 U/ ml, seguite dalla dose terapeutica piena. Se
si manifesta qualche sintomo allergico, si deve diminuire la velocità di infusione e
somministrare al paziente la terapia farmacologica appropriata (v. Anafilassi,
sopra). La desensibilizzazione EV è più sicura di quella SC o IM, perché è
possibile controllare sia la quantità sia la velocità della somministrazione del
farmaco. Anche la desensibilizzazione orale è spesso efficace. La prima dose è
di 100 U (o µg); le dosi successive vengono raddoppiate ogni 15 min e, se si
presentano sintomi, essi vengono risolti con gli opportuni farmaci antianafilattici.
Qualunque via di somministrazione venga impiegata, nella rara eventualità di una
positività del prick test per la penicillina la dose di partenza deve essere
1000 volte più bassa.

Desensibilizzazione al siero eterologo: se un test cutaneo a un siero eterologo


è positivo, il rischio di anafilassi è elevato. Se la sieroterapia è indispensabile, è
necessario procedere prima alla desensibilizzazione. Per stabilire la dose iniziale
idonea per la desensibilizzazione, che è quella corrispondente alla
concentrazione che ha provocato una reazione debole o negativa, vengono
eseguiti i test cutanei, utilizzando concentrazioni più basse ottenute con il metodo
della diluizione seriata. Viene iniettato un decimo di ml SC o per via endovenosa
lenta; sebbene non sia il metodo standard, la via endovenosa, come nel caso
della desensibilizzazione alla penicillina, permette al medico di controllare sia la
concentrazione sia la velocità di somministrazione. Se non si osserva alcuna
reazione entro 15 min, la dose viene raddoppiata ogni 15 min finché non è stato
somministrato 1 ml di siero non diluito. Questa dose viene ripetuta IM e se non si
hanno reazioni entro 15 min, si potrà somministrare la dose intera. Se un
paziente sviluppa una reazione, c’è ancora la possibilità di procedere con cautela
riducendo la dose, somministrando antiistaminici come per l’orticaria acuta e
quindi riprendendo ad aumentare con incrementi minori.

Ogni volta che si esegue una desensibilizzazione, devono essere disponibili O2,
adrenalina e l’attrezzatura per la rianimazione, in modo da poter fronteggiare
prontamente una reazione anafilattica.

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Farmacologia clinica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. Introduzione e disposizione dei farmaci

Assorbimento

Biodisponibilità

Distribuzione

Eliminazione

Metabolismo

Escrezione

299. Farmacocinetica

Parametri farmacocinetici di base

Somministrazione dei farmaci

Variabilità dei valori dei parametri

300. Farmacodinamica

Interazioni farmaco-recettore

Relazione dose-risposta

301. Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Farmacogenetica

Interazioni farmacologiche

Placebo

Compliance del paziente

302. Tossicità dei farmaci

Valutazione della tossicità dei farmaci

Reazioni avverse ai farmaci

Cancerogenesi

Rapporto rischi-benefici

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Farmacologia clinica

303. Monitoraggio del trattamento farmacologico

Finestra terapeutica

Valutazione di una concentrazione osservata

304. Terapia farmacologica nell’anziano

Farmacocinetica

Farmacodinamica

Reazioni avverse ai farmaci

Considerazioni per una farmacoterapia efficace

305. Uso degli steroidi anabolizzanti

306. Nomi commerciali di alcuni farmaci di uso comune

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI

I farmaci sono quasi sempre composti estranei all’organismo. Come tali, a


differenza delle sostanze endogene, essi non vengono prodotti ed eliminati in
modo continuo. L’assorbimento, la biodisponibilità, la distribuzione e
l’eliminazione di un farmaco sono quindi fattori determinanti per l’inizio, la durata
e l’intensità della sua azione.

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI

ASSORBIMENTO

Processo di trasferimento dei farmaci dalla sede di somministrazione alla


circolazione sistemica.

Sommario:

Introduzione
Trasporto attraverso le membrane cellulari
Somministrazione orale
Somministrazione parentale
Forme a rilascio controllato

L’assorbimento dei farmaci è determinato dalle loro proprietà fisico-chimiche,


dalle loro formulazioni e dalle vie di somministrazione. I prodotti farmaceutici,
cioè le effettive preparazioni (p. es., compresse, capsule, soluzioni) costituite dal
farmaco e dagli eccipienti, sono formulate per essere somministrate per varie vie,
tra le quali l’orale, la buccale, la sub-linguale, la rettale, la parenterale, la topica e
l’inalatoria. Un requisito essenziale per l’assorbimento è la dissoluzione del
farmaco. I prodotti farmaceutici solidi (p. es., le compresse) si disintegrano e si
disgregano, ma l’assorbimento può avvenire solo dopo che i farmaci sono entrati
in soluzione.

Trasporto attraverso le membrane cellulari

La maggior parte delle vie di somministrazione (esclusa quella EV) implica la


necessità che i farmaci attraversino diverse membrane cellulari semipermeabili
prima di raggiungere la circolazione sistemica. Queste membrane sono barriere
biologiche che impediscono in maniera selettiva il passaggio delle molecole dei
farmaci e sono composte principalmente da una matrice molecolare lipidica
bistratificata, contenente soprattutto colesterolo e fosfolipidi. I lipidi conferiscono
stabilità alla membrana e sono responsabili delle sue caratteristiche di
permeabilità. Nello spessore della matrice lipidica sono inserite proteine globulari
di diverse dimensioni e composizione, le quali sono coinvolte nei processi di
trasporto e funzionano come recettori per la regolazione delle attività cellulari. I
farmaci possono attraversare una barriera biologica mediante i meccanismi della
diffusione passiva, della diffusione passiva facilitata, del trasporto attivo o della
pinocitosi.

Diffusione passiva: in questo processo, il trasporto di un soluto attraverso una


membrana cellulare dipende dal suo gradiente di concentrazione. La maggior
parte delle molecole dei farmaci attraversa le membrane per diffusione semplice
da una regione ad alta concentrazione (p. es., i fluidi GI) a una regione a bassa
concentrazione (p. es., il sangue). Poiché le molecole dei farmaci vengono
rapidamente rimosse per opera del torrente circolatorio e distribuite in un ampio
volume di liquidi e tessuti dell’organismo, la loro concentrazione nel sangue è
inizialmente bassa rispetto a quella presente nella sede di somministrazione,
dando luogo a un gradiente elevato. La velocità di diffusione è direttamente
proporzionale al gradiente, ma dipende anche dalla liposolubilità, dal grado di
ionizzazione e dalle dimensioni della molecola, nonché dall’area della superficie

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Introduzione e disposizione dei farmaci

di assorbimento. Dal momento che la membrana cellulare è di natura lipidica, i


farmaci liposolubili diffondono più velocemente di quelli relativamente non
liposolubili. Le molecole di piccole dimensioni tendono a passare attraverso le
membrane più rapidamente di quelle voluminose.

La maggior parte dei farmaci è rappresentata da basi o acidi organici deboli che
in ambiente acquoso si trovano in forma ionizzata e in forma non ionizzata. La
forma non ionizzata di solito è liposolubile e diffonde facilmente attraverso le
membrane cellulari; la forma ionizzata non è in grado di attraversare con facilità
la membrana cellulare a causa della sua bassa liposolubilità e della sua alta
resistenza elettrica, derivante dalla carica della molecola e dai gruppi polari
presenti sulla superficie della membrana stessa. Di conseguenza, la
penetrazione dei farmaci nei compartimenti biologici può essere attribuita per lo
più alla loro forma non ionizzata. In condizioni di equilibrio, la distribuzione di un
farmaco ionizzabile sui due versanti di una membrana è determinata dal pKa del
farmaco (il pH al quale le concentrazioni della sua forma non ionizzata e di quella
ionizzata sono uguali) e dal gradiente di pH, qualora sia presente. Per un acido
debole, più elevato è il pH, più basso è il rapporto tra la forma non ionizzata e
quella ionizzata. Nel plasma (pH 7,4), il rapporto tra la forma non ionizzata e
quella ionizzata di un acido debole (p. es., con pKa di 4,4) è di 1:1000; nel succo
gastrico (pH 1,4) il rapporto è invertito (1000:1). Quando l’acido debole viene
somministrato per via orale, il gradiente di concentrazione del farmaco non
ionizzato tra lo stomaco e il plasma tende a essere elevato, favorendone la
diffusione attraverso la mucosa gastrica. In condizioni di equilibrio, le
concentrazioni del farmaco non ionizzato nello stomaco e nel plasma sono
uguali, perché solo il farmaco non ionizzato può passare attraverso le membrane;
la concentrazione del farmaco ionizzato nel plasma sarebbe quindi circa
1000 volte superiore a quella presente nello stomaco. Per una base debole con
un pKa di 4,4 il risultato è opposto. Di conseguenza, in linea teorica, i farmaci
debolmente acidi (p. es., l’aspirina) vengono assorbiti da un ambiente acido (lo
stomaco) più facilmente di quanto non facciano le basi deboli (p. es., la
chinidina). Tuttavia, indipendentemente dal fatto che un farmaco sia acido o
basico, la maggior parte del suo assorbimento si verifica comunque nell’intestino
tenue (v. Somministrazione orale, più avanti).

Diffusione passiva facilitata: per determinate molecole (p. es., il glucoso), la


velocità di attraversamento delle membrane è superiore a quella prevedibile sulla
base della loro bassa liposolubilità. Una delle ipotesi è che un componente di
trasporto (carrier) si combini reversibilmente con la molecola del substrato sulla
superficie esterna della membrana cellulare e che il complesso carrier-substrato
diffonda rapidamente attraverso la membrana liberando il substrato sul versante
interno. La diffusione mediata da carrier è caratterizzata dalla selettività e dalla
saturabilità: il carrier trasporta soltanto i substrati con una configurazione
molecolare relativamente specifica e il processo è limitato dalla disponibilità dei
carrier. Questo meccanismo non richiede dispendio di energia e non consente il
trasporto contro un gradiente di concentrazione.

Trasporto attivo: questo processo è caratterizzato da selettività e saturabilità e


richiede dispendio di energia da parte della cellula. I substrati possono
accumularsi nel compartimento intracellulare contro un gradiente di
concentrazione. Il trasporto attivo sembra essere limitato ai farmaci
strutturalmente simili a sostanze endogene; questi farmaci vengono solitamente
assorbiti in tratti specifici dell’intestino tenue. Processi di trasporto attivo sono
stati identificati per diversi ioni, vitamine, zuccheri e aminoacidi.

Pinocitosi: è il meccanismo con il quale le cellule incorporano materiale liquido o


particelle solide. La membrana cellulare si invagina, circonda il fluido o le
particelle e quindi si fonde di nuovo formando una vescicola che in seguito si
distacca e si muove verso l’interno della cellula. Anche questo meccanismo
richiede dispendio di energia. La pinocitosi riveste probabilmente un ruolo
marginale nel trasporto dei farmaci, se si eccettuano quelli di natura proteica.

Somministrazione orale

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Nel caso della somministrazione orale, che è la via di somministrazione più


comune, l’assorbimento si riferisce al trasporto dei farmaci attraverso le
membrane delle cellule epiteliali dell’apparato GI. L’assorbimento dopo la
somministrazione orale è reso incostante da differenze a carico del pH
intraluminale lungo il tratto GI, dell’area della superficie di assorbimento per unità
di volume luminale e della perfusione ematica, oltre che dalla presenza di bile e
muco e dalla natura delle membrane epiteliali. Gli acidi vengono assorbiti più
rapidamente nell’intestino che nello stomaco, contraddicendo in apparenza
l’ipotesi che un farmaco non ionizzato attraversa le membrane con maggior
facilità. In realtà, l’apparente contraddizione è spiegata dalla più ampia superficie
di assorbimento e dalla maggiore permeabilità delle membrane dell’intestino
tenue.

La mucosa orale possiede un epitelio sottile e una ricca vascolarizzazione che


favoriscono l’assorbimento, ma il contatto è solitamente troppo breve, anche per i
farmaci in soluzione, perché abbia luogo un assorbimento apprezzabile. Un
farmaco posto tra le gengive e la guancia (somministrazione buccale) o sotto la
lingua (somministrazione sublinguale) viene trattenuto in situ più a lungo,
consentendo un assorbimento più completo.

Lo stomaco ha una superficie epiteliale relativamente estesa, ma poiché


possiede uno strato mucoso piuttosto spesso e il tempo in cui il farmaco vi
staziona è di solito relativamente breve, l’assorbimento è limitato. Praticamente
tutti i farmaci vengono assorbiti più velocemente dall’intestino tenue che dallo
stomaco. Di conseguenza, lo svuotamento gastrico è il passaggio limitante la
velocità di assorbimento. Il cibo, specialmente gli alimenti grassi, rallenta lo
svuotamento gastrico (e la velocità di assorbimento dei farmaci), spiegando
perché alcuni farmaci debbano essere assunti a stomaco vuoto quando si
desidera un rapido inizio d’azione. Il cibo può aumentare l’entità
dell’assorbimento dei farmaci scarsamente solubili (p. es., la griseofulvina), può
ridurre quella dei farmaci che vengono degradati nello stomaco (p. es., la
penicillina G), oppure avere effetti minimi o nulli. I farmaci che influenzano lo
svuotamento gastrico (p. es., i parasimpaticolitici) modificano la velocità di
assorbimento di altri farmaci.

Fra tutti i segmenti dell’apparato GI, l’intestino tenue possiede la più ampia
superficie per l’assorbimento dei farmaci. Il pH intraluminale varia da 4 a 5 nel
duodeno, ma diviene via via progressivamente più alcalino, avvicinandosi a 8
nell’ileo distale. La microflora GI può inattivare taluni farmaci, riducendone
l’assorbimento. La riduzione del flusso ematico (p. es., nello shock) può diminuire
il gradiente di concentrazione tra i due versanti della mucosa intestinale e ridurre
l’assorbimento che avviene per diffusione passiva. (Anche la diminuzione del
flusso ematico periferico altera la distribuzione e il metabolismo dei farmaci.)

Il tempo di transito intestinale può influenzare l’assorbimento, particolarmente


dei farmaci che vengono assorbiti mediante trasporto attivo (p. es., le vitamine
del gruppo B), di quelli che si disciolgono lentamente (p. es., la griseofulvina) o di
quelli che sono troppo polari (cioè scarsamente liposolubili) per attraversare
facilmente le membrane (p. es., molti antibiotici). Per tali farmaci, il transito può
risultare troppo rapido perché l’assorbimento sia completo.

L’assorbimento delle preparazioni a rilascio controllato può avvenire


principalmente nell’intestino crasso, particolarmente quando il rilascio del
farmaco si protrae per più di 6 h, il tempo necessario perché il contenuto
intestinale giunga nel colon.

Assorbimento dei farmaci in soluzione: un farmaco somministrato per via


orale in soluzione viene a contatto con numerose secrezioni GI e, per essere
assorbito, deve superare indenne l’esposizione a bassi valori di pH e a enzimi
potenzialmente degradanti. Di solito, anche se un farmaco è stabile nell’ambiente
intestinale, ben poco di esso rimane nel lume fino a giungere nell’intestino
crasso. I farmaci poco lipofilici (cioè con scarsa capacità di attraversare le
membrane), come gli aminoglicosidi, quando si trovano in soluzione vengono
assorbiti lentamente nello stomaco e nell’intestino tenue; per tali farmaci,
l’assorbimento a livello dell’intestino crasso è prevedibilmente ancora più lento,
perché l’area della superficie di assorbimento è minore. Di conseguenza, questi

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Introduzione e disposizione dei farmaci

farmaci non sono buoni candidati per le preparazioni a rilascio controllato.

Assorbimento dei farmaci in forma solida: la maggior parte dei farmaci viene
somministrata per via orale sotto forma di compresse o capsule, principalmente
per ragioni di praticità, di economia, di stabilità e di accettazione da parte del
paziente. Questi prodotti devono disgregarsi e disciogliersi prima che possa
avvenirne l’assorbimento. La disgregazione aumenta notevolmente la quantità di
molecole di farmaco che vengono a contatto con i succhi GI, favorendo in questo
modo la dissoluzione e l’assorbimento del farmaco stesso. Agenti disgreganti e
altri eccipienti (p. es., diluenti, lubrificanti, surfattanti, leganti, disperdenti)
vengono spesso aggiunti al farmaco durante la fabbricazione per facilitare questi
processi. I surfattanti aumentano la velocità di dissoluzione incrementando la
permeabilità all’acqua, la solubilità e la capacità di dispersione del farmaco. La
disgregazione delle preparazioni solide può essere ritardata dall’applicazione di
una pressione eccessiva durante il confezionamento delle compresse oppure da
speciali rivestimenti applicati per proteggere le compresse dai processi digestivi
intestinali. I lubrificanti idrofobi (p. es., lo stearato di magnesio) possono legarsi al
farmaco attivo e ridurre la sua biodisponibilità.

La velocità di dissoluzione determina la maggiore o minore disponibilità del


farmaco per l’assorbimento. Nel caso in cui la dissoluzione sia più lenta
dell’assorbimento, essa diventa la tappa limitante la velocità del processo.
L’assorbimento complessivo può essere regolato tramite modificazioni della
formulazione del farmaco. Per esempio, la riduzione delle dimensioni delle
particelle aumenta la superficie di contatto della sostanza, aumentando in questo
modo la velocità e il grado dell’assorbimento GI di un farmaco il cui assorbimento
è normalmente limitato da una lenta dissoluzione. La velocità di dissoluzione è
diversa a seconda che il farmaco sia in forma salina, cristallina o idrata. I sali di
Na degli acidi deboli (p. es., barbiturici, salicilati) si dissolvono più rapidamente
dei loro corrispondenti acidi liberi, indipendentemente dal pH del mezzo. Alcuni
farmaci sono polimorfici, esistendo in forme amorfe o in forme cristalline di vario
tipo. Il cloramfenicolo palmitato esiste in due forme, ma soltanto una di esse si
dissolve e viene assorbita in grado sufficiente per essere clinicamente utile. Un
idrato si forma quando una o più molecole di acqua si combinano con una
molecola di un farmaco in forma cristallina. La solubilità di tale solvato può
essere molto differente da quella della forma non solvata; p. es., l’ampicillina
anidra ha una velocità di dissoluzione e di assorbimento più elevata rispetto alla
sua corrispondente forma triidrata.

Somministrazione parenterale

L’introduzione diretta di un farmaco nel torrente circolatorio (solitamente EV)


assicura l’arrivo nella circolazione sistemica dell’intera dose somministrata. Il
trasferimento di tutta la dose non è però garantito se una via di somministrazione
richiede il passaggio attraverso una o più membrane biologiche per raggiungere
la circolazione sistemica (iniezione IM o SC). Per i farmaci proteici con una
massa molecolare > 20000 g/mol, il passaggio attraverso le membrane capillari è
così lento, che dopo una somministrazione IM o SC la maggior parte
dell’assorbimento avviene per sottrazione attraverso il sistema linfatico. In questi
casi, la velocità di trasporto nella circolazione sistemica è bassa e spesso
incompleta a causa del metabolismo di primo passaggio per opera degli enzimi
proteolitici presenti nei vasi linfatici.

Poiché i capillari tendono a essere altamente permeabili, la perfusione (flusso


ematico/grammo di tessuto) influenza notevolmente la velocità di assorbimento
delle molecole di piccole dimensioni. Quindi, la sede di iniezione può avere un
effetto considerevole sulla velocità di assorbimento di un farmaco; p. es., la
velocità di assorbimento del diazepam iniettato IM in una sede con scarso flusso
ematico può essere molto inferiore a quella che si osserva dopo
somministrazione orale.

L’assorbimento può essere ritardato o irregolare quando vengono iniettati IM i


sali di acidi e di basi scarsamente solubili. La forma parenterale della fenitoina è

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Introduzione e disposizione dei farmaci

una soluzione al 40% del suo sale sodico in glicole propilenico, con un pH di
circa 12. Quando la soluzione viene iniettata IM, il glicole propilenico viene
assorbito e i liquidi tissutali, agendo come un tampone, riducono il pH,
provocando uno spostamento dell’equilibrio tra la forma ionizzata e la forma
acida libera del farmaco. Quindi l’acido libero, scarsamente solubile, precipita. Il
risultato è che la dissoluzione e l’assorbimento impiegano da 1 a 2 settimane per
completarsi.

Forme a rilascio controllato

Le preparazioni a rilascio controllato hanno lo scopo di ridurre la frequenza delle


somministrazioni e di diminuire le fluttuazioni della concentrazione plasmatica dei
farmaci, in modo da garantire un effetto terapeutico più uniforme. Una
somministrazione meno frequente è più pratica e può migliorare la compliance
del paziente. Queste preparazioni trovano un impiego ideale per i farmaci che
altrimenti richiederebbero somministrazioni frequenti a causa della brevità della
loro emivita di eliminazione e della durata del loro effetto.

Le forme a rilascio controllato destinate alla somministrazione orale sono spesso


formulate in modo da mantenere le concentrazioni terapeutiche del farmaco per
un periodo pari o superiore a 12 h. La velocità di assorbimento può essere
controllata rivestendo le particelle del farmaco con sostanze cerose o con altri
materiali non idrosolubili, includendo il farmaco in una matrice dalla quale viene
liberato lentamente durante il transito attraverso il tratto GI, oppure
complessando il farmaco con resine a scambio ionico.

Le preparazioni a rilascio controllato per uso transdermico hanno lo scopo di


garantire il rilascio del farmaco per periodi prolungati; p. es., la diffusione della
clonidina attraverso una membrana assicura la cessione controllata del farmaco
per una settimana, e un polimero impregnato di nitroglicerina adsorbito su un
cerotto adesivo consente la cessione controllata del farmaco per 24 h. I farmaci a
rilascio transdermico devono possedere appropriate capacità di penetrazione
cutanea e notevole potenza, perché il tasso di penetrazione e l’area di
applicazione sono limitati.

Molte preparazioni parenterali non endovenose sono formulate in modo da


mantenere elevati nel tempo i livelli ematici. Per gli antibiotici, i sali relativamente
insolubili (p. es., la penicillina G benzatina) iniettati IM garantiscono il
mantenimento di concentrazioni terapeutiche per periodi prolungati. Per altri
farmaci, vengono formulate sospensioni o soluzioni in veicoli non acquosi (p. es.,
le iniezioni di insulina in sospensioni cristalline). L’insulina amorfa, dotata di
un’elevata superficie di contatto per la dissoluzione, ha un rapido inizio e una
breve durata di azione.

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI

BIODISPONIBILITA'

Grado (e talvolta velocità) nel quale la forma attiva di un farmaco (cioè il farmaco
stesso o un suo metabolita) raggiunge la circolazione sistemica, acquisendo così
la capacità di accedere al suo sito di azione.

Sommario:

Introduzione
Cause di bassa biodisponibilità
Valutazione della biodisponibilità

Le proprietà fisico-chimiche di un farmaco sono responsabili del suo potenziale di


assorbimento, ma le proprietà della forma farmaceutica (che in parte dipendono
dalla sua progettazione e fabbricazione) possono determinare in larga misura la
sua biodisponibilità. Le differenze di biodisponibilità tra le formulazioni di un
determinato farmaco possono avere un’importanza clinica non trascurabile. Di
conseguenza, il concetto di equivalenza tra le varie preparazioni farmaceutiche è
determinante per poter prendere decisioni cliniche avvedute. L’equivalenza
chimica si riferisce alle preparazioni farmaceutiche che contengono lo stesso
composto nella medesima quantità e che soddisfano gli standard ufficiali vigenti;
tuttavia, i componenti farmacologicamente inattivi presenti nelle preparazioni
possono essere diversi. La bioequivalenza si riferisce agli equivalenti chimici
che, quando vengono somministrati alla stessa persona con il medesimo regime
di dosaggio, danno luogo a concentrazioni equivalenti del farmaco nel sangue e
nei tessuti. L’equivalenza terapeutica si riferisce alle preparazioni farmaceutiche
che, quando vengono somministrate alla stessa persona con il medesimo regime
di dosaggio, danno origine essenzialmente allo stesso effetto terapeutico o alla
stessa tossicità. È logico attendersi che le preparazioni bioequivalenti siano
anche terapeuticamente equivalenti.

I problemi terapeutici (p. es., tossicità, mancanza di efficacia) si incontrano più


frequentemente nel corso dei trattamenti di lunga durata quando a un paziente
ormai stabilizzato con l’impiego di una certa formulazione viene somministrato un
farmaco non equivalente in sostituzione del primo (come avviene per la digossina
o la fenitoina).

Talvolta l’equivalenza terapeutica può essere ottenuta nonostante le differenze di


biodisponibilità. Per esempio, l’indice terapeutico (rapporto tra la massima dose
tollerata e la minima dose efficace) della penicillina è talmente ampio che
discrete differenze di concentrazione ematica dovute alle differenze di
biodisponibilità tra le varie preparazioni penicilliniche possono non influenzare
l’efficacia o la sicurezza terapeutica. Al contrario, le differenze di biodisponibilità
sono importanti per un farmaco con un indice terapeutico relativamente ristretto.

La biodisponibilità è influenzata anche dalle caratteristiche fisiologiche del


paziente e dalla presenza di patologie concomitanti.

La velocità di assorbimento è importante, perché anche quando un farmaco


viene assorbito completamente, esso può essere assorbito troppo lentamente
per produrre con sufficiente rapidità una concentrazione terapeutica nel sangue,
oppure così velocemente da causare tossicità per le elevate concentrazioni
raggiunte dopo ogni dose.

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Cause di bassa biodisponibilità

Quando un farmaco si dissolve rapidamente e attraversa facilmente le


membrane, l’assorbimento tende a essere completo, ma l’assorbimento dei
farmaci somministrati per via orale non è sempre completo. Prima di raggiungere
la vena cava, un farmaco deve percorrere il canale GI e passare attraverso la
parete intestinale e il fegato, sedi comuni di metabolizzazione dei farmaci (v.
Cap. 43); pertanto, un farmaco può essere metabolizzato (metabolismo di primo
passaggio) prima ancora di poter essere dosato nella circolazione sistemica.
Molti farmaci hanno una bassa biodisponibilità per via orale a causa del cospicuo
metabolismo di primo passaggio. Per tali farmaci (p. es., l’isoproterenolo, la
noradrenalina, il testosterone), l’estrazione a livello di questi tessuti è così ampia
che la biodisponibilità è praticamente nulla. Per i farmaci che possiedono un
metabolita attivo, le conseguenze terapeutiche del metabolismo di primo
passaggio dipendono dal contributo relativo del farmaco e del metabolita agli
effetti desiderati e indesiderati.

Una bassa biodisponibilità si osserva più comunemente con le preparazioni orali


dei farmaci poco idrosolubili che vengono assorbiti lentamente. Quando
l’assorbimento è lento o incompleto, la biodisponibilità può essere influenzata da
un maggior numero di fattori rispetto a quanto avviene con un assorbimento
rapido e completo; in questo modo, un assorbimento incompleto o lento conduce
spesso a risposte terapeutiche variabili.

La permanenza nel tratto GI per un tempo insufficiente è una causa frequente di


bassa biodisponibilità. I farmaci assunti per via orale rimangono a contatto con la
parete dell’intero tratto GI per non più di 1 o 2 gg e con quella dell’intestino tenue
solamente per 2-4 h. Se il farmaco non si dissolve facilmente o non è in grado di
attraversare efficacemente la membrana epiteliale (p. es., se è altamente
ionizzato e polare), il tempo di permanenza a livello della sede di assorbimento
può non essere sufficiente. In queste circostanze la biodisponibilità, oltre a
essere bassa, tende a subire variazioni considerevoli. L’età, il sesso, l’attività
fisica, il fenotipo genetico, lo stress, le malattie (p. es., l’acloridria, le sindromi da
malassorbimento) o precedenti interventi chirurgici sull’apparato GI possono
influenzare la biodisponibilità dei farmaci.

Essa inoltre può essere ridotta dalle reazioni chimiche che entrano in
competizione con l’assorbimento. Queste reazioni includono la formazione di
complessi (p. es., fra la tetraciclina e gli ioni metallici polivalenti), l’idrolisi per
opera del succo gastrico acido o degli enzimi digestivi (p. es., l’idrolisi della
penicillina e del cloramfenicolo palmitato), la coniugazione a livello della parete
intestinale (p. es., la coniugazione con zolfo dell’isoproterenolo), l’adsorbimento
ad altri farmaci (p. es., la digossina e la colestiramina) e il metabolismo da parte
della microflora intestinale.

Valutazione della biodisponibilità

La valutazione della biodisponibilità effettuata mediante le misurazioni seriate


della concentrazione plasmatica comporta solitamente la determinazione della
concentrazione plasmatica massima (di picco) del farmaco, quella del tempo
necessar

io per raggiungere la concentrazione plasmatica massima (tempo di picco) e il


calcolo dell’area al di sotto della curva concentrazione plasmatica-tempo (Area
Under plasma concentration-time Curve, AUC, v. Fig. 298-1). La concentrazione
plasmatica dei farmaci aumenta con l’entità dell’assorbimento; il picco viene
raggiunto quando la velocità di eliminazione del farmaco diviene uguale alla
velocità di assorbimento. Le determinazioni della biodisponibilità basate sulla
sola concentrazione plasmatica di picco possono essere ingannevoli, perché

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Introduzione e disposizione dei farmaci

l’eliminazione dei farmaci ha inizio appena essi entrano in circolo. L’indice


generico della velocità di assorbimento utilizzato più diffusamente è il tempo di
picco; più è lento l’assorbimento, più il tempo di picco è tardivo. Tuttavia spesso il
tempo di picco non rappresenta una buona misura statistica, perché è un
parametro di tipo discreto che dipende dalla frequenza con cui vengono prelevati
i campioni di sangue e, nel caso di curve di concentrazione relativamente piatte
in prossimità del picco, dalla riproducibilità dell’analisi.

L’AUC è la misura più attendibile della biodisponibilità. Essa è direttamente


proporzionale alla quantità totale di farmaco immodificato che raggiunge la
circolazione sistemica. Per una determinazione accurata, il sangue deve essere
prelevato frequentemente per un periodo di tempo abbastanza lungo da
osservare l’eliminazione pressoché completa del farmaco. Le preparazioni
farmaceutiche possono essere considerate bioequivalenti per grado e velocità di
assorbimento se le loro curve di concentrazione plasmatica sono
sostanzialmente sovrapponibili. Le preparazioni che possiedono AUC simili ma le
cui curve di concentrazione plasmatica hanno un andamento differente sono
equivalenti per il grado di assorbimento, ma differiscono quanto al profilo velocità-
tempo di assorbimento.

Dose singola o dosi multiple: la biodisponibilità può essere valutata dopo una
dose singola oppure dopo dosi ripetute (multiple). Dopo una dose singola si
ottengono più informazioni sulla velocità di assorbimento di quanto non avvenga
dopo somministrazioni multiple. Tuttavia, queste ultime rappresentano più da
vicino le circostanze cliniche abituali e inoltre le concentrazioni plasmatiche sono
solitamente più elevate rispetto a quelle che si osservano dopo una dose singola,
facilitando l’analisi dei dati. Dopo più somministrazioni separate da un intervallo
di tempo prefissato per un periodo pari a quattro o cinque volte l’emivita di
eliminazione, la concentrazione ematica del farmaco dovrebbe trovarsi allo stato
di equilibrio (cioè la quantità assorbita equivale alla quantità eliminata in ogni
intervallo di somministrazione). L’entità dell’assorbimento può quindi essere
analizzata misurando l’AUC in corrispondenza di un intervallo di
somministrazione. La misurazione dell’AUC nelle 24 h è probabilmente da
preferire, a causa delle variazioni circadiane delle funzioni fisiologiche e delle
possibili variazioni degli intervalli di somministrazione e delle velocità di
assorbimento durante la giornata.

Per i farmaci escreti principalmente immodificati con le urine, la biodisponibilità


può essere stimata misurando la quantità totale del farmaco escreta dopo una
singola somministrazione. Idealmente, le urine vengono raccolte per un periodo
pari a 7-10 volte l’emivita di eliminazione, in modo da ritrovarvi tutto il farmaco
assorbito. La biodisponibilità può essere determinata anche dopo
somministrazioni multiple mediante la determinazione del farmaco immodificato
presente nelle urine delle 24 h in condizioni stazionarie.

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI

DISTRIBUZIONE

Sommario:

Introduzione
Volume apparente di distribuzione
Legame
Barriera emato-encefalica

Dopo che un farmaco è entrato in circolo, esso viene distribuito ai tessuti


dell’organismo. La distribuzione di solito non è uniforme, a causa delle differenze
di perfusione ematica, legame tissutale, pH distrettuale e permeabilità delle
membrane cellulari.

La velocità di ingresso di un farmaco in un tessuto dipende dall’entità del flusso


ematico tissutale, dalla massa del tessuto e dalle caratteristiche di ripartizione tra
sangue e tessuto. L’equilibrio di distribuzione (situazione in cui la velocità di
ingresso e quella di uscita sono uguali) fra il sangue e i tessuti viene raggiunto
più rapidamente nelle aree riccamente vascolarizzate rispetto alle aree
scarsamente perfuse, a meno che la diffusione attraverso le barriere di
membrana non costituisca la tappa limitante la velocità del processo. Una volta
raggiunto l’equilibrio, le concentrazioni del farmaco (legato e libero, v. oltre) nei
tessuti e nei liquidi extracellulari seguono di pari passo la concentrazione
plasmatica. Contemporaneamente alla distribuzione avvengono anche il
metabolismo e l’escrezione, rendendo il processo dinamico e complesso (v.
anche Cap. 299).

Volume apparente di distribuzione

Il volume di liquido nel quale un farmaco sembra essere distribuito o diluito viene
definito volume apparente di distribuzione (volume di liquido necessario per
contenere tutto il farmaco presente nell’organismo alla stessa concentrazione alla
quale esso è presente nel plasma). Questo parametro fornisce un termine di
riferimento per la concentrazione plasmatica attesa dopo una determinata dose e
per la dose richiesta per ottenere una determinata concentrazione. Tuttavia, esso
fornisce scarse informazioni sul pattern specifico di distribuzione. Ogni farmaco
viene infatti distribuito nell’organismo in modo caratteristico; alcuni farmaci si
localizzano nel grasso, altri rimangono nel ECF e altri ancora vengono legati
avidamente a tessuti specifici, solitamente il fegato o il rene.

Molti farmaci acidi (p. es., il warfarin, l’acido salicilico) vengono legati in misura
notevole alle proteine e pertanto hanno un piccolo volume apparente di
distribuzione. Molti farmaci basici (p. es., l’amfetamina, la meperidina) vengono
captati avidamente dai tessuti e pertanto hanno un volume apparente di
distribuzione superiore al volume dell’intero organismo.

Legame

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Introduzione e disposizione dei farmaci

L’entità della distribuzione dei farmaci nei tessuti dipende dall’entità del legame
con le proteine plasmatiche e con i tessuti stessi.

Legame con le proteine plasmatiche: i farmaci vengono trasportati nel torrente


circolatorio in parte in soluzione come farmaci liberi (non legati) e in parte legati a
componenti del sangue (p. es., le proteine plasmatiche e le cellule ematiche). Il
rapporto tra la quota di farmaco legato e quella di farmaco libero nel plasma è
determinato principalmente dall’interazione reversibile tra il farmaco e la proteina
plasmatica alla quale esso si lega, interazione regolata dalla legge dell’azione di
massa. Molte proteine plasmatiche sono in grado di interagire con i farmaci. Le
più importanti sono l’albumina, l’α glicoproteina acida e le lipoproteine. I farmaci
1-
acidi in genere vengono legati prevalentemente all’albumina e i farmaci basici
all’α glicoproteina acida e/o alle lipoproteine (v. Tab. 298-1). Si pensa che solo il
1-
farmaco libero sia disponibile per la diffusione passiva verso i siti extravascolari o
tissutali all’interno dei quali si esplicano gli effetti farmacologici. Perciò, la
concentrazione del farmaco libero può essere più strettamente correlata alla
concentrazione del farmaco a livello del sito di azione e agli effetti farmacologici,
rendendo spesso la frazione libera (rapporto tra la concentrazione del farmaco
libero e quella del farmaco totale) un parametro più utile di quanto non sia la
frazione legata. Il legame alle proteine plasmatiche influenza la distribuzione e il
rapporto apparente tra l’attività farmacologica e la concentrazione plasmatica
totale dei farmaci. Alle alte concentrazioni, la quantità di farmaco legato si
avvicina a un limite superiore dipendente dal numero di siti di legame disponibili,
la cui conseguenza è la saturabilità. La saturabilità è alla base delle interazioni
competitive tra i farmaci (v. Interazioni farmacologiche nel Cap. 301).

Legame con i tessuti: i farmaci si legano a molte sostanze diverse dalle


proteine. Il legame può essere altamente specifico, come nel caso della
clorochina e degli acidi nucleici. Esso avviene solitamente quando un farmaco si
unisce a una macromolecola in ambiente acquoso, ma può avvenire anche
quando un farmaco è ripartito nel grasso dell’organismo. Poiché il tessuto
adiposo è scarsamente perfuso, il tempo necessario per raggiungere l’equilibrio è
lungo, specialmente se il farmaco ha un’alta affinità per il grasso.

Accumulo dei farmaci in siti di deposito: l’accumulo dei farmaci nei tessuti o
nei compartimenti corporei può prolungare la permanenza del farmaco nel
plasma e la durata della sua azione, in quanto i tessuti rilasciano il farmaco
depositato man mano che la concentrazione plasmatica diminuisce. Anche la
localizzazione del sito di azione e le differenze relative di distribuzione tissutale
possono essere importanti. Per l’anestetico tiopentale, l’accumulo in siti di
deposito tissutali abbrevia inizialmente l’effetto del farmaco, ma dopo
somministrazioni ripetute lo prolunga. Il tiopentale è altamente liposolubile e dopo
una singola somministrazione EV si distribuisce rapidamente al cervello. Dopo
una dose singola, la concentrazione di tiopentale nel cervello aumenta per pochi
minuti, poi diminuisce parallelamente alla concentrazione plasmatica. L’anestesia
termina rapidamente non appena il farmaco si ridistribuisce in tessuti perfusi più
lentamente. Tuttavia, se la concentrazione plasmatica viene seguita
sufficientemente a lungo, si può distinguere una terza fase di distribuzione
durante la quale il farmaco viene rilasciato lentamente dal tessuto adiposo. Con
la somministrazione continua di tiopentale, grandi quantità di farmaco si possono
accumulare nel tessuto adiposo, con il risultato di un prolungamento delle
concentrazioni plasmatiche dell’anestetico.

Alcuni farmaci si accumulano, producendo concentrazioni intracellulari superiori a


quelle del ECF, il più delle volte perché si legano con le proteine, i fosfolipidi o gli
acidi nucleici. I farmaci antimalarici (p. es., la clorochina) producono
concentrazioni nei GB e nelle cellule epatiche migliaia di volte superiori a quelle
plasmatiche. Il farmaco accumulato è in equilibrio con il farmaco presente nel
plasma e si sposta nel compartimento intravascolare man mano che procede la
sua eliminazione dall’organismo.

Barriera emato-encefalica

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Introduzione e disposizione dei farmaci

I farmaci raggiungono il SNC attraverso i capillari cerebrali e il LCR. Nonostante il


cervello riceva circa 1/6 della gittata cardiaca, la distribuzione dei farmaci al
tessuto cerebrale è limitata. Alcuni farmaci liposolubili (p. es., il tiopentale)
penetrano nel cervello e vi esercitano i loro effetti farmacologici rapidamente, ma
molti farmaci, particolarmente quelli più idrosolubili, vi penetrano lentamente. Le
cellule endoteliali dei capillari cerebrali, le quali sembrano essere più
strettamente congiunte le une alle altre di quanto non siano quelle di altri distretti
capillari, contribuiscono a rallentare la diffusione dei farmaci idrosolubili. Un’altra
barriera nei confronti dei farmaci idrosolubili è rappresentata dalle cellule del
tessuto connettivo gliale (astrociti), che formano uno strato di rivestimento in
stretto contatto con la membrana basale dell’endotelio capillare. L’endotelio
capillare e il rivestimento astrocitario costituiscono la barriera emato-encefalica.
Poiché la barriera è costituita dalla parete capillare, più che dalle cellule
parenchimali, le caratteristiche della permeabilità cerebrale sono diverse da
quelle degli altri tessuti. Così, i composti polari non sono in grado di penetrare nel
cervello, nonostante possano entrare nei liquidi interstiziali della maggior parte
degli altri tessuti. È stata proprio l’osservazione che i coloranti polari sono in
grado di penetrare nella maggior parte dei tessuti ma non nel SNC, a portare
all’elaborazione del concetto di barriera emato-encefalica.

I farmaci possono entrare nel LCR ventricolare direttamente attraverso i plessi


corioidei, raggiungendo poi il tessuto cerebrale per diffusione passiva. Anche nei
plessi corioidei, gli acidi organici (p. es., la penicillina) vengono trasportati
attivamente dal LCR al sangue.

La velocità di ingresso di un farmaco nel LCR o nelle cellule di altri tessuti è


determinata principalmente dall’entità del legame con le proteine, dal grado di
ionizzazione e dal coefficiente di ripartizione lipidi/acqua del farmaco. La velocità
di penetrazione nel cervello è bassa per i farmaci altamente legati alle proteine e
può essere talmente bassa per le forme ionizzate degli acidi e delle basi deboli
da risultare praticamente nulla.

Dal momento che il SNC ha un’irrorazione di entità considerevole, la permeabilità


rappresenta generalmente il principale determinante della velocità di
distribuzione dei farmaci. Tuttavia, per i liquidi interstiziali della maggior parte dei
tessuti, uno dei fattori principali è la perfusione. Per i tessuti scarsamente perfusi
(p. es., il tessuto muscolare o quello adiposo) la distribuzione è molto lenta,
specialmente se il tessuto ha un’alta affinità per il farmaco.

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Farmacocinetica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

299. FARMACOCINETICA

Studio dell’andamento temporale delle modificazioni cui un farmaco e i suoi


metaboliti vanno incontro all’interno dell’organismo, dopo l’assunzione attraverso
qualunque via di somministrazione.

Perché si abbia una risposta appropriata a un farmaco, è necessario che esso


sia presente in concentrazione adeguata a livello del sito di azione. Il regime di
dosaggio richiesto per raggiungere e mantenere tale concentrazione dipende
dalla farmacocinetica. La concentrazione appropriata e il regime posologico
dipendono dalle condizioni cliniche del paziente, dalla gravità della patologia,
dalla presenza di malattie concomitanti, dall’uso di altri farmaci e da altri fattori
ancora.

A causa delle differenze individuali, la somministrazione dei farmaci deve essere


basata sulle esigenze di ogni singolo paziente, il che viene da sempre ottenuto
modificando empiricamente il dosaggio finché non si raggiunge l’obiettivo
terapeutico desiderato. Questo approccio è spesso inadeguato, perché la
risposta ottimale può essere ritardata o possono verificarsi reazioni tossiche
gravi. In alternativa, un farmaco può essere somministrato sulla base
dell’assorbimento e della disposizione (distribuzione ed eliminazione, v. anche
Cap. 298) che si prevede esso abbia in un pazziente, e la posologia può essere
regolata controllando la concentrazione plasmatica del farmaco e i suoi effetti
farmacologici. Questo approccio richiede la conoscenza della farmacocinetica del
composto in funzione dell’età e del peso corporeo del paziente, oltre che delle
conseguenze farmacocinetiche delle eventuali malattie concomitanti (p. es.,
malattie renali, epatiche o cardiovascolari o una combinazione di più patologie).

file:///F|/sito/merck/sez22/2992746a.html02/09/2004 2.05.59
Manuale Merck - Tabella

Tab. 298-1. Entità del legame


di alcuni farmaci nel plasma

Farmaco Frazione legata Frazione libera


(%) (%)

Warfarin 99,5 0,5

Diazepam 99 1

Furosemide 96 4

Dicloxacilli na 94 6

Propranololo* 93 7

Fenitoina 89 11

Chinidina* 71 29

Lidocaina* 51 49

Digossina 25 75

Gentamicina 3 97

Atenololo ~0 ~100

*Legame significativo all’α1- glicoproteina acida e/o alle lipoproteine.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

301. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI


FARMACI

FARMACOGENETICA

Sommario:

Introduzione
Variabilità farmacocinetica
Variabilità farmacodinamica

La farmacogenetica si occupa delle variazioni genetiche della risposta ai farmaci.


Fra i soggetti normali, i parametri cinetici (p. es., la costante di Michaelis [Km], la
velocità massima di reazione [V max]) degli enzimi che metabolizzano i farmaci
spesso variano notevolmente e le velocità di eliminazione dei farmaci misurate in
vivo variano da quattro a più di quaranta volte, a seconda del farmaco e della
popolazione studiati. Numerosi studi condotti su gemelli e gruppi familiari hanno
dimostrato che i fattori genetici sono i principali responsabili di queste ampie
variazioni osservabili tra un individuo e l’altro.

La farmacogenetica ha conseguenze cliniche e rilevanza biologica. Quando


prescrivono i farmaci, i medici devono tenere presente che la capacità intrinseca
di eliminare un farmaco può essere differente fra un paziente e l’altro. Un
paziente con un metabolismo rapido può richiedere dosi più elevate e più
frequenti per raggiungere le concentrazioni terapeutiche; un paziente con un
metabolismo lento può avere bisogno di dosi più basse e meno frequenti per
evitare la tossicità, specialmente nel caso di farmaci con un ristretto margine di
sicurezza.

Numerosi fattori legati all’ambiente e allo sviluppo possono interagire fra loro e
con fattori genetici per influenzare la risposta ai farmaci (v. Fig. 301-1). Per
esempio, l’avanzare dell’età influisce su altri fattori, rendendo quindi più
complessa la disposizione dei farmaci.

Variabilità farmacocinetica

Acetilazione: in circa il 50% della popolazione degli USA, l’inattivazione dei


farmaci da parte della N-acetiltransferasi epatica avviene lentamente. Tali
individui (acetilatori lenti) richiedono un tempo più lungo per metabolizzare i
farmaci eliminati per acetilazione e sono quindi più suscettibili agli effetti
indesiderati di questi farmaci (p. es., neuriti periferiche da isoniazide, lupus
eritematoso da idralazina o procainamide, sedazione e nausea da fenelzina).

Nel resto della popolazione, l’acetilazione avviene rapidamente. Rispetto agli


acetilatori lenti, tali individui richiedono dosi più elevate o più frequenti dei farmaci
che vengono acetilati (p. es., l’isoniazide) per ottenere la risposta terapeutica
desiderata. Essi hanno inoltre una maggiore probabilità di sviluppare
epatotossicità dovuta all’accumulo di acetilidrazina.

Idrolisi: circa 1 individuo su 1500 ha un deficit di pseudocolinesterasi, che


riduce l’inattivazione della succinilcolina. Quando a queste persone vengono

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

somministrate dosi convenzionali di succinilcolina, si verifica una paralisi


prolungata dei muscoli respiratori. L’apnea persistente può richiedere la
ventilazione meccanica finché il farmaco non può essere eliminato attraverso vie
alternative.

Ossidazione: in circa il 5-10% della popolazione bianca nordamericana ed


europea, la biotrasformazione ossidativa della debrisochina è ridotta; se queste
persone assumono debrisochina per l’ipertensione, vanno soggette a un
aumento del rischio di tossicità (p. es., ipotensione ortostatica). La riduzione
dell’idrossilazione può provocare una risposta terapeutica insolitamente intensa
nei confronti del blocco dei recettori β con metoprololo o timololo, oppure un
aumento della tossicità da nortriptilina o fenitoina (p. es., una depressione
eccessiva del SNC). Altri farmaci apparentemente influenzati dalla riduzione
dell’idrossilazione comprendono alcuni antiaritmici (p. es., l’encainide, la
flecainide), gli antidepressivi triciclici (p. es., l’amitriptilina, la desipramina) e il
destrometorfano, un farmaco antitussigeno.

Circa il 4% dei bianchi del Nord America metabolizza lentamente la mefenitoina,


andando incontro a un aumento del rischio del suo principale effetto indesiderato,
la sedazione transitoria. In tali individui, può essere aumentata l’attività di altri
farmaci che in qualche misura vengono biotrasformati dallo stesso enzima che
metabolizza la mefenitoina; questi farmaci includono il mefobarbitale (un
anticonvulsivante), il proguanil (un antimalarico) e probabilmente il diazepam (un
ansiolitico).

Circa il 50% dei giapponesi, dei cinesi e degli individui di altre popolazioni
asiatiche ha un deficit di aldeide deidrogenasi 2, un enzima coinvolto nel
metabolismo dell’etanolo. In queste persone, l’ingestione di alcol provoca un
aumento notevole dell’acetaldeide ematica e la comparsa di effetti indesiderati
(p. es., arrossamento del volto, aumento della frequenza cardiaca, sudorazione,
astenia muscolare); le elevate concentrazioni di acetaldeide possono provocare
una vasodilatazione mediata dalle catecolamine con sintomatologia euforica e
distrofica.

In circa l’85% degli individui giapponesi, cinesi e di altre popolazioni asiatiche,


nel 5-10% degli inglesi, nel 9-14% dei tedeschi e nel 20% degli svizzeri, l’alcol
deidrogenasi (un altro enzima coinvolto nel metabolismo dell’etanolo) agisce
circa 5 volte più velocemente del normale. Quando queste persone assumono
alcol, l’acetaldeide si accumula, con conseguente vasodilatazione estesa,
arrossamento del volto e tachicardia compensatoria.

Deficit di glucoso-6-fosfato deidrogenasi (G6PD): la G6PD è fondamentale


per le reazioni di riduzione che avvengono all’interno dei GR, destinate al
mantenimento dell’integrità del citoscheletro. I pazienti con deficit di G6PD, che si
osserva nel 10% circa dei maschi di razza nera, presentano un aumento del
rischio di sviluppare anemia emolitica quando vengono trattati con farmaci
ossidanti, come gli antimalarici (p. es., la clorochina, la pamachina, la
primachina), l’aspirina, il probenecid e la vitamina K.

Deficit di glutatione sintetasi: nei pazienti con deficit di glutatione sintetasi


eritrocitaria (un difetto simile al deficit di G6PD, ma più raro), i farmaci ossidanti
causano anemia emolitica. I pazienti con bassi livelli di glutatione sintetasi
eritrocitaria negli epatociti hanno un aumento del rischio di danno epatico in
seguito a somministrazione di farmaci come il paracetamolo e la nitrofurantoina.

Variabilità farmacodinamica

Riduzione dell’attività del warfarin: in determinati soggetti, l’attività


anticoagulante dopo la somministrazione di dosi terapeutiche abituali di warfarin
è marcatamente ridotta; per ottenere l’effetto desiderato può essere necessaria
una dose fino a 20 volte superiore rispetto al consueto. La biotrasformazione del
warfarin in tali soggetti non è alterata; la diminuzione dell’attività potrebbe essere
dovuta a una riduzione geneticamente determinata dell’affinità di legame del

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

recettore per il warfarin.

Ipertermia maligna: questa patologia causa un aumento della temperatura


corporea potenzialmente fatale; essa è il risultato di una risposta ipermetabolica
all’associazione di un miorilassante depolarizzante (di solito la succinilcolina) e di
un potente anestetico generale inalatorio volatile (p. es., l’alotano [più
comunemente], l’isoflurano, il sevoflurano). Questa stessa associazione provoca
una reazione simile in alcuni pazienti affetti da distrofia muscolare e miotonia.

L’ipertermia maligna colpisce circa 1 paziente su 20000. La suscettibilità a questa


patologia viene ereditata come carattere autosomico dominante. Essa può
essere provocata da mutazioni a carico del gene che codifica per il recettore
della rianodina (il canale per il rilascio del calcio). Il meccanismo sembra essere
correlato al potenziamento, indotto dall’alotano, dell’azione del Ca a livello del
reticolo sarcoplasmatico della muscolatura scheletrica; nei pazienti predisposti,
tale tessuto è iperreattivo al Ca. Come risultato, le reazioni biochimiche indotte
dal Ca vengono accelerate, producendo contrazioni muscolari sostenute e un
elevato tasso metabolico.

L’ipertermia maligna può svilupparsi durante l’anestesia o durante il periodo


immediatamente postoperatorio. Il quadro clinico è variabile, a seconda del
farmaco usato e della suscettibilità del paziente. La rigidità muscolare è spesso il
primo segno della malattia, seguita da tachicardia, aritmie di altra natura, acidosi,
shock e ipertermia. Possono svilupparsi iperkaliemia, acidosi respiratoria e
metabolica, ipocalcemia, elevazione della CK, mioglobinemia e alterazioni della
coagulazione (particolarmente la coagulazione intravascolare disseminata).

Nei paesi sviluppati, il tasso di mortalità è circa del 7%. Per ridurre la morbilità e
la mortalità sono necessari una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo. Il
test di contrazione in vitro con caffeina e alotano è specifico per la diagnosi di
ipertermia maligna, ma è disponibile in pochi centri nel Nord America. Per
identificare i membri suscettibili della famiglia del paziente si possono utilizzare la
biopsia muscolare e la determinazione dei livelli di creatinina chinasi, che
risultano elevati. Il trattamento con dantrolene sodico (cominciando con 2,5 mg/
kg EV) deve essere intrapreso immediatamente dopo l’insorgenza della
sintomatologia. L’intervento chirurgico e l’anestesia devono essere interrotti il più
presto possibile. La terapia correttiva comprende anche il trattamento dell’acidosi
metabolica, il raffreddamento profondo e superficiale e l’iperventilazione.

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI

ELIMINAZIONE

Insieme dei processi di rimozione (metabolismo ed escrezione) dei farmaci


dall’organismo.

METABOLISMO

Sommario:

Introduzione
Vie biochimiche del metabolismo
Variazioni legate all’età
Variazioni individuali
Limite di capacità

Il fegato è la sede principale del metabolismo (modificazione chimica) dei farmaci


nell’organismo. Alcuni metaboliti sono farmacologicamente attivi (v. Tab. 298-2).
Una sostanza inattiva che possiede un metabolita attivo è chiamata profarmaco,
particolarmente se è stata studiata per distribuire la sua forma attiva in maniera
più efficace.

Vie biochimiche del metabolismo

Il metabolismo dei farmaci coinvolge una vasta gamma di reazioni chimiche, che
comprendono l’ossidazione, la riduzione, l’idrolisi, l’idratazione, la coniugazione,
la condensazione e l’isomerizzazione. Gli enzimi che vi intervengono sono
presenti in molti tessuti, ma generalmente sono più concentrati nel fegato. Per
molti farmaci, il metabolismo avviene in due fasi distinte. Le reazioni di fase I
comportano la formazione di un gruppo funzionale nuovo o modificato oppure
una scissione (ossidazione, riduzione, idrolisi); esse sono reazioni di tipo non
sintetico. Le reazioni di fase II prevedono la coniugazione con un composto
endogeno (p. es., l’acido glucuronico, il solfato, la glicina) e pertanto sono
reazioni di tipo sintetico. I metaboliti che si formano durante le reazioni sintetiche
sono più polari e vengono escreti più facilmente dai reni (con le urine) e dal
fegato (con la bile) rispetto a quelli che si formano nelle reazioni non sintetiche.
Alcuni farmaci vengono sottoposti in maniera alternativa alle reazioni di fase I
oppure a quelle di fase II; la numerazione delle fasi ha quindi un carattere
funzionale piuttosto che sequenziale.

Citocromo P-450: il più importante sistema enzimatico del metabolismo di fase I


è il citocromo P-450, una superfamiglia di isoenzimi microsomiali che
trasferiscono elettroni e di conseguenza catalizzano l’ossidazione di molti
farmaci. Gli elettroni vengono forniti dalla NADPH-citocromo P-450 reduttasi, una
flavoproteina che trasferisce elettroni dal NADPH (la forma ridotta del
nicotinamide adenin dinucleotide fosfato) al citocromo P-450. Gli enzimi del
citocromo P-450 sono raggruppati in 14 famiglie di geni, caratteristiche dei
mammiferi, che hanno in comune l’identità della sequenza del DNA e la presenza
di 17 sottofamiglie. Essi vengono contrassegnati dalla sigla comune CYP, seguita
da un numero arabo che indica la famiglia, da una lettera che indica la

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Introduzione e disposizione dei farmaci

sottofamiglia e da un altro numero arabo che indica il gene specifico. Gli enzimi
delle sottofamiglie 1A, 2B, 2C, 2D e 3A sono fondamentali per il metabolismo dei
mammiferi; il CYP1A2, il CYP2C9, il CYP2C19, il CYP2D6 e il CYP3A4 sono
importanti per il metabolismo dell’uomo. La specificità degli enzimi contribuisce a
spiegare molte delle interazioni tra i farmaci; esempi di farmaci che interagiscono
con enzimi specifici del citocromo P-450 sono elencati nella Tab. 298-3 (v. anche
Interazioni farmacologiche nel Cap. 301). Differenze genetiche fra un paziente e
l’altro possono modificare queste interazioni.

Coniugazione: la glucuronazione, la più comune reazione di fase II, è la sola


che avviene nel sistema enzimatico microsomiale del fegato. I glucuronidi
vengono secreti nella bile ed eliminati con le urine. Il cloramfenicolo, il
meprobamato e la morfina vengono metabolizzati in questo modo. La
coniugazione aminoacidica con glutamina o glicina produce composti (p. es.,
l’acido salicilurico formato da acido salicilico e glicina) che vengono rapidamente
escreti con le urine ma che non vengono estesamente secreti nella bile.
L’acetilazione è la via metabolica principale per i sulfamidici. Anche l’idralazina,
l’isoniazide e la procainamide vengono acetilate. La sulfoconiugazione è la
reazione che avviene tra un gruppo fenolico o alcolico e il solfato inorganico, il
quale in parte deriva dagli aminoacidi solforati (p. es., la cisteina). Gli esteri solfati
così formati sono composti polari e vengono facilmente escreti con le urine. I
farmaci che formano coniugati solfati includono il paracetamolo, l’estradiolo, la
metildopa, il minoxidil e la tiroxina. La metilazione è una delle vie metaboliche più
importanti per l’inattivazione di alcune catecolamine. Vengono metilati anche la
niacinamide e il tiouracile.

Variazioni legate all’età

Poiché i neonati possiedono sistemi enzimatici microsomiali epatici ancora non


completamente sviluppati, essi hanno difficoltà a metabolizzare molti farmaci
(p. es., l’esobarbitale, la fenacetina, l’amfetamina, la clorpromazina). Nei neonati,
la maggiore lentezza della conversione in glucuronidi può avere effetti gravi. Per
esempio, dosi equivalenti in mg/kg di cloramfenicolo che vengono ben tollerate
dai pazienti più grandi possono portare alla sindrome del neonato grigio e a
concentrazioni ematiche di cloramfenicolo persistentemente elevate.

I pazienti anziani hanno spesso una ridotta capacità di metabolizzazione dei


farmaci. La riduzione varia a seconda del farmaco e non è mai grave come quella
che si osserva nei neonati (v. Cap. 304).

Variazioni individuali

A causa della variabilità individuale (v. anche Variabilità dei valori dei parametri
nel Cap. 299), è difficile prevedere quale sarà la risposta clinica a una
determinata dose di un farmaco. Alcuni pazienti metabolizzano un farmaco così
rapidamente che le concentrazioni ematiche e tissutali terapeuticamente efficaci
non vengono mai raggiunte; in altri, il metabolismo può essere così lento che le
dosi abituali producono effetti tossici. Per esempio, le concentrazioni plasmatiche
di fenitoina allo stato stazionario variano da 2,5 a più di 40 mg/l (da 10 a più di
160 µmol/l) in pazienti diversi che ne abbiano assunta una dose giornaliera di
300 mg. Una certa variabilità è dovuta alle differenze nella quantità dell’enzima
chiave disponibile nel fegato, il CYP2C9, e alle differenze nell’affinità dell’enzima
per il farmaco. I fattori genetici svolgono un ruolo di primo piano nel determinare
queste differenze, ma possono contribuirvi anche le malattie concomitanti
(particolarmente le epatopatie croniche) e le interazioni farmacologiche
(specialmente quelle che provocano l’induzione o l’inibizione del metabolismo).

Limite di capacità

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Per quasi tutti i farmaci, la velocità di metabolizzazione di ciascun enzima di ogni


determinata via metabolica possiede un limite superiore (limite di capacità). Alle
concentrazioni terapeutiche, di solito viene occupata soltanto una piccola
frazione dei siti enzimatici e la velocità di metabolizzazione aumenta con la
concentrazione del farmaco. Occasionalmente, quando la maggior parte dei siti
enzimatici è stata occupata, la velocità di metabolizzazione non aumenta in
maniera proporzionale alla concentrazione del farmaco. La conseguenza è un
metabolismo limitato dalla capacità. La fenitoina e l’alcol possiedono questo tipo
di metabolismo, il quale fornisce una spiegazione della variabilità delle
concentrazioni di fenitoina tra un paziente e l’altro dopo una dose giornaliera
fissa di 300 mg.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 298-2. ESEMPI DI FARMACI CHE


POSSIEDONO METABOLITI DI
IMPORTANZA TERAPEUTICA

Farmaco Metabolita

Acetoesamide Idrossiesamide

Amitriptilina Nortriptilina

Aspirina* Acido salicilico

Cloralio idrato* Tricloroetanolo

Clordiazepossido Demetilclordiazepossido

Codeina Morfina

Diazepam Demetildiazepam

Fenacetina* Acetaminofene (paracetamo lo)

Fenilbutazone Ossifenbutazone

Glutetimide 4-Idrossiglutetimide

Imipramina Desipramina

Lidocaina Dealchillidocaina

Meperidina Normeperidina

Prednisone* Prednisolone

Primidone* Fenobarbital

Procainamide N-acetilprocainamide

Propranololo 4-Idrossipropranololo

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Manuale Merck - Tabella

*Profarmaci; i metaboliti sono i principali responsabili dei loro effetti terapeutici.

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Manuale Merck - Tabella

TAB. 298-3. ESEMPI DI SOSTANZE


CHE INTERAGISCONO CON GLI ENZIMI
DEL CITOCROMO P-450

Enzima Substrati Inibitori Induttori


CYP1A2 Paracetamolo
Estradiolo
Carne alla brace
Teofillina Furafillina
Fumo di sigaretta
Verapamil
Warfarin
CYP2C9 Diclofenac
Fenitoina
Sulfafenazolo
Piroxicam Rifampicina
Sulfinpirazone
Tetraidrocannabinolo
Tolbutamide
CYP2C19 Diazepam
Esobarbital
Omeprazolo Tranilcipromina Rifampicina
Pentamidina
Propranololo
CYP2D6 Debrisochina
Desipramina
Chinidina
Encainide Non conosciuti
Fluoxetina
Mexiletina
Nortriptilina
CYP3A4 Amiodarone
Lovastatina
Ketoconazolo Carbamazepina
Nifedipina
Troleandomicina Fenobarbital
Tamoxifene
Terfenadina

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

301. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI


FARMACI

INTERAZIONI FARMACOLOGICHE

Modificazioni degli effetti dei farmaci dovute all’assunzione precedente o


contemporanea di altri farmaci (interazioni farmaco-farmaco) o di alimenti
(interazioni farmaco-alimenti, v. Interazioni tra Nutrienti e Farmaci nel Cap. 1).

Sommario:

Introduzione
INTERAZIONI FARMACODINAMICHE
Interazioni a livello dei siti recettoriali

INTERAZIONI FARMACOCINETICHE
Alterazioni dell’assorbimento gastrointestinale
Alterazioni della distribuzione
Alterazioni del metabolismo
Alterazioni dell’escrezione urinaria

PRINCIPI DI TRATTAMENTO

Un’interazione tra farmaci determina un aumento o una diminuzione degli effetti


di uno dei farmaci o di entrambi. Le interazioni farmacologiche possono essere
un fenomeno ricercato deliberatamente, come nelle terapie di associazione
(p. es., per l’ipertensione, l’asma, alcune infezioni o le neoplasie), nelle quali
vengono impiegati due o più farmaci per aumentare gli effetti terapeutici o ridurre
la tossicità, oppure possono essere involontarie, provocando effetti farmacologici
indesiderati o l’insuccesso della terapia (v. Tab. 301-1 e 301-2).

L’importanza clinica delle interazioni farmacologiche potenziali è difficile da


prevedere. Nelle situazioni in cui è probabile che avvenga un’interazione farmaco-
farmaco, vanno prese in considerazione le possibili alternative terapeutiche, ma
un paziente non deve mai essere privato di una terapia necessaria sulla sola
base del fatto che può avvenire un’interazione (v. Principi di trattamento, più
avanti).

Interazioni farmacodinamiche

Le interazioni farmaco-farmaco di tipo farmacodinamico si manifestano quando


un farmaco modifica la sensibilità o la responsività dei tessuti a un altro farmaco.
I farmaci possono avere effetti farmacologici opposti (antagonisti) oppure additivi.

L’antagonismo tra due farmaci può essere difficile da individuare. Per esempio,
l’azione iperglicemizzante di un diuretico tiazidico può contrastare l’azione
ipoglicemizzante dell’insulina o di un farmaco antidiabetico orale, rendendo
necessaria una modificazione del dosaggio.

Effetti additivi possono derivare dall’uso contemporaneo di due farmaci

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

depressori del SNC (p. es., bevande alcoliche; ansiolitici, antipsicotici o alcuni
antiistaminici), che provocano una sedazione e una stanchezza eccessive. Vi
sono particolarmente predisposti i pazienti più anziani, con conseguente rischio
di cadute e di traumi, sebbene molte persone assumano tali associazioni di
farmaci senza problemi particolari.

L’uso contemporaneo di due o più farmaci con attività anticolinergica (come un


antipsicotico [p. es., la clorpromazina], un antiparkinsoniano [p. es., il
triesifenidile] e/o un antidepressivo triciclico [p. es., l’amitriptilina]) produce
comunemente effetti anticolinergici esagerati, compresa la xerostomia e le
conseguenti complicanze dentarie, l’annebbiamento della vista e, nei pazienti
esposti alle alte temperature e all’umidità, l’iperpiressia. Particolarmente nei
pazienti anziani, gli effetti additivi possono esitare in un delirio atropino-simile,
che può essere confuso con un peggioramento della sintomatologia psichiatrica o
con la demenza e può accelerare la compromissione delle capacità mnemoniche
e diminuire la capacità di autosufficienza (v. Classi di farmaci di maggiore
interesse nel Cap. 304). La distinzione tra gli effetti additivi dei farmaci e il
peggioramento della sintomatologia legata alla malattia sottostante può essere
difficile, ma è fondamentale.

Accade comunemente che i pazienti assumano senza saperlo diverse specialità


farmaceutiche che contengono lo stesso FANS (come l’ibuprofene soggetto a
prescrizione medica e quello da banco), aumentando così il rischio di effetti
indesiderati.

Interazioni a livello dei siti recettoriali

Le catecolamine (p. es., la noradrenalina) vengono metabolizzate dall’enzima


monoaminossidasi (MAO). Gli inibitori della MAO (p. es., la fenelzina, la
tranilcipromina) causano l’accumulo di noradrenalina all’interno dei neuroni
adrenergici. I farmaci che inducono il rilascio della noradrenalina immagazzinata
(p. es., le amine simpatico-mimetiche ad azione indiretta) possono provocare
risposte esagerate, comprendenti cefalea intensa, ipertensione (con possibilità di
una crisi ipertensiva) e aritmie cardiache. Sebbene la maggior parte delle amine
simpatico-mimetiche (p. es., l’amfetamina) sia soggetta a prescrizione medica,
altre (p. es., la fenilpropanolamina), le quali è noto che interagiscono con gli
inibitori della MAO, sono contenute in molti diffusi prodotti da banco usati per il
raffreddore, le allergie e le diete. I pazienti che assumono inibitori della MAO
devono evitare l’uso di tali prodotti.

Nei pazienti in terapia con inibitori della MAO si sono manifestate crisi ipertensive
in seguito all’ingestione di alimenti e bevande ad alto contenuto di tiramina
(p. es., alcuni formaggi, bevande alcoliche, estratti di lievito concentrati, gusci di
fava, aringhe in salamoia). Questo effetto è stato denominato "reazione al
formaggio" (v. trattazione sugli inibitori della MAO nel Cap. 189). La tiramina
viene normalmente metabolizzata dalla MAO presente nella parete intestinale e
nel fegato. Quando la MAO è inibita, la tiramina non metabolizzata può
accumularsi, inducendo il rilascio di noradrenalina dai neuroni adrenergici.

Anche il farmaco antineoplastico procarbazina e l’antinfettivo furazolidone (o


forse il suo metabolita) possono inibire la MAO, provocando interazioni simili.
Tuttavia il furazolidone in genere non inibisce la MAO entro i primi 5 gg di terapia
e il ciclo di trattamento viene spesso completato entro questi termini di tempo. Il
farmaco antiparkinsoniano selegilina inibisce selettivamente la MAO di tipo B.
Quando viene impiegata alle dosi raccomandate (non eccedendo i 10 mg/die), la
selegilina ha minori probabilità di interagire con altri farmaci e con i cibi ricchi di
tiramina rispetto agli antidepressivi inibitori della MAO. Tuttavia, essa può
interagire con gli antidepressivi triciclici, con gli inibitori selettivi del reuptake della
serotonina (p. es., la fluoxetina) e con la meperidina e non deve essere impiegata
insieme a questi farmaci. Se la dose di selegilina è > 10 mg/die, la sua selettività
diminuisce e il rischio di interazioni aumenta.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

INTERAZIONI FARMACOCINETICHE

Le interazioni farmacocinetiche possono essere complesse e difficili da


prevedere. Esse sono dovute prevalentemente ad alterazioni dell’assorbimento,
della distribuzione, del metabolismo e dell’escrezione dei farmaci e quindi
modificano la quantità e la permanenza del farmaco disponibile a livello dei siti
recettoriali. La modificazione è a carico dell’entità e della durata dell’azione
farmacologica, non del tipo di effetto. Le interazioni farmacocinetiche vengono
spesso previste sulla base della conoscenza dei singoli farmaci interessati o
vengono individuate tenendo sotto controllo le manifestazioni cliniche del
paziente e le variazioni delle concentrazioni sieriche dei farmaci (v. Cap. 303).

Alterazioni dell’assorbimento gastrointestinale

L’assorbimento GI di un farmaco può essere ridotto, compromettendo così


l’efficacia terapeutica, oppure ritardato, il che non è desiderabile nei casi in cui è
necessario un effetto rapido per risolvere una sintomatologia acuta, come quella
dolorosa.

Alterazioni del pH: il ketoconazolo somministrato per via orale richiede un


ambiente acido per dissolversi in maniera adeguata e quindi non deve essere
somministrato insieme ai farmaci antiacidi, agli anticolinergici, agli anti-H2 o agli
inibitori della pompa acida (protonica) (p. es., l’omeprazolo). Se sono
indispensabili, tali farmaci devono essere somministrati almeno 2 h dopo il
ketoconazolo.

Formazione di complessi e assorbimento: nel tubo digerente le tetracicline


possono combinarsi con ioni metallici (p. es., calcio, magnesio, alluminio, ferro)
per formare complessi che vengono scarsamente assorbiti. Di conseguenza
determinati alimenti (p. es., il latte) o farmaci (p. es., gli antiacidi; i preparati
contenenti sali di magnesio, alluminio e calcio; i preparati contenenti ferro)
possono ridurre in maniera significativa l’assorbimento delle tetracicline.
L’assorbimento della doxiciclina e della minociclina viene alterato in misura
minore dal latte o da altri cibi ma viene ridotto in maniera analoga dagli antiacidi
contenenti alluminio. L’antiacido innalza il pH del contenuto GI, contribuendo
probabilmente alla riduzione dell’assorbimento della tetraciclina.

Gli antiacidi riducono notevolmente l’assorbimento dei composti fluorochinolonici


(p. es., la ciprofloxacina) perché gli ioni metallici formano complessi con il
farmaco. L’intervallo di tempo tra l’assunzione di un antiacido e quella di un
fluorochinolone deve essere il più lungo possibile: almeno 2 h, ma preferibilmente
superiore.

Oltre a legarsi agli acidi biliari e a impedirne il riassorbimento, nel tubo digerente
la colestiramina e il colestipolo possono legarsi con altri farmaci, specialmente
con quelli acidi (p. es., il warfarin). Perciò l’intervallo tra l’assunzione di
colestiramina o di colestipolo e quella di un altro farmaco deve essere quanto più
lungo possibile (preferibilmente ≥4 h).

Alcuni farmaci antidiarroici (p. es., quelli contenenti attapulgite) adsorbono altri
farmaci, riducendone l’assorbimento. Nonostante non siano state condotte
indagini approfondite, l’intervallo tra l’assunzione di questi preparati e quella di un
altro farmaco deve essere il più lungo possibile.

Alterazioni della motilità: dal momento che causano un incremento della


motilità GI, la metoclopramide, la cisapride o i catartici possono accelerare il
transito dei farmaci lungo il canale digerente provocando una riduzione
dell’assorbimento, soprattutto dei farmaci che necessitano di un contatto
prolungato con la superficie assorbente e di quelli che vengono assorbiti soltanto
in una determinata porzione del tratto GI. L’aumento della motilità GI può inoltre
ridurre l’assorbimento delle preparazioni farmaceutiche a rilascio controllato o di

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

quelle entero-protette.

Gli anticolinergici deprimono la motilità GI e possono ridurre l’assorbimento


rallentando la dissoluzione dei farmaci e lo svuotamento gastrico, oppure
aumentarlo prolungando il contatto dei farmaci con la sede elettiva di
assorbimento.

Effetto del cibo: il cibo può ritardare o ridurre l’assorbimento di molti farmaci.
Spesso il cibo rallenta lo svuotamento gastrico o può legarsi ai farmaci, diminuire
il loro accesso ai siti di assorbimento o alterare la loro velocità di dissoluzione o il
pH del contenuto GI.

La presenza di cibo nel tratto GI riduce l’assorbimento di molti antibiotici. Con


alcune eccezioni (p. es., la penicillina V, l’amoxicillina, la doxiciclina, la
minociclina), le penicilline e le tetracicline e diversi altri antibiotici (p. es., alcune
preparazioni di eritromicina) devono essere somministrati almeno 1 h prima o 2 h
dopo i pasti perché l’assorbimento sia ottimale. Il cibo riduce l’assorbimento
dell’alendronato, dell’astemizolo, del captopril, della didanosina e della
penicillamina; questi farmaci devono essere assunti a distanza dai pasti. Il succo
d’arancia, il caffè e l’acqua minerale possono ridurre sensibilmente
l’assorbimento e l’efficacia dell’alendronato, il quale deve essere assunto
accompagnato da acqua semplice, con almeno 1/2 h di anticipo sull’ingestione
dei primi cibi, bevande o farmaci della giornata.

Il cibo può alterare significativamente l’attività della teofillina presente nelle


preparazioni a rilascio controllato, ma non in quelle a rilascio immediato.
L’assunzione di un preparato a rilascio controllato meno di 1 h prima di un pasto
ricco di grassi aumenta l’assorbimento e la concentrazione sierica massima della
teofillina rispetto alla sua assunzione a digiuno.

Alterazioni della distribuzione

I farmaci possono essere spiazzati dai siti di legame con le proteine quando
vengono somministrati contemporaneamente due composti con legame proteico,
specialmente se essi hanno la capacità di legarsi ai medesimi siti della molecola
proteica (spiazzamento competitivo). La frazione legata (inattiva) e quella libera
(attiva) dei farmaci si trovano all’equilibrio. Man mano che il farmaco libero viene
metabolizzato ed escreto, il farmaco legato viene liberato gradualmente,
mantenendo costanti l’equilibrio e la risposta farmacologica. Il rischio di
interazioni derivanti dallo spiazzamento dalle proteine è significativo soprattutto
per i farmaci che hanno un alto legame proteico (> 90%) e un piccolo volume
apparente di distribuzione; le interazioni tendono a verificarsi durante i primissimi
giorni della somministrazione contemporanea.

È stato segnalato che l’acido valproico spiazza la fenitoina dai siti di legame con
le proteine e può inoltre inibirne il metabolismo. In alcuni pazienti che assumono i
due farmaci, le concentrazioni della fenitoina libera aumentano
significativamente, provocando un maggior numero di reazioni avverse, anche
quando le concentrazioni sieriche totali di fenitoina si mantengono entro il range
terapeutico abituale. Al contrario, la fenitoina può ridurre le concentrazioni
sieriche di acido valproico. La terapia di associazione con questi farmaci deve
essere tenuta sotto controllo molto attentamente, regolando il dosaggio in caso di
necessità.

I farmaci acidi generalmente si legano all’albumina sierica e quelli basici all’α


1-
glicoproteina acida (v. Legame nel Cap. 298).

Alterazioni del metabolismo

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

(V. anche Tab. 301-1 e Vie biochimiche del metabolismo nel Cap. 298.)

Stimolazione del metabolismo: un farmaco può aumentare l’attività degli


enzimi epatici coinvolti nel metabolismo di un altro farmaco (fenomeno
dell’induzione enzimatica); p. es., il fenobarbital aumenta il metabolismo del
warfarin, riducendo la sua azione anticoagulante. Il dosaggio del warfarin deve
essere aumentato per compensare il fenomeno, ma se il fenobarbital viene
sospeso la dose di warfarin deve essere ridotta per evitare una tossicità
potenzialmente pericolosa. L’uso di un sedativo non barbiturico (p. es., una
benzodiazepina) elimina il problema. Il fenobarbital accelera anche il
metabolismo di altri farmaci (p. es., gli ormoni steroidei). Anche altri barbiturici e
farmaci come la carbamazepina, la fenitoina, la rifabutina e la rifampicina
causano induzione enzimatica. Il fumo in grandi quantità può ridurre l’efficacia di
farmaci come la clorpromazina, il diazepam, il propoxifene e la teofillina, perché
gli idrocarburi policiclici presenti nel fumo di sigaretta aumentano la velocità del
loro metabolismo epatico attraverso il meccanismo dell’induzione enzimatica.

La piridossina accelera la decarbossilazione della levodopa che dà origine al suo


metabolita attivo, la dopamina, nei tessuti periferici. Al contrario della levodopa, la
dopamina non è in grado di attraversare la barriera emato-encefalica per
esplicare un effetto antiparkinsoniano. La somministrazione di carbidopa (un
inibitore della decarbossilasi) in associazione con la levodopa impedisce alla
piridossina di interferire con l’azione della levodopa stessa.

Inibizione del metabolismo: un farmaco può inibire il metabolismo di un altro


farmaco, eventualmente prolungandone e intensificandone l’azione. Per
esempio, l’allopurinolo riduce la produzione di acido urico inibendo l’enzima
xantina ossidasi, che metabolizza farmaci potenzialmente tossici come la
mercaptopurina e l’azatioprina. L’inibizione della xantina ossidasi può aumentare
sensibilmente l’effetto di questi farmaci. Pertanto, quando si somministra
allopurinolo contemporaneamente alla mercaptopurina o all’azatioprina, la dose
di queste ultime deve essere ridotta a circa 1/3-1/4 della dose abituale.

La cimetidina inibisce le vie metaboliche ossidative e può incrementare l’azione


dei farmaci metabolizzati attraverso di esse (p. es., la carbamazepina, la
fenitoina, la teofillina, il warfarin e la maggior parte delle benzodiazepine
[compreso il diazepam]). La cimetidina non ha influenza sull’azione delle
benzodiazepine lorazepam, oxazepam e temazepam, che vengono sottoposte a
coniugazione con acido glucuronico. La ranitidina ha un’affinità minore per gli
enzimi ossidativi epatici rispetto alla cimetidina, rendendo meno probabile il
verificarsi di interazioni clinicamente significative. La famotidina e la nizatidina
non hanno la tendenza a inibire le vie metaboliche ossidative ed è poco probabile
che interagiscano con altri farmaci attraverso questo meccanismo.

Elevate concentrazioni sieriche di astemizolo o cisapride possono essere


responsabili di gravi reazioni cardiovascolari (p. es., torsione di punta e altre
aritmie ventricolari). Poiché questi farmaci vengono ampiamente metabolizzati
dagli enzimi epatici del citocromo P-450, le loro concentrazioni sieriche possono
aumentare quando questi enzimi vengono inibiti da farmaci come taluni
antidepressivi (p. es., il nefazodone), la claritromicina, l’eritromicina,
l’itraconazolo, il ketoconazolo e la troleadomicina, aumentando il rischio di
tossicità. Di conseguenza, l’impiego contemporaneo di astemizolo o di cisapride
con i suddetti e con determinati altri farmaci è controindicato. Bisogna usare
cautela quando l’astemizolo o la cisapride vengono utilizzati in concomitanza con
qualunque farmaco che inibisce gli enzimi epatici. Gli antiistaminici non sedativi
loratadina e fexofenadina non sono stati messi in relazione con reazioni
cardiovascolari gravi.

Il ritonavir, un potente inibitore di alcuni enzimi del citocromo P-450 epatico, può
aumentare notevolmente le concentrazioni sieriche dei farmaci metabolizzati da
questi enzimi (p. es., gli antiaritmici, l’astemizolo, la maggior parte delle
benzodiazepine, la cisapride). Tali farmaci non devono essere impiegati insieme
al ritonavir. Il ritonavir interagisce anche con molti altri farmaci e il loro uso
contemporaneo deve essere attentamente controllato, regolando i dosaggi in
caso di necessità.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

È stato segnalato che l’eritromicina inibisce il metabolismo epatico di farmaci


come la carbamazepina e la teofillina, aumentando pertanto i loro effetti. I
fluorochinoloni ciprofloxacina, enoxacina e grepafloxacina possono aumentare
notevolmente l’attività della teofillina, presumibilmente con lo stesso
meccanismo.

Il succo di pompelmo inibisce il CYP3A4, un enzima del citocromo P-450, e di


conseguenza aumenta la biodisponibilità di alcuni farmaci (p. es., la felodipina) e
potenzia il loro effetto.

Alterazioni dell’escrezione urinaria

Alterazioni del pH urinario: il pH urinario influenza l’ionizzazione degli acidi e


delle basi deboli, modificando in tal modo il loro riassorbimento e la loro
escrezione. Un farmaco non ionizzato diffonde più facilmente in via retrograda
dal filtrato glomerulare al sangue. La quota non ionizzata di un farmaco acido è
maggiore in presenza di urine acide che di urine alcaline, nelle quali viceversa un
farmaco acido si trova principalmente sotto forma di sale ionizzato. Pertanto, in
presenza di urine acide, un farmaco acido (p. es., un salicilato) diffonde in via
retrograda nel sangue in quantità superiori, con conseguente prolungamento e
probabilmente intensificazione della sua azione. È più probabile che quest’effetto
si verifichi nei pazienti che assumono alte dosi di salicilati (p. es., per l’artrite). Gli
effetti sono opposti per un farmaco basico (p. es., la destroamfetamina). In uno
studio, il 54,5% di una dose di destroamfetamina risultava escreto entro 16 h
quando il pH urinario veniva mantenuto intorno a 5, mentre questa quota era pari
al 2,9% quando il pH veniva mantenuto intorno a 8.

Alterazioni del trasporto attivo: il probenecid innalza la concentrazione sierica


e prolunga l’attività delle penicilline, principalmente bloccandone la secrezione
tubulare. Tali associazioni sono state impiegate a fini terapeutici.

Quando la digossina viene somministrata insieme con la chinidina, le sue


concentrazioni sieriche sono significativamente più elevate rispetto a quando
essa viene somministrata da sola. La chinidina sembra ridurre la clearance
renale della digossina, sebbene nel fenomeno siano probabilmente coinvolti
anche meccanismi non renali.

È stato osservato che diversi FANS aumentano l’attività e la tossicità del


metotrexato. Una tossicità fatale da metotrexato è stata osservata in pazienti che
assumevano ketoprofene. Il ketoprofene può inibire la secrezione tubulare renale
attiva del metotrexato, ma ad aumentare le concentrazioni sieriche del farmaco
contribuiscono probabilmente anche altri meccanismi. La maggior parte dei
pazienti deceduti stava assumendo alte dosi di metotrexato a causa di malattie
neoplastiche; tuttavia, è necessario usare cautela anche quando ai pazienti
vengono somministrate dosi inferiori, soprattutto considerando che basse dosi di
metotraxato vengono usate sempre più spesso nei pazienti con artrite
reumatoide che stanno assumendo anche un FANS.

PRINCIPI DI TRATTAMENTO

È importante tenere in considerazione i seguenti principi generali.

● È più probabile che si verifichino interazioni clinicamente significative tra


farmaci che possiedono effetti potenti, un ristretto margine di sicurezza e
una curva dose-risposta con pendenza notevole (p. es., i farmaci
citotossici, antiipertensivi e ipoglicemizzanti; la digossina; il warfarin).

● Può essere difficile distinguere un’interazione farmacologica dai fattori


fisiopatologici che influenzano la risposta alla terapia.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

● Esiste la possibilità che interazioni del tutto prevedibili in realtà non si


verifichino; fattori individuali, come la dose e il metabolismo del paziente,
sono importanti fattori determinanti delle interazioni.

● Quando gli effetti dei farmaci vengono seguiti con attenzione,


un’interazione di solito non si traduce nella comparsa di effetti indesiderati
significativi, ma spesso è necessaria una modificazione della posologia o
l’uso di farmaci alternativi.

● Lo spiazzamento di un farmaco dai suoi siti di legame con le proteine


altera il rapporto tra il farmaco totale e la sua quota libera, complicando
l’interpretazione clinica delle concentrazioni totali del farmaco nel sangue.
Quando un farmaco altamente legato e spiazzabile viene assunto insieme
con un farmaco che è in grado di spiazzarlo, le concentrazioni sieriche
totali dei farmaci non rivestono lo stesso significato che hanno quando
essi vengono assunti separatamente. Questa considerazione è
importante, perché le concentrazioni sieriche vengono spesso utilizzate
come riferimento per indirizzare il trattamento dei pazienti che assumono
più farmaci contemporaneamente.

L’incidenza e le conseguenze cliniche delle interazioni farmacologiche possono


essere ridotte al minimo in diversi modi. Il medico che redige la prescrizione deve
conoscere tutti i farmaci che il paziente assume, compresi quelli prescritti da altri
medici e quelli da banco. Deve essere prescritto il minor numero possibile di
farmaci, alle dosi più basse e per il tempo più breve, compatibilmente con le
necessità terapeutiche. Vanno stabiliti gli effetti, voluti e indesiderati, di tutti i
farmaci utilizzati, perché di solito tra questi effetti sono comprese le diverse
interazioni farmacologiche. Se è possibile, devono essere utilizzati farmaci con
un range di dosaggio che permetta un considerevole margine di errore. Il
paziente deve essere tenuto sotto osservazione e controllato per seguire gli
effetti dei farmaci, specialmente dopo aver introdotto una variazione nella terapia;
alcune interazioni (p. es., gli effetti metabolici dipendenti dall’induzione
enzimatica) impiegano ≥ 1 sett per comparire. Le interazioni farmacologiche
devono essere considerate come una delle possibili cause di qualunque
problema non previsto. Quando si verificano risposte cliniche inattese, si devono
determinare, se possibile, le concentrazioni sieriche dei farmaci che si stanno
impiegando, si deve consultare la letteratura esistente sull’argomento o un
esperto di interazioni farmacologiche e si deve calibrare il dosaggio fino a che
non si ottiene l’effetto desiderato. Qualora l’adattamento della posologia non
dovesse dare risultati, il farmaco deve essere sostituito con un farmaco diverso
che non interagisce con gli altri farmaci assunti dal paziente.

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Considerazioni generali

Manuale Merck

1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE


La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI

INTERAZIONI TRA SOSTANZE NUTRITIVE E FARMACI

Le importanti interazioni tra le sostanze nutritive e i farmaci comprendono gli


effetti della dieta sulla distribuzione dei farmaci, l'alterata farmacocinetica nelle
carenze nutrizionali, le modificazioni dell'appetito e la malnutrizione farmaco-
indotta (v. Cap. 301).

I singoli componenti degli alimenti possono aumentare, ritardare o diminuire


l'assorbimento dei farmaci. Per esempio, la tiramina, un componente del
formaggio e un potente vasocostrittore, può causare una crisi ipertensiva in
alcuni pazienti che assumono gli inibitori delle monoammino ossidasi e mangiano
formaggio. Le diete ad alto contenuto proteico possono aumentare la velocità del
metabolismo dei farmaci, in parte attraverso la stimolazione dell'induzione del
citocromo P-450. Le diete che alterano la flora batterica possono condizionare
notevolmente il metabolismo complessivo di alcuni farmaci.

Anche la carenza di alcuni nutrienti come il calcio, il magnesio o lo zinco può


alterare il metabolismo dei farmaci. Le carenze energetiche e proteiche riducono i
livelli tissutali degli enzimi e possono alterare la risposta ai farmaci sia
riducendone l'assorbimento che causando una disfunzione epatica. La risposta ai
farmaci può essere condizionata da un alterato assorbimento dovuto anche a
delle modificazioni nel tratto GI. La carenza di vitamina C è associata a una
ridotta attività degli enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci. La maggiore
frequenza degli effetti collaterali dei farmaci nei pazienti anziani, può essere,
quindi, correlata al basso livello di vitamina C.

Molti farmaci compromettono l'appetito, l'assorbimento e il metabolismo tissutale


(v. Tab. 1-11).

Alcuni farmaci alterano il metabolismo dei minerali. I diuretici, specialmente i


tiazidici e i corticosteroidi, possono causare una deplezione di potassio, che
aumenta il rischio di aritmie cardiache indotte dalla digitale. Essa può derivare
anche dall'uso continuo di lassativi. Il cortisolo, il deossicorticosterone e
l'aldosterone causano una marcata ritenzione di sodio e di acqua, almeno
temporaneamente; la ritenzione è notevolmente inferiore con il prednisone, il
prednisolone e i più recenti analoghi corticosteroidei. La ritenzione di sodio e di
acqua si verifica anche con i contraccettivi orali estro-progestinici e con il
fenilbutazone. Le sulfoniluree, il fenilbutazone, il cobalto e il litio possono alterare
la captazione o il rilascio di iodio dalla tiroide; i contraccettivi orali possono ridurre
la concentrazione plasmatica dello zinco e aumentare quella del rame; e il
prolungato uso dei corticosteroidi può causare l'osteoporosi.

Il metabolismo delle vitamine è influenzato da alcuni farmaci. L'etanolo riduce


l'assorbimento della tiamina mentre l'isoniazide è un antagonista della niacina e
della piridossina. L'etanolo e i contraccettivi orali inibiscono l'assorbimento
dell'acido folico. La maggior parte dei pazienti che assume fenitoina,
fenobarbitale, primidone o fenotiazine per terapie anticonvulsivanti a lungo
termine, presenta dei bassi livelli sierici ed eritrocitari di folati e occasionalmente
un'anemia megaloblastica, probabilmente a causa dell'alterazione degli enzimi
epatici microsomiali che metabolizzano i farmaci. La somministrazione di acido
folico supplementare può interferire con l'azione dei farmaci anticonvulsivanti,
mentre una terapia con compresse di lievito sembra aumentare i livelli di folati

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Considerazioni generali

senza un tale effetto collaterale. È ben conosciuta la carenza di vitamina D


indotta dagli anticonvulsivanti. È stato riportato un malassorbimento di vitamina
B12 con l'acido amminosalicilico, lo ioduro di potassio a lento rilascio, la
colchicina, la trifluoperazina, l'etanolo e i contraccettivi orali.

Nelle donne che assumono dei contraccettivi orali, di solito ad alto contenuto di
progesterone, si può verificare uno stato depressivo. Si pensa che il meccanismo
sia dovuto all'induzione della triptofano-pirrolasi, che causa l'utilizzazione della
piridossina per la sintesi della niacina, a scapito della formazione del
neurotrasmettitore 5-idrossitriptamina. Queste pazienti di solito rispondono a dosi
di 25 mg tid di piridossina.

Il metabolismo delle sostanze nutritive può essere influenzato anche dalle altre
sostanze nutritive. Per esempio, l'assorbimento del ferro non-eme può essere
aumentato o ridotto da numerose sostanze alimentari (v. Anemia causata da
insufficiente eritropoiesi nel Cap. 127).

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Anemie

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. ANEMIE

Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di


perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione
di queste modificazioni.

ANEMIA CAUSATA DA INSUFFICIENTE ERITROPOIESI

ANEMIE MICROCITICHE

Sommario:

Introduzione
Alterazioni del metabolismo del ferro
Esami di laboratorio

Una difettosa o insufficiente sintesi dell’eme o della globina provoca la comparsa


di una popolazione di GR microcitici. Tuttavia, le alterazioni iniziali possono
essere minime. La diagnosi differenziale (v. Tab. 127-4) include l’anemia da
deficienza di ferro, da deficienza di trasporto del ferro e da difettosa utilizzazione
del ferro, l’anemia delle malattie croniche e le talassemie (v. oltre, Anemie
causate da difettosa sintesi emoglobinica). Il termine anemia microcitica ha
sostituito il termine anemia ipocromica-microcitica, poiché il grado dell’ipocromia
è variabile.

Alterazioni del metabolismo del ferro

Il Fe è suddiviso in quello attivamente utilizzato nel metabolismo e quello di


riserva. Il Fe corporeo totale è, nei soggetti adulti sani, pari a 3,5 g nei maschi e a
2,5 g nelle femmine. La differenza dipende dalla diversa taglia corporea e dalla
comune assenza di un importante deposito nelle donne. Il contenuto
approssimativo del settore attivo è negli uomini di 2100 mg nell’Hb, 200 mg nella
mioglobina, 150 mg negli enzimi tissutali (eme e non eme) e 3 mg nel
compartimento del trasporto del Fe. Il Fe è depositato nelle cellule come ferritina
(700 mg) ed emosiderina (300 mg).

Assorbimento del ferro: la dieta media americana che contiene 6 mg di Fe/kcal


di cibo, è adeguata per l’omeostasi del Fe. Tuttavia, variazioni significative nella
biodisponibilità di Fe alimentare inducono un’alterazione marcata
dell’assorbimento. Il miglior assorbimento del Fe si ha quando il cibo contiene del
Fe emico (carne). Una varietà di altri cibi (p. es., i fitati delle fibre vegetali e i
polifenoli; i tannati del tè, comprese le fosfoproteine, la crusca) riducono
l’assorbimento del Fe non emico. Così, molte interazioni fra alimenti ne riducono
la biodisponibilità. L’acido ascorbico è l’unico elemento alimentare conosciuto
capace di aumentare la biodisponibilità del Fe non emico.

Di circa 10 mg/die di Fe dietetico, gli adulti assorbono solo 1 mg, che


essenzialmente compensa la perdita cellulare quotidiana della desquamazione
della cute e dell’intestino. Nella deplezione di Fe l’assorbimento aumenta, ma
raramente raggiunge una quantità > 6 mg a meno che non vi sia un apporto
supplementare di Fe. I bambini hanno un maggiore fabbisogno di Fe e il bilancio
marziale sembra essere positivo per coprire tale esigenza.

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Anemie

Sebbene l’assorbimento del Fe avvenga nel duodeno e nella prima parte del
digiuno, esso viene influenzato da altre attività gastrointestinali. Il Fe non emico
degli alimenti è ridotto a stato ferroso e liberato dal legame alimentare mediante
la secrezione gastrica. Il reale meccanismo di assorbimento del Fe non è chiaro.
Ciò nonostante, la regolazione dell’assorbimento è in alcuni casi mediata dalle
cellule della mucosa intestinale. Il segnale iniziale per le cellule della mucosa
intestinale sembra essere legato alla quantità totale del Fe corporeo. La
concentrazione della ferritina sierica è inversamente proporzionale alla quantità
di Fe assorbito; la ferritina (o transferrina) può fornire questo segnale.
L’aumentata eritropoiesi (p. es., anemia emolitica congenita) può influenzare
anche il meccanismo di controllo dell’apporto e della ritenzione di Fe da parte
delle cellule della mucosa intestinale.

Metabolismo del Fe: il Fe dalle cellule della mucosa intestinale viene trasferito
alla transferrina, la quale è una proteina di trasporto del Fe con due siti di
legame per il Fe ed è sintetizzata dal fegato; questo sistema può prendere il Fe
dalle cellule (intestinali, macrofagi) e rilasciarlo sui recettori specifici degli
eritroblasti, delle cellule della placenta e delle cellule epatiche. La transferrina si
lega ai recettori specifici della membrana degli eritroblasti, il complesso
transferrina-Fe entra nel precursore dei GR mediante endocitosi e il Fe viene
trasferito ai mitocondri, che inseriscono il Fe nella protoferrina per trasformarlo in
eme. La transferrina (emivita plasmatica, 8 giorni) viene espulsa per essere
riutilizzata.

Il Fe non utilizzato per l’eritropoiesi è trasferito dalla transferrina al settore di


deposito, che presenta due forme. La più importante è la ferritina (una famiglia
eterogenea di proteine formata intorno a un nucleo di Fe) che rappresenta una
frazione di riserva solubile e attiva riscontrata nel fegato (epatociti), midollo osseo
e milza (nei macrofagi); nei GR; e nel siero. La riserva di ferritina tissutale è molto
labile e prontamente disponibile per tutte le richieste di Fe dell’organismo. La
ferritina circolante (siero) sembra avere la sua origine nel sistema dei fagociti
mononucleati ("reticoloendoteliale") e la sua concentrazione circolante è correlata
al volume di riserva dell’organismo (1 ng/ml equivale a 8 mg di Fe nel pool di
riserva). La seconda forma di riserva del Fe è data dall’emosiderina, che è
relativamente insolubile e immagazzinata principalmente nel fegato (cellule del
Kupffer) e nel midollo (macrofagi).

Poiché l’assorbimento del Fe è così limitato, l’organismo possiede un sistema


adeguato di conservazione per regolarne il fabbisogno quotidiano. I GR vecchi
sono fagogitati da fagociti mononucleati. La pronta digestione permette la
disponibilità del Fe che è catturato dalla transferrina al fine di essere riutilizzato.
Questo sistema di riutilizzazione del Fe è così efficiente che circa il 97% del
fabbisogno quotidiano di Fe (circa 25 mg di Fe) può essere reperito da questo
sistema di riserva; un altro mg proviene dall’assorbimento intestinale.

Esami di laboratorio

Il Fe e la capacità Fe-legante devono essere entrambi testati poiché il rapporto


tra essi è importante. Esistono vari test; l’intervallo dei valori normali dipende dal
test utilizzato. In generale, il valore normale del Fe sierico è compreso fra 75 e
150 µg/dl (da 13 a 27 µmol/l) per gli uomini e fra 60 e 140 µg/dl (da 11 a 25 µmol/
l) per le donne; la capacità ferro-legante totale è compresa fra 250 e 450 µg/dl
(45-81 µmol/l). La concentrazione di Fe sierico è bassa nelle deficienze di ferro e
nelle malattie croniche ed elevata negli stati emolitici e nelle sindromi da
sovraccarico di Fe (v. Cap. 128). I pazienti in terapia sostitutiva con Fe PO
possono avere una sideremia normale, nonostante l’esistenza di una carenza
marziale; in queste circostanze, è necessario sospendere la terapia per 24-48 h
per ottenere un valore attendibile della sideremia. La capacità Fe-legante (o
transferrina) aumenta in condizioni di carenza marziale ma si riduce, al contrario,
nell’anemia associata a malattie croniche.

La ferritina sierica, che viene misurata con test radioimmunologico, è una

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Anemie

glicoproteina di riserva del Fe, esistente come isoferritina tessuto-specifica. I


valori normali di questa proteina oscillano, per la maggior parte dei laboratori, tra
30 e 300 ng/ml e la media geometrica è 88 per l’uomo e 49 per la donna. Le
concentrazioni della ferritina sierica risultano strettamente correlate ai depositi di
Fe di tutto l’organismo; pertanto, basse concentrazioni (< 12 ng/ml) si
manifestano soltanto nella deficienza di Fe, mentre concentrazioni elevate nel
sovraccarico marziale. Alte concentrazioni di ferritina sono presenti anche in caso
di danno epatico (cioè epatiti) o in particolari neoplasie (in particolare la leucemia
acuta, il morbo di Hodgkin o i tumori dell’apparato GI) in cui la ferritina può
essere una proteina reattiva di fase acuta. Quindi, basse concentrazioni di
ferritina sierica identificano sempre una deficienza marziale, ma possono anche
essere falsamente elevate a causa di una lesione epatocellulare o della presenza
di una risposta di fase acuta.

Il recettore della transferrina sierica può essere misurato mediante un esame


enzimatico immunoassorbente (ELISA) che utilizza un Ac monoclonale contro il
recettore solubile. Poiché il test ELISA calcola la massa totale corporea dei
recettori tissutali, esso rappresenta una misura relativa della parte attivamente
proliferativa dell’eritrone. Il range normale è di 3,0-8,5 µg/l. I livelli aumentano
nelle fasi iniziali della deficienza marziale e in circostanze di aumentata
eritropoiesi. I livelli sono normali nell’anemia associata a malattie croniche.

La ferritina dei GR può essere misurata mediante un prelievo di sangue posto a


contatto con l’eparina e separando i GR dai GB e dalle piastrine (che contengono
anche ferritina) con la centrifugazione con Hypaque. Dopo l’emolisi, l’esame RIA
della ferritina eritrocitaria indica lo stato di deposito nei 3 mesi precedenti (cioè la
vita media dei GR). Il livello della ferritina eritrocitaria normale varia a seconda
del test impiegato, ma generalmente è compreso tra 5 e 48 attogrammi (ag)/GR.
Questo valore è < 5 ag/GR nelle anemie da carenza di Fe e marcatamente
elevato (spesso > 100 ag/GR) negli stati di sovraccarico di Fe (v. Cap. 128). Il
livello non è influenzato dalla funzione epatica o da altre malattie acute.

La protoporfirina libera eritrocitaria aumenta significativamente in situazioni di


alterata sintesi dell’eme (p. es., carenza di Fe o intossicazione da piombo).
Tuttavia, tale test non differenzia la carenza marziale dalle anemie legate a
malattie croniche ed è stato quindi largamente sostituito dalla misurazione della
ferritina sierica.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 127–4. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELL’ANEMIA MICROCITICA

Carenza Deficit Utilizzazione Riutilizzazione


di ferro del del ferro del ferro
trasporto
del ferro
Sangue periferico M>I M>I M>I M<I

Microcitosi Assenti Assenti Presenti Assenti


(M) versus
ipocromia (I) Assenti Assenti Presenti Assenti

Cellule
policromatofile
a bersagl io

Emazie
punteggiate

Ampiezza di ↑ ↑ ↑ Normale
distribuzione dei
volumi dei GR
Ferro sierico ↓:↑ ↓:↓ ↑: Normale ↓:↓

Sideremia: capacità <10 0 >50 >10


legante del ferro

% saturazione della
transferrina
Ferritina sierica <12 Nessun >400 30-400
dato
(normale 30-300ng/ disponibile
ml)
Ferritina di GR <5 Nessun >50 5-45
dato
(normale 5-48 disponibile
attogrammi/GR)

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Manuale Merck - Tabella

Midollo osseo 1:1-1:2 1:1-1:2 1:1-5:1 1:1-1:2

Rapporto
eritrociti:
granulociti
(normale da
1:3 a 1:5)

Ferro midollare Assente Presente ↑ Presente


Sideroblasti "ad Assenti Assenti Presenti Assenti
anello"
↑=aumentato; ↓=ridotto

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Sovraccarico di ferro

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

128. SOVRACCARICO DI FERRO

(Emosiderosi; emocromatosi)

(Per avvelenamento acuto da ferro, v. Tab. 307-3).

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia
SOVRACCARICO GENETICO DI FERRO
ACCUMULO MARZIALE NON GENETICO
ACCUMULO DI FERRO DI ORIGINE SCONOSCIUTA

Il sovraccarico cronico di ferro (Fe) è caratterizzato da aumentata deposizione


focale o generalizzata all’interno dei tessuti. Sulla base dell’esame tissutale,
questa è stata definita emosiderosi. Quando la deposizione in eccesso di ferro è
associata a una lesione tissutale o il ferro totale dell’organismo è stimato
essere > 5 g, è stato applicato il termine emocromatosi (v. Tab. 128-1).
L’emocromatosi, un disordine genetico da accumulo marziale, deve essere
differenziata da altri disordini congeniti accompagnati da aumento delle riserve di
Fe (p. es., aceruloplasminemia, ipotransferrinemia/atransferrinemia) e da
accumulo marziale non genetico e dal sovraccarico marziale di eziologia
indeterminata.

L’emocromatosi nella sua forma primaria è un disordine genetico con una


frequenza omozigote di 1:200 e una frequenza eterozigote di 1:8. Il gene
dell’emocromatosi (HLA-H) è stato recentemente identificato sul braccio corto del
cromosoma 6 come una singola mutazione puntiforme nella quale l’aminoacido
cisteina in posizione 282 si modifica in tirosina (nt 845A, 845A; Cys 282 Tyr). Dei
pazienti con emocromatosi clinica, l’83% è omozigote per questa mutazione., la
quale codifica per una molecola simile all’HLA-A. È stata anche identificata una
mutazione al nt 187C (His 63 Asp) correlata al complesso maggiore di
istocompatibilità; queste modificazioni sono state definite mutazioni associate
all’emocromatosi).

L’aver scoperto queste mutazioni non ha fornito la spiegazione fisiopatologica del


meccanismo dell’aumentato assorbimento di Fe. L’aumentato assorbimento di Fe
dal tratto GI sembra causarne l’accumulo. Poiché i meccanismi fisiologici
dell’escrezione del Fe sono limitati, il Fe si accumula nell’organismo. Il contenuto
totale di Fe dell’organismo può raggiungere valori anche di 50 g, paragonati ai
livelli normali di circa 2,5 g nelle donne e 3,5 gr negli uomini.

Sintomi e segni

L’emosiderosi focale si ha principalmente nei polmoni e nei reni e rappresenta il


risultato di altri ovvi processi patologici. L’emosiderosi polmonare, dovuta a
ripetute emorragie polmonari, si verifica come entità idiopatica, come parte della
sindrome di Goodpasture o nella stenosi mitralica grave. Occasionalmente, la

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Sovraccarico di ferro

perdita di Fe, da questi episodi di emorragia polmonare, causa un’anemia


sideropenica poiché il ferro non può essere riutilizzato. L’emosiderosi renale può
derivare da un’estesa emolisi intravasale dovuta a trauma dei GR (p. es., nella
coagulazione intravascolare disseminata, insufficienza o stenosi valvolare
cardiaca, protesi valvolare meccanica) o a emoglobinuria parossistica notturna.
L’Hb libera viene filtrata a livello glomerulare e la deposizione di Fe nel rene si ha
quando si verifica la saturazione dell’aptoglobina. Non si verifica danno
parenchimale renale, ma in casi rari un’emosiderinuria grave può determinare
deficit di Fe.

L’emocromatosi genetica è raramente sintomatica prima della mezza età. Degli


uomini colpiti, l’80-90% ha i depositi di Fe dell’organismo > 10 g prima che i
sintomi si sviluppino. Nelle donne, i sintomi si sviluppano più comunemente dopo
la menopausa poiché la perdita di Fe durante le mestruazioni e la gravidanza
determinano una qualche protezione. Quindi, il contenuto epatico di Fe è più alto
nelle donne la cui menopausa si verifica al di sotto dei 50 anni.

Nonostante la perdita di sangue durante la gravidanza e le mestruazioni, le


donne hanno la piena espressione clinica fenotipica dell’emocromatosi. L’evento
clinico che porta alla diagnosi è di solito incidentale, poiché le sequele cliniche
dell’accumulo di Fe rappresentano le manifestazioni tardive; la precoce
valutazione clinico-laboratoristica nell’accumulo di Fe rappresenta il miglior
approccio. Nelle donne, la fatica e sintomi costituzionali non specifici
rappresentano i primi reperti; negli uomini, la cirrosi o il diabete rappresentano la
manifestazione iniziale. I reperti clinici di un avanzato stato di deposizione di Fe
possono includere disfunzione epatocellulare anche con cirrosi, pigmentazione
bronzina della cute, diabete mellito (franco nel 50-60% dei pazienti) e
cardiomiopatia che si manifesta con cardiomegalia, insufficienza cardiaca e
aritmie o disturbi della conduzione. L’insufficienza ipofisaria è frequente e può
essere alla base dell’atrofia testicolare con perdita della libido, che si manifestano
frequentemente. Meno frequentemente si hanno dolore addominale, artrite e
condrocalcinosi. Queste alterazioni sono dovute a deposito di Fe nei parenchimi,
sebbene un’aumentata incidenza familiare di diabete mellito suggerisca che
possano giocare un ruolo importante fattori diversi dalla siderosi del pancreas. Il
carcinoma epatocellulare si manifesta più frequentemente nelle emocromatosi di
lunga data che in ogni altra forma di cirrosi; l’incidenza approssimata è del 14%.

Diagnosi

L’emocromatosi è spesso diagnosticata tardi nel corso della malattia dopo un


significativo insulto tissutale, poiché i sintomi clinici sono insidiosi e l’entità del
coinvolgimento dell’organo è varia; quindi, l’intero quadro clinico evolve
lentamente. Altri meccanismi non genetici di accumulo di Fe, come gli stati
emolitici congeniti (p. es., l’anemia falciforme, la talassemia), devono essere
esclusi in modo appropriato.

Nell’emocromatosi genetica il Fe sierico è elevato (> 300 mg/dl). La


saturazione sierica della transferrina è un parametro sensibile di aumento di Fe e
merita una valutazione quando è > 50%. La ferritina sierica è aumentata e la
ferritina dei GR è aumentata a valori > 200 atg/GR. L’escrezione urinaria del Fe è
notevolmente aumentata (> 2 mg/24 ore) dal chelante desferoxamina (500-
1000 mg IM sulla base della massa corporea del paziente) e questa procedura è
stata utilizzata come test diagnostico in alcune circostanze, quando la diagnosi è
incerta. Inoltre, quando il contenuto di Fe nel fegato è significativamente
aumentato, una RMN può riflettere questa modificazione. La biopsia epatica è
stata il "gold standard" della diagnosi; oggi essa serve solo per fornire evidenza
di fibrosi (cirrosi). L’esame genetico rappresenta il test diagnostico di scelta. La
dimostrazione di siderosi epatica, e un aumento quantitativo nel contenuto
epatico (indice medio del Fe epatico, > 2; la concentrazione media epatica di Fe,
> 250 µmol/g), conferma la diagnosi.

La diagnosi clinica genotipica e l’appropriato screening dei parenti di primo grado


sono stati semplificati dal test per C282Y, la mutazione più frequente è per H63D,
mutazione più rara che rende ragione di > 95% dei casi di emocromatosi.

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Sovraccarico di ferro

Terapia

Il salasso è il più semplice metodo per rimuovere il Fe in eccesso nei pazienti con
emocromatosi e migliora la sopravvivenza, senza alterare l’incidenza di
epatocarcinoma. Non appena è stata posta diagnosi, è bene iniziare il salasso. Si
rimuovono circa 500 ml di sangue (circa 250 mg di Fe) ogni settimana, fino a che
la sideremia non diventa normale e la saturazione transferrinica è ben sotto
il 50%. Normalmente, il salasso può essere eseguito settimanalmente. Quando i
depositi di Fe sono normali, può essere eseguito un ulteriore salasso per
mantenere la saturazione della transferrina < 10%. Il livello della ferritina sierica è
un parametro meno valido durante la deplezione marziale. Il diabete mellito, le
alterazioni cardiache, l’impotenza e le altre manifestazioni secondarie vengono
trattate come di norma.

SOVRACCARICO GENETICO DI FERRO

Due forme rarissime congenite, l’ipotransferrinemia/atransferrinemia e


l’aceruloplasminemia, sono accompagnate da aumento dei depositi di Fe. Nella
deficienza transferrinica, il ferro assorbito entra nel circolo portale come Fe-
legato non transferrinico ed è depositato nel fegato. Il susseguente trasporto
verso l’eritrone per le necessità fisiologiche è ridotto poiché il sistema di trasporto
è carente. Nella deficienza di ceruloplasmina, la mancanza di ferroxidasi
determina una difettosa conversione di Fe2+ in Fe3+, che è necessario per il
legame alla transferrina. Il difettoso processo riduce i movimenti del ferro dai
depositi intracellulari al trasporto plasmatico con accumulo di Fe nei tessuti.

Questi difetti di trasporto sono diagnosticati dalla misura della transferrina sierica
(cioè, la capacità Fe-legante) e della ceruloplasmina (v. Morbo di Wilson al
Cap. 4). Sebbene la terapia sostitutiva con la transferrina o con la ceruloplasmina
(dipendendo dalla diagnosi) sarebbe ideale, questi prodotti non sono disponibili
per la terapia.

ACCUMULO MARZIALE NON GENETICO

L’accumulo marziale trasfusionale e l’accumulo che avviene per aumentato


assorbimento a causa di eritropoiesi carente (p. es., nelle anemie emolitiche
congenite o nelle emoglobinopatie) possono essere generalmente identificate
sulla base della storia clinica. Poiché tali circostanze (talora definite
emocromatosi secondarie) sono associate ad anemia, il salasso può non
essere possibile.

La desferoxamina 20-40 mg/kg/24 h in infusione lenta SC o EV, somministrata


durante la notte da una piccola pompa portatile, riduce con successo i depositi di
Fe. Poiché la tachifilassi si verifica con la terapia con desferroxamina, la sua
continua efficacia deve essere valutata (di solito con la misura del Fe urinario). In
alternativa, urine di colore salmone confermano un valore > 50 mg/die.

ACCUMULO DI FERRO DI ORIGINE SCONOSCIUTA

Malattie parenchimali epatiche, specialmente l’epatopatia alcolica, la


steatoepatosi non alcolica e l’infezione epatitica da virus C, possono essere
associate ad aumentato deposito di Fe. I meccanismi per questa forma sono
sconosciuti, sebbene l’emocromatosi genetica deve sempre essere considerata

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Sovraccarico di ferro

un potenziale determinante fattore eziologico e valutata. La deplezione di Fe non


sembra migliorare la disfunzione epatica in questi pazienti che non presentano
un’emocromatosi genetica.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 307-2. LINEE GUIDA PER LA TERAPIA CHELANTE*

Farmaco chelante† Indicazioni Dosaggio


Edetato calcico disodico Cadmio, cromo, cobalto, Diluire a ≤3% e
(sale calcico disodico manganese, nichel, somministrare 25-35mg/
dell'acido piombo, radio, rame‡ e kg EV lentamente (in 1h)
etilendiaminotetracetico) sali di rame, selenio, q 12h per 5-7gg;
tungsteno, uranio, interrompere per 7gg, poi
vanadio, zinco e sali di ripetere
zinco
Dimercaprolo Acido cromico‡, Usare al 10% in olio e
antimonio, arsenico, somministrare come
bicromati‡, bismuto, segue: giorno 1: 3-4mg/
cromati‡, mercurio, kg IM q 4h; giorno 2: 2mg/
nichel, oro, sali di rame, kg IM q 4h; giorno 3: 3mg/
sali di zinco, triossido di kg IM q 6h; poi 3mg/kg IM
cromo‡, tungsteno q 12h ogni 10gg fino alla
guarigione
Penicillamina Acido cromico, bicromati, Somministrare 15-20mg/
cadmio, cobalto, cromati, kg PO bid
mercurio‡, nichel,
piombo, sali di rame, sali
di zinco, triossido di
cromo
Succimero Intossicazioni da piombo Somministrare 10mg/kg
nei bambini, con PO q 8h per 5gg, poi
piombemia >45µg/dl 10mg/kg PO q 12h per
(>2,15µmol/l); usa to 14gg
sempre più spesso per le
intossicazioni
occupazionali da piombo,
arsenico e mercurio negli
adulti
*I dosaggi dipendono dal tipo e dalla gravità dell'avvelenamento.

†Isali di ferro e di tallio non vengono chelati efficacemente da questi farmaci;


ogni sale ha il suo chelante specifico (v. alla voce Ferro e alla voce Sali di tallio
nella Tab. 307-3).

‡Farmaco chelante di scelta.

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Scompenso cardiaco

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

203. SCOMPENSO CARDIACO

(Scompenso cardiaco congestizio)

Disfunzione miocardica sintomatica che provoca un caratteristico pattern di


risposte compensatorie emodinamiche, renali e neuro-ormonali.

(Per lo scompenso cardiaco nei bambini, v. Cap. 261.)

Sommario:

Introduzione
Fisiologia
Classificazione ed eziologia
Fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Nessuna definizione di scompenso cardiaco (SC) è del tutto soddisfacente. Lo


scompenso cardiaco congestizio (SCC) si sviluppa quando il volume plasmatico
aumenta e liquidi si accumulano nei polmoni, negli organi addominali
(specialmente fegato) e a livello dei tessuti periferici.

Fisiologia

A riposo e durante sforzo fisico, la gittata cardiaca (GC), il ritorno venoso e la


distribuzione del flusso di sangue contenente O2 ai tessuti sono regolati da
meccanismi complessi, controllati in parte da fattori intrinseci al cuore, in parte da
sostanze ad azione neuro-ormonale. Il precarico, la contrattilità, il postcarico, la
frequenza delle contrazioni, la disponibilità di substrati e l’entità del danno
miocardico determinano la funzione del ventricolo sinistro (VS) e il fabbisogno
miocardico di O2. Hanno un ruolo il principio di Frank-Starling, la riserva cardiaca
e la curva di dissociazione dell’ossiemoglobina.

Il precarico (ossia il grado di tensione della fibra muscolare in telediastole)


riflette il volume telediastolico, che è influenzato dalla pressione diastolica e dalla
composizione della parete miocardica. Per gli scopi clinici, la pressione
telediastolica, soprattutto se maggiore del normale, è una misura affidabile del
precarico in molte condizioni. La dilatazione e l’ipertrofia del VS e le modificazioni
della distensibilità del miocardio modificano il precarico.

La contrattilità del muscolo cardiaco isolato è caratterizzata dalla forza e dalla


velocità di contrazione, parametri difficili da misurare nel cuore integro. Dal punto
di vista clinico, la contrattilità viene spesso espressa come frazione di eiezione
(rapporto fra gittata sistolica e volume telediastolico del VS).

Il postcarico (la forza che si oppone all’accorciamento della fibra miocardica


dopo stimolazione dalla condizione di rilassamento) è determinato dallo spessore

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Scompenso cardiaco

della parete e dalla pressione e dal volume delle cavità al momento dell’apertura
della valvola aortica. Clinicamente, il postcarico è approssimativamente
equivalente alla PA sistemica al momento dell’apertura della valvola aortica, o
poco dopo, e rappresenta il picco sistolico dello stress di parete. Anche la
frequenza e il ritmo influenzano la funzione cardiaca.

La ridotta disponibilità di substrati (p. es., acidi grassi e glucoso), soprattutto


se la disponibilità di O2 è ridotta, può ridurre la forza di contrazione cardiaca e la
funzione miocardica.

Il danno tissutale (acuto nell’IMA o cronico nella fibrosi dovuta a diverse


patologie) danneggia la funzione miocardica localmente e impone un carico di
lavoro addizionale al miocardio vitale.

Il principio di Frank-Starling asserisce che l’entità dello stiramento


telediastolico della fibra miocardica (precarico) nell’ambito di un range fisiologico
è proporzionale alla performance sistolica che consegue alla contrazione
ventricolare (Fig. 203-1). Questo meccanismo è attivo nello SC, ma, dal
momento che la funzione ventricolare non è normale, la risposta non è adeguata.
Se la curva di Frank-Starling è depressa, la ritenzione di liquidi, la
vasocostrizione e una serie di meccanismi neuro-ormonali portano alla sindrome
dello SCC. Con il passare del tempo, il rimodellamento del VS (cambiamento
della normale forma ovoidale) con dilatazione e ipertrofia compromette
ulteriormente la funzione cardiaca, soprattutto durante lo sforzo fisico. La
dilatazione e l’ipertrofia possono essere accompagnate da un aumento della
rigidità diastolica.

La riserva cardiaca (capacità del cuore, non utilizzata in condizioni basali, di


trasportare O2 ai tessuti) è un’importante componente della funzione cardiaca
durante stress psicologico o fisico. I suoi meccanismi comprendono incrementi
della frequenza cardiaca, dei volumi sistolico e diastolico, della gittata sistolica e
dell’estrazione tissutale di O2. Per esempio, in giovani allenati, durante esercizio
massimale, la frequenza cardiaca può aumentare dai 55-70 bpm di base fino a
180 bpm; la GC (gittata sistolica ⋅ frequenza cardiaca) può aumentare dal suo
valore basale di 6 fino a 25 l/min; il consumo di O2 può aumentare da 250 a
1500 ml/min. Nel giovane normale a riposo, il sangue arterioso contiene circa
18 ml di O2/dl di sangue, e il sangue venoso misto e quello dell’arteria polmonare
ne contengono circa 14 ml/dl. La differenza arterovenosa di O2 (A-Vo2) è di circa
4,0 ± 0,4 ml/dl. Perfino una gittata cardiaca massimale durante esercizio non è
sufficiente per soddisfare le richieste metaboliche dei tessuti; perciò, i tessuti
estraggono più O2 e il contenuto di O2 del sangue venoso misto si riduce in
maniera considerevole. A-Vo2 può aumentare fino a circa 12-14 ml/dl. Un
aumento della A-Vo2 dovuto alla riduzione del contenuto di O2 è un meccanismo
di adattamento comune nello SC.

La curva di dissociazione dell’ossiemoglobina (v. Fig. 203-2) influenza la


disponibilità di O2 ai tessuti e può costituire un altro meccanismo di riserva nello
SC. La posizione di questa curva viene frequentemente espressa mediante la
P50 (pressione parziale di O2 nel sangue in corrispondenza di una saturazione
dell’ossiemoglobina del 50%). Un aumento della P50 (27 ± 2 mm Hg) indica uno
spostamento a destra della curva di dissociazione dell’ossiemoglobina (ridotta
affinità dell’Hb per l’O2). Per una data Po2, meno O2 si lega alla Hb e la
saturazione è minore; di conseguenza, a livello dei capillari, più O2 viene
rilasciato e reso disponibile per i tessuti. Un aumento della concentrazione di
idrogenioni (un pH ridotto) sposta la curva a destra (effetto Bohr), così come fa
anche un aumento della concentrazione di 2,3-difosfoglicerato nei globuli rossi,
che altera la conformazione spaziale della molecola di Hb.

Classificazione ed eziologia

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Scompenso cardiaco

In molte forme di cardiopatia, le manifestazioni cliniche dello SC possono


riflettere una compromissione del ventricolo sinistro o del ventricolo destro.

L’insufficienza del ventricolo sinistro (VS) si sviluppa caratteristicamente nella


malattia coronarica, nell’ipertensione, nella maggior parte delle cardiomiopatie e
nei difetti congeniti (p. es., il difetto del setto interventricolare o il dotto arterioso
pervio, in caso di shunt ampi).

L’insufficienza del ventricolo destro (VD) è più comunemente causata da una


precedente insufficienza del VS (che aumenta la pressione venosa e comporta
l’insorgenza di ipertensione arteriosa polmonare) e dall’insufficienza tricuspidale.
Altre cause possibili sono la stenosi mitralica, l’ipertensione polmonare primitiva,
l’embolia polmonare ripetuta, la stenosi dell’arteria o della valvola polmonare e
l’infarto del VD. Il sovraccarico di volume e l’aumento della pressione venosa
sistemica possono anche svilupparsi nella policitemia o nel caso di trasfusioni
ripetute, nell’insufficienza renale acuta con iperidratazione o nell’ostruzione di
una delle vene cave che simula uno SC. In queste condizioni, la funzione
miocardica può essere normale.

Lo SC si manifesta con una disfunzione sistolica o diastolica o entrambe.


Sono comuni anomalie sistoliche e diastoliche associate.

Nella disfunzione sistolica (primariamente un problema di disfunzione contrattile


del ventricolo), il cuore non riesce ad assicurare ai tessuti una gittata circolatoria
adeguata. Si ha una grande varietà di difetti nell’utilizzo delle riserve di energia,
nell’apporto dei substrati energetici, nelle funzioni elettrofisiologiche e
nell’interazione fra gli elementi contrattili: queste alterazioni sembrano riflettere
anomalie nella modulazione intracellulare del Ca++ e nella produzione di AMP
ciclico. La disfunzione sistolica ha diverse cause: le più comuni sono la
coronaropatia, l’ipertensione e la cardiomiopatia dilatativa congestizia. Esistono
molte cause note e probabilmente molte cause sconosciute della miocardiopatia
dilatativa. Sono stati identificati più di 20 tipi di virus come agenti causali.
Sostanze tossiche che danneggiano il cuore comprendono l’alcol, vari solventi
organici, alcuni chemioterapici (p. es., la doxorubicina), i β-bloccanti, i
calcioantagonisti e i farmaci antiaritmici.

La disfunzione diastolica (resistenza al riempimento ventricolare non facilmente


quantificabile al letto del paziente) è responsabile del 20-40% del casi di SC. È
generalmente associata a un aumento del tempo di rilasciamento del ventricolo,
misurato durante la fase di rilasciamento isovolumetrico (tempo fra la chiusura
della valvola aortica e l’apertura della valvola mitrale, momento in cui la
pressione ventricolare si riduce rapidamente). La resistenza al riempimento
(rigidità o "stiffness" del ventricolo) è direttamente proporzionale alla pressione
diastolica del ventricolo; questa resistenza aumenta con l’età e probabilmente
riflette la perdita di miociti e l’aumento della quota di collagene interstiziale. Si
presume che la disfunzione diastolica sia predominante nella cardiomiopatia
ipertrofica, in tutti i casi di ipertrofia ventricolare sinistra significativa (p. es.,
ipertensione, fase avanzata della stenosi aortica) e nell’infiltrazione del miocardio
da parte di sostanza amiloide.

Lo scompenso ad alta gittata è una forma di SC associato a una GC


persistentemente elevata e può alla fine provocare una disfunzione ventricolare.
Condizioni associate con una GC elevata comprendono l’anemia, il beriberi, la
tireotossicosi, la gravidanza, la malattia di Paget in fase avanzata e le fistole
arterovenose. Nelle condizioni caratterizzate da un’elevata GC può svilupparsi
uno SCC, che è spesso reversibile se si tratta la malattia di base. La GC è
elevata in diverse forme di cirrosi, ma la comparsa di congestione riflette
meccanismi epatici e cardiaci di ritenzione dei liquidi.

Fisiopatologia

Nell’insufficienza del VS, la GC diminuisce e la pressione venosa polmonare


aumenta. L’aumento della pressione capillare polmonare a livelli superiori rispetto

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Scompenso cardiaco

alla pressione oncotica delle proteine plasmatiche (circa 24 mm Hg) comporta un


aumento della quota liquida del parenchima polmonare, una ridotta elasticità del
parenchima polmonare e un aumentato consumo di O2 da parte dei muscoli
respiratori. L’ipertensione venosa polmonare e l’edema provocati
dall’insufficienza del VS alterano significativamente la meccanica polmonare e di
conseguenza il rapporto ventilazione/perfusione. La dispnea è correlata
all’elevata pressione venosa polmonare e al conseguente aumento del lavoro
respiratorio, sebbene la causa precisa sia dibattuta. Quando la pressione
idrostatica venosa polmonare supera la pressione oncotica delle proteine
plasmatiche, si verifica uno stravaso di fluidi nei capillari, negli spazi interstiziali e
negli alveoli. Caratteristicamente, il versamento pleurico si forma dapprima
nell’emitorace destro e, solo in un secondo tempo, diventa bilaterale. Il drenaggio
linfatico è aumentato di molto, ma non riesce a far fronte all’aumento della quota
liquida polmonare. Il sangue arterioso polmonare non ossigenato perfonde alveoli
non aerati, per cui diminuisce la Po2 del sangue capillare misto polmonare. Una
combinazione di iperventilazione alveolare, dovuta all’aumentata rigidità
polmonare, e di ridotta PaO2 è caratteristica dell’insufficienza del VS. Di
conseguenza, l’emogasanalisi mostra un pH aumentato e una PaO2 ridotta
(alcalosi respiratoria) con una riduzione della saturazione che riflette un aumento
dello spazio morto intrapolmonare. Di solito, anche la PaCO2 è ridotta. Una PaCO2
superiore rispetto al normale indica uno stato di ipoventilazione alveolare
probabilmente dovuto a insufficienza dei muscoli respiratori e richiede un
supporto ventilatorio urgente.

Nello scompenso del VD, si hanno sintomi di congestione venosa sistemica. Una
disfunzione epatica di grado moderato si verifica comunemente nello SC
secondario a insufficienza del VD, con modesti incrementi dei valori di bilirubina
coniugata e non coniugata, del tempo di protrombina e degli enzimi epatici
(p. es., fosfatasi alcalina, AST, ALT). Tuttavia, nelle situazioni di grave
compromissione circolatoria con marcata riduzione del flusso ematico splancnico
e ipotensione, questi indici di funzione epatica sono alterati per lo svilupparsi di
necrosi centrolobulare nelle zone circostanti le vene epatiche e possono
aumentare a tal punto da far pensare a un’epatite con insufficienza epatica acuta.
La riduzione del catabolismo dell’aldosterone da parte del fegato danneggiato
contribuisce ulteriormente alla ritenzione idrica.

Nella disfunzione sistolica, un inadeguato svuotamento del ventricolo provoca un


aumento del precarico, del volume e della pressione diastolici. L’improvvisa
(come nell’IMA) o la progressiva (come nella cardiomiopatia dilatativa) perdita di
miociti provoca il rimodellamento del ventricolo, che causa un aumento dello
stress di parete accompagnato da apoptosi (morte accelerata delle cellule
miocardiche) e da un’inappropriata ipertrofia del ventricolo. In una fase
successiva, la frazione d’eiezione si riduce fino a una progressiva insufficienza
della funzione di pompa. Lo SC sistolico può danneggiare primariamente il VS o il
VD (v. sopra), sebbene l’insufficienza di un ventricolo tenda alla fine a provocare
l’insufficienza anche dell’altro.

Nella disfunzione diastolica, l’aumento della resistenza al riempimento del VS,


conseguenza della ridotta distensibilità o "compliance" ventricolare (aumentata
"stiffness") provoca un aumento della durata della fase di rilasciamento del
ventricolo (fase attiva che segue la contrazione) e altera il normale pattern di
riempimento del ventricolo. La frazione d’eiezione può essere normale o
aumentata. Di norma, circa l’80% della gittata sistolica passa dall’atrio al
ventricolo passivamente in protodiastole e ciò si riflette in un’onda E ampia e
un’onda A più piccola al Doppler pulsato. Generalmente, nella disfunzione
diastolica del VS, questo pattern è invertito, con un aumento della pressione di
riempimento del ventricolo e dell’ampiezza dell’onda A.

Sia che si tratti di scompenso primariamente sistolico o primariamente diastolico,


e qualunque sia il ventricolo coinvolto, si possono avere diversi adattamenti
emodinamici, renali e neuro-ormonali.

Adattamenti emodinamici: in presenza di una GC ridotta, il trasporto di O2 ai


tessuti è assicurato dall’aumento della A-Vo2. La misurazione della A-Vo2
mediante campioni di sangue arterioso sistemico e di sangue dell’arteria

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Scompenso cardiaco

polmonare è un indice sensibile della funzione cardiaca e permette di calcolare,


per mezzo dell’equazione di Fick (Vo2 = CO ⋅ A-Vo2), la GC (correlazione
inversa) e il consumo di O2 dell’organismo (Vo2-correlazione diretta).

L’aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità miocardica, la costrizione


arteriolare in alcuni distretti, la venocostrizione e la ritenzione di Na e acqua
costituiscono inizialmente meccanismi compensatori per la ridotta funzione
ventricolare. Effetti negativi di questi meccanismi compensatori comprendono
l’aumento del lavoro cardiaco, la riduzione del flusso coronarico, l’aumento del
precarico e del postcarico, la ritenzione di liquidi che provoca congestione, la
perdita di miociti, l’aumento dell’escrezione di K e le aritmie cardiache.

Adattamenti renali: i meccanismi attraverso cui un paziente asintomatico con


una disfunzione cardiaca sviluppa uno SCC progressivo non sono noti, ma tutto
comincia dalla ritenzione renale di Na e acqua secondaria alla ridotta perfusione
renale. Così, a mano a mano che la funzione cardiaca peggiora, il flusso ematico
renale diminuisce in maniera direttamente proporzionale alla riduzione della GC,
la VFG si riduce notevolmente e il flusso ematico all’interno dei reni viene
redistribuito. La frazione di filtrazione e il Na filtrato si riducono, ma il
riassorbimento tubulare aumenta.

Adattamenti neuro-ormonali: l’aumentata attività del sistema renina-


angiotensina-aldosterone influisce sugli adattamenti renali e vascolari periferici
nello SC. L’intensa attivazione simpatica che accompagna lo SC stimola il rilascio
di renina da parte dell’apparato iuxtaglomerulare situato vicino alla parte
discendente dell’ansa di Henle. Probabilmente, anche la riduzione dello
stiramento ("stretching") sistolico dell’arteria, secondario alla ridotta funzione
ventricolare, stimola la secrezione renina. La stimolazione del sistema renina-
angiotensina-aldosterone (conseguente ai meccanismi ora descritti, ma anche
secondaria alla stimolazione adrenergica) provoca una cascata di effetti
potenzialmente dannosi: l’aumento dei livelli di aldosterone aumenta il
riassorbimento di Na a livello del nefrone distale, contribuendo alla ritenzione di
liquidi. La renina prodotta dal rene interagisce con l’angiotensinogeno, dando
luogo all’angiotensina I, a partire dalla quale ha origine l’octapeptide
angiotensina II per intervento dell’enzima convertente l’angiotensina (Angiotensin
Converting Enzyme, ACE). L’angiotensina II ha diversi effetti che si ritiene
peggiorino la sindrome dello SCC, compresi: la stimolazione del rilascio di
arginina-vasopressina (AVP), ossia l’ormone antidiuretico (AntiDiuretic Hormone,
ADH); la vasocostrizione; l’aumento del rilascio di aldosterone; la vasocostrizione
dell’arteriola efferente del glomerulo; la ritenzione renale di Na; l’aumento del
rilascio di noradrenalina. Si ritiene anche che l’angiotensina II sia coinvolta
nell’ipertrofia delle pareti dei vasi sanguigni e del miocardio, così da contribuire al
rimodellamento del cuore e dei vasi periferici, che aggrava la sindrome dello SC
in diverse patologie miocardiche e anche in altre cardiopatie.

I livelli di noradrenalina plasmatica sono aumentati in maniera significativa e


riflettono in ampia misura l’intensa stimolazione nervosa simpatica, dal momento
che i livelli di adrenalina plasmatica non sono aumentati. Elevati livelli plasmatici
di noradrenalina nei pazienti con SCC sono associati con una prognosi infausta.

A livello cardiaco, esistono molti recettori per sostanze ad azione neuro-ormonale


(α , β , β , β adrenergici, muscarinici, per l’endotelina, la serotonina,
1 1 2 3-
l’adenosina, l’angiotensina II). Nei pazienti con SC, i β recettori (che
1-
costituiscono il 70% dei β-recettori cardiaci), ma non gli altri recettori adrenergici,
sono soggetti al fenomeno della "down-regulation", che può influire
negativamente sulla funzione miocardica. Questa "down-regulation", che è
probabilmente una risposta all’intenso "overdrive" simpatico, è stata rilevata
perfino in pazienti asintomatici nelle prime fasi dello SC. Alterazioni delle
sostanze che stimolano il miocardio o della funzione dei recettori per diversi altri
fattori neuro-ormonali possono influire negativamente sulla funzione dei miociti
nello SC.

I livelli sierici del peptide natriuretico atriale (secreto in risposta a un aumento del
volume e della pressione dagli atri) e del peptide natriuretico cerebrale (secreto
dal ventricolo in risposta allo stiramento delle fibre ventricolari) sono aumentati in

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Scompenso cardiaco

maniera significativa nei pazienti con SCC. Questi peptidi aumentano la


secrezione renale di Na, ma, nei pazienti con SCC, tale effetto è annullato dalla
ridotta pressione di perfusione renale, dalla "down-regulation" dei recettori e forse
dall’aumentata degradazione enzimatica di tali molecole. I livelli sierici del peptide
natriuretico atriale sembrano essere importanti per la diagnosi e la prognosi dello
SCC e sono correlati con il grado di danno funzionale.

L’AVP è secreta in risposta a una riduzione della PA o dei fluidi extracellulari e


per effetto di diversi stimoli neuro-ormonali. Un aumento dell’AVP plasmatica
riduce l’escrezione di acqua libera da parte del rene e può contribuire
all’iponatriemia dello SC. I livelli di AVP nello SCC variano, ma antagonisti
sperimentali dell’AVP hanno provocato un aumento dell’escrezione di acqua e un
incremento dei livelli di Na.

Altre conseguenze: l’ipertensione venosa cronica può causare un’enteropatia


protido-disperdente con ipoalbuminemia significativa, infarti intestinali ischemici,
emorragie GI acute e croniche e malassorbimento. La gangrena periferica in
assenza di occlusione dei grossi vasi o l’irritabilità cronica e una ridotta capacità
di concentrazione possono risultare da una Po2 cronicamente e
significativamente ridotta, in seguito alla grave riduzione del flusso ematico
cerebrale e all’ipossiemia.

La cachessia cardiaca (perdita di massa magra 10%) può accompagnare uno


SC gravemente sintomatico. Il cuore scompensato produce il "tumor necrosis
factor-α", una citochina che stimola il catabolismo cardiaco e ha probabilmente
un ruolo importante nella cachessia cardiaca. Tipica della sindrome dello SCC è
un’anoressia significativa. Il ripristino di una normale funzione cardiaca può
provocare la regressione della cachessia cardiaca.

Sintomi e segni

Lo SC può essere principalmente destro o sinistro e può svilupparsi lentamente o


all’improvviso (come nell’edema polmonare acuto).

Può verificarsi cianosi in ogni forma di SC. La causa può essere centrale e può
riflettere un’ipossemia. Può anche essere presente una componente periferica
dovuta a stasi capillare con un’aumentata A-Vo2 e quindi una marcata
desaturazione dell’ossiemoglobina del sangue venoso. Il miglioramento del
colorito del letto ungueale dopo un massaggio vigoroso suggerisce un quadro di
cianosi periferica. Al contrario, la cianosi centrale non è suscettibile di
modificazioni mediante aumento del flusso ematico locale.

Insufficienza del VS: l’ipertensione venosa polmonare può manifestarsi con


tachicardia, ridotta tolleranza allo sforzo, dispnea per sforzi moderati e
intolleranza al freddo. La dispnea parossistica notturna e la tosse notturna
riflettono la redistribuzione dell’eccesso di liquidi all’interno dei polmoni in
clinostatismo. Occasionalmente, l’ipertensione venosa polmonare e l’accumulo di
liquido nei polmoni si manifestano con broncospasmo e sibili. La tosse può
essere intensa con espettorato striato di rosa o di colorito marrone per la
presenza di sangue e di "cellule dell’insufficienza cardiaca". L’emottisi franca,
dovuta a rottura di varici polmonari con massiva perdita di sangue, non è
frequente, ma può verificarsi occasionalmente. I segni di insufficienza cronica del
VS comprendono un itto puntale diffuso e spostato lateralmente, un galoppo
ventricolare (S3) e atriale (S4) rilevabile alla palpazione e all’auscultazione, un
secondo tono polmonare rinforzato e rantoli inspiratori alle basi. È comune un
versamento pleurico destro.

L’edema polmonare acuto è una manifestazione di insufficienza acuta del VS


che mette a rischio la sopravvivenza ed è secondario all’improvvisa comparsa di
ipertensione venosa polmonare. Un brusco aumento della pressione di
riempimento del VS comporta il rapido stravaso di liquidi dal letto capillare dei
polmoni agli spazi interstiziali e agli alveoli. Il paziente si presenta con dispnea

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Scompenso cardiaco

gravissima, cianosi marcata, tachipnea, iperpnea, agitazione e ansia con


sensazione di soffocamento. Sono comuni pallore e sudorazione. Il polso può
essere filiforme e la PA può essere difficile da rilevare. L’inspirazione è faticosa e
sono rilevabili rantoli diffusi su entrambi i campi polmonari, anteriormente e
posteriormente. In alcuni pazienti si osserva un marcato broncospasmo con sibili
(asma cardiaco). L’attività respiratoria faticosa e rumorosa spesso rende difficile
l’auscultazione cardiaca, ma in diastole si può rilevare un galoppo di
sommazione, dato dalla fusione di S3 e S4. Si ha un’ipossiemia di grado severo.
La ritenzione di CO2 è una manifestazione tardiva e infausta di ipoventilazione
secondaria e richiede immediata attenzione.

Insufficienza del VD: i sintomi principali includono affaticabilità; senso di


tensione o di turgore a livello del collo; pesantezza a livello addominale, con
occasionale dolorabilità al quadrante superiore destro (a livello del fegato); edemi
alle caviglie e, nelle fasi avanzate, gonfiore addominale dovuto all’ascite. Nei
pazienti in posizione supina, è frequente il riscontro di edema nella regione
sacrale. I segni clinici includono l’ipertensione venosa sistemica, la presenza di
onde a o v anormalmente ampie al polso venoso giugulare, l’epatomegalia
dolente alla palpazione, il soffio da insufficienza tricuspidale lungo il margine
sternale sinistro, il S3 e il S4 del VD e l’edema molle della parte inferiore del
corpo.

Diagnosi

Nonostante i sintomi e i segni (p. es., la dispnea da sforzo, l’ortopnea, l’edema, la


tachicardia, i rantoli polmonari, un terzo tono, il turgore giugulare) abbiano una
specificità per la diagnosi del 70-90%, la sensibilità e il valore predittivo sono
bassi.

Gli esami di laboratorio raccomandati comprendono l’emocromo completo, la


creatininemia, l’azotemia, gli elettroliti (p. es., Mg, Ca), la glicemia, l’albuminemia
e i test di funzionalità epatica. Il dosaggio degli ormoni tiroidei va eseguito nei
pazienti in fibrillazione atriale e in soggetti selezionati, soprattutto anziani. Nei
pazienti con sospetta coronaropatia, possono essere indicati un test provocativo
associato a imaging scintigrafico o ecocardiografico o un’angiografia coronarica.
La biopsia endomiocardica ha un’utilità limitata.

L’ECG va eseguito in tutti i pazienti con SC, sebbene i rilievi che si ottengono non
siano specifici; il monitoraggio ambulatoriale dell’ECG non è in genere utile.
Diverse alterazioni (p. es., ipertrofia ventricolare, IMA o blocco di branca)
possono fornire elementi diagnostici utili per individuare l’eziologia della
cardiopatia. Una fibrillazione atriale ad alta risposta ventricolare di recente
insorgenza può provocare un’insufficienza acuta del VS o del VD. Extrasistoli
ventricolari frequenti possono essere secondarie e possono regredire con la
terapia dello SC.

La rx del torace va eseguita in tutti i pazienti. La congestione venosa polmonare


e l’edema interstiziale o alveolare sono caratteristici dell’edema polmonare. Le
strie B di Kerley riflettono un aumento cronico della pressione atriale sinistra e
sono espressione dell’ispessimento cronico dei setti intralobulari dovuto
all’edema. Il microcircolo è meglio rappresentato soprattutto nelle zone declivi,
vale a dire a livello delle basi in ortostatismo. L’esame attento dell’ombra
cardiaca, la valutazione della dilatazione delle camere e la ricerca di calcificazioni
cardiache possono rivelare elementi importanti per individuare l’eziologia dello
SC.

L’ecocardiografia può essere d’aiuto nel valutare le dimensioni endocavitarie, la


funzione degli apparati valvolari, la frazione d’eiezione, le anomalie della cinetica
regionale e l’ipertrofia del VS. L’ecocardiografia Doppler o color Doppler rileva
con accuratezza un versamento pericardico o trombi e tumori endocavitari e
individua calcificazioni a livello delle valvole cardiache, dell’anulus mitralico e
delle pareti dell’aorta. Anomalie della cinetica segmentaria suggeriscono
fortemente una coronaropatia di base. Sono spesso utili studi Doppler del flusso

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Scompenso cardiaco

transmitralico e del flusso delle vene polmonari per identificare e quantificare la


disfunzione diastolica del VS.

Terapia

Anche nelle situazioni di massima urgenza, è necessario individuare la causa


dello SC. Eventuali condizioni correggibili richiedono l’immediato trattamento, che
di solito comincia prima che sia completata la valutazione eziologica. Per i
pazienti che necessitano di ricovero ospedaliero, un trattamento iniziale non
specifico comprende il riposo a letto con la testa sollevata o il riposo in poltrona
con i piedi in basso, la somministrazione di O2 per via nasale (spesso a 3 l/min
per 24-36 ore) e la sedazione, se necessaria.

Terapia farmacologica della disfunzione sistolica: la terapia farmacologica


della disfunzione sistolica comprende primariamente i diuretici, gli ACE-inibitori,
la digitale e i β-bloccanti; la maggior parte dei pazienti viene trattata con almeno
due di queste classi farmacologiche.

I diuretici (v. Tab. 203-1) possono migliorare la funzione ventricolare perfino nei
pazienti asintomatici. Vanno preferiti i diuretici dell’ansa; la furosemide EV o PO è
il diuretico utilizzato più comunemente. Quando si inizia la terapia, si utilizza la
somministrazione EV (di solito 20-40 mg, aumentabili fino a 320 mg se
necessario), a causa del rapido inizio dell’azione e della rapidità con cui si
raggiunge l’effetto massimo (circa 30 min). Nei casi resistenti, possono avere un
effetto additivo la clorotiazide (250 mg EV), la bumetanide (0,5-2 mg PO o 0,5-
1,0 mg EV) oppure il metolazone PO (le dosi variano a seconda delle
formulazioni). Il sovradosaggio di diuretici dell’ansa può causare ipovolemia,
iponatriemia, ipomagnesiemia e ipokaliemia grave: per questo, è essenziale un
attento monitoraggio degli elettroliti. I diuretici possono anche causare
insufficienza renale e aumentare l’intensa stimolazione simpatica caratteristica
dello SC. Possono essere usati risparmiatori di K per controbilanciare la perdita
di K dovuta ai diuretici dell’ansa, ma il loro utilizzo può complicarsi con
un’iperkaliemia. I diuretici tiazidici di solito non sono efficaci nei pazienti con uno
SC in fase avanzata.

L’efficacia clinica dei diuretici dipende dalla restrizione dietetica di Na, che va
praticata con un approccio a gradini: a tutti i pazienti con SC va raccomandato di
eliminare il sale a tavola e di evitare i cibi molto salati; nei casi un po’ più seri,
bisogna evitare il sale durante la preparazione dei cibi e limitare a circa 1,2-1,8 g
l’assunzione quotidiana di Na+; nei casi gravi, l’apporto di Na non deve superare
1 g/die e ciò si ottiene ricorrendo a cibi a basso contenuto di Na. Il paziente deve
tenere un diario quotidiano del proprio peso corporeo per guidare la terapia
domiciliare dello SC e per aiutare a prevenire ricoveri frequenti, dal momento che
tale provvedimento permette di evidenziare precocemente l’accumulo di Na+ e
acqua.

Gli ACE-inibitori causano vasodilatazione periferica arteriosa e venosa, una


riduzione sostenuta delle pressioni di riempimento del VS a riposo e durante
sforzo per il loro effetto venodilatatore, una riduzione delle resistenze vascolari
sistemiche, effetti positivi sul rimodellamento, un probabile miglioramento della
funzione diastolica, una probabile riduzione della perdita di cellule miocardiche e
un effetto inotropo negativo sul cuore scompensato. Diversi ACE-inibitori
aumentano la sopravvivenza nello SC e riducono l’incidenza di recidive d’angina
e di IMA nella malattia coronarica. L’espansione di volume e l’insufficienza renale
riducono i loro effetti benefici. Gli effetti collaterali comprendono una riduzione
della PA (talvolta grave) in quasi tutti i pazienti, specialmente in quelli
iponatriemici. La vasodilatazione dell’arteriola efferente del glomerulo può
provocare un’insufficienza renale di entità moderata. Per la riduzione dei livelli di
aldosterone, può verificarsi un’iperkaliemia, soprattutto nei pazienti che
assumono supplementi di K. Nel 5-20% dei pazienti si verifica tosse,
probabilmente per l’accumulo di bradichinine conseguente alla loro ridotta
degradazione a metaboliti inattivi. Occasionalmente, si hanno un rash cutaneo o
una disgeusia. L’edema angioneurotico è raro, ma può essere potenzialmente

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Scompenso cardiaco

letale.

La terapia con ACE-inibitori va incominciata con dosi basse, che vengono poi
aumentate gradualmente e continuate in seguito indefinitamente; il dosaggio va
aumentato progressivamente fino al massimo tollerato dal paziente. Le dosi
usuali sono: captopril 25-50 mg/die, enalapril e lisinopril 2,5-5 mg/die e quinapril
10 mg/die. L’aggiunta di spironolattone migliora la funzione cardiaca e sistemica.
Sebbene possa essere osservato un effetto precoce, il pieno effetto del farmaco
non è solitamente rilevabile per le prime 2-4 settimane di terapia o anche per
periodi molto più lunghi. Alte dosi di ACE-inibitori comportano una frequenza di
effetti collaterali simile a quella che si ha con basse dosi, ma sono più efficaci (gli
studi che hanno evidenziato i vari effetti positivi di questi farmaci, compresa la
riduzione della mortalità, hanno in genere utilizzato alte dosi).

La dose del diuretico associato può essere ridotta, soprattutto se si verifica


un’insufficienza renale indotta dall’ACE-inibitore. L’aspirina può ridurre l’efficacia
degli ACE-inibitori nello SC, probabilmente perché inibisce gli effetti delle chinine.

Il losartan, un antagonista recettoriale dell’angiotensina II, alla dose di 25-


50 mg/die, ha effetti simili agli ACE-inibitori, sebbene non siano stati realizzati
trial clinici di confronto. Teoricamente, non si dovrebbe verificare la tosse, perché
il losartan non influisce sul metabolismo delle chinine.

Le preparazioni digitaliche hanno diversi meccanismi d’azione, compresi un


debole effetto inotropo positivo; il blocco del nodo atrioventricolare, che rallenta la
frequenza ventricolare nella fibrillazione atriale o prolunga l’intervallo PR in ritmo
sinusale; una vasocostrizione blanda; il miglioramento del flusso ematico a livello
renale. La digitale è ampiamente prescritta, nonostante il suo ruolo continui a
essere dibattuto e la sua utilità nello SC in assenza di fibrillazione atriale sia
controversa.

La digossina è la preparazione digitalica più comunemente prescritta. Viene


eliminata dal rene con un’emivita di 36-48 h nei pazienti con funzione renale
normale. I pazienti con una funzione renale ridotta vanno trattati con dosi ridotte.
La biodisponibilità delle formulazioni orali di digossina è intorno al 65-75%. La
digitossina, un’alternativa nei pazienti con nefropatia nota o sospetta, è
ampiamente eliminata con la bile e quindi la sua escrezione non è modificata da
una funzione renale anomala.

La digossina migliora moderatamente la funzione del VS, permette di ridurre il


dosaggio dei diuretici e riduce la necessità di ricoveri ospedalieri. A differenza
degli ACE-inibitori, la digossina non migliora la tolleranza allo sforzo. Se si
sospende la digossina nei pazienti con SC, la frequenza di ospedalizzazione e i
sintomi aumentano, ma tutto ciò non influisce sulla mortalità. Per questo, la
digossina è utile nello SC sintomatico, se usata in associazione con i diuretici e
gli ACE-inibitori. La digossina è massimamente efficace nei pazienti con un
elevato volume telediastolico del VS e un terzo tono.

In pazienti con una funzione renale normale, la digossina (0,25-0,50 mg/die a


seconda del peso corporeo) raggiungerà lo "steady state" dopo circa una sett.
(5 emivite). La somministrazione di 1 mg di digossina EV (0,5 mg inizialmente,
poi 0,25 mg a 8 e 16 h) o di 1,25 mg PO (0,5 mg inizialmente, poi 0,25 mg a 8,
16 e 24 h) permette il raggiungimento di adeguati livelli tissutali e plasmatici in
assenza di tossicità. Queste dosi sono poi seguite da 0,125-0,375 mg/die a
seconda del peso corporeo; gli anziani raramente hanno bisogno di
dosi > 0,125 mg/die. I pazienti con una ridotta funzione renale necessitano di
dosi ridotte.

La digossina (e tutti i glicosidi digitalici) hanno un ridotto intervallo fra dosi


terapeutiche e dosi tossiche. Circa l’80% dell’effetto terapeutico può essere
ottenuto con livelli sierici di 1,0-1,5 ng/ml, generalmente ben al disotto della
soglia tossica di 2 ng/ml. Nel trattamento della fibrillazione atriale, dosi
relativamente basse di digossina possono essere associate a β-bloccanti o a
calcioantagonisti (p. es., verapamil, diltiazem), che hanno un significativo effetto
di blocco sul nodo atrioventricolare e riescono a controllare la frequenza
ventricolare a riposo e durante sforzo.

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Scompenso cardiaco

La digossina prolunga il tempo di conduzione del nodo atrioventricolare. Il blocco


AV di primo grado è comune e, se non è progressivo, il dosaggio della digossina
non va ridotto. Può verificarsi il fenomeno di Wenckebach. Gli effetti tossici più
importanti della digitale sono aritmie potenzialmente letali dovute a blocco AV
completo o aritmie ventricolari. La digitale aumenta l’automatismo delle fibre di
Purkinje e può favorire fenomeni di rientro, con conseguenti coppie di extrasistoli,
fibrillazione ventricolare o tachicardia ventricolare. La tachicardia ventricolare
bidirezionale è un segno patognomonico di tossicità digitalica. La tachicardia
giunzionale non parossistica in presenza di fibrillazione atriale è un segno grave
di tossicità digitalica, ma viene frequentemente trascurato.

L’ipokaliemia e l’ipomagnesiemia (spesso causate dai diuretici) aumentano la


probabilità che la digossina provochi aritmie ventricolari maligne o blocco AV. Il
rilievo e il trattamento di ridotti livelli di elettroliti sono prioritari nei pazienti in
terapia con diuretici e digossina, eccetto che in presenza di blocco
atrioventricolare, caso in cui deve essere in funzione un pacemaker temporaneo
prima che gli squilibri elettrolitici vengano corretti.

Altre manifestazioni di tossicità digitalica sono nausea, vomito, anoressia,


diarrea, confusione, diplopia e, raramente, xeroftalmia.

La prima cosa da fare nell’intossicazione digitalica è sospendere il farmaco.


Occorre monitorare attentamente l’ECG e, se la kaliemia è bassa, vanno
somministrati 80 mEq di cloruro di potassio EV in 1 litro di soluzione glucosata
al 5% alla velocità di 6 ml/min (0,5 mEq/min). L’ipomagnesiemia va trattata con
solfato di magnesio 1 g q 6 h per un totale di quattro dosi IM o EV, se lieve,
oppure con infusione di 5 g/h di solfato di magnesio in soluzione glucosata al 5%
per 3 ore (28 mg/min). È meglio somministrare Ab specifici anti-digossina (se
disponibili) piuttosto che un altro farmaco antiaritmico. Le aritmie ventricolari
vanno trattate con lidocaina o fenitoina. Il miglior trattamento del blocco cardiaco
con bassa frequenza ventricolare consiste nell’applicazione di un pacemaker
transvenoso temporaneo. L’isoprotenerolo è controindicato perché aumenta la
suscettibilità ad aritmie ventricolari.

Diversi farmaci inotropi sono stati valutati nel trattamento dello SC ma, eccetto
che per la digossina, tutte le preparazioni hanno provocato un aumento della
mortalità.

Con l’attenta somministrazione di β-bloccanti, alcuni pazienti, soprattutto quelli


affetti da cardiomiopatia dilatativa idiopatica, migliorano dal punto di vista clinico
e si può riscontrare una riduzione della mortalità. Tale terapia va iniziata con
cautela, usando dosi pari a 1/4-1/10 della dose standard quotidiana, con
incrementi molto graduali del dosaggio nell’arco di diverse settimane.

Dopo l’instaurazione della terapia β-bloccante nello SC, la frequenza cardiaca


diminuisce, la gittata sistolica e la pressione di riempimento restano invariate e il
consumo miocardico di O2 si riduce. Con la riduzione della frequenza cardiaca, la
funzione diastolica migliora. Il pattern di riempimento ventricolare assume una
morfologia più vicina alla normalità (aumenta in protodiastole) ed è meno
restrittivo. Un miglioramento della funzione miocardica è oggettivo dopo 6-
12 mesi, con aumento della frazione d’eiezione, riduzione della pressione di
riempimento del VS e incremento della GC. Dal punto di vista funzionale, la
capacità di esercizio appare migliorata.

Il carvedilolo, un β-bloccante non selettivo di terza generazione, è anche un


vasodilatatore con azione α-bloccante e un antiossidante. Trial randomizzati
controllati hanno mostrato una riduzione significativa della mortalità globale e
degli eventi cardiaci nei pazienti con SCC moderatamente sintomatico e con
frazione d’eiezione 35%. La funzione ventricolare migliora in modo significativo.
In un paziente che assume dosi costanti di diuretici, ACE-inibitori e digossina, la
dose iniziale raccomandata di carvedilolo è di 3,125 mg bid per 2 settimane con
successivi graduali incrementi del dosaggio (si raddoppia la dose ogni
2 settimane fino al livello massimo tollerato, con un tetto di 25 mg bid per soggetti
di peso < 85 kg e 50 mg bid per soggetti di peso 85 kg).

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Scompenso cardiaco

I vasodilatatori migliorano la funzione ventricolare perché diminuiscono lo stress


sistolico di parete, l’impedenza aortica, le dimensioni ventricolari e riducono il
flusso di rigurgito nelle insufficienze valvolari. Ne consegue un miglioramento del
bilancio fra l’apporto e il consumo miocardico di O2. I pazienti con insufficienza
cardiaca acuta, con congestione polmonare grave e progressivo peggioramento
della funzione ventricolare possono rispondere alla nitroglicerina o al
nitroprussiato EV.

L’aggiunta di idralazina e isosorbide dinitrato alla triplice terapia dello SC può


migliorare le condizioni emodinamiche e la tolleranza allo sforzo e ridurre la
mortalità nei pazienti refrattari. La terapia con idralazina va iniziata con 25 mg
4 volte/die e aumentata poi ogni tre giorni fino a un massimo di 300 mg/die,
anche se la maggior parte di pazienti con scompenso refrattario non riesce a
tollerare dosi > 200 mg/die senza sviluppare ipotensione. L’isosorbide dinitrato
viene somministrato alla dose di 20 mg 3 o 4 volte/die e può essere aumentato
fino a un massimo di 160 mg/die. I pazienti vanno attentamente monitorati per
l’eventuale comparsa di ipotensione a mano a mano che il dosaggio viene
aumentato; può essere necessario il ricovero ospedaliero. Il beneficio può non
rendersi evidente per diverse settimane. Eccetto che nel caso di insufficienza
acuta o refrattaria, i vasodilatatori sono stati sostituiti dagli ACE-inibtori, che sono
più semplici da usare e sono solitamente meglio tollerati.

L’uso dei calcioantagonisti nei pazienti con una ridotta funzione del VS e SC
clinicamente evidente non ha dato risultati positivi. Per diversi calcioantagonisti è
stato dimostrato un effetto negativo (nifedipina, diltiazem, verapamil) e per altri
manca l’evidenza di un miglioramento clinico ed emodinamico (nisoldipina,
nicardipina, felodipina).

L’amlodipina è ben tollerata nello SCC. Riduce in maniera significativa la


mortalità nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa idiopatica. L’amlodipina (o un
altro calcioantagonista vasoselettivo a lunga durata d’azione come la felodipina)
può essere utile nei pazienti con cardiomiopatia in cui lo SC non sia ben
controllato con diuretici, ACE-inibitori, digitale e β-bloccanti. L’amlodipina può
anche essere utile per trattare l’angina o l’ipertensione eventualmente associate
allo SC.

Terapia farmacologica della disfunzione diastolica: i pazienti affetti da


disfunzione diastolica potrebbero non tollerare la riduzione della PA o della
volemia. Sono solitamente controindicati i diuretici, gli ACE-inibitori e i
vasodilatatori, ma essi possono ridurre la massa e la rigidità del VS risultando
comunque di valore. La terapia dello SC nella cardiomiopatia ipertrofica (v. più
avanti) con un β-bloccante, il verapamil o la disopiramide ha come scopo la
riduzione della contrattilità cardiaca; perciò, anche la digossina è controindicata.
Un’efficace terapia antiipertensiva o la sostituzione valvolare nella stenosi aortica
ridurrà l’ipertrofia del VS e la rigidità ("stiffness") miocardica. Generalmente, la
terapia della disfunzione sistolica, che è predominante, migliora anche la
funzione diastolica. La terapia dei pazienti con un’importante infiltrazione
ventricolare (p. es., amiloidosi) rimane ancora insoddisfacente. La riduzione della
frequenza cardiaca mediante β-bloccanti prolunga la diastole, il che
probabilmente migliora il rilasciamento ventricolare e rende il riempimento
ventricolare più fisiologico.

Terapia farmacologica delle aritmie: la tachicardia sinusale è comune nello


SC, ma generalmente scompare trattando in maniera efficace lo SC. Se la
tachicardia persiste, vanno considerate cause associate (p. es., ipertiroidismo,
embolia polmonare, febbre, anemia) e può essere presa in considerazione una
terapia con β-bloccanti. La fibrillazione atriale non controllata può contribuire in
maniera determinante alla disfunzione del VS. Alcuni pazienti hanno una
frequenza ventricolare a riposo ben controllata, che aumenta di molto per minimi
stress fisici o emotivi. Una terapia equilibrata con digossina, β-bloccanti o
calcioantagonisti (p. es., verapamil, diltiazem), da soli o in associazione, è
spesso efficace. Occasionalmente, il dosaggio necessario a controllare la
tachicardia può provocare fasi di asistolia. Possono rendersi necessari l’impianto
di un pacemaker e la prosecuzione di terapia con alte dosi di farmaci che
bloccano la conduzione atrioventricolare, oppure l’ablazione totale o parziale del

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Scompenso cardiaco

nodo atrioventricolare. Nello SC, sono comuni extrasistoli ventricolari. In assenza


di tachicardia ventricolare sostenuta, vengono solitamente ignorate perché la
maggior parte scompaiono con un’efficace terapia dello SC.

L’amiodarone ha un effetto antiaritmico, inotropo negativo e anti-ischemico.


Tuttavia, nello SC l’amiodarone (alla dose di 200-300 mg/die) migliora la funzione
del VS, forse perché il suo effetto vasodilatatore supera l’effetto inotropo
negativo. Alcuni studi suggeriscono un aumento della sopravvivenza, soprattutto
nella cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o nella forma dilatativa post-ischemica.
Paradossalmente, nello SC la terapia delle aritmie ventricolari con altri farmaci
antiaritmici (tranne i β-bloccanti) non ha ridotto la mortalità.

Il trattamento delle aritmie nello SC può essere difficile perché, in presenza di


disfunzione ventricolare sinistra, farmaci antiaritmici diversi dall’amiodarone e dai
β-bloccanti hanno un effetto proaritmico. Se una fibrillazione atriale con elevata
risposta ventricolare non risponde alla terapia con digossina, vanno presi in
considerazione β-bloccanti o calcioantagonisti, una terapia non farmacologica
con impianto di un pacemaker permanente e ablazione totale o parziale del nodo
AV.

La terapia dell’edema polmonare acuto comprende la somministrazione di O2


mediante maschera facciale, l’assunzione della posizione ortostatica se tollerata,
la somministrazione di morfina EV (1-5 mg una o due volte) e furosemide EV (0,5-
1,0 mg/kg). Se l’ipossia è grave (come evidenziato dall’ossimetro digitale) o la
ritenzione di CO2 è evidente (come evidenziato dall’emogasanalisi), possono
essere necessarie l’intubazione tracheale e la ventilazione assistita. Va eseguita
una rapida valutazione della causa dello SC mediante anamnesi, esame
obiettivo, ECG e, se indicato, ecocardiogramma. La terapia specifica dipende
dall’eziologia: un vasodilatatore per l’ipertensione grave; un antiaritmico EV o la
cardioversione per le tachicardie sopraventricolari o ventricolari; un
calcioantagonista EV, un β-bloccante EV, digossina EV o la cardioversione per
rallentare la frequenza ventricolare nella fibrillazione atriale parossistica.

L’IMA è la causa più comune di insufficienza acuta del VS. Se la PA è


mantenuta, la terapia è quella sopra indicata, con nitroglicerina sl alla dose di
0,4 mg, ripetibile dopo 5 min e seguita da nitroglicerina EV alla dose di 10-100 µg/
min. Va somministrato un trombolitico, se indicato. Dal momento che la
distribuzione dei liquidi corporei prima dell’esordio dell’insufficienza cardiaca
acuta è solitamente normale nei pazienti con IMA, i diuretici risultano meno utili e
possono provocare ipotensione. Se la PA si riduce o si sviluppa uno stato di
shock, possono essere necessari dobutamina EV e contropulsazione aortica. In
pazienti che non migliorano, si può eseguire l’angiografia coronarica
d’emergenza per valutare l’opportunità di una PTCA o di un intervento di bypass
aorto-coronarico.

Terapia dello SC refrattario: vari fattori possono causare una risposta


inadeguata a una terapia appropriata o una graduale riduzione della risposta
positiva dopo un risultato inizialmente favorevole. Tali fattori comprendono una
terapia subottimale, un deterioramento della funzione renale, una patologia
tiroidea misconosciuta, l’anemia, l’ipotensione indotta dalla terapia, aritmie
subentranti (p. es., fibrillazione atriale con rapida risposta ventricolare), consumo
di alcol, effetti collaterali della contemporanea somministrazione di altri farmaci
(soprattutto FANS). Se non vengono individuate cause trattabili, possono essere
prese in considerazione una terapia medica addizionale o l’indicazione
chirurgica.

Chirurgia: il trapianto cardiaco è il solo trattamento che può cambiare la storia


naturale dello SC a lungo termine. Attualmente, la sopravvivenza a 1 anno e
3 anni è, rispettivamente, di circa 82 e 75%; tuttavia, la mortalità dei pazienti in
attesa di trapianto è del 12-15%. Per potenziare la funzione ventricolare, è stata
utilizzata sperimentalmente la cardiomioplastica: il muscolo latissimus dorsi viene
posizionato intorno al cuore e stimolato in maniera ripetitiva. È stato riportato che
lo stato funzionale migliora in circa l’80% dei pazienti. Un’altra procedura
sperimentale cerca di ridurre la tensione parietale rimuovendo alcuni segmenti
del ventricolo in modo da ridurre il volume del VS, ma i dati prognostici sono

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Scompenso cardiaco

limitati. Sono in corso di studio diversi dispositivi impiantabili di sostegno alla


funzione ventricolare. In pazienti selezionati, con SC refrattario, sono risultati
efficaci dispositivi meccanici con una fonte esterna di energia. Sono in corso di
valutazione nuovi apparecchi in cui la fonte di energia è interamente inserita
all’interno dell’organismo, in modo da ridurre la complicanza più importante
costituita dalle infezioni.

Assistenza al malato terminale: la morte è inevitabile nei pazienti con malattia


progressiva, non candidati al trapianto, e in cui non si riesca a controllare i
sintomi. In tali casi, bisogna cercare di alleviare i sintomi e la sofferenza.

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Anomalie congenite

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

261. ANOMALIE CONGENITE

Difetti strutturali presenti alla nascita.

SCOMPENSO CARDIACO

Sindrome clinica che si verifica quando il cuore non riesce ad assicurare una
gittata cardiaca sufficiente a garantire le richieste metaboliche dell’organismo,
comprese quelle necessarie per l’accrescimento.

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni ed esami di laboratorio
Diagnosi
Prognosi e terapia

Le cause di scompenso cardiaco (SC) sono elencate nella Tab. 261-1. Le cause
non cardiache di SC comprendono l’anemia cronica, l’ostruzione delle alte vie
respiratorie, le carenze nutritive, l’asfissia, la tossicità da farmaci (p. es.,
daunorubicina) e alcune malattie sistemiche (p. es., malattie da accumulo,
l’atassia di Friedreich, emodiluizione iatrogena). La sindrome del ventricolo
sinistro ipoplasico in genere si manifesta entro 48-72 h con SC acuto e con
acidosi metabolica secondaria alla scarsa perfusione sistemica.

Sintomi, segni ed esami di laboratorio

L’esordio dello SC nel lattante può essere graduale, ma in genere è rapido,


alcune volte estremamente precipitoso. In genere è presente una tachicardia con
frequenza cardiaca superiore a 120-140 battiti/min, fino a 200 battiti/min. Nei
lattanti i segni di scompenso cardiaco sia sinistro che destro di solito si
presentano contemporaneamente.

Lo scompenso ventricolare sinistro si manifesta con difficoltà respiratoria. La


tachipnea e la dispnea, con frequenza respiratoria superiore ai 60-100 atti
respiratori/min, in assenza di lesioni primitive del polmone, sono,
frequentemente, conseguenti alla congestione venosa polmonare, all’aumentata
pressione capillare polmonare, al passaggio di liquido negli spazi alveolari,
interstiziali e bronchiolari. Le infezioni sovrapposte possono aggravare questi
problemi. Sono frequenti la tosse e il respiro sibilante. I ronchi e i rantoli sono
variabili ma non infrequenti, mentre è raro l’edema polmonare franco con
escreato schiumoso e mucoematico. La polipnea causa affaticamento e aumento
delle richieste metaboliche, determinando una scarsa alimentazione,
un’inadeguata assunzione di cibo e un ritardo di accrescimento, sebbene la
circonferenza cranica e la crescita in lunghezza di solito non vengano
compromesse. Il ritardo di accrescimento può essere parzialmente mascherato
dalla ritenzione di liquidi e dalla contrazione della diuresi, che determina un
inappropriato aumento di peso. Altri sintomi sono rappresentati dall’agitazione,
dall’irritabilità e dalla eccessiva sudorazione.

Si riscontra cardiomegalia, tranne nel caso in cui si abbia una pericardite


costrittiva e una grave ostruzione venosa polmonare. L’alterazione della funzione

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Anomalie congenite

miocardica è evidenziata dai toni cardiaci deboli, dal ritmo di galoppo, dai segni
della scarsa perfusione periferica con estremità fredde e con diminuzione
dell’ampiezza dei polsi e del riempimento capillare, e da un colorito grigiastro,
piuttosto che bluastro. La cianosi, che indica lo shunt intracardiaco destro-
sinistro, può rivelare un inadeguato scambio gassoso alveolare secondario alla
congestione venosa polmonare o alla bassa gittata cardiaca, con un aumento
della differenza arterovenosa di O2.

In età infantile, l’epatomegalia è un segno comune e affidabile di scompenso


ventricolare destro e un parametro sensibile dell’efficacia della terapia.
L’epatomegalia da ingorgo epatico e l’anomalia del flusso giugulare (reflusso
epato-giugulare n.d.t.), sebbene segni utili nei bambini più grandi, non sono
rilevabili nei lattanti. L’edema periferico si verifica occasionalmente, in particolar
modo localizzato al dorso delle mani e dei piedi e nella zona periorbitale.

Pochi esami di laboratorio sono specifici nello SC. Si possono riscontrare anemia
da diluizione e iponatriemia. Possono essere presenti contrazione della diuresi e
albuminuria. Di frequente riscontro, in particolar modo nei neonati, è l’ipoglicemia
da consumo, da inadeguati depositi di glicogeno e da aumentato metabolismo.
Con la conta dei globuli bianchi si possono individuare infezioni associate allo
SC, mentre una prolungata desaturazione arteriosa sistemica determina in
genere policitemia e più tardivamente, anemia sideropenica.

Diagnosi

Lo SC si diagnostica grazie ai sintomi e segni che riflettono la congestione


polmonare o sistemica acuta e cronica e ai segni dell’anomalia cardiaca di base;
p. es., una stenosi polmonare può determinare SC senza congestione
polmonare. Una diagnosi anatomica specifica viene effettuata con l’aiuto della
anamnesi, dell’esame obiettivo, dei dati di laboratorio e dei reperti radiologici.

Il precordio deve essere attentamente palpato per rilevare fremiti, bozze e


localizzare l’itto. I toni cardiaci vanno valutati rilevandone qualità, intensità, tempi
di chiusura delle due valvole semilunari e rumori accessori. I soffi cardiaci devono
essere definiti per sede, tempo di comparsa rispetto alla fase del ciclo cardiaco,
durata, intensità e qualità. I polmoni devono essere esaminati per evidenziare
infezioni o congestione polmonare. Le caratteristiche dei polsi periferici e la PA
devono essere rilevate a tutti gli arti. Il grado di desaturazione periferica di O2 e di
anemia può essere determinato esaminando le congiuntive, le mucose, le labbra
e il letto ungueale. Vanno rilevate le dimensioni e la consistenza del fegato e la
presenza di edemi periferici. La ritenzione di liquidi può essere evidenziata nel
modo migliore effettuando misurazioni periodiche e accurate del peso corporeo e
registrandone gli eventuali incrementi. Frequenti controlli di questi parametri
forniscono valide indicazioni sull’efficacia della terapia e contribuiscono a porre
una diagnosi corretta.

L’ECG è di scarso aiuto nella diagnosi di SC, tuttavia è uno strumento prezioso
nel porre una specifica diagnosi anatomica. L’ecocardiografia con studio di flusso
e Doppler, il cateterismo cardiaco e l’angiocardiografia non sono necessari nella
diagnosi di SC ma sono talvolta richiesti per completare la diagnosi anatomica.
Questi esami vengono effettuati raramente prima di avere sotto controllo lo SC e
gli altri problemi acuti (p. es., alterazioni idroelettrolitiche, infezioni).

Prognosi e terapia

La prognosi dipende fondamentalmente dalla malattia di base e dal suo


trattamento.

Alcuni casi di SC insorti in utero possono essere trattati agendo sul problema di
base; p. es., la digitalizzazione materna e l’aumento della diuresi possono essere

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Anomalie congenite

efficaci nel trattamento di una tachicardia fetale.

La terapia iniziale della SC prevede la somministrazione di O2 umidificato usando


tendine, mascherine o cannule nasali, con una concentrazione dell’O2 inspirato
adeguata (< 40% per evitare danno all’epitelio polmonare), per prevenire la
cianosi e alleviare il distress respiratorio. Quando necessario si può usare
morfina solfato alla dose di 0,2 mg/kg SC q 4-6 h per sedare il bambino,
mantenendo il capo sollevato. I bambini più grandi possono trarre vantaggio da
una certa posizione (semiseduti con le gambe sollevate), mentre i neonati
presentano più facilmente compromissione respiratoria importante, in quanto gli
organi addominali sono spinti in alto verso il torace. La riduzione dell’apporto di
Na e, entro certi limiti, quello dei liquidi ai livelli di mantenimento giornaliero
consente una buona risposta al trattamento, sebbene si debba evitare di far
scendere la natremia al di sotto dei 130 mEq/l. Meno necessari sono
l’applicazione di bracciali o lacci alle radici degli arti, la flebotomia e la
ventilazione meccanica. Di valido aiuto sono altre misure collaterali (p. es., uso di
alimenti ad alta densità calorica, rigoroso controllo della febbre, trattamento
dell’anemia).

La digossina è ancora largamente usata per lo SC (v. Tab. 261-2). La dose


iniziale di digitalizzazione può essere somministrata a seconda dell’urgenza EV o
PO, frazionata in 3 dosi, con una dose di attacco più elevata, oppure q 4, 6 o 8 h.
Raramente è indicata la somministrazione IM. Il mantenimento effettuato con
2 somministrazioni giornaliere di solito fornisce risultati migliori rispetto alla
monosomministrazione giornaliera. Nella prescrizione della digossina si
raccomanda la massima attenzione. La concentrazione di digossina è di 50 µg/ml
(0,05 mg/ml) nello sciroppo per uso orale e di 250 µg/ml (0,25 mg/ml) nella
preparazione per uso EV. La digossinemia nei neonati e nei lattanti non è utile né
affidabile.

La furosemide o l’acido etacrinico (1 mg/ kg EV o 2 mg/kg PO) producono effetti


immediati sulla diuresi. Entrambi i farmaci possono essere somministrati ogni 4-
6 h e la dose può essere raddoppiata se il risultato non è soddisfacente. Per la
terapia diuretica a lungo termine nel lattante e nel bambino si può utilizzare la
clorotiazide, 20-40 mg/kg/die PO in 2 dosi frazionate. L’interruzione della terapia
(p. es. 3 o 4 giorni/ sett) aiuta a prevenire gli squilibri elettrolitici, sebbene possa
essere necessario l’apporto di potassio. Particolare cautela è necessaria nella
prescrizione dei diuretici, specialmente se è presente una malattia renale acuta o
cronica.

Nello SC grave, nel quale la gittata cardiaca non può essere migliorata con altri
mezzi, possono essere di aiuto la dopamina o la dobutamina alla dose di 5 µg/kg/
min (aumentando a 15 µg/kg/min se necessario). Dosi superiori vanno evitate per
l’effetto negativo sul flusso ematico renale. La riduzione del sovraccarico
cardiaco può essere ottenuta con nitroprussiato al dosaggio di 0,5-3,0 µg/kg/
min EV, idralazina 0,5-5,0 mg/kg/die PO (frazionata in 2 o 4 somministrazioni,
con un massimo di 7,5 mg/kg/die nei bambini e 5 mg/kg/die nei lattanti) e
captopril 0,5-6,0 mg/kg/die PO (in 2 o 4 somministrazioni), ma l’uso di questi
farmaci richiede prudenza. Farmaci tipo l’amrinone devono essere riservati a casi
di grave SC grave e somministrati solo nell’attuazione di una cura intensiva.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 261-2. DOSI PEDIATRICHE DI DIGOSSINA (ORALE O EV) RAPPORTATE


ALL'ETÀ DEL PAZIENTE*

Età Digitalizzazione (µg/kg) Dose di mantenimento


(µg/kg/die)

Orale EV Oral e EV

Prematuro 20-30 15-25 5-7.5 4-6

A termine, 01 25-35 20-30 6-10 5-8


settiman a

1 mese 2 anni 35-60 30-50 10-15 7,5-12

25 anni 30-40 25-35 7,5-10 6-9

5-10 anni 20-35 15-30 5-10 4-8

> 10 anni 10-15 8-12 2,5-5 2-3

*V. testo per i dettagli sulla somministrazione di digossi na.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 203-1. PROPRIETÀ FARMACOCINETICHE DEI DIURETICI

Farmaco Dose* e via di Inizio Picco Durata


somministrazione dell’azione dell’effetto dell’azione
Diuretici dell’ansa

Furosemide 20-100 mg EV 5 min 30 min 2h


20-60 mg po/die o 30 min 1-2 h 6-8 h
bid

Bumetamide 0,5-1 mg EV 5 min 30-45 min 2h


0,5-2 mg/die PO 0,5-1 h 1-2 h 4-6 h

Torsemide 20-100 mg EV 5 min 15-30 min 12-16 h


20-100 mg/die PO 30 min 1h 12-16 h

Tiazidici
Clorotiazide 250-500 mg EV 15 min 30 min 2h
q12 h

250-500 mg po bid 1h 4h 6-12 h


Clortalidone 50-100 mg/die PO 2h 2-6 h 24-72 h

idroclorotiazide 25-50 mg/die PO 2h 4-6 h 6-12 h

Indapamide 2,5-5 mg/die PO 1-2 h 2h 36 h

Metolazone 5-10 mg7die PO 1h 2h 12-24 h

Diuretici risparmiatori di potassio


Spironolattone 25200mg/die PO 3giorni 12h 23 giorni

Triamterene 100mg bid PO 24giorni 24h 79h

Amiloride 510mg/die PO 2h 34h 24h

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Manuale Merck - Tabella

*Le dosi e gli intervalli fra le somministrazioni che si utilizzano nello scompenso
cardiaco non sono così strettamente deter minati dalla farmacocinetica.

†Sebbene sia rilevabile a livello plasmatico dopo circa 2h, il massimo effetto diuretico
siha in 3giorni.

Adattato da Cody RJ: "Diuretic therapy", in Heart Failure, pubblicato da Poole-Wilson


PA, Colucci WS, Massie BM, et al. New York, Churchill Livingston, 1997.

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Scompenso cardiaco

Manuale Merck

16. MALATTIE DELL’APPARATO


CARDIOVASCOLARE

203. SCOMPENSO CARDIACO

CARDIOMIOPATIE

CARDIOMIOPATIA IPERTROFICA

Gruppo di patologie congenite o acquisite caratterizzate da una marcata ipertrofia


ventricolare con disfunzione diastolica, in assenza di patologie capaci di
provocare un aumento del postcarico (p. es., stenosi valvolare aortica,
coartazione aortica, ipertensione sistemica).

Le cause identificabili sono elencate nella Tab. 203-2.

Sommario:

Fisiopatologia
Sintomi, segni e diagnosi
Dati di laboratorio
Prognosi
Terapia

Fisiopatologia

Il muscolo cardiaco è patologico, con disorganizzazione ("disarray") delle cellule


e delle miofibrille, sebbene si tratti di un rilievo non specifico di cardiomiopatia
ipertrofica. Di solito, il setto interventricolare è ipertrofico in misura maggiore
rispetto alla parete posteriore (ipertrofia settale asimmetrica). Nella forma più
comune di ipertrofia asimmetrica del VS, si rilevano una significativa ipertrofia e
un importante ispessimento della parte superiore del setto interventricolare subito
al di sotto della valvola aortica. In sistole, il setto si ispessisce e il lembo anteriore
della valvola mitrale, già disposto in maniera anomala a causa dell’alterata
geometria ventricolare, è spinto verso il setto, provocando l’ostruzione del tratto
di efflusso. In tal caso, si parla di cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o stenosi da
ipertrofia settale asimmetrica. Tutto ciò riduce ulteriormente la gittata cardiaca,
che è già anormalmente bassa a causa della disfunzione diastolica causata
dall’ipertrofia e dalla ridotta distensibilità ("compliance") del ventricolo.

L’ipertrofia congenita si trasmette come carattere autosomico dominante nei casi


di ipertrofia settale asimmetrica, ma non nelle altre varianti. L’anomalia genetica
più comune è una mutazione nonsenso ("missense") nell’esone 13 del gene per
la catena pesante della β-miosina cardiaca (cromosoma 14). Più raro è il
riscontro di un gene patologico ibrido delle catene pesanti di miosina α e β.
Questa patologia può anche essere causata da altri difetti genetici.

La conseguenza più rilevante dell’ipertrofia consiste nel fatto che la camera


rigida, priva di distensibilità (generalmente il ventricolo sinistro) oppone
resistenza al riempimento diastolico e ciò comporta un’elevata pressione
telediastolica che induce un incremento della pressione venosa polmonare.
L’angina pectoris risulta da uno squilibrio tra la richiesta di O2 da parte del
miocardio ipertrofico e il suo apporto attraverso le arterie coronarie; il flusso
coronarico, infatti, può essere compromesso a causa della ridotta distensibilità
del miocardio. L’inadeguata densità dei capillari rispetto alle dimensioni dei

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Scompenso cardiaco

miociti, così come l’iperplasia e l’ipertrofia dell’intima e della media delle arterie
coronarie intramiocardiche che riducono il lume vasale, contribuiscono alla
genesi dell’ischemia nella cardiomiopatia ipertrofica, in assenza di malattia delle
arterie coronarie epicardiche.

La lipotimia e la sincope da sforzo sono provocate da un’inadeguata gittata


cardiaca, talvolta peggiorata da un gradiente del tratto di efflusso nei pazienti con
ipertrofia settale asimmetrica. La gittata cardiaca si riduce notevolmente perché,
in seguito alla tachicardia sinusale indotta dallo sforzo fisico, il tempo di
riempimento diastolico è ridotto. La riduzione del tempo di riempimento diastolico
del ventricolo ipertrofico e non distensibile riduce il precarico e comporta un
aumento del grado di apposizione del lembo anteriore della valvola mitrale al
setto interventricolare ipertrofico. Lo sforzo fisico, inoltre, riduce le resistenze
vascolari periferiche e quindi la pressione diastolica, a livello della radice aortica.
Questo può provocare un’ischemia, che può a sua volta causare aritmie atriali o
ventricolari non sostenute con sincope. Nella cardiomiopatia ipertrofica la sincope
indica un aumento del rischio di morte improvvisa, che si ritiene sia dovuta a
tachicardia o a fibrillazione ventricolare.

L’endocardite infettiva può complicare la cardiomiopatia ipertrofica, a causa delle


alterazioni della valvola mitrale che sembrano essere la conseguenza
dell’alterata geometria ventricolare: i muscoli papillari e l’apparato valvolare
mitralico sono spostati anteriormente e il rapido flusso protosistolico attraverso il
tratto di efflusso produce un effetto Venturi. Una complicanza tardiva è talvolta
costituita dal blocco cardiaco. L’ipertrofia della regione medioventricolare
comporta la presenza di un gradiente endocavitario a livello del muscolo
papillare. La parte distale del ventricolo sinistro può alla fine assottigliarsi e
dilatarsi, in maniera simile a un aneurisma.

Sintomi, segni e diagnosi

Le manifestazioni cliniche possono verificarsi isolatamente o in varia


associazione. Solitamente, il dolore toracico consiste in un’angina tipica correlata
allo sforzo. Anche la sincope è di solito secondaria allo sforzo ed è dovuta alla
combinazione di ischemia, aritmie, ostruzione del tratto di efflusso e scarso
riempimento diastolico ventricolare. La dispnea da sforzo è il risultato della
scarsa distensibilità diastolica del ventricolo sinistro, che porta a un rapido
aumento della pressione telediastolica del ventricolo sinistro a mano a mano che
il flusso aumenta. L’ostruzione del tratto di efflusso riduce la gittata cardiaca e
perciò contribuisce alla dispnea. La funzione sistolica è conservata e
l’affaticabilità raramente è un problema. Le palpitazioni sono il risultato di aritmie
ventricolari o atriali. I sintomi della cardiomiopatia ipertrofica possono pertanto
simulare quelli della stenosi aortica o della coronaropatia.

L’esame obiettivo di solito chiarisce la diagnosi differenziale. I segni di


un’aumentata pressione venosa (p. es., turgore giugulare, ascite, edema
pretibiale, versamento pleurico) sono rari prima della fase terminale. La PA e la
frequenza cardiaca risultano in genere normali. Il polso carotideo, nel caso di
ipertrofia asimmetrica del setto e ostruzione del tratto di efflusso, presenta una
fase ascendente brusca, un picco bifido dovuto all’ostruzione dinamica nella
parte terminale della sistole e un rapido tratto discendente. Alla palpazione
precordiale, l’itto apicale è nella sua normale posizione, caratterizzato da una
spinta sostenuta dovuta all’ipertrofia del ventricolo sinistro. Si apprezza a volte un
impulso apicale bifasico, soprattutto nel caso di una grave ostruzione del tratto di
efflusso.

Sono solitamente presenti soffi sistolici, ma i pazienti con cardiomiopatia


ipertrofica apicale e simmetrica possono non avere soffi. Il rilievo più comune è
un soffio d’eiezione in crescendo-decrescendo non irradiato al collo; si ausculta
meglio lungo la linea margino-sternale sinistra, a livello del 3o o 4o spazio
intercostale. Questo soffio è causato dall’ostacolo all’efflusso del ventricolo
sinistro che si verifica in sistole quando il setto interventricolare ipertrofico e il
lembo anteriore della valvola mitrale si avvicinano l’uno all’altro. In alcuni
pazienti, in seguito alla distorsione dell’apparato valvolare mitralico, si può

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Scompenso cardiaco

rilevare un soffio da insufficienza mitralica. Esso è dolce e aspirato e si ausculta


meglio all’apice con irradiazione verso la regione ascellare sinistra. Raramente, si
hanno anche click protosistolici o mesosistolici. In alcuni pazienti con
restringimento del tratto di efflusso del ventricolo destro, si rileva un soffio
sistolico eiettivo a livello del secondo spazio intercostale lungo il margine sternale
sinistro. Un S4, quasi sempre presente, indica una contrazione atriale forzata
contro un ventricolo sinistro con una ridotta distensibilità in telediastole.

Il soffio eiettivo della cardiomiopatia ipertrofica può essere alterato da manovre


che riducono il ritorno venoso e, di conseguenza, riducono il volume diastolico
del ventricolo sinistro, aumentando così il grado di apposizione del lembo
anteriore mitralico al setto interventricolare ipertrofico. Per questo, la manovra di
Valsalva aumenta l’intensità del soffio, così come fanno anche manovre atte a
ridurre la pressione aortica (p. es., inalazione di nitrito d’amile) o come avviene in
corrispondenza di un battito postextrasistolico, sempre per l’aumento del
gradiente pressorio del tratto di efflusso. La chiusura a pugno della mano
("handgrip") provoca un aumento della pressione aortica, causando una
diminuzione dell’intensità del soffio.

Dati di laboratorio

Test non invasivi capaci di confermare la diagnosi hanno generalmente sostituito


il cateterismo cardiaco. L’ECG di solito soddisfa i criteri di voltaggio dell’ipertrofia
ventricolare sinistra. L’ipertrofia settale asimmetrica viene spesso suggerita da
onde Q settali molto profonde in I, aVL, V5 e V6; si osserva a volte un
complesso QS in V1 e V2, che simula un pregresso infarto settale. Le onde T
sono patologiche nella maggior parte dei casi; il rilievo più comune sono onde T
invertite, profonde e simmetriche in I, aVL, V5 e V6. È comune un
sottoslivellamento del tratto ST in queste stesse derivazioni. L’onda P è spesso
ampia e bifida in II, III e aVF e bifasica in V1 e V2 e indica un’ipertrofia atriale
sinistra. Una preeccitazione ventricolare (sindrome di Wolff-Parkinson-White) si
verifica più spesso di quanto dovrebbe avvenire se si trattasse di un’associazione
casuale ed è uno dei meccanismi che sono alla base delle aritmie sintomatiche di
questi pazienti.

L’esame radiologico del torace è spesso ingannevolmente normale, in quanto


l’ipertrofia si sviluppa a scapito delle cavità ventricolari; un ventricolo sinistro
globoso con un’ombra cardiaca di normali dimensioni può costituire l’unica
anomalia rilevabile. La fluoroscopia cardiaca escluderà la presenza di
calcificazioni della valvola aortica.

L’ecocardiografia M-mode e bidimensionale con studio Doppler rappresenta la


migliore tecnica diagnostica non invasiva. Si può misurare lo spessore delle
pareti ventricolari, per differenziare le diverse forme di cardiomiopatia ipertrofica
(v. Fig. 203-3). È consueto uno spostamento in avanti del muscolo papillare e
dell’apparato valvolare mitralico. L’ostruzione del tratto di efflusso può essere
spesso quantificata osservando l’entità del movimento sistolico anteriore del
lembo anteriore mitralico e la durata della sua apposizione al setto
interventricolare ipertrofico. L’analisi Doppler delle velocità di flusso a livello del
tratto di efflusso del ventricolo sinistro può consentire la quantificazione del
gradiente e dell’area del segmento stenotico ed è particolarmente utile per
monitorare l’effetto della terapia medica o chirurgica. L’analisi Doppler della
velocità del flusso diastolico transmitralico consente il rilievo della disfunzione
diastolica del ventricolo sinistro; l’accorciamento frazionario del ventricolo sinistro
e la frazione d’eiezione (FE) sono normali o aumentati. Nei pazienti che hanno
un’ostruzione del tratto di efflusso di grado elevato si osserva, talvolta, una
chiusura mesosistolica della valvola aortica. L’angiografia radioisotopica mostra
una cavità ventricolare di piccole dimensioni con una FE normale o elevata.

Va eseguito il cateterismo cardiaco solo quando viene presa in considerazione la


terapia chirurgica. Nel ventricolo sinistro e, meno comunemente, in quello destro
si possono rilevare gradienti pressori intracavitari. Il gradiente aumenta in

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Scompenso cardiaco

coincidenza di un battito postextrasistolico, durante la manovra di Valsalva e


dopo inalazione di nitrito di amile. La pressione telediastolica è spesso elevata a
causa della ridotta distensibilità ventricolare. La FE è normale o elevata. La
ventricolografia mostra una caratteristica deformità della camera a seconda del
tipo di cardiomiopatia ipertrofica e talvolta conferma la presenza di insufficienza
mitralica. Le arterie coronarie risultano ampiamente pervie con un flusso molto
aumentato, ma sofisticati studi metabolici possono rilevare la presenza di
ischemia miocardica a causa della riduzione del lume delle arterie
intramiocardiche, dello squilibrio capillari/ miociti e dell’aumentato stress di
parete. Nei pazienti anziani, può aversi una coronaropatia associata.

In alcuni casi, si può avere una graduale perdita di elementi contrattili,


probabilmente a causa dell’ischemia cronica diffusa dovuta allo squilibrio capillari/
miociti. A mano a mano che i miociti vanno incontro a morte cellulare, vengono
rimpiazzati da una fibrosi diffusa e il ventricolo ipertrofico e con disfunzione
diastolica si dilata gradualmente, con comparsa di disfunzione sistolica: inizia
così la fase della cardiomiopatia congestizia terminale.

Prognosi

La prognosi è riservata; la mortalità è del 4% per anno. (La mortalità è


inversamente proporzionale all’età in cui compaiono i sintomi ed è massima nei
pazienti con frequenti tachicardie ventricolari non sostenute, sincope o morte
improvvisa abortita). Una storia familiare di morte improvvisa in pazienti giovani e
la comparsa di angina o dispnea da sforzo in pazienti > 45 anni implicano una
prognosi infausta. La morte improvvisa costituisce la causa di morte più comune,
mentre si verifica meno frequentemente uno scompenso cardiaco cronico. La
consulenza genetica è appropriata nei casi di ipertrofia settale asimmetrica, che
sembra avere una progressione accelerata durante la pubertà.

Terapia

La terapia è diretta principalmente contro l’anomala distensibilità diastolica. I β-


bloccanti e i calcioantagonisti da soli o in associazione costituiscono i capisaldi
della terapia. Entrambi diminuiscono la contrattilità miocardica, il che favorisce un
aumento delle dimensioni della cavità ventricolare sinistra e diminuisce
l’ostruzione all’efflusso, migliorando la funzione diastolica ventricolare. I β-
bloccanti e i calcioantagonisti con effetto cronotropo negativo rallentano anche la
frequenza cardiaca, prolungando il tempo di riempimento diastolico e riducendo
così l’entità dell’ostruzione del tratto di efflusso. È meglio evitare i β-bloccanti con
attività simpatico-mimetica intrinseca (p. es., pindololo, oxprenololo, acebutololo).
I calcioantagonisti variano per il loro effetto inotropo negativo e per la potenza del
loro effetto vasodilatatore arterioso. È importante scegliere un vasodilatatore
blando che abbia un significativo effetto di depressione della contrattilità. Il
verapamil è il calcioantagonista di scelta per la cardiomiopatia ipertrofica.

I farmaci che riducono il precarico (p. es., nitrati, diuretici, ACE-inibitori,


antagonisti dell’angiotensina) causano una riduzione delle dimensioni del
ventricolo e provocano un peggioramento dei sintomi e dei segni clinici. I farmaci
inotropi (p. es., glicosidi digitalici, catecolamine) peggiorano l’ostruzione del tratto
di efflusso, non riducono l’elevata pressione telediastolica e possono indurre
aritmie. I vasodilatatori aumentano il gradiente del tratto di efflusso e producono
una tachicardia riflessa che peggiora ulteriormente la funzione diastolica
ventricolare. Sebbene farmaci antiaritmici possano essere prescritti nel caso di
aritmie dimostrate mediante ECG o monitoraggio ambulatoriale delle 24 h, non
c’è alcuna evidenza che essi modifichino il rischio di morte improvvisa. Tuttavia,
studi retrospettivi non controllati con amiodarone suggeriscono che tale farmaco
può ridurre la mortalità in pazienti con tachiaritmie ventricolari non sostenute o
sincope. L’azione antifibrillatoria dei β-bloccanti può aiutare a prevenire la morte
improvvisa, sebbene ciò non sia mai stato dimostrato. La disopiramide ha un
effetto inotropo negativo ed è stata usata come antiaritmico e come farmaco

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Scompenso cardiaco

inotropo negativo.

In soggetti rianimati da una morte improvvisa, sono stati impiantati defibrillatori.


Sebbene tale trattamento sia ragionevole, non è stato provato che esso riduca la
mortalità totale nella cardiomiopatia ipertrofica. Per l’endocardite infettiva, è
raccomandata la profilassi antibiotica (v. Cap. 208). Occorre evitare sport
competitivi, perché molti episodi di morte improvvisa si verificano in coincidenza
di un aumento dell’attività fisica.

I pazienti che progrediscono verso la fase dilatativa congestizia della malattia


vanno trattati nella stessa maniera di quelli con cardiomiopatia dilatativa a
predominante disfunzione sistolica.

La miotomia o miectomia settale è riservata ai pazienti che riferiscono sintomi


disabilitanti nonostante terapia medica, nei quali l’ostruzione del tratto di efflusso
sia stata dimostrata mediante ecocardiografia e cateterismo cardiaco. Essa
allevia i sintomi nella maggior parte di casi attentamente selezionati, ma non
modifica la mortalità. L’infarto settale mediante iniezione di etanolo attraverso
cateteri inseriti nei rami settali dell’arteria discendente anteriore si è rivelato
promettente e può costituire una valida alternativa alla miectomia settale. In
alcuni casi, si è proceduto alla riparazione o alla sostituzione della valvola
mitrale, a causa di una grave disfunzione valvolare; questo provoca una
concomitante riduzione del gradiente del tratto di efflusso. In alcuni pazienti con
ostruzione del tratto di efflusso sono stati utilizzati pacemaker bicamerali per
modificare il pattern di depolarizzazione del ventricolo. Nella maggior parte dei
casi, si è ridotta la gravità dell’ostruzione e la sintomatologia è migliorata.
L’effetto a lungo termine di questo trattamento e l’impatto sulla mortalità
richiedono ulteriori studi.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 203-2. EZIOLOGIA E CLASSIFICAZIONE


FISIOPATOLOGICA DELLE CARDIOMIOPATIE

Eziologia Fisiopatologia
Cardiomiopatia dilatativa congestizia (acuta o Diffusa (tutte le
cronica) camere sono
interessate)
Ischemia miocardica cronica diffusa (malattia delle
arterie coronariche) Non diffusa (una o
più camere sono
Infezioni (acute o croniche): batteri, spirochete, risparmiate)
rickettsie, virus (anche HIV), funghi, protozoi, elminti

Processi granulomatosi: sarcoidosi, miocardite


granulomatosa o a cellule giganti, granulomatosi di
Wegener

Patologie metaboliche: malattie legate a deficit


alimentari (beriberi, deficit di selenio, deficit di
carnitina, kwashiorkor), tesaurismosi familiari,
uremia, ipokaliemia e ipomagnesiemia,
ipofosfatemia, endocrinopatie (diabete mellito, iper
o ipotiroidismo, feocromocitoma, acromegalia),
obesità patologica

Farmaci e tossine: etanolo, cocaina, antracicline,


cobalto, psicofarmaci (triciclici, quadriciclici e
fenotiazine), catecolamine, ciclofosfamide, radiazioni

Neoplasie

Malattie del collagene

Patologie ereditarie neuromuscolari e neurologiche


(atassia di Friedreich)

Gravidanza (periodo periparto)


Cardiomiopatia ipertrofica Asimmetrica
(ostruttiva
Ereditarietà autosomica dominante, [subaortica o
feocromocitoma, acromegalia, neurofibromatosi medioventricolare],
non ostruttiva e
apicale)

Simmetrica

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Manuale Merck - Tabella

Cardiomiopatia restrittiva Diffusa (obliterativa


e non obliterativa)
Amiloidosi; sclerosi sistemica progressiva;
emocromatosi; fibrosi endocardica, fibroelastosi e Non diffusa
malattia di Löffler; neoplasie; malattia di Gaucher

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE


CARDIOPOLMONARE

AVVELENAMENTI

AVVELENAMENTO DA IDROCARBURI

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Terapia

Ogni anno l’ingestione dei distillati del petrolio (p. es. benzina, kerosene, tinte
ecc.) e di idrocarburi alogenati (p. es. tetracloruro di carbonio, dicloruro di etilene)
è responsabile di oltre 25000 casi di avvelenamento nei bambini < 5 anni. La
morte è più spesso dovuta a una grave polmonite da ingestione accidentale.
L’abuso di idrocarburi alogenati inalanti, che si verifica tipicamente negli
adolescenti, può determinare arresto cardiaco.

Le più importanti proprietà fisiche dei derivati degli idrocarburi sono la viscosità
e la tensione superficiale, che determinano un alto rischio di aspirazione;
piccole quantità possono infatti diffondersi rapidamente in un’ampia superficie
polmonare. Più bassa è la viscosità, più alto è il rischio di aspirazione, in
associazione con certi additivi che determinano altri effetti tossici. L’olio minerale
sigillante (che si trova nei prodotti per lucidare i mobili) è il più dannoso tra gli
idrocaburi liquidi più viscosi per la sua capacità potenziale di produrre una
polmonite da aspirazione.

Nell’animale da esperimento, gli idrocarburi risultano essere almeno 140 volte più
tossici per l’apparato respiratorio che per l’apparato digerente. Se l’esperimento
fosse ripetuto nel bambino si verificherebbe il decesso per la presenza nello
stomaco di 350 ml di queste sostanze ma soltanto di 2,5 ml nel polmone.

Sintomi e segni

I sintomi sono principalmente a carico dell’apparato respiratorio, del digerente e


del SNC. All’inizio, anche per un piccolo sorso, il soggetto tossisce, accusa senso
di soffocamento e possibilmente vomita. Poi presenta cianosi, dispnea e tosse
persistente. I bambini più grandi lamentano bruciore allo stomaco e vomito. I
sintomi a carico del SNC sono letargia, coma e convulsioni. La sintomatologia è
di solito dose-dipendente ed è più grave per l’ingestione di liquidi infiammabili e di
olii minerali sigillanti.

Nei casi più gravi possono comparire insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale e
fibrillazione ventricolare letale. Sono stati descritti danni a carico del rene e del
midollo osseo. Il decesso per polmonite di solito si verifica entro 24 h
dall’aspirazione. La guarigione clinica di una polmonite non complicata si ha in
1 sett, a meno che non sia dovuta all’aspirazione di olii minerali sigillanti, che
generalmente richiede 5-6 sett.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Esami di laboratorio

La radiografia del torace è il test diagnostico più importante e conviene praticarlo


entro 1 e 1/ 2-2 h dopo l’aspirazione, a meno che non siano presenti sintomi
gravi. Nei casi gravi, la rx mette in evidenza la polmonite da aspirazione di
idrocarburi entro 2 h; nel 90% dei pazienti con polmonite la lastra è positiva entro
6-18 h. Tuttavia è difficile la comparsa di polmoniti dopo le 24 h dall’ingestione.
La conta dei GB, con formula leucocitaria, e l’esame delle urine aiutano a
diagnosticare una infezione secondaria e un interessamento renale. Il dosaggio
ematico degli idrocarburi non ha valore pratico. Nei casi di interessamento
polmonare, l’esecuzione dell’emogasanalisi è di grande aiuto per la diagnosi e il
trattamento.

Terapia

Se non compaiono segni o sintomi di distress respiratorio (tachipnea, tachicardia,


tosse o rantoli), il bambino di solito può essere trattato a domicilio. Lo stesso vale
per l’adolescente o l’adulto che non presentano fibrillazione atriale o ventricolare.
A domicilio, una volta valutato lo stato respiratorio, bisogna togliere al bambino i
vestiti contaminati e lavare bene la cute. Si può somministrare un bicchiere di
latte per diluire il materiale ingerito e per ridurre l’irritazione gastrica.

I pazienti più gravi devono essere ospedalizzati. È necessario effettuare terapia


di supporto con liquidi EV e O2. All’inizio la polmonite è di natura chimica, per cui
non risponde all’antibioticoterapia. I cortisonici di solito non sono efficaci, e si
suppone che possano influenzare negativamente la risposta immunologica del
paziente.

Se insieme agli idrocarburi è stata ingerite qualche altra sostanza velenosa, il


trattamento deve essere specifico per i 2 veleni e diretto allo svuotamento dello
stomaco attraverso il vomito o la lavanda gastrica.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E


ACIDO-BASE

METABOLISMO ACIDO-BASE

DISTURBI DEL METABOLISMO ACIDO-BASE

ACIDOSI METABOLICA

Condizione caratterizzata da pH arterioso al di sotto della norma, riduzione della


concentrazione plasmatica di HCO3- e solitamente iperventilazione alveolare
compensatoria cui consegue diminuzione della Pco2.

Sommario:

Eziologia e patogenesi
Sintomi, segni e diagnosi
Esami di laboratorio
Terapia

Eziologia e patogenesi

L'acidosi metabolica si determina quando è presente un processo che conduce


all'accumulo di equivalenti acidi nell'organismo. Se il carico acido supera la
capacità respiratoria (pH arterioso < 7,35), ne risulta acidosi. L'acidosi metabolica
può essere dovuta all'aumento della produzione di acidi o alla somministrazione
esogena di acidi.

Gap anionico: il calcolo del gap anionico è spesso utile nella diagnosi
differenziale dell'acidosi metabolica (v. Tab. 12-9). Il gap anionico viene calcolato
sottraendo la somma delle concentrazioni del Cl e del HCO3- alla concentrazione
plasmatica del Na. Le proteine plasmatiche cariche negativamente sono
responsabili della maggior parte del gap anionico; le cariche degli altri cationi (K,
Ca e Mg) e anioni (PO4, solfato e anioni organici) plasmatici tendono a
bilanciarsi. Il range di normalità del gap anionico è di 12 ± 4 mEq/l. Tuttavia,
questo intervallo è basato sui range normali delle concentrazioni degli elettroliti
misurate con le metodiche utilizzate negli anni '70. La maggior parte dei
laboratori clinici utilizza adesso tecniche differenti; pertanto, il range di normalità
del gap anionico è diminuito e può variare da 5 a 11 mEq/l. Al momento della
valutazione del gap anionico, i medici devono tenere in considerazione i valori di
riferimento del proprio specifico laboratorio.

Quando un acido viene aggiunto al ECF, esso viene rapidamente tamponato dal
HCO3 secondo la seguente reazione:

HA + HCO3- H2CO3 + A- CO2

+ H2O + A-

Quando l'acidosi metabolica è dovuta all'accumulo di anioni non misurati, come il


solfato nell'insufficienza renale, i corpi chetonici nei diabetici o nella chetoacidosi
alcolica oppure il lattato o gli agenti tossici esogeni come il glicole etilenico o i

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

salicilati, il gap anionico è elevato. Se l'anione acido è il cloro, ne deriva


un'acidosi metabolica ipercloremica. Poiché il cloro fa parte della formula per il
calcolo del gap anionico, l'acidosi metabolica ipercloremica non dà luogo a un
aumento del gap anionico. Le perdite renali o extrarenali di HCO3- producono
un'acidosi metabolica ipercloremica (senza gap anionico), poiché i meccanismi
renali conservano il cloro nel tentativo di mantenere il volume del ECF.

Quando si verifica un aumento del gap anionico, si può dedurre la presenza di


una o più sostanze che determinano comunemente acidosi. Le cause più
comunemente riscontrate di acidosi metabolica con aumento del gap anionico
sono elencate nella Tab. 12-9. Nella chetoacidosi diabetica, l'assenza di insulina
(e l'eccesso di glucagone) determina la produzione metabolica di chetoacidi
(acido aceto-acetico, acido b-idrossibutirrico e acido acetico) da parte del fegato.
Questi chetoacidi sono responsabili dell'acidosi, ma anche della carica anionica
non titolabile. Una chetoacidosi si verifica inoltre comunemente nell'ingestione
cronica di alcol e in condizioni di scarso apporto dietetico dovuto alla ridotta
assunzione di carboidrati e all'inibizione della gluconeogenesi da parte dell'alcol.
La diagnosi di chetoacidosi viene confermata in base alla presenza di chetoacidi
nel plasma. I chetoacidi vengono generalmente identificati mediante la reazione
con nitroprussiato. Esso reagisce con l'acido acetoacetico e con l'acido acetico,
ma non con l'acido b-idrossibutirrico. Nell'alcolismo, la chetoacidosi è causata
principalmente dall'acido b-idrossibutirrico. Talvolta, i pazienti con chetoacidosi
diabetica hanno anche un aumento della proporzione di acido b-idrossibutirrico
dovuto all'aumento del rapporto tra la forma ridotta e quella ossidata del
nicotinamide adenin dinucleotide (NADH/NAD). Poiché i metodi convenzionali
per la determinazione dei corpi chetonici non misurano l'acido b-idrossibutirrico, il
test standard al nitroprussiato può sottostimare il grado di chetosi in tali pazienti.

Un'altra causa comunemente osservata di acidosi metabolica con aumento del


gap anionico è rappresentata dall'acido lattico, che viene prodotto dal
metabolismo anaerobico dell'acido piruvico. Bassi livelli di acido lattico vengono
normalmente prodotti a partire dal glucoso attraverso la via glicolitica normale;
tuttavia, se si verifica un aumento della produzione di lattato o una riduzione del
suo utilizzo, il lattato può accumularsi. L'ipoperfusione tissutale, come quella che
si verifica nello shock, conduce sia a un aumento della produzione di lattato sia a
una riduzione del suo utilizzo e costituisce la causa più comune di acidosi lattica.
Un'alterazione della funzionalità epatica secondaria alla scarsa perfusione
epatica o a un danno epatocellulare può anch'essa determinare acidosi lattica a
causa della riduzione della riconversione del lattato in glucoso. Anche l'alcolismo
può causare l'accumulo di lattato attraverso un meccanismo simile. L'acidosi
lattica si sviluppa in alcune forme di neoplasie maligne, nel diabete mellito e
nell'AIDS, oltre che idiopaticamente.

L'insufficienza renale è anch'essa una causa di acidosi metabolica con aumento


del gap anionico. In presenza di una ridotta funzionalità renale si accumulano nel
plasma diverse sostanze, tra cui il PO4, i solfati, l'urato e l'ippurato. Dal momento
che gradi variabili di uremia sono occasionalmente presenti in altre forme di
acidosi metabolica con aumento del gap anionico, un incremento del gap
anionico deve essere ascritto all'insufficienza renale solo dopo una scrupolosa
ricerca di altre possibili cause.

Anche il sovradosaggio di varie sostanze causa acidosi metabolica con aumento


del gap anionico. Nell'avvelenamento da salicilati, metanolo o glicol etilenico,
l'interferenza con il metabolismo intermedio normale e l'accumulo di anioni
organici esogeni determinano l'insorgenza di acidosi metabolica. Un pronto
riconoscimento è fondamentale per ridurre al minimo il danno d'organo in questi
pazienti. Quando è presente un'acidosi con gap anionico normale, si deve
sospettare un'alterazione dell'escrezione renale dello ione H+. La
compromissione dell'escrezione renale degli acidi può essere dovuta a una
patologia renale intrinseca, come l'acidosi tubulare renale (Renal Tubular
Acidosis, RTA) o la nefropatia interstiziale, oppure alle perdite extrarenali di
volume e di HCO3-. Nella RTA, si verifica uno dei diversi difetti tubulari renali
specifici a carico del riassorbimento del HCO3 o della secrezione dello ione H+, o
di entrambi. La GFR solitamente non viene compromessa. La RTA prossimale
(RTA di tipo 2, bicarbonato-disperdente) è secondaria a un difetto del
riassorbimento del HCO3- a livello del tubulo prossimale. L'RTA prossimale si

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

verifica in associazione con glicosuria, fosfaturia e aminoaciduria nei bambini


affetti dalla sindrome di Fanconi. La sindrome di Fanconi si verifica inoltre
raramente negli adulti con mieloma multiplo e in seguito all'uso di tetracicline
scadute. Grandi dosi di HCO3- sono necessarie in questi pazienti per correggere
l'acidosi, ma, poiché il tubulo distale funziona adeguatamente, i pazienti affetti da
RTA prossimale sono in grado di acidificare le loro urine. La RTA distale (di
tipo 1, classica) deriva da un difetto del meccanismo di acidificazione del nefrone
distale. Ne esistono forme primitive, ma le forme acquisite sono più comuni.
L'RTA distale può verificarsi secondariamente all'anemia falciforme,
all'ipercalcemia, all'intossicazione da amfotericina B, all'intossicazione da toluene
(inalazione di colla o vernice) o all'intossicazione da litio. Una forma di RTA molto
più comune che si verifica negli adulti è l'ipoaldosteronismo iporeninemico (RTA
di tipo 4). L'RTA di tipo 4 si accompagna spesso a diabete mellito e a nefropatia
interstiziale. Una RTA può verificarsi anche a causa di un danno tubulo-
interstiziale causato da nefropatia da analgesici, pielonefrite cronica e uropatia
ostruttiva. Un'alterazione dell'escrezione renale di acidi può verificarsi anche
nell'insufficienza renale acuta o in quella cronica di grado avanzato, perciò
l'acidosi con gap anionico normale può anche insorgere occasionalmente in
seguito alla sola insufficienza renale.

Le perdite extrarenali di HCO3- e di volume si verificano principalmente


attraverso il tratto GI. Le perdite eccessive di liquidi attraverso il tratto GI dovute a
diarrea protratta, adenoma villoso del colon o a drenaggio del secreto biliare,
pancreatico o intestinale possono condurre ad acidosi metabolica, in particolare
in presenza di insufficienza renale. Nelle diversioni del tratto urinario, come
l'ureterosigmoidostomia, il Cl nelle urine viene scambiato con il HCO3- per mezzo
del colon, e viene anche assorbito l'ammonio urinario. A causa dei problemi
associati alle infezioni dell'apparato urinario e ai tumori dell'ansa sigmoidea,
l'ureterosigmoidostomia viene eseguita di rado. I pazienti portatori di
ureteroileostomia (condotti ileali) o sottoposti a ricostruzione di vescica ortotopica
hanno molti meno problemi legati all'acidosi metabolica, in particolare se la
funzionalità renale non è compromessa. Tuttavia, se una disfunzione dell'ansa o
della vescica determina ritenzione urinaria, si può verificare acidosi metabolica.

Sintomi, segni e diagnosi

I sintomi e i segni principali dell'acidosi sono spesso mascherati e difficili da


distinguere da quelli della malattia di base. L'acidosi lieve può essere
asintomatica o può essere accompagnata da vaga astenia, nausea e vomito. Il
reperto più caratteristico dell'acidosi metabolica grave (pH < 7,20,
HCO3- < 10 mEq/l) è l'iperventilazione, che si manifesta come uno degli aspetti
del compenso respiratorio. Inizialmente, si verificano modesti aumenti della
profondità del respiro. In seguito, si può osservare una maggiore frequenza
respiratoria con respiro a labbra contratte (respiro di Kussmaul). Possono essere
inoltre presenti segni di deplezione di volume del ECF, specialmente nei pazienti
con chetoacidosi diabetica o perdite GI di liquidi. L'acidosi grave può determinare
shock cardiocircolatorio dovuto a compromissione della contrattilità miocardica e
della risposta vascolare periferica alle catecolamine; si verifica anche
frequentemente un progressivo ottundimento del sensorio.

Esami di laboratorio

Nell'acidosi metabolica, il pH arterioso è < 7,35 e il HCO3- è < 21 mEq/l. In


assenza di patologia polmonare, la Pco2 è < 40 mm Hg a causa del compenso
respiratorio. Nell'acidosi metabolica semplice, ci si deve aspettare che la Pco2
scenda di circa 11-13 mm Hg per ogni 10 mEq/l di riduzione del HCO3-
plasmatico. Una riduzione della Pco2 maggiore o minore rispetto a quanto atteso
suggerisce la coesistenza rispettivamente di un'alcalosi respiratoria o di
un'acidosi respiratoria primitive oppure di altri disturbi metabolici primitivi.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Quando la funzionalità renale è normale e la deplezione di volume è assente, il


pH urinario può cadere al di sotto di 5,5 in caso di acidosi grave. Un pH urinario
ridotto di meno rispetto al valore massimo implica la presenza di una disfunzione
renale secondaria a insufficienza renale acuta o cronica, malattia tubulo-
interstiziale o acidosi tubulare renale.

Nella chetoacidosi diabetica, l'iperglicemia è quasi sempre presente; la


chetonemia può essere documentata nella maggior parte dei casi con il test al
nitroprussiato. È necessario usare cautela nell'interpretazione dei risultati del test
al nitroprussiato nei casi in cui i livelli di acido b-idrossibutirrico possono essere
elevati, perché l'acido idrossibutirrico non viene identificato dal composto.

Deve essere sospettata un'intossicazione da glicol etilenico nei pazienti con


acidosi inspiegata e cristalli di ossalato nelle urine. Gap anionici particolarmente
elevati (da 20 a 40 mEq/l) sono solitamente presenti nell'intossicazione da glicol
etilenico e da metanolo. I livelli di entrambe le sostanze possono essere misurati
nel plasma e sono talvolta utili quando la diagnosi non appare evidente sulla
base della storia clinica o di altri reperti. L'avvelenamento da salicilati è
caratterizzato da alcalosi respiratoria insorgente poco dopo l'ingestione e da
acidosi metabolica che si sviluppa più tardi nel decorso. I livelli di salicilato sono
disponibili per aiutare a porre la diagnosi. La tossicità è indicata da
concentrazioni plasmatiche > 30 mg/dl (> 2,17 mmol/l).

Poiché una deplezione di liquidi spesso accompagna l'acidosi, è comune una


lieve iper-azotemia (BUN da 30 a 60 mg/dl (da 10,7 a 21,4 mmol di urea/l).
Maggiori aumenti dell'azotemia, specie in associazione con ipocalcemia e
iperfosfatemia, suggeriscono che la causa dell'acidosi sia un'insufficienza renale.
L'ipocalcemia può verificarsi anche in associazione con lo shock settico. Le
modificazioni del K plasmatico in corso di acidosi sono trattate altrove (v.
Metabolismo del potassio, sopra). L'iperkaliemia è relativamente rara nell'acidosi
lattica a meno che non sia accompagnata da un'insufficienza renale e/o da un
aumento del catabolismo tissutale.

Terapia

Il trattamento diretto dell'acidosi con HCO3- è forse intuitivo, ma la terapia con


bicarbonato di sodio è la sola chiaramente indicata in alcune circostanze.
Quando l'acidosi metabolica è causata da acidi inorganici (cioè è un'acidosi
ipercloremica o con gap anionico normale), per correggere il disturbo
dell'equilibrio acido-base è necessario il HCO3. Tuttavia, quando l'acidosi è
conseguente all'accumulo di acidi organici (cioè è un'acidosi con gap anionico
aumentato), come nell'acidosi lattica, nella chetoacidosi o nelle sindromi da
intossicazione tratteggiate nella Tab. 12-9, il ruolo del NaHCO3 è controverso.
Coloro che sono contrari alla terapia con NaHCO3 sottolineano che la mortalità di
ognuna di queste condizioni è più strettamente correlata alla gravità della
malattia di base che al grado dell'acidosi. Altri argomenti contro l'uso della terapia
con alcali sono la possibilità di un sovraccarico di Na e di volume, l'ipokaliemia,
l'acidosi del SNC, l'ipercapnia e l'alcalosi da ipercorrezione. Di converso, l'acidosi
è noto che è associata con un'ampia varietà di effetti nocivi cardiovascolari,
compresa la diminuita responsività agli agenti pressori. I pazienti acidotici sono
particolarmente vulnerabili alle ulteriori riduzioni nel pH conseguenti a
modificazioni anche molto minori della concentrazione plasmatica di HCO3-. I
sostenitori della terapia con NaHCO3 sottolineano che l'acidosi con gap anionico
aumentato si verifica frequentemente anche in concomitanza con l'insufficienza
renale e l'acidosi tubulare renale, condizioni nelle quali il trattamento con
NaHCO3 non è controverso. Indipendentemente dal fatto che il NaHCO3 venga
somministrato o meno, la causa di fondo dell'acidosi deve essere identificata e
trattata ogni volta che sia possibile.

Nonostante queste e altre controversie, la maggior parte degli esperti


raccomanda ancora un uso giudizioso del bicarbonato di sodio EV nel
trattamento dell'acidosi metabolica grave (pH < 7,20). Tale terapia può essere

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

somministrata aggiungendo quantità variabili di bicarbonato di sodio (da 44 a


88 mEq) a una soluzione glucosata al 5% o a una soluzione salina ipotonica
(allo 0,45%), a seconda della situazione clinica e dei concomitanti disturbi del
bilancio dell'acqua e del volume. L'obiettivo della terapia con HCO3- è quello di
innalzare il pH ematico a 7,20 e la concentrazione plasmatica di HCO3- a un
valore compreso fra 8 e 10 mEq/l. La quantità di NaHCO3 necessaria può essere
calcolata approssimativamente dalla formula

NaHCO3 richiesto [mEq] = [(HCO3-)


desiderato - (HCO3-) misurato] × 0,4 × peso corporeo [kg]

Quando è presente insufficienza renale e anche modeste quantità di NaHCO3


rischiano di determinare un sovraccarico di volume, può essere indicata
l'emofiltrazione (combinata con la somministrazione di bicarbonato EV) o
l'emodialisi con dializzato ricco di HCO3. Il dicloroacetato incrementa
l'ossidazione del lattato ed è stato proposto come alternativa al NaHCO3 nel
trattamento dell'acidosi lattica. Tuttavia, trial controllati hanno mostrato uno
scarso beneficio in seguito al suo utilizzo.

Un trattamento dell'acidosi metabolica di tipo più specifico dipende dalla causa di


fondo. Il trattamento dell'acidosi lattica è prevalentemente di sostegno. Qualora
sia possibile, deve essere ricercata ed eliminata la causa dell'aumento della
produzione di lattato (o della riduzione della clearance del lattato). Il trattamento
della chetoacidosi diabetica è descritto altrove (v. Diabete mellito nel Cap. 13).

L'intossicazione da metanolo o glicol etilenico costituisce un'emergenza medica a


causa della tossicità dei metaboliti di questi composti. La terapia specifica
comprende la somministrazione di etanolo EV per inibire il loro metabolismo e
concedere tempo per la loro eliminazione a livello renale. Se è presente una
disfunzione renale, oppure nelle gravi intossicazioni, è necessaria l'emodialisi. La
terapia dell'acidosi tubulare renale e dell'acidosi secondaria a malattia renale
cronica richiede l'uso del NaHCO3. La terapia di queste condizioni è
ulteriormente trattata nel Cap. 229.

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

12. METABOLISMO IDRO-ELETTROLITICO, MINERALE E


ACIDO-BASE

METABOLISMO DEL POTASSIO

Sommario:

Introduzione
Bilancio interno del potassio
Bilancio esterno del potassio
Determinazione di laboratorio

Il potassio (K) è il catione intracellulare più abbondante. Solamente circa il 2% del


K totale corporeo è extracellulare. Poiché la maggior parte del K intracellulare è
contenuto all'interno delle fibrocellule muscolari, il K totale corporeo è
approssimativamente proporzionale alla massa corporea magra. Un adulto medio
di 70 kg possiede circa 3500 mEq di K.

Il K è uno dei principali determinanti dell'osmolalità intracellulare. Il rapporto fra le


concentrazioni di K nel liquido intracellulare e in quello extracellulare influenza
fortemente la polarizzazione della membrana cellulare, la quale a sua volta
influenza importanti processi cellulari, come la conduzione dell'impulso nervoso e
la contrazione delle cellule muscolari (comprese quelle miocardiche). Perciò,
alterazioni relativamente piccole della concentrazione plasmatica del K possono
essere associate con manifestazioni cliniche significative.

In assenza di disturbi metabolici seri, il livello plasmatico del K fornisce una


buona stima clinica del contenuto totale corporeo di K. Ammettendo che il pH
plasmatico sia costante, una riduzione della concentrazione plasmatica di K da 4
a 3 mEq/l indica un deficit totale di K da 100 a 200 mEq. Una caduta della
concentrazione plasmatica di K a < 3 mEq/l indica un deficit totale di K variabile
circa da 200 a 400 mEq. In molte condizioni patologiche, la concentrazione
plasmatica del K diviene un indicatore inattendibile del contenuto totale corporeo
di K a causa dei processi che determinano spostamenti del K all'interno o
all'esterno delle cellule.

Bilancio interno del potassio

Numerosi fattori influenzano il movimento del K fra il compartimento intracellulare


e quello extracellulare. Fra i più importanti c'è il livello di insulina circolante. In
presenza di insulina, il K si sposta all'interno delle cellule, riducendo così la
concentrazione plasmatica dello ione. Quando l'insulina circolante è carente
come nella chetoacidosi diabetica, il K fuoriesce dalle cellule, aumentando così il
K plasmatico anche in presenza di un deficit totale corporeo di K. Anche la
stimolazione del sistema nervoso simpatico influenza il movimento transcellulare
del K. I b-agonisti, specialmente i b2-agonisti selettivi, promuovono la captazione
cellulare del K, mentre i b-bloccanti o la stimolazione da parte degli a-agonisti
sembrano promuovere lo spostamento del K al di fuori delle cellule. Il K
plasmatico può essere inoltre significativamente influenzato dal pH del plasma.
L'acidosi metabolica acuta promuove lo spostamento del K fuori dalle cellule
verso il ECF. L'alcalosi metabolica acuta promuove lo spostamento del K nella
direzione opposta. Tuttavia, a questo riguardo, le modificazioni della

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

concentrazione plasmatica di HCO3 possono essere più importanti delle


modificazioni del pH. Di conseguenza, l'acidosi causata dall'accumulo di acidi
inorganici (acidosi ipercloremica con gap anionico invariato) è più probabile che
manifesti un'elevazione del K plasmatico dovuta agli spostamenti transcellulari.
Al contrario, l'acidosi metabolica dovuta all'accumulo di acidi organici (acidosi con
gap anionico aumentato) non causa iperkaliemia. Così, l'iperkaliemia che spesso
accompagna la chetoacidosi diabetica è dovuta al deficit di insulina e
all'ipertonicità del ECF piuttosto che all'acidosi di per sé. L'acidosi e l'alcalosi
respiratoria acuta sembrano avere un effetto minore sulla concentrazione
plasmatica di K di quanto non facciano i disturbi metabolici. Ciò nonostante, la
concentrazione plasmatica del K deve sempre essere interpretata alla luce del
pH plasmatico (e della concentrazione di HCO3).

Bilancio esterno del potassio

L'introduzione alimentare di K varia normalmente tra 40 e 150 mEq/die. Allo stato


stazionario, le perdite fecali sono relativamente costanti e scarse
(approssimativamente il 10% della quantità introdotta). L'escrezione urinaria è
regolata in maniera da avvicinarsi alla quantità di K introdotta, in modo che sia
mantenuto l'equilibrio. Tuttavia, quando un carico di K viene ingerito molto
rapidamente, soltanto circa il 50% compare nelle urine durante le ore successive.
L'aumento del K plasmatico viene ridotto al minimo dal trasferimento della
maggior parte del carico di K residuo all'interno del compartimento intracellulare.
Se l'assunzione elevata prosegue, aumenta l'escrezione renale di K,
probabilmente a causa della secrezione di aldosterone indotta dal K stesso. In
aggiunta, il riassorbimento di K dalle feci sembra essere sottoposto a un certo
grado di regolazione e può ridursi del 50% nell'eccesso cronico di K.

Quando l'apporto di K con la dieta diminuisce, il K intracellulare serve


nuovamente per tamponare le ampie oscillazioni della concentrazione plasmatica
dello ione. La conservazione renale del K si stabilisce in maniera relativamente
lenta in risposta alle riduzioni dell'apporto alimentare di K ed è molto meno
efficiente rispetto alla capacità del rene di conservare il Na. Un'escrezione
urinaria di K di 10 mEq/24 h rappresenta una conservazione renale di K
pressoché massimale e, quindi, implica una deplezione significativa di K.

Il K plasmatico viene filtrato liberamente a livello del glomerulo. La maggior parte


del K filtrato viene riassorbita nel tubulo prossimale e nell'ansa di Henle.
Normalmente, il K viene secreto nel filtrato a livello del tubulo distale e del dotto
collettore. L'escrezione renale netta di K è regolata principalmente dalle
modificazioni della secrezione di K a livello del nefrone distale. La secrezione
distale di K è regolata dall'aldosterone, dall'equilibrio acido-base, dall'entità del
flusso urinario nel nefrone distale e dalla polarità di membrana. Alti livelli
circolanti di aldosterone conducono all'aumento della secrezione di K e alla
kaliuresi. Il deficit o la soppressione dell'aldosterone diminuiscono la secrezione
di K nel nefrone distale e inducono la conservazione renale di K. L'acidosi acuta
riduce l'escrezione del K, mentre l'acidosi cronica e l'alcalosi acuta possono
determinare kaliuresi (v. Disturbi del metabolismo acido-base, più avanti).
L'aumento dell'apporto di Na e l'elevato flusso urinario in corrispondenza del
nefrone distale favoriscono la secrezione di K. Il riassorbimento del Na nel
nefrone distale aumenta la negatività elettrica endoluminale, un fattore che
facilita ulteriormente la secrezione di K. Così, un aumento dell'apporto di Na al
nefrone distale, come avviene nel caso di un'elevata assunzione di Na o della
terapia con diuretici dell'ansa, è associato a un aumento dell'escrezione di K.

Determinazione di laboratorio

Il dosaggio laboratoristico della concentrazione plasmatica di K è di solito


accurato. I metodi meno recenti che impiegavano la fotometria a fiamma sono
stati ampiamente sostituiti dalle misurazioni effettuate mediante elettrodi ione-
specifici. Test colorimetrici più recenti sono adesso disponibili per la

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Metabolismo idro-elettrolitico, minerale e acido-base

determinazione rapida del K plasmatico al letto del paziente. Essi sono


ragionevolmente accurati e, sebbene non possano sostituire le determinazioni
cliniche di laboratorio, sono utili particolarmente nelle unità di terapia intensiva
grazie alla rapida disponibilità dei risultati.

Diverse condizioni portano a valori falsati della concentrazione di K. Un K sierico


falsamente basso (pseudoipokaliemia) si osserva occasionalmente nei pazienti
affetti da leucemia mieloide con una conta leucocitaria estremamente elevata
(> 105/ml), a causa della captazione del K plasmatico da parte dei leucociti
anomali presenti nel campione che avviene se esso viene lasciato a temperatura
ambiente prima di essere saggiato. La pseudoipokaliemia può essere evitata con
una rapida separazione del plasma o del siero dei campioni di sangue destinati
alla determinazione degli elettroliti. Si può osservare anche un K sierico
falsamente elevato (pseudoiperkaliemia), più comunemente a causa
dell'emolisi e del rilascio di K intracellulare dai GR presenti nel campione. Per
questo motivo, il personale addetto ai prelievi deve aver cura di non aspirare il
sangue troppo rapidamente attraverso un ago di misura sottile o di non scuotere
eccessivamente i campioni di sangue. La pseudoiperkaliemia può essere
conseguenza di una trombocitosi (conta piastrinica > 106/ml) a causa del rilascio
di K dalle piastrine durante la coagulazione. Nei casi di pseudoiperkaliemia, il K
plasmatico (su sangue non coagulato), al contrario del K sierico, risulta normale.

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI

DIABETE MELLITO

Sindrome caratterizzata da iperglicemia conseguente alla diminuzione assoluta o


relativa della secrezione e/o dell'azione dell'insulina.

(Per il diabete gestazionale, v. Diabete mellito nel Cap. 251.)

Sommario:

Introduzione
Classificazione e patogenesi
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

I pazienti con diabete mellito (DM) di tipo I, conosciuto anche come DM insulino-
dipendente (Insulin-Dependent Diabetes Mellitus, IDDM) o diabete giovanile,
possono andare incontro a chetoacidosi diabetica (Diabetic KetoAcidosis, DKA). I
pazienti con DM di tipo II, conosciuto anche come DM non insulino-dipendente
(Non-Insulin-Dependent DM, NIDDM), possono andare incontro a coma
iperglicemico-iperosmolare non chetosico (NonKetotic Hyperglycemic-
Hyperosmolar Coma, NKHHC). Le complicanze microvascolari tardive di comune
riscontro comprendono la retinopatia, la nefropatia e la neuropatia periferica e
autonomica. Le complicanze macrovascolari comprendono l'arteriopatia
aterosclerotica coronarica e periferica.

Classificazione e patogenesi

Le caratteristiche generali delle forme principali di DM sono elencate nella


Tab. 13-1.

DM di tipo I: sebbene possa insorgere a qualunque età, il DM di tipo I si sviluppa


più comunemente durante l'infanzia o l'adolescenza ed è la forma predominante
di DM diagnosticato prima dei 30 anni. Questo tipo di diabete costituisce il 10-
15% di tutti i casi di DM ed è caratterizzato clinicamente da iperglicemia e
tendenza alla DKA. Il pancreas produce insulina in quantità molto scarsa o nulla.

Circa l'80% dei pazienti con DM di tipo I è portatore di specifici fenotipi HLA
associati con la presenza nel siero di anticorpi diretti contro componenti
citoplasmatiche e componenti di superficie delle cellule insulari (anticorpi contro
la decarbossilasi dell'acido glutammico e contro l'insulina vengono ritrovati più o
meno nella stessa percentuale di casi).

In questi pazienti, il DM di tipo I è la conseguenza di una distruzione selettiva


immuno-mediata di più del 90% delle cellule b insulino-secernenti, alla quale essi
sono geneticamente predisposti. Le loro insule pancreatiche mostrano la
presenza di insulite, che è caratterizzata da infiltrazione di linfociti T
accompagnati da macrofagi e linfociti B e dalla perdita della maggior parte delle
cellule b, senza coinvolgimento delle cellule a secernenti glucagone. Si ritiene

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

che nella distruzione delle cellule b il ruolo principale sia svolto da meccanismi
immunitari cellulo-mediati. Gli anticorpi presenti al momento della diagnosi
solitamente diventano indosabili a distanza di alcuni anni. Essi potrebbero
costituire soprattutto una risposta al danno delle cellule b, ma alcuni sono
citotossici per queste cellule e possono contribuire alla loro distruzione. In alcuni
pazienti l'esordio clinico del DM di tipo I può avvenire a distanza di anni dall'inizio
inapparente del processo autoimmunitario sottostante. La ricerca di questi
anticorpi è stata inclusa in numerosi studi di prevenzione attualmente in corso.

Nelle popolazioni di razza bianca esiste una forte associazione tra il DM di tipo I
diagnosticato prima dei 30 anni di età e specifici fenotipi HLA-D (HLA-DR3, HLA-
DR4 e HLA-DR3/ HLA-DR4). Si ritiene che uno o più geni responsabili della
suscettibilità al DM di tipo I siano localizzati in prossimità o in corrispondenza del
locus HLA-D sul cromosoma 6. Specifici alleli HLA-DQ sembrano essere più
strettamente correlati, rispetto agli antigeni HLA-D, al rischio di sviluppare un DM
di tipo I o alla possibilità di risultare protetti nei suoi confronti e i dati suggeriscono
che la suscettibilità genetica al DM di tipo I è probabilmente poligenica. Solo dal
10 al 12% dei bambini con diagnosi recente di DM di tipo I ha un parente di primo
grado affetto dalla malattia e il tasso di concordanza per questa forma di diabete
nei gemelli monozigoti è _ 50%. Pertanto, in aggiunta alla predisposizione
genetica, fattori ambientali condizionano lo sviluppo del DM di tipo I. Tali fattori
potrebbero essere virus (rosolia congenita, parotite e virus coxsackie B possono
promuovere la distruzione autoimmunitaria delle cellule b) e l'allattamento con
latte vaccino invece che con latte materno durante l'infanzia (una specifica
sequenza dell'albumina presente nel latte vaccino può reagire in maniera
crociata con le proteine insulari). Nell'esposizione a essi potrebbero avere un
ruolo alcuni fattori geografici, dal momento che l'incidenza del DM di tipo I è
particolarmente elevata in Finlandia e in Sardegna.

DM di tipo II: il DM di tipo II è la forma di diabete diagnosticata abitualmente nei


pazienti di età superiore a 30 anni, ma può comparire anche nei bambini e negli
adolescenti. Esso è caratterizzato clinicamente da iperglicemia e resistenza
all'insulina; la DKA è rara. Sebbene la maggior parte dei pazienti venga trattata
con la dieta, l'esercizio fisico e gli antidiabetici orali, alcuni necessitano in modo
saltuario o permanente dell'insulina per controllare l'iperglicemia sintomatica e
prevenire il NKHHC. Il tasso di concordanza per il DM di tipo II nei gemelli
monozigoti è > 90%. Esso è generalmente associato all'obesità, specialmente
della parte superiore del corpo (viscero-addominale), e spesso compare dopo un
periodo di incremento ponderale. L'alterazione della tolleranza al glucoso
associata all'invecchiamento è strettamente correlata al tipico incremento
ponderale. I pazienti affetti da DM di tipo II con obesità viscero-addominale
possono tornare a livelli di glicemia normali dopo aver perso peso.

Il DM di tipo II è in realtà un gruppo eterogeneo di disordini nei quali l'iperglicemia


è il risultato sia di un'alterazione della risposta secretoria insulinica al glucoso sia
di una riduzione della capacità dell'insulina di stimolare la captazione del glucoso
da parte del muscolo scheletrico e di inibire la produzione di epatica glucoso
(resistenza all'insulina). Tuttavia, il fenomeno della resistenza all'insulina è
molto diffuso e la maggior parte dei pazienti con insulino-resistenza non sviluppa
il diabete, poiché l'organismo vi si adatta aumentando opportunamente la
secrezione dell'ormone. La resistenza all'insulina che si osserva nella forma
comune del DM di tipo II non è il risultato di alterazioni genetiche del recettore
insulinico o del meccanismo di trasporto del glucoso. Ciò nonostante, è probabile
che vi svolgano un ruolo alterazioni post-recettoriali intracellulari determinate
geneticamente. L'iperinsulinemia che ne deriva può portare alla comparsa di altre
frequenti condizioni, come l'obesità (addominale), l'ipertensione, l'iperlipidemia e
la malattia coronarica (sindrome da insulino-resistenza).

I fattori genetici sembrano essere i principali determinanti per lo sviluppo del DM


di tipo II, anche se non è stata dimostrata alcuna associazione tra questa forma
della malattia e specifici fenotipi HLA o anticorpi citoplasmatici contro le cellule
insulari. (Un'eccezione è rappresentata da un sottogruppo di adulti non obesi con
presenza di anticorpi citoplasmatici contro le cellule insulari, i quali sono portatori
di uno dei fenotipi HLA e possono alla fine sviluppare un DM di tipo I.)

Nel DM di tipo II le insule pancreatiche mantengono una proporzione tra cellule b

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

e cellule a pressoché normale e una massa b-cellulare normale sembra essere


conservata nella maggior parte dei pazienti. In un'elevata percentuale di pazienti
con DM di tipo II si dimostra all'esame autoptico la presenza di amiloide nelle
insule pancreatiche, derivante dalla deposizione di amilina, ma la sua relazione
con la patogenesi della malattia non è stata chiaramente stabilita.

Prima che il diabete si sviluppi, i pazienti generalmente perdono la risposta


secretoria insulinica precoce al glucoso e possono secernere quantità
relativamente elevate di proinsulina. Nel diabete ormai stabilitosi, sebbene i livelli
plasmatici di insulina a digiuno possano essere normali o anche aumentati nei
pazienti con DM di tipo II, la secrezione insulinica indotta dal glucoso è
chiaramente diminuita. I bassi livelli insulinici riducono la captazione del glucoso
mediata dall'insulina e sono insufficienti a contenere la produzione epatica di
glucoso.

L'iperglicemia può essere non solo una conseguenza,ma anche una causa di
ulteriore diminuzione della tolleranza al glucoso nel paziente diabetico (tossicità
da glucoso), perché essa diminuisce la sensibilità all'insulina e aumenta la
produzione epatica di glucoso. Appena il controllo metabolico del paziente
migliora, la dose di insulina o di ipoglicemizzanti viene solitamente diminuita.

Alcuni casi di DM di tipo II si verificano in giovani adolescenti non obesi (diabete


giovanile di tipo adulto [Maturity-Onset Diabetes of the Young, MODY]) con
ereditarietà autosomica dominante. Molte famiglie con MODY hanno una
mutazione a livello del gene per la glucochinasi. In questi pazienti è stata
dimostrata la presenza di alterazioni della secrezione insulinica e della
regolazione del glucoso epatico.

Insulinopatie: alcuni rari casi di DM con le caratteristiche cliniche del DM di tipo II


derivano dalla trasmissione ereditaria eterozigote di un gene difettivo,
responsabile della secrezione di un'insulina che non si lega normalmente al suo
recettore. Questi pazienti hanno livelli plasmatici estremamente elevati di insulina
immunoreattiva associati con risposte glicemiche normali all'insulina esogena.

Diabete dovuto a malattie pancreatiche: la pancreatite cronica, in particolare


negli alcolisti, è frequentemente associata al diabete. Tali pazienti perdono sia le
insule che secernono insulina sia quelle che secernono glucagone. Pertanto, essi
possono essere lievemente iperglicemici e sensibili a basse dosi di insulina. Data
l'assenza di una controregolazione efficace (l'insulina esogena non viene
contrastata dal glucagone), essi vanno spesso incontro a ipoglicemia a rapida
insorgenza. In Asia, in Africa e nei Caraibi, il DM è di comune riscontro in pazienti
giovani marcatamente denutriti affetti da grave malnutrizione proteica e malattia
pancreatica; questi pazienti non hanno tendenza alla DKA, ma possono
necessitare di terapia insulinica.

Diabete associato ad altre patologie endocrine: il DM di tipo II può essere


secondario alla sindrome di Cushing, all'acromegalia, al feocromocitoma, al
glucagonoma, all'iper-aldosteronismo primitivo o al somatostatinoma. La maggior
parte di questi disordini è associata a una resistenza periferica epatica all'insulina
e molti pazienti diventano diabetici non appena viene compromessa anche la
secrezione dell'ormone. La prevalenza del DM di tipo I è aumentata nei pazienti
affetti da alcune malattie endocrine su base autoimmunitaria, p. es., il morbo di
Graves, la tiroidite di Hashimoto e la forma idiopatica del morbo di Addison.

Diabete insulino-resistente associato ad acanthosis nigricans (sindromi da


resistenza insulinica di tipo A e di tipo B): due rare sindromi sono dovute alla
marcata insulino-resistenza a livello del recettore per l'insulina che si osserva
nell'acanthosis nigricans. Questa malattia consiste in un'iperpigmentazione di
consistenza vellutata localizzata al collo, alle ascelle e all'inguine ed è
probabilmente la manifestazione cutanea di una grave iperinsulinemia cronica. Il
tipo A è la conseguenza di alterazioni genetiche a carico del recettore per
l'insulina. Il tipo B è dovuto ad anticorpi circolanti diretti contro questo recettore e
può essere associato con la presenza di altre patologie autoimmunitarie.

Diabete lipoatrofico: questa è una sindrome rara nella quale il DM insulino-


resistente è associato a un'estesa scomparsa simmetrica o pressoché completa

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

del tessuto adiposo sottocutaneo. Essa è stata messa in relazione con alterazioni
genetiche del recettore insulinico.

Diabete indotto da sostanze tossiche per le cellule b: il vacor, un topicida


comunemente utilizzato in Corea nei tentativi di suicidio, è citotossico per le
insule pancreatiche umane ed è in grado di provocare l'insorgenza di DM di tipo I
nei sopravvissuti. La streptozocina può indurre la comparsa di un diabete
sperimentale nei ratti, ma raramente è causa di diabete nell'uomo.

Sintomi e segni

Il DM ha diverse modalità di esordio. Il tipo I esordisce solitamente con


un'iperglicemia sintomatica o una DKA. Il tipo II può presentarsi con
un'iperglicemia sintomatica o un NKHHC, ma viene frequentemente
diagnosticato in soggetti asintomatici durante un controllo medico di routine,
oppure quando i pazienti si presentano con le manifestazioni cliniche di una
complicanza tardiva.

Spesso, dopo l'esordio acuto del DM di tipo I, si osserva una secrezione di


insulina ancora consistente. I pazienti con questa forma di diabete possono
andare incontro a un periodo, chiamato di "luna di miele", caratterizzato da una
lunga fase durante la quale la glicemia rimane pressoché normale anche in
assenza di qualunque terapia.

Iperglicemia sintomatica: quando l'innalzamento dei livelli di glucoso plasmatico


causa glicosuria marcata e diuresi osmotica, con conseguente disidratazione,
compare poliuria seguita da polidipsia e perdita di peso. L'iperglicemia può inoltre
provocare annebbiamenti della vista, astenia e nausea e favorire la comparsa di
varie infezioni fungine e batteriche. Nel DM di tipo II l'iperglicemia sintomatica
può persistere per giorni o settimane prima che venga richiamata l'attenzione del
medico; nelle donne, il DM di tipo II con iperglicemia sintomatica è
frequentemente associato a prurito dovuto a candidosi vaginale.

Complicanze tardive: le complicanze tardive compaiono diversi anni dopo che si


è stabilita un'iperglicemia scarsamente controllata. I livelli di glucoso sono
aumentati in tutte le cellule, tranne in quelle in cui la sua captazione è mediata
dall'insulina (principalmente il tessuto muscolare), con conseguente aumento
della glicosilazione e dell'attività di altre vie metaboliche, che può essere causato
dalle complicanze. La maggior parte delle complicanze microvascolari può
essere ritardata, prevenuta o anche fatta regredire mediante uno stretto controllo
della glicemia, cioè ottenendo livelli di glucoso a digiuno e postprandiali
pressoché normali, cui conseguono concentrazioni praticamente normali di
emoglobina glicosilata (Hb A1c). La patologia macrovascolare come
l'aterosclerosi può condurre a coronaropatia sintomatica, claudicatio, necrosi
cutanee e infezioni. Sebbene l'iperglicemia possa accelerare l'aterosclerosi, molti
anni di iperinsulinemia prima della comparsa del diabete (con insulino-resistenza)
possono svolgere un ruolo fondamentale come iniziatori. La necessità
dell'amputazione di un arto inferiore a causa di una grave vasculopatia periferica
con claudicatio intermittens e gangrena rimane un'evenienza comune. La
retinopatia di fondo (le modificazioni iniziali della retina osservate all'esame
oftalmoscopico o con le fotografie retiniche) non altera la capacità visiva in
maniera significativa, ma può evolvere verso l'edema maculare o la retinopatia
proliferativa con distacco o emorragia retinica, che può provocare cecità. Circa
l'85% di tutti i diabetici sviluppa alla fine un certo grado di retinopatia (v.
Retinopatia diabetica nel Cap. 99).

La nefropatia diabetica si sviluppa in circa un terzo dei pazienti con DM di tipo I e


in una percentuale minore di quelli con DM di tipo II. Nei pazienti con DM di tipo I,
la GFR inizialmente può essere aumentata con l'iperglicemia. Dopo circa 5 anni
di malattia, può comparire un'albuminuria clinicamente evidente (_ 300 mg/l) che
non trova spiegazione in altre patologie dell'apparato urinario. L'albuminuria è il
segnale di una progressiva riduzione della GFR, con un'elevata probabilità di
sviluppo di un'insufficienza renale allo stadio terminale entro un periodo di tempo

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

variabile fra i 3 e i 20 anni (mediana, 10 anni). L'albuminuria è quasi 2,5 volte più
elevata nei pazienti con DM di tipo I con PA diastolica > 90 mm Hg che in quelli
con PA diastolica < 70 mm Hg. Quindi, sia l'iperglicemia sia l'ipertensione
accelerano la progressione verso la nefropatia allo stadio terminale. La nefropatia
diabetica è solitamente asintomatica fino al momento in cui si sviluppa
un'insufficienza renale terminale, ma può essere causa di sindrome nefrosica.
L'albuminuria e la malattia renale possono essere prevenute o ritardate con il
captopril, un ACE-inibitore. Se il trattamento aggressivo dell'ipertensione
previene il deterioramento della funzione renale, gli ACE-inibitori hanno mostrato
di possedere vantaggi aggiuntivi rispetto alle altre classi di antiipertensivi. Essi
infatti prevengono la comparsa di proteinuria sia nei diabetici ipertesi sia nei non
ipertesi. Dati recenti suggeriscono che gli ACE-inibitori contribuiscano anche a
prevenire la retinopatia.

La neuropatia diabetica si presenta abitualmente come una polineuropatia


prevalentemente sensitiva, simmetrica, distale, la quale provoca deficit di
sensibilità che cominciano e sono di solito prevalentemente caratterizzati da una
distribuzione a calza e a guanto. Essa può causare intorpidimento, formicolii e
parestesie agli arti e, meno frequentemente, un dolore profondo intenso e
debilitante e iperestesie. I riflessi achillei sono di solito diminuiti o assenti.
Devono essere escluse altre cause di polineuropatia (v. Cap. 183). Le
mononeuropatie acute dolorose che colpiscono il III, il IV o il VI nervo cranico e
altri nervi come quello femorale, possono migliorare spontaneamente nel volgere
di settimane o mesi, insorgono con maggiore frequenza nei diabetici più anziani e
vengono attribuite a infarti dei nervi. La neuropatia autonomica insorge
principalmente nei diabetici con polineuropatia e può causare ipotensione
posturale, disturbi della sudorazione, impotenza ed eiaculazione retrograda negli
uomini, compromissione della funzione vescicale, ritardo dello svuotamento
gastrico (talvolta con dumping syndrome), disfunzioni esofagee, stipsi o diarrea e
diarrea notturna. Nei diabetici, una riduzione della risposta della frequenza
cardiaca alla manovra del Valsalva o all'ortostatismo e una mancanza di
variazione della frequenza cardiaca durante la respirazione profonda sono un
segno di neuropatia autonomica.

Le ulcere dei piedi e i problemi articolari sono cause importanti di morbilità nel
DM. La causa predisponente più importante è la polineuropatia diabetica: la
denervazione sensoriale compromette infatti la percezione dei traumi minori
provocati da cause banali come le scarpe che calzano male o i sassolini. Le
alterazioni della sensibilità propriocettiva conducono ad anomalie di distribuzione
del carico corporeo e talvolta allo sviluppo di un'artropatia di Charcot.

Il rischio di infezioni da funghi e batteri è aumentato a causa della depressione


dell'immunità cellulare provocata dall'iperglicemia acuta e dai deficit circolatori
indotti dall'iperglicemia cronica. Le infezioni cutanee periferiche e il mughetto
orale e vaginale sono le forme più frequenti. Un'infezione micotica può essere il
processo iniziale che porta alla formazione di lesioni interdigitali umide, rotture,
fissurazioni e ulcerazioni che favoriscono l'invasione batterica secondaria. I
pazienti con ulcere dei piedi infette spesso non sentono dolore a causa della
neuropatia e non hanno sintomi sistemici fino alle fasi avanzate di un decorso
che viene in genere trascurato. Le ulcere profonde, e particolarmente le ulcere
associate a una cellulite identificabile, richiedono il ricovero ospedaliero
immediato a causa del rischio di sviluppo di una tossicità sistemica e di
un'invalidità permanente. La presenza di un'osteomielite deve essere esclusa
mediante indagini radiografiche dell'osso. La pulizia chirurgica precoce è una
parte essenziale del trattamento, ma talvolta è necessaria l'amputazione.

Diagnosi

Nei pazienti asintomatici, la presenza di DM viene stabilita quando risulta


soddisfatto il criterio diagnostico per l'iperglicemia a digiuno raccomandato dal
National Diabetes Data Group (NDDG): un livello plasmatico (o sierico) di
glucoso _ 140 mg/dl (_ 7,77 mmol/l) dopo un digiuno di una notte, riscontrato in
due occasioni diverse, nell'adulto o nel bambino. Recentemente, l'American
Diabetes Association ha raccomandato che venga considerato diagnostico di DM

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

un livello plasmatico di glucoso > 126 mg/dl (> 6,99 mmol/l).

Un test di tolleranza al carico orale di glucoso (Oral Glucose Tolerance Test,


OGTT) può essere di aiuto per la diagnosi di DM di tipo II nei pazienti la cui
glicemia a digiuno è compresa tra 115 e 140 mg/dl (tra 6,38 e 7,77 mmol/l) e in
quelli con una condizione clinica che potrebbe essere correlata a un DM non
ancora diagnosticato (p. es., una polineuropatia, una retinopatia). Comunque,
varie condizioni diverse dal DM, come gli effetti di alcuni farmaci, e il normale
processo di invecchiamento possono provocare alterazioni del OGTT.

Il NDDG raccomanda anche i criteri per la diagnosi di ridotta tolleranza al


glucoso nei pazienti che non soddisfano i criteri diagnostici per il DM al OGTT. I
pazienti con ridotta tolleranza al glucoso possono avere un aumento del rischio di
sviluppare iperglicemia a digiuno o sintomatica, ma in molti pazienti tale
condizione non progredisce o si risolve. I criteri diagnostici del NDDG sono
illustrati nella Tab. 13-2.

Terapia

Considerazioni generali: il Diabetes Control and Complications Trial (DCCT) sul


IDDM ha dimostrato che l'iperglicemia è responsabile della maggior parte delle
complicanze microvascolari a lungo termine del diabete. Esso ha dimostrato
l'esistenza di una relazione lineare tra i livelli di Hb A1c (v. più avanti) e la
frequenza con la quale si erano sviluppate le complicanze. Altri studi hanno
suggerito che una Hb A1c < 8% costituisce una soglia al di sotto della quale la
maggior parte delle complicanze può essere prevenuta. Di conseguenza, la
terapia del DM di tipo I dovrebbe essere volta all'intensificazione del controllo
metabolico allo scopo di diminuire la Hb A1c evitando al contempo gli episodi
ipoglicemici. Tuttavia, il trattamento deve essere individualizzato e va modificato
quando le circostanze rendono inaccettabile il rischio di ipoglicemia (p. es., nei
pazienti con una ridotta aspettativa di vita e in quelli con malattie
cerebrovascolari o cardiache) oppure quando il rischio di ipoglicemia è
aumentato (p. es., nei pazienti instabili o con neuropatia autonomica).

Il trattamento dietetico volto alla riduzione del peso corporeo è particolarmente


importante nei pazienti sovrappeso con DM di tipo II. Se non si ottiene un
miglioramento dell'iperglicemia con i provvedimenti dietetici, bisogna avviare un
tentativo terapeutico con un farmaco ipoglicemizzante orale.

L'educazione del paziente, insieme alla dieta e all'esercizio fisico, è essenziale


per assicurare l'efficacia della terapia prescritta, per riconoscere le indicazioni
alla necessità di rivolgersi immediatamente a un medico e per garantire una cura
appropriata delle estremità inferiori. In occasione di ogni visita medica, il
paziente deve essere esaminato alla ricerca di sintomi o segni di complicanze,
compresi un controllo delle estremità inferiori, dello stato dei polsi arteriosi e della
sensibilità dei piedi e delle gambe e un dosaggio dell'albumina nelle urine. I
controlli periodici di laboratorio comprendono l'assetto lipidico, l'azotemia e la
creatininemia, l'ECG e una visita oculistica completa annuale (v. Retinopatia
diabetica nel Cap. 99).

Poiché i diabetici hanno un aumento del rischio di insufficienza renale acuta, gli
esami radiologici che richiedono l'iniezione EV di mezzi di contrasto devono
essere eseguiti soltanto in caso di assoluta necessità e solo quando il paziente è
ben idratato.

L'ipercolesterolemia o l'ipertensione aumentano il rischio di complicanze


specifiche tardive e richiedono un'attenzione particolare e un trattamento
adeguato (v. Cap. 15 e 199). Sebbene i b-bloccanti (p. es., il propranololo)
possano essere utilizzati con tranquillità nella maggior parte dei diabetici, essi
possono mascherare la sintomatologia b-adrenergica dell'ipoglicemia indotta

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

dall'insulina e possono alterare la normale risposta controregolatoria. Di


conseguenza, i farmaci di elezione sono spesso gli ACE-inibitori e i
calcioantagonisti.

Controllo della glicemia: tutti i pazienti devono imparare a controllare da soli la


glicemia e i pazienti in trattamento insulinico devono essere istruiti a regolare le
dosi di insulina in base ai valori riscontrati. La glicemia può essere misurata con
gli analizzatori domestici di impiego immediato utilizzando una goccia di sangue
prelevata per puntura dal polpastrello. Per ottenere il campione si consiglia di
usare una lancetta a molla. La frequenza dei prelievi viene stabilita caso per
caso. Idealmente, i pazienti diabetici in trattamento insulinico dovrebbero dosare
il loro glucoso plasmatico ogni giorno prima dei pasti, da 1 a 2 ore dopo i pasti e
prima del riposo notturno. Tuttavia, in pratica, si possono effettuare ogni giorno in
orari differenti da 2 a 4 misurazioni, in modo che dopo circa una settimana di
trattamento sia possibile una valutazione complessiva.

La maggior parte dei medici esegue periodicamente il dosaggio dell'emoglobina


glicosilata (Hb A1c) per avere un'idea del controllo della glicemia nei precedenti
1-3 mesi. La Hb A1c è il prodotto stabile della glicosilazione non enzimatica della
catena J dell'Hb da parte del glucoso plasmatico e viene prodotta in quote
proporzionalmente maggiori con il crescere della glicemia. Nella maggior parte
dei laboratori, il valore normale della Hb A1c è intorno al 6%; nei diabetici
scarsamente compensati i livelli oscillano fra il 9 e il 12%. La determinazione
della Hb A1c non è un test specifico per la diagnosi di diabete; tuttavia, un'elevata
Hb A1c indica spesso la presenza di diabete.

Un altro test è quello del dosaggio dei livelli di fruttosamina. La fruttosamina si


forma grazie a una reazione chimica tra il glucoso e le proteine plasmatiche ed è
un indice del controllo glicemico nelle precedenti 1-3 settimane. Quindi, questo
test può mettere in evidenza una modificazione del controllo glicemico prima di
quanto faccia l'Hb A1c ed è spesso utile quando è in corso una terapia intensiva e
nei trial clinici a breve termine.

I pazienti affetti da DM di tipo I devono essere istruiti sull'esecuzione dei test per
i corpi chetonici urinari con le striscie reattive disponibili in commercio e si
deve raccomandare loro di determinare i corpi chetonici urinari ogni volta che
manifestano sintomi di raffreddore, influenza o altre malattie intercorrenti,
nausea, vomito, dolori addominali o poliuria, oppure se riscontrano un livello di
glicemia inaspettatamente alto durante una delle autodeterminazioni. Il dosaggio
dei corpi chetonici in tutti i campioni di urina è raccomandato nei pazienti con DM
di tipo I che mostrano fluttuazioni notevoli, repentine e durature del loro grado di
iperglicemia.

Insulina: quando si comincia una terapia insulinica si preferisce spesso l'insulina


umana, perché è meno antigenica di quelle di origine animale (v. anche la
trattazione sulla resistenza all'insulina, più avanti). Tuttavia livelli misurabili di
anticorpi anti-insulina, solitamente molto bassi, si sviluppano nella maggior parte
dei pazienti in trattamento, compresi quelli che fanno uso di preparazioni a base
di insulina umana.

L'insulina viene comunemente fornita in preparazioni contenenti 100 U/ml


(insulina U-100)(In Italia anche 40 U/ml, fino al 1 Marzo 2000)e viene iniettata per
via sottocutanea con apposite siringhe monouso. Le siringhe da 1/2 ml vengono
in genere preferite dai pazienti che di regola assumono dosi _ 50 U, perché sono
più facili da leggere e semplificano la misurazione accurata delle dosi più piccole.
Un dispositivo per l'iniezione di dosi multiple di insulina ( ad es. Novopen),
comunemente noto come penna a insulina, è predisposto per utilizzare una
cartuccia contenente le dosi relative a diversi giorni di terapia. L'insulina deve
essere mantenuta in frigorifero ma mai congelata; in ogni caso, la maggior parte
delle preparazioni insuliniche è stabile a temperatura ambiente per diversi mesi, il
che ne facilita l'impiego sul luogo di lavoro e durante i viaggi.

Le preparazioni di insulina sono classificate ad azione breve (azione rapida), ad


azione intermedia o ad azione prolungata. I valori abituali dell'inizio dell'azione,
del tempo di picco e della durata d'azione delle preparazioni più comunemente

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

impiegate sono elencati nella Tab. 13-3; questi dati vanno utilizzati solo come
riferimento approssimativo, poiché esiste una considerevole variabilità tra un
individuo e l'altro e anche con dosi differenti della stessa preparazione nello
stesso paziente. Il fattore decisivo che determina l'inizio e la durata di azione di
una preparazione insulinica è il tasso di assorbimento dell'insulina dalla sede di
iniezione.

L'insulina ad azione rapida comprende l'insulina regolare, che è una


preparazione di cristalli di zinco-insulina in sospensione; l'insulina regolare è la
sola preparazione insulinica che può essere somministrata EV. La Lispro, una
forma di insulina regolare ottenuta con tecniche di ingegneria genetica per
sostituzione di un aminoacido, assicura un assorbimento più rapido dell'ormone e
quindi può essere somministrata con il cibo. L'insulina semilenta è un'insulina ad
azione rapida leggermente più rallentata, contenente microcristalli di zinco-
insulina in un tampone acetato. L'insulina ad azione intermedia comprende la
protamina neutra di Hagedorn, che contiene una miscela stechiometrica di
insulina regolare e di insulina zinco-ptotamina, e la lenta, che contiene il 30% di
insulina semilenta e il 70% di insulina ultralenta in tampone acetato. L'insulina
zinco-protamina ad azione prolungata contiene insulina caricata negativamente,
combinata con un eccesso di protamina di sperma di pesce caricato
positivamente. L'insulina ultralenta contiene grandi cristalli di zinco-insulina in
tampone acetato.

Miscele di preparazioni insuliniche con differente inizio e durata d'azione


vengono frequentemente somministrate in un'unica iniezione, aspirando con la
stessa siringa dosi calibrate di due preparazioni diverse immediatamente prima
dell'uso. Le ditte produttrici raccomandano che la semilenta venga mescolata
esclusivamente con la lenta o l'ultralenta, in modo da mantenere la stessa
soluzione tampone. Tuttavia, dosi singole di insulina regolare e di insulina
protamina neutra di Hagedorn o insulina lenta vengono comunemente aspirate
nella stessa siringa per combinare in un'unica iniezione l'insulina ad azione
rapida e quella ad azione intermedia. è anche disponibile una preparazione
contenente una miscela del 70% di insulina protamina neutra di Hagedorn e
del 30% di insulina regolare umana semisintetica (Actraphane 30/70 o Humulin
30/70), ma la sua proporzione fissa tra insulina ad azione rapida e ad azione
intermedia potrebbe renderne l'uso piuttosto limitato (in Italia sono disponibili
anche altre preparazioni premiscelate: 10/90, 20/80, 40/60 e 50/50, n.d.t.).
L'insulina zinco-protamina deve sempre essere iniettata separatamente, poiché
contiene un eccesso di protamina.

Inizio della terapia insulinica negli adulti: nel DCCT, ai pazienti con DM di
tipo I è stata somministrata una dose totale media di circa 40 U di insulina al
giorno. Poiché i pazienti con DM di tipo II sono insulino-resistenti, essi
necessitano di una dose di insulina superiore. Quindi, coloro che sono
gravemente iperglicemici e obesi devono partire da una dose di circa 40 U di
insulina al giorno. La dose giornaliera totale iniziale può essere frazionata in
modo che la metà venga somministrata prima di colazione, 1/4 prima di cena e
1/4 prima di coricarsi. A causa della marcata resistenza all'insulina, i pazienti con
DM di tipo II possono richiedere dosi due volte maggiori e spesso anche
superiori. Dopo che è stata scelta la dose iniziale, vengono regolati le quantità, i
tipi di insulina e i tempi di somministrazione sulla base delle determinazioni della
glicemia. La dose viene regolata in modo da mantenere il glucoso plasmatico
preprandiale tra gli 80 e i 150 mg/dl (tra le 4,44 e le 8,33 mmol/l). Gli aumenti del
dosaggio dell'insulina vengono in genere contenuti entro il 10% per volta e prima
di stabilire qualunque aumento ulteriore ne vengono valutati gli effetti per circa
3 gg. Modificazioni più rapide dell'insulina regolare sono indicate qualora esista il
rischio incombente di un'ipoglicemia.

Inizio della terapia insulinica nei bambini: i bambini che si presentano in uno
stadio precoce di DM di tipo I con iperglicemia moderata ma senza chetonuria o
acidosi possono cominciare con una singola iniezione sottocutanea giornaliera di
0,3-0,5 U/kg di sola insulina ad azione intermedia. Nei bambini che si presentano
con iperglicemia e chetonuria ma che non sono acidotici o disidratati si può
cominciare con 0,5-0,7 U/kg di insulina ad azione intermedia e aggiungere in
seguito iniezioni sottocutanee di 0,1 U/kg di insulina regolare a intervalli di 4-6 h.
Le dosi di insulina sono regolate di solito in modo da mantenere i livelli plasmatici
preprandiali di glucoso tra gli 80 e i 150 mg/dl (tra le 4,44 e le 8,33 mmol/l) o

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

talvolta tra gli 80 e i 120 mg/dl (tra le 4,44 e le 6,66 mmol/l).

Regimi posologici insulinici: l'obiettivo della terapia insulinica è quello di


controllare i picchi iperglicemici postprandiali e di assicurare livelli glicemici basali
in grado di mantenere un metabolismo glucidico normale. I regimi posologici
devono essere sempre individualizzati e alcuni pazienti diabetici otterranno uno
stretto controllo metabolico solo con regimi altamente personalizzati. In ogni
caso, l'approccio deve comprendere:

1. Insulina ad azione intermedia al momento di coricarsi. Ciò facilita il


controllo della produzione epatica notturna di glucoso. Cominciare la giornata con
livelli mattutini di glucoso più bassi migliora la tolleranza al glucoso per tutto il
giorno. La somministrazione di insulina al momento di coricarsi è associata a un
minor aumento ponderale rispetto alla sola somministrazione insulinica diurna.
L'insulina prima di coricarsi costituisce inoltre un modo razionale di cominciare la
terapia insulinica nei pazienti con DM di tipo II che non ottengono un buon
controllo con i soli antidiabetici orali.

2. Insulina miscelata prima di colazione. Essa viene spesso realizzata con una
miscela costituita da circa il 30% di insulina ad azione rapida e il 70% di insulina
ad azione intermedia. La maggior parte dei diabetici necessita di circa la metà
della dose insulinica giornaliera prima di colazione.

3. Insulina regolare prima di pranzo e prima di cena. Per un controllo stretto,


prima dei pasti devono essere assunte dosi supplementari di insulina ad azione
rapida. La dose deve essere assunta da 15 a 30 minuti prima del pasto per
l'insulina regolare o la semilenta e durante il pasto per la Lispro.

Iniezioni sottocutanee multiple di insulina: esse hanno lo scopo di mantenere


livelli plasmatici di glucoso normali o quasi normali durante l'intera giornata nei
pazienti con DM di tipo I. Tale trattamento può aumentare il rischio di gravi e
frequenti episodi di ipoglicemia. I pazienti devono essere altamente motivati, ben
istruiti sulla malattia, informati dei rischi e degli incerti benefici, esperti
nell'autodeterminazione della glicemia e sotto la supervisione di un medico con
buona esperienza sull'uso del metodo. In un regime insulinico tipico con iniezioni
sottocutanee multiple, circa il 25% della dose totale giornaliera viene
somministrato come insulina ad azione intermedia al momento di coricarsi, con
dosi aggiuntive di insulina ad azione rapida prima di ogni pasto (regime a quattro
dosi). I pazienti con DM di tipo I possono avere bisogno di insulina ad azione
intermedia o prolungata al mattino per ottenere la copertura di tutta la giornata. Il
paziente regola il dosaggio giornaliero sulla base dell'autodeterminazione della
glicemia prima di ogni pasto e al momento del riposo notturno; almeno una volta/
sett. viene controllato il livello del glucoso plasmatico tra le 2 e le 4 del mattino.

Infusione sottocutanea continua di insulina: questa modalità di trattamento


insulinico intensivo nei pazienti affetti da DM di tipo I implica l'uso di una piccola
pompa di infusione a batterie che consente un'infusione sottocutanea continua di
insulina ad azione rapida attraverso un piccolo ago, solitamente inserito nella
parete addominale. La pompa è programmata per infondere una determinata
quota basale di insulina, integrata prima di ogni pasto da quote aggiuntive
predeterminate o stimolate manualmente. Il paziente misura la glicemia diverse
volte al giorno per regolare il dosaggio. Il controllo metabolico che si può ottenere
con questo metodo è superiore a quello ottenuto con le iniezioni multiple. Gli
episodi ipoglicemici sono frequenti con la terapia mediante pompa di infusione
continua, specialmente durante la stabilizzazione del controllo metabolico.
Tuttavia, una volta che il controllo è stato ottenuto, l'impiego delle pompe non è
associato con l'ipoglicemia più di quanto lo siano le iniezioni multiple. Gli impianti
sperimentali di pompe da infusione e di dispositivi intraperitoneali di rilascio
dell'insulina nel sistema portale potrebbero dimostrarsi ancora più efficaci.
Tuttavia, la presenza dell'ago a dimora aumenta il rischio di infezioni nelle sedi di
inserzione.

Trattamento insulinico del diabete instabile: i diabetici instabili sono pazienti


con DM di tipo I che mostrano frequenti e improvvise oscillazioni dei livelli
glicemici senza una causa evidente.

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

Il diabete instabile è comune soprattutto nei pazienti che non possiedono


capacità secretoria insulinica residua. I processi metabolici attraverso i quali
l'insulina influenza i livelli plasmatici del glucoso, degli acidi grassi liberi legati
all'albumina e dei corpi chetonici sono normalmente regolati da spostamenti
dell'equilibrio tra gli effetti dell'insulina e gli effetti opposti del glucagone (nel
fegato) e del sistema nervoso autonomo adrenergico. Questi meccanismi
controregolatori sono modulati in maniera indipendente e di norma la loro attività
aumenta durante il digiuno, l'esercizio fisico e altre condizioni che richiedono una
protezione contro l'ipoglicemia. Le dosi di insulina devono essere adeguate a fare
fronte a un aumento improvviso dell'attività dei meccanismi controregolatori e a
prevenire il rapido sviluppo di iperglicemia sintomatica e iperchetonemia, ma ciò
produce di frequente un eccesso transitorio di insulina plasmatica.

Molti di questi pazienti migliorano quando il loro trattamento viene convertito in un


regime insulinico sottocutaneo multiplo modificato, che fornisce la maggior parte
dell'insulina giornaliera come insulina ad azione rapida prima di ogni pasto in
dosaggi regolati quotidianamente, con piccole dosi di insulina ad azione
intermedia al mattino, prima del pasto serale o al momento di coricarsi. Lo scopo
non è quello di mantenere la glicemia diurna entro un ambito quasi normale,
bensì di stabilizzarne le fluttuazioni in un intervallo che prevenga l'iperglicemia e
l'ipoglicemia sintomatiche.

Complicanze del trattamento insulinico: l'ipoglicemia (v. più avanti) può


verificarsi a causa di un errore nel dosaggio dell'insulina, a causa di un pasto
scarso o saltato, o di un'attività fisica non programmata (i pazienti vengono di
solito istruiti a ridurre la dose di insulina o aumentare l'introito di carboidrati prima
di un esercizio fisico programmato) oppure senza un motivo evidente. Ai pazienti
viene insegnato a riconoscere i sintomi dell'ipoglicemia, la quale di solito
risponde prontamente all'ingestione di zucchero. Tutti i diabetici devono portare
con sé caramelle, zollette di zucchero o tavolette di glucoso. Un cartellino di
identificazione, un braccialetto o una collana recanti l'indicazione che il paziente
è un diabetico in trattamento insulinico aiutano nel riconoscimento di
un'ipoglicemia in condizioni di emergenza. Ai membri più stretti della famiglia
deve essere insegnato a somministrare glucagone mediante un dispositivo per
iniezioni di facile utilizzo. Il personale medico di emergenza, dopo aver
confermato la presenza di ipoglicemia mediante uno stick glucometrico, deve
iniziare il trattamento con l'iniezione rapida in bolo di 25 ml di soluzione glucosata
al 50%, seguita dall'infusione EV continua di glucoso.

L'effetto alba si riferisce alla normale tendenza del glucoso plasmatico ad


aumentare nelle prime ore del mattino prima della colazione, fenomeno che è
spesso esagerato nei pazienti con DM di tipo I e in alcuni pazienti con DM di
tipo II. I livelli di glucoso a digiuno aumentano a causa di un incremento della
produzione epatica di glucoso, che può essere secondario al picco notturno
dell'ormone della crescita. In alcuni pazienti con DM di tipo I, l'ipoglicemia
notturna può essere seguita da un notevole aumento dei livelli plasmatici di
glucoso a digiuno con aumento dei chetoni plasmatici (effetto Somogyi). Quindi,
sia l'effetto alba sia l'effetto Somogyi sono caratterizzati da iperglicemia
mattutina, ma il secondo è dovuto a un'iperglicemia di rimbalzo
(controregolatoria). La frequenza con la quale l'effetto Somogyi si verifica
effettivamente è controversa. Quando se ne sospetta l'esistenza, il paziente deve
svegliarsi tra le 2 e le 4 del mattino per controllare la glicemia. Se al momento di
coricarsi viene somministrata insulina ad azione intermedia, l'effetto alba e
l'effetto Somogyi possono spesso essere evitati.

Le reazioni allergiche locali nella sede delle iniezioni di insulina sono meno
frequenti con le insuline purificate suine e umane. Queste reazioni possono
produrre dolore e bruciore immediati, seguiti dopo qualche ora da eritema, prurito
e indurimento locale, quest'ultimo talvolta perdurante per giorni. La maggior parte
delle reazioni regredisce spontaneamente dopo alcune settimane di iniezioni
continuate di insulina e non richiede un trattamento specifico, sebbene qualche
volta vengano usati gli antiistaminici.

L'allergia generalizzata all'insulina (di solito alla molecola dell'insulina) è rara,


ma può insorgere quando il trattamento viene sospeso e poi ripreso dopo un
periodo di tempo di mesi o anni. Reazioni del genere possono aver luogo con

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

qualunque tipo di insulina, compresa l'insulina biosintetica umana. I sintomi di


solito insorgono poco dopo un'iniezione e possono comprendere orticaria,
angioedema, prurito, broncospasmo e, in alcuni casi, collasso circolatorio. Il
trattamento antiistaminico può essere sufficiente, ma può rendersi necessaria la
somministrazione di glucocorticocoidi EV e di adrenalina. Qualora dopo la
stabilizzazione delle condizioni cliniche sia necessario istituire una terapia
insulinica continuativa, un medico esperto di questi problemi deve eseguire i test
cutanei con una serie di preparazioni insuliniche purificate e portare a termine un
programma di desensibilizzazione.

La resistenza all'insulina consiste in un aumento delle richieste di insulina a


livelli _ 200 U/die ed è associata a notevoli incrementi della capacità insulino-
legante del plasma. La maggior parte dei pazienti trattati con insulina per un
periodo _ 6 mesi sviluppa anticorpi contro l'insulina. L'antigenicità relativa delle
preparazioni di insulina purificata è, nell'ordine, bovina > suina > umana, ma la
risposta individuale viene influenzata anche da fattori genetici. Gli anticorpi
leganti l'insulina presenti in circolo possono modificare la farmacocinetica
dell'insulina libera, ma il trattamento non ne viene di solito influenzato
negativamente. Nei pazienti con insulino-resistenza, il passaggio all'insulina
purificata suina o umana può ridurre il fabbisogno dell'ormone. La remissione può
essere spontanea oppure indotta in alcuni pazienti con DM di tipo II che possono
sospendere la terapia insulinica per un periodo di 1-3 mesi. Il prednisone può far
diminuire il fabbisogno di insulina entro 2 sett.; il trattamento di solito viene
cominciato con circa 30 mg bid e il dosaggio viene ridotto parallelamente alla
diminuzione delle richieste.

L'atrofia o l'ipertrofia locale del tessuto adiposo in corrispondenza delle sedi


di iniezione sono fenomeni relativamente rari e di solito migliorano con il
passaggio all'insulina umana ed evitando la sua iniezione direttamente nell'area
colpita. Per l'ipertrofia locale del tessuto adiposo non è necessario alcun
trattamento specifico, ma le sedi di iniezione devono essere alternate.

Farmaci antidiabetici orali: questi farmaci vengono utilizzati per il DM di tipo II


ma non per quello di tipo I, poiché non sono in grado di prevenire l'iperglicemia
sintomatica o la DKA nei pazienti affetti da quest'ultimo. Gli ipoglicemizzanti orali
sono rappresentati dalle sulfaniluree. Gli ipoglicemizzanti orali sono le biguanidi,
gli inibitori dell'a-glucosidasi e i sensibilizzanti all'insulina (tiazolidindioni
["glitazoni"]). Le caratteristiche dei farmaci antidiabetici orali sono mostrate nella
Tab. 13-4.

Sulfaniluree: le sulfaniluree abbassano i livelli glicemici principalmente


stimolando la secrezione di insulina. Effetti secondari sul miglioramento della
sensibilità all'insulina a livello periferico ed epatico possono essere dovuti alla
diminuzione sia della tossicità del glucoso sia della clearance dell'insulina. Le
sulfaniluree differiscono tra loro quanto a potenza e durata d'azione (v. Tab. 13-
4). Tutte le sulfaniluree vengono metabolizzate nel fegato, ma solo la tolbutamide
e la tolazamide sono inattivate esclusivamente a questo livello. Circa il 30% della
clorpropamide viene normalmente escreto con le urine e il principale metabolita
epatico dell'acetoesamide è altamente attivo e viene escreto con le urine;
entrambi i farmaci comportano un aumento del rischio di ipoglicemia prolungata
nei pazienti con compromissione della funzione renale e nei soggetti anziani. Le
sulfaniluree di seconda generazione (come la glipizide e la gliburide) sono circa
100 volte più potenti di quelle di prima generazione, vengono assorbite
rapidamente e sono metabolizzate principalmente nel fegato. Dal punto di vista
clinico, esse possiedono un'efficacia sovrapponibile.

Reazioni allergiche e altri effetti collaterali (p. es., l'ittero colestatico) sono
relativamente rari. L'acetoesamide può essere utilizzata nei pazienti che sono
allergici alle altre sulfaniluree. La clorpropamide e l'acetoesamide non devono
essere utilizzate nei pazienti con compromissione della funzione renale. In
aggiunta, la clorpropamide non va utilizzata nei pazienti anziani, perché può
potenziare l'azione dell'ormone antidiuretico causando spesso iponatriemia e
deterioramento dello stato mentale, che in un anziano frequentemente può non
essere riconosciuto come un effetto farmaco-indotto.

Per il trattamento iniziale, molti esperti preferiscono le sulfaniluree a più breve

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

durata d'azione e la maggior parte non raccomanda l'uso di un'associazione di


differenti sulfaniluree. Il trattamento viene cominciato con una dose bassa, che
viene regolata dopo qualche giorno finché non si ottiene una risposta
soddisfacente o viene raggiunto il dosaggio massimo raccomandato. Circa il 10-
20% dei pazienti non risponde al tentativo terapeutico (insuccessi primari) e i
pazienti che non rispondono a una sulfanilurea spesso non rispondono neanche
alle altre. Dei pazienti che inizialmente rispondono, il 5-10% ogni anno va
incontro a insuccessi secondari. In tali casi, al trattamento con sulfaniluree può
essere aggiunta l'insulina.

L'ipoglicemia è la complicanza più importante del trattamento con sulfaniluree.


Essa può insorgere nei pazienti trattati con qualunque sulfanilurea, ma si verifica
il più delle volte con quelle ad azione prolungata (gliburide, clorpropamide).
L'ipoglicemia indotta dalle sulfaniluree può essere grave e può persistere o
ripresentarsi per giorni dopo la sospensione del trattamento, anche quando
insorge nei pazienti trattati con tolbutamide, la cui durata d'azione abituale varia
tra 6 e 12 h. Nei pazienti ospedalizzati con ipoglicemia indotta da sulfaniluree è
stato riportato di recente un tasso di mortalità del 4,3%. Perciò, tutti i soggetti
trattati con sulfaniluree che sviluppano ipoglicemia devono essere ricoverati in
ospedale, poiché, anche se rispondono rapidamente al trattamento iniziale
dell'ipoglicemia, essi devono essere tenuti sotto stretto controllo per 2 o 3 gg. La
maggior parte di questi pazienti può non aver bisogno di un ulteriore trattamento
con sulfaniluree.

Farmaci ipoglicemizzanti: la metformina (una biguanide) è stata utilizzata


come terapia primaria nei pazienti con DM di tipo II per oltre 30 anni in quasi tutto
il mondo ed è stata recentemente approvata per l'uso negli Stati Uniti. Essa
agisce diminuendo la produzione epatica di glucoso e può migliorare la sensibilità
all'insulina nei soggetti che riducono il loro peso corporeo. Come monoterapia, è
efficace quanto una sulfanilurea (quando viene utilizzata da sola raramente
provoca ipoglicemia) e in combinazione con un trattamento con sulfaniluree ha
un'azione sinergica. La metformina favorisce inoltre la diminuzione del peso
corporeo e riduce i livelli dei lipidi plasmatici. A differenza della fenformina, la
metformina provoca raramente una grave acidosi lattica. Gli effetti collaterali GI
sono comuni ma spesso transitori e possono essere prevenuti se il farmaco viene
assunto con i pasti e se il dosaggio viene aumentato gradualmente (di 500 mg/
sett. fino a 2,5 g). La metformina è controindicata nei pazienti affetti da malattie
renali ed epatiche o da alcolismo. Essa è inoltre controindicata nei pazienti con
acidosi lattica e nella maggior parte dei pazienti la sua somministrazione deve
essere interrotta durante il ricovero in ospedale in fase acuta.

L'acarbosio è un inibitore dell'a-glucosidasi che inibisce in maniera competitiva


l'idrolisi degli oligosaccaridi e dei monosaccaridi. Ciò ritarda la digestione dei
carboidarati nell'intestino tenue e il loro successivo assorbimento, causando una
minore elevazione post-prandiale dei livelli ematici di glucoso. Dato che il suo
meccanismo d'azione è diverso da quello degli altri ipoglicemizzanti orali, esso
può essere utilizzato nella terapia di associazione con altri antidiabetici orali. Gli
effetti collaterali GI sono molto frequenti, ma spesso transitori. Il farmaco deve
essere assunto durante i pasti e il dosaggio va aumentato gradualmente da
25 mg a 50-100 mg con ogni pasto.

I tiazolidindioni sono farmaci insulino-sensibilizzanti che migliorano la sensibilità


all'insulina nel muscolo scheletrico e sopprimono la produzione epatica di
glucoso. L'unico farmaco di questa categoria disponibile negli Stati Uniti è il
troglitazone. Recentemente esso è stato approvato per l'uso nel trattamento dei
pazienti con DM di tipo II che necessitano di insulina e possiede effetti moderati
sulla diminuzione dei livelli plasmatici di glucoso e di trigliceridi. Questo farmaco
viene somministrato una volta al giorno e presenta un'epatotossicità
potenzialmente idiosincrasica. Con l'inizio della terapia, i pazienti dovrebbero
essere istruiti a ridurre il loro dosaggio insulinico giornaliero.

Trattamento dietetico: nei diabetici in terapia insulinica, il trattamento


dietetico ha lo scopo di limitare le variazioni di orario, quantità o composizione dei
pasti, che potrebbero rendere inadeguato il regime insulinico prescritto e causare
un'ipoglicemia o una marcata iperglicemia post- prandiale. Tutti i soggetti in
terapia insulinica richiedono una dettagliata terapia dietetica, comprendente una

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

prescrizione dell'introito calorico totale giornaliero, indicazioni per le corrette


proporzioni fra carboidrati, grassi e proteine nella dieta e istruzioni sulla
distribuzione delle calorie tra i singoli pasti e spuntini della giornata. Un dietologo
professionista può adattare il programma dietetico e la strategia educativa in
base alle necessità individuali del paziente. La flessibilità, d'altronde, aiuta a
mantenere vive le motivazioni del paziente.

Sono disponibili pubblicazioni dell'American Diabetes Association e di altre fonti


sulla pianificazione del regime dietetico e l'educazione del paziente. Tabelle di
conversione che forniscono informazioni sul contenuto in carboidrati, proteine,
grassi e calorie dei singoli alimenti vengono utilizzate per tradurre le prescrizioni
dietetiche in un piano di alimentazione che dovrebbe prevedere cibi che riescono
graditi al paziente, purché non vi siano ragioni specifiche per escludere un
particolare alimento. Cibi con valori di conversione simili (cioè simili calorie e
simile contenuto di carboidrati, proteine e grassi) possono avere effetti differenti
sull'iperglicemia post-prandiale in ogni singolo diabetico. Tuttavia, le tabelle di
conversione sono utili nel ridurre le variazioni di quantità e composizione delle
abituali colazioni, pranzi, cene e spuntini del paziente.

Nei pazienti obesi con DM di tipo II, gli obiettivi del trattamento dietetico sono la
riduzione del peso corporeo e il controllo dell'iperglicemia. La dieta deve
soddisfare il fabbisogno proteico minimo quotidiano del paziente (0,9 g/kg) ed
essere concepita in modo da indurre una perdita di peso graduale e costante
(circa 1 kg/sett.) finché non venga raggiunto e mantenuto il peso ideale. Un
dietologo può aiutare a sviluppare un programma di alimentazione che il paziente
poi seguirà autonomamente. L'aumento dell'attività fisica nel soggetto obeso
sedentario affetto da DM di tipo II è di grande valore e con il tempo può ridurre il
grado di resistenza all'insulina. I diabetici ipertesi devono essere trattati con ACE-
inibitori, i quali si sono dimostrati più protettivi contro la malattia coronarica
rispetto ai calcioantagonisti.

Trattamento dei diabetici durante l'ospedalizzazione: i pazienti diabetici


ricoverati in ospedale frequentemente presentano patologie concomitanti che
aggravano l'iperglicemia, come un'infezione o una coronaropatia. L'immobilità a
letto e una dieta non specifica possono anch'esse aggravare l'iperglicemia. Al
contrario, se il paziente è anoressico o vomita, o se è ridotto l'apporto alimentare,
la continuazione del trattamento farmacologico può provocare ipoglicemia. La
popolare copertura insulinica con una scala variabile per la somministrazione
dell'ormone non deve costituire l'unico intervento, perché è reattiva più che
preventiva per la correzione dell'iperglicemia. Il suo impiego può inoltre rivelarsi
inappropriato se l'iperglicemia è la conseguenza di un aumento della
gluconeogenesi epatica in risposta a un'ipoglicemia precedentemente non
corretta.

I pazienti ospedalizzati con DM di tipo II vanno spesso bene senza alcuna


modificazione del trattamento farmacologico. I farmaci ipoglicemizzanti possono
essere sospesi nel corso di una patologia acuta associata con una riduzione
dell'apporto alimentare o nel corso di qualunque condizione che abbia la
tendenza a provocare ipoglicemia. Se i livelli plasmatici di glucoso rimangono
elevati, si può aggiungere insulina.

Nei pazienti con DM di tipo I, la somministrazione di insulina intermedia (NPH o


lenta) deve essere proseguita al 50-70% della dose giornaliera frazionata bid o
tid. Dosi supplementari di insulina regolare possono essere somministrate sulla
base di una scala variabile. Nei pazienti in nutrizione parenterale totale o
parziale, l'iperglicemia può essere corretta con un'infusione EV continua di
insulina o con dosi frazionate di insulina ad azione intermedia. La glicemia deve
essere misurata quattro volte al giorno prima dei pasti.

Gestione dei pazienti diabetici in occasione di interventi chirurgici: le


procedure chirurgiche (compresi lo stress emotivo precedente, gli effetti
dell'anestesia generale e il trauma dell'intervento) possono provocare un marcato
aumento della glicemia nei diabetici e causare DKA nei pazienti affetti da DM di
tipo I. Nei pazienti che normalmente praticano una o due iniezioni di insulina al
giorno, al mattino prima dell'intervento si può somministrare da 1/3 a 1/2 della
dose mattutina abituale e cominciare poi un'infusione EV di glucoso al 5% in

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

soluzione fisiologica o acqua alla velocità di 1 l (50 g di glucoso) ogni 6-8 h. Dopo
l'intervento, vengono misurate la glicemia e la chetonemia. A meno che non sia
indicata una modificazione del dosaggio, la dose preoperatoria di insulina viene
ripetuta quando il paziente si è risvegliato dall'anestesia e si prosegue l'infusione
di glucoso. La glicemia e i corpi chetonici plasmatici vengono controllati a
intervalli di 2-4 h e q 4-6 h viene somministrata insulina regolare in quantità
sufficiente a mantenere i livelli plasmatici di glucoso tra 100 e 250 mg/dl (tra 5,55
e 13,88 mmol/l). Questo trattamento viene proseguito finché il paziente può
passare all'alimentazione orale e a uno schema posologico insulinico a 1 o 2 dosi.

Alcuni medici preferiscono sospendere la somministrazione sottocutanea di


insulina il giorno dell'intervento e aggiungere da 6 a 10 U di insulina regolare a 1 l
di glucoso al 5% in soluzione fisiologica o acqua infuso inizialmente alla velocità
di 150 ml/h la mattina stessa, basandosi sui valori glicemici. Questa procedura
viene continuata nel corso del risveglio postoperatorio, regolando la dose di
insulina sulla base dei livelli glicemici misurati in sala di risveglio e poi a intervalli
di 2-4 h.

L'insulina non è necessaria per i pazienti diabetici che hanno mantenuto una
glicemia soddisfacente con la sola dieta o con l'aggiunta di una sulfanilurea prima
dell'intervento. Le sulfaniluree devono essere sospese da 2 a 4 giorni prima
dell'intervento e i livelli plasmatici di glucoso devono essere misurati prima e
dopo l'operazione e q 6 h nel corso della successiva terapia infusionale EV.

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Gravidanza complicata dalla malattia

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

251.GRAVIDANZA COMPLICATA DALLA MALATTIA

DIABETE MELLITO

(V. anche Diabete mellito nel Cap. 13)

Sommario:

Introduzione
Trattamento
Complicanze
Travaglio e parto
Cura post-partum

Nei centri di assistenza perinatale e neonatale che forniscono un servizio di


consulenza pre-concepimento e di assistenza prenatale precoce, i rischi per le
madri diabetiche e per i loro neonati non superano quelli delle donne non
diabetiche. Per le donne diabetiche, il buon esito della gravidanza richiede una
visita prima del concepimento e un controllo ottimale del diabete prima, durante e
dopo la gravidanza; un trattamento meticoloso da parte di un team diabetologico,
che include medici, infermieri, nutrizionisti e assistenti sociali, e da parte di un
pediatra; una pronta diagnosi e un pronto trattamento delle complicanze della
gravidanza, siano esse lievi o gravi; una scelta accurata del momento e delle
modalità del parto; la presenza, al momento del parto, di un pediatra esperto
nella valutazione e nel trattamento dei neonati di madri diabetiche; la vicinanza di
un’unità di terapia intensiva neonatale.

La classificazione è basata su quella adottata dal National Diabetes Data Group


e dall’OMS. In precedenza, essa era basata sull’età di comparsa, sulla durata e
sulle complicanze della malattia.

Il diabete gestazionale è un’intolleranza ai carboidrati, di grado variabile, a


esordio, o prima osservazione, nel corso della gravidanza corrente. La
gravidanza è un test di stress metabolico per il diabete; le donne che falliscono il
test e sviluppano un diabete gestazionale possono essere obese,
iperinsulinemiche e insulino-resistenti o magre e relativamente carenti di insulina.
Pertanto, questo disordine rappresenta una sindrome eterogenea. Tutte le donne
gravide devono essere studiate alla ricerca di un diabete gestazionale poiché tale
affezione, se non riconosciuta e curata, è associata a un’aumentata mortalità
fetale e neonatale e a una maggiore morbilità materna e fetale (v. anche Cure
prenatali nel Cap. 249). Il diabete gestazionale si verifica nell’1-3% di tutte le
gravidanze, ma la percentuale può essere molto più elevata in popolazioni
selezionate (p. es., Messicani-Americani, Indiani d’America, Asiatici, Indiani,
abitanti delle Isole del Pacifico).

Trattamento

Un buon controllo del diabete, al momento del concepimento e nel corso della
gravidanza, è molto importante per evitare problemi alla madre e al feto. La
maggior parte dei centri antidiabetici adotta un approccio di équipe che combina
le competenze di medici, infermieri, nutrizionisti e assistenti sociali. I centri

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Gravidanza complicata dalla malattia

regionali di perinatologia dispongono di specialisti, prontamente disponibili, in


oftalmologia, nefrologia, neurologia, cardiologia, anestesiologia, perinatologia e
neonatologia.

Una consulenza prima del concepimento, associata a un controllo del diabete, è


importante perché le malformazioni congenite che si hanno in corso di
gravidanze complicate dal diabete, possono essere legate ad alterazioni del
metabolismo materno verificatesi durante l’embriogenesi; l’organogenesi è
completata entro la 10a-12a sett. di gestazione. Tutte le pazienti devono
controllare la glicemia a casa.

La Tab. 251-1 è una semplice guida per il trattamento delle donne gravide affette
da diabete di tipo I (diabete mellito insulino-dipendente), di tipo II (diabete mellito
non insulino-dipendente) e da diabete gestazionale. Durante la gravidanza,
l’insulina è sempre necessaria per la paziente affetta da un diabete di tipo II. I
dettagli della terapia variano tra i centri e il trattamento delle pazienti va
individualizzato.

Per le pazienti con un diabete di tipo I, il sovradosaggio insulinico è un rischio del


controllo metabolico stretto, indipendentemente dalla via di somministrazione. In
alcune di queste pazienti, l’ipoglicemia non stimola la normale secrezione degli
ormoni antagonisti (catecolamine, glucagone, cortisolo e ormone della crescita) e
il coma ipoglicemico si può verificare senza alcun sintomo premonitore. Tutte
queste pazienti devono avere a disposizione dei preparati di glucagone e devono
essere istruite (così come i loro familiari), a effettuare iniezioni sottocutanee di
glucagone in caso di grave ipoglicemia (stato di incoscienza, confusione o livelli
glicemici < 40 mg/dl [< 2,2 mmol/l]). In corso di gravidanza, un buon controllo del
diabete consiste nell’assenza di ampie fluttuazioni del tasso glicemico, una
concentrazione di Hb A1c < 8% e una glicosuria < 1 g/die (< 5,5 mmol/die).
Durante la gravidanza, i normali livelli glicemici a digiuno sono pari a circa 76 mg/
dl (4,2 mmol/l) mentre quelli due ore dopo il pasto sono 120 mg/dl (6,6 mmol/l).
È raccomandata, inoltre, la somministrazione di insulina umana per ridurre al
minimo la formazione di anticorpi. Gli anticorpi anti-insulina attraversano la
placenta, ma il loro effetto sul feto (se esiste) è sconosciuto.

Complicanze

Le complicanze mediche e ostetriche, come le infezioni, il travaglio pre-termine e


l’ipertensione indotta dalla gravidanza, sono trattate come descritto altrove in
questo capitolo e nel Cap. 253. Non è stata riscontrata alcuna differenza nella
prevalenza o nella gravità della retinopatia, della nefropatia o della neuropatia tra
le donne diabetiche che hanno avuto o meno delle gravidanze. La retinopatia e la
nefropatia diabetiche non costituiscono una controindicazione al concepimento
né sono una ragione per interrompere la gravidanza, ma richiedono una
valutazione prima del concepimento e un accurato controllo prima e durante la
gravidanza. Si raccomanda di eseguire un controllo oftalmologico all’inizio e poi
ogni mese. Se viene riscontrata una retinopatia proliferativa nel corso della prima
visita prenatale, la paziente deve essere sottoposta a fotocoagulazione quanto
prima possibile, per prevenire un progressivo deterioramento.

Non ci sono dati che indichino che la nefropatia peggiori a causa della
gravidanza e le complicanze renali in tale periodo sono rare. Le donne affette da
insufficienza renale cronica e che si sottopongono a emodialisi, raramente hanno
gravidanze che si concludono con successo, ma alcuni neonati sono
sopravvissuti. Una donna su 50 sottoposte a trapianto renale rimane gravida.
L’ipertensione indotta dalla gravidanza si verifica nel 25% di queste gravidanze,
così come sono di comune riscontro anche altre complicanze. L’incidenza dei
parti pre-termine è correlata alla funzionalità renale della madre e al tempo
trascorso dal trapianto; i neonati di peso normale alla nascita, partoriti a termine,
hanno la migliore prognosi, quando l’intervallo è 2 anni dal trapianto.

Le malformazioni congenite degli organi maggiori sono state positivamente


correlate con elevate concentrazioni di Hb A1c al momento del concepimento e

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Gravidanza complicata dalla malattia

durante l’embriogenesi (le prime 8 sett.). Per le donne con un diabete di tipo II,
l’uso di farmaci ipoglicemizzanti orali nel 1o trimestre è stato associato a
malformazioni cardiache, delle orecchie e all’anomalia VATER (Vertebrale,
Anale, TracheoEsofagea, Renale). Nelle gravidanze complicate da un diabete di
tipo I o II, la causa principale di mortalità neonatale è data dalle malformazioni
congenite incompatibili con la vita. Quindi, deve essere misurata la
concentrazione sierica materna di α-fetoproteine tra la 16a e la 18a sett. di
gestazione e deve essere eseguita una valutazione ecografica completa tra la
18a e la 22a sett.; se il livello sierico materno è anormale, deve essere misurato il
livello delle α-fetoproteine nel liquido amniotico. Le alterazioni dei livelli sierici
materni o del liquido amniotico, come le alterazioni dell’esame ecografico, sono
suggestive di anomalie del tubo neurale o di altri difetti di sviluppo.
Un’ecocardiografia fetale deve essere eseguita se il valore dell’Hb A1c è
anormalmente elevato alla prima visita prenatale o durante il 1o trimestre.

Travaglio e parto

Durante il 3o trimestre, la cura della donna diabetica consiste principalmente nel


controllo della glicemia materna, nella valutazione del benessere fetale e nella
determinazione del grado di maturazione polmonare del feto.

Per la maggior parte delle donne con diabete gestazionale, il travaglio inizia
spontaneamente a termine e il parto avviene per via vaginale. Se queste
gravidanze continuano oltre il termine (42a sett.), il feto è a rischio di morte
intrauterina e, quindi, deve essere indotto il travaglio. Molti ostetrici suggeriscono
l’induzione alla 40a sett. Anche quando i livelli di glicemia materni sono stati più o
meno normali durante la gravidanza, c’è il rischio di una macrosomia. Quindi, il
parto cesareo può essere necessario nei casi di complicanze del travaglio o di
sproporzione cefalopelvica o per evitare la distocia di spalla e i traumi al neonato
e al canale del parto.

L’ostetrico deve valutare lo stato di benessere fetale alla 32a sett. monitorando la
frequenza cardiaca fetale (con il non stress test) e il profilo biofisico. La paziente
inoltre, deve essere istruita a contare i movimenti fetali per 30 minuti consecutivi,
ogni giorno; una riduzione improvvisa deve essere riferita immediatamente
all’ostetrico. Il non stress test può essere iniziato in un’epoca gestazionale più
precoce nelle donne affette da complicanze quali l’ipertensione, l’idramnios, la
rottura prematura delle membrane, il ritardo di crescita intrauterino, il travaglio
prematuro, l’infezione o i difetti di sviluppo. La maggior parte dei diabetologi e dei
perinatologi non misura i livelli materni, sierici o urinari, di estriolo, perché questi
costosi test non sono i più utili né i più pratici per la valutazione del benessere
fetale. L’amniocentesi non è eseguita di routine per accertare la maturità
polmonare fetale nelle donne il cui il diabete è ben controllato e che abbiano dei
criteri di datazione ben documentati; tuttavia, è spesso necessaria nelle donne
con complicanze ostetriche, cure prenatali inadeguate o scarso controllo del
diabete.

Il controllo della glicemia, durante il travaglio e il parto, è più facile quando


l’insulina è somministrata sotto infusione continua a basse dosi alle donne affette
da un diabete di tipo I o di tipo II. La paziente è ricoverata 1 giorno prima
dell’induzione del travaglio e riceve la sua dieta e la sua dose di insulina usuali.
La colazione e la dose di insulina della mattina successiva sono sospese, viene
misurata la glicemia basale a digiuno e viene iniziata un’infusione EV di destroso
al 5% in soluzione di cloruro di sodio allo 0,5% alla velocità di 125 ml/h, usando
una pompa infusionale. Generalmente, se la glicemia capillare è < 80 mg/ dl
(< 4,4 mmol/l), la dose iniziale di insulina è 0; se la glicemia è 80-100 mg/dl (4,4-
5,5 mmol/l), la dose è di 0,5 U/h. In seguito, la dose è aumentata di 0,5 U/h per
ogni aumento di 40-mg/dl della glicemia fino a 2,5 U/h per livelli > 220 mg/dl
(> 12,2 mmol/l). Delle correzioni devono essere apportate per ciascuna paziente,
come necessario. Durante il travaglio, la glicemia è controllata ogni ora con un
apparecchio, a letto della paziente, e la dose di insulina è aggiustata ogni ora, se
necessario, raddoppiando o dimezzando la sua concentrazione in modo che una
normale glicemia (70-120 mg/dl [3,8-6,6 mmol/l]) sia mantenuta. Se la glicemia è

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Gravidanza complicata dalla malattia

> 110 mg/dl (> 6,1 mmol/l), 10 U di insulina amorfa sono aggiunte ai 1000 ml
della infusione EV; la velocità di infusione è mantenuta costante. Per il travaglio
spontaneo, viene seguita la stessa procedura. La richiesta di insulina è inferiore
se la paziente ha assunto insulina ad azione intermedia nelle precedenti 12 h. Le
pazienti con febbre, infezioni o altre complicanze richiedono dosi maggiori, così
come le pazienti obese affette da un diabete di tipo II che hanno avuto bisogno di
> 100 U di insulina/die prima del parto.

Cura post-partum

Dopo il parto, l’immediata riduzione del fabbisogno insulinico è dovuta


all’improvvisa perdita della placenta che è fonte, durante la gravidanza, di una
grande quantità di peptidi e steroidi. Nell’immediato periodo post-partum, le
donne affette da un diabete gestazionale, e molte di quelle con un diabete di
tipo II, non hanno bisogno di insulina. Nelle donne con un diabete di tipo I, il
fabbisogno di insulina diminuisce notevolmente, ma poi riaumenta gradualmente
dopo circa 72 h.

Durante le prime 6 sett. dopo il parto, la terapia insulinica deve essere


attentamente riaggiustata nelle donne affette da un diabete di tipo I o di tipo II per
ottenere un adeguato controllo della glicemia. Queste donne devono controllare
la glicemia prima dei pasti e al momento di andare a letto. L’allattamento al seno
non è controindicato, ma può essere associato a ipoglicemia nelle donne con un
diabete di tipo I. Nelle donne con un diabete di tipo II si raccomanda di continuare
la terapia con l’insulina durante l’allattamento, piuttosto che con gli
ipoglicemizzanti orali.

Le donne che hanno avuto un diabete gestazionale devono sottoporsi a un test


da carico di glucoso orale con 75 g e alla misurazione della glicemia dopo 2 ore,
tra la 6a e la 12a sett. dopo il parto, per vedere se sono normali, francamente
diabetiche o hanno una diminuita tolleranza al glucoso (secondo i criteri OMS).

I neonati di madri diabetiche devono essere attentamente valutati. Sono a rischio


di distress respiratorio, ipoglicemia, ipocalcemia, iperbilirubinemia, policitemia e
iperviscosità.

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO

CURE PRENATALI

Idealmente, la prima visita prenatale deve essere fatta prima del concepimento,
per permettere al medico di identificare eventuali malattie; di mettere in guardia la
paziente contro l’uso di tabacco, droghe, alcolici e altre sostanze; di verificare le
sue buone condizioni fisiche. Devono essere chiarite le misure igieniche di vita
come la dieta corretta, l’esercizio fisico e l’intervallo adeguato tra una gravidanza
e l’altra e, se necessario, la paziente deve essere indirizzata in strutture
specialistiche adeguate. I rischi dell’esposizione agli escrementi del gatto (che
può causare la toxoplasmosi), ai bagni caldi, alla rosolia, al fumo passivo e ai
vapori delle vernici devono essere considerati. Ogni problema sociale o medico
che viene evidenziato deve essere specificatamente trattato. Tutte le donne
gravide devono essere visitate tra la 6a e l’8a sett. di gravidanza (cioè, quando la
mestruazione è in ritardo di 2-4 sett.), in modo da determinare precocemente
l’epoca gestazionale e da definire con maggiore accuratezza la data del parto.

La prima visita deve includere un esame obiettivo completo, incluse le


determinazioni del peso, dell’altezza e della PA; la palpazione del collo e della
tiroide; l’auscultazione del cuore e dei polmoni; l’esame delle mammelle,
dell’addome e degli arti; e un esame del fondo dell’occhio. Deve essere, poi,
eseguita una visita pelvica completa. La visita bimanuale del retto e della vagina
accerta la grandezza e la conformazione dell’utero e la normale condizione degli
annessi. La capacità della pelvi può essere determinata provando a toccare il
promontorio del sacro con il dito medio, per via vaginale; se la distanza tra il
promontorio e la base della sinfisi pubica è > 11,5 cm, lo stretto superiore della
pelvi è quasi certamente adeguato. Si deve calcolare anche la distanza tra le
spine ischiatiche; 9 cm è considerato normale. Per valutare la profondità della
pelvi si deve calcolare la lunghezza dei legamenti sacro-spinosi; una misura pari
o superiore ai 4-5 cm è considerata normale. L’angolo sottopubico in una donna
normale è di 90°.

Gli esami di laboratorio devono includere un emocromo, un STS, un test su


siero per il virus dell’epatite B, un esame colturale per la gonorrea e la chlamydia,
la tipizzazione del gruppo sanguigno e del fattore Rh e lo screening per gli
anticorpi, il livello degli anticorpi contro la rosolia (a meno che un precedente
esame fosse positivo), un esame completo delle urine, un esame colturale di
screening delle urine e un test di Papanicolaou della cervice. Le donne di colore
devono essere esaminate per la costituzione genetica eterozigote o per la
malattia falciforme. Si devono raccomandare gli studi genetici alle donne che
sono comprese nelle categorie a più alto rischio (v. Cap. 247). Le donne che
provengono dall’Asia o dall’America Latina, le donne senza fissa dimora e le altre
donne suscettibili, devono eseguire l’intradermoreazione per la TBC. Una rx del
torace è necessaria solo se la paziente ha un’anamnesi positiva per una malattia
cardiaca o polmonare; in caso contrario, l’esposizione ai raggi X deve essere
evitata in corso di gravidanza, specialmente durante i primi 3 mesi. In ogni caso,
se è richiesto un esame radiologico, il feto deve essere schermato.

L’ecografia è la metodica per immagini di scelta in ostetricia. Infatti molti ostetrici


ritengono che, in ogni gravidanza, si debba eseguire almeno un esame
ecografico per assicurarsi che l’andamento sia soddisfacente. Poiché
l’attrezzatura è portatile, la si può adoperare in studio o in sala travaglio. L’utero
ripieno di liquido facilita la visualizzazione ecografica del feto e della placenta e il
profilo arrotondato dell’addome gravido rende la scansione più efficace. Prima
dell’esame, specialmente nella prima fase della gravidanza, la paziente deve
bere acqua perché la vescica piena spinge l’utero al di fuori della pelvi e aumenta

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

la visualizzazione del suo contenuto durante l’ecografia addominale. La


gravidanza (sacco gestazionale e polo fetale) può essere evidenziata già alla 4a-
5a sett. e lo sviluppo fetale può essere seguito fino al parto. L’ecografia eseguita
per via transvaginale elimina la necessità di avere la vescica piena e spesso
individua la cavità gestazionale prima di quanto non faccia l’ecografia
addominale. Eseguendo un nomogramma sulla base delle misurazioni
ecografiche del diametro biparietale o del diametro trasverso del torace o di
entrambi, la crescita fetale può essere valutata in termini di peso. Questa tecnica
permette al medico di rilevare i cambiamenti improvvisi nella crescita fetale, di
confrontare lo sviluppo fetale effettivo con la data presunta del parto e valutare la
maturità del feto, nel caso si debba procedere all’espletamento di un parto
prematuro per ragioni di salute materna.

L’ecografia è usata per la datazione di una gravidanza se la data del parto è


dubbia a causa di mestruazioni irregolari o per un’anamnesi mestruale non
ottenibile. La definizione dell’età gestazionale è più precisa entro la 12a sett. La
precisione della datazione ha un variabilità di ± 4 gg all’8a sett. e ± 10 gg alla 13a.
Più tardi nel corso della gravidanza, ma prima della 32a sett., osservazioni
ecografiche seriate con il rilevamento del diametro biparietale della testa fetale
possono aiutare a confermare la datazione. Dopo la 32a sett. la stima
dell’ecografia ha uno scarto di ± 3 sett. Se l’utero non cresce normalmente, si può
usare l’ecografia per valutare la crescita fetale sin dalla 18a sett., ma i risultati
sono più accurati tra la 28a e la 32a sett.

L’ecografia è utilizzata anche per accertare la presenza di una gravidanza


multipla, di una mola idatidiforme, di un polidramnios (idramnios), di una placenta
previa, la posizione della placenta e la presenza di una gravidanza ectopica; per
stabilire la posizione e le dimensioni fetali o per appurare perché un utero è più
grande o più piccolo rispetto all’epoca gestazionale e, di solito, nella maggior
parte degli ospedali, per guidare l’ago in corso di amniocentesi e di trasfusione
fetale.

È stato approntato un profilo biofisico per il sospetto di sofferenza fetale; esso


include la misurazione del liquido amniotico e le caratteristiche del tono
muscolare, dei movimenti del corpo e di quelli respiratori del feto. Per identificare
una gravidanza ad alto rischio è stato proposto il monitoraggio con il Doppler del
battito cardiaco e dei movimenti respiratori.

Le metodiche per la diagnosi intrauterina delle anomalie fetali strutturali (p. es.,
anencefalia, idrocefalia, spina bifida, mielomenigocele, difetti cardiaci congeniti,
ostruzioni intestinali e dell’apparato urinario, policistosi renale) stanno
rapidamente migliorando (v. Cap. 247). L’ecografia in tempo reale permette
l’osservazione diretta dei movimenti fetali e cardiaci.

Una pelvimetria radiologica è raramente indicata. La combinazione di una visita


ginecologica adeguata per la determinazione della grandezza e della
configurazione dell’utero, di un esame ecografico per la determinazione della
posizione e di eventuali anomalie fetali e un travaglio di prova per valutare la
dilatazione e la progressione è, in genere, sufficiente per garantire la buona
riuscita in caso di presentazioni di vertice o podalica.

Le visite di controllo devono essere eseguite a intervalli di 4 sett. fino alla 32a,
ogni 2 sett. fino alla 36a e quindi ogni settimana fino al momento del parto. Ad
ogni visita sono misurati il peso e la PA della paziente e la grandezza e il profilo
dell’utero, per vedere se l’accrescimento corrisponde all’epoca gestazionale. Il
battito cardiaco fetale può essere ascoltato già dalla 10a-12a sett. con il Doppler.
A partire dalla 18a sett. lo si può ascoltare con uno stetoscopio appositamente
progettato (DeLee-Hillis) e registrarlo nel corso di ogni controllo. Le caviglie della
paziente devono essere esaminate per rilevare eventuali edemi. Le urine sono
esaminate per la presenza di albumina e di glucoso ad ogni visita e l’Htc è
misurato ogni trimestre. Le gestanti ad alto rischio di gonorrea o di infezioni da
chlamydia devono ripetere uno striscio per esame colturale alla 36a sett.

I controlli possono essere eseguiti dal medico generico o da un’infermiera e non


richiedono uno specialista, a meno che non si rilevino anormalità. Ad ogni visita

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

si deve dedicare del tempo a rispondere alle eventuali domande e a preparare la


donna ad affrontare il travaglio e il parto; deve essere incoraggiata a frequentare i
corsi per la psicoprofilassi al parto insieme al marito o a un’altra persona di
sostegno.

Un’accurata datazione del parto deve essere stabilita il prima possibile nel corso
della gravidanza. Nelle gravidanze normali, la datazione può essere
accuratamente determinata dalla combinazione dell’esame pelvico eseguito
precocemente nel 1o trimestre, l’ecografia eseguita nel 1o o all’inizio del 2o
trimestre e l’auscultazione settimanale del battito cardiaco fino alla 18a sett.;
questi esami devono essere eseguiti in tutte le gravidanze. Nelle fasi finali della
gravidanza, tutte le decisioni riguardanti la ripetizione di un taglio cesareo, la
rottura prematura delle membrane o il travaglio pre-termine, possono essere
prese con sicurezza sulla base di questi dati.

Alla 15a-16a sett. si deve proporre un test per la misurazione dell’α-fetoproteina


(AFP) (v. anche Cap. 247). Un livello elevato di AFP può indicare un difetto del
tubo neurale, una gravidanza multipla o un errore nel calcolo dell’epoca
gestazionale. Un valore anormalmente basso può indicare delle anomalie
cromosomiche.

Le donne con una storia di neonati di peso elevato o di aborti inspiegati, di una
persistente glicosuria o con un’importante storia familiare di diabete devono
essere valutate per la presenza di un anormale metabolismo dei carboidrati nel
1o trimestre o all’inizio del 2o trimestre. Tutte le pazienti devono essere state
studiate entro la 28a sett. La paziente assume 50 g di glucoso disciolto in acqua
naturale o effervescente a un orario qualunque (senza digiuno) e la glicemia
viene determinata un’ora più tardi. Le pazienti che hanno una glicemia 135 mg/dl
(7,5 mmol/l), devono eseguire un test da carico standard con una dose di glucoso
di 100 g e la misurazione dei livelli glicemici nelle 3 h successive.

Se la paziente è Rh negativa, il titolo degli anticorpi Rh deve essere misurato


nuovamente alla 26a-27a sett., e se il padre del bambino è sicuramente Rh
positivo, alla paziente devono essere somministrati 300 µg di immunoglobuline
Rh0(D) alla 28a sett. (v. anche Test di compatibilità nel Cap. 129). Un’analoga
dose va somministrata anche se si esegue un’amniocentesi o un prelievo di villi
coriali, o qualora si verifichi un sanguinamento significativo. Successivamente
non vanno eseguite ulteriori titolazioni degli anticorpi. Il sangue prelevato dal
cordone ombelicale può risultare debolmente positivo a un test di Coombs
diretto, ma un tale risultato non è significativo. Se il neonato è Rh0(D) positivo,
alla madre si deve somministrare un’altra dose di immunoglobuline Rh0(D).

L’aumento del peso nel corso della gravidanza deve essere, per una donna di
taglia media, di circa 11,2-13,5 kg o di 0,9-1,4 kg per mese di gravidanza. Un
aumento > 13,5-15,8 kg è eccessivo e indica un accumulo di grasso nella madre
e nel feto. La paziente deve essere messa in guardia circa il fatto che controllare
il peso nelle fasi più avanzate della gravidanza è più difficile e che non si deve
aumentare della maggior parte del peso consentito durante i primi mesi.
Comunque, il mancato accrescimento ponderale costituisce un segno negativo,
specialmente se è < 4,5 kg. Infatti, un certo aumento ponderale è essenziale per
un corretto sviluppo fetale e il mantenimento di un regime dietetico durante la
gravidanza non è raccomandato, neanche per le pazienti molto obese, perché
riduce l’apporto nutrizionale al feto. La ritenzione di liquidi, dovuta alla stasi a
livello degli arti inferiori causa, occasionalmente, un aumento ponderale, ma può
venire eliminata facendo giacere la paziente su di un fianco (preferibilmente
quello sinistro) per 30-45 minuti tid o qid, favorendo la diuresi.

Si devono aggiungere circa 250 kcal al giorno alla dieta giornaliera della
paziente, per provvedere adeguatamente alla nutrizione del feto. La maggior
parte di queste calorie deve essere fornita dalle proteine, ma il valore di una dieta
nutriente e ben bilanciata (che includa frutta e verdure fresche) deve essere
enfatizzato durante tutta la gravidanza. Sebbene il feto abbia fisiologicamente la
precedenza nella scelta delle sostanze nutritive, la scelta deve interessare le
sostanze che vale la pena di assumere. Si deve incoraggiare il consumo di
cereali ad alto contenuto di fibre e poveri di zuccheri. Il sale (preferibilmente

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

iodato) può essere usato con moderazione, ma i cibi eccessivamente salati o che
siano addizionati con conservanti devono essere evitati.

L’uso dei farmaci, incluse le vitamine e l’aspirina, deve essere scoraggiato.


Nessun farmaco deve essere prescritto senza una specifica indicazione (v.
Farmaci in gravidanza, oltre).

La maggior parte delle donne ha bisogno di un supplemento di ferro; devono


essere usati i sali di ferro che forniscono 30 mg di ferro/die o, se la donna è
anemica, 60 mg/die. Il solfato di ferro, 300 mg PO bid, è di solito sufficiente, ma il
gluconato di ferro, 450 mg PO bid, può essere tollerato meglio. Dosi maggiori
irritano il tratto GI della madre, con un modesto aumento nella quantità di ferro
assorbita. Deve essere somministrato anche un supplemento di acido folico
perché le tipiche diete non ne contengono a sufficienza. Bassi livelli di acido
folico possono causare dei difetti del tubo neurale. L’acido folico, 1 mg/die PO
(4 mg/die per le donne che hanno avuto un bambino affetto) viene somministrato,
di solito, sotto forma di preparato vitaminico, che contiene anche il ferro, da
assumere durante la gravidanza. Se la dieta è adeguata, non è necessario
somministrare altri supplementi nutrizionali.

Per la nausea e il vomito, il trattamento dietetico deve precedere quello


farmacologico. La paziente deve essere istruita a bere e mangiare in piccole
quantità e di frequente (per evitare la fame) e assumere solo cibi leggeri quali le
minestre, i consommè, il riso e la pasta. Dei cracker e una bevanda analcolica
alleviano spesso il senso di nausea. Mangiare prima di alzarsi può essere di
aiuto. Nessun farmaco contro il malessere mattutino è stato finora approvato. Se
la nausea e il vomito sono così intensi e persistenti da far sì che la paziente si
disidrati, sviluppi una chetosi o perda eccessivamente peso, può rendersi
necessaria la sua ospedalizzazione e la somministrazione di liquidi EV (v.
Iperemesi gravidica nel Cap. 252).

I problemi frequenti includono l’edema (specialmente delle gambe), le varicosità


degli arti inferiori e della vulva, le emorroidi, il dolore alla schiena di varia entità,
l’affaticamento (specialmente nel 1o trimestre e nelle fasi tardive della
gravidanza) e la pirosi. L’edema in genere diminuisce se la paziente indossa
delle calze elastiche o riposa spesso con le gambe sollevate o preferibilmente
giacendo su di un fianco. Le varicosità possono causare disturbi; può essere di
aiuto indossare degli abiti che non stringano a livello della vita e delle gambe. Le
emorroidi sintomatiche devono essere trattate con lassativi, anestetici locali e
impacchi tiepidi. Per eliminare il mal di schiena può essere d’aiuto evitare gli
sforzi eccessivi e indossare una panciera leggera per gestanti. Il trattamento
della pirosi include l’assunzione di piccoli pasti, evitare di inchinarsi o stare
distesa per diverse ore dopo aver mangiato e usare delle preparazioni antiacide
(eccetto il bicarbonato di sodio).

Le secrezioni vaginali spesso aumentano, ma, di solito, si tratta di secrezioni


fisiologiche. La tricomoniasi vaginale e la candidiasi sono piuttosto frequenti e
devono essere trattate. La vaginosi batterica deve essere trattata perché può
causare un travaglio prematuro. Si possono verificare le cosiddette "voglie", che
consistono in un curioso desiderio per cibi strani o a volte, per cose non
commestibili (p. es., amido o argilla) e che possono essere un indizio della
carenza di ferro. A volte, la salivazione profusa (ptialismo) è fastidiosa e la
paziente lamenta dolore in corrispondenza della sinfisi pubica.

Le normali attività e gli abituali esercizi fisici possono essere continuati nel
corso di tutta la gravidanza. Il nuoto e gli altri sport non molto faticosi sono
consentiti. Una donna gravida può cavalcare o praticare altre attività simili, se è
abituata e cauta. Il desiderio sessuale può aumentare o diminuire durante la
gravidanza. I rapporti sessuali sono consentiti durante tutta la gravidanza, ma
devono essere proibiti se la donna presenta dei sanguinamenti vaginali, dolore o
una perdita di liquido amniotico o, in particolare, se si verificano delle contrazioni
uterine. Diverse donne gravide sono decedute per embolia gassosa provocata
dall’insufflazione di aria all’interno della vagina, in corso di cunnilinguo.

Le pazienti devono essere istruite a riportare prontamente qualunque dei


seguenti sintomi: cefalea persistente, nausea e vomito persistenti, senso di

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

vertigine, disturbi del visus, dolore o crampi ai quadranti bassi dell’addome,


contrazioni, sanguinamenti vaginali, rottura delle membrane, gonfiore delle mani
o della faccia, contrazione della diuresi e qualsiasi malattia o infezione. La
paziente deve essere incoraggiata a consultare il proprio medico per qualsiasi
problema la preoccupi.

Infine, i segni dell’inizio del travaglio devono essere passati in rassegna con la
paziente. Il segno principale è l’insorgenza di dolori lombari o di contrazioni ai
quadranti inferiori dell’addome, che si ripetono a intervalli regolari. Una multipara
con una storia di travagli rapidi deve avvertire il medico appena pensa che stia
iniziando il travaglio. Dopo la 36a sett. di gravidanza, molti medici preferiscono
visitare la paziente per via vaginale per cercare di fare previsioni sull’inizio del
travaglio. Tuttavia, la visita vaginale eseguita alla fine della gravidanza è stata
associata alle infezioni intrauterine e alla rottura prematura delle membrane.

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Medicina trasfusionale

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

129. MEDICINA TRASFUSIONALE

TEST PRETRASFUSIONALI

Sommario:

Introduzione
TEST DI COMPATIBILITÀ
TEST ABBREVIATI

Il donatore di sangue viene testato per determinare la sua idoneità alla


trasfusione e la compatibilità con il ricevente. I test comprendono la
determinazione del gruppo ABO e Rh(D), lo screening per gli anticorpi e i test per
la presenza di marker di malattie infettive e che comprendono la sifilide,
l’antigene di superficie per l’epatite B, l’ALT, l’antigene HIV-1 p24 e gli anticorpi
contro il core dell’epatite B, i virus linfotropi per i linfociti T (HTLV-I e HTLV-II), il
virus dell’epatite C, così come l’HIV-1 e l’HIV-2 (v. anche trasmissione di malattie
virali, più avanti).

TEST DI COMPATIBILITÀ

La caratterizzazione ABO del sangue del donatore e del ricevente è eseguita


per prevenire la trasfusione di GR incompatibili (v. Fig. 129-1 e Tab. 129-2). Di
regola, il sangue per la trasfusione deve essere dello stesso tipo ABO del
ricevente. Nelle situazioni urgenti o quando il corretto tipo ABO è in dubbio, GR di
tipo O (non sangue intero, v. Reazione acuta emolitica trasfusionale, oltre)
possono essere usati per pazienti di qualsiasi gruppo ABO.

La determinazione del fattore Rh determina la presenza (Rh-positivo) o meno


(Rh-negativo) del fattore Rh0 (D) sui GR. I pazienti Rh-negativi devono ricevere
sempre sangue Rh negativo a esclusione delle situazioni di emergenza, in cui il
paziente corre pericolo di vita e non si dispone di sangue Rh-negativo. I pazienti
Rh-positivi possono ricevere sangue Rh positivo o negativo. Occasionalmente,
GR di alcune persone Rh-positive reagiscono più debolmente alla
determinazione Rh standard (D debole o Du, positivo), ma queste persone sono
ancora considerate Rh-positive.

Lo screening per gli anticorpi irregolari contro i GR è eseguito


sistematicamente su campioni pretrasfusionali del potenziale ricevente e in
periodo prenatale su campioni materni. Gli anticorpi irregolari sono specifici per
gli antigeni eritrocitari diversi dal sistema ABO, p. es., Rh0 (D), Kell (K) o Duffy
(Fya). La scoperta precoce è importante poiché questi anticorpi possono causare
l’insorgenza della malattia emolitica del neonato (MEN, v. anche il Cap. 260) e
gravi reazioni trasfusionali; essi possono complicare e ostacolare inoltre le prove
crociate, ritardando così il reperimento di sangue compatibile.

Il test antiglobulinico indiretto (il test di Coombs indiretto) è il metodo usato per
lo screening di anticorpi irregolari anti GR. I GR del test sono aggiunti al siero del
paziente, incubati, lavati, testati con globulina antiumana e osservati al fine di
rilevare agglutinazione. Questo esame può essere positivo in presenza di un
anticorpo di gruppo sanguigno irregolare o quando l’anticorpo libero (non legato

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Medicina trasfusionale

ai GR) è presente nelle anemie emolitiche autoimmuni (v. Cap. 127). Una volta
che un anticorpo è stato rivelato, viene determinata la sua specificità. La
conoscenza della specificità dell’anticorpo aiuta a determinare il significato
clinico, a scegliere il sangue compatibile e a trattare la MEN.

Il test dell’antiglobulina (o test di Coombs diretto) rivela la presenza di anticorpi


adesi alla membrana cellulare dei GR del paziente I GR lavati vengono trattati
con globina antiumana e osservati per l’agglutinazione Non si effettua
incubazione in vitro con siero. Un test positivo, se correlato con i reperti clinici,
suggerisce un’anemia emolitica autoimmune o una MEN.

La titolazione anticorpale è eseguita quando un anticorpo irregolare anti-GR


clinicamente significativo è identificato nel siero di una donna in gravidanza o in
un paziente con anemia emolitica da crio-autoanticorpo. Sebbene il titolo
anticorpale materno in realtà correli poco con la gravità della malattia emolitica
nel feto incompatibile, è tuttavia usato spesso come parte dell’algoritmo di
trattamento della MEN.

L’aggiunta di un cross-match alla determinazione di gruppo ABO/Rh e lo


screening degli anticorpi aumenta la rivelazione di incompatibilità solo
dello 0,01%. In un ricevente con un anticorpo clinicamente significativo anti-GR,
le unità di GR negative per il corrispondente antigene sono selezionate e
ulteriormente testate per la compatibilità con un cross-match antiglobulinico
utilizzando il siero del ricevente, i GR del donatore e globulina antiumana. Nei
riceventi senza anticorpi anti-GR clinicamente significativi, un immediato spin
cross-match, che omette la fase con antiglobulina, conferma la compatibilità ABO.

TEST ABBREVIATI

La trasfusione urgente può precludere un approfondito esame di compatibilità.


Quando il tempo lo permette (occorrono circa 10 min), può essere fornita la
determinazione specifica di gruppo ABO/Rh. In circostanze più urgenti, GR di
gruppo O sono trasfusi se il tipo ABO è incerto, mentre sangue Rh-negativo si
trasfonde se il gruppo Rh è incerto. La procedura "type and screen" può essere
richiesta in circostanze in cui non è richiesta verosimilmente una trasfusione,
come nella chirurgia elettiva. Si procede alla determinazione del gruppo
sanguigno ABO/Rh e alla ricerca degli anticorpi. Se questa seconda
determinazione risulta negativa e il paziente necessita di sangue, si può
procedere alla trasfusione dei GR ABO/Rh specifici senza la fase delle prove
crociate; se è presente un anticorpo irregolare, è necessario selezionare il
sangue ed eseguire le prove crociate appropriate.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 129-2. CARATTERISTICHE E REAZIONI DEI GRUPPI SANGUIGNI DEL SISTEMA


ABO

Globuli rossi Siero

Gruppo Antigeni Reazioni con reagenti Anticorpo Reazioni con reagenti


ABO presenti Anti-A Anti-B Anti-A,B presente Cellule A Cellule B
O Nessuno Negativo Negativo Negativo Anti-A e Positivo Positivo
Anti-B
A A Positivo Negativo Positivo Anti-B Negativo Positivo
B B Negativo Positivo Positivo Anti-A Positivo Negativo
AB AeB Positivo Positivo Positivo Nessuno Negativo Negativo

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

I neonati vengono classificati come pretermine, a termine e post-termine. L’età


gestazionale, che rappresenta il determinante principale della maturità degli
organi, può essere rapidamente e accuratamente determinata nei primi giorni
dopo la nascita utilizzando il nuovo punteggio di Ballard (v. Fig. 256-1).

Tracciando un diagramma nel quale il peso viene posto in relazione all’età


gestazionale (v. Fig. 260-1), ogni bambino viene dunque classificato come
piccolo, appropriato o grande per l’età gestazionale. Anche la circonferenza
cranica e la lunghezza vengono poste in un diagramma insieme all’età
gestazionale (v. Fig. 260-2). Questi parametri possono essere modificati da fattori
genetici e da condizioni intrauterine anomale, che possono predisporre a
problemi perinatali. Esse aiutano anche a prevedere il successivo accrescimento
e lo sviluppo.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 256-1. FATTORI NEONATALI DI RISCHIO


ELEVATO PER IPOACUSIA

Peso alla nascita < 1500 g

Indice di Apgar 5 a 5 min

Bilirubinemia > 22 mg/dL (> 376 mmol/


l) in un neonato il cui peso alla nascita
è > 2000 g, oppure > 17 mg/dl (> 290
µmol/l) in un neonato < 2000 g

Anossia

Sepsi o meningite neonatale

Iperbilirubinemia neonatale

Convulsioni o crisi di apnea

Infezione intrauterina congenita, come


rosolia, in fezione da citomegalovirus
o toxoplasmosi

Trattamento con aminoglicosidi

Storia di ipoacusia precoce in uno dei


genitori o in un familiare

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

249.GRAVIDANZA FISIOLOGICA, TRAVAGLIO E PARTO

FARMACI IN GRAVIDANZA

In uno studio, il 90% delle donne gravide assumeva preparazioni, prescritte o da


banco, appartenenti a 48 classi di farmaci. Quelli più frequentemente assunti
includono gli antiemetici, gli antiacidi, gli antiistaminici, gli analgesici, gli
antimicrobici, i tranquillanti, gli ipnotici, i diuretici, i farmaci sociali e le sostanze
illecite (v. anche Cap. 250). Tuttavia, i farmaci sono responsabili solo del 2-3% di
tutte le malformazioni congenite; la maggior parte è dovuta a cause genetiche,
ambientali o sconosciute.

L’uso di farmaci durante la gravidanza è complicato dalla dinamica delle


variazioni biochimiche della madre e del feto. I farmaci passano dalla madre al
feto seguendo la stessa strada che assicura al feto le sostanze per il nutrimento
e lo sviluppo e che permette la rimozione dei prodotti catabolici del feto. Lo
scambio si verifica principalmente a livello della placenta, dove i villi che
contengono i capillari fetali protrudono nei seni (spazi intervillosi). Il sangue
arterioso materno giunge in questi spazi e poi drena nelle vene uterine per
ritornare nella circolazione sistemica materna (v. Cap. 248). Il sangue materno e
quello fetale non si mescolano. I soluti del sangue materno devono attraversare
le cellule epiteliali e il tessuto connettivo dei villi e l’endotelio dei capillari fetali; da
qui vengono poi trasportati al feto attraverso le vene placentari, che, a loro volta,
convergono nella vena ombelicale.

I farmaci somministrati in gravidanza possono nuocere al feto producendo un


effetto letale, tossico o teratogeno sull’embrione o sul feto; causando una
vasocostrizione dei vasi placentari e influenzando così lo scambio di gas e di
elementi nutritivi tra il feto e la madre; causando un grave ipertono uterino che
provoca danni fetali da anossia o, indirettamente, alterando l’equilibrio biochimico
della madre.

L’effetto di un farmaco sul feto è determinato in gran parte dall’età del feto, dalla
potenza e dal dosaggio del farmaco. Le sostanze somministrate prima del 20o
giorno dal concepimento possono agire secondo la legge del tutto o nulla, cioè o
provocando la morte dell’embrione o non danneggiandolo affatto. La teratogenesi
è improbabile durante questa fase. Il periodo dell’organogenesi (tra la 3a e l’8a
sett.) è critico per gli effetti teratogeni. In questa fase, i farmaci che raggiungono
l’embrione possono non determinare effetti rilevabili, possono provocare l’aborto,
un importante difetto anatomico subletale (vero effetto teratogenico) o un difetto
permanente di natura metabolica o funzionale che si può evidenziare in un’epoca
successiva (embriopatia latente). I farmaci somministrati dopo la fase
dell’organogenesi (cioè nel secondo e terzo trimestre) difficilmente hanno un
effetto teratogeno, ma possono alterare lo sviluppo e le funzioni degli organi e dei
tessuti fetali normalmente formati.

Le modalità di diffusione dei farmaci attraverso la placenta sono simili a quelle


con cui diffondono attraverso altre barriere epiteliali (v. Assorbimento nel
Cap. 298). Dopo che un farmaco è stato somministrato a una donna gravida, la
sua concentrazione plasmatica è maggiore nella vena ombelicale che nell’arteria
ombelicale. L’equilibrio tra il circolo materno e i tessuti fetali si raggiunge dopo
almeno 40 minuti. Nell’ora prima del parto, i farmaci che passano attraverso la
placenta (p. es., gli anestetici locali e i narcotici, che sono comunemente usati
durante il travaglio) devono essere somministrati con cautela per evitare una
tossicità nel neonato, perché dopo che il cordone è stato tagliato, il neonato (i cui
processi metabolici ed escretori sono ancora immaturi) elimina i farmaci trasferiti

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

molto più lentamente, attraverso il metabolismo epatico o l’escrezione urinaria.

La FDA classifica i farmaci in 5 categorie di sicurezza per l’uso in gravidanza (v.


Tab. 249-1). Queste categorie sono universalmente accettate e sono spesso utili
per determinare il rapporto rischio/beneficio quando si prescrivono dei farmaci in
gravidanza.

Le classi dei farmaci o dei farmaci specifici possono avere degli effetti avversi sul
feto.

Farmaci antineoplastici: poiché i tessuti embrionali sono caratterizzati da una


crescita rapida e da un elevato turnover del DNA, essi somigliano ai tessuti
neoplastici e sono, quindi, molto vulnerabili ai farmaci antineoplastici.
L’aminopterina è stato il primo farmaco di cui sia stata dimostrata la
teratogenicità nell’uomo. Molti antimetaboliti e agenti alchilanti (compreso il
metotrexato, la 6-mercaptopurina, la ciclofosfamide, il clorambucile e il
busulfano), possono provocare anomalie fetali come il ritardo di accrescimento
intrauterino, l’ipoplasia mandibolare, la palatoschisi, la disostosi cranica, i difetti a
carico dell’orecchio e il piede torto. La colchicina, la vinblastina, la vincristina e
l’actinomicina D sono teratogene negli animali, ma non è stato dimostrato che lo
siano anche nell’uomo. La colchicina aumenta il numero dei cromosomi anomali
nelle colture di linfociti, sollevando il sospetto che possa aumentare il rischio di
sviluppare una sindrome di Down nella prole.

Retinoidi sintetici: l’isotretinoide assunto precocemente nella gravidanza ha


causato dei difetti alla nascita e aborti spontanei. Le anomalie più significative
includono i difetti cardiaci, la microotia (orecchie piccole) e l’idrocefalia. Il rischio
di anomalie è valutato essere del 25%. Un altro 25% dei bambini esposti in utero
ha un ritardo mentale isolato. L’etretinato è teratogeno negli animali e nell’uomo.
Dopo la somministrazione orale, viene accumulato nel tessuto adiposo
sottocutaneo e quindi rilasciato lentamente; il suo metabolita, l’etetrina, produce
degli effetti teratogeni fino a 2 anni dopo la sospensione della terapia.

Ormoni sessuali: gli androgeni e i progestinici sintetici, somministrati durante le


prime 12 sett. di gestazione, possono provocare la mascolinizzazione dei genitali
esterni nei feti di sesso femminile. Raramente, un adenocarcinoma a cellule
chiare della vagina si sviluppa in adolescenti le cui madri avevano fatto uso,
durante la gravidanza, di dietilstilbestrolo (DES), un estrogeno sintetico non
steroideo. L’effetto dell’esposizione al DES rappresenta la prima implicazione
della carcinogenesi per via transplacentare nell’uomo. Nelle donne esposte in
utero al DES, sono state osservate le seguenti alterazioni: anormalità del muco
cervicale preovulatorio, cavità uterina a forma di T, disfunzioni mestruali, aborto
spontaneo, incompetenza cervicale e aumentata incidenza di gravidanze
ectopiche e parto pre-termine. La mortalità perinatale può essere aumentata nei
loro bambini. Nei maschi esposti al DES sono state invece osservate la stenosi
del meato uretrale e l’ipospadia.

Anticonvulsivanti: la palatoschisi; le anomalie cardiache, craniofacciali o


viscerali; l’ipoplasia delle unghie e delle dita e il ritardo mentale sono stati più
frequentemente osservati nei bambini di donne epilettiche che assumono
anticonvulsivanti. I fattori di rischio per la teratogenesi in queste donne possono
includere la frequenza e la gravità degli attacchi epilettici, l’uso di un’elevata dose
giornaliera di anticonvulsivanti e l’uso contemporaneo di più di tre
anticonvulsivanti. Il trimetadione è molto teratogeno ed è quasi sempre
controindicato. L’associazione, precedentemente presunta, della sindrome
fetale da idantoina (anomalie craniofacciali, deficit di crescita, ritardo mentale
difetti degli arti) con la fenitoina è stata messa in discussione perché degli studi
mostrano difetti simili nei bambini di madri epilettiche non trattate. Tuttavia, la
maggior parte degli esperti concorda sul fatto che il rischio è evidente quando la
fenitoina viene usata precocemente in gravidanza. Il fenobarbitale e la
carbamazepina sono stati considerati teratogeni, in quanto causano un quadro
dismorfico di anomalie minori simili a quelle associate con l’uso della fenitoina.
Durante il primo giorno di vita, i neonati esposti in utero alla fenitoina, alla
carbamazepina o al fenobarbitale hanno un aumentato rischio di sanguinamento
dovuto al deficit di vitamina K indotto dai farmaci. Questa complicanza può
essere prevenuta con la somministrazione giornaliera di vitamina K alla donna

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

gravida, PO, 1 mese prima del parto o IM al neonato dopo la nascita. Tuttavia,
poiché si possono verificare delle complicanze dovute alle convulsioni frequenti
durante la gravidanza, la donna gravida affetta da epilessia deve essere trattata
con fenitoina, carbamazepina o fenobarbitale, usando la più bassa dose efficace
e controllandola strettamente. Assunto durante la gravidanza, il fenobarbitale può
ridurre l’ittero fisiologico del neonato, forse a causa dell’induzione degli enzimi di
coniugazione nel fegato neonatale.

Vaccini: i vaccini con virus vivi devono essere evitati nelle donne che sono, o si
pensa, siano gravide. La somministrazione del vaccino per la rosolia può causare
un’infezione placentare e fetale. Le vaccinazioni per il colera, l’epatite A e B, il
morbillo, la parotite, l’influenza, la peste, la poliomielite, la rabbia, il tetano-
difterite, il tifo, la varicella e la febbre gialla possono essere effettuate in
gravidanza, se esiste un ragionevole rischio di infezione.

Farmaci per la tiroide: lo iodio radioattivo (131I), somministrato per trattare una
patologia tiroidea, può attraversare la placenta e distruggere la tiroide fetale o
provocare un ipotiroidismo grave. Anche la triiodotironina, il propiltiouracile e il
metimazolo attraversano la placenta e possono causare un gozzo fetale. La
soluzione saturata di ioduro di potassio, spesso usata per prevenire il rilascio di
ormone tiroideo dalla ghiandola tiroide, quando l’ipertiroidismo è clinicamente
grave, deve essere utilizzata con grande cautela. È stato visto che attraversa la
placenta e causa un grosso gozzo nel feto, che determina un’ostruzione
respiratoria nel neonato. Il metimazolo può causare dei difetti dello scalpo
(aplasia della cute) nei neonati. Pertanto, il farmaco di scelta nel trattamento
dell’ipertiroidismo in gravidanza è il propiltiouracile.

Narcotici e analgesici (v. anche Dipendenza da oppioidi nel Cap. 195): i


narcotici e i salicilati attraversano la placenta e raggiungono livelli significativi nel
feto. I bambini nati da madri con dipendenza da narcotici possono avere dei
sintomi da privazione da 6 h a 8 gg dopo la nascita. I salicilati competono con la
bilirubina per i siti di legame dell’albumina e possono provocare nel feto un ittero
nucleare. L’aspirina in dosi massive può ritardare l’inizio del travaglio e causare
la chiusura prematura del dotto arterioso fetale, una diatesi emorragica della
madre durante o dopo il parto o un sanguinamento nel neonato.

Antipsicotici (neurolettici) e ansiolitici: le fenotiazine sono state impiegate in


gravidanza come antiemetici e come farmaci psicoattivi. Attraversano
agevolmente la placenta e, come gruppo di farmaci, sembra pongano un rischio
insignificante per il feto.

Il diazepam è l’ansiolitico più frequentemente somministrato. Anche se molti studi


epidemiologici hanno osservato un’aumentata incidenza di anomalie con il suo
uso, la maggior parte degli studi ha concluso che questa associazione non
esiste. Quando il diazepam è somministrato alla fine della gravidanza sono stati
osservati nei neonati depressione, irritabilità, tremori e iperreflessia. Studi
sull’esposizione del feto al meprobamato e al clordiazepossido, non mostrano
alcuna prova di un’aumentata incidenza di malformazioni o di morte fetale. Test
di sviluppo intellettivo e motorio eseguiti su questi bambini a 8 mesi di età e test
di intelligenza eseguiti all’età di 4 anni, non hanno mostrato evidenza di un danno
cerebrale.

Altri farmaci psicoattivi: non ci sono dati conclusivi sull’associazione tra l’uso
degli antidepressivi triciclici e le malformazioni congenite. Vi sono osservazioni
isolate secondo le quali i bambini nati da madri che hanno ricevuto dei triciclici
poco prima del parto, possono avere tachicardia, insufficienza respiratoria e
ritenzione urinaria. Anche il carbonato di litio, somministrato nel 1o trimestre, è
stato associato a malformazioni congenite fino al 19% dei feti. Le più comuni
erano le malformazioni cardiovascolari, compresa l’anomalia di Ebstein. Sono
stati riportati anche gli effetti perinatali del litio; essi includono la letargia,
l’ipotonia, le difficoltà di alimentazione, l’ipotiroidismo, il gozzo e il diabete insipido
nefrogeno nel neonato.

Antibatterici: le tetracicline attraversano la placenta, si concentrano e si


depositano nell’osso e nei denti fetali, dove si combinano con il calcio; il periodo
a rischio va dalla metà alla fine della gravidanza. Nei bambini esposti alle

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

tetracicline in utero, i denti possono essere perennemente gialli e meno resistenti


alle carie, si può verificare un’ipoplasia dello smalto e la crescita delle ossa può
essere ritardata. Poiché sono disponibili diversi farmaci alternativi più sicuri, le
tetracicline andrebbero evitate in gravidanza.

La streptomicina, la gentamicina, la kanamicina e gli altri farmaci ototossici


devono essere evitati in gravidanza, perché attraversano la placenta e possono
danneggiare il labirinto del feto. Tuttavia, i vantaggi nel trattare le malattie
potenzialmente letali dovute a organismi penicillino o cefalosporino-resistenti,
possono essere maggiori dei rischi. Il cloramfenicolo, anche se somministrato ad
alte dosi alla madre, non è dannoso per il feto; il neonato, tuttavia, non è in grado
di metabolizzare adeguatamente il cloramfenicolo e gli elevati livelli ematici che
ne risultano possono provocare un collasso cardiocircolatorio (sindrome del
bambino grigio). Le penicilline sembrano essere sicure.

I sulfamidici ad azione prolungata attraversano la placenta; poiché hanno una


grande affinità di legame per le proteine, possono spostare la bilirubina dai suoi
siti di legame. Se i sulfamidici sono somministrati prima della 34a sett., la
placenta elimina efficacemente la bilirubina, riducendo al minimo i rischi per il
feto. Quando sono somministrati in prossimità del parto, il neonato può avere un
ittero grave e, se non trattato, un ittero nucleare. La sulfasalazina rappresenta
un’eccezione, in quanto il suo metabolita attivo nel feto, la sulfapiridina, ha una
capacità molto debole di spostare la bilirubina e presenta perciò dei rischi minimi
per il feto.

Le cefalosporine sono spesso prese in considerazione durante la gravidanza, ma


poiché gli studi nell’uomo non sono riusciti a escludere la possibilità di un danno,
le cefalosporine devono essere usate solo se chiaramente necessarie.

L’uso degli antibiotici chinolonici durante la gravidanza è stato recentemente


messo in discussione a causa degli studi che mostrano come la ciprofloxacina e
la norfloxacina abbiano un’elevata affinità per l’osso e la cartilagine, causando
potenzialmente un’artralgia nei bambini esposti. Tuttavia, uno studio recente sui
lattanti esposti in utero agli antibiotici chinolonici non ha rilevato malformazioni o
difetti muscolo-scheletrici associati.

Anticoagulanti: le cumarine possono attraversare la placenta e arrivare al feto,


che è molto sensibile alla loro azione. La sindrome fetale da warfarin si può
verificare fino nel 25% dei feti esposti alla warfarina durante il 1o trimestre; le
anomalie includono l’ipoplasia del naso, la granulia miliariforme delle ossa
(evidenziabile alle radiografie), l’atrofia ottica bilaterale e i vari gradi di ritardo
mentale. L’esposizione alla warfarin durante il 2o o il 3o trimestre è stata correlata
all’atrofia ottica, alle cataratte, al ritardo mentale, alla microcefalia e alla
microftalmia. Si possono inoltre verificare delle emorragie fetali e materne.
L’eparina, una grande molecola a elevata carica con un passaggio
transplacentare minimo, è l’anticoagulante di scelta durante la gravidanza.
Tuttavia, il prolungato ( 6 mesi) uso in gravidanza può causare, nella madre,
osteoporosi o trombocitopenia. Per le pazienti che non sono gravide, l’eparina a
basso peso molecolare rappresenta un’alternativa più sicura. Tuttavia, la sua
efficacia come anticoagulante durante la gravidanza non è dimostrata, anche se
è stato riportato che non è dannosa per il feto perché il passaggio attraverso la
placenta è minimo o nullo.

Farmaci cardiovascolari: i glicosidi digitalici attraversano la placenta, ma i


neonati (e i bambini) sono relativamente resistenti alla loro tossicità. Solo l’1% di
una dose di digitossina iniettata alla madre, compare nel feto sotto forma di
digitossina immodificata e il 3% compare sotto forma dei suoi metaboliti, ma si
possono osservare delle concentrazioni maggiori di digitossina, soprattutto
durante il primo trimestre. I neonati di madri che fanno uso di digitossina,
presentano una concentrazione plasmatica paragonabile a quella della madre,
senza segni di effetti dannosi.

Anche i farmaci antiipertensivi, comunemente assunti dalle madri con disturbi


ipertensivi della gravidanza, attraversano la placenta e possono danneggiare il
neonato. I bloccanti gangliari possono dare effetti autonomici come l’ipotensione
e l’ileo paralitico. Il propranololo attraversa la placenta e può causare bradicardia,

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

ipoglicemia e potenzialmente vari gradi di ritardo di crescita intrauterina. I diuretici


tiazidici devono essere evitati perché riducono la volemia materna e possono
compromettere l’ossigenazione e la nutrizione fetale. Essi possono, inoltre,
causare iponatremia, ipokaliemia e trombocitopenia nel neonato.

Gli ACE-inibitori, come l’enalapril e il captopril, possono causare un’insufficienza


renale fetale nel 2o e nel 3o trimestre di gravidanza, da cui deriva la sequenza
dell’oligoidramnios (oligoidramnios, deformità craniofacciali, contratture degli arti
e sviluppo ipoplasico del polmone fetale). Usati durante il 1o trimestre, tuttavia,
questi farmaci non sembrano essere teratogeni.

Farmaci impiegati comunemente in corso di travaglio e di parto: il passaggio


transplacentare degli anestetici locali (mepivacaina, lidocaina, prilocaina) dalle
varie sedi di somministrazione (pudenda, paracervicale) può causare, nel feto,
depressione del SNC e bradicardia. La terapia ossitocica EV per aumentare o
indurre il travaglio è sicura, ma la somministrazione non controllata può causare
delle contrazioni uterine ipertoniche, che possono mettere in pericolo il feto. I
narcotici, la scopolamina, i barbiturici, la ketamina e gli analgesici attraversano
tutti la placenta. Il tiopentale, un ipnotico comunemente usato durante il parto
cesareo, si concentra nel fegato del feto, proteggendo il SNC dalle alte
concentrazioni del farmaco. Le dosi elevate di diazepam, somministrato EV alle
madri prima del parto, può produrre nei neonati ipotonia, ipotermia, un basso
punteggio di Apgar, un’insufficiente risposta metabolica allo stress da freddo e
depressione neurologica.

Il solfato di magnesio somministrato EV, spesso usato per bloccare un travaglio


prematuro o per prevenire delle convulsioni eclamptiche, può causare letargia,
ipotonia e una depressione respiratoria temporanea nei neonati. Tuttavia, le gravi
complicanze neonatali sono rare e i benefici di questo farmaco, quando usato
con giudizio, superano i rischi.

Altri farmaci prescritti: la talidomide, introdotta nel 1956 come un farmaco per
l’influenza e come un sedativo, è attualmente usato per trattare la lebbra. Nel
1962, fu scoperto che la talidomide, assunta dalle donne gravide durante
l’organogenesi, era responsabile di embriopatie, incluse la riduzione bilaterale
degli arti (p. es., l’amelia, la focomelia, l’ipoplasia) e le malformazioni GI e
cardiovascolari.

Assunta durante la gravidanza, la quantità di vitamina A contenuta nei preparati


vitaminici prenatali (5000 UI/die) non è stata associata a rischi teratogeni, ma
dosi > 10000 UI/die aumentano il rischio.

La meclizina, un farmaco prescritto spesso contro le cinetosi ("mal d’auto"), la


nausea e il vomito, è teratogeno nei roditori, ma questo effetto non è stato
documentato nell’uomo.

Gli ipoglicemizzanti orali non sempre riescono a controllare adeguatamente il


diabete nelle donne gravide e possono causare una grave ipoglicemia nei
neonati. Poiché l’insulina non può attraversare la placenta e permette un
controllo più prevedibile del diabete, è il farmaco di scelta per il trattamento del
diabete mellito durante la gravidanza.

L’uso per via orale e per via topica dell’acyclovir durante la gravidanza sembra
essere sicuro.

I farmaci ossidanti come la primachina, la nitrofurantoina, il naftalene, la


vitamina K, i sulfamidici e il cloramfenicolo possono provocare emolisi nelle madri
e nei feti affetti da deficit genetico di G6PD (v. Difetti dello shunt degli esoso-
monofosfati nel Cap. 127).

Droghe di uso comune e illegali: gli effetti del fumo di sigaretta e dell’uso
dell’alcol, della cocaina e della marijuana durante la gravidanza sono trattati nel
Cap. 250 (v. anche Cap. 195 e 260). L’incidenza dell’uso dell’amfetamina è
elevata nelle madri di bambini con difetti cardiaci congeniti, indicando una
possibile associazione teratogena.

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Gravidanza fisiologica, travaglio e parto

Caffeina: vari studi indicano che bere più di 7-8 caffé al giorno si associa a
un’aumentata incidenza di morte intrauterina, di parti pre-termine, di neonati con
basso peso alla nascita e di aborti spontanei. Questi studi, tuttavia, non hanno
tenuto conto dell’uso del tabacco e dell’alcol. Uno studio controllato su donne
gravide che assumevano piccole quantità di caffeina (circa 1 tazza di caffè) non
ha evidenziato un effetto teratogeno. Non è chiaro, quindi, se l’assunzione di forti
dosi di caffeina si associ o meno a un’aumentata incidenza di complicanze
perinatali. Le bevande decaffeinate presentano, teoricamente, un modesto
rischio per il feto.

Aspartame: l’uso dell’aspartame, un sostituto dietetico dello zucchero, in


gravidanza è spesso messo in discussione. Il metabolita principale
dell’aspartame, la fenilalanina, si concentra nel feto con un meccanismo di
trasporto transplacentare attivo e dei livelli tossici possono causare un ritardo
mentale. Tuttavia, quando l’assunzione è mantenuta nei limiti usuali, i livelli di
fenilalanina fetale sono di molto al di sotto dei livelli tossici. L’assunzione
moderata di aspartame durante la gravidanza sembra porre un modesto rischio
di tossicità per il feto. Comunque, se la madre è affetta dalla fenilchetonuria (v.
Cap. 269), l’assunzione della fenilalanina, e quindi dell’aspartame, è proibita.

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Concepimento e sviluppo prenatale

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

248.CONCEPIMENTO E SVILUPPO PRENATALE

Sommario:

Introduzione
Impianto
Placentazione
Embriologia

Il concepimento (fecondazione) avviene circa 14 gg prima delle mestruazioni e


subito dopo l’ovulazione. Se i cicli sono irregolari, la data del concepimento e
quindi la durata della gravidanza e l’epoca del parto possono essere difficili da
determinare.

Al momento dell’ovulazione il muco cervicale diventa meno viscoso, facilitando il


rapido transito degli spermatozoi dalla vagina nella cavità uterina. Lo sperma può
sopravvivere nella vagina fino a 3 giorni prima dell’ovulazione. In condizioni
sperimentali, si è visto che gli spermatozoi transitano dalla vagina all’estremità
fimbriata della tuba in 5 minuti.

Il concepimento avviene nella tuba, in genere proprio in prossimità dell’estremità


fimbriata. L’epitelio tubarico deve funzionare in maniera appropriata per
consentire che lo spermatozoo e l’ovulo si uniscano e che lo zigote che ne risulta
continui a dividersi e a svilupparsi durante il suo transito lungo la tuba fino alla
cavità endometriale. Lo zigote impiega, per questo spostamento, 3-5 gg e
raggiunge la zona di impianto in altri 1 o 2 gg. Durante questo periodo il prodotto
del concepimento si divide; al momento dell’impianto ha formato una blastocisti
(un singolo strato di cellule che circondano una cavità centrale). Una parte della
parete della blastocisti è più spessa, formata da 3-4 strati di cellule. Quet’area
rappresenta il polo embrionale, che diventerà presto riconoscibile come un
embrione.

Impianto

La zona dell’impianto, che vede il polo embrionale penetrare per primo, è,


in genere, sulla parete anteriore o su quella posteriore della cavità
endometriale, in prossimità del fondo. Le cellule trofoblastiche proliferano
dalla superficie della blastocisti invadendo e penetrando nell’endometrio,
cosicché la blastocisti si annida nel suo strato centrale. Questo processo
inizia tra il 5o e l’8o giorno e si completa entro il 9o o il 10o.

Dal 10o giorno si possono identificare le cellule sinciziali


(sinciziotrofoblasto) e quelle citotrofoblastiche. A partire da questo
momento, una colorazione fluorescente mostra la presenza della
gonadotropina corionica nelle cellule sinciziali. Presumibilmente, tutti gli
altri ormoni trofici prodotti dalla placenta compaiono nelle cellule sinciziali
poco tempo dopo. La parete della blastocisti si trasforma nel corion (lo
strato esterno delle membrane che racchiudono il feto e il liquido
amniotico). Uno strato più interno (amnios) si sviluppa intorno al 10o-12o
giorno come una fessura nel foglietto ectodermico embrionale e forma il
sacco amniotico; il sacco si riempie di liquido e si espande fino ad

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Concepimento e sviluppo prenatale

avvolgere l’embrione e ad aderire alla superficie più interna del corion


(parete blastocistica). La cavità della blastocisti scompare.

L’embrione continua a svilupparsi, ma è confinato nell’ambito di una parete


della cavità endometriale fino alla 12a sett. A questo punto, l’endometrio
(decidua) che ricopre l’embrione entra in stretto contatto con la decidua
della parete opposta, in modo da fondersi e obliterare la cavità. L’unica
cavità che rimane nell’utero è ora la cavità amniotica che contiene il liquido
amniotico e il feto.

Placentazione

La formazione della placenta inizia con lo sviluppo delle cellule


trofoblastiche al 10o giorno. L’invasione di queste cellule all’interno dei vasi
materni fa sì che il sangue penetri negli spazi fra le cellule, formando delle
lacune (laghi) che diventeranno gli spazi intervillosi. Il feto trae il suo
nutrimento dalle lacune. Inizialmente, la placenta circonda la blastocisti,
trasferendo le sostanze nutritive ed eliminando quelle di scarto
direttamente attraverso le membrane cellulari. I villi si cominciano a
formare sulla superficie del corion precocemente, all’11o o 12o gg; essi si
suddividono più volte dando luogo a una complicata struttura ramificata su
tutta la superficie corionica. Il trasferimento delle sostanze dal sangue
materno a quello fetale, ad opera dei villi, inizia quando i vasi fetali
compaiono nella placenta, al 19o giorno.

A partire dalla 12a sett. circa, influenzata, apparentemente dalla posizione


della principale sorgente di sangue materno, la placenta vera (discoide)
inizia a demarcarsi in corrispondenza del vecchio polo embrionale; la
placenta è attaccata, tramite i villi, alla decidua, che ricopre direttamente le
arteriole spirali materne (v. Fig. 248-1). Gli altri villi si atrofizzano e
scompaiono del tutto tra la 16a e la 18a sett. Le arteriole spirali drenano
nello spazio intervilloso, cosicché il sangue materno circola intorno e
attraverso l’intreccio dei villi, drenando in 2 o 3 seni venosi connessi con
ciascuna arteriola spirale. I villi sono suddivisi in gruppi, detti cotiledoni,
ognuno servito da 1 o 2 arteriole spirali. Una placenta a termine contiene
da 10 a 20 cotiledoni. Le sostanze nutritive sono trasferite dal sangue
materno allo spazio intervilloso, attraverso le cellule trofoblastiche, il nucleo
fibroso del villo e le cellule endoteliali dei capillari fetali, fino al sangue
fetale. Le scorie metaboliche compiono il cammino inverso. Questa
struttura viene detta una placenta emocoriale, perché il sangue materno è
in contatto con il tessuto corionico o trofoblastico fetale.

La placenta discoide raggiunge la sua struttura definitiva tra la 18a e la 20a


sett. di gestazione. Continua a crescere durante tutta la gravidanza, fino a
raggiungere il peso di circa 500 g al momento del parto.

Embriologia

Il prodotto del concepimento diventa riconoscibile come un embrione circa


10 gg dopo la fecondazione, quando l’ectoderma si divide per formare il
sacco amniotico. I tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma,
endoderma) sono presenti e, di solito, possono essere distinti. Allora inizia
a svilupparsi la stria primitiva, che diventa poi il tubo neurale. Intorno al 16o-
17o giorno il mesoderma si ispessisce in prossimità dell’estremità cefalica,
formando un canale centrale che darà luogo, alla fine, al cuore e ai grossi
vasi. Il cuore inizia a pompare plasma attraverso i vasi, a partire dal 20o

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Concepimento e sviluppo prenatale

giorno e al 21o compaiono i GR fetali. Questi GR nucleati e molto immaturi


sono presto sostituiti dalle forme mature. I GR nucleati compaiono di nuovo
solo nei casi di eritroblastosi fetale (v. Cap. 252) e nell’ipossia fetale
progressiva. Poco tempo dopo, i vasi fetali si sviluppano in tutto il corpo.
Alcuni originano nel mesoderma extraembrionario; questo connette il
sacco allantoideo all’addome fetale a livello dell’ombelico e contiene i vasi
sanguigni e il prolungamento dell’uraco che drena le urine dalla vescica nel
sacco allantoideo. Questa struttura si atrofizza rapidamente e il
mesoderma extraembrionario diventa il cordone ombelicale connesso ai
vasi placentari. I vasi ombelicali trasportano il sangue da e verso la
placenta. L’organogenesi è completa alla 12a sett. di gestazione (70 giorni
dopo il concepimento), tranne che per il SNC che continua a svilupparsi
durante tutta la gravidanza.

La maggior parte delle malformazioni si verifica durante le prime 12 sett.,


quando le influenze teratogene esterne, come il virus della rosolia, sono
massimamente nocive. Tutti i farmaci e le vaccinazioni devono essere
evitati fino a dopo la 12a sett. di gestazione a meno che non siano
essenziali per proteggere la salute della madre; i farmaci teratogeni
devono essere evitati del tutto (v. Cap. 249).

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

252. ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA

ERITROBLASTOSI FETALE

Anemia emolitica del feto o del neonato, causata dalla trasmissione


transplacentare di anticorpi materni e provocata, in genere, dall’incompatibilità
materno-fetale del gruppo sanguigno.

Sommario:

Eziologia e fisiopatologia
Prevenzione e terapia

Eziologia e fisiopatologia

L’incompatibilità da fattore Rh si può sviluppare quando una donna con sangue


Rh negativo viene fecondata da un uomo con sangue Rh positivo e viene
concepito un feto con sangue Rh positivo (v. anche Cap. 260). I GR fetali
attraversano la placenta e passano nel circolo materno durante tutta la
gravidanza (il passaggio maggiore avviene al momento del parto) stimolando la
produzione di anticorpi materni contro il fattore Rh (isoimmunizzazione). Nelle
successive gravidanze, gli anticorpi raggiungono il feto attraverso la placenta e
provocano la lisi dei GR fetali. L’anemia che ne deriva può essere così grave da
provocare la morte in utero del feto. Per cercare di correggere l’anemia, il midollo
osseo fetale mette in circolazione forme immature di GR dette eritroblasti,
causando l’eritroblastosi fetale. Dopo la nascita, i neonati affetti possono
sviluppare un ittero nucleare (v. Cap. 260).

Le incompatibilità materno-fetali dei gruppi sanguigni ABO, che causano


l’eritroblastosi fetale, sono meno gravi e meno frequenti rispetto a quelle del
fattore Rh (v. Cap. 260)

Prevenzione e terapia

Dato che in una madre, non precedentemente sensibilizzata, la produzione di


anticorpi non comincia, in genere, se non dopo il parto, l’eritroblastosi si può
prevenire nei figli successivi iniettando nella madre un preparato a base di alti
titoli di immunoglobuline Rh0(D) entro 72 h dal parto. Questo preparato deve
essere somministrato dopo ogni gravidanza, sia che esiti in un parto, in una
gravidanza ectopica o in un aborto. Gli anticorpi anti-Rh del preparato
distruggono le emazie fetali nel sangue materno prima che esse possano
sensibilizzare il sistema immunitario materno. Se si è verificata un’emorragia
massiva feto-materna, possono essere necessarie altre somministrazioni del
preparato. Questo trattamento ha una percentuale di fallimento pari all’1-2%
circa, apparentemente a causa di una sensibilizzazione materna avvenuta in
corso di gravidanza, piuttosto che al momento del parto. Pertanto, tutte le madri
che hanno un sangue Rh negativo senza un’evidenza clinica di sensibilizzazione
(come indicato dai titoli anticorpali) devono essere trattate con una dose standard
di 300 µg di immunoglobuline Rh0(D) all’incirca alla 28a sett. di gestazione.

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Anomalie della gravidanza

Questi anticorpi esogeni vengono gradualmente distrutti durante i 3-6 mesi


successivi e la madre non si sensibilizza. Le immunoglobuline Rh0(D) devono
essere somministrate anche dopo ogni episodio di sanguinamento e dopo
un’amniocentesi o un prelievo dei villi coriali.

Al momento della prima visita prenatale, tutte le pazienti devono eseguire la


ricerca del gruppo sanguigno e del fattore Rh (v. anche Test di compatibilità nel
Cap. 129). Se la paziente è Rh negativa si devono accertare anche il gruppo e i
sottogruppi del padre del bambino. Se questi è Rh positivo e il titolo degli
anticorpi anti-Rh della donna è negativo, si dovrà ripetere il titolo degli anticorpi
anti-Rh materni alla 18a-20a sett. e di nuovo alla 26a-27a sett. di gravidanza.
Sebbene queste determinazioni abbiano un valore limitato nelle pazienti già
sensibilizzate, sono molto utili in quelle a rischio, ma non ancora affette.

Se i titoli sono > 1:32, si devono eseguire un’amniocentesi e la determinazione


spettrofotometrica della concentrazione della bilirubina nel liquido amniotico ogni
2 sett. a cominciare dalla 28a. Le pazienti già sensibilizzate al fattore Rh sono
candidate all’amniocentesi alla 26a-30a sett., in base alla gravità stimata della
malattia. La spettrofotometria ad alta risoluzione è utile nella valutazione ante-
partum dell’eritroblastosi fetale (v. Tab. 252-2).

Se i livelli di bilirubina nel liquido amniotico sono normali, si può permettere che
la gravidanza arrivi al termine con un parto spontaneo. Se invece sono alti,
indicando il pericolo di una morte intrauterina, il feto può essere sottoposto a
delle trasfusioni intrauterine, a intervalli di 10 gg-2 sett., generalmente fino alla
32a-34a sett. di gestazione, momento in cui si deve espletare il parto. Le
trasfusioni intrauterine si eseguono inserendo un ago attraverso la parete
dell’addome materno e dell’utero e la parete addominale del feto, all’interno della
cavità addominale fetale. I GR contenuti nel sangue trasfuso nella cavità
addominale del feto sono assorbiti nella circolazione fetale. Spesso, sono utili il
prelievo di sangue o la trasfusione per puntura percutanea del cordone
ombelicale. Queste procedure devono essere eseguite in una struttura attrezzata
per seguire le gravidanze ad alto rischio.

Il parto deve essere il meno traumatico possibile. La placenta non deve essere
rimossa manualmente per evitare l’immissione forzata di cellule fetali nella
circolazione materna. Un neonato affetto da eritroblastosi deve essere
immediatamente affidato a un pediatra preparato a eseguire
un’exsanguinotrasfusione immediata, se questa è necessaria (v. Anemia
emolitica del neonato nel Cap. 260).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 252-2. LIVELLI DI BILIRUBINA


NEL LIQUIDO AMNIOTICO

Bilirubina totale (mg/dl Assorbi mento Interpretazione


[µmol/l]) spettrofotometrico clinica
< 0,28 (< 5) < 0,20 Normale o
probabilmente affetto
0,28-0,46 (5-8) 0,20-0,34 Affetto, ma non in
pericolo
0,47-0,95 (8-16) 0,35-0,70 Sofferente e
probabilmente in
pericolo di vita

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

PROBLEMI EMATOLOGICI

ANEMIA EMOLITICA NEONATALE

Anemia causata dalla rottura dei GR.

Sommario:

Incompatibilità Rhesus
Sintomi e segni
Diagnosi e profilassi
Terapia

Incompatibilità di gruppo ABO


Incompatibilità da gruppo raro
Anemie dovute a sferocitosi congenita
Anemie emolitiche non sferocitiche
Anemie emolitiche dovute a infezioni

Incompatibilità Rhesus

L’incompatibilità Rhesus (Rh) può verificarsi quando la madre è Rh negativa e il


feto è Rh positivo. L’isoimmunizzazione materna si verifica dopo che alcuni GR
fetali(incompatibili) attraversano la placenta e inducono una risposta
immunologica con anticorpi materni specifici anti-Rh, alcuni dei quali
successivamente attraversano la placenta verso il feto e determinano emolisi.

La prima isoimmunizzazione può esitare in aborto o in una gravidanza con feto


Rh positivo. La gravità dell’isoimmunizzazione di solito aumenta in ogni
gravidanza successiva ed è probabile che ogni figlio successivo sia colpito più
gravemente. L’incompatibilità Rh indica di solito che sono presenti anticorpi
contro l’antigene di superficie del GR di gruppo D, sebbene possano esserci altri
fattori di incompatibilità del sistema Rh come il C e l’E. (V. anche Cap. 252.)

Sintomi e segni

I feti più gravemente colpiti sviluppano in utero una profonda anemia


(eritroblastosi fetale-v. nel Cap. 252) con morte fetale intrauterina oppure
nascono con idrope fetale. Quest’ultima condizione può essere diagnosticata
prima del parto mediante ecografia, che evidenzia edema del cuoio capelluto,
cardiomegalia, epatomegalia, versamento pleurico e ascite. Può essere presente
polidramnios. Questi neonati sono estremamente pallidi, hanno importanti edemi
generalizzati, versamenti pleurici e peritoneali. A causa della eritropoiesi
extramidollare, il fegato e la milza sono aumentati di dimensioni. Si può avere
insufficienza cardiaca congestizia. A causa dell’anemia e della prematurità
spesso si ha un’asfissia durante il travaglio e il parto, per cui, solitamente, è
indicato il taglio cesareo. La prematurità e l’asfissia, insieme all’ipoproteinemia,
predispongono questi bambini alla sindrome del distress respiratorio (RDS), i cui

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Patologia del neonato e del lattante

segni clinici possono essere difficili da distinguere da quelli dello scompenso


cardiaco. I neonati con eritroblastosi meno grave possono essere anemici, ma
non presentano edemi o altri segni di idrope; i bambini colpiti in maniera lieve
possono essere leggermente o affatto anemici alla nascita. I neonati colpiti vanno
solitamente incontro, subito dopo la nascita, a iperbilirubinemia, a causa del
continuo effetto emolitico degli anticorpi anti-Rh(D) che hanno superato il filtro
placentare.

Diagnosi e profilassi

La gravità del processo emolitico in utero può essere valutata misurando la


bilirubina nel liquido amniotico (misurata come densità ottica a 450 nm [OD 450]
e corretta per l’età gestazionale) mediante amniocentesi sequenziali (v. Tab. 252-
2). Per la profilassi della madre Rh negativa, v. Cap. 252.

Terapia

Prima della nascita: è possibile, nei feti gravemente colpiti, estrarre mediante
cordocentesi in utero un campione di sangue fetale (per l’analisi dell’Htc, del
gruppo sanguigno e per un test di Coombs diretto) e praticare trasfusioni di GR
concentrati. Questi possono inoltre essere somministrati mediante trasfusione
intraperitoneale di GR di gruppo O Rh negativo, che devono essere prima
irradiati per eliminare i linfociti che, in caso contrario, potrebbero provocare una
graft- versus-host disease (reazione del trapianto contro l’ospite). Queste
pratiche vengono effettuate sotto controllo ecografico nelle Unità di Terapia
Intensiva perinatale.

Durante il travaglio: bisogna monitorare la frequenza cardiaca fetale; è


necessario programmare il taglio cesareo se subentra il distress fetale o se il feto
sembra gravemente colpito. Un neonato con idrope fetale o con grave
eritroblastosi senza idrope è a forte rischio e deve nascere in un’Unità di Terapia
Intensiva perinatale.

Dopo la nascita: in presenza di idrope fetale, la grave anemia deve essere


prontamente trattata con un’exsanguinotrasfusione parziale, utilizzando GR
concentrati Rh-negativi. Dopo che le condizioni del bambino si stabilizzano, deve
essere eseguita, con sangue Rh negativo, un’exsanguinotrasfusione con un
volume doppio (cioè utilizzando il doppio della volemia calcolata del bambino,
che così rimuove l’85% del sangue del bambino, inclusi anticorpi, GR
sensibilizzati e bilirubina accumulata). Possono essere necessari digossina e
diuretici per lo scompenso cardiaco, terapia alcalinizzante per l’acidosi
metabolica e un supporto ventilatorio per la sindrome del distress respiratorio.

Il sangue cordonale di tutti i neonati di madre Rh-negativa deve essere


immediatamente esaminato per determinare il gruppo sanguigno del bambino e
deve essere eseguito un test di Coombs diretto. Se il neonato è Rh-positivo e il
test di Coombs diretto è positivo, bisogna determinare l’Htc, eseguire la conta dei
reticolociti e uno striscio di sangue per valutare la presenza di reticolociti e di GR
immaturi. Sul sangue cordonale deve essere determinata la bilirubinemia. Un Htc
su sangue cordonale < 40% o un valore di bilirubinemia > 5 mg/dl (86 µmol/l)
indicano un’emolisi grave.

Se le condizioni del bambino sono stabili, una precoce exsanguinotrasfusione


rimuoverà i GR sensibilizzati e gli anticorpi prima che l’emolisi produca alti livelli
di bilirubina e può prevenire l’eventuale necessità di exsanguino-trasfusioni
multiple. Se l’emolisi è particolarmente grave, sarà quasi certamente richiesta
un’exsanguinotrasfusione a causa dell’iperbilirubinemia. I criteri alla nascita che
stabiliscono la possibile necessità di una pronta, ma non urgente,
exsanguinotrasfusione sono un’Htc < 40%, una reticolocitosi > 15% e una
bilirubinemia su sangue cordonale > 5 mg/dl (86 µmol/l); la maggior parte delle

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Patologia del neonato e del lattante

informazioni utili si ottiene seguendo il tasso di incremento che la bilirubinemia


subisce in diverse ore. Se il tasso aumenta di 1 mg/dl/h ( 17 µmol/l/h), il bambino
facilmente avrà bisogno di un’exsanguinotrasfusione, sebbene il trattamento
fototerapico possa rallentare l’aumento della bilirubina ed evitare così il ricorso
all’exsanguinotrasfusione.

Se non c’è indicazione immediata alla exsanguinotrasfusione, il bambino può


essere seguito con determinazioni seriate della bilirubinemia e dell’Htc.
L’exsanguinotrasfusione è indicata se i livelli di bilirubina diventano
spiccatamente elevati (v. sopra Iperbilirubinemia in Il prematuro, e più avanti in
Patologia metabolica nel neonato) o se si sviluppa una grave anemia.

Molti neonati Rh positivi sensibilizzati non richiederanno l’exsanguinotrasfusione;


tuttavia, l’Htc deve essere controllato ripetutamente per parecchi mesi, in quanto
una grave anemia può svilupparsi per il sopraggiungere di una lenta emolisi.
Questi bambini possono richiedere una semplice trasfusione di GR concentrati,
tipo-specifici Rh-negativi.

Incompatibilità di gruppo ABO

In quasi tutti i casi di incompatibilità ABO, il gruppo sanguigno della madre è O e


quello del figlio è A o B. È più comune la sensibilizzazione anti-A, ma la
sensibilizzazione anti-B, determina con più probabilità una malattia emolitica più
grave. Sebbene il bambino possa sviluppare anemia in utero, essa è raramente
tanto grave da determinare idrope o morte intrauterina. Il più importante
problema clinico è lo sviluppo di una significativa iperbilirubinemia dopo la
nascita, come risultato di un’emolisi in corso.

Gli esami di laboratorio sono simili a quelli richiesti per l’incompatibilità Rh. Il test
di Coombs diretto è di solito debolmente positivo, ma può a volte essere
negativo, cosa che non esclude una incompatibilità ABO se sono presenti gli altri
criteri diagnostici. Di solito gli anticorpi anti-A o anti-B possono essere identificati
nel sangue del bambino (mediante test di Coombs indiretto positivo) o dopo
eluzione anticorpale dai GR del bambino. Inoltre, la presenza di molti
microsferociti e una reticolocitosi nel sangue del bambino suggeriscono
l’incompatibilità ABO. La sorveglianza e il trattamento sono uguali a quelli attuati
in caso di incompatibilità Rh.

Incompatibilità da gruppo raro

È stato documentato un elevato numero di incompatibilità da gruppi rari (p. es.,


Kell, Duffy). Sebbene non comuni, esse possono essere gravi e dal momento
che è presente emolisi, producono anemia e iperbilirubinemia sul modello
dell’incompatibilità Rh e ABO. Poiché la diagnosi di tali incompatibilità può
portare via tempo, molti consigliano di eseguire di routine uno screening sul
sangue materno per la ricerca di anticorpi rari o atipici. Il trattamento è identico a
quello che si attua nell’incompatibilità Rh; il sangue utilizzato per la
exsanguinotrasfusione non deve possedere l’Ag sensibilizzante.

Anemie dovute a sferocitosi congenita

(V. anche Anemie da iperemolisi nel Cap. 127)

Nei bambini nati con sferocitosi congenita l’emolisi spesso causa una significativa
iperbilirubinemia e a volte anemia. Nei neonati, di solito, non si ritrova una
splenomegalia importante. Gli sferociti si mettono in evidenza con lo striscio
ematico e si ha un’aumentata fragilità dei GR. Questa alterazione può essere

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Patologia del neonato e del lattante

trasmessa con carattere dominante. In molti casi, tuttavia, l’anamnesi familiare è


negativa per sferocitosi. Una precoce iperbilirubinemia, se grave, viene trattata
con exsanguinotrasfusione. La splenectomia può essere richiesta
successivamente per controllare l’anemia emolitica cronica.

Anemie emolitiche non sferocitiche

A volte, i neonati sviluppano un’anemia emolitica secondaria a deficit enzimatico


dei GR, come nel deficit di piruvato chinasi o di G6PD (v. Anemie causate da
alterazioni di membrana del globulo rosso nel Cap. 127). La presenza di corpi di
Heinz negli eritrociti di un bambino con anemia emolitica suggerisce questi difetti
e possono essere eseguiti dei test specifici per valutare l’attività enzimatica. Nel
neonato può essere difficile porre una diagnosi definitiva. Quindi, è necessario
osservare nel tempo il decorso dell’anemia emolitica; quando il bambino è più
grande sarà più facile ottenere una quantità di sangue sufficiente per
diagnosticare gli specifici deficit enzimatici dei GR.

Anemie emolitiche dovute a infezioni

Si verifica emolisi in molte infezioni congenite (p. es., toxoplasmosi, rosolia,


malattia citomegalica, herpes simplex e sifilide) e in corso di infezioni da batteri
emolitici (p. es., Escherichia coli o β streptococchi emolitici). Le sepsi o le IVU
possono causare iperbilirubinemia precoce o grave.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO

(Gli errori congeniti del metabolismo, come ipotiroidismo congenito, galattosemia,


sindrome adrenogenitale, emoglobinopatie e fenilchetonuria sono trattati altrove
nel Manuale.)

file:///F|/sito/merck/sez19/2602305c.html02/09/2004 2.06.28
Anemie

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. ANEMIE

Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di


perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione
di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI

Sommario:

Introduzione
Patogenesi
Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Diagnosi
Terapia

Alla fine della vita media normale dei GR (circa 120 gg), i GR vengono rimossi
dalle cellule del sistema di fagocitosi mononucleare, soprattutto nella milza, dove
avviene il catabolismo dell’Hb. La caratteristica fondamentale dell’emolisi è la
riduzione della vita media del GR; si ha anemia emolitica quando la produzione
midollare non riesce più a compensare la ridotta sopravvivenza dei GR.

Patogenesi

La maggior parte dell’emolisi è extravascolare, cioè avviene nelle cellule


macrofagiche della milza, del fegato e del midollo osseo. L’emolisi può essere
dovuta a: (1) alterazioni dei componenti intraeritrocitari (Hb o enzimi) o alterazioni
della membrana del GR (permeabilità, struttura o contenuto lipidico); o (2)
alterazioni estrinseche al GR (anticorpi sierici, traumi intravascolari o agenti
infettivi). La milza è di solito coinvolta; riduce la sopravvivenza dei GR in seguito
alla distruzione splenica di GR che sono soltanto moderatamente alterati o di GR
ricoperti da Ac caldi. Se la milza è ingrandita, ci può essere intrappolamento
(sequestro) di GR anche se normali. I GR gravemente danneggiati o quelli
rivestiti da anticorpi freddi o da complemento (C3) vengono distrutti in circolo o
nel fegato, che (per il suo notevole flusso ematico) è molto efficiente nel
rimuovere le cellule danneggiate.

L’emolisi intravascolare è rara; si ha emoglobinuria quando l’Hb rilasciata nel


plasma supera la capacità legante l’Hb delle proteine di legame plasmatiche
(p. es., l’aptoglobina). L’Hb viene riassorbita dalle cellule tubulari renali dove il Fe
è convertito in emosiderina, che in parte viene riutilizzata e in parte giunge nelle
urine con lo sfaldamento delle cellule tubulari. L’identificazione
dell’emosiderinuria nel prelievo delle urine fresche permette di evidenziare
un’emolisi intravascolare.

Sintomi e segni

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Anemie

Le manifestazioni sistemiche delle anemie emolitiche ricordano quelle delle altre


anemie. L’emolisi può essere acuta, cronica o episodica. Una crisi emolitica
(emolisi acuta grave) è rara; può essere accompagnata da brividi, febbre, dolore
alla regione lombare e all’addome, prostrazione e shock. Nei casi gravi, l’emolisi
aumenta (ittero, splenomegalia e, in alcuni tipi di emolisi, emoglobinuria e
emosiderinuria) e l’eritropoiesi aumenta (reticolocitosi e iperattività midollare).
Nelle condizioni emolitiche croniche l’anemia può essere esacerbata da una crisi
aplastica (transitoria insufficienza dell’eritropoiesi); essa è di solito correlata a un
episodio infettivo, spesso da parvovirus.

Esami di laboratorio

Si ha ittero quando la conversione dell’Hb a bilirubina supera la capacità del


fegato di produrre glucuronato di bilirubina e di eliminarlo con la bile (v. anche
Cap. 38). In questo modo si accumula bilirubina non coniugata (indiretta).
L’aumentato catabolismo del pigmento si manifesta anche con aumento della
stercobilina nelle feci e dell’urobilinogeno nelle urine. I calcoli di bilirubina
complicano spesso l’emolisi cronica.

Sebbene l’emolisi venga abitualmente riconosciuta attraverso i semplici criteri


descritti, il criterio decisivo consiste nella misura del tempo di sopravvivenza dei
GR, effettuata, preferibilmente, con un tracciante non riutilizzabile, come il
radiocromo (51Cr). La misurata sopravvivenza dei GR radiomarcati non è soltanto
utile a diagnosticare l’emolisi ma, con il conteggio della superficie corporea,
consente anche di identificare eventuali aree di sequestro dei GR, con opzioni
diagnostiche e terapeutiche. In genere, un’emivita (per GR marcati con 51Cr)
18 giorni (di norma da 28 a 32 giorni) indica un’emolisi talmente lieve che un
midollo con capacità di risposta normale è in grado di mantenere i GR
nell’intervallo dei valori normali. Il termine anemia emolitica compensata si
riferisce a un midollo che risponde in maniera adeguata, con indici eritrocitari
quasi nella norma. Quando la conta di superficie permette di apprezzare un
rapporto milza/ fegato > 3:1 (di norma 1:1), è possibile prevedere un selettivo
sequestro splenico e aspettarsi una guarigione dopo splenectomia.

Altri test (p. es., aumento dell’iperbilirubinemia indiretta, aumentata produzione


dell’urobilinogeno fecale o del monossido di carbonio) o l’evidenza di recupero
(reticolocitosi) sono suggestivi ma non diagnostici di emolisi. Di solito nell’emolisi
si ha un aumento della LDH.

L’esame morfologico del sangue periferico può mettere in evidenza emolisi


(p. es., frammentazione, sferociti) o un’eritrofagocitosi, che aiuta a stabilire la
diagnosi e il meccanismo (p. es., emolisi intravascolare). Altri test tesi a indagare
le cause dell’emolisi comprendono l’elettroforesi dell’Hb, il dosaggio degli enzimi
eritrocitari, la fragilità osmotica, il test diretto per antiglobuline (di Coombs), le
crioagglutinine, i test dell’emolisi acida e della lisi con saccaroso.

Diagnosi

La comune classificazione delle anemie emolitiche da cause intrinseche ed


estrinseche è a volte difficile da utilizzare nella pratica medica poiché la
sovrapposizione è comune. Un approccio sequenziale alla diagnosi differenziale
è quello di considerare la popolazione a rischio (p. es., geografico, genetico, per
particolari malattie di base) e quindi ricercare i probabili meccanismi potenziali:
(1) sequestro di GR da modificazioni nel complesso vascolare (cioè,
ipersplenismo o alcuni circuiti extracorporei, quali la dialisi renale), (2) insulto
immunologico (mediato sia da anticorpi caldi che freddi), (3) insulto meccanico
alla membrana eritrocitaria (frammentazione dei GR), (4) modificazioni della
struttura dei GR (membrane anomale), (5) anomalie metaboliche (enzimopatie) o
(6) emoglobinopatie.

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Anemie

Sebbene i caratteri morfologici risultino importanti nella diagnosi della maggior


parte delle anemie, essi hanno un valore limitato nelle anemie emolitiche. La
presenza di sferociti è il segno che meglio permette di evidenziare un’attiva
emolisi dal momento che essi sono sferoidali perché hanno già perso la
membrana cellulare. Gli sferociti si ritrovano comunemente dopo una trasfusione
di sangue o nelle anemie emolitiche da Ac caldi, come pure, meno
frequentemente, nella sferocitosi congenita. Un elevato valore di MCHC può
rappresentare l’indizio della presenza di sferociti. Il valore della MCHC (e del
MCV) è pure elevato in corso di anemia emolitica da anticorpo freddo e si
normalizza quando il sangue è riscaldato (anche tenendo in mano la provetta,
seppur brevemente, immediatamente prima della conta emocromocitometrica
automatizzata).

Terapia

Il trattamento è diretto allo specifico meccanismo emolitico. In caso di


emoglobinuria ed emosiderinuria può rendersi necessaria la terapia con Fe. La
splenectomia è utile quando il difetto eritrocitario è accompagnato da un selettivo
sequestro splenico.

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Anemie

Manuale Merck

11. EMATOLOGIA E ONCOLOGIA

127. ANEMIE

Condizioni in cui il numero dei GR o il contenuto di Hb diminuiscono a causa di


perdita ematica, eritropoiesi insufficiente, emolisi eccessiva o una combinazione
di queste modificazioni.

ANEMIE CAUSATE DA IPEREMOLISI

EMOLISI DA DIFETTI INTRINSECI DEL GLOBULO ROSSO

ANEMIE CAUSATE DA ALTERAZIONI DEL GLOBULO ROSSO

Sommario:

ANEMIE CAUSATE DA ALTERAZIONI DEL GLOBULO ROSSO


ANOMALIE CONGENITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA
Eziologia e patogenesi
Sintomi e segni
Esami di laboratorio
Prognosi e terapia

MALATTIE ACQUISITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA

ANEMIE CAUSATE DA ALTERAZIONI DEL GLOBULO ROSSO

L’analisi del citoscheletro della membrana dei GR mostra che la maggior parte
delle alterazioni strutturali ereditarie o acquisite, deriva da modificazioni derivanti
dalle proteine di membrana. Gli studi di queste proteine del citoscheletro (α- e β-
spectrina, proteina 4,1, F-actina, ankirina) hanno evidenziato in queste anemie
emolitiche anomalie quantitative e funzionali. I casi congeniti spesso presentano
una familiarità. Tuttavia il meccanismo per il quale queste alterazioni delle
proteine strutturali determinano l’emolisi è sconosciuto.

ANOMALIE CONGENITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA

(V. anche Porfiria eritropoietica congenita nel Cap. 14)

La sferocitosi ereditaria (ittero cronico familiare; ittero emolitico congenito; ittero


cronico acolurico; sferocitosi familiare; anemia sferocitica) è una malattia cronica
trasmessa come carattere dominante e caratterizzata da emolisi di GR sferoidali,
anemia, ittero e splenomegalia. Sebbene di solito uno o più membri di una stessa
famiglia presentino ittero, anemia o splenomegalia, è possibile che si verifichi il
salto di una o più generazioni, in rapporto alle modificazioni del grado di
penetranza del gene interessato.

L’ellissocitosi ereditaria (ovalocitosi) è una rara malattia autosomica dominante


nella quale i GR sono ovali o di forma ellittica o ovalare; l’emolisi è di solito
assente o minima, con anemia modesta o assente; spesso è presente
splenomegalia. L’anomalia dei GR consegue ad alterazione delle proteine di
membrana.

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Anemie

Eziologia e patogenesi

Nella sferocitosi ereditaria la superficie occupata dalla membrana cellulare è


ridotta in misura sproporzionata rispetto al contenuto intracellulare. Diverse
anomalie a carico delle proteine di membrana sono responsabili delle
modificazioni in senso sferocitico. La riduzione dell’area di superficie della cellula
si ripercuote negativamente sulla flessibilità necessaria alla cellula per passare
attraverso il microcircolo splenico. Come risultato, si verifica emolisi nella milza.

Sintomi e segni

Sintomi e segni nella sferocitosi ereditaria sono generalmente modesti e l’anemia


può essere così ben compensata che non è riconosciuta fino a quando una
malattia intercorrente sopprime l’eritropoiesi. Nei casi gravi sono presenti un
modesto ittero e i sintomi dell’anemia. Le crisi aplastiche derivanti da infezioni
intercorrenti possono aggravare l’anemia. La splenomegalia è quasi sempre
presente, ma raramente causa disturbi addominali. L’epatomegalia può essere
presente. La colelitiasi (calcoli pigmentari) è comune e può rappresentare il
sintomo principale all’esordio. Occasionalmente sono state evidenziate
alterazioni scheletriche congenite (p. es., turricefalia e polidattilia).

Gli aspetti clinici nell’ellissocitosi ereditaria sono simili a quelli presenti nella
sferocitosi ereditaria ma tendono a essere più modesti.

Esami di laboratorio

L’entità dell’anemia è estremamente variabile. Durante una crisi aplastica, la


conta eritrocitaria (normalmente 3-4 milioni/µl) può scendere a valori < 1 milione/
µl e il livello dell’Hb diminuisce in modo proporzionale alla conta. Poiché i GR
sono sferoidali e il MCV è normale, il diametro corpuscolare medio è inferiore ai
valori normali e i GR sembrano microsferociti. La MCHC è aumentata. Sono
frequenti una reticolocitosi del 15-30% e una leucocitosi.

La fragilità dei GR, misurata dal test di fragilità osmotica, è caratteristicamente


aumentata, ma nei casi lievi essa può essere normale a meno che il sangue,
sterile e defibrinato, non venga prima incubato a 37°C per 24 ore. Il test di
Coombs diretto è negativo. L’autoemolisi dei GR è aumentata e può essere
corretta dall’aggiunta di glucoso.

Prognosi e terapia

La splenectomia è il solo trattamento specifico per la sferocitosi o l’ellissocitosi


ereditaria. Essa trova indicazione nei pazienti di età < 45 anni con significativa
anemia persistente (Hb< 10 g), ittero o colica biliare o crisi aplastica
(eritroblastopenia). Prima della splenectomia, il paziente deve essere
immunizzato con il vaccino pneumococcico e con quello per Haemophilus
influenzae. Nel corso della splenectomia una colecisti con calcoli o con segni di
malattia deve essere rimossa. Dopo la splenectomia i sintomi scompaiono, la
conta dei GR aumenta e quella reticolocitaria torna alla norma; poiché la
sferocitosi persiste, la fragilità eritrocitaria del sangue è ulteriormente aumentata,
ma il paziente indubbiamente sta meglio poiché il filtro (milza) contro queste
cellule alterate è assente e le cellule sopravvivono più a lungo in circolo.

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Anemie

MALATTIE ACQUISITE DELLA MEMBRANA ERITROCITARIA

La stomatocitosi è una condizione in cui la normale area pallida centrale del GR


acquista una forma di tipo a bocca o a fessura. Queste cellule accompagnano
anemie emolitiche congenite e acquisite. I sintomi sono direttamente correlati al
grado dell’anemia.

La rara forma congenita, che presenta una trasmissione autosomica, è ben


caratterizzata. La membrana del GR è iperpermeabile ai cationi monovalenti; gli
spostamenti degli anioni e cationi divalenti sono invece normali. I GR circolanti
(20-30%) sono stomatociti; la fragilità dei GR è aumentata e così anche
l’autoemolisi che non sempre viene corretta dal glucoso. Con la splenectomia si
ha un miglioramento dell’anemia in alcuni casi

La stomatocitosi acquisita, con anemia emolitica, si manifesta soprattutto


subito dopo un’ingestione eccessiva di alcolici. Entro 2 sett. dalla sospensione
dell’uso di alcol si assiste alla scomparsa degli stomatociti nel sangue periferico e
dell’aumentata emolisi.

Anemia causata da ipofosfatemia: la flessibilità del GR dipende dai livelli


intracellulari di ATP, Ca e Mg. Poiché il contenuto di ATP del GR è correlato alla
concentrazione del P sierico, l’ipofosfatemia (livelli sierici < 0,5 mg/dl
[< 0,16 mmol/l]) porta alla deplezione dell’ATP del GR; la sequela del complesso
metabolico della ipofosfatasemia comprende anche il deficit di acido 2,3-
difosfoglicerico, una deviazione verso sinistra della curva di dissociazione dell’O2,
una riduzione dell’utilizzazione del glucoso e la produzione di lattato. I GR,
divenuti rigidi, sono suscettibili alla lisi nei capillari, si ha quindi un’anemia
emolitica con lesioni della membrana e microsferocitosi.

Un’ipofosfatemia grave si ha nell’astinenza dall’alcol, nel diabete mellito, nella


fase della guarigione (poliurica) dopo ustioni gravi, nell’iperalimentazione,
nell’alcalosi respiratoria grave o nei pazienti uremici dializzati che vengono trattati
con antiacidi. Poiché queste alterazioni possono essere o prevenute o reversibili
se i livelli di ATP cellulare vengono preservati attraverso la somministrazione di
fosfati, la terapia deve essere diretta alla prevenzione dell’ipofosfatemia e alla
pronta somministrazione di fosfati allorché venga riconosciuta una condizione di
deplezione.

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Le porfirie

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

14. LE PORFIRIE

PORFIRIE PIÙ COMUNI

PROTOPORFIRIA ERITROPOIETICA

(Protoporfiria; protoporfiria eritroepatica)

Malattia autosomica dominante, è la forma più comune di porfiria eritropoietica e


probabilmente la terza porfiria in ordine di frequenza ed è la conseguenza di un
deficit di ferrochelatasi.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia e prognosi

Nella protoporfiria eritropoietica (Erythropoietic ProtoPorphyria, EPP), un deficit di


ferrochelatasi (v. Fig. 14-1, enzima 8) determina un aumento della protoporfirina
nel midollo osseo e negli eritrociti. Questo aumento ne causa l'ingresso nel
plasma e l'escrezione nella bile e nelle feci da parte del fegato. La malattia è
caratterizzata dalla comparsa di fotosensibilità cutanea in età infantile, che si
manifesta principalmente con dolore, arrossamento e gonfiore che fanno
immediatamente seguito all'esposizione alla luce solare. La prevalenza della
EPP non è stata calcolata definitivamente. Non esistono predisposizioni di razza
o di sesso. Una forma bovina di EPP viene trasmessa come carattere
autosomico recessivo.

In famiglie diverse affette da EPP sono state identificate molte mutazioni


differenti a carico del gene per la ferrochelatasi. La gravità della malattia varia
notevolmente tra i diversi pazienti; questa variabilità si osserva anche nell'ambito
della stessa famiglia, nella quale più individui hanno ereditato la medesima
mutazione ma alcuni hanno un aumento minimo o nullo della protoporfirina
eritrocitaria. Pertanto, la variabilità della gravità della EPP non viene spiegata del
tutto dalla natura delle differenti mutazioni. Piuttosto, essa può essere dovuta a
un tratto genetico che determina una sottoespressione del gene normale per la
ferrochelatasi ereditato dall'altro genitore. Come conseguenza, i pazienti con
manifestazioni cliniche di EPP possono avere un'attività della ferrochelatasi
inferiore a quella che ci si aspetterebbe da una semplice ereditarietà di tipo
autosomico dominante (pari alla metà dell'attività normale).

Sintomi e segni

I sintomi generalmente hanno un esordio precoce nel corso della vita. Subito
dopo l'esposizione alla luce solare (talvolta dopo pochi minuti) si sviluppano
dolore urente, prurito, eritema e un gonfiore che può somigliare all'angioedema.
Questa sintomatologia non è caratteristica di altre porfirie. Con l'esposizione
frequente al sole, possono verificarsi indurimento e ispessimento della cute del
dorso delle mani, lievi cicatrici e alterazioni delle unghie, ma vesciche e cicatrici

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Le porfirie

profonde non sono usuali. Poiché i disturbi soggettivi sono maggiori del danno
cutaneo obiettivo, la malattia può non essere riconosciuta anche in pazienti con
sintomi gravi. I pazienti possono sviluppare calcoli della colecisti contenenti
protoporfirina, conseguenza dell'elevata concentrazione di protoporfirina nella
bile.

La malattia può presentarsi anche con un'inspiegata, lieve alterazione delle prove
di funzionalità epatica. L'epatopatia cronica, sebbene infrequente, può essere
grave. L'insufficienza epatica si verifica di rado, ma può progredire rapidamente.
La disfunzione epatica progressiva nella EPP è associata con l'aumento della
concentrazione di protoporfirina nel fegato, nel plasma e negli eritrociti, e con il
peggioramento della fotosensibilità. Il danno epatico può essere in parte dovuto
agli effetti tossici e colestatici dei grandi quantitativi di protoporfirina presenti nel
fegato. Se è presente anche una patologia epatica concomitante, l'insufficienza
epatica può essere reversibile. Altrimenti, il trattamento è generalmente inefficace
e può divenire necessario il trapianto di fegato. Nelle forme avanzate
dell'epatopatia da protoporfiria sono state osservate lesioni gravi da
fotosensibilità simili a ustioni (specialmente dopo esposizione alle luci delle sale
operatorie) e perfino una neuropatia motoria.

Diagnosi

La EPP deve essere sospettata nei pazienti che lamentano fotosensibilità


cutanea iniziata precocemente nel corso della vita, ma che non riferiscono la
comparsa di vesciche o cicatrici. Un'anamnesi familiare negativa è di riscontro
comune. La concentrazione di protoporfirina negli eritrociti e nel plasma è
marcatamente aumentata, mentre le porfirine urinarie non lo sono. L'aumento
della protoporfirina eritrocitaria non è specifico; esso può comparire nei deficit di
ferro, nell'avvelenamento da piombo, in diversi disordini degli eritrociti, in ogni
porfiria autosomica recessiva e talvolta nelle porfirie autosomiche dominanti
acute. Un aumento dei livelli plasmatici delle porfirine, tuttavia, si verifica
raramente in condizioni diverse dalle porfirie che provocano fotosensibilità
cutanea.

In tutte le condizioni diverse dalla EPP nelle quali la protoporfirina eritrocitaria è


aumentata, comprese alcune altre porfirie, la protoporfirina in eccesso presente
nei globuli rossi è complessata con lo zinco, mentre nella EPP essa non lo è. Le
protoporfirine eritrocitarie complessate con lo zinco e non complessate con esso
non vengono dosate separatamente nella maggior parte dei laboratori. Poiché si
ritiene talvolta (non correttamente) che l'avvelenamento da piombo sia associato
con un aumento della protoporfirina libera eritrocitaria, può risultare poco chiaro
se il valore di una concentrazione di protoporfirina libera eritrocitaria si riferisca a
quella complessata con lo zinco o a quella non legata al metallo. Nella EPP
possono verificarsi aumenti notevoli della protoporfirina nelle feci. Il dosaggio
delle porfirine negli eritrociti, nel plasma e nelle feci può essere utile per
identificare la malattia nei familiari del paziente. La ricerca di una mutazione
ereditaria della ferrochelatasi nei familiari è realizzabile se è stata identificata la
mutazione esatta nel caso indice.

Terapia e prognosi

La fotosensibilità viene trattata evitando l'esposizione alla luce solare. Il beta


carotene, quando assunto in quantità tali da causare un lieve ingiallimento della
cute, è particolarmente efficace per il trattamento di questa porfiria; 120-180 mg/
die PO migliorano la tolleranza alla luce solare in molti pazienti. Il livello sierico
terapeutico raccomandato di beta carotene va da 600 a 800 mg/dl; gli effetti
positivi si manifestano solitamente da 1 a 3 mesi dopo l'inizio della terapia. La
protoporfirina escreta nella bile può essere parzialmente riassorbita dall'intestino
e ritornare per via ematica al fegato. Al fine di interrompere questo circolo
enteroepatico sono stati somministrati, con qualche successo, resine e altri
agenti leganti. I farmaci dannosi per le porfirie epatiche non sembrano

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Le porfirie

esacerbare le porfirie eritropoietiche, ma vengono comunque evitati per


precauzione. Il deficit di ferro può contribuire alla compromissione dell'attività
della ferrochelatasi e deve essere trattato adeguatamente.

Diversamente dalle porfirie epatiche, il decorso della EPP è costante nel tempo e
si osservano scarse variazioni dei livelli di protoporfirina nel plasma e negli
eritrociti, salvo quando si sviluppano complicanze epatiche. Il trattamento
dell'insufficienza epatica da protoporfirina è complesso e può richiedere il
trapianto di fegato.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 249-1. CATEGORIE DI FARMACI SICURI


IN GRAVIDANZA SECONDO LA FDA

Categoria Descrizione
A Studi controllati nell’uomo hanno dimostrato
che non ci sono rischi; questi farmaci sono i
più sicuri
B Studi su animali dimostrano che non ci sono
rischi per il feto, ma non ci sono studi
controllati nell’uomo, o gli studi su animali
hanno dimostrato un rischio per il feto, ma
studi ben controllati nell’uomo non lo hanno
confermato
C Esiste l’evidenza nell’uomo di un rischio per
il feto, ma i benefici possono essere superiori
al rischio in certe situazioni (p.es., condizioni
pericolose per la vita o malattie gravi per le
quali non possono essere usati farmaci più
sicuri o altrettanto efficaci)
D Non sono stati eseguiti degli studi adeguati
negli animali o nell’uomo, o sono stati
dimostrati degli effetti collaterali sul feto negli
animali, ma non sono disponibili dei dati
nell’uomo
X I rischi per il feto superano qualunque
possibile beneficio

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Uso e dipendenza da sostanze

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

195. USO E DIPENDENZA DA SOSTANZE

DIPENDENZA DA OPPIACEI

Marcata dipendenza psichica che si manifesta con una compulsione irresistibile


all’assunzione continua degli oppiacei, con lo sviluppo di una tolleranza che porta
a un aumento del dosaggio per ottenere gli effetti iniziali e con una dipendenza
fisica che cresce di intensità con l’aumentare delle dosi e della durata d’uso.

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Complicanze
Terapia

La dipendenza fisica porta alla necessità di un uso continuativo dello stesso


oppiaceo o di una sostanza simile per prevenire l’astinenza. La sospensione del
farmaco o la somministrazione di un antagonista porta alla comparsa di una
caratteristica sindrome da astinenza autolimitante.

La tolleranza e la dipendenza fisica dagli oppiacei (naturali o di sintesi) si


sviluppano rapidamente; dosi terapeutiche assunte regolarmente per 2-3 giorni
possono portare a un certo grado di tolleranza e dipendenza e alla sospensione
della sostanza; il consumatore può presentare sintomi da astinenza lieve, che
passano quasi inavvertiti o sono descritti come casi di influenza. I pazienti con
dolore cronico che necessitano di un uso a lungo termine non vanno etichettati
come tossicomani, sebbene anche essi possano avere problemi di tolleranza e
dipendenza fisica (v. nel Cap. 167).

Gli oppiacei inducono tolleranza crociata, quindi i tossicodipendenti possono


sostituirne uno con un altro. Le persone che hanno sviluppato una tolleranza
possono presentare scarsi segni dell’uso di droga, e possono avere un
funzionamento normale nelle proprie attività usuali, ma il problema di procurarsi
la droga é sempre presente. La tolleranza ai vari effetti spesso si sviluppa in
modo irregolare. Gli eroinomani possono diventare largamente tolleranti agli
effetti euforizzanti o letali della droga, ma continuare ad avere miosi pupillare e
stipsi.

Sintomi e segni

L’intossicazione acuta (overdose) da oppiacei è caratterizzata da euforia,


rossore, prurito cutaneo (in particolare con la morfina), miosi, sonnolenza,
diminuzione della frequenza e dell’ampiezza del respiro, ipotensione, bradicardia,
diminuzione della temperatura corporea.

La sindrome da astinenza da oppiacei in genere include segni e sintomi di


ipereccitabilità del SNC. La gravità della sindrome cresce con l’aumentare della
dose di oppiaceo e con la durata della dipendenza. I sintomi compaiono già 4-6 h
dopo la sospensione e, per l’eroina, raggiungono il massimo tra 36 e 72 h.. Uno
stato d’ansia e un desiderio impellente (craving) per la droga vengono seguiti da

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Uso e dipendenza da sostanze

un aumento della frequenza respiratoria a riposo (> 16 atti respiratori al minuto),


in genere con sbadigli, sudorazione, lacrimazione e rinorrea. Altri sintomi sono la
midriasi, la piloerezione ("pelle d’oca"), i tremori, le contrazioni muscolari, gli
accessi di caldo e di freddo, i dolori muscolari e l’anoressia. La sindrome da
astinenza in persone che assumevano metadone (che ha un’emivita lunga), si
sviluppa più lentamente ed è chiaramente meno grave di quella da eroina,
sebbene i tossicomani possano descriverla come peggiore.

Complicanze

Molte complicanze della dipendenza da eroina sono correlate a una


somministrazione della sostanza in condizioni non igieniche. Altre sono dovute
alle proprietà intrinseche della droga, a overdose oppure al comportamento
durante lo stato di intossicazione concomitante al consumo della droga.
Complicanze frequenti sono i problemi polmonari, le epatiti, i disturbi di tipo
artritico, le alterazioni immunologiche e i disturbi neurologici.

Polmonari: possono verificarsi polmoniti da aspirazione e di origine infettiva,


ascessi polmonari, emboli settici del polmone e atelettasie. Quando vengono
iniettate compresse preparate per uso orale, può insorgere una fibrosi polmonare
sulla base di una granulomatosi da talco. L’abuso cronico di eroina porta a una
diminuzione della capacità vitale e a una diminuzione da lieve a moderata della
capacità di diffusione. Tali effetti si differenziano dall’edema polmonare, che può
essere associato acutamente a un’iniezione di eroina. Molti tossicodipendenti da
oppiacei fumano uno o più pacchetti di sigarette al giorno, il che li rende
particolarmente suscettibili a una serie di infezioni polmonari.

Epatiche: può insorgere un’epatite virale di tipo A, B e C. L’associazione tra


l’epatite virale e il frequente abuso alcolico può spiegare l’alta incidenza di
disfunzioni epatiche.

Muscolo-scheletriche: la complicanza muscolo-scheletrica più comune è


l’osteomielite (in particolar modo delle vertebre lombari), dovuta probabilmente a
infezioni ematogene secondarie all’uso di siringhe non sterili. Possono aversi
spondiliti e sacroileiti infettive. Nella miosite ossificante (gomito del
tossicodipendente), il muscolo brachiale è danneggiato da un uso maldestro
dell’ago, seguito da sostituzione della massa muscolare con una massa calcifica
(metaplasia extraossea).

Immunologiche: in oltre il 90% dei tossicodipendenti si verifica


un’ipergammaglobulinemia sia per le IgG che per le IgM. La ragione di tali
alterazioni immunologiche è sconosciuta, ma essa può essere il riflesso di una
stimolazione antigenica continua da parte delle infezioni o delle iniezioni
parenterali quotidiane di sostanze estranee. Con il mantenimento a base di
metadone, l’ipergammaglobulinemia si riduce. Gli eroinomani e gli altri
consumatori di droghe EV hanno un rischio estremamente elevato di contrarre
l’infezione da HIV e l’AIDS. Nelle comunità dove aghi e siringhe sono stati spesso
condivisi, la diffusione dell’AIDS ha assunto proporzioni devastanti (v. Cap. 163).

Neurologiche: negli eroinomani, i disturbi neurologici sono in genere


rappresentati da complicanze non infettive quali coma e anossia cerebrale. Può
manifestarsi un’ambliopia (dovuta presumibilmente alla contaminazione
dell’eroina con chinino), una mielite trasversa e un certo numero di mono- e
polineuropatie, così come una sindrome di Guillain-Barré. Le complicanze
cerebrali includono quelle secondarie a endocardite batterica (meningite
batterica, aneurisma micotico, ascesso cerebrale, ascessi subdurali ed epidurali),
quelle dovute a epatite virale o tetano e la malaria cerebrale acuta da
plasmodium falciparum. Alcune complicanze neurologiche possono essere
dovute a risposte allergiche alle sostanze da taglio dell’eroina.

Altre: possono insorgere ascessi cutanei superficiali, cellulite, linfangite,


linfoadenite, flebite secondaria all’uso di aghi infetti. Molti eroinomani cominciano
con iniezioni sottocutanee (skin popping) e possono ritornare a questa modalità

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Uso e dipendenza da sostanze

di assunzione quando l’eccessiva scarificazione rende le loro vene inaccessibili.


Nei casi più disperati si possono trovare ulcere cutanee nei luoghi più
inverosimili. L’uso degli aghi infetti e le continue iniezioni possono portare a
un’endocardite batterica, a un’epatite, e all’infezione da HIV. Queste complicanze
fanno seguito a iniezioni frequenti. Poiché di recente la potenza dell’eroina è
aumentata, un maggior numero di consumatori la inalano e la fumano, quindi i
problemi infettivi potrebbero diminuire.

Gravidanza e abuso di oppiacei: alcuni problemi della madre eroinomane


vengono trasmessi al feto. Poiché l’eroina e il metadone passano liberamente la
barriera placentare, il feto sviluppa subito una dipendenza fisica. Una madre con
infezione da virus HIV o da virus dell’epatite B può trasmettere il virus al proprio
neonato. Le tossicodipendenti incinte visitate in tempo devono essere
incoraggiate a intraprendere un programma di mantenimento con metadone.
L’astinenza é la cosa migliore per il feto, ma le madri astinenti spesso tornano
all’uso di eroina e trascurano le cure prenatali. La sospensione dell’eroina o del
metadone nelle donne incinte alla fine del 3o trimestre può precipitare un
travaglio precoce; quindi, le donne incinte che giungono all’osservazione a fine
gravidanza possono essere stabilizzate meglio con il metadone, piuttosto che
essere disturbate da tentativi di sospendere gli oppiacei. La madre in
mantenimento con metadone può accudire il proprio neonato senza causargli
alcun problema clinico manifesto; la concentrazione del farmaco nel latte
materno è minima.

I neonati di madri dipendenti da oppiacei possono presentare tremori, pianto


stridulo, reazioni di paura, convulsioni (raramente) e tachipnea. I problemi del
neonato, comprese l’astinenza da sostanze e la sindrome alcolica fetale, sono
trattati alla voce Patologia Metabolica nel Neonato nel Cap. 260 e alla voce
Droghe e Allattamento nel Cap. 256 (v. anche Cap. 250).

Terapia

Il trattamento clinico dei tossicodipendenti da oppiacei è molto difficoltoso. I


medici che trattano la dipendenza pertanto dovrebbero conoscere bene le leggi
statali e locali. Pochi medici hanno una formazione specifica o l’esperienza per
gestire i tossicomani, i loro amici e le loro famiglie, o per gestire gli atteggiamenti
della società (compresi quelli dei rappresentanti della legge, degli altri medici e
del personale sanitario ausiliario) verso il loro trattamento. Di solito, il medico
deve inviare i tossicomani da oppiacei nei centri di trattamento specializzati,
piuttosto che tentare di curarli da solo.

Per usare in maniera legale un farmaco di tipo oppiaceo nel trattamento di un


tossicodipendente, il medico deve stabilire l’esistenza di una dipendenza fisica da
oppiacei. Tuttavia, molti dei tossicomani che richiedono un trattamento hanno
una dipendenza fisica minima, perché usano eroina di bassa qualità, che può
anche non causare alcuna dipendenza fisica. Molti consumatori di eroina sono
dipendenti fisicamente solo a tratti: quando l’eroina è disponibile, viene usata
subito; quando è scarsa, molti restano astinenti e aspettano. La dipendenza fisica
é suggerita da un’anamnesi di tre o più iniezioni di narcotico al giorno, dalla
presenza di segni da ago recenti, dall’osservazione dei segni e sintomi
dell’astinenza o dalla presenza di morfina in un campione urinario. L’eroina è
metabolizzata in morfina, coniugata con acido glucuronico ed escreta.

Trattamento di un’overdose: l’antagonista degli oppiacei naloxone (0,4-0,8 mg


EV) è il farmaco di scelta, perché non induce depressione respiratoria (v. anche
alla voce "Narcotici" nella Tab. 307-3). Elimina rapidamente lo stato di
incoscienza dovuto a un oppiaceo. Siccome alcuni pazienti diventano agitati,
confusi e aggressivi appena escono da uno stato comatoso, può essere
necessario applicare dei mezzi sicuri di contenzione prima della
somministrazione dell’antagonista. Tutti i pazienti trattati per un’overdose
dovrebbero essere ricoverati e tenuti in osservazione almeno per 24 ore, dato
che l’azione del naloxone è relativamente breve e la depressione respiratoria si
può ripresentare per diverse ore, soprattutto con il metadone. L’edema

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Uso e dipendenza da sostanze

polmonare grave, che può causare la morte per ipossia, abitualmente non
risponde al naloxone e non é chiara la sua relazione con l’overdose.

Astinenza: la sindrome da astinenza è autolimitante e, sebbene molto


drammatica, non è pericolosa per la vita. Il paziente va informato che proverà
sintomi sgradevoli, ai quali non sarà consentito di raggiungere livelli intollerabili, e
che i farmaci usati per alleviarli saranno somministrati in base ai segni fisici
obiettivi di astinenza. Il comportamento di ricerca di droga del paziente inizia in
genere con i primi sintomi di astinenza, e il personale ospedaliero deve essere
sempre attento alla possibilità che egli cerchi di procurarsi la droga. I visitatori
vanno limitati.

Molti pazienti in sindrome da astinenza hanno altri problemi medici che devono
essere diagnosticati e trattati. I tossicodipendenti da oppiacei possono presentare
dipendenze multiple e, sebbene sia teoricamente possibile fornire adeguati
trattamenti di svezzamento per ciascuna sostanza, ciò non è necessario.

Attualmente la terapia sostitutiva con metadone è il metodo preferito per lo


svezzamento dagli oppiacei, in ragione della sua emivita lunga e delle sue
proprietà sedative meno marcate. Il metadone viene somministrato per via orale
nella quantità minima (in genere, 30 mg/die) sufficiente a prevenire i segni gravi
di astinenza, ma non necessariamente tutti i segni. Dosi più alte vanno
somministrate soltanto quando si osservano segni fisici di astinenza. Dosi
comprese tra 25 e 45 mg possono produrre perdita di coscienza se il soggetto
non ha sviluppato tolleranza. Una volta stabilita la dose adeguata, essa va ridotta
progressivamente di non più del 20% al giorno. A questo punto i pazienti in
genere si arrabbiano e spesso chiedono altri farmaci. Le manifestazioni acute di
astinenza scompaiono di solito entro 7-10 gg, ma i pazienti lamentano spesso
debolezza, insonnia e una grave ansia pervasiva per diversi mesi. Il cloralio
idrato, da 500 a 1000 mg/die PO, può migliorare il sonno. Per un periodo fino a
6 mesi possono persistere effetti metabolici e psicologici minori dell’astinenza.
Non è chiaro se questa sindrome di astinenza protratta contribuisca alle recidive.
La dipendenza da oppiacei lieve (quale può insorgere in soggetti che abbiano
usato analgesici oppioidi per lungo tempo) può essere trattata riducendo la dose
di narcotico gradualmente, sostituendolo con un oppiaceo debole (p. es., il
propossifene napsilato) oppure usando le benzodiazepine (che non hanno
tolleranza crociata con gli oppiacei) a dosi scalari.

Il farmaco adrenergico centrale clonidina è in grado di bloccare quasi tutti i segni


dell’astinenza da oppiacei. Probabilmente riduce la dismissione adrenergica
centrale secondaria alla stimolazione dei recettori centrali (lo stesso meccanismo
con il quale la clonidina abbassa la PA). Tuttavia la clonidina causa ipotensione e
sonnolenza e la sua sospensione può portare rapidamente all’insorgenza di
agitazione, insonnia, irritabilità, tachicardia e cefalea. La clonidina può essere
utile alla sospensione dell’eroina o del metadone prima dell’inizio di un
trattamento orale con naltrexone (v. oltre). Anche l’agonista-antagonista degli
oppiacei buprenorfina è stato usato con successo nella sospensione.

Astinenza da metadone: la sindrome da astinenza indotta dal metadone è


simile a quella da eroina, ma il suo inizio è più graduale e ritardato e inizia da 36
a 72 h dopo la sospensione della sostanza. Spesso si lamentano dolori muscolari
profondi ("dolori alle ossa"). Lo svezzamento dal metadone per i
tossicodipendenti che hanno seguito un programma di mantenimento con tale
sostanza può risultare particolarmente difficile, poiché la dose di metadone
raggiunta può essere maggiore di 100 mg/die. Generalmente la disintossicazione
va iniziata riducendo la dose a 60 mg/die per diverse settimane prima di tentare
una disintossicazione completa. La clonidina può essere particolarmente utile
come adiuvante nello svezzamento da metadone.

Dipendenza cronica da oppiacei: non vi é consenso sul trattamento a lungo


termine dei tossicodipendenti da oppiacei. Migliaia di tossicodipendenti da
oppiacei statunitensi sono inclusi in programmi di mantenimento con metadone,
miranti a soddisfare i problemi di rifornimento dei tossicodipendenti attraverso
l’erogazione di dosi adeguate di metadone orale, mettendoli così in condizione di
essere socialmente produttivi. Il metadone blocca gli effetti dell’eroina iniettata e
allevia la "fame di droga" del consumatore. Per molti soggetti il programma ha

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Uso e dipendenza da sostanze

funzionato. La larga diffusione dell’uso del metadone ha tuttavia provocato


irritazione a livello sociale e politico, e molte persone non hanno fiducia nella sua
utilità come trattamento.

Il levo-acetilmetadolo (LAAM), un oppiaceo a lunga emivita affine al metadone,


può essere usato 3 volte a settimana, diminuendo la spesa e il problema delle
visite quotidiane o dell’assunzione domiciliare. Una dose di 80 mg 3 volte a
settimana è comparabile al metadone da 30 a 100 mg/die.

Il naltrexone, un antagonista degli oppiacei con biodisponibilità orale, blocca gli


effetti dell’eroina. Possiede un lieve effetto agonista e molti tossicomani da
oppiacei non lo prendono volontariamente. La dose abituale è di 50 mg/die o
350 mg/sett. frazionata in 2 o 3 somministrazioni.

Alcuni dati suggeriscono di sperimentare l’agonista-antagonista buprenorfina per


il trattamento di mantenimento dei tossicomani da oppiacei. Tale farmaco blocca i
recettori, interferisce con l’uso dell’eroina e fornisce un lieve effetto oppioide che
può motivarne l’uso continuativo. Può essere venduta come compressa
sublinguale.

L’idea della comunità terapeutica, introdotta dal Daytop Village e dalla Phoenix
House, implica un trattamento non farmacologico attuato in centri residenziali
pubblici, ove i consumatori di droga ricevono un addestramento, un’educazione e
un reindirizzo che li aiuta a ricostruirsi una vita. La permanenza è relativamente
lunga (di solito 15 mesi). Queste comunità hanno aiutato e persino trasformato
alcune persone. Tuttavia, i tassi iniziali di abbandono sono estremamente alti.
Sono ancora senza risposta le domande su quanto funzionino queste comunità,
su quanto largamente possano essere utilizzate e su quanti fondi la società dovrà
investirvi.

L’epidemia di AIDS ha fatto nascere il movimento per la riduzione del danno, che
cerca di offrire dei servizi che riducano i danni dell’uso di sostanze senza
richiederne la sospensione. Per esempio, fornire aghi e siringhe pulite ai
consumatori EV riduce la diffusione dell’HIV. Nonostante queste evidenze, i fondi
federali degli Stati Uniti non possono essere usati per istituire una fornitura di
aghi o siringhe ai consumatori EV. Altri tipi di approcci alla riduzione del danno,
tra cui l’accesso facilitato al metadone, le strategie di mantenimento alternative e
l’attenuazione delle restrizioni alle prescrizioni di sostanze psicoattive sono più
diffuse in Europa che negli USA, dove i programmi considerati come un appoggio
al comportamento di consumo di sostanze trovano delle resistenze.

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Anomalie della gravidanza

Manuale Merck

18. GINECOLOGIA E OSTETRICIA

252.ANOMALIE DELLA GRAVIDANZA

IPEREMESI GRAVIDICA

Nausea e vomito incontrollabili durante la gravidanza che causano disidratazione


e acidosi.

Sommario:

Introduzione
Terapia

L’iperemesi gravidica è diversa dal solito malessere mattutino con nausea e


vomito. Molte donne affette da malessere mattutino ritengono di vomitare tutto
quello che ingeriscono, ma se continuano ad aumentare di peso e non sono
disidratate, non sono affette da un’iperemesi gravidica. La perdita di peso, la
disidratazione e la chetosi confermano la notevole entità del vomito. I fattori
psicologici hanno, nell’iperemesi gravidica, un’importanza preminente, ma ciò
non ne diminuisce il pericolo.

L’iperemesi gravidica persistente è rara, ma può essere associata a un grave


danno epatico. I rilievi autoptici mostrano solitamente in questi casi una grave
necrosi centrolobulare o delle estese zone di degenerazione grassa simili a
quelle osservate nella denutrizione.

Le pazienti devono essere studiate per evidenziare insospettate epatopatie,


infezioni renali, pancreatiti, occlusioni intestinali, lesioni dell’apparato GI e lesioni
intracraniche, tutte condizioni che possono provocare il vomito.

Terapia

L’acidosi e la disidratazione sono corrette con infusioni EV di acqua, glucoso ed


elettroliti. La paziente deve essere ospedalizzata, mantenuta a letto e non deve
assumere nulla per bocca per 24 ore. Se necessario, devono essere
somministrati antiemetici e sedativi. A volte, è necessaria una terapia vitaminica
EV. Dopo la correzione della disidratazione e del vomito acuto, si può iniziare
un’alimentazione orale leggera, in piccole quantità e a frequenti intervalli e la si
può gradualmente aumentare, se ben tollerata. In genere, il vomito cessa dopo
pochi giorni ma, a volte, il regime rappresentato dal digiuno, dalle infusioni EV e
dai piccoli pasti deve essere ripetuto una o due volte.

È obbligatorio eseguire esami oftalmoscopici ripetuti e, se compare una retinite


emorragica, la gravidanza va subito interrotta. L’interruzione della gravidanza
deve essere presa in considerazione anche se non si sviluppa la retinite, nei rari
casi che non rispondono alla terapia (come evidenziato dalla continua perdita di
peso, dall’ittero e dall’aumento della frequenza cardiaca).

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Anomalie della gravidanza

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 251-1.TRATTAMENTO DEL DIABETE MELLITO


IN GRAVIDANZA

Tipo Assistenza prima del Assistenza prenatale Travaglio e parto


concepimento
I* Il diabete deve essere Il trattamento deve iniziare dopo Un parto a termine per via
controllato. la prima mestruazione mancata. vaginale è possibile se la
paziente ha dei documentati
La concentrazione di Raccomandare delle visite criteri di datazione e un buon
Hb A1c deve prenatali settimanali. controllo del diabete;
l‘amniocentesi può non
essere ≤8% al
essere necessaria. Il parto
concepimento.† La dieta deve essere
cesareo deve essere
individualizzata secondo le linee
eseguito se sono presenti
Ricercare le guida dell‘ADA e coordinata con
delle complicanze perinatali,
complicanze renali, la somministrazione di insulina.
se i criteri di datazione o il
retiniche e cardiache. controllo del diabete non
Raccomandare tre pasti e tre sono soddisfacenti, o se le
spuntini al giorno, sottolineando cure prenatali sono state
la corretta distribuzione nella inadeguate; l‘amniocentesi
giornata. viene eseguita per stabilire la
maturità fetale, come indicato
Individualizzare il tipo e la dose da un rapporto lecitina/
di insulina. Si somministrano i sfingomielina ≥ 2 e da un
2/3 della dose totale al mattino fosfatidilglicerolo ≥ 3%. Il
(60% NPH, 40% regolare) e 1/3 parto deve essere eseguito
(50% NPH, 50% regolare) alla alla 40a sett. o prima.
sera.‡
Durante il parto, può essere
Insegnare alle pazienti come somministrata un‘infusione
eseguire a casa il monitoraggio continua di insulina a basso
della glicemia. dosaggio, o l‘usuale dose di
insulina NPH della sera; la
Controllare i livelli dell‘Hb A1c q dose di insulina del mattino è
4-6 sett. sospesa il giorno del
travaglio. Somministrare
Avvertire le pazienti del rischio insulina regolare SC al
di ipoglicemia durante l‘esercizio bisogno durante il travaglio e
fisico e la notte. il parto.

Istruire la paziente e i familiari Organizzare il controllo del


sulla somministrazione del diabete nel periodo di
glucagone. transizione e nel post-partum.

Monitorare il feto con i non


stress test, i profili biofisici e la
conta dei movimenti fetali dalla
35a sett. fino al termine (o prima

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Manuale Merck - Tabella

se necessario).
II* La paziente deve essere Individualizzare la dose e il tipo Il trattamento è lo stesso del
incoraggiata a perdere di insulina. Nelle pazienti obese, tipo I.
peso, se obesa prescrivere insulina regolare
(BMI>27). prima di ogni pasto. Nelle
pazienti di peso normale,
L‘iperglicemia deve somministrare i 2/3 della dose
essere controllata.§ totale (60% NPH, 40% regolare)
al mattino e 1/3 (50% NPH, 50%
regolare) alla sera. Usare
La concentrazione di Hb
insulina suina altamente
A1c deve essere ≤8% al
purificata o umana.
concepimento.†
Individualizzare l‘apporto
Raccomandare una calorico giornaliero per evitare
dieta povera di grassi, un eccessivo aumento del peso
relativamente ricca di (>9kg [>20lb]) per le pazienti
carboidrati complessi e obese.
ricca di fibre alimentari.
Per le pazienti obese,
Incoraggiare l‘esercizio scoraggiare gli spuntini.
fisico.
Raccomandare un moderato
esercizio fisico dopo i pasti.

Insegnare alle pazienti come


eseguire a casa il monitoraggio
della glicemia.

Monitorare la glicemia 2h dopo


la colazione durante la visita di
controllo settimanale.

Controllare i livelli dell‘Hb A1c q


46sett.
Gestazio- Nessuna assistenza Modificare la dieta: eliminare i È indicato il parto a termine;
nale particolare eccetto il dolci e monitorare l‘apporto evitare le gestazioni
caso in cui la paziente calorico per prevenire un prolungate (>42sett.).
abbia una storia di eccessivo aumento di peso
DMG; le pazienti devono (>9kg [>20lb]).
provare a raggiungere
un peso normale ed Scoraggiare gli spuntini nelle
eseguire un moderato pazienti obese.
esercizio fisico.
Raccomandare un esercizio
Controllare la glicemia a fisico moderato dopo i pasti.
digiuno e i livelli di Hb
A1c.
Prescrivere piccole dosi di

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Manuale Merck - Tabella

insulina purificata suina o


umana ad azione rapida prima
dei pasti se i livelli postprandiali
della glicemia sono >120mg/dl
(>6,6mmol/l).

Monitorare la glicemia 2h dopo


la colazione durante la visita di
controllo settimanale.
*Linee guida solo suggerite; le accentuate variazioni individuali necessitano degli appropriati
aggiustamenti.

†I valori normali possono variare a seconda dei metodi di laboratorio utilizzati.

‡Alcuni programmi ospedalieri raccomandano fino a 4 somministrazioni di insulina al giorno.


L‘infusione SC continua di insulina, eseguita nell‘ambito di ricerche mediche, potrebbe essere
un‘alternativa. È un trattamento laborioso e può essere uti lizzato solo in situazioni particolari e nei
centri diabetologici.

§Le donne che seguono una terapia con ipoglicemizzanti orali devono sospendere il trattamento e
utilizzare l‘insulina per controllare la glicemia. Non si possono escludere, infatti, effetti sfavorevoli
sullo sviluppo fetale dovuti a questi farmaci assunti per via orale.

ADA=American Diabetes Association; NPH=(Neutral Protamine Hagedorn) Insulina protamina neutra


di Hagedorn; BMI=(Body Mass Index) indice di massa corporea; GDM=(Gestational Diabetes
Mellitus) Diabete mellito gestazionale.

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Patologie della retina

Manuale Merck

8. PATOLOGIE OFTALMOLOGICHE

99. PATOLOGIE DELLA RETINA

RETINOPATIE VASCOLARI

RETINOPATIA DIABETICA

Varietà di modificazioni retiniche patologiche caratteristiche del diabete mellito.

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

Questa importante causa di cecità può essere particolarmente grave nei pazienti
affetti da diabete mellito insulino-dipendente (DID) (diabete mellito tipo I); si
verifica frequentemente anche nel diabete mellito cronico non insulino-
dipendente (DNID) (diabete mellito tipo II). Il grado della retinopatia sembra
altamente correlato con la durata del diabete.

Sintomi, segni e diagnosi

La retinopatia non proliferante (già nota come retinopatia "background") è


caratterizzata da un aumento della permeabilità capillare, microaneurismi,
emorragie, essudati ed edema. I sintomi visivi generalmente non compaiono
negli stadi precoci di retinopatia non proliferante. Comunque, in un piccolo
numero di pazienti possono comparire modificazioni visive precoci significative,
specialmente in pazienti affetti da DNID. Perciò, le linee guida della valutazione
comprendono un immediato esame annuale nei pazienti con DNID ed esami
annuali che cominciano dopo 5 anni dalla diagnosi in quelli con DID. Gli esami
clinici delle donne affette da diabete andrebbero eseguiti ogni tre mesi durante la
gravidanza.

I primi segni della retinopatia diabetica spesso sono rappresentati dalle


dilatazioni venose e da piccole macchie rosse che si osservano
oftalmoscopicamente nel polo retinico posteriore. Le macchie sono causate da
microaneurismi capillari, che possono essere dimostrati con l'angiografia a
fluorescenza. Le emorragie retiniche puntiformi e a macchia, l'edema profondo e
gli essudati lipidici possono alterare la funzione maculare. I sintomi tardivi si
riferiscono a una diminuzione generalizzata del visus provocata da una ridotta
perfusione ed edema maculare. L'edema maculare è una causa comune di
alterazione visiva nei diabetici e può essere evidenziato meglio o essere
confermato con l'angiografia a fluorescenza. Compaiono i cotton-wool spot
(essudati molli) che sono microinfarti causati da ridotta perfusione retinica. Essi
sono bianchi e nascondono i vasi sottostanti. Gli essudati duri sono provocati da
un edema cronico. Essi sono gialli e generalmente profondi rispetto ai vasi retinici.

La retinopatia proliferante è caratterizzata da un'anomala neoformazione


vascolare (neovascolarizzazione) che cresce sulla superficie vitreale e si estende
nella cavità vitreale. In casi avanzati, possono formarsi membrane neovascolari
provocando un distacco di retina trazionale. Dalle neovascolarizzazioni possono
originare emorragie vitreali. I sintomi visivi sono variabili, in relazione agli eventi

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Patologie della retina

patologici. Per esempio, una grave e improvvisa perdita del visus può verificarsi
quando è presente un'emorragia intravitreale. La prognosi visiva nella retinopatia
proliferante è più limitata se associata a grave ischemia retinica,
neovascolarizzazione estesa o formazione estesa di tessuto fibroso.

Terapia

Il controllo del diabete e della pressione sanguigna è importante. Il Diabetes


Control and Complications Trial ha dimostrato che la terapia intensiva con
insulina può ritardare l'insorgenza e rallentare la progressione della retinopatia
diabetica, della nefropatia e della neuropatia nei pazienti con DID. I sintomi visivi,
comprendenti una visione offuscata, un'improvvisa perdita della vista in uno o
ambedue gli occhi e la comparsa di macchie nere, di ragnatele o di lampi
luminosi nel campo visivo, rappresentano sempre indicazioni per una consulenza
oftalmologica immediata.

La fotocoagulazione panretinica può diminuire o eliminare la retinopatia


proliferante e la neovascolarizzazione iridea. La fotocoagulazione precoce riduce
il rischio di sviluppo del glaucoma neovascolare. In molti casi di emorragie vitreali
può essere utile la vitrectomia.

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Gastroenterite

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

28. GASTROENTERITE

Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta


prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e
vomito), diarrea e disturbi addominali.

(V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di


ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni
neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel
Cap. 265).

AVVELENAMENTO CHIMICO ALIMENTARE

Avvelenamento causato dall'ingestione di verdure o prodotti animali che


contengono un veleno presente naturalmente

Sommario:

Eziologia, sintomi e segni


Terapia

Eziologia, sintomi e segni

Funghi (funghi velenosi): l'avvelenamento muscarinico può essere causato


da molte specie di Inocybe e da alcune specie di Clitocybe. I sintomi, che iniziano
da pochi minuti a 2 ore dall'ingestione, includono la lacrimazione, la miosi, la
salivazione, la sudorazione, il vomito, i crampi addominali, la diarrea, le vertigini,
la confusione, il coma e occasionalmente le convulsioni. Sebbene i pazienti
possano morire in alcune ore, la guarigione completa in 24 h è comune con
l'appropriata terapia.

I sintomi dell'avvelenamento da falloidina (amanitina), dovuto all'ingestione


dell'Amanita phalloides e delle specie correlate, si manifestano dopo un intervallo
di 6-24 h e sono simili a quelli dell'avvelenamento da muscarina, anche se si
possono manifestare oliguria e anuria; è frequente un ittero, dovuto a un danno
epatico, che si sviluppa in 2-3 gg. Si possono avere remissioni, ma la mortalità
può arrivare al 50%, con il decesso che si verifica in 5-8 gg. La cottura del fungo
non distrugge la tossina.

Altre piante velenose: molte piante selvatiche e domestiche contengono delle


sostanze velenose nelle foglie e nei frutti. Esempi comuni sono rappresentati dal
tasso, dal vilucchio (Ipomea purpurea), dalla morella (Solanum nigrum), dai semi
di ricino, dalla dieffenbachia, dal fagiolo indiano, dai semi di tung, dai frutti
dell'ippocastano e dai fiori della paradisea (semi o baccelli). I frutti dell'albero di
Koenig provocano "la malattia da vomito" della Giamaica. I tuberi acerbi o i loro
germogli contengono la solanina e possono causare acutamente nausea, vomito,
diarrea e prostrazione generale, solitamente di grado lieve. Le fave possono
causare un'emolisi acuta (favismo) nelle persone affette da un deficit di G6PD.
L'avvelenamento da segale cornuta fa seguito all'ingestione di cereali contaminati
con la Claviceps purpurea, un fungo delle piante. Testi specializzati forniscono
una lista completa delle piante riconosciute come velenose.

Avvelenamento da pesci: la maggior parte degli avvelenamenti da pesce è


causata da tre diverse tossine: l'avvelenamento da Ciguatera si può verificare

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Gastroenterite

dopo l'ingestione di una delle oltre 400 specie di pesci provenienti dalle scogliere
tropicali della Florida, delle Indie Occidentali o del Pacifico, dove un dinoflagellato
produce una tossina che si accumula nella carne del pesce; più i pesci sono
grandi e vecchi e più sono tossici. Non si conoscono dei procedimenti di
preparazione protettivi e il sapore non è alterato. I sintomi possono iniziare 2-8 h
dopo l'ingestione del pesce. Dopo i crampi addominali, la nausea, il vomito e la
diarrea che dura da 6 a 17 h, si possono manifestare prurito, parestesie, cefalea,
mialgia, una sensazione invertita di caldo e di freddo e dolori al viso. Anche dopo
mesi, questi fenomeni sensitivi insoliti possono essere gravemente debilitanti.
L'avvelenamento da tetrodotossina, dal pesce palla, causa sintomi e segni
simili; il decesso può essere causato da una paralisi respiratoria.
L'avvelenamento da sgombroidi è causato dalla decomposizione batterica
dopo la cattura del pesce, che produce in esso elevati livelli di istamina. Il pesce
può avere un sapore piccante o amaro. Le specie comunemente implicate
includono il tonno, lo sgombro, il bonito, il pesce blu e il mahimahi. L'istamina
causa una reazione immediata con un caratteristico arrossamento del volto. Può
anche provocare nausea, vomito, dolore epigastrico e orticaria entro alcuni minuti
dall'ingestione del pesce infetto. I sintomi solitamente durano < 24 h.

Avvelenamento da crostacei: da giugno a ottobre, specialmente sulle coste del


Pacifico e del New England le cozze, i frutti di mare, le ostriche e i pettini
possono ingerire un dinoflagellato velenoso (marea rossa)che produce una
neurotossina resistente alla cottura. Dopo 5-30 minuti dall'ingestione si
manifestano delle parestesie periorali. Poi si sviluppano nausea, vomito, dolori
addominali crampiformi, cui seguono debolezza muscolare e paralisi periferica.
La guarigione è di solito completa, ma l'insufficienza respiratoria può causare la
morte.

Contaminanti: un avvelenamento chimico può far seguito all'ingestione di frutta


e verdure non lavate, trattate con arsenico, piombo o insetticidi organici; di liquidi
acidi serviti in contenitori di vetro piombato; di cibi conservati in contenitori
rivestiti di cadmio. I sintomi sono descritti nel Cap. 307 in base alla sostanza
chimica coinvolta.

Terapia

Generale: a meno che non si siano verificati vomito o diarrea violenti o se i


sintomi sono comparsi diverse ore dopo l'ingestione del cibo, si deve fare un
tentativo di rimuovere il veleno con la lavanda gastrica. Può essere usato un
emetico: l'apomorfina, 5 mg SC (per i bambini, 0,06-0,1 mg/kg), viene
somministrata una sola volta. In via alternativa, si possono somministrare fino a
45 ml di sciroppo di ipecacuana PO (per i bambini, 15 ml), ripetuti una sola volta
entro 15 min se necessario, seguiti da circa 200 ml di acqua. Può essere utile il
carbone attivo, 60-100 g PO o somministrato attraverso un sondino gastrico. Può
essere somministrato insieme a un catartico come il sorbitolo, alla dose di 1-2 ml/
kg. Se la nausea e il vomito persistono, devono essere somministrati per via
parenterale dei liquidi contenenti sali e glucoso, per combattere la disidratazione
e lo squilibrio acido-base. Se c'è il rischio di uno shock, è indicato l'uso del
destrano, dell'albumina umana o del sangue. Può essere necessaria la
ventilazione meccanica e una terapia intensiva respiratoria.

Specifica: in un paziente che ha mangiato un fungo non identificato, deve essere


indotto immediatamente il vomito; l'identificazione della specie di fungo sarà utile
per il trattamento successivo. L'atropina (1 mg SC o EV q 1-2 h sino a che i
sintomi non sono sotto controllo), è un antagonista specifico della
sovrastimolazione parasimpatica causata dall'avvelenamento muscarinico.
Nell'avvelenamento da falloidina, il trattamento di supporto intensivo per
l'insufficienza epatica e renale è il punto chiave del trattamento. Nel trattamento
dell'ergotismo, lo spasmo arterioso può essere combattuto con il nitrito di amile,
0,3 ml per inalazione, con la nitroglicerina, 0,4 mg per via sublinguale o con la
papaverina, 30-60 mg IM o EV. Quando indicato, deve essere usato un agente
anticonvulsivante (p. es., il diazepam, 5-10 mg o più se necessario, lentamente
EV o la fentoina, 10-15 mg/kg EV a ≤ 50 mg/min). Il mannitolo ≤ 1 g/kg EV in
30 min è stato indicato come il trattamento dell'avvelenamento grave da

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Gastroenterite

ciguatera. Gli H1 e gli H2-antagonisti possono essere usati per l'avvelenamento


da pesce degli sgombroidi. Per l'avvelenamento causato dalla contaminazione
alimentare con l'arsenico, il piombo, il cadmio o gli insetticidi organici, v. il
Cap. 307.

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Terapia con ossigeno iperbarico

Manuale Merck

21. ARGOMENTI SPECIALI

292. TERAPIA CON OSSIGENO IPERBARICO

Un trattamento medico nel quale il paziente è interamente chiuso in una camera


pressoria mentre respira O2 al 100% a una pressione > 1,4 volte superiore alla
pressione atmosferica.

Sommario:

Introduzione
INDICAZIONI
AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO
EMBOLIA GASSOSA ARTERIOSA E PATOLOGIA DA
DECOMPRESSIONE
GANGRENA GASSOSA
LESIONI DA SCHIACCIAMENTO E SINDROME COMPARTIMENTALE
COMPROMISSIONE DEGLI INNESTI E DEI LEMBI CUTANEI
INFEZIONI MISTE DA AEROBI/ANAEROBI DEI TESSUTI MOLLI
LESIONI ISCHEMICHE NON CICATRIZZANTI
USTIONI
DANNO DA INALAZIONE DI FUMO
NECROSI DA RADIAZIONI DEI TESSUTI MOLLI
OSTEORADIONECROSI
OSTEOMIELITE CRONICA REFRATTARIA
CASI PARTICOLARI DI ANEMIA EMORRAGICA
ACTINOMICOSI
ASCESSO INTRACRANICO
CONTROINDICAZIONI
EFFETTI AVVERSI

La terapia con ossigeno iperbarico (Hyperbaric Oxygen, HBO) utilizza una


camera monoposto (per persona singola) pressurizzata con O2 puro o una
camera a più posti pressurizzata con aria compressa nella quale il paziente
riceve O2 puro attraverso una maschera, una tenda sul capo o un tubo
endotracheale. Le indicazioni, le controindicazioni e gli effetti collaterali dell’HBO
sono stati stabiliti dal Comitato per la Ossigenazione Iperbarica della Undersea
and Hyperbaric Medical Society (UHMS) e sono trattati oltre.

Per individuare le possibilità di HBO in USA, Canada e nei Caraibi in condizioni di


emergenza, chiamare il Divers Alert Network presso la Duke University, 919-684-
8111.

AVVELENAMENTO DA MONOSSIDO DI CARBONIO

Le fonti più comuni di questa sostanza sono i gas di scarico delle automobili, il
riscaldamento domestico e gli scarichi industriali. Le esalazioni degli sverniciatori
contenenti cloruro di metilene vengono metabolizzate dall’organismo a
monossido di carbonio (CO) e possono quindi causare grave intossicazione.
Sintomi simil-influenzali possono verificarsi in un soggetto apirettico o in un
gruppo familiare. La cefalea, la nausea, il vomito, l’astenia e il collasso sono

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Terapia con ossigeno iperbarico

spesso seguiti dal coma e dalla morte. La diagnosi non può essere fatta a meno
che non ci sia il sospetto di un’esposizione a questo gas. La cute è rosso ciliegia
postmortem; tuttavia, ciò non si osserva nei casi clinici. La percentuale di
carbossiemoglobina presente nel sangue non può essere correlata con la
prognosi e spesso non corrisponde alle condizioni cliniche, che sono determinate
dalla tossicità tissutale derivante dal sovvertimento del metabolismo dei citocromi
cellulari e dall’inizio della perossidazione lipidica; quest’ultima viene limitata
dall’HBO a 3 atmosfere assolute.

La terapia con HBO è indicata in presenza di una storia di ottundimento, di stato


di incoscienza (anche se il paziente appare in buona salute al ricovero), sintomi e
segni neurologici, un sottoslivellamento del segmento ST all’ECG o un livello di
carbossiemoglobina > 40%. Prima della terapia con HBO, una maschera a
perfetta tenuta (p. es., una maschera da aviatori, una maschera da anestesia) o
un tubo endotracheale sono utilizzati per somministrare O2 al 100%. Le
maschere di plastica per la respirazione in circuito chiuso, frequentemente
utilizzate nei reparti di pronto soccorso, raramente liberano O2 a concentrazioni
> 50% e devono essere evitate nel trattamento dell’avvelenamento da CO.
L’acidosi e il pH arterioso vengono corretti a 7,15 e, se necessario, viene fornito
un apporto supplementare di K.

In una camera monoposto, il paziente viene trattato a 3 atmosfere assolute per


30 min, poi a 2,4 atmosfere assolute per 1 h ulteriore. Se i sintomi residui
persistono, il trattamento può essere ripetuto ogni 2-8 h. Se la camera
monoposto è dotata di una maschera che rifornisce aria compressa, il paziente
(se capace) può indossare la maschera per gli intervalli di aria, nei quali il
paziente respira temporaneamente aria invece di O2 puro. Nella camera
multiposto, il paziente è tenuto a 3 atmosfere assolute e trattato per due-tre
periodi di 23 min con O2 al 100% mediante una maschera, una tenda in capo o
un tubo endotracheale, separati da intervalli di aria di 5 min (cioè, si rimuove la
maschera, la tenda in capo o il tubo). I pazienti con un sensorio marcatamente
compromesso devono essere trattenuti poiché essi possono risvegliarsi
aggressivi. Il diazepam può essere somministrato per l’aggressività.

La terapia con HBO va iniziata il più rapidamente possibile. Il tasso di mortalità


nei casi gravi è del 13,5% quando l’HBO viene iniziato entro 6 h e del 30,1%
quando viene iniziato 6 h dopo il soccorso.

EMBOLIA GASSOSA ARTERIOSA E PATOLOGIA DA


DECOMPRESSIONE

L’embolia di aria si verifica nei tuffatori o è secondaria all’entrata di aria durante


la chirurgia vascolare, la terapia EV, la biopsia polmonare, l’iperinsufflazione
polmonare durante la ventilazione meccanica (solitamente nei bambini), nella
dialisi renale e nell’angiografia. Raramente, essa si verifica nelle donne in
gravidanza dopo enfiagione orale della vagina con aria (come atto sessuale) e
nelle vittime che fuggono dai veicoli sommersi. La malattia da decompressione
deriva dalla riduzione della pressione circostante con eccesso di N2 disciolto nei
tessuti, come accade alla risalita da un tuffo, all’uscita da un cassone pneumatico
o da una camera iperbarica o durante salita ad alta quota. Il trattamento di
ciascuna condizione è la ricompressione in una camera di HBO (v. Cap. 285).

GANGRENA GASSOSA

Il clostridium perfringens è la più frequente causa di gangrena gassosa, sebbene


siano solitamente presenti uno o più degli altri organismi anaerobi (v. anche
Infezioni da clostridi al Cap. 157). La sindrome è principalmente mediata da una
α-tossina, una lecitinasi, che lisa i GR (producendo emolisi ed ematuria) e
danneggia gravemente i muscoli, le membrane cellulari e i tubuli renali. Può

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Terapia con ossigeno iperbarico

verificarsi uno shock profondo che risponde solo al sangue intero o ai GR


concentrati. La morte può sopraggiungere entro 6 h dalla diagnosi se non viene
instaurato immediatamente il trattamento. La prognosi risulta particolarmente
infausta in un soggetto anziano defedato che abbia gangrena dell’addome o del
tronco.

L’utilità dell’HBO nella gangrena gassosa è stata dimostrata in validi studi su


animali e in ampie sequele cliniche. Se utilizzata, la terapia con HBO deve
essere effettuata negli stadi precoci della malattia, prima dell’amputazione
chirurgica. La fasciotomia, se richiesta, deve essere eseguita utilizzando un
blocco regionale locale. Se la sindrome progredisce nonostante la terapia nella
camera iperbarica, allora è necessaria l’amputazione o un intervento ancor più
mutilante.

L’HBO a 3 atmosfere assolute per 90 min inibisce la produzione di α-tossina


quando i livelli tissutali di Po2 sono alti. La α-tossina circolante viene fissata e
disattivata nei tessuti nel giro di 30 min circa. Di solito si effettuano 3 trattamenti
nel corso delle prime 24 h, seguiti da 2 trattamenti effettuati in ciascuno dei due
successivi periodi di 24 h, per un totale di 7 trattamenti. Se i segni di tossicità
scompaiono, possono bastare pochi cicli di trattamento, sebbene talvolta ne
occorrano più di 10. Nei pazienti gravi con febbre, si può diminuire il rischio di
convulsioni inserendo un intervallo libero di 5 min a metà dei 90 min di
trattamento.

Non appena il paziente emerge dallo stato tossico, si deve procedere alla
rimozione chirurgica di tutto il materiale necrotico. La chirurgia, che richiede
l’anestesia generale, deve generalmente essere rimandata a dopo i primi 2 o
3 trattamenti con HBO, poiché l’intervento impone un ritardo della terapia con
HBO e potrebbe causare un’ulteriore estensione dell’infezione e della tossicità
sistemica. Per di più, la demarcazione tra tessuto vitale e necrotico risulta più
evidente dopo 2 trattamenti con HBO, rendendo spesso possibile una chirurgia
meno demolitiva e permettendo di salvare l’intero arto. Inoltre, dopo l’intervento
chirurgico, la presenza di ampie aree macerate che trasudano sangue e siero
rende più complicato l’equilibrio dei liquidi e il trattamento nella camera iperbarica.

Il rischio di morte, per un paziente con gangrena del tronco, è del 75% se l’HBO
viene iniziata > 24 h dopo la diagnosi e < 18% se viene iniziata entro 24 h. In
caso di interessamento di un arto, il tasso di mortalità supera il 9% se il
trattamento con HBO viene ritardato per un tempo > 24 h, avvicinandosi a zero
se si instaura entro 24 h, indipendentemente dal tipo o dal momento
dell’intervento chirurgico. La gangrena gassosa provocata da C. septicum è
particolarmente virulenta, spesso compare spontaneamente e frequentemente si
associa al carcinoma dell’intestino.

LESIONI DA SCHIACCIAMENTO E SINDROME COMPARTIMENTALE

Le lesioni da schiacciamento o da strappo (perdita di brandelli di cute e dei


tessuti sottostanti alle ossa, di solito delle mani e dei piedi, come si verifica nei
traumi industriali da rullo o da torchio) sono di solito caratterizzate
dall’interruzione dei vasi sanguigni di grosso calibro e della continuità del letto
capillare. L’edema che ben presto si forma fa aumentare la distanza che l’O2
deve percorrere per diffondere dai capillari funzionanti. Questo determina spesso
l’instaurarsi di un circolo vizioso, provocando complicanze quali la sindrome
compartimentale (una condizione in cui la compressione di una zona delimitata
esita in ischemia e conseguente disfunzione tissutale) e il completo distacco dei
tessuti compromessi.

I vasi di grosso calibro devono essere riparati chirurgicamente, ma l’anossia


ischemica derivante dalla riduzione del flusso capillare può giovarsi del
trattamento con HBO, che preserva i livelli intracellulari di ATP, riduce l’edema e
previene il danno da riperfusione. L’HBO riduce anche la tendenza dei GB ad
aderire all’endotelio del tessuto leso (ritenuta importante nell’ischemia
secondaria). In un paziente con un arto completamente ipossico il trattamento

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Terapia con ossigeno iperbarico

con HBO può ridurre la formazione dell’edema del 50% se viene iniziato entro
8 h, sempre che non siano stati lesi i vasi di grosso calibro. L’HBO a 2,4-
2,5 atmosfere assolute viene somministrata bid per 6 giorni. Il trattamento con
HBO riduce il flusso sanguigno nel muscolo normale (ma non nel muscolo
postischemico) di circa il 20%, riduce l’edema e incrementa la quantità di O2
disciolto nel plasma. I tessuti ricevono una grande quantità di O2, anche se i
capillari funzionanti possono essere scarsi, ottenendosi così una riduzione della
necrosi tissutale di circa il 50% nei compartimenti gravemente danneggiati. Si
comprende come l’HBO sia estremamente prezioso in senso profilattico
nell’impedire la sindrome compartimentale, sebbene esso rimanga soltanto una
terapia di supporto alla fasciotomia quando la sindrome si è già instaurata. Uno
studio prospettico, randomizzato, controllato da placebo, ha messo in evidenza
un decremento statisticamente significativo della necessità di ripetere l’intervento
chirurgico o di effettuare l’amputazione con l’uso di HBO.

COMPROMISSIONE DEGLI INNESTI E DEI LEMBI CUTANEI

La maggior parte degli innesti e dei lembi cutanei attecchisce senza l’ausilio della
terapia con HBO, sebbene nel tessuto ischemico l’HBO incrementi la probabilità
di attecchimento dell’innesto. Il trattamento del rigetto a tutto spessore dei lembi
cutanei deve essere iniziato alla comparsa dei primi segni di cianosi o del rigetto
stesso e deve essere continuato bid a 2,0-2,4 atmosfere assolute per 90 min, per
3-7 gg, a seconda di come si presenta l’innesto. Nei pazienti compromessi con
un precedente rigetto a tutto spessore di un innesto, spesso quest’ultimo può
essere fatto attecchire usando l’HBO a 2,0 o 2,4 atmosfere assolute per 90 min
una o due volte al giorno, allo scopo di produrre un tessuto di granulazione
adatto all’innesto e continuando il trattamento bid nei 3 gg seguenti l’intervento.

INFEZIONI MISTE DA AEROBI/ANAEROBI DEI TESSUTI MOLLI

La maggior parte dei processi infettivi risponde bene a un’adeguata detersione e


alla somministrazione di antibiotici, ma nei pazienti con ischemia periferica (Po2
tissutale < 30 mm Hg) l’azione battericida dei GB è compromessa e può essere
utile l’HBO. Da sette a 10 trattamenti a 2,4 atmosfere assolute per 90 min si sono
dimostrati in grado di ridurre la mortalità associata a queste infezioni. La terapia
iniziale con HBO deve seguire un protocollo simile a quello della gangrena
gassosa (v. sopra).

In uno studio comparativo, nel quale l’HBO è stato usato come adiuvante nella
fascite necrotizzante (v. Infezioni sottocutanee necrotizzanti al Cap. 112), si è
avuta una significativa riduzione del tasso di mortalità dal 66 al 23% e del numero
dei drenaggi chirurgici necessari per il controllo dell’infezione da 3,3 a 1,2.

LESIONI ISCHEMICHE NON CICATRIZZANTI

Se la Po2 transcutanea (TcPo2) è > 40 mm Hg, la cicatrizzazione, in assenza di


infezioni con chiusura della ferita, può probabilmente essere ottenuta senza
HBO. Se una TcPo2 < 40 mm Hg aumenta fino a 200 mm Hg con HBO a
2,4 atmosfere assolute, allora la guarigione con più probabilità si avrà dopo
trattamenti seriali. Se la TcPo2 non cresce significativamente entro 14 trattamenti
(misurata mentre il paziente sta respirando aria), l’HBO deve essere interrotto.
Quando la TcPo2 è > 40 mm Hg con il paziente che respira aria, l’HBO può
essere sospeso anche se la ferita non è completamente cicatrizzata. Se la TcPo2
non raggiunge mai 40 mm Hg e la rivascolarizzazione chirurgica è impossibile,
l’amputazione è maggiormente indicata.

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Terapia con ossigeno iperbarico

USTIONI

(v. anche il Cap. 276)

Le ustioni profonde di secondo grado possono comportare perdite tissutali a tutto


spessore e, in questi casi, può essere presa in considerazione la terapia con
HBO per ridurre l’ipossia e la formazione di edemi mediante la preservazione
dell’ATP e della glicolisi aerobia. Questo approccio terapeutico, se effettuato
entro le prime 24 h, riduce anche la richiesta di liquidi per il 35%. Perché risulti
più efficace, l’HBO deve essere iniziato entro le 24 h dall’ustione, preferibilmente
il più presto possibile. L’HBO aiuta a trattare un concomitante danno da
inalazione di fumo (v. oltre) con avvelenamento da CO o da cianuro. Inoltre, si
riduce l’incidenza di cicatrici ipertrofiche e di contratture. L’infusione di liquidi
deve essere continuata senza interruzione mentre il paziente è nella camera. Il
paziente deve anche essere protetto dalla perdita di calore.

Il trattamento delle ustioni mediante HBO deve essere effettuato soltanto in centri
specializzati per le ustioni e secondo rigidi protocolli. Quando è utilizzato l’HBO,
la mafenide topica incrementa la Pco2 intracellulare poiché inibisce l’anidrasi
carbonica, causando vasodilatazione periferica. Questi risultati, quando associati
alla vasocostrizione centrale determinata dall’HBO, sono peggiori di quelli che
possono essere ottenuti utilizzando le due terapie separatamente. La
sulfadiazina argento topica è un’alternativa che non blocca l’anidrasi carbonica.
L’HBO viene erogato a 2 atmosfere assolute per 90 min ogni 8 h durante le prime
24 h e, successivamente, bid fino a quando tutte le aree ustionate non siano
state ricoperte da epitelio o non si sia ottenuto l’attecchimento dei lembi cutanei. I
protocolli per i bambini prevedono HBO per 45 min; dovrebbero essere consultati
testi appropriati. Gli altri approcci terapeutici delle ustioni vengono descritti nel
Cap. 276. Durante la terapia con HBO può essere effettuata un’escissione
perilesionale, ma questa può essere ritardata di 3-4 giorni, per determinare
l’esatta estensione del danno a tutto spessore. L’innesto viene eseguito non
appena sia presente tessuto di granulazione uniformemente sano.

DANNO DA INALAZIONE DI FUMO

La tossicità derivante dall’inalazione di fumo consiste, di solito, in un


avvelenamento da CO o da cianuro, associato a una grave forma di polmonite
chimica. Poiché il broncospasmo e l’edema polmonare peggiorano tipicamente
dopo le prime 24-36 h, i pazienti devono essere tenuti in osservazione,
monitorando i gas ematici per almeno 24 h prima di permettere la loro dimissione.

Il trattamento con HBO nell’inalazione da fumo è un coadiuvante della terapia


respiratoria. L’HBO allontana rapidamente la carbossiemoglobina dal sangue e
fornisce O2 disciolto nel plasma, controbilanciando così gli effetti tossici tissutali
del CO e del cianuro. Esso riduce il contenuto di acqua nel polmone. La terapia
d’attacco deve seguire il protocollo per l’avvelenamento da CO (v. sopra).
Talvolta può rendersi necessario un supporto ventilatorio, sebbene il trattamento
precoce con HBO riduca la necessità dell’intubazione.

NECROSI DA RADIAZIONI DEI TESSUTI MOLLI

Entro 6-18 mesi dall’applicazione locale di radiazioni su un tessuto, i vasi


sanguigni di medio calibro della zona irradiata vanno incontro a una progressiva
sclerotizzazione, alla quale fa seguito una netta riduzione dell’apporto ematico,
che può pertanto essere inadeguato a rifornire il tessuto che si sta riparando in
caso di danno, infezione o intervento chirurgico. Quando la Po2 tissutale scende
a meno di 30 mm Hg, si riduce la capacità dei GB di distruggere i batteri e le

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Terapia con ossigeno iperbarico

ulcere tendono tipicamente a estendersi. La radionecrosi è molto frequente dopo


irradiazione di tumori della testa e del collo, ma possono anche verificarsi dopo
irradiazione di altri tumori, p. es., dell’addome o della pelvi. La necrosi vaginale e
la cistite emorragica da irradiazione sono complicanze dei tumori della cervice e
della prostata.

Prima dell’avvento della terapia con HBO, l’unico approccio terapeutico possibile
era quello chirurgico. Di solito si ottengono buoni risultati con l’asportazione
dell’area irradiata e con innesti di tessuto molle vascolarizzato con apporto
ematico proprio, ma questi possono non essere praticabili a causa della
presenza di strutture critiche (p. es., l’arteria carotide). In assenza di un tumore
recidivante che richieda immediata estirpazione, l’approccio chirurgico non deve
essere tentato fino a quando non sia stato effettuato un adeguato pretrattamento
con HBO, capace di stimolare la formazione del tessuto di granulazione
necessario a sostenere il trapianto.

Il trattamento con HBO della radionecrosi dei tessuti molli e dell’osso e della
osteoradionecrosi è di 2,4 atmosfere assolute per 90 min al giorno, per 5 giorni/
sett. La Po2 tissutale può aumentare di circa l’80% rispetto alla norma (con il
paziente che respira aria) dopo 18-30 trattamenti, mentre viene stimolata la
neovascolarizzazione del tessuto irradiato. Possono allora essere eseguiti
l’intervento chirurgico con lembo muscolocutaneo e anche l’innesto di osso. Se è
assente un’ulcerazione franca, ma l’area in cui l’intervento deve essere effettuato
ha ricevuto 50 Gy, prima dell’intervento vengono eseguiti 20 trattamenti. Se è
presente un’ulcerazione franca, vengono eseguiti 30 trattamenti. Dopo
l’intervento chirurgico vengono solitamente somministrati 10 trattamenti aggiuntivi.

Con questo pre-trattamento si sono ottenute chiusure spontanee di fistole oro-


cutanee ed è possibile ottenere la risoluzione di infezioni sovrapposte se la Po2
aumenta in modo sufficiente. Quando viene assicurata un’adeguata terapia con
HBO, le ulcere da radiazione cicatrizzate tendono a stabilizzarsi e a non mostrare
il caratteristico deterioramento a lungo termine. L’HBO non stimola la crescita di
alcun tumore residuo.

OSTEORADIONECROSI

L’osteoradionecrosi interessa in genere la mandibola a seguito dell’irradiazione di


tumori della testa e del collo. La terapia radiante ad alto voltaggio provoca una
necrosi asettica per distruzione degli osteoclasti e degli osteoblasti. La maggior
parte delle osteoradionecrosi mandibolari origina dall’estrazione dei denti, in
seguito allo sviluppo di carie da irradiazione. Il trauma legato all’estrazione del
dente provoca la distruzione del tessuto gengivale e la conseguente necrosi
ossea progressiva. È spesso visibile l’osso esposto. Se si evidenzia l’infezione
con formazione di pus, non può trattarsi di una forma di osteomielite. Questa
infezione ha sempre un’origine periossea e, nell’osso, il processo è
rappresentato da una necrosi asettica. Il tessuto di granulazione non riesce a
formare un ponte sull’osso necrotico e il processo infettivo progredisce
nonostante vengano praticate un’accurata detersione della ferita e la
somministrazione di antibiotici; la guarigione, senza l’uso dell’HBO, si ottiene
soltanto nell’8% circa dei casi.

Nel caso si renda necessaria l’estrazione di un dente in un’area che sia stata
precedentemente irradiata, il paziente va sottoposto a trattamento con HBO
1 volta/die per 5-6 giorni/sett., per un totale di 20 trattamenti. Dopo l’intervento,
vanno effettuate fino a 10 ulteriori sedute, una al giorno. È opportuna la
somministrazione perioperatoria di antibiotici. Anche in pazienti che hanno
ricevuto un’irradiazione dell’area mascellare > 60 Gy l’osteoradionecrosi può
essere prevenuta nel 92% circa dei casi.

Il trattamento è elencato nella Tab. 292-1. Circa il 94% dei pazienti non
presenterà più dolore. L’escissione chirurgica dell’osso necrotico, possibilmente
con trapianto di osso, permetterà il ripristino di una mucosa intatta e di una forma
e una dimensione della mandibola normali con un peso alveolare sufficiente a

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Terapia con ossigeno iperbarico

sostenere le dentiere. Gli impianti osteointegrati possono essere collocati nella


mandibola irradiata trattata con HBO (percentuale di successo, circa 84%).

OSTEOMIELITE CRONICA REFRATTARIA

La compromissione generalizzata dell’ospite dovuta a un altro disordine


sottostante o a una compromissione locale ischemica della ferita spesso è la
causa dell’osteomielite che non si risolve con l’intervento chirurgico e con gli
antibiotici. Nelle aree centrali delle lesioni osteomielitiche, la Po2 spesso è
< 20 mm Hg, il che previene l’attività antibatterica dei GB e previene l’attività dei
fibroblasti di produzione di fibre collagene e di formazione della cicatrice. Il
trattamento con HBO ha lo scopo di produrre nell’area infetta livelli di
O2 30 mm Hg. Normalmente, viene considerata per la terapia con HBO solo
l’osteomielite refrattaria, ma l’osteomielite del cranio rappresenta un’eccezione
data la vicinanza del cervello (con possibile diffusione del processo infettivo), ma
anche perché la chirurgia demolitiva del cranio, nel caso fosse necessaria, è
fortemente deturpante. Il trattamento precoce con HBO deve essere anche
considerato per l’osteomielite dello sterno (una complicanza dell’approccio con
distacco dello sterno utilizzato in cardiochirurgia); se disponibile sul posto, l’HBO
viene spesso somministrato al primo indizio di infezione, poiché il movimento
dello sterno causato dalla respirazione e dalla ipovascolarizzazione della ferita
può complicare l’eradicazione delle infezioni persistenti.

Il trattamento con HBO rappresenta una terapia di supporto per la detersione


delle cavità osteomielitiche, per la sequestrectomia e per la terapia antibiotica
EV. Esso viene effettuato una o due volte al giorno a 2-2,4 atmosfere assolute
per 90-120 min e continuato per 10 giorni dopo la chiusura di tutti i tragitti fistolosi
e la scomparsa dei segni d’infezione. Se la ferita continua a drenare dopo 30
sedute, è necessario ripetere una rx per evidenziare l’eventuale presenza di un
sequestro. Talvolta sono necessari anche 40-60 cicli di trattamento.

Nel caso di lesione refrattaria da <H2 anni, è possibile prevedere la guarigione


del processo infettivo nell’85% dei casi; nelle lesioni più vecchie la percentuale di
guarigione può essere inferiore.

CASI PARTICOLARI DI ANEMIA EMORRAGICA

In alcuni casi di anemia emorragica nelle quali viene rifiutata la trasfusione di


sangue (p. es., nei Testimoni di Geova per ragioni di ordine religioso) e nelle
gravi emolisi in soggetti con gruppo sanguigno raro per i quali non sia possibile
reperire sufficienti quantità di sangue compatibile, l’HBO può fornire un supporto
temporaneo all’ossigenazione tissutale. Al paziente devono essere somministrati
eritropoietina, ferro, folati e nandrolone decanoato per massimizzare la
produzione di midollo.

L’HBO (fino a 2,5 atmosfere assolute) può essere necessario anche ogni altra
ora. Di solito sono sufficienti 1 o 2 h a 2 atmosfere assolute, con un intervallo di 2-
6 h. Le frequenze iniziali di trattamento sono meglio determinate dal debito di O2
calcolato. Se il paziente viene osservato tardivamente, si rendono evidenti i segni
dell’ischemia (p. es., dolore retrosternale, segni di ischemia intestinale,
modificazioni ECG). Il trattamento viene continuato per più di 10 giorni e gli
intervalli tra i trattamenti vengono gradualmente allungati, con erogazioni bid o
tid. Il trattamento viene continuato finché il paziente abbia una Hb di 7 g o un Htc
del 21%. La concentrazione di Hb può raddoppiare in 3-4 giorni quando inizia la
risposta midollare.

Pazienti con meno di 1 g di Hb sono stati mantenuti in vita con HBO. A


3 atmosfere assolute è possibile dissolvere nel plasma quantità sufficienti di O2
capaci di tenere in vita il paziente senza che si verifichi l’inibizione dell’eritropoiesi
se l’HBO viene usato in modo discontinuo.

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Terapia con ossigeno iperbarico

ACTINOMICOSI

L’HBO può essere indicato in rari casi di infezioni da Actinomyces israelii che non
rispondono all’intervento chirurgico e agli antibiotici o nei casi nei quali la
chirurgia ablativa coinvolga strutture critiche (p. es., l’orecchio medio). L’O2 ha un
effetto diretto sull’A. israelii, ma l’aumento della funzione dei GB può essere più
importante. Il trattamento segue il protocollo della gangrena gassosa (v. sopra).

ASCESSO INTRACRANICO

Gli ascessi intracranici sono quasi sempre infezioni aerobiche, ma la modalità di


azione dell’HBO consiste principalmente nella stimolazione dell’abilità distruttiva
dei GB.

Il trattamento a 2,5 atmosfere assolute per 90 min viene spesso iniziato bid e poi
continuato una volta al giorno. In media, per gli ascessi non complicati vengono
eseguiti da 12 a 15 trattamenti; se è presente un’osteomielite associata, possono
essere garantiti da 40 a 60 trattamenti.

Nessun paziente trattato per ascesso intracranico con HBO è deceduto, mentre il
tasso di mortalità è stato del 23% in sei gruppi di pazienti con ascesso cerebrale
che hanno ricevuto solo trattamento chirurgico e antibiotico.

CONTROINDICAZIONI

Assolute: la somministrazione concomitante di doxorubicina, bleomicina e


cisplatino con HBO è una controindicazione assoluta. Il pneumotorace non
trattato è una controindicazione assoluta al trattamento in una camera
monoposto, poiché, con la decompressione, il volume intrapleurico di aria può
raddoppiare o triplicare (in accordo con la legge di Boyle) non appena ci si
avvicina alla pressione atmosferica normale. In una camera multiposto, il
pneumotorace può essere trattato dentro la camera se necessario. Nella camera
monoposto, vengono preparati un dardo di McSwain o un altro tubo toracico, la
camera viene decompressa entro 1 min e il tubo toracico viene inserito a livello
del secondo spazio intercostale quando il paziente fuoriesce.

L’HBO è anche controindicato nei neonati prematuri, che sono suscettibili di


fibroplasia retrolentale. I neonati a termine possono essere trattati con sicurezza
con HBO, ma possono richiedere limitazioni delle poppate; i bambini piccoli
richiedono una sedazione leggera.

Relative: le controindicazioni relative comprendono una storia di pneumotorace


spontaneo, che richiede prontezza nel gestire le complicanze. Ogni lesione del
polmone può incrementare la possibilità teorica che si verifichi l’intrappolamento
dell’aria, ma la decompressione lenta utilizzata nell’HBO causa raramente
barotrauma polmonare. I pazienti con polmonite, sindrome restrittiva delle vie
aeree e grave polmonite da inalazione sono stati trattati senza incidenti. In
soggetti affetti da enfisema con intossicazione da CO2, la soppressione dello
stimolo ipossico può provocare depressione respiratoria e aumento di CO2,
abbassando la soglia di insorgenza di convulsioni da HBO. Pazienti con infezione
delle alte vie respiratorie possono presentare difficoltà nel compensare la
pressione nelle orecchie e nei seni paranasali; in questi casi trovano indicazione i
decongestionanti. Nei pazienti che hanno subito un intervento chirurgico
all’orecchio medio per la correzione di un’otosclerosi, si può verificare lo
spostamento di un filo metallico o di un supporto di plastica se il paziente non è in
grado di eguagliare la pressione all’interno dell’orecchio; è necessaria

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Terapia con ossigeno iperbarico

l’esecuzione di una timpanostomia. I pazienti con perdita di coscienza


solitamente non richiedono miringotomia prima del trattamento. La febbre può
predisporre all’insorgenza di convulsioni da O2 e dovrebbe essere ridotta, se
possibile, prima del trattamento con HBO. Nella sferocitosi congenita, i GR sono
fragili e un’alta Po2 può provocare un’emolisi grave.

Nelle donne gravide, le preoccupazioni riguardo l’eventualità che la terapia con


HBO possa stimolare la chiusura prematura del dotto pervio nel feto sembrano
essere non giustificate se viene utilizzata una terapia con HBO di breve durata
per trattare emergenze come l’intossicazione da monossido di carbonio. Si è
pensato che l’HBO possa incrementare gli effetti citotossici della mitomicina C.
Esistono prove del fatto che la mitomicina C predisponga alla tossicità polmonare
da O2 a 1 atmosfera assoluta. L’HBO deve pertanto essere somministrato con
cautela nei pazienti che ricevono contemporaneamente chemioterapia o in coloro
precedentemente trattati con bleomicina o mitomicina C.

EFFETTI AVVERSI

Si possono verificare convulsioni da O2 (incidenza, 1,3/10000 trattamenti) in


modo particolare quando l’ossigeno viene somministrato a pressioni
> 2 atmosfere assolute. Alcuni pazienti presentano un’idiosincrasia ad alte Po2.
Le convulsioni da O2 cessano non appena si sospende il trattamento; non ci
sono sequele riconosciute. La tossicità dell’O2 sul polmone (dolore toracico
retrosternale, tosse e atelettasia a chiazze) può verificarsi a seguito di continue
esposizioni all’HBO a 2 atmosfere per un tempo superiore alle 6 h, ma non si
manifesta se si seguono i protocolli terapeutici stabiliti.

Dopo 20-30 trattamenti nella camera, alcuni pazienti lamentano parestesie al 4o


e 5o dito della mano (distribuzione ulnare); queste sensazioni scompaiono entro
4-6 sett. di terapia. La causa è sconosciuta. Dalla terapia giornaliera con HBO
può derivare un’otite sierosa, ma si tratta, di solito, di un problema secondario,
risolvibile con l’uso di decongestionanti.

Uno degli effetti collaterali che si verifica comunemente è una modificazione del
potere di rifrazione del cristallino. La miopia tende a peggiorare, specialmente
negli anziani, ma i pazienti con presbiopia riferiscono un miglioramento dell’acuità
visiva, in particolare durante la lettura. Il potere di rifrazione solitamente ritorna ai
livelli precedenti al trattamento entro 4-6 sett. dalla sospensione; tuttavia, l’acuità
visiva può non ritornare al livello pre-trattamento nei pazienti con preesistente
cataratta.

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

Manuale Merck

20. MALATTIE DOVUTE AD AGENTI FISICI

285. LESIONI DA IMMERSIONE O DA LAVORO IN ARIA


COMPRESSA

Sommario:

Introduzione
Fisiopatologia dell’aumento di pressione
Altre complicanze
Valutazione dell’idoneità per attività subacquee

I subacquei di profondità e quelli che utilizzano respiratori subacquei possono


andare incontro a problemi di natura medica conseguenti alle alte pressioni cui
vengono sottoposti, così come i lavoratori edili che lavorano nei tunnel o in aree
di lavoro pressurizzate. Un paziente che accusi un qualsivoglia disturbo, durante
e soprattutto dopo essere stato esposto ad alte pressioni, deve far sospettare i
sintomi di una patologia da decompressione (embolia gassosa arteriosa o
malattia da decompressione) e quindi necessita urgentemente di ricompressione.
I medici che visitano pazienti di questo tipo devono stare molto in guardia e
possono chiedere consulenza al Divers Alert Network (DAN) (Rete di Allarme per
Subacquei), coordinato dal Duke University Medical Center, a qualsiasi ora (tel.
001-919-684-8111). (Il numero telefonico del DAN Europe Alarm Center è +039
6898552 e, solo dall’Italia, il numero verde 1678-24080, a qualsiasi ora. La sede
amministrativa di DAN Europe è in Via Basilicata, 12, Roseto (TE); tel. +085
8930333, fax +085 8930050 nei giorni feriali e in orario di ufficio, n.d.t.)

L’elevata pressione in profondità deriva dal peso dell’acqua sovrastante, per lo


stesso principio per cui la pressione barometrica al suolo deriva dal peso dell’aria
sovrastante. Le pressioni in profondità vengono spesso espresse in unità di
profondità o atmosfere assolute (Atm Ass, ATA). Un subacqueo alla profondità di
10 m in acqua di mare è sottoposto a una pressione di 760 mm Hg, cioè 1 atm
superiore alla pressione barometrica vigente in superficie. La pressione totale a
10 m di profondità è pari a 2 ATA ed è determinata dal peso della colonna
d’acqua sovrastante sommato al valore della pressione barometrica in superficie.
Per ogni 10 metri in più di profondità la pressione aumenta di 1 atm. La pressione
interna in un tunnel subacqueo o in un cassone di immersione (in cui viene
immessa aria compressa per espellere l’acqua dal luogo di lavoro) sarà pari al
peso della colonna d’acqua sovrastante. La pressione espressa in ATA è
inferiore a quote elevate, fattore importante da tenere in considerazione quando
ci si immerge in laghi montani.

Fisiopatologia dell’aumento di pressione

Differenze locali di pressione ("barotraumi"): all’aumentare della pressione


esterna sul corpo, per profondità maggiori, si osserva un incremento parallelo
della pressione dei gas nei polmoni e nelle vie aeree. Se le trombe di Eustachio
sono normalmente pervie (p. es., sbadigliando o deglutendo), la pressione
nell’orecchio medio può essere mantenuta uguale all’aumentata pressione
esterna, se invece sono presenti anomalie anatomiche, riniti allergiche o
vasomotorie, oppure IRS, è impedita la compensazione e l’eccessiva pressione
esterna viene esercitata direttamente sul timpano e viene trasmessa anche a tutti
i vasi sanguigni del corpo. Se la pressione nell’orecchio medio rimane inferiore
alla pressione esterna, i capillari della mucosa possono dilatarsi, divenire

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

permeabili e andare incontro a rottura. Se il liquido edematoso e il sangue


stravasato non occupano abbastanza spazio da compensare la differenza
pressoria, è possibile che il timpano vada incontro a rottura (v. anche Otite media
barotraumatica nel Cap. 84), a cui consegue spesso un’infezione dell’orecchio
medio. La compressione può inoltre determinare una lesione a livello dei seni
paranasali, che si manifesta con dolori locali, o di quelli sfenoidali, con dolore
riferito all’occipite, al vertice o all’area frontale. La congestione mucosa, che
impedisce il riequilibrio della pressione nell’orecchio o nei seni paranasali,
risponde al trattamento con decongestionanti locali o sistemici. In genere, si
possono verificare danni gravi se la pressione non viene adeguatamente
compensata durante l’immersione.

Si può anche verificare una compressione locale quando uno spazio rigido o
semirigido, in cui vi sia aria, rimanga adeso al corpo. Mentre la pressione delle
maschere subacquee si riequilibra facendo fuoriuscire aria dal naso, quella negli
occhiali subacquei e in alcune tute da immersione non è equilibrabile e provoca
talvolta disagio, emorragie locali e danni tissutali. I tappi per le orecchie
realizzano una raccolta gassosa chiusa nel canale uditivo esterno, impediscono il
riequilibrio della pressione e pertanto non devono essere usati.

Le vertigini possono conseguire a variazioni della pressione e del volume


gassoso nell’orecchio medio, attraverso almeno tre diversi meccanismi. (1)
Rottura della membrana timpanica di un sommozzatore a capo scoperto
nell’acqua fredda, con conseguenze paragonabili a quelle del test calorico (v.
Valutazione clinica dell’apparato vestibolare nel Cap. 82): vertigini gravi e
potenzialmente disastrose, disorientamento, nausea e vomito. (2) Pressioni non
compensate nell’orecchio medio possono interessare l’orecchio interno,
attraverso la finestra rotonda, causando una vertigine alternobarica, che può
provocare perdita dell’equilibrio, sperimentata qualche volta dai sommozzatori
quando iniziano a risalire. (3) Presenza di una fistola perilinfatica, con perdita
della perilinfa dalla finestra ovale o dalla finestra rotonda, forma rara, che causa
gravi vertigini e richiede intervento chirurgico d’urgenza. La vertigine può essere
confusa con la malattia da decompressione vestibolare, quando si manifesti dopo
un’immersione.

Compressione ed espansione dei gas: la legge di Boyle-Mariotte afferma che il


volume di una determinata massa di gas varia in maniera inversamente
proporzionale alla pressione assoluta; p. es., 1 l di aria alla superficie del mare
(1 ATA) risulta compressa a 1/2 l a 10 m di profondità (2 ATA). Si deve quindi
equilibrare la pressione negli spazi gassosi interni del corpo, durante la discesa,
per compensare tale compressione, mentre respirando con l’aiuto di caschi da
immersione o di autorespiratori viene compensata la compressione del gas nel
sistema respiratorio.

La densità di un gas aumenta in maniera proporzionale alla pressione in ATA, ma


la frequenza degli atti del respiro e il volume respiratorio di un sommozzatore di
profondità sono circa gli stessi presenti in superficie (alle stesse condizioni di
lavoro). Quindi, il numero di molecole di gas respirate nell’unità di tempo in
profondità aumenta proporzionalmente alla pressione, p. es., il numero di
molecole di gas respirate a 2 ATA sarà doppio di quello in superficie, di
conseguenza, diminuisce proporzionalmente la durata della scorta di aria
presente nelle bombole del sub e, a profondità maggiori, la respirazione diventa
progressivamente difficoltosa, a causa dell’aumento delle resistenze nelle vie
aeree e nell’apparato respiratorio del sub, che si oppongono al flusso dell’aria
inspirata. Tali cambiamenti possono rendere difficoltoso l’esercizio fisico e
aggravare la fatica respiratoria e l’affaticamento generale, rappresentando
problemi notevoli durante l’immersione, anche in condizioni normali.

L’espansione dei gas polmonari durante l’emersione può essere causa di


complicanze che mettono a rischio la vita del sub. Se un sommozzatore inspira
anche una sola boccata d’aria o di altro gas in profondità e non la espira
liberamente durante l’emersione, il gas espandendosi può sovradistendere i
polmoni. Le conseguenze possono essere il pneumotorace, l’enfisema
sottocutaneo e mediastinico e l’embolia gassosa a livello arterioso; quest’ultima
rappresenta una situazione di estrema emergenza ed è la causa principale di
morte fra i sommozzatori (v. oltre e Tab. 285-1).

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

Effetti della pressione parziale: la pressione parziale (P) di un gas è determinata


dalla concentrazione del gas e dalla pressione ambientale; p. es., la
concentrazione di O2 nell’aria è di circa il 21%, quindi la pressione parziale di O2
(Po2) nell’aria al livello del mare (1 ATA) sarà di circa 0,21 atm. La
concentrazione di O2 nell’aria rimane la stessa al variare della profondità, ma la
Po2 aumenta, riflettendo l’aumento della pressione e della compressione dei gas.
A 2 ATA, il numero di molecole di O2 per unità di volume (densità) e la Po2 sono
il doppio di quello che si riscontra in superficie.

I gas inerti (p. es., N2 ed elio) vengono assorbiti a livello ematico e tissutale,
quando vi sia un aumento della loro pressione parziale. Durante la risalita,
quando la pressione diminuisce, possono formarsi bolle gassose, responsabili di
diverse affezioni (v. malattia da decompressione, oltre).

Gli effetti dei gas sono correlati alle rispettive pressioni parziali e si modificano al
variare della profondità. Una prolungata esposizione a una Po2 > 0,5 atm
(equivalente al 50% di O2 in superficie o al 25% di O2 a 10 m) può comportare
una tossicità polmonare da ossigeno. La tossicità dell’ossigeno verso il SNC, che
si verifica sostanzialmente nel corso di lavori in immersione, può causare
convulsioni nel caso in cui la Po2 si avvicini o superi le 2 atm (p. es., il 100% di
O2 a 10 m o il 50% di O2 a 30 m [4 ATA]) o perfino quando sia inferiore a 1,6 atm
(p. es., il 100% di O2 a 6 m).

La narcosi da azoto, che presenta caratteri simili all’intossicazione alcolica, si


verifica quando aumenta la pressione parziale di N2, nei subacquei che inspirano
aria compressa; può divenire evidente a 30 m (100 piedi) o meno e diviene di
solito inabilitante a circa 90 m (300 piedi) o a 10 ATA, a questa profondità infatti il
suo effetto anestetico è paragonabile a quello del protossido d’azoto al 30% in
superficie. Dal momento che l’elio non possiede questo effetto anestetico, per
immersioni a grandi profondità viene utilizzato al posto dell’N2 per diluire l’O2.

Nelle immersioni in apnea e mentre si nuota sott’acqua, senza far uso di un


autorespiratore, si osserva un cambiamento nei gas alveolari sia della Po2 che
della Pco2. Lo stimolo a riemergere per riprendere a respirare dipende in gran
parte dall’accumulo di CO2 nell’organismo, piuttosto che dalla carenza di O2.
L’iperventilazione prima di un’immersione in apnea può aumentare il tempo di
permanenza sott’acqua, perché riduce la CO2 favorendo un lieve incremento
delle riserve di O2, quindi, la perdita di coscienza dovuta all’ipossia, può avvenire
in assenza di sintomi premonitori, prima che la Pco2 arteriosa raggiunga valori
sufficienti a stimolare il centro del respiro. Le immersioni in apnea a profondità
notevoli elevano la Po2 alveolare, consentendo un’aumentata captazione di O2 in
profondità, quindi, un subacqueo che si spinga oltre i limiti può perdere coscienza
durante l’emersione, quando la Po2 alveolare scende a valori sempre più bassi.
Questo fenomeno è probabilmente alla base di molti annegamenti inspiegabili tra
subacquei in gare di pesca subacquea e tra quelli che praticano spesso
l’immersione in apnea. Talvolta si usa la definizione di sindrome delle acque poco
profonde, che tuttavia andrebbe riservato al suo significato originario: perdita di
coscienza da eccesso di CO2, che si verifica con alcuni tipi di autorespiratori, che
eliminano la CO2 in rapporto all’assorbimento chimico attivo.

Pressione idrostatica: la sindrome neurologica da alta pressione viene attribuita


alla pressione idrostatica, indipendentemente dalla compressione dei gas o dalle
loro pressioni parziali ed è caratterizzata da anomalie neuromuscolari e cerebrali,
che possono verificarsi a circa 180 m (600 piedi) durante la discesa. Non ha
rilevanza medica alle basse profondità.

Altre complicanze

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

Se l’O2 nelle unità con respirazione in circuito chiuso è spiazzato da un eccesso


di N2 o di un altro gas, può verificarsi ipossia, per tale ragione sono necessarie
precauzioni eccezionali nella preparazione delle miscele di gas da respirare
(p. es., combinazioni di N2-O2, piuttosto che di aria).

Avvelenamento da anidride carbonica (CO2): in superficie, l’iperpnea o la


mancanza di respiro rappresentano normalmente segnali d’allarme dell’aumento
della CO2 nell’aria inspirata, una reazione simile, invece, non avviene
necessariamente sott’acqua, in particolare quando coesistano esercizio fisico ed
elevata Po2 arteriosa. Alcuni individui trattengono spontaneamente CO2 durante
l’esercizio, perché la ventilazione polmonare non aumenta in maniera adeguata.
Una Pco2 arteriosa molto elevata, qualunque ne sia la causa, può provocare
perdita od obnubilamento dello stato di coscienza (sindrome delle acque poco
profonde), può aumentare il rischio di convulsioni da O2 e aggravare la narcosi
da azoto. Si deve sospettare la tendenza alla ritenzione di CO2 in quei subacquei
che lamentano frequenti cefalee post-immersione o che si vantano di aver
consumato poca aria dai loro autorespiratori.

Avvelenamento da monossido di carbonio (CO): se l’aria presente


nell’autorespiratore è contaminata da CO, può verificarsi la possibilità che i
subacquei vadano incontro a perdita di coscienza o a morte (v. anche Cap. 292).
Si deve sospettare un avvelenamento da CO se un sub lamenta nausea o
cefalea o presenta debolezza, lentezza nei movimenti o alterazioni mentali,
mentre la cute color rosso ciliegia non è un segno affidabile. Tipiche cause della
contaminazione da CO nell’aria dei sub sono le prese d’aria di un compressore
posizionate troppo vicine ai gas di scarico del motore e la combustione dell’olio
lubrificante in un compressore difettoso. A scopo preventivo bisogna quindi
controllare periodicamente le bombole dei sub per rilevare la presenza di CO e
altri contaminanti.

Complicanze: la scarsa visibilità, lo sforzo eccessivo per resistere alle correnti


marine e il freddo possono aggravare o essere causa di alcune patologie durante
l’immersione. L’ipotermia si può sviluppare molto rapidamente in acqua, gli effetti
immediati possono consistere nella perdita di attenzione e di destrezza fisica. Nei
soggetti predisposti l’acqua fredda può innescare aritmie cardiache fatali.

L’ipoglicemia è un pericolo per i sub con diabete insulino-dipendente e


probabilmente per coloro che assumono eccessive quantità di alcolici,
trascurando un adeguato apporto calorico. I farmaci, le droghe e l’alcol possono
avere effetti imprevedibili o inattesi in profondità.

Valutazione dell’idoneità per attività subacquee

Ai medici viene spesso richiesto di stabilire l’idoneità alla pratica dell’immersione


o ad attività correlate. Si consiglia, quando possibile, di rivolgersi a personale
qualificato. I medici, di solito non possono impedire alle persone di praticare le
immersioni e si dovranno quindi limitare a dare dei consigli e informare delle
possibili complicanze e delle loro implicazioni. È prudente, elencando tali possibili
sintomi, riportarli per iscritto, facendo firmare per presa di conoscenza la persona
interessata. La valutazione clinica di subacquei professionisti e di subacquei
dilettanti con anamnesi positiva per patologie specifiche richiede esami particolari
(p. es., le prove di funzionalità respiratoria, l’ECG da sforzo, l’audiometria e le
radiografie ossee).

I dati attuali sostengono che donne in buona salute fisica, salvo alcune eccezioni,
possono praticare l’immersione in modo sicuro tanto quanto gli uomini.
Comunque, alcuni studi evidenziano che le donne sono più suscettibili alla
malattia da decompressione, perciò dovrebbero essere ancor più prudenti degli
uomini. Alcune ricerche suggeriscono che le immersioni provocano un aumento
dell’incidenza di difetti congeniti e di morte fetale. Poiché i limiti di esposizione
sicuri non possono essere indicati con precisione, si consiglia alle donne in
gravidanza o che potrebbero esserlo di evitare le immersioni.

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Lesioni da immersione o da lavoro in aria compressa

I requisiti fisici e psichici per le immersioni, riportati nei testi e nei manuali per le
immersioni, presentano alcune caratteristiche di base:

I sub devono essere in grado di far fronte da soli a molte situazioni; le immersioni
possono comportare un esercizio fisico pesante, anche quando non ci si attenda
alcuna attività subacquea impegnativa, le bombole di aria sono pesanti e la
corrente può costringere a un’attività di nuoto estenuante, i subacquei, quindi,
devono essere esenti da malattie cardiache o polmonari significative e devono
possedere una capacità aerobica superiore alla media. L’anamnesi familiare e i
fattori di rischio coronarico sono importanti. Alcune aritmie cardiache, comprese
quelle che non impediscono lo svolgimento di altre attività, rendono impossibili le
immersioni subacquee. La pervietà del forame ovale potrebbe consentire alle
bolle di decompressione di eludere il filtro polmonare e potrebbe spiegare alcuni
casi di malattia cerebrale da decompressione o di apparenti embolie gassose,
tale patologia dovrebbe essere esclusa prima che il soggetto si immerga
nuovamente. L’obesità marcata si associa spesso a una scarsa tolleranza
all’esercizio fisico e a una maggiore predisposizione alla malattia da
decompressione. Limiti d’età rigidi sono irragionevoli, ma i subacquei più anziani
vanno controllati con maggior rigore, in particolare per la funzionalità
cardiopolmonare. Le limitazioni fisiche andranno valutate nei termini della
capacità individuale di soccorrere un compagno di immersione o di essere
autosufficiente.

I subacquei devono essere in grado di equilibrare le pressioni gassose


rapidamente in tutti gli spazi aerei del corpo. Le affezioni polmonari che
provocano intrappolamento d’aria possono essere causa di embolia gassosa
durante la fase di riemersione. Le controindicazioni assolute all’immersione
comprendono: cisti polmonari, enfisema, asma in fase conclamata e una storia
anamnestica di pneumotorace. Un’anamnesi positiva per l’asma rappresenta un
pericolo perché potrebbe insorgere una nuova crisi sott’acqua. Costituiscono,
inoltre, controindicazioni la congestione nasale cronica, la perforazione della
membrana timpanica e alcuni interventi chirurgici otologici. Nel corso di infezioni
respiratorie e di riesacerbazioni di rinite allergica o vasomotoria sarà bene evitare
le immersioni. Gli individui che abitualmente inghiottono aria o hanno la tendenza
al rigurgito, possono presentare problemi durante l’immersione.

I subacquei non devono essere soggetti a perdite di coscienza, di attenzione o di


giudizio; tali inconvenienti, anche se soltanto momentanei, possono far
commettere errori sott’acqua, mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei
compagni d’immersione. Epilessia, sincopi, alcolismo e abuso di droghe sono
incompatibili con la pratica dell’immersione. Il diabete insulino-dipendente
rappresenta un pericolo perché l’esercizio fisico può determinare ipoglicemia. I
subacquei non devono assumere farmaci che provocano sonnolenza o riducono
lo stato di attenzione; tali farmaci, inoltre, possono aggravare la narcosi da azoto.
La mancanza di stabilità emotiva è pericolosa per i subacquei e per i loro
compagni. Un allenamento adeguato è il requisito essenziale per immersioni
sicure e a tale scopo sono disponibili corsi offerti da organizzazioni nazionali di
immersione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 285-1. CONFRONTO TRA L'EMBOLIA GASSOSA E LA MALATTIA DA


DECOMPRESSIONE

Caratteristiche Embolia gassosa Malattia da decompressione

Sintomi e segni Comuni: perdita della Estremamente variabile;


coscienza, frequent include il dolore lo cale (dolore
emente con convulsioni più frequentemente localizzato
(qualunque sub acqueo a livello o nei pressi di una
che abbia perso articolazione), manifestazioni
conoscenza deve essere neurologiche di qualsiasi tipo e
considerato affetto da grado e asfissia (difficoltà
embolia gassosa e deve respirato ria seguita da
essere sottoposto rapida collasso circolatorio, estrema
mente a ricompressione) emergenza) che possono
verificarsi singo larmente o in
Meno comuni: combinazione
manifestazioni cerebrali
lievi, enfisema
mediastinico o sottocuta
neo e pneumotorace

Insorgenza Insorgenza graduale o Insorgenza graduale o


improvvisa durante o improvvisa durante la
subito dopo l’evento decompressione o fino a 24h
causale dopo un’immersione*>9m o
esposizioni iper bariche oltre le
2ATA (10m di profondità)

Causa immediata Di solito: ritenzione del Di solito: immersioni o


respiro od ostruzi one esposizioni iperbar iche oltre i
delle vie respiratorie limiti di non-decompressione e
durante la riem ersione senza appropriate soste di
anche a pochi metri di decompressione
profondità o
decompressione da Talvolta: immersioni o
esposizioni iperbar iche esposizioni iperbar iche entro i
limiti di non decompressione o
Talvolta: ingresso di gas con adeguata sosta di
libero nel sistema decompressione; es posizione
cardiovascolare in a bassa pressione (p.es.,
operazioni a cuore ap perdita di pressione della
erto o altre procedure cabina negli aerei ad alte
medico/chirurgiche o in quote)
seguito a incidenti

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Manuale Merck - Tabella

Meccanismo Di solito: la Formazione di bolle per


sovradistensione eccesso di gas dis ciolto nel
polmonare causa sangue o nei tessuti quando
l’ingresso di gas libero viene a ridursi la pressione
nei vasi polmonari con esterna.
conseguente embolia dei
vasi cerebrali

Talvolta: un’ostruzione
polmonare, cardia ca o
della circolazione
sistemica, causata da
gas libero proveniente da
qualsiasi fonte

Terapia Terapia d’emergenza classica a secondo del caso (p.es.,


d’emergenza vie respiratorie, emostasi, RCP)

Trasporto alla camera di ricompressione più vicina

Posizione orizzontale

O2 al 100% mediante maschera a tenuta

Liquidi PO, se il paziente è vigile, altrimenti EV

*I subacquei abituali o professionali sono colpiti frequentemente.


ATA=atmosfere assolute.

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Malattie batteriche

Manuale Merck

13. MALATTIE INFETTIVE

157. MALATTIE BATTERICHE

INFEZIONI DA CLOSTRIDII

I clostridii sono bacilli anaerobi gram + e sporigeni ampiamente presenti nella


polvere, nel terreno, nella vegetazione e nei tratti GI dell’uomo e degli animali.
Sebbene siano state identificate circa 100 specie di Clostridium, soltanto 25-30
inducono comunemente malattia nell’uomo o negli animali.

I segni più frequenti di colonizzazione da clostridi nell’uomo sono le intossicazioni


alimentari benigne e autolimitantisi (v. Intossicazione Alimentare da Clostridium
Perfringens nel Cap. 28) e le contaminazioni accidentali di ferite. Le malattie
gravi da clostridi comprendono la gangrena gassosa (mionecrosi), il tetano (v.
oltre) e il botulismo (v. Cap. 28) e sono relativamente rare, ma possono essere
letali. Esse si possono verificare dopo un trauma, l’iniezione di droghe da strada
o l’ingestione di cibo inscatolato a domicilio.

Le specie patogene, in forma vegetativa, provocano varie esotossine neurotrope


o distruttrici dei tessuti che sono state identificate biochimicamente e
sierologicamente. Le sp di Clostridium si rinvengono nella normale flora batterica,
particolarmente nel colon. I clostridi diventano patogeni quando i tessuti
possiedono un potenziale di ossido-riduzione ridotto, un’alta concentrazione di
lattato e un pH basso. Un tale ambiente anormalmente anaerobico può
svilupparsi a causa di insufficienza arteriosa primaria, a seguito di lesioni gravi
penetranti o di lesioni da schiacciamento. Più la ferita è profonda e grave più il
paziente è soggetto a infezioni anaerobiche, specialmente se c’è stata una
contaminazione anche minima con particelle estranee.

Le infezioni da clostridi sono riconosciute sempre più come un problema


nosocomiale, in particolare per i pazienti che hanno appena subito un intervento
chirurgico e per quelli immunocompromessi. Una grave sepsi da clostridi può
rappresentare una complicanza della perforazione e dell’ostruzione intestinale.
Condizioni particolari associate alle infezioni da Clostridium sp sono elencate
nella Tab. 157-2.

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Gastroenterite

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

28. GASTROENTERITE

Infiammazione della mucosa dello stomaco e dell'intestino che si manifesta


prevalentemente con sintomi del tratto GI superiore (anoressia, nausea e
vomito), diarrea e disturbi addominali.

(V. anche Allergia e intolleranza agli alimenti in Disordini con reazioni di


ipersensibilità di tipo I nel Cap. 148; Diarrea neonatale acuta infettiva in Infezioni
neonatali nel Cap. 260; e Gastroenterite acuta infettiva in Infezioni batteriche nel
Cap. 265).

INTOSSICAZIONE ALIMENTARE DA CLOSTRIDIUM PERFRINGENS

Gastroenterite acuta dovuta all'ingestione di cibo contaminato dal C. perfringens.

Sommario:

Eziologia
Sintomi, segni e diagnosi
Prevenzione e terapia

Eziologia

Il C. perfringens è diffusamente presente nelle feci, nella polvere, nell'aria e


nell'acqua. La carne contaminata ha causato diverse epidemie. Quando la carne
contaminata con il C. perfringens viene lasciata a temperatura ambiente,
l'organismo si moltiplica. Una volta all'interno del tratto GI, il C. perfringens
produce un'enterotossina che agisce sul piccolo intestino. Solo il C. perfringens
di tipo A è stato definitivamente collegato alla sindrome da avvelenamento da
cibo. L'enterotossina prodotta è sensibile al calore (75°C).

Sintomi, segni e diagnosi

È più frequente una gastroenterite lieve, con l'inizio dei sintomi da 6 a 24 h dopo
l'ingestione del cibo contaminato. I più frequenti sintomi sono la diarrea acquosa
e i crampi addominali. Il vomito è inusuale. I sintomi si risolvono tipicamente in
24 h; raramente si possono verificare dei casi gravi o fatali. La diagnosi si basa
sull'evidenza epidemiologica e sull'isolamento del microrganismo in grosse
quantità dal cibo contaminato o dalle feci delle persone affette.

Prevenzione e terapia

Per prevenire la malattia, la carne cotta avanzata deve essere subito refrigerata e
poi riscaldata completamente (temperatura interna, 75°C) prima di servirla. La
terapia viene descritta in Principi generali di trattamento, sopra.

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Gastroenterite

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Infezioni batteriche cutanee

Manuale Merck

10. AFFEZIONI DERMATOLOGICHE

112. INFEZIONI BATTERICHE CUTANEE

(v. anche Erisipelotricosi nel Cap. 157.)

INFEZIONI SOTTOCUTANEE NECROTIZZANTI

(Fascite necrotizzante; cellulite necrotizzante sinergica)

Infezioni gravi, generalmente dovute a una miscela di microrganismi aerobi e


anaerobi che provocano la necrosi del tessuto sottocutaneo, di solito con
interessamento della fascia.

Sommario:

Eziologia, patogenesi e istopatologia


Sintomi e segni
Esami di laboratorio e diagnosi
Prognosi e terapia

Eziologia, patogenesi e istopatologia

Sebbene lo S. pyogenes (streptococco gruppo A) da solo può provocare una


grave cellulite necrotizzante o una fascite, queste infezioni sono, in genere,
determinate da batteri aerobi e anaerobi, molto comunemente streptococchi
aerobi gruppo non-A, bacilli aerobi gram –, cocchi anaerobi gram + e la specie
Bacteroides (v. anche Infezioni da germi anaerobi misti nel Cap. 157).

Tali microrganismi raggiungono il tessuto sottocutaneo per progressione da


un’infezione contigua o per un trauma. Il trauma, spesso lieve, può essere di
natura termica, chimica o meccanica, incluse le procedure chirurgiche.
L’interessamento di un’estremità, sede più frequente, può aversi per ulcere
cutanee infette o per complicanze infettive di lesioni precedenti. L’interessamento
del perineo, la seconda sede per frequenza, è di solito una complicanza di
interventi chirurgici precedenti, di ascessi perirettali, di infezioni delle ghiandole
periuretrali o di infezioni retroperitoneali da visceri addominali perforati. Quando
sono coinvolti i genitali maschili, questa infezione viene chiamata malattia di
Fournier.

I reperti patologici principali sono l’edema e la necrosi dei tessuti sottocutanei,


compresa la fascia adiacente; il tessuto circostante è diffusamente sottominato; i
piccoli vasi sottocutanei sono occlusi e determinano una gangrena dermica; il
coinvolgimento muscolare è minimo o assente. Le alterazioni microscopiche
sono caratterizzate da marcata infiltrazione leucocitaria, formazione di
microascessi e necrosi del tessuto sottocutaneo e della fascia adiacente. C’è
spesso una completa occlusione delle arteriole e delle venule sottocutanee.

La combinazione di ischemia, edema e infiammazione del tessuto sottocutaneo


provoca una diminuzione della Po2, consentendo la crescita di anaerobi obbligati
(p. es, Bacteroides) e promuovendo il metabolismo anaerobico in microrganismi
facoltativi (p. es., E. coli). Questo metabolismo anaerobico produce spesso
idrogeno e azoto, gas relativamente insolubili, che possono accumularsi nei
tessuti sottocutanei e provocare crepitio o sacche di gas nel sottocute (evidenti in
radiografia).

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Infezioni batteriche cutanee

I pazienti con diabete mellito sembrano predisposti a questo tipo di infezioni. Le


possibili spiegazioni di questo fenomeno comprendono: la microangiopatia, che
provoca ipossia tissutale e pertanto promuove il metabolismo batterico
anaerobico; una insufficiente funzione leucocitaria e un elevato livello del glucoso
tissutale, che fornisce nutrimento abbondante per la crescita batterica.Sebbene
lo S. pyogenes (streptococco gruppo A) da solo può provocare una grave cellulite
necrotizzante o una fascite, queste infezioni sono, in genere, determinate da
batteri aerobi e anaerobi, molto comunemente streptococchi aerobi gruppo non-
A, bacilli aerobi gram –, cocchi anaerobi gram + e la specie Bacteroides (v.
anche Infezioni da germi anaerobi misti nel Cap. 157).

Tali microrganismi raggiungono il tessuto sottocutaneo per progressione da


un’infezione contigua o per un trauma. Il trauma, spesso lieve, può essere di
natura termica, chimica o meccanica, incluse le procedure chirurgiche.
L’interessamento di un’estremità, sede più frequente, può aversi per ulcere
cutanee infette o per complicanze infettive di lesioni precedenti. L’interessamento
del perineo, la seconda sede per frequenza, è di solito una complicanza di
interventi chirurgici precedenti, di ascessi perirettali, di infezioni delle ghiandole
periuretrali o di infezioni retroperitoneali da visceri addominali perforati. Quando
sono coinvolti i genitali maschili, questa infezione viene chiamata malattia di
Fournier.

I reperti patologici principali sono l’edema e la necrosi dei tessuti sottocutanei,


compresa la fascia adiacente; il tessuto circostante è diffusamente sottominato; i
piccoli vasi sottocutanei sono occlusi e determinano una gangrena dermica; il
coinvolgimento muscolare è minimo o assente. Le alterazioni microscopiche
sono caratterizzate da marcata infiltrazione leucocitaria, formazione di
microascessi e necrosi del tessuto sottocutaneo e della fascia adiacente. C’è
spesso una completa occlusione delle arteriole e delle venule sottocutanee.

La combinazione di ischemia, edema e infiammazione del tessuto sottocutaneo


provoca una diminuzione della Po2, consentendo la crescita di anaerobi obbligati
(p. es, Bacteroides) e promuovendo il metabolismo anaerobico in microrganismi
facoltativi (p. es., E. coli). Questo metabolismo anaerobico produce spesso
idrogeno e azoto, gas relativamente insolubili, che possono accumularsi nei
tessuti sottocutanei e provocare crepitio o sacche di gas nel sottocute (evidenti in
radiografia).

I pazienti con diabete mellito sembrano predisposti a questo tipo di infezioni. Le


possibili spiegazioni di questo fenomeno comprendono: la microangiopatia, che
provoca ipossia tissutale e pertanto promuove il metabolismo batterico
anaerobico; una insufficiente funzione leucocitaria e un elevato livello del glucoso
tissutale, che fornisce nutrimento abbondante per la crescita batterica.

Sintomi e segni

La zona interessata è di solito molto dolente e la cute sovrastante è arrossata,


calda e tumefatta. Progressivamente si può osservare un colorito violaceo, bolle,
crepitii e gangrena dermica. La febbre, quasi sempre presente, è generalmente
accompagnata da stato tossico sistemico, con tachicardia e confusione mentale
che può raggiungere l’ottundimento dei sensi. È pure frequente una deplezione
del volume intravascolare che si manifesta con ipotensione.

Esami di laboratorio e diagnosi

È presente di regola una leucocitosi con prevalenza di polimorfonucleati. Nei


diabetici, il livello di glicemia è aumentato e può esserci chetoacidosi. La
diminuzione del volume intravascolare può provocare una concentrazione
dell’urina e un aumento dei livelli di azotemia e creatininemia. Le rx dell’area
interessata mostrano spesso lieve presenza di gas tissutale.

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Infezioni batteriche cutanee

Una cute edematosa, molle, arrossata e calda, fa pensare a un’infezione


sottocutanea necrotizzante, rappresentando un’emergenza dermatologica.
L’incisione è, generalmente, il trattamento indicato. La differenziazione dalla
gangrena gassosa provocata dai clostridi, in cui si verificano miosite e
mionecrosi, è fondamentale per un approccio terapeutico corretto (v. Infezioni da
clostridi delle ferite nel Cap. 157). La progressione rapida o lo sviluppo di bolle,
ecchimosi, gangrena dermica, fluttuabilità, crepitio o la presenza di gas
radiologicamente evidenti nei tessuti molli, richiede un’esplorazione chirurgica. È
necessario eseguire alcune emocolture: il pus aspirato in una siringa per via
percutanea o durante un intervento chirurgico è il materiale ideale per una
colorazione di Gram e per colture aerobiche e anaerobiche.

Prognosi e terapia

È necessario consultare un chirurgo. La mortalità per queste infezioni è di circa il


30%. Un peggioramento della prognosi può essere dovuto all’età avanzata, alla
presenza di altri problemi medici, a diagnosi e terapia tardive e a un intervento
chirurgico non sufficientemente ampio.

La scelta dell’antibiotico da somministrare va fatta in seguito a una colorazione di


Gram del materiale purulento. Poiché in genere sono presenti gli aerobi e gli
anaerobi, nell’attesa dei risultati delle colture è opportuno somministrare
gentamicina combinata con clindamicina o cefoxitina o imipenem in monoterapia.
Per rimpiazzare le perdite di liquidi dai tessuti può essere necessario introdurre
grosse quantità di liquidi EV.

L’incisione e l’accurato sbrigliamento circostante costituiscono il primo approccio


terapeutico. La terapia con O2 iperbarico può ridurre il numero degli sbrigliamenti
necessari e il tasso di mortalità (v. Cap. 292). L’area coinvolta risulta
generalmente maggiore di quanto sia apparsa inizialmente, pertanto l’incisione
deve essere estesa fino al punto in cui uno strumento o il polpastrello non
possano più separare la cute e il tessuto sottocutaneo dalla fascia profonda.
L’errore più comune è un intervento chirurgico insufficiente; per questo ripetere
l’operazione dopo 1-2 giorni assicura una incisione adeguata e uno sbrigliamento
di tutte le aree coinvolte. In casi gravi può rendersi necessaria l’amputazione di
un arto.

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Malattie batteriche

Manuale Merck

13. MALATTIE INFETTIVE

157. MALATTIE BATTERICHE

CAUSATE DA BACILLI GRAM+

ERISIPELOTRICOSI

Infezione causata da Erysipelothrix rhusiopathiae che nella maggior parte dei


casi assume l’aspetto di un erisipeloide, un’affezione cutanea acuta ma a lenta
evoluzione.

Sommario:

Eziologia ed epidemiologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Eziologia ed epidemiologia

L’E. rhusiopathiae (prima denominata E. insidiosa), un bacillo gram +, capsulato,


non sporigeno, immobile e microaerofilo, presente in tutte le regioni del mondo, è
principalmente un saprofita. Esso può infettare una varietà di animali viventi,
inclusi gli insetti, i crostacei, i pesci, gli uccelli e i mammiferi (specialmente i
suini). L’infezione negli esseri umani è soprattutto di tipo occupazionale e
tipicamente consegue a una ferita penetrante in persone che manipolano
sostanze animali, sia commestibili (carne, pollame, pesce, crostacei) che non
commestibili (prodotti di scarto, ossi, gusci). L’infezione non cutanea è rara e di
solito si manifesta come artrite o endocardite.

Sintomi e segni

A distanza di 1 sett. dalla ferita, appaiono alcune maculo-papule indurite e


sollevate in modo tipico, di color rosso-violaceo e non vescicolate, accompagnate
da prurito e bruciore. Il rigonfiamento locale, sebbene nettamente delimitato, può
impedire l’uso della mano, il sito comune dell’infezione. Il bordo della lesione si
può estendere lentamente verso l’esterno, causando malessere e inabilità che si
protrae per 3 sett. La malattia ha solitamente un decorso limitato e in genere i
vasi linfatici regionali non sono interessati; raramente si diffonde come patologia
cutanea generalizzata. La batteriemia è rara ma può provocare artrite settica o
un’endocardite infettiva (anche in soggetti senza malattia valvolare cardiaca nota).

Diagnosi

Per l’isolamento dell’E. rhusiopathiae l’esame colturale di una biopsia a tutto


spessore della cute è superiore rispetto all’agoaspirato del margine superiore
della lesione; la coltura dell’essudato ottenuto dall’abrasione di una papula florida
può essere diagnostica. Per la diagnosi di artrite erisipelotricale o
dell’endocardite è necessario l’isolamento a partire dal fluido sinoviale o dal
sangue. Per una diagnosi precoce può essere d’aiuto l’amplificazione, mediante

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Malattie batteriche

PCR, delle sequenze di DNA dell’E. rhusiopathiae che codificano per l’RNA 16S.

Terapia

La somministrazione di 1,2 milioni U di benzatina penicillina G IM (una singola


dose da 600000 U in ciascuna natica) o di 0,5 g di eritromicina qid PO per
7 giorni permettono di ottenere la guarigione. L’endocardite viene trattata con
penicillina G 25000-30000 U/kg EV q 4 ore per 4 sett. o con cefazolina 15-20 mg/
kg EV q 6 ore. Anche se gli stessi farmaci e dosi sono adeguati anche per l’artrite
(somministrati almeno per una sett. dopo la riduzione o la scomparsa
dell’effusione), è necessario un agoaspirato ripetuto dell’articolazione infetta.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 292-1. TERAPIA CON OSSIGENO IPERBARICO


PER L'OSTEORADIONECROSI A SECONDA DELLO STADIO

Stadio Descrizione Trattamento iniziale Trattamento successivo


I Un piccolo segmento 30 trattamenti giornalieri Non applicabile
esposto di osso; all'rx, con HBO con cura
coinvolgimento limitato meticolosa della ferita; se
della mandibola la mucosa si chiude sopra
l'osso entro i 30
trattamenti, 10 ulteriori
trattamenti
II Una lesione in stadio I Dopo il fallimento del 10 trattamenti giornalieri con
che non si è cicatrizzata trattamento con HBO in HBO
entro 30 trattamenti con stadio I, sequestrectomia
HBO alveolare con chiusura a
stagno della mucosa
III All'rx, totale 30 trattamenti giornalieri Fissazione interna o esterna
coinvolgimento della con HBO seguiti da per mantenere la posizione
mandibola, una fistola resezione della mandibola della mandibola; dopo
oro-cutanea, un'area dietro l'osso sanguinante; 10sett., successivamente
estesa di osso esposto, preservazione del nervo all’inserzione transcutanea
una frattura patologica mandibolare e chiusura di di un trapianto di osso, ≥10
o una deiscenza di una tutte le fistole oro-cutanee trattamenti giornalieri con
lesione in stadio II HBO per assicurare
l'attecchimento del trapianto
HBO=Hyperbaric oxygen, ossigeno iperbarico

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Malattie respiratorie occupazionali

Manuale Merck

6. MALATTIE DELL'APPARATO RESPIRATORIO

75. MALATTIE RESPIRATORIE OCCUPAZIONALI

Malattie respiratorie direttamente correlate a sostanze inalate nell'ambiente


lavorativo.

Gli effetti di un agente inalato dipendono da molti fattori: le sue proprietà fisiche
e chimiche, la suscettibilità; della persona esposta, la sede di deposizione
all'interno dell'albero bronchiale e la sua quantità (v. Tab. 75-1).

Le proprietà fisiche comprendono lo stato fisico dell'agente inalato. Un agente


può essere una particella (particolato solido), una nebbia (particolato liquido), un
vapore (fase gassosa di una sostanza normalmente liquida) e un gas (sostanza
senza un volume determinato). Una particella inalata può essere depositata e
trattenuta nei polmoni. Se solubile, è assorbita nel torrente circolatorio. Di solito
le difese corporee rimuovono infine le particelle e le nebbie insolubili.

La suscettibilità varia da persona a persona. Per esempio, il movimento


mucociliare verso l'alto rimuove le particelle dallo spazio morto delle vie
respiratorie più rapidamente in alcune persone che in altre; la velocità di
"clearance" è geneticamente determinata. Anche lo stato immunologico influenza
la suscettibilità.

La sede di deposizione delle particelle determina in larga misura la risposta


del polmone (v. Tab. 75-2). Le particelle si depositano lungo il tratto respiratorio,
principalmente come risultato di tre processi fisici: l'impatto, la sedimentazione e
la diffusione. Le particelle grandi (tra 6 e 25 mm), si depositano per impatto e
sedimentazione solitamente nel naso e talvolta nelle vie aeree di conduzione. Le
particelle comprese tra 0,5 e 6 mm tendono più a depositarsi per sedimentazione
nella porzione del polmone deputata agli scambi gassosi. Le particelle di 1-3 mm
sono più frequentemente coinvolte nello sviluppo delle pneumoconiosi. Le
particelle < 0,1 mm si depositano prevalentemente nel parenchima polmonare
per diffusione, ma molte vengono espirate. Le fibre di asbesto più piccole hanno
le maggiori possibilità di penetrare e di migrare nella pleura e di causare placche
benigne o mesoteliomi maligni.

La deposizione di particelle nel naso può causare la rinite, la febbre da fieno (che
può essere considerata una malattia professionale negli agricoltori), la
perforazione del setto nei lavoratori del cromo e cancri nasali nei lavoratori dei
mobilifici.

La deposizione delle particelle nella trachea e nei bronchi può indurre tre
risposte. (1) La broncocostrizione può essere causata da una reazione Ag-Ac,
p. es., in alcune forme di asma professionale; da meccanismi farmacologici (nella
bissinosi), in cui la deposizione di particelle causa la produzione di
broncocostrittori come l'istamina e le sostanze dell'anafilassi a lenta reazione
(leucotrieni C4, D4 ed E4) da parte delle mastcellule; o dall'irritazione mediante
meccanismo riflesso (p. es., nella risposta ai sulfiti). (2) La bronchite o l'ipertrofia
delle ghiandole mucose può essere causata dalla prolungata deposizione di
particelle, che possono portare a una lieve ostruzione cronica delle vie aeree. (3)
Un tumore del polmone può derivare dalla deposizione di fibre di asbesto o di
polveri contaminate con radon.

La deposizione di particelle antigeniche organiche nel parenchima polmonare


può indurre lo sviluppo di una polmonite da ipersensibilità (alveolite allergica
estrinseca), un processo acuto granulomatoso che coinvolge gli alveoli e i
bronchioli respiratori (v. Cap. 76). Le particelle inorganiche possono causare una

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Malattie respiratorie occupazionali

reazione fibrotica di tipo focale e nodulare, come nella silicosi tipica, o diffusa e
generalizzata, come nell'asbestosi e nella berilliosi. Con le particelle inerti (p. es.,
ossido di stagno), si sviluppa una pneumoconiosi benigna, senza fibrosi.
L'inalazione di certi gas e vapori (p. es., Hg, cadmio, biossido d'azoto) può
causare edema polmonare acuto, alveolite acuta e bronchiolite fibrosa obliterante.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE


CARDIOPOLMONARE

AVVELENAMENTI

AVVELENAMENTO DA PARACETAMOLO

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

Il paracetamolo è contenuto in più di 100 prodotti da banco, incluse numerose


preparazioni pediatriche in forma liquida, in tavolette, capsule e in molti sciroppi
per la tosse/raffreddore. Anche molti farmaci comunemente prescritti contengono
paracetamolo.

Alle dosi terapeutiche, un metabolita del paracetamolo potenzialmente tossico,


l’N-acetil-p- benzochinonimina, viene prodotto nel fegato dal sistema enzimatico
citocromo P-450 dipendente e successivamente detossificato dal deposito di
glutatione epatico. In caso di sovradosaggio acuto, livelli eccessivi di questo
metabolita riducono gli accumuli epatici di glutatione e ne deriva necrosi
epatocellulare (v. Cap. 43).

Nel bambino è considerata tossica una dose orale di paracetamolo 150 mg/kg.
Negli adulti è considerata tossica una dose di paracetamolo 150 mg/kg di
paracetamolo o una dose totale di 7,5 g, senza considerare il dosaggio in mg/kg,.
L’emivita plasmatica, quando il dosaggio è normale, è di 2 h e mezza. Un’emivita
> 4 h è correlata con un grave danno epatico.

Sintomi, segni e diagnosi

Il decorso clinico e il trattamento (v. oltre) sono molto differenti rispetto


all’avvelenamento da aspirina. I sintomi sono di solito lievi fino a 48 h dopo
l’ingestione e vengono suddivisi in 4 stadi, come mostrato nella Tab. 263-3.

Nei bambini in età prepuberale una dose eccessiva di paracetamolo è raramente


mortale, anche quando i livelli di AST raggiungono le 20000 UI/ l, mentre i
bambini di età > 12 aa rispondono come gli adulti al carico epatico di
paracetamolo. La ragione di questa differenza legata all’età è ancora da chiarire.
Negli adolescenti sono stati osservati un numero maggiore di sintomi e una
prolungata alterazione dei test di funzionalità epatica.

In bambini precedentemente sani, dopo la guarigione dall’intossicazione acuta da


paracetamolo, di solito non sembrano residuare danni epatici strutturali o
funzionali. Gli effetti di una terapia cronica o di ripetute intossicazioni sono ancora
in fase di studio.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Terapia

La decontaminazione gastrica può includere il vomito indotto da sciroppo di


ipequana, la lavanda gastrica e la somministrazione di carbone attivo. Se il
paziente ha ingerito più di 150 mg/kg di paracetamolo si rende necessaria
l’acetilcisteina, ma la somministrazione precoce di carbone attivo non interferisce
con quella di acetilcisteina. La somministrazione contemporanea dei due farmaci
può aumentare il rischio di vomito.

A 4 ore dall’ingestione va eseguito un prelievo ematico per dosare il


paracetamolo e comparare il risultato con il nomogramma di Rumack-Matthew (v.
Fig. 263-1). Se la concentrazione sierica cade al di sotto della zona di possibile
rischio e non si hanno sintomi clinici non è necessario un ulteriore trattamento.
Se la concentrazione sierica è al di sopra della zona di possibile rischio ( 150 µg/
ml [ 990 µmol/l]a 4 ore), bisogna somministrare una dose di carico di
acetilcisteina di 140 mg/kg PO o mediante sondino gastrico, seguita da
17 ulteriori somministrazioni alla dose di 70 mg/kg a intervalli di 4 ore; ogni dose
vomitata entro 1 h dalla somministrazione va ripetuta (alcuni centri usano un
dosaggio minore del totale). Questo nomogramma non è utile nell’avvelenamento
cronico da paracetamolo, che è spesso trattato empiricamente con acetilcisteina.

L’acetilcisteina è disponibile come soluzione al 20% (200 mg/ml) in fiale da 4, 10,


30 e 100 ml (in Italia disponibile in fiale da 3 ml IM, EV e aerosol n.d.t.) e va
diluita di 1:4 in bevanda di bicarbonato o in succo di frutta prima dell’uso. Un
bambino di 20 kg necessita di un bolo di 140 mg/ kg (2800 mg) o di 14 ml di
soluzione al 20% cioè 56 ml di soluzione diluita di 1:4. A causa dello spiacevole
odore del farmaco, la dose deve essere somministrata in soluzione fredda in una
tazza coperta attraverso una cannuccia. Si raccomanda la somministrazione del
farmaco anche oltre le 8 ore dall’ingestione, sebbene in questi casi è stata notata
una diminuzione dell’effetto terapeutico. Studi recenti hanno dimostrato che
l’acetilcisteina endovenosa, non disponibile in commercio negli USA, può avere
alcuni benefici anche se somministrata dopo che i segni di tossicità epatica sono
comparsi. Se il tempo di protrombina è aumentato di 3 volte il valore normale, si
somministra vitamina K1 (fitonadione) 2,5-10 mg EV o SC. A volte sono
necessari plasma fresco o fattori della coagulazione. Per mantenere l’idratazione
si somministra EV una soluzione di glucoso. La diuresi forzata può essere
dannosa. La dialisi peritoneale, l’emodialisi e l’emoperfusione con il charcoal
(carbone attivo) sono inefficaci. I pazienti con insufficienza epatica fulminante
sono spesso candidati al trapianto di fegato.

Poiché gli antiistaminici, gli steroidi, il fenobarbital e l’acido etacrinico stimolano


tutti il sistema del citocromo P450, devono essere evitati durante il trattamento
dell’avvelenamento da paracetamolo.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

263. TRAUMI, AVVELENAMENTI E RIANIMAZIONE


CARDIOPOLMONARE

AVVELENAMENTI

AVVELENAMENTO DA PIOMBO

(Saturnismo)

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e prognosi
Terapia

Fonti di elevate e basse quantità di piombo sono mostrate nella Tab. 263-4. Le
fonti di basse quantità di piombo sono state associate con incrementi asintomatici
dell’assorbimento di piombo nei bambini (v. Tab. 263-5 per una classificazione
degli avvelenamenti da piombo e Tab. 263-6 e 263-7 per gli esami di screening).
L’avvelenamento da piombo può anche determinare pica persistente.

Sintomi, segni e prognosi

L’avvelenamento da piombo è un disturbo cronico, talvolta caratterizzato da


episodi acuti sintomatici ricorrenti, che possono determinare effetti cronici
irreversibili (p. es., deficit cognitivi ed encefalopatia nei bambini e malattia renale
progressiva negli adulti).

Il rischio di avvelenamento da piombo aumenta quando la concentrazione del


piombo nel sangue intero (PbE) è > 50-100 µg/dl (> 2,40-4,85 µmol/ l). Quando la
piombemia è > 100 µg/dl il rischio di encefalopatia è maggiore ma imprevedibile.
Il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie definisce
l’avvelenamento da piombo in età pediatrica come il riscontro di una PbE ≥10 µg/
dl ( 0,48 µmol/l), livello al quale possono comparire deficit cognitivi.

Nei bambini piccoli l’inizio della sintomatologia è improvviso con la comparsa in


1-5 giorni di vomito persistente e incoercibile, andatura atassica, convulsioni,
alterazioni dello stato di coscienza e infine convulsioni subentranti e coma. Tutti
questi segni di encefalopatia acuta sono dovuti principalmente a edema
cerebrale e spesso sono preceduti, per diverse settimane, da irritabilità e ridotta
voglia di giocare. La diagnosi differenziale va fatta con ascessi e tumori cerebrali,
con encefaliti acute e meningiti.

Nei bambini l’avvelenamento cronico da piombo può causare ritardo mentale,


con disordini convulsivi, disturbi comportamentali con aggressività e regressione
dello sviluppo. La sintomatologia può regredire spontaneamente se s’interrompe
l’esposizione al metallo, mentre ricompare se riprende l’esposizione. Sia nei
bambini che negli adulti si può avere un’anemia ipocromica, microcitica legata al
piombo con o senza una sovrapposta carenza di ferro. L’inalazione di piombo
tetraetile o tetrametile comporta quadri sintomatologici differenti con
manifestazioni prevalenti di una psicosi tossica.

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

Negli adulti una caratteristica sequenza sintomatologica può instaurarsi in diverse


settimane o più: cambiamento della personalità, cefalea, gusto metallico,
anoressia, vago fastidio addominale, che culmina nel vomito, costipazione e
coliche addominali. L’encefalopatia è rara.

Una diagnosi presuntiva si fa sulla base dell’aspirato midollare, che mostra una
punteggiatura basofila in oltre il 60% dei normoblasti, sui dosaggi urinari di
coproporfirina e acido δ-aminolevulinico e, nel bambino, con una rx dell’addome e
delle ossa lunghe. È indicativa anche la presenza di una moderata glicosuria. Per
la diagnosi definitiva si richiede la misurazione dei livelli ematici di piombo. I livelli
eritrocitari di protoporfirina possono essere aumentati a causa della capacità del
piombo di interferire con la sintesi dell’eme. Nell’avvelenamento cronico da
piombo la misurazione della protoporfirina eritrocitaria è un indice più efficace
della piombemia per calcolare il piombo corporeo totale. Al contrario la
protoporfirina eritrocitaria non rappresenta un indice sensibile quando la PbE
è < 35 µg/dl (< 1,70 µmol/l) o nell’avvelenamento acuto da piombo. È anche molto
utile la misura dell’escrezione totale di Pb nelle urine durante il primo giorno di
terapia chelante (75-100 mg/kg). La diagnosi è confermata se il rapporto (µg Pb
escreto/mg EDTA sodico-calcico [CaNa2EDTA]somministrato) è maggiore di 1. I
campioni di sangue e di urine devono essere prelevati in contenitori non
contenenti piombo. Per avere risultati attendibili i dosaggi devono essere
effettuati da laboratori con esperienza specifica in questo campo.

Terapia

La terapia chelante deve essere iniziata solo dopo l’eliminazione della fonte di
piombo. Nei casi sintomatici acuti, la terapia chelante deve iniziare prima che si
abbiano i risultati degli esami di laboratorio su sangue e urine.

Le controindicazioni all’uso di qualsiasi agente chelante, nel soggetto


asintomatico, comprendono la presenza concomitante di un interessamento
epatico o renale. Nei casi con grave sintomatologia deve essere accuratamente
valutato il rischio di effettuare la terapia chelante.

Nell’avvelenamento da piombo sintomatico di grado IV e in tutti i casi di grado V


si raccomanda una terapia combinata con dimercaprolo (BAL) e CaNa2EDTA,
secondo il dosaggio riportato nella Tab. 263-8, che deve essere iniziata appena
ristabilita la diuresi. Il dosaggio massimo non deve essere continuato per più di
5 giorni, per evitare all’organismo una deplezione di metalli essenziali come lo
zinco. Nei casi asintomatici di classe IV, il CaNa2 EDTA da solo non è sufficiente
(v. Tab. 263-8).

Nei pazienti sottoposti a terapia con BAL bisogna assicurare l’apporto idrico
giornaliero, se possibile PO o per via parenterale, per evitare l’ulteriore stimolo al
vomito provocato spesso da questo farmaco. Una terapia chelante breve spesso
è seguita da un rebound della PbE, forse per una ridistribuzione del metallo.
Dopo almeno 5-7 giorni dal termine del primo ciclo di CaNa EDTA, un secondo
ciclo può essere necessario per impedire un rebound. Come profilassi bisogna
somministrare Fe, Zn e Cu, per minimizzare la loro deplezione dovuta a un
trattamento prolungato.

Le gravi reazioni al CaNa2EDTA includono iperazotemia, proteinuria, ematuria


microscopica, presenza di cellule epiteliali tubulari nelle urine, ipercalcemia,
febbre e diarrea. L’azione tossica sul rene, di solito dose-dipendente è
reversibile. Gli effetti avversi del CaNa2 EDTA sono probabilmente determinati
dalla deplezione di zinco.

La terapia con BAL non è attuabile in pazienti con danno epatico grave, mentre è
indicata precocemente (sempre con le dovute cautele) nel paziente oligurico con
encefalopatia. Il BAL, nei pazienti con deficit di G6PD, può causare moderata o
grave emolisi intravascolare acuta. Contrariamente al CaNa2EDTA, il BAL può

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Traumi, avvelenamenti e rianimazione cardiopolmonare

non essere somministrato in concomitanza con farmaci contenenti ferro.

Nessuno di questi farmaci deve essere consigliato, a scopo profilattico, nei


lavoratori del piombo o in ogni soggetto esposto al piombo, poiché possono
causare un aumentato assorbimento di piombo presente nel tubo digerente. Il
trattamento a lungo termine richiede la riduzione dell’esposizione al piombo.

Il Succimer (acido meso-2,3-dimercaptosuccinico) è un agente chelante del


piombo somministrabile per via orale, che dà luogo a chelati idrosolubili e, di
conseguenza, aumenta l’eliminazione di piombo con l’urina. Nel trattamento di
bambini con avvelenamento di classe IV è indicato il succimer. Comunque,
questo farmaco può essere efficace nel ridurre la PbE anche nei bambini con
avvelenamento di classe III. Le linee guida per il dosaggio e la somministrazione
sono riportate nella Tab. 263-8. Il periodo di terapia raccomandato è di 19 giorni
dal momento che la sicurezza di una terapia ininterrotta per più di 3 sett. non è
stata ancora stabilita, un simile trattamento non è raccomandato. Gli effetti nocivi
più comuni comprendono eruzioni cutanee, sintomi GI (nausea, vomito, diarrea,
perdita dell’appetito, sapore di metallo in bocca) e incrementi delle transaminasi
sieriche. Sono anche state descritte eruzioni cutanee, che hanno richiesto
l’interruzione della terapia.

L’encefalopatia acuta da piombo è trattata con combinazioni di BAL-CaNa2


EDTA. Deve essere prontamente richiesta una valutazione neurologica e il
paziente deve essere trattato in un reparto di terapia intensiva. L’EDTA non è
metabolizzato ed è escreto, come tale, tramite la filtrazione glomerulare renale,
per cui deve essere evitato nei soggetti anurici. IL CaNa2EDTA deve essere
sospeso se il paziente è anurico. Nella terapia combinata BAL-CaNa2EDTA,
quest’ultimo non deve essere somministrato per più di 5 giorni consecutivi ai
dosaggi consigliati nella Tab. 263-8; d’altra parte, nei casi gravissimi di
encefalopatia, in cui la risposta è lenta, può essere dato, con estrema cautela,
per altri 2 giorni. Il CaNa2EDTA a dosaggio più basso (25 mg/kg/ die), consigliato
per i casi con lievi sintomi o del tutto asintomatici, è più sicuro, ma la terapia non
deve essere continuata per più di 5 giorni consecutivi con un intervallo di 1 sett. o
più fra i cicli. Sebbene il test diagnostico con CaNa2EDTA (alla dose di 75-
100 mg/kg in un solo giorno) è sicuro nei pazienti asintomatici, il CaNa2EDTA
non deve essere somministrato ai consueti dosaggi terapeutici nei casi in cui non
c’è pericolo di vita per il paziente e nei casi di insufficienza renale acuta.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-5. CLASSIFICAZIONE DELL'AVVELENAMENTO DA PIOMBO

Classe Livelli di PbE Approccio

I < 10µg/dl Rivalutare o effettuare un nuovo screening entro 1anno.


Non è necessario effettuare altro, tranne la rimozione della
(< 0,5µmol/l) fonte di piombo

IIA 10-14µg/dl Dare istruzioni alla famiglia sul piombo e sui test da
effettuare nel follow-up
(0,5-0,7µmol/l)
Informare i servizi sociali, se necessario

IIB 15-19µg/dl Dare istruzioni alla famiglia sul piombo e sui test da
effettuare nel follow-up
(0,7-0,9µmol/l)
Informare i servizi sociali, se necessario

Se i livelli di PbE sono stazionari (cioè, riscontro di livelli di


PbE che rientrano in un certo range in 2 prelievi venosi
effettuati a distanza di 3mesi) o peggiorano, procedere in
accordo con le indicazioni per la classe III

La fonte di piombo deve essere individuata ed eliminata,


quando la PbE è elevata. I soggetti con PbE elevata,
inclusi quelli che hanno effettuato terapia chelante, non
devono essere ricondotti in un ambiente nel quale continua
l’esposizione al piombo

III 22-44µg/dl Fornire un programma coordinato di cura (gestione del


caso) e trattamento (v. testo)
(0,95-2,1µmol/
l)

IV 45-69µg/dl Entro 48h iniziare la gestione del caso, il trattamento (v.


testo), le indagini ambientali e il controllo del rischio
(2,15- ambientale legato al piombo. La fonte di piombo deve
3,35µmol/ l) essere individuata ed eliminata quando la PbE è elevata. I
soggetti con PbE elevata, inclusi quelli che hanno
effettuato terapia chelante, non devono essere ricondotti in
un ambiente nel quale continua l’esposizione al piombo

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Manuale Merck - Tabella

V ≥ 70µg/dl Ricoverare il bambino e iniziare immediatamente il


trattamento (v. testo). Iniziare immediatamente la gestione
(≥ 3,4µmol/l) del caso, le indagini ambientali e il controllo del rischio
ambientale legato al piombo.

PbE=concentrazione ematica del piombo.

Da Centers from Disease Control and Prevention: Screening Young Children for
Lead Poisoning: Guidance for State and Local Public Health Officials. Atlanta,
Centers from Disease Control and Prevention, 1997.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-6. DOMANDE DI SCREENING PER VALUTARE L'ESPOSIZIONE AL


PIOMBO

Il vostro bambino

1. Vive o si trova regolarmente in un edificio costruito


prima del 1960 con vernice rovinata o scheggiata? In
questo ambito sono compresi i centri di assistenza
giornaliera, le scuole materne o la casa della babysitter

2. Vive o si trova regolarmente in un edificio costruito


prima del 1960 che è stato di recente, che viene
attualmente o che in previsione verrà ristrutturato?

3. È a contatto con un fratello o una sorella, una


domestica, un compagno di gioco seguito o trattato per
avvelenamento da piombo (cioè, PbE ≥ 15µg/dl
[ ≥ 0,72µmol/l])?

4. Vive con un adulto che per lavoro o hobby è esposto al


piombo?

5. Vive vicino a una fonderia di piombo in attività, uno


stabilimento di riciclo delle batterie o a un’altra industria
che probabilmente rilascia piombo?

PbE = concentrazione ematica del piombo.

Adattata da Medical Toxicology, edited by MJ Ellenhorn.


Baltimora, Williams & Wilkins, 1997, p.1568.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 263-8. SCHEDE DI DOSAGGIO DEI CHELANTI

Livelli di PbE/ Approccio Somministrazione


manifestazioni
cliniche

< 45µg/dl
(< 2,15µmoll)

45-70µg/dl Succimer 10mg/kg PO Per il succimer la durata


(2,15-3,4µmoll); q8h per 5giorni, poi 10mg/ raccomandata del trattamento è di
nessun sintomo kg q12 per 14giorni 19giorni; l’aumento dell’intervallo
di encefalopatia di tempo tra le dosi, dopo i primi
oppure giorni di terapia, impedisce il
rebound dei livelli ematici di
piombo durante il trattamento e
CaNa2EDTA 25mg/kg/die
riduce il rischio di rebound alla
per 5giorni
sospensione della terapia. I livelli
di piombo ematici dovrebbero
essere monitorizzati almeno una
volta alla settimana dopo la fine
della terapia, per valutare
l’indicazione a ulteriori cicli di
terapia. Si raccomanda
un’interruzione minima di almeno
2settimane tra un ciclo e l’altro.

Per il CaNa2EDTA, nei bambini è


più semplice la somministrazione
IM, ma se si preferisce la
somministrazione EV, come negli
adulti, è necessario infondere ogni
dose in un periodo di almeno 6 h;
far passare da 2 a 3 settimane tra
ogni ciclo di terapia di 3-5 giorni e
il successivo

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Manuale Merck - Tabella

≥ 70µg/dl BAL 25mg/kg/die IM Dopo la prima dose di BAL, per la


(≥ 3,4µmoll) o suddivisi q4h. La prima terapia combinata, somministrare
con sintomi di dose deve essere BAL e CaNa2EDTA
encefalopatia somministrata da sola; la contemporaneamente IM in sedi
seconda dose deve profonde e separate; ruotare le
essere somministrata 4 sedi di somministrazione
ore dopo la prima
contemporaneamente al
CaNa2EDTA 50mg/kg/die
in unica dose, in infusione
lenta di diverse ore o in
infusione continua.
Questa terapia combinata
è continuata per almeno
72h. Il trattamento è poi
continuato per un totale di
5giorni con entrambi i
farmaci o solo con il
CaNa2EDTA per 5giorni*

*I pazienti con encefalopatia da piombo devono ricevere entrambi i farmaci fino


al raggiungimento della stabilità clinica, prima di modificare il trattamento.

PbE=concentrazione ematica del piombo; CaNa2EDTA = calcio disodico


edetato; BAL = dimercaprolo.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 128-1. CLASSIFICAZIONE DELLE EMOSIDEROSI E DELLE EMOCROMATOSI

I. Emosiderosi focale

A. Polmonare (idiopatica)

B. Renale

C. Epatica (porfiria cutanea tarda)

II. Emocromatosi primaria (genetica)

III. Emosiderosi o emocromatosi secondaria

A. Anemie emolitiche congenite

B. Difettosa sintesi emoglobinica (talassemia)

C. Aumentato assorbimento parenterale di Fe, trasfusioni ripetute

D. Fe-dextrano IM

E. Aumento dell’assorbimento del Fe

1. Aumento dell’ingestione di ferro

a. Africani Bantu (bevande alcoliche)

b. Emosiderosi con emocromatosi degli Eti opi (cereali


teff)

c. Terapia marziale PO con emosiderosi o


emocromatosi

d. Malattia di Kashin-Bek con emosiderosi

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Carenza e tossicità dei minerali

Manuale Merck

1. DISTURBI DELLA NUTRIZIONE


La nutrizione è la scienza degli alimenti e del loro rapporto con la salute.

4. CARENZA E TOSSICITÀ DEI MINERALI

RAME

TOSSICOSI DA RAME

MALATTIA DI WILSON

(Tossicosi da rame ereditaria)

Sommario:

Introduzione
Patogenesi e storia naturale
Diagnosi
terapia

Il morbo di Wilson è una malattia progressiva e costantemente fatale del


metabolismo del rame che colpisce 1 persona ogni 30000 a causa di una coppia
di mutanti del gene ATP7B localizzato sul cromosoma 13. I sintomi non si
verificano mai nei portatori eterozigoti, che hanno un solo gene mutante e che
sembrano essere circa l'1,1% di ogni popolazione etnica e geografica studiata.

Patogenesi e storia naturale

La tossicosi da rame del morbo di Wilson è caratterizzata, fin dalla nascita, da


una concentrazione epatica media di rame 20 volte superiore al normale e dalla
carenza della proteina plasmatica del rame, la ceruloplasmina, che è in media
il 30% del normale. Questi valori, sebbene diagnostici della malattia, sono
presenti in tutti i neonati nei primi 2-3 mesi di vita, rendendo inaffidabile la
diagnosi prima dei 6 mesi di età. Tuttavia, poiché le manifestazioni cliniche non
sono mai state osservate prima dei 5 anni di età, gli studi per confermare o
escludere la diagnosi, nei bambini a rischio significativo, possono essere
tranquillamente rimandati al secondo anno di vita.

In circa il 40-50% dei pazienti, le prime manifestazioni cliniche della malattia


coinvolgono il fegato. Inizialmente, la malattia si può presentare con un episodio
di epatite acuta, a volte erroneamente diagnosticata come mononucleosi
infettiva. Anche se il paziente può essere asintomatico per anni, un'epatite acuta,
cronica attiva o fulminante, si può verificare in qualunque momento. Comunque,
che si verifichi o meno l'epatite, l'epatopatia progredisce verso la fibrosi e poi
verso la cirrosi. La diagnosi di morbo di Wilson è praticamente certa in tutti i
pazienti che presentano un'epatite fulminante, un'anemia emolitica Coombs-
negativa, un deficit di ceruloplasmina e un'ipercupriuria.

Nel 40-50% dei pazienti, l'organo interessato per primo dalla malattia è il SNC.
Anche se il rame passa dal fegato nel sangue e quindi negli altri tessuti, ha degli
effetti disastrosi solo sul cervello. A questo livello può causare una malattia
neurologica motoria, caratterizzata da una qualche combinazione casuale di

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Carenza e tossicità dei minerali

tremori, distonia, disartria, disfagia, corea, scialorrea, mandibola cadente e


incoordinazione. Alcune volte, la tossicità cerebrale da rame si manifesta
inizialmente come un comportamento grossolanamente inappropriato, un
improvviso peggioramento della resa scolastica o, raramente, come una forma di
psicosi indistinguibile dalla schizofrenia o dalla malattia maniaco depressiva.
Durante il passaggio dal fegato al cervello, una parte del rame si deposita
sempre nella membrana di Descemet della cornea, producendo dei semicerchi o
anelli di Kayser-Fleischer di colore verde-oro o dorati. A eccezione della
cefalea, non si riscontrano disturbi sensoriali.

Nel 5-10% dei pazienti la malattia di Wilson si manifesta con gli anelli di Kayser-
Fleischer osservati durante un esame rifrattivo oculare; con un'amenorrea o
aborti multipli; o con un'ematuria franca o microscopica dovuta ai depositi renali
di rame o con dei livelli sierici anormalmente bassi di acido urico, dovuti
all'anomala ed eccessiva escrezione urinaria.

Indipendentemente da come evolve, il morbo di Wilson è sempre mortale dopo


anni di sofferenza, di solito prima dei 30 anni di età, a meno che non venga
precocemente attuato un trattamento specifico, continuato per tutta la vita.

Diagnosi

La diagnosi del morbo di Wilson, spesso non viene fatta a causa della sua rarità.
Dovrebbe essere sospettata in ogni individuo < 40 anni di età con uno dei
seguenti sintomi:

● Un'inspiegabile patologia epatica, neurologica o psichiatrica

● Un persistente aumento delle transaminasi, asintomatico e non altrimenti


giustificato

● Un germano, genitore o cugino affetto dal morbo di Wilson

Quando viene sospettato il morbo di Wilson, la diagnosi può di solito essere


inequivocabilmente confermata se il paziente presenta una delle seguenti coppie
di anomalie:

● Un deficit plasmatico di ceruloplasmina ossidasi-attiva (< 20 mg/dl) e un


eccesso di rame epatico (> 250 mg/g [3,9mmol/g]di fegato essiccato)
accompagnati da alterazioni istopatologiche compatibili con il morbo di
Wilson

● Un deficit di ceruloplasmina e la presenza degli anelli di Kayser-Fleischer


confermata da un oculista con l'uso di una lampada a fessura

● La presenza confermata degli anelli di Kayser-Fleischer e delle anomalie


neurologiche motorie del tipo elencato prima

● Un eccesso epatico di rame e un'incorporazione anormalmente bassa di


64Cu nella ceruloplasmina, nonostante una normale concentrazione di
ceruloplasmina (20-30 mg/dl)

● Un deficit di ceruloplasmina e un'escrezione urinaria > 100 mg di rame


nelle 24 h (> 1,6 mmol), senza la somministrazione di penicillamina

Nota: la diagnosi non può essere basata sul solo deficit di ceruloplasmina poiché
circa il 20% dei portatori eterozigoti del morbo di Wilson ha un deficit di
ceruloplasmina, anche se non presenta mai i sintomi o i segni della malattia. Gli
eterozigoti non devono essere sottoposti ad alcuna terapia. La diagnosi non può
essere basata nemmeno sul solo eccesso epatico di rame, poiché concentrazioni
altrettanto elevate di rame si riscontrano anche nella cirrosi biliare primitiva e in
altre sindromi colestatiche.

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Carenza e tossicità dei minerali

Terapia

Ogni paziente affetto con sicurezza dal morbo di Wilson, sintomatico o meno,
deve essere sottoposto alla terapia per tutta la vita. Altrimenti la morte è certa,
causata dalle alterazioni epatiche e del SNC. È quindi essenziale un
monitoraggio periodico per essere certi della compliance con il regime
terapeutico. La penicillamina, la trientina e l'acetato di zinco sono i farmaci
approvati per la terapia del morbo di Wilson.

Penicillamina: il farmaco di scelta è la penicillamina. Le dosi raccomandate per i


pazienti con più di 5 anni sono di 1 g/die PO, somministrato in due o quattro dosi
frazionate, a stomaco vuoto. (I bambini più piccoli devono assumere 0,5 g/die.) Il
paziente deve assumere anche 25 mg/die di piridossina PO, in singola dose, e
ridurre al minimo l'assunzione di cibi ricchi in rame (p. es., crostacei, cioccolata,
fegato, funghi e noci), sebbene non sia necessaria una dieta stretta, povera di
rame.

Circa il 20% dei pazienti presenta una reazione allergica alla penicillamina nelle
prime 2 o 3 sett. di trattamento (p. es., febbre, eruzioni cutanee, linfoadenopatia,
granulocitopenia e trombocitopenia). Durante il primo mese si devono controllare
2 volte/sett. la temperatura, la cute, i linfonodi e l'emocromo del paziente. Se si
verifica una reazione allergica, la penicillamina deve essere sospesa fino a
quando la reazione non scompare e quindi ripresa gradualmente con dosi di
250 mg/ die per 1 sett., poi aumentate di 250 mg/die alla settimana fino a
raggiungere la dose di 1 g/die. Se la reazione si ripete, la successiva
desensibilizzazione deve essere accompagnata dalla contemporanea
somministrazione di 20 mg/die di prednisone. Tuttavia, se si presenta una
granulocitopenia, la penicillamina deve essere sospesa e il prednisone non deve
essere somministrato. Quando il numero dei leucociti è tornato quasi alla norma,
si deve somministrare la trientina al posto della penicillamina. Le altre reazioni
allergiche generalmente possono essere controllate e raramente richiedono la
sospensione della terapia con penicillamina.

Durante le prime settimane di trattamento con penicillamina possono comparire o


peggiorare i sintomi neurologici. Il paziente deve essere informato di questa
possibilità prima di iniziare la terapia, anche se i sintomi quasi sempre migliorano
con il proseguo della terapia. Se persiste il peggioramento, si deve sostituire la
penicillamina con la trientina.

Il morbo di Wilson è compatibile con una gravidanza normale, purché il danno


epatico sia minimo e la dose di penicillamina sia ridotta a 0,75 g/die. Se è
programmato un parto cesareo, la dose deve essere ulteriormente ridotta a 0,5 g/
die per minimizzare l'interferenza con la guarigione della ferita. Qualunque sia il
dosaggio indicato, la penicillamina deve essere proseguita durante la gravidanza.

Trientina cloridrato: in circa il 5% dei pazienti la penicillamina provoca delle


gravi reazioni, in genere nella prima settimana o nel primo mese di trattamento;
la più frequente è la sindrome nefrosica o la proteinuria di 1-2 g/die. Se si
sospende la penicillamina, si deve iniziare subito il trattamento con la trientina. La
dose è di solito di 1 g/die (non è necessario ridurla durante la gravidanza),
somministrata in 2-4 dosi frazionate, a stomaco vuoto. L'anemia sideroblastica è
il solo effetto collaterale riportato per la trientina. In due pazienti affetti dal morbo
di Wilson, che stavano assumendo la trientina alla dose di 2 e di 2,25 g/die
rispettivamente, l'anemia, i siderociti circolanti e l'aumentata distribuzione dei
globuli rossi sono scomparsi quando la dose è stata ridotta a 1 g/die.

Dimercaprolo (BAL): nei pazienti con sintomi neurologici che sono peggiorati o
che non sono migliorati in modo apprezzabile dopo mesi di trattamento con la
penicillamina o con la trientina, nonostante la riduzione del rame plasmatico
libero (cioè, rame non ceruloplasminico) a < 20 mg/dl (< 3,14 mmol/l), la terapia
con dimercaprolo può esitare in un significativo (a volte straordinario)
miglioramento neurologico. Un ciclo di terapia consiste in 300 mg di dimercaprolo

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Carenza e tossicità dei minerali

iniettato nei muscoli glutei 5 giorni alla settimana, per 4 sett. La prima iniezione
deve essere fatta nel quadrante superiore esterno, per esempio, del gluteo
sinistro; la seconda, nel gluteo destro; la terza, 2 cm sotto la prima; la quarta,
2 cm sotto la seconda e così via, per poi iniziare una nuova serie, 2 cm
lateralmente o medialmente alla serie iniziale, al fine di evitare il nervo sciatico.
Ogni ciclo di 4 sett. deve essere seguito da un'interruzione di 2 sett. e poi da un
altro ciclo se il precedente era stato efficace. Possono essere necessari anche
più di 6 cicli per ottenere il massimo effetto terapeutico.

Sali di zinco: alcuni lavori clinici suggeriscono che l'uso PO dello zinco solfato,
acetato o gluconato, alla dose di 100-150 mg/die di zinco elementare, possono
mantenere i pazienti nella condizione raggiunta con il precedente trattamento con
penicillamina o trientina. Inoltre, in alcuni pazienti non trattati precedentemente,
la terapia con lo zinco può migliorare le manifestazioni epatiche e neurologiche.

La penicillamina o la trientina non devono mai essere somministrate insieme allo


zinco poiché entrambi i farmaci possono legare lo zinco, formando così un
composto senza effetti terapeutici.

Trapianto di fegato: un trapianto di fegato è indicato (e può salvare la vita) nei


pazienti affetti dal morbo di Wilson che hanno un'epatite fulminante come
presentazione iniziale o come conseguenza del mancato rispetto della terapia. I
pazienti che hanno una grave insufficienza epatica, che non risponde alle terapie
combinate con la chelazione e i diuretici, possono anche essere candidati al
trapianto.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 301-1. FARMACI CHE POSSONO


PROVOCARE INTERAZIONI FARMACOLOGICHE GRAVI

Meccanismo Esempi
Margine di sicurezza ristretto Antiaritmici (p.es. chinidina)
Antineoplastici (p.es. metotrexa to)
DigossinaLitioTeofillinaWarfarin
Ampio metabolismo da parte Alprazolam Clozapina Imipramina
di determinati enzimi epatici Amitriptilina Corticosteroidi Teofillina
Astemizolo Ciclosporina Triazolam
Carbamazepina Desipramina Warfarin
Cisapride Diazepam
Fenitoina
Inibizione di determinati Cimetidina Enoxacina Ketoconazolo
enzimi epatici Ciprofloxacina Eritromicina Nefazodone
Claritromicina Fluoxetina Paroxetina
Diltiazem Fluvoxamina Ritonavir
Itraconazolo
Induzione di determinati Barbiturici (p.es. fenobarbital)
enzimi epatici Carbamazepina
Fenitoina
Rifabutina
Rifampicina
*Qualunque farmaco destinato a essere impiegato contemporaneamente a uno di questi
farmaci deve essere valutato sotto ogni aspetto per la possibilità di interazioni farmacologiche.

Farmaci di questo genere possono provocare effetti indeiderati gravi anche quando vengono
impiegati da soli. La somministrazione contemporanea di un altro farmaco che potenzia l'effetto
di questi farmaci aumenta ulteriormente il rischio di reazioni avverse.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 301-2. Esempi di interazioni farmacologiche

Farmaco interessato Agenti che causano Commenti


interazione
Alendronato Cibo Il cibo (p.es., succo d'arancia, caffè,
acqua minerale) può ridurre
notevolmente l'assorbimento e
l'efficacia dell'alendronato, il quale
deve essere assunto con acqua
semplice almeno 1/2ora prima
dell'ingestione dei primi alimenti,
bevande o farmaci della giornata.
Antiaritmici (la maggior Ritonavir Il ritonavir inibisce alcuni enzimi
parte) epatici del citocromo P- 450 e può
Astemizolo provocare un aumento delle
Benzodiazepine concentrazioni sieriche dei farmaci
(la maggior parte) metabolizzati da questi enzimi. Tali
Cisapride farmaci non devono essere utilizzati
insieme al ritonavir. La som
ministrazione contemporanea di
ritonavir e di qualunque altro
farmaco deve essere tenuta stretta
mente sotto controllo.
Astemizolo Cibo Il cibo può ridurre l'assorbimento
dell'astemizolo anche del 60%.
L'astemizolo deve essere assunto a
stomaco vuoto (p.es.,2ore dopo un
pasto), senza ingerire altro cibo per
almeno un'ora dopo la
somministrazione.
Astemizolo Claritromicina Elevate concentrazioni sieriche di
Cisapride Eritromicina astemizolo e cisapride possono
Fluvoxamina provocare reazioni cardiovascolari
Itraconazolo gravi (p.es., aritmie ventricolari). I
Ketoconazolo farmaci che interagiscono con essi
Nefazodone ne inibiscono il metabolismo
Troleandomicina epatico, aumentando le loro
concentrazioni e di conseguenza il
rischio di tossicità. Deve essere
evitato l'uso contemporaneo. Gli
antiista minici non sedativi
loratadina e fexofenadina non sono
stati associati con l'insorgenza di
reazioni cardiovascolari gravi e
possono essere impiegati insieme
con l'astemizolo.

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Manuale Merck - Tabella

Azatioprina Allopurinolo L'allopurinolo inibisce la


Mercaptopurina xantinaossidasi, che metabolizza
l'azatioprina e la mercaptopurina,
tanto che l'effetto di questi farmaci
ne risulta marcatamente aumentato.
In caso di somministrazione
contemporanea di allopurinolo, la
dose di azatioprina o di
mercaptopurina deve essere ridotta
a 1/3-1/4 della dose abituale.
Benzodiazepine (p.es., Fluvoxamina La fluvoxamina, il nefazodone e altri
alprazolam, diazepam, Nefazodone farmaci che inibiscono gli enzimi
triazolam) epatici possono aumentare l'effetto
della maggior parte delle
benzodiazepine. Bisogna
considerare le possibili alternative; p.
es., alcune benzodiazepine che
vengono sottoposte a
glucuronidazione (lorazepam,
oxazepam e temazepam)
verosimilmente non interagiscono
con i farmaci che inibiscono gli
enzimi epatici. L'uso
contemporaneo di fluvoxamina e
diazepam non è consigliato. Se
viene somministrata fluvoxamina
con l'alprazolam, la dose di
quest'ultimo deve essere almeno
dimezzata, e successivamente
attestata sulla dose minima efficace.
Se viene somministrato nefazodone
con l'alprazolam o il triazepam, la
dose iniziale di alprazolam deve
essere ridotta del 50%, e quella di
triazolam del75%.
Benzodiazepine (p.es., Cimetidina La cimetidina inibisce le vie
diazepam) metaboliche ossidative e può
Carbamazepina potenziare l'effetto dei farmaci
Fenitoina metabolizzati in questo modo; essa
Warfarin non modifica l'effetto del lorazepam,
dell'oxazepam o del temazepam.
Alcune benzodiazepine (p. Succo di pompelmo Il succo di pompelmo inibisce il
es., triazolam) CYP3A4, un enzima del citocromo
Ciclosporina P-450, e di conseguenza aumenta
Felodipina la biodisponibilità di alcuni farmaci e
Nifedipina potenzia il loro effetto.
Nisoldipina

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Manuale Merck - Tabella

Depressori del SNC (p. Altri depressori del SNC, Se viene somministrato più di un
es., benzodiazepine, comprese le bevande alcoliche depressore del SNC, la risposta può
antipsicotici, antidepressivi essere eccessiva, e richiedere la
triciclici, la maggior parte riduzione della dose di uno o di
degli antiistaminici, alcuni entrambi i farmaci. I pazienti devono
analgesici) essere informati che questi farmaci
possono indurre sonnolenza e
sedazione, e che il rischio aumenta
quando essi vengono usati
contemporaneamente.
Digossina Diuretici che inducono Se si verifica una deplezione di
deplezione di potassio (p.es., potassio che non viene corretta, il
idroclorotiazide, furosemide) cuore può diventare più sensibile
agli effetti della digossina, e ne
possono derivare reazioni avverse
(p.es., aritmie). Le concentrazioni
sieriche di K devono essere tenute
sotto controllo. La
supplementazione di K va stabilita
su base individuale. Non tutti i
pazienti necessitano di
supplementazione; in alcuni, essa
può causare iperkaliemia
Fluorochinoloni (p.es., Prodotti contenenti metalli (p. I metalli possono legarsi con le
ciprofloxacina) es., sali di ferro, antiacidi tetracicline e i fluorochinoloni nel
Tetracicline contenenti alluminio, magnesio tratto GI, riducendo il loro
o calcio) assorbimento e il loro effetto.
L'intervallo tra l'assunzione di una
tetraciclina e quella di un prodotto
contenente metalli deve essere il
più lungo possibile (2h). Se si può, i
prodotti contenenti metalli non
devono essere usati con un
fluorochinolone. Se il loro impiego
contemporaneo è inevitabile,
l'intervallo tra le loro assunzioni
deve essere il più lungo possibile
(2h), e il fluorochinolone deve
essere somministrato per primo.

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Manuale Merck - Tabella

Levodopa Piridossina La piridossina accelera la


decarbossilazione della levodopa
che dà origine al suo metabolita
attivo, la dopamina, nei tessuti
periferici. Contrariamente alla
levodopa, la dopamina non è in
grado di attraversare la barriera
emato-encefalica per esplicare un
effetto antiparkinsoniano. La
somministrazione di carbidopa
insieme alla levodopa previene
l'interferenza da parte della
piridossina.
Litio Diuretici (p.es., idroclorotiazide) I diuretici causano deplezione di
sodio, la quale riduce la clearance
renale del litio e ne aumenta
l'attività. L'uso contemporaneo
andrebbe evitato. Se è considerata
indispensabile, la terapia in
associazione deve essere condotta
sotto stretto controllo.
Inibitori della MAO Amine simpaticomimetiche ad L'uso contemporaneo può
(fenelzina, tranil azione indiretta (p.es., provocare reazioni gravi (p.es.,
cipromina) amfetamina, efedrina, cefalea intensa, crisi ipertensive,
fenilpropanolamina) aritmie cardiache) e deve essere
evitato.
Antidepressivi triciclici (p.es., L'uso contemporaneo può
amitriptilina, imipramina) provocare reazioni gravi (p.es.,
tremori, convulsioni, ipertermia) e,
nella maggior parte dei pazienti,
deve essere evitato. In generale, la
terapia con un farmaco
appartenente a una di queste classi
non deve essere cominciata prima
che siano trascorsi 14 giorni dalla
sospensione della terapia con un
farmaco dell'altra classe. Alcuni
pazienti che non rispondono a un
solo antidepressivo vengono trattati
con entrambe le classi di farmaci;
tale terapia necessita di un
monitoraggio molto attento.

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Manuale Merck - Tabella

Inibitori selettivi del reuptake L'uso contemporaneo può


della serotonina (p.es., provocare reazioni gravi (p.es.,
fluoxetina, luvoxamina, rigidità, delirio, ipertermia) e deve
paroxetina,sertralina) essere evitato. La terapia con un
farmaco appartenente a una di
queste classi non deve essere
cominciata prima che siano
trascorsi 14 giorni dalla
sospensione della terapia con un
farmaco dell'altra classe. Poiché la
fluoxetina e il suo metabolita
principale hanno una lunga emivita
di elimi nazione, tra la sospensione
della fluoxetina e l'inizio della
somministrazione di un inibitore
della MAO de vono
trascorrere5settimane.
Cibi ad alto contenuto di Se i pazienti che assumono un
tiramina (p.es., alcuni formaggi, inibitore della MAO ingeriscono
specialmente le varietà molto questi cibi, possono verificarsi
saporite o stagionate; alcune reazioni gravi (p.es., crisi
bevande alcoliche) ipertensive). Essi devono quindi
essere evitati.
Contraccettivi orali Barbiturici I farmaci interagenti provocano
Carbamazepina l'induzione degli enzimi epatici,
Fenitoina aumentando la velocità di
Rifabutina metabolizzazione dei contraccettivi
Rifampicina orali e probabilmente riducendo la
loro efficacia; ne può conseguire
una gravidanza indesiderata. Nel
corso della terapia con tali farmaci
devono essere prese misure
anticoncezionali aggiuntive.
Antibiotici Alcune segnalazioni hanno
suggerito che gli antibiotici riducono
l'efficacia dei contraccettivi orali
(presumibilmente diminuendo le
concentrazioni sieriche degli
estrogeni), dando luogo a
gravidanze indesiderate. Anche se
questo rischio sembra essere molto
basso, nel corso delle terapie
antibiotiche devono essere prese
misure anticoncezionali aggiuntive.

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Manuale Merck - Tabella

Teofillina Cimetidina L'uso contemporaneo può innalzare


Ciprofloxacina le concentrazioni sieriche di
Enoxacina teofillina e causare intossicazione
Eritromicina da teofillina. I farmaci che inibiscono
Grepafloxacina gli enzimi epatici (p.es., quelli
elencati) possono inibire il
metabolismo della teofillina e
aumentare le sue concentrazioni
sieriche. Devono essere prese in
considerazione alternative
terapeutiche probabilmente prive di
interazioni (p.es., famotidina,
nizatidina e ranitidina al posto della
cimetidina, e azitromicina al posto
dell'eritromicina). Nel caso debbano
essere impiegate associazioni con
potenziale interazione, la terapia
deve essere condotta sotto stretto
controllo.
Warfarin Farmaci che inibiscono I farmaci che inibiscono gli enzimi
(p.es., cimetidina) epatici possono aumentare l'attività
o inducono del warfarin e il rischio di
(p.es., barbiturici) gli enzimi sanguinamento, e quelli che
epatici inducono gli enzimi epatici possono
ridurre l'effetto del warfarin. Devono
essere prese in considerazione
alternative terapeutiche
probabilmente prive di interazioni.
Nel caso debbano essere impiegate
associazioni con potenziale
interazione, la terapia deve essere
condotta sotto stretto controllo, e se
necessario deve essere modificato il
dosaggio.
Aspirina L'aspirina può aumentare l'attività
del warfarin e il rischio di
sanguinamento; in generale, l'uso
contemporaneo deve essere
evitato. Tuttavia, in alcune patologie
cardiovascolari, esso ha un effetto
favorevole.
MAO=monoamino ossidasi.

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Terapia farmacologica nell’anziano

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

304. TERAPIA FARMACOLOGICA NELL’ANZIANO

Una terapia farmacologica sicura ed efficace rimane una delle maggiori sfide
della geriatria clinica. Gli anziani sono affetti da molti disordini cronici e di
conseguenza utilizzano più farmaci rispetto a qualsiasi altra fascia di età. Le loro
già diminuite riserve fisiologiche possono essere ulteriormente ridotte dagli effetti
dei farmaci e da quelli di patologie acute o croniche. L’invecchiamento modifica la
farmacodinamica e la farmacocinetica, influenzando la scelta, il dosaggio e la
frequenza di somministrazione di molti farmaci. In aggiunta, la terapia
farmacologica può essere complicata dall’incapacità di un paziente anziano ad
acquistare o procurarsi i farmaci o ad attenersi ai regimi terapeutici prescritti.

Negli USA, circa 2/3 delle persone di età 65 anni assumono farmaci soggetti a
ricettazione e non soggetti ad essa (da banco). Le donne assumono più farmaci
rispetto agli uomini perché sono mediamente più anziane e perché utilizzano una
maggior quantità di farmaci psicoattivi e antiartritici. In ogni momento, un anziano
medio utilizza da quattro a cinque farmaci soggetti a prescrizione e due farmaci
da banco e richiede da 12 a 17 prescrizioni l’anno. Gli anziani più cagionevoli
sono quelli che utilizzano la maggior quantità di farmaci. L’impiego dei farmaci è
maggiore negli ospedali e nelle RSA che nella comunità; tipicamente, un
residente in una RSA assume sette o otto farmaci diversi.

Il tipo di farmaco utilizzato più frequentemente dagli anziani varia a seconda della
situazione. Coloro che vivono nella comunità generale utilizzano più
frequentemente analgesici, diuretici, farmaci cardiovascolari e sedativi; i residenti
nelle RSA utilizzano più comunemente antipsicotici e sedativi-ipnotici, seguiti dai
diuretici, dagli antiipertensivi, dagli analgesici, dai farmaci cardiologici e dagli
antibiotici. I farmaci psicoattivi vengono prescritti al 65% dei pazienti delle RSA e
al 55% dei pazienti delle residenze protette; il 7% dei pazienti delle RSA riceve
tre o più farmaci psicoattivi contemporaneamente.

Molti farmaci sono di reale utilità negli anziani. Alcuni possono salvare la vita,
p. es., gli antibiotici e le terapie trombolitiche nelle patologie acute. I farmaci
ipoglicemizzanti orali possono migliorare l’autosufficienza e la qualità della vita
perché tengono sotto controllo una malattia cronica. I farmaci antiipertensivi e i
vaccini antinfluenzali possono aiutare a prevenire o a ridurre la morbilità. Gli
analgesici e gli antidepressivi possono controllare una sintomatologia debilitante.
Perciò è l’appropriatezza, cioè un’adeguata superiorità dei potenziali benefici
rispetto ai potenziali rischi, che deve guidare le scelte terapeutiche.

La polifarmacia (uso contemporaneo di molti farmaci) in quanto tale non è una


buona misura dell’appropriatezza della terapia, perché le persone più anziane
spesso sono affette da molte patologie che richiedono tutte un trattamento;
tuttavia, essa può essere un indice di una prescrizione inappropriata. Molti tra i
pazienti più anziani ricoverati negli ospedali e nelle RSA ricevono regolarmente
farmaci (comprendenti ipnotici, analgesici, antagonisti H2, antibiotici e lassativi)
che non sono essenziali e che possono recare danno, in maniera diretta o tramite
interazioni. Un accurato riesame della terapia consente spesso di ridurre il
numero dei farmaci utilizzati e, secondo alcuni dati ancora limitati, può migliorare
la prognosi del paziente.

Anche il sottoutilizzo di alcuni farmaci è un problema significativo tra i pazienti


anziani. Per esempio, l’impiego degli antidepressivi nelle RSA è molto inferiore a
quanto richiederebbe l’elevata prevalenza della depressione. Vengono
sottoutilizzati anche i farmaci per l’incontinenza e i trattamenti preventivi (p. es., i
farmaci per il glaucoma e per l’influenza e i vaccini antipneumococcici).

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Terapia farmacologica nell’anziano

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Farmacocinetica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

299. FARMACOCINETICA

Studio dell’andamento temporale delle modificazioni cui un farmaco e i suoi


metaboliti vanno incontro all’interno dell’organismo, dopo l’assunzione attraverso
qualunque via di somministrazione.

VARIABILITA' DEI VALORI DEI PARAMETRI

Al momento di adattare la somministrazione di un farmaco alle esigenze di un


determinato paziente, devono essere tenuti in considerazione molti fattori in
grado di modificare i parametri farmacocinetici. Tuttavia, anche con l’adattamento
della posologia, di solito rimane comunque un discreto grado di variabilità; di
conseguenza la risposta ai farmaci e, in alcuni casi, la loro concentrazione
plasmatica, devono essere tenute sotto controllo con grande attenzione.

Età e peso: per alcuni farmaci, gli effetti dell’età e del peso sulla farmacocinetica
sono ben documentati. Per gli individui di età compresa fra i 6 mesi e i 20 anni, la
funzione renale appare ben correlata con l’ASC. Pertanto, per i farmaci eliminati
prevalentemente per via renale in forma immodificata, la clearance nei bambini si
modifica con l’età parallelamente al variare dell’ASC. Negli individui di
età > 20 anni, la funzionalità renale diminuisce circa dell’1% ogni anno. Quindi, il
dosaggio di questi farmaci può essere modificato in base all’età. L’ASC nei
bambini è correlata anche alla clearance metabolica, sebbene le eccezioni siano
frequenti. Nei neonati e nei lattanti, la funzione renale e quella epatica non sono
ancora pienamente sviluppate e le generalizzazioni, al di fuori dell’evenienza di
una modificazione repentina, sono meno accurate.

Compromissione della funzionalità renale: la clearance renale della maggior


parte dei farmaci sembra variare in funzione diretta della clearance della
creatinina, indipendentemente dal tipo di patologia renale presente. La
modificazione della clearance totale dipende dal contributo dei reni
all’eliminazione totale del farmaco. Di conseguenza, la clearance totale dovrebbe
essere proporzionale alla funzionalità renale (clearance della creatinina) per i
farmaci che vengono escreti immodificati e non dovrebbe risultare alterata per i
farmaci che vengono eliminati per metabolizzazione.

L’insufficienza renale può alterare il volume apparente di distribuzione, che nel


caso della digossina diminuisce a causa della diminuzione del legame tissutale e
nel caso della fenitoina, dell’acido salicilico e di molti altri farmaci aumenta a
causa della diminuzione del legame alle proteine plasmatiche.

Stress fisiologico: la concentrazione della proteina di fase acuta α


1-
glicoproteina acida aumenta durante lo stress fisiologico (p. es., IMA, interventi
chirurgici, colite ulcerosa, morbo di Crohn). Conseguentemente, aumenta il
legame di diversi farmaci (p. es., il propranololo, la chinidina, la disopiramide) a
questa proteina, e il loro volume apparente di distribuzione diminuisce di pari
passo.

Malattie epatiche: una disfunzione epatica può alterare la clearance metabolica,


ma finora non è stato possibile individuare fattori ben correlati o predittivi di
queste modificazioni. La cirrosi epatica può ridurre criticamente il metabolismo
dei farmaci e spesso provoca la riduzione del legame alle proteine plasmatiche a
causa della diminuzione della albumina nel plasma. L’epatite acuta,
caratterizzata dall’innalzamento degli enzimi sierici, solitamente non modifica il
metabolismo dei farmaci.

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Farmacocinetica

Altre patologie: lo scompenso cardiaco, la polmonite, l’ipertiroidismo e molte


altre condizioni patologiche possono modificare la cinetica dei farmaci.

Interazioni farmacologiche: i valori dei parametri farmacocinetici e, di


conseguenza, le risposte ai farmaci possono essere influenzati dalle interazioni
farmacologiche. La maggior parte delle interazioni è graduata e la loro entità
dipende dalle concentrazioni di entrambi i farmaci. Pertanto, stabilire e adattare il
dosaggio dei farmaci è difficile (v. Interazioni farmacologiche nel Cap. 301).

Dosaggio: in alcune circostanze, le modificazioni della dose, della frequenza di


somministrazione o della durata della terapia alterano la cinetica di un farmaco.
Per esempio, all’aumentare della dose, la biodisponibilità della griseofulvina
diminuisce a causa della bassa solubilità del farmaco nei fluidi del tratto GI
superiore. Per la fenitoina, la concentrazione plasmatica allo stato stazionario
aumenta in maniera sproporzionata quando viene aumentata la velocità di
somministrazione, dal momento che l’enzima deputato al suo metabolismo ha
una limitata capacità di eliminazione del farmaco e che la velocità di
somministrazione abituale si avvicina alla velocità massima di metabolizzazione.
La concentrazione plasmatica della carbamazepina diminuisce durante la
somministrazione prolungata, perché la carbamazepina è un induttore del suo
stesso metabolismo. Altre cause di modificazioni farmacocinetiche dipendenti dal
dosaggio sono la saturabilità del legame alle proteine plasmatiche e ai tessuti
(p. es., per il fenilbutazone), la saturabilità della secrezione a livello renale (p. es.,
per la penicillina ad alte dosi) e la saturabilità del metabolismo di primo
passaggio attraverso il fegato (p. es., per il propranololo).

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Introduzione e disposizione dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

298. INTRODUZIONE E DISPOSIZIONE DEI FARMACI

ELIMINAZIONE

Insieme dei processi di rimozione (metabolismo ed escrezione) dei farmaci


dall’organismo.

ESCREZIONE

Processo mediante il quale un farmaco o un suo metabolita viene eliminato


dall’organismo senza subire ulteriori trasformazioni chimiche.

Sommario:

Introduzione
Escrezione renale
Escrezione biliare

I reni, che eliminano le sostanze idrosolubili, sono i principali organi deputati


all’escrezione dei farmaci. Il sistema biliare contribuisce all’escrezione nella
misura in cui il farmaco non viene riassorbito dal tratto GI. Generalmente, il
contributo escretorio dell’intestino, della saliva, del sudore, del latte materno e dei
polmoni è piccolo, se si eccettua l’eliminazione respiratoria degli anestetici
volatili. Nonostante l’escrezione attraverso il latte materno possa essere di scarsa
importanza per la madre, essa può averne per il lattante (v. Farmaci nelle madri
che allattano nel Cap. 256).

Escrezione renale

Filtrazione glomerulare e riassorbimento tubulare: circa 1/5 del plasma che


raggiunge il glomerulo viene filtrato attraverso i pori dell’endotelio glomerulare; il
rimanente passa attraverso le arteriole efferenti che circondano i tubuli renali. I
farmaci legati alle proteine plasmatiche non vengono filtrati; nel filtrato è
contenuto soltanto farmaco in forma libera. Il riassorbimento tubulare renale dei
farmaci è regolato dai principi del passaggio attraverso le membrane. I composti
polari e gli ioni non possono diffondere in direzione retrograda nella circolazione
sanguigna e vengono quindi escreti, a meno che non esista un meccanismo di
trasporto specifico per il loro riassorbimento (come avviene p. es., per il glucoso,
l’acido ascorbico e le vitamine del gruppo B).

Effetti del pH urinario: il filtrato glomerulare che giunge nel tubulo prossimale ha
lo stesso pH del plasma, ma il pH delle urine finali varia da 4,5 a 8,0. Questa
variabilità del pH può influenzare notevolmente la velocità di escrezione dei
farmaci. Dal momento che le forme non ionizzate degli acidi deboli e delle basi
deboli non polari tendono a essere riassorbite rapidamente dai liquidi tubulari,
l’acidificazione delle urine aumenta il riassorbimento (cioè riduce l’escrezione)
degli acidi deboli e riduce il riassorbimento (cioè aumenta l’escrezione) delle basi
deboli. L’alcalinizzazione delle urine produce l’effetto opposto.

In alcuni casi di sovradosaggio, questi principi possono essere applicati per


aumentare l’escrezione degli acidi o delle basi deboli. Per esempio,

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Introduzione e disposizione dei farmaci

l’alcalinizzazione delle urine aumenta l’escrezione degli acidi deboli fenobarbital e


aspirina, e l’acidificazione può accelerare l’escrezione delle basi, come la
metamfetamina. La misura in cui le variazioni del pH urinario modificano la
velocità di eliminazione dei farmaci dipende dal contributo dell’escrezione renale
all’eliminazione complessiva, nonché dalla polarità delle forme non ionizzate e
dal grado di ionizzazione della molecola.

Secrezione tubulare: i meccanismi di secrezione tubulare attiva a livello del


tubulo prossimale sono importanti per l’eliminazione di molti farmaci (p. es., la
penicillina, la mecamilamina, l’acido salicilico). Questo processo, che richiede
energia, può essere bloccato da inibitori metabolici. Quando la concentrazione di
un farmaco è elevata, si può raggiungere un limite superiore per il trasporto
secretorio; ogni sostanza possiede una sua caratteristica velocità massima di
secrezione (trasporto massimo).

Gli anioni e i cationi vengono gestiti da meccanismi di trasporto separati.


Normalmente, il sistema di secrezione degli anioni elimina i metaboliti coniugati
con glicina, solfato o acido glucuronico e i composti anionici competono tra loro
per la secrezione. Questa competizione può essere utilizzata a scopo
terapeutico; p. es., il probenecid blocca la secrezione tubulare normalmente
rapida della penicillina, causando un innalzamento delle concentrazioni
plasmatiche dell’antibiotico che persiste per un tempo più lungo. I cationi organici
competono tra loro, ma di solito non competono con gli anioni.

Variazioni legate all’età: con l’invecchiamento, l’escrezione renale dei farmaci


diminuisce (v. Farmacocinetica nel Cap. 304 e Tab. 304-1).

Escrezione biliare

I farmaci e i loro metaboliti che vengono ampiamente escreti con la bile devono
essere trasportati attraverso l’epitelio biliare contro un gradiente di
concentrazione, richiedendo un trasporto secretorio attivo. Alle alte
concentrazioni plasmatiche di un farmaco, il trasporto secretorio può raggiungere
un limite superiore (trasporto massimo) e sostanze che possiedono proprietà
fisico-chimiche simili possono competere tra loro per lo stesso sistema di
escrezione.

I farmaci con un peso molecolare > 300 g/mol (molecole più piccole vengono
generalmente escrete soltanto in quantità trascurabili) e con presenza
contemporanea sia di gruppi polari sia di gruppi lipofilici hanno una maggiore
probabilità di essere escreti con la bile. Anche la coniugazione, specialmente con
acido glucuronico, conduce all’escrezione biliare.

Nel circolo entero-epatico, un farmaco secreto con la bile viene riassorbito


dall’intestino. Anche i farmaci coniugati secreti nel lume intestinale vanno
incontro al circolo entero-epatico quando vengono idrolizzati e il farmaco viene
riassorbito. L’escrezione biliare elimina le sostanze dall’organismo soltanto nella
misura in cui il circolo entero-epatico è incompleto, cioè quando una parte del
farmaco secreto non viene riassorbita dall’intestino.

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Terapia farmacologica nell’anziano

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

304. TERAPIA FARMACOLOGICA NELL’ANZIANO

FARMACOCINETICA

Assorbimento: nonostante l’invecchiamento comporti una riduzione della


superficie assorbente dell’intestino tenue e un innalzamento del pH gastrico, le
modificazioni dell’assorbimento dei farmaci tendono a essere poco importanti e
clinicamente prive di conseguenze.

Distribuzione: con l’invecchiamento, l’acqua totale corporea e la massa magra


dell’organismo si riducono e il grasso corporeo aumenta. La riduzione relativa
dell’acqua totale corporea e quindi dello spazio del sodio porta all’innalzamento
delle concentrazioni ematiche (e spesso tissutali) di alcuni farmaci idrosolubili.
L’aumento del grasso incrementa il volume di distribuzione dei farmaci lipofilici e
può aumentare la loro emivita di eliminazione.

L’albumina sierica si riduce e l’α1-glicoproteina acida aumenta, ma l’effetto clinico


di tali modificazioni sul legame sierico dei farmaci non è chiaro. In un paziente
malnutrito o affetto da una malattia acuta, le rapide riduzioni dell’albumina sierica
possono potenziare gli effetti dei farmaci perché aumentano le concentrazioni
sieriche di farmaco libero.

Metabolismo epatico: con l’invecchiamento, la massa epatica e il flusso ematico


al fegato si riducono. Una riduzione del flusso ematico influenza
significativamente l’eliminazione epatica dei farmaci in situazioni rare, p. es.,
quando un farmaco con una clearance elevata (come la lidocaina) viene
somministrato EV.

Sebbene l’espressione degli enzimi che metabolizzano i farmaci nei sistemi del
citocromo P-450 non sembri ridursi con l’età, il metabolismo epatico complessivo
di molti farmaci operato da tali enzimi è ridotto. Per i farmaci con un ridotto
metabolismo epatico (v. Tab. 304-1), la clearance si riduce tipicamente del 30-
40%. In linea teorica, le dosi di mantenimento dei farmaci dovrebbero essere
ridotte in tale misura; tuttavia la velocità del metabolismo dei farmaci può variare
notevolmente da un individuo all’altro ed è necessaria una titolazione individuale.

Negli individui più anziani, il metabolismo presistemico (di primo passaggio) di


alcuni farmaci somministrati per via orale (p. es., il labetalolo, il propranololo, il
verapamil) è ridotto, aumentando così le loro concentrazioni sieriche e la loro
biodisponibilità. Di conseguenza, le dosi iniziali di questi farmaci devono essere
ridotte del 30% circa. Tuttavia, il metabolismo presistemico di altri farmaci
eliminati per metabolizzazione (p. es., l’imipramina, l’amitriptilina, la morfina, la
meperidina) non è ridotto.

Nelle persone anziane è più probabile che sia prolungata la clearance epatica dei
farmaci con metabolismo sequenziale (reazioni sintetiche e reazioni non
sintetiche), come il diazepam, l’amitriptilina e il clordiazepossido (v. anche
Metabolismo nel Cap. 298). L’invecchiamento influenza meno frequentemente la
clearance dei farmaci con metabolismo relativamente semplice di coniugazione
(reazione sintetica), tipicamente con acido glucuronico (p. es., il lorazepam, la
desipramina, l’oxazepam).

Molti farmaci danno origine a metaboliti attivi in concentrazioni clinicamente


rilevanti. Ne sono un esempio alcune delle benzodiazepine (p. es., il diazepam, il
clordiazepossido), degli antidepressivi del gruppo delle amine terziarie (p. es.,
l’amitriptilina, l’imipramina), degli antipsicotici (p. es., la clorpromazina e la

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Terapia farmacologica nell’anziano

tioridazina; non l’aloperidolo) e degli analgesici oppioidi (p. es., la morfina, la


meperidina, il propoxifene). L’accumulo di metaboliti attivi (p. es., la N-
acetilprocainamide, la morfina-6-glucuronide) può causare negli anziani una
tossicità legata alla riduzione della clearance renale dovuta all’età; è probabile
che la tossicità sia grave negli individui con patologie renali.

Eliminazione renale: la massa renale e il flusso ematico renale (soprattutto a


livello della corticale dell’organo) si riducono significativamente con
l’invecchiamento. Dopo i 30 anni, la clearance della creatinina si riduce
mediamente di 8 ml/min/1,73 m2/decennio, nonostante essa non si riduca in circa
1/3 delle persone anziane. I livelli sierici di creatinina rimangono entro limiti
normali perché le persone anziane hanno una minore massa magra corporea e
producono meno creatinina. La diminuzione della funzionalità tubulare procede di
pari passo con quella della funzionalità glomerulare.

Queste modificazioni fisiologiche riducono l’eliminazione renale dei farmaci (v.


Tab. 304-1). Le implicazioni cliniche dipendono dal contributo dell’eliminazione
renale all’eliminazione sistemica complessiva e dall’indice terapeutico del
farmaco (rapporto tra dose massima tollerata e dose minima efficace). La
clearance della creatinina (misurata o calcolata mediante programmi
computerizzati o la formula di Cockcroft-Gault, v. Cap. 214) viene utilizzata come
riferimento per il dosaggio dei farmaci. Dal momento che la funzione renale è
dinamica, le dosi di mantenimento dei farmaci devono essere modificate quando
un paziente si ammala o si disidrata acutamente o quando si è ripreso di recente
da una disidratazione. Inoltre, poiché la funzione renale continua a ridursi, le dosi
dei farmaci somministrati per periodi prolungati devono essere riesaminate
periodicamente.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 304-1. EFFETTO DELL'INVECCHIAMENTO SUL METABOLISMO* E


L'ELIMINAZIONE DEI FARMACI

Riduzione
Riduzione del dell'escrezione
Classe metabolismo epatico renale
Analgesici e Destropropoxifene _
antinfiammatori
Ibuprofene

Meperidina

Morfina

Naproxene
Antibiotici _ Amikacina

Ciprofloxacina

Gentamicina

Nitrofurantoina

Streptomicina

Tobramicina
Cardiovascolari Amlodipina N-acetilprocainamide

Chinidina Captopril

Diltiazem† Digossina

Lidocaina Enalapril

Nifedipina Lisinopril

Propranololo Procainamide

Teofillina Quinapril

Verapamil

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Manuale Merck - Tabella

Diuretici _ Amiloride

Furosemide

Idroclorotiazide

Triamterene
Psicoattivi Alprazolam Risperidone

Clordiazepossido

Desipramina

Diazepam

Imipramina

Nortriptilina

Trazodone

Triazolam
Altri Levodopa Amantadina

Cimetidina

Clorpropamide

Litio

Ranitidina
*Nei casi in cui l'effetto dell'invecchiamento sul metabolismo
epatico è controverso, sono riportati gli effetti descritti nella
maggior parte degli studi.

†Nell'uomo ma non nella donna.

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Farmacocinetica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

299. FARMACOCINETICA

Studio dell’andamento temporale delle modificazioni cui un farmaco e i suoi


metaboliti vanno incontro all’interno dell’organismo, dopo l’assunzione attraverso
qualunque via di somministrazione.

PARAMETRI FARMACOCINETICI DI BASE

Il comportamento farmacocinetico della maggior parte dei farmaci può essere


riassunto dai parametri seguenti, le cui formule sono elencate nella Tab. 299-1. I
parametri sono costanti, sebbene i loro valori possano differire da un paziente
all’altro e anche nello stesso paziente in condizioni diverse.

La biodisponibilità esprime l’entità dell’assorbimento dei farmaci nella


circolazione sistemica (v. Cap. 298). La costante della velocità di
assorbimento esprime la velocità con cui avviene l’assorbimento. Questi
parametri influenzano la concentrazione massima (di picco), il tempo necessario
per raggiungere la concentrazione massima (tempo di picco) e l’area al di sotto
della curva concentrazione-tempo (AUC) dopo una dose orale singola. Durante la
terapia farmacologica a lungo termine, la misura più importante è l’entità
dell’assorbimento, perché da essa dipende la concentrazione media; il grado di
fluttuazione della concentrazione è legato alla costante della velocità di
assorbimento.

Il volume apparente di distribuzione è la quantità di liquido che sarebbe


necessaria per contenere il farmaco presente nell’organismo alla stessa
concentrazione alla quale esso si trova nel sangue o nel plasma. Esso può
essere utilizzato per calcolare la dose necessaria per ottenere una determinata
concentrazione, come pure la concentrazione attesa dopo la somministrazione di
una determinata dose. La concentrazione del farmaco non legato è strettamente
correlata agli effetti farmacologici, quindi la frazione libera è una misura utile,
particolarmente quando il legame alle proteine plasmatiche è alterato, p. es.,
dall’ipoalbuminemia, da malattie renali o epatiche oppure dalla presenza di
interazioni competitive. Il volume apparente di distribuzione e la frazione libera
plasmatica sono i parametri più diffusamente utilizzati per la valutazione della
distribuzione dei farmaci (v. Cap. 298).

La velocità di eliminazione di un farmaco dall’organismo varia parallelamente alla


concentrazione plasmatica. Il parametro che lega la velocità di eliminazione e la
concentrazione plasmatica è la clearance totale, che equivale alla somma della
clearance renale e di quella extrarenale (metabolica) (v. anche Calcolo dei valori
dei parametri, nel Cap. 303).

La frazione escreta immodificata è utile per la valutazione degli effetti


potenziali delle patologie renali ed epatiche sull’eliminazione dei farmaci. Una
frazione bassa indica che il probabile meccanismo di eliminazione è il
metabolismo epatico e che una patologia epatica può quindi alterare
l’eliminazione del farmaco. Le patologie renali provocano effetti più consistenti
sulla cinetica dei farmaci che possiedono un’alta frazione escreta immodificata.

La velocità di estrazione di un farmaco dal sangue da parte di un organo


emuntore, come il fegato, non può essere superiore alla velocità di cessione del
farmaco all’organo stesso. Di conseguenza, la clearance ha un limite superiore,
dipendente dalla cessione del farmaco e quindi dal flusso ematico all’organo in
questione. Inoltre, quando l’organo preposto all’eliminazione è il fegato o la
parete intestinale e il farmaco viene somministrato per via orale, una parte della

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Farmacocinetica

dose può essere metabolizzata durante il passaggio attraverso i tessuti verso la


circolazione sistemica; questo processo è chiamato effetto di primo passaggio.
Pertanto, se l’estrazione (clearance) di un farmaco è elevata nel fegato o nella
parete intestinale, la sua biodisponibilità per via orale è bassa, il che talvolta
preclude l’impiego della somministrazione orale o richiede una dose orale molto
più elevata rispetto a una dose parenterale equivalente. Tra i farmaci con
notevole metabolismo di primo passaggio vi sono l’alprenololo, l’idralazina,
l’isoproterenolo, la lidocaina, la meperidina, la morfina, la nifedipina, la
nitroglicerina, il propranololo, il testosterone e il verapamil.

La costante della velocità di eliminazione è una funzione del modo in cui un


farmaco viene estratto dal sangue per opera degli organi emuntori e del modo in
cui il farmaco si distribuisce nell’organismo.

L’emivita (di eliminazione) è il tempo necessario perché la concentrazione


plasmatica di un farmaco o la quantità di farmaco presente nell’organismo si
riduca del 50%. Per la maggior parte dei farmaci, l’emivita rimane costante
indipendentemente dalla quantità di farmaco presente nell’organismo. Le
eccezioni comprendono la fenitoina, la teofillina e l’eparina.

Il tempo medio di permanenza (Mean Residence Time, MRT), un’altra misura


dell’eliminazione dei farmaci, è il tempo medio per il quale la molecola di un
farmaco permane nell’organismo dopo la sua iniezione EV rapida. Analogamente
alla clearance, il suo valore è indipendente dalla dose. Dopo un bolo EV,

dove AUMC (Area Under the first Moment of the Curve) è l’area al di sotto della
prima fase della curva concentrazione plasmatica-tempo. Per un farmaco con
caratteristiche di distribuzione monocompartimentali, il MRT è uguale al reciproco
della costante della velocità di eliminazione.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 299-1. FORMULE DI DEFINIZIONE DEI PARAMETRI


FARMACOCINETICI FONDAMENTALI

Categoria Parametro Formula


Assorbimento Costante della Velocità di assorbimento del
velocità di = farmaco÷Quantità di farmaco ancora
assorbimento da assorbire
Biodisponibilità Quantità di farmaco assorbito÷Dose
=
del farmaco
Distribuzione Volume Quantità di farmaco
apparente di = nell'organismo÷Concentrazione
distribuzione plasmatica del farmaco
Frazione libera Concentrazione plasmatica di
= farmaco libero÷Concentrazione
plasmatica del farmaco
Eliminazione Velocità di Escrezione renale+Eliminazione
=
eliminazione extrarenale (solitamente metabolica)
Clearance Velocità di eliminazione del
= farmaco÷Concentrazione plasmatica
del farma co
Clearance renale Velocità di escrezione renale del
= farmaco÷Concentrazione plasmatica
del farma co
Clearance Velocità di metabolizzazione del
metabolica = farmaco÷Concentrazione plasmatica
del farma co
Frazione escreta Velocità di escrezione renale del
immodificata = farmaco÷Velocità di eliminazione del
farmaco
Costante della Velocità di eliminazione del
velocità di = farmaco÷Quantità di farmaco
eliminazione nell'organismo
= Clearance÷Volume di distribuzione
Emivita biologica 0,693÷Costante della velocità di
=
eliminazione

file:///F|/sito/merck/tabelle/29901.html02/09/2004 2.06.51
Monitoraggio del trattamento farmacologico

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

303. MONITORAGGIO DEL TRATTAMENTO


FARMACOLOGICO

Non sempre è possibile effettuare una misurazione diretta dell’effetto terapeutico


desiderato. Per molti farmaci, vengono impiegati end-point sostitutivi; essi
comprendono marker biochimici o, talvolta, segni di tossicità (p. es., il tinnito per i
salicilati, il nistagmo per la fenitoina).

Rispetto alla sola osservazione degli effetti farmacologici, il monitoraggio della


concentrazione plasmatica dei farmaci è un modo più semplice e più rapido per
calcolare il dosaggio necessario. Il monitoraggio è in grado di stabilire il momento
in cui viene raggiunto un range di concentrazione desiderato e aiuta ad
assicurarsi che esso venga mantenuto.

Una strategia per la somministrazione dei farmaci può talvolta essere guidata
principalmente dalle concentrazioni plasmatiche dei farmaci stessi (v. Tab. 303-
1). L’impiego del monitoraggio della concentrazione plasmatica dei farmaci può
dipendere dal farmaco (v. Tab. 303-2) o dalla situazione clinica (v. Tab. 303-3).

La frequenza del monitoraggio dipende dal farmaco, dall’accuratezza dei dosaggi


precedenti e dalle presunte modificazioni dei fattori che influenzano la risposta al
farmaco. Per esempio, nel caso di un paziente con scompenso cardiaco, i livelli
di digossina devono essere misurati solo occasionalmente se la salute del
paziente è stabile e se la terapia farmacologica non viene modificata, ma essi
devono essere misurati con maggior frequenza se le condizioni di salute
peggiorano o se vengono aggiunti farmaci che notoriamente interagiscono con la
digossina (p. es., l’amiodarone, la chinidina). Le concentrazioni sieriche di
teofillina devono probabilmente essere controllate quotidianamente nei pazienti
delle unità di terapia intensiva, specialmente se essi hanno uno scompenso
cardiaco, un edema polmonare o una grave patologia restrittiva delle vie aeree.
In queste circostanze, il metabolismo del farmaco è ridotto e nello stesso
paziente varia ampiamente nel tempo.

file:///F|/sito/merck/sez22/3032776a.html02/09/2004 2.06.52
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 303-1. INDICAZIONI AL MONITORAGGIO DELLE


CONCENTRAZIONI PLASMATICHE DEI FARMACI

Legate al farmaco Legate al contesto clinico


Quando la concentrazione Quando il rischio di inefficacia
plasmatica del farmaco è correlata terapeutica è alto a causa della
con l'intensità e la probabilità degli presenza di patologie concomitanti,
effetti terapeutici e tossici e deve come malattie GI, renali, epatiche,
essere mantenuta entro limiti tiroidee o cardio vascolari (p.es.,
ristretti* quando un farmaco con bassa
biodisponibilità viene somministrato
Quando il farmaco possiede un per via orale a un paziente con una
ridotto indice terapeutico (rapporto resezione gastrica o un altro
tra dose massima tollerata e dose problema GI; quando un farmaco
minima efficace) escreto prevalente mente
immodificato viene somministrato a
un paziente con malattia renale)
Quando la concentrazione
plasmatica del farmaco è il miglior
indicatore sostitutivo della sua Quando dosi abituali o elevate non
efficacia (p.es., per gli producono una risposta terapeutica
anticonvulsivanti, il cui obiettivo o quando dosi abituali o basse
terapeutico è l'assenza di producono una reazione tossica,
convulsioni) per stabilire se la causa sia la
mancanza di compliance (v.
Compliance del paziente nel
Quando sono noti i parametri
Cap.301), la scarsità
farmacocinetici e le concentrazioni
terapeutiche del farmaco e le dell'assorbimento, un'alterazione
condizioni che probabilmente li del metabolismo, oppure un'insolita
modificano resistenza o sensibilità
farmacodinamica al farmaco
Quando esiste un test sensibile,
specifico e accurato per il farmaco, Quando vengono somministrati
i cui risultati siano disponibili in un contemporaneamente diversi
tempo sufficientemente breve da farmaci, particolarmente se
consentire di prendere decisioni provocano interazioni
cliniche consequenziali† farmacocinetiche conosciute (v.
Interazioni farmacologiche nel
Cap.301)
Quando esistono differenze
farmacocinetiche interindividuali e
probabilmente intraindividuali (p.
es., per i farmaci con assorbimento
scarso o variabile e per quelli che
vengono metabolizzati più che
escreti immodificati); più è ampia la
variabilità dell'assorbimento e della
disposizione del farmaco, maggiore
è la necessità del monitoraggio

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Manuale Merck - Tabella

*In questi casi, la tolleranza farmacodinamica riduce l'utilità del


monitoraggio. Non sono compresi i farmaci somministrati per ottenere
esclusivamente effetti acuti o intermittenti.

†L'emivitaè un indice del tempo di ricambio necessario, riflettendo il


tempo di accumulo dopo somministrazioni multiple e il tempo di
eliminazione dopo la sospensione del farmaco.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

301. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI


FARMACI

COMPLIANCE DEL PAZIENTE

Grado di adesione di un paziente a un regime terapeutico.

Sommario:

Introduzione
Conseguenze della mancanza di compliance
Metodi per migliorare la compliance

Secondo alcuni studi sul comportamento del paziente, soltanto circa la metà dei
pazienti che escono da uno studio medico con una prescrizione assume il
farmaco secondo le direttive indicate. La spiegazione più comune addotta per la
mancata adesione alle prescrizioni è la dimenticanza, la quale può essere più
appropriatamente definita come rifiuto della malattia; la necessità di assumere un
farmaco è infatti un costante richiamo al fatto di essere malati. Altre ragioni sono
elencate nella Tab. 301-3.

I bambini sono meno portati degli adulti a seguire un piano terapeutico. In uno
studio condotto su bambini con infezioni streptococciche per le quali era stato
prescritto un ciclo di terapia penicillinica di 10 giorni, il 56% di essi ha interrotto
l’assunzione del farmaco entro il terzo giorno, il 71% entro il sesto giorno e l’82%
entro il nono giorno. La compliance è peggiore nel caso di malattie croniche che
richiedono trattamenti complessi e prolungati (p. es., il diabete giovanile, l’asma).
È possibile che i genitori non comprendano chiaramente le istruzioni contenute
nella prescrizione e, secondo alcuni studi, 15 minuti dopo la visita dimenticano
circa la metà delle informazioni fornite loro dal medico (v. Compliance nel
Cap. 258).

Le persone più anziane possono assumere diversi farmaci


contemporaneamente; il regime terapeutico può essere complesso e difficile sia
da ricordare sia da seguire, aumentando quindi la probabilità di un’interazione
farmacologica indesiderata (v. Cap. 304).

Conseguenze della mancanza di compliance

Senza la collaborazione del paziente, anche il miglior piano terapeutico è


destinato a fallire. La conseguenza più ovvia della mancanza di compliance è che
la malattia non può essere migliorata o curata. Secondo una stima effettuata
dall’Office of the U.S. Inspector General, la mancanza di compliance è
responsabile di 125000 decessi per malattia cardiovascolare ogni anno. Se i
pazienti assumessero i loro farmaci secondo le prescrizioni, potrebbe essere
evitato fino al 23% dei ricoveri nelle RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali, le
quali, a differenza delle "nursing home" statunitensi, possono necessitare della
costante presenza di un medico), il 10% dei ricoveri ospedalieri, molte visite
mediche, numerose indagini di laboratorio e un gran numero di trattamenti non
necessari.

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

La mancanza di compliance può peggiorare la qualità della vita, oltre ad


aumentare il costo dell’assistenza sanitaria. Per esempio, la mancata assunzione
di un farmaco per il glaucoma può condurre alla compromissione del nervo ottico
e alla cecità; la mancata assunzione di un farmaco cardiologico può provocare
aritmie e arresto cardiaco; la mancata assunzione di un antiipertensivo può
causare un ictus; e il trascurare di assumere le dosi prescritte di un antibiotico
può causare la riaccensione di un’infezione e può portare alla selezione di batteri
resistenti al farmaco.

Metodi per migliorare la compliance

È più probabile che i pazienti si attengano alle prescrizioni se hanno un buon


rapporto con il loro medico, che li coinvolga nelle decisioni da prendere e che
mostri interesse riguardo al fatto che essi seguano le sue indicazioni. La
chiarezza della prescrizione e le spiegazioni sui motivi per cui il trattamento è
necessario e su cosa ci si possa attendere da esso (p. es., un ritardo nella
comparsa del beneficio clinico o l’insorgenza di effetti collaterali sistemici) aiutano
anch’esse ad assicurare la compliance. La fiducia nel medico è di importanza
fondamentale.

Incoraggiare i pazienti a porre domande e a esprimere le loro preoccupazioni può


aiutarli ad adattarsi alla gravità della loro malattia e a soppesare in modo
consapevole i vantaggi e gli svantaggi di un regime terapeutico. Sviscerare il
meccanismo inconscio del rifiuto della malattia e come esso conduca a
"dimenticare" o a non assumere il farmaco secondo le prescrizioni può aiutare i
pazienti a evitare questa insidia. Essi devono essere esortati a riferire al loro
medico qualunque effetto indesiderato o inaspettato prima di modificare o
interrompere il trattamento da soli. I pazienti spesso hanno delle buone ragioni
per non seguire un regime terapeutico e il loro medico può mettere in atto le
correzioni più opportune solo dopo aver affrontato con franchezza il problema.

I farmacisti e gli infermieri possono individuare e aiutare a risolvere i problemi di


compliance. Per esempio, il farmacista può notare che il paziente non si procura i
farmaci necessari per proseguire la terapia o che una prescrizione è illogica o
scorretta. Riguardando le istruzioni contenute nella prescrizione insieme con il
paziente, un farmacista o un infermiere può accorgersi di un errore di
comprensione o di qualche timore da parte del paziente e così risolverli. è
importante che fra tutti gli operatori sanitari coinvolti nella cura di un paziente ci
sia un processo di comunicazione continuo.

I gruppi di sostegno per i pazienti affetti da determinate patologie possono


spesso rinforzare i programmi terapeutici e fornire suggerimenti per affrontare i
problemi.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 301-3. CAUSE DI MANCANZA DI COMPLIANCE

Legate al paziente Legate al farmaco

Incomprensione delle istruzioni della Effetti indesiderati (reali o supposti)


prescrizione
Complessità del regime
Dimenticanza terapeutico (p.es.,
somministrazioni frequenti, molti
Negazione della malattia o del suo farmaci di versi)
significato
Farmaci con aspetto simile
Mancanza di fiducia nell'efficacia del
farmaco Odore o sapore sgradevole

Riduzione, variabilità o scomparsa Precauzioni poco gradite o troppo


della sintomatologia restrittive (p.es., eliminazione
dell'alcol o dei formaggi)
Timori sull'assunzione dei farmaci (p.
es., effetti inde siderati, dipendenza)

Preoccupazioni di natura economica

Apatia

Difficoltà materiali (p.es., a deglutire


compresse o cap sule, ad aprire
flaconi, a seguire in ogni punto la pre
scrizione)

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Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

258. TERAPIA FARMACOLOGICA IN NEONATI, LATTANTI E


BAMBINI

(V. anche sezione 22 e Farmaci e allattamento materno nel Cap. 256).

COMPLIANCE

(V. anche Cap. 301)

Una mancata osservanza dei trattamenti farmacologici pediatrici è


straordinariamente frequente (50-75%); p. es., si è evidenziato che, in bambini in
terapia penicillinica per 10 giorni a causa di una infezione streptococcica, il 56%
non riceveva più il farmaco al 3o giorno; il 71% al 6o giorno e l’82% al 9o giorno.
Gradi ancora più elevati di non-compliance si verificano in caso di malattie
croniche (p. es., diabete giovanile, asma) che richiedono trattamenti complessi, a
lungo termine e che alterano il normale ritmo di vita. Una scarsa compliance deve
sempre essere considerata come possibile causa di insuccesso terapeutico.

I provvedimenti generali per migliorare la compliance includono contatti telefonici


da parte del medico o dello staff per ricordare la terapia o una visita di follow-up;
il controllo della confezione dei farmaci a ogni visita ambulatoriale per valutare la
quantità rimanente; una indagine sulle urine in particolare per valutare la
compliance in caso di assunzione di antibiotici e per quanto riguarda i pazienti o i
genitori la registrazione giornaliera della terapia (quanto e quando).

Fattori legati alla terapia in caso di non-compliance: la compliance diminuisce


quando lo schema terapeutico è complesso, scomodo, dispendioso, di lunga
durata, quando è sgradevole la somministrazione, quando sono presenti effetti
collaterali o quando sono richiesti cambiamenti nello stile di vita. Gli schemi
terapeutici devono essere semplificati (p. es., sincronizzare la somministrazione
di farmaci diversi) e devono essere adattati in base agli orari dei pazienti e dei
genitori, quando possibile. Devono essere sottolineati gli aspetti fondamentali del
trattamento (p. es., effettuare un intero ciclo di antibioticoterapia). Visite di follow-
up precoci o contatti telefonici (p. es., entro 3-4 giorni) valutano i progressi e
permettono una pronta correzione dei problemi. Se è necessario modificare lo
stile di vita (p. es., la dieta o l’attività fisica) i cambiamenti devono essere
apportati uno alla volta, nell’ambito di diverse visite. Bisogna prefissarsi obiettivi
realistici (p. es., perdere 2 kg su 15 entro la visita di follow-up effettuata dopo 2
sett.). Il raggiungimento di un obiettivo deve essere lodato e solo allora bisogna
aggiungerne uno nuovo. Si può ridurre il costo mediante la prescrizione di
farmaci generici, evitando di prescrivere farmaci non necessari e "da banco".

Fattori legati ai genitori in caso di non-compliance: alcuni genitori non


capiscono esattamente il loro ruolo nell’ambito del trattamento, in parte a causa
dello scarsa memoria: 15 min dopo la discussione, circa la metà delle
informazioni viene dimenticata. Inoltre, i genitori ricordano meglio ciò che
succede durante il primo 1/3 del colloquio e gli argomenti che riguardano la
diagnosi anziché la terapia. Il medico deve descrivere lo schema terapeutico,
scriverlo e riesaminarlo nuovamente, sottolineando la sua importanza ed
evitando complesse informazioni tecniche riguardo alla malattia e all’azione del
farmaco.

Convinzioni e opinioni personali possono interferire con la compliance p. es.,


"mio figlio non può avere l’influenza perché l’ha già avuta e non si prende due
volte, sembra morbillo"). Tali convinzioni hanno varie origini, compresi standard
culturali, credenze familiari tramandate, precedenti esperienze di malattia,

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Terapia farmacologica in neonati, lattanti e bambini

scorretta interpretazione dei fatti e scorretta informazione da parte di fonti non


mediche. Il medico deve correggere affermazioni sbagliate e accertarsi che il
genitore sia d’accordo con la diagnosi, la percepisca come qualcosa di serio e se
crede che il trattamento funzionerà o crede che presenterà effetti collaterali o
sarà difficile da seguire.

Altri fattori responsabili di una non-compliance sono l’insoddisfazione riguardo


alla quantità di informazioni date e al supporto emotivo da parte del medico, per
l’incapacità a esprimere dubbi, la difficoltà nel comprendere le risposte alle
domande poste e le aspettative non soddisfatte nei confronti della visita. Il
medico deve incoraggiare i genitori a esporre i propri dubbi o fraintendimenti
circa la diagnosi o il trattamento, le proprie aspettative e qualunque lamentela.

Fattori legati al paziente in caso di non-compliance: questi comprendono il


rifiuto della malattia o delle conseguenze negative dovute all’assenza di
compliance. I bambini e gli adolescenti, soprattutto quelli affetti da malattie
croniche, possono aver bisogno di sentire di controllare la loro malattia e il
trattamento. Essi devono essere incoraggiati a comunicare liberamente e ad
assumersi la responsabilità (con la supervisione della famiglia) della compliance.

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

256. ASSISTENZA SANITARIA IN NEONATI, LATTANTI E


BAMBINI SANI

PATOLOGIA GASTROINTESTINALE E COMUNI ERRORI ALIMENTARI

FARMACI E ALLATTAMENTO MATERNO

La quantità di farmaco che passa nel latte materno dipende principalmente dal
gradiente di concentrazione tra il plasma e il latte, ma anche dalla sua
liposolubilità, dal suo pKa (logaritmo negativo della costante di dissociazione
dell’acido), dalla sua capacità di legarsi alle proteine e dal pH del latte. Poiché il
pH del latte è lievemente più basso di quello plasmatico, le basi deboli tendono
ad avere un elevato rapporto di concentrazione latte/plasma e gli acidi deboli il
contrario. Quindi, la concentrazione nel latte di lincomicina, eritromicina,
antiistaminici, alcaloidi, isoniazide, antipsicotici, antidepressivi, litio, chinino,
tiouracile e metronidazolo, tutti basi deboli, hanno nel latte concentrazioni uguali
o più alte di quelle del plasma. Le concentrazioni nel latte di barbiturici, fenitoina,
sulfamidici, diuretici e penicilline, tutti acidi deboli, hanno nel latte una
concentrazione uguale o più bassa che nel plasma.

Il significato clinico della presenza di un farmaco nel latte materno dipende dalla
sua concentrazione, dalla quantità di latte che viene ingerita dal bambino in un
dato periodo di tempo, dalla quantità di farmaco che viene o meno assorbita dal
lattante e dall’eventuale patologia provocata dal farmaco stesso.

La determinazione di quali farmaci debbano essere controindicati nelle madri che


allattano si basa generalmente su studi molto limitati effettuati sull’uomo, inclusi
descrizioni aneddotiche o case report e studi molto esigui. I dati sugli animali
sono spesso inappropriatamente riportati agli uomini.

Il rapporto latte/plasma confronta simultaneamente la concentrazione del


farmaco nel latte materno con quella plasmatica. Tuttavia, il significato clinico dei
rapporti latte/plasma è spesso misconosciuto; p. es., un rapporto latte/plasma ≥ 1
può suggerire un falso alto rischio di effetti collaterali nel bambino allattato, ma se
i livelli plasmatici sono bassi, possono esserlo anche i livelli nel latte. Per
esempio, se l’isoniazide viene somministrata alla madre a dosi terapeutiche, la
concentrazione plasmatica è tipicamente 6 µg/ml. Se il rapporto latte/plasma è
pari a 1, un bambino che assume 240 ml di latte assumerà solamente 1,4 mg per
pasto, valore molto più basso della dose pediatrica di isoniazide, che è 10-20 mg/
kg. Quindi, i problemi sono rari, a meno che le concentrazioni nel latte non siano
elevate o un farmaco non sia molto potente o tossico anche a basse
concentrazioni o non abbia effetti cumulativi a causa dell’immaturità del
metabolismo e dell’escrezione dei farmaci nel bambino.

I farmaci che non sono solitamente pericolosi per il bambino includono


insulina e adrenalina, che non passano nel latte materno. Caffeina e teofillina non
vengono eliminate totalmente dal bambino e possono accumularsi, causando
irritabilità. L’assunzione di alcol deve essere limitata a non più di 0,5 g/kg di peso
corporeo materno/die. Le madri non devono fumare in presenza del bambino
indipendentemente dall’alimentazione e non devono allattare per 2 ore dopo aver
fumato.

Tra i farmaci controindicati sono inclusi i farmaci antineoplastici, dosi


terapeutiche di radiofarmaci, ergotamina e i suoi derivati (p. es., metisergide),
litio, cloramfenicolo, atropina, tiouracile, ioduri e mercuriali. Questi farmaci non
devono essere assunti dalle donne che allattano oppure l’allattamento deve

file:///F|/sito/merck/sez19/2562262.html (1 of 3)02/09/2004 2.06.55


Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

essere interrotto se uno qualunque di questi farmaci è essenziale. Altri farmaci da


evitare, in assenza di studi che ne dimostrino i meccanismi di escrezione nel
latte, sono quelli con un’emivita prolungata; quelli che risultano tossici per il
midollo osseo; e quelli che devono essere somministrati ad alte dosi a lungo
termine. Tuttavia, i farmaci che sono scarsamente assorbiti per via orale, che
vengono somministrati (alla madre) per via parenterale non rappresentano una
minaccia per il bambino, che riceve il farmaco per via orale ma non lo assorbe.

I farmaci che sopprimono o inibiscono la lattazione comprendono


bromocriptina, estradiolo, dosi elevate di contraccettivi orali, levodopa e
l’antidepressivo trazodone.

I farmaci che devono essere utilizzati con cautela vengono elencati più avanti.
I prodotti da banco sono generalmente sicuri nelle madri che allattano; nei
foglietti illustrativi devono essere ricercate le controindicazioni e le speciali linee
guida per la somministrazione nelle donne che allattano. Il propiltiouracile e il
fenilbutazone possono essere somministrati alle madri che allattano senza
determinare problemi nei loro bambini, ma il metimazolo è controindicato. I
neurolettici e gli antidepressivi, i sedativi e i tranquillanti vengono utilizzati con
cautela e controllandone la dose. I contraccettivi a basse dosi, contenenti un solo
ormone possono essere usati; alte dosi di contraccettivi inibiscono la produzione
di latte. L’utilizzo del metronidazolo dipende dall’età del bambino e dalla dose
materna. I bambini allattati devono essere strettamente sorvegliati in caso di uso
prolungato da parte delle loro madri di qualunque farmaco, per essere sicuri che
non ci siano variazioni nell’alimentazione o nel sonno. I vaccini non sono
controindicati durante l’allattamento.

Analgesici: i salicilati passano nel latte materno in moderata quantità. In caso di


alte dosi materne e trattamenti a lungo termine, nel lattante di età inferiore a 1
mese, si possono raggiungere livelli tali da aumentare il rischio di
iperbilirubinemia (i salicilati competono con siti leganti l’albumina), di emolisi nei
soggetti con carenza di G6PD. Il paracetamolo e l’ibuprofen sembrano farmaci
sicuri per i lattanti, se assunti dalla madre a dosi terapeutiche. Gli analgesici
narcotici (p. es., codeina, morfina, meperidina, metadone) a dosi terapeutiche
possono essere escreti nel latte materno a bassissime concentrazioni, che in
singole dosi hanno un effetto trascurabile sul lattante. Spesso, nelle madri che
assumono dosi ripetute, soprattutto se tossicodipendenti che assumono alte dosi,
sono secrete nel latte quantità rilevanti, che danneggiano il bambino allattato al
seno, causando una sindrome da astinenza quando non viene allattato (v. anche
in Patologia metabolica nel neonato nel Cap. 260). Le donne che assumono
cronicamente narcotici non devono allattare.

Antibiotici: gli antibiotici di solito possono essere assunti dalle madri che
allattano senza importanti effetti collaterali nei loro bambini. Tuttavia, poiché
quasi tutti gli antibiotici passano nel latte, il lattante può raramente presentare
ipersensibilità al farmaco, diarrea o candidosi. La penicillina può essere dosata
nel latte materno già un’ora dopo e fino a 9 h dopo una somministrazione IM alla
madre. Le tetracicline sono escrete nel latte materno in quantità significative, ma,
poiché si legano al calcio, l’assorbimento nel bambino allattato è generalmente
troppo basso per provocare effetti collaterali. Tuttavia, la minociclina, che viene
assorbita per via orale al 100% e il cui assorbimento non è condizionato dal cibo
deve essere evitata nella madre che allatta. Essa può causare una colorazione
dei denti nel bambino, se assunta per sia di 10 giorni. Il metronidazolo viene
secreto nel latte materno in quantità significative e, a dosi elevate, risulta essere
carcinogenetico nei roditori e mutageno nei batteri. Nel caso in cui la
somministrazione di metronidazolo è necessaria nei primi 3 mesi dopo il parto,
deve essere fornito alla madre un regime a dosi singole di 2 g e l’allattamento
deve essere sospeso per 24 h; durante tale intervallo di tempo il latte deve
essere tirato ed eliminato. Tuttavia, dopo che il bambino ha compiuto i 6 mesi di
vita, l’uso del metronidazolo da parte di una donna che allatta è accettabile.
L’acido nalidixico, i sulfamidici e altri agenti ossidanti possono indurre emolisi in
lattanti con deficit di G6PD, sia se allattati al seno sia se allattati artificialmente.
Gli antibiotici non assorbibili a livello intestinale, come la streptomicina, la
kanamicina e la gentamicina, non danno problemi sistemici nel lattante.

Farmaci per l’apparato cardiovascolare: i farmaci antiipertensivi, i diuretici, la

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Assistenza sanitaria in neonati, lattanti e bambini sani

digossina e i β-bloccanti possono essere assunti per lungo tempo dalla madre
che allatta al seno senza che si abbiano effetti collaterali nel bambino.
Nondimeno, è prudente scegliere quei farmaci presenti nel latte a livelli minimi.
Propanololo, digitale, metoprololo, captopril e diuretici, che sono acidi deboli (così
come clorotiazide e idroclorotiazide), sono contenuti nel latte in basse
concentrazioni.

Ormoni steroidei: gli ormoni, quando somministrati ad alte dosi a una madre
che allatta, possono raggiungere concentrazioni elevate nel latte e ciò costituisce
un rischio nel caso di ormoni che possono essere assorbiti per via orale dal
lattante. I contraccettivi orali spesso vengono prescritti dopo il parto per prevenire
un’altra gravidanza. L’etinilestradiolo e il mestranolo sono escreti nel latte
materno; essi possono ridurre la produzione di latte e la concentrazione di
piridossina (vitamina B6) nel latte. Nelle donne che allattano sono da preferire i
contraccettivi di più recente generazione a basse dosi e quelli con un singolo
ormone che non sono stati associati a problemi nei bambini. I corticosteroidi, se
somministrati alla madre ad alte dosi per settimane o mesi, possono raggiungere
livelli elevati nel latte e rischiare di bloccare l’accrescimento del bambino e
interferire con la sua produzione endogena di corticosteroidi. Pochi giorni di
terapia, comunque, sono apparentemente sicuri e il bambino viene
automaticamente divezzato da essi nel momento in cui la madre diminuisce la
sua dose.

Antiepilettici: i barbiturici e la fenitoina assunti da madri che allattano possono


determinare nel lattante l’induzione degli enzimi microsomiali ossidanti, con
conseguente aumento del catabolismo degli steroidi endogeni, ma se
somministrati alla madre a basse dosi sono di solito sicuri.

Farmaci psicoattivi: il diazepam viene escreto nel latte materno e, con dosi
materne multiple, può causare, nei bambini allattati al seno, letargia, sonnolenza
e perdita di peso. Il metabolismo del diazepam nei lattanti è lento. Poiché il
diazepam, dopo il metabolismo iniziale, è coniugato all’acido glicuronico, la
competizione con la bilirubina per l’acido glicuronico può predisporre il lattante
sotto il primo mese d’età all’iperbilirubinemia. Gli antipsicotici e gli antidepressivi
triciclici passano nel latte ma sembra che non determinino alcun effetto
collaterale nel bambino, poiché la loro concentrazione plasmatica è bassa a
causa dello scarso assorbimento per via orale.

Anticoagulanti: Warfarin e dicumarolo possono essere somministrati con


cautela alle madri che allattano, ma possono provocare, a dosi molto elevate,
emorragie; nei bambini molto piccoli, il dicumarolo può causare iperbilirubinemia,
che può condurre al kernittero. L’eparina non passa nel latte.

Farmaci illeciti: il tetraidrocannabinolo, il più psicoattivo dei componenti della


marijuana, stabilisce un forte legame con le lipoproteine e negli animali il
passaggio nel latte risulta molto esiguo. Tuttavia, le donne che allattano devono
evitare la marjuana poiché l’emivita plasmatica negli uomini può arrivare fino a 2
giorni. La cocaina permane nel latte fino a 24 h. Pertanto, madri che fanno uso di
entrambi devono tirarsi il latte ed eliminarlo per 24 ore. L’uso dei narcotici è
trattato sopra in Analgesici.

Inquinanti ambientali: l’esposizione materna a insetticidi o altri inquinanti


chimici rappresenta raramente una controindicazione all’allattamento a meno che
l’esposizione non sia eccessiva.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 303-2. ESEMPI DI FARMACI COMUNEMENTE


SOTTOPOSTI A MONITORAGGIO

Concentrazione Concentrazione
plasmatica ottimale plasmatica ottimale
Farmaco abituale, inmg/l (µmol/l) Farmaco abituale, inmg/l (µmol/ l)
Amikacina* 12-25 (21-43);<10 (<17) Fenitoina 7-20 (28-79)
Digitossina 0,01-0,03 (0,013-0,039)§ Procainamide** 4-8 (17-34)
Digossina 0,0006-0,002 (0,0008- Chinidina 1-4 (3-12)
0,0026)|
Gentamici 4-12 (8,4-25)†;<2 (<4,2)‡ Teofillina 5-20 (28-111)
na*
Litio 0,7-1,2mEq/l o mmol/l¶ Tobramicina* 4-12 (9-26);<2 (<4)‡
Fenobarbital# 10-30 (43-129)
*Valori per regimi di somministrazione a intervalli di 8h.

†Concentrazione misurata 30min dopo la fine di un'infusione di 30min.

‡Concentrazione misurata subito prima della dose successiva.

§Spesso espressa in ng/ml: 10-30ng/ml (13-39nmol/l).

|Spesso espressa in ng/ml: 0,6-2,0ng/ml (0,8-2,6nmol/l).

¶Sono riportate le unità di misura abituali.

#Quando usato come anticonvulsivante.

**Viene misurata anche la concentrazione del metabolita attivo, la N-


acetilprocainamide.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 303-3. ESEMPI DI FARMACI OCCASIONALMENTE


SOTTOPOSTI A MONITORAGGIO

Farmaco Concentrazione Possibili indicazioni al monitoraggio


plasmatica
ottimale abituale*
Etosuccimide 25-75mg/l (177- Quando è in discussione la compliance;
531µmol/ l) quando il farmaco viene somministrato
con altri anticonvulsivanti e deve essere
determinato il responsabile della tossicità
Lidocaina 1,4-6,0mg/l (6,0- Quando un paziente è affetto da cirrosi
25,5µmol/l) grave; quando l'infusione del farmaco è
prolungata
Metotrexato _ Quando viene somministrato ad alte dosi
(la concentrazione viene usata come
misura della tossicità potenziale e della
richiesta di "salvataggio" con leucovorina)
Nortriptilina 0,05-0,15mg/l (50- Quando la risposta del paziente è
150ng/ ml [190- inadeguata (quando concentrazioni
570nmol/l]) plasmatiche >0,15mg/l sono meno
efficaci)
Primidone† 8-12mg/l (37- Quando è in discussione la compliance;
55µmol/l) quando il farmaco viene somministrato
con altri anticonvulsivanti e deve essere
de terminato il responsabile della tossicità
Propranololo 0,02-0,2mg/l (20- Quando è in discussione la compliance;
200ng/ ml [77- quando la biodisponibilità è bassa; quando
770nmol/l]) un paziente è affetto da epatite cronica
Salicilati‡ 100-300mg/l (10- Quando un paziente ha un deficit uditivo o
30mg/dl [0,70- sta assumendo alte dosi di un antiacido
2,15mmol/l]) che innalza il pH urinario
*Per ciascun farmaco, la finestra terapeutica è definita in termini di
concentrazione al momento del prelievo. Solitamente, viene misurata una
concentrazione minima. Sono indicate le unità di concentrazione
comunemente usate diverse daimg/l.

†Metabolizzato a fenobarbital, la cui concentrazione deve essere anch'essa


sottoposta a monitoraggio.

‡Metabolismo e legame alle proteine sono dose-dipendenti.


Nell'interpretazione di una concentrazione di salicilati bisogna tenere in
considerazione il valore dell'albumina sierica. La finestra terapeutica si
riferisce all'uso del farmaco come antinfiammatorio.

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Manuale Merck - Tabella

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Farmacocinetica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

299. FARMACOCINETICA

Studio dell’andamento temporale delle modificazioni cui un farmaco e i suoi


metaboliti vanno incontro all’interno dell’organismo, dopo l’assunzione attraverso
qualunque via di somministrazione.

SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI

Sommario:

Introduzione
Dose singola
Infusione a velocità costante
Dosi orali multiple

Vengono qui descritte le conseguenze farmacocinetiche della somministrazione


di un farmaco in una dose singola (EV o per via orale), in infusione continua a
velocità costante e in dosi orali multiple, usando la teofillina (somministrata come
aminofillina) a titolo di esempio. In alcuni individui, specialmente nei bambini, il
metabolismo della teofillina dipende dalla concentrazione. In questo esempio, il
farmaco viene somministrato a un paziente di 70 kg (paziente A) il quale ha un
metabolismo indipendente dalla concentrazione e presenta i seguenti parametri
farmaco-cinetici: biodisponibilità 1,0; costante della velocità di assorbimento
1,0 h; volume apparente di distribuzione 0,5 l/kg; clearance 43 ml/h/kg; emivita
8 h.

Dose singola

Intravascolare: dopo che al paziente A viene somministrata (v. Fig. 299-1) una
singola dose EV di 320 mg di aminofillina (la forma idrata è pari a teofillina 80%),
la concentrazione plasmatica iniziale prevista di teofillina è di 7,3 mg/l (41 µmol/l),
cioè la dose (256 mg) divisa per il volume apparente di distribuzione (0,5 l/
kg ⋅ 70 kg = 35 l). La sua successiva diminuzione viene calcolata in base
all’emivita; ogni 8 h, la concentrazione diminuisce di un fattore 2.

La discrepanza tra l’andamento osservato (linea continua) e quello previsto (linea


tratteggiata) della curva concentrazione-tempo nelle prime 2 h si spiega con il
tempo necessario per la distribuzione del farmaco in tutto l’organismo (fase di
distribuzione). Poiché la distribuzione dei farmaci richiede tempo, le dosi EV
singole di molti farmaci, compresa l’aminofillina, devono essere somministrate
per infusione in bolo lento in un tempo variabile tra i 5 e i 10 min per evitare la
comparsa di effetti collaterali.

Extravascolare: dopo che al paziente A viene somministrata (v. Fig. 299-2) una
singola dose orale di 300 mg di aminofillina (la forma anidra, spesso usata per la
somministrazione orale, è pari a teofillina 85%), l’andamento temporale della
curva è diverso da quello di una singola dose EV (v. Fig. 299-1) perché è
necessario del tempo per l’assorbimento del farmaco. Tuttavia, l’AUC è la stessa,
perché questo farmaco viene assorbito in maniera pressoché completa. Più è
rapido l’assorbimento, più la curva si avvicina a quella della somministrazione
EV. Il momento in cui viene raggiunta la concentrazione di picco corrisponde al

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Farmacocinetica

momento in cui la velocità di assorbimento uguaglia la velocità di eliminazione; in


questa fase l’assorbimento non è ancora completo.

Infusione a velocità costante

Concentrazione di plateau: nel paziente A, in seguito a un’infusione EV di


aminofillina alla velocità costante di 45 mg/h (v. curva A nella Fig. 299-3), la
concentrazione plasmatica e la quantità totale di teofillina nell’organismo
aumentano fino a che la velocità di eliminazione non diventa pari alla velocità di
infusione. La concentrazione plasmatica e la quantità totale di farmaco
nell’organismo si trovano a questo punto allo stato stazionario, corrispondente a
un plateau. Sulla base delle formule per la clearance e la costante della velocità
di eliminazione (v. Tab. 299-1), la velocità di infusione è uguale alla clearance
moltiplicata per la concentrazione plasmatica di plateau del farmaco, oppure è
uguale alla costante della velocità di eliminazione moltiplicata per la quantità di
farmaco presente nell’organismo al plateau. Quindi, la concentrazione plasmatica
di plateau è determinata unicamente dalla clearance e dalla velocità di infusione
e la quantità di farmaco presente nell’organismo al plateau è determinata soltanto
dalla costante della velocità di eliminazione e dalla velocità di infusione.

Tempo di raggiungimento del plateau: il tempo necessario perché la teofillina


si accumuli nell’organismo (e poi scompaia) dipende dall’emivita del farmaco,
come mostrato nella Fig. 299-3. Un singolo bolo EV di 530 mg di aminofillina
determina una concentrazione di teofillina di 12 mg/l (67 µmol/l); il bolo viene fatto
seguire immediatamente da un’infusione continua di 45 mg/h allo scopo di
mantenere la concentrazione iniziale (curva B nella Fig. 299-3). Il farmaco
introdotto con la dose di carico scompare gradualmente (curva C), rimanendone
1/2 dopo un tempo pari a un’emivita, 1/4 dopo un tempo pari a due emivite e così
via. Senza la dose di carico, la quantità di farmaco presente nell’organismo in
seguito all’infusione (curva A) aumenta in modo tale che 1/2 della quantità
presente al plateau si raggiunge in un tempo pari a un’emivita, i 3/4 in un tempo
pari a due emivite e così via.

Se l’infusione viene interrotta dopo 48 h, la curva postinfusionale somiglia alla


curva C. In assenza di una dose di carico, l’aminofillina deve essere infusa per
almeno 32 h (4 emivite) perché la sua concentrazione si avvicini al plateau nel
paziente A. Un dosaggio della concentrazione plasmatica eseguito dopo il
raggiungimento del plateau fornisce una stima della clearance della teofillina.

I principi validi per l’infusione EV sono applicabili a qualunque tipo di


somministrazione a velocità costante (p. es., ai dispositivi a velocità costante
utilizzati per la somministrazione transdermica, intraoculare, orale e intrauterina
dei farmaci). La concentrazione plasmatica di plateau e il tempo necessario per
raggiungerla dipendono rispettivamente dalla clearance e dall’emivita, come per
le infusioni EV. La biodisponibilità è un fattore aggiuntivo che trova applicazione
nel caso di una somministrazione extravascolare.

Dosi orali multiple

Accumulo dei farmaci: nel paziente A la somministrazione ripetuta di 300 mg di


aminofillina PO q 6 h fa aumentare progressivamente la concentrazione di
teofillina (v. curva A nella Fig. 299-4). Analogamente a quanto avviene con
l’infusione EV, la concentrazione media di plateau dipende dalla clearance e il
tempo necessario perché il farmaco si accumuli dipende dall’emivita. In questo
caso, tuttavia, le concentrazioni plasmatiche sono soggette a fluttuazione perché
la somministrazione è intermittente.

Se la clearance della teofillina è alterata, p. es., da una patologia, la


farmacocinetica cambia (curve B e C). Il paziente B ha uno scompenso cardiaco
e la sua clearance è di 21,5 ml/h/kg (circa la metà di quella del paziente A). In

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Farmacocinetica

seguito alla somministrazione di 300 mg di aminofillina q 6 h, nel paziente B la


concentrazione del farmaco è il doppio di quella del paziente A (curva B) e il
tempo necessario per raggiungere i livelli di plateau è due volte più lungo, poiché
l’emivita (16 h) è il doppio di quella osservata in un adulto sano. Concentrazioni
plasmatiche di teofillina variabili da 10 a 20 mg/l (da 55 a 110 µmol/l) sono
solitamente ottimali. Oltre i 20 mg/l, è più probabile che si abbia tossicità. Quindi,
il paziente B è a rischio di tossicità (nausea, vomito, stimolazione del SNC,
convulsioni) la quale, sapendo che lo scompenso cardiaco riduce il metabolismo,
può essere evitata somministrando una dose inferiore. Inoltre, il rallentamento del
metabolismo può essere individuato tenendo sotto controllo la concentrazione
plasmatica.

Regimi posologici: per il paziente B, la dose appropriata è costituita


probabilmente da 200 mg di aminofillina q 8 h (25 mg/h). Tuttavia, poiché in
questo paziente l’emivita è prolungata e l’accumulo avviene lentamente, deve
essere somministrata una dose di carico per produrre rapidamente una
concentrazione (e quindi una risposta) terapeutica. La dose di carico di
aminofillina necessaria è pari al volume apparente di distribuzione moltiplicato
per la concentrazione di teofillina desiderata, corretta per la frazione di teofillina
presente nell’aminofillina; essa è di circa 500 mg:

In un giovane asmatico forte fumatore, senza altre patologie associate


(paziente C), la clearance della teofillina è di 86 ml/h/kg e l’emivita è di 4 h. La
dose di 300 mg di aminofillina q 6 h (50 mg/h) è probabilmente inefficace (v.
curva C nella Fig. 299-4). La necessità di un dosaggio superiore del farmaco può
essere prevista in anticipo e può essere confermata dalla misurazione della
concentrazione plasmatica effettuata subito prima della dose successiva.
Tuttavia, somministrare aminofillina a questo paziente è difficile a causa della
brevità dell’emivita, della notevole entità della clearance e degli alti dosaggi
necessari (100 mg/h). Per questo paziente, è indicato l’impiego di una
formulazione a rilascio prolungato. Dal momento che l’assorbimento è più o
meno prolungato, una dose di 600 mg q 6 h eviterà probabilmente che le
concentrazioni siano soggette a fluttuazioni troppo ampie.

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Farmacodinamica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

300. FARMACODINAMICA

Studio degli effetti biochimici e fisiologici dei farmaci e dei loro meccanismi di
azione.

Molti farmaci producono risposte farmacologiche interagendo (legandosi) con


macromolecole specifiche, solitamente proteine complesse, sulla superficie o
all’interno delle cellule. Alcune classi di farmaci reagiscono direttamente con
sostanze non proteiche endogene o esogene; rientrano in questa categoria
alcuni farmaci chemioterapici antitumorali che interagiscono con gli acidi nucleici,
i farmaci chelanti dei metalli (p. es., l’edetato disodico di calcio, il dimercaprolo, la
deferoxamina) e gli antiacidi utilizzati per neutralizzare chimicamente l’acidità
gastrica.

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Farmacodinamica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

300. FARMACODINAMICA

Studio degli effetti biochimici e fisiologici dei farmaci e dei loro meccanismi di
azione.

INTERAZIONI FARMACO-RECETTORE

Pochi farmaci, se non nessuno, possiedono specificità assoluta, ma la maggior


parte è dotata di relativa selettività; p. es., l’atropina inibisce le azioni
dell’acetilcolina sulle ghiandole esocrine e sulla muscolatura liscia, ma non quelle
sulla muscolatura scheletrica. L’azione di tali farmaci selettivi è dovuta al loro
legame fisico-chimico con componenti cellulari denominati recettori. I recettori
fisiologici sono macromolecole implicate nella trasmissione chimica dei segnali
tra una cellula e l’altra e all’interno delle cellule. Una molecola che si lega a un
recettore è definita ligando. Quando un ligando (ormone, neurotrasmettitore,
messaggero intracellulare o farmaco esogeno) si combina con un recettore, la
funzione cellulare viene modificata (v. Tab. 300-1); ciascun ligando può interagire
con più sottotipi di recettori. I recettori attivati regolano direttamente o
indirettamente i processi biochimici cellulari (p. es., la conduttanza ionica, la
fosforilazione proteica, la trascrizione del DNA). In molti casi, i recettori situati
all’interno della membrana cellulare sono accoppiati per mezzo di proteine leganti
il guanin nucleotide (proteine G) con vari sistemi effettori cui partecipano
molecole intracellulari che funzionano da secondi messaggeri.

I recettori sono strutture dinamiche, influenzate sia da fattori esterni sia da


meccanismi regolatori intracellulari. La up-regulation e la down-regulation dei
recettori riguardano fenomeni di adattamento ai farmaci i quali possiedono
importanti implicazioni cliniche (desensibilizzazione, tachifilassi, tolleranza,
resistenza acquisita, ipersensibilità da sospensione).

Le specifiche regioni molecolari delle macromolecole recettoriali alle quali si lega


il ligando vengono dette siti di riconoscimento. Un farmaco può interagire a livello
dello stesso sito con il quale interagisce un agonista endogeno (ormone o
neurotrasmettitore), oppure a livello di un sito diverso. Gli agonisti che si legano a
siti adiacenti o differenti sono talvolta denominati agonisti allosterici. I farmaci
vengono legati anche in modo non specifico, cioè a livello di siti molecolari non
connotati come recettori (p. es., le proteine plasmatiche).

La teoria recettoriale dei farmaci, basata sulla legge dell’azione di massa, è in


qualche modo paragonabile alle analisi cinetiche dell’interazione e dell’inibizione
tra enzimi e substrati. Molti meccanismi biochimici dei farmaci possono essere
studiati nell’ambito di questo modello di riferimento (p. es., le interazioni tra
aspirina e inibitore della prostaglandina sintetasi, tra neostigmina e inibitore della
colinesterasi, tra selegilina e inibitore della monoaminossidasi B). La teoria
recettoriale dei farmaci include i concetti di affinità (la probabilità che un farmaco
occupi un recettore in un determinato momento) e di efficacia intrinseca (attività
intrinseca), che esprime le complesse associazioni tra la concentrazione del
farmaco o del ligando, gli stati di attivazione dei recettori e la risposta funzionale
cellulare o tissutale.

Le funzioni fisiologiche (p. es., la contrazione, la secrezione) sono regolate da


meccanismi multipli mediati da recettori e di conseguenza possono essere
modulate da stimoli molecolari differenti. Tra l’interazione molecolare iniziale
farmaco-recettore e la risposta finale tissutale od organica vi può essere
l’interposizione di diverse tappe (che coinvolgono p. es., l’accoppiamento
recettoriale e l’intervento di secondi messaggeri intracellulari multipli). La densità
dei recettori e l’efficienza dei meccanismi di risposta allo stimolo variano da

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Farmacodinamica

tessuto a tessuto.

La teoria dell’occupazione precoce dei farmaci assumeva che una risposta


farmacologica fosse direttamente proporzionale all’occupazione dei recettori; si
riteneva che quando tutti i recettori fossero stati occupati o attivati si verificasse
un effetto massimale. La teoria attuale prevede il coinvolgimento di processi
cinetici (velocità di inizio/fine) relativi all’occupazione del recettore da parte del
ligando, di stati di attivazione multipli dei recettori (attivo/inattivo) e della
mancanza di un’evidente proporzionalità tra l’occupazione del recettore da parte
del ligando e la risposta finale tissutale od organica. In questi modelli vengono
prese in considerazione le variazioni nell’efficienza della trasduzione del segnale
(meccanismi di amplificazione cellulare) e l’esistenza dei recettori di riserva, degli
agonisti parziali e degli agonisti inversi (v. oltre).

I farmaci agonisti interagiscono con i recettori in modo da modificare la


proporzione dei recettori attivati, modificando così l’attività cellulare. Gli agonisti
convenzionali aumentano la proporzione dei recettori attivati; gli agonisti inversi
la riducono. Molti ormoni e neurotrasmettitori (p. es., l’acetilcolina, l’istamina, la
norepinefrina) e molti farmaci (p. es., la morfina, la fenilefrina, l’isoproterenolo)
agiscono come agonisti.

Gli antagonisti interagiscono selettivamente con i recettori, ma non determinano


un effetto osservabile; essi riducono l’azione di un’altra sostanza (l’agonista) a
livello del sito recettoriale interessato. Gli antagonisti recettoriali sono quindi
dotati di affinità ma sono privi di efficacia intrinseca.

Gli analoghi strutturali delle molecole degli agonisti possiedono frequentemente


proprietà bivalenti agoniste e antagoniste; tali farmaci sono definiti agonisti
parziali (a bassa efficacia). Per esempio, per i recettori β-adrenergici di alcuni
tessuti, l’isoproterenolo è un agonista completo e il prenalterolo è un agonista
parziale. Un farmaco che agisce come agonista parziale a livello di un tessuto
può agire come agonista completo a livello di un altro tessuto.

Gli antagonisti recettoriali possono essere classificati come reversibili o


irreversibili. Gli antagonisti reversibili si dissociano facilmente dal loro recettore;
gli antagonisti irreversibili formano con esso un legame chimico stabile (come
avviene p. es., nell’alchilazione). Gli antagonisti pseudoirreversibili si dissociano
lentamente dal loro recettore. Nell’antagonismo competitivo, il legame
dell’agonista e dell’antagonista è reciprocamente esclusivo, probabilmente
perché entrambi gli agenti si legano allo stesso sito recettoriale. Nell’antagonismo
non-competitivo, l’agonista e l’antagonista possono venire legati
contemporaneamente, ma il legame dell’antagonista riduce o inibisce l’azione
dell’agonista. Nell’antagonismo competitivo reversibile, l’agonista e l’antagonista
formano legami di breve durata con il recettore e tra agonista, antagonista e
recettore viene raggiunto uno stato di equilibrio. Tale antagonismo può essere
superato aumentando la concentrazione dell’agonista; in altre parole,
l’antagonismo è sormontabile. Per esempio il naloxone, un antagonista dei
recettori per gli oppioidi strutturalmente simile alla morfina, dotato di scarsa o
nulla attività morfino-simile, blocca gli effetti della morfina quando viene
somministrato prima o dopo di essa. Tuttavia, l’antagonismo competitivo del
naloxone può essere superato somministrando una maggiore quantità di morfina.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 300-1. ALCUNI TIPI DI PROTEINE FISIOLOGICHE


CON FUNZIONI RECETTORIALI PER I FARMACI
Tipo Struttura Localizzazione Esempi
cellulare
Acetilcolina
(nicotinico)

Canali ionici con Superficie cellulare Glicina


subunità multiple transmembrana
Glutammato

GABAA
Acetilcolina
(muscarinico)
Recettori accoppiati Superficie cellulare
con proteineG transmembrana Adrenalina (α e β)

Eicosanoidi
Ormoni peptidici

Fattori di crescita
Superficie cellulare
Proteinchinasi
transmembrana Insulina

Ormoni steroidei

Vitamina D
Fattori di trascrizione Citoplasma
Ormoni tiroidei

GABA=acido g-aminobutirrico; GTP=guanosina trifosfato; GDP=guanosina difosfato.

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Farmacodinamica

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

300. FARMACODINAMICA

Studio degli effetti biochimici e fisiologici dei farmaci e dei loro meccanismi di
azione.

RELAZIONE DOSE-RISPOSTA

Corrispondenza tra la quantità di farmaco somministrata e l’entità della risposta


suscitata.

La relazione dose-risposta ha implicazioni molto importanti per le decisioni


terapeutiche e la farmacologia sperimentale. Il rapporto dose-risposta viene
tipicamente descritto con un grafico nel quale l’effetto misurato (risposta) viene
riportato sull’asse delle ordinate e la dose o una funzione della dose (p. es., il suo
log10) viene riportato sull’asse delle ascisse. Poiché un effetto farmacologico è
una funzione sia della dose (o concentrazione) sia del tempo, un grafico di
questo tipo descrive la relazione dose-risposta in maniera indipendente dal
tempo. Gli effetti misurati vengono frequentemente registrati come punti di
massimo al momento dell’effetto di picco o allo stato stazionario (p. es., durante
l’infusione EV continua). Gli effetti farmacologici possono essere quantificati a
livello molecolare, cellulare, tissutale, organico, di apparato o dell’intero
organismo.

Una curva dose-risposta ipotetica possiede caratteristiche variabili (v. Fig. 300-1):
potenza (posizione della curva lungo l’asse della dose), efficacia massima o
effetto massimo (la più intensa risposta raggiungibile) e pendenza (variazione
della risposta per unità di dose). Esiste anche una variazione biologica
(variazione dell’intensità della risposta tra individui di controllo appartenenti alla
stessa popolazione ai quali è stata somministrata la stessa dose di farmaco).
Costruire curve dose-risposta per farmaci che vengono studiati in condizioni
sperimentali identiche può essere di aiuto per confrontare i loro profili
farmacologici (v. Fig. 300-2).

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

301. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA AI


FARMACI

PLACEBO

Sostanze verosimilmente inattive che vengono utilizzate negli studi controllati


come termine di paragone per i farmaci presumibilmente attivi, o che vengono
prescritte per indurre un alleviamento dei sintomi o soddisfare l’esigenza di
trattamento di un paziente.

Sommario:

Introduzione
Effetti dei placebo
Meccanismi della reazione ai placebo
Impiego negli studi controllati
Impiego in terapia

Qualunque manovra terapeutica può essere un placebo (comprese le tecniche


chirurgiche e psicologiche), ma in questa sede vengono presi in esame
esclusivamente i farmaci (in qualsiasi forma, p. es., orale, parenterale o topica).

Effetti dei placebo

Alcune persone ritengono che i placebo siano "farmaci finti", presumibilmente


inerti e inefficaci. Tuttavia i placebo possono avere effetti notevoli, sia positivi sia
negativi. La letteratura medica è piena di segnalazioni sulla capacità dei placebo
di alleviare i disturbi dei pazienti con ansia, tensione emotiva, malinconia,
schizofrenia, dolori della più varia origine, cefalea, tosse, insonnia, mal di mare,
bronchite cronica, raffreddore comune, artrite, ulcera peptica, ipertensione,
nausea, demenza senile e così via. Ma i placebo possono anche avere effetti
collaterali, comprendenti nausea, cefalea, vertigini, sonnolenza, insonnia,
astenia, depressione, torpore, allucinazioni, prurito, vomito, tremore, tachicardia,
diarrea, pallore, eruzioni cutanee, orticaria, atassia ed edemi.

Alcuni individui manifestano le caratteristiche di una vera farmacodipendenza nei


confronti di un placebo: una tendenza ad aumentare la dose, un desiderio
compulsivo di assumere la sostanza e una sindrome da astinenza nel caso ne
vengano privati.

Meccanismi della reazione ai placebo

Gli effetti soggettivi e oggettivi, desiderabili e indesiderabili dei placebo sembrano


essere correlati a due diverse componenti della reazione a essi. La prima è
un’aspettativa di risultati (di solito ottimistica) dovuta al fatto che ci si attende che
i farmaci funzionino; questo aspetto può essere chiamato "suggestionabilità",
"fede" o "speranza". La seconda è costituita dalle modificazioni cliniche
spontanee, le quali sono talvolta anche più importanti. Un placebo può essere

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

responsabile di un miglioramento spontaneo o colpevole di un deterioramento


spontaneo o della comparsa di un problema completamente nuovo (p. es., mal di
testa, eruzione cutanea).

I soggetti che reagiscono ai placebo sono individui che rispondono


energicamente a queste sostanze; tuttavia, poiché in determinate circostanze
praticamente ogni individuo presenta un certo grado di suggestionabilità, il
concetto di gradazione della reattività ai placebo è probabilmente più utile. È
stato definitivamente stabilito che non esiste alcuna correlazione tra determinati
aspetti della personalità e la risposta ai placebo. Tuttavia, individui con
personalità di tipo dipendente, che desiderano soddisfare il proprio medico,
possono avere maggiori probabilità di ottenere effetti benefici, e quelli con
personalità di tipo istrionico possono avere più probabilità di ottenere un
qualunque effetto, positivo o negativo che sia (v. Cap. 191). Probabilmente i
fattori più importanti legati alla risposta sono rappresentati da particolari
atteggiamenti nei confronti della malattia, dei farmaci e del medico. Per esempio,
un paziente che accusa un dolore acuto, che considera i farmaci in grado di
aiutarlo e al quale venga somministrato un placebo da un medico compartecipe e
fiducioso, può avere una risposta migliore rispetto a un paziente affetto da un
dolore cronico, che considera i farmaci pericolosi e al quale venga somministrato
un placebo da un medico sgarbato che si mostra poco sicuro di sé.

Impiego negli studi controllati

Negli studi sperimentali, gli effetti del placebo devono essere distinti da quelli del
farmaco attivo. Quest’ultimo, per dimostrare la sua efficacia, deve agire
significativamente meglio del placebo. In alcuni studi, con il placebo si verifica un
miglioramento clinico in più del 50% dei pazienti, rendendo quindi molto
difficoltosa la dimostrazione dell’efficacia del farmaco attivo.

Impiego in terapia

Ogni atto terapeutico racchiude in sé una componente di effetto placebo;


conseguentemente, gli effetti attribuiti ai farmaci variano da paziente a paziente e
da medico a medico, a seconda della reattività ai placebo. Un effetto placebo
positivo è più probabile che si verifichi quando sia il paziente sia il medico sono
convinti del fatto che vi sarà un beneficio terapeutico. Per esempio, un farmaco
che non possiede un effetto farmacologico comunemente accettato sulla malattia
in trattamento (p. es., la vitamina B12 per l’artrite) può avere ugualmente un
effetto favorevole. Analogamente, un farmaco limitatamente attivo (p. es., un
vasodilatatore per la claudicatio intermittens) può avere un effetto più
consistente.

La somministrazione di un placebo a un paziente senza che egli ne sia a


conoscenza è rischiosa e può guastare il rapporto tra medico e paziente. Se il
paziente scopre il sotterfugio, può sentirsi ingannato e la sua fiducia nel medico
potrebbe risultarne compromessa. Se altri medici o infermieri sono a conoscenza
dello stratagemma (come può accadere nella pratica clinica di equipe o in ambito
ospedaliero), è più probabile che i loro atteggiamenti e comportamenti nei
riguardi del paziente ne vengano influenzati negativamente ed è più probabile
che il paziente si accorga della situazione. Un altro rischio è costituito dai
possibili errori nell’interpretazione della risposta del paziente. Quando un
paziente risponde positivamente a un placebo, il medico potrebbe trarne in modo
ingiustificato la conclusione che la sintomatologia non sia dovuta a un disordine
organico o che essa venga esagerata da fattori psicologici. Inoltre, esistono molti
farmaci che possiedono almeno la capacità potenziale di alleviare la maggior
parte dei disturbi osservati nella pratica clinica. Di conseguenza, prescrivere un
placebo senza il consenso del paziente è indicato raramente (se non mai).

A causa dei diversi contesti culturali o psicologici, alcuni pazienti sembrano trarre

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Fattori che influenzano la risposta ai farmaci

beneficio da un farmaco non necessario o da una particolare forma farmaceutica


(p. es., una forma iniettiva anche nel caso in cui sarebbe sufficiente la
somministrazione orale). I medici possono prescrivere "ricostituenti" vitaminici o
iniezioni di vitamina B12, i quali spesso sono equivalenti ai placebo, ma
raramente prescrivono compresse di lattoso o "iposolfito di sodio sterile".

I placebo possono essere usati con il consenso del paziente per valutare la
necessità di un farmaco potenzialmente tossico. Per esempio, potrebbe non
essere chiaro se un paziente con un dolore cronico stia traendo effettivo
beneficio da un analgesico potenzialmente in grado di dare assuefazione. Se il
paziente acconsente, questo dubbio può essere risolto alternando "in cieco" il
farmaco attivo e il placebo.

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Disturbi di personalità

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

191. DISTURBI DI PERSONALITÀ

Tratti di personalità pervasivi, rigidi e stabili che si discostano dalle norme


culturali e causano sofferenza o compromissione funzionale.

(V. anche Disturbo Dissociativo dell’Identità nel Cap. 188)

Sommario:

Introduzione
Diagnosi e classificazione
Gruppo A
Gruppo B
Gruppo C
Altri tipi di personalità
Terapia

I tratti di personalità sono schemi di pensiero, percezione, reazione e relazione


con gli altri che sono relativamente stabili nel tempo e in svariate situazioni. I
disturbi di personalità si manifestano quando tali tratti sono così rigidi e
disadattativi da compromettere il funzionamento interpersonale o professionale. I
tratti di personalità e il loro potenziale significato disadattativo sono di solito
evidenti sin dalla prima età adulta e persistono per quasi tutta la vita.

Dei meccanismi mentali di coping (difese) vengono a volte usati in modo


inconscio da tutti. Tuttavia, nei soggetti con disturbi di personalità i meccanismi di
difesa tendono a essere immaturi e disadattativi (v. Tab. 191-1). Per rendere
queste persone consapevoli di tali meccanismi sono di solito necessari confronti
ripetuti nel corso di una psicoterapia a lungo termine oppure attraverso incontri di
eguale significato.

Senza frustrazioni da parte del proprio ambiente, le persone con disturbi di


personalità possono anche non provare senso di insoddisfazione. Possono
cercare un aiuto per la presenza di sintomi (p. es., ansia, depressione) o di
comportamenti disadattativi (p. es., abuso di sostanze, vendicatività) causati dal
disturbo di personalità. Spesso non percepiscono il bisogno di una terapia ma
vengono indirizzati da specialisti da parte di amici, familiari o dall’assistenza
sociale, poiché il loro comportamento disadattativo causa problemi agli altri.
Poiché questi pazienti di solito vedono le proprie difficoltà come separate ed
esterne a loro stessi, gli operatori della salute mentale trovano difficoltà a far
capire loro l’origine del problema.

I soggetti con disturbi gravi di personalità sono ad alto rischio di ipocondria,


abuso di alcol o farmaci e comportamenti violenti o autodistruttivi. Possono avere
stili genitoriali illogici, distaccati, iperemotivi, violenti o irresponsabili, che portano
i propri figli ad avere problemi medici e psichiatrici. I soggetti con un disturbo di
personalità sono quelli con minori probabilità di conformarsi al regime di
trattamento prescritto. Anche quando lo fanno, i loro sintomi (siano essi psicotici,
depressivi, o ansiosi) sono di gran lunga meno responsivi ai farmaci. I soggetti
con disturbi di personalità sono spesso molto frustranti per chi sta loro accanto,
compresi i medici (che devono far fronte alle paure irrazionali, alle richieste
eccessive, al loro senso di diritto acquisito, agli onorari non pagati,
all’inosservanza delle prescrizioni e a denigrazioni rabbiose). Questi soggetti
possono anche causare tensioni agli altri pazienti, che sono esposti ai loro

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Disturbi di personalità

comportamenti teatrali o esigenti.

Diagnosi e classificazione

La diagnosi si basa sull’osservazione di schemi di comportamento o di


percezione ripetitivi che causano sofferenza e compromettono il fuzionamento
sociale, anche quando il paziente non ha consapevolezza di tali schemi e
malgrado il fatto che il paziente spesso resista al cambiamento.

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, IV edizione (DSM-IV),


divide i disturbi di personalità in tre gruppi: A) insolito/eccentrico, B) teatrale/
instabile e C) ansioso/inibito.

Gruppo A

Personalità paranoide: le persone con questo disturbo di personalità sono


generalmente fredde e distanti nelle relazioni interpersonali, oppure sono
controllanti e gelose se sviluppano un attaccamento. Tendono a reagire con
sospetto ai cambiamenti situazionali e a trovare motivazioni ostili e malevole
sotto gli atti futili, innocenti o persino positivi degli altri. Spesso queste
motivazioni ostili rappresentano le proiezioni della loro stessa ostilità verso gli
altri (v. anche il Cap. 193). Quando ritengono che i propri sospetti siano
confermati, a volte reagiscono in modi che sorprendono o spaventano gli altri.
Essi quindi utilizzano la conseguente collera o rifiuto da parte degli altri (cioè,
l’identificazione proiettiva) per giustificare i loro sentimenti originari. I soggetti
paranoidi hanno la tendenza a intraprendere azioni legali contro gli altri,
specialmente quando provano un senso di legittima indignazione. Tuttavia, non
riescono ad accorgersi del proprio ruolo in un conflitto. Nelle varie occupazioni,
questi soggetti possono essere altamente efficienti e coscienziosi, sebbene di
solito abbiano bisogno di lavorare in un relativo isolamento.

Tra le persone che si sentono particolarmente estraniate a causa di un difetto


fisico o di un handicap possono svilupparsi tendenze paranoidi. Per esempio, un
soggetto con sordità cronica può erroneamente pensare che si parli o si rida di lui.

Personalità schizoide: i soggetti con questo disturbo di personalità sono


introversi, tendenti al ritiro, solitari, emotivamente freddi e distanti. Appaiono il più
delle volte assorbiti nei propri pensieri e nelle proprie sensazioni e hanno paura
dell’amicizia o dell’intimità con gli altri. Sono reticenti, sognano a occhi aperti e
preferiscono la speculazione astratta all’azione pratica.

Personalità schizotipica: come gli schizoidi, i soggetti con questo disturbo di


personalità sono isolati socialmente e distaccati emotivamente, ma inoltre
manifestano stranezze di pensiero, percezione e comunicazione, come pensiero
magico, chiaroveggenza, idee di riferimento o ideazione paranoide. Queste
stranezze ricordano la schizofrenia, ma non sono mai abbastanza gravi da
soddisfarne i criteri (v. Cap. 193). Si ritiene tuttavia che i soggetti con questo
disturbo di personalità abbiano un’espressione fenotipica attenuata (variante di
spettro) dei geni che causano la schizofrenia.

Gruppo B

Personalità borderline: le persone con questo disturbo di personalità


(prevalentemente donne) sono caratterizzate da instabilità dell’immagine di sé,
dell’umore, del comportamento e delle relazioni interpersonali. Questo disturbo di
personalità si rende evidente nella prima età adulta, ma tende a divenire più lieve
o a stabilizzarsi con l’età. Queste persone ritengono di aver subito una

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Disturbi di personalità

deprivazione di cure adeguate nell’infanzia e di conseguenza si sentono vuote, in


collera, in diritto di ricevere accudimento. Come risultato, sono sempre alla
ricerca di attenzione. Questo disturbo di personalità è il tipo largamente più
riscontrabile nei servizi sanitari psichiatrici e di ogni altro tipo.

Quando i soggetti con personalità borderline sentono che ci si prende cura di


loro, assumono le parvenze di persone sole e abbandonate che chiedono aiuto
per depressione, abuso di sostanze, disturbi del comportamento alimentare e
precedenti maltrattamenti. Tuttavia, quando temono la perdita della figura
curante, il loro umore cambia sensibilmente e si manifesta spesso una rabbia
intensa e inappropriata. Il cambiamento d’umore è accompagnato da drastici
mutamenti nella visione del mondo, di se stessi e degli altri, dal bianco al nero,
dall’odio all’amore o viceversa (v. Scissione nella Tab. 191-1). Il loro punto di
vista non è mai neutrale. Quando si sentono abbandonati (cioè, completamente
soli), si dissociano o diventano disperatamente impulsivi. Talora, il loro giudizio
sulla realtà è così inadeguato che hanno brevi episodi di pensiero psicotico,
come p. es., idee paranoidi e allucinazioni.

Queste persone hanno relazioni interpersonali di gran lunga più drammatiche e


intense rispetto a quelle con disturbi di personalità del gruppo A. I loro processi di
pensiero sono più disturbati di quelli dei soggetti con personalità antisociale e
l’aggressività è più spesso rivolta contro se stessi. Sono più collerici, più impulsivi
e più confusi riguardo la propria identità rispetto a quelli con personalità istrionica.
Tendono a evocare reazioni intense, inizialmente di accudimento, nelle figure
curanti. Ma dopo le crisi recidivanti, le lamentele vaghe e infondate e le
inosservanze ripetute delle raccomandazioni terapeutiche, le figure curanti
(medico compreso) spesso si sentono molto frustrate, e iniziano a considerarli
come persone che si lamentano e poi rifiutano l’aiuto. La scissione, il passaggio
all’atto, l’ipocondria e la proiezione sono i comuni meccanismi di difesa (v.
Tab. 191-1).

Personalità antisociale (precedentemente definita psicopatica o sociopatica):


le persone con questo disturbo di personalità calpestano i diritti e i sentimenti
degli altri. Sfruttano gli altri per ottenere vantaggi materiali o gratificazione
personale (a differenza dei soggetti narcisistici, che sfruttano gli altri perché
pensano che la propria superiorità lo giustifichi). Caratteristicamente, mettono in
atto i propri conflitti in maniera impulsiva e irresponsabile, a volte con ostilità e
violenza grave. Sono scarsamente tolleranti alle frustrazioni. Spesso non
prevedono le conseguenze negative dei propri comportamenti antisociali e poi,
generalmente, non provano rimorso o sensi di colpa. Molti di essi hanno una
buona capacità di razionalizzare con disinvoltura il proprio comportamento o di
darne la colpa agli altri. La disonestà e l’inganno permeano le loro relazioni. La
punizione raramente modifica il comportamento o migliora il loro giudizio o la
prudenza; di solito conferma la loro visione del mondo come crudelmente privo di
sentimenti.

Il disturbo di personalità antisociale spesso si associa all’alcolismo, alla


tossicomania, all’infedeltà, alla promiscuità, al fallimento professionale, a
trasferimenti frequenti e a reclusioni. Nelle società occidentali, questo disturbo di
personalità è più comune negli uomini che nelle donne, e in queste ultime è più
comune la personalità borderline; questi due disturbi hanno molto in comune.
Nelle famiglie dei pazienti con ambedue i tipi di personalità, la prevalenza di
familiari antisociali, abuso di sostanze, divorzi e abuso infantile è alto. Spesso i
genitori del paziente hanno un cattivo rapporto, ed egli ha subito una grave
deprivazione emotiva negli anni dello sviluppo. La previsione di sopravvivenza è
più bassa, ma tra chi sopravvive il disturbo tende a migliorare o a stabilizzarsi
con l’età.

Personalità narcisistica: i soggetti con questo disturbo di personalità sono


megalomani; hanno cioè un esagerato senso di superiorità. Le loro relazioni con
gli altri sono caratterizzate dal bisogno di ammirazione e sono estremamente
sensibili alle critiche, ai fallimenti o alle sconfitte. Quando si trovano di fronte a un
fallimento nel soddisfare la loro alta opinione di sé, possono andare in collera o
deprimersi profondamente. Poiché si ritengono superiori, spesso credono che gli
altri li invidino, e si sentono in diritto di esigere che ci si occupi dei loro bisogni
senza aspettare. Quindi possono giustificare lo sfruttamento degli altri, i cui

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Disturbi di personalità

bisogni o le cui convinzioni sono per loro meno importanti delle proprie. Queste
caratteristiche spesso sono offensive per le persone con cui hanno a che fare,
compresi i medici. Questo disturbo di personalità si manifesta in persone che
fanno carriera, ma può anche osservarsi in persone con scarsi successi.

Personalità istrionica (isterica): i soggetti con questo disturbo di personalità


ricercano in modo accentuato l’attenzione, sono manierati e teatrali. Le loro
espressioni emotive spesso appaiono esagerate, infantili e superficiali e, come
altri comportamenti teatrali, spesso evocano un’attenzione di tipo empatico o
erotico negli altri. Le relazioni, quindi, vengono spesso allacciate con facilità, ma
tendono a essere superficiali e transitorie. Queste persone possono associare
degli atteggiamenti sessuali provocanti o un’erotizzazione delle relazioni non
sessuali, a inibizioni e insoddisfazioni sessuali sorprendenti. Sotto i loro
comportamenti sessualmente seduttivi e sotto la tendenza a esagerare i problemi
somatici (cioè l’ipocondria) spesso si nascondono desideri più profondi di
dipendenza e protezione.

Gruppo C

Personalità dipendente: le persone con questo disturbo affidano la


responsabilità degli aspetti principali delle proprie vite agli altri, e consentono che
i bisogni di coloro da cui dipendono abbiano il sopravvento sui propri. Mancano di
fiducia in se stessi e hanno una grande insicurezza circa la propria capacità di
provvedere a sé stessi. Spesso reclamano di non poter prendere decisioni e di
non sapere cosa fare e come farlo. Questo comportamento è dovuto in parte alla
convinzione che gli altri siano più capaci e in parte alla riluttanza a esprimere le
proprie opinioni per paura di offendere con la loro aggressività le persone di cui
hanno bisogno (cioè una forma di aggressività verso se stessi). La dipendenza è
presente in altri disturbi di personalità dove può essere nascosta da problemi
comportamentali manifesti; p. es., i comportamenti istrionici o borderline
nascondono una dipendenza soggiacente.

Personalità evitante: le persone con questo disturbo di personalità sono


ipersensibili al rifiuto e hanno paura di intraprendere nuove relazioni o altre
novità, perché possono fallire o restarne delusi. Questo disturbo di personalità è
una variante di spettro della fobia sociale generalizzata (v. Cap. 187). A causa
del proprio intenso desiderio conscio di affetto e di essere accettati, le persone
con un disturbo di evitamento di personalità, a differenza di quelle con un
disturbo di personalità schizoide, soffrono in modo evidente a causa del proprio
isolamento e per l’incapacità di relazionarsi in modo soddisfacente con gli altri. A
differenza dei soggetti con un disturbo di personalità borderline, rispondono al
rifiuto con il ritiro, non con gli accessi d’ira. I soggetti con un disturbo di
evitamento di personalità rispondono in maniera incompleta o scarsa ai farmaci
ansiolitici.

Personalità ossessivo-compulsiva: le persone con questo disturbo di


personalità sono coscienziose, ordinate e affidabili, ma la loro rigidità spesso le
rende incapaci di adattarsi ai cambiamenti. Poiché sono prudenti e soppesano
tutti gli aspetti di un problema, possono avere difficoltà nel prendere decisioni.
Prendono sul serio le responsabilità ma, poiché odiano gli errori e
l’incompletezza, possono perdersi nei dettagli e dimenticare lo scopo dei propri
compiti o avere problemi a portarli a termine. Come risultato, le responsabilità
provocano ansia ed essi sono raramente soddisfatti dei propri successi.

La maggior parte dei tratti ossessivo-compulsivi è di carattere adattativo e, finché


non sono troppo marcati, le persone con tali tratti ottengono risultati degni di
nota, specialmente nel campo scientifico e in altri campi accademici in cui sono
necessari ordine, perfezionismo e perseveranza. Tuttavia, possono sentirsi a
disagio con ciò che coinvolge i sentimenti, le relazioni interpersonali e le
situazioni di cui non hanno il controllo, in cui devono affidarsi agli altri o in cui gli
eventi sono imprevedibili.

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Disturbi di personalità

Altri tipi di personalità

I disturbi di personalità passivo-aggressivo, ciclotimico e depressivo non sono


inclusi nel DSM-IV. Tuttavia, si tratta di diagnosi potenzialmente utili.

Personalità passivo-aggressiva (negativista): i soggetti con questo disturbo di


personalità appaiono tipicamente incapaci o passivi, ma queste condotte mirano
nascostamente a evitare le responsabilità o a controllare oppure punire gli altri. Il
comportamento passivo-aggressivo si rende spesso evidente attraverso la
procrastinazione, l’inefficienza o attraverso lamentele non realistiche di
incapacità. Spesso, queste persone accettano di eseguire compiti che non
vogliono svolgere e poi compromettono il completamento degli stessi. Tale
comportamento di solito serve a negare o a nascondere l’ostilità o i contrasti.

Personalità ciclotimica (v. anche nel Cap. 189): nelle persone con questo
disturbo di personalità, un buonumore vivace si alterna a tristezza e pessimismo;
tali stati d’animo durano sett. o più. Caratteristicamente, le variazioni cicliche
dell’umore sono regolari e avvengono senza cause esterne giustificabili. Questo
disturbo di personalità è una variante di spettro della malattia maniaco-
depressiva (disturbo bipolare), ma la maggior parte dei soggetti ciclotimici non
sviluppa tale disturbo. La personalità ciclotimica è considerata un temperamento,
presente in molte persone creative e dotate.

Personalità depressiva (masochistica): le persone con un disturbo depressivo


di personalità sono sempre cupe, preoccupate e sofferenti. La loro prospettiva
pessimistica compromette le iniziative e scoraggia le persone che passano molto
tempo con essi. Per loro, essere contenti di se stessi è qualcosa di immeritato
che genera senso di colpa. Hanno la convinzione inconscia che le sofferenze
siano un segno di merito, e che siano necessarie a guadagnare l’amore o
l’ammirazione degli altri. Questo disturbo di personalità è considerato un
temperamento che di solito non causa disfunzione sociale.

Terapia

Il trattamento di un disturbo di personalità richiede molto tempo. I tratti di


personalità quali i meccanismi di difesa, le convinzioni e gli schemi di
comportamento richiedono molti anni per instaurarsi, e cambiano lentamente. I
cambiamenti di solito si verificano secondo una sequenza prevedibile e per
facilitarli sono necessarie diverse modalità di trattamento. La riduzione degli
stress ambientali può eliminare rapidamente sintomi come l’ansia o la
depressione. Comportamenti come l’imprudenza, l’isolamento sociale, la
mancanza di assertività o gli accessi di collera possono essere modificati nel
corso di svariati mesi. La terapia di gruppo e quella comportamentale, a volte nel
contesto di un’assistenza diurna o di strutture residenziali apposite, sono efficaci.
Anche la partecipazione a gruppi di auto-aiuto o la terapia familiare possono
aiutare a cambiare i comportamenti socialmente indesiderabili. La modificazione
comportamentale è importante soprattutto per i pazienti con disturbo di
personalità borderline, antisociale o di evitamento.

I problemi interpersonali come la dipendenza, la diffidenza, l’arroganza o la


manipolatività, di solito necessitano di più di un anno per cambiare. L’unico modo
per ottenere dei cambiamenti nei rapporti interpersonali è una psicoterapia
individuale che aiuti il paziente a comprendere le fonti dei suoi problemi
interpersonali nel contesto di una profonda relazione medico-paziente
collaborativa e non manipolativa. Il terapeuta deve puntualizzare ripetutamente le
conseguenze sgradevoli degli schemi di pensiero e di comportamento del
paziente, e talvolta deve porre dei limiti al suo comportamento. Questa terapia è
fondamentale per i pazienti con disturbo di personalità istrionico, dipendente o
passivo-aggressivo. Per alcuni pazienti affetti da disturbi di personalità che
influenzano il modo di strutturare mentalmente gli atteggiamenti, le aspettative e
le convinzioni (cioè i tipi narcisistico o ossessivo-compulsivo) è indicata la
psicoanalisi, di solito per 3 anni.

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Disturbi di personalità

Principi generali: sebbene il trattamento sia variabile a seconda del tipo di


disturbo di personalità, alcuni principi generali sono applicabili a tutti. I familiari
possono comportarsi in modi che rinforzano o riducono i comportamenti o i
pensieri problematici del paziente, quindi il loro coinvolgimento è utile e spesso
fondamentale.

I farmaci hanno effetti limitati. Possono essere assunti in modo improprio o usati
nei tentativi di suicidio. I farmaci hanno solo una efficacia modesta nel caso di un
disturbo di personalità che causa ansia e depressione. Nei soggetti con disturbi
di personalità, l’ansia e la depressione possono avere un significato positivo, cioè
che la persona sta sperimentando le conseguenze indesiderate del suo disturbo
o sta intraprendendo alcune necessarie riflessioni su di sé.

Poiché i disturbi di personalità sono particolarmente difficili da trattare, è


importante che i terapeuti abbiano esperienza, entusiasmo e capacità di
comprensione delle prevedibili aree di sensibilità emotiva del paziente e delle sue
modalità abituali di coping. La gentilezza e la direttività da sole non cambiano i
disturbi di personalità.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 191-1. Meccanismi di difesa

Meccanismo Definizione Risultato Disturbi di personalità


implicati
Proiezione Attribuzione dei propri Conduce a pregiudizi, Tipica delle personalità
sentimenti inconsci agli rifiuto dell’intimità paranoidi e schizotipiche;
altri attraverso la sospettosità usato dai soggetti con
paranoide, l’ipervigilanza personalità borderline,
nei confronti di pericoli antisociale o narcisistica
esterni e il collezionare sotto stress acuto
ingiustizie
Scissione Percezioni o pensiero di Evita il disagio dei Tipica della personalità
tipo bianco-nero o tutto- sentimenti di ambivalenza borderline
nulla, in cui le persone (cioè, avere sentimenti di
sono divise in salvatori amore e odio per la stessa
idealizzati completamente persona), di incertezza e di
buoni e portatori di male impotenza
completamente cattivi
Passaggio Espressione Implica numerosi atti Molto comune nei soggetti
all’atto comportamentale diretta di delinquenziali, spericolati, con personalità
un desiderio o impulso promiscui e di abuso di antisociale, ciclotimica o
inconscio che consente sostanze, che possono borderline
alla persona di evitare la divenire così abituali che il
consapevolezza dell’affetto soggetto non riconosce e
doloroso o piacevole che respinge i sentimenti che
accompagna tale impulso avevano innescato tali atti
Aggressività Consente ai sentimenti di Implica fallimenti e malattie È alla base dei disturbi di
verso il sé rabbia verso gli altri di che colpiscono più gli altri personalità passivo-
essere espressi verso il che il sé e comportamenti aggressivo e depressivo; è
sé; quando è indiretto, da pagliaccio fatui e marcata nei soggetti con
viene chiamata provocatori personalità borderline, che
aggressione passiva esprimono la rabbia verso
gli altri con automutilazioni
(vedi anche ipocondria,
oltre)
Fantasia Tendenza a usare Associata a eccentricità e Usata dalle persone con
relazioni immaginarie e a evitamento dell’intimità personalità evitante o
sistemi di convinzioni interpersonale schizoide, che in contrasto
personali per risolvere i ai soggetti psicotici, non
conflitti e mitigare la credono alle fantasie e
solitudine quindi non le mettono in
atto

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Manuale Merck - Tabella

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Tossicità dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

302. TOSSICITÀ DEI FARMACI

VALUTAZIONE DELLA TOSSICITA' DEI FARMACI

Sommario:

Introduzione
STUDI SUGLI ANIMALI
Tossicità acuta
Tossicità subcronica
Tossicità cronica

STUDI IN VITRO
STUDI SULL’UOMO
Fase 1
Fase 2
Fase 3
Fase 4

Negli USA, la ricerca in ambito farmacologico è regolata dalla Food and Drug
Administration (FDA). I dati farmacologici e tossicologici relativi agli studi sugli
animali (preclinici) vengono sottoposti alla FDA come parte di una richiesta di
approvazione per un nuovo farmaco sperimentale (Investigational New Drug,
IND). Se questi dati dimostrano che il farmaco è sufficientemente sicuro ed
efficace, vengono intrapresi gli studi sull’uomo (clinici), suddivisi in tre fasi; i dati
relativi a questi studi vengono sottoposti alla FDA come parte di una richiesta di
autorizzazione di un nuovo farmaco (New Drug Application, NDA). Sebbene la
FDA sia tenuta a prendere posizione riguardo a una NDA entro 6 mesi, l’effettiva
approvazione di quest’ultima richiede solitamente da 2 a 3 anni. Il tempo
complessivo necessario per lo sviluppo di un farmaco, dalla presentazione della
IND all’approvazione finale della NDA, si aggira in media tra gli 8 e i 9 anni.

STUDI SUGLI ANIMALI

Prima di poter passare alla sperimentazione sull’uomo, la farmacocinetica, la


farmacodinamica e le proprietà tossicologiche di un farmaco devono essere
valutate e documentate negli animali in ottemperanza alle norme stabilite dalla
FDA (Good Laboratory Practices). A questo proposito sono stati stabiliti due
principi fondamentali: gli effetti delle sostanze chimiche sugli animali di
laboratorio adeguatamente selezionati sono applicabili all’uomo; e la
somministrazione di alte dosi di tali sostanze a questi animali è un metodo
necessario ed efficace per individuare una loro possibile tossicità nell’uomo. Le
alte dosi sono necessarie a causa del numero relativamente ridotto di animali
utilizzati e della necessità di identificare anche le risposte tossiche che hanno
una bassa incidenza.

La sicurezza di un farmaco viene determinata valutandone la tossicità acuta,


subcronica e cronica in diverse specie di animali.

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Tossicità dei farmaci

Tossicità acuta

Gli studi iniziali di tossicità acuta vengono effettuati per determinare la dose letale
(DL50 o DL90, cioè la dose richiesta per uccidere rispettivamente il 50% o il 90%
degli animali di laboratorio), i sintomi indicativi di tossicità e il tempo necessario
per la loro comparsa. Di solito, vengono impiegate almeno tre specie di animali
(compresa una specie di un animale non roditore) e la tossicità acuta viene
determinata con l’utilizzo di più di una via di somministrazione. Negli ultimi anni,
per determinare la letalità è stato impiegato un numero minore di animali, con
una corrispondente riduzione della precisione dei risultati. Per la valutazione della
tossicità complessiva nell’uomo non è necessaria una precisione maggiore,
perché la DL50 o la DL90 hanno un modesto valore predittivo se non sono
accompagnate dai dati provenienti da studi a lungo termine nei quali siano state
impiegate misure della tossicità diverse dalla morte dell’individuo.

Tossicità subcronica

Gli studi di tossicità subcronica, condotti su almeno due specie di animali,


consistono di solito nella somministrazione giornaliera del farmaco per un periodo
che può arrivare fino a 90 gg. In ciascuna specie vengono utilizzati almeno tre
dosaggi diversi, variabili tra i livelli terapeutici previsti e livelli sufficientemente
elevati da provocare tossicità. Idealmente, il farmaco viene somministrato
all’animale attraverso la stessa via d’ingresso che verrà usata nelle
sperimentazioni sull’uomo. Durante tutto il periodo dello studio vengono eseguiti
esami fisici e indagini di laboratorio. Al termine dello studio, gli animali vengono
sacrificati e si eseguono esami anatomopatologici per identificare gli organi colpiti.

Tossicità cronica

Gli studi di tossicità cronica, condotti in almeno due specie (compresa una specie
di un animale non roditore), durano solitamente per tutta la vita dell’animale (fino
a 2 anni nei roditori o più a lungo nei non roditori), ma la loro durata può
dipendere dalla durata di somministrazione del farmaco prevista per l’uomo.
Vengono usati tre livelli di dosaggio, variabili da una bassa dose non tossica a
una dose superiore al dosaggio terapeutico previsto, la quale sia tossica quando
viene somministrata a lungo termine. Durante tutto il periodo della
somministrazione del farmaco vengono eseguiti esami fisici e indagini di
laboratorio a intervalli prefissati. Periodicamente vengono sacrificati alcuni
animali per effettuare esami macroscopici e istologici. Sulla base di questi
risultati, i ricercatori stabiliscono quali organi vengono colpiti e se il farmaco è
potenzialmente cancerogeno.

In aggiunta, vengono effettuati test riproduttivi estensivi nei ratti e nei conigli allo
scopo di identificare alterazioni del ciclo riproduttivo ed effetti teratogeni. Questi
test e gli studi di tossicità cronica possono essere condotti contemporaneamente
agli studi iniziali sull’uomo, particolarmente quando il farmaco è destinato
unicamente all’impiego a breve termine nella nostra specie.

STUDI IN VITRO

L’interesse per gli studi di tossicità in vitro, che forniscono risultati più rapidi
rispetto agli studi sugli animali e sono più economici, sta crescendo
progressivamente. L’attenzione è focalizzata sulla mutagenicità e il test più
diffuso è la bioanalisi di Ames. Una sostanza chimica che si dimostra mutagena
per i batteri può essere cancerogena per i mammiferi. I test di tossicità in vitro
non possono sostituire gli studi sugli animali e forniscono esclusivamente

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Tossicità dei farmaci

informazioni di supporto nel processo di analisi; le industrie farmaceutiche li


utilizzano per focalizzare l’attenzione su specifiche sostanze chimiche per studi
aggiuntivi in vivo e per lo sviluppo farmacologico. Comunque sia, il ruolo di questi
studi nello sviluppo dei farmaci è andato aumentando. Gli studi in vitro vengono
usati per prevedere le vie di metabolizzazione dei farmaci nell’uomo, le quali
possono essere diverse da quelle degli animali di laboratorio. L’utilizzo in vitro di
linee cellulari che esprimono i principali enzimi umani deputati al metabolismo dei
farmaci può aiutare a prevedere la formazione nell’uomo di nuovi metaboliti che
gli studi sugli animali non riuscirebbero a identificare. I dati degli studi in vitro
possono essere presentati a corredo degli studi convenzionali di assorbimento,
distribuzione, metabolismo ed escrezione.

STUDI SULL’UOMO

Gli studi sull’uomo devono procedere attraverso tre fasi prima che la FDA approvi
un nuovo farmaco per l’introduzione in commercio. (Gli studi sull’impiego
generale del farmaco eseguiti dopo la sua approvazione e la
farmacosorveglianza successiva all’entrata in commercio possono essere
considerati come una quarta fase.) Gli studi sull’uomo sono necessari perché una
quota ritenuta 50% dei più comuni effetti indesiderati (p. es., la depressione, la
pirosi, la cefalea, i ronzii auricolari) non può essere identificata negli studi sugli
animali. Poiché gli effetti tossici dei farmaci e l’aumento della gravità della
sintomatologia dovuto alla loro inefficacia sono rischi presenti in tutti gli studi
condotti sull’uomo, per tutelare chi partecipa allo studio sono necessarie alcune
misure di garanzia, come le commissioni di controllo istituzionali (Institutional
Review Boards, IRB) e il consenso informato.

Fase 1

Negli studi di fase 1, un nuovo farmaco viene somministrato per la prima volta
all’uomo, solitamente a un piccolo numero (da 20 a 80) di volontari sani di sesso
maschile di età compresa tra i 18 e i 45 anni. Lo scopo è quello di identificare il
livello di dosaggio al quale i segni di tossicità fanno la loro prima comparsa
nell’uomo e quindi di determinare una dose sicura ben tollerata. Poiché l’end-
point di questi studi è la tossicità, il consenso informato è un requisito
imprescindibile e i partecipanti devono essere attentamente seguiti da personale
medico con possibilità di accesso a strutture di emergenza. Prima che la fase 1
possa cominciare, viene sottoposto alla FDA un protocollo che descrive le
condizioni sperimentali e il personale coinvolto nello studio clinico, protocollo che
viene approvato dalla IRB; se la FDA approva il protocollo, essa emette
un’autorizzazione di esenzione IND.

Inizialmente, ogni partecipante riceve una dose singola del farmaco e viene
controllato attentamente per identificare la comparsa di eventuali reazioni
avverse. Se non ne compare alcuna, la dose del farmaco viene
progressivamente aumentata fino a che non vengono raggiunti una dose o un
livello sierico prestabiliti, oppure finché non compare tossicità. Possono essere
misurati anche l’assorbimento, il metabolismo e l’escrezione.

Fase 2

Gli studi di fase 2 cominciano dopo che sono state ottenute prove preliminari
soddisfacenti della sicurezza del farmaco. Essi comprendono la
somministrazione controllata del farmaco a circa 80-100 pazienti, per il
trattamento o la profilassi della malattia alla quale il farmaco è rivolto. Idealmente,
i pazienti non devono avere problemi di salute diversi dalla patologia cui si
riferisce lo studio. Di solito gli studi di fase 2 sono randomizzati e mettono a
confronto il nuovo farmaco con il farmaco prototipico per la patologia in

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Tossicità dei farmaci

questione, se ne esiste uno. Spesso questi studi rappresentano la prima


opportunità per osservare l’effetto della somministrazione prolungata del farmaco
nell’uomo. Lo scopo della fase 2 è quello di stabilire un intervallo dose-risposta
ottimale per il nuovo farmaco e di verificare la sua efficacia per la malattia alla
quale è destinato. I partecipanti vengono inoltre controllati per la comparsa di
effetti indesiderati; poiché la popolazione di questi studi è più numerosa, è
possibile che ne vengano identificati di nuovi. Questa fase è la più critica, perché
i suoi risultati vengono utilizzati per determinare se sia il caso di procedere o
meno a studi estesi su popolazioni ampie.

Fase 3

Dopo che le fasi 1 e 2 hanno fornito prove ragionevoli della sicurezza e


dell’efficacia del farmaco, cominciano gli studi di fase 3; essi continuano fino a
quando il composto non viene approvato per l’uso generale. Essi possono
coinvolgere molti medici, che possono seguire da diverse centinaia a diverse
migliaia di pazienti. Lo scopo è quello di verificare l’efficacia del farmaco e di
individuare gli effetti che possono non essersi presentati durante le fasi 1 e 2, in
modo che lo sponsor e la FDA possano stabilire che il farmaco è sicuro ed
efficace per l’uso per il quale è stato concepito.

Non esistono regole definitive per stabilire in cosa consistano realmente la


sicurezza e l’efficacia, le quali devono essere giudicate in relazione alla patologia
da trattare e alle terapie alternative esistenti. Quando sono stati raccolti dati
sufficienti a giustificare l’uso continuativo del farmaco, viene presentata una NDA.
Solitamente, a questo punto sono trascorsi 4 anni o più da quando il farmaco,
sulla base della selezione farmacologica originale, era stato scelto per la
sperimentazione.

Fase 4

Gli studi di fase 4 vengono condotti dopo che il farmaco è stato approvato; essi
sono studi in progressione effettuati su grandi popolazioni. Spesso vi vengono
comprese sottopopolazioni particolari, come le donne in gravidanza, i bambini o
gli anziani; l’inserimento di tali sottopopolazioni negli studi sperimentali prima che
il farmaco venga approvato potrebbe essere discutibile sia dal punto di vista etico
(p. es., perché espone i feti a determinati rischi) sia da quello scientifico (p. es.,
perché introduce variabili sconosciute).

Gli studi di fase 4 sono in grado di individuare gli effetti indesiderati caratterizzati
da una bassa incidenza. Gli studi preclinici e clinici sono relativamente poco
sensibili, essendo in grado di evidenziare le reazioni farmacologiche avverse che
si verificano con una frequenza > 1 su 1000 somministrazioni. Per molti farmaci,
una frequenza di 1 su 10000 o 1 su 50000 può essere rilevante dal punto di vista
clinico e può essere determinata soltanto con la sorveglianza successiva alla
commercializzazione dopo l’approvazione della NDA. Essa permette di
individuare nuovi effetti terapeutici o tossici, compresi quelli rari o a lungo termine
non identificabili in un piccolo numero di pazienti.

Le affermazioni dello sponsor riguardo alla sicurezza e all’efficacia del farmaco,


che compaiono sugli opuscoli e sui foglietti illustrativi, vengono recensite e
approvate dalla FDA. Relazioni sullo stato degli studi di fase 4 in corso devono
essere inviate alla FDA ogni 3 mesi durante il primo anno, ogni 6 mesi durante il
secondo e annualmente in seguito. Le relazioni devono comprendere
informazioni circa la quantità di farmaco distribuito e una copia del materiale
pubblicitario, delle etichette e dei foglietti illustrativi. Lo sponsor deve notificare
alla FDA il verificarsi di qualsiasi effetto indesiderato, danno e reazione allergica
o tossica che non siano stati previsti inizialmente. In questo modo, la FDA
continua a controllare e a garantire la sicurezza e l’efficacia dei farmaci anche
dopo la loro commercializzazione.

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Tossicità dei farmaci

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Tossicità dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

302. TOSSICITÀ DEI FARMACI

REAZIONI AVVERSE AI FARMACI

Sommario:

Introduzione
Categorie di reazioni avverse ai farmaci
Prevenzione e terapia

Le reazioni avverse ai farmaci (Adverse Drug Reactions, ADR) comprendono


un’ampia varietà di reazioni farmacologiche di tipo tossico che si verificano
durante il trattamento. Il termine esclude di solito il sovradosaggio non
terapeutico (p. es., la tossicità dovuta all’assunzione accidentale o a scopo di
suicidio) e la mancanza di efficacia.

I medici hanno un ruolo importante nel documentare le ADR, in particolar modo


quelle dovute ai farmaci di recente commercializzazione. Anche quando i medici
non sono in grado di attribuire un ruolo causale al farmaco, essi devono
segnalare tutte le ADR gravi o inaspettate al programma di sorveglianza sulle
ADR della FDA, il MedWatch, un’organizzazione per la vigilanza precoce. Solo
attraverso tali segnalazioni le ADR non previste possono essere identificate e
studiate più a fondo. Il MedWatch tiene sotto controllo anche le modificazioni
della natura o della frequenza delle ADR legate all’invecchiamento della
popolazione, le modificazioni della malattia in sé e l’introduzione di nuove terapie
concomitanti. La Physicians’ Desk Reference e le AMA Drug Evaluations
contengono moduli di semplice compilazione destinati alla segnalazione delle
ADR alla FDA. I moduli vengono spediti a tutti i medici almeno una volta l’anno
come parte del FDA Drug Bulletin e possono essere richiesti 24 ore su 24
chiamando il numero 031- 800-FDA-1088. Informazioni sulle ADR in via di
segnalazione sono disponibili presso il sito Internet www.fda.gov/medwatch.
Anche gli infermieri, i farmacisti e altre figure professionali che operano nel
campo della sanità dovrebbero segnalare le ADR.

Le reazioni avverse vengono solitamente classificate in: lievi (che non richiedono
un antidoto, una terapia o il prolungamento della degenza ospedaliera); moderate
(che richiedono una modificazione del regime di dosaggio del farmaco, ma non
necessariamente la sua sospensione e possono prolungare la degenza
ospedaliera o richiedere un trattamento specifico); gravi (che sono
potenzialmente pericolose per la vita, richiedendo la sospensione del farmaco e
un trattamento specifico); o letali (che concorrono in modo diretto o indiretto alla
morte del paziente).

Per i farmaci in commercio negli USA, le ADR sono responsabili del 3-7% di tutti i
ricoveri ospedalieri. In alcuni studi prospettici, si sono verificate ADR nel corso
del 10-20% dei ricoveri ospedalieri e circa il 10-20% di esse era di grave entità.
L’incidenza della morte da ADR è sconosciuta; sono stati suggeriti tassi oscillanti
tra lo 0,5 e lo 0,9%, ma essi includono molti pazienti con patologie gravi e
complesse.

L’incidenza e la gravità delle ADR possono essere influenzate da fattori legati al


paziente (p. es., l’età, il sesso, le malattie, i fattori genetici, i fattori geografici) e
da fattori legati al farmaco (p. es., il tipo di farmaco, la via di somministrazione, la
durata della terapia, il dosaggio e la biodisponibilità). Per esempio, negli anziani
l’incidenza è probabilmente più alta e la gravità è superiore. Non è chiaro quale

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Tossicità dei farmaci

sia la misura in cui gli errori di prescrizione e la mancanza di compliance da parte


del paziente contribuiscono all’incidenza delle ADR.

Le cause più comunemente segnalate di morte da farmaci sono: l’emorragia GI e


l’ulcera peptica (da corticosteroidi, aspirina, altri farmaci antiinfiammatori o
anticoagulanti); le altre emorragie (da anticoagulanti o farmaci citotossici);
l’anemia aplastica (da cloramfenicolo, fenilbutazone, sali d’oro o farmaci
citotossici); il danno epatico (da clorpromazina o isoniazide); l’insufficienza renale
(da analgesici); le infezioni (da corticosteroidi o farmaci citotossici); e l’anafilassi
(da penicillina o antisieri). L’allergia è un meccanismo importante nelle reazioni
non letali ai farmaci, ma lo è meno come causa di morte.

Categorie di reazioni avverse ai farmaci

La maggior parte delle ADR è correlata alla dose. Le reazioni dose-dipendenti


sono di solito prevedibili, mentre quelle non correlate alla dose sono solitamente
imprevedibili. Nelle ADR dose-dipendenti, la natura della reazione avversa è
determinata dalle proprietà della molecola del farmaco e non sono necessarie
precedenti esposizioni a esso perché avvenga una reazione.

Gli effetti collaterali possono essere definiti come effetti farmacologici prevedibili
dose-dipendenti che si verificano nell’ambito dei dosaggi terapeutici e che sono
indesiderabili in un determinato contesto terapeutico. Per esempio, la diarrea è
un effetto collaterale di molti antibiotici orali; essa compare perché gli antibiotici
distruggono non soltanto i batteri che infettano i tessuti ma anche quelli che
costituiscono la flora microbica normale del tratto GI. Qualche volta gli effetti
collaterali si rivelano utili. Per esempio la sonnolenza prodotta dagli antiistaminici,
che è indesiderabile nel trattamento delle allergie durante le ore diurne, può
essere utile al momento di coricarsi se il paziente ha un’insonnia associata.

La tossicità da sovradosaggio è il tipo di tossicità che si verifica in maniera


prevedibile con dosi al di sopra del range terapeutico per un determinato
paziente. Essa è un fenomeno in parte sovrapposto al tipo di tossicità degli effetti
collaterali, specialmente nel caso di farmaci con indice terapeutico ristretto. La
gravità della reazione è solitamente dose-dipendente (p. es., le emorragie da
anticoagulanti orali, le convulsioni da anestetici locali). La tossicità da
sovradosaggio può essere la conseguenza di una diminuzione della clearance
del farmaco in pazienti con compromissione della funzionalità epatica o renale.

Le allergie ai farmaci non sono dose-dipendenti, sono frequenti e causano una


grave tossicità. Esse si sviluppano quando la reattività di un paziente è alterata a
causa di un precedente contatto con un farmaco che si comporta da antigene o
da allergene. I sintomi e i segni sono determinati dalle interazioni antigene-
anticorpo e sono ampiamente indipendenti dalle proprietà farmacologiche del
farmaco. Le reazioni allergiche non sono completamente imprevedibili; la raccolta
di una storia clinica approfondita e l’esecuzione di test cutanei appropriati
possono identificare gli individui a rischio.

Idiosincrasia è un termine impreciso che viene usato per designare reazioni


avverse inaspettate e peculiari che si verificano in una piccola percentuale di
individui in occasione dell’assunzione di un farmaco. Tali reazioni non sono
legate alle proprietà farmacologiche conosciute del farmaco e non sono di natura
inequivocabilmente allergica. Ne sono esempi l’emolisi acuta da sulfamidici, la
neuropatia periferica da isoniazide e l’anemia aplastica da cloramfenicolo.
L’idiosincrasia è stata definita come una reattività anomala a un farmaco
determinata geneticamente, ma non tutte le reazioni idiosincrasiche riconoscono
una causa farmacogenetica. Il termine potrebbe diventare obsoleto man mano
che diventano noti i meccanismi specifici responsabili delle ADR. Per esempio,
l’emolisi da sulfamidici è legata a un deficit genetico dell’enzima G6PD e la
neuropatia periferica da isoniazide è legata a una predisposizione genetica
all’acetilazione lenta del farmaco.

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Tossicità dei farmaci

Prevenzione e terapia

La prevenzione delle ADR richiede una certa conoscenza del farmaco e delle
potenziali reazioni verso di esso. Le ADR di lieve entità spesso possono essere
riconosciute prima che diventino gravi.

Se si manifesta una ADR devono esserne identificati, se possibile, il tipo e i fattori


precipitanti (p. es., la tossicità da digitale conseguente all’ipokaliemia dovuta a
una terapia diuretica concomitante). Per le ADR dose-dipendenti, la
modificazione del dosaggio o l’eliminazione o la riduzione dei fattori precipitanti
può essere sufficiente. Raramente si rende necessario l’aumento della velocità di
eliminazione del farmaco. Per le ADR dose-indipendenti, solitamente bisogna
sospendere il farmaco ed evitare di venire nuovamente a contatto con esso.

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Tossicità dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

302. TOSSICITÀ DEI FARMACI

CANCEROGENESI

Un cancerogeno è un agente chimico o fisico in grado di produrre una neoplasia


maligna. Una sostanza chimica viene considerata un cancerogeno se produce
tipi di tumori non osservati nei controlli, se il numero o il tipo dei tumori insorti
negli animali trattati è superiore a quello dei controlli, oppure se i tumori si
sviluppano più precocemente negli animali trattati che in quelli di controllo.

Fattori ambientali o nutrizionali sono probabilmente responsabili di una


percentuale di tumori umani che arriva al 90%. Questi fattori comprendono il
fumo, le abitudini alimentari e l’esposizione alla luce solare, a sostanze chimiche
e a farmaci. Fattori genetici e virali e le radiazioni possono rendere conto dei
rimanenti.

Identificare i cancerogeni è difficile. La maggior parte degli effetti cancerogeni


delle sostanze chimiche è ritardata; un ritardo oscillante tra 20 e 30 anni non è
inconsueto. Conseguentemente, tali effetti vengono individuati raramente nel
corso degli studi clinici precoci su un nuovo farmaco. Le sostanze chimiche
capaci di produrre il cancro negli animali di laboratorio hanno strutture differenti,
indicando che nella cancerogenesi possono essere coinvolti molti meccanismi.
La cancerogenesi probabilmente è legata a molti promotori chimici diversi e si
verifica come un processo a più passaggi, che comincia con l’avvio delle
alterazioni cellulari e prosegue con lo sviluppo del tumore e la proliferazione delle
cellule tumorali. La maggior parte delle sostanze cancerogene è rappresentata
da sostanze chimiche non reattive (procancerogeni o cancerogeni secondari) che
vengono convertite in cancerogeni all’interno dell’organismo.

I cancerogeni possono essere classificati in genotossici ed epigenetici. I


cancerogeni genotossici includono tutti i cancerogeni primari e ad azione diretta e
numerosi procancerogeni o cancerogeni secondari. Essi si comportano come
reagenti elettrofili e alterano direttamente il DNA, dando origine in tal modo a una
cellula anormale (iniziazione). I cancerogeni epigenetici sono quelli per i quali
non è stata dimostrata genotossicità. Essi includono la maggior parte dei
cancerogeni farmacologici identificati, l’asbesto e la silice, numerosi ormoni e
immunosoppressori e i cocancerogeni e i promotori (v. Tab. 142-2), i quali non
sono cancerogeni di per sé ma potenziano gli effetti di un cancerogeno. I
cancerogeni epigenetici possono agire permettendo a cellule tumorali allo stato
latente di proliferare.

L’identificazione della potenziale cancerogenicità di un farmaco associato a una


bassa incidenza tumorale è difficile nel corso della fase di valutazione iniziale.
Normalmente, in uno studio o per una determinata dose vengono utilizzati
100 animali; in questo modo, per essere statisticamente significativa, l’incidenza
dello sviluppo di un tumore dovrebbe superare il 4%, che è un valore
estremamente alto per la maggior parte dei farmaci. I test di mutagenicità a breve
termine stanno diventando un metodo ragionevolmente accurato per
l’identificazione dei cancerogeni potenziali prima che vengano intrapresi studi su
vasta scala sull’uomo e potrebbero diventare predittori anche migliori della
cancerogenicità nella specie umana.

I farmaci con un alto potenziale cancerogeno devono essere evitati, ma le


decisioni terapeutiche dipendono dall’analisi dei rischi e dei benefici. Per
esempio, nonostante i farmaci chemioterapici alchilanti siano potenti cancerogeni
in diversi animali, rifiutarsi di impiegarli in un paziente con una malattia
potenzialmente letale è illogico. La situazione è analoga nel caso dell’esposizione

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Tossicità dei farmaci

ai raggi X, che possono essere anch’essi cancerogeni.

In realtà viene utilizzato un numero molto ridotto di farmaci per i quali esistono
prove convincenti di cancerogenicità nell’uomo. Raramente, i contraccettivi orali
sembrano causare adenomi epatici, la cui crescita è benigna ma che sono
estremamente vascolarizzati e possono provocare emorragie fatali. La reserpina
è stata associata con il tumore della mammella in studi caso-controllo, ma
l’associazione non è stata confermata da studi di coorte. Prove convincenti
suggeriscono che alcune sostanze chimiche prive di attività farmacologica sono
cancerogene. Queste prove comprendono un’associazione tra le aflatossine e
l’epatoma, tra il cloruro di vinile e l’emangiosarcoma epatico, tra i catrami minerali
e il carcinoma cutaneo, tra il fumo di sigaretta e il carcinoma polmonare, tra i
coloranti anilinici e i tumori della vescica.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 142-2. COMUNI CANCEROGENI CHIMICI

Cancerogeno Tipo di neoplasia


Cancerogeni professionali
Catrame e olio minerale Tumori della cute

Arsenico Tumore del polmone e della cute

Asbesto Tumore del polmone, mesotelioma

Tinture per capelli e amine aromatiche Tumore della vescica

Benzene Leucemia

Nichel Tumore del polmone e del seno nasale

Formaldeide Tumore nasale, tumore del rinofaringe

Cloruro di vinile Angiosarcoma epatico

Materiali per pitture, pesticidi non Tumore del polmone


arsenicali, prodotti di combustione dei
carburanti, fibre minerali artigianali

Cancerogeni legati ad abitudini di vita


Alcol Tumore dell’esofago, tumore dell’orofaringe

Betel Tumori dell’orofaringe

Tabacco Tumori di testa-collo, polmone, esofago, vescica

Farmaci cancerogeni*
Agenti alchilanti Leucemia

Dietistilbestrolo Epatocarcinoma, tumore vaginale nei feti esposti

Ossimetolone Tumore del fegato

Thorotrast Angiosarcoma

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Manuale Merck - Tabella

*Gli operatori sanitari esposti a farmaci antineoplastici sono anche a rischio per gli effetti sfavorevoli
sulla riproduzione.

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Tossicità dei farmaci

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

302. TOSSICITÀ DEI FARMACI

RAPPORTO RISCHI-BENEFICI

Per ogni situazione clinica e ogni paziente, il rischio deve essere soppesato in
rapporto ai benefici, tenendo presenti gli effetti qualitativi e quantitativi
dell’impiego di un farmaco e il probabile esito finale della patologia nel caso in cui
il farmaco non venga somministrato. La terapia farmacologica è giustificata
soltanto se i potenziali benefici sono superiori ai rischi. La decisione dipende da
un’adeguata conoscenza del paziente, della malattia e della sua storia naturale,
nonché dalla conoscenza del farmaco e dei suoi potenziali effetti indesiderati.

L’espressione "rapporto rischi-benefici" viene usata spesso, ma non esistono


previsioni numeriche del rischio e del beneficio e la divisione matematica (ai fini
di ottenere un rapporto) non viene mai eseguita. Una definizione più appropriata
è quella di analisi rischi-benefici.

Nell’analisi rischi-benefici relativa a uno specifico paziente devono essere tenuti


in considerazione molti fattori. Ogni paziente reagisce in modo diverso ai farmaci
e alle sostanze chimiche. I fattori legati al paziente comprendono l’età, il sesso, la
gravidanza, l’attività lavorativa, il contesto sociale e le caratteristiche genetiche.
Ogni fattore, da solo o associato ad altri, può influenzare il decorso e la gravità
della malattia o la risposta a un farmaco. Per esempio, i pazienti molto giovani o
molto anziani affetti da polmonite che richiede una terapia aggressiva hanno una
prognosi sfavorevole; il feto è sensibile a farmaci che possono essere
relativamente sicuri per una donna che non sia in gravidanza; e il deficit genetico
di colinesterasi o l’esposizione industriale agli organofosfati provoca un aumento
della sensibilità ai miorilassanti depolarizzanti. Un paziente di 60 anni con
aterosclerosi, riduzione del flusso ematico cerebrale e PA di 200/120 mm Hg
richiede una terapia antiipertensiva differente da quella di un paziente giovane
altrimenti sano con gli stessi valori di PA, perché pone il problema di un obiettivo
terapeutico aggiuntivo: il ripristino del flusso ematico cerebrale in presenza di
aterosclerosi.

Devono essere considerati anche i fattori legati alla patologia, come il decorso
clinico, la durata, la morbilità e la mortalità. Trattare una malattia autolimitantesi
che causa un disturbo modesto (p. es., un herpes labialis) con un potente
farmaco sistemico (p. es., la vidarabina) è illogico; tuttavia, trattare una malattia
solitamente fatale (p. es., l’encefalite erpetica) con tale terapia può essere
giustificato. I farmaci chemioterapici sono potenti e di solito provocano effetti
collaterali debilitanti; ciò nonostante, tali farmaci possono essere necessari nel
trattamento dei tumori maligni o di altre malattie gravi.

I fattori legati al farmaco comprendono: la frequenza, la gravità e la prevedibilità


delle ADR; la relazione tra tali reazioni e il dosaggio; e la disponibilità di misure di
prevenzione o trattamento delle ADR e di farmaci o terapie alternativi. Per
esempio, l’anafilassi da penicillina, che è rara ma potenzialmente fatale, può
essere evitata raccogliendo un’anamnesi adeguata ed eseguendo opportuni test
cutanei. Se si verifica anafilassi e il medico è preparato ad affrontarla, essa può
essere trattata con successo. La penicillina, quindi, non deve essere scartata a
priori nei pazienti con faringite streptococcica a causa del rischio di anafilassi.
D’altro canto l’uso del cloramfenicolo, un altro efficace trattamento per la faringite
streptococcica, non è giustificato perché esistono alternative più sicure. Il
farmaco può causare anemia aplastica, la quale sebbene sia relativamente rara,
è imprevedibile e spesso irreversibile e fatale. Tuttavia, per una malattia grave
come la meningite da Haemophilus influenzae esistono poche alternative
terapeutiche e l’impiego del cloramfenicolo può essere giustificato.

file:///F|/sito/merck/sez22/3022775.html (1 of 2)02/09/2004 2.07.06


Tossicità dei farmaci

Di un farmaco va anche tenuta in considerazione l’efficacia, comprendente la


prevedibilità di una risposta favorevole, la natura dell’effetto (sintomatico o
curativo), la relazione tra dose ed effetto e la durata dell’effetto favorevole. La
leucemia linfoblastica acuta nei bambini risponde alle associazioni
chemioterapiche aggressive, che sono pertanto giustificate. Nondimeno,
l’impiego di una chemioterapia aggressiva è discutibile per neoplasie come il
carcinoma gastrico, nel quale la risposta è scarsa e la chemioterapia può
aumentare la morbilità.

L’impiego giudizioso delle associazioni farmacologiche può aumentare i benefici


e ridurre i rischi. Per esempio, nel trattamento dell’ipertensione, l’uso di un
diuretico tiazidico in associazione con un β-bloccante contrasta la tendenza del β-
bloccante a causare ritenzione di liquidi dovuta all’ipotensione, e l’uso del
potassio insieme con la furosemide contrasta la tendenza della furosemide a
causare una perdita eccessiva di potassio e ipokaliemia.

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Monitoraggio del trattamento farmacologico

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

303. MONITORAGGIO DEL TRATTAMENTO


FARMACOLOGICO

FINESTRA TERAPEUTICA

Range di concentrazioni plasmatiche di un farmaco cui corrisponde un’alta


probabilità di successo terapeutico.

La finestra terapeutica relativa a una popolazione tipica talvolta è inappropriata


per un singolo paziente.

Se un farmaco è legato alle proteine plasmatiche ed è prevedibile un’alterazione


del legame proteico, la concentrazione totale del farmaco (legato e libero) deve
essere modificata in modo da ottenere la concentrazione di farmaco libero
desiderata. Per esempio, il legame all’albumina (tipico di molti farmaci acidi) si
riduce nelle nefropatie allo stadio terminale, nella cirrosi, nell’ipoalbuminemia,
nelle ustioni gravi e durante la gravidanza, e il legame all’α glicoproteina acida e
1-
alle lipoproteine (tipico di molti farmaci alcalini) è aumentato durante lo stress e
ridotto nelle epatopatie croniche. La finestra terapeutica desiderata o la
concentrazione plasmatica totale del farmaco terapeuticamente equivalente a
quella che si osserva quando il legame avviene normalmente, può essere
calcolata in un singolo paziente in base alla formula

(La frazione libera abituale e la concentrazione abituale si riferiscono alla


popolazione generale dei pazienti e la frazione libera prevista si riferisce al
paziente singolo.) Per la fenitoina, la frazione libera nell’insufficienza renale grave
può aumentare da 0,1 a un valore previsto di circa 0,25. Pertanto, la finestra
terapeutica abituale per la concentrazione totale, fra 7 e 20 mg/l (fra 30 e 80 µmol/
l), deve essere portata a un valore compreso fra 3 e 8 mg/l (fra 10 e 30 µmol/l) per
ottenere concentrazioni libere simili.

file:///F|/sito/merck/sez22/3032776b.html02/09/2004 2.07.07
Monitoraggio del trattamento farmacologico

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

303. MONITORAGGIO DEL TRATTAMENTO


FARMACOLOGICO

VALUTAZIONE DI UNA CONCENTRAZIONE OSSERVATA

Sommario:

Introduzione
Interpretazione dei dati
Calcolo dei valori dei parametri
Cinetiche dipendenti dalla concentrazione
Fattori complicanti

La valutazione della concentrazione plasmatica osservata di un farmaco richiede


la raccolta di una serie di dati ad essa attinenti (v. Tab. 303-4). L’eventuale
necessità di informazioni aggiuntive (p. es., sulla funzionalità renale, epatica e
cardiovascolare, sulle proteine sieriche, sui metaboliti attivi e sui metodi di
dosaggio) varia a seconda del farmaco e della situazione.

Interpretazione dei dati

Si possono utilizzare due tipi di approcci: il valore osservato può essere


paragonato con il valore previsto al fine di identificare problemi come la
mancanza di compliance (mancata adesione), l’alta o bassa biodisponibilità o
l’eliminazione insolitamente lenta o rapida; oppure si possono determinare i
parametri farmacocinetici del farmaco nel paziente in modo da riuscire a stabilire
il dosaggio appropriato.

La conoscenza dell’andamento temporale del dosaggio e dei tempi di prelievo dei


campioni aiuta a stabilire se i valori osservati rappresentano la concentrazione
minima, media o massima allo stato di equilibrio durante un regime di
somministrazione a dosi fisse e intervalli fissi, oppure se rappresentano una
concentrazione in stato di non equilibrio ottenuta poco tempo dopo l’inizio della
somministrazione del farmaco o dopo un regime posologico irregolare.

Stato di equilibrio: per il calcolo della concentrazione media allo stato di


equilibrio con un regime posologico a dosi fisse e intervalli fissi, dopo la
somministrazione si devono prelevare campioni di plasma per un periodo pari ad
almeno tre emivite e la fluttuazione della concentrazione del farmaco
nell’intervallo tra una dose e l’altra deve essere piccola, soprattutto se il
campione di sangue viene prelevato subito prima della dose successiva. La
fluttuazione è piccola se l’intervallo tra le dosi è inferiore a un’emivita (p. es.,
somministrazione giornaliera di fenobarbital, la cui emivita è di circa 4 giorni).
Possono quindi essere paragonate la concentrazione osservata e quella prevista.

La concentrazione media prevista (Cav), è funzione dei valori previsti di


biodisponibilità (F), clearance (CL) e velocità di somministrazione (dose [D]divisa
per l’intervallo tra le dosi [τ], o D/ τ):

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Monitoraggio del trattamento farmacologico

Se il rapporto tra la concentrazione osservata e quella prevista è > 1, allora la


quantità di farmaco introdotta è maggiore del previsto o l’eliminazione è più lenta,
oppure entrambe; se il rapporto è < 1, è vero il contrario. Le cause di alterazione
dell’ingresso o dell’eliminazione dei farmaci sono riassunte nella Tab. 303-5.

Fluttuazioni allo stato di equilibrio: i regimi posologici di molti farmaci


producono ampie

fluttuazioni della concentrazione plasmatica. L’intervallo tra una somministrazione


e l’altra può essere corrispondente o superiore all’emivita, oppure gli intervalli di
somministrazione possono essere variabili (p. es., q 4 h per 4 dosi, seguite da un
intervallo di 12 h, come in un regime 9-13-17-21).

Quando la fluttuazione è notevole, il campione di sangue viene solitamente


prelevato subito prima della dose successiva. In un regime a dosi fisse (D) e
intervalli fissi, allo stato di equilibrio la concentrazione minima (Cmin) attesa subito
prima della dose successiva è

dove V è il volume apparente di distribuzione. I valori osservati e quelli previsti


possono essere confrontati.

Un campione prelevato subito dopo una dose EV oppure al momento del picco di
concentrazione dopo una dose orale, spesso non è affidabile come misura della
concentrazione massima perché l’assorbimento e la distribuzione del farmaco
possono essere incompleti in quel momento e perché esiste una variabilità
individuale e interindividuale. Tuttavia, quando l’assorbimento e la distribuzione
sono rapidi (p. es., dopo una somministrazione IM di aminoglicosidi) la
misurazione della concentrazione plasmatica poco dopo la somministrazione e in
prossimità del tempo di picco può essere utile, se tale concentrazione è correlata
all’effetto del farmaco.

Stato di non equilibrio: se viene prelevato un campione di plasma quando il


farmaco non si è ancora accumulato completamente o dopo un regime a dosi e
intervalli irregolari, i principi dello stato di equilibrio non si possono applicare.
Tuttavia, è possibile usare altri metodi (v. oltre).

Calcolo dei valori dei parametri

Il metodo più utile per regolare il dosaggio è quello di calcolare la clearance e


talvolta il volume apparente di distribuzione e l’emivita, a partire dalle
concentrazioni plasmatiche osservate del farmaco. La clearance è il parametro
più utile perché può essere impiegato per prevedere la relazione tra il dosaggio e
la concentrazione plasmatica del farmaco.

Da una concentrazione allo stato di equilibrio: se la concentrazione


plasmatica di un farmaco costituisce una buona stima della concentrazione
media allo stato di equilibrio con un regime a dosi e intervalli fissi, se la
biodisponibilità non è soggetta a variazioni e se la compliance è garantita, il
rapporto clearance/biodisponibilità viene facilmente calcolato esplicitando

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Monitoraggio del trattamento farmacologico

l’equazione 1 rispetto a esso:

Per esempio, se la concentrazione plasmatica osservata di digossina è di 1,2 µg/l


(1,5 nmol/l) dopo la somministrazione prolungata di 0,125 mg/ die EV, il rapporto
clearance/biodisponibilità è di 104 l/die (4,33 l/h).

Se viene misurata una concentrazione minima allo stato di equilibrio, se si


prevedono fluttuazioni ampie (l’intervallo fra le dosi è superiore all’emivita) e se il
farmaco viene somministrato EV o l’assorbimento è rapido, la clearance è

(ln = logaritmo naturale). Per esempio, la concentrazione plasmatica della


gentamicina è soggetta ad ampie fluttuazioni perché l’intervallo abituale di
somministrazione (8 h) è superiore all’emivita abituale (2 h). Se la concentrazione
minima di gentamicina osservata allo stato di equilibrio è di 3 mg/l (6,3 µmol/l) in
un paziente di 70 kg trattato con 80 mg EV q 8 h, la clearance è di 2,0 l/h (F = 1,
V = 0,25 l/kg). L’attendibilità del calcolo dipende da fattori come la variabilità del
volume apparente di distribuzione e della biodisponibilità, gli errori nelle analisi e
la validità dei presupposti descritti.

Il dosaggio necessario per ottenere una determinata concentrazione media può


essere calcolato a partire dal rapporto clearance/biodisponibilità in base alla
formula

Nel paziente descritto in precedenza, le dosi orali di digossina necessarie per


raggiungere concentrazioni di 0,6 e 2,0 µg/l (gli estremi della finestra terapeutica)
sono di 0,062 e 0,21 mg/die (v. equazione 3). Per la gentamicina, la dose EV
(biodisponibilità = 1) da somministrare ogni 12 h per mantenere una
concentrazione media di 3 mg/l è di 72 mg. Il minimo, basato sull’equazione 2, è
di 1,4 mg/l (2,9 µmol/l).

Da una concentrazione allo stato di non equilibrio: la clearance può essere


calcolata a partire da una concentrazione allo stato di non equilibrio. Per
esempio, in 3 pazienti di 70 kg vengono misurate le concentrazioni di teofillina
dopo 12 h dall’inizio di un’infusione EV continua di 36 mg/h (aminofillina, 45 mg/
h). Nel caso della teofillina, la clearance è molto variabile nei diversi pazienti, ma
il volume apparente di distribuzione è relativamente costante (0,5 l/kg). I pazienti
A, B e C hanno rispettivamente una clearance di 20, 40 e 80 ml/ min. La
concentrazione plasmatica raggiunge livelli tossici nel paziente A, ma soltanto
dopo > 24 h. Essa si avvicina allo stato di equilibrio all’interno della finestra
terapeutica nel paziente B e, nel paziente C, rimane a una concentrazione
appena superiore al limite inferiore della finestra terapeutica, la quale è
subterapeutica in alcuni pazienti (v. Fig. 303-1).

A 12 ore dall’inizio dell’infusione, la clearance nel paziente C può essere


calcolata utilizzando lo stesso metodo dello stato di equilibrio, poiché la
concentrazione è vicina a questo stato. Le concentrazioni nei pazienti A e B non
sono prossime allo stato di equilibrio, ma alcune informazioni si possono ottenere
ugualmente. La concentrazione prevista può essere ricavata dalla formula

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Monitoraggio del trattamento farmacologico

dove R è la velocità di infusione e tinf è la durata dell’infusione. La concentrazione


allo stato di equilibrio è R/CL. La concentrazione osservata nel paziente B è
uguale a quella prevista in base ai valori medi dei parametri, indicando una
concentrazione allo stato di equilibrio di circa 15 mg/l (83 µmol/l). Nel caso del
paziente A, la concentrazione osservata di 12 mg/l (67 µmol/l) è superiore a
quella prevista ed è vicina alla concentrazione attesa (15 mg/l) quando non vi è
eliminazione, cioè se la clearance è zero (indicato dalla linea tratteggiata nella
Fig. 303-1). A causa degli errori nelle analisi e di altri tipi di errore, il medico deve
tenere presenti i seguenti fattori: la concentrazione allo stato di equilibrio può
trovarsi all’interno del range di tossicità; è necessario considerare la possibilità di
una riduzione della velocità di somministrazione; la concentrazione deve essere
misurata di nuovo. Tuttavia, quale sarà il valore effettivo della concentrazione allo
stato di equilibrio rimane incerto.

Cinetiche dipendenti dalla concentrazione

Per un farmaco che presenta una clearance concentrazione-dipendente (p. es.,


la fenitoina), vengono applicati i principi farmacocinetici di Michaelis-Menten
relativi agli enzimi, invece di quelli descritti sopra. Di conseguenza, il
monitoraggio è particolarmente utile.

Fattori complicanti

La presenza di metaboliti attivi rende più complesso il monitoraggio plasmatico.


Per esempio., il farmaco antiaritmico procainamide viene acetilato per formare un
metabolita attivo, la N-acetilprocainamide. La velocità di acetilazione è variabile a
causa di differenze genetiche (v. Acetilazione in Variabilità farmacocinetica nel
Cap. 301). Circa 2/3 del farmaco vengono escreti dal rene immodificati (come
procainamide); quasi tutto il rimanente viene escreto dal rene come metabolita
acetilato. Pertanto, la correlazione tra la risposta terapeutica e la concentrazione
plasmatica della procainamide negli acetilatori rapidi con ridotta funzionalità
renale è prevedibile che sia diversa da quella osservata negli acetilatori lenti con
funzionalità renale normale. Sia la procainamide sia il suo metabolita devono
venire controllati, specialmente nei pazienti con patologie renali.

Anche un ritardo nella risposta ai farmaci può rendere più complesso il


monitoraggio. L’effetto della digossina sul cuore è ritardato poiché il farmaco
richiede tempo per essere distribuito al sito di azione. Quindi le concentrazioni di
digossina non devono essere misurate prima di 6 h dall’assunzione di una dose,
anche dopo somministrazione EV. Prima di questo tempo, la concentrazione
plasmatica non è un buon indicatore della concentrazione nel sito di azione ed è
soggetta a cambiamenti repentini.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 303-4. DATI ATTINENTI ALLA VALUTAZIONE DELLA CONCENTRAZIONE


PLASMATICA DEI FARMACI

Dati relativi alla somministrazione (farmaco, dosaggio, forme


farmaceutiche, vie di somministrazione, tempi di
somministrazione, compliance [pazienti ricoverati ed esterni])

Momento del prelievo (relativo alla dose)

Concentrazione plasmatica attuale e precedente (se


esistente)

Condizioni cliniche del paziente (peso, età, sesso, patologia


in trattamento)

Patologie concomitanti (specialmente cardiovascolari,


epatiche e renali)

Presenza di sintomatologia potenzialmente legata alla


tossicità del farmaco

Dati di laboratorio: funzionalità renale (creatinina sierica,


clearance della creatinina, azotemia); funzionalità epatica
(tempo di protrombina, albumina sierica, bilirubina sierica,
enzimi epatici nel sangue); legame alle proteine (albumina e
proteine plasmatiche)

Terapie farmacologiche concomitanti (compresi i farmaci che


causano interazione e quelli che interferiscono con i risultati
delle analisi)

Metaboliti attivi

Metodo di dosaggio (sensibilità, specificità, accuratezza)

Parametri farmacocinetici appropriati al paziente (p.es.,


biodisponibilità, costante della velocità di assorbimento,
volume apparente di distribuzione, frazione libera
plasmatica, clearance renale, clearance epatica)

file:///F|/sito/merck/tabelle/30304.html02/09/2004 2.07.08
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 303-5. CAUSE DI RISCONTRO DI CONCENTRAZIONI PLASMATICHE


INATTESE ALLO STATO STAZIONARIO

Fattore Alterazione Rapporto tra le Commento


concentrazioni*
Mancanza di Assunzione di dosi >1 Probabilmente è una causa
compliance superiori a quanto meno comune rispetto
prescritto all'assunzione di dosi inferiori
a quanto prescritto
Assunzione di dosi <1 è una causa molto comune
inferiori a quanto
prescritto
Biodis Superiore al solito >1 è una spiegazione solo se la
ponibilità biodisponibilità di un farmaco
è solitamente bassa o
variabile
Inferiore al solito <1 è una causa relativamente
comune se un farmaco viene
di solito scarsamente
assorbito o se si sospetta un
malassorbimento
Clearance Inferiore al solito >1 è una spiegazione valida se
renale l'escrezione renale costituisce
la principale via di
eliminazione del farmaco; può
essere dovuta a un'alterazi
one del pH, all'inibizione della
secrezione o alla riduzione
della funzionalità renale
Superiore al solito <1 Non è una causa comune; è
una spiegazione se
l'escrezione renale costituisce
ordinariamente o diventa la
principale via di eliminazione
del farmaco; può verificarsi a
causa di un'alterazione del pH
o del flusso urinario

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Manuale Merck - Tabella

Clearance Inferiore al solito >1 è una spiegazione se il


epatica metabolismo epatico o
l'escrezione biliare
costituiscono la principale via
di eliminazione del farmaco;
può essere dovuta a
inibizione competitiva da
parte di un altro farmaco, alla
riduzione del flusso ematico o
a una patologia epatica,
oppure può avere origine
genetica
Superiore al solito <1 è una spiegazione se il
metabolismo epatico
costituisce o diventa la
principale via di eliminazione
del farmaco; può essere
dovuta a induzione o
attivazione enzimatica,
oppure può avere origine
genetica
Legame alle Superiore al solito >1 è frequente con i farmaci
proteine basici in condizioni di stress
plasmatiche (p.es., interventi chirurgici,
IMA)
Inferiore al solito <1 Può derivare da interazioni
competitive, ipoalbuminemia
o patologie epatiche o renali
*Rapporto tra concentrazione osservata e concentrazione prevista

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Terapia farmacologica nell’anziano

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

304. TERAPIA FARMACOLOGICA NELL’ANZIANO

FARMACODINAMICA

Gli effetti di concentrazioni analoghe dei farmaci a livello dei siti di azione
possono essere maggiori o minori rispetto a quelli osservati nei giovani (v.
Tab. 304-2). La differenza può essere dovuta a modificazioni dell’interazione
farmaco-recettore, degli eventi postrecettoriali o delle risposte omeostatiche
adattative e, nei pazienti più compromessi, è spesso dovuta a patologie d’organo.

L’aumento della sensibilità ai farmaci legato all’invecchiamento deve essere


tenuto in considerazione quando vengono utilizzati farmaci che possono avere
effetti indesiderati gravi. Questi farmaci includono la morfina, la pentazocina, il
warfarin, gli ACE-inibitori, il diazepam (specialmente se somministrato per via
parenterale) e la levodopa. Alcuni farmaci i cui effetti si riducono con
l’invecchiamento (p. es., la tolbutamide, la gliburide, i β-bloccanti) devono
anch’essi essere impiegati con cautela poiché si può comunque verificare una
grave tossicità dose-dipendente e i segni di tossicità possono essere ritardati.

file:///F|/sito/merck/sez22/3042784.html02/09/2004 2.07.09
Manuale Merck - Tabella

TABELLA 304-2. EFFETTO DELL'INVECCHIAMENTO SULLA RISPOSTA AI FARMACI

Classe Farmaco Azione Effetto


dell'invecchiamento
Analgesici Aspirina Danno mucoso ↔
gastroduodenale
acuto
Morfina Effetto analgesico ↑
acuto
Pentazocina Effetto analgesico ↑
Anticoagulanti Eparina Tempo di ↔
tromboplastina
parziale attivata
Warfarin Tempo di ↑
protrombina
Broncodilatatori Ipratropio Broncodilatazione ↔
Salbutamolo Broncodilatazione ↔
Cardiovascolari Adenosina Risposta della ↔
ventilazione minuto e
della frequenza
cardiaca
Venodilatazione ↔
Angiotensina II Aumento della ↑
pressione arteriosa
Diltiazem Effetto antipertensivo ↑
acuto
Dopamina Aumento della ↓
clearance della
creatinina
Enalapril Effetto antipertensivo ↑
acuto
Felodipina Effetto antipertensivo ↑
Fenilefrina Venocostrizione ↔
acuta; effetto
antipertensivo acuto
Isoproterenolo Effetto cronotropo ↓
Frazione di eiezione ↓
Venodilatazione ↓
Istamina Venodilatazione ↔
Nitroglicerina Venodilatazione ↔

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Manuale Merck - Tabella

Prazosina Effetto antipertensivo ↔


acuto
Timololo Effetto cronotropo ↔
Verapamil Effetto antipertensivo ↑
acuto
Diuretici Bumetanide Flusso urinario ed ↓
escrezione di sodio
Furosemide Latenza ed entità del ↓
picco della risposta
diureti ca
Ipoglicemizzanti Gliburide Effetto ↓
orali ipoglicemizzante
acuto
Tolbutamide Effetto ↓
ipoglicemizzante
acuto

Psicoattivi Aloperidolo Sedazione acuta ↑


Diazepam Sedazione ↔
Difenidramina Funzione ↓
psicomotoria
Midazolam Attività EEG ↑
Temazepam Tono posturale, ↑
effetto psicomotorio,
sedazione
Tiopental Misurazione EEG ↔
dell'anestesia
Triazolam Sedazione ↔
Altri Atropina Rallentamento dello ↔
svuotamento gastrico
Levodopa Limitazione del ↑
dosaggio dovuta a
effetti indesiderati
Metoclopramide Sedazione ↔
=aumento; ↓=diminuzione; ↔=nessun effetto.

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Terapia farmacologica nell’anziano

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

304. TERAPIA FARMACOLOGICA NELL’ANZIANO

REAZIONI AVVERSE AI FARMACI

Circa la metà dei decessi e 1/3 dei ricoveri ospedalieri dovuti ai farmaci
avvengono in soggetti con più di 60 anni di età. Negli anziani è aumentato il
rischio di tossicità dovuta ad alcuni farmaci, specialmente le benzodiazepine a
lunga durata d’azione, i FANS, il warfarin, l’eparina, gli aminoglicosidi,
l’isoniazide, i tiazidici ad alte dosi, gli antineoplastici e la maggioranza degli
antiaritmici (v. Tab. 304-3). Non è stato dimostrato un aumento del rischio dovuto
ad altri farmaci (p. es., i β-bloccanti, gli antiipertensivi, la lidocaina, il
propafenone). Un aumento della suscettibilità può derivare da modificazioni della
farmacocinetica o della farmacodinamica legate all’invecchiamento o da
patologie che vengono aggravate dai farmaci, p. es., l’ipertrofia prostatica dagli
anticolinergici o l’ipotensione posturale dai diuretici. Il rischio di una reazione
avversa ai farmaci cresce esponenzialmente con il numero dei farmaci utilizzati;
ciò si deve in parte al fatto che la polifarmacia riflette la presenza di più patologie
e costituisce un’occasione per l’insorgenza di malattie da farmaci e di interazioni
farmacologiche.

Le interazioni farmaco-malattia (aggravamento di una patologia indotto da un


farmaco) possono verificarsi in qualsiasi fascia di età ma sono particolarmente
significative nelle persone anziane a causa della maggiore prevalenza di malattia
e della difficoltà nel distinguere reazioni avverse spesso sfumate ed effetti della
malattia in sé (v. Tab. 304-4). I farmaci anticolinergici sono una causa frequente
di tali interazioni.

Le interazioni farmaco-farmaco sono numerosissime (v. Tab. 304-5). Esse sono


fondamentalmente farmacocinetiche (cioè provocano modificazioni della
disposizione dei farmaci) o farmacodinamiche (cioè provocano modificazioni
dell’effetto dei farmaci). Sono stati condotti pochi studi prospettici sulle interazioni
farmacologiche negli anziani. Uno di essi ha mostrato che il 40% dei pazienti
anziani ambulatoriali era a rischio di interazioni farmacologiche, il 27% delle quali
potenzialmente gravi (p. es., l’interazione chinidina-digossina). L’inibizione del
metabolismo di un farmaco da parte di un altro farmaco non sembra modificarsi
con l’invecchiamento; p. es., la cimetidina o la ciprofloxacina riducono del 30%
circa la velocità di metabolizzazione della teofillina sia nei giovani sia negli
anziani sani. L’effetto dell’invecchiamento sull’induzione del metabolismo dei
farmaci è variabile; p. es., l’induzione del metabolismo della teofillina da parte
della fenitoina è simile nei giovani e negli anziani, ma l’induzione del metabolismo
dei farmaci da parte del dicloralfenazone, della glutetimide e della rifampicina può
essere ridotta negli anziani.

L’utilizzo contemporaneo di più farmaci con effetti tossici simili può portare alla
comparsa di tossicità importanti negli anziani. Per esempio, l’impiego simultaneo
di farmaci anticolinergici, come gli antiparkinsoniani (p. es., la benztropina), di
antidepressivi triciclici (p. es., l’amitriptilina, l’imipramina), di antipsicotici (p. es.,
la tioridazina), di antiaritmici (p. es., la disopiramide) e di antiistaminici da banco
(p. es., la difenidramina, la clorfeniramina) può provocare o peggiorare la
xerostomia, la patologia gengivale, l’annebbiamento della vista, la stipsi, la
ritenzione urinaria e il delirio.

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Terapia farmacologica nell’anziano

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TABELLA 304-3. FARMACI AD ALTO RISCHIO NELL'ANZIANO

Classe Farmaco Problemi per la prescrizione


Analgesici Fenilbutazone Il fenilbutazone può provocare gravi
effetti indesiderati ematologici e non
deve essere impiegato nell'anziano.
Indometacina Tra tutti i FANS disponibili,
l'indometacina provoca i maggiori
effetti indesiderati a carico del SNC,
e quindi deve essere evitata
nell'anziano.
Meperidina La meperidina non è un analgesico
orale efficace e presenta numerosi
svantaggi rispetto ad altri narcotici.
Essa deve essere evitata
nell'anziano.
Pentazocina La pentazocina è un analgesico
narcotico che provoca più effetti
indesiderati a carico del SNC (p.es.
confusione, allucinazioni) più
spesso di altri narcotici, ed è un
agonista/antagonista misto. Per
entrambe le ragioni, essa
generalmente deve essere evitata
nell'anziano.
Propoxifene e prodotti in Il propoxifene generalmente deve
associazione essere evitato nell'anziano. Esso
presenta pochi vantaggi dal punto di
vista analgesico rispetto al
paracetamolo, ma possiede gli
effetti indesiderati degli altri
narcotici.
Antidepres sivi Amitriptilina A causa delle spiccate proprietà
anticolinergiche e sedative,
Clordiazepossido/ l'amitriptilina, la doxepina e
amitriptilina l'imipramina costituiscono
raramente gli antidepressivi di
scelta per l'anziano.
Doxepina

Imipramina

Perfenazina/amitriptilina

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Antiistaminici Bromfeniramina Tutti gli antiistaminici da banco e


molti di quelli soggetti a prescrizione
Bromodifenidramina possiedono spiccate proprietà
anticolinergiche. Gli antiistaminici
sono frequentemente presenti
Ciproeptadina
insieme ad altri farmaci nei
medicinali per la tosse e per il
Clorfeniramina raffreddore; tutta via, esistono in
commercio molti medicinali di
Desclorfeniramina questo genere che non contengono
antiistaminici: essi costituiscono
Difenidramina alternative più sicure per l'anziano.

Idrossizina

Prometazina

Tripelennamina

Triprolidina
Cardiovascolari Digossina Poiché nell'anziano la clearance
renale della digossina è ridotta, le
dosi raramente devono superare gli
0,125mg/die per il trattamento dello
scompenso cardiaco.
Dipiridamolo Il dipiridamolo provoca spesso
ipotensione ortostatica nell'anziano.
Esso si è dimostrato di beneficio
esclusivamente nei pazienti con
valvole cardiache artificiali. Se
possibile, deve essere evitato .
Disopiramide Tra tutti gli antiaritmici, la
disopiramide è il più potente in
otropo negativo e può quindi indurre
uno scompenso cardiaco
nell'anziano. Essa possiede inoltre
uno spiccato effetto anticolinergico.
Quando è il caso, devono essere
impiegati altri antiaritmici.
Metildopa La metildopa può provocare
bradicardia e aggravare la
Metildopa/idroclorotiazide depressione nell'anziano.
Generalmente vengono preferiti
trattamenti alternativi per
l'ipertensione.

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Reserpina La reserpina comporta rischi non


necessari nell'anziano, inducendo
Reserpina/idroclorotiazide depressione, impotenza, sedazione
e ipotensione ortostatica. Esistono
alternative più sicure.
Ticlopidina La ticlopidina non è migliore
dell'aspirina per la prevenzione
della coagulazione ed è
notevolmente più tossica. Essa
deve essere usata esclusivamente
come farmaco di seconda linea
nell'anziano.
Antispastici GI Alcaloidi della belladonna Gli antispastici GI possiedono
notevoli effetti anticolinergici e
Clidinio/clordiazepossido generalmente provocano una
tossicità considerevole nell'anziano.
La loro efficacia alle dosi tollerate
Diciclomina
dagli anziani è discutibile. E' meglio
che tutti questi farmaci vengano
Iosciamina evitati, specialmente per l'uso a
lungo termine.
Propantelina
Ipoglicemizzanti Clorpropamide La clorpropamide ha un'emivita più
lunga nell'anziano e può provocare
ipoglicemia grave e prolungata.
Essa è l'unico farmaco
ipoglicemizzante orale che causa la
SIADH, e deve essere evitata.
Miorilassanti Carisoprodolo La maggior parte dei miorilassanti e
degli antispastici èpoco tollerata
Ciclobenzaprina dagli anziani a causa dei loro effetti
anticolinergici, della sedazione e
dell'astenia. La loro efficacia alle
Clorzoxazone
dosi tollerate dagli anziani è
discutibile; se possibile, essi non
Metaxalone devono essere utilizzati.

Metocarbamolo

Oxibutinina

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Sedativi- ipnotici Alprazolam* 2mg Poiché nell'anziano la sensibilità


alle benzodiazepine è aumentata,
Lorazepam 3mg dosi inferiori possono essere allo
stesso tempo efficaci e sicure. Le
dosi totali giornaliere devono
Oxazepam 60mg
superare di rado quelle elencate.

Temazepam 15mg

Triazolam 0,25mg

Zolpidem 5mg
Barbiturici (tranne il I barbiturici provocano più effetti
fenobarbital) indesiderati della maggior parte
degli altri sedativi-ipnotici
nell'anziano, e hanno un notevole
effetto di dipendenza. Essi non
devono essere utilizzati come nuova
terapia, tranne per controllare le
convulsioni.
Clidinio/clordiazepossido Il clordiazepossido, il diazepam, il
flurazepam e il nitrazepam hanno
Clordiazepossido una lunga emivita (spesso di giorni)
nell'anziano, provocando sedazione
prolungata e aumento del rischio di
Clordiazepossido/
cadute e fratture. Nel caso sia
amitriptilina
richiesta la somministrazione di una
benzodiazepina, si preferisce usare
Diazepam quelle a durata d'azione breve o
intermedia.
Flurazepam

Nitrazepam
Difenidramina La difenidramina possiede una
potente azione anticolinergica e
solitamente non deve essere
impiegata come ipnotico
nell'anziano. Quando viene usata
per trattare o prevenire le reazioni
allergiche, essa deve essere
somministrata nella più bassa dose
possibile e con estrema cautela.

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Meprobamato Il meprobamato è un ansiolitico con


notevole effetto di dipen denza e
sedazione. Esso deve essere
evitato nei pazienti anziani. Coloro
che ne fanno uso per periodi
prolungati possono sviluppare
dipendenza, e può sorgere la
necessità di sospendere il farmaco
lentamente.
Altri Ciclandelato La metisergide e i vasodilatatori
cerebrali alle dosi studiate non si
Metisergide sono dimostrati efficaci per il
trattamento della demenza o di
qualunque altro disordine.
Supplementi marziali Raramente sono necessari
supplementi di ferro >325mg di
solfato ferroso al giorno. Con dosi
più alte, l'assorbimento totale non
risulta sostanzialmente aumentato,
ma è più probabile che si manifesti
stipsi.
Trimetobenzamide La trimetobenzamide è uno degli
antiemetici meno efficaci e può
provocare la comparsa di effetti
indesiderati extrapirami dali.
Quando è possibile, essa deve
essere evitata nell'anziano.
*Le dosi di alprazolam possono essere più elevate quando si usa il farmaco per il
trattamento degli attacchi di panico.

SIADH=sindrome da inappropriata secrezione di ormone antidiuretico.

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TABELLA 304-4. INTERAZIONI FARMACO-MALATTIA NELL'ANZIANO

Malattia Farmaci Reazioni avverse


Difetti di conduzione Antidepressivi triciclici, β- Blocco cardiaco
cardiaca bloccanti, digossina,
diltiazem, verapamil
Pneumopatie β-Bloccanti Broncocostrizione
croniche ostruttive
Oppioidi Depressione
respiratoria
Insufficienza renale Aminoglicosidi, FANS, mezzi Insufficienza
cronica di contrasto radiografici renale acuta
Demenza Amantadina, anticolinergici, Aumento della
anticonvulsivanti, levodopa, confusione
farmaci psicoattivi mentale, delirio
Depressione Alcol, antiipertensivi ad Precipitazione o
azione centrale, aggravamento
benzodiazepine, β-bloccanti, della depressione
corticosteroidi
Diabete Corticosteroidi, diuretici Iperglicemia
Glaucoma Anticolinergici Aggravamento del
glaucoma
Scompenso cardiaco β-Bloccanti, diltiazem, Aggravamento
disopiramide, verapamil dello scompenso
cardiaco
Ipertensione FANS Aumento della
pressione
arteriosa
Ipokaliemia Digossina Tossicità cardiaca
Ipotensione Antidepressivi triciclici, Vertigini, cadute,
ortostatica antiipertensivi, antipsicotici, sincopi
diuretici, levodopa,
Osteopenia Corticosteroidi Fratture
Ulcera peptica Anticoagulanti, FANS Sanguinamento
GI superiore
Vasculopatie β-Bloccanti Claudicatio
periferiche intermittens
Ipertrofia prostatica α-Agonisti, anticolinergici Ritenzione urinaria
Adattata da Cusack BJ: "Polypharmacy and clinical pharmacology", in
Geriatrics Review Syllabus: A Core Curriculum in Geriatric Medicine, 1a
ed., edito da JC Beck. New York, American Geriatrics Society, 1989,
pp.127-136; riprodotta previa autorizzazione.

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TABELLA 304-5. INTERAZIONI FARMACO-FARMACO NELL'ANZIANO

Meccanismo Farmaco Farmaco interagente Effetto


Interazioni farmacocinetiche
Riduzione Digossina Antiacidi, colestipolo, Riduzione
dell'assorbimento colestiramina, dell'effetto della
digossina
Ciprofloxacina Sucralfato Riduzione della
risposta
antibiotica
Alterazione della La maggior parte Metoclopramide Aumento della
velocità di dei farmaci velocità di
svuotamento gas assorbimento
trico dei farmaci
La maggior parte Anticolinergici Riduzione della
dei farmaci velocità di
assorbimento
dei farmaci
Spiazzamento dal Warfarin Aspirina, furosemide Probabile
sito di legame con aumento
le proteine dell'effetto
plasmatiche anticoagulante
Inibizione del Warfarin Cimetidina, Aumento
metabolismo dei metronidazolo, dell'effetto
farmaci omeprazolo, anticoagulante,
trimetoprim- sanguinamenti
sulfametoxazolo
Teofillina Cimetidina, Tossicità da
ciprofloxacina, teofillina
disulfiram, enoxacina,
eritromicina,
mexiletina
Induzione del Warfarin Barbiturici, Riduzione
metabolismo dei carbamazepina, dell'effetto
farmaci rifampicina anticoagulante
Fenitoina Barbiturici, rifampicina Perdita del
controllo delle
convulsioni
Teofillina Carbamazepina, Aumento della
fenitoina, rifampicina, dispnea
fumo

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Riduzione della Metotrexato Penicilline, Tossicità da


secrezione probenecid, salicilati, metotrexato
tubulare renale altri acidi organici
attiva
Riduzione della Digossina Amiodarone, Tossicità da
clearance renale o chinidina, diltiazem, digitale
non renale verapamil
Interazioni farmacodinamiche
Effetto additivo sui Benztropina Altri anticolinergici (p. Confusione
recettori colinergici es., antidepressivi mentale,
triciclici, antiistaminici, ritenzione
tioridazina) urinaria
Inibizione Salbutamolo β-Bloccanti Riduzione della
competitiva dei risposta
recettorib broncodilatatoria
Effetti sulla β-Bloccanti Digossina, diltiazem, Bradicardia,
conduzione verapamil blocco cardiaco
cardiaca
Ipokaliemia Digossina Diuretici Tossicità da
digitale
Ipotensione Diuretici ACE-inibitori, Cadute, astenia,
ortostatica antidepressivi triciclici, sincopi
a- bloccanti,
fenotiazine, levodopa,
vasodilatatori
Riduzione della Diuretici FANS Danno renale
perfusione renale
Effetti sulla Aspirina Warfarin Sanguinamenti
funzione GI
piastrinica, sulla
coagulazione e
sull'integrità
mucosa

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22. FARMACOLOGIA CLINICA

304. TERAPIA FARMACOLOGICA NELL’ANZIANO

CONSIDERAZIONI PER UNA FARMACOTERAPIA EFFICACE

Sommario:

Introduzione
CLASSI DI FARMACI DI MAGGIORE INTERESSE

Gli aspetti clinici di fondamentale interesse comprendono l’efficacia e la


sicurezza, il dosaggio, la complessità del regime terapeutico, il numero dei
farmaci, il costo e la compliance del paziente.

La dose deve spesso essere ridotta fino a cinque volte, nonostante le dosi
necessarie siano molto variabili tra un individuo e l’altro. In generale, per i farmaci
con un basso indice terapeutico sono indicate dosi iniziali pari a 1/3 o 1/2 della
dose abituale per gli adulti. Se un paziente ha un problema clinico che può
essere esacerbato da un farmaco, la dose iniziale abituale deve essere ridotta
del 50% circa, specialmente se l’eliminazione del farmaco diminuisce con
l’invecchiamento.

La compliance (adesione) è condizionata da molti fattori, ma non dall’età di per


sé (v. Compliance del paziente nel Cap. 301). Tuttavia, circa il 40% dei pazienti
più anziani non assume i suoi farmaci come indicato dal medico, solitamente
assumendo meno farmaci rispetto a quelli prescritti (compliance insufficiente).

CLASSI DI FARMACI DI MAGGIORE INTERESSE

Alcune classi di farmaci (tra le quali i diuretici, gli antiipertensivi, gli antiaritmici, gli
antiparkinsoniani, gli anticoagulanti, gli psicoattivi, gli ipoglicemizzanti e gli
analgesici) presentano particolari rischi per i pazienti più anziani.

Diuretici: dosi più basse di diuretici tiazidici (p. es., l’idroclorotiazide o il


clortalidone tra 12,5 e 25 mg) riescono a controllare efficacemente l’ipertensione,
con un minor rischio di ipokaliemia e di iperglicemia rispetto a dosi più alte (v.
anche Cap. 199). Ciò può consentire di ridurre la frequenza dei supplementi di
potassio. Dosi superiori a 25 mg/die sono state associate con un aumento della
mortalità.

Antiipertensivi: il trattamento dell’ipertensione è efficace nei pazienti anziani;


una recente meta-analisi ha indicato che per prevenire 1 evento cardiovascolare
devono essere trattati per 5 anni solamente 18 pazienti anziani. Le diverse classi
di antiipertensivi (v. anche Cap. 199) hanno un’efficacia sovrapponibile nei
pazienti anziani di razza bianca; tuttavia, i Ca-antagonisti e i diuretici sono efficaci
soprattutto nei pazienti anziani di razza nera. Non è chiaro se alcuni
antiipertensivi siano da preferire in virtù di una miglior garanzia di qualità della
vita negli anziani. Se ben tollerati, i diuretici e i β-bloccanti sono i farmaci di prima
scelta perché riducono il rischio di complicanze cardiovascolari in questi pazienti.
Le controindicazioni dei β-bloccanti comprendono le broncopneumopatie croniche
ostruttive e le vasculopatie periferiche; quelle della clonidina, la depressione; e
quelle dei vasodilatatori e dei bloccanti α-adrenergici, l’ipotensione ortostatica
preesistente. Le diidropiridine a breve durata d’azione (p. es., la nifedipina) non

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Terapia farmacologica nell’anziano

devono essere utilizzate, perché si sospetta che aumentino il rischio di mortalità.

Antiaritmici: gli antiaritmici (v. anche Cap. 205) hanno le stesse indicazioni e la
stessa efficacia nei pazienti anziani e nei pazienti giovani. Tuttavia, a causa delle
modificazioni della farmacocinetica, le dosi di alcuni di essi (p. es., la
procainamide, la chinidina, la lidocaina) devono essere ridotte negli anziani.
Inoltre, il rischio di reazioni avverse significative nei confronti di alcuni farmaci
(p. es., la mexiletina, i farmaci di classe Ic come l’encainide e la flecainide)
aumenta con l’età. La clearance della digossina si riduce mediamente del 50%
nei pazienti anziani con normali livelli sierici di creatinina. Di conseguenza, le dosi
di mantenimento devono essere inizialmente basse (0,125 mg/die) e regolate a
seconda della risposta clinica e dei livelli sierici di digossina.

Antiparkinsoniani: la clearance della levodopa è diminuita nei pazienti anziani, i


quali sono inoltre maggiormente suscettibili all’ipotensione posturale e alla
confusione mentale. Pertanto, essi devono assumere basse dosi iniziali di
levodopa e devono essere attentamente seguiti per identificare l’insorgenza di
effetti sfavorevoli (v. anche Cap. 179). I pazienti che sviluppano confusione
mentale durante una terapia con levodopa potrebbero non tollerare meglio di
essa gli agonisti dopaminergici più recenti (p. es., la bromocriptina, la pergolide, il
pramipexolo, il ropinirolo). Poiché i pazienti anziani con parkinsonismo possono
avere una compromissione delle funzioni cognitive, i farmaci anticolinergici
devono essere evitati.

Anticoagulanti: l’invecchiamento non altera la farmacocinetica del warfarin ma


può aumentare la sensibilità alla sua azione anticoagulante. (Gli studi non hanno
confermato che l’invecchiamento in quanto tale aumenta il rischio complessivo di
sanguinamento, ma in alcuni di essi i pazienti con fibrillazione atriale e un’età
superiore a 75 anni hanno mostrato un aumento del rischio di emorragia
cerebrale.) I pazienti anziani generalmente necessitano di dosi di warfarin più
basse sia come carico (< 7,5 mg) sia come mantenimento (di solito < 5 mg/die)
(v. anche Cap. 72). Se il farmaco deve essere sospeso (p. es., prima di un
intervento chirurgico), il ritorno a uno stato coagulativo normale può essere più
lento.

Psicoattivi: nei pazienti non psicotici agitati, gli antipsicotici controllano i


sintomi solo marginalmente meglio rispetto ai placebo. Sebbene gli antipsicotici
siano in grado di ridurre gli stati paranoici, essi possono peggiorare la confusione
mentale (v. anche Cap. 171). I pazienti anziani, specialmente le donne, hanno un
aumento del rischio di discinesia tardiva, la quale è spesso irreversibile.
Sedazione, ipotensione posturale, effetti anticolinergici e acatisia (irrequietezza
motoria soggettiva) possono verificarsi in una percentuale che arriva al 20% degli
anziani che assumono un antipsicotico, e il parkinsonismo indotto dai farmaci può
persistere fino a 6-9 mesi dopo la loro sospensione. Quando si impiega un
antipsicotico, la dose iniziale deve essere pari a circa 1/4 della dose abituale per
gli adulti e deve essere aumentata gradualmente. Il rischio di disfunzione
extrapiramidale sembra essere più basso con i nuovi antipsicotici atipici (p. es.,
l’olanzapina, la quetiapina, il risperidone), un potenziale vantaggio negli individui
anziani. Tuttavia, l’esperienza con questi farmaci nell’anziano è limitata ed è
necessario ricorrere a una riduzione della dose (p. es., per il risperidone una
dose tipica è di 1-2 mg/die). Gli anziani sembrano tollerare l’olanzapina
discretamente bene.

L’utilizzo degli ansiolitici e degli ipnotici è problematico (v. anche Cap. 173).
Diverse benzodiazepine sembrano avere efficacia sovrapponibile per il
miglioramento della sintomatologia ansiosa; la scelta dipende dalla
farmacocinetica e dalla farmacodinamica del composto. Prima dell’utilizzo degli
ipnotici devono essere ricercate e curate le cause trattabili di insonnia (v. anche
Cap. 173). In generale, le benzodiazepine a durata d’azione da breve a
intermedia, con emivita < 24 h (p. es l’alprazolam, il lorazepam, l’oxazepam, il
temazepam), sono da preferire per l’induzione della sedazione o del sonno. Le
benzodiazepine a durata d’azione più prolungata devono essere evitate perché il
rischio di accumulo e di tossicità è aumentato, portando a sonnolenza, riduzione
delle capacità mnemoniche e compromissione dell’equilibrio con cadute e
fratture. Il trattamento dell’ansia o dell’insonnia deve essere di durata limitata, se
possibile, perché possono svilupparsi tolleranza e dipendenza; la sospensione

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Terapia farmacologica nell’anziano

può causare insonnia e ansia di rimbalzo. Il buspirone, un agonista parziale della


serotonina, è efficace quanto le benzodiazepine nel trattamento del disturbo
d’ansia generalizzato; i pazienti anziani tollerano bene dosi fino a 30 mg/ die. La
lenta comparsa del suo effetto ansiolitico (fino a 2-3 sett.) può essere uno
svantaggio nei casi urgenti. Lo zolpidem è un ipnotico non benzodiazepinico che
si lega principalmente a un sottotipo del recettore per le benzodiazepine; i
pazienti anziani con insonnia sembrano tollerare bene dosi tra i 5 e i 10 mg. I
vantaggi dello zolpidem sulle benzodiazepine sono una minore interferenza sul
profilo del sonno, minori effetti di rimbalzo e un minor potenziale di dipendenza.
Gli antagonisti dei recettori istaminici (p. es., la difenidramina, l’idrossizina) non
sono consigliabili a causa dei loro effetti anticolinergici.

Gli antidepressivi sono il cardine del trattamento della depressione negli anziani
(v. anche Cap. 189) e gli inibitori selettivi del reuptake della serotonina (Selective
Serotonin Reuptake Inhibitors, SSRI, p. es., la fluoxetina, la paroxetina, la
sertralina) sono generalmente considerati gli antidepressivi di scelta. Questi
farmaci sembrano essere efficaci quanto gli antidepressivi triciclici e causano
minore tossicità, specialmente in caso di sovradosaggio. Un possibile svantaggio
della fluoxetina è rappresentato dalla sua lunga emivita di eliminazione,
specialmente per quanto riguarda il suo metabolita attivo. La paroxetina ha un
maggior effetto sedativo, ha azione anticolinergica e può inibire l’attività
enzimatica del citocromo P-450 2D6 epatico, con il rischio di compromettere il
metabolismo di diversi farmaci, compresi alcuni antipsicotici, antiaritmici e
antidepressivi triciclici. La sertralina è maggiormente attivante; la diarrea è un suo
comune effetto collaterale. Le dosi di questi farmaci devono essere ridotte fino
al 50%.

Gli antidepressivi triciclici sono efficaci. Quelli con i minori effetti collaterali sono
da preferire negli anziani e quelli con significativi effetti anticolinergici (p. es.,
l’amitriptilina, l’imipramina), antiistaminici (p. es., la doxepina) e antidopaminergici
(p. es., l’amoxapina) sono da evitare. La nortriptilina e la desipramina (inibitori del
reuptake della noradrenalina), cominciando con 10-25 mg/die, sono più affidabili.
Entrambe hanno una bassa potenza anticolinergica e la nortriptilina ha la minore
azione di blocco α-adrenergico (ipotensivo). Il sovradosaggio provoca tossicità
cardiaca e neurologica, precludendo l’impiego di questi farmaci nei pazienti a
rischio di suicidio. Il trazodone è utile nei pazienti agitati, ha una bassa potenza
anticolinergica ed è meno cardiotossico rispetto ai triciclici, tuttavia può causare
priapismo. Il bupropione non è cardiotossico ma può aumentare il rischio di
convulsioni. I farmaci più recenti (p. es., la mirtazapina, il nefazodone, la
venlafaxina) devono essere riservati ai pazienti che non rispondono agli SSRI o
che non li tollerano. Il metilfenidato può essere utile per il trattamento di pazienti
anziani selezionati affetti da depressione che hanno avuto un ictus o che hanno
una patologia di tipo medico. L’inizio dell’azione del farmaco è rapido.

Ipoglicemizzanti: le dosi degli ipoglicemizzanti, compresa l’insulina e le


sulfaniluree, devono essere titolate per prevenire un’iperglicemia sintomatica
senza causare ipoglicemia (v. anche Cap. 13). L’invecchiamento può ridurre la
clearance dell’insulina, ma le dosi necessarie dipendono dal livello di insulino-
resistenza, che è molto variabile tra i pazienti con diabete di tipo II. L’incidenza di
ipoglicemia dovuta all’utilizzo di sulfaniluree può aumentare con l’età. La
clorpropamide non è raccomandata, perché i pazienti anziani hanno un aumento
del rischio di iponatriemia e perché la prolungata durata d’azione del farmaco è
pericolosa se si verifica una tossicità o un’ipoglicemia.

La metformina, una biguanide escreta dal rene, aumenta la sensibilità dei tessuti
periferici all’insulina e può essere efficace nei pazienti anziani da sola o in
associazione con le sulfaniluree. Tuttavia, la sua efficacia e la sua sicurezza a
lungo termine negli anziani non sono state ben stabilite. Il rischio di acidosi
lattica, una complicanza rara ma grave, aumenta con il grado di insufficienza
renale e con l’età del paziente.

Il troglitazone, il quale può essere utilizzato insieme all’insulina o agli


ipoglicemizzanti orali, sensibilizza i tessuti periferici agli effetti dell’insulina. I
pazienti anziani sembrano tollerarlo bene. Tuttavia, la sua possibile
epatotossicità ne fa un farmaco di riserva. Il troglitazone deve essere sospeso se
non si dimostra efficace (p. es., inducendo una riduzione della Hb A1c superiore

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Terapia farmacologica nell’anziano

all’1%).

L’acarboso, somministrato ai pasti, riduce gli innalzamenti postprandiali della


glicemia e, in associazione con altri ipoglicemizzanti, può migliorare il controllo
della glicemia in alcuni pazienti. L’intolleranza GI può essere un problema.

Analgesici: i FANS fanno parte dei farmaci utilizzati più frequentemente; diversi
di essi possono essere acquistati senza prescrizione medica (v. Cap. 167 e
Artrite reumatoide nel Cap. 50). Alcuni dati indicano che la clearance dei salicilati,
dell’oxaprozina e del naproxene è ridotta nei pazienti anziani. L’ulcera peptica e il
sanguinamento delle alte vie digestive sono gravi conseguenze dell’utilizzo dei
FANS; il rischio è maggiore all’inizio della somministrazione di un FANS e
quando la dose viene aumentata. Alcuni FANS (p. es., l’ibuprofene, il diclofenac,
il salsalato) hanno una probabilità lievemente inferiore di causare sanguinamento
delle alte vie digestive. L’invecchiamento non sembra aumentare il rischio di
effetti sfavorevoli GI indotti dai FANS, ma se tali complicanze si verificano, la
morbilità e la mortalità sono considerevolmente superiori nei pazienti anziani. Il
rischio di emorragia del tratto digestivo superiore aumenta più di dieci volte
quando i FANS vengono somministrati in associazione con il warfarin. Nei
pazienti ad alto rischio di complicanze gastriche da FANS, possono essere
aggiunti il misoprostolo o un inibitore della secrezione acida gastrica più potente
(p. es., l’omeprazolo, il lansoprazolo). Tali farmaci possono ridurre il rischio di
insorgenza di ulcera peptica. Il rischio di insufficienza renale indotta dai FANS
può essere aumentato nei pazienti anziani. Il monitoraggio della creatinina sierica
è un approccio ragionevole al problema, specialmente per i pazienti con altri
fattori di rischio (p. es., scompenso cardiaco, insufficienza renale, cirrosi
ascitogena, deplezione di volume, uso di diuretici). Nel prossimo futuro, gli
inibitori della ciclossigenasi-2 (CycloOXygenase-2, COX-2) potrebbero offrire una
maggiore sicurezza rispetto ai FANS nei pazienti anziani.

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Disturbi del movimento

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

179. DISTURBI DEL MOVIMENTO

MORBO DI PARKINSON

(Paralisi agitante)

Patologia lentamente evolutiva, degenerativa del SNC caratterizzata da lentezza


e povertà dei movimenti, rigidità muscolare, tremore a riposo e instabilità
posturale.

Sommario:

Introduzione
Eziologia e fisiopatologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Il morbo di Parkinson è la quarta malattia neurologica degenerativa più comune


degli anziani. Essa colpisce circa l’1% della popolazione ≥ 65 anni e lo 0,4%
della popolazione > 40 anni. L’età media di insorgenza è di circa 57 anni. Può
esordire nell’infanzia o nell’adolescenza (parkinsonismo giovanile).

Eziologia e fisiopatologia

Nel morbo di Parkinson primitivo, si rileva uno spopolamento dei neuroni


pigmentati della sostanza nera, del locus ceruleus e delle altre cellule
dopaminergiche del tronco encefalico; la causa è sconosciuta. La perdita di
neuroni della sostanza nera che proiettano sul nucleo caudato e sul putamen
esita in una deplezione del neurotrasmettitore dopamina in tali aree. La malattia
inizia generalmente dopo i 40 anni, aumentando nei gruppi di popolazione più
anziani.

Il parkinsonismo secondario è la conseguenza della compromissione o


dell’interferenza con l’azione della dopamina all’interno dei gangli della base,
dovuta a malattie degenerative idiopatiche, farmaci, tossine esogene. La causa
più comune di parkinsonismo è rappresentata dall’assunzione di anti-psicotici o
reserpina, che causano il parkinsonismo mediante il blocco dei recettori per la
dopamina. La contemporanea somministrazione di un farmaco anticolinergico
(p. es., la benzatropina alla dose di 0,2-2 mg PO tid) o di amantadina (100 mg
bid) può migliorare la condizione. Meno frequentemente, la causa è
rappresentata da avvelenamento da monossido di carbonio o manganese, da
idrocefalo, da lesioni strutturali (tumori, infarti del mesencefalo o dei gangli della
base), da ematomi subdurali, da malattie degenerative, come la degenerazione
nigrostriatale e olivopontocerebellare o l’atrofia multisistemica (v. Degenerazioni
Spino-cerebellari, più avanti). L’N-MPTP (n-metil-1,2,3,4-tetraidropiridina), una
droga illegale sintetizzata dalla meperidina, può provocare grave, improvviso e
irreversibile parkinsonismo nelle persone che ne abusano per EV. Nel
parkinsonismo postencefalitico, attualmente raro (è insorto dopo l’encefalite
epidemica di von Economo nel 1918-1924), un processo infiammatorio distrugge
la regione del mesencefalo che contiene la sostanza nera.

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Disturbi del movimento

Sintomi e segni

Nel 50-80% dei pazienti, la malattia esordisce in modo insidioso, con tremore a
riposo di una mano, a 4-8 Hz (movimento del confezionatore di pillole). Tale
tremore è massimo a riposo, diminuisce durante il movimento e scompare col
sonno; aumenta inoltre con le emozioni e la fatica. Generalmente, sono
maggiormente colpite le mani, le braccia e le gambe, secondo tale ordine.
Possono anche essere interessate la mandibola, la lingua, la fronte e le palpebre,
mentre la voce non viene coinvolta; molti pazienti accusano soltanto rigidità; il
tremore è assente. La rigidità è evolutiva e i movimenti rallentano (bradicinesia),
diminuiscono (ipocinesia) e sono difficili da iniziare (acinesia). Tali fenomeni
possono causare dolore muscolare e sensazione di affaticamento. La faccia
diventa amimica come una maschera, con bocca aperta, rarità
dell’ammiccamento e fissità dello sguardo. Tale quadro potrebbe essere confuso
con uno stato depressivo. L’andatura è incurvata in modo caratteristico
(camptocormia). Il paziente inizia a camminare con difficoltà, muovendosi prima
con passi piccoli ed esitanti, con le braccia flesse, addotte e non ondeggianti e il
tronco lievemente piegato in avanti; i passi possono diventare improvvisamente
più veloci e il paziente comincia improvvisamente a correre per evitare la caduta
in avanti (festinazione). La perdita dei riflessi posturali, provoca la tendenza a
cadere in avanti (propulsione) e all’indietro (retropulsione), quando viene
spostato il centro di gravità. La voce diventa ipofonica e spesso si accompagna a
una caratteristica disartria monotona, balbettante. L’ipocinesia e la diminuzione
del controllo della muscolatura distale esitano nella micrografia e in una
crescente difficoltà nelle attività quotidiane. La demenza può manifestarsi in circa
50% dei pazienti e anche la depressione è frequente.

All’esame obiettivo, la mobilizzazione passiva degli arti evidenzia una resistenza


uniforme, con rigidità a tubo di piombo, in particolare a livello del gomito e del
polso. Il tremore sovrapposto ha un aspetto definito fenomeno della ruota
dentata. L’esame della sensibilità è solitamente normale. Si possono osservare
segni di disfunzione del sistema nervoso autonomo (p. es., seborrea,
costipazione, ritenzione urinaria e ipotensione ortostatica). La forza muscolare è
generalmente conservata, anche se può essere diminuita la capacità di eseguire
rapidamente i movimenti. I riflessi sono normali ma difficili da evidenziare in
presenza di rigidità o tremore.

Nel parkinsonismo post-encefalitico, sono comuni le crisi oculogire


(deviazione forzata della testa e degli occhi), altre distonie, alterazioni
neurovegetative e della personalità.

Diagnosi

I segni precoci, rappresentati dalla rarità dell’ammiccamento, dalla perdita


dell’espressione mimica, dalla ridotta iniziativa motoria, dalla diminuzione dei
riflessi posturali e dalla caratteristica andatura, sono suggestivi della patologia. Il
tremore è presente inizialmente in circa il 70% dei pazienti, ma spesso diventa
meno evidente durante il decorso della malattia. Sebbene la rigidità sia talvolta
minima o assente, il tremore privo delle suddette caratteristiche associate indica
una diagnosi alternativa o la necessità di una valutazione successiva, poiché in
fase tardiva, se il paziente è affetto da Parkinson, si possono sviluppare gli altri
segni. I pazienti con tremore essenziale (v. sopra Tremore), che rappresenta la
patologia più frequentemente confusa col il morbo di Parkinson, hanno una
mimica valida, movimenti normali e non presentano disturbi dell’andatura. In più,
il tremore essenziale si presenterà in fase d’azione piuttosto che a riposo, come
quello del morbo di Parkinson. Nel caso di persone anziane che presentino una
spontanea riduzione del movimento, andatura a piccoli passi (reumatica), una
lieve depressione o una demenza, può essere più difficile una diagnosi
differenziale con il morbo di Parkinson. Le cause del morbo possono essere
chiarite mediante l’anamnesi.

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Disturbi del movimento

Terapia

Terapia farmacologica: (v. Tab. 179-2): la levodopa, il precursore metabolico


della dopamina, attraversa la barriera ematoencefalica per arrivare ai gangli della
base, dove viene decarbossilata a formare la dopamina, rimpiazzando il
neuromediatore carente. La bradicinesia e la rigidità risentono di più del
miglioramento, sebbene anche il tremore venga spesso sostanzialmente ridotto. I
pazienti meno gravi possono anche ritornare alle condizioni normali, mentre
quelli allettati si possono seguire ambulatorialmente. La somministrazione
contemporanea dell’inibitore periferico della decarbossilasi carbidopa permette
una diminuzione delle dosi, prevenendo il catabolismo della levodopa,
diminuendo così gli effetti collaterali (nausea, palpitazioni, rossori cutanei) e
favorendo una maggiore disponibilità di farmaco a livello cerebrale. Il carbidopa/
levodopa è disponibile in preparazioni con rapporto 10/100, 25/ 100, 25/250 mg e
in compresse a rilascio controllato da 50/200 mg.

La dose iniziale di trattamento è con una compressa da 25/100 mg tid. La dose


viene aumentata gradualmente ogni 4-7 gg, in base alla tolleranza del paziente,
fino al raggiungimento dell’effetto terapeutico; gli effetti collaterali si possono
ridurre gradualmente al minimo aumentando cautamente le dosi e facendo
assumere il farmaco durante o dopo i pasti (sebbene grandi quantità di proteine
possano interferire con l’assorbimento della levodopa). La maggior parte dei
pazienti richiede una dose di 400-1000 mg/die di levodopa in dosi frazionate q 2-
5 h, con almeno 100 mg/die di carbidopa per diminuire gli effetti collaterali
periferici. Alcuni pazienti possono necessitare fino a 2000 mg/die di levodopa,
con 200 mg di carbidopa.

I movimenti involontari (discinesie) a carico dei muscoli oro-facciali e delle


estremità o la distonia, effetti collaterali della levodopa, ne limitano il dosaggio.
Essi tendono a insorgere a dosi più basse con il progredire del trattamento. In
alcuni pazienti non è però possibile raggiungere l’effetto terapeutico, senza
arrivare a un certo grado di discinesia. Dopo 2-5 anni di trattamento > 50% dei
pazienti inizia a presentare fluttuazioni nella risposta alla levodopa ("effetto on-
off"). Diminuisce la durata del miglioramento conseguente all’assunzione di ogni
dose di farmaco; i movimenti discinetici provocano bruschi passaggi dall’acinesia
all’iperattività incontrollata. Tradizionalmente, tali effetti alternati sono corretti
mediante la riduzione, quanto più possibile, delle dosi individuali,
frammentandole in somministrazioni q 1-2 h. I farmaci agonisti dopaminergici, la
levodopa/carbidopa a rilascio controllato o la selegilina (v. oltre) possono
rappresentare delle utili aggiunte. Gli altri effetti collaterali della levodopa sono
rappresentati dall’ipotensione ortostatica, da incubi, dalle allucinazioni e talvolta
da stati confusionali da intossicazione; le allucinazioni e lo stato confusionale
acuto sono più comuni negli anziani colpiti da demenza.

Alcuni autori ritengono che la terapia precoce con levodopa acceleri l’insorgenza
dei problemi (p. es., discinesie, l’effetto on-off) e preferiscono procrastinare la
levodopa il più possibile, affidandosi agli anticolinergici o all’amantadina. Altri
ritengono questi fenomeni come parte del decorso della malattia e somministrano
precocemente la levodopa con la carbidopa, per ottenere il massimo
miglioramento della qualità di vita.

L’amantadina alla dose di 100-300 mg/die PO è utile nel 50% dei casi per il
trattamento del parkinsonismo lieve e precoce e per aumentare gli effetti della
levodopa nelle fasi tardive della malattia. Non se ne conosce il meccanismo
d’azione, si pensa che provochi aumento dell’attività dopaminergica o che abbia
effetti anticolinergici, oppure che presenti entrambi gli effetti. L’amantadina
spesso perde la sua efficacia se viene usata singolarmente per diversi mesi. Gli
effetti collaterali sono rappresentati da edemi agli arti inferiori, da livedo reticularis
e da stati confusionali.

La bromocriptina e la pergolide sono alcaloidi derivati dall’ergotamina, che


attivano direttamente i recettori dopaminergici dei gangli della base. Sia la
bromocriptina alla dose di 5-60 mg/ die che la pergolide alla dose di 0,1-5,0 mg/

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Disturbi del movimento

die PO, si sono rivelate utili in tutti gli stadi della malattia, quando la risposta alla
levodopa diminuisce o si instaura l’effetto on-off. L’utilità viene spesso limitata
dall’alta incidenza di effetti collaterali quali nausea, ipotensione ortostatica,
disorientamento, stato confusionale e psicosi franca. Tali effetti collaterali
possono essere controllati riducendo le dosi di levodopa. L’uso di bromocriptina o
di pergolide nelle fasi precoci di malattia, in associazione con piccole dosi di
levodopa, può ritardare l’emergenza dei movimenti involontari farmaco-indotti e
degli effetti on-off; tuttavia tale beneficio non è comprovato ed è probabilmente
dovuto alla lunga emivita dei due farmaci. La stimolazione prolungata dei
recettori dopaminergici è più vicina a quella fisiologica rispetto a quella provocata
dalla levodopa (che ha un’emivita plasmatica breve). L’integrità dei recettori post-
sinaptici per la dopamina è pertanto conservata e la risposta al farmaco risulta
più fisiologica. Tuttavia, la bromocriptina o il pergolide possono raramente essere
adoperati come farmaci antiparkinsoniani unici. I nuovi agonisti della dopamina
più specifici per il recettore D2 comprendono il pramipexolo e il ropinirolo.

La selegilina, un inibitore della monoamino ossidasi tipo B (MAO-B), inibisce uno


dei due enzimi principali che provocano la deplezione della dopamina
nell’encefalo, prolungando pertanto l’azione delle dosi individuali di levodopa. Alle
dosi di 5-10 mg/die PO, non causa crisi ipertensive (cheese effect), frequenti con
gli inibitori MAO non selettivi, i quali bloccano gli isoenzimi A e B. In alcuni
pazienti con lievi fenomeni on-off, la selegilina favorisce la riduzione dell’effetto di
deterioramento di fine dose della levodopa. Sebbene praticamente priva di effetti
collaterali propri, la selegilina può potenziare la discinesia, gli effetti collaterali
psichici e la nausea prodotta dalla levodopa, per cui può essere necessario
ridurre le dosi di quest’ultima.

La selegilina, adoperata come trattamento iniziale, può ritardare la


somministrazione di levodopa di circa 1 anno. La selegilina può potenziare la
dopamina residua nell’encefalo dei pazienti con morbo di Parkinson incipiente o
ridurre il metabolismo ossidativo cerebrale della dopamina, rallentando il
processo degenerativo.

I farmaci anticolinergici sono adoperati da soli negli stadi precoci del


trattamento e successivamente come supplemento alla levodopa. I più comuni
sono la benzatropina alla dose di 0,5-2 mg tid PO e il triexifenidile 2-5 mg PO tid.
Gli antiistaminici dotati di azione anticolinergica (p. es., la difenidramina alla dose
di 25-200 mg/ die PO e l’orfenadrina 50-200 mg/die PO) sono utili nella riduzione
del tremore. Gli antidepressivi triciclici (p. es., l’amitriptilina, usata a basse dosi di
10-150 mg PO al momento di coricarsi) possono essere spesso utili come
coadiuvanti della levodopa, oltre che come antidepressivi veri e propri.
Inizialmente, la dose deve essere bassa e quindi aumentata fino a che il paziente
la tollera. Gli effetti collaterali sono la secchezza delle fauci, la ritenzione urinaria,
la costipazione e i disturbi visivi. Soprattutto per le persone anziane, sono
particolarmente fastidiosi la confusione e i disturbi della termoregolazione dovuti
alla diminuzione della sudorazione.

Gli inibitori della catecol O-metiltransferasi (COMT), quali il tolcapone e


l’entacapone, inibiscono il calo della dopamina e pertanto sembrano essere utili
quali aggiuntivi della levodopa.

Il propranololo, a una dose di 10 mg bid fino a 40 mg PO qid, è talvolta efficace


nel tremore accentuato dall’attività.

Trattamento chirurgico: la distruzione stereotassica del globo pallido postero-


ventrale (pallidotomia) determina miglioramento sensibile della bradicinesia nello
stadio "off" e delle discinesie indotte dalla levodopa. In alcuni pazienti, il
miglioramento si mantiene fino a 4 anni dal trattamento chirurgico. Sono
promettenti i risultati della stimolazione elettrica ad alta frequenza del globo
pallido o del nucleo subtalamico. La stimolazione cerebrale profonda, a livello del
nucleo intermedio ventrale del talamo, può essere efficace per il trattamento del
tremore nel morbo di Parkinson o nel tremore essenziale. Queste procedure
sono ancora oggetto di studio.

Il trapianto di neuroni dopaminergici fetali può far regredire le anomalie chimiche


nel morbo di Parkinson. La procedura è stata eseguita sperimentalmente in vari

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Disturbi del movimento

centri e rimane oggetto di studio. L’impianto di tessuto dalla midollare del surrene
è stato abbandonato.

Rimedi fisici: è importante rimanere il più attivi possibile. Nelle fasi iniziali, il
paziente dovrà effettuare le attività quotidiane il più autonomamente possibile.
Quando più è compromessa la funzionalità motoria, un programma di esercizio
regolare o una terapia fisica possono aiutare a mantenere o ristabilire le
condizioni fisiche e insegnare strategie d’adattamento. Per il trattamento della
stipsi, che può insorgere in seguito all’assunzione dei farmaci antiparkinsoniani e
all’inattività, il paziente dovrà adottare una dieta ad alto contenuto di fibre. Può
essere utile l’impiego di integratori alimentari (p. es., psyllium) e di emollienti
fecali (p. es., il docusato sodio).

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 179-2. FARMACI SOMMINISTRATTI NEL MORBO DI PARKINSON

Classe Farmaco Range del


dosaggio (mg/die
PO)
Anticolinergici

Antiistaminici Difenidramina 25-200

Orfenadrina 50-200

Antidepressivi Amitriptilina 10-150

Doxepina 10-150

Imipramina 10-150

10-150
Nortriptilina

Miscellanea Benztropina 0,5-6

Biperidina 2-6

Etopropazina 40-400

Prociclidina 5-40

Triesifenidile 2-15
Dopaminergici
Carbidopa/ 75/300-
levodopa 250/2500
Precursore della dopamina (con
inibitore della decarbossilasi)

Agonisti della dopamina Bromocriptina 5-60

Pergolide 0,1-7
Inibitori delle MAO-B Selegilina 5-10
Meccanismo d'azione sconosciuto Amantadina 100-300

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Manuale Merck - Tabella

MAO-B 1=Monoamino ossidasi tipoB.

Tratto da Mc Dowell FA, Cedarbaum JM:" The extrapyramidal system and disorders
of movement", in Clinical Neurology (looseleaf publication), ed. RJ Joynt.
Philadelphia, JB Lippincott Company.

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Delirium e demenza

Manuale Merck

14. MALATTIE DEL SISTEMA NERVOSO

171. DELIRIUM E DEMENZA

Sommario:

Introduzione
STATO CONFUSIONALE ACUTO
Eziologia
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

DEMENZA
Prognosi e terapia

MORBO DI ALZHEIMER
Epidemiologia
Eziologia
Patogenesi
Sintomi e segni
Complicanze
Diagnosi
Prognosi e terapia

DEMENZE NON ALZHEIMER


DEMENZA VASCOLARE
Altre cause

Circa 4-5 milioni di americani (circa il 2% di tutte le età e 15% di quelli > 65 anni)
presentano qualche forma e grado di insufficienza cognitiva. L’insufficienza
cognitiva (disfunzione o perdita delle funzioni cognitive, i processi mediante i
quali la conoscenza viene acquisita, ritenuta e utilizzata) è nella maggior parte
dei casi conseguente a stato confusionale acuto (delirium) o a demenza. Essa
può insorgere anche in associazione ad alterazioni dell’affettività, come la
depressione (v. Cap. 189).

Sebbene lo stato confusionale acuto e la demenza presentino caratteristiche


distinte, inizialmente può risultare difficile distinguerli tra loro (v. Tab. 171-1). Dal
momento che nessun test di laboratorio può stabilire in modo affidabile una
sicura causa di compromissione cognitiva, la valutazione è in genere basata
sull’anamnesi e sull’esame obiettivo. La conoscenza del livello cognitivo di base
è essenziale per determinare l’estensione e la misura della sua alterazione.

Nel paziente anziano è di massima importanza evitare il comune errore clinico di


scambiare lo stato confusionale acuto per demenza. La valutazione della
demenza può essere condotta in modo lento e prolungato, in quanto la causa
raramente presenta rischi immediati di vita. Lo stato confusionale acuto è
generalmente causato da una malattia acuta o da un’intossicazione
farmacologica, pertanto i pazienti che ne soffrono possono peggiorare
rapidamente, con rischi per la vita, se non immediatamente sottoposti a
procedure diagnostiche e a trattamento.

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Delirium e demenza

STATO CONFUSIONALE ACUTO

(Delirium)

Stato clinico caratterizzato da alterazioni oscillanti delle funzioni cognitive,


dell’umore, dell’attenzione, della vigilanza e della coscienza di sé, che insorge
acutamente, sia in assenza di compromissione intellettiva precedente sia come
sovrapposta a una compromissione intellettiva cronica.

Alcuni medici (negli Stati Uniti n.d.t.) usano i termini "delirium" e stato
confusionale acuto come sinonimi; altri adoperano il termine delirium per riferirsi
a un sottogruppo di pazienti che presentano confusione e iperattività, mentre altri
ancora definiscono come delirium lo stato conclamato di confusione mentale e
come stato confusionale il disorientamento di grado lieve.

Una persona meno vigile (con obnubilamento della coscienza) e che presenta
difficoltà di attenzione avrà anche difficoltà nel percepire in modo preciso e
interpretare i dati che provengono dall’ambiente, nonché ad acquisire o ricordare
una nuova informazione; può interpretare in modo sbagliato le informazioni o
avere delle illusioni. Come conseguenza, la persona non ragiona in modo logico,
ha difficoltà a gestire i dati simbolici (p. es., effettuare calcoli aritmetici o spiegare
i proverbi), diventa ansiosa e agitata o si isola e potrà pensare in modo paranoide
e maniacale.

Eziologia

Lo stato confusionale acuto può insorgere in persone con un’attività cerebrale


normale, ma è più comune in quelle con una patologia cerebrale di base, come la
demenza. È più comune nell’anziano, probabilmente a causa di alterazioni a
carico dei neurotrasmettitori, della diminuzione senile delle cellule cerebrali e di
malattie concomitanti. Lo stato confusionale acuto può essere conseguente a
patologie cerebrali primitive o a patologie a carico di altri sistemi con
interessamento successivo dell’encefalo; le cause sono in genere metaboliche,
tossiche, organiche o infettive. Indipendentemente dalla causa, sono
compromessi dal punto di vista fisiopatologico gli emisferi cerebrali o i
meccanismi di vigilanza del talamo e il sistema reticolare del tronco encefalico.
Le alterazioni del sonno e lo stress estremo, che si sovrappongono a una
patologia acuta, possono peggiorare i sintomi dello stato confusionale acuto
(come la psicosi da terapia intensiva).

Cause metaboliche o tossiche: praticamente, ogni alterazione metabolica può


causare stato confusionale acuto. Alcune cause metaboliche e tossiche di stato
confusionale acuto sono riportate nella Tab. 171-2. Negli anziani, gli effetti
collaterali dei farmaci ne rappresentano la causa più comune.

Cause organiche: le lesioni organiche che possono scatenare lo stato


confusionale acuto comprendono le occlusioni vascolari e l’infarto cerebrale,
l’emorragia subaracnoidea, l’emorragia cerebrale, i tumori primitivi o metastatici,
gli ematomi subdurali e gli ascessi cerebrali. La maggior parte delle lesioni
organiche può essere individuata mediante TAC o RMN e molte causano segni
neurologici focali osservabili all’esame obiettivo.

Cause infettive: lo stato confusionale acuto può essere causato da meningite


acuta, da encefalite o da infezioni esterne all’encefalo, forse per il metabolismo di
tossine o per il rialzo termico. La polmonite (anche senza compromissione
dell’ossigenazione), le infezioni del tratto urinario, la sepsi o la febbre da
infezione virale, possono causare uno stato confusionale in pazienti con
particolare vulnerabilità encefalica. Gli ascessi embolici, a sviluppo lento o le
infezioni opportunistiche, sono difficili da diagnosticare e, in alcuni casi,
richiedono biopsie cerebrali.

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Delirium e demenza

Sintomi e segni

I sintomi dello stato confusionale acuto spesso fluttuano rapidamente, anche nel
giro di minuti e tendono a essere peggiori in tarda giornata (crepuscolarità). Il
sintomo più evidente è rappresentato dall’obnubilamento della coscienza,
accompagnato da disorientamento temporale, spaziale o per le persone. La
capacità di attenzione è labile. È frequente unaconfusione per gli eventi
quotidiani e la routine giornaliera. Le alterazioni della personalità e dell’affettività
sono comuni. I sintomi comprendono irritabilità, comportamento inadeguato,
timore, attività eccessiva o anche caratteri francamente psicotici, come le
illusioni, le allucinazioni (comunemente visive) o la paranoia. Alcune persone
sono calme, ritirate o apatiche, mentre altre sono agitate o iperattive; l’agitazione
fisica è spesso espressa mediante la marcia. Si possono manifestare in pochi
istanti emozioni contraddittorie. Il pensiero diventa disorganizzato e l’eloquio è
spesso disordinato, con espressioni sbagliate, rapidità, neologismi, errori afasici
e modalità espressive caotiche. I normali ritmi del sonno e dell’alimentazione
sono generalmente alterati in modo evidente. Alcuni presentano uno stato di
stordimento.

Diagnosi

È necessaria una rapida valutazione medica, in quanto lo stato confusionale


acuto può avere una prognosi grave mentre la condizione di base può essere
spesso trattabile. Secondo alcune stime, il 18% degli anziani deliranti ricoverati
muore e il periodo di ricovero è raddoppiato per coloro che sviluppano uno stato
confusionale rispetto a quelli che non lo sviluppano.

La diagnosi è quasi interamente clinica. I criteri diagnostici sono riportati nella


Tab. 171-3. I test di laboratorio devono comprendere una chimica completa,
l’emocromo con formula, un test per la lue come il test del VDRL (Venereal
Disease Research Laboratories), esame delle urine con coltura, coltura ematica,
test di funzionalità tiroidea, valutazione del livello di vitamina B12 e uno screening
tossicologico. A meno che si sospetti uno stato di male epilettico (un reperto
estremamente raro negli anziani) o un’encefalite, non risultano utili indagini quali
EEG, le punture lombari, la tomografia a emissione di fotoni singoli e la
tomografia a emissione di positroni. Una TAC con contrasto può rilevare vecchi o
nuovi infarti o ematomi subdurali.

Sebbene i due stati possano essere coesistenti, lo stato confusionale acuto


associato ad apatia deve essere differenziato dalla depressione, specialmente
nel paziente anziano. Analogamente, l’agitazione e le allucinazioni associate a
stato confusionale acuto dovranno essere distinte da quelle causate da psicosi
funzionale, un disturbo psichiatrico che è quasi sempre privo di disorientamento,
amnesia e compromissione cognitiva, che invece si riscontrano nei pazienti
deliranti (o intossicati). Una storia di mania o di alterazioni schizofreniformi
depone per una patologia psichiatrica.

Le patologie sistemiche possono scatenare lo stato confusionale acuto e


dovranno essere ricercate ai fini del trattamento; un esempio è la sindrome di
Wernicke-Korsakoff, caratterizzata da confusione, disorientamento e perdita di
memoria. L’ipotermia, la tachicardia, l’ipotensione, il tremore e l’oftalmoplegia
indicano chiaramente una patologia alcolistica. Lo stato epilettico, che consiste in
assenze o crisi parziali complesse, può provocare uno stato confusionale, difficile
da differenziare dallo stato confusionale acuto. Gli stati comiziali, tuttavia,
provocano, rispetto allo stato confusionale acuto, un tipo più stabile e meno
intenso di confusione, con minore stordimento. Nonostante l’aspetto confuso, il
paziente epilettico generalmente presenta un buon senso dell’orientamento,
rispetto alla maggior parte dei pazienti in stato confusionale. Lo stato epilettico
non convulsivo può essere individuato mediante EEG. Sono diagnostici i tracciati
EEG con punte e onde o con scariche a onda aguzza. Lo stato confusionale
acuto da solo raramente scatena uno stato epilettico, ma una crisi generalizzata

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Delirium e demenza

tonico-clonica spesso esita in uno stato confusionale acuto che può persistere
per uno o più giorni. Nell’encefalopatia, l’EEG mostra in entrambi gli emisferi un
ritmo più lento di quello alfa. Nell’encefalopatie epatica o renale possono
comparire onde trifasiche.

Terapia

I sintomi sono generalmente reversibili qualora la causa sottostante venga


rapidamente identificata e trattata in modo adeguato, specialmente se essa è
rappresentata dall’ipoglicemia, da un’infezione, da un fattore iatrogeno, da
tossicità farmacologica o da uno squilibrio elettrolitico. Comunque, il processo di
guarigione può essere lento (giorni o addirittura settimane o mesi), soprattutto
negli anziani.

Si deve interrompere la somministrazione di tutti i farmaci non necessari. La


malattia identificabile deve essere trattata e devono essere somministrati liquidi e
fattori nutrizionali. Se si sospetta che il paziente abusi dell’alcol o che sia in
astinenza, si dovrà sottoporlo a somministrazione di tiamina, 100 mg IM al giorno
per almeno 5 giorni, per assicurarne l’assorbimento. Durante il ricovero, questi
pazienti dovranno essere sottoposti a controllo per l’insorgenza di astinenza, che
può manifestarsi mediante disturbi neurovegetativi e peggioramento della
confusione.

L’ambiente dovrà essere il più tranquillo e calmo possibile, preferibilmente con


illuminazione soffusa ma senza il buio completo. Lo staff medico e i familiari
devono rassicurare il paziente, rafforzarne l’orientamento e spiegare in ogni
occasione i vari procedimenti a cui intendono sottoporlo. Ulteriori farmaci, se non
necessari per far regredire la condizione di base, devono essere evitati.
Comunque, l’agitazione talvolta necessita di trattamento sintomatico,
particolarmente quando compromette il benessere del paziente o delle persone
che l’assistono. La contenzione, se usata con giudizio, può prevenire che il
paziente si strappi le vie venose e le altre connessioni. Gli agenti di contenzione
devono essere applicati da persone esperte, devono essere allentati ogni due ore
per prevenire lesioni e devono essere interrotti appena possibile.

Sono disponibili pochi dati in grado di indirizzare la scelta dei farmaci per il
trattamento dello stato confusionale acuto. Basse dosi di aloperidolo (0,25 mg
PO, IM o EV) o tiorazidina (5 mg PO) possono risultare utili nel trattamento del
paziente delirante. Talvolta sono necessarie dosi più massicce (aloperidolo 2-
5 mg o tioridazina 10-20 mg). Farmaci più recenti, come il risperidone, possono
essere somministrati in sostituzione dell’aloperidolo per la terapia orale, ma non
sono disponibili IM o EV. Le benzodiazepine ad azione breve o intermedia
(p. es., l’alprazolam, il triazolam) possono controllare l’agitazione; le
benzodiazepine possono peggiorare la confusione ma, se necessarie, dovranno
essere somministrate alla dose minima efficace. Tutti i farmaci psicoattivi devono
essere ridotti e quindi eliminati, appena possibile in modo da poter valutare il
grado di guarigione.

DEMENZA

Deterioramento cronico della funzione intellettiva e delle altre capacità cognitive,


grave abbastanza da interferire con la possibilità di essere autosufficienti.

La Tab. 171-4 riporta molte delle cause conosciute. La demenza può insorgere in
ogni età e può colpire soggetti giovani in seguito a lesioni o ipossia. Tuttavia,
essa è per lo più una malattia dell’anziano, colpendo più del 15% delle
persone > 65 anni di età e il 40% delle persone > 80 anni di età. Comporta più
della metà del numero di assistenze domiciliari ed è la condizione più temuta
dagli anziani.

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Delirium e demenza

Sebbene con l’età diminuisca la memoria recente, le altre funzioni cognitive


rimangono relativamente immutate. Pertanto, la demenza rappresenta una
marcata deviazione dalla normale funzionalità. Tradizionalmente, la demenza è
stata classificata come Alzheimer o non-Alzheimer. La demenza viene talvolta
classificata come reversibile o irreversibile, a seconda dell’eziologia, sebbene
tale classificazione complichi la distinzione tra demenza e stato confusionale
acuto.

Nei pazienti anziani, il medico dovrà differenziare il deficit cognitivo incipiente


dalla compromissione senile della memoria. Le persone che presentano una
compromissione della memoria, dovuta all’invecchiamento, hanno difficoltà a
ricordare, rispetto alle altre persone della stessa età. Esse tendono ad
apprendere lentamente le nuove informazioni; se viene concesso loro più tempo
per effettuare i compiti assegnati, il loro rendimento intellettuale risulta in genere
adeguato.

La demenza da depressione (in precedenza definita come pseudodemenza)


descrive generalmente i pazienti che possono inizialmente sembrare dementi,
ma che sono affetti da depressione piuttosto che da un’alterazione
neuropatologica. Questi pazienti riacquistano la capacità mentale, qualora venga
trattata la depressione. Più frequentemente, depressione e demenza coesistono;
in tali casi, il trattamento della depressione è comunque importante, ma non
ripristina completamente la cognitività.

La diagnosi si basa sull’anamnesi e sulla valutazione dello stato mentale. I criteri


diagnostici sono riportati nella Tab. 171-5. Può essere necessario l’aiuto dei
familiari per identificare i farmaci o gli altri fattori tossici. I pazienti depressi si
distinguono perché inappetenti, costipati e perché dormono meno del normale e
si sentono meglio la sera; rispondono lentamente alle domande, ma spesso in
modo accurato; possono essere quasi muti, ma rari sono gli afasici. Raramente
dimenticano gli eventi quotidiani importanti o gli argomenti di maggiore interesse;
i pazienti gravemente depressi tendono a lamentarsi dei deficit della memoria, in
modo esagerato rispetto a quelli riscontrati mediante la valutazione clinica. Al
contrario, i dementi si lamentano raramente di problemi legati alla memoria.
Contrariamente ai pazienti dementi, i pazienti depressi non presentano segni
neurologici degni di nota.

Prognosi e terapia

La velocità di progressione della demenza è molto variabile e dipende dalla


causa che l’ha indotta. La demenza può essere stabile, qualora consegua a un
trauma cerebrale grave o a una transitoria asistolia. L’astensione dall’alcol, da
parte dei pazienti che presentano demenza alcolica, può condurre a un
sostanziale miglioramento a lungo termine. Il controllo dell’ipertensione o del
diabete può rallentare o arrestare l’evoluzione della demenza vascolare
(multinfartuale), comportando un miglioramento per alcuni pazienti.

Anche se la funzione intellettiva non può essere ripristinata o il suo declino


arrestato, semplici provvedimenti di sostegno (p. es., il frequente rinforzo
dell’orientamento; un ambiente familiare brillante, favorevole; un minimo di nuove
stimolazioni; attività regolari poco stressanti) possono essere di notevole aiuto.
L’orientamento temporale è favorito dall’impiego di grandi calendari e orologi e
dal rendere routinarie le attività quotidiane; l’uso di targhette di identificazione del
personale sanitario, il quale si presenterà ripetutamente al paziente, migliora
l’orientamento verso le persone. In ogni caso, il paziente necessi

ta di molto tempo per riadeguarsi all’ambiente, alle attività quotidiane, alla gente.
Le informazioni date al paziente devono essere semplici, omettendo le frasi non
essenziali.

Si dovranno evitare stanze troppo silenziose, scure o isolate. La camera deve


essere luminosa e contenere stimoli sensoriali, come radio o televisione o una
luce accesa di notte per aiutare il paziente a rimanere orientato. L’ambiente

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Delirium e demenza

dovrà inoltre essere sicuro e protetto; per esempio, potranno essere installati
sistemi di segnalazione per controllare coloro che tendono a girovagare. Si
dovranno evitare sia l’iperstimolazione che l’ipostimolazione. La socialità del
paziente sarà mantenuta dalle frequenti visite dei familiari e dello staff medico;
l’isolamento deve essere evitato. I componenti dello staff medico dovranno
evitare di contrastare o intimidire il paziente. Il paziente dovrà rimanere attivo
quanto più possibile; le famiglie devono coinvolgerlo nelle attività, evitando però
le attività che provocano ansia o confusione. Deve essere praticato
quotidianamente dell’esercizio, che diminuirà l’inquietudine, migliorerà l’equilibrio
e manterrà il tono cardiovascolare. La terapia occupazionale e la meloterapia
aiutano al mantenimento del controllo motorio e consentono la stimolazione non
verbale. La terapia di gruppo (terapia di reminiscenza e pratiche di
socializzazione) possono coadiuvare le capacità di conversazione e di relazioni
interpersonali e i consulti familiari possono insegnare ai parenti come evitare che
il paziente cada accidentalmente e come evitare di essere colpiti da lui durante i
periodi di agitazione. Ci sarà effettivamente qualche miglioramento se si
semplificheranno le attività quotidiane e sarà pertanto ridotta la necessità di
assistenza, senza che il paziente subisca la totale perdita dell’autocontrollo o
della dignità personale.

La funzionalità può spesso essere ulteriormente migliorata, eliminando o


limitando al massimo i farmaci agenti sul SNC. È controverso l’impiego di farmaci
psicoattivi nell’anziano, per il controllo di comportamenti indesiderati. Tuttavia, gli
antidepressivi possono migliorare temporaneamente la funzionalità in pazienti
che sviluppino una depressione clinica. La depressione deve essere trattata
mediante antidepressivi non anticolinergici e l’ansia e i disturbi del sonno
possono essere trattati con dosi adeguate di benzodiazepine a breve o a media
azione. Il trattamento di altri comportamenti è più problematico. Sono
frequentemente somministrati farmaci antipsicotici, ma la loro efficacia non è
stata accertata tranne che per i pazienti psicotici. La tossicità è frequente e può
essere grave. Se adoperati, non dovranno essere usati per lunghi periodi e le
dosi devono essere mantenute molto basse. Per i pazienti affetti da demenze
non Alzheimer, non esiste alcuna prova che siano di beneficio i farmaci a effetto
colinergico aumentato.

Dopo aver completato la valutazione medica e stabilito il periodo di trattamento,


le maggiori responsabilità saranno a carico della famiglia. Sebbene una cura
efficace sia raramente disponibile, il medico può comunque aiutare la famiglia,
cercando p. es., di far comprendere che, sebbene la malattia sia evolutiva, molti
fattori alla base di complicanze possono essere controllati. Lo stress derivante
dall’assistenza a una persona affetta da demenza è tremendo e può influire
negativamente sulla salute fisica e psichica dei parenti. Il medico è in grado di
riconoscere i sintomi precoci del burnout dell’assistente e indirizzare le famiglie a
centri sociali appropriati, migliorando così la terapia generale del paziente. I
componenti del team (assistente sociale, dietologo, infermiere, assistente
domiciliare e altri) consiglieranno e sosterranno i pazienti e i loro curanti.
L’inabilità può diventare talmente grave da rendere inutile la terapia di altre
patologie coesistenti (v. Cap. 294) e il paziente decede in seguito a polmonite o
altre affezioni acute.

I desideri del paziente circa l’assistenza dovranno essere chiariti prima che esso
diventi inabile. Le pratiche finanziarie e legali (p. es., procura legale durevole,
procura legale durevole per la propria assistenza sanitaria) dovranno essere
effettuate nei primi stadi della malattia.

MORBO DI ALZHEIMER

Progressiva, inesorabile perdita della funzione cognitiva, associata all’eccessivo


numero di placche senili nella corteccia cerebrale e nella sostanza grigia
sottocorticale, che presenta inoltre zone di degenerazione a vortice costituite da β-
amiloide [fy3,2] e neurofibrille composte dalla proteina tau.

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Delirium e demenza

Epidemiologia

Le forme a insorgenza precoce ammontano solo al 2-7% dei casi e sono


generalmente dovute a una mutazione genetica ereditaria. La forma comune
colpisce persone > 60 anni d’età; la sua incidenza aumenta con l’età.

Quattro milioni di statunitensi soffrono di morbo di Alzheimer, con un costo annuo


di circa 90 miliardi $, comprensivi di cure mediche e di assistenza domiciliare,
servizi sociali, perdita di produttività e morti premature. La malattia è circa il
doppio più frequente nelle donne rispetto agli uomini (forse perché le donne
vivono più a lungo, ma il sesso femminile può rappresentare di per sé un fattore
di rischio). Costituisce più del 65% delle demenze dell’anziano. La demenza
vascolare e il morbo di Alzheimer coesistono in circa il 15% dei casi.

Eziologia

La causa del morbo di Alzheimer è sconosciuta. La malattia è familiare in circa


il 15-20% dei casi. I rimanenti casi, cosiddetti sporadici presentano alcuni
determinanti genetici. Almeno quattro diversi geni, localizzati sui cromosomi 1,
14, 19 e 21, influenzano l’insorgenza e l’evoluzione della patologia. Il
cromosoma 21 codifica il precursore proteico dell’amiloide, che si accumula
nell’encefalo dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer (come anche in altri tipi di
patologie). Il cromosoma 19 codifica gli alleli 1 fino a 4 dell’apolipoproteina (apo)
E (ε1-ε4). La presenza dell’allele ε4 aumenta il rischio d’insorgenza del morbo di
Alzheimer nei soggetti bianchi; gli alleli ε2 e ε4 aumentano il rischio d’insorgenza
nei soggetti di colore. La trisomia 21 causa morbo di Alzheimer a insorgenza
precoce nelle persone affette da sindrome di Down. Questi reperti confortano
l’osservazione epidemiologica che la malattia abbia una modalità genetica
autosomica dominante, nella maggior parte delle insorgenze precoci e in alcune
forme più tardive, ma con variabilità di penetranza. I fattori ambientali sono
oggetto di attive ricerche. Ipotesi non comprovate comprendono bassi livelli
ormonali e l’esposizione ai metalli.

Patogenesi

Si riscontra spopolamento neuronale nella corteccia cerebrale, nell’ippocampo e


nelle strutture sottocorticali (compresa una selettiva perdita cellulare nel nucleo
basale di Meynert), nel locus caeruleus e nel nucleo del rafe dorsale. Come
individuato dalla tomografia a emissione di positroni, in alcune aree dell’encefalo,
il consumo di glucoso e la perfusione cerebrale sono ridotti (corteccia del lobo
parietale e temporale nelle fasi iniziali della malattia, corteccia prefrontale nelle
fasi tardive della malattia); si ignora se tale riduzione preceda o segua la morte
cellulare. Può inoltre essere colpito il sistema microvascolare, come
nell’angiopatia congofilica.

Svolgono un ruolo nella patogenesi del morbo di Alzheimer le placche neuritiche


o senili (composte da neuriti, astrociti e cellule gliali disposte intorno a un nucleo
amiloideo) e aggregazioni neurofibrillari a vortice (composte da filamenti elicoidali
accoppiati). Le placche senili e le aggregazioni neurofibrillari sono normalmente
presenti nell’invecchiamento, ma sono molto più prevalenti nelle persone affette
da morbo di Alzheimer.

Nel morbo di Alzheimer sono presenti specifiche anomalie proteiche. Si ritiene


che la proteina β-amiloide contribuisca alla patogenesi della malattia. La ricerca
attuale sta tentando di determinare se l’amiloide rappresenti una causa tossica
del declino cognitivo o se essa costituisca una reazione biologica o un fenomeno
secondario. Le apoproteine E, prodotte nell’encefalo e nel fegato, influiscono su
molti processi cerebrali, come il deposito di amiloide, l’integrità del citoscheletro e
l’efficacia della riparazione neuronale. Il ruolo dell’apoproteina E nel morbo di
Alzheimer è sempre più certo. La proteina presenta tre forme alleliche

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Delirium e demenza

denominate ε2, ε3 e ε4, con conseguenti sei genotipi: ε2/ε2, ε2/ε3, ε2/ε4, ε3/ε3, ε3/
ε4 e ε4/ε4. Il rischio per il morbo di Alzheimer è sostanzialmente aumentato nelle
persone con due alleli ε4, che svilupperanno più probabilmente la malattia tra i 60
e i 75 anni d’età. L’incidenza può essere diminuita in coloro i quali presentano
l’allele ε2. Dal momento che circa il 40% delle persone che raggiungono gli
85 anni d’età sviluppa alcune forme diagnosticabili di demenza,
indipendentemente dallo stato delle apo E, questo test genetico non risulta molto
utile nel predire se una persona svilupperà nel corso della propria vita il morbo di
Alzheimer. Il test è disponibile in commercio. La sua utilità come test diagnostico
aggiuntivo (piuttosto che come test predittivo) per il morbo di Alzheimer è oggetto
di studio.

Molte proteine risultano aumentate in modo anomalo nell’encefalo e compaiono


nel liquor. Non è certo se esse siano agenti causali o se siano i marker della
malattia. La proteina tau (di origine neurofibrillare) ha un’alta specificità ma una
bassa sensibilità nell’identificare una demenza come morbo di Alzheimer; un tipo
diverso di proteina tau si accumula inoltre nei pazienti affetti da paralisi
progressiva sopranucleare (v. Cap. 179). La colina acetiltransferasi è
notevolmente ridotta, con conseguente ridotta disponibilità di acetilcolina. Sono
ridotti in modo significativo la somatostatina, il fattore di rilascio corticotropo e altri
neurotrasmettitori.

Sintomi e segni

Il morbo di Alzheimer può essere diviso in vari stadi clinici. Tuttavia, i pazienti
presentano grande variabilità e l’evoluzione della malattia non è così regolare
come indicato nella seguente descrizione. La malattia evolve gradualmente,
sebbene talvolta i sintomi sembrino raggiungere, per un certo periodo, un
plateau.

La fase iniziale è caratterizzata da perdita della memoria a breve termine,


incapacità ad apprendere e ricordare le nuove informazioni, problemi di
linguaggio (specialmente nel reperire le parole), cambiamenti dell’umore e
alterazioni della personalità. I pazienti possono presentare una difficoltà
progressiva nell’effettuare le attività quotidiane (p. es., trovare la strada o
ricordare dove hanno messo le cose). Il pensiero astratto e la critica sono ridotti. I
pazienti possono reagire alla perdita del controllo e della memoria con irritabilità,
ostilità e agitazione. Alcuni pazienti presentano afasia isolata o problemi visuo-
spaziali. Sebbene lo stadio iniziale può non compromettere la socialità, i parenti
si accorgono di strani comportamenti (p. es., il paziente si perde mentre si reca al
supermercato o dimentica il nome di un ospite recente), associati a comparsa di
labilità emotiva.

Nello stadio intermedio, i pazienti diventano incapaci di apprendere e di


ricordare nuove informazioni. La memoria per gli avvenimenti remoti risulta
compromessa, ma non del tutto perduta. I pazienti necessitano di aiuto per
lavarsi, mangiare e vestirsi. La disorganizzazione comportamentale può
manifestarsi con il girovagare, l’agitazione, l’ostilità, il negativismo o l’aggressività
fisica. Da questo stadio in poi, i pazienti perdono del tutto il senso del tempo e
dello spazio, perché i normali riferimenti ambientali e sociali sono gestiti in modo
inefficace. I pazienti spesso si perdono, talvolta al punto di non essere in grado di
trovare la propria camera da letto o il bagno. Sebbene conservino la capacità di
camminare, rischiano di cadere o di subire incidenti conseguenti allo stato
confusionale.

Nello stadio grave, i pazienti sono incapaci di camminare o di effettuare ogni tipo
di attività quotidiana e, generalmente, sono completamente incontinenti. La
memoria a breve e a lungo termine è completamente perduta. I pazienti possono
non essere in grado di inghiottire e di mangiare, rischiando malnutrizione,
polmoniti (specialmente da inalazione) e piaghe da decubito. Il ricovero presso
strutture a lunga degenza diventa spesso necessario, in quanto i pazienti sono
completamente dipendenti dagli altri. Successivamente, perdono l’uso della
parola. Dal momento che questi pazienti non sono in grado di riferire alcun

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Delirium e demenza

sintomo, il medico dovrà basarsi sull’esperienza e sull’intuito nella diagnosi delle


patologie sovrapposte, specie per gli anziani che presentano reazioni afebbrili o
non leucocitosiche alle infezioni.

Le alterazioni motorie o altre alterazioni neurologiche focali si presentano


tardivamente durante la malattia, sebbene l’incidenza di crisi comiziali risulti in
qualche modo aumentata durante tutti gli stadi. Lo stadio finale del morbo di
Alzheimer è il coma e la morte, in genere a seguito a infezioni.

Complicanze

Le complicanze che si manifestano mediante le alterazioni del comportamento


comprendono l’aggressività, l’agitazione, il girovagare e il negativismo. Le
complicanze psichiatriche comprendono l’ansia e le reazioni paranoidi. Le psicosi
vere (paranoia, illusioni e allucinazioni) sono presenti in circa il 10% dei pazienti
affetti da morbo di Alzheimer. Inoltre, quasi l’80% dei parenti o degli assistenti,
con il passare del tempo, sviluppa depressione. I problemi metabolici (p. es.,
disidratazione, infezioni, tossicità farmacologica) possono peggiorare le
condizioni generali e rendere difficile il trattamento del paziente. Altre
complicanze comprendono le cadute, l’incontinenza e lo stato confusionale
serotino (sundowning). I farmaci comunemente adoperati per il trattamento del
morbo di Alzheimer (specialmente gli antipsicotici per i disturbi comportamentali)
possono provocare alterazioni motorie di tipo parkinsoniano e ipotensione
ortostatica. I farmaci triciclici, con effetti collaterali di tipo anticolinergico, possono
essere causa di stipsi, ritenzione urinaria, glaucoma e crisi comiziali. Gli
antistaminici da banco possono peggiorare lo stato confusionale. Queste
complicanze comportano il rischio di ricovero precoce; dovranno essere pertanto
evitate o trattate rapidamente, in quanto molte possono essere controllate o
risolte.

Diagnosi

La diagnosi si basa in genere sull’anamnesi, sull’esame obiettivo, su test di


laboratorio e sull’esclusione di altre cause di demenza. È necessario eseguire
una valutazione codificata dello stato mentale; il Folstein Mini-Mental Status
Examination (v. Fig. 165-1) è il test usato più comunemente. Per valutare le
attività quotidiane, può essere utilizzata la scala di Barthel. Per circa l’85% dei
pazienti affetti da morbo di Alzheimer, una diagnosi corretta può essere posta
sulla base di un’anamnesi esauriente e sui risultati di un esame obiettivo
neurologico standard. La biopsia di tessuto cerebrale viene raramente ritenuta
utile.

Le caratteristiche essenziali della demenza sono rappresentate dalla


compromissione della memoria a breve e a lungo termine, del pensiero astratto e
della critica. Sono inoltre presenti alterazioni delle altre funzioni corticali superiori
e cambiamenti di personalità. L’evolutività della compromissione cognitiva
conferma la diagnosi; il quadro clinico dei pazienti affetti da morbo di Alzheimer
non tende a miglioramenti. I seguenti criteri aiutano a stabilire la probabile
diagnosi del morbo di Alzheimer: demenza, stabilità mediante l’esame clinico e
documentata da un test codificato dello stato mentale, deficit in due o più aree
cognitive, progressivo peggioramento della memoria e delle altre funzioni
cognitive, nessun’alterazione della vigilanza, insorgenza tra i 40 e i 90 anni, più
spesso dopo i 65 anni di età e assenza di alterazioni sistemiche o cerebrali che
possano spiegare il deficit progressivo della memoria e della cognitività.
Strumenti di valutazione, quali l’Hachinski Ischemic Score, sono utili nel
differenziare la demenza vascolare (v. oltre) dal morbo di Alzheimer.

La valutazione di base dovrà comprendere un esame emocromocitometrico. Per


alcuni pazienti può essere necessario eseguire un ECG e una radiografia del
torace, nonché un dosaggio degli elettroliti, uno SMA-12/60 (Sequential Multiple
Analyzer), un test di funzionalità tiroidea, il dosaggio dei folati e della

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Delirium e demenza

vitamina B12, la VDRL e l’esame delle urine; Se l’anamnesi indica la presenza di


una lesione espansiva cerebrale, se vi sono segni neurologici focali o se la
demenza è a insorgenza recente, dovranno essere effettuate la TAC o la RMN
per escludere la presenza di tumori, infarti, ematomi subdurali e dell’idrocefalo
normoteso. La tomografia a emissione di positroni rappresenta la principale
tecnica di indagine; comunque, la semplice tomografia a emissione di fotoni
fornisce informazioni simili circa la perfusione cerebrale e, in alcuni casi, può
contribuire alla diagnosi differenziale. La puntura lombare è raramente
necessaria, ma dovrà essere presa in considerazione se si sospetta che la causa
della compromissione cognitiva sia rappresentata da un’infezione cronica o dalla
neurolue.

La depressione, il problema psichiatrico più comune dell’anziano, può simulare


un morbo di Alzheimer allo stadio iniziale e coesiste con esso in circa il 20% dei
casi; pertanto, dovrà essere trattata nei pazienti che presentano una
compromissione cognitiva.

Prognosi e terapia

Il declino cognitivo è inevitabile, ma l’entità dell’evoluzione non è pronosticabile.


La sopravvivenza varia dai 2 ai 20 anni, con una media di 7 anni.

I principi generali del trattamento sono gli stessi delle altre forme di demenza (v.
Trattamento sotto Demenza, sopra).

Durante le prime fasi del morbo di Alzheimer, alcuni farmaci che incrementano la
neurotrasmissione colinergica, come il donepezil, possono migliorare, almeno
provvisoriamente, le alterazioni della memoria. Tuttavia, essi non modificano il
costante peggioramento della patologia di base. La tacrina presenta la maggior
parte degli effetti collaterali. Potrà essere preso in considerazione un trattamento
di prova con donezepil, iniziato alla dose di 5 mg alla sera e, dopo 4-6 settimane,
aumentato a 10 mg; questo farmaco dovrà essere protratto per diversi mesi, per
stabilirne l’efficacia. Gli effetti degli antiossidanti (p. es., la vitamina E), della
terapia estrogenica e dei FANS sono ancora oggetto di studio.

Molti farmaci hanno un effetto negativo sul SNC perché aumentano lo stato
confusionale e il sopore. I sedativi, quali le benzodiazepine, dovranno essere
evitati quanto possibile. Dovranno essere evitati i farmaci anticolinergici, come
alcuni antidepressivi triciclici, antistaminici, antipsicotici e le benzotropine.

Nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer o da demenza vascolare, un estratto di


Ginkgo biloba, denominato EGb, può rallentare o far lievemente regredire la
perdita di memoria e migliorare gli altri sintomi. L’estratto può agire come
scavenger dei radicali liberi. Le complicanze sembrano minime, ma sono
necessari ulteriori studi di conferma.

DEMENZE NON ALZHEIMER

La demenza a corpi di Lewy rappresenta la seconda demenza più comune


dopo il morbo di Alzheimer. I corpi di Lewy sono le tipiche lesioni dei neuroni in
degenerazione nel morbo di Parkinson e si rilevano nella demenza, con o senza
le caratteristiche del morbo di Parkinson. Nella demenza a corpi di Lewy, i corpi
di Lewy possono essere predominanti o essere interposti alle classiche
alterazioni patologiche del morbo di Alzheimer. I sintomi, i segni e il decorso della
demenza a corpi di Lewy sono simili a quelli del morbo di Alzheimer, eccetto che
per la presenza di allucinazioni (principalmente visive) e per la spiccata
sensibilità che i pazienti sembrano avere per gli effetti indesiderati di tipo
extrapiramidale degli antipsicotici.

La successiva causa più frequente di demenza dell’anziano è la demenza

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Delirium e demenza

vascolare, che può coesistere con il morbo di Alzheimer. Altre cause sono
riportate nella Tab. 171-4.

Un paziente affetto da demenza non Alzheimer presenta talora un quadro simile


al morbo di Alzheimer. Talvolta, risultano compromesse in modo specifico le aree
di funzione superiore, come l’eloquio (afasia), l’attività motoria (aprassia),
l’interpretazione dello stimolo sensoriale (agnosia), il giudizio, la memoria a breve
termine, la personalità e il comportamento.

Contrariamente alle alterazioni cognitive e comportamentali del morbo di


Alzheimer, le alterazioni delle altre forme di demenza possono insorgere
improvvisamente e non sono necessariamente di tipo evolutivo. I sintomi
neurologici focali (p. es., le anomalie dell’andatura, le crisi comiziali),
l’incontinenza e le anomalie muscolari possono far parte della sindrome di
demenza non Alzheimer e possono insorgere precocemente.

Demenza vascolare

La malattia cerebrovascolare può distruggere il tessuto cerebrale tanto da


comprometterne la funzione. La demenza vascolare, con compromissione
funzionale legata a singoli infarti in zone critiche o a piccoli infarti multipli, per
alterazioni a carico di piccoli o medi vasi, è più comune negli uomini e insorge
generalmente dopo i 70 anni. È presente più spesso nelle persone affette da
ipertensione arteriosa e/o diabete mellito o che abusano di tabacco. La demenza
vascolare progressiva può generalmente essere rallentata mediante il controllo
della pressione arteriosa, la regolazione della glicemia (90-150 mg/dl) e la
sospensione del fumo. Nel 20% delle autopsie dei pazienti affetti da demenza, si
rileva un danno vascolare di grado variabile.

Dal momento che il processo patologico è di tipo infartuale, la demenza


vascolare tende a evolvere per episodi; ne conseguono il declino intellettivo e i
frequenti deficit neurologici successivi ad ogni episodio. Il deficit cognitivo può
essere in qualche modo focale. Negli stadi precoci, la personalità e l’insight
tendono a essere più conservati rispetto al morbo di Alzheimer. Con il progredire
della malattia, possono insorgere segni neurologici, specialmente emiplegie,
paralisi pseudobulbare con riso e pianto patologici e altri segni di disfunzione
extrapiramidale.

I sintomi della demenza vascolare sono talvolta simili a quelli del morbo di
Alzheimer; le due malattie possono essere difficili da distinguere. A tal fine, può
essere utile, come strumento di valutazione, l’Hachinski Ischemic Score.
Possono contribuire a differenziare la demenza vascolare dal morbo di Alzheimer
l’insorgenza precoce (età < 75 anni), il sesso maschile, l’abuso di sigarette, ictus
precedenti, il diabete, patologie cardiache o ipertensione arteriosa, la presenza di
deficit neurologici focali o il decorso evolutivo intermittente. I risultati delle
indagini di laboratorio, comprese la TAC o la RMN, possono coadiuvare ma non
stabilire la diagnosi di demenza vascolare. Nessuno strumento diagnostico risulta
tuttavia inutile. Anche all’autopsia, la diagnosi definitiva risulta talora impossibile,
in quanto le due malattie condividono alcune caratteristiche anatomopatologiche.

La demenza di Binswanger (encefalopatia arteriosclerotica sottocorticale) è


infrequente ed è costituita da infarti multipli nella sostanza bianca profonda degli
emisferi, associati a ipertensione e malattia vascolare sistemica. Sebbene
clinicamente simile alla demenza vascolare, la demenza di Binswanger può
essere caratterizzata da sintomi neurologici più focali, associati a ictus, nonché
da un più rapido deterioramento. La RMN e la TAC mostrano aree di
leucoencefalopatia nel centro semiovale adiacente alla corteccia.

Altre cause

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Delirium e demenza

Più del 25% dei pazienti con morbo di Parkinson è demente; alcune stime
ammontano all’80% (v. Cap. 179). All’autopsia, i pazienti affetti da morbo di
Parkinson possono presentare alcuni dei reperti neuropatologici e molte delle
alterazioni biochimiche rilevate nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer. Una
demenza sottocorticale meno grave è inoltre associata al morbo di Parkinson.

La demenza associata a paralisi progressiva sopranucleare è comunemente


preceduta da altri sintomi neurologici, p. es., cadute ricorrenti, rigidità assiale
distonica, torcicollo posteriore, oftalmoplegia sopranucleare, disfagia e disartria.

Anche i pazienti affetti da morbo di Huntington (corea) possono presentare


sintomi di demenza, ma la diagnosi è in genere chiarita dall’anamnesi familiare,
dall’età più giovanile e dalle caratteristiche alterazioni motorie del morbo (v.
Cap. 179). In caso di dubbio, sarà diagnostica l’analisi genetica.

Il morbo di Pick è una forma di demenza meno comune, che colpisce le regioni
frontale e temporale della corteccia. I pazienti presentano notevole apatia e
alterazioni della memoria; mostrano incuria, carente igiene personale e
diminuzione dell’attenzione. Sebbene il quadro clinico e i reperti TAC del morbo
di Pick possano essere molto caratteristici, la diagnosi definitiva è possibile solo
all’autopsia. Può insorgere precocemente, durante il decorso del morbo di Pick,
la sindrome di Klüver-Bucy, con ottundimento emozionale, attività ipersessuale,
iperoralità (bulimia e movimenti di suzione e schioccamento delle labbra) e
agnosie visive.

Le sindromi di demenza del lobo frontale possono essere conseguenti a


patologia intrinseche, come tumori primitivi o metastatici, manipolazioni
chirurgiche pregresse, terapia radiante dell’encefalo o a trauma cranico grave. Il
trauma cranico ripetuto nella demenza pugilistica, presente negli sportivi
professionisti, sembra essere geneticamente legato all’allele ε4 dell’apo E.

L’idrocefalo normoteso è caratterizzato dalla triade di demenza progressiva,


incontinenza e andatura instabile, lenta e a base allargata. L’insorgenza è in
genere insidiosa e si presenta per lo più nella tarda età media e in quella
avanzata. La malattia è più comune negli uomini ed è talvolta correlata a
meningite pregressa, emorragia subaracnoidea, trauma cranico o interventi
neurochirurgici. Nella maggior parte dei casi, mancano le prove di un trauma
precedente. L’idrocefalo normoteso può essere conseguente a un danno dei villi
aracnoidei della convessità dell’encefalo, che può provocare un rallentato
riassorbimento del liquor, dilatazione ventricolare e anomalie motorie del lobo
frontale. La diagnosi viene posta in base al rilievo di una pressione liquorale
normale o elevata (150-200 mm Hg) e al reperto TAC di dilatazione ventricolare e
restringimento dei solchi cerebrali al vertice dell’encefalo, senza ampliamento
dello spazio subaracnoideo. I risultati del trattamento di derivazione del liquor
sono inconsistenti. La demenza è talvolta reversibile; alcuni esperti consigliano
una puntura lombare terapeutica con sottrazione di circa 30 ml di liquor. Il
miglioramento della marcia e della cognitività per alcune ore o giorni indicherà la
validità dell’impianto di una derivazione.

L’ematoma subdurale può causare alterazioni dello stato mentale, provocando


coma, stato confusionale acuto o una sindrome demenziale. Le alterazioni
cognitive possono presentarsi in ogni momento, dopo che il sangue comincia ad
accumularsi e possono evolvere rapidamente o lentamente, a seconda delle
dimensioni e della localizzazione dell’ematoma. Questa sindrome cronica può
assomigliare alla demenza vascolare, con deficit neurologici focali e alterazioni
cognitive. Drenando l’ematoma, si riacquista la funzionalità o si previene
un’ulteriore perdita della funzione intellettiva. Tuttavia, alcuni autori ritengono
che, se gli ematomi hanno esercitato per molto tempo pressione sull’encefalo
(forse per un anno o più), la loro evacuazione non migliorerà in modo consistente
la funzione cognitiva.

La causa di trasmissione più conosciuta di demenza è la malattia di Creutzfeldt-


Jakob, nella quale predominano i deficit di memoria, le alterazioni
elettroencefalografiche, il mioclono e talvolta l’atassia (v. Cap. 162). L’agente
infettivo è legato a una proteina alterata chiamata prione, che può essere

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Delirium e demenza

geneticamente acquisita o introdotta mediante trapianto di tessuti (dura madre o


cornea n.d.t.), il cannibalismo o apparentemente mangiando prodotti di bestiame
infetto (da qualche autore è stata ipotizzata una relazione con l’alimentazione a
base di prodotti di origine bovina provenienti da animali colpiti da encefalopatia
spongiosa n.d.t.). La maggior parte dei casi si presenta sporadicamente. Produce
un’encefalopatia spongiforme caratteristica, neuropatologicamente molto diversa
dalle alterazioni del morbo di Alzheimer. Il decorso è più rapido rispetto a quello
del morbo di Alzheimer e dura in genere per 6-12 mesi.

I pazienti affetti da malattia di Gerstmann-Sträussler-Scheinker, altra


demenza correlata alla trasmissione di prioni, presentano generalmente atassia,
seguita tardivamente da declino della cognitività (v. Cap. 162). La sindrome
colpisce persone più giovani e ha un decorso più lungo rispetto al morbo di
Creutzfeldt-Jakob.

La paresi generale, una forma di neurolue, ha rappresentato una volta, nel


mondo occidentale, una causa comune di demenza. Essa è ancora prevalente
nei paesi in via di sviluppo. Oltre al deterioramento intellettivo, possono essere
presenti tremori e alterazioni pupillari. Il liquor deve essere posto in reazione con
l’anticorpo fluorescente treponemico (FTA), in quanto il test VRDL non è
specifico. Un test FTA positivo per la lue stabilisce la diagnosi.

La demenza da AIDS può complicare gli ultimi stadi di infezione da HIV.


Demenza può essere provocata dal HIV, dal virus JC, che causa una
leucoencefalopatia multifocale progressiva o da una varietà di altri agenti infettivi
opportunistici, compresi funghi, batteri, virus o protozoi, che possono essere
identificati durante l’autopsia. Le manifestazioni più precoci comprendono
rallentamento del pensiero e dell’eloquio, difficoltà di concentrazione e apatia,
con capacità di insight conservata e con poche manifestazioni depressive. I
movimenti motori sono rallentati; può evidenziarsi atassia o debolezza. I riflessi,
compresi quelli estensori e plantari, diventano anomali. Il trattamento con
zidovudina spesso induce un miglioramento, talvolta notevole.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 171-1. DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA DELIRIUM E DEMENZA*

Delirium Demenza
Insorge rapidamente Insorge lentamente
Decorso oscillante Decorso lentamente
progressivo
Potenzialmente reversibile Non reversibile
Colpisce in modo notevole Colpisce in modo notevole la
l’attenzione memoria
Deficit cognitivi focali Deficit cognitivi globali
In genere provocata da In genere causata dal morbo
malattie sistemiche o da di Alzheimer o da una malattia
farmaci cerebrovascolare (demenza
multiinfartuale)
Richiede una valutazione Non richiede valutazione e
medica e trattamento trattamento immediati
immediati
*Tali differenze sono in genere reali e utili per la diagnosi, ma
non sono rare le eccezioni. Per esempio, il danno da trauma
cranico insorge improvvisamente e può provocare una
demenza grave permanente; l’ipotiroidismo può provocare un
quadro lentamente progressivo di demenza ma può essere
completamente reversibile dopo terapia.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 171-2. CAUSE METABOLICHE E TOSSICHE DEL DELIRIUM

Patologia Farmaci con proprietà Altri farmaci


anticolinergiche
Anossia Antiemetici Alcol

Iperpotassiemia Antistaminici (p.es., Antiipertensivi


difenidramina)
Iperparatiroidismo Benzodiazepine
Farmaci antiparkinsoniani
Ipertiroidismo Cimetidina
Antipsicotici
Ipoglicemia Digossina
Antispastici
Ipopotassiemia Narcotici
Miorilassanti
Ipotiroidismo Altri farmaci con
Antidepressivi triciclici effetto depressivo sul
Acidosi metabolica SNC

Stato post-
commotivo

Stato post-ictale

Ischemia
transitoria

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 171-3. CRITERI DIAGNOSTICI


PER IL DELIRIUM

Disturbo della coscienza (cioè ridotta consapevolezza dell'ambiente


circostante) con diminuita capacità a focalizzare, mantenere o
spostare l'attenzione.

Alterazione della cognitività (p.es., deficit della memoria,


disorientamento, disturbi del linguaggio) o sviluppo del disturbo
della percezione, non meglio riferibile a demenza preesistente,
stabile o evolutiva.

Il disturbo evolve in un breve periodo di tempo (in genere ore o


giorni) e tende a oscillare durante la giornata.

Per il delirium causato da patologie sistemiche:

Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio


indicanti che il disturbo è in relazione diretta alle
conseguenze fisiopatologiche di una patologia sistemica.

Per il delirium causato da intossicazione:

Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio


indicanti che:

1. i sintomi riportati ai precedenti due punti sono insorti


durante l'intossicazione da parte della sostanza tossica;

2. l'uso del farmaco è correlato dal punto di vis ta eziologico


al disturbo.

Per il delirium da astinenza da sostanze:

Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio


indicanti che i sintomi suddetti si sono sviluppati durante o
subito dopo l'insorgeza di una sindrome di astinenza.

Per il delirium dovuto a eziologie multiple:

Elementi anamnestici, esame obiettivo o test di laboratorio


indicanti che il delirium presenta più di un’eziologia (p.es.,
più di una patologia sis temica o una patologia sistemica
associata a intossicazione da sostanze, oppure a effetti
collaterali di farmaci.

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Manuale Merck - Tabella

Modificata da: American Psychiatric Association: Diagnostic and


Statistical Manual of Mental Disorders, IV ed., Washington DC,
American Psychiatric Association, 1994, pp 129, 131-133;
riproduzione autorizzata. Copyright, 1994 American Psychiatric
Association.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 171-4. CAUSE DI DEMENZA

Metaboliche-Tossiche Organiche Infettive


Anossia Morbo di Alzheimer Endocardite batterica

Deficit vit.B12 Sclerosi laterale amiotrofica Tumori cerebrali (selettivi)

Abuso cronico di farmaci e alcol Trauma cranico (acuto grave) Morbo di Creuzfeldt-Jakob

Deficit acido folico (?) Ematoma subdurale cronico Morbo di Gerstmann-


Sträussler-Scheinker
Ipercalcemia associata a Demenza pugilistica
Patologie da HIV
iperparatiroidismo Tumore cerebrale
Neurolue
Ipoglicemia Degenerazione cerebellare
Meningite tubercolare e
Ipotiroidismo Idrocefalo comunicante micotica

Deficit d'organo Corea di Huntington Encefalite virale

Encefalopatia epatica Irradiazione dei lobi frontali

Encefalopatia respiratoria Sclerosi multipla

Encefalopatia uremica Idrocefalo normoteso

Pellagra Morbo di Parkinson

Morbo di Pick

Leucoencefalopatia

multifocale progressiva

Paralisi progressiva sopranucleare

Interventi chirurgici

Patologia vascolare

Demenza multinfartuale

Morbo di Wilson

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Manuale Merck - Tabella

(?)= incerto

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 171-5. CRITERI DIAGNOSTICI PER LA DEMENZA

Sviluppo di deficit cognitivi multipli che si manifestano con:

1.Compromissione della memoria (alterata capacità ad apprendere le


nuove informazioni e a ricordare le informazioni precedentemente
apprese)

2. Uno (o più) dei seguenti disturbi cognitivi:

a. Afasia (disturbo del linguaggio)

b. Aprassia (incapacità di effettuare attività motoria nonostante


l'integrità della funzione motoria)

c. Agnosia (impossibilità di riconoscere o identif care gli oggetti


nonostante l'integrità della funzione sensitiva)

d. Disturbi della funzione esecutiva (cioè progettare, organizzare,


continuare, astrarre).

Ognuno dei deficit cognitivi suddetti provoca una significativa


compromissione delle attività sociali o occupazionali e rappresenta un
declino significativo del livello delle attività precedenti.

Il decorso è caratterizzato dall'insorgenza graduale e continua del


deterioramento cognitivo.

I deficit non sono esclusivamente presenti durante l'insorgenza del


delirium.

Per il morbo di Alzheimer:

I deficit cognitivi riportati nel primo criterio (parti 1 e 2) non sono in


relazione ad alcuno dei seguenti ele menti:

1. Altre patologie del SNC che provocano deficit progressivi della


memoria e della cognitività (p.es.,malattia cerebrovascolare, morbo di
Parkinson, morbo di Huntington, ematoma subdurale, idrocefalo
normoteso, tumore cerebrale).

2.Alterazioni sistemiche note come causa di demenza (p.es.,


ipoparatiroidismo, deficit di vit.B12 o di acido folico, deficit di niacina,
ipercalcemia, neurolue, infezione da HIV)

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Manuale Merck - Tabella

3. Condizioni indotte da sostanze.

Per la demenza vascolare:

Segni e sintomi neurologici focali (p es., iperreflessia, risposta estensoria


plantare, paralisi pseudobulbare, alterazioni della marcia, ipostenia di un
arto) o evidenza strumentale di malattia cerebrovascolare (p.es., infarti
multipli della corteccia e della sottostante sostanza bianca) ritenuta
eziologicamente correlata al disturbo.

Per la demenza conseguente ad altre condizioni patologiche:

I dati anamnestici, dell'esame obiettivo e delle indagini diagnostiche


indicano che l'alterazione è in relazione diretta con patologie quali il m. di
Parkinson, il m. di Huntington, il m. di Pick, la malattia di Creutzfeldt-
Jakob, il trauma cranico, l'infezione da HIV, l'idrocefalo normoteso,
l'ipotiroidismo, il tumore cerebrale, il deficit di vit.B12, o irradiazione del
cranio.
Modificata da: American Psychiatric Association: Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Disorders, IV ed., Washing ton DC,
American Psychiatric Association, 1994, pp 142-143, 146, 152;
riproduzione autorizzata. Copyright, 1994 American Psychiatric
Association.

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Disturbi disturbi dell'umore

Manuale Merck

15. DISTURBI PSICHIATRICI

189. DISTURBI DISTURBI DELL'UMORE

DEPRESSIONE

(Disturbo monopolare)

Sommario:

Introduzione
Sintomi, segni e diagnosi
Terapia

Nella sua piena espressione sindromica, la depressione clinica si manifesta


come disturbo depressivo maggiore, con decorso episodico e gradi variabili di
manifestazioni residuali tra gli episodi.

Sintomi, segni e diagnosi

L’umore è tipicamente depresso, irritabile e/o ansioso. Il paziente può apparire


infelice, con la fronte corrugata, gli angoli della bocca rivolti in giù, la postura
curva, il contatto visivo scarso e l’eloquio monosillabico (o assente). L’umore
patologico può essere accompagnato da rimuginazioni di colpa, idee di
autodeprezzamento, diminuzione della capacità di concentrazione, indecisione,
diminuzione dell’interesse per le attività abituali, ritiro, senso di impotenza e
disperazione e idee ricorrenti di morte e di suicidio. I disturbi del sonno sono
frequenti. In alcuni casi, il disturbo dell’umore è così profondo da non consentire il
pianto; il paziente lamenta l’incapacità di provare le normali emozioni (come il
dolore, la gioia e il piacere) e la sensazione che il mondo sia diventato senza
colore, senza vitalità, come morto. In questi pazienti, il ritorno della capacità di
piangere è di solito un segno di miglioramento.

La melancolia (precedentemente detta depressione endogena) ha un quadro


clinico qualitativamente distinto, caratterizzato da marcato rallentamento
psicomotorio (del pensiero e dell’attività) o agitazione (p. es., i pazienti sono
irrequieti, si torcono le mani, hanno urgenza dell’eloquio), perdita di peso, sensi
di colpa irrazionali e perdita della capacità di provare piacere. L’umore e l’attività
hanno variazioni diurne, con nadir al mattino. La maggior parte dei pazienti con
manifestazioni melancoliche lamenta difficoltà nell’addormentamento, risvegli
frequenti e insonnia a metà notte e al primo mattino. Il desiderio sessuale è
spesso diminuito o perso. Può aversi amenorrea. L’anoressia e la perdita di peso
possono portare a deperimento e ad anomalie secondarie del bilancio elettrolitico.

Alcuni esperti considerano le manifestazioni psicotiche, che si verificano nel 15%


di tutti i pazienti con manifestazioni melancoliche, il contrassegno di un sottotipo
depressivo delirante o psicotico. I pazienti hanno la convinzione delirante di
avere commesso colpe o crimini imperdonabili; voci allucinatorie li incolpano di
vari misfatti e li condannano a morte. Si possono manifestare allucinazioni visive
(p. es., di bare o di familiari deceduti), che tuttavia sono infrequenti. I sentimenti
di insicurezza e di indegnità possono condurre alcuni pazienti a credere di essere
osservati o perseguitati. Altri credono di avere malattie incurabili o vergognose
(p. es., il cancro o una malattia a trasmissione sessuale) e di poter contaminare
altre persone. Molto raramente, una persona con depressione psicotica può

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Disturbi disturbi dell'umore

uccidere dei familiari, figli compresi, per "salvarli" da future disgrazie e poi
suicidarsi. I risultati del test di soppressione al desametasone nei pazienti con
depressione psicotica sono costantemente positivi.

Nella depressione atipica, caratteristiche vegetative inverse dominano la


presentazione clinica; esse includono sintomi ansioso-fobici, peggioramento
serale, insonnia iniziale, ipersonnia spesso anche diurna e iperfagia con aumento
di peso. A differenza dei pazienti con manifestazioni melancoliche, quelli con
depressione atipica mostrano miglioramento dell’umore grazie a eventi
potenzialmente positivi, ma spesso cadono in una depressione paralizzante per
la più lieve avversità. La depressione atipica e i disturbi bipolari di tipo II si
sovrappongono largamente.

La diagnosi di depressione clinica è di solito agevole, ma il riconoscimento dei


sintomi più lievi può essere difficile. Per esempio, nel disturbo depressivo
maggiore con remissione incompleta, i sintomi depressivi classici scompaiono e
vengono sostituiti da preoccupazioni ipocondriache subacute o croniche, da
malumore con irritabilità e da problemi coniugali secondari. In altri pazienti,
considerati depressi mascherati, la depressione può non essere vissuta in
maniera consapevole. Piuttosto, i pazienti si lamentano di essere malati
fisicamente e possono indossare una maschera difensiva di apparente allegria
(depressione sorridente). Altri lamentano stanchezza, algie e dolori vari, paura di
calamità e paura di impazzire. In questi pazienti la latenza REM è abbreviata, a
supporto della natura affettiva della presentazione clinica.

La diagnosi si basa sull’insieme di segni e sintomi descritti sopra e va presa in


considerazione per tutti i pazienti, particolarmente quelli che dicono di non aver
bisogno di trattamento, oppure rifiutano di cooperare con le procedure mediche o
i trattamenti necessari.

Terapia

Principi generali: la maggior parte dei soggetti con depressione viene trattata
ambulatorialmente. La farmacoterapia, applicata nel contesto di una terapia di
sostegno e di un intervento psicoeducazionale (v. oltre), è il trattamento di scelta
per la depressione da moderata a grave; la depressione più lieve può essere
trattata con la psicoterapia. Tutti i pazienti con depressione devono essere
interrogati con tatto ma direttamente circa l’ideazione, i piani o i gesti di suicidio.
Tutte le comunicazioni a contenuto autodistruttivo vanno prese sul serio.

All’inizio, il medico deve visitare i pazienti con depressione una o due volte a sett.
per fornire sostegno e informazioni sul disturbo, nonché per monitorare i
progressi. Durante le fasi precoci del trattamento, può essere d’aiuto tenersi in
contatto con il paziente e la sua famiglia con qualche telefonata. Poiché molte
persone provano imbarazzo e demoralizzazione per il fatto di avere un disturbo
mentale, il paziente, la sua famiglia e il suo datore di lavoro (quando sia utile e
con il consenso informato del paziente) vanno informati del fatto che molto
spesso la depressione è un disturbo medico autolimitante con prognosi
favorevole. Alcuni pazienti possono trovare inaccettabile la diagnosi di
depressione, e il medico deve rassicurarli che la depressione non riflette un
difetto caratteriale, fornendo qualche spiegazione sulle alterazioni biologiche
della depressione. I pazienti preoccupati dal "prendere farmaci" possono essere
rassicurati che gli antidepressivi non creano un’abitudine. Dire ai pazienti che il
percorso verso la guarigione spesso è oscillante aiuta a ridurre la
demoralizzazione e assicura la compliance. Il trattamento degli episodi depressivi
con i farmaci va proseguito per un periodo pari almeno alla durata naturale di un
episodio (cioè, 6 mesi).

Spesso dei consigli specifici sono di giovamento ai pazienti, come dire loro di
essere quanto più attivi possibile, ma senza intraprendere impegni insormontabili,
di provare a stare in compagnia, di non darsi la colpa per la propria depressione
e di ricordare che i cattivi pensieri sono parte della malattia e passeranno. Alle
persone significative per il paziente va detto che la depressione è una malattia

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Disturbi disturbi dell'umore

grave che richiede un trattamento specifico; che i pazienti con depressione non
sono pigri; che la perdita della persona amata o del lavoro è spesso il risultato,
non la causa della depressione; che la religione può dare conforto ma non cura;
che l’attività fisica non è un trattamento specifico per la depressione e che le
vacanze possono causare un peggioramento.

Antidepressivi: gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina


(SSRI) comprendono la fluoxetina, la sertralina, la paroxetina e la fluvoxamina (v.
Tab. 189-6).

I principi seguenti sono utili alla comprensione di come gli inibitori selettivi della
ricaptazione della serotonina (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors, SSRI) e
gli altri antidepressivi di nuova generazione influenzano il sistema serotoninergico
(5-idrossitriptamina, 5-HT). Il blocco presinaptico della 5-HT produce una
maggiore quantità di 5-HT che va a stimolare i numerosi recettori 5-HT
postsinaptici. La stimolazione dei recettori 5-HT 1 è associata a effetti
antidepressivi e ansiolitici. La stimolazione dei recettori 5-HT2 produce
nervosismo, insonnia e disfunzione sessuale e il loro blocco è associato a
miglioramento della depressione. La stimolazione dei recettori 5-HT3 si associa a
nausea e cefalea e il loro blocco elimina la nausea.

Impedendo la ricaptazione presinaptica della 5-HT, gli SSRI come effetto finale
portano a una funzione serotoninergica centrale più efficiente. Non hanno effetti
anticolinergici e antiadrenergici, né effetti sulla conduzione cardiaca. Sebbene
siano selettivi per il sistema serotoninergico, gli SSRI non hanno specificità di
azione sui diversi recettori della 5-HT. Così, mentre la stimolazione dei 5-HT 1
causa effetti antidepressivi e ansiolitici, la stimolazione dei 5-HT 2 e dei 5-HT 3
provoca i comuni effetti collaterali dei SSRI: nausea, ansia, insonnia, cefalea,
irrequietezza e disfunzione sessuale. Così, paradossalmente, gli SSRI possono
sia eliminare che provocare l’ansia. Nei primissimi mesi può manifestarsi
anoressia, specialmente con la fluoxetina; la perdita di peso può essere utile per i
pazienti sovrappeso e nei bulimici. La sedazione è minima o inesistente, ma
alcuni pazienti tendono alla sonnolenza diurna nelle prime sett. di trattamento.
L’agitazione può rendere necessaria la sospensione nel 3-4% dei pazienti.
Raramente, si verifica acatisia (dovuta a debole attività dopaminergica). I più
comuni effetti collaterali sono quelli di tipo sessuale (p. es., diminuzione della
libido, difficoltà orgasmiche) che interessano sino a 1/3 dei pazienti. Alcuni
pazienti accettano questi effetti come il prezzo per il miglioramento della
depressione, ma un paziente su dieci chiede il passaggio a un’altra classe di
antidepressivi o ne ha necessità. Altri effetti collaterali sono la diarrea e la
cefalea. Le interazioni farmacologiche sono rare. Gli SSRI in caso di
sovradosaggio sono sicuri, hanno un ampio margine terapeutico e sono
relativamente facili da somministrare, con scarsa necessità di aggiustamenti
posologici (eccetto che per la fluvoxamina). Il successo di questi farmaci ha
contribuito alla diffusa accettabilità del trattamento della depressione con gli
antidepressivi da parte dei pazienti.

Gli SSRI sono indicati anche nei disturbi correlati alla depressione in cui gli
antidepressivi eterociclici non sono efficaci, tra cui il disturbo distimico, la
depressione atipica, quella stagionale, il disturbo ossessivo-compulsivo, la fobia
sociale, la bulimia, la sindrome premestruale e probabilmente il disturbo
borderline di personalità.

Il nefazodone, che blocca in primo luogo i recettori 5-HT2, inibisce anche la


ricaptazione della 5-HT e della noradrenalina. Il risultato è un’azione
antidepressiva e ansiolitica senza disfunzioni sessuali; inoltre non vi è il problema
della nausea poiché il nefazodone blocca anche i recettori 5-HT3. A differenza
della maggior parte degli antidepressivi, il nefazodone non sopprime il sonno
REM e produce un sonno riposante. Tuttavia, possono insorgere gravi aritmie
cardiache con l’uso contemporaneo di terfenadina o astemizolo.

Il trazodone, un antidepressivo simile al nefazodone, è un bloccante del


recettore 5-HT2, ma non inibisce la ricaptazione presinaptica della 5-HT. Può
causare priapismo (in 1 soggetto su 1000), che non è stato rilevato con il
nefazodone. A differenza del nefazodone, il trazodone è un α1-bloccante

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Disturbi disturbi dell'umore

noradrenergico e si associa a ipotensione posturale. È estremamente sedativo,


quindi il suo uso in dosi antidepressive (> 400 mg/die) è limitato. Viene per lo più
usato in dosi basse (da 50 a 100 mg prima del sonno) per eliminare l’insonnia
dovuta agli SSRI.

La mirtazapina blocca gli autorecettori α2-adrenergici così come i recettori 5-HT2


e 5-HT3. Il risultato è una funzione serotoninergica più efficiente senza disfuzione
sessuale e nausea. Non ha effetti avversi sulla funzione cardiaca, ha
un’interazione minima con gli enzimi epatici che metabolizzano i farmaci ed è
generalmente ben tollerata, fatta eccezione per la sedazione e l’aumento di peso
mediato dal blocco dell’H1 (istamina).

Gli antidepressivi eterociclici, il trattamento standard per la depressione prima


degli anni ‘90, comprendono i triciclici (le amine terziarie amitriptilina e
imipramina e i loro metaboliti aminici secondari nortriptilina e desipramina), i
triciclici modificati e gli antidepressivi tetraciclici. In acuto, questi farmaci
aumentano principalmente la disponibilità di noradrenalina e in certo grado di
serotonina, bloccando la loro ricaptazione nel vallo sinaptico. La
somministrazione cronica desensibilizza i recettori β1-adrenergici sulla membrana
postsinaptica (la possibile via comune finale della loro attività antidepressiva).
Come gli SSRI, gli antidepressivi eterociclici sono efficaci nel 65% di tutti i
pazienti clinicamente depressi. Sebbene i dati disponibili siano incerti, molti
medici ritengono che questi farmaci abbiano un margine di superiorità rispetto
agli SSRI nel trattamento dei pazienti con manifestazioni melancoliche e di quelli
con depressione in regime di ricovero.

I più comuni effetti collaterali degli antidepressivi eterociclici derivano dal loro
effetto di blocco muscarinico e dalle loro azioniα1-antiadrenergiche. La maggior
parte di questi antidepressivi è quindi inutilizzabile per i pazienti con malattie
cardiache. Anche bassi dosaggi possono provocare tachicardia ed effetti
chinidino-simili sulla conduzione cardiaca. La desipramina può indurre aritme
gravi nei bambini. Poché gli antidepressivi eterociclici possono provocare
ipotensione posturale, sono controindicati nei pazienti con osteoporosi,
arteriosclerosi cerebrale o cardiopatia ischemica. Altri effetti collaterali frequenti
comprendono visione offuscata, xerostomia, tachicardia, stipsi e ritardo
minzionale (almeno con gli antidepressivi triciclici a struttura aminica secondaria).
La sedazione può essere considerata o meno un effetto collaterale, a seconda
del bisogno di indurre e mantenere il sonno, ed è causata principalmente dal
blocco dei recettori 5-HT2 e H1. In alcuni pazienti si verifica un eccessivo
aumento di peso. Gli antidepressivi eterociclici, eccetto l’amoxapina, non
bloccano in misura apprezzabile i recettori D2 (dopaminergici). Una tossicità sul
piano comportamentale (eccitamento, confusione, allucinazioni o sedazione
eccessiva) è particolarmente probabile nei pazienti anziani con cerebropatia
organica. Tutti gli antidepressivi eterociclici, in particolare la maprotilina e la
clomipramina, abbassano la soglia convulsiva.

La venlafaxina ha un doppio meccanismo d’azione serotoninergico e


adrenergico, come gli antidepressivi triciclici, ma il suo profilo di effetti collaterali
è più lieve, più o meno come quello degli SSRI; il problema maggiore durante le
prime 2 sett. è la nausea. Se la dose viene aumentata gradualmente (iniziando
con aumenti di 37,5 mg/ die) la venlafaxina è ben tollerata, specialmente quando
viene usata la forma a rilascio prolungato. Questo farmaco può essere
occasionalmente più rapido (in < 1 sett.) degli altri antidepressivi. Si consiglia il
monitoraggio della PA, in quanto la PA diastolica si innalza nel 3-5% dei pazienti
con dosi > 225 mg/die. La venlafaxina ha alcuni vantaggi rispetto agli SSRI:
sembra più efficace nei pazienti con depressione grave o resistente e dal
momento che non ha un elevato legame proteico e non ha praticamente alcuna
interazione con gli enzimi epatici che metabolizzano i farmaci, pone scarsi rischi
se viene somministrata insieme ad altri farmaci.

Il buproprione non ha effetti sul sistema serotoninergico. Attraverso meccanismi


non chiari, migliora la funzionalità catecolaminergica, dopaminergica e
noradrenergica. È relativamente libero da effetti sul ciclo della depressione
bipolare. Può giovare ai pazienti depressi con un disturbo da deficit
dell’attenzione con iperattività in associazione, a quelli con dipendenza da

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Disturbi disturbi dell'umore

cocaina e infine a quelli che tentano di smettere di fumare. Il bupropione non ha


effetti sul sistema cardiovascolare, ma può causare convulsioni (nello 0,4% dei
pazienti con dosi > 450 mg/die); il rischio è maggiore nei pazienti con bulimia.
Non produce effetti collaterali sulla sfera sessuale e ha scarse interazioni con
farmaci concomitanti. Un effetto collaterale comune è l’agitazione, molto
attenuata con la forma a rilascio prolungato, che lo rende più tollerabile.

Gli inibitori delle monoaminossidasi (IMAO) inibiscono la deaminazione


ossidativa delle tre classi di amine biogene (noradrenalina, dopamina e 5-HT) e
di altre feniletilamine. Hanno effetti scarsi o nulli sull’umore normale e, sebbene
la tranilcipromina abbia alcune azioni dirette amfetamino-simili, in genere non
hanno rischio di abuso. Il loro principale valore è rappresentato dall’efficacia
laddove altri antidepressivi hanno fallito. Sono indicati anche per la depressione
atipica.

Gli IMAO attualmente sul mercato come antidepressivi negli USA (p. es., la
fenelzina e la tranilcipromina) sono irreversibili e non selettivi (inibiscono le MAO-
A e le MAO-B). Possono causare crisi ipertensive se assunti
contemporaneamente a un farmaco simpaticomimetico oppure a cibo contenente
tiramina o dopamina. Questo effetto viene chiamato "effetto formaggio", perché il
formaggio stagionato ha un contenuto elevato di tiramina. Sono scarsamente
usati per paura di questa reazione. Gli IMAO più selettivi e reversibili (p. es., la
moclobemide e il befloxatone, che inibiscono le MAO-A) non sono ancora
disponibili negli USA e sono relativamente privi di queste interazioni.

Per prevenire le crisi ipertensive da IMAO, il paziente deve evitare i farmaci


simpaticomimetici (tra cui la fenilpropanolamina e il dextrometorfano, componenti
di molti decongestionanti nasali da banco e dei sedativi della tosse), la reserpina
e la meperidina, così come le birre di malto, il Chianti, lo sherry, i liquori e i cibi
troppo maturi e invecchiati che contengono tiramina o dopamina (p. es., banane,
fave o baggiane, estratti di lievito, fichi secchi, uva passa, yogurt, formaggio,
panna acida, salsa di soia, aringhe sott’olio, caviale, fegato e cibi
eccessivamente elaborati).

La crisi ipertensiva si manifesta con cefalea grave pulsante; la PA può


raggiungere 240/ 140 mm Hg. I pazienti devono portare con sé delle compresse
da 25 mg di clorpromazina, assumerne 1 o 2 compresse non appena insorgono i
segni di tale reazione e andare al pronto soccorso più vicino. Sebbene per le crisi
ipertensive talvolta si prescriva la nifedipina sublinguale in dosi da 10 a 20 mg, la
clorpromazina é più sicura e tranquillizza il paziente. Spesso riesce a ridurre la
PA finché il paziente non arriva al pronto soccorso.

Per quanto temibile, la crisi ipertensiva è relativamente rara. I problemi più


comuni sono l’ipotensione posturale e il senso di stordimento. Un paziente
depresso che ha un’ipertensione lieve ed é candidato a un IMAO, può giovarsi
dei suoi effetti sia sulla depressione che sulla PA. Gli IMAO possono essere utili
nei pazienti che assumono litio, per i quali i diuretici sono generalmente
controindicati. Effetti collaterali frequenti degli IMAO sono difficoltà nell’erezione
(meno comune con la tranilcipromina), ansia, nausea, vertigini, insonnia, edemi
declivi e aumento di peso. Il potenziale cardiotossico e gli effetti collaterali
anticolinergici sono minimi. L’epatotossicità (la ragione per cui il primo IMAO,
l’iproniazide, é stato abbandonato) é rara con gli IMAO di uso attuale.

Gli IMAO non vanno usati con altri tipi di antidepressivi, e devono passare
almeno 2 sett. (5 con la fluoxetina, che ha un’emivita lunga) tra l’uso dei due tipi
di farmaci. Gli IMAO, usati con gli antidepressivi che hanno effetto sul sistema
serotoninergico (p. es., SSRI, nefazodone) possono produrre una sindrome
caratterizzata da ipertermia maligna, grave danno muscolare, insufficienza
renale, convulsioni e infine la morte. I pazienti che assumono IMAO e che hanno
bisogno anche di antiasmatici, antiallergici e anestetici locali o generali, vanno
trattati dallo psichiatra insieme a un internista, un dentista o un anestesista che
abbiano competenza in campo neuropsicofarmacologico.

Il metilfenidato, alla dose di 5 mg 1 volta/die o bid può essere di giovamento ai


pazienti anziani con depressione cronica lieve e anergia in seguito a malattie
infettive protratte o a interventi chirurgici.

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Disturbi disturbi dell'umore

Linee guida per la terapia farmacologica antidepressiva nei diversi tipi di


depressione: la precedente risposta a un antidepressivo specifico (sia da parte
del paziente che di un familiare) guida la scelta del farmaco. Altrimenti, la cosa
migliore è iniziare con un SSRI per la sua sicurezza e facilità di
somministrazione. Sebbene i diversi SSRI abbiano la stessa efficacia per la
media dei casi di depressione, molti medici usano la fluoxetina per i pazienti
letargici e la fluvoxamina e la paroxetina per quelli più ansiosi; la sertralina è
efficace per entrambi i tipi. L’insonnia, un effetto collaterale frequente degli SSRI,
va trattata riducendo la dose o aggiungendo una dose bassa di un antidepressivo
eterociclico sedativo. Per la nausea e la diarrea che si verificano nella fase
precoce della terapia con SSRI si sviluppa una tolleranza; le cefalee pulsanti
tuttavia non sempre scompaiono, rendendo necessaria la sospensione del SSRI.
Se causa agitazione, un SSRI va sospeso (più spesso ciò avviene con la
fluoxetina). Se nel corso di una terapia con SSRI insorgono diminuzione della
libido, impotenza o anorgasmia, si raccomanda la riduzione del dosaggio, oppure
può essere utile una sospensione del SSRI per un fine settimana; in molti casi, è
necessario passare a un antidepressivo di altra classe.

Il nefazodone è particolarmente efficace per i pazienti con ansia e insonnia, e


non provoca effetti collaterali sulla sfera sessuale. Il buproprione e la mirtazapina
sono inoltre privi di effetti collaterali sulla funzione sessuale. La fluoxetina e il
bupropione sono i farmaci di elezione per i pazienti che aumentano di peso
durante la depressione; quelli con una perdita di peso significativa possono trarre
beneficio dalla mirtazapina.

La somministrazione dell’intera dose di antidepressivo eterociclico prima del


sonno rende di solito inutile l’uso di ipnotici, riduce al minimo gli effetti collaterali
durante il giorno e aumenta la compliance (v. Tab. 189-6). Gli SSRI, che tendono
ad avere un effetto stimolante in molti pazienti con depressione, vanno
somministrati al mattino. Gli IMAO e il bupropione di solito vengono somministrati
bid (al mattino e nel primo pomeriggio) per evitare un’eccessiva stimolazione. A
causa della loro breve emivita, il nefazodone e la venlafaxina si somministrano
preferibilmente bid (al mattino e prima del sonno), ma in molti pazienti è possibile
la monosomministrazione.

La risposta terapeutica alla maggior parte delle varie classi di AD di solito si


ottiene in circa 2-3 sett. (a volte precocemente in 4 giorni o tardivamente in 5-
8 sett.). Da quattro a sei mesi dopo la risposta clinica, la dose viene abbassata a
circa 2/3 della dose terapeutica efficace, quindi ridotta gradualmente in 2-3 mesi
e poi sospesa. Evitare sospensioni brusche degli antidepressivi serve a prevenire
un rimbalzo colinergico (con incubi, nausea e coliche) con gli antidepressivi
eterociclici e sintomi di astinenza (p. es., stordimento, parestesie, sogni vividi)
con gli SSRI; tali sintomi sono meno comuni con la fluoxetina. Per la depressione
altamente recidivante, grave o cronica, la dose di antidepressivo usata in fase
acuta va usata anche per il mantenimento.

Le nuove classi di antidepressivi sono generalmente da preferire per la maggior


parte dei pazienti anziani, perché gli antidepressivi eterociclici possono essere
cardiotossici, possono aggravare il glaucoma ad angolo chiuso e l’ipertrofia
prostatica e possono scatenare uno stato confusionale. Tuttavia, gli effetti
anticolinergici di piccole dosi di antidepressivi eterociclici a volte possono giovare
ai pazienti depressi con sintomi di colon irritabile, con sintomi dolorosi importanti
(anche il dolore emicranico) o con il dolore neuropatico dovuto al diabete. Tale
utilizzo può rendere superflui gli analgesici o consentirne una riduzione del
dosaggio. Tuttavia, la maggior parte degli antidepressivi anticolinergici
(amitriptilina e dotiepina) è preferibilmente da evitare negli anziani. Tra gli
antidepressivi recenti, la venlafaxina non ha interazioni avverse con la maggior
parte degli altri farmaci, e può essere usata per il dolore.

I pazienti depressi con ansia generalizzata (cioè, preoccupazione, tensione,


fastidi gastrointestinali) rispondono bene ma tipicamente in modo lento (possono
occorrere 3 mesi) agli eterociclici sedativi (amitriptilina, imipramina, dotiepina) e
agli antidepressivi di nuova generazione (nefazodone, paroxetina, mirtazapina); il
buspirone da 10 a 30 mg bid sembra funzionare solo nei pazienti che non hanno
mai usato benzodiazepine.

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Disturbi disturbi dell'umore

Quando è prevalente un’ansia di tipo panico, la risposta a un antidepressivo


eterociclico può non essere ottimale; si potrà dunque aggiungere una
benzodiazepina (p. es., lorazepam da 1 a 2 mg PO bid o tid) per 1-3 sett. Alcuni
esperti ritengono che l’alprazolam, una benzodiazepina con struttura ad anello
triciclico, in dosi da 0,5 a 4 mg PO bid possa essere efficace anche in
monoterapia, per controllare sia l’ansia che la depressione. A causa del
potenziale di dipendenza delle benzodiazepine, gli SSRI con le proprietà meno
stimolanti (p. es., paroxetina, fluvoxamina, sertralina) sono da preferire per i
pazienti con panico e depressione. L’IMAO fenelzina (fino a 75 mg/die), quando
somministrata con le necessarie precauzioni dietetiche e farmacologiche, è
probabilmente il farmaco più affidabile per i pazienti con sintomi ansioso-fobici o
di panico e segni vegetativi inversi. I pazienti con marcate caratteristiche
ossessivo-compulsive possono trarre beneficio da un SSRI o dalla
clomipramina.

Depressione resistente: se un SSRI è inefficace può essere sostituito con un


altro, ma un antidepressivo di altra classe ha maggiori probabilità di efficacia
(p. es., la venlafaxina o il bupropione). La tranilcipromina (da 20 a 30 mg PO bid)
è spesso efficace per la depressione resistente a tentativi consecutivi con altri
antidepressivi; va somministrata da medici esperti nell’uso degli IMAO. La terapia
elettroconvulsiva è il trattamento più efficace per la depressione grave resistente
ai farmaci. Il sostegno psicologico al paziente e alle sue figure significative è
particolarmente importante nei casi resistenti.

Vengono comunenente usate strategie di potenziamento (di combinazione).


La tiroxina da 25 a 50 µg/die può potenziare la risposta ai triciclici nelle donne
con indici tiroidei ai limiti fisiologici (p. es., elevato livello basale di TSH, una
risposta eccessiva del TSH al TRH), ma questo metodo può non funzionare se il
disturbo è monopolare puro. Per i pazienti depressi con temperamento ipertimico
(energico, ambizioso, competitivo) o con anamesi familiare di disturbo bipolare, è
più sicura l’associazione di litio e antidepressivo. Altre strategie comprendono
l’associazione di un farmaco serotoninergico (p. es., un SSRI a dosi medie) e un
antidepressivo con proprietà noradrenergiche (p. es., desipramina da 50 a 75 mg/
die); l’uso di alte dosi di venlafaxina, che unisce le due proprietà; l’associazione
di un antidepressivo ticiclico sedativo (p. es., amitriptilina da 75 a 100 mg prima
del sonno) e un IMAO (p. es., fenelzina da 30 a 45 mg al mattino); l’associazione
di un IMAO con uno stimolante (p. es., destroamfetamina, metilfenidato). Le due
ultime strategie vanno usate solo da uno specialista dei disturbi dell’umore,
poiché la loro sicurezza ed efficacia sono problematiche in mani inesperte. Il
pindololo, un bloccante β-adrenergico, è ritenuto un potenziatore dell’azione degli
SSRI e del nefazodone attraverso una azione 5-HT1A; questo paradigma
sperimentale non ha avuto risultati consistentemente positivi.

Ricovero: idee di suicidio persistenti (soprattutto quando è carente il supporto


familiare), stupor, depressione agitata o delirante, debilitazione e gravi malattie
cardiovascolari concomitanti sono tutte indicazioni per il ricovero e, spesso, per la
terapia elettroconvulsivante. Una grave depressione in gravidanza, con rischio di
suicidio, con agitazione o con ritardo psicomotorio, è trattabile nel modo migliore
con la terapia elettroconvulsiva. La risposta a un numero di trattamenti
elettroconvulsivanti variabile da 6 a 10 è di solito eclatante e può salvare la vita.
Per la depressione psicotica che non costituisca un’emergenza, possono essere
somministrate per 3-6 sett. dosi massimali di venlafaxina o di un antidepressivo
eterociclico (p. es., nortriptilina); se necessario, può essere aggiunto un
antipsicotico (p. es., tiotixene fino a 20 mg/die PO o IM in 2 o 3 somministrazioni).
Per ridurre il rischio di discinesia tardiva, il medico deve somministrare
l’antipsicotico alla dose minima efficace e sospenderlo appena possibile. Gli
antipsicotici atipici (p. es., il risperidone da 4 a 8 mg/die, l’olanzapina fino a 10 mg/
die) sembrano relativamente privi di tale rischio, e il loro uso è in aumento. Di
solito, per prevenire le ricadute nei pazienti ricoverati trattati con antidepressivi e
terapia elettroconvulsivante, è necessaria una terapia ambulatoriale continuativa
con un antidepressivo per un periodo di 6-12 mesi (fino a 2 anni in pazienti con
più di 50 anni di età).

Terapia di mantenimento: il trattamento della depressione ricorrente sporadica


è analogo a quello dell’episodio singolo. Tuttavia, la depressione recidiva
nell’80% dei pazienti, che devono perciò ricevere una terapia antidepressiva a

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Disturbi disturbi dell'umore

lungo termine (e forse per tutta la vita). Il dosaggio spesso viene calibrato sulla
base del livello dell’umore e degli effetti collaterali; tuttavia, nella maggior parte
dei pazienti le recidive si prevengono nella maniera più efficace mantenendo il
dosaggio terapeutico pieno. Non vi sono evidenze conclusive che gli
antidepressivi abbiano effetti teratogeni. Se una donna incinta ha una
depressione grave che richiede una terapia di mantenimento, può assumere un
antidepressivo, ma va monitorata accuratamente da un ostetrico.

I pazienti con anamnesi familiare di disturbo bipolare devono essere sorvegliati


per l’eventualità di sviluppare ipomania; in questi pazienti, la terapia di
mantenimento con carbonato di litio da solo è probabilmente di pari efficacia. Le
ricadute possono verificarsi anche con la terapia di mantenimento più rigorosa, e
i pazienti devono essere visitati almeno ogni 2-3 mesi.

Psicoterapia: la terapia di sostegno e gli interventi psicoeducazionali,


ufficializzati come psicoterapie specifiche per la depressione, sono di solito
sufficienti a potenziare il trattamento farmacologico. La psicoterapia individuale
breve (con focus interpersonale) o la terapia di tipo cognitivo-comportamentale
(individuale o di gruppo) da sole sono efficaci nelle forme più lievi di depressione.
Se usate in associazione agli antidepressivi, queste terapie hanno la massima
utilità dopo che gli antidepressivi abbiano controllato i segni melancolici.
Fornendo sostegno e guida, eliminando le distorsioni cognitive che impediscono
le azioni adattative e incoraggiando il paziente a riprendere gradualmente i suoi
ruoli lavorativi o sociali, queste terapie possono migliorare le abilità di coping e
rinforzare i progressi fatti con la terapia farmacologica. La terapia di coppia può
aiutare a diminuire le tensioni e la disarmonia coniugale. La psicoterapia a lungo
termine non è necessaria, tranne per i pazienti che abbiano conflitti interpersonali
di lunga data in molte aree di funzionamento o che non rispondano alla terapia
breve.

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Manuale Merck - Tabella

Tabella 189-6. Antidepressivi in commercio negli USA

Dosaggio
medio
(mg/die)
Classe Farmaco Precauzioni
Antidepressivi Come classe, controindicata nei pazienti con
eterociclici problemi cardiaci, glaucoma ad angolo chiuso,
ipertrofia prostatica o ernia iatale; cadute dovute a
ipotensione posturale possono provocare fratture
negli anziani; potenziano gli effetti dell’alcol;
aumentano i livelli ematici degli antipsicotici
Amitriptilina 50-300 Causa aumento di peso
Nortriptilina 25-100 Efficace all’interno della finestra terapeutica
Imipramina 50-300 Può causare sudorazione eccessiva e incubi
Desipramina 50-300 Non può essere usata in pazienti sotto i 12anni
Doxepina 25-300 Causa aumento di peso
Trimipramina 50-300 Causa aumento di peso
Clomipramina 25-225 Abbassa la soglia convulsiva a dosi >250mg/die
Protriptilina 15-60 Difficile da dosare per la sua farmacocinetica
complessa
Amoxapina 150-400 Può causare effetti collaterali extrapiramidali
Maprotilina 75-225 Può provocare comportamento suicidiario
IMAO Possibile sindrome serotoninergica quando assunti
con SSRI o nefazodone; crisi ipertensive possibili
se assunte con altri farmaci antidepressivi,
simpaticomimetici o altri farmaci selettivi, o con
determinati cibi o bevande
Fenelzina 45-90 Causa ipotensione posturale
Tranilcipromin 20-60 Ha effetti stimolanti di tipo simil-amfetaminico e un
a modesto potenziale di abuso
SSRI Fluoxetina 10-60 Anche dopo la sospensione, a causa della sua
lunga emivita, ha un elevato potenziale di
interazione tra i suoi metaboliti attivi e gli
antidepressivi eterociclici, la carbamazepina, gli
antipsicotici o gli antiaritmici rispetto agli altri SSRI
Sertralina 50-200 Tra gli SSRI, ha la più alta incidenza di diarrea
Paroxetina 20-50 Sintomi di astinenza se sospesa bruscamente
Fluvoxamina 100-300 Può causare elevazione clinicamente significativa
dei livelli di teofillina, warfarin e clozapina
Serotoninergici- Venlafaxina 75-375 Modesto aumento dose-dipendente della
noradrenergici pressione diastolica

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Manuale Merck - Tabella

Antagonisti 5-HT2 Trazodone 150-600 Può causare priapismo


Nefazodone 200-600 Può causare aritmie cardiache gravi con l’uso
concomitante di terfenadina o astemizole
Mirtazapina 15-45 Causa aumento di peso
Catecolaminergiche Bupropione 150-450 Controindicato nei pazienti con bulimia o
predisposti alle crisi convulsive
IMAO=Inibitori delle monoaminossidasi; SSRI=inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina; 5-
HT2=5-idrossi triptamina (serotonina)

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

13. DISORDINI DEL METABOLISMO DEI CARBOIDRATI

IPOGLICEMIA

Livelli di glucoso plasmatico abnormemente bassi che portano alla comparsa di


una sintomatologia da attivazione del sistema nervoso simpatico o da disfunzione
del SNC.

Per le cause principali di ipoglicemia clinicamente evidente, v. Tab. 13-5.

Sommario:

Fisiopatologia
Classificazione
Sintomi e segni
Diagnosi
Terapia

Fisiopatologia

Il cervello dipende dal glucoso plasmatico come principale carburante metabolico


nella maggior parte delle situazioni. La barriera ematoencefalica impedisce il
passaggio degli acidi grassi liberi (FFA) legati all'albumina plasmatica e la
velocità di trasporto dei chetoni al cervello è troppo bassa per soddisfare il suo
fabbisogno energetico, a meno che i normali livelli plasmatici a digiuno dei corpi
chetonici non siano marcatamente aumentati. Il glucoso plasmatico viene
normalmente regolato in modo da mantenere un livello che ne assicuri il trasporto
all'encefalo in quantità adeguate.

A livello cerebrale non è l'insulina che regola l'utilizzazione del glucoso. Specifici
centri situati all'interno del SNC controllano i livelli di glucoso plasmatico e
reagiscono a una potenziale carenza aumentando rapidamente l'attività del
sistema nervoso adrenergico, cui consegue il rilascio di adrenalina. Risposte
neuroendocrine addizionali comprendono l'aumento della secrezione di ormone
della crescita e di cortisolo e la riduzione della secrezione di insulina. La
produzione epatica di glucoso aumenta e la sua utilizzazione da parte dei tessuti
non nervosi diminuisce. La stimolazione adrenergica e il glucagone (v. oltre)
svolgono ruoli cruciali nella risposta acuta all'ipoglicemia, mentre la secrezione di
ormone della crescita e di cortisolo è tardiva e meno importante, anche se i
deficit cronici di questi ormoni possono compromettere la normale risposta
controregolatoria all'ipoglicemia. Se si instaura un grave deficit di glucoso a livello
del SNC, l'attività dei centri cerebrali superiori si riduce in modo da ridurre al
minimo il fabbisogno energetico del cervello. Qualora l'ipoglicemia in un paziente
incosciente non venga trattata rapidamente, ne possono conseguire convulsioni
e deficit neurologici irreversibili, o anche la morte.

Il glucagone è un ormone polipeptidico secreto dalle cellule a del pancreas,


presente nell'uomo quasi esclusivamente all'interno delle insule pancreatiche. Ai
livelli plasmatici fisiologici, gli effetti del glucagone sono limitati al fegato, dove
l'ormone determina un incremento acuto della glicogenolisi e del rilascio di
glucoso nel plasma; esso stimola inoltre la gluconeogenesi e attiva il sistema di
trasporto degli FFA a catena lunga all'interno dei mitocondri epatici per
l'ossidazione e la chetogenesi. Rari, isolati casi di ipoglicemia neonatale
persistente sono stati attribuiti a un deficit relativo di glucagone associato a

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

iperinsulinemia relativa.

Classificazione

L'ipoglicemia può essere dovuta a farmaci (la causa più comune) o ad altre
cause.

Ipoglicemia dovuta a farmaci: l'insulina, l'alcol e le sulfaniluree sono


responsabili della maggior parte dei casi di ricovero ospedaliero per ipoglicemia
(v. sopra alla voce Complicanze della terapia insulinica e alla voce Farmaci
ipoglicemizzanti orali). L'ipoglicemia alcolica è caratterizzata da
compromissione dello stato di coscienza, stupor o coma in un paziente con
un'alcolemia significativamente elevata, e il quadro clinico è ascrivibile
principalmente all'ipoglicemia. L'ossidazione dell'alcol nel fegato aumenta il
rapporto tra la forma ridotta e quella ossidata del nicotinamide adenin
dinucleotide nel citosol, e inibisce il rilascio di glucoso da parte del fegato tramite
l'inibizione dell'utilizzo dei principali substrati gluconeogenetici del plasma (lattato,
alanina) per la sintesi di glucoso, con il risultato di una caduta della glicemia che
stimola l'aumento degli FFA e dei chetoni plasmatici. Essa è frequentemente
associata all'aumento dei livelli plasmatici di lattato e chetoni e ad acidosi
metabolica. La sindrome insorge in individui che assumono alcol dopo un digiuno
sufficientemente prolungato da rendere dipendente dalla gluconeogenesi il
rilascio di glucoso da parte del fegato. L'ipoglicemia alcolica richiede un
trattamento tempestivo. Essa può essere indotta da livelli ematici di alcol ben al
di sotto dei comuni limiti di legge per la guida, pari a 100 mg/dl (22 nmol/l). Dopo
un'infusione EV rapida di 50 ml di soluzione glucosata al 50% seguita da
soluzione glucosata al 5% EV (abitualmente con l'aggiunta di tiamina), si
osservano di solito un rapido miglioramento del livello di coscienza e la
successiva risoluzione dell'acidosi metabolica.

Altri farmaci che meno comunemente provocano ipoglicemia comprendono i


salicilati (più spesso nei bambini), il propranololo, la pentamidina, la disopiramide
e l'ipoglicina A, che si trova nel frutto akee acerbo (la quale è la causa di una
condizione patologica nota come malattia del vomito giamaicana). Il chinino è
probabilmente una causa di ipoglicemia nei pazienti con malaria da plasmodium
falciparum.

Ipoglicemia dovute ad altre cause: vi sono incluse l'ipoglicemia a digiuno,


caratterizzata da manifestazioni a carico del SNC, di solito durante il digiuno o
l'attività fisica e l'ipoglicemia reattiva, caratterizzata da sintomatologia
adrenergica che insorge esclusivamente quando stimolata da un pasto.
L'ipoglicemia reattiva è di solito associata a diminuzioni del glucoso plasmatico
meno marcate e meno durature rispetto all'ipoglicemia a digiuno. Alcuni disordini
che provocano ipoglicemia sintomatica si presentano solitamente durante la
prima o la seconda infanzia, mentre altri si presentano più comunemente in età
adulta.

Le cause di ipoglicemia a digiuno di solito diagnosticate durante la prima o la


seconda infanzia comprendono i deficit ereditari degli enzimi epatici che limitano
il rilascio di glucoso da parte del fegato (deficit di glucoso-6-fosfatasi, fruttoso-1,6-
difosfatasi, fosforilasi, piruvato carbossilasi, fosfoenolpiruvato carbossichinasi o
glicogeno sintetasi). Difetti ereditari dell'ossidazione degli acidi grassi, compresi
quelli che originano dal deficit sistemico di carnitina, e difetti ereditari della
chetogenesi (deficit di 3-idrossi-3-metilglutaril-CoA-liasi) provocano ipoglicemia a
digiuno limitando l'ambito entro il quale i tessuti non nervosi possono soddisfare il
loro fabbisogno energetico con gli FFA e i chetoni plasmatici durante il digiuno o
l'esercizio fisico. In tali circostanze, questa situazione dà origine a un aumento
spropositato del tasso di estrazione del glucoso da parte dei tessuti non nervosi.

L'ipoglicemia chetosica nei lattanti e nei bambini è caratterizzata da episodi


ricorrenti di ipoglicemia a digiuno con elevati livelli di FFA e corpi chetonici nel
plasma, livelli di lattato solitamente nella norma e bassi livelli plasmatici di
alanina. Nei lattanti e nei bambini normali, la durata del periodo di digiuno

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

occorrente per causare una glicemia abnormemente bassa è molto minore che
negli adulti; nei pazienti con ipoglicemia chetosica questo periodo è ulteriormente
ridotto e la sua riduzione è attribuibile a un difetto quantitativo della capacità di
mobilizzare i substrati per la gluconeogenesi epatica. La nesidioblastosi è
caratterizzata da una diffusa proliferazione di cellule insulino-secernenti derivate
dall'epitelio dei dotti pancreatici e da microadenomi pancreatici costituiti da tali
cellule; essa è una causa rara di ipoglicemia a digiuno nei bambini e lo è ancora
di più negli adulti.

Gli adenomi o i carcinomi delle cellule insulari (insulinomi) sono una causa
rara e solitamente curabile di ipoglicemia a digiuno e vengono diagnosticati più
frequentemente negli adulti. Possono insorgere come patologie isolate o nel
contesto di una sindrome da neoplasie endocrine multiple (MEN) di tipo I (v.
Cap. 10 e Tumori endocrini nel Cap. 34). I carcinomi costituiscono appena il 10%
dei tumori delle cellule insulino-secernenti delle insule pancreatiche.
L'ipoglicemia nei pazienti con adenomi insulari è il risultato della secrezione
incontrollata di insulina, che può essere individuata clinicamente durante il
digiuno e l'attività fisica. Sebbene i livelli plasmatici assoluti di insulina possano
non essere eccessivamente elevati, essi possono risultare elevati in modo
inappropriato per la situazione di ipoglicemia e digiuno prolungato.

Un'ipoglicemia può essere causata anche da voluminosi tumori non insulino-


secernenti, più comunemente tumori maligni di origine mesenchimale a sede
retroperitoneale o toracica. Il tumore secerne un fattore di crescita insulino-simile
anomalo (un IGF-II di grandi dimensioni), il quale non si lega alle proteine
plasmatiche cui normalmente dovrebbe legarsi. L'aumento di IGF-II libero che ne
deriva determina ipoglicemia tramite l'IGF-I o i recettori insulinici. L'ipoglicemia si
risolve quando il tumore viene rimosso completamente o parzialmente e di solito
si ripresenta quando esso recidiva.

Un'epatopatia diffusa può causare ipoglicemia a digiuno. (Forme di cirrosi


diverse da quella cardiaca causano raramente ipoglicemia.) L'ipoglicemia
autoimmune si verifica raramente nei soggetti non diabetici e il meccanismo con
cui essa si instaura in tale patologia non è stato ancora compreso. I pazienti
affetti da diabete insulino-resistente dovuto ad anticorpi diretti contro il recettore
insulinico e acantosis nigricans sviluppano a volte anticorpi anti-recettoriali che
mimano gli effetti dell'insulina e provocano ipoglicemia a digiuno.

L'ipoglicemia a digiuno si manifesta occasionalmente nei pazienti con


insufficienza renale cronica; di solito non si riesce a identificare una causa
specifica. Lo sviluppo della nefropatia nei diabetici in trattamento insulinico può
provocare ipoglicemia diminuendo la degradazione renale dell'insulina e il suo
fabbisogno. La cachessia e lo shock endotossinico possono provocare
ipoglicemia a digiuno in qualunque fascia d'età. L'ipopituitarismo associato a
deficit di cortisolo e ormone della crescita può provocare ipoglicemia a digiuno. Il
morbo di Addison (insufficienza corticosurrenalica primitiva) causa raramente
ipoglicemia nei non diabetici, a meno che non siano defedati, ma insorge con
frequenza crescente nei pazienti con DM di tipo I, nei quali causa spesso
ipoglicemia e diminuzione del fabbisogno di insulina.

Nei pazienti affetti da intolleranza ereditaria al fruttoso, galattosemia e


ipersensibilità alla leucina dell'infanzia, specifici componenti alimentari provocano
un'ipoglicemia reattiva. Nell'intolleranza ereditaria al fruttoso e nella
galattosemia, il deficit ereditario di un enzima epatico causa l'inibizione acuta
della produzione epatica di glucoso quando vengono ingeriti fruttoso o galattoso.
Nei pazienti con ipersensibilità alla leucina dell'infanzia, l'aminoacido provoca
un'eccessiva risposta secretoria insulinica al pasto e ipoglicemia reattiva.

L'ipoglicemia reattiva associata al DM di tipo II nella fase precoce di esordio è


caratterizzata da sintomatologia adrenergica che insorge da 4 a 5 h dopo i pasti
ed è associata a un livello glicemico abnormemente basso che fa seguito a una
fase iniziale di iperglicemia post-prandiale. Ciò viene attribuito al fatto che
l'insulina plasmatica aumenta in ritardo e in maniera eccessiva. Alcuni medici ne
mettono in dubbio la reale esistenza.

L'ipoglicemia alimentare è un'altra forma di ipoglicemia reattiva che insorge nei

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

pazienti che hanno subito in precedenza un intervento chirurgico a carico del


tratto GI superiore (gastrectomia, gastrodigiunostomia, vagotomia, piloroplastica),
il quale fa sì che l'ingresso e l'assorbimento del glucoso a livello intestinale
avvengano troppo rapidamente, provocando un'eccessiva risposta insulinica ai
pasti. Essa può verificarsi da 1 a 3 ore dopo il pasto. Casi molto rari di
ipoglicemia alimentare idiopatica si verificano anche in pazienti che non hanno
subito interventi chirurgici sul tratto GI.

Sintomi e segni

L'ipoglicemia si presenta con due categorie di manifestazioni cliniche: (1) la


sintomatologia adrenergica comprende sudorazione, irritabilità, tremori,
debolezza, palpitazioni e senso di fame attribuiti all'aumento dell'attività simpatica
e del rilascio di adrenalina (tali disturbi possono verificarsi anche nei pazienti
surrenectomizzati). (2) Le manifestazioni a carico del SNC comprendono stato
confusionale, comportamento inappropriato (che può essere confuso con uno
stato di ebrezza), disturbi visivi, stupor, coma e convulsioni. Il coma ipoglicemico
causa frequentemente ipotermia. La sintomatologia adrenergica compare di
solito in seguito a riduzioni della glicemia acute e meno marcate di quelle che
causano l'insorgenza di manifestazioni a carico del SNC, ma i livelli plasmatici ai
quali i sintomi di entrambi i tipi fanno la loro comparsa variano molto tra i diversi
soggetti.

Diagnosi

Sia che il paziente si presenti con manifestazioni a carico del SNC sia con
sintomatologia adrenergica, entrambe diversamente inspiegabili, per la diagnosi
è necessaria la dimostrazione che i sintomi si verificano in associazione con
valori glicemici abnormemente bassi e che regrediscono con l'innalzamento dei
livelli plasmatici di glucoso. Viene definito come livello di glicemia abnormemente
basso quello < 50 mg/dl (< 2,78 mmol/l) nell'uomo o < 45 mg/dl (< 2,5 mmol/l)
nella donna (al di sotto dei limiti inferiori osservati in uomini e donne normali dopo
un digiuno di 72 h) e < 40 mg/dl (< 2,22 mmol/l) nei bambini. (v. anche
Ipoglicemia nel Cap. 260.) La maggior parte dei casi di ipoglicemia insorge in
pazienti trattati con insulina o sulfaniluree o che abbiano assunto recentemente
alcol e la diagnosi in questo tipo di pazienti costituisce raramente un problema.

Le indagini iniziali comprendono un test glicemico rapido in tutti i pazienti con


alterazione inspiegata dello stato di coscienza (o convulsioni). Se si riscontra una
glicemia abnormemente bassa, viene somministrato glucoso in infusione rapida
(v. Terapia, più avanti); il rapido miglioramento delle manifestazioni a carico del
SNC in seguito all'aumento della glicemia (cosa che avviene nella maggior parte
dei pazienti) conferma la diagnosi di ipoglicemia a digiuno o da farmaci. Una
parte del campione di sangue prelevato all'inizio deve essere conservata come
plasma congelato per determinare i livelli iniziali di insulina, proinsulina e
peptide C o per eseguire gli esami tossicologici quando necessario. È opportuno
eseguire la determinazione della lattacidemia e del pH ematico e la ricerca dei
corpi chetonici nel plasma.

Le altre cause possono essere identificate con le indagini di laboratorio. I


pazienti con tumori pancreatici insulino-secernenti (insulinomi, carcinomi a cellule
insulari) di solito presentano un aumento dei livelli di proinsulina e peptide C
consensuale al livello di insulina. I pazienti che assumono una sulfanilurea
potrebbero avere un livello di peptide C aumentato, ma deve essere dimostrabile
l'elevato livello ematico del farmaco. I soggetti con ipoglicemia indotta da iniezioni
di insulina esogena (comunemente operatori sanitari o familiari di diabetici)
hanno livelli normali di proinsulina e un peptide C soppresso. Nei rari casi di
ipoglicemia autoimmune, l'insulina libera plasmatica nel corso dell'episodio
ipoglicemico è di solito marcatamente elevata, il peptide C soppresso e gli
anticorpi plasmatici anti-insulina facilmente determinabili. La distinzione tra
ipoglicemia autoimmune e somministrazione surrettizia di insulina richiede

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

l'esecuzione di indagini particolari.

I pazienti con insulinoma differiscono da quelli con altre cause di ipoglicemia a


digiuno perché essi spesso si rivolgono al medico per episodi isolati di improvvisa
confusione mentale o perdita di coscienza che si sono verificati per anni e
possono essere diventati più frequenti nell'ultimo periodo. Gli episodi si verificano
solitamente a distanza di oltre 6 h dall'ultimo pasto o dopo un digiuno notturno e
vengono talvolta precipitati dall'attività fisica (p. es., una passeggiata a ritmo
sostenuto prima di colazione). Essi possono risolversi spontaneamente, ma con
l'anamnesi si riesce spesso a far emergere una storia di rapido miglioramento in
coincidenza con l'assunzione di liquidi o carboidrati. La presenza di un elevato
livello plasmatico di insulina (> 6 mU/ml [> 42 pmol/l]) in associazione con
l'ipoglicemia è fortemente suggestiva della presenza di un tumore insulino-
secernente, se si può escludere l'uso surrettizio di insulina o sulfaniluree.

Se non sono evidenti altre cause di comparsa occasionale di sintomatologia a


carico del SNC, il paziente viene ricoverato e tenuto a digiuno. Vengono tenuti
sotto controllo i livelli plasmatici di glucoso, insulina, proinsulina e peptide C.
Entro 48 h il 79% dei pazienti con insulinoma sviluppa la sintomatologia e il 98%
la sviluppa entro 72 h. Il digiuno viene sospeso dopo 72 h o al momento
dell'insorgenza dei sintomi. Se il digiuno è in grado di riprodurre la sintomatologia
del paziente e se essa risponde rapidamente alla somministrazione di glucoso ed
è associata a una glicemia abnormemente bassa e a un livello plasmatico di
insulina inappropriatamente alto, si può porre una diagnosi presuntiva di tumore
insulino-secernente. Ulteriori procedure diagnostiche (p. es., l'infusione EV di
tolbutamide) sono raramente necessarie e devono essere utilizzate solo in centri
di riferimento con vasta esperienza al riguardo. Gli insulinomi sono in genere
troppo piccoli per poter essere identificati con gli esami radiologici standard o la
TC. I pazienti nei quali sia stata posta una diagnosi presuntiva devono essere
inviati a un centro di riferimento per essere valutati da personale esperto prima di
essere sottoposti a qualunque intervento.

L'ipoglicemia alimentare deve essere presa in considerazione soltanto nei


pazienti precedentemente sottoposti a interventi chirurgici sull'apparato GI
superiore e che manifestano sintomatologia adrenergica post-prandiale
selettivamente corretta dall'ingestione di carboidrati. Il rapporto tra la
sintomatologia e i livelli plasmatici di glucoso viene valutato mediante il controllo
domiciliare della glicemia (p. es., 1 e 2 h dopo i pasti e ogni volta che si
presentano i sintomi). Il test di tolleranza al carico orale di glucoso (OGTT) non
ha validità per la diagnosi di ipoglicemia alimentare.

Terapia

L'ingestione orale di glucoso o saccaroso è solitamente sufficiente ad attenuare


la sintomatologia adrenergica acuta e i sintomi precoci a carico del SNC. Ai
pazienti trattati con insulina o sulfaniluree si consiglia di bere un bicchiere di
succo di frutta o di acqua con 3 cucchiai di zucchero e di insegnare ai familiari a
somministrare loro tale trattamento qualora mostrassero improvvisamente uno
stato confusionale o un comportamento insolito. Anche un bicchiere di latte
ottiene bene lo stesso scopo. Ai pazienti trattati con insulina si consiglia di
portare sempre con sé zollette di zucchero, caramelle o compresse di glucoso.
Nei pazienti trattati con una solfanilurea, particolarmente se a lunga durata
d'azione come la clorpropamide, l'ipoglicemia può recidivare periodicamente per
molte ore o anche giorni, nel caso in cui l'ingestione di carboidrati sia inadeguata.
Quando il glucoso per via orale non è disponibile o non è sufficiente, si possono
utilizzare il glucoso o il glucagone EV (v. oltre).

L'iniezione EV di 50 o 100 ml di soluzione glucosata al 50% seguita dall'infusione


continua di soluzione glucosata al 10% (è possibile dover usare glucosata al 20%
o al 30%) può rendersi necessaria in presenza di sintomi gravi o qualora il
paziente non possa assumere glucoso per via orale. I livelli ematici di glucoso
vengono controllati entro alcuni minuti dall'inizio dell'infusione di soluzione
glucosata al 10% e in seguito con una certa frequenza con un glucometer e la
velocità di infusione viene di volta in volta regolata in modo da mantenere una

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Disordini del metabolismo dei carboidrati

glicemia normale. Nei bambini con manifestazioni a carico del SNC, il trattamento
viene iniziato infondendo soluzione glucosata al 10% a una velocità di 3-5 mg/kg/
min, velocità che viene regolata in modo da ripristinare rapidamente e mantenere
un normale livello plasmatico di glucoso. In linea generale, i pediatri non
raccomandano l'uso di un bolo EV di soluzione glucosata al 50% o l'impiego di
liquidi EV contenenti > 10% di glucoso nella prima e nella seconda infanzia,
perché essi possono avere notevoli effetti osmotici e, in alcuni pazienti, possono
indurre marcata iperglicemia e spiccata stimolazione della secrezione insulinica.
(V. Ipoglicemia nel Cap. 260 per il trattamento dell'ipoglicemia nei neonati e nei
bambini piccoli.)

Un tumore mesenchimale non insulino-secernente spesso risponde all'escissione


chirurgica. Comunque, il paziente può evitare gli episodi di ipoglicemia
sintomatica per periodi di tempo relativamente lunghi (talvolta per anni) con
l'ingestione frequente di carboidrati al momento di coricarsi e durante la notte.
Qualora l'asportazione chirurgica della maggior parte del tumore non sia
possibile o qualora il tumore recidivi fino a dimensioni cospicue facendo
ricomparire il quadro di ipoglicemia a digiuno, può essere necessario ricorrere
alla gastrostomia per la somministrazione continua delle grandi quantità di
carboidrati necessarie durante il giorno e la notte.

Il glucagone viene utilizzato per trattare le reazioni ipoglicemiche gravi quando la


somministrazione orale di glucoso è insufficiente e il glucoso EV non è
disponibile. Esso è utile principalmente nelle situazioni di emergenza che si
verificano quando non è facilmente raggiungibile una struttura di assistenza
sanitaria. Il glucagone viene fornito in una confezione contenente il farmaco in
polvere che deve essere ricostituito con un diluente. La dose abituale di
glucagone negli adulti va da 0,5 a 1 U somministrata per via sottocutanea,
intramuscolare o EV; nei bambini, essa varia fra 0,025 e 0,1 mg/kg (dose
massima, 1 mg). Quando il glucagone è efficace, le manifestazioni
dell'ipoglicemia regrediscono di solito nel volgere di 10-25 min. Se il paziente non
risponde a 1 U di glucagone entro 25 min, è improbabile che ulteriori
somministrazioni siano efficaci, quindi esse non sono raccomandate. Gli effetti
collaterali principali sono la nausea e il vomito. L'efficacia del glucagone dipende
in maniera critica dall'entità delle riserve di glicogeno epatico; il glucagone ha
scarso effetto sulla glicemia nei pazienti che siano stati a digiuno o in stato
ipoglicemico per un lungo periodo di tempo.

Un tumore insulino-secernente delle cellule insulari richiede il trattamento


chirurgico. Più frequentemente si tratta di un insulinoma singolo, la cui
enucleazione risulta curativa, ma il tumore (o tutti i tumori nel 14% dei casi con
insulinomi multipli) può non essere identificato, con il risultato di dover eseguire
un nuovo intervento o una pancreasectomia parziale alla cieca. Prima
dell'intervento, per inibire la secrezione di insulina si possono utilizzare il
diazossido e l'octreotide (un analogo a lunga durata d'azione della somatostatina,
costituito da otto aminoacidi). I pazienti con un carcinoma insulino-secernente
delle cellule insulari hanno in genere una prognosi sfavorevole.

L'ipoglicemia provocata dall'ingestione di fruttoso, galattoso o leucina viene


trattata evitando o limitando l'assunzione della sostanza scatenante.
L'ipoglicemia alimentare, idiopatica o che insorge dopo un intervento chirurgico
sul tratto GI, viene trattata con un'alimentazione costituita da piccoli pasti
frequenti ad alto contenuto proteico e basso contenuto glucidico.

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Tumori del tratto gastrointestinale

Manuale Merck

3. MALATTIE GASTROINTESTINALI

34. TUMORI DEL TRATTO GASTROINTESTINALE

TUMORI DEL PANCREAS

TUMORI ENDOCRINI

I tumori endocrini del pancreas si presentano generalmente sotto 2 forme. I


tumori non funzionanti possono causare sintomi ostruttivi delle vie biliari o del
duodeno, sanguinamenti nel tratto GI o masse addominali. I tumori funzionanti
secernono in quantità aumentate un particolare ormone, causando diverse
sindromi, inclusa l'ipoglicemia (l'insulinoma ipersecerne l'insulina); la sindrome di
Zollinger-Ellison (il gastrinoma ipersecerne la gastrina); il vipoma (iperscrezione
del peptide intestinale vasoattivo o delle prostaglandine E ed E2); la sindrome da
carcinoide (causata dai tumori carcinoidi, v. Cap. 17); il diabete (il glucagonoma
ipersecerne glucagone); la sindrome di Cushing (ipersecrezione di ACTH) e
l'iperglicemia lieve con colelitiasi (somatostatinoma). Queste sindromi cliniche si
possono presentare, a volte, anche nel contesto delle neoplasie multiendocrine
(v. Cap. 10), in cui i tumori o l'iperplasia interessano 2 o più ghiandole endocrine
che solitamente sono le paratiroidi, l'ipofisi, la tiroide o le ghiandole surrenali.

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Tumori carcinoidi

Manuale Merck

2. MALATTIE ENDOCRINE E METABOLICHE

17. TUMORI CARCINOIDI

I tumori carcinoidi originano dalle cellule neuroendocrine, particolarmente nel


tratto gastrointestinale (90%), nel pancreas e nei bronchi polmonari (v. anche
Cap. 34 e 81). Le più comuni localizzazioni gastrointestinali sono lo stomaco,
l'ileo e l'appendice, dove essi possono causare dolore, sanguinamento
endoluminale e ostruzioni. Nonostante nel complesso siano spesso benigni o
solo localmente invasivi, i tumori carcinoidi dell'ileo e dei bronchi sono spesso
maligni. I carcinoidi possono essere endocrinologicamente inerti o possono
produrre una molteplicità di ormoni diversi. La più comune sindrome
endocrinologica è la sindrome da carcinoide, descritta di seguito.

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Patologia del neonato e del lattante

Manuale Merck

19. PEDIATRIA

260. PATOLOGIA DEL NEONATO E DEL LATTANTE

PATOLOGIA METABOLICA NEL NEONATO

IPOGLICEMIA

Una glicemia < 40 mg/dl (< 2,2 mmol/l) nel neonato a termine, o < 30 mg/dl (< 1,7
mmol/l) nel neonato pretermine.

(V. anche Cap. 13)

Sommario:

Eziologia
Sintomi, segni e diagnosi
Profilassi e terapia

Eziologia e fisiopatologia

L’ipoglicemia è dovuta alle scarse riserve di glicogeno presenti alla nascita o a


una condizione di iperinsulinismo. Poiché le riserve di glicogeno possono essere
ridotte nei neonati prematuri di peso molto basso (Very Low Birth Weight,
VLBW), essi possono sviluppare ipoglicemia se non ricevono un prolungato
apporto di glucoso dall’esterno. Le riserve di glicogeno sono ridotte anche nei
neonati che hanno presentato malnutrizione intrauterina a causa di insufficienza
placentare (neonati SGA). Se poi questi neonati hanno presentato anche asfissia
perinatale con ipossia, ogni riserva di glicogeno verrà rapidamente consumata
durante la glicolisi anaerobia. I neonati che presentano deficit di glicogeno
possono diventare ipoglicemici in qualunque momento nei primissimi giorni di
vita, specialmente se c’è stato un prolungato intervallo tra i pasti o se l’apporto
nutritivo è scarso.

L’iperinsulinismo si verifica nel figlio di madre diabetica (in relazione inversa al


grado di controllo del diabete), nell’eritroblastosi fetale grave e nella sindrome di
Beckwith-Wiedemann (caratterizzata da macroglossia, ernia ombelicale e
ipoglicemia). L’iperinsulinismo neonatale determina caratteristicamente una
rapida ipoglicemia nelle prime 1-2 h dopo la nascita, quando si è interrotto il
continuo passaggio di glucoso dalla placenta. L’ipoglicemia si può anche
verificare per una brusca sospensione di una infusione EV di soluzione glucosata.

Sintomi, segni e diagnosi

Sebbene molti neonati rimangano asintomatici, possono verificarsi adinamia,


scarsa alimentazione, ipotonia, irritabilità, crisi di apnea, tachipnea o convulsioni.
Questi segni non sono specifici e possono anche manifestarsi in neonati che
sono stati asfittici, che hanno una sepsi o ipocalcemia o hanno presentato una
crisi di astinenza da farmaci (p. es., astinenza da narcotici).

Le correlazioni tra sintomi, ipoglicemia e conseguente danno neurologico sono


inesatte.

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Patologia del neonato e del lattante

Profilassi e terapia

Poiché l’ipoglicemia neonatale può determinare un danno neurologico, essa deve


essere prevenuta o prontamente trattata.

Poiché i neonati di madre con diabete insulino- dipendente spesso sviluppano


una ipoglicemia precoce e spesso si alimentano poco, si effettua spesso una
infusione EV di SG al 10% alla nascita, così come nei neonati patologici, quelli
estremamente pretermine o quelli che presentano un distress respiratorio. Altri
neonati non patologici, ma a rischio, devono essere sottoposti a un’alimentazione
precoce e frequente con formule che fungono da fonti di carboidrati e di altri
nutrienti. Inoltre, in tutti questi bambini bisogna monitorare la glicemia. I test
possono essere eseguiti al letto del paziente, utilizzando strisce reattive (p. es.,
es., Dextrostix, n.d.t.). Comunque, è inesatta nei neonati la determinazione della
glicemia capillare utilizzando il metodo enzimatico della glucoso ossidasi. La vera
glicemia deve essere determinata in tutti i neonati che presentano livelli
leggermente bassi o che presentano sintomi suggestivi di ipoglicemia.

Il neonato che sviluppa ipoglicemia sintomatica o la cui glicemia non aumenta


rapidamente dopo nutrizione enterale, deve essere trattato immediatamente con
infusione EV di soluzione glucosata al 10%, 5 ml/kg in 10 min. L’infusione deve
essere poi continuata a una velocità che mantiene 4-8 mg/kg/min di glucoso
(p. es., soluzione glucosata al 10%, al dosaggio di circa 60- 120 ml/kg/die).
Bisogna sempre monitorare la glicemia per apportare delle modifiche alla velocità
dell’infusione. Quando le condizioni cliniche del neonato sono migliorate, si può
sostituire gradualmente la terapia infusionale EV con l’alimentazione enterale,
monitorando continuamente la glicemia. La terapia infusionale con soluzione
glucosata EV va diminuita gradualmente, poiché una brusca interruzione può
determinare un’ipoglicemia.

Se risulta difficile instaurare rapidamente una infusione di glucoso EV in un


neonato con ipoglicemia, il glucagone 100-300 µg/kg IM (dose max 1 mg), in
genere, innalzerà rapidamente la glicemia e il suo effetto permarrà per 2-3 h,
eccetto che nei neonati con scarse riserve di glicogeno. L’ipoglicemia refrattaria
alla infusione di grandi quantitativi di glucoso può essere trattata con
idrocortisone 5 mg/kg/die IM suddivisi in 2 somministrazioni. Se l’ipoglicemia è
refrattaria al trattamento, bisogna considerare altre cause (p. es., la sepsi) ed
effettuare possibilmente uno studio endocrinologico.

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Uso degli steroidi anabolizzanti

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

305. USO DEGLI STEROIDI ANABOLIZZANTI

Sommario:

Introduzione
Sintomi e segni
Diagnosi e prevenzione

Gli steroidi anabolizzanti sono derivati sintetici del testosterone (v. Tab. 305-1).

Il testosterone ha effetti androgenici (mascolinizzanti; p. es., modificazioni dei peli


o della libido, aggressività) ed effetti anabolizzanti (crescita tissutale; p. es.,
aumento dell’utilizzo delle proteine, modificazioni della massa muscolare).
L’effetto androgenico non può essere disgiunto da quello anabolizzante, ma sono
stati sintetizzati steroidi anabolizzanti che riducono al minimo gli effetti
androgenici.

Evidenze scientifiche e aneddotiche significative indicano che con un


allenamento di resistenza e una dieta adeguata, la massa muscolare magra e la
forza aumentano maggiormente negli individui che utilizzano steroidi
anabolizzanti. Tuttavia, non esiste una prova diretta che l’impiego degli steroidi
anabolizzanti aumenti la resistenza o la velocità. Solide evidenze aneddotiche
suggeriscono che gli atleti che assumono steroidi anabolizzanti possono
sottoporsi ad allenamenti di elevata intensità con una frequenza maggiore, anche
se nessuno studio conferma questo effetto e non è conosciuto alcun meccanismo
che ne sia alla base. Il miglioramento delle prestazioni atletiche potrebbe essere
soltanto una sensazione soggettiva.

Negli USA, viene riportata una frequenza di utilizzo di steroidi anabolizzanti del 6-
11% tra i liceali maschi (questa percentuale comprende anche un numero
inaspettato di non atleti) e del 2,5% tra le liceali femmine. In un sondaggio
nazionale, la motivazione più comune addotta per l’utilizzo di steroidi
anabolizzanti è stata il miglioramento della prestazione atletica; la seconda è
stata il miglioramento dell’aspetto fisico.

L’utilizzatore tipico è un maschio (95%), atleta (65%), solitamente un giocatore di


football, un lottatore peso massimo o un sollevatore di pesi. È più probabile che
frequenti una scuola metropolitana con più di 700 studenti, che faccia parte di
una minoranza studentesca e che si sia procurato gli steroidi rivolgendosi al
mercato clandestino (60%). È meno probabile che abbia un genitore che ha
completato gli studi superiori.

Gli atleti possono assumere steroidi per un certo periodo di tempo, sospenderli e
poi riprenderne l’assunzione (assunzione ciclica) diverse volte l’anno. Si ritiene
che la sospensione intermittente permetta ai livelli del testosterone endogeno,
alla conta spermatica e all’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi di tornare alla normalità.
Evidenze aneddotiche suggeriscono che l’assunzione ciclica possa ridurre gli
effetti dannosi dei farmaci e la necessità di aumentare le dosi per ottenere
l’effetto desiderato.

Gli atleti utilizzano di frequente più farmaci contemporaneamente (una pratica


chiamata stacking) e alternano le vie di somministrazione (orale, IM o
transdermica). L’incremento della dose nel corso di un ciclo (piramidalizzazione)
può portare a dosi da 5 a 100 volte superiori a quella fisiologica. Lo stacking e la
piramidalizzazione hanno lo scopo di aumentare il legame ai recettori e di ridurre

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Uso degli steroidi anabolizzanti

al minimo gli effetti sfavorevoli, ma questi benefici non sono stati dimostrati.

Gli steroidi anabolizzanti hanno anche un impiego medicinale. Poiché sono


anticatabolici e migliorano l’utilizzo delle proteine, vengono somministrati ai
pazienti ustionati, costretti a letto o altrimenti debilitati per prevenire l’atrofia
muscolare.

Sintomi e segni

Il segno più caratteristico è un drastico e rapido incremento della massa


corporea. Se l’utilizzatore si allena con i pesi e mantiene una dieta ad alto
contenuto calorico e proteico durante l’assunzione degli steroidi anabolizzanti, la
forza e la massa muscolare di solito aumentano. Negli uomini si verifica anche un
aumento delle energie e della libido, ma essi sono più difficili da dimostrare.

La sicurezza complessiva degli steroidi anabolizzanti è controversa. Il


metiltestosterone 200 mg/sett non produce effetti sfavorevoli (nemmeno sulla
personalità), a eccezione di un lieve incremento dell’acne. La maggior parte degli
effetti sfavorevoli si verifica soltanto con dosi superiori a 200 mg equivalenti di
metiltestosterone alla settimana. Gli effetti dell’impiego a lungo termine non sono
stati ancora studiati e non lo sono state neanche le dosi straordinariamente
elevate utilizzate da alcuni atleti, specialmente culturisti, che talvolta assumono
l’equivalente di diversi grammi di metiltestosterone ogni settimana.

Gli effetti psicologici (in genere presenti solo con dosi molto elevate) vengono
spesso notati dai familiari; tali effetti comprendono cambiamenti di umore notevoli
e irregolari, comportamento irrazionale, aumento dell’aggressività ("rabbia
steroidea"), irritabilità, depressione e dipendenza.

L’esacerbazione dell’acne, un disturbo comune, è uno dei pochi effetti sfavorevoli


per i quali un adolescente può rivolgersi a un medico. Può comparire ittero,
indicativo di una disfunzione epatica, ma di solito esclusivamente con gli steroidi
anabolizzanti assunti per via orale. Possono verificarsi lesioni muscolotendinee e
disfunzione epatica o tumori (benigni e maligni). Negli utilizzatori in età prepubere
e pubere, le epifisi ossee possono saldarsi prematuramente, probabilmente
riducendo la statura finale. L’ipertensione, l’aumento del colesterolo delle
lipoproteine a bassa densità (LDL) e la riduzione del colesterolo delle lipoproteine
ad alta densità (HDL) possono aumentare il rischio cardiovascolare. I maschi
possono sviluppare ginecomastia, atrofia testicolare e azoospermia.

Alcuni effetti virilizzanti che compaiono nelle femmine possono essere


irreversibili, p. es., l’alopecia, l’ipertrofia del clitoride, l’irsutismo e l’abbassamento
del timbro della voce. Le dimensioni del seno si possono ridurre, la mucosa
vaginale si può atrofizzare, le mestruazioni possono divenire irregolari o cessare,
la libido può aumentare o, più raramente, ridursi e possono aumentare
l’aggressività e l’appetito.

Diagnosi e prevenzione

Un esame delle urine solitamente è in grado di individuare gli utilizzatori di


steroidi anabolizzanti. I metaboliti di questi farmaci possono essere identificati
nelle urine fino a 6 mesi dopo la loro sospensione (o anche più a lungo per alcuni
tipi di steroidi).

L’educazione sugli steroidi anabolizzanti dovrebbe cominciare con l’inizio delle


scuole medie inferiori. Anche i presidi delle scuole, gli allenatori delle squadre
sportive (specialmente di football, di lotta libera, di pallacanestro e di atletica
leggera) e i medici scolastici dovrebbero essere istruiti come gli adolescenti e i
loro genitori.

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Uso degli steroidi anabolizzanti

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 305-1. STEROIDI ANABOLIZZANTI


COMUNEMENTE UTILIZZATI DAGLI ATLETI

Orali Iniettabili (IM)


Etilestrenolo (Maxibolin)* Boldenone (veterinario) (Equipoise)*

Mesterolone (Proviron) Esossimestrolo (Enoltestovis)*

Metandrostenolone (Dianabol)* Metandrostenolone (Dianabol)*

Metenolone (Primobolan)* Metenolone enantato (Primobolan)

Metiltestosterone (Testovis) Nandrolone decanoato (Deca-


Durabolin)
Oxandrolone (Oxandrolone)
Nandrolone fenpropionato (Durabolin)
Oximetolone (Anadrol)* *

Stanozololo (Winstrol)* Stanozolol (veterinario) (Winstrol V)*

Stenbolone (Anatrofin)*

Testosterone cipionato (Depo-


Testosterone)*

Testosterone enantato (Testo Enant)

Testosterone: esteri in associazione


(Sustanon)

Testosterone nicotinato (Bolfortan)*

Therobolin*

Trenbolone (Finajet)*

Trofobolene*
*Non disponibile in Italia

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Nomi commerciali di alcuni farmaci di uso comune

Manuale Merck

22. FARMACOLOGIA CLINICA

306. NOMI COMMERCIALI DI ALCUNI FARMACI DI USO


COMUNE

All’interno del Manuale vengono utilizzati ogni volta che è possibile i nomi
generici dei farmaci (non quelli delle specialità medicinali). La maggior parte dei
farmaci soggetti a prescrizione ha un nome commerciale (detto anche di
proprietà, di marca o di specialità) per distinguere il fatto che sono stati prodotti e
commercializzati da una determinata ditta. Negli USA, questi nomi sono
solitamente registrati come marchio di fabbrica presso il Patent Office, che
garantisce determinati diritti legali per la loro utilizzazione. Un nome commerciale
può essere registrato per un prodotto contenente un singolo principio attivo (con
o senza eccipienti) o due o più principi attivi (farmaci di associazione). Una
sostanza chimica registrata da diversi produttori può avere diversi nomi
commerciali. Un farmaco può essere messo in commercio con diversi nomi
commerciali in paesi diversi.

I nomi commerciali sono reperibili in numerose pubblicazioni e vengono usati


estensivamente nella medicina clinica. Per praticità, la Tab. 306-1 elenca i nomi
commerciali della maggior parte dei farmaci nominati nel Manuale, soprattutto
quelli commercializzati negli USA. La tabella non è onnicomprensiva e non
elenca tutti i nomi commerciali di ciascun farmaco. Alcuni dei farmaci inclusi nella
tabella sono sperimentali e potrebbero essere approvati dalla FDA nei prossimi
anni. L’inclusione di un farmaco non indica l’approvazione del suo impiego per
qualsiasi indicazione, né implica l’efficacia o la sicurezza della sua azione.
L’inserimento di un nome commerciale nella Tab. 306-1 non è indice di una
sponsorizzazione né di una preferenza da parte del Manuale.

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Manuale Merck - Tabella

TABELLA 306-1. ALCUNI NOMI COMMERCIALI


DI FARMACI DI USO COMUNE

Principio attivo Nomi commerciali


Acarboso GLUCOBAY
Acebutololo SECTRAL
Acetaminofene V. Paracetamolo
Acetazolamide DIAMOX
Acetilcisteina FLUIMUCIL
Acetoesamide (USA) DYMELOR
Acetofenazina (USA) TINDAL
Aciclovir ZOVIRAX
Acido acetoidrossamico (USA) LITHOSTAT

Acido aminocaproico CAPROLISIN


Acido cromoglicico GASTROFRENAL, GLICACIL,
LOMUDAL
Acido etacrinico EDECRIN
Acido etidronico ETIDRON
Acido meclofenamico LENIDOLOR
Acido mefenamico LYSALGO
Acido nalidixico NEG-GRAM
Acido salicil salicilico (USA) DISALCID, SALFLEX
Acido valproico DEPAKIN
ACTH V. Corticotropina
Adenosina ADENOSCAN, KRENOSIN
Alazepam PAXIPAM
Albuterolo V. Salbutamolo
Allopurinolo ZYLORIC
Aloperidolo HALDOL, SERENASE
Aloprogina HALOTEX
Alprazolam XANAX
Amantadina MANTADAN
Amfotericina B FUNGIZONE
Amifostina ETHYOL
Amikacina BB-K8
Amiloride* (USA) MIDAMOR

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Manuale Merck - Tabella

Aminofillina AMINOMAL, TEFAMIN


Amiodarone CORDARONE
Amitriptilina LAROXYL, TRIPTIZOL
Amlodipina NORVASC
Amoxapina (USA) ASENDIN
Amoxicillina VELAMOX, ZIMOX
Amoxicillina/ ac. clavulanico AUGMENTIN
Ampicillina AMPIPLUS, AMPLITAL,
PENTREXIL
Amrinone INOCOR
Anisotropina (USA) VALPIN 50
Anthralin (USA) ANTHRADERM
Asparaginasi (USA) ELSPAR
Astemizolo HISMANAL
Atenololo TENORMIN
Atorvastatina LIPITOR
Atovaquone WELLVONE
Auranofin RIDAURA
Azatioprina AZATIOPRINA
Azitromicina ZITROMAX
Azlocillina (USA) AZLIN
Aztreonam AZACTAM
Baclofene LIORESAL
Beclometasone CLENIL, TUR BINAL
Benazepril TENSANIL
Benzilpenicillina DIAMINOCILLINA, PENICILLINA G
Benzilpenicilloilpolilisina (USA) PRE-PEN
Benzonatato (USA) TESSALON
Benzquina mide (USA) EMETE-CON
Benztropina (USA) COGENTIN
Bepridil (USA) VASCOR
Beractant (USA) SURVANTA
Beta-carotene* (USA) SOLATENE
Betametasone BENTELAN, CELESTONE,
ECOVAL
Betanecolo URECHOLINE
Betaxololo BETOPTIC, KERLON
Bisacodil DULCOLAX

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Manuale Merck - Tabella

Bisoprololo CONCOR
Bitolterolo ASMALENE
Bleomicina BLEOMICINA
Bretilio (USA) BRETYLOL
Bromfeniramina (USA) DIMETANE
Bromocriptina PARLODEL
Budesonide BIDIEN
Bumetanide FONTEGO
Bupropion (USA) WELLBUTRIN
Buspirone BUSPAR
Busulfano MYLERAN
Butorfanolo† (USA) STADOL
Calcifediolo DIDROGYL
Calcitonina di salmone OSTEOTONINA
Calcitonina umana CIBACALCIN
Calcitriolo ROCALTROL
Capreomicina (USA) CAPASTAT
Capsaicina (USA) ZOSTRIX
Captopril CAPOTEN
Carbamazepina TEGRETOL
Carbenicillina‡ (USA) GEOCILLIN
Carbidopa- levodopa SINEMET
Carbinoxamina* (USA) CLISTIN
Carboprost (USA) HEMABATE
Carmustina (USA) BCNU
Carteololo CARTEOL
Carvedilolo CARVIPRESS
Cefacloro PANACEF
Cefadroxil CEFADRIL, CEPHOS
Cefalexina CEPOREX, KEFORAL
Cefamandolo MANDOKEF
Cefapirina (USA) CEFADYL
Cefazolina CEFAMEZIN, TOTACEF, ZOLIN
Cefixima SUPRAX
Cefonicid MONOCID
Cefoperazone CEFOPER
Ceforanide (USA) PRECEF

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Manuale Merck - Tabella

Cefotaxima CLAFORAN
Cefotetan APATEF
Cefoxitina MEFOXIN
Cefprozil CRONOCEF, PROCEF
Cefradina CITICEF, LISACEF
Ceftazidima CEFTIM, GLAZIDIM, SPECTRUM
Ceftizoxima EPOSERIN
Ceftriaxone ROCEFIN
Cefuroxima CUROXIM, DELTACEF, LIFUROX
Chenodiol (USA) CHENIX
Chinidina NATICARDINA, RITMOCOR
Ciclandelato CICLOSPASMOL
Ciclizina (USA) MAREZINE
Ciclobenzapri na FLEXIBAN
Ciclofosfamide ENDOXAN
Ciclopentolato CICLOLUX
Cicloserina CICLOSERINA (Formulario
Nazionale)
Ciclosporina SANDIMMUN
Cidofovir VISTIDE
Cimetidina TAGAMET
Ciproeptadina PERIACTIN
Ciprofloxacina CIPROXIN, FLOCIPRIN
Cisapride PREPULSID
Cisplatino CITOPLATINO
Citarabina ARACYTIN
Claritromicina KLACID
Clemastina TAVEGIL
Clindamicina DALACIN
Clofazimina (USA) LAMPRENE
Clofibrato‡ (USA) ATROMID-S
Clomifene CLOMID
Clomipramina ANAFRANIL
Clonazepam RIVOTRIL
Clonidina CATAPRESAN
Cloralio idrato§ CLORALIO IDRATO (Tariffario
Nazionale)
Clorambucil LEUKERAN

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Manuale Merck - Tabella

Cloramfenicolo CHEMICETINA
Clorazepato TRANSENE
Clordiazepossi do LIBRIUM
Clorexidina HIBISCRUB
Clorfenamina TRIMETON
Clorfeniramina V. Clorfenamina
Clormezanone (USA) TRANCOPAL
Clorotrianisene (USA) TACE
Clorpromazina LARGACTIL
Clorpropamide DIABEMIDE
Clortalidone IGROTON
Clotrimazolo CANESTEN
Cloxacillina CLOXACILLINA SODICA
Clozapina LEPONEX
Colestipolo (USA) COLESTID
Colestiramina QUESTRAN
Corticotropina (ACTH)‡ (USA) ACTHAR
Cortisolo V. Idrocortisone
Cosintropina V. Tetracosactide
Cotrimoxazolo V. Trimetoprim- sulfametoxazolo
Dacarbazina DETICENE
Dactinomicina COSMEGEN
Danazolo DANATROL
Dantrolene DANTRIUM
Daunorubicina DAUNOBLASTINA
Deferoxamina DESFERAL
Delavirdina (USA) RESCRIPTOR
Demeclociclina LEDERMICINA
Desametasone DECADRON, VISUMETAZONE
Desclorfeni ramina POLARAMIN
Desipramina NORTIMIL
Desmopressina EMOSINT, MINIRIN
Destrometorfano FORMITROL
Destropro poxifene LIBEREN
Diazepam VALIUM
Diazossido HYPERSTAT, PROGLICEM
Diciclomina (USA) BENTYL

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